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Petrarca in Sant’Agostino scopre la sua vera inquietudine

  
Letterato e teologo, monaco
agostiniano e vescovo di Monopoli
dopo il 1340, Dionigi da Borgo San
Sepolcro incontra Petrarca prima del
1333 e gli regala Le confessioni di
Sant’Agostino, ove il santo racconta
con schiettezza e profondità il percorso
della propria conversione. Il santo
diventa uno dei maestri del Petrarca,
punto di riferimento ideale cui guardare
per uscire dalla palude del peccato e
decidersi definitivamente per una scelta categorica di vita santa. Segni dell’ammirazione che
Petrarca nutre nei confronti di sant’Agostino si vedono chiaramente nel De secreto conflictu
curarum mearum, noto anche come Secretum, o nella lettera indirizzata a Dionigi da Borgo
San Sepolcro ove il poeta racconta dell’ascesa al Monte Ventoso (Mont Ventoux) vicino a
Valchiusa in Provenza. Inserita nel quarto libro delle Familiares, l’epistola simboleggia
l’atto di nascita dell’alpinismo («anche se altri alpinisti avevano già scalato altre montagne
di molte altre parti del mondo» come scrive Rebecca Solnit in Storia del camminare),
documento dell’impresa che il poeta compie nel 1336 in compagnia del fratello Gherardo,
ma, nel contempo, occasione per un esame di coscienza e per una perlustrazione della
propria debolezza spirituale. In effetti, il racconto dell’ascesa assume un valore
profondamente simbolico1.
            Dopo aver pensato ad un possibile compagno di viaggio per compiere la scalata, non
trovando nessun amico che possa essere adatto per volontà e indole, Petrarca sceglie il
fratello più giovane Gherardo. Avvicinatisi ai piedi del monte, i due incontrano un vecchio
pastore che cerca di dissuaderli dal salire, raccontando loro che anche lui cinquant’anni
prima aveva compiuto l’impresa, ma, una volta raggiunta la meta, «non ne aveva riportata
che delusione e fatica». L’incontro rappresenta una prima tentazione per il Petrarca che
potrebbe distoglierlo dall’obiettivo prospettandogli i sacrifici e le privazioni.

Sant’Agostino duca e maestro

“Duca” e “maestro” non sono connotazioni consuete per un pur notevole referente
petrarchesco com’è quello di Agostino. Nel Secretum è piuttosto la Verità dux e magistra
e, per giunta, cosí invocata proprio da Agostino (Secr. 26). “Duca” e “maestro” sono, però,
soprattutto segni danteschi e, pertanto, l’allusività va precisata. Ora, «duca» e «maestro» è,
in Dante e per Dante, Virgilio. E, allora, il riferimento contiene un non invidiabile, oneroso
parallelismo: Dante : Virgilio = Agostino : Petrarca.
Del resto soltanto in tempi piú recenti Agostino è stato considerato per Petrarca quello che
per Dante è stato (sempre) considerato Virgilio. Eppure una lunghissima tradizione lo ha
1
Il 26 aprile 1336 il Petrarca decide di fare una ascensione sul monte Ventoux, nei pressi di Avignone, in compagnia del fratello
Gherardo e portandosi appresso le CONFESSIONI di sant'Agostino. Durante una sosta vuol leggere qualche passo del lavoro
agostiniano e lo colpisce improvvisamente la seguente frase:"Et eunt homines admirari alta montium et ingentes fluctus maris et
latissimos lapsus fluminum et oceani ambitum et gyros siderum et relinquunt se ipsos." Questo episodio ce lo racconta lui stesso in
una celeberrima lettera (EPISTULAE FAMILIARES,l. IV,I ) scritta in quello stesso anno.
sempre accomunato a Petrarca. Virgilio, com’è noto, è fin dall’inizio per Dante «duca,
segnore e maestro» (Inf II, 140) e, ciononostante, Dante premette «ch’un sol volere è
d’ambedue» (v. 139): ciò che non è, come subito si vedrà, di Agostino e Petrarca.
Agostino, infatti, viene presentato, nel Secretum, dalla Verità come a lei consensualmente
associato. Ma, fin dall’inizio, è precisata la condizione beata e la funzione ‘beatrice’ del
«virum grandevum», come Petrarca conferma altrimenti nella Fam. 2,9,14 quando afferma
che Agostino «simulatus, inde» (cioè dal cielo) «mihi favet, inde me diligit».
Ma varrà, forse, questa prima analisi a sostenere che senza parlare di Dante non si dà
conoscenza del rapporto piú profondo e fecondo che lega Petrarca ad Agostino? E, in
effetti, è come se anche noi posteri avessimo introiettato ‘l’invidia di Dante’, vale a dire
l’ombroso rifiuto petrarchesco di dichiarare il proprio debito con l’opprimente
predecessore. Solo recentemente ‘l’invidia di Dante’ è stata riconsiderata, al di là della
cifra superficialmente psicologica, a partire dalle tracce testuali, col corredo dei moderni
attrezzi filologico-linguistici e storico-documentari. Ed è apparso allora Dante in Petrarca,
dapprima il Dante petroso, il rimatore virtuoso del verso, l’amico di Cino e del secondo
disdegnoso Guido (Cavalcanti). E poi, attraverso il Dante ‘comico’, quello a tutto tondo, e
Boccaccio prima di loro - poeta e pellegrino, poeta e teologo.
È nota l’attestazione petrarchesca ufficiale dei rapporti con Dante, in Fam. 21,15,11, fino
alla stupefacente ma sintomatica motivazione dell’abbandono della lettura del
predecessore, peraltro confinata al primo tempo giovanile, per avere più ampia e più
originale libertà espressiva. Ma è interessante notare che la problematica connessa
all’’invidia’ petrarchesca di Dante si riverbera, sempre in Fam. 21,15,22 con esiti più
temperati, sul rapporto tra Petrarca e Virgilio: Aut cui tandem invideat qui Virgilio non
invidet? Petrarca sembra quasi voler ostentare una differenza tra Dante e Virgilio, per
quanto riguarda la sua personale ricezione dei due autori. Nel corso della ‘familiare’
indirizzata a Boccaccio molti passi fanno pensare ad una deliberata attualizzazione di
Virgilio, anche del Virgilio dantesco, di contro a un apparente abbandono del poeta
immediatamente piú anziano: Dante, e non Virgilio, è considerato estinto. Come è stato già
detto, Virgilio arriva, pur risemantizzato, attraverso Dante a Petrarca.
Per Dante Agostino «iacet abiectus» (Ep. 11,7) e si coglie la nota di sdegno e rimpianto
per la contingente marginalità di tanto nome. Ma Agostino non è per Dante soltanto il
derelitto Padre della Chiesa; è accomunato altresì, oltre che agli scrittori sacri, ai grandi
fondatori di ordini, e, nell’Epistola a Cangrande, ai grandi mistici Riccardo di San Vittore
e san Bernardo (Ep. 13,28). Ma, soprattutto, è ben presente a Dante l’esemplarità figurale
di Agostino, che gli fa intendere «lo processo de la sua vita, che fu di non buono in
buono» come un diretto referente di un’esperienza vitale, affettiva ed emotiva,
morale e intellettuale, pienamente inserita nel progetto salvifico. Di qui la prevalenza,
in Dante, degli echi delle Confessioni, piuttosto che delle opere dottrinarie definitive (De
Civitate Dei, in particolare, di cui non appare traccia).
L’Augustinus di Petrarca nasce come “duca” e “maestro” intorno a una costellazione di
esperienze di vita vissuta ma anche di pagine lette e scritte. Ecco perché in Secr. 40
Franciscus accetta di buon grado di sottoporsi al medesimo percorso dell’Agostino delle
Confessioni. «Lo processo de la sua vita» è, come si vede, un forte argomento per Petrarca,
ma non più forte dell’insegnamento intellettuale e culturale complessivo, e, quindi, anche
spirituale, che da quella vita deriva.

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