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Sofocle nacque a Colono, demo agreste situato fra Atene ed Eleusi, intorno al 497

a.C. Suo padre Sophillos, ricco fabbricante d'armi e proprietario terriero, gli diede la
migliore formazione culturale e sportiva che poteva offrirgli l’Atene contemporanea.
Egli si distinse a 15 anni, dopo la battaglia di Salamina, conducendo il coro dei
giovinetti che celebravano la vittoria di Atene. Secondo un antico mito, in quella
stessa battaglia combatté valorosamente Eschilo, e, in quello stesso giorno, nacque
Euripide; si tratta naturalmente di una finzione, che tuttavia simboleggia il rapporto di
continuità fra i tre tragici, ma anche la distanza anagrafica esistente fra di essi e il
rapporto storico-culturale che intercorre tra l’uno e l’altro di loro. La vita di Sofocle
accompagna la grandezza e il declino dell'Atene del V°
secolo: conobbe  la potenza ateniese al suo massimo
splendore e la democrazia istituita da Pericle, del quale
fu anche amico. Felice nella  vita privata, dalla moglie
Nicostrate ebbe un figlio, Iofonte, poeta tragico
anch’egli, e dalla  concubina un altro figlio: Aristone, il
cui  figlio, “Sofocle il giovane”, scrisse tragedie.
Secondo le fonti, tra le quali una Vita che precede i suoi
drammi in un certo numero di manoscritti, egli avrebbe
messo a frutto le proprie doti musicali e ginniche
nell’attività di attore, ma poi, per la debolezza di voce,
avrebbe dovuto rinunciare alla recitazione. Già al suo
esordio negli agoni drammatici del 468 a.C., gli era toccata la
vittoria, sebbene fra i contendenti vi fosse pure
Eschilo, e a decretarla fu un collegio giudicante formato
dagli strateghi. In seguito il favore degli ateniesi non
abbandonò mai Sofocle, sia nei concorsi drammatici, dove
ottenne ben ventiquattro vittorie, che nella politica,
che lo vide stratega insieme a Pericle nella guerra di Samo
(441-440), e forse anche una seconda volta nel 428. Inoltre fu ellenotamo (percettore 
dei tributi versati ad Atene dai suoi alleati) nel 443-442 e membro del collegio dei
probuli (una sorta di comitato della salute pubblica) nel 413, mentre nel 433 a.C. fu
amministratore del tesoro della Confederazione Attica. Secondo il poeta Ione di Chio,
“nelle cose politiche non era né abile né solerte, proprio un bravo ateniese come gli
altri”, ma la Vita attesta invece che egli visse circondato dal successo e dalla
benevolenza dei concittadini, grazie anche al fascino suscitato dalla sua personalità
amabile e serena. Sofocle, inoltre, rivestì le funzioni di sacerdote di una divinità
locale della salute, Halon, e, quando nel 420 il simulacro del dio Asclepio venne
trasferito da Epidauro ad Atene, Sofocle fu designato ad ospitarlo nella sua casa,
poiché non era ancora pronto il santuario destinato al dio.
Una notizia secondo la quale Sofocle, all’annuncio
della morte di Euripide, presentò il coro in abiti da lutto e senza corona, e un passo
delle Rane di Aristofane, messe in scena nel 405, che lo dice ormai nell’oltretomba,
consentono di collocare fra le due date la morte dell’ormai vecchissimo poeta, che
avvenne secondo varie notizie per la gioia di una vittoria, o per la fatica di leggere ad
alta voce un passo dell’Antigone, oppure per soffocamento prodotto da un acino
d’uva. A quell’epoca Sofocle aveva ormai novant'anni, e, nonostante questo, aveva
mantenuto fino all'ultimo intatta la propria energia creatrice: lasciava infatti un’opera
postuma, l’Edipo a Colono, che fu rappresentata nel 401 a.C. a cura dell’omonimo
nipote. Una selezione antica ha salvato in forma integrale sette tragedie di Sofocle.
Oltre che dell’Edipo a Colono, conosciamo la data di altre due di queste: l’Antigone,
risalente al 442, e il Filottete, che risale al 409. Per datare le restanti si deve ricorrere
a supposizioni, per altro non immuni da controversie. Pressoché generale è l’opinione
che L’Aiace sia la tragedia più antica, risalente forse al 450, e che l’Edipo Re sia
anteriore al 425, ma probabilmente di pochissimi anni. Delle Trachinie, l’unica delle
tragedie di Sofocle intitolata al modo tradizionale, secondo la composizione del coro,
si può dire tutt’al più che verosimilmente precedettero l’Edipo Re, e dell’Elettra che
venne dopo la medesima tragedia. Gli Alessandrini tuttavia, possedevano ben
centotrenta drammi di Sofocle, tra i quali solo di pochi era messa in dubbio
l’autenticità: ne rimangono ampi e numerosi frammenti nei papiri, uno dei quali,
scoperto in Egitto e pubblicato nel 1912, conteneva circa 400 versi di un dramma
satiresco, I cercatori di tracce,sulle imprese di Ermes neonato, ma già ladro delle
mandrie di Apollo e inventore della lira. Sofocle rappresentò la generazione
intermedia fra quelle di Eschilo e di Euripide, al quale per altro sopravvisse di
qualche mese; la sua tragedia significa dunque la pienezza della maturità, rispetto
all’arcaica drammaturgia di Eschilo e alla crisi già esplosa in Euripide. La sua
lunghissima carriera teatrale coincide con la piena affermazione dell’idea di
“tragico”. Egli visse l’epoca delle Guerre Persiane nella fanciullezza e
nell’adolescenza, quanto bastava per sentire la grandezza della resistenza greca
all’invasione. Ma gli toccò anche di vivere in un tempo in cui non era più possibile
condividere la sicurezza eschilea che le problematiche dell’uomo potessero venire
risolte con l’aiuto benevolo e onnipotente degli dei.
Sotto l'aspetto della fede, Sofocle occupa una posizione intermedia tra Eschilo,
pervaso dalla fede, e Euripide, scettico e razionale. Privi di fiducia negli dei, i
protagonisti sofoclei sono dannati all’errore e alla sofferenza che ne è la conseguenza,
e fondano così il prototipo dell’eroe propriamente “tragico”. Sofocle, in una certa
misura, ha inventato questo prototipo di eroe: tutti gli eroi e le eroine delle sue
tragedie, sono investiti del privilegio, se non  di dirigere, almeno di condurre l'azione
drammatica. Nasce così la figura dell'eroe tragico, né completamente uomo (possiede
qualità più che umane), né completamente dio (resta sottoposto alla volontà divina).
Ma, , l'eroe tragico, posto tra l’uomo ed il dio, rifiuta il destino, si rivolta o, se si
sottomette, preferisce morire.
Sofocle, sebbene buon cittadino, ama i ribelli, gli indomabili. Il tema della rivolta,
della rivolta giusta che un uomo risoluto sostiene contro la ragione di Stato, è al
centro della sua opera: non esiste una legge più giusta di quella della coscienza. Tutti
gli eroi di Sofocle rispondono allo stesso modello di determinazione tenace: Elettra, 
Aiace,  Edipo soprattutto, che si ostina a cercare con accanimento i responsabili della
maledizione di Tebe, per poi  scoprire che è lui il colpevole, ed assumere su di se la 
punizione. Tutti quest'eroi, fuori del comune, segnati dal destino, possiedono lo
stesso coraggio e tentano disperatamente di lottare, prima di essere distrutti dalla
volontà degli dei. Questi, d’altra parte, sono sempre onnipotenti sul destino degli
umani, ma la giustizia e la responsabilità degli uomini sono ugualmente affermate:
così la tragedia mette ai primi posti l’uomo, che può, in certa misura, prendere in
mano il suo destino. Le opere di Sofocle sono fortemente unitarie, accentrate intorno
a personaggi solidi, sui quali si fonda l’altissima poesia dei singoli drammi.
Gli eroi delle sue opere sono magnanimi e sventurati, nobili e incolpevoli; è un poeta
che possiede una sincera pietà, la sofferenza dell'uomo gli sembra troppo grande e
immeritata, il mistero della giustizia gli rimane quasi sempre insoluto.
La tragedia di Sofocle fu una creazione artistica di grande equilibrio in cui le qualità
strutturali e formali si uniscono in un organismo di estrema perfezione. Le fonti
antiche informano sulle innovazioni tecniche che Sofocle apportò alla struttura della
tragedia. Esse gli attribuiscono l’invenzione della scenografia, più precisamente
l’introduzione di fondali mobili oppure di scenari dipinti secondo le regole della
prospettiva, infatti elementi di una scenografia grandiosa anche se rudimentale erano
indubbiamente già presenti in Eschilo. Maggiore importanza ha l’aumento dei coreuti
da dodici a quindici, e soprattutto fondamentale fu l’introduzione di un terzo attore
avvenuta all’epoca dei suoi esordi, grazie alla quale risultava superata la rigida
contrapposizione eschilea di due posizioni antitetiche, in questo modo i rapporti
interpersonali divennero più articolati, permettendo di ampliare dialoghi e battute, di
conseguenza il ritmo teatrale divenne più vario e dinamico. Grazie a queste riforme
Sofocle riuscì ad accentuare il rilievo attribuito all’individuo, innalzandolo al ruolo
dell’eroe, visto come portatore di un destino proprio e irrepetibile, la sua dannazione
e la sua gloria. Ma la fondamentale innovazione introdotta da Sofocle nella tragedia
fu lo scioglimento della sua struttura trilogica in tre drammi indipendenti, mentre
Eschilo si era servito di una continuità tematica all’interno della quale le singole
tragedie rappresentavano le varie scansioni di un’unica storia. Quest’ultimo era stato
il creatore della tragedia concepita come l’espressione delle relazioni dell’uomo con
gli dei, trattando dell’esistenza travagliata dell’uomo inserita all’interno di una stirpe,
di cui l’individuo, per quanto fossero grandiose le sue vicende, non costituiva che un
anello. Restava a Sofocle mitigare, ridurre, perfezionare questo genere nuovo.
Eschilo era stato il poeta del destino umano, sottoposto all’onnipotenza divina, che
portava fino alla punizione dell’orgoglio degli uomini, come nei casi ad esempio di
Agamennone e Prometeo. Aveva ignorato i dialoghi, e i suoi personaggi erano
soltanto i semplici portavoce dei grandi problemi morali e religiosi che erano
incaricati di diffondere. Nella tragedia di Sofocle, al contrario, il protagonista
assoluto diventa l’uomo singolo, e questo è evidenziato anche da un’altra
innovazione apportata dal tragediografo: mentre tradizionalmente alle tragedie veniva
assegnato il titolo in base alla composizione del coro, con Sofocle la struttura dei
drammi precedenti lascia il posto a quella dei drammi autonomi ed eponimi (che
portano il nome dell'eroe protagonista).Con lui, perciò, si accentua l’importanza del
personaggio protagonista umano, che non appare mai schiacciato dal Fato, ma che
proprio dalla sua vana lotta con questo, riceve una piena dimensione umana, portatore
di un destino che è la sua dannazione e, contemporaneamente, la sua gloria. I suoi
eroi quindi, erano immersi in un mondo di contraddizioni incurabili, di conflitti con
forze inevitabilmente destinate a travolgerli. Il teatro, con Sofocle, si propone di
rappresentare sia una realtà alternativa rispetto all’esperienza quotidiana, sia
l’immagine della condizione umana. Il suo dramma si sviluppa attraverso il calcolato
e incalzante svolgersi della sceneggiatura: la successione degli avvenimenti dimostra
una consapevole ricerca degli effetti della sospensione e del colpo di scena. Questi
due elementi di grande incisività, consentono alla vicenda teatrale di divenire
simbolo dello svolgersi dell’esistenza. All’interno del dramma, i personaggi, non
possiedono un’evoluzione psicologica né un contrasto interiore, la vicenda è costruita
interamente sull’azione; al centro degli eventi sta il destino dell’eroe, un problema
esclusivamente individuale, che egli deve affrontare da sé, e con il quale deve
misurarsi. Il teatro di Sofocle è popolato da protagonisti imponenti e inflessibili, che
rimangono fedeli alla propria natura e ai propri progetti fino all’esito ultimo, che
spesso vedrà la loro rovina, ma che non
esclude la possibilità di una salvazione.
Sofocle evita di fare riferimenti al
presente all’interno delle sue tragedie,
nonostante discuta avvenimenti e
problematiche attuali nella dimensione del mito;
egli si propone di interpretare il posto
dell’uomo nel mondo e quello dell’individuo
nella collettività: rappresenta il destino
umano e l’atteggiamento che il protagonista
sostiene di fronte a fati che non dipendono da
lui. Non apre spazio alle contese e ai problemi
sociali del suo tempo, che ispirano tante parte della tematica euripidea: la condizione
delle donne, la dignità umana degli schiavi, l’universalità dell’uomo. Eppure nella
sua opera si rispecchia la società dell’Atene contemporanea, nella fase più alta del
suo splendore anche se già incrinata dai primi sintomi di quella rovina che
inevitabilmente l’attende. La battaglia già perduta all’inizio che l’eroe sofocleo
combatte con il suo destino, è forse la stessa che gli ateniesi sentivano di combattere
contro la storia; ma Sofocle non dichiara le cause della sconfitta se non nel fatto
stesso di essere uomini. Nelle sue tragedie è evidente un netto contrasto fra l’agire del
singolo e una struttura politica e sociale che conferiva il massimo potere alla
collettività. L’eroe e il coro, ossia l’individuo e la comunità non riescono a
collaborare e soffrire insieme, come accadeva in Eschilo: l’eroe è solo nell’agire e nel
patire, l’individuo prevale sulla collettività, e di essa provoca a crisi. Allo stesso
tempo è anche escluso da essa, che in questo caso non coincide necessariamente con
il coro, e si oppone alla sua forma istituzionalizzata che è lo stato. La comunità non
riesce più a contenere l’individuo, né questo si considera parte di essa: Aiace,
Antigone, Filottete e lo stesso Edipo sono esempi di un’emarginazione, volontaria
oppure subita. Prima che la propria longevità eccezionale lo faccia assistere al suo
declino, Sofocle testimonia, col suo teatro, le certezze che animano il cittadino
ateniese, fiducioso di poter controllare ogni evento con la propria volontà.

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