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De la causa, principio et uno: la Vita come materia infinita!

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I cinque dialoghi del De la causa, principio et uno intendono stabilire i principi della realtà naturale.
Bruno lascia da parte il problema di Dio, del quale, come causa e principio della natura, non
possiamo conoscere nulla attraverso il «lume naturale», perché esso «ascende sopra la natura» e
si può pertanto conoscere Dio solo per «lume soprannaturale», ossia solo per fede.!
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Forma universale del mondo è l'anima del mondo, la cui prima e principale facoltà è l'intelletto
universale il quale «empie il tutto, illumina l'universo e indirizza la natura a produrre le sue specie»:
i pitagorici lo chiamano motore ed agitatore dell'universo, i platonici il fabbro del mondo, proprio
perché forma la materia dal suo interno, e dunque è sua causa intrinseca, ma è anche causa
estrinseca, dal momento che non si esaurisce nelle cose. L'intelletto è il «principio formale
costitutivo de l'universo e di ciò che in quello si contiene» e la forma non è altro che il principio
vitale, l'anima delle cose le quali, proprio perché tutte dotate di anima, non hanno imperfezione.!
La costellazione di Orione!
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La materia non è in sé stessa indifferenziata, un nulla, come hanno sostenuto tutti i filosofi, una
bruta potenza, senza atto e senza perfezione, come direbbe Aristotele: questi considera l'atto la
manifestazione esplicita della forma, non la forma implicita, errando, per Bruno, perché «l'essere
espresso, sensibile ed esplicato, non è la principal raggion de l'attualità, ma è la cosa consequente
et effetto di quella»: così come la ragione della sostanza della materia legno non sta nell'essere,
per esempio, un letto, ma nell'essere una sostanza e nell'avere una consistenza tale da poter
essere qualunque cosa formata di legno. Anche se pensata senza una forma, non per questo la
materia «come il ghiaccio è senza calore» ma semmai «come la pregnante è senza la sua prole, la
quale la manda e la riscuote da sé [...] non viene a ricever le dimensioni come di fuora, ma a
cacciarle come dal seno».!
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La materia è allora il secondo principio della natura, dalla quale ogni cosa è formata: «come
nell'arte, variandosi in infinito le forme, è sempre una materia medesma che persevera sotto
quella, come la forma dell'albore è una forma di tronco, poi di trave, poi di tavolo, poi di scabello, e
così via discorrendo, tuttavolta l'esser legno sempre persevera; non altrimenti nella natura,
variandosi in infinito e e succedendo l'una all'altra le forme, è sempre una medesma la materia».
Essa è «potenza d'esser fatto, prodotto e creato», aspetto equivalente al principio formale che è
potenza attiva, «potenza di fare, di produrre, di creare» e non può esserci l'un principio senza
l'altro, sicché «il tutto secondo la sostanza è uno».!
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Discende da questa considerazione l'elemento fondamentale della filosofia bruniana: tutta la vita è
materia, materia infinita. Scrive infatti che, sia in atto che in potenza, sia che abbia un'estensione -
sia cioè sostanza corporea - sia che non abbia estensione - e sia allora sostanza incorporea - è
pur sempre materia, e «tutta la differenza depende dalla contrazione a l'essere corporea e non
essere corporea [...] quella materia per essere attualmente tutto quel che può essere, ha tutte le
misure, ha tutte le specie di figure e di dimensioni; e perché le ave tutte, non ne ha nessuna,
perché quello che è tante cose diverse bisogna che non sia alcuna di quelle particolari. Conviene,
a quello che è tutto, che escluda ogni essere particolare».!
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«È dunque l'universo uno, infinito, immobile; una è la possibilità assoluta, uno l'atto, una la forma o
anima, una la materia o corpo, una la cosa, uno lo ente, uno il massimo et ottimo; il quale non
deve poter essere compreso; e perciò infinibile e interminabile, e per tanto infinito e interminato e
per conseguenza immobile; questo non si muove localmente, perché non ha cosa fuor di sé ove si
trasporte, atteso che sia il tutto; non si genera perché non è altro essere che lui possa derivare o
aspettare, atteso che abbia tutto l'essere; non si corrompe perché non è altra cosa in cui si cange,
atteso che lui sia ogni cosa; non può sminuire o crescere, atteso che è infinito, a cui non si può
aggiungere, così è da cui non si può sottrarre, per ciò che lo infinito non ha parti proporzionabili».!
Il De l'infinito, universo e mondi!
« Or ecco, vi porgo la mia contemplazione circa l'infinito, universo e mondi innumerabili. »!
(Giordano Bruno, De l'Infinito Universo et Mondi[15])!
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Nel De l'infinito, universo e mondi Bruno riprende temi già affrontati nei dialoghi precedenti - la
necessità di un accordo tra filosofi e teologi, perché «la fede si richiede per l'istituzione di rozzi
popoli che denno esser governati», l'infinità dell'universo e l'esistenza di mondi infiniti, la
mancanza di un centro in un universo infinito, che comporta un'ulteriore conseguenza, la
scomparsa dell'antico, ipotizzato ordine gerarchico, la «vanissima fantasia» che riteneva che al
centro vi fosse il «corpo più denso e crasso» e si ascendesse ai corpi più fini e divini. La
concezione aristotelica è difesa ancora da quei dottori che hanno fede nella «fama de gli autori che
gli son stati messi nelle mani», ma i filosofi moderni, che non hanno interesse a intendere quello
che dicono gli altri, ma pensano con la loro testa, si sbarazzano di queste anticaglie e si avviano
«con più sicuri passi alla cognizione della natura».


Sintesi dell'opera!
Riprendendo e sviluppando la tematica del dialogo La cena de le ceneri, nell'opera De la causa,
principio et uno (anch'essa del 1584), Bruno perviene a formulare la sua concezione metafisica
che identifica Dio e natura (panteismo) in un'unità vivente (l'universo) da cui si origina una pluralità
illimitata di forme di vita e di esseri. In questa visione naturalistica, la materia cessa di essere
l'elemento passivo (come in Aristotele) per diventare infinito principio generatore di ogni forma,
dimensione e figura della realtà. Anzi, come principio attivo essa viene a coincidere con la forma,
mentre, come causa prima, è sia spirito che corpo, a seconda che si proceda in senso ascendente
o discendente. L'opera, fondamentale per la comprensione della filosofia di Bruno, si articola in
cinque dialoghi. In apertura vi è la difesa del copernicanesimo (e della “nolana filosofia”, ossia la
propria concezione cosmologica) dall'accusa di essere una teoria anticristiana con
l'argomentazione che si deve distinguere tra le verità necessarie al governo delle masse e le
conoscenze proprie della filosofia fondate sulla ragione. Segue, nel secondo dialogo, la
discussione dei termini causa, ossia «quello che intrinsecamente concorre alla costituzione della
cosa e rimane nell'effetto» e principio, ciò che «concorre alla produzione delle cose esteriormente
e ha l'essere fuori dalla composizione». Bruno giunge così a concepire un'unica causa
dell'universo, che genera e sente e che tutto anima e pervade. Il terzo e il quarto dialogo sono
dedicati alla materia, «generatrice e madre» di tutto, potenza infinita, che pervade l'intero universo
in ogni sua parte e che si sviluppa in mondi innumerevoli simili a «grandi animali»: organismi
viventi eternamente rinnovantesi in una infinita mutazione. Essendo tutto quello che può essere, la
materia coincide con la forma. Bruno stabilisce così la coincidentia oppositorum, come l'identità
non solo di materia e forma, ma anche di potenza e atto, anima e corpo, causa materiale ed
efficiente. La natura è un Uno-tutto perfetto, che fonda e giustifica l'esistenza di ogni essere
«ragione comune al sensibile e all'intelligibile», unica sostanza dell'universo, definibile
«onniforme», perché capace di generare ogni forma determinata. L'opera si conclude con la
celebrazione dell'Uno-tutto che «è talmente forma, che non è forma; è talmente materia che non è
materia; è talmente anima che non è anima; perché è il tutto, indifferentemente, e però è uno:
l'universo è uno [tanto che] rimanendo la sustanza sempre medesima [...] ogni altra cosa è vanità,
è come nulla, anzi è nulla tutto lo che è fuori da questo Uno».

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