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MYSTERIUM SALUTIS

Nuovo corso di dogmatica


come teologia della storia della salvezza

a cura di
J. FEINF.R e M. WHRER

edizione italiana a cura di


FElt.'liANDO VJTTOJtINO JOANNES

QUERINIANA - BRESCIA
LA STORIA DELLA SALVEZZA
PRIMA Dl CRISTO

rnn la cnllahnrazrrine dr

HANS URS VON BAl.THASAR


JAKOB DAVTD. ALFONS DF.ISSI.ER
HF.RflFRT DOMS . JOHANNES FEINER
FRANCIS PF.TER FTORF.NZA
Hl'TNRICH GROSS. ADAl.BF.RT HAMMAN
GF..ORG HOI.7.HERR . WALTER KF.RN
MAGNllS l.OHRER . JOHANN BAPTIST METZ
GF.ORG MUSCHAI.F.K. FRAN7. Ml!SSNEll.
IOSF.F PFAMMATTF.R KARI. RAHNER
RlTPF.RT SARACH
JOSEF SCHARBF.RT. l.F.0 SCHEFFCZYK
FRANZ JOSF.'F SCHIERSE
PIFT SCHOONF.NJIF.RG . RAPHAF.l. SCHULTE
CHRISTIAN SCHUTZ
MlCHAFI. SF.FMANN . WOLFGANG SEIBEL
BERNHARil STOF.C:Kl.F. . 'FF.RDINAND ULRJCH
IlAM .. SllS ZAHRINGF.R

f1t1r/e II

terzo edizione

QUERINIANA - BRESCIA
Titolo originale dell'opera:
MYSTERIUM SALUTIS
Grundriss heilageschichtlicher Dogmatik
Benziger Verlag - Einsiedeln t967

© t967 by Benziger Verlag • Einsicdeln


© 1970 by Editrice Queriniana - Brescia
SOMMARIO
Collaboratori
9 Fondatione generale della protologia e dell'antropologia teologica
Considerazioni fondamentali per l'antropologia e la protologia nell'ambito della
teologia (Karl Rahner) - Esegesi teologica di Gen. 1-3 (Heinrich Gross).

57 La creazione quale origine permanente della salvezza


L'asserzione biblica fondamentale: la creazione quale presupposto dell'alleanza
nell'A. T. (Walter Kern); creazione in Cristo (Franz Mussner) - Interpreta-
zione teologica della fede ndla creazione (Walter Kern) - Creazione e alleanu
come problema di nan1ra e grazia (Georg Muschalek).

2n L'uomo in quanto creatura


L'origine dell'uomo (Johannes Feiner) - L'uomo come unità di corpo e anima
(Francis Peter Fiorenza-Johann Baptist Metz) - L'uomo come persona (Chri-
stian Schiitz-Ruperc Sarach) - L'uomo e la parola (Ferdinand Ulrich) - Ses-
sualità e matrimonio (Herbert Doms) - L'uomo nella comunità (Georg
Holzherr) - La forza creatrice dell'uomo. Teologia dd la,•oro e della tecnica
(Jacob David).

537 L'uomo come immagine soprannaturale di Dio e lo stato originale


dell'uomo (Wo\fgang Seihell
La somiglian7.a divina - Lo stato originale.

'j89 L'uomo nel peccato (Piet Schoonenberg)


L'essenza del peccato --: Le conseguenze del peccato - Il peccato del mon-
do - Il peccato originale - Peccato originale e peccato del mondo.

721 Il mondo degli angeli e dei .demoni in quanto è partecipe e ambiente


della storia della salvezza dell'uomo
Questioni preliminari all'angelologia e alla demonologia - Gli angeli (Michael
Seem.mn) - I demoni IDamasus Ziihri~er).

817 Teologia della storia umana prima di Cristo


Necessità di redenzione dell'uomo e azione retroattiva della redenzione -
L'umanità 'extrabiblica' e le religioni del mondo (Bernhard Stoeckle) - Storia
e ordine della salvt"Zza nell'Antico Testamen1,, l_h>Scf Scharbert).
COLLABORATORI

HANS URS VON BALTHASAR


Nato nel 1905. dr. filos, dr. teol. honoris causa, scrittore e pubblicista.
,JAKOB DAVID S.J.
Nato nel 1904, dr. teol., direttore di 'Kommende', istituto sociale del-
l'arcivesc"vado di Paderborn in Dol'tmund.
ALFONS DEISSLER
Nato ne'l 1914, professore di esegesi deH'A.T. nelila Facoltà teologica
dell'Università di Friburgo.
HERBERT DoMS
Nato nel r8qo, dr. filos., dr. teol., professore emerito di teologia mo-
rale nella Faooltà di teologia cattolica dell'Università di Miinster.
jOHANNES FEINER
Nato nel 1909, dr. teol., dr. filos., docente d1 dogmatica nel Seminario
di St. Luzi, Chur, consultore del Segretariato per l'Unità dei cristiani.
FRANCJS PErER FIORENZA
Nato nel 1941, Ken1 Fellow of thc Society for Religion in Higher
Educati on
HEINRICH Gaoss
Nato nel 1916, dr. teol., licenziato in s. Scrittura, professore di esegesi
dell'A.T. nella Facoltà teologica di Treviri.
ADALBERT HAMMAN O.F.M.
Nato nel 1910, dr. teol., professore di patristica a1lo Studium N.D.
Vanves (Parigi) e all'Università Laval di Quéhec (Canada).
GEORG HOLZHERR O.S.B.
Nato nel 1927, dr. giur., doc. di teol. morale allo studentato teologico
di Einsiedeln.
WALTER KERN S.J.
Nato nel 1922, dr. filos., prof. di filosofia nel Berkmanskolleg di Pul-
lach; insegna alla Scuola Sup. di filosofia e teologia di Frisinga.
MAGNUS LoHRER o.s.B. (Einsiedeln)
Nato nel 1928, dr. teol., docente di dogmatica presso la Facoltà teo-
logica del Pontificio Ateneo di Sant'Anselmo in Roma.
]OHANN BAPTIST METZ
Nato nel 1928, dr. filos., dr. teol., professore ru teologia fondamentale
alla Facoltà di teologia cattolica dell'Università di Miinster.
GEORG MuscHALEK s J. i
Nato nd 1927, dr. teol., prof di dogmatica all'Univ. di Innsbr~ck.

\
8

FuNZ MussNER
Naro nC'f 1916, dr. 1eol., prof~so~e Ji esegesi Jel N.T. alla Scuola Su-
periore di filosofia e rcole>f!ia di Ra1isbona.
JosF.r- PFAMM.HER
No10 nel 19z6, dr. tcol., docente di esegesi del N.T. nd Seminario di<>-
cesano di S1. Lu1i, Chur.
KARL RAllNER S.J.
Na10 nd 1904, doc. di dogma1ica e sloria del dogma all'Universirà di
Miinsrcr.
SARACll RUPERT o.s.s. (Errai)
Na10 nd 1943.
Josv.r Sc:11ARDl!.RT
N:110 nel 1919, dr. 1eol., professore di A.T. e di lingue: biblico-oric:nrali
alla Scuola Superiore di filosofia e reologia di Frisinga.
l.Eo ScHEPPCZYK
Na10 nel 1920, dr. !col., profcs~ore di dogmatica nella Facoltà 1cologica
ddl'Universitì di Monaco.
JosEF FRANZ SCHIERSE
Nato nel 191,, dr. tcol.
Pll!T ScllOONENBERC S.J.
Nato nel 19u, dr. teol., professore di dogmatica alla Facolrì di reol<>-
gia dell'Università di Nimega.
RAPHAEL ScHULTE o.s.B. (Gerlcvc)
Nato nel 192,, dr. tcol., prof. di do1m11ic1 al Sanr'Anselmo in Rom11.
CRISTIAN Sotfrrz o.s.B. CSchweikJberg)
Nato nel 1938, dr. reol., professore di rcoloiti• fonJ1mcn11lc: al Sanr'An·
selmo in Rom1.
MrcHAEL SEEMAN o.s.B.
Nato nel 1934, dr. reol., doc. di OOfl. 1JJ1 Scuol1 Sup. di reologi1 di
Bc:won.
WoLFGANC SErBEL s.J.
Naro nel 1928, dr. reol., pubblicista e collab. di 'Stimmcn der Zcit'.
BEllNHAU> STOCKLE O.S.B.
Naro nel 1927, dr. rc:ol .. professore di filoso61 cristiani alla Facohà di
teologia dcH'Universitì di Sftisburgo.
FEllDINAND ULRJCH
Nato nel 1931, dr. 6Jos., prof. di .6Jos. 1111 Scuola Sup. di pedag. di
Rc:gensburg e: ndl'lst. di 6Jol. della Fac. rcol. ddl'Univ. di Salisburgo.
DAMASUS ÙHRINCER O.S.B.
Nato od 1899, dr. tc:ol., fino al 1965 profcuore di teologia fondamen-
tale nella Facohì di teologia dcll'Univ. di Salisburgo, ab.te: di Bcuron.

Traduzione: di: ANTONIO Dus1N1.


Revisione 1 cura di Lvtsrro B1ANan
CAPITOLO SESTO

fONDAZIONE GENERALE DELLA PROTOLOGIA


E DELL'ANTROPOLOGIA TEOLOGICA

Dopo la presentazione della dottrina su Dio inteso come fondamento


originario ddla storia della salvezza, in questo capitolo ci troviamo
innanzi a un duplice compito: prima di trattatt le questioni della
protologia e dell'antropologia teologica in preparazione alla cristo-
logia, dobbiamo determinare più accuratamente, in una riflessione
fondamentale, il posto ddl'antropologia nell'ambito della teologia e
il rappono tra antropologia teologica e protologia.
<:ornc emergerà dall'esposizione che ne faremo, l'antropologia non
è semplicemente un capitolo qualsiasi della teologia accanto a tanti
altri. Anche per quanto riparda le affermazioni protologiche (malo-
gamente a qudle esca1ologichc), cuc hanno una loro propria proble-
matica gnoseologica cd ermeneutica. Di conseguenza dobbiamo anzi·
tutto de1enninarc in una riflessione fondamentale l'ambito entro il
quale devono poi essere intese le ungole affermazioni concrete.
La prima sezione di questo capitolo, mpeno ai problemi tnttati
nei capitoli seguenti di questo volume, vuole essere fondamentale,
come lo è analogamente per tutta l'opera il primo volume, nel quale
è stata svolta la teologia fondamentale della storia della salvezza.
La seconda sezione presenta a sua volta una lintcsi biblico-teo~
gica dclJc più importanti aflennazioni teologiche conlcnute in Gtn.
r-3. Anche qui si tratta di una specie di fondamento, poiché di fatto
nei capitoli seguenti di questo volume dovremo continuamente ri-
tornare a riferirci a Gtn. r-3. Poi~ questi capitoli hanno una loro
spcci6ca problcma1ica cscgctica, e poiché le singole affermazioni che
verranno fatte nei capitoli successivi riferendosi a Gtn. 1-3 possono
essere intese solo in un contesto gcncralc di teologia biblica che
non potri ovviamente essere ripetuto sempre nei suoi particolari,
10 INTIODUZIONF

è opponuno presentare innanz.ituuc;i le diverse asserzioni reolowche


di G~n. 1-3 nel loro insieme. Ciò faciliterà le esposizioni biblico-
rcologiche dci capicoli seguenti, nei. quali, ovviamente. a seconda
della tematica, dovranno essere presi in considerazione anche gli
altri resti dell'Antico e del Nuovo Testamenro.
SEZIONE PRIMA

CONSIDERAZIONI FONDAMENTALI PER L'ANTROPOLOGIA


E LA PROTOLOGIA
NELL'AMBITO DELLA TEOLOGIA

E sempre stata un'istanza della teologia quella di procurare all'uomo


un accesso alla realtà della fede partendo dalla conoscenza di se
stesso e del proprio essere, in relazione alla sua situazione storica;
si può anzi dire che tale esigenza è stata fin dall'inizio la forza mo-
trice della teologia.
Certamente, ammettendo questo, non si è mai inteso ricavare.
l·ome lo intesero i modernisti, la realtà della fede, cume una neces-
saria consçgµenza. daJ!a conoscenza di sé e dell'essere da pane
dell'uomo, e nemmeno di integrare razionalisticamente tale verirà
come un momento necessario e intrinseco dell'auto-conoscenza del-
l'uomo; il problema è in~ccc se~prc stato quello di rendere evi·
dente una reciproca intima corrispondenza tra la conoscenza che di
se _stesso ha l'uomo, la _possibilità di accogliere la SllLezza e la
· realtà della rivt"lazione a lui deginata.
Questo compito si pone in modo singolare anche alla teologia
odiNna. In questo senso indagheremo ora sull'antropologia intesa
come 'luogo teolo~ico', sulla necessità trascendentale della dimen·
siQ[l_t' nnrropologica Jella reologia ;;une conseguenze che ne derive·
ranno per il rapporto tra antropologia e protologia.

1. Antropologia cnme 'luogo teologico'

Se l'uomo a motivo della sua trascendenza è un essere da sempre


eccenrrico rispe110 a Dio e se egli rappresenta cosl la possibilità d'un
~~1:r.c:_ divem1 J11 Dio (intendo qu( l'aspert~ crisiOiogico é-~lo­
gkC1 formalmente come .lu<." mar1ifes1azioni della medesima realtà),
12 ANJ'ROPOl.OCJA E PROTOUICIA

allora l'antropologia diventa il 'luaso' che include tutta la teologia. 1


Una simile tesi non è contraddittoria rispetto alla teocentricità della
teologia, per la quale Dio è l'oggetto formale di tutta la teologia
rivelata; tutta la teologia infatti, compresa la stessa dottrina su
Dio, non può affermare nulla, senza.--!_S~erir~ ~I __terol?Q_ stesso qual-
c95a anche sull'uomo e viceversa.
Se però 1·~~ è visto ooms
preaIJ!bolo di ogni ~ltà, perché, in
quanto soggetto conoscente, non è semplicemente 'cosa' tra le cose,
e quindi è possibile oggetto di indagine, ma è al tempo stes~ pre-
sente in ogni ~~ermazione del!a _!ealtà,2 allora per qualsivoglia teo-
logia a posteriori, è necessario stabilire nella natura dell'uomo desti-
nata ad un fine soprannaturale e della sua storia un ambito trascen-
dentale, indagando su.Ue co~ioni necessarie alla possibilità della
sua conoscenza e del suo operare. . ---- ·--~
Se dunque vogliamo porre la teologia dogmatica come teologia
strutturata in senso antropologico-trascendentale, ciò significa che, af-
frontando qualsiasi argomento teolcsico, affrontia~o_insieme le con-
. diz_igpi n(!CeS~rie __~)f a sua CO?O~~e?za nel_ sogg=tto __!~0.~lOOe mo-
striamo che esistono tali condizioni aprioristiche per la conoscenza
di questo oggetto; tali condizjoni iJl}plican.q_~d afferman~ _g_i~~per
· s~ qualcosa circa l'_()B8Etto, il modo, i limiti e H metodo della sua
conoscenza.
Però il modo trascendentale di porre la questione in termini ge-
nerali non suppone già, evidente.mente, che la sostanza dell'oggetto
affermato si possa ricavare adegu!!_tamente daMe condizioni trascen-
dentali s~ggetl:iVe delli5uii-cono~~enza; e cosi pure non nega che la
sostanza dell'ogg_~tJ<;>.J._!~~_!sita a poJterio"ri, sia importante per il
soggetto,
""'-=·•""
~
per la sua esistenza e per la verità della sua conoscenza;

1 Cf. al riguardo: B. WELTE, Heilsverstiindnis, Freiburll i. Br. 1966; K. llAHNER,


Uditori della parola (rielaborazione di J.B. METZ), Torino 1967; lo., 'Anthropo-
logie, theologische' in LTK I (1957) 618-627 (biblio11r.). Dallo svolgimento del
pensiero risulterà chiaro che qui non si tratta di una sostituzione della tt·ologia
~r!!ntropologia (come anti:toolO(liii) 'iìlri' ·maniera 'CII L. hvERBACJf (cf.
specialmente 'Das Wesen des Christentums', ( 1841) in Samtliche W erlte 6, Srutt-
gart 21960, I parte, 'Das wahre d.i. anrhropologische Wesen der Religion'; ·e
'VorlCSWJICD iibcr das Wesen der Religion, i841!/49, ibitlem, t. 8, pp. 21·30.
J J.B. METZ, Cbristliche Anthropozenlrilt, Milnchen 1962, pp. 52 ss. (trad. it.,
A111ropor~11tris"'o cristù1110. Boria Torino). ·
STllU'n'UllAZIONE ANTllOPOLOGICO-ESISTENZIALE DELLA TEOLOGIA 13

neppure afferma che essa indichi solamente il materiale, per sé indif-


ferente, grazie al quale il soggetto esperimenta la sua propria natura
aprioristica e necessaria. Ciò è fondamentale e vale anzi in modo
decisivo anche per la problematica e per il metodo teologico tra-
scendentali.
L'interpretazione di tutta la teologia dogmatica come teologia
strutturata in chiave antropologico-trascendentale implica tuttavia
l'esigenza che ogni tematica dogmatica debba venire considerata
anche secondo il_gi_Q a_sz~to trascendentale. Implica inoltre che la
t~fOgia-n~n sfugga a questa domanda: che cosa le 'strutture' dcl
soggetto teologico, asserite a priori e implicite nella corrispondente
enunciazione teologica, contengono_~ di sostanza concreta della
realtà della . storia della salvezza e della rivelazione esperimentata
a po;teri;;,:;, ~ . P~Ì>ct~cndentale di questa affermazione non
deve essere trascurato ma preso sul serio?
Qui il problema già accennato del rapJ?-<:lUQ._t_~ _!~logia_trasccn-·
dentale aprioristica e teologia categoriale (storica) a posteriori rag-
giunge il ~o-inasprimento radicale; e ciò a~icnc non appena sf con-
sideri che nella teologia l'ultima co~~~e ~-P!iori della cono-
scenza teologica nel soggetto, cioè la grazia (che è lo stesso Dio
liberamente comunicantesi), costituisce il contenuto reale e il fon-
damento oggettivo della realtà conosciu-;:~~:p_~it~;;~;i- ~ -ddi~-;tessa
storia; ""èos1cchl nella-tOOl<>gi-; Ì'a. P,.;~ri-d~i soggetto e I'a posteriori
dell'oggetto storico stanno tra loro in un rapporto unico, che non
si ritrova altrove.3

2. Necessità di una struttura:ione


antropologico-esistenziale della teologia

Bisogna chiedersi sistematicamente perché sia necessaria una simile


strumi~~!one ~r~~!~~_!l_tale, e quindi an~QQQlogka, della teologia.
Vi sono motivi derivanti dalla natura dell'argomento, cioè dalla teo-
logia e dal suo oggetto, e motivi di carattere storico e apologetico,
propri della teologia fondamentale.

3 A. DARLAP, Mysterium StZlutis I/I, 2 x969, pp. I.U·U6.


AHnOPOLOGU E HO?OLOGlA

a. Motivazione derivante dalla natura


e dall'oggetto della teologia

Anzitutto, partendo dalla natura di ogni conoscenza (quindi anche


di quella teologica), la questione dell'oggetto della conoscenza è
anche quella della natura del soggetto coooscenie. Questo insoppri-
mibile intreccio dell'aspetto 'oggettivo' e 'soggettivo' di una cono-
scenza non è necessario che venga trattato esplicitamente in ogni
scienza. Ma quando una scienza qualsiasi può a<tuarsi solamente alla
maniera filosofica, (e la teologia per la sua natura non può rinun-
ciarvi), ogni domanda su qualsivoglia oggetto implica formalmente
la domanda sul soggetto conoscente. Da un lato infatti un problema
è formulato filosoficamente solo quando la dt>tnanda sul suo oggetto
determinato si pone formalmente come domanda sull'oggetto in
quanto tale nella totalità della realtà e della ves:ità, perché solamente
cosl s'indaga circa i motivi ultimi, e quindi filosoficamente.
Ma se la questione si pone in questi termini, allora il soggetto
non è a sua volta oggetto esso stesso di tale indagine solo in quanto
costituisce una parte concreta di questa totalità, ma se ne deve
indagare espressamente a ·parte; infatti solamente nel soggetto come
tale, partendo dalla sua propria peculiarità soggettiva, può essere
data la totalità come punto di riferimento della trascendenza.
Quindi l'indagine su un determinato oggetto, intesa filosofica-
mente, è anche necessariamente l'indagine circa il soggetto cono-
scerite; questo infatti deve portare con sé a priori l'ambito della pos-
sibilità di ta:1e conoscenza, in cui sono già poste a priori le strutture
- pure 'trascendentali' - dell'oggetto.
D'altra parte, una questione teologica può essere posta di fatto
solo quando essa è intesa contemporaneamente come questione filo-
sofica, nel senso appena indicato. Essa infatti è una questione teolo-
gica solo quando considera il singolo oggetto nella sua derivq,zione
da Dio e nel suo ordinamento a lui; Dio però non è un oggetto
accanto ad altri nell'ambito aprioristico dell'esperienza umana, bensl
è il fondamento originario e il futuro assoluto di ogni realtà; come
tale però egli può venir inteso solo come il punto di riferimento
·assoluto della trascendentalità dell'uomo. Di conseguenza ogni teo-
BU'ITURAZIONE AHnOPOLOGl~ESISTEKZL\LE Dlii.LA TEOLOGIA

logia è necessariamente antropologia trascendentale, ogni on/o-logia


è onto-logia.
Se non si vuol cadere in un 6deismo positivista, quanto è stato
detto vale anche per una teologia della rivelazione: essa stessa ha
pure come momento interno o condizione della sua possibilità l'am-
bito trascendentale illimitato dello spirito umano, partendo dal quale
solamente può essere compreso nella sua totalità un discorso su Dio.
Una teologia 'naturale filoso6ca' non è prima di tutto e dopo tutto
una ricerca che si attua accanto a una teologia della rivelazione, in
modo tale che ambedue possano svilupparsi in una semplice indi-
pendenza reciproca, bensl costituisce un momento interno alla stessa
teologia della rivelazione, la quale è insieme antropologia trascen-
dentale.4
La tesi di cui trattiamo si può però fondare anche in modo più
immediatamente teologico. Prima di tutto: la rivelazione è rivela-
zione della salvezza, e perciò la teologia è essenzialmente teologia
della s:Jvezza. Perciò nella teologia non viene rivelato e studiato,
qualcosa di casuale, ma ciò che mira alla salvezza dell'uomo. Questa
affermazione in verità non costituisce un principio in forza del quale
potrebbero essere esclusi a priori dall'ambito di una eventuale rive-
lazione determinati oggetti (come vorrebbe ad esempio un certo
'fondamentalismo'): infatti ciò che realmente è salvezza viene deter-
minato concretamente solo nell'evento della rivelazione.
E tuttavia questa affermazione deve essere presa seriamente. Alla
salvezza può appartenere solamente ciò la cui mancanza lede la
'natura' dell'utimo, producendo cosl la sua rovina; se così non fosse,
l'uomo potrebbe rinunciarvi, senza per questo perdersi. Ciò non si-
gnifica in alcun modo una riduzione razionalistica e irreale dell'uomo,
in quanto natura teologica, ad un essere astratto e trascendentale
nella sua struttura formale come tale; il che corrisponderebbe ad
ammettere che la realtà storica indeducibile e il concreto sperimen-
tato a posteriori non ha alcuna importanza salvi6ca. Significa invece
riferire a questa natura trascendentale ogni realtà che ha un'impor-

' A. DAILAP, Mysterium SolMtis 1/1, 21969, pp. IJS ss.


16 ANTROPOLOGIA F. PRO'l'OLOGIA

tanza salvifica (il che non è identico al fare derivare ogni realtà
importante per la salvezza dalla natura trascendentale).
L'evento storico salvifico che l'uomo incontra nella sua ricerca di
salvezza e in cui questa si attua, non si può derivare dalla possibilità
aprioristica dell'uomo; esso invece è e rimane il faclum insopprimi-
bile e da accettare. Ma ciononostante l'identificazione con l'evento
salvifico stesso è compresa solamente quando essa implica che l'uomo
-
è l'essere che si---.deve attuare necessariamente nella- concretezza
~

~toria, per corrispondere alla sua natura. Quindi anche l'incontro


------
della

più imprevedibile e concreto, attuantesi storicamente, ~e~ ~re


fiinteso trascen~entalmente in questo senso, per poter essere ciò che
j ldev'essere.5 Se 1a--salvc!zza è un fatto storico, in tale sen~o è intesa
pure Ja J13W~~opria dell'uomo, in quanto è precisamente questa
natura che viene condotta alla salvezza oppure alla rovina. Se dun-
que rivelazione e teologia sono essenzialmente ordinate alla salvezza
in quanto tale, allora questa loro natura suscita necessariamente per
qualsivoglia argomcnto__.1!__ do~anda circ!t la natura dell'uomo: è
l'uomo infatti che per fa sua salvezza deve poter essere raggiunto
da tale realtà. In altri termini: l'importanza salvifica di un oggetto
della teologia (importanza salvifica che è un momento necessario di
ogni argomento teologico) può essere trattata solo indagando circa
la cap_~cit@__ ~~lJ'uQ~O di accogliere la salvezza tr~mit~ ~esta reaftà.
Non si può tuttavia indagare questa capacità di accogliere la salvezza
solo in abs~raclo; non la si deve supporre solo nella sua generalità
più formale, bensl deve essere considerata in rapporto all'oggetto
conc;cc.tQ_<;k!___q,uat~Lvolta in volta._ci si occupa nella te_plogia; e que-
sto oggetto diventa importante teologicamente solo p-ar:rendo da que-
sta..c.aP@citg di acçQ&liere la salvezza verso cui è ordinato, specificando
però anche in certo qual modo questa stessa capacità di salvezza.6
A queste riflessioni di carattere più formale se ne aggiunge però
ancora una p~~osto oggettiva e deci~va. Il decreto sull'ecumenismo
( n. Il) del Vaticano H mett~ -i~ evidenza che non tutte le propo-

I A. DARLAP, My1terium 5alutiJ 1/1, 21969, pp. 161 ss.


• Cf. per questo, B_ WELTE, Heilsverstiindnir, Freiburg i. Br. 1966, S ': 'Das
Scinsverstandnis ... als Hcilsverstiindnis: S 6: Das Prinzip und der besondcrc Modus
des Heilsverstiindnisscs.
STRUTTURAZIONE ANTIOPOLOGICO·ESIS1"EN7.IALE DELLA TEOLOGIA 17

sizioni di fede hanno nella 'gerarchia' delle verità la stessa prossi-


mità ai 'fondamenti' della fede cristiana. Esiste dunque, anche se-
condo il concilio, un fondamento, un nucleo intimo nella realtà della
(ede, al quale si riferisce ogni altra realtà-e asserzione. Que-sto cen·
tro,-i)er la natura stessa della cosa, non può essere che Dio solo, in
quanto egli stesso come tale meJianlt: un'autocomuniCazione assoluta
è la nostra salvezza; è perciò quanto noi in teologia siamo soliti
chiamare la 'grazia increata': nel suo possesso c'é la salvezza; senza
di essa non c'è salvezza.
Essa dunque deve per lo meno appartenere al nucleo centrale dcl·
la realtà della salvezza e della rivelazione. Consideriamo inoltre che
con la grazia, qualora essa e la Trinità vengano intese rettamente, ci
è data la realtà dcl Dio trino come tale; ammettiamo anche che
Cristo sia, non solo esternamente, la causa meritoria pennanente di
questa grazia, ma che la grazia in quanto grazia di Cristo (ciò che
e~a è sempre, anche ç_om!_grazia 'prc::la~ma') nella sua storia arrivi
in Cristo al suo apice storico-escatologico e alla sua manifestazione
irreversibile, cosicché quindi Trinità e incarnazione sono implicate
nel mistero della grazia: ammettendo tutto ciò si comprende che la
grazia non solo appartiene al nucleo della realtà della rivelazione e
della salvezza, ma che essa è questo nucleo. Ovviamente, questo si
potrebbe dire anche della .Trinità in quanto 'economica' e di Cristo
in quanto vertice dell'autocomunicazione di Dio al mondo, appunto
perché queste tre realtà s'implicano reciprocamente.7
Di questa grazia però non si può in alcun modo parlare in maniera
significativa ~ .~on__ !!_~H'ambito di una problematic~~tropologico-
{/ ~~~mi.entale. Essa infatti, fermo restando il fatto che è Dio stesso
nella sua autocomunicazione, non è una realtà oggettiva, bensl (ap-
punto in quanto grazia partecipata) è ~a_ determinazione del soggetto
spirituale come tale ad un incontro__i.fi:i~e~~"i_o con-
Dio. "i...'aspetto
più oggettivo della realtà della salvezza è insieme necessariamente
quello più soggettivo: l'incontro immediato del soggetto spirituale
con Dio, tramite Dio stesso. Se si vuole comprendere che cosa sia la
grazia, evitando di esprimerla in un verbalismo di sapore mitologico

J K. RAHNl(R, 'Obcr dcn Bcgrill dcs Gchcimnisses', in St:hrift~fl IV, pp. 82-99.

1. Mysramm .\'q/uus, 11/ i


18 AHTIOPOLOGIA E PROTOLOGIA

e che non esprime alcuna esperienza, lo s~uò fare solo partendo


~l soggetto, dalla s~ traKenck~talità e dali~s~rlenzaCITquesta,
come ~erCordinati alla realtà della verità ass~luta, come anlore li-
berato per il valore assoluto, come immediatezza verso il mistero
assoluto di Dio; in breve: la si deve cogliere come compimento
assoluto della trascendentalità dell'uomo stesso, compimento reso
possibile da Dio verso lui stesso, nella sua autocomunicazione.

b. Motivazione apologetica
secondo la teologia fondamentale,
e motivazione storico-culturale contingente

L'esigenza di una teologia come teologia antropologica trascendentale


deve infine essere considerata anche dal punto di visJ!I. st9~i~ della
teolQii~Jondamentale apologetica._ e deµ.!_ cultura.
La tend~~a alla· demitoiog~azio~~-. presente nella teologia evan-
gelica e altrove, nasce in ogni modo da una seria istanza e, pur
riconoscendo in essa una certa spregiudicatezza e aspetti inaccettabili,
mira ad una teologia che dovrà essere realizzata in futuro, se si vorrà
annunciare in modo degno di fede il vangdo antico e sempre valido.
Si potrebbe dire, e in parte con ragione, che la teologia della
demitologizzazione sia una ntlova ~i#.<?ne della ~~~()~a dd vecchio
libe.ralismo e razionalismo. Noi tuttavia abbiamo ripensato in modo
a m~-pc;r.& sulbdente le istanze autentiche e le preoccupazioni di
questa teologia razionalistico-liberale. L'uomo d'oggi sente numerose
asserzioni della teologia come asserzioni mitiche che e~li non pensa
più di poter credere seriamente. Ciò, in fondo, è falso. Questa im-
pressione ha tuttavia le sue cause vere, che non stanno solo, da
parte del soggetto, nell'insufficienza della conoscenza e nella man-
canza della volontà per l'obbedienza nella fede e, da parte dell'og-
getto, nel carattere misterioso della verità e della realtà della fede.
Tanto più se pensiamo alle formulazioni teologiche così come arri-
vano di fatto all'orecchio dell'uomo d'oggi e da lui quasi necessa-
riamente vengono comprese.
Se un uomo d'oggi, che non sia già formato cristianamente, sente
snUTTUl.AZIONI. AN'ROPOLOGJCO-ESISTENZJALE DELLA TEOLOGIA 19

affermare che Gesù è Dio fattosi uomo, dapprima rifiuterà questa


spiegazione come un'affermazione mitica da non porre a priori nem
meno in discussione, come noi facciamo quando sentiamo che il
Dalai Lama si ritiene la reincarnazione di Budda.
Se. egli sente affermare che di due uomini, morti alla stessa ma-
niera, uno entra subito in paradiso, per il fatto che riceve casual-
mente un'indulgenza papale per la buona morte, mentre l'altro deve
scontare molti anni di purgatorio per il fatto che a lui il papa, come
detentore delle chiavi del cido, non lo ha subito aperto, certa·
mente riterrà l'indulgenza, così presentata, come un'invenzione cleri-
cale, contro la quale la sua concezione di Dio protesterà radicalmente.
Sarà pure difficile riuscire a convincerlo che Dio ha voluto, dopo
la caduta, la salve-.lza di tutti gli uomini, ma che non la attua, col
concedere anche ai bambini morti senza battesimo di raggiungere
la visione di Dio, poiché non vuol venir meno alla sua propria legge
della necessità del battesimo.
Si potrebbe proseguire in questo modo ancora a lungo con altri
esempi. E non è verosimile che la teologia abbia già risolto queste
· numerose difficoltà in un modo logicamente soddisfacente e soprat-
tutto tale da assicurare davvero una soluzione ottimale per la peda-
gogia religiosa. Per le finalità apologetiche non serve molto richia-
marsi in modo positivistico ai 'misteri', che Dio un tempo ha rive-
lato. Se il fallo della rivelazione mediante la parola fosse psicologica-
mente univoco in modo assolutamente vil!colante, cioè _da_non con-
sentire neppu_~ un_minimo dubbio, allora il suo contenuto si potreb-
be imporre all'uomo in questa maniera positivistica come misteri
che non si possono discutere. Se però l'uomo, per colpa della teo-
logia, trova il contenuto della rivelazione. c;9.me rtQO degno di fede,
egli non del tutto illogicamente si riterrà giustificato nel dubblo più
forte circa il fatto stesso della rivelazione.
Tutte queste difficoltà dell'uomo moderno possono venir riportate
ad una comune struttura formale: le asserzioni teologiche non ven-
gono formulate in modo tale che l'uo!!!.<?. ~s~a. ricono~~C:- in che, 1
moao ciò che in esse \'i~ne affermalo. sti$_ in c.onnellio11~ con _hvi- r .
~ deQ~;-. raggiungibile nc:lla s~ ~erienza _ui:nana. Ora non ;i può I 1
certamente pretendere - secondo l'esigenza dell'eresia del moder·
20 ANTllOPOLOGJA E PIOfOLOGJA

nismo - che tutte le proposizioni teologiche debbano venir sempli-


cemente derivate in modo rigoroso da questa auto-esperienza del-
l'uomo come una logica oggettivazione e articolazione. Non pen-
siamo mai cose del genere, benché simile problema sia più difficile
di quanto non lo immaginino gli oppositori tradizionali del moder-
nismo, quando si açnsi çh~esiste anche un'esperienza della grazia,
la quale è la vera e propria realtà fo~damentale del cristianesimo
stesso.
Ma prescindendo da tale quescione, i rapporti sussistenti tra la
auto-esperienza umana e il contenuto delle proposizioni dogmatiche
si possono pensare ancora diversi da un~plice rapport~ _l~gico di
deduzione_ ~ure di spiegazione. Esistono rapporti di corrispon-
denza, e prima -di nitto ~n--;pporto che viene costituito per il fatto
che la 'natura', in quanto personale-spirituale e trascendentale, è
un !l!.ome.n_t_()_~ntemo cos!itutivo necessario, se non della grazia presa
in astratto, certamente però della sua realtà e del processo in cui
in ~tica la grazia può avere consistenza. Se queste connessioni ve-
nisser~ -~operte e considerate come richieste dal contenuto delle as-
serzioni dogmatiche stesse rettamente inteso, allora queste potreb-
bero apparire più degne di. fede nel senso pedagogico e didattico
religioso: l'esatta elaborazione di questi rapporti consentird>bc: di
penetrare più profondamente nel significato delle stesse asserzioni in
questione, e condurrebbe all'eliminazione di latenti equi\'od, di
schemi rappresentativi inadatti e di ingiustificate conseguenze di
simili enunciazioni.
La scoperta però di tali connessioni tra il contenuto delle prop<>
sizioni dogmatiche e l'auto-esperienza umana non è oggettivamente
nient'altro che la svolta necessaria verso un metodo antropologko-
tra~~~~ul~ nepa teologia. ---
Inolt~ è da notare che senza un'ontologia del soggetto trascen-
dentale, una teologia della grazia di cui ;c~-parlSto-poco prima (cf.
~
sopra), e quindi la teologia in genere, rimane impigliata in una pre-
sentazio!!e simbolica pre-teologica e non può offrire il fondamento
per un'esperienza trascendentale; un'esperienza che diventa oggi in-
dispensabile, se la teologia deve far fronte alla domanda dell'uomo
di oggi, cioè se tutto il discorso sulla divinizzazione ddl'uomo, sulla
STRt;'fTUl!AZ!OHE ANROPOLOCICO-ESISTEHZIALE DELLA TEOLOGIA 21

figliolanza divina, sull'abitazione di Dio nel giusto, ecc., non sia una
poesia astratta e una mitologia indimostrabile.
Sia messo in rilievo ancora una volta che questo rivolgimento tra-
scendentale della teologia della grazia ne implica uno simile per tut·
ta la teologia. Specioalmente oggi la stessa cristologia antica (pur in
tutta la sua permanente validità) deve urgentemente venir tradotta in
u!!?__ <:.!:is~ologia omo-logica, cioè in una cristologia tale che, già a
priori e nel primo fondamento della concettualizzazione, interpreti
la natura che viene assunta non come cosa materiale, ma come spiri-
t~lità ·u:ascendentale; in tal modo app~rirebbe che, dà! momentò
che -~a.tura eaesistenza significano presenza e trascendenza, l'unione
della sostanza umana con il Logos dev'essere fondamentalmente
esprimibile nella concettualizzazione di presenza e di trascendenza;
affinché quanto s'intende con unione ipostatica sia liberato in modo
sufficientemente chiaro da un equivoco mitologico.'
Tutta la teologia necessita di questo rivolgimento antropologico
trascendentale, perché tutta la teologia è determinata dalle dottrine,
a loro volta mutuamente condmonantesi, circa la Trinità, la grazia
e l'incarnazione, le quali però hanno oggi biso~o sostanzialme(!te di
uq_fondamento trascendentale.
Contro quanto è stato detto si potrebbe ora obiettare che una si-
mile problematica di natura apologetica trascendentale e un simile
metodo dovrebbero esserci stati da sempre, se fossero realmente
necessari per l'insieme della teologia. Siccome, però, questo di fatto
non è avvenuto, la pretesa di una simile problematica e di un tale
metodo non potrebbe sussistere legittimamente. A ciò si può ri-
spondere in primo luogo che esiste una distinzione molto profonda
tra~__predicazione e la teologia, benché l'annuncio contenga concre-
tamente sem~e già ~~so un momento di riflessione teolo-
gica, e in pratica la teologia non riesca mai a trasferire in maniera
adeguata il messaggio nella riflessione teologica. L'escatologia teolo-

• K. RAHNEI, 'Die Oiristologie inncrhalb einer ewlutiven Weltanlehauung', in


Schrifun V, pp. 183-221 e 'Dogmatische Erwigungen iiber das Wisaen und du
Selbstbewussuein Oiristi', ibu1-, pp. 222-z.u; ID., 'OWkedon • Ende oder Anfang?
10 Das Kontil van Cballmlon III, Wiirzburtl 1954, pp. 3-49; B. WELTB, 'Homoou-
sios hcmin', ibid., pp. 51-llo.
22 ANTROPOLOGIA I! PIOTOLOGIA

gica odierna, per es., è rimasta impigliat.a ancor quasi per intero in
uno stadio preteologico dell'annuncio; perfino l'ecclesiologia del Vati-
cano 11, presci.ndendo forse da certi tratti riguardanti gli elementi
costituzionali, in gran parte non è ancora giunta ad un certo ordi-
namento sistematico dcl linguaggio biblico metaforico. Non è quindi
del tutto impossibile a priori, che non si abbia ancora per molti aspet-
ti e riguardo a molti temi una teologia realmente scientifica, cioè
una teologia che si formi in una riflessione trascendentale. Perché
questo non dovrebbe essere possibile? Il fatto che nella teologia
in un certo qual modo si costruisca un sistema non è ancora· una
prova che si sia già raggiunto quel grado di concettualizzazione e di
riflessione che deve distinguere la teologia dall'annuncio, se essa
vuole essere qualcosa di di-verso dal semplice annuncio. Questa di-
stinzione di grado c'è però realmente solo dove e nella misura in cui
la teologia si pone trascendentalmente, cioè dove le...p_J:'c;!IDWC-..aprio-
r~_~ish~~r la conoscenza e per l'es~~ieI1Za _q~l singolo QBgetto di
. --·-· -- -··--··-·..---
f~e vengono esplicitamente pensate insieme, e dove di conse-
guenza vengono determinati insieme i concetti teologico-oggettivi.
Si aggiunga che non si vuol affatto sostenere che questo metodo
antropologico-trascendentale sia stato finora assente del tutto dalla
teologia. Non intendo ora dimostrare nei particolari e con esempi
come di fatto qt!esto metodo trascendentale sia sempre all'opera, ad
esempio nel tratuto sulla fede·,--nèila cris-tologia, nella teofOgia fon-
damentale, ecc., anche se con diversa intensità, in un modo metodo-
logicamente non del tutto riflesso, e senza che sia formulato esplici-
tamente come un principio formale.
C'.omunque sia stato considerato l'aspetto storico-concreto, è pe-
rò decisivo il fatto che la situazione attuale esige una simile pro-
blematica 8J1t~~logico-trascendentale ~~tale metodo. La grande,
filosofia occidentale rim~rrà sempre viva e la teologia avrà sempre
da imparare da essa. Ciò però non toglie nulla al fatto che una teo-
logia odierna non possa anzi non debba trascurare l'a~m­
p~si_~ne dell'uomo, quale si esprime nella filosofia determinata
dal mu~entOailtropologico-ttascendentale in corso dai tempi di
DESCARTES e di KANT e attraverso l'idealismo tedesco fino alla
odierna filosofia esistenzialista. Tutta questa filosofia, da una part~
STRUTTURAZIONE ANTROPOLOGICO-ESISTENZIALE DELLA UOLOGIA 23

è certamente non-cristiana, in quanto (prescindendo da alcune ecce-


zioni) si svolge come una filosofia trascendentale del soggetto auto-
!:l.<>mo, la cui soggettività si chiude all'espe~i~~zà--trascendentalese­
condo la quale il soggetto stesso si esperi1m;nta_ come colui che in
permanenza è un inviato, come colui che ha un'origine e una desti-
nazione. Ma la medesima filosofia è, d'altra parte, cristiana (più di
quanto non l'abbiano capito i suoi critici tradizionali nella filosofia
scolastica delle scuole dell'epoca moderna), poiché per una conce-
zione radicalmente cristiana, l'uomo non è in ultima analisi un ele-
mento nel cosmo delle cose, sottomesso al sistem~ dicoordinate di
co~~tti ontici, costruito partendo da un priincipio fissato, m1l è il
sogget~ .~alla cui libertà .. S.()gg~t.tlva 9.ip~n_Q~l destin~_di ogni real-
..!_à;_ in caso diverso la storia della salvezza e della dannazione non
potrebbe avere alcuna importanza cosmica.
Questa tensione interna non è però solo una caratteristica della
filosofia moderna, ma anche di ogni opera umana e della filosofia di
ogni tempo, e non ci deve impedire di vedere il lato cristiano in
questa situazione storico-culturale dell'epoca moderna e di accet-
tare quindi questa situazione nella sua natura fondamentale; come
momento cioè irrinunciabile anche in una filosofia cristiana, presup-
posta dalla teologia, e perciò anche in una tale teologia.
Si potrebbe ora obiettare che l'epoca, alla quale dovrebbe essere
ordinata storicamente questa antropologia trascendentale, sia già
superata filosoficamente. Ma anche in un simile superamento que-
sta stessa filosofia si traspone nella nuova filosofia di una nuova
epoca storica, e cosi conserva la sua caratteristica più propria.
Se la teologia non ha acquisito ancora per nulla questo mutamento
trascendentale, non per questo le si può t_ogliere i! compito impost~
1
1k_ con_ la filosofia moderna, per il fatto che -q~~ta - fii~~~fia, nella
sua configurazione storica, si è forse già trasformata in un'altra; esso
deve essere per lo meno ripreso, se la teologia deve poter essere
realmente in corrispondenza con lo spirito di un'epoca che viene
dopo il 'tempo moderno'. Questo vale tanto più perché la presu-
mibile filosofia di domani la quale corri~nderà_~_'.aut_~omprensio­
n~deQ'l1omo di domani, avrà appunto le sue radici, fra l'altro, anche
nell'idealismo tedesco. Se la tematica di questa nuova filosofia futura
sarà duta dalla società, dalla critica ideologica, dalla nuova fisionomia
della libertà nel nuovo rupporto sociale, dalla esperienza di Dio che
s: esplica nell'esperienza dell'uomo che pianifica se stesso, dalla spe-
ranza, e.:c., allora l'uomo, la sua natura che gli è imposta sotto la for-
ma di ciò che i: oggetto di un piano, e, cosl, di ciò di ..:ui non può di-
spom·, è ancora tema della filosofia. Quindi, anche partendo dalla fisio-
nomia storica della filosofia di domani, la svolta verso un'antropologia
trascendentale rimane un'esigenza per la teologia di oggi e di domani.

J. Conclusioni

Dobbiamo ora determinare più precisamente quali conseguenze


derivino dal tener conto dell'esigenza di una teologia elaborata in
modo trascendentale, considerando la problematica richiesta dal
contesto generale di questo capitolo.

a. Antropologia teologica e cristologia

Nei primi tempi il problema dcl rapporto fra questi due trattati
teologici fu appena preso in considerazione.' Si sapeva già che cosa
fosse l' 'uomo', quando ci s'accingeva a dimostrare che Cristo era
vero uomo. Poteva quindi al massimo ancora capiwe che nella
cristologia si considerasse che cosa tale affermazione non includeva
a proposito di Cristo. Partendo di là, si era certi che Cristo è uomo
in 'modo ideale' e quindi esempio per l'uomo e modello ideale per
un'antropologia teologica; un tale modello tuttavia non era visto
come necessario in senso stretto per l'antropologia già abbozzata,
in quanto non ci si rendeva conto che in tale antropologia erano
stati immessi clementi che si potevano co~~aj~ s~l_2~prendendo1f
<l!J,la cristologia. Una gran parte infatti delle affermazioni antropo-
logiche (risurrezione, grazia santificante) sono possibili solo dal
momento che esiste una cristologia. È per lo meno facile non
vederci solo una simultaneità estrinseca, bensl comprendere ogget-

' Cf. K. RAllNta, 'Anthropologic thcologischc', in LTK VII (1962) 287-294; B.


WF.t.TI:, Homoomins lmnin, cit., Mensch IV. Theologisch.
<:ON<"LUSIONI

tivamente simili nffcrmazioni del! 'antropologia, che dànno la loro


profondità e nùura a tutte le ahrc: affermazioni sull'uomo, come
effetto della reultà di Cristo (ciò che esprime più che un rapporto
puramente di 'causa meritoria'); e comprenderle anche dal punto di
vista soggettivo, come conseguenza della cristologia.
Quando il Logos si fa uomo, questa affermazione nc;m _è bene
ÌntOia _qµ~lQra si__ comprendi! l'incarnazione solo come 'assun~ione'
d'una realtà che non ha alcun rapporr~- intri~~ec~ ccn ~fui che
l'assume e che potrebbe altr~ttamo bene esser sostituita çon qual-
cosa di diverso. Che cosa sia l'incarnazione è inteso rettamente solo
se LQ!Il_anità .di Cri.sta.non .è_puramc;_ntdo_g_rumento, in fin dei conti
esterno, con cui si manifesta un Dio che rimane invisibile, bensl
ciò che Dio s&sso (pur rimanendo Dio) diventa, qu3!_ldo egli aliena
se stesso nella d!ni~.filQne dell'altro da se stesso, del non-diy!!to.
Anche se è evidente che Di~~~ -potuto cr-;;~re -il ~ondo
senza l'incarnazione, con tale principio è tuttavia compatibile il
fatto che la possibilità della creazione è fogd~~ nella_ p~~ _radic_!!e
~ibilità dell'auto-alj~~ione di Qio, poiché in Dio, che è sem·
plice, non si trovano infatti possibilità diverse messe semplicemenr~
una accanto all'altra.
L'uomo quindi nella definizione ..:>riginaria _è_ il_I_>C?~ibile _'essere
diyersQ' dell'auto-alienazione di Dio e il ~ibile _frate!l<!. di Cristo.
Appunto se la potentill oboedientialis per l'unione ipostatica e per
la grazia non sono potenze poste accanto ad altre, ma sono la natura
stessa, e se questa natura in quanto potentia oboedientialis si rico-
n~ dal suo _!ltto, allora il s~~ _p}~_2:ofondo mistero -~i manifesta
nel su~ atto più elevato; cioè nell'essere l'altro da Dio stesso.'°
Nell'uomo-Dio Gesù Cristo ~-di, il fondamento e la norma di
ciò che l'uomo è, sono presenti e sono manifesti nella s~ria stessa.
L~anità-rCalmcrite-esisten-te-d~ue è-creata di fatto ~~éDio
(in quanto amore) ha voluto l'espressione di se stesso mediante il
Logos, nel vuoto della condizione crcarurate e pcrroé questa- espres-
sione del Logos significa appunto la sua umanità; in tale modo la
possibilità della creazione dell'uomo è un momento dc11a possibilità

10 B. WELTE, Homoousios h~mi11, cit.


ANTJ.OPOLOGIA E PllOTOLOGlA

della libera auto-espressione del Logos; nella quale (di fatto) tutta
l'umanità è pensata e voluta come ambiente di questa espressione.
In Cristo dunque l'uomo è radicalmente convalidato e con ciò
assolutamente autorizzato ad ass~mere la sua__i:i_at~ra con tutto ciò
che essa racchiude, perché se essa è- assunta così incondizionata-
mente, così come esiste in realtà, allora Dio stesso viene accolto. In
Cristo dunque la natura dell'uomo è portata definitivamente alla sua
salvsz.z_a a~_soluta _e quivi solamente è ricondo1ta a se __s~essa ed è resa
manifesta per l'uomo; questo è certamente un mistero, a causa del
radicale riferimento al mistero assoluto di Dio. Ma poiché questo
mistero si rivela in Cristo come mistero di vicinanza assoluta e
d'amore, dunque anche quel mistero~~e_ si~rn~n?i è_ ~iy_!!ltato
a~~Jtabile nella sua infinità.
Partendo dunque da Dio e dall'uomo, la cristologia appare come
la più radicale e suprema rip~tizione _gella -~!l!!.<?i>o.l~ia teologica.
Per quanto dunque l'antropologia teologica debba avere davanti a
sé la cristologia come suo criterio, pur tuttavia non è opportuno
tracciare l'antropologia in una sola direzione, partendo dalla cri-
stologia.
A dir il vero noi non inco_ntr_iamo mai l'uom9 al di {u9ri di una
situazioJ!e d'alleanza con la parola di Dio, l'ultimo significato della
quale si pale5a -solàinente nell'uomO.:Dio, in cui l'interpellante e
l'interpellato, la parola proferita e l'ascoltare assoluto diventano una
sola e identica persona; noi c'incontriamo tuttavia con questo ver-
tice insuperabile della storia di quest'alleanza all'interno della tota-
lità della nostra storia, nella quale facciamo l'esperienza dell'uomo e
nella quale dell'uomo conosciamo già qualcosa (e precisamente
anche muovendo da Dio), quando incontriamo Cristo e perciò com-
prendiamo che egli è un uomo. Si giungerebbe perciò ad una rid.u-
zione dell'antropologia teologica se la si volesse trattare esdusiva-
m~J!te part~~-o _~~Il~ sua meta, cioè dalla cristolo.sia, poiché questa
ultima esperienza non annulla la prima.
Rimane pertanto un desiderio a proposito dei due trattati (i quali
per un certo aspetto pos~no e debbono essere visti come due facce
di un'unica realtà), il desiderio cioè che si mostri nella natura del-
l'uomo ornata della grazia e nella sua storia un ambito trascenden·
- -- -·- -- - -·-- - - ~- -
CONCLUSIONI 27

tale per il concetto dell'uomo-Dio, cioè che si comprenda l'essere


dell'uo~o ~n modo tale che a _pri()r( pe~ la sua ~at~r~ co~ta (cioè
elevata e finalizzata soprannaturalmente dalla grazia), sia ordinato
in senso storico-salvifico ad un 'redentore assoluto'.

b. Antropologia teologica e protologia

Se la cristologia, come abbiamo detto, è la ri~t.izione radicale e


suprema dell'antropologia, dopo l'incarnazione l'antropologia do- 1
vrebbe esserè sempre- letta come cristale>gia incomplet~ e la__ c:!"isto-J
logia com~...._I!l_eta e fondamento __ primo_9ell 'antropologi~-· _po!~hé in
Gesù si è manifestato storicamente ed è dato insuperabilmente che
cosa e chi sia l'uomo; ne risulta quindi evidente che una protologia
adeguata è possibile solo in una dimensione escatologica, e quindi
partendo da Cristo. 11 Infatti, siccome l'inizio è inizio aperto verso la
!>~a fine e l'inizio si attwl_ ~!smente nella C<?~clusione, protologia ed
escatologia stanno in rapporto intrinseco tra di loro. La presenza
pr0gressiva dell'eschaton, dato con Cristo anche se ancora in modo
velato nell'auto-compimento accettante da parte dell'uomo, è insieme
progressiva presenza dell'inizio.
In conseguenza di ciò l'inizio, come determinazione durevole del-
l'uomo, è raggiungibile solo in un'eziologia retrospettiva che parte
dalla- ris"Pettiva---sftuazi~nesalvmai ·Per-
quest;il progresso della
storia della salvezza è pure progresso della protologia, nell'espe-
rienza progressiva del suo punto di partenza. La concettualizzazione
dell'eziologia si lascia di conseguenza applicare anche alle afferma-
zioni della Scrittura circa la storia primitiva dell'umanità. 12
Nel significato più ampio l'eziologia è l'indicazione di un motivo,
di una causa di un'altra realtà. In un senso più ristretto essa è la
indic~i~~e di ~~- a-.;,eni;;;~ antecedente come causa di uno stato
o di 1.1.n evento sperimentato nell'ambito umano. Questo riferimento
ad un avvenim~nto- ~~tcced~~tcpuò ess~ determinato come pre-

Il K. "Protologit'', in LTK VIII (1963) 83,-83ì-


RAllNEll.
12 K. RAHNER. 'Atiologie', in I.rK I ( 19nl 1011-1012; H. lù!NcKENs, Ur-
1.uchichlt unJ HtilsRtschich1e, M1inz '1964. Cf. anche A. DARLAP, 'Anfang', in
LTK l ( t9'7) 121-529.
ANl"KOPOl.OGIA f. l'MOTuJ.<J<;t.\

sentazione figurata di una causa, la q.uale in fondo de,·e tuttavia


solo rendere comprensibile lo stato presente, illustrandolo plastica-
mente. Tale è il caso nell'eziologia mitologica. Essa però può essere
intesa espressamente come tale o può essere invece legata all'opi-
nione che l'evento antecedente sia realmente successo in quel modo.
Quanto a questo problema, la coscienza umana, si troverà sp1:sso
a procedere con moduli pol!tici, in una posizione irriflessa Ji in.:er-
tezza, cercando sia di rappresentare a sé e alla propria condotta lo
stato presente (dell'uomo, di un popolo, ecc., di una situazione esi-
stenziale insomma) come norma vincolante cui non si può sfuggire,
come pure di ricondurlo al suo fondamento originario; nd qual
modo di procedere, quest'ultimo fatto sostiene e condiziona l'altro.
Eziologia può essere però anche lo stabilire in un modo concreto,
oggettivamente possibile." e giustificato, una causa storica, ricavandola
da llll& ...illuaz.l<muresente chc;__~iene meglio conosciuta grazie alla
spiegazione_d~~-a~a origine; per cui la vera causa e l'attuah: conse-
guenza vengono viste in un'unica prospettiva. In questo senso il
grado in cui la causa storica reaie viene concepita nel suo essere con·
creto, può essere molto Ji, .!rso. Anche il modo quindi Ji pf\..-sentare
questa causa es?licita della propria esistenza può essere più o meno
messo in relazione con una ,;imbologi11, fa quale in sé non è quella
dell'evento antecedente, ma trae ori:ginc=_Jall'a!Jlbi~__ c!__~l_'~enza
deJ!'etiologo, senza che per ciò quanto viene pensato debhll ..:ssere
solamente oggetto di una eziologia mitologica. Questa eziolugia • si
deve piuttosto denominare eziologia storica.
L'esegesi protestante considera volentieri ~e eziologi!_ mitolo-
gica le asserzioni della storia primi..J!va: 13 dò che la Scrittura atforma
del primo uomo non è che l'affermazione sempre valida circa l'uomo
in genere, anche se essa debba essere 'storica' in quanto non espri-
me una natura necessaria dell'uomo, bensl dò che sempre accade,
pur non necessariamente (ciò che si definisce 'storia primitiva',
'super-storia', 'storia della fede', ccc.).

a .•
IJ mo" d'esempio: E. SELLIN, TMoloeie tles Alun TC"sl•m<"nts. (;jp;aJt
r936, pp. 61--93; W. E!OW>DT, TMologi<" tlC"s Alun T<"st""1<"nts, 1., 3, (,\•nmi1•-n
51<)64: alla voce 'Mythus' dell'indice; J. HEMPEL. 'Glaubc, Mythos und Ge5Chichtc
im A.T .• in ZAW 65 (19nl 109-167_
CONCl.USIONI

La teologia cattolica, conformemente alla dottrina della Chiesa,


(os 3862 ss.; 3898 ss.) sostiene che in simili affermazioni, in ciò
che propriamente esse esprimono, si t_ratta di _fatti ~rngoli realmente
storici, accaduti in un punto del tutto determinato del tempo dello e
spazio. Tuttavia anch'essa ha la possibilità d'interpretare queste
csservazioni come eziologia storica, cioè come affermazioni che
l'uomo fa partendo dalla sua successiva esperienza storico-salvifica
~ no~~~afvific~ di sé neCs~~ -rapf>orto con Dfo, -perehéegTI dii- essa
e in essa può riconoscere come_ doveva essere stata 'all'inizio' la
conqiz.ione umai:ia-' Si può infatti accettare che quanto viene propria-
mente affermato in questi racconti, se si determina esattamente e
perfettamente il punto di partenza di questa eziologia e si circoscrive
prudentemente quanto viene affermato, si possa concepire, come
risultato di una simile eziologia storica, la quale è possibile per lo
meno per l'assistenza dello Spirito _di Dio.
Tr~--i punti più i~Porta~ti die sono da ritenere saldamente come
storici si devon facilmente intendere la creazione, la creazione spe-
ciale dell'uomo, l'uguaglianza delle razze, l'unità del genere umano
(dall'esperienza della unità della storia della salvezza), lo stato
primitivo (che nel Genesi non ha ancora il contenuto pieno, cono-
scibile solamente dopo Cristo). Anche riguardo al peccato originale
la grande teologia del Medio Evo ha ritenuto .PQ_ssibile _2!na simile
opi1_1i_cme!_almeno COl!!_e__!.e9.!_esi. 14 Nella valutazione di una tale possi-
bi-lità c'è sempre da tener presente che il punto di partenza di questa
eziologia storica non è la na~tratta dell'uomo, ma quella sto-
rka, come viene conosciu~___l'agire sto_rico-salvifico di Dio e
~grazia. Inoltre il grado di sicurezza di questa eziologia storica
potrà crescere per il fatto che la conclusione della ragione si attua
nella luce della fede e dell'ispirazione, come accade appunto anche
nella conoscenza di determinati principi della legge morale naturale.
L'interpretazione di questi racconti sulla storia primitiva come
eziologia storica ha la possibilità di chiarire perché queste narra-
zioni si presentino in una veste che non deriva dalla fatti~sto­
ri~a ~~egli stessi avvenim~~ti, e perché ~ell-;;- st~ss~ -tem~ si ritrovi

14 Cf. A. GAUDF.L, 'PL'ché origirel', in DTC x11/1 (1931) 4,9, 46}, 473.
30 ANTIOPOl.OGIA I! PIG'fOl.OGIA

in questa storia pr1m1t1va l'uomo, cosl com'è ora e sarà sempre;


inoltre si ha un criterio secondo cui, almeno in via di principio, in
queste affermazioni si può fare una separazione tra contenuto e
forma dell'affermazione.
Questa teoria non ha bisogno di negare una tradizione rettamente
intesa circa una 'rivelazione primitiva'. 15 Essa tuttavia può chiarire
meglio il motivo per cui questa si è conservata attraverso il lungo
tempo dell'umanità primitiva (per il fatto che quanto viene tra·
mandato può ripetersi di continuo) e il motivo per cui essa, d'altra
parte, si presenti nella Scrittura con una forma d'espressione che è
quella di quel tempo determinato.
Dal momento che solo in Gesù Cristo e nel suo Pneuma l'uomo
conosce__!!!. _mgdo _ri6esso_ e_ con riv~_!Zio~_e _ufficiale c_h~ e_gli può
essere il soggetto di autocomunicazione assoluta di Dio e che di
fattotaleC-àTtraverso tutta la -stona dell'um~tà. -e poiché questa
espérienza in via di principio è ancora superabile solo dalla visione
immediata di Dio, per questo una ptQ1ologia irriformabile è pure
possibile solamente con Cristo: e partendo di là può essere oggetto
di rifl~e-nella sua-natura formale. Da ciò risulterà evidente che
una dottrina dello stato primitivo 16 con l'elevazione soprannaturale
dell'uomo e la dottrina del peccato originale 17 sono possibili solo
nel Nuovo Testamento, come appunto di fatto in esso si ebbero.
La dottrina generale circa la creazione è però da intendere asso-
lutamente come momento della protologia, perché infine essa non è
una narrazione su ciò che è accaduto in un tempo passato e senza
qualsiasi riferimento all'uomo, ma è la dottrina della condizione
creaturale del morulo attuale, però genuinamente derivata, in
quanto esso è l'ambiente dell'uomo e il presupposto che rende pos-
sibile la storia della salvezza.
KARL RAHNER

15 J. lh.JSEUIETZ, 'Uroffenbarung', in LTK X ( 196,J ,6,.,67; ID., TMoloiisclN


n. Frciburg 1967.
Griintle tln nichtcbris1lichen Religionen, .. Quacs1. disp ...
16 J.
FEINEll, 'Urstand', in LTK X (1965) '7l·'74; ID., 'Unprung, Untand und
Urgesdùchte des Menschen', in FfH (Einsicdeln 19,7) JJI-263 (bibliogr.).
17 J. FEtNEl, 'Ursprung, Urstand und Ur~ichre des Menschen', cit.; L.
5cHEPPCZYK, 'Peccato originale' in DzT 2 1?1968), '98-6<>9 (bibliogr.); K. RAHNEI,
'Erbsiinde', in Sacramenlum mundi I ( 1967); ID, EllOluJion unti Erbsiintle, coli.
cQuacst. disp.» J5. Frciburg 1967.
SEZIONE SECONDA

ESEGESI TEOLOGICA DI GENESI 1-3

Dopo la fondazione generale della protologia e dell'antropologia


teologica, in questa seconda sezione si propone una sintesi biblico-
teologica delle più importanti affermazioni teologiche di Gen. 1-3,
per i motivi esposti nell'introduzione al capitolo.
Accanto alle asserzioni occasionali circa la creazione e lo stato
originario, che si trovano distribuite in tutto l'Antico Testamento, di
questi fondamentali problemi della fede rivelata si occupano soprat-
tutto i capitoli 1-3 del Genesi. Tuttavia queste questioni non sono
trattate con il metodo moderno di lezioni sistematiche, bensl ven-
gono sviluppate in una costruzione di carattere biblico. Perciò si
propone anzitutto il compito di mettere nella giusta luce la pecu-
liarità della struttura formale di Gen. 1-3.

r. Per una critica letteraria e per la storia delle forme di Gen. r-3

Lo sforzo, durato due secoli,' per comprendere il processo letterario


di formazione del Pentateuco, arrivò al suo culmine in WELLHAU-
SEN sullo scorcio del xx secolo, in seguito all'applicazione dei prin-
cipi fondamentali ddla filosofia di liEGEL, in una visione della rive-
lazione dell'Antico Testamento dichiaratamente liberale, puramente
del tipo della storia delle rcligioni; 2 ha però maturato, come frutto
duraturo, la convinzione che più documenti furono uniti in modo
da formare il Pentateuco d'oggi. E tuttavia non sono da intendersi
come fece Wellhausen e la sua scuola. I rappresentanti di questa

' In proposito d. R. DE VAux, A propos tlu s«ontl cenlnuirt tl'As1rw~l­


/trxions sur N1111 oc111d dt /11 crit1q11t du Pen101t11q11t, in Suppi VT l (Congreu
\'olumc Copcnhagcn), Lcidcn 19n, pp. 18i-198.
J a., in proposito, come car111tcnsuco: J. WaLUUUSEH, lsrotlitischt """
iiidische Gtrchichu, Bcrlin 919,8.
ESEGESI TEOLOGICA DI GENESI 1•3

c;cuola parlano di quattro 'tradizioni': jahvista (J), eloista (E) del


Deuteronomio (D) e del codice sacerdotale (P); essi presumevano di
poter stabilire con precisione il tempo preciso di formazione di
ogni documento. Ciò che condusse la Commissione biblica nel suo
decreto del 27.6.1906 (Ench. B. 181) ad un atteggiamento di oppo
sizione, fu in modo particolare - oltre al fondamento hegeliano,
estraneo alla Bibbia - la piena negazione del fatto che Mosè abbia
avuto una qualsiasi parte alla composizione dei cinque libri che han-
no preso il nome da lui.
Frattanto le posizioni fondamentali della teoria di Wellhausen
furono abbandonate, oppure sostanzialmente modificate e differen-
ziate.3 Vi hanno contribuito in modo sostanziale soprattutto la
riflessione sulla 'teologia biblica' 4 e l'interesse per essa. Lo schema
filosofico hegeliano usato come interpretazione della formazione del
Pentateuco è abbandonato; le categorie per l'esatta comprensione
della via della rivelazione devono essere ricavate dalla Bibbia stessa.5
In questo processo di nuovo orientamento furono ricavati dalle
fonti del Pentateuco strati di tradizione, che vengono colti partico-
larmente con una nuova visione della dimensione del loro divenire
storico. Essi funzionarono come bacino collettore di tradizioni anti·
che e ancor più antiche,6 poiché essi risalgono nel loro nucleo costi·
tutivo fino a Mosè.7
Oggi si accetta comunemente, sulla base di queste ricerche, che

3 Vedi in proposito: C. R. NoaTH, Pentlll~hical Criticism, in The OT t1nd


Mod"n Struly, Oxford 1951, pp. 48-83, e M. Noni, Vbmie/erungsgeschichte des
Pent11teueh, Darmstadt 21900.
4 Vi diede impulso soprauuuo W. Eichrodt con la sua relazione al conaresso
degli orientalisti (Bonn nel 1928), apparsa con il titolo: 'Hat die ari. 1beologie
noch selbstindigc Bedeurong in der alt. Wìssenschaft?', in ZA'IJI' 47 (1919) 83·
91; d. anche, dello stesso autore, Theologie des A.T., in tre volumi, Stunpn I
51957; II-III, 41961 ). Per il concetto di 'teologia biblica' d., md es., L. ScHEFFCZYK.
'Biblische und dogmatischc Thcologic', in TTZ 67 (1958) 193-209.
5 Attualmente ci si sforza giustamente a far risaltare la peculiarità del modo
ebraico di pensare rispetto a quello dei greci, cf. TH. BoMAN, Dt1s bebriii1che
Denlte11 ;,,, V"gleich mit dem griechischen, Gottingcn 41966; C TusMONTANT,
Biblisches Derrlten und heUenische Oberlie/erung, Diisseldorf •11~6; J. HEssEN.
Griecbische °"" bibliscbe Theologie?, Miinchen 2 1962.
• G. v. RAo, D11s erste Buch More, Gouingcn 6 1961, pp. 16-20.
; R. DE VAux, 'l..a Genèse', in Bible de ]érusolem, Paris 19n, PI'- 7-14.
CRITICA LETTERARIA E STORIA DELLE FORME

Gen. 1-3 sono da assegnare a due diversi strati: Gen. 1-2,4a, il


cosiddetto primo racconto della creazione, appartiene a P, mentre
Gen. 2,4b-3,24, il secondo racconto della creazione e della caduta,
si attribuisce a ]. Evidente appare la saldatura dei due complessi
in Gen. 2,4, dove i due strati sono inseriti l'un l'altro in modo visi-
bilmente non riuscito. Anche all'osservatore superficiale dà all'oc·
chio il cambiamento del nome di Dio nei due strati: nella primll rela-
zione Dio porta il nome di elohim, in Gen. 2s viene chiamato
jahvé-elohim. (Del resto questo fatto evidente, riconosciuto già da
tempo, costitul un motivo rilevante per la distinzione delle fonti).
Il colorito delle due relazioni è inoltre sostanzialmente differente.
Gen. 1 è fortemente dialettico, contrassegnato da una rilevante di-
mensione teologica in profondità, costruita coerentemente secondo
un forte schema letterario. Gen. 2s di contro racconta più calda·
mente, sta più vicino alle cose, e purtuttavia non rimane in super-
ficie. Pure qui una più precisa osservazione rileverà che le parole
sono state scelte e inserite nelle loro rispettive proposizioni con
ponderazione cosicché dunque anch'esse sono teologicamente pre-
gnanti. Secondo l'opinione comune, in Gen. 2s siamo davanti ad una
forma di racconto più antica, completata cd approfondita pratica-
mente in seguito mediante il capitolo primo che venne aggiunto
in seguito. Questo non vuol però dire che l'insegnamento contenuto
in Gen. 1, in quanto teologia riflessa, sia di molto più recente nella
sua formazione; vi è contenuto precisamente materiale antico, cdot-
trina originaria, sacrale, tramandata da mani protettrici di molte
generazioni di sacerdoti, ripensata sempre ex novo, insegnata, rie-
laborata e ampliata nel modo più cauto e conciso mediante nuove
riflessioni cd esperienze della fede».'
Gen. l sembra come una sintesi tratteggiata grandiosamente e
come uno sviluppo drammatico del conciso testo sulla creazione
che si trova in vari passi: «Dio infatti lo ha creato» (Ps. 95..5; 96,5;
100,3; 24,2; d. Ps. 104; ]oh 38). Con questo, a volta a volta,
viene proclamata e richiesta l'appartenenza a Dio della creatura.

1 G. v. RAD, op. cii., p. ~o.

l • ,\I v•taiunt Salutis, 11/2


ESEGESI TEOLOGICA DI GF.NESI I-3
34

2. Diverse /orme di .esposizione

Chi confronta tra di loro i due racconti della creazione presto si


accorge che essi non s'accordano nel modo di presentazione; che non
è nemmeno come se il primo racconto riempisse solo le lacune
lasciate aperte dal secondo; i <lue racconti seguono piuttosto proprie
vie nella loro autonoma forma di presentazione. Le due esposizioni
sono strutturate tanto fortemente in modo individuale che non si
lasciano concordare né nell'insieme, né nei particolari; piuttosto,
tanto nel fondamento come nella esecuzione, costituiscono due di-
versi modi nei quali noi veniamo a conoscere l'evento della crea-
zione. L'indipendenza della presentazione si può osservare prima di
tutto nella concezione del mondo o, meglio, nella sezione di essa,
richiesta dall'argomento, che sta alla base dei singoli capitoli, nella
posizione dell'uomo nell'insieme delle creature e nella successione
dell'origine delle singole creature.
Per apprezzare convenientemente questa realtà è necessario che
ci si accosti al testo con un'esatta nozione dell'ispirazione. Gli
scrittori sacri sono impegnati con tutte le loro capacità umane pie-
namente e totalmente nella concezione e nella stesura dei racconti
biblici in quanto attività comune di Dio e dell'uomo. Ne segue
necessariamente e immediatamente che gli agiografi vengon presi da
Dio in quanto autori che pensano e scrivono nella maniera semitica,
che portano quindi la loro peculiarità individuale e popolare nella
stesura della Bibbia attuantesi per ispirazione divina.
Si deve ancora richiamare l'attenzione ad un ulteriore importante
presupposto per la comprensione dei due racconti della creazione, e
cioè alla circostam:a che Dio, nella sua attività compartecipata, pro-
cede 'con economia'. Egli non fa nulla di ciò che è in grado di fare
con i propri mezzi la causa seconda che è l'uomo; egli non dona nulla
che soddisfi soltanto la curiosità umana o che, in quanto disposi-
zione della creazione da parte di Dio per l'uomo, ne costituisca
senz'altro un compito permanente (Gen. 1,28).9

9 a.
K. RAHNER, 'Tbcologischcs zum Monogenismus', in Scbrifu,, I, pp. 2H·~4j;
J. in FTH, 24J; là il 'principio di economia' viene appliouo all'opera Jdla
fEINEll,
creazione, qui invece all'c\'cllto della rivelazione.
DIVERSE FORME DI ESPOSIZIONE

Da queste due premesse deriva perciò che gli agiografi usarono


la loro propria 'ideologia', la loro propria 'idea di mondo' per espri-
mere le asserzioni della rivelazione circa l'avvenimento della crea-
zione.
Siccome alle dichiarazioni di Gen. 2 fa da sfondo soltanto, per
cosl dire, una sezione del concetto di mondo di Gen. I, e siccome
il suo autore pone l'origine delle singole creature in disposizione del
tutto diversa da Gen. 1, ne consegue il modo diverso di presenta-
zione della creazione nei due racconti.
L'idea del mondo di Gen. I è più vasta nelle sue dimensioni di
quella di Gen. 2, ed anche gli ambiti delle singole creature sono
rappresentati più ampiamente. Gen. 1 racconta l'origine del cosmo
nella prospettiva di abitanti in riva al mare; la relazione procede
gradualmente: dapprima attraverso separazioni, poi a poco a poco
si forma il cosmo mediante gli ornamenti per esso creati. :E: il pas-
saggio dal caos radicalmente privo di ordine, raffigurato come una
distesa di acque assolutamente priva di articolazioni, fino al cosmo
perfetto, strutturato armoniosamente e teologicamente. Si è giusta-
mente paragonata questa formazione che procede dal caos al cosmo
all'innalzamento di una piramide, al cui vertice sta l'uomo. 10 Al set-
timo giorno, giorno del compimento, lo sguardo del cronista s'in-
nalza finalmente fino al riposo sahatico di Dio, e U egli stesso si
riposa.
Mentre secondo Gen. 1 l'uomo sta come la creatura più insigne
in cima all'insieme ordinato, secondo Gen. 2 egli si trova al centro
del cçrchio della rappresentazione, attorno al quale si raccoglie tutto
il creato. A differenza di Gen. 1, il punto di partenza dell'autore è
qui la steppa arida e sterile, che è priva di qualsiasi vegetazione per
mancanza d'acqua. Quando questa mancanza è riempita dallo zam-
pillare dell'acqua profonda, entra nell'esistenza, come prima crea-
tura, l'uomo. Attorno a lui viene creato l'insieme delle piante con
il paradiso terrestre, e poi l'insieme degli animali (tuttavia solo
quelli dome&tici), finché il racconto raggiunge alla fine il suo sco-
po nella creazione della donna e accenna alla comunità del ma-

IO Cl. B. )ACOB, Dar errte Buch Jer Tbora, Bcrlin 1934, pp. 19-101.
l!U.CESI TEOLOGICA DI GENESI 1-3

trimonio. Nonostante la diversità dei· due racconti. essi parteci-


pano - ciascuno a modo suo - l'ingenua e primitiva conce-
zione del mondo dell'antico Oriente. Secondo questa, la terra è un
disco che galleggia sull'oceano. Essa è ancorata mediante colonne
nelle profondità del mare. Sotto di essa si trova, diviso forse in due,
il mondo degli inferi; su di essa sovrasta la volta celeste che quale
emisfero solido delimita verso l'alto lo spazio terrestre. Essa trat-
tiene l'oceano celeste, che colà fu segregato (Gen. 1,7), le cui cata-
ratte si apriranno di nuovo, secondo Gen. 7 ,11, per il diluvio. Alla
volta celeste sono fissate le stelle, che sono presentate come indi-
pendenti dalla formazione della luce (Gen. 1,3; ]oh 38,19) e vengon
chiamate all'esistenza con un proprio atto di creazione. La loro qua-
lità e grandezza si determina dalla posizione dell'ingenuo osserva-
tore del cielo.
Per comprendere esattamente nelle sue asserzioni questo capitolo,
si deve assolutamente tener conto del fatto di tale concezione pre-
scientifica del mondo con le sue inesattezze. Questo giudizio che
nasce da un primo incontro con Gen. 1-3, ci pone di fronte alla
questione più ampia di come ci~ questi capitoli debbano essere in-
tesi nell'insieme.
Si uscirebbe dall'ambito di queste concise esposizioni, se si vo-
lesse entrare dettagliatamente più da vicino nei tentativi storici, che,
partendo da pretesi principi ermeneutici errati, pensavano di poter
stabilire una concordanza tra il racconto della creazione e i dati della
scienza. Si deve piuttosto cercare di chiarire positivamente la pecu-
liarità dei primi tre capitoli.
Oggi può essere ritenuta opinione generale degli specialisti, che a
Gen. 1-3 spetta una posizione particolare, non soltanto riguardo al-
l'ambito dei temi trattati, ma anche riguardo al modo di conccpirli. 11
Non si tratta di una relazione più o meno fedele dell'evento dell'ini-
zio, che si colloca alla distanza di miliardi di anni. Gen. 1 racchiude
con pochi versetti in un grande arco, in una prospettiva straordina-

li Gò è espre.sameme riconosciuto nella letten della Pontificia C.Ommiuione


Siblia al cardinal Suhard in data 16.1.1948, in AAS 40 (1948), pp. 45"48.
DIVEllSE FOIME DI ESPOSIZIONE
37

riarnente vasta e raccorciata, quello spazio di tempo che si estende


dalle origini (circa 10-20 miliardi d'anni fa) fino all'apparire del-
l'uomo su questa terra (circa 600.000 anni fa) e da qui porterà fino
alla prima sacra tradizione riguardo alle origini fino al tempo di
Mosè, verso l'anno 1200 prima di Cristo. Il problema di spiegare
chi mai possa raggiungere con la conoscenza quel lontano inizio, non
va risolto ricorrendo ad una catena ininterrotta di tradizioni umane.
Nel caso migliore inoltre essa potrebbe raggiungere l'anno 600.000
a.C., ma non la molto maggiore distanza di miliardi d'anni. Il rag-
giungere uno sguardo sul come degli avvenimenti della creazione
mediante una meravigliosa comunicazione di Dio, la quale servirebbe
più alla curiosità umana che al piano salvifico di Dio, ce lo vieta
precisamente il 'principio di economia' sopra menzionato, al quale
essa sarebbe diametralmente opposta.
D'altra parte Gen. 1-3 contiene più d'una semplice redazione delle
speculazioni riguardo alle origini, come ci sono pervenute dai più
antichi popoli colti, come miti sull'origine del mondo. 11" Il contenuto
di Gen. 1-3 non è soltanto una compilazione di miti e di leggende
riguardo alle origini dcl mondo, anche se coniata in modo del tutto
particolare e soprattutto presentata in veste storica, come vuol ritc·
nere una certa esegesi della storia delle religioni (GUNKEL, GRESS·
MANN, e la scuola nordica), anche se alla loro accettazione e forma-
zione in Israele si concede una più forte elaborazione e adattamento
alla fede in Jahvé.
Nella scienza cattolica invece guadagna sempre più terreno l'opi-
nione, che in questi capitoli si tratta di profezill retrospettiva: gli
agiografi, cioè, per spiegare profondamente la loro situazione pre·
sente, in forza dell'ispirazione poterono e dovettero tratteggiare a
ritroso il cammino storico e pronunciare delle asserzioni vincolanti
riguardo alle origini del mondo e dell'uomo, ricche di promesse.
Soltanto su questo sfondo poterono divenire pienamente compren·
sibili e il piano di Dio con gli uomini, e la sua via di salvezza
attraverso la storia fino al termine escatologico, perché in ogni realtà
ESEGESI TEOLOGICA DI GENESI l·J

vibrano ancora insieme e l'inizio felit::issimo e il comportamento


fatale del primo uomo. 12
Perciò questi capitoli sono giustamente intesi nel modo migliore
come una grandiosa 'eziologia storica', 13 quale la manifestano soprat-
tutto i fatti teologici della creazione e della caduta del primo uomo,
come inizio della storia, tacendo però necessariamente riguardo al
come, rilevabile nei particolari, di questi decisivi avvenimenti delle
origini. Soltanto la visione teologica d'insieme delle origini, dando
rilievo ai suoi dati essenziali, intrapresa da Gen. 1-3, rende com-
prensibile il cammino Je!la rivelazione ulteriore nella cosiddetta
storia delle origini fino a Gen. 11 e l'inserimento di ·una nuova via
di salvezza in Abramo, la quale porta, attraverso Cristo e il tempo
attuale del mondo, fino alla fine e svela il comportamento di Dio
nella creazione. Dietro queste affermazioni teologiche fondamentali
si scolora e diviene secondaria la domanda che spesso angustia senza
motivo l'uomo sul come della formazione del mondo. Perciò egli
non può nemmeno aspettarsi qui nessuna risposta vincolante e valida
definitivamente. È del resto proibito all'uomo porsi sulle tracce di
Dio nella sua attività creatrice.

J. Asserzioni teologiche

a. Gen. 1 nel suo complesso

Gen. 1, quale descrizione drammatica dell'affermazione diffusa at-


traverso tutto l'Antico Testamento che 'Dio ha creato il tutto', si
serve dello schema della settimana, ovvero, qualora si voglia solo

Il In proposito d. specialmente: H. RENcltl!Ns, Urgrscbichte 11rul Heilsgrschichte.


lsraels Schau in die Vergangenb<?it nach Ge11. 1-J, Mainz l1964; TH. ScmnGJ.u,
Dir bibliscbr Urgeschicbte im Lichte der forsch1111g, Mùncben 21962.
u Una simile concezione la incontriamo in K. Rahncr nell'opera P. OvnHAGl!-K.
R.AHNu, Das Problrm der Hominisation, coli. cQuaestiones disputatile» 12/13,
Freiburg 1961, pp. 32-42 (tt. it. Il probkm• drlla ominiulmone, Brescia 1969).
Cf. anche sopra: sezione I. 3b. Nooostante la critica mossa a questa espressione
da N. Lohfink, in Sebo/. 38 (1963), pp. 321-334, e nonostante le osservazioni cri-
tiche di L. Alonso-SchOkel, in Bib 43 (1962), pp. 29n1,, mi sembra che 'eziolo-
gia storica' nel senso ovvio esprima nel modo migliore la pcculiarità dcl modo di
esporre di Gen. 1-3.
ASSEllZIONI TEOLOGIOfE 39

prendere in considerazione il sorgere delle singole creature, dello


schema dei sei giorni. Frattanto da lungo tempo è riconosciuto che
da ciò non si può ricavare alcuna dichiarazione decisiva circa la
durata della formazione delle creature; perciò tutti i tentativi intra-
presi finora, per scorgere nei sei giorni dei lunghi tempi di creazione,
non soddisfano. Poiché difficilmente risulta possibile in questo
modo raggiungere una concordanza tra i risultati accertati del1e
scienze naturali e Gen. 1. E inoltre un simile tentativo di concor·
danza avrebbe bisogno di correzioni continue ad ogni nuovo risul-
tato delle scienze interessate e, al massimo, resisterebbe eventual-
mente solo per un certo tempo.
In realtà questo schema della settimana contiene un'affermazione
teologica di immensa importanza: in esso infatti viene sanzionato nel
modo più assoluto il periodo di sette giorni quale ritmo di lavoro e
di vita per l'uomo. Poiché se la rivelazione si serve dello schema di
sette giorni per l'attività creatrice di Dio stesso, ciò indica allora che
gli viene riconosciuta una importanza di sommo grado; con ciò esso
è. diventato norma derivante da Dio per il ritmo di vita di tutti gli
uomini. La singolare e insolita formulazione dd terzo comandamento
dd decalogo, introdotto con «ricordati!» (Ex. 20,8), rinvia a que-
sta antica tradizione dello schema settimanale e ne dà motivazione.
In conseguenza nello schema di presentazione prescelto noi abbiamo
a che fare con una affermazione normativa riguardante la vita in
Israele, che deve essere determinata essenzialmente in modo cultua·
le-liturgico.
Un'altra particolarità ancora del passo, composto in strofe, riman·
da alla sua dimensione cultuale e conferma quanto detto sopra.
Gen. 1,,.8.13.19.23.31 ripete l'identico ritornello: «e venne sera
e poi venne mattina: un giorno» (ccc.). Questo stile insolito di
determinare il giorno e delimitarlo, secondo il mio parere, si può
comprendere solo partendo dalle gesta salvifiche fondamentali di
Dio verso Israele, quali noi le apprendiamo nella storia della rive-
lazione. In altri termini, in esso il corso della giornata viene fissato
liturgicamente.
Già molto prima infatti della formazione del nostro racconto
il corso delle giornate era concepito e caratterizzato liturgicamente
ESEGESI TEOLOGICA DI GENESI I•)

dall'offerta quotidiana, il cosiddetto ·Tamid, che poneva sempre


nuovamente come attuale di sera, il fatto salvifico dell'esodo dal·
l'Egitto (Deut. 16,6) e al mattino l'azione salvifica centrale del
patto d'alleanza al Sinai (Num. 28,6) e conservava cosl sempre vive
in Israele le fondamentali gesta salvifiche. 14 Questa singolare stiliz·
zazione, intenzionale, testimonia che nella riflessione teologica di
Gen. 1 l'avvenimento della creazione è intrecciato insieme con l'ope·
ra della salvezza, e che conseguentemente la creazione trova la sua
caratterizzazione e motivazione nell'opera salvifica di Dio.
Inoltre in Gen. 1 colpisce la ben studiata disposizione a gradini
dei momenti della creazione. Secondo l'opinione dell'epoca circa la
qualità e la natura dei singoli regni del creato, essi vengono posti
in un contesto teologico; le creature inferiori arrivano all'esistenza
prima di quelle superiori. Con ciò non è messa in evidenza solo una
successione temporale, ma, quasi come nell'innalzamento di una
piramide, in pratica vi è espressa la maggiore o minore lonta·
nanza e vicinanza delle singole creature rispetto a Dio. All'estremità
rispetto a Dio sta il caos completamente disordinato e informe,"
nella vicinanza più prossima sta invece l'uomo, immagine somi·
gliante di Dio. Ne consegue ulteriormente che con le singole crea-
ture viene ad esistere contemporaneamente un determinato sistema
d'ordine derivante dalla creazione, cosicché nelle creature stesse e
con esse è dato l'ordine della natura, e che le singole creature
posseggono in sé le risorse per attuare la propria esistenza su questa
terra, conformemente alla propria natura e specie, in rappono sta·
bile di maggiore o minore vicinanza e lontananza rispetto a Dio.
Che in Gtn. I si tratti realmente di profezia retrospettiva in cui
non si riguarda al come del sorgere delle singole creature, ma in cui
si prende in considerazione soprattutto la realtà dell'essere creato da
Dio, è facile riconoscerlo dal fatto che dall'autore viene menzionato

14 Cf. su qucs10 problema: A. AaENS, Drt Pslllmt" '"' Gotttsilimst ilts Altt"
B11,,Jts, Trier 1961, pp. 111-127. Quale imponanza si amibuisse nel periodo poll·
csiliro sacrificio quoridiano. vrtli in 1 Esilr. p-6.
IS a. in proposiro H. }UNKEI, 'Die thcologilche Behandlung der Chaosvontel·
lung in der biblischen SchOpfun~ichte', in M~lo,,its Bibliq11ts rlili&ls '"
l'ho""'"' ilt A. Robtrt, Paris, s.d., pp. 27-37.
AS~ERZIONI TEOLOGICHE

quasi sempre solo un mmtmo dei segni caratteristici delle singole


creature e questo è sufficiente per le sue asserzioni: per lui quindi
non si tratta anzitutto di dichiarazioni circa la struttura delle crea-
ture. In evidente opposizione a ciò sta infatti il frequente e spro-
porzionato uso del termine Dio. ! la parola dominante del capitolo
non solo per l'importanza, ma anche per la frequenza stessa. «Dio
disse - creò · vide», cosl le singole parti del dramma della creazione
sono concepite stilisticamente proporzionate. Ciò porta a concludere
necessariamente che qui si tratta essenzialmente del rapporto della
creatura con Dio, che si vuol presentare la sua piena e costante
dipendenza da lui perché essa deve, senza eccezioni, la sua esistenza
a Dio. Un cronista degli avvenimenti della creazione avrebbe dovuto
formulare diversamente le sue dichiarazioni e avrebbe dovuto porre
gli accenti in maniera diversa.
Alla stessa constatazione siamo indotti dalla ulteriore osservazio-
ne del fatto che nel capitolo si ripete per sei volte il giudizio di
valore «E Dio vide che era un bene» (Gen. l,4.10.12.18.21.25)
e che al versetto 3 1 si ritrova in compendio il giudizio cera un
grande bene». Si tratta, al riguardo, di un giudi2io teologico di va·
lore, che si pronuncia non sulle qualità delle creature da un punto
di vista scientifico, ma che significa un giudizio assoluto di fronte a
Dio. In questo modo assoluto nessun cultore delle scienze naturali
può valutare le creature; egli al massimo si potrà pronunciare
riguardo al confronto tra due creature o alla buona organizzazione
di determinate membra per certe capacità, destinate a un u:;o con·
forme alla natura. Nel racconto della creazione vengono al contra-
rio fatte dichiarazioni essenziali circa il rapporto di ogni creatura
con Dio e la sua assoluta dipendenza da lui e, in conseguenza di ciò,
circa l'assoluto potere che ne deriva di disporre da parte di Dio,
come pure circa il valore delle creature agli occhi di Dio.

b. Questioni particolari circa Gen. I

La lingua ebraica, di solito così povera e assai limitata nella sua


possibilità d'espressione, invece per descrivere l'azione creatrice
di Dio, accanto a una serie di altri verbi come 'fare, formare, costi-
ESIGESI TEOLOGICA DI GENl!SI 1·.J

tuire, fondare, procurarsi' dispone di ùn verbo specifico biirà', per


il quale del resto in nessuna altra lingua si può indicare un corri-
spondente equivalente. Accanto a due significati secondari della
stessa radice, usati solo sporadicamente, si tratta qui di un verbo
determinato teologicamente. il cui soggetto è esclusivamente Dio.
Con ciò il verbo diventa mezzo per significare un agire creatore,
privo di analogia e proprio solo di Dio, cui difficilmente si può dare
un'interpretazione secondo il suo contenuto. Per ben 48 volte viene
usato questo bàrà' nell'Antico Testamento e ancora una volta non
è a caso che quantitativamente la preponderanza dell'uso è da ri-
scontrare in Gen. 1-6 16 e nel Deut. Isaia. 17 Nell'uso fatto in Dcut.
Isaia non si tratta solo di uno sguardo retrospettivo sulla creazione
alle origini, ma soprattutto della nuova creazione nel futuro della
salvezza. Cosl appunto questo aspetto salvifico della creazione è
l'elemento caratteristico della asserzione teologica.
Con ciò il verbo bara' conserva la funzione di ponte tra i due
grandi ambiti dell'agire divino all'inizio e alla fine, cioè quello della
creazione e quello della salvezza definitiva.
Si deve inoltre dire che in barà' è implicitamente contenuto il
concetto del creare dal nulla.ia Anche se questo lato della dichiara-
zione non si può provare expressis verbis in nessuna parte, pur tut-
tavia l'uso del verbo nei due ambiti nominati della pPima creazione
e della nuova creazione ottiene solo cosi la sua piena forza d'espres-
sione. Il verbo è stato alla fine compreso espressamente in quel senso
in 2 Macc. 7,28. Gli altri verbi per indicare l'attività creatrice di
Dio, sopra nominati, stanno per lo più nell'ambito del significato
di !Mra' o conducono ad esso. Da questo infatti ricevono anch'essi
significato e forza d'espressione.
L'attività creatrice di Dio, espressa a preferenza col verbo bari'
sta prima di qualsiasi inizio; con essa viene posto l'inizio; da questo

16 Gm. l,1.21.27 ( 3 volte); 2,3 s.; ,,1 s.; 6,7.


17 ls. 40,26.28; 41,20; 42,,; 43,1.7.1'; 4,,7 (2 volte). 8.u.18; 48,7; ,4,16 (.:r.
volte); ,7,19; 65,17.18 (2 volte)
" Con ciò mi illontano dall'opinione di H. HAAG, 'Zum hcii1igcn Vemindnis
der biblischen Urgescbichte', in Hochl4nd, febbr. 1961, 272-279,276. Il mio modo
di vedere ~ ronfennato da W. H. Scmmrr, Die Schop/1111gsgeschichu dn Prie-
sterscbri/1. Neukin:hen 1964, pp. 164-167.
ASSEllZIONI TEOLOGICHE

inizio nel primo atto di creazione di Dio esiste il tempo e con esso
la storia. Per quanto le scienze narurali possano spingere ancora
più oltre l'età della terra, in ogni caso l'azione creatrice di Dio è
anteriore e ~gna l'inizio.
L'unione di Dio con la creatura, nata mediante la parola, e in
essa, è data appunto da questa chiara e trasparente parola di Dio.
! l'arco di collegamento, che unisce le due teste di ponte, Dio e la
creatura. Appunto nella chiarificazione e nella più approfondita spie·
gazione di questa parola di Dio si muove l'evoluzione della conce-
zione della creazione sul sentiero della rivelazione dall'Antico Testa-
mento verso il Nuovo Testamento (d. ]o. 1; Col. 1,14-17; Hebr.
1 ,2 ). Con questo dato si tocca inoltre la differenza caratteristica nei
confronti delle dottrine dell'antico oriente sulla formazione del
mondo: secondo la Bibbia non c'è una cosmogonia, che sia contem-
poraneamente anche teogonia. Le creature non derivano da una
necessità qualsiasi imprecisabile, cupa e scura di una massa primor-
diale, la quale in seguito produce perfino gli dèi. In questo modo
quindi è allo stesso tempo evitato il pericolo di qualsiasi fusione
r-anteistica di Dio con il mondo, ma anche all'accettazione di una
emanazione del tutto da Dio viene opposto un catenaccio inamo-
vibile, mediante l'interposta barriera della parola divina creatrice.
Cosl viene contemporaneamente impedito di interpretare anche in
senso deistico il Dio creatore, poiché l'arco della parola va da Dio
fino alla creatura, ma non lascia Dio in una lontananza irraggiun-
gibile, poiché egli la supera nella parola stessa che rivolge alla
crearura.
L'unico. atto creatore non è qualcosa di transitorio come lo è
invece l'agire umano; il suo prodotto, il creato, rimane perché la
parola di Dio è pronunciata costantemente su di esso. Attraverso la
sua parola creatrice, diretta alla creatura, Dio rimane costantemente
rivolto verso il creato, egli è continuamente impegnato per esso.
Anche qui uno sguardo sull'agire salvifico di Dio, che presenta
un'analoga struttura sostanziale, chiarisce forse nel modo migliore
questa proprietà del creato. Cosl come l'elezione di Israele da parte
di Dio, avvenuta una volta, porta il popolo dell'alleanza nello stato
duraturo· dell'essere-eletto (Ex. 19; 24), così l'unico atto creatore
44 ESEGESI TEOLOGICA DI GENESI 1-3

avvenuto all'inizio pone ogni creatura nello stato duraturo dell'es-


sere-creato e quindi dell'essere costantemente riferito a Dio e in
dipendenza da lui. Questo è in realtà il più grande miracolo, il
miracolo originario, che cioè Dio pronuncia in modo stabile la sua
parola verso la creatura sopra l'abisso dell'informe e del nulla, che
cosl è non già nulla, ma qualche cosa.
~ superfluo entrare più da vicino nei singoli campi del creato
secondo Gen. r; nella loro enunciazione come nella loro successio-
ne si è fatta sentire la conoscenza naturale del tempo del redattore,
in ogni caso non può sorgere alcun dubbio circa il fatto che tutto,
senza eccezione alcuna, deve la propria esistenza all'atto creatore
di Dio. Al di fuori di Dio non v'è nulla che non sia creatura, ciò
è quanto l'autore vuole esprimere con la sua enunciazione, vasta
per quei tempi, dei diversi regni della creazione. Già la prima frase
è insieme apertura e sintesi.
Con una precisione quasi scrupolosa e, come palesano le sovrac-
cariche frasi del racconto, con la preoccupazione accurata di non
tralasciare proprio niente, in Gen. r ,14-18 si riferisce la formazione
del firmamento. Fu già accennato allo strano fatto secondo cui il
mondo delle stelle viene posto lontano dalla creazione della luce
(Gen. 1,3-5). Non ci si sbaglia se si afferma di scorgervi una ten-
denza demitologizzante e anti-mitica. Di fronte al rinomato culto
astrale della Mesopotamia, gli esseri più potenti e più splendidi
del cosmo vengono cosl abbassati a semplici creature analogamente
a tutto il resto. Di tutta l'importanza e delle funzioni, che nella
regione dei due fiumi loro si ascrivevano quali potenze del destino,
rimane solo quella di essere un utile orologio dell'universo, di
adempiere quindi un'opera di servizio per gli uomini; l'uomo però
non è tenuto a tributare onore cultuale alle stelle.
Non solo nella costruzione dinamicamente ascendente, ma ancor
più nella insolita solennità e intensificazione di termini teologici
portanti Gen. 1 culmina nella creazione dell'uomo (v. 26 ss.). Nel
solo versetto 2 7 viene usato per ben tre volte il verbo biirii', per
mostrare che la energia divina creatrice raggiunge qui il suo pieno
spiegamento.
Quale determinazione della natura dell'uomo e suo contrassegno
ASSERZIONt Tl!OLOGICHB 45

viene messo in rilievo soprattutto il fatto che l'uomo è creato


a immagine e somiglianza di Dio. Questa caratteristica lo stacca
chiaramente dalla creazione delle altre creature, che entrano nella
esistenza «ciascuna secondo la sua specie» ( Gen. I ,I 1s. 245.).
Oggi è unanimemente riconosciuto che i due termini usati al
riguardo «che sia la nostra immagine, conforme alla nostra somi-
glianz::i» (v. 26) non intendono differenziar~ un'immagine naturale
e soprannaturale di Dio nell'uomo. Per una retta comprensione
di questi concetti è bene rinviare prima di tutto alle proprietà signi-
ficanti di Dio in Gen. 1, specialmente al suo assoluto essere padrone
di tutto quanto il creato. I passi in questione vengono commentati
nell'Antico Testamento stesso, in Ps. 8,5-7. Secondo Ps. 8,6 la
corona, cioè l'apice dell'essere uomo, consiste nel suo ktibod e badar.
Secondo Ps. 145,12 la stessa «maestà dello splendore• è propria
essenzialmente del regno di Dio e lo rende palese. In conseguenza
si è portati a concludere a buon diritto che l'immagine e somiglianza
dell'uomo con Dio consiste nella sua partecipazione alla maestatica
regalità di Dio, che si manifesta all'esterno, cioè alla sua gloria.
L'uomo dunque per la sua essenza tenderebbe alla partecipazione
alla regalità di Dio, e sarebbe strutturato per essa. La partecipa·
zione dell'uomo alla maestà divina «forma e impronta tutti i suoi
talenti spirituali e le sue qualità e rispecchia nella personalità uma-
na il tipo originario, cioè Dio»."
Una simile comprensione della somiglianza con Dio conduce quin-
di, per cosl dire immediatamente, al compito di dominare il mondo,
che segue direttamente in Gen. 1,28. In questa attività l'uomo,
quale immagine di Dio, deve riverberare la superiorità di Dio sul
creato infraumano, e conservarlo quale suo signore nell'ambito del
comando divino di dominio.

c. La caratteristica propria di Gen. 2

In contrasto con il racconto conciso, solennemente monotono di


Gen. 1, Gen. 2 risulta più vivace, più caldo, più immediato, più
19 H. GRoss, 'Die Gottebenbildlichkeit des Menschc:n', in L<'.~ tua veri101 (Fesi·
schrift Hub. Junker), Trier 1961, pp. !l9·roo,99.
t:SlGESI TEOLOGICA DI GF~'llESI J- ~

spontaneo. Tuttavia uno sguardo attento riconosce presto che an-


che lo jahvista sceglie termini e formulazioni con ponderatezza, e
costruisce le sue IY.!ricopi in vista di unu scopo. Si tratta qui, cioè,
piuttosto di racconti concreti, ma di tale profondità, che non si
esprimono in tutto il loro contenuto alla superficie dei fatti narrati.
Per deduzione dalla situazione attuale, l'autore giunge al suo punw
di partenza, al /actum nudum dell'esistenza della terra, priva di vege-
tazione come di una steppa arida; del mare non fa addirittura men-
zione alcuna. Il filo del racconto, che dalla steppa conduce alla terra
abitata e coltivata, nomina come prima creatura l'uomo, più preci·
samente il maschio, attorno a cui Dio costruisce il mondo. Questo
uomo è formato in parte di terra e in parte di potenza vitale divina.
L'attività di Dio è descritta alla maniera del vasaio (cf. il verbo
jfr), un'immagine che è di casa in Egitto. Là la divinità dell'Ariete
forma il re sulla ruota del vasaio.»
L'uno e l'altra quindi, cioè il corpo e la vita dell'uomo, derivano
immediatamente da Dio; dalla loro unione sostanziale nasce l'uomo,
che riceve la sua potenza vitale da Dio come dono stabile (cf. Ps.
104,29 s.; Job 34,14 s.). Questa unione sostanziale, nell'uomo, di
terra e di forza vitale di Dio è da intendere in modo pre-filosofico
e non da spiegare partendo, ad esempio, dall'antropologia greca.
In essa non sono anticipati o confermati né la tricotomia di Platone,
né il dualismo antropologico di Aristotele. È un problema che sta
fuori dell'ambito dell'interesse proprio del racconto biblico, indicare
quale natura filosofica abbia tale unione delle due parti sostami.ali
dell'uomo.
Gen. 2 ha inoltre come tema la provvidenza di Dio per l'uomo.
Cosi le successive opere della creazione valgono come espressione
ed emanazione di quella cura di Dio per l'uomo.

aa. Prima di tutto si deve ricordare la preparazione del suo spa-


zio vitale (v. 8-14) che noi di solito denominiamo paradiso. Secondo
il linguaggio metafisico di Gen. 2 si tratta di un parco a giardino

20 Cf. H. BoNNET, Reallexikon der ir:Jplischen Religionsgescbichte, Berlin 19p,


pp. 13.s-140.
ASSEllZlONI TEOLOGICHE
47

ricco d'acqua e ombroso, alla cui custodia e coltivazione viene posto


l'uomo (v. 1 5 ). ~ comunemente ammesso che il paradiso non sia da
intendere secondo le nostre odierne categorie storiche come realtà
storica e geografica; tuttavia, non è sufficiente, a mio parere, deter-
minare il paradiso come beatitudine puramente spirituale. 21 Già
formalmente simili astrazioni sono estranee alla Bibbia, e oggetti-
vamente (ciò è richiesto dal tenore del racconto), anche il corpo
dell'uomo viene incluso in quello stato originario di beatitudine
espresso col paradiso. Cosl come l'oggetto formato con l'argilla dopo
l'immissione del respiro (v. 7) diventa l'unità pienamente compene-
trantesi e indivisibile, cioè l'uomo, d'ora in poi, nell'ambito biblico
è ancora sempre questa unità che viene presa in considerazione.
Per togliere qualsiasi motivo alle difficoltà di una concordanza
con i risultati delle scienze naturali cointeressate, potrebbe essere
fondato vedere il paradiso soprattutto in un'armonia profonda
della natura e dell'esistenza umana, nello stato di una integritas,
pienamente equilibrata, dell'uomo, in conseguenza di una speciale
promessa divina. La durata di questo stato speciale può a ragione
venir discussa, anzi si potrebbe postularlo come «Situazione esisten·
ziale puramente momentanea.22 e con ciò far seguire immediata-
mente all'evento della creazione la caduta del primo uomo.
In ogni caso è sommamente conforme a tutta l'economia salvi-
fica delle origini e di oggi la partecipazione di tutto l'uomo in
quanto essere spaziotemporale.23 Quindi ciò che caratterizza sostan-
zialmente il paradiso è appunto una profonda e indisturbata armonia
dell'uomo nell'ambito del creato in relazione a Dio.

bb. Alla felicità di quest'incomparabile situazione di favore, in


cui il lavoro dell'uomo era un labor probus, non improbus, appar-
tiene, per cosl dire, quale vertice la relazione di amicizia con Dio,
significata dalla grande promessa del paradiso (d. Gen. 3,8). Con

2t Cf. H. RENCKENS, op. cii., pp. 143-r 58, r7r-r8o.


zz K. Rahner in P. OvERHAGE·K. R.ulNu, Das Problem Jer Hominislllion, ciL
p. 86.
ZJ t il caso di rinviare ai mezzi di salvezza che sono i sacramenti, i quali si
attuano col pone il segno esterno, significante, che coinvolge anche il oorpo.
ESEGESI Tf.OUlGICA DI Gl!Nl!SI l·J

ciò spira sulle origini l'alito di quella completezza che secondo


Is. 25,6-8 è la meta del corso odierno della storia del mondo.
diretta verso il compimento escatologico.
Tuttavia questa promessa fatta al primo uomo non è possesso
garantito in modo assoluto, ma è implicato nt:lla sua libera decisione.
Alla libertà dell'uomo è unita la possibilità della tentazione. Affin-
ché dunque ruomo diriga rettamente la sua condotta in questa si-
tuazione, viene dato il comandamento espresso nei versetti L6 s.
Comandamento e legge non sono perciò patrimonio soltanto del-
l'uomo caduto, ma già l'uomo del paradiso è legato al comandamento
di Dio.
Qui, alle pure origini, teologicamente la cosa migliore da farsi
è forse manifestare la funzione del comando e della legge nel piano
salvifico di Dio. Il comandamento non può - nemmeno dopo la
caduta - sollevare con forza propria l'uomo alla salvezza e alla
amicizia con Dio, esso ha molto più il compito di tracciare il sen-
tiero, esso deve indicare all'uomo come può rimanere nella grazia
di Dio.24

cc. Nonostante la speciale provvidenza di Dio, che si manifesta


soprattutto nell'amoroso chinarsi verso l'uomo, la vita di Adamo è
caratterizzata dalla solitudine, che per lui non è bene (v. 18).
Per colmare tale mancanza, Dio decide di creargli un aiuto che gli
si confaccia. L'uomo ha bisogno quindi di un essere che lo aiuti;
in questa dichiarazione d'intenzione sta un fondamento assoluta-
mente realistico per la creazione della donna; se ne dà una moti-
vazione, per niente affatto romantica e non la si esalta in nessun
modo. 25 Tuttavia suscita meraviglia il fatto che il testo continua poi
con il racconto sulla creazione del mondo animale. Anche qui è
facile rilevare (ciò sia osservato di passaggio) che Gen. 2 presenta
propriamente il processo della creazione solo come una sezione.

24 Cf. in proposito in G. v. RAD, Thtologie des Alten Testaments 11, Mlinchen


196o, le interessanti osservazioni circa la legge (pp. 402-424) e l'istruttivo saggio:
'Die Problematik des Gese1zes bei Paulus', in H. SCHLIER, Der Brie/ an dit Galattr,
Gottinsen 12 1962, pp. 176-188 (trad. it., Lettera ai Galati, Paideia, Brescia).
25 Cf. G. v. RAD, Dar eme Buch Mose, p. 66.
ASSCRZIONJTEOLOGICHE 49

E infatti è assolutamente coerente che il redattore del racconto,


avendo tralasciato il mare nel suo sorgere, non dia notizia alcuna
degli animali marini.
Questo fatto singolare non può essere spiegato come se la crea·
zione degli animali fosse un primo sfortunato tentativo di chiamare
all'esistenza «l'aiuto confacente» per Adamo.2!6 Nel contesto della
formazione della donna essa serve piuttosto a porre in evidenza la
distinzione sostanziale tra donna e animale (si pensi al giudizio
sulla donna nell'antico oriente!). Questa differenza viene messa in
rilievo molto espressivamente al v. 2ob come risultato della crea-
zione degli animali. I versetti 19 e 2oa mostrano inoltre che e
come l'uomo adempie l'incarico, derivante da Gen. 1,28: il suo
dominio sul creato infraumano inizia con la conoscenza e con la
denominazione degli animali. In questo punto, per es., si palesa
apertamente che Gen. 1 presuppone e completa il secondo racconto
della creazione.
Sostanzialmente anche nelJa creazione del mondo animale si de-
ve vedere un atto della provvidenza divina per l'uomo, poiché gli
animali secondo il piano di Dio costituiscono per l'uomo un bene
di fortuna, che è di importanza per la sua vita e che gli è di
giovamento.

dd. In questo sfondo e con distanza dal mondo degli animali,


messa in evidenza, si deve dunque intendere la creazione della don-
na. Il modo di presentazione (v. 2 r ss.) è un rivestimento metafo-
rico del fatto che Dio stesso quale paraninfo conduce Eva ad Ada-
mo. La scena esprime in modo molto chiaro che la donna è pari di
rango all'uomo; che ad essa, in quanto umana, sono da riconoscere
l'identica natura e il medesimo essere come a lui; che ella ne pos·
siede lo stesso valore umano e la stessa dignità; ciò che Gen. r ,27
completa ancora asserendo che ambedue, ciascuno per sé, rappre-
sentano l'immagine di Dio.
Il v. 24 trae dal racconto la conclusione che uomo e donna nella

26 Vedi in proposito le osservazioni in H. GuNKEL, Generis, Giittingen 4 1917.


flp. TI S.

4 · Mysterium Salutis, 11/2


ESEGESI TEOLOGICA DI GENESI l·J

loro bisessualità sono ordinati al ma~imonio. Dall'esperienza pre·


sente dell'attratt:va vicendevole dei sessi l'agiografo, volgendo lo
sguardo a ritroso, per ispirazione profetica, proietta lo stretto rap-
porto esistente tra uomo e donna nel matrimonio a monte del pec-
cato originale fino al snno inizio della creazione. In contrasto con le
esperienze dcl suo tempo l'autore, al \'. 2 5, costata uhcriormen•c
che allora non c'era ancora alcuna s1:issionc nella corporalità del-
l'uomo, come c'è invece oggi; non sentiva vergogna, po:ché man-
cava il correlato del peccato. 27
Il problema, se i primi uomini siano stati creati solo come una
unica coppia, non viene posto direttamente né risolto nel racconto
della creazione; esso non è immediatamente nell'ambito d'interesse
dell'autore. Per verità il racconto et Gen. 2 s., più figurato, parla
solo di una coppia di uomini; Gen. 1 al contrario lascia aperta la
questione. 21

d. La prova del primo uomo in Gen. 3

La durata dello stato di paradiso si può sostenere sia stata piuttosto


lunga oppure anche solo come momentanea; ciò che è però decisivo
è il fatto che in esso si doveva attuare la prova del primo uomo. Il
dono più distinto fatto all'uomo consisteva nella libertà, fondata nella
sua person1lità e con ciò nella possibilità di decidersi per o contro
Dio, sulla base del comando (Gen. 2,17). Con la libertà è data pu-
re nello stesso tempo la possibilità della tentazione per l'uomo e,
in questa, la possibilità della sua decisione peccaminosa.
Ora quale nuova perso1111 dramatis ai partners del dialogo finora
visti, Dio e uomo, si aggiunge il principio demoniaco. Il fatto che
compare nelle spoglie di un serpente, cioè di un essere creato, in-
dica che non vi è alcun principio assoluto del male, posto sullo stes-
so piano con Dio, che la Bibbia quindi non conosce alcun dualismo
assoluto, ma che anche nel male, rappresentato figuratamente, scor-
ge una creatura.

ZI Cf. G. v. RAD, Dlll "su B~h Mose, p. 69.


:m Su questo problema si pronuncia particolareggia&amentc H. RENCltENS, op. cii ..
pp. 198-2o6.
ASS~llZlONITEOLOGICHI
51

Al centro di Gen. 3, sta come in Gen. 2, l'uomo; il serpente


come portatore del male rimane al margine quale principio di di-
!>Ordine. L'autore è impegnato a trattare non ciò che esso è, ma ciò
che esso fa. Gen. 3 per la sua forma è un capolavoro di psicolo-
gia .. Con intenzione l'autore pone in bocca al serpeme solo la parola
elohim, priva d'articolo, per nominare Dio. Con ciò solo è già
espresso il tentativo di Satana di distanziarsi da Dio e di rendersi
indipendente da lui ed è indicata la direzione in cui la tentazione
vuole condurre l'uomo. Il serpente inizia con una cvidcme menzogna
(d. ]o. 8,44) cd entra cosl in dialogo con la donna, la quale quindi
per la prima cosa ha occasione di prendere posizione i)er Dio. Ma
lei esagera e manifesta debolezza; ora il serpente presenta Dio come
mentitore, esso conosce tuttavia Dio meglio di quanto lo conosca
la donna, e perciò si appella alla sua curiosità e le promette una
posizione neutrale, per giudicare sopra Dio e il suo comando, e
imputa a Dio perfino intenzioni malvage. Esso fa sperare all'uomo
un sapere divino, una profonda familiarità con le cose e un domi-
nio su di esse. E cosi viene stimolato nell'uomo l'impulso all'irrag-
giungibile, all'!nfinito, l'affascinante brama di poter disporre dei
misteri che stanno al di là del campo umano.
Il serpente promette quindi una definitiva familiarità con i mi-
steri della creazione e il loro possesso e quindi uno spazio indi-
pendente da Dio e privo di Dio. Dunque l'essenza del peccato
originale consiste nel fatto che l'uomo vorrebbe diventare indipen·
dente da Dio e essere pago per tutta una vita della creatura; che l'uo-
ma, la cui fame e brama possono venir appagate solo dal Dio infi-
nito, vuole rendersi soddisfatto con il surrogato della creatura, per
procurarsi cosl per malvagia hybris un posto fuori dell'influsso di
Dio e sul suo stesso piano. Al posto della obbedienza verso Dio
vince la brama dell'autonomia personale.
Dal totale orientamento verso il mondo, nel peccato originale, sor-
ge, dopo il fatto, delusione e avvilimento. La vergogna emergente è
segno della scissione prodottasi nella propria corporalità, in rap-
porto con la creatura.
Il confronto con la colpa, richiesto da Dio, avviene in modo un
po' superbo e prepotente; l'uomo riversa la colpa sulla donna, e
52 ESEGESI TEOLOGICA DI GENESI 1·3

questa sul serpente. Tutti gli ambiti della vita umana, armoniosa-
mente ordinati, sembrano sconvolti da questo fatto.
La natura del peccato originale ha condotto a molti tentativi di
spiegazione. 29 Anche questa questione dipende in realtà dall'ampiez-
za dell'intct prctazionc simbolica data a Gen. 3, più precisamente,
Jall'ipotesi che si tratti solo di immagini di avvenimenti spirituali,
che possono venir facilmente staccati dalle immagini usate.
A mio parere, non si addice al modo di concepire ebraico, che è
molto concreto e che sta molto più vicino alle cose di quanto non
lo faccia il nostro modo di pensare, relegare troppo lontano dai
modi d'espressione figurati, le realtà intese. Con altre parole, il pec·
cato originale, a mio avviso, non è un fatto che si svolge solo nel-
l'anima dell'uomo, ma che riguarda anche il corpo. Si rratta in
esso cioè di un peccato concreto, che ha visco turto l'uomo impe·
gnato in una decisione contro Dio, come l'immagine scelta lo espri·
me in maniera eccellente (v. 6). Anche qui si deve riferirsi al piano
dell'opera salvifica di Dio, che include il corpo.
Con quanta arte sia romposto Gen. 3, risulta in modo splendido
nell'unico movimento in cui sono riferiti in ordine inverso di se-
quenza l'interrogatorio e la sentenza di condanna da parte di Dio
( vv. 8-13; J4· 19 ). Per riguardo all'uomo vengono maledetti il ser-
pente e il terreno (maledizione significa esclusione dal regno della
vita o diminuzione di essa, così come benedizione implica aumento
della forza vitale). La donna viene colpita nell'essenza della sua
maternità. tuttavia rimane la sua propensione all'uomo. Ella tende
all'uomo ed è tuttavia dominata da lui; con ciò è indicato un limi-
te naturale all'uguaglianza dell'uomo e della donna.
La punizione colpisce l'uomo con la fatica nel lavoro: dal labor
probus del paradiso si arriva al labor improbus del mondo postpara-
disiaco odierno. Come la donna viene colpita nella radice più
profonda della sua maternità, cosi l'uomo è raggiunto nel più in-
timo nerbo vitale del suo lavoro: la terra non dà spontaneamente
il prodotto, che d'ora in poi è necessario per il prolungamento della
29 Per i singoli tentativi, cf. i commentari e !<Oprattutto B. REICKE, 'The know-
ledge hidden in the Tree of Paradise', in Journal o/ Semitic Studies 1(19,6)193-201;
là si trova pure: un'~mpia indicazione della bib!iogralia.
ASSERZIONI TF.OLOGICHE

vita. Alla fine della tribolazione - questa è in realtà una disso-


nanza sulla terra - sta la morte; essa chiude la catena che la colpa
ha iniziato. La morte, in verità è in sé il destino dell'uomo, ma nel
paradiso era stata tolta, grazie al dono dell'albero della vita.
Gen. 3, 14-19 contrassegna complessivamente lo stato odierno
della vita umana sulla terra: sono turbati i campi dei rapporti del-
l'uomo con Dio, con il prossimo, con il creato infraumano. In que-
Ma sentenza di punizione è inserito con il v. 15 il cosl detto proto·
evangelo: dal momento del peccato originale nel paradiso, inimici·
zia e lotta contro la potenza demoniaca determineranno il cammi-
no dell'uomo su questa terra. Benché il genere umano sia descritto
con la parola seme di donna - espressione usata altre volte oel-
1'Antico Testamento per indicare la debolezza dell'uomo - , pur
tuttavia la lotta finisce a favore dell'umanità. Infatti le immagini
'calpestare la testa', 'colpire al calcagno' alludono inequivocabil-
mente all'esito disuguale, in favore dell'uomo.
Inimicizia e lotta con la potenia satanica contrassegneranno quin-
di d'ora in poi il cammino dell'uomo su questa terra. E al vertice
di questa lotta stanno il messia Gesù Cristo e la sua madre, Maria.
Su questa sommità la lotta, che durerà per tutto il tempo del mon-
do, si conclude definitivamente in favore dell'uomo. Così la sen-
tenza divina di punizione dell'uomo colpevole continua contempo-
raneamente la promessa di nuova salvezza, che nella nuova via sal-
vifica divina, da instaurare con Abramo, diventerà pienamente real-
tà nella pienezza dei tempi e al loro termine.
Nei vv. 20 s., viene detto infine che l'uomo dopo la caduta si
adatta al nuovo stato di esclusione dall'immediata prossimità a Dio,
anzi, che egli si rallegra della vita conservatagli temporaneamente.
E cosl è designato il fondamento sul quale l'uomo dopo li1 ca-
duta deve condurre la sua vita, una vita che, nonostante sembri
fortemente alterata in rapporto a quella paradisiaca, non è priva
della provvidenza di Dio e della luminosa promessa della vittoria
definitiva su Satana.
Riassumendo si puè1 dire: 1. Sullo sfondo delle dichiarazioni teo-
logiche di Gen. 1-3 sta la verità fondamentale: Dio è Signore e re.
Quando Israele nel corso della sua storia faceva ripetutamente la
ESEGESI TEOLOGICA DI GENESI 1·3
.54

esperienza che il suo Dio è più potente dei re e degli dèi dei popoli
confinanti, allora a poco a poco si faceva sempre più convinto che
la potenza di Dio ha la sua validità non solo nel tempo storico pre-
sente, ma che si può seguire a ritroso fino all'inizio, al momento del-
la creazione. Appunto i tre primi capitoli della Bibbia contengono
cosl le c:siiressioni più dense e forti sulla potenza divina tutto sovra-
stante. 2. Da Gen. 1-3 risulta univocamente che non Dio, ma
l'uomo porta la responsabilità per l'odierna miseria della vita ter·
rena. Il frequente venir meno nella storia all'impegno dcl popolo
eletto rispetto al suo Dio condusse, nella riflessione profetica retro-
spettiva, a ritroso fino alle origini, alla conoscenza di quella caduta
decisiva del primo uomo, sotto le cui conseguenze il genere umano
giace tutt'ora per tutto il tempo del mondo. E cosl questi capitoli
sono anche, e non in ultimo luogo, una teodicea grandiosamente
concepita, offerta dalla rivelazione.
HEINRICH GROSS

BIBLIOGRAFIA

Per la SEZ. 1 cfr. le opere indicate nelle note. Per la SEZ. n dr. parti~
larmente le seguenti:
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R. DE VAUX, 'La Gcnèsc', in Bible de Jérusalem, Paris 19.53·
CAPITOLO SETTIMO

LA CREAZIONE COME INIZIO


STABILE E INDISTRUTTIBILE DELLA SALVEZZA

Com'è stato messo in rilievo nella dottrina circa Dio, 1 le asser-


zioni teologiche riguardanti Dio in quanto soggetto ultimo della
storia salvifica son sempre contrassegnate, nel contempo, dall'espe-
rienza della condotta storico-salvifica di Dio. Qualcosa di analogo
vale ora anche per la dottrina teologica sulla creazione. Per quanto
sia giustificato porre all'inizio della considerazione delle opera Dei
ad extra le asserzioni circa Dio in quanto creatore, si deve tuttavia
osservare che il concetto di creazione si raggiunge pienamente solo
quando questa è compresa quale presupposto necessario della sto-
ria della salvezza, muovendo da quest'ultima. In tale senso si parla
in questo capitolo della creazione come inizio stabile e indistrutti-
bile della salvezza.
La prima sezione sviluppa le asserzioni biblico-teologiche fonda-
mentali, alle quali appartiene essenzialmente il tema neotestamen-
tario della creazione in Cristo, senza del quale rimarrebbe scono·
sciuto il fondamento teologico ultimo della creazione ed il suo
scopo.
Nella seconda sezione si sviluppa ulteriormente la tematica, ap-
profondendo le questioni classiche della teologia sulla creazione,
nella prospettiva della ~toria salvifica.
La questione che qui nasce del rapporto tra la coppia di concetti
creazione-alleanza e quella dei concetti di natura e grazia, posti
formalmente in modo simile, viene discussa nella sezione terza del-
lo stesso capitolo.

1 Cf. Mystc·rium Sa/ulis 11/1, pp. 9 ss.


SEZIONE PRIMA

L'ASSERZIONE BIBLICA FONDAMENTALE

I. La creazione quale presupposto dell'alleanza


nel/'Antico T es/amento

La dottrina della creazione, che ha come soggetto l'inizio posto da


Dio del mondo e dell'uomo, sembra precedere in maniera del tutto
logica, nel primo articolo del Credo, l'annuncio dell'incarnazione
di Dio in Gesù Cristo e della salvezza destinata così a tutti gli uo-
mini. A questa logica della fede, corrisponde il fotto che la Scrit-
tura dell'Antico Testamento inizia con il rilievo fondamentale e
universale dato ai testi della creazione. Tuttavia questa prospettiva,
presa in se stessa, è troppo esclusivamente cronologica. Infatti la
fede dell'antico e del nuovo popolo di Dio circa la creazione vien
piuttosto avvolta e penetrata dall'esperienza dell'alleanza di Dio con
Israele, la quale raggiunge la sua pienezza definitiva ad opera di
Gesù Cristo. L'economia della salvezza non sta solamente in rap-
porto esterno di successione cronologica con la creazione, in quanto
questa prepara la scena del mondo per il suo ingresso. Come a
proposito della sorte di un uomo e di un popolo si dice che essa è
iniziata con un determinato evento (pieno di promesse o soprattutto,
come nel nostro caso, gravido di conseguenze), così, in questo senso
più profondo, la storia salvifica ha preso inizio con la creazione.
Questa collocazione non diminuisce l'importanza teologica della
dottrina sulla creazione, bensì l'accresce, anzi la fonda: una crea-
zione, avulsa dalla sua funzione nell'economia della salvezza e trat-
tata puramente come capitolo filosofico, non potrebbe appartenere,
se non accidentalmente, alla teologia, forse quale appendice al trat-
tato sugli angeli! Il primo articolo del Credo non costituisce una
specie di 'atrio dei gentili', un terreno d'incontro con la filosofia
universale (o con ciò che si ritiene tale). Di fatto il rapporto di
60 ASSERZIONE BIBLICA FONDAMENTALE

creazione e salvezza, cui si è accennato, viene attestato dal modo


con cui s'è formata la fede veterotestamentaria circa la creazione
e che sta dietro la redazione dei primi capitoli del Genesi.
Solo relativamente tardi fu assegnata ai testi della creazione la
rnllocazionc all'inizio delle notizie primordiali della rivelazione: lo
scritto san·1Jotal~. wi ~•ppartiene Gen. 1-2,4a, non s'è formato
prima dell'epoca dell'esilio babilonese; lo jahvista redasse la sua
opera narrativa, da cui proviene Gen. 2,4b-25, probabilmente nel·
la prima epoca dci re (la fonte elohista più antica incomincia ap-
pena con la storia dci patriarchi in Gen. I 5 ). Ciò però non esclude
che tutti e due i testi attingano materiale a tradizioni assai antiche.••
Anche altre testimonianze della Scrittura rimandano molto indie-
tro.1 GiÌI l'antico Israele non potè sottrarvisi: esso dovette confron-
tarsi con i miti circa le creazione, assai proliferi nel suo ambiente
c.:ananeo. Però la fede nella creazione venuta fuori dal simbolismo
mitico ottenne il suo 'luogo' teologico solo quando giunse nell'am-
hiw sacro dell'esperienza dell'alleanza.
L'interesse centrale d'Israele non mira, come il pensiero greco, a
una conoscenza razionale del mondo nella ricerca di un principio
unitario della natura cosmica universale: esso s'immerge nelle pro-
prie tradizioni storiche che interpreta, muovendo da ben determi-
nati prodigi di Dio.
Al centro stanno l'esodo liberacorc dall'Egitto ad tJpcra del Dio
Jahvé, esaltato dalla primitiva confessione di fede d'Israele,) la con-
quista della terra promessa e la costituzione in popolo ad essa col-
legate. L'avvenimento storico fondamentale di questa liberazione,
rafforzata da Jahvé con l'alleanza conclusa con Israele, ha
messo le basi per l'attaccamento permanente dcl popolo al suo
Dil>.
La coscienza profondamente radicata <li questo legame d'alleanza

la W. Eic11ROU1", l"bco/011.i<' der Al" 11, Berlin 31950, p. 47; G v. RAD, Theologie
des AT 1, Miinchl·n ·11961 (qui cirnio. G. v. RAD 1), p. 37 nota n; cf. sopra H.Gross,
pp. 32 ss.
2 Per es. Ge11. 14,19.22; / R<'ll.· 8,12 (lesto correuo); Ps. 8; 19; 24; 46; 89,11; 104.
3 Deut. 26,,.9. Cf. Ios. 24,16-18.J·15; Ex. 20,2; I Snm. 12,6: Ier. 16,4; 31,2; <»-.
2,17; 11,1; 13,4. Sull'impor1nnza della tradizione dell'Esodo vedi: H. LuasCZYK,
Der Auszug au.r Ji.1o•plen, Lcipl-ÌR 1963
ANTICO TESTAMENTO 61

dovette cristallizzarsi in sempre nuove attualizzazioni, specialmente


nel culto, in un sottomettersi, colto e riconosciuto di continuo con
rinnovata gratitudine, alla potenza d'alleanza di Jahvé, alle sue
azioni di forza e di grazia. Cosl la confessione primordiale per
Jahvé, che ha liberato Israele dalla schiavitù dell'Egitto (Ex. 20,2)
si è progressivamente sviluppata sopra diverse correnti della tradi-
zione, le singole tradizioni di elezione delle tribù d'Israele, nella
storia delle stipulazioni di alleanza, che abbracciano parecchi secoli:
alleanza del Sinai di Jahvé con Israele mediante Mosè, preceduta
da quella con Abramo (e già con Noè) e seguita da quella con il
re David (e anche con il sacerdozio levitico).
Ma con ciò il cammino «delle azioni storiche di Jahvé, fondanti
la comunità», che divennero le «antiche basi storiche canoniche»
di Israele,4 non ha ancor trovato il suo primo inizio e nemmeno il
suo termine ultimo. Per la fede d'Israele la rivelazione storica con·
creta di Jahvé, fondante l'alleanza, si è spinta fino all'opera divina
iniziale della creazione del mondo e l'ha accomunata alle disposi-
zioni che nell'insieme si definiscono 'alleanza', riferendola ad esse
quale presupposto.
Condizioni di tale processo di fede si lasciano presumibilmente
scoprire nella situazione storica del popolo di Jahvé, in cui furono
rcdam i testi di Gen. 1- 3 circa la creazione. E lecito vedere Jahvé,
il Signore della storia, assumere anche il ruolo di Baal, dio cananeo
della natura, quale autore di 1utta la fecondità naturale? ~ lecito
dare all'ascesa politica del regno davidico-salomonico lln rilievo
ideologico universale legando la storia di Israele a quella del mondo?
f=. nella tribolazione e nella costatazione della sua estrema impoten-
za che Israele esiliato gettò la sua fede in Jahvé, la cui azione
neatricc ha fondato e sigillato il suo potere sopra tutte le potenze
"tranierc nemiche di Israele? O ancora, mentre i profeti collocavano
1.1 loro speranza in una nuova alleanza, la coscienza della tradi-

zione sacerdotale cercò di riconfermare le antiche promesse, appa-


ren1cmen1c infrante, integrandole nell'ambiro ampio, indistruttibile
della rreazione? Cosicché la fede nella creazione non sarebbe che

' (; \'. KAn, Tb ..o/oJl.I<' ,/,._. AT 11, Miiiu·hcn 11160, p. 1 lii.


ASSEllZIONf BIBLIC:A rn.... ll.\MENT•l.I

l'ultima àncora di salvezza d'una fede nella redenzione che stava scom-
parendo? Un segno di promessa sopra il resto di Israele in esilio,
paragonabile al segno d'alleanza dell'arcobaleno sopra il resto soprav-
vissuto al diluvio?
In qualunque modo si possano prendere queste ipotesi Ji moti-
vazione: la fede della creazione è un punto di arrivo piuttosto che
un punto di partenza nell'insieme della fede di Israele in Jahvé, suo
Dio dell'alleanza. L'esperienza della sua storia e specialmente la pro-
va del divario tra promessa e suo compimento sempre difficile, per-
fino annullato, hanno svegliato Israele alla fede fiduciosa in Dio, che
possiede il dominio illimitato, e fin dagli inizi, sui destini dei sin-
goli popoli e delle loro vuote divinità insieme con tutto il mondo
della natura. Se non fosse cosl, come mai Jahvé avrebbe potuto
scegliersi questo popolo fra tutti gli altri e condurlo senza inganno
alla sua salvezza? Egli lo poté: «Perché mia è tutta la terra!».i
Nell'elezione di Israele per l'alleanza sono incluse la regalità di Jahvé
sul mondo e la sua potenza creatrice. La fede nella creazione è un
aspetto intrinseco dell'autocompimetnto della fede dell'alleanza,
della sua autointerpretazione coerente.
Il rapporto fondamentale alleanza-creazione ha trovato la sua
espressione - confermando la discussione generale - fin nella for-
ma del testo, nella struttura e nei tratti particolari delle testimo-
nianze vetero-testamentarie sulla creazione.
In modo speciale il racconto ;ahvistico della creawne è profon-
damente contrassegnato dalla coscienza di fede di Israele nella
alleanza con Jahvé.

L"alleanza' fu per lungo tempo, in seguito alle teorie di WELLHAU-


SEN, deprezzata come idea tardiva della concezione giudaica legalisti-
ca: l'esperienza dell'esilio d'esser abbandonati da Jahvé, sarebbe
stata spiegata in una teodicea apologetica mediante la rottura colpevole
di un'alleanza proiettata indietro nel tempo. Tuttavia la fede dell'allean-
za d'Israele era inserita nell'antica vita cultuale e legislativa d'Israe-
le - come mostrarono fin dal 1920 S. MowINCKEL, M. NOTH, A.
ALT, A. WEJSER, G. v. RAD; essa trovò espressione istituzionale so-
pratruno nella festa della rinnovazione dell'alleanza, che rinvia al

l Ex. 19,,; cf. Dt11t. 10,14 •.; 7,6-10; Am. 3,2.


ANTICO TESTAMENTO

patto delle dodici tribù dell'epoca anteriore a1 re; anche al santuario


centrale in Sichem sarebbe stato collegato con la tradizione del Sinai,
la quale non può risalire che allo stesso Mosè. In antitesi con l'inter-
pretazione precedente, l'alleanza originaria (intesa erroneamente in mo-
do legale solo con l'esilio) prendeva ora il significato di una promessa
puramente gratuita di Jahvé, quale offerta d'associazione non-contrat-
tuale. Nuove indagini portarono, dopo il r954, una comprensione più
ampia del patto di alleanza sul Sinai e dell'alleanza di Jahvé con Israele
in genere. 6 Il loro risultato: quest'alleanza è un'istituzione assai antica,
che si spinge proprio fin al tempo di Mosè, e che precisamente fin dal-
1'inizio aveva c;arattere di contratto. Essa è foncmente appoggiata a
precise formule del diritto internazionale nell'Antico Oriente.
Valgono come tipici i testi di contratti (di Bogazkoi, Ras Samra, Se-
fire, Nimrud; xiv /xn sec.) mediante cui i grandi re ittiti si associa-
vano ai re dell'Asia Minore, della Siria e della Mesopotamia. Questi
trattati di vassallaggio hanno la seguente struttura: 1.· Autoprcsenta-
zione del grande re, con nome e titoli; 2. preambolo storico, nel con-
tempo la spina dorsale giuridica dell'insieme: la storia dei rapporti tra i
due stati, soprattutto l'enumerazione delle gesta non dovute, magna-
nime, che il grande re ha compiuto per il vassallo, che ha potuto essere
perfino infedele; 3. fissazione degli oneri contrattuali generali e partico-
lari del vassallo; 4. invocazione degli dèi, come garanti dcl con·
tratto, con minaccia di maledizione o con promessa di benedizioni. Da
ultimo, nessun trattato senza documento scritto, da depositare nei san-
tuari principali dci soci dcl trattato; farne lettura in pubblico con rego-
lare frequenza era dovere del vassallo.
Il cfonnulario dell'alleanza» ebbe un innegabile influsso sui racconti
dell'alleanza dell'Antico Testamento. L'offerta dell'alleanza in Ex. 19,4·
6 mostra la triplice divisione: storia ( = 2), oneri ( = 3 ), benedizione
(= 4). L'autentica stipulazione dell'alleanza (Ex. 20,1 ss.) incomincia:
=
e Io sono Jahvé, tuo Dio ( 1 ), che ti ho fatto uscire dal paese d'Egit·
=
to, da una casa di schiavitù ( 1 ): non avrai altri dèi di fronte a mc.
Non ti farai idolo ... • ( = 3): dichiarazione fondamentale e singoli oh-

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ASSl;RZJONE BIBLICA FONDAMENTALE

blighi. Il libro del De:1tero11omio è .costniito complessivamente sullo


schema dell'alle;:nza, parimenti singoli brani, come Deut. 6,10-19.20-25;
forse il Pentateuco è, nell'insieme, uno sviluppo dei due elementi fon.
damentali dell'alleallza, cioè della storia e della legge. Nel modo più
palese il ra-::conto del rinnovamento dell'alleanza dopo la conquista
della terra promessa in los. 24 segue il formulario dell'alleanza: 1. No-
me e titoli ( ·:. 2 ); 2. La storia <lelLi hr11evob chiamata di Abramo.
della prodigiosa liberazione dall'Egitto, della vittoria fino alla conquista
della ricca regione ... (vv. 3-13); 3. Il fondamentale onere dell'alleanza:
servizio esclusivo di Jahvé (vv. q-18); 4. Minaccia di castigo e chia-
mata dei testi (vv. 19-24 ); da ultimo fissazione per iscritto ed erezione
di un monumento dell'alleanza (vv. 25-27). Fu una prestazione teologica
d'Israele l'aver elevato, grazie all'esperienz::i della condona storica di
Jahvé, il trattato di vassallaegio dell'antico oriente a strumento di
interpretazione della sua alleanza con Dio.

La nozione dell'alleanza ora presentata - come di un impegno di


fedeltà fondato da benefici grandiosi e gratuiti, vincolato mediante
sanzioni solenni - consente di riconoscere lo schema della stipula-
zione dell'alleanza nel racconto jahvista della creazione di Gen. 2,4-
16. Come Jahvé strappò fuori Israele dalla terra straniera dell'E-
gitto per la sua salvezza e lo condusse attraverso il deserto alla
meravigliosa terra di Canaan e ivi lo fece abitare - cosl Jahvé ha
creato l'uomo sulla terra, arid.a come il deserto ( vv. 1-7 ), lo ha
'preso' e lo ha trasferito nel giardino meraviglioso piantato da
Jahvé, perché vi si trovasse a suo agio (vv. 8 s.). La potente e be-
nevola premura del Signore dell'alleanza e della creazione! Come
Jahvé impose al popolo di Israele i suoi impegni dell'alleanza, fon-
dati nell'unico comandamento-base di Ex. 20,3 - cosl egli ha po-
sto l'uomo nell' 'Eden' con un decisivo comandamento di fedeltà
(vv. 15-17a). Come da Jahvé era stata promessa per il servizio fe-
dele una benedizione vivificante, mentre alla violazione infedele era
minacciata maledizione mortale (p. es. los. 24,20; Deut. 6,15;
30,15-20; Am. 5,14 s.) - cosl alla trasgressione del comando del
paradiso è minacciata la sanzione punitiva « ... dal giorno in cui tu
ne mangerai, dovrai morire!» (v. 17b), mentre l'ubbidienza vien
premiata con vita felicemente duratura· (cf. Gen. 2,9 con 3,24).
sebbene il rapporto di Dio con il primo uomo non venga mai
ANTICO TESTAMENTO

chiamato alleanza, tuttavia la fondazione originaria di questa comu-


nione: ad opera di Jahvé, la ~ui preistoria comincia con il dono del-
l'esistenza all'uomo, fu interpretata muovendo dal modello della
alleanza. 7 Se: mediante l'immagine dell'alle3nza le gesta di Jahvé ven·
gon portate nell'ambito della storia terrena (in un modo che pone
una certa problematica 'I. l'applicazione di questa tigura all'opera crea-
trice di Jahvé, unica, sovranamente libera, fondante l'umanità e il
mondo, poteva condurre a non dimenticare nemmeno nella sua asso·
dazione d'alleanza con il popolo d'Israele la trascendenza di Jahvé,
che abbraccia tutta la storia terrena.
Come la forma, così pure il contenuto della narrazione jahvi-
stica di Gen. 2 s., è orientato pienamente in modo storico-salvifi-
co: esso descrive il primo uomo nella sua originaria comunione
di salvezza con Dio, che è il presupposto per la sua caduta nella
rovina imputabile a lui stesso, e presenta il duplice motivo divi·
no e umano dell'esperienza che Israele fa della sua sorte nella gioia
e nella tristezza, tra la salvezza e la perdizione.
Anche il /es/o sulla creazione proprio del codice sacerdotale
( = Pl è messo in rapporto con la storia della salvezza. L'istan-
za di P è il culto, il quale rende nuovamente presenti a
Israele le storiche gesta salvifiche di Jahvé. Le feste della
natura, le cui tracce sopravvivono nei riti celebrativi, prendo-
no nuovo significato storico; la prova più evidente di questa ten-
denza storicizzante è la festa della Pasqua. 9
Il culto e le sue feste poterono 'istoricizzare' la natura, perché
già la creazione della natura era intesa in modo storico: Jahvé non
è per nulla una divinità della natura, soggetto agli alti e bassi dcl

1 Cf. L. AwNso-ScttOKEL. 'Mo1ivos sapienci1lcs y dc alian1.a cn Gn 2·3', in Bihl. 43


( 1962) 295-JI6.
I a. N. 1.oHFINK, 'Die Wandlung des Bundcsbegriffs im Buch Dcuteronomium',
in Goti i11 Welt 1, pp. 423-444, 428 s. Un simile aprini, 'superarsi' dell'alleanza
\•erso l'azione del Dio creatore sembra esser p~nte anche in Deut. 101 14 s.: d.
ibid., 432-436.
• Cf. E. Kutsch, in RGG 3i1, 910-917 !Ibid .. bibliogr. meno recmre a cura di
M. No1h del 1928 e di A. WeiSCI del 1931); O. WEllER, Grr111tll•ge11 Jer Do&fffdlilt
1. Neukirchen 21959, p. 112 s.

5 · ,\l_vstrrium Salutis. 11/2


ASSERZIONE BIBLICA J'ONDAMl!NTAU:

tempo, del giorno e degli anni, bensì. è il Signore libero dell'opera


creatrice che ha avuto inizio un tempo. Il rapporto generico: culto-
storia-creazione si concretizza nella presentazione della creazione in P:
la sua chiave di volta è il sabato. Il sabato è la festa normale
dcl culto; esso rappresenta per l'antica tradizione sacerdotale l'unico
L"omandamento fondamentale dato alla comunità del Sinai (Ex. 31,12-
17), il monumento dell'alleanza dell'evento del Sinai (Ex. 31,13,17),
chiamato precisamente, per abbreviazione, 'alleanza' (Ex. 31,16).
La santificazione dcl sabato, per P legge fondamentale del culto e
dell'alleanza in Israele, riceve una sanzione radicale retrospettiva
nel testo della creazione di Gen. 1 ,2·2,4a, stilizzato artisticamente
su di essa. L'opera dei sei giorni della creazione viene conclusa con
i! riposo di Dio nel settimo giorno, modello vincolante per qual-
!>iasi celebrazione delle gesta di Dio. Per potere restare fedele a
questo schema, P ha ristretto in sei giorni otto opere della creazione,
che probabilmente furon prese da una più antica tradizione (cf. Gen.
1 ,9-13.24-31 ). Il pensiero cultuale storico-salvifico del sabato domina
tutto il racconto della creazione. Ora il comandamento sinaitico del
sabato può trovare nell'opera di sette giorni della creazione (Ex
20,11 ), un fondamento che risale più in su, anteriore alla libera·
zione dall'Egitto, che serve da fondamento storico comune a tutti i
comandamenti (Ex. 20,2 ). 10 Appaiono chiaramente il legame fra la
'storia delle origini' dell'umanità, della creazione, la storia del po-
polo, che si concreta nell'alleanza, e la riconoscente, solenne ripresen-
tazione di ambedue nel culto. 11
~ certo eccessivo definire il codice sacerdotale (P) come il 'li-
bro delle quattro alleanze', 12 ma innegabilmente esso ahbov.a uno

ID Cf. E. Die tbeolog11che BegriinJunt. des S11bb11tgebotes im AT, Ziirich


}ENNI,
1956. Un diverso rapporto liturgico in Gen. 1: vedi sopra H. Gaoss (p. 31 s.). La
teologia giudaica tardiva ha fano rilevare la corrispondenza tra le dieci parole della
creazione e i dieci comandamenti dell'allcan7.a. Per ulteriori particolarità, ad es.
su luce-tenebra, quali 'ropoi' s1orico-sah·ifici: E. BEAUCAM:>, La Bible et le uns rdi·
gie11x de 1'1mil ar. C.oll. «Lectio divino 25, Paris 1959, pp. 117-132; TH. MAER·
TENS, Les sepl iorm (Gen l ), Bruges Y951.
11 G. v. RAD 1, p. 233: .p vuol mostrare nella maniera più solenne che il culro
formatosi storicamente nel popolo d'Israele è il fine della formazione del mondo
e del suo sviluppo. Già la creazione è stata ordinata per Israele a ques10 scop<••.
12 Cosi ]. Wellhausen. Cf. W. ZIMMERU, 'Sinaibund und Abrahambund', in
ANTICO Tl!STAMENTll

schema di quattro periodi in cui la creazione, il patto con Noè (Gen.


6-9 in parte) e l'alleanza con Abramo (Gen. 17) servono di prepara-
zione e conducono alla promulgazione della legge del Sinai (Ex. 6,
sviluppato in ampi brani di Ex .. Lev. e Num. ). Con ci(> la creazione
viene inserita nell'ambito storico di qllanto Jahvé ha fatto per il suo
popolo con l'alleanza. «Essa si trova come la prima delle opere di
Jahvé al primo inizio, ma non sta da sola, altre opere seguono»."
Questo 'essere-nel-tempo' vien messo in risalto con il designare
esattamente secondo i giorni, lo svolgi_mt!nto temporale ddla pre-
sentazione della creazione. Essa diviene cosl parte integrante di un
disegno storico contrassegnato da numeri e date. L'avvenimento
della creazione è determinato da una struttura di parole, di co-
mandi, di disposizioni di Dio: questa è la maniera con cui Dio
guida la sorte d'Israele. L'onnipotente «Dio disse» (Gen. L,.6.9.
11.14.20.24.26.28 s.) è formula autentica della promulgazione del-
la legge da parte di Dio, com'è anche quella delle sue comunica-
zioni profetiche. Anche il giudizio che ritma i testi del Genesi. che
cioè le opere di Dio di quel giorno sono «un bene» e - ri~ardu
all'uomo - «un grande bene», viene dall'esperienza che lddin di
Israele, come s'è mostrato soprattutto nell'esodo dall'Egitto, ha
pienamente il potere di disporre su luce e tenebre, terra e mare, i
quali tutti non sono potenze demoniache maligne. 14 La formula
toledot, che chiude il racconto della narrazione (Gen. 2,4a: lette-
ralmente: «Queste sono le generazioni del cielo e della terra ... »)
collega espressamente l'inizio storico cosmico della creazione con
l'albero genealogico che conduce fino ai padri dell'alleanza, Noè
ed Abramo (Gen. 5.10.11,to-27).

Il doppio accordo, alleanza-creazione. che i 1esti della creazione di Gen.


l e 2 hanno introdotto, trova ancora diversa eco nei primi libri dcli' An-
tico Testamento. Secondo il racc••nto dell'alleanza di Noè, che è pa
trimonio di P. il diluvio, qualt. movimento contrario alla creazione"

Gollt'5 06enb11rw111,. Miinchcn 1<)63, pp. 205-216; inohre G. v. RAD t, pp. 139, 2n
nota 95; D. J. McC.AitTHY, 'Thn.-e Covenants in Cicn.-sis', in CBQ 26 I t!}6.f) 179'18y.
13 G. V. RAD T, p. 143.
1-1 L LEGHND, 'La ctéacion, triomphe cosmique de Jahvé', in NRT 83 ( 1961)
449-470, 465.
68 ASSERZlONli BIBLICA FONDAMENTALE

aveva fatto straripare di nuovo le acqu~ primordiali. Ora Dio stabili-


sce nuovamente la creazione nella sua consistenza più sicura. L'ordine
naturale del monclo vale come nuova fondazione di doni. L'alleanza
divina con promessa solenne di validità eterna viene estesa al di là
d'Israele a tulta l'umanità, l'insieme dello svolgimento della storia
viene vis10 in un disegno vasto, muovendo dall'idea dell'a!!eanza. An
che molti pariicolari nel racconto di Noè rinvia:10 al testo della crea-
zione di Ge11. 1: il compito di fecondità rinnovato in varie maniere
(Gen. 8,17; 9 1 1.7), la rinnovata assegnazione della natura come cam-
po di dominio dell'uomo e per suo nutrimento ( Gen. 9.2 s. che ora v; in·
elude anche gli 11nimali, con un richiamo e una rettifica di Gen. 1,29), la
fondazione dell'intangibilità della vita umana mediante la somiglianza
'' Dio (Gen. 9 16). L'alleanza di Noè ha carattere di creazione e di
nuova-creazione. Nel contempo, per contraccolpo a tale interpretazione,
quella tendenza alla storicizzazione, che è caratteristica della religiosità
di Israele, raggiunge l'azione che era e rimase fondamentale per ogni
storia dei popoli e per ogni stato di natura: la stessa azione creatrice.
Nel «testo di collegamento» di Gen. 12,1-3 15 la promessa universale ad
Abramo «in te si diranno benedette tutte le tribù della terra» unisce
nello stesso tempo la storia dell'alleanza di Jahvé con Abramo e
Israele (con anticipazione del compimento della salvezza riguardante
tutti i popoli) con l'epoca primordiale della creazione incorrotta e delle
sorti, fin allora miserande, di tutte le schiatte umane: L"uhima prospct·
tiva della creazione del mondo ad opera di Jahvé. il Dio tri._, ,)" di
Israele, apre la possibilità di ricondurre l'umanità disgregata ad una
nuova, più profonda unione sulla via che passa per Israele; su questa
via la presa di posizione per quell'unico popolo decide della benedizio-
ne e della maledizione, della salvezza e della perdizione di tutti gli al-
tri popoli. La promessa di benedizione fatta ad Abramo come la scelta
di Israele per l'alleanza ha come suo presupposto intrinseco la sovra-
nità di Jahvè sui popoli e sul mondo.
Il principio fondamentale per l'alleanza di Israele con Jahvé cNon
avrai altri dèi di fronte a me• (cioè per la venerazione nel culto, Ex.
20,3) ha il suo fondamento ultimo, insieme con il motivo più recente
storico-vitale della liberazione dall'Egitto e propriamente formativo
della coscienza, nella creazione ad opera dell'uno ed unico Dio, Jahvé,
di tutte quelle realtà cosmiche come sole, luna, che venivano venerate
dalla religione naturale cananea come potenze divine. La confessione
della sovranità del Dio tribale Jahvé su tutto il mondo trovò un'espres-

15 a. Gen. 22,1; s.; 26,.J; 2;,29. Su Gen. 12,1-3: W. WoLFF, 'Das Kerygma dcs
Jabwisrcn', in fa,f 24 ( 1<)64) 73-98; J. ScHllEINU, 'Scgcn fiir die Vollrer und dic
Verbeissung and die Vater', in BZ (NF) 7 (1962), 1-31.
ANTICO TESTAMENTO

sione particolare nel fatto che Jahvé, il quale esige d'esser onorato dal
suo popolo d'Israele nella più stretta esclusività, assegna agli nitri po·
poli appunto quelle potenze cosmiche e quelle forze della natura
create da lui, come divinità cultuali (Deut. 4,19b; d., la disposizione
inversa di Dl't1/. 4,16-19a rispetto a Gt'11. 1,14-27; inoltre: Deul. 32,8 s.; 16
29; 26; Ps. 29,82; Job 38). Gen. 1, che è stato Jefinito come «inter·
pretazione dossologica del primo comandamento di Ex. 20,2 s ... ,17 sta
in un grandioso contesto di storia della salvezza e della perdizione per
una riflessione fondamentale sulla n;i:ura della religione.

L'unico scritto del!' Antico Testamento, all'infuori del libro del


Genesi, che ponga le asserzioni circa la creazione in un disegno teo-
logico unitario è la profezia del Deutcro-Isaia. Qui la concezione
storico-salvifica dell'opera della creazione risalta nel modo più po-
tente e marcato. La situazione di ls. 40-n, è quella dell'esilio. Nel
confronto con lo strapotere opprimente di un impero mondiale il
richiamo a Jahvé doveva prender le mosse da più lontano e andar
più in profondità di quanto poteva esser stato necessario fin allora.
La fede nella creazione, attualizzata ora in una misura mai raggiunta
prima, gena il ponte fra l'opera primordiale di Jahvé, la creazione
del mondo, e la manifestazione della sua potenza salvifica, operata
nel presente, contro gli apparenti padroni della storia, nemici d'Israele
(40,12-31; 44,21-28; 45,9-13; 48,12-15). «E ora cosl dice Jahvé,
che ti ha creato, o Giacobbe, che ti ha plasmato, o Israele: - Non
temere, perché ti ho riscattato, ti ho chiamato per nome: tu mi
appartieni. Dovessi tu camminare sull'acqua, sarei con te ... • (ls.
43,1 s.; cf. 42,5 s.; 44,2). Nell'azione universale creatrice di Dio
vien messo in risalto lo scopo della sua volontà amorosa che elesse
il popolo di Jahvé, Israele. Le asserzioni «Jahvé ha creato Israele•
16 Il 1es10 mK'nda10 secondo i Settanta e Qumran suona: •Quando l'Altissimo
assegnò alle nazioni il loro possedimento, quando egli divise i ligli degli uomini,
11lora egli 6ssò i confini della 1err1 secondo il numero delle divinità; ma la parte
di Jahvé ~ il •uo popolo, Giacobbe la soMe della sua proprietà•. a. G. V. RAD I,
p. 143 nota 4· Gli elementi del mondo di Deut. 4,16-19 Cristo li ha detronizzati dal
loro dominio sui popoli del mondo. In 1 Cor. 1,,J9-41 essi vengono nominati nel
numero pieno di sene, precisamente nella serie inveru della Genesi; Ronr. 1,23 li
riduce I quattro (riferimen10 di N. Kehl, lnnsbruck; 2,.z.1963) a. anche in G.r.
4,3-,.9 s. il nesw tra la servitù sono gli elementi del mondo e la schiavitù sotto
la lege.
17 G. GLOEGF., in RGGJ v, 148,.
"SSRl!7.IONP. 81111.IC:A FONDAM~N1"UE.

e «Jahvé ha eletto Israele» diventano e4uivalenti per significato (cf.


44,1 s.). ls. H.5 rivela la ragione ultima del perché la salvezza è as-
sicurata: «Poiché il tuo sposo è il creatore, ... tuo redentore è il Santo
d'Israele, ì: chh1ma10 'Dio di tutta la terra'». La vocazione: dell'ebed
di Jahvé, dopo un'asserzione di grande portata drca la creazione,
dà un'analoga garanzia di salvezza che va al di là delle frontiere: di
Israele: «lo, Jahvé, ti ho chiamato nella giustizia, ti ho preso per ma-
no; ti ho formato e stabilito alleanza del popolo, luce per le nazio-
ni. .. » (42,6). L'allontanamento delle acque primordiali al mattino del-
la creazione ci porta immediatamente al prodigio della liberazione
,lall'Egiuo al m1m.· <lei giunchi: «perch~ vi passasst"ro i redenti»
( 51,9 s.). t un'unica azione di Jahvé che agisce dal primo inizio e
ndla storia fino ad ora, oggi e nella prossimità del futuro appor-
:.11ore di salvezza a dimensioni cosmiche: un solo insieme storico
della drammatica azione salvifica di Dio. «Non è pensabile una pii1
perfetta fusione della fede nella cre:izione e nella salvezza». 18 Que·
sta acutizzazione e yuesto inserimento dell'evcn10 della creazione
nella direzione storico-salvifica costituisce la novità caratteristica nel
Deu/ero-1 saia.

Anche l'uso del termine tecnico per la creazione primordiale bari' (-


istruttivo nel Dt·utero-fo1ìa ls . .n,1.1; (d. DN1/. ~1.6) designa con
biirii', per la prima ·1olta nell'Antico Testamento, b formazione del po-
pulu d'Israele. Il termine creazione si applica Jltc: manifestazioni direr
tamente storico-salvifiche dcllJ potenza di Jahvé, spt."Cialmcnte per Li
~alvezza che verrà per liberare Israele oppresso (.p .20: -H.7; 45,8.
~8.7 ). La parola indica in prima linea la novità inaudita. che Dio attua nel-
!;• storia, salvando il suo popolo: e solo dopo indici I.1 rrc:aziunc alle ori-
gini. Sl, tutti quei passi, senza eccezioni, in cui b:ir:i' semhra doversi
riferire in modo puramente retrospettivo ;1lla ncaziunc originaria delle
stelle, dei confini della terra, dell'uomo, ecc., stanno di fatto in un
contesto storico-salvifico. Essi sono testimonianze:, danno garanzia della
illimitata potenza di Jahvé rispetto a tutte le potenze della tt:rra: P<!f la
liberazione di Israele un tempo e adesso e per l'attuazione della sua
salvezza futura (40,26.28; ..1.5; 45,7.18; 54,16). 19

Il R. REHDTORFF, 'Die thcologische Scellung Jcs Scho11fun11siel~ul>e11• lici Deuce-


rojesaias', in ZTK '1 (
1954) 3-1 po. Cf. L. LEGRASD, op. cii., p . .f6•.
"' P HuMBEKT, 'Emplui et porté.: du verbc bàrli (crécr) dans l'Amicn Testa-
ANTICO TESTAMBNTO il

La prospettiva salvifica della creazione del Deutero-Isaia non è sen-


za paralleli negli altri scritti profetici. Amos (4,12 s.; 5,8 s.; 9,5-7)
scorge nella potenza creatrice di Jahvé la prova radicale del suo po-
tere su Israele e sugli altri popoli. Malachia (2,10) stabilisce l'esi-
genza di fedeltà all'alleanza sul fatto che il popolo d'Israele è staro
creato. Per i grane.li profeti l'azione creatrice di Jahv~ l.· il fonda-
mento della fiducia di salvezza nell'oppressione da pam· delle nil-
zioni e dei loro dèi. «}ahvé degli eserciti, Dio d'lsradc, che siedi
sui Cherubini, tu solo sei Dio per tutti i regni della terra; tu hai
fatto i cicli e la terra. Porgi, Jahvé, il mo orecchio e ascolta ... »
(ls. 37,16). «Cosl dice Jahvé: - Se non c'è una mia alleanza wl
giorno e con la none, se io non ho stabilito le leggi Jcl l·ieln e
della terra, ho rigettato pure la progenie di Giacobbe e di J),l\'id.
mio servo ... Poiché io cambierò la loro sorte e avrò pietà Ji loro».
(ler. 33,25 s.; d. 10,16; 27,5; 32,ti). Già Geremia ha svelato an-
che la dimensione salvifica del futuro; egli promette la creaziont:
(biri') di una nuova realtà (31,22) che è la nuova, eterna alleanza
(31,31-34; 32,37-42). Ezechiele (36,35; 47,1-12) e il Trito-Isaia
(triplice barà'; ls. 65,17 s.; 66,22, cl. 60,2, 51,3) caratterizzano
mediante la scelta del loro mezzo di espressione, contrassegnato
da Gen. 1 s., la formazione del cielo nuovo e della terra come ini-
zio di un nuovo mattino della creazione. La creazione diviene mo-
Jello del futuro evento salvifico; le immagini che adoperano dann<>
11le loro espressioni peso e splendore di eternità. Epoca delle origini
e tempo Jdla fine si corrispondono vicendevolmente. Essi costitui-
scono l'unica realtà del regno di Dio, il cui centro unificatore è la
esperien:1;1 ad ogni momento ripetut:1 dell'alleanza. della gratuita ele·
zione di Israele a popolo di Jahvé (d. Os. 2,25). Questa elezione
del popolo afferma contemporaneamente, in senso protologico: crea-
zione dcl mondo: in senso escatologico: compimento dcl mondo.
L1 pili breve formula della sua unitl. suonerebbe: Israele sarà.
insienw con le nilzioni. I.i nuova nl·azionc:"'

ntl·nt', in rz \ 11'14/ I 4u1·42l,4<>~ '· Cl R. R1.:-;DTllRH (\'. noia 18i 11: anche Jhri
:crmini Ji nca>ittrll' u.a1i 1>cr l'agire swri,·o di Jahvé.
\'Clljtt.111<>
)') Cf. O. WL111 M, Jl1bak,.11.IC" dr·i AT, Tiihmgcn '1~.fll, p. 4;; G. li1'ut~K1x;,
ASSEllZIONE BIBLICA l"ONDAMENTALE

Le asserzioni poetiche <lei Salmi circa la creazione confermano


questa visione d'insieme. Esse intrecciano in un'unità ricca di avvi-
cendamenti l'opera salvifica storica di Jahvé verso Israele, il giu-
bilo della creazione primordiale e l'attesa escatologica del giudice
universale. Secondo i Salmi d'incoronazione e d'intronizzazione, il
Dio liberatore d'Israele Ì.' il creatore dell'universo e il re delle na-
zioni della fine dei tempi. Poiché Jahvé ha creato ogni cosa, e
- per dirla in termini mitologici - quale Signore creatore di tutte
le potenze del mondo ha intrapreso la lotta con gli dèi dei po-
poli stranieri, e ne ha riportato vittoria, per questi fatti tutte le
nazioni verranno nel suo santuario e gli tributeranno lode con l'in-
tl'TO universo e parteciperanno così all'alleanza di Israele con Jahvé
(Ps. 2; 47; 72; 95-100; 110). Stabile come il trono del re del-
l'universo nel frangersi dei flutti delle acque del caos sta la sua
promessa di salvezza (Ps. 9 3 ). Originariamente, cosi sembra, certi
Salmi hanno celebrato soltanto le gesta storiche canoniche del Dio
del popolo (per es., Ps. 78; 105 s.); altri Salmi sembrano occu-
parsi solo nell'esaltazione delle opere della creazione (per es. Ps.
104). In seguito però gli avvenimenti dell'Esodo apparvero, per così
dire in filigrana sotto le immagini mitiche con cui si svolgeva il rac-
conto dell'atto della creazione. Jahvé ha «diviso• ( Ps. 106,9) il mare
dei giunchi, come una volta le onde del caos (Pr. ro4,7). 11 L'agire sto-
rico-salvifico di Dio e il suo agire nella creazione sono riferiti l'un
l'altro o addirittura, come nel Deutero-lsaia (cf. ls. ,1,9-11), con-
fluiscono l'un nell'altro in profondità. Così specialmente in Ps. 19;
74; 89; 103 e 136 (ma sarebbero da confrontare anche Ps. 33; 98;
I 14; I 3, e 147).

Nel 'poema antichissimo' di Pr. 19,1-7 Dio viene celebrato dal mondo
in una •serie ininterrotta di giorni e notti, dalla creazione fino nel pre-
sente»;22 con la danza dcl sole, che esce come uno sposo, s'interrompe
l'antico inno. E il v. 8, con evidente frattura nello stile, fa seguire un

'Sru<licn ~urn ncutcsumcntlichcn SchOpfungsgedanken', in Acta Uni11. Upsal. u,


Uppsala 1952, l'l'· '1 '·
21 Cf. ondll· l's. 77.•ì·lU; faC'Ch. 32,3-8; Abac. 3,8-q; lob 26,11.
2J G. v. RAu, 'Aspcktc al11cstamcntlichen Welrverstandnisses', in E11T 24 (1964)
'7·73,67. Cf. G. v. RAD 1, p. 3'9; L. LEGllAND, op. cii., p. 469.
ANTICO TESTAMENTO

inno alla legge assai più sobrio: «La legge di Jahvé è perfetta, ristora
l'anima ... » (vv. 8-15). Anche se redazionalmenre tuuo questo può esser
staro aggiunro poco abilmente, l.1 rivelazione mediante le opere rinvia
~1lla rivela:r.ionc mediante la parola. la lode della creazione alla legge
dell 'alleim:r.a.
In Ps. 74, in cui la comunità 11hha11u1a per la devastazione del tempo,
grida a Jahvé per aiuto, il v. 12 sembra richiamarsi alle 'gesta salvifiche'
di .Jahvé nell'esodo, i vv. 16 s. alla sua opera creatrice, mentre il brano
intermedio fa passare, con una ambiguità voluta, l'uno nell'altro, l'evento
fondamentale storico-salvifico e quello dclh1 creazione: «L'esodo, consi-
derato nell'ambito della po1enza cosmica di Dio, acquista una portata
universale; la creazione, vista muovenJo dall'esodo, appare come un
primo in1crvcn10 della gra:r.ia e della potenza dcl Dio dell'allcanza.11
Similmente Ps. 89 vede la dimostrazione decisiva della grazia di Jahvé
nell'alleanza di Davide (vv. 2-5), celebra però in seguito l'onore che
l'universo offre al suo creatore (vv. 6-13), per ritornare (dopo i vv. 14-
19) alle promesse concesse a Davide di potere sovrano, descritto con le
categorie della creazione, con dimensioni cosmiche (vv. 20-38; d. vv.
26.30.37 s.: mare, cielo, sole, luna).
Ps. 103 L'uomo creato dalla polvere è benevolmente eletto per l'allean-
za con Dio; colui che guidò Mosé e il suo popolo, è il re di tutte le
opere dcl cielo e della terra.
Ps. 136 in un ringraziamento litanico per il favore di Jahvé che pertnllne
in eterno celebra innanzitutto le: sue meravigliose opere della creazione
(vv. 4-9), poi i suoi prodigi storici nella liberazione dell'Egitto e nella
introduzione nella nuova terra promessa, centrali per la coscicn:u di
Israele (vv. 10-24); i vv. 25 s. riportano al «Dio dci cieli•, che «pro-
cura il nutrimento per ogni viventc•.24
La creazione, in quanto fondamento ampio e immutabile di tutto l'agire
prodigioso, introduce le gesta salvifiche di Jahvé; gli eventi salvifu:i della
storia d'Israele sono, da parte loro, svolgimento e compimento ddla crea-
zione iniziale, i cui motivi espliciti e pratici essi riprendono, rinnovandoli.

Nella letteratura sapienziale veterotestamentaria degli ultimi secoli


pre-cristiani il rapporto di creazione e alleanza entra ancora una
volta in una luce nuova. Questi scritti tardivi, che stanno sotto
l'influsso della poesia didattica dell'antico oriente e specialmente
dell'Egitto, appaiono fortemente contrassegnati da un interesse

21 L. LEGaAND, op. dt., pp. 462 s.


24 Cf. anche P$. 24: vv. 1 s. con vv. 3-6. Paolo in Rollf. 1,18 ss.; 2,1 ss. 9eg1>e lo
stesso schema creazione-legge. Analogamente Act. 4,24.2j s.
ASSERZIONE BIBUCA FONDAMENTALE
74

razionale (rationalverstiindig) d'interpretazione del cosmo e della vi-


ta. Sembra ora che la teologia storico-salvifica della creazione, in gran
parte, sia sostituita, molto prima che ciò accadesse nel pensiero el-
lenistico-cristiano o addirittura in quello scolastico, da una metafi·
sica filosofica didattica per lo più popolare. E lo è di fatto. Tut·
tavia non si farebbe giustizia alla situazione, se si volesse mettere
in opposizione con le tradizioni precedenti questa metafisica della
creazione, come 'canonizzata' in maniera puramente estrinseca nd-
l'Antico Testamento che stava per compiersi. Infatti anche i testi
del Genesi circa la creazione contengono temi essenziali della lette-
ratura sapienziale e, in parte, non son poi tanto lontani da essi nel
tempo. Ma, e questo è più importante, la ratio della letteratura sa-
pienziale nella sua ricerca, ora abbastanza serena, ora dichiaratamente
pessimistica sul significato della creazione e del governo di Dio in
questo mondo, sa che può porre la sua fiducia nel Dio dell'alleanza,
che crea la salvezza al di là di quasiasi forza umana, e che è ordinata
alla sua legge che dà luce e conoscenza al di là di qualsivoglia saggezza
o stoltezza umana.

I tre passi ]ob 28, Prov. 8, Ecclus 24 «mostrano il tentativo di porre


in connessione con la rivelazione storica fatta ad Israele il mistero della
creazione del mondo, presente in maniera incontestabile».25 Il poema di
lob 28 esalta con la descrizione di un'antica miniera (vv. I·II) l' homo
°taber che si sottomette la terra, mentre ne scopre i tesori - ma che
però non è capace di trovare la sapienza; Dio solo la possiede, ed egli
l'ha rimessa nel mondo come suo ultimo mistero (vv. r2·27). Il versetto
conclusivo, aggiunto da mano più recente (v. 28), costituisce piuttosto
un legame che una 'frattura'; 26 esso fa dire all'uomo da parte di Dio:
«Temere il Signore è sapienza ... »: la sapienza dell'uomo, che tuttavia
unisce la terra al cielo.
Nel capitolo 8 del libro dei Proverbi il mistero di sapienza del mondo
di Jahvé svela un vivacissimo aspetto intimo:

Quando (Jahvé) disponeva le fondamenta della terra,


io ero al suo fianco in q11alità di architetto;

2.! G. v. RAD, 'Aspckte oluesiamentlichen Weltverstiindnisses', in EvT 24 {1964) 72.


Cf. G. v. RAD 1, pp. 4 39·4 51 rigu11.rdo a tutta la sezione.
l6 G. V. RAD I, pp. 44,·447.
A"'TICO TESTAMF!l.'TIJ

ero Lz sua delixia giorno per giorno


e gioivo davanti a lui in ogtti istanlt ...
(vv. 29 s.).

La sapienza è capotccnico della fondazione del mondo ad opera di Jahvé


(Provv. 3,19), arte5cc del mondo (Sap. 7,21 ). Nei due trarti (8,22-31 e
r-21. 32-36) che inquadrano il brano ce'ltrale vv. 22-\1, ella invita nel con-
tempo tutti gli uomini ad aver parte ad essa. Per mezzo di lei domi-
nano tutti i re e i giudici giusti sulla terra ( vv. 15 s. }. Essa chiama per·
fino a scegliere fra la vita e la morte (v. 3').
Ecclur 24 dà chiaramente a questo invito alla decisione. il significato
ultimo: per la legge e per l'alleanza. Da Jahvé è uscita la sapienza, la
terra giaceva davanti ad essa, ella cercò una dimora presso gli uomini e
non la trovò (vv. 3-7; cf. Prov. 1,24-33 e Jo. 1,n). Allora il creatore
di tutte le cose ha assegnato una dimora in Israele alla sapienza, creata
prima di ogni tempo e che rimane in eterno, in Gerusalemme, dove ella
si sviluppa molto fruttuosamente; ella è «il libro dell'alleanza dcl Dio
altissimo, la legge» (v. 23), «in mezzo al suo popolo» (v. 1) (vv. 8-32).Z1
Accenniamo brevemente ad altri passi: Ecclus 17,1-16 collega gli obbli-
ghi dell'alleanza del popolo con la creazione dell'uomo. Ecclus 42,1,-43,
33 introduce l'elogio storico-salvifico dei Padri dell'epoca primitiva quale
un lungo inno di gloria del creatore. In Ecclus 1, il v. s (mancante
nei migliori manoscritti, e perciò inserito posteriormente) sottolinea la
nuova interpretazione della sapienza come legge, propria di Gesù Sinc; 11
il contesto (vv. 1-4/6-8) sta nell'ambito della creazione. Ecclur 15,1 (cf.
19,18): «Chi è fedele alla legge ottiene la sapienza». In Sap. 11,17-12,1;
19,6 (cf. 5,17; 16,15-29) il prodigio dell'esodo è visto sullo sfondo della
illimitata potenza creatrice di Jahvé, quale rifacimento dell'intera crea-
zione per la salvezza d'Israele.
Se nella letteratura sapienziale non fossero sufficientemente evidenti le
linee di collegamento della creazione con l'alleanza, passi fondamentali del
Nuovo Testamento sulla creazione in Cristo, le interpretano autorita-
tivamente.29 In Jo. 1 il versetto 11 «venne nella sua casa, ma i suoi non
lo accolsero» e la 'tenda' del versetto 1 4 si riferiscono, con intento di
correggerlo, a Ifrclus 24,8, secondo cui Dio aveva dato la sapienza della
Torà a Israele (ciò che più tardi fu invece interpretato nel senso che
l'ha offerta a tutti i popoli, ma che solo Israele l'ha accolta e le fece
«fissare la tenda in Giacobbe»). Ilebr. 1, 1-4 riprende la terminologia

27 Offrono paralleli in proposi10 Ps. 19; 74; 89 ccc.: vedi sopra pp. 64 s.
u W. V1sc111:R, ·n~r I lymnus dcr Wcishci1 in dcl\ Spriichen Salomos 8,22-31', in
EvT u (1962) 301,1-3i6, 316,
29 Secondo \V/. \11~<:111•.M, op. cii., pp. 3111.31,.
ASSF.RZIONE RIRl.ICA l'CINllAMF.NTAl.E

degli inni della sapienza (i passi cui si rinvia sono indicati nel testo):
«Dopo aver parlato :ici tempi •111tichi molte' r;oftc (Sap. 7 ,22) e in
molte maniere ai Padri (Sap 9,1) per mezzo dci prof.:ti, alla fine, in
questi giorni Dio ha parlato a noi per mezzo dcl Figlio, che ha costi-
tuito erede ( Ecclus 24,7 .8.1 2) di tutti: li.: wse, mi.:diante il quale ha
anche creato i mondi. Qui.:sti che ì: lo splendore della sua gloria (Sap. 7,
25 s.), l'immagine della sua sosl:rnw (Sap. 6,21 ), e sostiene ogni cosa
con la potenza della sua parola (S,1p. 7,2 5 ). compiuta la puri!ic.1zione dei
peccati, si è assiso alla di.:stra della maestà nell'alto dci cicli (Ecdur 1,5;
2 4,4).
La novità caratteristica rispetto agli inni alla sapienza è l lebr. 1,3 la
«purificazione dai peccati»! La correzione della speculazione sulla sa-
pienza viene intrapresa da 1 Cor. 1- 3. Ma l.1 si deve anche intendere
nell'esclamazione di gioia di Gesti in Mt. 11,25-30, confrontato con
Ecclus 51,1.2.~-27; 24,19.

Per quanto l'inserimento - «compressione» 30 - della confessione


sapienziale cosmica circa la creazione nel patrimonio rivelato della
legge e dell'alleanza di Isr.aele, consideraro per l'aspetto della reda-
zione del testo, possa avere carattere secondario e apparire artificio-
samente forzato; per quanto secondo il suo contenuto possa agire
dapprima perfino in modo reazionario e particolaristico, innegabil-
mente la sua tendenza permanente è di iscrivere nel nuovo medium
della letteratura sapienziale, segnato dalla volontà di conoscenza
razionale, una proiezione della storia della salvezza e della perdi-
zione, quale la presenta particolareggiatamente il Pentateuco: dalla
creazione e dalla caduta fino all'alleanza del Sinai e al tempio di
Sion. I misteri della creazione dovevano rendere testimonianza,
«fino agli estremi confini della loro gettata»,31 alla rivelazione di
salvezza di Jahvé, destinata a Israele, ma, attraverso quello anche
all'insieme delle nazioni e degli uomini. Se, come lo vede G. von
Rad,32 il pensiero teologico dei libri sapienziali, in opposizione alla
storia della creazione dello scritto sacerdotale (Gen. x), parte dal
mondo come creazione, per cercare, muovendo di là, il nesso con

JO J. F1CHTNE11, 'Zum Problcm Glaube und Geschichte in der israelilischen und


jiid;schcn Weisheitsliterarur', in TLZ 76 ( 1951) 145-150, 148.
li G. V. RAD I, p. 415.
l2 lbid., p. 448; G. v. R1oo, · Aspekte ahtestamentlicheu Wehvcrstindnisscs', in
E11T z.t (1964172.
CREAZIONE IN CRISTO 77

la storia della salvezza, allora la stessa Scrittura sembra opporsi


all'esclusione di ogni problematica metafisica dalla dottrina della
creazione. La metafisica della creazione non sta contro o anche
solo di fronte alla fede della rivelazione: essa viene accolta da
questa, e mediante questa accettazione viene appunto lasciato libero
e conservato tale lo spa:i:io pwprio in cui si responsabilizza razio-
nalmente.33 Da Israele - e da noi - è «richiesto di restare fedeli
alla mondanità per nulla mitologica della creazione».l4 Con ciò la let-
teratura sapienziale, al termine dell'Antico Testamento, porta la
fede d'Israele nella creazione in grande prossimità dell'attuale conce-
zione del mondo nella fede. ~ la rivelazione di Cristo che orienterà
questo nuovo sforzo di comprensione nella fede e ne prcc-iserà il
contenuto.
WALTER KERN

2. Creazione in Cristo

Le asserzioni veterotestamentarie riguardo alla creazione vengono


completate in modo decisivo nel Nuovo Testamento attraverso la
asserzione della creazione in Cristo. Le asserzioni neotestamentarie
sono essenzialmente le seguenti: 1 Cor. 8,6; 15,45-49; Col. 1,15-20;
Eph. 1,10.20-22; 4,8-10; Hebr. 1,2 s.; ]o. 1,1-4: In esse però il
tema assume un aspetto protologico e uno escatologico, in quanto
Cristo nel Nuovo Testamento viene messo in rapporto con la prima
uea:tione e con la nuova, seconda creazione. Siccome in questa
>tconda pane vaent: trattata la «storia della salvezza., prima di

'' In 011ni caso non c1 si può esprimere a prup1»ito di tutto l'AT nel modo
slgucmc: o une 'mé11him>in' rl"mplacc: 1~ métaph~iquc• ( L. LEGllAND, op. cii., p.
-16-1 noia .tl I. Piuttosto l'aspetto metastorico nella radicalità e univenali1à, che permea
d movimento 11cnc:ralc <lc:lla ft:Je vc1cro1c:>1amc:n1ari11 della storia e della creazione,
-1 rn.:scma comt· lo >ll"Sso aspc110 mc1atisico. Riprendo un'alfcnnazione di G. WIN
•:REN, 5fhop/ung u11d Gr11·1:, Gottini:cn 196<>, p. 121 noia 71: certo la creazione
riceve luce dall'a/lranu tl'lm1dr; tuttavia ciò che viene illuminato è la c-rea:ionr
dr/ mondo.
34 G. v. RAD, 'Aspck1c ahtcstamcntlichcn Weltverstandnisscs', in EvT 24 ( 196-f) 71.
La mitologia che gioca intorno alla razionalità della le11cra1ura sapienziale, sbiadi-
sce in metafora, in omamcnlo dello sforzo razionale: cf. la loua crcairice di Jah~
contro i mostri dcl caos (lob 3,8; 7,13; 9,13; 26,12; <10,19; similmente nei Salmi e
in Isaia).
ASSUZIONE BIBLICA l'ONDAMl!NTALF.

Cristo», e, nel contesto pm stretto, ·specialmente la motivazione


cristologica di tutta la creazione e della storia della :.alvezza, si
considererà ora soprattutto l'aspetto protologico - dunque senza
tener presente I Cor. 15,45-49; Col. 1,18b-20; Eph. 1,10.20-22;
4,8-10 - , sebbene non si possa prescindere completamente dal-
l'aspetto escatologico.
In una prima parct: viene presentata un 'analisi concisa dci testi
relativi; segue, nella seconda parte, una breve trattazione del keryg·
ma. dei suoi problemi e della sua portata.

a. I testi

aa. 1 Cor. 8,6. Nel contesto si tratta di dar rilievo al monoteismo


cristiano in antitesi al politeismo pagano con la sua fede in molti
'dei' e 'signori' (v. 5). Per i cristiani l'unico Dio è il Padre, «dal
quale tutto proviene (È~ oiJ <tÒ: 'ltd.v<t«) e noi viviamo per lui»; e
Gesù Cristo è l'unico Signore, «in virtù del quale esistono tutte le
cose (lìL' oiJ <tÒ: 'ltd.v<t«) cd esistiamo anche noi» (v. 6). L'apostolo
si serve qui di un'espressione proveniente dall'ellenismo (Stoà), pc:r
descrivere la potenza creatrice di Dio e la funzione di Cristo quale
mediatore di tale creazione. 1 La preposizione È'ç («dal quale tutto»)
ci rinvia all'origine della creazione (l'unico Dio), la preposizione liui
( cin virtù del quale esistono tutte le cose») indica il divino 'stru-
mento' della creazione (Cristo). Tà 'ltd.vtti («tutte le cose») è espres-
sione della totalità della realt~ creata da Dio.2 Il prolungamento
«in forma personale» della frase nel v..6h («ed esistiamo anche noi»)
include l'opera soteriologica di Cristo nella sua funzione completa
di strumento della creazione: 'noi', i battezzati, rappresentiamo già
l'inizio della nuova creazione 'in virtù di' Cristo.

I Cf. anche Rom. 11,36; Epb. 4,6; Heb•. 2,10. La dimostrazione più parlirolar•·i:·
i:iat.a della provenienza ddl'espressione, valida soprattutto in E. No1DF.N, Atiru11m
The6s, Darmstadt ~1956, pp. 240-250; H7·n4; H. Lic::lmann, in HNT 11, Tiibinll'l'll
41933, a commento di Rom. 11,36; H. HoMMF.L, ScbOp/C'r und Erhaltn, Bcrlin ·~~!>,
pp. !)9-107.
2 A proposito della formula rosmica universale: v. mqgiori partirolari i11 I'.
MusssER, 'Cbristus, das Ali und die Kirche', in ITS 5 (Tric:r r9nl l•n 1 (bibliogr.J·
B. RE1EKE, in TWNT v, 890 s.; E. NoRDEN, Agirostos Tlu6s pp. 240-250.
CREAZIONE IN ClllSTO 79

bb. Col. 1,15-18a. Questo brano è la prima parte, 'cosmologi-


ca', di un inno a Cristo, il quale nella sua seconda parte (v. ·18b-20)
diviene soteriologico-escatologico. Molto probabilmente esso rap-
presenta un'elaborazione di un inno pre-paolino a Cristo, creatore
dei mondi e salvatore escatologico, inno formatosi nelle comunità
ellenistico-cristiane. Per la conoscenza del kérygma genuino si deve
partire dalla consistenza paolina del testo (includendovi quindi il
possibile completamento dell'inno originario, ad opera di Paolo).
Qui verranno brevemente considerate solo quelle affermazioni del-
1'inno, che sono importanti nel nostro contesto.
a) «Primogenito di ogni creatura; poiché in lui sono state create
tutte le cose» (v. 15b. 16a). Come fa capire la fondazione nella
proposizione causal'e, l'espressione «primogenito di ogni creatura»
( XQù>t<hoxoç 7tcl0Tjç xnaw>ç) mira alla potenza di Cristo quale
mediatore della creazione e perciò «non può nel contempo asserire
che egli sia stato creato come una prima creatura» (W. MICHAELIS); 3
si deve piuttosto dar rilievo alla incomparabile superiorità di Cristo
sulla creazione (similmente come più avanti nel v. 17a: «egli è prim.t
di tutte le cose».4 Ma che cosa si esprime nella proposizione causale
iv a\rr:i) («in lui»)? Innanzitutto ancora il pensiero che Cristo fu lo
strumento di Dio nella creazione; la preposizione fv («in•) può
appunto aver un significato di strumento, corri~pondentemcnte al-
ebraico be, tuttavia si deve riflettere se con lv aù"tcp (corrispondente-
mente alla formula paolina t:v Xpl.O""tW) non si voglia dire ancor di
più, cioè che Cristo è il principio vitale nascosto di tutta la creazione,
il fondamento posto dalla grazia, in forza del quale l'intera realtà
creata esiste ed ha il suo essere. L'aoristo b"tioih) («sono state crea-
te») guarda al primitivo atto creatore di Dio - il passivo fa la
parafrasi del nome di Dio 411 - ; però Cristo, fondamento che fonda
l'essere del creato, rimane per sempre.5

) TWNT VI, 879/24 ss.


4a. anche A. HocKEL, Christus, der Erstgeborene. Zur Gescbichte der fucegese
r:on Kol 1,15, Diisseldorf 1965.
4a G. DALMAN, Die V/orte Jesu I, Lcipzig 21930, pp. 183-185.
5 Non sarà certo solo per la preoccupazione di variare l'espressione verbale: ~
nel v. 16a si usa la preposizione Èv, mentre nel v. 16c la preposizione bui. Il
cambiamenro ha piuccosco mocivi ecologici più profondi.
Bo ASSERZIONE BIDLICA l'ONDAMEN"fALE

~)Perciò si dice poi in un'ulteriore affermazione dell'inno: «tutte


sussistono in lui» tù mivrn h aùt1i1 ml1'Éott]XFV (v. 17b). Il verbo
ouvLo'tavtw nel perfetto intransitivo ha il significato di cui qui si
tratta: 'aver la propria consistenza, sussistere'.• Sembra però che in
4ucsta affermazione sia detto Ji più del fatto che Cristo conserva il
mondo nella sua consistenza (nel significato della fede nella Pr0vvi-
<lenza), bensl che egli, anche in avvenire, è colui che, quale fonda-
mento continuo <lcll'csscrc di ciò che esiste, conserva il mondo
nell'essere.
y) «Tutte le cose sono state create mediante lui e per lui» -rà
n:av'tCl SL' ClÙ'toii XClt EÌ.ç ClÙ'tov EX'tLO"'tm ( v. 16 c.). Nuovamente vie-
ne esaltata con un'espressione in uso,7 interpretata cristianamente,
la funzione di Cristo quale mediatore della creazione «mediante
lui» e Cristo viene anche definito la meta escatologica (Eiç aùrov)
dell'intera creazione. In quale senso è intesa questa seconda asser-
zione? Secondo l'interpretazione storica di PLATONE, utilizzata an-
che dal filosofo ebreo FILONE di Alessandria (Fìç aù-r6v}, poteva
indicare il modello, secondo il quale il mondo è stato creato.• Questo
modello (figura) sarebbe, secondo il nostro inno, Cristo. Tuttavia
una tale concezione non sarebbe per nulla affatto paolina. ~ assai
più vicino un significato escatologico dell'espressione. Però anche
in tal caso esistono diverse possibilità d'interpretazione: Cristo è il
Signore dell'intera creazione alla fine dei tempi (cf. anche Eph. 1,10.
20-22; 4,10) oppure l'erede di tutto alla fine dei tempi (cf. Hebr.
1 ,2 ). Probabilmente si dovrà meglio ancora dire: il mondo è stato
«creato per lui», in quanto Cristo è la meta della creazione, nasco-
sta, donata per grazia e ne è la dinamica, la soprannaturale causa
/inalis di tutto l'essere. Al riguardo è da osservare che Paolo in tutto

~ W. BAt•FK. in ll"n 1, v. II·\. L'inno s'esprime nel linguaggio della pietà cosmica
ellenistica; cosl si dice in Ps. ARISTOl'Et.E, De mundo J97b: ix itEoi• .r11ivtn xal
b11ì Oroii iu1lv (WYfon1><rv. Ulteriore materiale in TWNT vn,895; M. DrBELJUS,
in /INT u su Col. t,17. Sembra però che manchino documenti per un collega-
mento con la preposizione t'v.
7 Cosl Marco Aurelio (Ad uipsum rv,23) esalta la natura: lx aoii ita"a, lv
noL nU.vtu, rl; ni .1tiv1u.
A Cf. Ma1111iori particolari in E. NoRDl!N, Agnostos Theos, cit., 348; M. DtBE-
uus, in /IN"/' 12, a commento ili Col. 1,16.
CREAZIONE IN Cl.ISTO 81

l'inno di Col. 1, 1 '-20 non fa differenza alcuna tra Cristo preesistente


e Cristo incarnato, egli pensa insieme il preesistente e l'incarnato;
per l'apostolo i vari aspetti della cristologia coincidono nella persona
di Cristo vivente.

cc. Hebr. 1 ,2 s. Anche in questi versetti colpisce lo stile solen·


ne; si può supporre che pure qui siano stati utilizzati frammenti di
inni più antichi (dalla liturgia?). 9 Per il nostro contesto sono impor-
tanti soprattutto due asserzioni:
a) «per mezzo del Figlio, che ha costituito erede di tutte le cose,
mediante il quale ha anche creato i mondi» (v. 2). Secondo l'opi-
nione della maggior parte dei commentatori, nella prima proposi-
zione relativa si parla dell'elevazione di Gesù a socio celeste di Dio
(aoristo f3tp-.n), che significava anche la sua introduzione nell'ere-
dità «di tutte le cose». io Divenire erede universale spetta al glori-
ficato, perché egli, in quanto preesistente, è anche mediatore della
creazione; cf. la seconda frase relativa «mediante il quale ha anche
creato i mondi ». Il verbo greco 1tot.Ei:v corrisponde al termine
ebraico per creare biirii' e il vocabolo cilwVEc; ('eoni') comprende
tutti i tempi e gli spazi. 11 Il Figlio ha agito da strumento mediatore
nella creazione del mondo.
P) La seconda affermazione 'cosmica': «sostiene ogni cosa con
la potenza della sua parolai. (v. 3). L'espressione «sostenere ogni
cosa» è formata in corrispondenza con simili formulazioni del tardo
giudaismo, p. es. GnR 22 («tu sostieni gli esseri superiori e quegli
inferiori»), ExR 36 («Dio sostiene il suo mondo»), Targ. Jer. I, a
proposito di Deut. 33,27 («il braccio della sua potenza, il quale so·
stiene il mondo» ). 12 Con tale espressione è certo intesa la preserva-
zione del mondo dalla ricaduta nel nulla e nel caos. Questa ricaduta

9 Cf. sopr11turto O. M1c11EL, Dtr Brit/ an dit Htbratr, GOttingcn 61966, a com·
menro di 1,2 s.
IO Cf. Rom. 4,1) (Abramo, rispc11ivamcn1e la sua discendenza, ~ secondo il
promessa divina «erede del mondo» L in proposito anche Ecclus 44,ll; }ub. 17,3.
11 H. SASSE, in TWNT t, 202·209; F. MussNf.R, 'Christus, das Ali und die Kir·
che', in TTS 5 (Trier 19'5) 24-27.
12 Ulteriore materiale presso BrLLERBECK 111, 673. Anche Filone conosce il pen-
siero che Dio, rispettivamente il suo Logos, sostiene e ordina tutto (testi presso
O. MtCHEL, op. cii., 100, nota 1).
f> M} strr1um Saiu//J,
0 lr/J
ASSERZIONE BIBLICA FONDAMENTALE

il Figlio la impedisce «con la potenza .della sua parola». 'Potenza'


( liuvaµtç) non è qui un termine usato per coprire il nome di Dio,
come si faceva nel tardo giudaismo,t1 bensl una proprietà del me-
diatore della creazione, rispettivamente della sua 'parola' capace
di creare ( cf. il pronome a\1wu dopo buvciµr.w;), t4 la potenza della
sua parola si manifestò nella creazione del mondo, essendo questa
avvenuta appunto mediante la sua parola, secondo il racconto bibli-
co della creazione. Perciò l'Antico Testamento celebra, nelle asser-
zioni teologiche sulla creazione, tanto la 'parola' di Dio capace di
creare, quanto anche la sua 'potenza' capace di creare (cf. p. es. Ezech.
37,4; ls. 40,26; 44,24 ss.; 48,13; Ps. 33,6.9; 147,15-18 per 'pa-
rola'; ]er. 27,5; 32,17; ls. 40,26 per 'potenza'). La lettera agli Ebrei
'cristologicizza' queste asserzioni applicandole al Figlio con formu-
lazione concisa in 1 , 3. Il partici pio presente <pÉQwv proclama come
permanente la funzione di 'sostegno' del Figlio: il Figlio conserva
il mondo nell'esistenza mediante la sua parola potente sempre valida,
continuamente attiva. Nella prospettiva della lettera agli Ebrei ciò
vale più che mai per il glorificato che è già stato introdotto nell'ere-
dità di tutto. Il regno escatologico di Cristo è già posto fondamen-
talmente come protologia nella sua funzione di mediatore della
creazione, proclamata anche dal prologo del vangelo di Giovanni.

dd. ]o. 1,1-4. Anche nel prologo dell'evangelo di Giovanni la


indagine odierna vede l'elaborazione di un antico inno al Logos. 15
Rispetto alle concezioni di contemporanei (FILONE!) che vedevano
nel Logos un «secondo Dio» (&Vueoç lito;), un «essere inter-
medio» tra Dio e il mondo, il prologo di Giovanni dà innanzi tutto
rilievo all'uguaglianza del Logos con Dio e al suo essere eterno
(v. 1,1 s.). Il versetto seguente (v. 3), proclama la funzione dcl
Logos di mediatore della creazione, universale (mivta) ed esclusiva
(«e senza di lui fu fatto nulla di quello che è stato fatto»). Il fatto

u Cosi anche in Mc. t4,62; inoltre G. DAI.MAN, Die Worte ]tru, pp. 164 s.;
W. GauNDMANN, in TWNT n, 291! s.
14 A proposi lo della formulazione cf. anche r Cor. 6,14 ( 61à 'rijç &uvci.iu11>ç
airroj;), l Cor. 134 (lx &uvlii&E11>ç ftoii).
H V. la bibliografia finale.
CREAZIONE IN CRISTO

che ciò nelle dichiarazioni del prologo circa il Logos vien messo in
evidenza con tanta energia (cf. ancora v. 10: «e il mondo fu fatto
per mezzo di lui») ha senza dubbio un significato polemico: in ta1
modo già a priori vien respinto qualsiasi dualismo nella creazione,
quale la professa, -ad es., la gnosi, e vengono esaltate la bonitas e
unitas dell'intera creazione. Esse si fondano proprio nel Logos che
è uguale a Dio. L'asserzione del v. 4 proclama senz'altro il Logos
come fonte di vita («in lui c'era la vita»), riferendosi però proba-
bilmente alla vita 'soprannaturale', d:il momento che il termine swTi
('vita') non significa mai nel vangelo di Giovanni la vita fisica, ter-
rena.16 Il medesimo Logos, «per mezzo del quale» tutto è stato fatto,
porta anche, a rutti coloro che credono in lui, la salvezza, per dirla
con Giovanni: 'vita' e 'luce'. Creatore e redentore del mondo non
si lasciano separare l'uno dall'altro: precisamente questa convin-
zione si mostra continuamente negli inni cristologici 'cosmici' del
Nuovo Testamento.

b. Il kerygma, i suoi problemi e la sua portata

Come lo mostrano i testi esaminati, il tema della 'creazione in


Cristo' appare sia in PAOLO, sia nella lettera agli Ebrei, sia nel van-
gelo di Giovanni, cioè in vari scritti del Nuovo Testamento, indipen-
denti l'uno dall'altro. Ed appare in passi che mostrano il carattere
di inni. Ambedue le osservazioni insinuano che la cristologia 'co-
smica' del Nuovo Testamento dev'essere sorta assai per tempo nella
Chiesa e: chi: faccia parte della confessione di fede. Negli inni infatti
'ien conservato il credo! La cristologia 'cosmica' nel Nuovo Testa·
mento è pre-paolina e pre-giovannea. Nasce quindi la questione circa
la provenienza ideale di tale cristologia." Al riguardo son da consi-
derare soprattutto due fonti: la dottrina sapienziale giudeo-vetero.
testamentaria e la speculazione (giudeo-ellenistica) di Filone circa
il Logos. Esse non stanno però l'una accanto all'altra senza rapporti.

,, a. maggiori particolari in proposito presso F. MussNE!I, 'Z O H. Die An-


schauung vom «Lcben» im vierlen Evangclium', in MtbSt 1,5 (Miinchen 1952)
4lls.; flo.82.
11 V. bibliografia lin~lc.
ASSERZIONE BIBLICA FONDAMEm'ALI!.

Basti citare alcuni passi importanti: -Ecclus 1 ,1 («Ogni sapienza


viene dal Signore ed è con lui per sempre»); 1 ,4 («Prima di ogni
cosa fu creata la sapienza»); 24,9 («Prima dei secoli, al principio,
egli mi creò; sino all'eternità non verrò meno»), inoltre Prov. 8,22
( «] ahvé mi possedette al principio della sua attività, prima di ogni
sua opera, fin da allora [È"V cipxft]; 8,27 («Quando egli fissava i
cieli, io c'ero»); Sap. 9,9 («Con te sta la sapienza, che conosce le
tue opere, che ti assisteva, quando creavi il mondo»); 8 ,3 («Essa
glorifica la sua nobile origine nella sua intimità con Dio ( auµfjtcoaLç)
perché il Signore l'ama); 9,4 {«donami la sapienza che condivide il
trono con te»); 9,1 s. («Dio dei padri e Signore misericordioso, che
hai creato tutto con la tua parola, che con la tua sapienza hai for.
mato l'uomo»: qui parola e sapienza sono intesi quasi come sino-
nimi! ). Dal ricco materiale di Filone basti citare: il Logos è «l'im-
magine di Dio, mediante la quale fu creato l'universo intero» (Spec.
leg. 1,81); la stessa affermazione si fa però a proposito della sapienza:
«mediante la quale tutto è stato formato» (De fuga 109; analoga-
mente Quod dat. 54 parla della sapienza, madre del cosmo, «me-
diante la quale tutto fu compiuto [nella creazione]»). Queste asser-
zioni nelle comunità ellenistico-cristiane furono applicate a Cristo,
quale sapienza divina divenuta persona e apparsa nel mondo e nac-
quero cosi quegli inni 'cosmici' a Cristo, della Chiesa delle origini,
i quali proclamavano soprattutto la preesistenza di Cristo, il suo
ruolo universale di mediatore della creazione e la sua opera escato-
logica di riconciliazione. Cosa mai abbia causato e reso possibile
nella Chiesa l'interpretazione cristologica della tradizione della sa-
pienza e del Logos costituisce una questione a sé, che non può essere
trattata qui; in ogni caso essa dev'esser in connessione con la cono-
scenza del mistero di Cristo da parte dei fedeli, come esso era
apparso nella sua rivelazione e nella sua vita. Questa cristologia
'cosmica' si congiunge tosto con la cristologia della esaltazione, pre·
sente nella comunità delle origini, che proclamava l'esaltazione
di Gesù di Nazaret, crocifisso e risorto, a celeste socio di trono
di Dio. La fusione delle due 'cristologie' non causò particol11ri dif-
ficoltà, tanto più che anche la tradizione della Chiesa pah:stinc~l·
delle origini aveva conoscenza circa il mistero della prownico-
CREAZIONE IN CRISTO

za di Gesù (come indicano p. es., i racconti sinottici della in-


fanzia e del battesimo di Gesù) 11• e la 'sapienza' era stata conside-
rata come socio di trono (cf. ancora una volta Sap. 9,4; inoltre 9,10
«inviala dai santi cieli e mandala dal trono della tua gloria»). In
Gesù Cristo s'è manifestato personalmente nel mondo e s'è fatto
uomo lo strumento della creazione dell'universo, la sapienza; dopo
l'atto redentore, Cristo ritorna ora anche in quanto incarnato sul
trono celeste di Dio e, in quanto glorificato, conduce la creazione
al suo compimento escatologico, donato per grazia.
Perché poi il mondo, creato 'mediante lui', avesse bisogno delh
redenzione e della riconciliazione, non vien spiegato negli inni della
cristologia 'cosmica' del Nuovo Testamento e pertanto resta una
certa tensione in questi inni tra il loro kerygma cosmologico e quello
soteriologico-escatologico. L'esigenza che si esprime dall'unione dei
due aspetti e la convinzione di fede è che la redenzione è una ricapito-
lazione dell'intera creazione e precisamente attraverso quello stesso,
«per mezzo del quale» essa è stata creata e portata al suo essere.
La visione che collega creazione e redenzione si trova già nell'Antico
Testamento; cosl il Deutero-Isaia in 42,5 o in 43,1, nelle dichia-
razioni inniche di Jahvé 'che crea e spiega il cielo', «che ti ha creato
e plasmato», per passare poi nella proposizione principale ad asser-
zioni soteriologiche: «Non temere, perché io ti ho riscattato». 19 1n
Ir. 44,24 Dio si presenta come «colui che ti ha redento e ti ha
plasmato» (d. anche Ir. 14,5; Ps. 74; 89; 135). La creazione stessa
appartiene alle grandi opere salvifiche di Dio; mediante essa egli
inizia la sua opera. Cosl anche negli inni 'cosmici' a Cristo nel
Nuovo Testamento creazione e salvezza sono strettamente correlate
e proprio in Cristo, il mediatore di creazione, che è nel contempo
colui 'mediante il quale' tutto fu creato (Col. l,16). Siccome però
egli è apparso anche come il 'secondo', l' 'ultimo' Adamo (escatolo·
gico) (1 Cor. 15,45.47), sul cui tipo tutti i credenti devon esser for-
mati (Rom. 8,29; 1 Cor. 15.49), la creazione ha in lui il suo culmi·

17a a. anche TWNT VII, 515-518; A. FEUlLLET, 'Jésus et la sqessc divine


<l'apti:s les évangilcs synoptiqucs', in RB 62 (1955) 161-196.
11 Theologie der Alte11 Terlllmen/r I, Miincbeo 1957, p. 141; d. sopnttutto
pp. 14<>-r43; 149.
!16 BIBLIOGllAPIA

ne e raggiunge in lui il suo vertice e la sua perfezione escatologica.


Ciò però, in fin dei conti, non significa altro se non che l'uomo nel
suo innalzamento in Cristo come secondo Adamo, ad opera della gra-
zia, costituisce il significato e lo scopo di tutta la creazione e della dina-
mica evolutiva. La salvezza escatologica è posta già come protologia
nella creazione dell'universo in quanto questa è avvenuta con riferi-
mento a Cristo. Cristo, lo strumento del Padre nella creazione
dell'universo, conduce l'universo alla sua maturità escatologic11 quale
Adamo escatologico, già risorto dai morti. In Eph. 1 ,10 questo pro-
cesso è misteriosamente indicato come ricapitolazione del tutto
in Cristo, decisa da O:o fin dall'eternità (à.vClxEq>ClÀ.CltWO'Claatu "t"à
1t1iv-.Cl lv -.w Xpta-.w).19 Non si tratta però per nulla di un 'pro-
cesso naturale', bensì dell'azione di grazia di Dio, del completamento
in Cristo della creazione.:!11
PRANZ MUSSNER

19 Cf. ma~iori particolari in F. MussNER, Christus, d111 Ali u11d die Kirch~, in
TTS '!Tricr 195' Hi4·6H.
20 Le nos1 re osservazioni sul tc:ma dc:lla .. creazione in Cri110• rappresentano solo
un pro~ramma (frommcntorio), che deve ancor esser sviluppato. L'autore 1pen di
l>Oterlo fare in ~kuni anni.

BIBLIOGRAFIA

1. Ltz creazione come premessa dell'Alleanu nell'A.T.


Oltre alle note 1,3,6-10,12,14,18-20,22,28,30,33, vedere:
IC. H. BERNHARDT, 'Zur Bedeutung der Schopfungsvorstellung fiir die Re-
ligion Israels in vorexilischer Zeit', in ThLZ 8,(1960)821-824.
H. GRoss, 'Der Sinaibund als Lebensform des auserwihlten Volkes im
AT, in Ekklesia (Festschrift M. Wehr), Trier 1962, pp. l-.1,.
L. KOflLER, Theologie des AT. Tiibingen 3 1966.
L. KRINETZKI, Der Bund Gottes mii den Menschen nach dem Alten 1md
Neuen Testament, Coli. cDie Welt der Bibel .. , 15, Diisseldorf 1963.
D. J. McCARTHY, Der Gotte1bund im Alten Teslflment. Ein Bnicht iiber
die Forschung der letiten ]ahre, Coli. cStuttg. Bibelstudien», I 3, Stutt-
gart 1966, p. 444, nota 6.
R. PRENTU, Schopfung und Erlosung. Dogmatik 1, GOuingen 19,8, 83-
10,, 180-22,.
BIBUOGaAPIA

G. v. RAD, Das theol. Problem des alt. Schopfungsglaubens (1938), Coll.


«Ges. Stud. zum AT», Miinchen 1958, pp. 136-147.
L. ScHEPPCZYK, Schupfung und Vorsehung, Coli. «HDG», 11/2a, Frei-
burg 1963, pp. 2-12.
- 'Die Idee der Einheit von Schopfung und Erlosung in ihrer theol. Be-
deutung', in ThQ 140 ( 1960) 19-37.
W. H. ScHMIDT, /Jie Schopfu11gsgesch1chte der Prieslerschrifl, Coli.
«Wiss. Mon. zum AT und NT», 17, Neukirchen 1964.

J. Creazione in Cristo
Non esiste ancorn una monografia sul tema: 'Creazione in Cristo', ma
soltanto ricerche singole sui testi della cristologia 'cosmica' del N.T. Di
queste presentiamo una selezione.
Per Col. 1,15-20
E. BAMMEL, 'Versuch Col 1,15-20', in ZNW 52(1961)88-95.
W. D. DAVIES, Paul and Rabbinic ]udaism, London 21955, pp. 151·1.n.
H. J. GABATHULER, ]esus Christus. Haupt der Kirche · Haupt der Welt.
Der Christushymnus Colosser 1,15-20 in der theol. Forschung der letz-
Un IJO ]ahre, Coli. «ATh ANT», 45, Ziirich 1965 (Bibl.).
G. HARDER, Paulus und das Gebet, Coll. «Ntl. Forsch.», 10, Giitcrsloh
1936, pp. 46-55.
H. lliGEllMANN, Die Vorstellung vom Schop/ungsmittler im Mllenistischen
Judentum, Coll. «TU», 82, Berlin 1961, pp.88-199.
A. HOCKEL, Christus, der Erstgeborene. Zur Geschichte der Exegese von
Kol 1,15, Diisseldorf 1965.
E. KAsEMANN, Eine urchristliche Tau/liturgie (Festschrift R. Buhmann),
Stuttgart 1949, pp. 133-148.
ST. LY0NNET, 'L'hymne christologique de l'Epitre aux Colossiens et la
fete juive de Nouvel An', in RSR 48 ( 1969) 93-100.
CH. MAssoN, 'L'hymne christologique de l'Epitre aux Colossiens', in
RThPh 36 ( 1948) 138-142.
LliR. MAURER, 'Die Begriindung der Herrschaft Christi iiber die Miichte
nach Kol 1, 15-20, in Wort und Dienst (Jb. der th. Schule Bethel) N.F.
1v(1955)79-93.
]. M. RoBINSON, 'A formai analysis of Colossians 1,15-20', in ]BL 76
(1957) 270-287.
Per il prologo di Giovanni
W. ELTESTER, 'Der Logos und sein Prophet. Fragen zur heutigen Erklii·
rung des joh. Prologs', in Apophoreta (Festschrift E. Haenchen), Berlin
1964, pp. 109-134·
88 BIBLIOGRAFIA

E. KASEMANN, 'Aufbau und Anliegen des johanneischen Prologs', in


Libertas Christiana (Femchrift F. Delekat), Miinchen 1957 1 pp. 7,5-99.
R. SCl·INACKENDURG, 'Logos-Hymnus und johanneischer Prolog', in BZ,
(NF) l ( 19.57) 69·109) (Bibl). Sul problema dell'origine della cristo-
logia 'cosmica'.

Sul problema dell'argine della cristologia cosmica

R. BuLTMANN, 'Der religionsge;chichtliche Hinter11rund des Prologs zum


Johannesevangelium, in Eucharis:erion (Festschr. H. Gunkel) 11, Got-
ringen 1923, pp. 3-26.
H. CoNZELMANN, 'Paulu5 und die Weisheit', in NTSt 12 ( 1966) 231-244.
W. D. DAVIES, Paul und Rabbinic }udaism, London 119n, pp. 147-176.
F. HAHN, Christologische Hoheitstitel. Ihre Geschichte im /riihen Chri-
stentum, Coll. «FRLANT» 83 Gi:.ittingen 1963, pp. 126-132.
1

H. liEcERMANN, Die Vorstellung vom Schopfungsmittler, «TV» 82,


Berlin 1961, pp. 88-99.
R. SCHNACKENBURG, Das Johannesevangelium I, Freiburg 196;, pp. 290-
302.
E. ScKWEIZER, 'Zur Herkunft der Priiexistenzvorstellung bei Paulus', in
EvTh 19(1959)65-70.
H. WtNDISCH, 'Die gottliche Weisheit der Juden und die paulinische
Christologie', in Ntl. Studien f. G. Heinrici, Leipzig 1914, pp. 220-234.
Rimandiamo inoltre alle ricerche particolari sulla ecclesiologia somatica
(Soma-Ekklesiologie) e teologia iconica (Eikon-Theologie), paoline.
SEZIONE SECONDA

INTERPRETAZIONE TEOLOGICA
DELLA FEDE NELLA CREAZIONE

Nelle prime pagine dell'Antico Testamento sono contenute le «Ve-


rità fondamentali che sono presupposte dall'economia della salvez·
za». 1 L'ultima o la prima di queste verità fondamentali è la crea-
zione del mondo intero da parte dell'uno ed unico Dio di Israele.
Le gesta salvifiche di Jahvé, che avanza pretese esclusive verso il suo
popolo ed a lui promette e procura la salvezza al cospetto di tutti i
popoli della terra portano alla convinzione di fede: Jahvé è il
Signore di tutte le potenze della storia e di tutte le forze della
natura, perché fin dall'inizio egli produce e sostiene tutto il
mondo, secondo la sua volontà. E, come da sovrano ha creato
il mondo, nella stessa misura se ne serve. In termini teologici
si fa derivare la potenza storica di Jahvé dalla sua potenza di
creatore. 2 La creazione del mondo da parte di Jahvé costituisce il
vasto ambito e il fondamento definitivo dell'esperienza dell'alleanza
da pane di Israele. I racconti della creazione del Genesi, fin nella
loro forma redazionale attestano che essi riconoscono la creazione
come presupposto dell'alleanza di Jahvé con Israele, perché per essi
il significato ultimo della creazione è l'alleanza, la spiegazione dcl
suo destino di salvezza e di perdizione (Gen. 2 s.) e la sanzione del
compimento della legge e della santificazione del sabato (Gen. 1 ).
Tutta la storia dell'alleanza, partendo dal suo punto centrale, dal pro-
digio dell'esodo, viene proiettata ora con minore, ora con maggiore
chiarezza, sullo sfondo della creazione del mondo. Nel Deutero-Isaia
soprattutto, però anche in altri scritti profetici, nei salmi e nei
libri sapienziali, si mette in relazione in maniera varia la confessione
protologica del Dio-creatore del mondo, e l'attesa escatologica del
I Lettera della Commissione biblica al card. Suhard, del 16.1.1948 (AAS 40 [1948)
47; 1>s 3864): clcs vérités fondamentales présupposées à l'économie du salut•.
2 cr. G. v. RAD, Th1·olri~ie des AT I, Miinchen 31961, p. 142.
90

Dio-Re, che fa giustizia per Israele e per tutti i popoli, con lll sorte
alterna, ma pur sempre presente, di Israele, il popolo dcll'allc:anzll.
La sovranità storica di Jahvé, che si conclude con il ..·ompimento
del mondo, riceve il sigillo della sua sovranità dalla creazione: dcl
mondo. Con K. BARTH si può dire: la creazione è vista ~omc il fon-
damento esterno dell'alleanza, poiché l'alleanza è fondamento interno
della creazione.1 Questo rapporto di fondazione, duplice e orientato
diversamente, viene espresso con il termine dialettico 'presupposto':
la creazione precede l'alleanza, come il suo presupposto esterno e
temporale nel senso comune della parola; l'alleanza, da parte sua. pre-
suppone a se stessa, per la conoscenza di Israele e nella realtà attuata
da Dio, il mondo creato, nel senso originario e più etimologico di
presupposto. Così l'asserzione fondamentale dell'Antico Testamento,
circa il nostro tema, potrebbe essere riassunta nel titolo: 'la crea-
7;ione come presupposto dell'alleanza'.
La tensione tra protologia (creazione dcl mondo) ed escatologia
(compimento del mondo), che Israele prova nell'esperienza della
vita contrassegnata dall'alleanza, è indice di un aspetto soteriologi-
co, ossia salvifico, e indica la salvezza come redenzione. L'attesa
della salvezza è la conseguenza della continua situazione di miseria
dcl popolo di Israele e dell'uomo in questo mondo. Questa spe-
ranza di salvezza si compie radicalmente, e definitivamente, nello
israelita Gesù di Nazareth, che, quale unico figlio di Dio, fattu
uomo, sta proprio come lo uomo per eccellenza, come messia del
mondo. Il Nuovo Testamento confessa Cristo, nel quale si attuò
l'alleanza universale conclusa da Dio con Israele, come il fonda-
mento, il senso e il fine della creazione, di tutto ciò, quindi, che è
non-Dio.• Le lettere di Paolo (1 Cor., Col., Eph.), la lettern a~li
Ebrei, il prologo di Giovanni proclamano la creazione in Cristo.
attraverso di lui e verso di lui ed elaborano la loro cristologia
cosmica, servendosi del patrimonio più antico della fede espressa
dagli inni, in cui la dottrina sapienziale dell'Antico Testamento e la

1 K. BA•m. Ko 111/1, PP· ro 3 ss. 2,s s.


• Cf. K. BA1n1, Dogmatik im Gr11ndrirr, Miinchen 1947, p. 87 (tr. it.: Do1111uti.J
in rìnttri, Roma 1968).
LA FEDE NELLA CREAZIONE 91

speculazione greca del Logos s'era congiunta con la fede nell'esalta-


zione del crocifisso e quindi con la restaurazione trasfigurante di
tutta la creazione. 5
Nella fede cristiana originaria, come nel Deutero-lsaia, sono colle-
gati l'inizio della salvezza nella creazione ed il compimento della
salvezza nella 'nuova creazione' (Gal. 6,15; .2 Cor. ,,17; cf . .2 Petr.
3,13; Aci. 21,1-,): 6 nell'unico ed universale centro Gesù Cristo,
nella comunità di Cristo del nuovo eone. Egli, il secondo ed ·ulùmo'
(fQ"Xct'toç) Adamo (1 Cor. 15,45, cf. Rom. ,,14), è il simbolo del-
l'uomo 'creato in Gesù', dell'uomo 'nuovo', dell'uomo «secondo la
immagine di colui, che creò» (Eph. 2,10-15; 4,24; Col. 3,10).7
La redenzione è la restaurazione ed il compimento più perfetto
della creazione; essa è la 'rigenerazione' (Tit. 3,5; Mt. 19,28; I Petr.
1,3.23) di una universalità che abbraccia tutti gli uomini (Gal. 3,28;
Hebr. 2,11), anch'essa descritta con riferimento alla creazione (2 Cor.
4,6; r ]o. 3,9; I Petr. 1,23; Iac. 1,18; Apoc. 2,7; 4,6-8; 22,1 ss.).'
Nel Nuovo Testamento si parla solo poco di creazione (fuio al
sorgere del tentaùvo gnostico di disgregazione della creazione unitaria
da parte di Dio, al quale fa da eco la professione esplicita della crea-
zione nel Credo della chiesa primitiva): perché il Nuovo Testamento
vive in tutto e per tutto nella fede della creazione dell'Antico Te-
stamento! Cosl si potrebbe dire' che ogni versetto del Nuovo Testa·
mento ha come sfondo i capitoli fondamentali del Genesi che riguar-

5 Vedi sopra F. MussNE1t: pp. 77-86 .


• cr. G. SorNF.IDEI., NeuscbOp/ung odn Wied"ltebr, Diisscldorf 1961, pp. 6'"90.
7 Cl. per la nuova somiglianza con Dio in Gesù Cristo (con Gm. 1,z,-; ,-,1)
anche r Cor. 1,-,..9; 2 Cor. 3,18; 4,<1-6; Rom. 8,29.
1 Cf. riguardo a Apoc. 4,6 l'oceano primordiale di Gen 1,7; Ps. 103,6. I quattro
viventi di Apoc 4,6-!1 (d. Ezecb. 1,,- ss.) sono i rappresentanti degli elementi JeJ
mondo, mentre gli anziani Apoc. 4A rappresentano la comunità di salvezza d'Israele
(BAKT~ KD 111/i .12 I? In Apoc. 22,1 s. a. H. RENCXENs, Urgeschicbte ut1d Heils-
gescbicbte. Mainz !1961, p. 131.
9 H. Om-:BLa1;, Skriftens studium, inspiration ocb auktorilel, 1914, p. 26; se-
condo G. WrNGKEll:, ScbOJJ/ung und Geselz, Gottingen 19(io, p. 14, nota 10; d.
i/;id. pp. 11-2-1. Lo stesso G. Wingren (op. cii., p. 114, nota ~9) afferma: «Ciò che
Cristo sperimenta - tentazione, croce, morte, risurrezione - avviene pen:hé tutta
l'umanità si trova nella situazione descritta in Gen. 1-3 e perché questa situazione
è contro natura•. Cristo, si potrebbe aggiungere, riscatta la teodicea (la bLx'I hoi.ò
quale la presenta questo capitolo del Genesi.
92 LA FEDE NELLA CltEAZIONE

dano la creazione e il peccato originale. Un ascolto più attento fa


intravedere questo fatto anche in tratti particolari del messaggio
neotestamentario, per es. nel vangelo di Marco: Cristo, colui che
porta a compimento il mondo, è allo stesso tempo colui che riporta
il paradiso terrestre, che si richiama all'ordine «all'inizio della crea-
zione» ( ro,6), colui che «ha fatto bene ogni cosa» ( 7,37; cf. Gen.
1,3.ro.12 ... ), colui che ha pieni poteri su tutta la creazione (4,36-
41; 6,4~;-52; 16,15-20). 10 Poiché Cristo riassume in sé tutto l'evento
della salvezza, perciò egli ricapitola anche tutte le realtà create. La
creazione viene ad avere attraverso di lui e in lui validità universale
e diviene definitiva come inizio stabile e indistruttibile della salvez-
za. «Mondo ed umanità sono l'incarnazione in divenire». 11 Si tratta
sempre ed unicamente di Gesù Cristo, rivelazione di Dio nell'uomo
e sua solidarietà con l'uomo: si tratta sempre dei misteri di sal-
vezza, che egli porta con sé, che lo precedono, che lo seguono. 12
Creazione: l'origine immutabile della salvezza, che, prefigurata
ed avviata dal patto d'Israele, ha il suo fondamento radicale cd i1
suo compimento universale in Gesù Cristo, nel Cristo lotus, caput
et membra. La teologia della creazione ha principalmente il compito
di spiegare questa asserzione biblica fondamentale. Perciò essa non
comincerà con un'analisi della struttura ontologica delle realtà del
mondo in riferimento al loro 'essere create-dal-nulla', cioè con una
prospettiva dal basso verso l'alto, che rende proprio filosofia la filo-
sofia. Al contrario essa si lascia imporre il punto di partenza dal sog-
getto teologico stesso, che è il Creatore; per esser portata dal Crea-
tore attraverso il processo di creazione fino al creato e alle sue
strutture di creatura nel movimento di conoscenza caratteristico nella
teologia. Un tale filo conduttore: creator - creatio - creatura dell'espo-

°
1 Cf. G. ScHNETDEll, op. cit., pp. 6,-90; H. J. Sc1mEPS, 'Restitutio principii as
the Basis of the Nova Lex Jesu', in Journ o/ Bibl. Lit. 66 ( 1947) 453-464.
Il E. ScHILLEBEECKX, in Gott in Welt II, p. 73.
12 Cf. per il tema generale 'Cristo e creazione': L. SCHEFFCZYK, Schop/ung und
Foruhung, Freiburg 1963, pp. 13-23; lo., 'Die «Christogenèse» Teilhard de Char-
dins uncl der k:osmische Christus dei Paulus', in TQ 143 (1963) 136-174. Cosl pu-
re la presentazione ex professo che ne sarà fatta in Mysterium Salutis III, cap. 7, sez.
v11; nel frattempo la nota bibliografica redatta da H. R1EDLINGEK, in Conci/ium
2 ( 1966) '3·62.
DIO CllEA MEDIANTE LA PAIOLA 93

sizione teologica dell'insieme della creazione nelle singole determi-


nazioni è ovviamente solo un espediente metodologico. I singoli
momenti infatti si condizionano e si compenetrano. Questo fatto si
deve qui esprimere anche per il motivo che il filo logico cerca,
soprattutto nelle sue parti dimostrative, di riprendere ed includere
quanto è stato premesso.

r. Dio crea mediani e la parola

Dio è creatore mediante la sua parola. «Dio disse: Vi sia luce! E


. vi fu luce»: questa è la prima asserzione circa la creazione nella
Bibbia (Gen. I ,3 ). L'espressione 'Dio disse' viene ripresa sette volte
in Gen. 1 (vv. 6.9.11.14.20.24.26) 1 prima di ogni singola opera
della creazione. L'Antico Testamento non dà altrove una cosl fre-
quente testimonianza del parlare creatore di Jahvé, se non nei libri
tardivi, innanzittutto nel Deutero-Isaia, nei Salmi più recenti, nei
Libri sapienziali. Jahvé, nell'opera di creazione della terra, dice con
tono di rimprovero parole autoritarie alle acque primordiali (Am.
5,8; 9,6; ls. 17,13; 44,27; 50,2; Ps. 104,5-9; lob 38,u), egli
chiama terra e cielo (ls. 48,3), chiama tutte le stelle col proprio
nome (Ir. 40,26; Pr. 147,4), chiama le generazioni degli uomini
(ls. 4 I ,4), tutto insomma (Sap. x1,25 ). Su suo comando, ecco,
esistono le acque, il sole, le stelle, animali, angeli ... (Ecclus. 39,17;
42,r5 s.; 43..~po.r6.26; 39,31). Sap. 9,1 prega: «Dio dei padri ...
che hai creato tutto con la tua parola ... ». Lo schema 'parola-opera'
di Gen. 1 (parlare di Dio-immediata realtà del mondo) si trova anche
in Ps. 148,5, che dei cieli dice: «comandò, e furono creati». Come
pure ludi1h 16,17 di tutta la creazione dice: «Tu hai detto e tutte
furon fatte». Ps. 33,6-9:
Per 1111ordine di Jahvé si formarono i cieli,
per il solf io della ma bocca fu crealo lutto il loro ornamento.
Egli riu11) come i11 1111 otre le acque del mare;
con(111b gli abissi in serbatoi.
Te111a Jahvé /111/a la terra;
la pave111i110 1111/i gli abitanti del mondo,
poiché egli parlò e ltttlo esistette,
comandò e tutto comparve.
LA FEDE NELl.A C:RF.AZIONE
94

Poiché tutto venne all'esistenza attraverso la parola di Dio, il


cie!o può giorno per giorno, con risonanza silenziosa e penetrante
la terra, ::nnunci'.'re la magnificenza di Dio (Ps. 19,2-7), le opere
della creazione possono. l'una dopo l'altra, essere chiamate alla lodt·
dd Si!?nore (Ps. 148; Dan. 3,57-90).u
Pure il Nuovo Testamento non parla spesso della creazione me-
diante la parola, ma quando lo fa, vi accorda un'importanza evidente.
2 Petr. 3,5 rinnova la tradizionale professione, che «la terra ... ricevette
la sua forma grazie alla parola di Dio». Secondo Iac. I ,I 8 il Padre
della luce «di sua volontà... ci ha generati con una parola di verità,
perché noi fossimo le primizie delle sue creature». Secondo Rom. 4,17
Dio «chiama all'essere le cose che non sono». «Per la fede noi sappia-
mo che i mondi furono formati da una parola di Dio» (Hebr. 11,3).
Cristo - questo è il nome della nuova realtà - è 'il Verbo', «per
mezzo del quale tutto fu fatto» (lo. 1,3). Egli «sostiene ogni cosa
con la potenza della sua parola» (Hebr. 1 ,3 ). 2 Cor. 4,6 ricorda
la parola possente: «Brilli la luce!»: la stessa potenza produce in
noi la conoscenza di Cristo.
Che cosa è contenuto nella testimonianza della rivelazione riguar-
do alla parola creatrice? Nell'antico Oriente la parola ha potenza, la
parola divina ha una potenza creatrice. Il termine ebraico diibii'r in-
dica etimologicamente che in Dio è nascosta una potenza operativa,
che si vuole manifestare; ha un carattere attivo, dinamico: «cosl
sarà della parola, uscita dalla mia bocca; non ritornerà vuota a me:
senza aver operato quanto è mio desiderio» (ls. 5 5 ,11 ). «La mia
parola non è forse come il fuoco, ... e come un martello che spezza
la roccia?» (ler. 23,29).1 4 La mitologia babilonese afferma di Mar-
duk: «La sua parola genera vita». 15 È la «parola che, sopra, spezza

13 Parlano espressamente deila 'parola' creatrice solo Ps. 33,6; Sap. 9,1; Ecclus
39,17; 42,15 (#v ).oymç XllQlou 'tÙ EQya Ò.t•wi•); come pure Ps. 147,15 ss.; 148,8;
]udith 16,16 s.; Ecclus 39,31. Cf. sulla parola creatrice nell'Antico Testamento:
H. SCHLIER, 'Parola', in DzT 2 (21968) 507-518, spec. :;07 ss.; W. Z1MMF.RLI, in
RGG VI (81962) 1809-1812, O. GRETHER, 'Name und Wort Gottes im A.T.', in
BZAW (Gicssen 1934) 135-139; L. DORR, 'Die Wertung des gottlichen Wortcs im
A.T. und im antiken Orient, in MV AG 42,r (Lcip:zig 1938) 38-42.
14 Cf anche Is. 5,14; Deut. 3247; Act. 19,20 ( <1Cosl la parola dcl Signore
cresceva e si ralforlava vigorosamente»); 1 Thess. 2,13; Eph. 6,17; Hebr. 4,12.
15 L. DiiRR, op. cii., p. 34· Cf. per quanto segue: W.H. ScHMIDT, 'Dic s.·hii·
DIO OllA MUllANTE LA PAIOLA 95

i cieli; la parola che, sotto, scuote la terru. 16 Dal regno antico del-
l'Egitto (III sec. a.C.): l'organo di creazione di Ptah è la cbocca,
che diede nome a tutte le cose•. Egli stesso pronuncia «in ogni corpo
t: in ogni bocca» degli esseri viventi, a cominciare dagli dei fino ai
vermi, la sua parola divina»! 17 Un'iscrizione tardiva (ca. 200 a.C.)
esalta i! dio Thot: «tutto quanto esiste, è stato fatto per mezzo delle
sue parole». 18 Un'altra iscrizione, che si avvicina molto a Gen. 1,
dice: «Quanto scaturisce dalla sua bocca, si avvera; e quanto dice,
si attm:». 19 È quindi tanto più sorprendente il fatto che le testimo-
nianze dell'Antico Testamento per la creazione mediante la parola
compaiano di rado e tardi. Questo fatto porta all'ipotesi che la sua
origine vera e propria non sia tanto da ricercare nella mitologia della
natura dell'antico oriente quanto piuttosto nell'esperienza storica
propria di Israele.
Il mito babilonese di Enuma Elis, che, fra le cosmogonie dell'anti-
co oriente, presenta i più stretti paralleli con Gen. 1, non conosce
nessuna creazione del mondo per mezzo della parola.lii D'altra parte
sembra che non esista nessuna relazione concreta e quindi neppure
storica tra Gen. 1 e le testimonianze egiziane esplicite di una crea-
zione mediante la parola.
All'originalità della teologia della creazione mediante la parola
nell'Antico Testamento viene messa in evidenza innanzi tutto dalla
analisi circa la storia delle tradizioni di Gen. 1, che riconosce a
questo testo fondamentale una generale dualità di 'racconti di fatti',
più antichi quanto al tempo, e 'racconti di parole', più tardivi. 21

Questo dualismo è manifesto nel modo più evidente per la quinta opera

pfungsgeschichte der Priesterschrift', in WMANT 17, Neukirchen-Vluyn 1964, pp.


173-177.
16 L. DORR, op. cit., p. 9; ulteriori documenti; ibid. pp. 6-19.
11 lbid., pp. 24 ss. Cf. K. Kocu, 'Wort und Einheit des SchOpfergottes in
Memphis und Jerusalem', in ZTK 62 (1965) 251-293.
1a L. DiiRR, op. cit., p. 28.
19 Ibid., pp. 27 s.
20 Malgrado una sola scena della parola (IV 19-26), nella quale Marduk può
far venir meno, in vir1ù della sola sua parola, una costellazione e farla risorgere
di nuovo; secondo W. H. SCHMIDT, op. cit., pp. 173 s. 177.
21 Dopo B. Stade (1901) e F. Schwalle (1906), cf. ora: W. H. SCHMIDT, op.
cii., specialmente pp. 15-20, 169-177.
LA PEDE NELLA CREAZIONE

della creazione, quella cioè dei corpi celesti.21 La narrazione del fatto
(vv. 16-18) dice: «Dio fece i due luminari maggiori, il luminare grande
per dominare il giorno, e il luminare piccolo per dominare la notte, e le
stelle. E Dio li pose nel firmamento del cielo per far luce sulla terra e
per dominare il giorno e la notte e per separare la luce dalle tenebre».
La narrazione della parola (vv. 14 s.):
«E Dio Jisse: Vi siano luminari nel firmamento del cielo, per separare
il giorno dalla notte, e servano da segni per le ricorrenze, per i giorni
e per gli anni, e servano da luminari nel firmamento del cielo per far
luce sulla terra!».
Ora la narrazione della parola si presenta come stesura suppletiva più
recente, a scopo d'interpretazione e anche di correzione, della redazione
sacerdotale in aggiunta appunto alla relazione del fatto. Prove ne sono:
la posizione di superiorità delle stelle, che potrebbe portare alla loro
venerazione, è sparita; il loro carattere puramente funzionale viene
messo in maggiore evidenza, e il racconto della parola conosce la nuova
funzione per la composizione del calendario, la quale fa parte dell'uf-
ficio dei redattori sacerdoti. Le stelle sono degradate a puri 'luminari',
che non sono la luce, ma solo i suoi portatori; a questo riguardo
W.H. ScHMIDT pensa che nella relazione del fatto al v. 16, come nelle
altre simili enumerazioni (p. es., Ps. 136,7-9; 104,19), originariamente
ci fossero i nomi 'sole' e 'luna'. che nel mondo circostante Israele desi-
gnavano delle divinità (cf. anche faech. 8,16). La relazione della parola
riassume il duplice agire antropomorfico dei vv. 16 s. («Dio fece... e
Dio pose ... ») nell'unica parola creatrice: «Vi siano ... » (v. 14). In favore
della datazione più antica del racconto del fatto depone infine la circo-
stanza che l'Antico Testamento presenta paralleli per la creazione delle
stelle mediante l'opera, mentre accenna soltanto ad unà creazione attra-
verso la parola.23

In Gen. r le relazioni della parola nella storia della creazione della


redazione sacerdotale respingono in modo risoluto i rimasugli mito-
logici provenienti dal patrimonio religioso comune dell'antico orien-
te. Esse preparano una nuova interpretazione della tradizione con-
trassegnata dai miti babilonesi della natura. Dio crea con incontra-
stata sovranità tutto il mondo per mezzo della sua pura e semplice
parola. Proprio perché quest'interpretazione appare in uno stadio
più recente della riflessione teologica (mentre nell'opera storica

22 lbiJ., pp. 109-120.


ll Documentazione l biJ., pp. u6 nota 1.
DIO CREA MEDIANTE LA PAROLA 97

jahvista non ancora la creazione, ma soltanto la storia dell'uomo è


determinata mediante la parola di Dio: partendo da Gen. 2,15 ss.;
3,14 ss.), 24 essa è stata portata avanti in maniera rilevante attrjjverso
l'esperienza storica d'Israele, dalle parole autorevoli del suo Dio, le
quali facevano tutto bene, operando miracoli, portando salvezza.
Israele sperimentò la storia come un attuarsi della parola, come ri·
sposta alla parola di Dio; sperimentò il parlare di Dio come imme-
diatamente operante nei fatti. «L'evento è parola attusta, annuncio
mantenuto». 25
Il comando di Dio e l'evento storico si corrispondono nel modo
più esatto come nel primo capitolo anche per tutto il Genesi (e per
l'Esodo). 26 Anche la proposizione introduttiva del racconto della
parola «E Dio disse» viene usata sempre nel Genesi (6,13; 17,1
(P); 12,1 (J) ecc ... ) e in tutto l'Antico Testamento per esprimere
la parola di Dio agli uomini, e la stessa s'incontra costantemente
anche nelle introduzioni delle parole dei profeti. 27 Così la parola di
Dio, che presso i profeti di caso in caso guida la storia, nd tempo
della redazione storica deuteronomista, forse al tempo dell'esilio,
sembra essere emersa come guida della storia universale: per venir
posta poi, solo relativamente tardi, in rapporto con la natura. La
parola plasmatrice della storia divenne autrice della creazione. «Cosl
dovrebbe essere più giusto vedere il collocamento del daba'r in rap·
porto con la natura come l'ultima conseguenza della tipica concezione
israelitica, piuttosto che attribuirla ad un'assunzione di concezioni
extra·israelitiche».21 Con ciò quest'interpretazione teologica della
creazione attraverso la parola conferma e chiarifica l'asserzione fon-

Z4 I b1J.. p. 170.
25 W. ZIMMEILI, in EvT 22 ( 1962) 25.
16 Cf. Ge11. 6,11-21 con 6.22; 7,1 \·16; ll,16 s .. con 8,18 s.; 17,16-21 con 21,1-4;
17,20 con 2,,12·16, inohrc srecialmc:n1c i racrnn1i delle pia1the Ex. 7,8-11,10; dove
11111avia lOn ~'t:l·czione di Gt•n. 21,1 (e "-"· 9,12?) lddio che dà precetti oon è nel
contempo CJlli srcsso l'csccurorc: (secondo \Y/. 11. ScHM!DT, op. cit., p. 171 nota 2).
17 Js. ;.\; 8,1; le>r. 1,10; Am. i,15; 01. 3,t; ecc. (secondo WR. ScHMIDT, op.
: Ì/., p. 18,).
u O. G1tF.T11f.R, op. cii., p. q9; cf. lbiJ., PP- 103·nI, 12<H39. Secondo W.
Il. Sct1MIDT, op. àt., 176 noia 1, si puù affermare, ccon forte approssimazione,
dic la scuola deutcronomi~t• 11 seguito dei profeti interpreta la storia univer-
sale, e poi lo scriuo sacerdoralc anche la creazione, muovendo dalla parola di
Dio•.
LA FEDE NELLA CRl!AZIONF

<lamentale biblica: la fede nella creazione venuta fuori dall'esperienza


dell'alleanza, dalla storia della salvezza.
li fatto che questa teologia della creazione mediante la parola ha
il suo luogo d'origine nella storia della salvezza, rafforza il carat-
tere personale dell'evento della creazione, carattere dato in sé già
con la creazione mediante la parola. La parola di Jahvé non è forza
della natura,29 ma potenza storica; non è da intendersi fisicamente,
ma intenzionalmente, come espressione libera, personale e sovrana.
Il creato, il mondo e specialmente l'uomo sono effetto di questa
parola di Dio; essi sono costituiti attraverso il carattere di parola,
immesso in loro stessi da Dio. Essi sono parola di Dio e risposta ad
essa. La filosofia e la teologia del linguaggio e della parola ha negli
ultimi decenni insegnato a capire in modo nuovo questo carattere
di parola della creazione.
Non si tratta però d'una nuova invenzione di ultimissima moda! La
testimonianza biblica della creazione mediante la parola di Dio aveva
già trovato la sua eco nella tradizione della fede. La prima lettera di
CLEMENTE, per es., dice che Dio «creò tutto mediante la parola della
sua potenza».JO AGOSTINO li e, sulla sua scia, BONAVENTURA 31 celebrano
il mondo come 'inno'. Specialmente nella letteratura dcl medioevo e in
quella posteriore si è sviluppato il confronto della creazione con la
sacra Scrittura: anche la natura è un 'libro', attraverso il quale Dio ci
parla." (Il 'libro del mondo' è poi stato strumentalizzato nell'Illumi-
nismo, e già presso RAIMONOO DI SABUNDE (t 1436) in tono polemico
29 Sebbene Ps 29; Am. 1,2; ls. 30,30 parlino in tal modo dcl Nono come voce
di Jahvé, non della sua parola, e nonostante le similirudini naiurali di Jer. 2 3,29;
ls. jpo s.; j,14 .
.IO 27..i (circa il 100 d.C.). Cf. testi più numerosi più avanù, pp. 110 s.s., e R:
lndex 181 (31 paMi dall'intera patristica).
li De musica, 6,11,z9 (PL 32,1179): «Carmen uni11ersilatis>; De ci11. Dei 11,18
(PI. ..p .n2 ): •pulcht:rrimum carmen». Su Agostino cf. R. BuLJNGt.11, Aug11stins
Jialot.iffhe Metaph)•sik, Frankfurt 1962, specialmente pp. 216-239.
•1 Il St'nl. 13, 1,2 I Ed. Quaracchi 2,316): cDi11inae autem disposi/ioni placuil,
1.1undum qu.z11 t·armt:n pulcherrimum quodllm Jecursu temporum 11en11sla•e•.
l.• AGoSTINO, Ent1". in Ps., 4j,7, PL 36,518. Alano da Lilla (PL 210,,79):
«Omnis mun,li ucatura - Quasi liber et pictura - Nobis est et speculum. Uco
'"' J.\N \'n11>Mt, De 1rrct1 Noe morali 15, PL 176,6.J.f s., paragona il libro della
cre111.ionc, dic <· una parola di Dio al libro che è la sapienza di Dio s1esso:
llt'Xtll'meron 11.12 (Ed. Quarac:chi 5,390); Breviloquium 2,12 (ibid., 230); ToM·
MASO, St'rl/IU \! d.- Dom. JU J.e Adventu (Ed. Vivès 29,194). a. E. R. CuRTIUS,
F.u,opilild1e /Jft·r11/11r 11nJ /aieiniscbes Mi1tdalter, Bem 21954, pp. 323-329; B
MONTAGNES, 'La parole: Jc Dieu dans la création', in RT H (19,54) 213-141.
DIO CREA MEDIANTE LA PAROLA
99

contro il libro della rivelazione). UGO DI S11N VITTORE ' 4 parla espressa-
mente dell'opera di Dio come della sua «parola esterna, la Parola dice
dunque la parola, cioè la parola che venne proJotta, Li Parola che la
produsse ... la bella parola, la bellissima Pnrola... la parnln crc;lla quella
non creata, bensl nata ... ». Spedalmcntc Ntc:OLÒ n/\ CusA 14 " si spinge
verso la cristologia generale della p;1rola.
«Noi abbiamo un redentore, che è un mediatore universale, che riem-
pie tutte le cose e che è il primogenito di tutte le creatuLe. Questo
Gesù fa risuonare dall'inizio del mondo nelle sue membra redente
un'unica voce, che a poco a poco si è venuta espandeni'.lo, finché rag-
giunse il più alto accento in Lui stesso nel momento in cui egli rese
il suo spirito. Quest'unica voce annuncia che non esiste nessun'altra
vita al ai fuori della vita nella parola e che il mondo, come venne
fuori dalla parola, così pure viene mantenuto in vita mediante la
parola e attraverso questa viene ricondotto alla sua origine ... Questa
è la grande voce che risuo1111 nel profondo del nostro spirito, voce
che i profeti risvegliano in noi, per incitarci ad adorare l'unico crea-
tore... Dopoché questa grande voce è andata ininterrottamente de-
vandosi attraverso i secoli, fino a Giovanni, la voce di colui che grida
nel deserto .. ., infine ha preso forma umana e al termine di una lunga
serie di modulazioni di insegnamenti e miracoli, che dovevano mo-
strarci che fra tutte le cose terribili doveva essere sceha dall'amore
la più terribile, cioè la morte, questa voce emise un grande grido e
morb.
LUTERO 35 parla in modo incisivo della grammatica divina, nella quale le
parole di Dio sono direttamente le realtà del mondo:
Scd monendum hic etiam illud est: Illa verba 'fiat lux' Dei, non
Moisis verba esse, hoc est, esse res. Deus enim vocat ca, quae non
sunt, ut sint, et loquitur non grammatica vocabula, sed veras et sub-
sistentcs res, ut quod apud nos sonat, id apud Deum res est. Sic
Sol, Luna, Coelum, Terra, Petrus, Paulus, ego, tu etc. sumus vocabula
Dei, imo una syllaba vel !itera comparatione totius creaturae. Nos
ctiam loquimur. ~ed tantum 3rammatice, hoc est, iam creatis rebus

14 De arca No.: morali, cii., cap. 16, PL 176,645 s. Questo capuolo tranM delle
•tre parole»: la parola dell'uomo: la parola di Dio che è l'opera di Dio e la parol.1
di Dio che è Dio stesso
14- NICOLÒ (USANO. Excitatìones 1,3 led. Basel 1~6541 t s.I: secondo H. DF
LUBAC, Catholicisme. Ler aspecu sociaux d., dogme. Paris. •1965, pp. 312-313.
15 WA .p,17,1)-23. Cf. WA 42,37,5"9; 13,17.33 s.; 14,6s.; lj,3-18; 17,18 ..z3;
WA 17,11.191,.4-12; WA ,.,56,12-28 ... ; D. lOFGREN. 'Dic "Thcologie der Scoopfun11
bei Luthcr', in Forschungl"n :cur Kirchen und Dogmenx.eschichte, ro CGOttingen 1'16ol
H-,6: anche P. MEINHOLD, l..utbers Sprachphilosnphie. Bcrlin 1958.
100 I./\ FEDE NEI.I./\ CREAZIONE

tribuimus app.:llationes. Sed Grammatica divin.1 l'St alia, nempe ui,


cum dicit: S'll splende. st11tim adsit sol et splcndcal. Sic verba Dci
res sunt, non nuda vo~abula.
Però questi 'topoi' divenuti ampiamente sterco(pi oppme considerati
come pure metafore .11> lasciano ,1mbito .id un.1 visio11c.: più profonda della
creazione mediante la parola.
L'uomo non diviene conscio di se stesso se non mcdianu: la parola. La
sua conoscenza più profonda circa il mondo e se stesso, è una conos..:enza
che s'articola nella parola. Cosl egli cessa d'esser ·infante'. La parola non
è un rivestimento successivo di un pensiero già prc1:c.:dentemente afferrato:
il concetto piuttosto si forma nella parola, questa è il suo corpo vivente.
Divenir uomo è 'farsi parola'. La parola è però essenzialmente riferita
all'altro, al prossimo, al tu. La lingua è dialogica, colloquio; il monologo
(in quanto possibile) è solo la sua forma imperfetta e: d!f~ttosa.J7 La parola
è il luogo originario come del divenir conscio di sé, cosl pure del rapporto
io-tu: «l'uomo diventa io attraverso il tu».'·' li rapporto con il tu
umano è circondato, è reso possibile cd è continuamente conservato
dal rapporto originario con il tu di Dio. Il cogito di CARTESIO, consi-
derato più profondamente e più compiutamente, è un cogitar (FRANZ
BAADER, e già presso Cartesio stesso): u11 essere interpellato e un es-
sere-espresso dall'eterno 'partner' di dialogo dell'uomo, dal Dio per-
sonale. La costituzione piena della persona mediante la comunità di
parole con altri uomini è radicata fondamentalmente nella costituzione
primaria medi11n1c la p.irola di quell' 'altro', che ~ Dio. MARTIN BUBF.R 1•
e FERDINAND EBNF.R 411 comprendono in modo simile questo principio

J6 Per es. ToMMASU D'AQUINO, De veri/. 4,2: cln divinis mctaphoricc dicitur
prou/ ipsa ctr.i/11111 diutm rn!>11m mani/esltlns De11m»; similmenle I Srnt. 27,2.2.
ocl.2 1J 3; S. tb. l.q.34,a.1: •fig,11r11tive•.
J 7 M. BUllf.M, 'Das Won. das J\esprochen winl' (1!)6o), in U1rrke I, Miinchcn
1962, p. -H7' •non c'è mai stata lingua, che prima non sia stata dialogo; poté
divcman: monolo110, dopo che il dialogo è stato imerrono o :<Oppresso•.
18 M. Bu11F.R, lrb unJ D11 (1921), in Werke I, p. 97.
l 9 Wt'rkc: I. 'Schrihen zur Philosophic', Miinchen 1962; oppure: Das dialo-
fl.tSChe Prinz1p, llc:idelberg ?1965. CL M. TllEUNISSEN, Der Andar_ S111Jim zur
.'io~:idlontnlny,ii: Jer Ge_,,·nu·11rt. Berlin 1\)65, pp. 243-373. Anrccedcntemente, an·
C'hc se con minor influsso: E. R<>SfNSTOCK - HuESSY, Die Spr11che Ji:s Menuhen·
t.1•s1·hle1·h11 ( 1911-1963), Heidclbcrg I 1\)63, II 1964; F. RosEN"~EIG, Dt'r Stern
drr Er/Qs111111. ( 1921 ), Heidelbcrt; ~l9H·
40 Spcciahncntc: ·Das Wort und dic geistigen Realititen' (1921), in Schri/ttn I.
Miinchc:n 11)61. pp. n-342; d. lbid.. pp. 643"9')8. Cf. B. ÙNGEl'>MEYER, Der dttl·
1011.ischt Perrnna/ismus in der evanr.ef1schen u"d kathol.iscbe" Theologie dt'r Ge-
11.cnwart, Padcrhom 1963, pp. 11-1o8. Anche A. Brunner ha posto come base
dei suoi UAAi filosofici l'inrerpersonalità della comunità linguistica, tra l'altro in:
f:rkmnlni1thc-nrie, Koln 1948, Der Stufenbtlll der Welt, Miinchen 1950, Gl11ube
1111,/ Erkc-111111m, Miinchen 1911.
ll!O CRF.A Ml!l>lhNTE LA PAROLA IUI

fondamentale di una filosofia della parola. Questo è stato fatto proprio


e trasportato nell',1mbito d::lla teologia evangelica alla luce della crea-
zione, inn<111~i tutto da FRmDRICH GOGARTEN 41 ed EMIL BRUNNER,42
pit1 l<1rdi Ja GERllARD EBELING. 43 Nella teologia cattolica dapprima da
ROMANO (jlJAHl>INl..w Al presente questi sforzi si vanno estendendo.45

Dio crea mediante la parola: '1 questa parola creatrice ri-sponde la


realtà del creato. Dio parla con efficacia, alla sua parola cor-risponde
la creatura - mondo e uomo - nella sua esistenza ed essenza.
Per questo tutte le cose hanno «carattere di parola»; 46 per questo
esse sono «parole dotate di esistenza». 47 «li mondo è la segnatura
della parola». 48 Il suo modo di essere, segnato dalla parola, «implica

H Specialmente: Dcr (;/a11be an dc:n dre1einigcn Go/I, .Jena 1926; GltJ11be 11nd
W1,.klìcMt'i1, lena 1921!. O. B. LANGENMEYER, op. cii., pp. 145-192.
u SJKcialrn~·ntc: Der A1tnsch i111 \Vid,·rrpuch (1937), Ziirich lr9.p; Wdhrheit als
/i,•11.e11n11ni: ( 1938), Stutlgert 21963. Cf. B. LANGENMEYER, op. cit., pp. 109-145.
41 Dm W'1'.1e11 dt's Chris1,•111ums, Tiibingen 11963, pp. 10~-n7, 248-250; Wort
und G/,111b,., Ti.ibingcn 21962, pp. 341-34.J-434-436; Luth", Tiibingen 1964, pp.
2 p s.: uomo e mondo sono •eventi di parola.. La parola di Dio è in fin dci
conii Dio nella ~ua solidaric:à con l'uomo.
44 S~i;tlmcnte: \Vt'/t und Perion (1939), Wiirzburg 5196J.

' 5 Da pane e\'ailgelica (specialmente per la teologia della parola): E. MELZEll,


Unsere Sproche im Ucbte der Christusoffenbtlrung, Tiibingen ?11),52; E. OntGUES,
L- temps dc la Parole, coli. •Cah. théoL» 34,19H; M. PtCAII>, D" J.frnsch und
dJs Wort, Erlcnbech-Zi.irich 1955; H. NoACK, Sprocbe und Oflenbarung. Giitersloh
1<)6o; P. Srnfrrz, PtJrusitJ, Hcidelberg 196o, pp. 529-591; R. BaiNG, Das giittlicht
Wort, Giitersloh · 196~; G. K1.E1N, Dit Theologit des Wortes Gol/es und dit
ll}·potbesc d" Univt'TSJ/gescbichte, Miinchen 1964; F. MtLDEHBEllGEll, Goltts Tal
tm Wor/, Giitersloh 1964; E. Mnzu, Das Wort in den Wiirtern, Tiibingen 196,5.
Da pane cattolica: O. SEMMEL11orn, Gott und Mensch in Begtgnt:ng, Frankfun
21958; \VirkenJes \fiori, Frankfur1 1962; 'Ocr Vcrlust des Pcrsnnalcn in der Theo-
logic umi die Bccleumng sciner Wicdcrgewinnung', in Goti in Wtll I, pp. 315-
332; D. Busorr1, Christlkbes Mysterillm und Wort Gollts (Einsiedcln 1957);
hr. it. Mistero cristiono e paro/o di Dio, cd. Fiorentina); H. U. v. BALrnASAa, V"-
bum Caro. Einsicdcln 196o, pp. 73-99; Dos Gon:i:e im Frogment, Einsiedcln 196~.
pp. 243-3'4; G. Sm1rurn, Philosophie dn Sprocbe, Einsicdcln 1962; G. SOHNGEN,
Analogie und Metopher. Freiburg 1962; W. GòSSMANN, Solerole SprtKbe, Miinchen
1965; K. H. ScHELKLE, G'Jttes Wort Einsiedeln 1965; M. SotMAUS, Wobrbeit o/.
Heilshq,egnung, Miinchen 163; L. ScHEFF<:zYK, Von der Heilsmocht des Vlorter.
Miinchcn 1966.
46 R. GUARDINI, Wnt umi Perso11, Wiirzburg ~,9,0, pp. no. Per quanto segue:
B. LANGENMF.\'F.l, op. cit., 208-222; 2,,-26.f.
41 C. TRESMONTANT, Biblisrhes Denilm untl htllenischt Vbtrlitftrung. Diisscl-
dorf 19,6, p. 71; cf. pp. 62 ~s.
411 M. HErNE, Zur Geschicble Jer &ligio11 unJ Pbilosophit i11 Deiuscb'4nJ
( 1834) III, Siirntlicbe Werkt in u voU., Lcipzig s.d., VII, 74.
102 LA FEDE NELLA CIJ!A210NE

un dialogo».49 Questa concezione del mondo della creazione è il fon-


damento profondo e universale di ogni ulteriore scambio fra uomo e
uomo, al di là delle frontiere di qualsiasi comunità umana.
Poiché le creature sono un esser-detto da parte di Dio, esse vo-
Aliono a loro volta venir-dette dall'uomo. Esse sono «continuamente
alla ricerca di colui, che le comprenda». 50 Nel momento in cui
l'uomo 'mette in parola' le cose, egli porta queste alla loro autentica
'consistenza'·.!, L'uomo solo ha il potere di fare entrare il mondo
non-spirituale nella sua risposta a Dio: a colui, dal quale esso
(mondo) pwviene. Il mondo diviene cosl teatro della gloria di Dio,
theatrum gloriae Dl!i (CALVINO), tanto che l'uomo in esso agisce,
percependolo ed esprimendo con la ragione quanto ha percepito,
come testimone di questa gloria del mondo e di Dio. 52 L'uomo non
accoglie in modo superficiale qualcosa di esterno a lui: mentre
esprime il mondo, egli esprime se stesso; esprime se stesso come
microcosmo, mondo in piccolo, come abbreviatura del mondo, secon-
do la concezione antico-medioevale, mentre la prospettiva dell'età mo-
derna vede il mondo come 'macro-anthropos', uomo in grande, come
prolungamento dell'uomo. L'uomo comprende il mondo nell'insieme
radicalmente; l'ultimo fondamento dell'essere è l'essere esprc"'''
creato del mondo da parte di Dio.n Una delle espressioni dn.uche
per gli animali, specialmente per i grossi animali, che peraltro si
fanno sentire molto bene, è behemilh, 'il muto': solo l'uomo può
veramente parlare. Questo avviene principalmente per il fatto che
egli, che è stato chiamato personalmente da Dio per nome (cf. Is.
4J.1 ), dà il nome a quanto non è umano (cf. Gen. 2,19).
Poiché le cose, quando viene loro dato· un nome, cioè con la
risposta dell'uomo alla parola creatrice di Dio, raggiungono se stesse

.. C. TaESM01''TANT, op_ cii , p 64. Anche savndo O. SEMMELROTH, op. cii.,


PP- ~6. w ..p e altrove spesso l'agire ere.icore di Dio ha carattere dialogiro•
!'Il R. GUARDINI, op. cii.. pp. 110 s.
!I M. BL'Br:R, 'Das \'<'ori, das gesprochen wird', in Werke I, p. 448.
•2 Cf. R. BAKTll. Gmndriu der Dogmalik, Miinchcn 1947, pp. 55-65.
~-1 Al riguardo: \V. KERN, in S1Z 173 ( 11)63 l 89 s., e Gren:r.probleme der Nalur-
wiHeJ1.<1·h11{1e11 led. K. FoKSTEK) Wiirzburg 1966, pp. 118 s., 127 ss. cCosl il con-
1cnu10 11lobale dell'uomo legalo al corpo e al mondo è inserito nel suo rappono-
ri~posla a Dio .. (B. UNGENMEYER, op. cii., p. 2,8): questo inserito oollcgamcnto
con il mondo è nel conccmpo apenura al mondo a dimensioni mondiali!
DIO CREA MEDIANTE LA PAROLA 103

e veramente diventano se stesse,54 esse sono create in riferimento


all'uomo. L'uomo è il vero chiamato da Dio in tutte le parole
creatrici, colui che è inteso per ultimo e per primo. Iddio personale
può rivolgersi originariamente solo alla persona del mondo, cioè
11ll'uomo. L'uomo è il partner del dialogo divino della creazione.55
Tale relativo antropocentrismo del mondo è perciò possibile e
reale, perché la parola è «la condizione fondamentale dell'esistenza
umana». 56 Nella sua «capacità di parlare» 57 ha il suo centro tutto
c.iò che fu detto riguardo alla creazione di tutto il mondo mediante
la parola. L'uomo è la creatura x6:~·t~ox'l'Jv. 58 E l'origine metasto-
rica della lingua umana sta pure nella chiamata da parte di Dio, alla
quale l'uomo dà una risposta. Il suo nascere è prodotto attraverso
l'essere spirito e l'agire da spirito dell'uomo: attraverso il 'luogo'
dinamico del suo 'parlare' e rispondere. Lo spirito umano è però
possibile e reale solo in virtù della luce e della vita (Io. 1 ), che l'uo-
mo ha in Dio e in Dio è. La creazione dell'uomo da parte di Dio
stabilisce insuperabilmente «il rapporto della corrispondenza perso-
nale».59 Più propriamente, l'uomo è se stesso proprio attraverso
questo rapporto. All'atto creatore di Dio corrisponde un atto crea-
to: questa è la persona creata, l'uomo. «L'essere personale è quel-
l'essere, che io ricevo quando mi metto all'ascolto della paro-
lai.: 60 «essere responsabile, attualità responsoria».61 Dio dà l'uomo

54 Si deve, rispeniv•mcntc si può, comprendere cosl l'espressione di Tommaso


d'Aquino - presa certamente dal neoplatonismo: «.redirt t1d nstnlit1m [ = co-
scienza spirituale] nihil 11fiud est qua.,, rem subrisltre in rtipst1 [ = autentica indi·
vidualiià delle cose]• I Seni. 17,1,, ad 3; De ver. 2-3 ed 2; S. th. I 14,2 ad 1?
55 R. GUARDINI, op. cit., p. n3: .. n mondo è pronundato da Dio all'uomo.
Tuue le cose sono parole di Dio per quella creatura che è determinata per na·
tura alla relazione di 'tu' di fronte a Dio•.
56 F. GOGARTE.'I, Di<' Kirche in der Welt, Heidclbcrg 1948, p. 92.
57 F. GOGARTEN, Der Memch zwischen Goti unJ Weft, Heidclbcrg 19p, p. 239.
n. LANGENMEH.I, op. rii., I'· 258, e L. Sct1EFFC'.f.YK in TQ ..... ( 19~) 81 parlano
d' 'Worthaftigluit'; G. Sbt!N<;t:N, op. cii., p. '-'• parla di 'Geworlttrein'. Le
espressioni posson cgcr tronfie: <juesto non imJIOna.
SI Nella tradizione della spieguionc rabbinica della legge il termine berii11h
(= creatura) venne riferito <juasi esclusivamente all'uomo; prese llll2i il significato
generale di 'uom<>' sa't>ntlo G. Sct1NF.IDE1t, op. cii., p. 47.
5'9 E. BRllNNER, wabrheit 11/s s..,..,.nung. Bcrlin 1938, pp. 49.,2 e spesso; d ..
per quanto s1:11ue, lb1J. PI'· 3... 38.
60 F. GOGARTF.N, Dir Kir,·hc in Jer Wc-fl, Hcidclbcrg 1948, p. 10,. H. THIF.·
LA FEDE NELLA CltEAZIONE
104

11 se stesso nel momenco in cui chiama. l'uomo all'essere, lo interpel-


la nel porre l'essere e mediante esso. Egli rende l'uomo a sé, al-
: 'uomo stesso; proprio quando egli, che è Dio, si dà all'uomo. La
oarola di Dio e la risposta dell'uomo sono quindi due aspetti dcl-
i 'unico e medesimo processo. Dio è sempre colui che partecipa al-
l'uomo se stesso mediante la parola e l'uomo è sempre colui che,
accettando o rifiutando, assume un atteggiamento nei confronti
della parola. In questo rapporto costitutivo di uomo-creatura con
Dio-creatore viene posta la dipendenza creaturale dell'uomo da Dio.
Il dire se stesso, l'autodeterminazione, la capacità dell'uomo di
disporre di se stesso è resa possibile e autorizzata solamente dal-
l'essere innanzi tutto detto, determinato, disposto da parte di Dio.
L'uomo è libertà che risponde, che è posta, 'seconda' (ma, in questa
dipendenza, allo stesso tempo genuinamente originaria e pertanto
'prima'). D'altra parte con tale rapporto uomo-Dio, è dato il fatto
che la parola creatrice che si rivolge all'uomo (e all'uomo si rivol-
gono tutte le parole creatrici) è sempre una parola invitante a un'op-
zione prima e definitiva: per la salvezza, di fronte al Dio della grazia.
È parola salvifica in sé, che già per sé segna un destino che costruisce
la storia. Essa raggiunge la coscienza dell'uomo.62 Cosl anche i dieci
comandamenti di Dio sono proprio le sue 'dieci parole' (Ex. 34,18;
Deul. 4,13) o semplicemente le sue 'parole' (ler. 6,19). E con il ri-
chiamo: «Dove sei?» Dio costringe l'uomo a rispondere; l'uomo, ri-
fiutandosi a Dio, rimane muto. L'uomo è capax verbi divini, perché a
lui è attribuita l'esistenza mediante la parola creatrice fin dall'ini-
zio. L'uomo, creato da Dio mediante la parola, è creato per dare

l.ICKF., Theologische Ethik I. Tubingen l1958, pp. 28.j.: cLa persona in quanto
imago Dei è l'esser inu:rpcllato da Dio•. K. Rahner in StZ 177 (1966) 413: cii
dialogo :ra Dio e uomo che l'uomo i· 'sostanzialmenre'•.
M E. BRUNNER, 'Die chrisrliche Ldirc \'On SchOpfung und Erl0sung', in Doi·
matik li, Zurich 1196o, p. ì2. Quando Brunner qui dice: cNon ci ~ facilt
congiungere srruuura e relazione, e: ruuavia è appunto questa la pc:culiarirà del·
l'c:ssc:rc umano, che 11 sui slr111111ra è una relflvone» - un tale accordo non è
né possibile. n~ necessario: la s1ru11ur11 ontologia è piuttosto la conseguenza di
quella relazione fondamentale rosritutiva, creacore<reatura.
62 Cf. G. EnELING, l.11/Mr, Tiibinpen 191S.4. p. 2n: «Persona come essere del-
l'uomo davanti 3 Dio è cos1i1ui1a dall'esser stati raggiunri dalla parola di Dio.
che: guida l'uomo nella •U~ cosdenza e: lo rende: libero•.
DIO CREA MEDIAlft'l! LA PAROLA 105

una risposta a Dio e agli uomini posti accanto a lui. Questo è il


dialogo della creazione ininterrotto fin <la principio, beatificante in
virtù della grazia di Dio o mancante per colpa dell'uomo.

Veramente proprio la creazione dell'uomo non viene interpretata nel


racconto della crca:tionc in Gt·11. 1 wmc avvenuta mediante la parola.61
Secondo la versione la 'parola' del v. 16, né la parola stessa crea, (come:
Gen. 1,3.6.14), né essa impartisce un ordine di produzione (come Gen
1,11.14), essa contiene solamente l'annuncio divino dell'opera; la crea-
/.ione propriamente detta viene compiuta semplicemente da Dio ( v. 27 ).
Ciò però si può forse spiegare dal punto di vista della storia della tra-
dizione: cioè che il v. 26 apparteneva forse ad un testo più antico e
non poteva essere facilmente sostituito da una nuova redazione corri·
spondente al racconto della parola delle altre opere della creazione.
Oppure vuol forse porre in rilievo la profonda differenza tra la creazione
dell'uomo e il venire all'esistenza delle altre realtà dcl mondo (sicché
la creazione attraverso la parola si interromperebbe proprio quando il
suo si~nificato sta per raggiun~ere l'apice appunto nella creazione della
creatura della parola, cioè dell'uumo .. ). Forse in questo stato dcl testo,
che sembra togliere valore alle riAcssioni precedenti, può essere anche
vista una correzione anticipata per lo sviluppo di ogni dialogica della crea-
zione e di ugni teologia della parola, che in qualche modo dimenticasse,
che anche il discorso circa la parola creatrice non può esser che analogo.
La teologia della creazione, che tratta del parlare di Dio, non deve anche
essa come ogni parlare umano trovare il suo compimento, nel silenzio,
nel silenzio 'taciuto'?65 Nella teologia evangelica si manifesta già da anni
una reazione contro W'l pensare troppo attualistico in termini di per-
sona, un richiamo alla considerazione delle strutture ontologiche del
mondo ... Con ciò si potrebbe almeno sperare che la teologia cattolica da

6J a. W. H. ScHMIDT, op. cii., p. 170.


.. Le cose na..cono ~r ordine di Dio, !"uomo per la sua chiamata (secondo
GuAlDINI, op cit.J - ma appunro questa chiamata è taciu1a nel teslO del
Gtntsi.
6S Circa il ••ilenzio 'parlato' rome :a fine perfectrice del discorso• in M. Buber
cf., M. T1tF.UNJSSf.N, op . .-it., p. 291
oe a. G. Gu1t:GF., 'Ocr 1heologische Personalismus als dogmatisches Problem'
in KuD I ( 19n I l ~-.p. Sc:mbra troppo dura la polemica di W. Pannenberg: che
il pensiero della creazione medianrc la parola sarebbe radicato cncllc convinzioni
arcaiche dcl po1ere magiro della p.irola• (Thtologie /iir Nichllbtologtn IV (a rura
di H.J. ScllllLTZ), Stuugarc 196,, p. 88; d. W. PANNENBEllG, Was isl dtr Mensch?,
Gottin11m 21964; lo. (cdit ) Offt11harung al1 Gtschichtt (ibid., 21963) (tr. it.:
Riwlaliont comt storia, Ed. Dchoniane, Bologna); d. anche la lllC55I in guardia di
I06 L\ FEDE NE.LU CHAZIONE

parte sua - supposto che non abbandoni alla leggera nulla del suo patri-
monio ontolo~ico tradizionale - tenga in molto più conto l'esperienza
interpersonale, che si va man mano riunendo in un sistema. Decisiva e
ddiniiiva diviene l'interpretazione della creazione mediante la parola,
quando si vede che la parola creauice è la parola personificata, cioè l'unico
VERBUllll di tutti i verbo della creazione.

2. Il creatore è il Dio u110 e trino

Il mondo fu creato «dal Padre mediame il Figlio nello Spirito


santo». Questa formula trinitaria che si 1rova in Ac.osTIN0, 1 è la
interpretazione teologica del messaggio dcl Nuovo Testamento.
Quando il Nuovo Testamento parla semplicemente di 'Dio' (li~&;),
intende pllrlare della prima persona della Trinità: 2 colui, che Gesù
chiama «Padre, Signore del cielo e della terra» (Mt. 11,2,). Egl! è
Jahvé, il Dio dell'Amico Testamento, che ha creato tutto (Aci.
4,24; Eph. ~.9; Hebr. 1,2).
La professione di fede della Chiesa primitiva ha ben presto pre-
messo, contro il disprezzo dcl mondo e della sua formazione, all'ar-
ticolo <:entrale dcl Credo rigoardante Gesù, Cristo e Signore, il fon-
damentale primo articolo: «lo credo in Dio Padre onnipotente, crea-
tore del <:iclo e della tcrrn».' Come il Padre è il principio, senza prin-
cipio, JeJ dinamismo della vita trinitaria ad intra, cosl è pure fon-
damento ultimo di ogni attività divina ad extra. Tutte le asserzioni
circa la creazione. da parte del Figlio e dello Spirito, includono anche

Tillich ninm> 111 (unfusionc nell'uso dcl termine 'parola' in Systematische Theo-
lof,ic• I, ·S1ut1gar1 !1y5(>, pp. 18;-189.
1 /11 ftJ1/llm.1 1·1•1111J!.c·li11111, 20,9, PI. 15.1561: «unus mundus factus est a Patrc
per Filium h 'ìpiritu Sanrto». Similnwnt.:: De vera religione ,,,u3, PL 34,172;
D,· Tri11/1,11" 1.ri.12. /'/. 42,827.
2 K. RAll~FR. "l'hcos im NT', in Scbri/te11 I, pp. 91-167. Anche la filosofia, se rico-
nosce Dio. rininosc.· il Pu1lrc s.:nza principio, anche se certamente non come
Padre, ,·ioi.· c~mc colui che g1·n1·ra il Figlio: lbid., p. 150.
3 ns 1·5.10-21.25.27-30.16 ccc. I simboli più antkhi confessano solo l'onnipo-
. tenza dcl P;1d1·" lfUlllc :tll\'T11x1.11iT<nU. Lo sviluppo della confessione della creazione
si µ-ova appen11 nc:lk tcs1imonianzc dcl secolo IV (1>s 21 s., 40-42. 44.46.51.60.139.
150). Il t.-osiddt.'llu simbolo Tol.:1.rno I (dell'anno 400 o 447?) confessa «l'unico
vero Dio, ·Padre, Fi~lio e Spirito Santo»· come creatore (ns 188).
IL CHATOIB I! IL DIO UNO I! DINO 107

il Padre, dal quale Figlio e Spirito procedono nel loro agire. La


creazione del mondo è la rivelazione, fondamentale per ogni ulte-
riore attività divina, dell'onnipotenza, dell'incondizionata sovranità
di Dio Padre.
Il Nuovo Testamento attesta ripetutamente, che il mondo è sta·
to creato «per mezzo del» figlw (r Cor. 8,6; Col. 1,16; Hebr. 1,2;
lo. 1,3.10).'
r Cor. 8,6 ed Hebr. 1 ,2 presi assieme dicono espressamente che
l'unico Dio, il Padre, dal quale è tutto, creò i mondi per mezzo del
suo Figlio. «Questa frase non contiene un theologWrienon cosmo-
logico, ma è piuttosto un kérygma soteriologico»,5 annuncio di Ge-
sù il Salvatore: cli Padre mio opera fino ad ora, cd anch'io opero»
(/o. 5, 17 ). Il figlio è mediatore di creazione non solo come L6gos
eterno, preesistente. Il prologo giovanneo 6 unisce nell'unico &ani-
ma della salvezza i diversi modi in cui la parola viene nel mondo:
come principio creatore (v. lo), come rivelazione al popolo ebr.aico,
sua 'casa' (v. 11 ), come colui che si è fatto carne (v. 14). Il mondo
è stato creato per mezzo di Cristo, perché ordinato a Cristo. Il «per
mezzo di lui» della creazione, che fa pensare innanzi tutto solo al
Logos preesistente, è incluso nella concreta totalità del «verso di
lui», del Christus totus nella redenzione e nel compimento della
nuova comunità di s11lvczza (come appunto la meta dà fonda-
mento all'inizio e alla continuazione di ogtti attività). 7 In Cristo
noi siamo, secpn<lo Paolo (Eph. l,3-12; 2,14-22; 3,8-II ), scclri
«prima dclii\ creazione del mondo» ( l ,4), affinché «tutte le cose,
dcl cielo e. della tt:rra» ( 1, 1 o), si unificassero in lui. ed egli special-
mente di tutto 4uanto era diviso tra gli uomini cre11sse «Un solo
uomo nuovo» ( 2, 1 5 ): questo è «il mistero nascosto da secoli in
Dio, creatore dell'universo» (.3,9). (Qui, nel :rtQÒ xat~oMjç x6aµou

4 V. F. M11ssNF.K, so1>ra pp. 77 55.


s G. G1.omm, in Rc;c; 1 V, 148,.
6 E. Bo1SMARD, I.e prnlo11.11r dt s11inl' ]1•1111, Paris 1953, pp. 49.uu. 1 171 s.
7 Cf. Col. 1: vv. 15·17a con vv. 1+17b-.10, in particolare la correlazione uni·
versale: di crc:aiiom: - rcdenzionl' nel 1•. 16: « ... 1utl<' le• c·osc, qudlc dc:l ciclo e:
quelle: della tc:ira, ... ~ono srntc lrl',llc mcdiunw lui e l""r lui», e v. :ao: ce pet
mezzo di lui riconciliare 11 sé l\ltll' le cose, e della terra e del cielo ... •.
roll LA PBDE NELLA CREAZIONE

di Eph. 1,4, ~embra aver più giustamente le sue radici la poste-


riore speculazione cristoloizica intorno alle idee ). 1
Definire Cristo lo strumento di creazione del Padre sarebbe un
modo di dire ambiguo e falso: egli stesso è il creatore. Non solo
rerché, secondo la professione di fede trinitaria, egli è uguale nella
c:ssenzn al Padre; già i suoi miurnli, qui in terra sulla natura e sulla
vita umana ne sono la prova: «poiché spetta unicamente e sola-
mente al creatore assoggettarsi ogni cosa».' Ciò mediante cui il
Padre crea il mondo, non è uno strumento secondario: è il suo
essere riconosciuto nel Figlio, il suo essere-parola, la sua forma essen-
ziale riconosciuta cd espressn. 10 Però con ciò noi ..abbiamo già supe-
l'ato, ovviamente, la testimonianza del Nuovo Testamento.
Come la rivelazione del Figlio quale persona divina rese solo a
poco a poco più chiara la professione di fede nello Spirito quale
'terza' persona divina, cosl anrhe l'attività creatrice dello Spirito
poté essere sviluppata dalla teologia solo in corrispondenza alla
funzione creatrice del Logos Figlio, attestata dal Nuovo Testamen-
ro. Essa si fonda su tutto un insieme di passi scriuurali, 11 che posso-
no essere così sintetizzati: lo Spirito santo si manifesta come il do-

• Vcdt più avanti pp. uo ss.


' Calvino, in Corrus refor.'11.itor11m c.luùri opn• 52,_57; da W. N1ESP.I T>ir
Tbeologir Clllui111, Miinchcn 219,7, p. 61. Cf. TOMMASO D'AouIMO, S.r. %..,,lilrs
I. IV, 1 }: •Vrrbunr ""''"' Dri, quoJ rst r•tio rrrwm f/IC/•11111 " Dn., c111N sii
s11bsistr11s, 111.il, 11011 so/11111 ~r ipsum lliiquiJ 11git11r•.
10 ln qualche modo secondo l'Hsioma scolastico: cunumquodque ageDll 111it pn
suam formam• (TOMMASO, S. tb., I, q. 1, a. }, ad 2). Cf. F. MALMBUG, O~r Je11
Go11nrr11scbr11, Fn:iburg 1900, p. 96.
li Le. ~,.J9: potenza dall"aho. Aci. 2,)3: promessa; 2.38 il dono dello Spirito
santo; 11,17: dono. Rom. '·'' l'amore di Dio è stato dilfUIO nei nostri a»ri toa
lo Spirito santo che ci fu dato; 8,2 J: primizia clc:llo Spirito; 1,,19: con la p.llenza
dello Spirito di Dio; 1,,30: carità dello Spirito. 1 Cor. 2,12: E noi abbiamo ricevuti\ ..
lo Spirito di Dio per c:onosccre i doni che egli ci ha elargito; 12,\-11 (doni Jc.llo
Spiriro, - anività dello Spirito). J Cor. 1,22: ci ha dato il sigillo e la capa1'I
dello Spirito nei nostri cuori; },J-6; ,,,: caparra; lJ,l}. G.J. 3,14: prom..-s..a;
,,22: i frutti dello Spirito. Eph 1,1-14: ogni benedizione mediante lo Spirito
- pegno della nostra ercdi1à; M-7: elargire il dono gratuito di Dio in \'inù
della sua potenza; ,,18: esser ricolmi dello Spiriro. Col. 1,8: carità nello Spirito.
1 Thrss. 1,6: gioia dc:llo Spirito santo; 4.8. Tit. M·7- Hrbr. 2,.J: doni dello Spirito
santo, C011fcri1i secondo il suo beneplacito; 6,.. s.; 9.1+ lo. 1,)3; },8.34; 14,16.26;
1,,26; 16,7-1,; 20,2}- 1 lo. 3.~: lo Spirito che ci ha dato. Secondo I«. 1,18
Dio cdi sua volontà (d'amore) ... ci ha generati con una parola di vcritb; cf.
lipoc. 4,n.
IL CREATORE È IL DIO UNO! TalNO

no originario dell'amore intra-divino, all'opera m ogni attività crea-


rrice gratuita, di Dio «verso l'esterno». 12

Per la sua funzione essenziale l'Anrico Tesramento può essere solo


una preparazione alla rivelazione della creazione come opera del Dio
uno e trino. Preparazione per 111 rivclrizione dello spirito creatore: «Lo
spirito del Signore riempie l'universo• (Sap. 1,7), il suo soffio dà vita
(Gen. 6,3; Ecci. 12,7; lub 27,3; H.14). La creazione, che Dio compie
secondo la sua volontà (Ps. 11s 1 3; 1n 16), è l'opera della sua grazia e
bontà (Ps. 33.S: 36,6; 89,1s; 136,1-9; 14,,9). Soprattutto nell'epoca
più tardiva dcli' Antico Testamento si dà maggiore ampiezza alle esser·
zioni sull'amore di Dio: Egli ama la sua creazione più di quanto possa
amarla qualsivoglia uomo•.ll Sap. 11 ,24-26: «Poiché tu ami tutte le
cose esistenti, non disprezzi nulla di quanto hai creato. Se avessi odiato
qualcosa tu non l'avresti creata. Come potrebbe sussistere una cosa, se
da te non voluta? ... •.
Tutto questo non afferma però ancora la personalità propria dello Spi-
rito creatore in quanto espres~ione della volontà amorosa di Dio.
La prepar11zione all11 rivdazione della parola penonale creatrice nell'An-
tico Testamento si presenta cosi: sebbene il pl11ralis maiestatints di Gen.
1 ,26; 3,22: 1 1,7 secondo il suo senso letterale non lo indichi (ma costi·
tuisca quasi un auto-incitamento, col quale Jahvé si unisce alla sua corre
celestel. 1• la Tradizione, dalla Lettera di Barnaba (v1,12; ca. r30?) in poi,
ha messo in relazione la sua visione trinitaria della creazione con questi
passi. Il prologo giovanneo (Io. 1 ,1) riprende l'espressione 'In prilfdpio'
di Gen. 1 ,I: ciò incoraggiò maggiormente a vedere nell'inizio semplice-
mente il Cristo-Logos 15 e ad identificare, in corrispondenza, in Gen. 1 ,2

Il Tommaso d'Aquino fa al riguardo una considerazione cbe merita di esser rias-


sunta: regalo è dono senza anendcni un contrattambio. L'origine dell'ano di
regalare è l'amore. La prima realtà che l'amore rcpla, è se stesso. Euo è il primo
regalo, auraveno cui vien dato ogni dono disinteressato. Ora siccome lo Spiriw
santo procede dal Padre e dal Figlio come amore, egli è il primo rqalo. Perciò
Agostino IDe Trin. 1,,19, PL 42,1o84) diceva: «Mediante il replo che è lo
Spirito santo, vcngon elargiti alle membra di Cristo molti doni panicolam (S. tb.
I, q. 38, a. 2). In modo dcl tuuo simile Alberto Magno (1 Seni. 18, a. 1, cd. Borgnct
2 hl91 ): cSpiritus Sanctus est J01t11111 in qllO .Jù JoNI Jrmatwr... primlUfl Jonu111
t!11tur in :reipso: quia ipsum est 11mor gr11tuitus in quo et ipse et omni11 .Ji6 se-
c1111J11 doNI Jonantur».
Il W. ElCHIODT, Tbeologie Jes AT I, Bcrlin 4i9Jo, p. 124; lbUI., p. 124 DC>
ta 4, docummtszionc presa dagli apocrifi \'CtCl'Olcstamcnwi.
t• G. v. RAD, Theoloiie Jes AT I, Miinchcn l1961, p. 1.f9; con rinvio a r Reg.
22,19; lob 1,6; ls. 6,1-3.
ts O. 1 lo. 2,13; Apoc. 3,14 (cii Principio della creazione di Dio•); 21,6;
22,13; Col. 1,18.
IiO I.A FEDE NELLA CREAZIONE

ruach ( =vento, soffio dcl respiro, spirito l con lo Spirito santo. Questo che
si riscontra in AGOSTINO 16 come pure in ToMMAS0, 17 è teologia biblica
troppo libera. Tumrvia in ls. 9,7 Jahvé 'manda' la sua parola: tale verbo
è il terminus technicus per la missione dci profeti e degli angeli da parte di
Jahvé. 11 Nel punto centrale di Ps. I r 9 si legge: «In eterno, o Jahvé,
rimP.rrà la tua parola, stabile come il cielo» (v. 89): tutti i 38 passi della
documentazione dell'Antico Testamento usano il verbo nissab come
predicato specificatamente personale (ad esclusione di un testo alterato).
Qui e specialmente nella letteratura sapienziale (Prov. 1,20-33; 8;
Sap. 7-9; Ecc/us 1,1-8; 24. lob 28,12-28) la parola, rispettivamente la
sapienza di Jahvé, incomincia ad avere autentici tratti personali. _Prov.
8,22-31 annuncia secondo W. V1sCHER" cii più intimo, il più personale
e il più dinamico essere e agire del Signore con la sapienza». La cfiglio-
lctta giocos11» 211 (altra lezione: architetto), con la quale Jahv~ progetta
l'universo, non sembra essere solo una personificazione poetica del pen-
siero espresso in Prov J, 19 senza tale affiato poetico: « J ahvé con la sa-
pienza fissò la terra, creò i cicli con l'intelligenzu.21 Da un lato la
sapienza è creata (Ecc/us 1..i ecc. e di frequente), quindi non semplice-
mente identica a Dio, d'altra parte essa ha predicati divini (Sap. 7,17-30).
In Sap. 7 121; 8,6; 14,2 la sapienza appare come uxv\'t~ artefice; in
13,1 Dio stesso appare come uxv''fTK. Sap. 9,1 identiDca sapienza e
parola, Sophta e Lo11.os. Secondo Ml. 1~.34 unitamente 11 Le. 11,49 è Gesù
eia sapienza di Dio» (cf. anche Mt. 11,16-19; LL 7,11-n e 1 Cor. 1.
24). 22 cTutta una serie di professioni di fede della Chiesa ha ricono-

" De ci11. Dei, 11,33, PL 41,347; De G~si ad liii. l,8, PL .J.4,2,1. Tale in-
terpretazione già in Teofilo (~. nJ: 1,10, PC 6,1o6,. Anche in AmbroP> (Hr-
x«nrmm l,8,19, PL 14,1,0). Già Girolamo (Hmm« fllMSI. ;,. G11, PL 13,9,8)
Afferma criticando a proposito di Ge,,, 1,1: cm11fjs ... sec111ttlll1" sms11m
secundum verbi lranslatio,,em de Christo accipi potesi•.
""'°"
17 S. th., I, q. 74, a. 3, ad 3. Questo passo - mmc già .Agosùno (De Getresi
tUi liii. 1,8) - presenta anche una seconda triade, che va oltre: essa iniapreu la
parola dcl Creatore di Gm. l,3.6.9 ... riferendola al Logos, e la CDmpiacmza per
h bontà del creato di Gen. 1,...10... riferendola allo Spirito santo.
11 Sebbene si riferisca spesso anche a oggcni non personali. Ciò, e quanto si sta
per dire, secondo A. Dl!ISSLER, 'Das Wort Gottes', in An:. f. d. ltalh. Geistl.
73 (1964) '1·H·
19 'Ocr Hymnus der Wcisheit in den Spriichen Salomos 8,22-31', in EoT 22
( 1962) }09-326, }11. Cl. O. PROCKSCll, Theologie Jes AT, Giitcrsloh 1949, pp.
476-48o.
:io In S11p. 18,14 ss., la parola onnipotente di Jahvé l: un cgueniero terribile•:
le immagini si relativizzano e in Cris10 si compie ciò che era inteso figuratamente
(511p. 8,14 s., come canto d'ingresso della messa della domenica tra l'ottava di
Natale).
21 W. V1sCHEa, op. n1., pp. 31' s.
22 Riferimenti di W. VascHu, op. cit., p. 323. Altre lince di mllepmcnto con il
IL Cll!ATOllE t IL DIO VNO E TRINO J li

sciuto espressamente rhe Gesù Cristo è il Logor e la Sophia di Dio•."


Nell'Antico Testamento la parola, .la formo più adeguata e completa
di manifestazione di Jahvé• 24 comincia a manifestarsi come parola in
persona, come il Logos di Io. I.
Le rappresentazioni della letteratura sapienziale dell'Antico Testamento
circa la creazione del mondo mediante la sapienza di Jahvé influirono
0
(sulla scia dell'interpretazione cristologica Jd Nuovo Testamento) fin
dall'inizio sulla /rudii.ione tcologica.l'l. Secondo il Pastore di Erma 11
il •Figlio di Dio ... è diventato consigliere del Padre nell'opera della
creazione•; il suo nome sos11.-r1c 111no il mondo - specialmente quelli
che portano il suo nome! La seconda leuera di Clemente 11 dice di colui
che redime miscricordi~i:111c: gli uomini: cEgli ci chiamò, perché noi
non c'eravamo, ed egli volle che venissimo all'esistenza dal nulla.. Pro-
prio il problema filosofico, del rapporto cioè che poteva avere Dio con il
mondo, essendo un essere puro, immutabile, insinuò agli apologeti del
u secolo l'idea della funzione mediatrice del Logos; essi tuttavia la spie-
garono quasi nello stesso modo che il platonismo medio, la 6loso6a del
loro tempo. G1uSTlNO 11 fa apparire il Logos quale forza razionale del
Padre solo nel momento in cui viene intrapresa la creazione dd mon·
Jo, sebbene egli lo chiami Figlio di Dio, anzi Dio - ed anche Cristo,
pc~ per mezzo di lui Dio ha consacrato ed ordinato tuno - .
:\ TENAGORA 29 e TAZJAHO l i attenuano la subordinazione del Logos al
Padre, ma limitano pur sempre fortemente il Logos alla funzione co-
smica.11 Secondo la leller.a • Dio1.11elo,D Dio mandb la parola, me-
diante la quale creò il mondo con il sole, la luna e le stelle, per un
..ervizio paziente e amorevole tra gli uomini: cEgli conosceva tutto
~xci'>ç in ~ insieme con il suo Figlio».
Lo Spirito santo nella teologia cristiana più antica, viene riferito alla
creazione solo occasionalmente e per accenni.

twn in S•p. 7.24 r in Col. r,r,.


!l.'T v. 90pra p. 67. lnolrn
ll W. V1sOW1, op. cit., p. 32, con rifrrimm10 a A. IUHH-A. Huru0t, BibliotMle
111111 G'411~1urr1n" Jrr Altnr l<ircM, l1897.
tln s.,,,,bolr
M L ScHr.rFCZYK, \.'o" Jn Hrrlsm«bl Jrs V/lortrs, Miinchen 1966, p. 92.
Z1 Secondo L. ScHl1.FFCZYIC, ScbOp/""1. '"'" Vorsrh""'• Col!. •HDG• n/u, Frci-
bura 1963, pp. JHjl; d. lo scorcio in D:T 2 ( 21968) U9-368 r TQ 144 (1964) 71-74.
• Srm. IX 11.14, PC 2,987 1. 9891.
17 I, PC l,}JJ.
11 Dr,,J. 61; Apol. 11.6; Apol 1,63, PC 6.61 HH·.µ,.
zt Supplic111io 10, PC 6,908 s.
» Or111io ,, PG 6,813-817.
JI Similmrntr Tertulliano (L. Sc11F.Pl'!'7.YK, op. rii .• p. 47 noia 21) e più wdi Mario
Viuorino (Atl11 Ariu"' 1,2,, PL 8,10,lt s., nccruaria (?I relazione cosmica dcl >.Oyoç
Gesù, cve/,,1 rltmrrr111"' omtfiu"' q1111~ s""I• ).
ll 71., PC z,117,·1180: ci11zione: 8 (118o).
112 LA FEDE NELLA CREAZIONE

La prima testimonianza chiara di un'interpretazione trinitaria è offerta


da IRENEO di L!one. Il Dio assolutamente sovrano mette in opera il
suo piano di creazione con «le sue stesse mani»,ll con il suo Figlio e con
lo Spirito santo. «Il creatore dcl mondo è veramente la parola di Dio:
egli è però il nostro Signore, che negli ultimi tempi s'è fatto uomo, vi·
vendo su questa terra, e cht· abbraccia invisibilmente tutto quanto
esiste, e che è inserito (i11{lx11s) in tulla h neazionc, perché la parola
di Dio governa e ordina tutto e perciò venne visibilmente nella sua
proprietà, si è fatto carne e fu appeso alla crnce, per riunire.: in sé di
nuovo ogni cosa».l4 «Una presentazione della crc:izione cosl nettamente
orientata all'economia della salvezza e centrata nel Cristo non è più
stata sviluppata nelle epoche scguenti».-15 ATANASIO vede nel Logos il
modello archetipo e la forza che vivifica tutte le cose, per la creazione
e la conservazione del mondo.-•• (<Proprio nella sua parola, con la quale
anche ci creò, egli prepara I'olxovofticx della nostra salvezza», affinché
noi m lui, che è l'inizio della vin, «possedessimo la salvezza che redi-
me».n La visione trinitaria storico-salvifica della creazione torna allA
ribalta con maggior pienezza in METODIO di Olimpia :ia e poi presso i
cappadoci del IV secolo: il Logos è il creatore del mondo, la sua incarna-
zione redentrice ne è il compimento. Il Signore di tutte le cose,
creatore e governatore del mondo, è il redentore e il pacificatore, che
uccise sulla croce i miei peccati (GREGORIO NAZIANZENO ). 1• I cappadoci
nella loro concezione della Trinità, fortemente ispirata all'economia della
salvezza, riconoscono ad ognuna delle persone divine una funzione propria
nella creazione: per BASILIO <40 il Padre è la causa preparatoria della crea-

·" Adv. haereses 4,20,1; 5,1,1; 5,6,1, PG 7,1032.1123.1137.


J~ lbid., ,,18,3, PG 7,rr74.
~1 L. ScHEFFCZYK, op. cii., p. 47. Cf. G. W1NGREN, Man and lbt lncar11alio11. A
S1111/y in Biblica/ Tbeology o/ lrenacui (ediz. svedese 1947), London 19,9.
"' Cnn/ra gentes 40.42.44, PG 25,81.84.88.
17 <Jratio Il c. Arianos 7;. PG 26,305. Quaniunque inteso personalmente, il Logos
è qualcosa come I' 'anima' del mondo intero (De incarn . .p, PG 2p68 s.; C. Gentes
36, I hid. 72 s.) e può esserlo anche per un corpo singolo, in Gesù Cristo (De incarn.
r;, /hid. 125); la sua immagine cosmica perfetta è l'animR umana, un logo1 in pic-
l'nlo. pcrl"iò via verso di lui e verso il Padre: al Cristo-logos deve corrispondere il
l'ris1i;inn-lu11os. (C. gentes, 30-34, lbid. 61-69; De incam. 1/4, lbid. ur; cf. la Vita
1l11/ru11i, PG 26,838-976) Cf. A. GRILLMf.IF.R, in Cbt1lk1•don 1, 81-!13.
·18 .\11111>mion 3,6-R, PG 18,68-76. Cf. Or. XXXVIII, 3, PG 36,314: «Dio si mani·
fcstò ni:li uomini mediante la nascita: una volta come mlui fhe è e invero come
colui l'hc, Jl·rivanclo da chi <."Sistc eternamente, esiste egli pure eternamente ... : la
p11rnln: 11n11 scrnncla volta qL1ale s'i• fallo più tardi per il hcne nostro, utlinch~ e111i
d1c ha clnto l'essere, doni anche l'essere (elici O più precisAmentc affinché medinnt<.:
l.1 ""' inrnrn11zionc riconduca a sé noi decaduti, per malizia, dall'essere (clici~.
'" ,,,.,,,,,, IV, 78, PG 35,6o4.
··• IJ. .\fnri111 S.111c10. 16,38, PG 32,136.
IL CRE •. TORE È IL DIO UNO E TRINO ll3

zione, il Figlio quella esecutiva, lo Spirito quella che porta a compimento


la creazione. Nella teologia occidentale latina, si ritiene ancora, con ILA-
RIO DI PoITIERS 41 e AMBROGI0,42 il ruolo creatore del Cristo, Logos,
ma vien meno il nesso con la sua attività redentrice - prescindendo
da qualche isolata affermazione, come: Dio «creò il cielo, e io non trovo
che egli, dopo, si sia riposato; creò la terra e non trovo che si sia ripo-
sato. Ma leggo invece che egli creò l'uomo e poi si riposò, poiché final-
mente ora aveva qualcuno cui potesse condonare i peccati». 43 Pure s'inter-
preta come una «grazia tanto grande» la partecipazione dello Spirito alla
creazione. 44 AGOSTINO collega teologia della creazione e teologia trinitaria
in un modo determinante per il pensiero successivo. 45 A tutte le creature
ha dato l'intero loro essere «la trinità creatrice», «il Padre per mezzo del
Figlio nel dono dello Spirito santo», che ne garantisce la bontà.46 Una
tale origine dà una struttura trinitaria a tutte le cose. Per l'unità del loro
essere, per la forma che è stata loro impressa e il loro dinamismo, e5se
sono tracce (vestigia) della Trinità, del suo essere eterno, della sua per-
fettissima sapienza e del beato gaudio e amore. Siccome l'uomo, cono-
scendo e amando, realizza la verità e la bontà delle cose, egli possiede il
privilegio d'essere immagine (imago) del Dio uno e trino.47 Non manca
nemmeno la prospettiva economico-salvifica: la creazione è indicata come
grazia.41 Creatore e redentore vengono identificati.f9 L'immagine del Dio
uno e trino in noi ci deve portare come il figliol prodigo sulla via alla casa
paterna verso il modello, da cui il peccato ci ha allontanati.50 Rinvia al
Deutero-Isaia e ai Salmi più recenti il modo con cui AGOSTINO coglie la
storia della salvezza nel racconto della creazione, interpretando Gen. 1

41 De Trinitale l2A, PL l0,456.


42 Hexai!meron, 14,15, PL 14,141.
43 AMBKosms, Hex. 6,10,76, PL 14,288.
44 Ibid., 1,8,29, PL 14,150.
45 Per es., De civitale Dei, II ,22, PL 41 ,372 s.
46 De vera religione, 7,13, PL 34,128; De Genesi ad liii. 1,6,u, PL 34,2,0 s.
47 De Trini/aie, 6,10,12; 9,3-10, PL 42,932.962-972; De vera religio11e 7,13, PI.
34,129; De civitate Dei 11,28, PL 41,J42. Mentre nelle terne dell'immagine umana
della Trinità i paralleli con il Figlio e lo Spirito sono soprattutto conoscenza e amore,
il parallelo con il Padxe alterna tra 'essere', spirito semplicemente e la funzione spi-
rituale fondamentale di pensare. Cf. M. SCHMAUS, Die psycho/ogische Triniliitslehre
des heiligen Augustinus, Miinstcr 1927; R. TREMBLA, La thl:orie psychulogique de
lo Trinité chez Saint Augustin, Ottawa 1954; Io., in Rev. 1111iv. 01/awa 24 ( 1954)
93*-117*.
48 Epistula, 177,7, PL 33,767 s.
49 De natura et gratia 34,39, PL 44,266: «Ipse est autem creator eius ( = del mon-
do) qui salva/or eius•.
50 De Trinitate, 6,10,12, PL 42,932.
II4 LA FBDB NELLA CREAZIONI!

in senso ecclesiologico: «cielo e terra» appaiono come •capo e corpo della


Chiesa nella sua determinazione preliminare prima di tutti i tempi•; le
opere della creazione sono simboli della storia della perdizione e della
salvezza degli uomini. 51 Tuttavia in seguito al confronto con il mani·
cheismo, la dottrina sulla creazione presso AGOSTINO ha piuttosto un
carattere ontologico-razionale e religioso-morale che storico-salvifico tri-
nitario. Nonostante AoosnNo, s'incontra nuovamente una concezione
emanatista e neoplatonica della creazione presso lo PSEuoo-DioNIGI (se-
colo VI). 52 In ScoTo ERIUGENA (secolo IX), essa s'insinua con forza, 53 la
creazione passa nell'equivoco per essere non solo teofania, bensl, (per lo
meno nella sua consistenza originaria ideale) teogonia.
Agli inizi della scolastica, il neoplatonismo fu dapprima più influente
del suo 'superamento' agostiniano. Per THIERRY DI CHARTRES il Padre è
la causa elficiens, il Figlio la causa /ormalis, lo Spirito la causa finalis
della creazione (la causa materialis - creata - sono i quattro elementi);
anche in BERNARDO SILVESTER e in GUGLIELMO DI CoNCHES lo Spirito
santo è la platonica anima del mondo e il Logos svolge un ruolo come
insieme delle idee di tutte le realtà. 54 All'«ottimismo naturalisùco circa
la creazione degli umanisti di Chartres» 55 risponde la grande specula-
zione di ANSELMO di Canterbury: 56 Dio esprime in se stesso la forma
sostanziale della creazione quale exemplum eterno per mezzo dell'unica
e identica parola, mentre pronuncia se stesso. Secondo Uoo DI SAN VIT-
TORE le strutture della creazione (come magnae... machinationis prin-
cipium) e soprattutto dell'uomo sono ormai orientate all'evento salvi-
fico.57 «Per mezzo della grazia creatrice fu fatto ciò che non era; me-
diante la grazia redentrice viene restaurato ciò che era perduto•.51
RUPERTO DI DEUTZ rappresenta un nuovo puntç> saliente della teologia
della creazione d'indirizzo storico-salvifico trinitario: il Padre è il fon-
damento originario tanto della Trinità quanto della creazione." Lo

" Con/tssionts 13,34,..9, PL 32,866 s.


52 De divinis nominibus, ,,8, PG 3,821-824.
53 Homili4 in prof. S. Eu. stc. /04nntm, PL 122_i87; De divisione Mlllr4t, 3,16,
PL 122,669. Eriugem sembra inserire nel processo cosmico il mO\imento vitale trini-
tario di Dio, che •crea se s1esso in ogni cosa• e •in ogni cosa si evolve• (!biti., 3,zo,
PL 122,614). Il conle§tO però mitiga 1 volta 1 volta le formulazioni paradossali.
SI Documentazione in So1EFFCZYK, op. cii., pp. 73 s.
ss L. ScHEFFCZVK, op. cii., p. 7'·
56 Monologio, 9,33.
S1 Dt U4nitate mundi 3, PL 176,721 s.
51 De s4cramtnlis 1,6,17, PL 176,273. Per il più vasto con1es10 dcll.i storia della
salvezza, che culmina nell'incarnazione solo per 11 restaurazione dell'ordine origiruario,
in Anselmo e Uao cf. L. SrnEFFCZYlt, op. rii., pp. 7'·77·
59 De lrinil41t et optribus tius ( ! ), Prologus, PL 167·199.
IL CREATORE Ì:: IL DIO U!o!O E TRINO 115

Spirito sopra le acque di Gen. 1 ,2 è il princ1p10 vivificatore e il compi-


mento della creazione.60 Il Figlio, sapienza del Padre, è arti/ex omnium. 61
Nell'espressione 'Dio disse' di Gen. r RUPERTO trova inclusa la gene-
razione del Figlio, la creazione del mondo e l'incarnazione del Figlio
di Dio. 62 Questa infatti non è solo conseguenza del peccato, si trova
invece nel disegno originario dcl Creatore.1o.1 Nel Figlio dell'uomo si com-
pie la somiglianza a Dio dell'uomo (Gen. 1,26).64
Per vero anche P1ER LOMBARDO, che ha scritto il manuale di teologia
usato durante i secoli che seguirono, dimostra di conoscere una causa tri-
nitaria della creazione in cui l'attività comune delle tre Persone si attua
secondo l'ordine di successione della loro propria origine: 651 però ora
divenne predominante l'impostazione ontologica del pensiero.
Nella corrente di pensiero francescana-agostiniana dell'alta scolastica ve-
ramente le processioni intradivine del Figlio e dello Spirito venivano pen-
sate ancora in connessione assai stretta con la creazione dcl mondo: fino
al punto che occasionalmente si tentò di dedurre da questa quelle, con la
motivazione che una produzione ad extra, inevitabilmente imperfetta,
presupponeva necessariamente una produzione perfetta ad intra.66 Se-
condo la visione generale, ordinata per gradi, della simbologia trinitaria
di BoNAVENTURA le realtà create nella loro unità, verità, 'bontà' (onto-
logica) sono in modo del tutto universale traccia (vestigium) della
- T rinitas fabricatrix; le creature spirituali sono inoltre immagini (imago)
del Dio uno e trino, che non è solo l'origine, bensl anche l'oggetto delle
loro funzioni spirituali fondamentali: memoria, intelletto, volontà; infi-
ne la grazia mediante fede, speranza e carità rende la creatura simile alla
Trinità, quale sua somiglianza (similitudo ).67 L'influsso della filosofia ari-
stotelica ha moderato eccessi speculativi che partivano da una buona inten-
zione. Non è poi senza interesse che mostreremo più avanti quanto profon-
damente la scolastica di TOMMASO D'AQUINO, divenuta in seguito de-
terminante, àncori la creazione alla Trinità. Prima però si devono

60 IbUI., l.7 s., PI. 167.205.


61 De dii'inis oj/friiJ 11,7. PL 170,299.
•? De Tri11it111<· <'I n{'. 1,10,1 s., PL 167,zo7.201.
61 In Mt_ r 1. l'L 16K.1628 s.
M De Trùt. i11 ml_ 4 et'tJllfl. .• I.I PL 167,1,36.
65 Seni. 2,q.6 s., (cd. Quaracchi [I]Z 367 s.).
66 Manco d'An.1uas1xma ISenl. 1,9,6); cf. Z. lliYES, Tbe generai Doctrine o/ Cr.-11-
t1on in tht: thirtct:lllh Cmt11ry· with special Emph4sis on Mallbew o/ Acqruuparla,
Miinchen 1964. pp. R6-97.
67 I Seni. 3,1,1,2 concL (ed. Quaracchi 1,73); Bre11iloq11i11m 2,12 (lbid. ,,230).
Secondo un'altra delle teme di paragone, talvolta eccessivamente metaforiche, il cr.:ato
11 causa della triade di materia, forma e loro unione, rinvia alle persone divine come
fondamento, forma e legame (origo, imago, compago).
rr6 LA FEDE NELLA CREAZIONE

completare le linee di questa visione sintetica di storia della teologia.


ScoTO, MAESTRO EcKHART e NICOLÒ CUSANO mostrano di conoscere
la dottrina della struttura trinitaria del mondo e del compimento in
Cristo della crcazione. 68
L:1 teologia della creazione di LUTERO e di CALVINO è nettamente cri-
stologica e storico-salvifica. In Gen. 1 LUTERO trova la «sintesi di tutta
la teologia~>, cioè l'eterna incarnazione del Figlio, poi la morte
dell'uomo vecchio e la vita dcl risorto, cioè dell'uomo nuovo. 69 Da
parte cattolica appena nel secolo xv11 con L. THOMASSIN, dall'orienta-
mento patristico, la crca:r.ione riappare decisamente centrata in Cristo. 70
All'inizio dcl secolo XIX, dopo la scolastica dell'epoca barocca, dopo il
pietismo e l'illuminismo, la creazione, inserita insieme con l'incarna-
zione di Dio e il compimento del mondo nell'unica grande otxovoµla,
vien interpretata come il regno di Dio (F. 0BERTHi.iR, M. DoBMAYR,
B. GALURA e I. S. DREY della scuola di Tubinga).71 Per B. Galura 72
l'azione creatrice dcl Padre si compie «per mezzo del suo eterno
Figlio», il quale «ha preso su di sé anche di divenire figlio dell'uomo».
Specialmente F. A. STAUDENMAIER nella sua dottrina sulla creazione,
strutturata in modo trinitario, tratta la creazione come opera del Pa-
dre, del Figlio e dello Spirito santo in un singolare coordinamento delle
'opere', d'influsso hegcliano. 73 « ... come Dio uno e trino è il Creatore
del mondo, cosl pure il medesimo Iddio è il promotore, l'esecutore e
il perfezionatore dell'opera della redenzione nel mondo».74 Gesù Cri-
sto vi appare quindi come «l'origine e il centro dell'esistenza».75 L'in-
flusso del sistema dialettico hegeliano, 76 subordinato in STAUDENMAIER

68 Vedi L. ScHEFFCZYK, op. cii., pp. 99.102 s., IOJ. In Scoto il collegamento della
creazione alle processioni intratrinitarie (II Seni. 1,1 (ed. Quaracchi 2,6-22) e la vi-
sione 'scotistica' dell'incarnazione come fine della creazione sono posti l'uno accan!o
all'altro quali topoi d'una teologia metafisica.
69 W A 9,329,2-14; cf. D. LéiFGREN, Die Theologie der Schopfung bei Luther,
Gottingen 1960, pp. 9 s.
711 «Ergo, si orbem creat, per Filium creai; si creatum regi/, per Filium regit; si
collaprum restaurai, per Filium resta11ra1 .. (Dogma/a, 3,162; secondo L. SCHEFFCZVK,
op. cii., 115 nota 51).
71 L. SCHF.!'FCZYK, op. cii., 129.133.136.143 s. Anche secondo F. X. DIERINGER
( Lcbrb1!ch kath. Dogmatik, Mainz 51865, pp. 218-368) la creazione è predeterminata
••A fondamento e preparazione della redenzione». Similmente più tardi M. J. Scheeben.
12 Die chrislkatholische Theologie nach der Idee vom Reiche Gottes (1800-1804),
lnnsbruck lr844, II, p. 63.
7J Die cbristlirhe Dogmatik III, Freiburg 1848, pp. 7-172.
7 ~ Tbid. p. 3.
75 EnxJ•klopiidìc der theologischen Wi:rsenscha/ten, Mainz 21840, p. 624. Cf. P.
BiiNERMANN, Dii.' lrinilarische A11thropologie bei Frani Anton Staudenmaier, Frei-
burg 1962.
76 Cf. al riguardo J. SPLETT, Die Trinitiitslehre G. W. F. Hegels, Freiburg 196J.
Il. r.REATORE È IL DIO UNO E TRINO
ll7

alla coscienza della fede, si manifesta in A. GONTHER nella trasforma-


zione del mistero della Trinità in un processo intradivino di autoco-
scienza, il cui necessario adombramento extra-divino è la terna cosmica
spirito, natura e umanità. 77 L'opera di mediazione culturale della scuola
di Tubinga fu ancora intrapresa più tardi da H. ScttELL: creazione, re·
denzione e compimento del mondo sono espressione dell'agire eterna-
mente vivo di Dio uno e trino, del suo Logos e del Pneuma. 71 I tre
filosofi della religione russi, W. S. SoLOVIEV, S. N. BuLGAKOV, L. P.
KARSAWIN ruotano nelle correnti culturali che si rifanno alla teologia
mistica della patristica greca e gnostica, circa la fondazione, l'impronta
e il compimento trinitario del mo!ldo e della storia umana.79
Nell'ambi10 della teologia evangelica del secolo xix si mos:rano ripe·
tutamente spunti e abbozzi di una dottrina storico-salvifica trinitaria
circa la creazione. J. Ctt. K. HoFMANN vede «nel fatto della rigenera-
zione, riassunta ... tut~a inter2 la storia sacra», il cui centro è Cristo;
da essa si lascia cogliere cl'autocompimento storico» della Trinità. Se-
condo K. Tu. LIEBNER l'amore intra-trinitario di Dio attua nel Figlio
una kénosis eterna e la continua nell'incarnazione, in Cristo, l'uomo
centro dell'umanità. Nel modo pi~ coerente applicano quesro cristocen-
trismo I. A. DoKNn e R. RoTHE, fortemente influenzati da HF.GEL.
Rohte fa derivare dal pensiero e dalla volontà di Dio il processo di
creazione continuamente ~scendente, i cui decisivi gradi di sviluppo so-
no l'apparizione del primo Adamo e quella del secondo.., Ha fatto
epoca, un mezzo secolo dopo, il rigoroso riferimento dell'intera teolo-
gia a Cristo come a centro, difficilmente superabile sia intensivamente
sia estensivamente, ad opera di KAu BARTII, il quale presentò la dot-
trina della creazione ::ome teologia dell'alleanza (soprattutto nel volume
111/1 della K.D., per vero fortemente allegorizzante). E. BRUNNER, R.
BuLTMANN e da ultimo specialr:iente G. EBELING hanno orientato l'im-
pulso cristologico fondamentale di BARTH più fortemente verso l'aspet-
to antropologico esistentivo.
Nella teologia cattol;ca più recente la visione storico-salvifica unitaria
di creazione e redenzione e quindi anche il loro aspetto trinitario han

11 Se..-on<lo L. Sc1ffFFCZYK, op. cit., pp. 14' s.


78 CL, 1r~ il rl';tu. Das Wirkl!n des Dreieinigen Goltes, Mainz 188,.
79 W. Sow1•Ji:tT, 'Zwtilf Vorl.,sungen iiber dus Go1tmenschencun' ( 1878-1881 ), in
A11s/(t'W.w.. rke ~- Sm1ti:art 192t;s. BuLGAKOW, Die Tragodie der Philosophie,
Darmstadt 1927. pp. 111-222; G. A. \'('ionEK, 'L. P. Karswins Ontologie der Drci·
einhei1', in OrChrP y {1y.43) 366-40,.
IO Secondo 11. Sn:r11AN-M. Scl!MIDT, Geschichte der deutschen evangelischen Theo·
lagit' seit dt•111 d1·11tsd1en Idea/ismus, Berlin 21960, pp. 18,.172.19,·197.
118 LA FEDE NELLA CREAZIONE

avuto eco ~~,1,r1ttutto ir: E. SonLLEBEECl<X, 81 K. RAHNER,12 H. KONG, 13


H. VoLK 84 e L. ScllEFFCZYK. 85

Secondo la teologia trinitaria metafisico-spirituale, che TOMMASO


D'AQUINO ha mutuato da AGOSTINO, la creazione sta in un rapporto
il più stretto possibile, con la vita divina trinitaria. 86 Il Padre
si riconosce nella sua immagine perfetta, il Logos: egli genera
eternamente il Figlio; Padre e Figlio si abbracciano in un amore
che porta un frutto personale: essi spirano eternamente lo Spiri-
to. La creazione ha la sua origine proprio nella conoscenza e nel-
l'amore di Dio. Perciò «ci era necessaria la conoscenza delle per-
sone divine ... , per avere un'idea esatta della creazione delle co-
se».17 Infatti «come la natura divina.... anche la creazione, ben-
ché sia comune alle tre persone, spetta loro in un certo ordine;
poiché il Figlio l'ha dal Padre, e lo Spirito santo da entram-
hi».88 E cosl «le persone divine hanno un influsso causale sulla
creazione delle cose conformemente all11 particolarità della loro
propria processione ... Dio Padre ha 01>erato la creazione mediante
I& sua parola, che è il Figlio, e mediante il suo amore, che è lo
Spirito santo; e quindi le processioni delle persone costituiscono i
principi per la produzione delle creature» - l'attuazione di que-
sto nesso si compie però mediante l'agire spirituale di Dio, cioè

" De- 111cr11me-ntt:lt: ht:tl1r<·o11on1it-. Antwcrpen 1<n2: ID., Cristo sacra111<'11"1 Jell'itt-
conlro con Dio, Roma ·'l'JI•~: ID. I Jdt'ra111.-11ti punti ,/'iuconlrn con Oiu, cull. cGior-
nale di 1eolo11ia-., J, RreS(·in 11.,67.
Il Per es. 'Erlii5un~s\\'irkld1kcit in <k·r SdKipfunpwirklichkeit', in .\e11du11g und
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deln 219,9, in particolarl· 12;-150 11r. ii.: 1.., 1.imt1{u.r..im1... Querini•11;1. Brescia).
M Go11 allt:s in 111/~m. c; ..,,,111111d1,· Arr/1,11~.-. Mdin, 19(,1.
as Sreci1lmc:n1e 11 monu11r.1li;1 di si11ri.1 dd ilo11ma .\clwri1111:. 1111.f \ 1 orsehun1,: v.
no11 25. Inoltre: 'Di .. ldw d~1 l.111},ç,1 '''" S<:hàpiun;: unti Erléisun;: in ihrcr thcolo-
gischen Bc:deurung', in '/'Q 1 ~" I I•)"". 1.,. \i''. • Au·hlich· und r .. l~erungen einL·r
Geschichte des Sdmpfun11sdo11ma>. m I<) 1 ~4 I 1 \'64 l 6<J·H9.
"' Cf. E. RA11.u:ux, 'La uéJ1iun. '''""'re dc: la Trinité. :«:!on Saint Thomas', in
R. Thom. 72 ( 1962 l 27- 50: ,\I SFcHn. DJ1 H.:11 it1 ,f<'r G ...<rhicht.-. G«schirh1s1h,·o-
logiJch«1 D..11h.•1 brt 'fh011t.1.• 1·011 1lq111n, Munchc:n 1964, ~p.:cialrncntc 81-1o8.
97 S. tb. 1, q. 32, 1. 1. ad. J. U. I .\1·111 10,1,1· sol.; 4,1,1; S. tb. 1, q. n. a. 3, ad. a.
• s. tb. •• q. 45, •. 6, ad. 2.
IL CREATORE È Il. PIO UNO E TRINO I 19

me:diantL il conosn:re e il volere.~9 «Come quindi il Padre espri·


me sé e ogni creatura mediante la parola che egli generò... co·
sl egli ama sé e ogni creatura mediante lo Spirito santo ... ». 90
Si può osare d'esprimere in una manier11 più foi:te, più profon-
da e più propria - rimanendo nell'ambito dell'ortodossia -
l';nserimento tld mor.do 11elh1 più autentica, intima e divina vita
di Dio? Veramente (ma Com: con ciò andiamo al di là del pensiero
di Tommaso?) il rnpporto della creazione con Dio uno e trino non
può riil"anere fissato in questa fondazione eterna, metastorica del
mondo risalendo al Logos-parola e allo Spirito-amore. Essa deve
includere la stor;a concreta della salvezza durante questo tempo
del mondo. Infatti siccome la creazione ha il suo fondamento in-
timo nell'alleanza di Jahvé con Israele e specialmente nella nuova
comunità di salvezza degli uomini in Gesù Cristo, la creazione ha
pure la sua origine fissa, che l'avvolge perennemente, nel Verbo
caro factum e nello Spirito che vivifica la Chiesa. In questa con-
cretezza storico-salvifica la creazione si attuò, è e rimase: crea-
zione ad opera del Padre mediante il Figlio, nello Spirito santo.
Tutto quanto è stato detto da Tommaso ha la sua importanza;
vien indicata la struttura metacosmica della cosmologia ideale e
reale, la quale tuttavia dev'esser, per cosl dire, riempita mediante
la concreta totalità di quel cosmo che è il Christus lotus - cioè
le funzioni di quell'evento, l'attesa del messia, incarnazione, re-

19 S. th. 1,q. 4:;, a. 6. Cf. I St!nl. 14,1,1: «proceuiones personarum aeurnae sunt
'causa' et 'ratio' toli11s productionis creaturarum». Similmente mohi passi nel com-
mento di Tommaso al primo libro delle sentenze del Lombardo, in particolare alla
distinctio 2 e 3:;. Inoltre: I Seni. prol.; 10,1,1 sol.; 11,1,1; S. th. 1,q. ,_.,a. 3,ad. 2;
45, q. 6, a. 1; 45,7; De poi. 2,5,6; 2,6,2; In De Jiv. nomin. 2,3 (n. 1'8) (0. M.
SECKLER, op. cii., pp. 85 nota 17, 84 nota 15; 90 noti 37). Anche: Malico d'Acqua·
spana (1 Seni. 9,6) afferma: «creationem nectssarto praesupponne generationem
aeternam-..
'IO S. tb. '· q. 37, a. 2, ad. 3. Cf. in particolare I s. .
nt. 14,1,1 ! Inoltre: « .. .dicitur
P11tc-r dicens V ...rbo ve/ Fi/io se et cre11/uram. Et Pat<"r et Filius dicun/11r Jiligentes
Spiri/11 S.mclo ve/ Amore procede11tc· <"I u et nos-. (S. th. 1, q. 37, a. 2). «Deus enim
cn1.noscendo se cognoscit omn"'" a,•,1t1mim• (S. th. 1, q. 34, a. 3; d. lbid. ad 4l·
"""lun/as n11tnq111: su11 ( = Dri) rum , t r:udem actu vult se et 11/ir1 .. (S.c. gentiks
1 .112 ). cEI diàtur Pater per r11111 /tJ<WI! sat'cula, quia genuit e11m operantem saecula»
(In. Ep. ad Hebr., c. i. I. 1 J. el'otcmtir1 generandi et creondi t'JI una et eadem ~
tmtùt• (De por. 2,6). S. tb. 1, q. ~2. a. 1, ad. 3; q. 34, a. 1, ad. 3; S. c. genti/es I. 1v,13;
De pot., 2,3,6. In Ep. 11J Cui. c. 1,1.4.
I20 LA PEDE NELLA CREAZIONE

denzione mediante la croce, Chiesa, ·giudizio del mondo e «cieli


nuovi e terra nuova»

Omnis 01111•111 creatura clamat aelemam generalionem: sullo sfondo di


quest'espressione di BoNAVF.NTURA circa l'origine ideale del mondo nel-
la generazione eternn del Figlio - circa il coro delle cose, che ne fa
testimonianza 91 - si registreranno, non senza discernimento, le spe-
culazioni in l'Ui la tradizione dopo AGOSTINO ripone le idee platoniche
ipostatizzate nell'unica parola divina di conoscenza, cioè nel Logos:
Loco enim hart1111 idearum nos habemus unum, scilicet Filium, Ver-
hum Dci. 91 Per salvare la perfezione delle idee nel Logos, si è arrivati
(negli alessandrini CLEMENTF. e ORIGENE ,, e negli odierni entusiasmi di
THEILHARD 94 ) fino a distinguere una doppia creazione: del mondo dello
spirito e del mondo sensibile, empirico, notoriamente molto imperfetto.
Sarebbe già una deformazione intellettualistica ammettere nella conoscenza
divina un 'brogliaccio' ideale del mondo, pensato e determinato fin nelle
ultime strutture e nelle più elementari funzioni della realtà, dell'individua-
lità e perfino della libera storicità umana in quanto questa - e in ciò
sta appunto il difetto fondamentale fino a HEGEL - può avere un valore
in sé, senza la forza reale della volontà d'amore.95 AGOSTINO nella sua
tarda età, ebbe scrupolo per aver usato l'espressione platonica ,,,.,nJus
intelligibilis ... 96

Tuttavia ciò che della dottrina tradizionale delle idee, con tutta la
necessaria sobrietà speculativa, sembra rimanere valido è la deter-
minazione spirituale di tutte le realtà derivante dalla loro origine
trinitaria; ad essa si richiama per lo meno per molte ragioni, l'o-
d:erna concezione evolutiva del mondo, contro l'estremo dualismo
di materia e spirito. ANSELMO DI CANTERBURY '17 dice di Dio: cUno

91 Hex6emaon, 11,13 (Ki. Quaracchi 5,382).


9l TOMMASO o' AQUINO, In Ep. ad Col., c. 1, I. 4.
,, L. ScHFFFCZ\'K, op. t:it .. pp. _.11.;o, 56 noia 10.
94 F. dc la Noe !Du· \Veli in J,·r Schopfung, Ziirich 1!)6<>. pp. 198; d. 93,163)
ammcnc una precreazione ideale crema, che giunse a manifesrazione spuio-lcmpo-
rale solo anraverso il peccalo, per eludere il problema dd male che si oppone 1
un'esagerata concezione evoluzionisrica del mondo (secondo L. Son:FFCZYIC, TQ
144 (196-111!6 s.).
95 Cf. in proposiro W. KEAN. 'Possibilicn', in LTK vm, 6.Jo-642.
96 Retractationes 1 ,3,2, PL 32,,88 s.
97 Monologio H· O. ohrc Tommaso (v. nota 90) anche Bo11.11ventur1: «divina
veritas una cl summa cxpressione cxprimit ~ et alia• ( 1 S,·nt. 39,1,1.4 [KI. Quarac·
chi 1,686)); cPater enim similem sibi gcnuic, scilice1 Verbum sibi coae1cmum, cl
IL CRl!ATORE È IL DIO UNO E TRINO 121

eodemque verbo dici/ seipsum et quaecumque fecit». Perciò le


realtà sono verba de Verbo (non certo in identità di natura con la
parola eterna, bensi in analogia con essa).98 TOMMASO D'AQUINO
chiama la creatura verbum Verbi e vox Verbi. 99 Il mondo con tutto
ciò che è in esso, ha una struttura fondamentale 'logica', e carat-
tere 'iconico': 100 ad opera di colui che è la parola (i.6yoç) e
l'immagine (dxwv) del Padre. Dio, che è la 'verità autosussi-
stente', fonda in un disegno ideale, che è una «verità causata»,
ogni essere mondano cui è data quindi la 'verità oggettivata' .101 In
forza di quest'origine le cose posson essere riconosciute, rese note
ed espresse. Questa realizzazione nella verità della creazione è il
fondamento ultimo del felice esito di tutta la conoscenza umana,
del sapere e della scienza. La cosiddetta verità logica della cono-
scenza umana è in rapporto di derivazione con la verità ontologica
delle cose, essa stessa determinata dal Logos della conoscenza di
Dio.
Come le realtà sono parole della parola, cosi sono pure doni del
dono. Il carattere di parola si manifesta nella possibilità che l'essere
ha di conoscere, di essere conosciuto e di avere un'essenza; il carat-
tere di dono nella sua tensione, nella sua attualità, nel suo dinamismo
realistico ed efficace e nel suo valore. Le cose sono qualcosa, ed es-
se sono qualcosa. Esse sono in rapporto con l'essere, con la real-

dixit similitudinrm suam, et per conscqucns apn:uil omnia, quae polllil• (Htui·
"'"on 1,16 [lhid. "332)).
" ToMMASO, In Dt' di11. no,,,inibus c. 2, 1. 3 n. 1,8; S. 1b. 1,..,3; 27,1 e 1pe990
(d. M. SECttLER, op. cii., p. s,., nota 1,).
a
" s. c. gt'nlilts, I. ... q; I St'nl. 27,2,.1,2, .d. 3 (ed. Mandonnet 1929, I 662).
In Ev. loann1s 1,,.
1m a. 011CENE, Fraf."'· in Pro11., PG 17,153.
101 a. ]. B. I.on, Ontologia, Fn:iburg 1963, pp. 1171. (in pane secondo M.
lh:tDF.GGEa, Kant und das Probltm dtr Mrtaphysilt, Franlr.furt '196,, p. 361.). lnol-
llc J. PtEPF.11, Wahrht'il dtr Dingt, Miinchcn 4 1966; M.-G. GADAMD, Vl•hrhtil
und Mt:thodt•, Tiibingcn Z196,, pp. 39,·404 (cf. p. 4,0: cEssen:, che pub vaiir
compreso, è lingu1•: rst lingw "'""'!); M. MOLLEI, Existrnzphilosophit ;,,, g~i-
11111.m Lt:ben dtr Gegt'nwart, Hcidelbcra '1964, p. 243: cOnnipresenza della puoll
in ogni vocabolo, cioè dell'unico signiliato dell'essere in tuno ciò che esiste•
(cf. pp. 2 3z e 2.14 noia 1 ! ). LI costituzione dcl Vaticano 11 suU1 Oiiesa nel mondo
contemporaneo in data 7.u.1')6' al n. 14 conosce 11 possibilità di «toccare in pro-
fondo 11 verità stcsu delle cose•. Sulil dourina d'insieme cima i trucmdentali """"''
vtrum · bonum: J. B. I.on, op c11., pp. 69·t.f7; E. Conm, Mttaphysill, lnnsbruc:k
2196... pp. 32.5 396.
1.22 LA PEDE NBJ.LA CIEAZIONE

tà, con la propria realtà e con quella universale. Questo momento


dinamico d'attualità, la loro esistenza reale e attiva, le cose li de-
vono alla volontà d'amore di Dio la quale conferisce realtà ed è
feconda 'all'interno di Dio' nello Spirito santo. Tutto quanto è
reale 'all'infuori' di Dio è dono secondo di questo primo dono.
«L'uomo diventa autentico solo per il fatto che è amato»: 101 ciò
vale, in maniera più generale ma non per questo falsificata, di
tutta la realtà del mondo. «L'amore di Dio infonde nelle cose la
loro bontà, creandolu.'03 Nei 'trascendentali' della tradizione me-
tafisica, cioè nelle più generali caratteristiche dell'essere: della ve·
rità e della bontà delle cose, noi potremmo scorgere con AGOSTINO,
BoNAVENTURA e TOMMASO 1114 un riflesso e una conseguenza della
parola personale e del dono personale in Dio, che sono il Figlio
suo ed il suo Spirito. Non qualche tratto delle cose, aggiunto e se-
condario, bensl i tratti fondamentali, che mostrano cosa esse sono
e che esse sono, valgono per noi come le vestigia Trinitatis.
Le cose, che provengono dalla conoscenza e dalla volontà aman-
te di Dio (nel loro 'esodo' da Dio), possono raggiungere la loro
perfezione solo attraverso la conoscenza e la volontà amante del-
1'uomo (nel 'ritorno' a Dio). Essenza e realtà delle cose raggiungono
nell'uomo il loro compimento di pensiero e d'amore in autocoscienza
e autodisponibilità. Come le cose sono più se stesse - primaria-
mente - nella parola e nell'amore di Dio che nella loro esistenza
empirica variamente dispersa e spezzettata, 105 cosi esse sono - se-
condariamente - sempre più se stesse nella misura in cui sono più

102 F. GooAITEN, Glaube 11nd Wirklichkeit, Jena 19:18, p. 33.


103 TOMMASO, S. lh., I, q. :10, •• 2.
104 V. sopra pp. u3, u,. Su TOMMASO: De pot. 9,9; S. th., 1, q. 4.5. a. 1, ad. 6.7;
q. 93, aa. 1-9; r Se111, 1''4til ,µ,1,3. Già nel 649 un concilio Lateranense (Ds ,5DI)
ha definito la Trlnità &t11&1ouoyi11~ Wiv m!ll'V 1111t 11oovoY)u11~ 11111 auveicuic~v.
l rari tentativi attuali di un'interpretazione trinitaria di mondo, uomo e storia di-
vagano in parte in direzioni troppo scucite: Ttt. HAEl~KER, Scbopfer und Schopfung,
Lcipzig 1934, pp. r33-168; Metapbysik des Fìiblens, Miinchen 19_50; B. SCHULZ.
Einfachheit 1md Manningfalliglteit, Bottrop 1938; C. KALtBA, Die W elt als Gleichnis
des dreieinigen Galles, Salzhurg 19,~; D. L. SAYERS, Homo creator. Eine trinita·
mche Exc-gese des kìinstlerischen Scbaflens, Diisseldor: 19'3; A. VETTER, Die Wirk·
lichkeit des Menschiichen, Freiburg 1960, pp. 3,5.5·415; B. ScHuLF.R, Die Lehre van
der Dreipcrsonlichkeit Goues, Paderbom 1961.
105 TOMMASO, De ver. 4,6.
IL CUA10U Ì! IL DIO UNO 8 T&DIO 123

pienamente e profondamente conosciute e amate dall'uomo. Questi


appunto non è perciò solo traccia della Trinità, bcnsl imago T rinitatis.
Ciò che in lui e nel resto del mondo è presente di vestigia trini-
tarie, in modo nascosto e anonimo, come sedimentazione oggettiva,
l'uomo lo eleva nell'atto soggettivo di conoscenza della verità e di
libera accettazione. Insistendo sull'attività di questo processo, l'uomo
si potrebbe chiamare non solo immagine di Dio uno e trino, ma an-
che quasi suo imitatore (imaginalor). Le vestigia Trinitatis consistono,
secondo la concezione esposta, nelle strutture universali deU'essere
(fondate da Dio-Spirito e attuate, successivamente, dallo spirito uma-
no) di unità, verità, bontà: ma l'imago Trinitatis si ha nelle strut-
ture spirituali fondamentali dell'uomo, nella conoscenza e nella vo-
lontà amante che sono raccolte in una totalità concreta, nel suo
cuore ....

L'uomo quale immagine dinamica qualifu:.ata della Trinità: questa è la


conseguenza della cosiddetta dottrina trinitaria psicologica in cui Aoo-
S TINO e dopo di lui TOMMASO e la teologia cattolica nel suo insieme inter-
pretano le processioni del Figlio e dello Spirito come fatto spirituale della
parola-conoscema e della volontà-amore. Contro tale speculazione sulla
Trinità è stata fatta l'obiezione che essa si ferma alle strutture della
'Trinità immanente' - della Trinità in sé - e intanto trascuri la 'Tri-
nità economica' - le funzioni storico-salvifiche delle penone divine per
noi. Ciò può esser accaduto nella storia della teologia, ma non ha nulla a
che fare con la logica, con la logica dinamica della realtà di tale teologia
trinitaria metafisico-spirituale (o noologica).
hlfatti proprio quella speculazione trinitaria che interpreta nella maniera
metafisica-spirituale più netta la fede cristiana nella Trinità, fa entrare
completamente la Trinità immanente nell'economia del mondo e della
sua storia. Secondo la dialettica trinitaria dello spirito di HEGEL il prin·
cipio universale indeterminato si è alienato nella sostanza materiale dcl
.mondo e nelle sue particolarità determinate: 107 il suo simbolo religioso

106 Cf. W. KrnN, 'Das Verhiihnis von Erkenntnis und Liebe als philosophischcs
Grundproblem bei Hegel und Thomas von Aquin', in Scholaslik 34 (19,9) 39•H27;
Id., 'Einheit-in-Manningfaltigkeit', in Golf in We// 1, pp. 20ì·239 (tradotto in Oriz-
wnti della teologia 1, Ed. Paoline, Roma).
107 Cf. J. SPLETr, Die Triniliitslehre G. W.F. Hegels, Coli. «Symposion» 20, Frei-
burg 196,.
124 LA FEDE NELLA CllEAZ!ONE

rappresentativo è la persona reale di Gesù di Nazareth, ma di fatto tutto


il mondo è «il Figlio di Dio». 108 Mentre il soggetto-spirito si sveglia nella
sostanza-mondo e riconosce l'insieme di tutte le particolarità come l'unica
totalità strutturata del principio, riviene a se stesso quale spirito che si
libera: il simbolo religioso è lo Spirito santo, che racchiude la comunità
di Cristo in sé e con il Padre. La via universale e unica dell'auto-attuarsi
di Dio passa attraverso il mondo per trascenderlo. La nostra preoccupa-
zione qui è di mettere in risalto la dinamica della teologia trinitaria meta-
fisico-spirituale (dinamica che tuttavia Hegel esagera fino a farne una forza
titanica). Che una tale dinamica non sia estranea neanche all'onodossia di
Tommaso lo ha dimostrato lo studio di M. SECKLEK.'09 Già la vita intra-
divina è un 'fluxus' aelernae processionis.'to un evento originario, una
storia trinitaria primordiale. 111 ! l'origine (origo) dell'evento storico che
ne è l'immagine; come un diffiuente si stacca dal fiume (e da questo è
alimentato), cosl la processione temporale delle cose deriva dalla proces-
sione eterna delle persone in Dio. 112 Come le fiamme stanno alla scintilla
che le ha provocate, così il mondo creato sta a Dio che lo ha creatom

L'uomo specialmente, nella sua somiglianza a Dio uno e trino, non


ha una consistenza statica, bensl è un divenire dinamico. La sua
somiglianza è assimilazione. Essa si attua mediante conoscenza e
amore, nell'ambito dell'infinito e incondizionato, in forza del prin-
cipio incondizionato, infinito; essa tende primariamente e ultima-
mente a Dio. 114 Nell'uomo si compie la grandiosa circulatio di Dio
e mondo. Infatti egli «ritorna, come alla sua mèta, a colui da cui,
come da origine, è scaturito». Origine e ritorno avvengono ad opera
della stessa realtà. «Come ... la processione delle persone è la cau·
sa della produzione delle creature ad opera del primo principio,
cosl la medesima processione è ancora il motivo del loro ritor-
no alla mèta, poiché mediante il Figlio e lo Spirito santo, co-
me siamo originariamente costituiti, siamo anche collegati con i

108 Una certa pericolosa possibilità di tale identificazione l'abbiamo vista già in
Giustino, Scoto Eriugena e Thierry di Chames: v. sopra pp. 1II,II3.
109 V. nota 86.
110 I Seni., Prologus.
111 M. SECKLER, op. cit., pp. 83, 86 e spesso; cf. 16o ss.
112 I Seni., Prologus. Su origo: I Sent. 32,r,3.
!Il s. c. g. I. 11, 46.
114 TOMMASO, S. th. 1, q. 93, a. 8: «imtZf,O Dei attenditur in .:mima secundum quod
/ertur ve/ nata est ferri in Deum». Cf. S. th. I, q. 93, a. 4; III, q. 23, a. 3; S. c. g. I. Iv,26,
IL CREATORE È IL DIO UNO I! TRINO 125

fini ultimi». 11 ~ Il ciclo del mondo che pulsa in uscita e ritorno


(egressus-regressus) da Dio a Dio, si compie «attraverso il Figlio»,
che è il Figlio di Dio e il figlio dell'uomo. Nell'unione personale
di Dio e uomo nella Parola incarnata l'evento trinitario dell'assi-
milazione a Dio dell'uomo raggiunge la sua ultima profondità, -
la più perfett'.I interiorità - la massima densità possibile! 16 Già
nell'ano della creaz:one Iddio uno e trino ha progettato la crea-
tura come «la grammatica di una possibile autoenunciazione»,117 e
ogni autoespressione ad extra ~uppone l'autoespressione ad intra.
In Gesù Cristo il c:rcuito Dio-mondo è chiuso all'interno della
storia - è la salvezza nella storia - in un evento conclusivo della
stor:a. Il Christus lotus è la immagine, attuatasi nella storia, del
'ciclo' della vita divina una e trina. Nell'uomo progettato come
essere che conosce ed ama, mediante la parola nello spirito dell'amo-
re (quale fondamento esterno dell'incarnazione) è già progettata
l'incarnazione della parola ad opera dello spirito d'amore (qua-
le fondamento interno della creazione): infatti «il mondo è
.stato un tempo creato in grazia della capacità di somiglianza tri-
nitaria, che ora è possibile» 111 (l' 'ora' indica il tempo della gra-
zia: il compimento del Christus lotus nella potenza dello Spirito)!
Quanto più l'uomo entra nell'evento dcl Christus lotus che, ben-
ché già esistente, è sempre in divenire, tanto più partecipa della
vera figliolanza, 119 tanto più diventa immagine viva dcl Dio uno e
trino. E viceversa, i gradi d'attuazione della somiglianza trinitaria

115 1 Je1rt. 14,2,2.


11 6Comp. theol. 201 n. 384: •perftcitur eti11m per hoc ( = per incamatiooem)
quodammodo lotius operis divini uniwrsit11s, tlum homo, qui est ultimo cre11tus,
ctrcu/o quodam in rnum redi/ principium, ipsi "''""' principio per opus inc11n111tionis
unilus». Cf., 111 Seni. 1,1,3 ad 1; :z,1,1 sol. Considerazioni simili in Bonaventura:
J. RATZINGEll, Die Geschichtstheologie des hl. Bo111111entur11, Miinchen 19,9, pp. 142·
147.
117 K. Schri/ten IV, p. 149.
RAllNER,
11a M. SECKLER,op. cii., p. 259.
11 9 Cf. TOMMASO, S. th. 1, q. 33, a. 3, ad
1. Cf. AMBROGIO, Enurr. in Ps. JB, 24, PL
14,1101: «In
quale forma dunque cammina l'uomo? Certamente in quella secondo
i cui lineamenti è stato creato, cioè secondo la forma di Dio. Ma l'immagine di Dio
è Cristo che è qui lo splendore della sua gloria e la forma della sua essenza. Cristo
venne sulla terra quale immagine di Dio proprio affinché noi in futuro non cammi·
nassimo più nell'apparenza, bensl nell'immagine•. Inoltre: ILARIO, In Matth. 4,12,
PL 9·93'·
126 LA PBDE NELLA CUAZIONE

sono «nel contempo gradi d'appartenenza al corpo storico dci re-


denti, della Chiesa».'lll Così «l'auto-espressione di Dio ncll'incar·
nazione della parola divina, in una realtà distinta dalla sua essenza.
costituisce la massima azione creatrice di Dio».m In questo rap-
porto sta anche il fondamento del fatto che proprio solo il Figlio
(in quanto parola e immag!ne del Padre) poteva personalmente en-
trare in una forma mondana, di cui egli è immagine e parola origi-
naria, e che questa forma mondana poteva esser solo l'uomo, in
cui s'incentrano la capacità della parola e l'evento di assimila-
zione dell'intera creazione per l'atto conscio e libero della sua pe-
culiarità. La forza però che fa essere e vivere le cose, che le fa
evolvere e compiersi nella dinamica della loro autenticità in ~mu­
nione con tutto il resto, è la potenza dello Spirito, che procede
dalla volontà d'amore del Padre e dcl Figlio, in cui il Figlio
si fa uomo, si offre per la Chiesa e si procura un popolo sento
per l'eternità.
Riassumiamo citando M. SECKLER: UJ e Una storia salvifica speciale, che co-
nosce un'incarnazione del Figlio e una missione dello Spirito, non è un
intervento inatteso, senzii possibilità di paragoni, privo di analogia ad
opera di una sovrapotcnza estranea, ma incomprensibilmente ben di-
sposta verso l'uomo, bensl 'solo' un potenziamento dello stato di fatto
già dato con la creazione, cioè con la prima processio ad extra. Però
nella processione temporale dell'eterno·, cioè neJJ'incarnazione, questJ
processio ad extra assume tratti personali. Perciò la somiglianza già
esistente non vien solo ripresa e confermata, bensì innalzata e poten-
ziata, senza contare che ora nella processione temporale dell'eterno vien
st11bilito un nesso indissolubile e sostanziale tra le due realtà».
L'asserzione che il mondo è stato creato dal Padre mediante il Figlio
nello Spirito santo, diventa - se intesa nella sua totalità e come un
processo in cammino - il centro dell'esposizione teologica storico-
salvifica della fede nella creazione. L'affermazione che Dio crea il
mondo mediante la parola, ne era il prologo. L'asserzione che la

llO M. SECKLEll, op. cii., p. 104. a. TOMMASO, S. lh. III, q. 8, a. 3·


IZI K. RAHNU, Sendung und Gn.ule, Innsbruck 4196,, p. 62. a. Schriflt'll I\.
p 123: l'cuomo è possibile, ~ è possibile J'alieoaziooe del l.ogos». Inohrc:
B. WELTE, Auf der Spur des Ewigen, Freiburg 196,, pp. 429-4'8.
UJ Dos Heil in der Geschichu, Miinchen 1964, p. 90·
CREAZIONE COME COMUH!CAZIONE D' AMOllE 127

creazione è dono dell'amore, ne sarà l'epilogo. Parola e dono d'a·


more si sono già manifestati come momenti trinitari che, in quan-
to persone, determinano, muovendo dal Padre, l'evento in Dio e
al di fuori di Dio.

J. Nella libera comunicazione della sua magnificenza d'amore,


Dio è cretztore da solo

L'affermazione trinitaria che la creazione è il 'secondo dono'


dell'amore di Dio, viene ora messa meglio in rilievo muovendo dal
processo della creazione: la creazione si attua come dono e accet-
tazione partecipanti alla magn;ficenza e all'11more di Dio. Questa
determinazione del 'motivo' della creazione, viene rinforzata dalla
caratterizzazione dcl fatto della creazione come la più libera azione
di Dio e un agire esclusivamente divino.
Che l'azione creatrice di Dio si svolga in sovrana libertà, si com-
prende dall'asserzione biblica fond11menlale: la creazione è l'origine
della salvezza. Se nell'Antico Testamento la creazione è vista come
il presupposto dell'alleanza di Jahvé con Israele, allora la gratuità
dell'elezione precisamente di questo popolo e la spontaneità impre-
vedibile della guida sovrana di Dio nella storia d'Israele, devono
includere nel medesimo ambito della libertà divina, in una visione
retrospettiva, anche la fondamentale azione storico-salvifica della crea-
zione. Jahvé non sarebbe il signore sovrano della storia e delle sue
poteme, se non fosse il padrone assoluto del mondo della natura e
delle sue fol7.C:
Senz'altro so che Jabvé ~ grande
che il nostro Signore ~ superiore a tutti gli tlèi.
Quanto gli pillce, Jabvé lo compie
in cielo e in terra, nei mari e in tutti gli abissi.
Egli fa salire le nubi dall'estremità della terra,
produce folgori per la pioggia,
manda fuori il vento dai suoi ripostigli.
Egli percosse i primogeniti dell'Egitto,
degli uomini come del bestiame.
Inviò segni e portenti in mez:zo a te, Egitto,
contro il faraone e contro tutti i suoi servi...
(Ps. 135,5-9)
128 LA FEDE NELLA CREAZIONE

La libertà dell'alleanza con Israele da parte di Jahvé si potenzia


nella nuova alleanza che Dio stipula con l'intera umanità mediante
l'incarnazione del suo Figlio. Se il mondo fu creato per amore del-
l'uomo - per amore del Christus lotus che è l'homo lotus - al-
lora l'insuperabile libertà di questa volontà salvifica universale e
definitiva, è anche la libertà del suo inizio spazio-temporale nella
creazione del mondo e come creazione del mondo. La libertà della
~alvezza racchiudt> la libertà della creazione del mondo ad opera di
Dio che «tutto realizza conforme al piano deliberato» (Eph. 1,11 ),
t: tamu più il nostro inserimento, ab aeterno, deciso prima della costi-
tuzione del mondo, nella Chiesa sotto la guida di Cristo come capo.
La creazione del mondo mediante la parola libera la creazione,
in quanto avvenimento personale, da ogni costrizione naturale. La
riflessione teologica del codice sacerdotale di Gen. 1 reagiva eviden-
temente contro rappresentazioni troppo mitologiche e antropomor-
fiche di una formazione del mondo faticosa, nella quale Dio stesso
si sarebbe perfezionato occupandosi del mondo e con il mondo, e di
conseguenza, da esso necessitato.
È soprattutto la fondazione trinitaria dcl mondo che pone l'atto
creativo come libero. La creazione è il libero prolungamento delle
processioni intra-divine nell'extra-divino, che perciò si forma come
mondo. Questo avvenimento che fa nascere il mondo è libero poiché
l'infinito agire spirituale di Dio nella conoscenza e nell'amore pos-
siede nella sua fecondità che produce la parola e il dono d'amore
dello Spirito la sua sovrabbondante sufficienza, in questa eterna pro-
cessione delle persone divine. Cosl qualsiasi comunicazione extra-
divina, costituente il mondo, di questo evento d'amore che risponde
alla sua legge fondamentale del dono di sé nel modo più proprio e
più pieno nella vita trinitaria, non è affatto l'effusione necessaria, ma
l'effusione più libera di questo incoercibile essere già sempre perfetto
in se stesso.'

t F. A. S1audcnmaicr (Die chrutlicbe DogmatiJ: lii, Frciburg 1848, p. 8) afferma:


e Infatti Dio può porre una creazione fuori di sé senza diventare mondo egli stesso
solo perché Dio in quanto uno e trino forma un mondo perfetto (x6aµoç tt>..ewç) per
se: stesso ... L'amore onnai appagato all'in1cmo della divinità &llraveno la vita trini·
taria non passa all'esterno nella forma dell1 ncccssilà, bensl come liberlà assoluta•.
CREAZIONE COMJI COMUNICAZIONE D'AMOU

Per altra pane si è cozzato qui contro la difficoltà speculativa di anno-


nizzare con la necessità della scienza e volontà di Dio identificantesi con
il suo essere assolutamente necessario, la casualità (contingenza) dcl mon-
do concepito e voluto da Dio e la libertà ddla crcazione.1 Non basta dire
che si tratta, in vero, non d'una necessità di coercizione o d'una legge,
bcnsi di una necessità di «convenienza», di pienezza di attuazione, conci-
liabile presumibilmente con la libertà.3 Piuttosto la soluzione della diffi-
coltà è da cercare nella differenza ontologica fra l'infinito oggetto primario
di Dio, il solo che sia adeguato alla volontà divina, cioè tra la sua propria
bontà a cui Dio è rivoho con la necessità del suo essere se stesso (che si
può indicare anche come libertà di natura, se il termine 'libertà' non
cade con ciò troppo nel pericolo dell'equivoco) - e gli oggetti secon-
dari finiti, che non stanno in un rapporto necessario di fine e di mezzo
con l'oggetto primario, e perciò lasciano libertà di sccha alla volontà.
Con questa libertà di scelta può andar d'accordo una necessità ipotetica:
re Dio vuole il mondo (e lo sa da sempre), allora è necessario che il
mondo consegua l'esistenza così come esso può esistere solamente, etoc
in modo contingente e caduco. Ma con ciò ci siamo spinti in una pro-
blematica più filosofica che teologica. Similmente va demandato alla
ricerca 6loso6ca il problema se dall'essenziale imperfezione del mondo,
che non può essere pensato come il 'mondo migli(.\re' né può esserlo
(poiché esso indefinitamente può essere più perfetto o meno perfetto),
si possa risalire alla necessaria libertà di Dio che vuole precisamente
questo mondo (e perciò anche semplicemente alla libertà del mondo).
Tuttavia poiché teorie filosofiche che interpretavano erroneamente il mi-
stero trinitario, proclamarono a diverse riprese la necessità della crea-
zione dcl mondo, la tradizione teologica come pure il magistero eccle-
siastico dovettero prendere posizione al riguardo. Da PLATONE e dal
neoplatonismo in poi il principio metafisico bo11um es/ di8usivum sui,
parve esigere che Dio buono senza invidia alcuna,5 infinitamente amante,
si comunichi donandosi all'altro - che egli proprio a questo scopo deve
creare. Tanto la patristica quanto la scolastica hanno tratto talvoha da
questo principio, più che un argomento di convenienza in favore della

l H. Scholz prcsc:nia ques10 parados!IO formul1ro dopo A. Arnauld (secolo XVII) di


U! HAnsettoNF.• in Ph} '9 I 1949) 249·2, 1.
l F. BF.R<a:NT11u: lhiJ., p. 351-354 .
• cr. R. SrAF.MANN, ·zur frage dcr No1u·cnJigheit d~-s Scoopfungswillens Gottcs',
ir Ph} 6o (19,0) 88-92. F. ToMMASo o'Avu1No. S. th. 1, q. 19, a. 3; S. c. g. L 1,81-83;
De wr. 11..i; De pt1l. 1,5; p5. Una simile:, più ampia controversia tra H. Veatch,
A. O. Loveio>' e A. C. Pegis in Pbilosophy nnd Pbenome11olo1,ical Rrsearcb 7 ( 1946-
.;7) l91·4i8.62:·6H e 9(1948-49) '1·9i l8.p9i.
5 cr. noia li s.

9 · i\ll"Jt<"rtUm Salutis.11/2
LA FEDE NELL1' CREAZIONE

creazione, conseguenze in modo troppo iodifferenziato. 6 Anche la libertà


del creatore vie:i mess1 in pericolo là dove s'intrecciano troppo intima-
mente la vita trinitaria di Dio e l'evento della creazione. 7 Tutto ciò è
superato dalla molteplice testimonianza c!1e la tradizione fin dall'inizio
dà alla libertà dell'atto creativo di Dio.8
LEIBNIZ interpretò il non-poter fare - diversamente - di Dio nei
confronti cldla creazione dcl 'rnondo migliore', come la sua più alta
libertà; 9 la grande metafisica dell'idealismo tedesco concepisce il diveni·
re cosciente dell'io assoluto come la contrapposizione con l'altro che
pone la finitezza (il farsi finito). Idee simili sviluppano in Germania
G. HERMES e A. GONTHER, in Italia A. RosMINI che accetta una neces-
sità morale nella creazione del mondo ma il magistero le ha condannate; 10
nell'ambito della teologia evangelica per es., troviamo R. ROTHE: 11 per
comprendersi come persona, Dio deve pensare al suo non-io, e pensan-
dolo, porlo: non c'~ Dio sem:a mondo. Il concilio Vaticano 1 nel t870,
in vista di simili tendenze di pensiero, ha inserito l'espressione libe"imo
consilio nella definizione dogmatica sulla creazione del concilio Latera-
nense IV dcl ut,. 12 La 'nuova teologia' francese presentò la manifesta-
zione nel mondo della infinita liberalità in modo cosl essenzialmente
conveniente per Dio, che non parve più possibile convincere che non
si trattasse di una pura e semplice necessità da pane di Dio di creare il
mondo.Il

Anche le più raffinate forme di una falsa interpretazione dialettica


della libertà dell'atto creativo di Dio cadono sotto la sentenza di

6 Per es. PSEUDO-DIONIGI, De divinis nominibus 4,1, PG 3,"94.


7 Cosi in Giustino, Tertulliano, Mario Vittorino, Eriugena, la scuola di Oiartres
(v. sopra pp. 111-113 s. e L ScHEFFCZYK, op. cit., pp. 47 nota 21, pp. 6o,69,72-75.
I I C/em. 274; ARISTIDE, Apol. 13; ATENAGORA, De resurr. mortuonJm 12; TAZIANO,
Or11tio VIl,J; IRENEO, Adv. hller. 2.1.1; 2,30,9; 4,20,1; IPPOLITO, C. b11er. Noeti, 10,
Fhilosopbumen11 10,32; AMBIOGIO, In Hexaemeron 2,2,5; ATAN1'SIO, C. Arillnos or.
111,61; AGOSTINO, In Ps. 134,10; De Gen. 11d Mtm. 1,24; De civ. Dei 11,24; 21,7.
9 Em1is de Tbéodicée, 227-230.
10 Su Giinther: DS 2828. Su RO"<mini: os p18 (cf. DTC 13,2397). Antecedentemente
contro Abelardo: os 726; contro Wicliff: DS 1177.
11 K. BARTH. Die protestantirche Theologie im 19. }11brhundert, Zollikon-Ziirich
21952, p. H6 s.
I? os 3002; cf. DS 3025: «Si quis ... Deum dixerit non uolunt11te ab omni necessit11te
lib1••a, 1ed t11m 11ecessario creasse, quam necessario amai seipsum ... : a.s.». Cf. J. RA-
BF.NECK, 'Die Lchrentscheidungen des Vatikanischen Konzils iiber dic Frciheit des
S,hiipfers', in Scholastik 32 ( 1957) .565-569.
" Ci. os 3890 (Hum. gen. 1950). E J. DF.. F1NA.'ICE, 'La contingcncc du monde et
b !ihcrlé créatricc', in Doclor communis, 3 { 19~0) 201-204.
CREAZIONE COME COMUNICAZIONE D'AMORE 131

AGOSTIN0/ 4 sbrigativa solo in apparenza: «Ubi nulla indigentia,


nulla necessitas; uhi nullus defectus, nulla indigentia. Nullus au-
tem defectus in Deo: nulla er?,o necessitas». Infatti ci sarebbe an-
cora un bisogno (che sarebbe, per così dire, da includere nella cate-
goria di un difetto per eccesso) se Dio dovesse creare il mondo
non per colmare una deficienza, ma proprio per una sovrabbondanza
da dispensare necessariamente. Esiste per l'uomo e la sua storia una
necessità ineluttabile che tocca la libertà (cf Le. 24,26) e che viene
da Dio, ma sembra impossibile pensare Dio stesso come sotto-
messo a una tale necessità. Solo per il fatto che dalla creazione non
ne viene vantaggio alcuno per il creatore, né in modo ingenua·
mente grossolano, né indirettamente sublime, solo per questo la
sua azione creatrice - perché estremamente libera - è estrema-
mente munifica .15
Con ciò, per il fatto che la creazione è un atto divino in libertà,
si è già fondamentalmente detto che essa è comunicazione della
mngnificem.a d'amore di Dio. La libertà più libera è l'amore più
amante, il dono più attivo. La libertà dimostra la sua autenticità non
nel ricevere, ma nel donare. Essa è liberalità: libertas-liberalitas. Es-
sa dona liberamente e rende liberi. Quando M. BuBER afferma:••
«Come potrebbe esserci l'uomo, se Dio non avesse bisogno cli lui,
come potresti esistere tu?ii., questa domanda non raggiunge la moti-
vazione ultima cli ciò che è amore. L'altro può essere accettato nella
maniera più pura per se stesso, per il suo 'essere quest'altro', sol-
tanto quando l'io che ama non adopera il tu per se stesso, non ne
ha bisogno, quando cioè nell'amore non entra in nessuna maniera
come motivazione una qualsiasi riserva egoistica, facendolo parzial.
mente deviare.
Il fenomeno dell'amore nella sua pienezza e completezza sembra

14 De divinis quoest. 8~.22, PL -10,16.


rs Cf. TOMMASO, D,· f>'>I. 7,10. E. BAll.U.AUX, op. cii, p. li: •lnt)1pahle de rien
ajouter à son Auteur, memc pas la gloil't' dc se montrer génc.:reux, la création c!clatc
dans toute sa gra1ui1é».
16 Die Schriften iiber J,n Ji,tfng,i.<eh<' Pri11~ip, Ilcicldbc11t 19~~. ('. 81. Qui non si
può spiegare perché l'amore imra.Ji,·ino, 'hc nun i: lihcr1:. ,1; '<:chn l"ome l'amore .li
Dio per quanto è al cli iuori di Dio, non sia in con1r~s10 (on q111.-.1.a lcl(l!C fondamc:n·
tale dell'amore perfetto cume lilxrtà la più lihc:r;i, hcn•l 13 Ct•nkrmi.
LA PEDI NILLA Cll.AZIONE

tuttavia smentire i tentativi ricorrenti di introdurre nell'amore crea-


tivo di Dio una necessità, per quanto raffinata, che avrebbe prece-
duto il libero «Sl» di questa volontà d'amore.
Inoltre. in favore della creazione come evento esprimente l'amo-
re di Dio il quale creando il mondo non vuole nulla per sé, stanno
tutte quelle ragioni storico-salvifil:he dell'alleanza di Jahvé con
Israele e l'alleanza con l'umanità nel Verbo incarnato Gesù Cri-
sto, le quali hanno dimostrato la creazione come atto libero di
Dio. l.11 fondazione trinitaria della creazione dimostra nel modo più
esplicito che questa creazione come avvenne mediante la Parola,
cosl avvenne pure nell'amore dello Spirito. Nella molteplicità delle
sue forme finite, essa è secondo dono dell'unico, eterno, infinito
primo dono. Dio crea le sue imprese nella realtà del mondo e nel-.
la storia dell'alleanza, dall'abisso incolmabile della sua misericor-
diosa bontà (Ps. 136); la sua bontà e la sua grazia s'innalzano fino
al cielo, fino alle nubi, la terra ne è ricolma (Ps. 36,6; 33,5). Non
come se egli avesse bisogno di qualche cosa, egli che dona tutto a
tutti (Act. 17,25)! Dio che, per esprimerci con LUTER.0,17 è una
«fornace infuocata d'altissimo amore», non ha creato l'uomo per
avere qualcosa da lui, ma per donargli qualcosa e renderlo parte·
cipe della sua bontà.
Il problema un po' arduo, riguardante il motivo della creazione,
trova qui la sua soluzione. In ogni caso non esiste scopo alcuno
per creare il mondo, nel senso di causalità finale, 11 cosl che Dio
debba produrre per conquistare qualcosa senza di che egli non po-
trebbe essere totalmente e completamente se stesso; ciò lo rend~·
rebbe un idolo che si forma nel mondo e attraverso il mondo.
L'amore di Dio è per se stesso da solo il fondamento csclusiw.
In ultima analisi ogni cosa ha il suo fondamento insondabile nel-
l'amore che è Dio.
Serve ora molto alla chiarezza, affermare che il movente di Dio
per creare il mondo sarebbe il suo amore per se stesso? Anche se

17 Da G. DaJ W<"Jt"11 deJ cbmt/1cben (.;/aukn1, Tiibingen 11961, p. 11~


EBELINC,
11 ToMMASO, S. tb. 1, q. 19, a . .:;: •nullo 11rodo uolu11tas D.:i cauu"' h.Jb,·t•. 1:..
Schillebecckx {Gol/ ;,, Wdt 11, p. Hl traduce: .La volonrì di Dio non ha in n.s
sun modo un motivo».
CRF.AZIONE COMF. COMUNICAZIONE D0AMORE 133

si dice che cDio esercita l'amore per se stesso creando il mondo»"


(certamente in modo inspiegabile per noi), tuttavia non si può insi-
nuare l'opinione che Dio ami soltanto se stesso e non il mondo,
e precisamente il mondo per se stesso, con una potenza d'amore
che gli dona la realtà - per quanto d'altra parte l'avvenimento
d'amore della creazione del mondo è solo un 'epiciclo' nell'avveni-
mento di quell'amore che è lo Spirito santo in persona. L'amore
di Dio si traduce nell'estasi che è Dio e lo Spirito; e l'amore di
Dio si traduce nell'estasi che fuori di Dio è il mondo. cCosl alla
fine il motivo che ha dato origine al mondo si nasconde in quel
mistero che è Dio stcsso».20

Anche filosoficamente non si può raggiungere una deduzione aprioristica


della realtà o anche solo della possibilità del mondo: semplicemente il
fallo che esiste, testimonia che può esserci l'essere finito del mondo
'fuori' dell'infinità di Dio. La realtà, quella propria e quella altrui, è da
accettare in un atteggiamento di riconoscente contemplazione e come un
dato di fatto che si sforza di diventare sottomissione.
La risposta ultima è anche qui il mistero della magnificenza d'amore di
Dio: Dio voleva comunicare liberamente la sovrabbondanza del suo amore
a un altro. Con ciò, nell'esperienza mondana dell'uomo concreto, nell'am-
bivalenza di questa magnificenza d'amore sono adombrati l'aspetto di se-
verità della volontà di Dio che domina sovrana e l'altro aspetto dell'amore
!iempre presente, che si dona gratuitamente, che si eflonde senza limiti
e che la fede può scorgere più sicuramente.

Se «Dio in forza del fatto d'amare se stesso, tutto ... ordina a sé•,n
tuttavia «Dio non è il fine ultimo delle cose nel senso che ne possa
trarre qualche vantaggio per lui, ma unicamente nel senso che le
cose ricevono da lui•.n Secondo il concilio Vaticano 1, Dio ha crea-
to il mondo •mediante la sua bontà e potenza infinita non per
aumentare la propria beatitudini: né per acquistarsi la propria per-
fezione, ma per manifestarla attraverso la bontà che egli parte-

" M. SaiMAus, 'K4lboliscb~ Dogm.riJi 11,1, Miincbcn 61962, p. u9 (tt. iL: Dot
m111ic11 c1111olic11, Maricni, Torino).
lii lbiJ.
li TOMMASO, De pot. 9,9.
12 ToMMASO, S. c.g. 3,18.
LA FEDE NELLA CREAZIONE

cipa alle creature». 21 Scopo della creazione, dunque, in quanto


azione di Dio, quindi del suo creare, è il dono come partecipa-
zione alla magnificenza d'amore del creatore. Scopo della creazione
in quanto realtà del mondo, scopo quindi di quanto è creato, è la
l'artecipazione come accoglimento della magnificenza d'amore di
Dio. Per questa partecipazione la tradizione coniò la formula gloria
Dei, gloria di Dio. I Salmi confessano a più riprese: 24 il mondo
onora ed esalta il suo creatore. Anche secondo altre testimonianze
dell'Antico Testamento il mondo e la storia sono pieni della magni-
ficenza di Dio,.25
Il fine 'intrinseco' del creato di glorificare Dio non può però
ora essere scambiato come fine 'estrinseco' del creatore. Come se
Dio creando il mondo cercasse la sua gloria, benché il linguaggio
dell'Antico Testamento occasionalmente lo suggerisca .. La gloria di
Dio è il fine 'intrinseco' della creazione creata, in essa iscritto, che
concerne la sua propria essenza, che da ultimo la costituisce - non
già lo scopo 'esterno' del creatore. Nessuno certamente è in grado
e ha il diritto di negare che «il mondo sia creato per la gloria di
Dio». 211 Dio vuole e deve volere che tutte le creature lo glorifichino.
Ma appunto, egli non vuole ciò per sé, ma per amore dcl creato,
affinché esso diventi se stesso: come Dio nella sua partecipazione
d'amore lo volle disponendo della realtà e formandolo e perché ciò
spetta all'essere e divenire autentico del creato. Per questo motivo,
e solo per questo, Dio vuole la sua glorificazione attraverso il crea-
to. Ma la parola dell'amore mediante la quale Dio ha dato origine·
specialmente alla creatura spirituale, non va forse immediatamente
in cerca della risposta d'amore di contraccambio? Non è questa
un'esigenza essenziale di quanto è personale? Ripetiamolo: Dio
deve esigere che noi rispondiamo amandolo. Ma non in favore del

23 ns 3002. Non è facile vedere come in base a questa asserzione conciliare si possa
stabilire il 'principio': «Il movente dell'azione creatrice di Dio è il suo amore a
se stesso ...» (M. ScHMAUS, op. cit., p. I 18).
24 Ps. 18,1-7; 56; 66 s.; 92; 94 s.; 99; 102-104; zo6; uo; n2 s.; 133-135; I+4·
147.
25 Num. 14,21; ls. 6,3; 40,5; Abac. 2,14; 1 Cbron. x6,8-36; 29,10-19; Dan. 3,57-jlo;
Ecclus 17,7 s.; 42,x6.
26 Vaticano 1 (Ds 3025). Cf. 1 Cor. 7,20.
CREAZIONE COME COMUNICAZIONE D'AMORE

suo amore. Perché nessun rifiuto da parte della creatura né fiacca


né può contestare l'amore di Dio. Ma per amore di noi. Affinché il
nostro amore e con ciò il nostro essere non si trasformino, capovol-
gendosi, in odio contro Dio nel quale noi potremmo esperimentare
come odio di Dio contro di noi, ciò che in Dio è amore immu-
tabile. L'assoluta trascendenza dell'amore di Dio è la sua assoluta
immanenza nell'amore dell'uomo. La sua divinità è il sovrano al-
truismo, il più completo distacco da se stesso. La libertà della
donazione d'amore è in esatta corrispondenza della grandezza e
della sovrabbondanza della potenza d'essere di colui che ama.
Quando PLATONE,77 e con lui PLOTINO e P1tocLO 21 affermano che
Dio è colui che è senza invidia e colui che non si abbatte sull'uomo
Prometeo con la gelosia dell'Olimpo (e nemmeno del Sinai?) c~
sicché il suo amore appare già più come agape che come éros, al-
lora la professione cristiana di Dio non può aggiungere troppe pa-
role. Non del tutto a torto, G. HERMES influenzato da KANT e da
F1CHTE, pensav11 di dover metter in rilievo che l'uomo, anche e
proprio per Dio, è in se stesso scopo per se stesso e non può essere
un semplice mezzo per un fine ultimo ancora cosl alto e santo,
sia pur esso la gloria di Dio; e A. GtiNTHEll giudica un egoismo
indegno di Dio cercare la propria gloria nella creazione del mondo. 3
Mentre, tuttayia,. Hermes e Giinther combattevano l'unilateralità di
una concezione teocentrica esclusiva ed esteriore, caddero in misu-
ra troppo grande nell'altra visuale estrema di un antropocentrismo
assoluto. In realtà ambedue le finalità, il perfezionamento dell'uo-
mo come persona nella comunità fine a se stesso e la gloria
di Dio per mezzo di lui, sono l'unica e identica finalità concreta:
dell'assimilazione dell'uomo a Dio, del diventare perfetti eccome è
perfetto il vostro Padre celeste» (Mt. 5,48). In ciò l'uomo è uo-
mo: nell'essere aperto a Dio. Egli si coglie e si completa, mentre

27 Cf. Timeo 29c 3oab; Fedro, 247a. Anche ARISTOTELE, Metaph. A2; 983121.
21 PLOTINO, Enneadi2,9,17; 4,8,6; 5,2,1; ,'4,r; ,,,,u. PROCLO, PPr.98; u2;
131 (da K. KREMER, Parusia (Fsch. J. Hirschberger; Frankfurt 19") p. 2,4 nota
68). Circa la libertà di Dio in Agostino v. J. de Blic in RSR 30(1940) 179 nota 2;
e con enfasi, HEGEL: 8,315; ro,4SJ; 16,397 s.; 18,249 s.; 316 s.; 20,26 (cd. GLOCK·
NEB.).
29 M. SCHMAUS, op. cii., Ili s.; 1,1 55.DS 2719, NR 17!rl83.
LA FEDE NELLA CU!AZIONI!

si lascia cogliere e completare da Dio. L'essere ordinato a Dio ~


costitutivo nella maniera più originale dell'uomo nella sua possi-
bilità essenziale e nella sua realtà operante.JO Tale dialettica del
divenire autentico dell'uomo e della sua glorificazione di Dio con-
sentono di capire queste affermazioni paradossali: «omnia propter
seipsum feci/ Deus, omnia propter suos ( electns)•, dice BERNARDO
DI CHIARAVALLE. 11 TOMMASO D'AQUINO: «Idem est dictu, quod
Deus omnia propter seipsum fecit ... et quod creaturas fecerit pro-
pter earum esse•. 12 E già IRENEO: «Gloria enim Dei vivens homo!•.11
La funzione della creazione, di dar gloria a Dio, è anzi graduata
conforme all'ordine essenziale delle creature. La tradizione scola-
stica distingue la gloria obiectiva che costituiscono e manifestano
le creature prive di intelletto, e la gloria /ormalis (o subiectiva)
che si attua per opera della creatura spirituale nel dare a Dio una
gloria consapevole e voluta.Jt Cort4spondentemente, questa distin-
zione venne fissata nelle riflessioni sul mondo in generale come
vestigium Trinitatis, e in quelle sull'uomo in particolare come
imago Trinitatis. Ma può nuovamente divenir chiaro che il muto
giubilo della creazione che dà gloria a Dio è ordinato a diventare
esplicito nell'uomo, ad acquistare coscienza e voce e operante at-
tuazione: come glorificazione di Dio. Come la natura nell'essere e
nell'agire spirituale dell'uomo, così la creazione umana della cui
tura ha nel culto il suo punto culminante. Cosl la tradizione cri-

30 Cf. p. es. P. MuCK, in W11r11m g'411ben? (ed. W. KE•N·G. SnctrEL), Wiirzburg


11966, Tesi xu. W. KuN, Philosopbiscbe Erlllnntllis Gottesil, Wiinbu.rg 1967,
cap. IV.
li In festa Penucostes, lllA, PL 183,n1.
JZ De Pot. ,,... a. S. c. g. 1. 3,z5: •11n11mquodqur tentlil in tli11i1111m similitutlillmr
s1cut in proprium finmr•. lnol~: S. c. g. 1. 2..f5; 3,24; S. th. I, q. 19, u. 2-3; q. )2,
1. 1, ad 3 ;q. 44• a. 4· G. PADOIN, Il fine tle/'4 creaione nel pensino tli S. Tomm1110,
Roma 19,9.
ll Atlv. Haneser, .po,7, PG 7,1037. (0. E. Schillebecckx in Goti in Welt Il,
55 noia 10). Anche Atenagora (De reS11rr. mori. 12, PG 6,997) distingue e collega un
motivo più universale della cre&2ionc, secondo cui Dio creò l'uomo per se siesso
e per la sua bontà e sapienza risplendente in tutte le opere, e un fine più prossimo,
intrinseco lg!i stessi uomini creati: la loro stcsS& vita (proptn torum 11ilos).
.M Si ritrova la differenza di ques1e 'glorie' rappor1ate ovviamente l'una l'al1n nel
'dischiudersi' e nel 'riguardare' di questa frase di H. Schlicr (Goti ;,, Welt I, p. ,17):
cl.o splendore della potenza di Dio, che si dischiude nella creazione e che riguarda
le creature in rapporto a Dio, è la gloria della sua sapienza•?
CIEAZIONE COME COMUNICAZIONE 0°AMOaE 137

stiana può affermare fin dall'inizio che il mondo, proprio perché


Dio non ne ha bisogno, è creato per amore dell'uomo SL' liv&()W1t0~.ss
Dio cvolle creare l'uomo per essere da lui riconosciuto; per lui
però gli ha preparato il mondo».16 Nel suo linguaggio, il Medioevo
dice la stessa cosa: propter homines factus est mundus.J1 L'uomo
è il fine di tutto il divenire del mondo. 31 La creatura materiale è
creata per quella spirituale.1' per la quale tutto il resto è dato come
campo d'azione e come strumento 40 e che - quodammodo omnia
- accoglie in sé la totalità della creazione: punto focale delle
perfezioni del mondo. 41 L'antropocentrismo (relativo) della crea·
zione cosmica non è argomento solo dell'odierna dottrina dell'evo-
luzione. LUTERO gli ha fornito una espressione esistenziale: «io
credo che Dio ha creato me insieme alle altre creature».4l
Ma il cristianesimo primitivo non si ferma qui: Dio creò Adamo
cnon come se egli avesse bisogno dell'uomo, ma per avere qual·
cuno a cui comunicare i suoi benefici».41 Questo ha ancora una
risonanza generale, ma IRENEO che non distingue i benefici della
natura e della grazia, vede lo scopo che dà fondamento a tutta la
creazione nella salvezza redentrice in Cristo, nella Parola creatrice,
che deve incarnarsi: «praeformante Deo primum animalem homi-
nem, videlicel ut a spirituali salvaretur. Cum enim praeexisterel
salvans, oportebat et quod salvaretur fieri, uti non vanum sit

15 GIUSTINO, Apol. 1,10 (PG 6,340). Inoltre: GIUSTINO, Apol. 11"4 (PG 6o4.'J2):
614 d.vtpWuwv y~ DUil. 41 (PG 6,504): 6là Tn MQ<WtDY. 0. andic:
I C/t,,,, H-4: r~plo 1,6; AalSTIDI!, Apol.. 1,3; ut11m1 Il Diog,,eto, 4,2; TAZIANO,
Or111io 4 (L. SolEFFCZYlt, op. r:il., p. 39, nota 25).
l6 TEOFILO 2,10, PG 6,1o6.f.
J7 UGO DA SAN VITl'OU, Dt 111r:r11,,,m1is cbrislillnu µr;;, libri prioris prol. 3,
PL 176,184; egli prosegue subordinando in modo piuuos10 serrato: cSpirilru quidt"'
propltr Dt""'· r:orpus proplrr spirilu,,,, "'""dus proplrr r:orpus h""'""""'· ul spi·
ritus Dto subir:r:rtlur, spirilui r:orp..s ti r:orpori "'""dus•.
• TOMMASO, S. r:. g. I. 3,n (qui vcnmcnte detto solo dei gradi cosmici inter-
ni all'uomo).
Jt TOMMASO, S. lh. I, q. 65, a. 3, ad 2,2; d. II Sml. 1,2,2; W Seni. 49,1,2,2; S.c.g
I. 2>46; 3,112; Dt aier.20"4 ...
• TOMMASO, li Dt .,,;,,,111.6.
•• a. ToMMAso. s.r:.,.1. , ......
4l Kltintr K111tcbis,,,11s in WA 30 l,247,20 s.; 292,10 s.; 293,1.'J s.
'' IHNl!O, AJ11. hatr 4,14,1, PG 7,1010.
LA PEllE NELLA OEAZIONE

salvans» ... Questa è la concrezione cristologica dcl fine della crea-


zione, inteso tuttavia in parte in un modo astratto e formale, della
comunicazione e della partecipazione della bontà di Dio, della glori-
ficazione limitata della sua infinita magnificenza d'amore. Cosl
anche nella Scrittura quegli sporadici accenni che nascono occasio-
nalmente più da un contesto filosofico (come Aci. 17,26-28; Rom.
1 ,20 s. ), sono abbracciati dall'evento di glorificazione che sempre
esiste tra il Padre e il Figlio incarnato (lo. 13,31 s.; 14,13;
I7 ,5-22) e sono assunti nel concrelissimum del Chrislus lotus della
vecchia e della nuova terra (Phil. 2,5-u; Eph. 1 s.; Col. 1,3.10 s.;
Apoc. 21 s.). Questa è la più concreta gloria obiecliva del mondo
nel lasciarsi usare e consumare dal suo creatore e redentore: terra
sulla quale Gesù Cristo cammina; vestito che Cristo indossa; pane
divino che Cristo prende per donarsi a noi. E la gloria subiectiva
della creatura umana è di proclamare, in un movimento di lode, di
ringraziamento e di domanda, che questa glori4 obiectiva è reale, e di
impegnarsi per realizzarla con tutte le proprie forze, colla propria in-
telligenza e la propria volontà (quest'opera si chiama: Dio nel mondo,
o: Chiesa di Gesù Cristo). Come ci siamo astenuti dal seguire nei
particolari la problematica filosofica delle nostre riflessioni, cosa che
può farsi sostanzialmente solo nel contesto globale della riflessione
filosofica, cosl pure dobbiamo astenerci dal misurare il significato co-
smico dell'evento di Cristo, dovendoci porre in un contesto teologico
più complesso che sarà studiato più avanti.
Delle molteplici testimonianze che proclamano il fondamento con-
creto del fine della creazione nell'incarnazione redentrice stabile
del Figlio di Dio, citiamo ancora la seguente: «il mondo è creato
per amore del Figlio di Dio, ed anche questo solo in vista dcl capo
che è nostro Signor Gesù Cristo», cosicché cla creazione dcl mondo
diventa vana, se non c'è un popolo che invoca Dio,. (CALVINO) ...
41 Tbid. p2,3 (9,8J.
4S Corpus Reformatorum. Calvim operll, ,1,2,6 rispc11ivamcn1c 32,192 (da W.
N1ESEL, Vie Theologie Calvins, cit., p. 63). Un riftcsso dcl fine-Cristo: apocrili giu-
daici prncntano il mondo come creato a van1aggio del popolo eletto (4 Esdr. 6,,,;
_58 s.; 7,11. Apoc. Bar. 14,18; Ps. Sai. 18,..; da G. LINDESKOG, Studien :z:um neule-
stammtlichen Schopfungsgedanken 1, Coli. •Ac1a Univ. Upsal.• 11, Uppula 19,2,
p.100).
C~EAZIONE COME COMUNICAZIONE D0 AMOIE 139

Ogni comunicazione di Dio al mondo e soprattutto a quella creatura,


che è spirito nel mondo e che perciò attua in modo decisivo la sua
essenziale struttuu partecipativa nella sua funzionale partecipazione a
Dio mediante conoscenza e amore, ha la sua prima immagine e il suo
significato ultimo nell'immediata e totale autocomunicazione di Dio al
mondo, rappr~ntata dalla unione personale di Dio con l'uomo in
Gesù Cristo. In essa si attua il modo di creazione insuperabilmente più
potente e più intimo: mediante l'assunzione nell'unione personale dcl
Dio incarnato (assumptio creativa, assunzione creativa)... ~ questo il
punto focale dell'aspetto cristologico della creazione, il centro della sua
dinamica cristologica. «Dio vuole veramente aver 'qualcosa a che fare'
con le sue creature; e l'incarnazione di Dio è la prova migliore e l'esem-
pio più cccdso del fatto che Dio in persona vuol avere qualcosa a che
fare con noi uomini». 47
La comunicazione di Dio al mondo, che si atlll1l nella creazione, e la
partecipazione (p11rticipatio) delle cose alla loro origine in Dio, la quale
è la realizzazione più adeguata del loro essere, sono la struttura di fondo
del rapporto dell'uomo e dcl mondo con Dio, la quale viene sempre
più posta al centro della metafisica attuale orientata a To.MMAso.•
Cosl la 'nuova metafisica', che cerca di conoscere a fondo l'uomo nella
totalità della sua situazione mondana, penetra fin negli estremi ambiti
della storia della salvezza.411

Che Dio è creatore da solo è dato dall'asserzione fondamentale


biblica non diversamente che la libertà della sua azione creatrice.
Se la creazione del mondo è il fondamento ultimo e il prologo del-
! 'intervento di Jahvé nella guida sovrana della storia d'Israele, popolo
dell'alleanza, allora tutto, senza eccezione, deve dipendere, 6n dalla
sua più primordiale origine, dalla sovranità esclusiva di quest'unico
Dio e vi deve appartenere.

Secondo il Deutero-lsaia (ls. 44,24) Dio dice: «lo sono Jahv~ che ha
creato tutto; bo spiegato i cieli da solo, ho disteso la terra - chi era

.. F. MALMl!DG, Vber Jnr Gottmerrscherr, in C.Oll. •Qll4tsl. tlisp.» 9, Freiburg


196o, p. 48; secondo Agostino e Leone Magno: d. lbitl. J8 nota 66.
47 F. MAI.Mane, op. cit., p. 64; d. pp. J7·,o; 9z·91'.
• Cf. M. Miiu.E.Jl, Exisle,,zphilosophit im ieistigerr Ltbttr tltr GtgtrrUNUI, Heidel-
bcrg l1964, pp. 68; ns.; 19'; u7s.; u31., 243-249; z,1; J'7; B. WELTE, AMI
tler Sp!llT tles Ewigetr, Freiburg 196,, pp. 10; 174; 18o-184; 436-..,.1; inoltre gli
scritti di G. SIEYurn, C. FAJ1110, L. B. Gmcu, che indapno in maniera o più
sistematica o più storica la filosofia della puteclpaziooe.
• M. MiiLLEJt, op. cii., p. es., pp. u9 s.; z36.
LA FEDE NELLA CREAZIONE

con me?». E (ls. 45,5-8): «lo sono Jahvé: non ce n'è altri, fuori di
me non vi è divinità. Ti darò una cintura anche se tu non mi conosci,
affinché sappiano dall'oriente all'occidente che fuori di me non c'è nulla.
Io sono Jahvé: non ce n'è altri. lo ho formato la luce e creato le
tenebre, concedo il benessere e creo la sciagura; io sono Jahvé che
compie tutto questo... lo Jahvé ho creato ciò». «Uno solo è vero
sapiente, temibile assai, assiso sopra il suo trono. Lo stesso Signore ha
creato la sapienza; la contemplò. la misurò; la diffuse in tutte le sue
opere, fra ogni mortale secondo la sua generosità, l'elargl a quanti
l'amano» ( Ecclus 1 ,8-10 ).

Se sopranutto l'uomo e l'intero suo mondo devono essere rica-


pitolati e completati per l'eternità in Gesù Cristo con la redenzione,
allora tutte le potestà, dominazioni e troni, ecc., di questo mondo
devono essere detronizzate, esse che sono state create in Gesù Cri-
sto. mediante lui e per lui, dall'unico Signore del cielo e della
terra che è il Padre di Gesù Cristo.• Anche Hebr. I ,10-12 e Apoc.
4,8-11 dànno a comprendere l'essenziale ed infinita distanza tra
Dio e tutto ciò che non è Dio. Specialmente il prologo di Giovanni
attesta l'esclusività del potere creatore di Dio: tutto è stato fatto
per mezzo della Parola e niente di ciò che esiste fu fatto senza
la Parola (Io. 1 ,3 ). Nuovamente il fondamento trinitario della
creazione mediante la Parola che è personalmente il Figlio-Logos,
e nel dono di sé dell'amore il quale è personalmente lo Spirito
santo, conferma irrevocabilmente che Dio è il solo creatore. Poi-
ché il non-divino, che è il mondo, ha origine comune con le per-
sone divine nell'unica potenza di realtà della volontà amante di
Dio che conosce generando ... e non altrimenti. Nulla vi sfugge.
Ogni altra cosa 'fuori' del Dio uno e trino partecipa di tale origine
cd è creata immediatamente da Dio. Altrimenti sarebbe semplice-
mente nulla. 51

La gnosi soprattutto ha costretto l'incipiente riflessione teologica ad


affrontare la problematica dell'esclusività della potenza creatrice di Dio,
che si annunciava nel Nuovo Testamento. Le rappresentazioni emana-

!O a. Col. I,16; 2,1,; Eph. 1,21; I Cor. 1,,24; J,8; I Pt:lr. 3,11.
51 li La1crancnsc IV dc:I 1215 (Ds 8oo): •unum 11nw<Ts0rll"' principill,,,, crt•
1or omnium visibilium t:I mvinbtli11m ···"·
CIEAZIONE COME COMUNICAZIONE o' AMOIE

tistiche e nel contempo dualistiche del mondo e di Dio da parte della


gnosi provengono dalle teogonie e cosmogonie dell'oriente antico e
dai misteri orfici e si protraggono nel manicheismo, nella cabala, nei
Catari ecc. Ne! secolo xn-xm. nella cosmosofia del rinascimento, in
B6HME, nell'ultimo Sc11ELLING, nei filosofi della religione russi del se-
colo xix/xx Come esempio basti delineare il sistema di uno dei più in-
fluenti rappresentanti della gnosi, VALENTINO (11 sec.): 52 il Dio Padre, non
generato, fa sorgere coppie (trema) di eoni. che formano il pleroma. Per
mezzo della caduta dell'ultimo eone. la sofia, viene all'esistenza il de-
miurgo, il dio dell'Antico Testamento, il creatore del mondo visibile
che imita il pleroma. La particella (seme) divina racchiusa nella mate-
ria, viene liberata da Gesù, un uomo, sul quale discese nel battesimo al
Giordano, l'eone-Cristo. Ora è diventato possibile per l'uomo liberarsi
dalla materia per mezzo della gnosi e ritornare a Dio, risalendo attra-
verso il pleroma. h.ENEo soprattutto, il cui J libro Adversus haereses
rappresenta una fonte fondamentale per la nostra conoscenza della
gnosi, ha continuamente ironizzato con buoni argomenti la TQO)'(OOia
nolllj... Y.nÌ rpl\·rnnin 53 di tutto l'apparato degli esseri gnostici inter-
medi.so Con pleonasmi molto espressivi, adoperando fino all'abuso i termini
solus e ipse, egli proclama che spontaneamente e con forza propria, Dio
solo ha disposto e completato tutto, egli, il solo onnipotente, l'unico
Padre fondatore e operatore di ogni cosa, «ipse /abricator, ipse conditor,
ipse inventar. ipse /actor. ipse Dominus omnium-.; nulla fuori di lui,
nulla al di sopra di lui, nessuna mater, nessun 'secondo Dio' nessun
'pléroma di trenta coni', nessun 'Bythos', nessuna 'Proarché', nessun
'eone innominabile' ecc.: Dio stesso da solo. 55 IRENEO riporta anche,
approvandola, la dura parola di GIUSTINO: cNon crederei al Signo-
re, se egli annunciasse un altro Dio accanto al crcatore-.. 56 Dio e crea-
tore: identità pura e semplice. Anche TERTULLIANO è cosl categori-
co.57 I vescovi alessandrini ALESSANDRO sa e ATANASIO" ritorcono
l'argomento di Aa10· proprio dalla creazione del mondo mediante

S2 Da P .. Th. Camdor in r.n.: X. 6o2.


53 AJ&I. btm 1.4.1. PG 7..f84.
SI Per es. Adi'. b,,rr 1,21,1. PG 7,669; 2,1,1 (709s.); 1,i,1,.45. (713-71j);
l,10,2 s. (8o3).
55 AJ11. harr 2, 10,9, PG 7,812.
56 Adv. harr ...6,2, PG 7,987.
57 Per es., Ad11 M11rcwntm 1,1, PL 1,148: cDuos Pontic11s Jtos •lrrt ... : qium
nti11rr non pot11it, Crr11toum, iJ tsl nostr11m, rl q11tm probarr lfOn polrril, i4
rst s1111nr•.
51 Ep. E,,ryc/. (in SocuTE 1,6); Ep. ad Alt:ic. (in TEODOIETO 1"4) (Sc!IEFFCZVK,
op. cii., p. ").
" Oratio II e Arianos 11 s.: 27, PG 16,189 s.; 104.
LA FEDE NELLA CREAZIONI!

il Logos derivano la eternità e eguagliar:iza a Dio di quest'ultimo. La


potenza creativa è dunque una proprietà esclusiva di Dio. C.ontro il
dualismo manicheo la prima presa di posizione del magistero occiden·
tale sulla dottrina della creazione metteva in risalto l'unicità del Dio
creatore. 60

Nel rifiuto deciso di qualsiasi spostamento di competenze e fra-


zionamento delle istanze, di tipo dualistico e pluralistico, nel fatto
della creazione, sono in gioco sia l'unità di Dio sia quella del mon-
do, dei suoi ambiti, della sua storia; è in gioco anche, pur con
ogni distinzione, l'insieme inscindibile e unico della creazione e della
salvezza redentrice, della rivelazione nell'opera e nella parola, del-
l'Antico e del Nuovo Testamento. Ne va dell'unità, verità e bontà
di tutte le cose, del mondo in Dio e specialmente dell'uomo in
Cristo, del suo conoscere e del suo amare, del suo modo di vivere
e della strutturazione del mondo.
Pertanto la gnosi, che frantuma l'unità del mondo, ha trovato il suo
punto di partenza e la sua giustificazione nel problema fondamentale
'undc malum?'. 61 Si tratta di questo, che nonostante ogni situazione
empirica contraddittoria del mondo, Dio solo è Signore di tutto,
potente sopra ogni cosa e in tutto vicino a noi, egli e nessun altro,
in modo diretto ed esclusivo. «Infatti è Dio colui che crea tutte le
cose, opera e conserva con la sua onnipotente autorità e la sua
mano destra, come professa la nostra fede. Infatti egli non manda
alcun ministro o angelo, quando crea e conserva qualcosa, ma tutto
ciò è azione esclusiva e propria della sua potenza divina. Ma se
egli deve creare e conservare ogni cosa, allora egli deve essere pre-
sente e deve formare e conservare la sua creatura tanto nella sua
essenza più intima quanto nel suo aspetto più fenomenico. Per
questo egli stesso deve esser presente in ciascuna creatura, sia
nella sua essenza più intima sia nel suo aspetto più fenomenico,

60 Symbolum TolettJnum l (400?) {DS 199). Più ampia documentazione: C1-


1UU.O AussANDllNO, C. ]ulilznum Imp. 2, PG 76,596; GIOVANNI DAMASCENO,
De fide ortbodou 2,3, PG 94,873; inohre in C. TIESMONTANT, LI méttJphysiqut
du Christumisme... Problèmts de la crétJtion et de l'tJntbropologit dn origint1 ÌI
sllitrt Augustin, Paris 1961, Ij(>-189.
6 ' Ct. per es., TnruLLIANO, Adv. Mtl1'c. 1,2, PL 2,248.
CREAZIONE COME COMUNICAZIONE D'AMORE 143

tutt'intorno, penetrandola fino in fondo sopra e sotto, dietro e


davanti, in modo che non possa esistere nulla di più presente e di
più intimo alle creature, se non Dio stesso con la sua potenza
(LUTER0). 62

Questo fatto fondamentale dell'unicità dell'opera creatrice di Dio è


ulteriormente approfondito specialmente dalla scolastica che affronta
il problema derivante dalle rappresentazioni neoplatoniche degli esseri
intermediari della creazione: se Dio cioè possa comunicare la sua po-
tenza creatrice ad una creatura. Secondo l'opinione prevalente nessuna
creatura può essere in senso stretto la causa principale (causa prind-
palis) di un'azione creatrice: ciò significherebbe attribuire alla creatura
potere infinito. Più incerte sono le prese di posizione di fronte al pro-
blema riguardante la cooperazione delle creature come cause strumen-
mentali nell'azione creatrice di Dio. Poiché questa azione divina, in ogni
caso nella creazione di qualcosa di sostanzialmente completo, trae sempli-
cemente _dal nulla ciò che è creato (come ci resta ancora da esporre) non
c'è alcuna possibilità diretta d'inserimento per uno strumento che può ap-
plicani solo alla materia già preesistente. Ma le creature possono ben
fornire le premesse dispositive per l'azione creatrice che compete a Dio
solo; così i genitori preparano l'embrione per l'infusione mediante crea-
zione, dell'anima spirituale umana.61 D'altra parte, come l'essenza, cosl
pure l'azione creativa dcl Dio trino deve imprimeni e produrre i suoi
effetti nell'attività ~elle creature e specialmente dell'uomo. C.Ome l'arte
ed ogni altra opera umana che ha qualche carattere permanente è 'se·
conda natura', e perfino (rispetto al mondo infraumano) è una narura
più alta, più perfetta perché più umana, cosl l'uomo è un 'secondo crea-
tore', ma (nei confronti di Dio!) un creatore minore, in realtà sol-
tanto umano, poiché la sua analoga potenza creatrice è circoscritta al
'mondo' materiale ed è governata, sostenuta e portata dalla azione
eternamente infinita, potente e gratuita dcl suo Dio, che in realtà è
creatore in modo assoluto.

62 WA 23,133,30-134,6.
63 O. Z. H.uES, Th• gener11l doctrine o/ creation in the thirteenth unt11ry
with special Emph11sis on M1111hew o/ Aq11aspart11, Munchen 1964, pp. 74-115. Mo-
tivazioni di TOMMASO in Il Sent. 1,1,3; S. c. g. I. 2,21; De poi. 3.4; S. lh. I, q. 4.1•
a. ,. Circa la cooperazione' creatrice strumentale una trattazione più precisa in
W. BaUGGER, Theo/ogia naturalis, Freiburg 2 1964, p. ~~ti. Il concorso dis('IOSitivo
dei genitori nella creazione dell'anima spirituale utru1na scmhra ruuavill essere (con-
tro Brugger) 'csigitivo' e in verità non solo a seguito di un decreto della volontà
di Dio, bcnsl in forza dell'intimo contesto cosmico evolutivo, voluto cosi da Dio!
LA FEDE NELLA CllF.AZlONE

Dalle considerazioni speculative accennate, risulta ora anche che la


esclusività della potenza creatrice di Dio esige ulteriore riflessione
sulla creazione 'dal nulla'. Il suo come rinvia per concludere, al
rapporto tra creazione (come conservazione) ed evoluzione.

4. Dio ha tratto il mondo dal nulla

La creazione 'dal nulla', che per la riflessione filosofica è il centro


dell'interesse del rapporto Dio-mondo, teologicamente è la conse-
guenza di tutto uno sviluppo della fede. Innanzitutto e soprattutto
è la conseguenza di un'affermazione biblica fondamentale. Se la
creazione è l'estremo fondamento della possibilità, il presupposto
dell'elezione d'alleanza d'Israele da parte di Dio, elezione che rag-
giunge la sua pienezza nella storia, attuantesi nella redenzione e re-
staurazione universale, escatologica dell'umanità in Gesù Cristo, al-
lora l'evento dell'inizio, nel quale Dio fa sorgere il mondo in cui
svolge la sua attività di salvezza, è semplicemente l'evento che non
ha antecedenti.
Questa produzione del mondo, da parte sua non presuppone nulla;
essa chiama 'fuori da' l'assenza assoluta di qualsiasi realtà non di-
vina tutto ciò che non è Dio. Se così non fosse, se piuttosto qual-
cosa fosse presupposto all'operato di Dio, allora verrebbe sottratta
al dominio divino sulla storia, all'amore del Redentore, al compi-
mento della salvezza in Gesù Cristo; questa realtà preesistente, che
agisce a parte, che sopravanza, priverebbe la produzione del mondo
da parte di Dio del suo radicale, universale e definitivo carattere:
«Voi sarete per me il privilegiato tra tutti i popoli, perché mia è
tutta la terra. (Ex. 19,5 ). I popoli della terra non sarebbero sog-
getti all'unico Dio Jahvé, se i loro dèi fossero qualcosa e non piut-
tosto niente, vanità, costruzioni dell'uomo (1 Sam. 12,21; Is. 2,8;
41,29; ler. 10,6-16; Ps. 96,5; 97,7; 115,4-8; 135,15-18); essi non
sarebbero però insignificanti se ci fosse qualcosa sottomesso ori-
ginariamente al loro dominio non essendo stato creato da Jahvé.
«lo sono Jahvé tuo Dio ... : non avrai altri dèi di fronte a me. Non
ti farai idoli né immagine alcuna di ciò che è nel cielo in alto, né
di dò che vi è sulla terra in basso, né di ciò che vi è nelle acque
fl10 HA TRATTO li. MONDO DAL r\ULLA

al di sotto della terra» (Ex. 20,2-4). Questo fondamentale coman-


damento sarebbe infondato, se Dio non fosse l'unico Signore asso-
luto d'ogni realtà. Se Dio non concludesse il suo patto come crea-
tote, cioè, come colui che crea dal nulla, non potrebbe spingere
l'impegno dell'alleanza fin nelle più profonde radici dell'essere
treato, non ne potrebbe abbracciare l'intera ampiezza. Se «la con-
cezione del mondo d'Israele è stata fortemente segnata dall'idea
della causalità universale di Jahvé», 1 lo è più che mai la professione
cristiana di fede dell'universale realtà di Gesù Cristo, che tutto rac-
coglie sotto di sé come capo; tutto ciò che meravigliosamente ha
fondato, plasma di nuovo in modo più meraviglioso. Il tutto in
Cristo, la creazione dal nulla: queste due affermazioni stanno in una
stretta corrispondenza. Come la fede d'Israele in un solo Dio, cosl
la sua fede nella creazione e la sua fede nella salvezza (d. ls. 45,
5-1 3) sono collegate indissolubilmente.
La teologia della creazione spiega l'asserzione biblica fondamen
tale. Dio crea mediante la parola: questo modo spirituale di creare,
nella distanza di una sovrana immediatezza, esclude tanto un natu·
raie e necessario emanare del mondo da Dio, quanto anche un
manuale affaticarsi circa un materiale già dato (cf. Hebr. n,3:
«Per la fede noi sappiamo che i mondi furono formati da una
parola di Dio, sl che da cose non visibili ha preso origine quello che
si vede»). Il creatore del mondo è Iddio uno e trino: tutte le strut-
ture ideali e il reale formarsi ed esistere del mondo intero si
fondano sul Logos eterno e sulla potenza attiva del volere pieno
d'amore dello spirito di Dio, e in nient'altro altrimenti. Il mondo
è nella totalità inserito nell'ambito salvifico della Trinità, nella
olxovoµlci della Trinità, non c'è nessun'altra base originaria estra-
nea (e segretamente raggiungibile). Dio crea nella libertà: nulla re-
i.triage, condiziona, determina in qualsiasi modo a priori il suo
ncare. Dio crea nella partecipazione della magnificenza dd suo
amore. li mondo nel complesso e in tutte le due parti non è altro
d1c una panc:cipazionc alla bontà divina consolidata in unil reaha
autentica, prodotta mediante: il dono di Dio. Dio ~olo è cre-atorc·

I e;. \'. HAii, in 1:1T ll (19/;-1) 6J


LA PBDB NBLLA CREAZIONI!.

a nessun altro Dio, a nessun altro essere mediatore si debbono at·


tribuire un qualche elemento del mondo, una minima parentela della
realtà, un solo momento del divenire, una sola forba della natura, un
solo fattore storico ... La struttura di parola della creazione, la sua
fondazione nella Trinità, il suo essere come partecipazione dell'amore,
la sua libertà divina, e la sua esclusività - tutto ciò si condensa
nella formula lapidaria: creatio ex nihilo. 'Creazione dal nulla' è
dunque una sorta di sintesi, di carta d'identità, di quintessenza di
tutta la teologia della creazione, un prisma astratto privo di colori
di momenti di fede assai più concreti.
Un tale molteplice richiamo della formula della creazione 'dal
nulla' a ciascuno degli elementi della teologia della creazione confe-
risce univocità al significato di isolati passi biblici, sul quale c'era
controversia. Sono i passi nri quali si ritrova ancora l'influsso
della conce;ione dominante nell'ambiente d'Israele, la quale fa
risalire la creazione del mondo e dell'uomo all'attività manuale di
un Dio, che appare quale tessitore o vasaio o fabbro. Quasi dapper-
tutto la creazione originaria è contrassegnata dalla difficoltà cosmi-
ca d'un'opera servile, e dalla fatica di una demiurgia fisica. 2 Questa
opera manuale per il mondo ha influito su raffigurazioni singole
di Dio addirittura declassandole (cf. Efesto) cosl che più tardi il
plasmatore del mondo diventa un artigiano di sottordine. Benché
anche nella Scrittura Dio appaia come plasmatore del mondo,3 tut·
tavia si palesa un risoluto sforzo d'allontanarsi da raffigurazioni
antropomorfe (che veramente non può compiersi del tutto) in una
prospettiva d'una progressiva auto-demitologizzazione della Bibbia.
In verità la parola biirii' - creare - si affianca spesso a espres-
sioni artigianali (come 'asa = fare; yasar = modellare, secondo
l'arte del vasaio),' però questa stessa espressione non afferma tut·
tavia un fare manuale, che trasforma una materia; mai vien men-

2 R. E1sLF.I, Weltenma,,td u"d Himmelnelt, Miinchen 1910, p . .23'. CL E. R.


Cu1mus, f:uropiitrcbe Uteratur u,,d lateiniscbes Mittelalter, Bem 21954, pp. 527-_529.
1 Gen. · ,27~ Is. 19,16; Sap. 13,11; Hebr. u,10: U".(VLTIJç xal &•11uouoyoç.
'Is. 4~.1; Ps 104,30. Rispcttivamen1e: Gen. 1,i7; 2,3; ,,1; 6,7; Ex. }4,10;
Is. 41,20; 48,7; ambedue i verbi Am 4,13; Is. 43,7; 45,7.18 (da O. HUMBEl'r, in
Tbl 3 (1947) 4u).
OIO HA l'KllTlU IL MUNIXJ Dlii. NULl.A 147

zionato un materiale grezzo. E il soggetto di tale verbo è esclusi-


vamente Dio, Iddio d'Israele. Bara' che il racconto della creazione
del codice sacerdotale usa come titolo e compendio (Gen. 1, 1 ; 2, 3 s.)
e che Gen. 1 ,27 adopera tre volte per designare la creazione dell'uomo
(cf. Gen. 5,1 s.)~ è il termine specifico ed esclusivo del creare sovrano
di Dio. Anche la Bibbia dei Settanta, la traduzione greca dell'Antico
Testamento, usa per la creazione del mondo non già 011µ~ovpyEL'll,
ch·e dopo il Tim,•(1 di PLATONE è usato quale termine tecnico tra-
dizionale dcl pensiero dualistico dell'antichità.per la formazione ma-
nuale del mondo da parte di un semidio, bensi il verbo x~l~u'll,
non ancora ipotecato, più facilmenie rivalorizzabile, che designava
l'atto di volontà, precedente la costruzione di una città, la costi-
tuzione di una festa, ecc.~ Questo stesso movimento di demitolo-
gizzazione che innalza il creare di Dio al di sopra di qualsiasi
opera umana, raggiunge anche l'idea della materia per la formazione
del mondo.

Nel poema epico babilonese di Enuma elii sulla creazione, apparentato


più da vicino con il racconto della creazione del Genesi - Tiamat e
Apsu sono la personificazione del mare, del caos, dell'acqua salata e
dolce. Sono essi che generano gli dèi. Nella lotta tra gli dèi che ne se-
gue, Tiamat si crea per sua difesa potenti mostri marini, draghi e ser-
penti, ecc. Marduck, il corifeo degli dèi, la vince insieme con i suoi
satelliti. Egli spacca il corpo di Tiamat uccisa, come una conchiglia, in
due metà; con l'una forma il cielo come firmamento che trattiene le
acque superiori, con l'altra metà, la terra (d. Gen. 1,6-8). Poi crea le
stelle, gli animali e infine, dal sangue di un dio caduto in guerra, for-
ma l'uomo.

Dove le onde di tale mitologia sfociano nell'Antico Testamento,


entra sempre in scena Jahvé, infinitamente superiore a qualsiasi teo-
gonia, come colui che vince con la sua potenza, come se fosse un gioco,
ogni mostro marino e «lo pone ai suoi comandi».7 Deliberatamente

s Ohre Gen. 1,21. Per bara' nd Deutcn~lsaia vedi sopra p. 70. Cf. H. \V.
ScHMIDT, Die Scbiip/ungescbu:bte de1 P1i~su1schri/l, Coli. cWMANT• 17, Neu-
kirchen-Vluyn 19'i·h pp. 164-167 (bibliogr. 16' n. 1).
6 Cf. W. fOERSTEI., in TWNT Ili, 1022-1027.
7 Ps 74,12-17; 89.10-12; 104,16 (?); ls. 17,1; Am. 9,J; lob 9,13; 26,1 J; 40,29.
I~ l't:llt: Nt:l.LA CKEAZIONE

Gen. 1,21 ha sottomesso anche i granJi animali marini (diversa-


mente da Gen. i ,2 5 gli an:mali dnmc>tici) al - him/' - creare di
Dio. Soprattutlll Gcu. 1,i h;1 tkt:-011:1.;:;110 la mitica forma origi11.1ri.1
di Tiamat e la potenza caotica in lotta contro il demiurgo, livc!
landole e svigorendole fino a farle divenire il flutto originario
sbiadito e privo di forza (Jehum) e il «tohu-wa-bohu»• della terra.
il dato neutro indeterminato. Così che il rditto mitologico dcl
caos di Gen. 1 ,2 appare soltanto più come un debole simbolo che
è conservato per l'esigenza di un minimo di rappresentazione del
nulla, del non ancora. Che il tohu stia qui come approssimazione
al 'nulla' (per così dire, al limite del nulla) cc lo confermano anche
altri passi dell'Antico Testamento. 9 I racconti che seguono in Gen
1 .'0 rinunciano completamente a intendere la creazione come tra-
sformazione di realtà preesistenti. In essi la progressiva demitolo-
gizzazione ha ripreso, riformandoli, gli strati anteriori della tra-
dizione impregnati di elementi rappresentativi mitologici. La crea·
zione dal nulla viene annunciata chiaramente dall'orientamento
di tale nuova interpretazione. La particolare polemica nei ri-
guardi della religione astrale, che si manifesta in Gen. 1,14 s. nd
depotenziamento delle stelle a puri luminari per gli uomini 11 parte.
interpretata positivamente dai più antichi passi dell'Antico Testa-
mento (I ud. ~ ,20 «Dal cielo le stelle diedero battaglia» per Israele
per ordine di Jahvé!) fino al «Padre degli astri» di Iac. 1,17. Assai
tardi (circa il 100 a.C.) quest'interpretazione dei miti cosmogonici
attraverso la fede d'Israele in Jahvé ha trovato la sua formulazione
conclusiva in 2 Mach. 7,28. La madre incoraggia il più giovane dei
figli di fronte al martirio <<. •• contempla il cielo e la terra, osserva
quanto c'è in essi e sappi che li ha fatti Iddio e non da cose pree-

8 T~h0111 (però difficilmente tnbu) è parola imparentata a Tiamat babilonese.


9 1 Sam. 12,21; ls. 3-1-11; 40,17.23; .p,2y; 49,4; lob 26,7 (cf. W. II. ScHMIDT,
op. di., p. 78, n. 4 ). H. Renckens (Urg,·schichle u11d Hcilsgeschichle, Mainz 21959,
p, 77). Affermo: «Possiamo dire tranquillamente nel senso di Isaia, che il caos bi-
hlico non è solo tnhu, ma anche toh11 e buhu, cioè niente e niente del tutto•.
W. H. Schmidt (op. cii., p. Ko), ritiene «nichlig und leer• (vano e vuoto) come
le due purnlc n>rrispondenti in tedesco; è inteso «meno il non preesistente che
il capace a nulla• (1 bid., p. 79).
"' v..,d, •opra pp. 95 S. Cf. \'(/. H. SCllMIDT, op. cii., pp. 169-173, 95 ss.
11 \\". I J. Sc11M1DT, op. cit., p. n 5-120.
DI 1 HA TRATTO IL MONDO DAL NUL!.A

sistt'.lti (o·n ovx t!; OV't!JJV É1tOL1lCTEV au-.à b &E6c,; altra versione
possibile: dal nulla)».' 2 Nel Nuovo Testamento Paolo conferma
questa dottrina quando della speranza di risurrezione derivante
dalla fede nella creazione di 2 Mach_ 7 .29 fa un argomento fonda-
mentale e pone creazione e compimen!O nell'unico ambito della
storia Jdla salve:a.a. la ft:Jt: Ji Abramo nella promessa si indiriz-
zava a Dio «che dà la vita ai morti e chiama all'essere le cose
che non sono 1'à cvx cv-ra )» (Rom. -\, 1 ì ). Solo colui che crea tutto
dal nulla può far sì che la morce, la quale appare definitiva, sia
mutata in vita. La creazione iniziale è il presupposto della salvezza
definitiva.
Con le due esplicite testimonianze bibliche per la creazione dal
nulla (2 Mach. 7 ,28 e Rom. .p 7) s'accordano in fondo come
significato tutti quei passi che confessano Dio come colui che
crea ogni cosa." Quindi la formula «cielo e terra» " o «cielo,
terra e mare» 15 risuona come concisa enunciazione di tutto ciò
che esiste, chiarita in tale senso mediante l'aggiunta: «e rutto
ciò che c'è in essi».'• Anche la locuzione: «dalla (oppure:
'prima della') fondazione del mondo» 17 presuppone la fede nella
creazione. La creazione dal nulla è, secondo l'asserzione biblica
fondamentale, l'espressione negativa della sommamente pos1uva
gloria di Dio come il Pantocratore: il quale è il potente padrone
di tutta la realtà.

Anche la prima letteratura cristiana extra-biblica insiste su questi due


principi, dei quali l'uno è il rovescio dell'altro: il dominio universale di
Dio e la creazione dal nulla. Se accanto a Dio ci fosse materia increata,

12 Al contrario, 1-.cr inllusso dcl pensiero greco incalzante, Sap. 11,27 fa che la
mano onnipotcnlc ( ! ) tli Dio crei il mondo dalla materia informe (li; ùµoeqiou
~1.,1;). La scconJu lezione di 2 Mach. 7,28 riporterebbe anche questo passo in
una certa vicinan7.a al concetto platonico di materia come µi] liv.
11 1 Crir 8,6; Rom. 11,36; F.ph. 3,9; Col. 1,16; lo. 1,3; Apoc_ 4,1r.
"Gr·11. 1,1; 2,4; 14,19.22 ... ls. 45,12-8; ler. 32,17; P1. 89,12; 121,2; 124-8 ...
Mt. 11,2, (= /.r. to,H); Apoc. 114-13. Act. 17,24 equipara: «il mondo e tulio
cib che contiene• a «ciclo e terra...
1s Ps. 33,6-8; AprJc. 14,7.
I& Ex. :io,11; 2 f:sdr. 9,6; Ps_ 146,6; A«I. 4,24; 14,15; Apoc. 10,6. Cf. Is. 66,2;
/tor 10,12.16; anche lob 9,5-12; 38-.p.
17 Mt. 13,n; 2_,,34; Le. 11,50; Io. 17,24; F.ph. 1,4; Hebr. 4,3; 9,26.
LA FBDE NELLA CREAZIONE

sarebbe finita per 111 µovapxlci 9Eov. La potenza creatrice di Dio di-
venta, come accadde nell'Antico Testamento e nel Nuovo Testamento
il fondamento granitico della preghiera di domanda. GIUSTINO, nelle sue
citazioni bibliche, aggiunge al nome di Dio l'apostofe «colui che tutto
ha creato» o ccolui che ti ha creato• divenuta corrente.19 cln primissimo
luogo: credi che vi è un Dio, che ha creato e compiuto ogni cosa e
che tutto ha fatto essere dal nulla.; in questa proposizione fonda-
mentale del PASTORE DI ERMA,lll appare per la prima volta la formula
'ex nihilo' (bt 'tOÙ µT) OvtOI;); IRENEO 21 e ORIGENE 22 la citano con
insistenza. Tuttavia la convinzione della creazione dal nulla ha avuto diffi-
coltà ad affermarsi. Giustino 2.' per il forte influsso spirituale del pla-
tonismo ritiene che una materia informe stia sotto all'opera dcl Die>-
demiurgo. Ma gli altri apologeti del 11 secolo - ARIS'flDE.2' ATENAGORA,15
TEOFIL0, 26 TAZIANO 27 - s'oppongono all'opinione platonica, none>-
stante il Tohu-wa-bohu di Gcn. 1 ,2. Cosl la creazione di ogni cosa dal
nulla ad opera dell'unico Dio è diventata per il tempo posteriore un
patrimonio di fede riflesso e incontestato, 21 che fu difeso contro ogni
semplificazione filosofica di tipo dualistico o emanatistico e contro la
non ortodossa svalutazione nei riguardi del materiale, del corporale, e
dell'(intra-) mondano, affermantesi con la gnosi. Contro i manicheismi
sempre risorgenti (dei priscilliani, degli origenisti, degli albigesi, dei
valdesi ecc.) si rivolgono pure le dichiarazioni del magistero da Leone
Magno (447) 29 fino ai concili del Mediocvo; 30 il concilio Vaticano I
assume la definizione del concilio Lateranense IV.
1 ~ TEOFILO, Ad Anlol. 2,4 PG 6,1012. Cf. per la dottrina patr1suca della crea-
zione C. TRESMONTANT, La mélaphysique du Christianisme, cii., pp. 89-1 ..9.
•~ Apal. I 16, PG 6,353: su Mt. 19,17, rispettivamente Mc. 12,30.
20 Mand. 1,1, PG 2,913. •
li Ad11. haer, 4,20,2, PG 7,1032.
22 De princ. 2,1,J, PG n,189; In ]oann 32,9, PG 14,783.
23 Apal. 1,10: li; àµooq>ou u1..11ç; Ibid., 19: che Dio ne abbia tratto il mon-
do, Platone l'ha imparato dai profeti, rispettivamente da Mosè !PG 6,H0-4161.).
Paralleli dalla scuola media del platonismo pr-:sso C. ANDRESEN. in ZNW +t ( 1972/
13) 163-165.
24 Apol. 1,4.
25 Lega/io 4, PG 6,897.
l6 Ad A111ol. 2>4.10, PG 6,10,2 s., 1o64 s.
27 Orti/io 1. PG 6,817. \
28 Cf. IRENEO, Adv b.Jer. 2,1,1-5; 2,104, PG 7,709-712.736; TEITULUANO, De
praescr. baer 1 J, PL 2.26; Adv. Hermog. 21, PL 2,26.216 s.: LA'l"l"A!'IZIO, lnst. Ji11.
2,9, PL 6,297.3o6; 0RIGENE, De princ. 2,1,.41., PG 11,185 s.; BASILto, Ho"' H
in Hex 2, PG 29,32 s.; Agostino, per es.: De Gen. c. Man. 1,6,10. PL H,17K.
29 DS 281: • ... nihil omnino cre11111r11r11m est, quod non in exordio sui e:ic nihilo
cret111U11 es/•. - a. DS .po; 4Hi 457 s.; 462 s. Vi alludevano gli antichi simboli DS
1-J; u-61; 64.71; 125; 139 s.; 150; 191. ..
311 DS 790 (12o8): « ... Deum, qui in Trini/ate ... perm11nr11s (!) de nibilo cunc/11
tiO HA TRATTO IL MONDO DAL NULLA 1,5 I

Un'ulteriore asserzione dcl concilio Vaticano 1 riguarda l'argomento:


essa tratta della conoscibilità di Dio dalle cose create, con il lume natu-
rale dell'intelligenza umana.'Sl Ma quanto alla conoscibilità di Dio come
creatore il discorso qui è ancora indiretto e incidentale, non forma in
ogni caso l'affermazione propria del passo in questione: anche dagli atti
del concilio appare che questa non doveva essere definita come vinco-
lante per la fede." Sembra pure che il concilio annoveri l'essere creato
delle cose da Dio tra quelle cognizioni che in verità «non sono irrag-
giungibili in sé per la mente umanu, ma soltanto grazie alla rivelazione
«nell'attuale stato del genere umano possono essere conosciute da tutti
facilmente con piena sicurezza e senza mescolanza di crrori•.34 La dia-
lettica, non del tutto facile da comprendersi, di una tale riflessione
circa la naturale conoscibilità della creazione dal nulla viene illuminata
e confermata dallo stato oggettivo dei fatti.
Comunque si possa pensare circa una conoscenza religiosa originale
intorno alla creazione dal nulla, precedente alla rivelazione giudaica
cristiana, ad es., presso le stirpi indiane del centro e sud America, là,
dove il pensiero umano raggiunse i gradi più alti della riflessione fuori
dall'ambito biblico, come per la filosofia dell'antichità greca, il pensiero
circa la creazione colto nella sua peculiarità non giunse ad affermarsi
in nessun modo, nemmeno in PLATONE o in ARISTOTELE (TOMMASO
o'AQUINO, per es., che come altri scolastici 36 credette dapprima di
trovare presso i due grandi uomini greci il concetto di crcazione,n più
tardi li corresse questa opinione). Appare istruttivo in proposito che
Platone ed Aristotele sfiorino il concetto di creazione e questo concetto
tuttavia non riesca a penetrare nell'ambito del loro pensiero.• Un
aetlllil•; DS 8oo (concilio Lateranense IV 1:n,): «Je 11ibil0»; DS 8,1 (Il cmcilio
di Lione 1274); DS 1333 (concilio di Fi.renze 1442).
JI os 3002; cf. 3011-302, (302' la pleonastica formulazione 'filoeo6ca': cse-
crmJum totam 11U1m JUbrt.,,IÙUll ... ex 11ibilo•).
J2 ~s 3004; cf. 3026.
ll TH. GIANllUATH, Gescbichte Jes V 111ilt1111iJclH11 Ko11Vls Il, Fft!ibura 1903,
p. 468. Cf. J. THOMAS, in ETL 23 (1947) 4,0-471; R. AuauT, in Lll111int et 11ie
(19,4) 21-,2.
l4 1)5 3005.
JS J. L. SEII'ElT, SitmJe111u11g Jes Mytbor. Die Trl11it41 ili tle11 M7thm thr
Urviillm, Wien 19'4· 218 s.; J. BllN1tTllNE, Die Lehre llOll tler ScblJp,,,,,g, P•
derbon 19,6, 31 n. 16.
l6 a. ]. Kl.EUTGEN, Philoropbie Jer Vorzdl II, Innsbruck 21878, pp. llc»902.
31 De poi. 3,,.
li S. tb. I, q. ..... L 2.
19 Per AlISTOTELE, Pbyric. 8,6; 2,8 b 16-2,91 6. a. R. ]OLIVET, Enlli 1"' In
rapporls enlre /J penste grecque et U. pe11sle cbrelie,,,.e, Paria 19" 1·79 (in RSPT
19 [1930) 5-50; 209-2nl cf. Ibidem, pp. vu-x, 81-84. Per Platone, C. HUlllll
(An11mne1is ?ei Plato, Miinchcn 1964, 1o8), con riferimcn10 al Ti111eo 27 a., a!er-
152 Lo\ FEDI! Nl!LL,\ CIUto\ZIONl!

greco dcl 11 secolo dopo Cristo, il medico GALEN0, 411 del resto in un
contesto di proprio nessuna imponanza, ·ha caratterizzato la fondamen·
tale differenza della concezione biblica della creazione, che egli chiama
espressamente «la concezione di Mosé» - e la cosmogonia greca:
secondo l'una Dio crea nella più libera sovranità del suo volere (che è
concepita perfino eccessiva: come se Dio avesse la possibilità di fare
ciò che è impossibile in sé), secondo l'altra invece il demiurgo è le·
gato, nella sua attività, alla materia preesistente. Il tempo presente
ha esaminato su basi più larghe la differenza marcata di veduta fra il
pensiero greco e il pensiero giudeo-cristiano.41 Inquadrato dall'antichità
precristiana che non comprendeva ancora e da certi filosofi moderni 47
rappresentativi della nostra epoca che non comprendono più la metafisica
della creazione dei Padri e degli scolastici appare chiaro-oscuro consi-
derato dal Vaticano l, come uno sforzo di conciliazione di verità cono-
scibili in sé filosoficamente, in realtà conosciute soltanto nella scia della
rivelazione e della fede. L'idea della creazione significa, ad esempio
rispetto alla filosofia aristotelica, «une inspiration toute différente»,
«une véritable révolution».u Sembra che soltanto con l'aiuto della rive-
lazione della volontà amorevole di Dio, dal quale viene ogni realtà,
che dona liberamente l'essere e l'esistenza (e che permette cosl una prima
somiglianza analogica fra il finito e l'infinito malgrado la loro totale diffe-
renza), fosse possibile o almeno che di fatto sia stato possibile superare
una filosofia delle essenze che si era fissata nelle categorie di forma e
materia e di penetrare nelle profondità e nelle ricchezze d'analogia della
metafisica dell'essere che, sola. può elaborare l'idea della creazione e
vedere in essa la sorgente universale e radicale di tutti gli esseri; con ciò.
così sembra. ogni pura filosofia della natura e del conoscere. tanto

ma: •il pensiero di Platone, svolto ulteriormente nei 11UOi propri principi, porta
piunos10 ad una creazione, che: alla sua ncpziooc».
411 Dr 11111 pdrti11trr, 11,14 (90' s I: da C.-M. EosMA 1n lNW J8 (19J9) JJ.
41 TH. BoMANH, D11s hebriiisdw Dr11lm1 im V rTi/rich mit dem iri«hischelf,
Gottingcn 3( 1959); C. Tl!ESMONl'AHT, Biblischrs DrnJ:cn u11d hrllrlfÌschr Obrrliefe·
'""!. DUsscldofi 19,6; Sittlicbr E.xistelf1. bei Jr,, PTophrte" lsr11ns, Frcibura
1962, pp. nS; Dir Vn1111wft drs G'-brlfs, Dauc1dorf 15164; J. HEssEH, Grir-
ctischr oJn biblische Throlot.ir?, Miinchcn l196J.
42 a. R. E.isl.Ell, '11 ortub11ch Ju philosophiscbr11 &irilr li, Bcrlin •1929.
pp. 776 $.
4J TH. PHtLIPPE, in RSPT 23 (1934) 3,a.w,. a. J. Orrcga y Gassct (1933;
Gn WuJ:r, Ili, Siungart 1956): •L'idea della rivelazione come l'idea della cma-
zione rispc1to all'inicro mondo dcl pcnsiao arm> npprcscnta un.a complcia novità»;
_I. Picpcr (Obrr dir pl4Jmrischr11 Mythrlf, Miinchcn 196,, Hl: •Nella trasmis-
sione della sacra tradizione sembra che né Platone ne! alcun 1hro pensatore antico
al di fuori della Tradizione biblica abbia mai 8\'Uto il concetto di creazione io
senso pl'C\.Uo e strcllo•.
PIO HA TIATl'O IL MONDO DAI. NULLA

dell'antichità greca quanto dell'idealismo moderno è stata aperta con


forza verso la realtà, l'amore, la libenà, la personalità, la storicità ...
Cosl il pensiero della creazione: sembra dunque il caso modello per l'in-
contro (senza scontro o mescolanza) necessario e fecondo fra la fede
nella rivelazione e la metafisica dell'essere (e dello spirito) per l'unità
esistenziale della visione della !ltoria della salvezza e della riffessione onto·
logica della teologia e della fil050fia. 44 Perché ciò (lima riuscire, occotTc:
che la teologia possa unirsi a1di argomenti in favore dell'atto creatore
assoluto di Dio che la filosofia trac, per esempio, dalla couungenza del-
l'uomo e del mondo manifest;lla dalla loro mutabilità e temporalità
- come lia riflessione contemporanea si sforza di fare ispirandosi al
pensiero di s. Tommaso - 11nchc: se, per la loro natura ontologica e logici,
questi argomenti devono essere elaborati senza l'inRuenza dclii teologia. 8
In questo contesto sarebbero da chiarire le relativi: questioni marginali:
come si debba intendere il 'nulla' nel concetto di creazione, cioè come un
nulla relativo della non-realtà in genere (non nel senso di 'caos') e non CO·
mc nulla usoluto di una semplice impossibilità d'essere; e come più da
vicino l'espressione 'dal (nulla)', cioè come negazione di ogni causa mate·
rialc, dalla quale si formerebbe qualcosa, cosi come da un substrato,
sul quale e in dipendenza dcl quale nascerebbe semplicemente: qualcosa in
intrinseca dipendenza da esso. Bisognerebbe anche spiegare ciò che preci·
samente e ndl'insieme vuol si(lnificare 111 formula tradizionale che definisce
la creazione come proJ11ctio ex nihilo r11i et s11bitcti; mostrare che la crea·
zione dal nulla non contraddice il principio che ex nihilo nihil {rt, ecc. In
questo contesto si chiarirebbe soprattutto che la causalitil non significa un
legame dcl Creatore: con la creazione: in uno schema formale conglobante:
tutta la realtà;"' che tak co1usali1il non è fi~ica o anche soltanto una pura
causalità efficiente:. che possa essere sostituita con modelli personali·
stici;n che piuttosto il suo srrumenro - certamente elaborato SC.'-
lo in modo imperfetto - è abbastanza Aessibilc: tanto per l'ano
lot.ia entir quanto per l'analniia ~JtJi:,. da ultimo si vedrà "C ..

44 Cf. G. Sòt1NGEN, in Mysteriu"' Slllutis 1/1, pp. ,181., '46. H. ULllCll, in NTZ
u ( 1961) 1o6.
4' Cf. per es. J. DP. FrHANCE, Et" d Aiir tl11u 1" Phllosopbie tle Jlilfl Tbollr.s,
ROll18 l15)6o, pp. 11()-t.fS. Se dunque il cuna:no di creazione fosse da rircncrc tol·
tanto 1cologicamc:111c (rcl•tiv1men1c!) adeguato, ciò non csdudcn:bbc, bmsl inclu-
derebbe che la 5UI strunura fondamcnralc: venga intesa ·esatta' filosoficammte:
questo in posizione critica, rispc110 a M. SECKLD, Das Heil in tler Gescbicbte, cit.,
p. 9J·
46 G. Gt.oEGE. in RGG JV. 148,.
n Hl!HGSTUiBElG, se;,, unti Urspriinilichlteil :un philos. Gn11tlki1mi tln
J.
Schiip/unislehre, Munchcn 19,s. Come ausalirà esemplare, la causalir.à sta nel
punto centralr di una filosofia della partecipazione.
41 a. K. ltumu. Scbriftm IV. p. 303 nota J I: • Tutti i misteri della sa1Vf228
LA FEDE NELLA CREAZIONE

come non solo il creato è riferito (trascendentalmente) al creatore me-


diante il suo essere creato, bensì se Dio stesso nel suo atto libero di
creazione si pone in relazione reale con l'uomo e con il mondo. 49 Tutto
ciò non può essere regolato con alcune proposizioni filosofiche in appen-
dice alla teologia rivelata o con un'introduzione ad essa nella cosiddetta
ratio theologica che, né carne né pesce, nella sua concisione è di una
visione troppo limitata o comunque potrebbe dare questa sgradevole
impressione. Quanto vien ora esposto sul significato della teologia circa
la creazione, come creazione dal nulla, vuole quindi la riserva che vi si
dehba premettere la rispettiva filosofia.

Creazione dal nulla significa, considerata in riferimento alle due


grandi correnti di teorie fuori del cristianesimo: che nel mondo,
prodotto secondo la sua totale consistenza da Dio, non entrò realtà
extra-divina o intra-divina di nessuna specie, che fosse preesistita
all'origine del mondo. Ne risulta il rifiuto - in primo luogo -
di ogni dualismo: il mondo non è stato trasformato in un cosmo
ordinato da un demiurgo (plasmatore del mondo) partendo da una
materia eterna caotica già preesistente. Con ciò è caduto pure e
superato il contrasto intramondano di materia-spirito, ed è dissolto
nell'antitesi più originale, più conglobante e sopracategoriale fra crea-
tore-creatura, Dio e mondo.
Ogni dualità dell'esistenza è solo relativa, essa si fonda perma-
nentemente in una unità di formazione, nella quale l'intera realtà
del mondo è fatta risalire solo alla sovrana libertà del volere amo-
roso di Dio: Dio, che è spirito d'infinita potenza sull'essere e
sull'agire, è l'unica origine di ogni essere spirituale e attività
spirituale finita con il suo rapporto essenziale con il mondo e la
materia e di tutta la rispettiva materialità del mondo attuata dallo
spirito e da esso contrassegnata nei suoi gradi ascendenti. Con il dua-
lismo ontologico viene meno anche quello etico: come se la materia

in stretto senso consistono in un 'auto-comunicazione di Dio secondo una specie di


causalità quasi formale, in antitesi I così come in convcrgmza) con una causalid
efficiente che produce realtà diversa da Dio ex nihilo s11i et s11biecti. · Una tale
concezione analogica della causalità si potrà applicare alla rispettiva pcnnancntc
distinzione sempre indivisa (mai mescolanza) di natura e grazia, di creazione e di
redenzione, di lcgc cd cvangclo, in una sola parola: alla creazione in Cril10» .
., Cf. W. KE1N. 'Gott-Wdt-Verhiiltnis', in K. R.utNu ·A. DAILAP lcdd.), 54-
r,.,mentum m11ridi Il (in preparazione}.
l>IU HA TRATTO IL MONDO DAL NUl.LA

fosse la cosa più bassa, di minor valore perché incarnerebbe il male,


lo spirito di contro fosse il bene di più alto valore, nella misura in
cui da lui dipenderebbe la vicinanza o la lontananza d'un essere, in
rapporto alla sua origine divina. Con questa troppo semplicistica
'geografia' etica dei valori (A. HAAS) non si distrugge la scala onto-
logica dei valori delle cose: 50 la semplificazione sta proprio nella con-
fusione fra questi due punti di vista. Per la metafisica cristiana
creazionista, lo spirito finito simile a Dio è il luogo di decisione del
peccato, quando vuole essere uguale a Dio. La fede biblica della
creazione per la sua unità storico-salvifica di creazione e di redenzione
è inconfondibilmente distinta da tutte le altre religioni dualistiche,
per le quali redenzione è liberazione dal legame degradante con le
cose e non già la restaurazione ancora più straordinaria del mondo
già creato meravigliosamcnte. 51
La creazione dal nulla in secondo luogo dà un colpo mortale a
qualsiasi riduzione monistica di D;o e mondo.'2 Fra Dio e mondo
non regna nessuna identità che rende 'uguali', che abbassa Dio al
mondo (panteismo in senso stretto) o eleva il mondo a Dio (pan-en-
teismo, «teopanismo» [E. PitZYWARA.].) Nessuna continuità che
ccnsenta il derivare della terra da Dio, o che Dio si formi elevan-
dosi dalla terra; né l'emanatistico farsi mondo da parte di Dio né
l'evoluzionistico divenire Dio dcl mondo. Nessuna correlatività, che
legherebbe Dio al mondo come modo o momento dell'essere divino
(in quanto divenire Dio); anche se questa debolissima forma di pan-
teismo, che si trova in qualche modo nei grandi sistemi speculativi
dell'idealismo tedesco, permette che la creazione sia di natura di-
vina - essa non sarebbe creazione (dal nulla). Dio da parte sua
non è condizionato dal mondo, egli non è necessariamente in rela-
zione col mondo.
so Ogni esistente è dotato di valore e di bontà a misura del suo essere. E lo
spirito è più 'esistente' della materia. Essere ~ in fondo e nella sua pienezza,
spirito. cioè essere presente a sé e all'altro, essere person11-in-comunionc:.
>1 Come errd n•mpletamente invece un'opinione quale 4uclla secondo cui la
.. Gnosi di Man:ionc: con il suo dc:monizzare l'atto della creazione• sarebbe: eia
più consc:icuc:nrc: forma mai pensata della soterioloilia cristiana• (H. BtUMl!NBUG,
in Studiunt gent"rale r \ ( 196ol 181 n 10; in Die kopernikaniuhc Wrnd~. Frank-
furt t<}6,, p. tn. nota 12~ B. ha cancellato questo pa5SO.
•1 c.r. P. ALTHAllS Die chmtl1chc Wahrhe11 Il. Giite"loh 194R. pp $0-,4.
LA FEDE NELLA CllEAZIOl'ft!

Ai due gruppi contrapposti di teorie d~l monismo e del dualismo


(contrapposizione del resto che, nella sua storica formulazione, non
ha impedito il passaggio dell'una teoria all'altra, in forza della logica
delle cose) corrisponde, entro la metafisica creazionistica cristiana, la
tensione polare di transcendem:a-immanenza. Il no ad ogni monismo
sottolinea l'assoluta trascendenza di Dio che crea dal nulla con so-
vrana libertà. Il no al dualismo dà evidenza all'insuperabile imma-
nenza di Dio che attua le cose portandole al pieno esser se stesse.
(Questo aspetto d'immanenza della creazione delle cose porta alla
loro conservazione ad opera di Dio). Dio è secondo AGOSTINO SJ
interior intimo meo et superior summo meo. Egli vuole e crea l'in-
condizionata comunione con la creatura. 54 L'assoluta distanza del
mondo da Dio è l'assoluta vicinanza di Dio al mondo: 55 ciò vale
innanzitutto in sé: la rivelazione che compie in maniera sovrabbon-
dante questo 'in sé' è l'incarnazione di Dio. La professione di fede
in Dio che trascende il mondo e in Dio nel mondo (e perciò nel
mondo in Dio) vanno insieme in una unità dialettica. Il Dio nel
mondo e al di sopra Ji esso è l'unico creatore dall'assoluta trascen-
denza e per questa ragione dall'assoluta immanenza.
La connessione appena delineata lascia intravedere una prospet-
tiva paradossale. Le moderne scienze naturali e la tecnica e in
genere la moderna coscienza secolarizzata sono de facto e de iure
una conseguenza della rivelazione giudaico-cristiana circa la crea-
zione. Essa «mediante il suo potente pathos antirnitico» ha tolto
il carattere divino al mondo antico, nel quale c'era una infinità di
divinità 51 (questo mondo. anzi, nel suo insieme era «un immenso e vi-
sibile Dio» ); 51 essa ha contrapposto il mondo all'uno e unico Dio, che
l'ha creato dal nulla e l'ha dato all'uomo affinché se lo sottomet-

53 C011/ .• 3,6,11,PL 32.688. Cf. De Gen. ad liii. 8,.26, PL J4,391: ..... inttrinr
0111ni re, quia in ipso runt omni.i. et exterior omni re, quia ipre est suprr 01t1tti'1•.
54 L BKUN:O.:l.R, 'Dic duistlichc Lchrc \'on Gon', in Dogm111ik I. Ziirich 3196<>,
p. 211.
55 Cf. O. BAlllloH.R. 'Cre'1tio ex nihilo', in Catb 10 ( r954/nl ro8-ri6; 111: «La
lontananza è la dimcll9Ìone creata della creazione, la \'ÌCÌnanza quella di\'ina•.
S6 G. V. RAD, Scbiip/ungs_,1a11be und Entwick!ungstheone, Stuttgart 19jS, p. n.
'SI TAl.F.TE: A 22 (e<l. Dicls).
58 AKISTOTF.LE: llrQi •p}.()(foqia;: Fr. 18, ed. Ross. 1955; cf. PLATONF.,
Timeo y2b.
11111 llA TKATIO Il. MONIJO llAL Nl'l.LA

tesse (Gen. 1,28). Cosl il mondo, non più esso stesso numinoso,
poteva essere reso dall'uomo oggetto della sua ricerca teorica I! Jd
suo dominio pratico. La fede nella creazione ha affidato il mondo,
come profano mon<lo mondano, al sapere investigatore e alla vo-
lontà plasmatrice dell'uomo."'

L'opinione che la convinzione, mutu;11:1 <fai Pitagorici J;i pane: di PI.ATONI·


nella sua vecchiaia, che il numc:ro si.i la legge: delle reahà, abhia tenuto a
hauesimo la matematizzazione: della nascente moderna scien7.a naturnle
ad opera di KEPLERO, GALILEI, ecc., deve accettare questa correzione:
solo l'interpretazione cristiana del platonismo consentì di non vedere
nel mondo empirico solo che la deficiente inesalla attuazione del mondo
delle idee, il solo ordinato secondo I.i legge. attraverso la materia (il
quale mondo, per conseguenza, non poteva quindi divenire oggetto di
scienza esatta), bensì l'unico mondo, in cui l'ordine viene immesso in-
violabilmente «con misura, calcolo e peso• dall'onnipotente Spirito crea-
tore (Sap. 11 ,201. - il conveniente mondo - , oggetto adeguato allo
spirito umano che ricerca il pensiero creatore di Dio.e L'esclusione di
qualsiasi concezione monistica toglie il carattere divino al mondo, lo
svaluta - un procedimento sultanro apparentemenre negarivo - Q
semplice mondo, e con questo ad un possibile oggetto di ricerca; pe-
rò nel contempo il superamento d'ogni dualismo deve -- abbandonando
la sua interprerazione demoniaca - anche rivalorizzare relativamente
il mondo, creato interamente da Dio, facendolo diventare un mondo
valido in sé e aurenricamente reale, che ha un significato e le cui strut-
ture sono conoscibili, che è un oggetto di ricerca da parte dell'uomo,
degno e utile. In quesra doppia funzione, contro i due principali fronti
della rappresentazione antico-orienrale, l'Antico Testamento e il Nuovo
Testamento attuano già da sempre una fondamentale decisiva demi-
tologizzazione del mondo, rendendo possibile un atteggiamento pro-
fano di fronte al mondo, e così non da ultimo, una moderna scien7.a
esatta.
Se con la rappresentazione mitologica in ciò che riguarda Dio viene
abbandonato anche il pensiero metafisico (un pericolo, al quale sog-
giacque il best-seller di J. A. T. RoBINSON) 16 allora la scienza moder-
na e il suo ateismo di metodo, conseguenza legittima dell'insegna-

.59 Cf. in proposito, olue E. Hello, K. Jaspen, A. Toynbce, P. DPHt:t.t. '-'" ry·
stème du monde li, Paris 1914, pp. 4H. 4o8. A. KoJÈVE, 'Origine chréti~nn.: de
la science moderne', in Sciences et l'enseipement des sciences ' (1964) 3;",41.
"° J. MtTrELSTllASS, Die Reuung der Philfomene, Berlin 1962, pp. 17il-2j8.
61 J- A. T_ RoBIHSON, Dio non è così, FllCllZC 196,.
LA FUIE NELll caEAZJONE

mento biblico sulla creazione, vengono mutati nella conseguenza illegit-


tima dell'ateismo dogmatico della moderna storia del pensiero, anche
questo un fatto specifico del legame fra uomo e mondo post Christum
natum.

Le scienze naturali medesime rispondono qui in tutte le branche della


scienza e in tutti i campi delle trasformazioni esterne del mondo
pe1 l'intera ampiezza dell'«imponente divenire mondo del mondo»,62
reso possibile, attraverso il lungo tempo di incubazione dcl Medioe-
vo, dalla rivelazione della creazione e che costituisce propriamente
l'epoca moderna. Perché la secolarizzazione voluta da Dio del mondo
nella dimensione orizzontale 6J non diventi secolarismo, contrario a
Dio, dcl mondo nella dimensione verticale (questa secolarizzazione
sostiene che il mondo è stato creato da Dio e che questa creazione
è il solo fatto che dà al mondo il suo significato proprio, la sua esi-
StCll28 reale), è necessario ricordare che Dio non è solo l'essere asso-
lutamente trascendente che ha creato l'universo dal nulla ma anche
l'essere più immanente per la sua attività efficace manifestata nella
creazione del mondo e dell'uomo. Quanto la professione di fede nella
creazione, che si dimostra qui non come semplice verità filosofita,
ma come mistero di fede, possa raggiungere il centro dell'esistenza
dell'uomo, cc lo fa presentire LUTERO:

Ouesto è senza dubbio il sommo articolo della fede nel quale possiamo
dire: lo credo in Dio padre, onnipotente creatore dcl cielo e della
terra. E colui che crede ciò sinceramente, questi si uova già un aiuto,
è di nuovo posto nella giustizia e ritorna colà da dove Adamo è ca-
duto. Però pochi sono quelli che giungono cosl avanti, da credere
pienamente che egli è il Dio, che ha creato e fatto ogni cosa. Un tale
uomo infatti deve essere mono ad ogni cosa, al bene e al male, alla

62 G. BoRtiKAMM: Scb0pfungsg'4u1" und Entun.ld11ngstheorì~. Sruugan 19n,


p. 134.
63 Cf. dopo Trodtsch, M. Webcr, W. Elcrt (Alorpho/01.ii: des Lllthertums II.
1932): F. GociARTEH, Vtrhininis unJ Hoffnuni Jer Nt11:uit. Dit ~iermng
1"1 throloiucbes Problt,,,, Sru1tgan 1953; H. LliuE, Siltulttrisieru11i. Gtschichtt
einn iJtt11polìtischn1 Ikgri#s. Freiburg 196,; J. B. METZ-J. SPLETT (cdd.), Wtlt-
a•ersliiffdnis ìm Glaubtn, Mainz 196,: io particolare J. B. ME.n, lbid., 4,-62; cf.
GuL. H ( 1962) 16,·18-'l; ]. SPLETT, 'IGrche und Wdtverstindnis', in Stil. in
(1966) l·0·3'6; H. BLUME!'IBEIG, Dit u1,ilimi1iù Jer Ntuuit, Frankfurt •. M. 1966.
CIE.UIONI! DEL MUNDO CON L'INIZIO Df.L 'l'EMPO

morte e alla vita, all'inferno e 11 paradiso, e confessare di cuore che


egli non può nulla con le proprie forze. 61

La nozione ontologica evidente che cil mondo è creato da Dio .. è


anche il mistero esistenziale per eccellenza: «lo, l'uomo, sono (e devo
essere) la realtà creata da Dio!». Ciò mi può riguardare cosl profon-
damente, perché questo atto creatore è per Dio stesso: propriissima
t!Ìus natura.•~ Cosl infine l'asserzione che il mondo è stato creato da
Dio, è una ragione di più per credere che l'uomo è la sua creatura
e, soprattutto, è l'affermazione di un predicato di Dio, l'doquente
compendio della sua magnificenza.

5. Dio crt!Ò questo mondo comi! mondo con inizio nt!l tempo

L'inizio temporale dcl mondo viene comunemente ritenuto, in rap-


porto soprattutto al suo esser creato, come un dato che viene ga-
rantito esclusivamente dalla rivelazione della parola, non per cono-
scenza filosofica. Si rimanda in proposito ai passi biblici seguenti:
cln principio» Dio creò secondo Gen. 1,1 (d. 24b) cido e terra. E
il salmo 90,2 professa: cPrima che sorgessero i monti, prima che
prendessero forma la terra e il mondo, da sempre e per sempre tu
sci Dio• (cf. Ps. 102,26). Prov. 8,22-30 fa precedere la sapienza
all'originario inizio dd mondo come principio della creazione. Cri-
!ito aveva la sua gloria presso il Padre «prima che il mondo fossu
(Io. 17,5). Più volte ancora il Nuovo Testamento parla dell'ele-
zione degli uomini alla comunione con Cristo prima cdella crea-
zione del mondo• o semplicemente (tratta) di ciò che è accaduto
muovendo da questo inizio.'

La ricerca laboriosa d'una prova biblica per un inizio temporale della


creazione viene messa in discussione dalla ri.Bcssione di principio se ab-
bia senso parlare d'inizio temporale dd mondo. Da parte di Dio l'atto
creatore è la libera decisione eterna, al di sopra del tempo, dd volere

61 WA 24, 18, .z6-33.


65 Lunn:a, WA 40 lii, IH.1.2; d. lbid., 90,10.
I Epb. I,.f; Mt. 2,,34; Mt. 13,3~; Le. 1qo; flrbr. 4,3; 9,26. a. lo. 17,.z...
160 !.A FEDE NELLA CREAZIONE

amante. Ma anche da parte dell'effetto .<ldla creazione non si può par-


lare d'un inizio nel tempo, come se il mondo potesse venir introdotto
prima o poi in un ambito <li tempo a<l esso preesistente. Non si dà
tempo fuori del mondo, prima del mon<lo; tempo inizia ad esserci solo
cu11 il mondo variabile, rcmporale. 1 ùm citi però noi stessi mostriamo
jiià di abbandonarci nuovamente all'illusione della 'fantasia trascendentale'
della nostra organizzm~ionc scnsori;1lc, che appunto può rappresentarsi
tutto - persino il mondo come un tutto - soltanto entro il suo sistema
di coordinate tempo-spazio. I nfotti: incomincia il mondo e con esso il
tempo? Il mondo può mai 'incominciare'? Non in un prima o poi;
questo è senza significato per il mondo nell'insieme. Parimenti nem-
meno se il mondo viene osservato dal di fuori: poiché non si dà un
'tempo esterno' al mondo. Al contrario, sembra sensato il domandarsi
se il 'tempo all'interno' del mondo abbia cominciuto o se non abbia
cominciato. La questione può essere precisata 1in questi termini: il
mondo ha percorso in qualche maniera, a partire da un istante deter-
minato un numero finito, e che si possa contare, di unità di tempo?
La questione siffattamente chiarita e pur ben giustificata 3 circa 'il mondo
con o senza inizio di tempo' ci confronta con le scienze, con la filosofia
e con la teologia.
La scienza già da circa quattro decenni fon<lnndosi su diverse osserva-
zioni astronomiche e di fisica atomica (come: spostamento verso il rosso
nello spettro delle masse stellari, quale eventuale indice di un movimento
di fuga d'esse; riflessioni sulla formazione degli elementi oggi esistenti)
offre uno calcolo congetturale per un'età dell'universo di 2 1 7, 13, 20 o
- infine ancora - xo miliardi di anni.4 Da parte teologica tali calcoli

2 Cf. AGOSTINO, De ci111t11le Dei, 11,6, PL 41,322: cprocul Jubio non est mun-
Jus Jactus i11 lt'ntpore, std cum tempore»; Con/essiones, 11,30, PL 31,816: cn11llum
tr:mpur <'JSe posu sil1e cuatur11». Cosl pure già WMENTE ALESSANP•INO, Strom11111
1.. 16, PG 9,369; e AMBMc11;10, lle.\'.Jc111<:r011, 1,6,20, PL 1.p 11.
l G1us11/ic11111 - nonostante la teoria di Miw I 1 ~8 I delle Jue scale di 1empo,
secondo la quale l'unica e medesima durata di tempo secondo una scala recchiude
un numero di uni1à Ji 1empo. secondo l'altra invece un numero inlini10: un u:n·
auivo quc:s10 che inrnntra non poche riserve anche da parte dell'estrolisica; d.
O. lkckmann ·E. Schiicking, in S. FLiiGGE (ed.I, H11ndb11ch J .., Physill. 1. n.
Bc:rlin 1959. pp. H<>-B/; W. BOcHEL. Die Problem11tik 110n R.1111111 11nJ Zeil.
Coli •N11t11•wru.-•uch.if1 u11J Tht·ologie• 6. Freiburg 1.,6,.. p. ii9. e Hl.. 178 f1966l
'ii· \]Q
' J. ~Il l'MI M~. n.n 1llta d.-s U11il.'c:rrn111s. Meiscnht·im 1954; 11. BoNDI, Comro-
'"K.l', <:..mhridi:c !196o; H. Vc>e.'T, Dic: S1ruk111r .In Ko.<1110.< .ils c;,m:es, Bcrlin
1')(11; \X'. Rlic:1tf.L, Dit· Prohle111<1tik 1·011 Rc1:1111 1111cf làt, eil.; Id., Philnsophist·h<'
l'wbh·111t· J .., Pbysik, Frciburg 1965, Jll>. 6f·73: 111., 'Urknall·Strahlung, Gravita·
1innskollllps, Qudsars, Ent\\'it:klungsgt-s.:hchcn im Uni,·crsum', in SJZ 178 (r966I
3; l·Jlio. • C.:in:a l'indicazione ddl'età Jdl'uni,•crso d., per c:s., ancora P. JorJ.m,
(REAZIClNF. OFT MO\IUO CO' I ll"lili':U1 llt-.1. ITMPO
0

161

qualche volr.1 furon accolti in modo troppo ingenuamente entusrnsrn.'


Certo con ciò è stato distrutto il dogma convenzionale della 'scienzri'
circa l'eternità del mondo. Ma u che punto si è con la dimostrahilitÀ
positiva dell'inizio temporale del mondo? «Non è possibile con l'aiuto
delle leggi dell'universo attualmente conosciute seguire a ritroso, lontano.
quando si vorrebbe nel passato la presente struttura dei suoi elementi
individuali. Entrambi questi dati ci portano ad una contraddizione».6 Que-
sta nasce dal fatto che le leggi naturali a noi note si applicano ad altri
ambienti temporali con estrema riserva, però ciò non può farsi con suffi-
ciente sicurezza. Oltre a ciò tali contraddizioni furono per la scienza sempre
un'indicazione che la formulazione delle leggi della natura deve divenire
ancora tanto differenziata, da togliere la contraddizione. Così oggi un
gruppo di ricercatori, i quali vorrebbero evitare l'ipotesi empiricamente
inspic~abile di una ddlagrazione primordiale all'inizio di un mondo che
si dilata, in espansione (poiché ad essi questo appare come compito pro-
prio del pensiero scientifico), congettura un universo pulsante tra fasi di
espansione e di contrazione, dove la conflagrazione primordiale è sol-
tanto il punto finale di una fase di contrazione precedente. 7 Ciò pone la
fondamentale riflessione: può mai una scienza singola affermare qualcosa
circa l'inizio o la fine del mondo, circa la ('dogmatica') finitudine o infi-
nitezza dell'universo nella sua estensione temporale in avanti o nel pas-
sato? Non si vedrebbe piuttosto obbligata a continuare una ricerca che,
per il suo stesso metodo, è senza fine? Non ha forse ragione KANT 1 nella
determinazione del metodo di una scienza empirica? Bisogna dunque che
da pane delle scienze naturali venga lasciato aperto l'interrogativo sul·
l'inizio, e conseguentemente sull'assenza d'inizio del mondo.
Da parte della filosofi.a nel corso della storia son state tentate delle prove
sia per l'assenza di un inizio come per l'inizio nel tempo da parte del
mondo. Come la teologia cristiana cosi anche quella arabico-islamica e
giudaica si è posta di fronte al contrasto (presunto o reale) tra la rive-

in Kosmos 50 (r9H} 7 s.: 4 miliardi di anni; e in Uniwrsi111s 21 (1966) 344 s.:


8 miliardi.
5 Cf. Discorso Ji Pio XII del 22.11.1951, in AAS ++ (19,z) 31-43. Inoltre: M.
FLICK-Z. A1.szEG11Y, Il creatore, Firenze 21\)61, 6o, noia 2.
6 J. .\ll'URERS, op. cii., p. 19; Mcurers mene in rilievo in conclusione (lbid.,
p. 102): La problemalica dei 10 miliardi di anni «non significa una prova scienti·
fica <l'una creazione del mondo o della sua formazione prima di 10•0 anni e altre
interpretazioni di questo genere. Con tali interprclauoni ci si 11/lonlant1 dalla veri/ti,
" m11 esse 11011 si giova a dù cui si pensa di pour f,iovare• (la so11olincarura è dc).
J'au1orcl.
7 W. Buc11n. · Das pulsierende Universum', in SJZ 177 ( 1<)66) 119' 126.
a Cf. la prima antinomia della Kritik der reinen '\!ern1m/I B. 01·461. 4~"'·
162 LA PEDE NELLA CllEAZIONE

!azione religiosa e la filosofia greca. 9 In verità ARISTOTELE 10 pensa che


nessun pensatore prima di lui abbia sostenuto l'eternità del mondo, che
egli stesso 11 cerca di provare con argomentazioni complicate; PLATONE
nella cosmologia mitica del Timeo ha presentato una formazione del
mondo nel tempo, che la teologia cristiana ha fatto sua nel suo significato
letterale. Tuttavia si dovrà dire che non a caso l'eternità del mondo è
ritenuta come convinzione comune dci greci: ARISTOTELE infatti non ha
fatto altro che esporre esplicitamente le comuni premesse implicite nel
pensiero dei predecessori; soltanto da questo fatto si spiega pure la
storia dell'influsso di questa sua concezione.'2 Con passione estrema fu
discusso nel secolo XIII il problema utrum mundus sii aeternus. Esso
scoppiò per l'urto fra la fede biblica e gli scritti metafisici di ARISTOTELE
appena allora venuti a conoscenza dell'occidente. La dottrina dell'eternità
del mondo accolta dai neoplatonici PROCLO e SIMPLICIO, da AVERROÈ e
dagli 'averroisti latini' (SIGERI DI BRABANTE, tra gli altri),13 fu respinta
dai pensatori ortodossi come filosoficamente infondata, come già Aoo-
STINO 14 aveva fatto contro i neoplatonici. Le prese di posizione per la
tesi contraria, dell'inizio cioè temporale del mondo, si differenziano in
modo significativo. BONAVENTURA in verità si serve dell'aiuto della
Scrittura per la conoscenza della creazione in senso stretto, come pro-
duzione mii nulla, però pensa che una volta premessa questa cono-
scenza sia da ammettere che il mondo debba avere un inizio nel tempo.
Similmente ALESSANDRO DI HALES, MATTEO n'AcQUASPARTA, ENRICO
DI GAND, ecc.1 6 i quali insieme alla comune tradizione agostiniana insi-
stono meno sulla distinzione fra la possibilità di conoscenza filosofica e

9 E. BEHLER, Die Ewigkeit der Welt, I: Die Problemstellung in dtr 11rabischen


und iiidischen Philosophie des Mitttlalters, Miinchen 1965.
ID De caelo I, 10; 279b 12.
11 Physicorum libri vm, 8,1.
lZ W. W1ELAND, 'Die Ewigkeit der Wclt (Dcr Streit zwischen Johannes Philo-
ponus und Simplicius)' in Die Gegenwarl der Griechen im neueren Denken (Fsch.
H-G. Gadamer), Tubingcn 1960, pp. 291-316, 297 s.
13 Cf. però al riguardo GÉZA SAJÒ, Boetius Je Dacia und seine philosophische
Bedeulung, in Miscellanea mediot•v11/ia Il (cd. P. W1LPERT), Berlin 1963, pp. 4,4.
463. Secondo questi, l'insegnamento de at'lt:rnilalf mundi per lo meno in Boezio
cE Dacia significa eh., lo scienziato della natura (naturalis) in quanto tale non può,
in forza del suo metodo, accettare un inizio temporale del mondo, poich~ è im·
possibile un inizio d'esistenza dcl mondo ad opera di cause naturali. Con ciò però
è compatibile che il mondo abbia incominciato ad esistere ad opera di cause supe.
riori. Cf. il testo assai moderno, citato I bid., p. 4,9.
14 De civitate Dei, 10,31; u ,4, PL 41,3n s., 319 s.
15 I Seni., 1,1,1 s. Cf. P. MoNDRF.GANF.S, 'Dc impossibilitate aetemae crcationis
mundi ad mcntem S. Bonavcnturae', in Collectanea Franciscana, .5 (1935) '2!)-'70.
16 Z. HAYES, The generai doctrine of Creation .. ., cit., pp. 108-114.
CREAZIONE DEL MONDO CON L'INIZIO DEL TEMPO

teologica rivelata, ma anche ALBERTO MAGNo. 17 TOMMASO invece - con


PIETRO LoMBARDO, EGIDIO RoMANO e DuNs ScOTo 11 - per tutta la
vita - dal Commentario delle sentenze 19 (circa r254) fino al XII Quodli-
betum 20 (circa 1272), sostiene l'opinione che non si può provare la ne-
cessità di un inizio nel tempo di tutto quanto è creato. Che la terra
ex parte ante sia temporalmente finita o infinita, ciò dipende soltanto
dal libero volere di Dio: soltanto la rivelazione può decidere con certezza
che di fatto sia reale una delle possibilità - il mondo con inizio del
tempo - e non l'Altra. (Questo sembra essere stato anche il parere di
AoosTIN0). 21 Tommaso rifiuta globalmente i tentativi contrari di dimo-
strazione «a causa della debolezza dei motivi» 22 come non convincenti
dimostrativamente, ma soltanto, nel migliore dci casi, probabili. 23 Ma
nemmeno l'autorità di Tommaso giovò a far accettare questo punto di
dottrina da parte di tutti, esso rimase controverso nei secoli seguenti.
Dopo che la problematica creazionistica ottenne nuova attualità all'inizio
del secolo XIX ad opera di FEDERICO ScHLEGEL e del più tardo ScHEL-
LING, A. GONTHER e J. FROHSCHAMMER fra gli altri, rimproverano alla
concezione tomista, come similmente più tardi ( 1925) L. Roucma, di
sottrarre alla possibilità di dimostrazione filosofica insieme con l'inizio
nd tempo anche il suo essere creato semplicemente e di affidarla esclu-
sivamente alla fede (una critica alla metafisica della scolastica circa la
creazione che diventò motivo della nuova ricerca e valorizzazione ad opera
della Neoscolastica).M Tuttavia la riserva filosofica di TOMMASO pare
essere su questo problema la conclusione migliore e più saggia fino
ad ora. Riflessioni della moderna matematica sulla quantità (muo·

17 Dopo un'opinione inizialmcnle oppos1a. J. lliAsEN, in Studia AlberlitUZ (Fsch. B.


Geyer) Miinster i952, pp. 167-188.
11 Z. HAYES, op. cii., pp. 107 s., 116 s.
19 Il Sr:nt., 1,1,5; 2,1,3.
2D 2,2; 5,7. Ulteriori passi: S.c.g.l. 2,31-38; Dr: pot. 3,14.17; S. th., I. q. 7, aa. 2-4;
q. 46, aa. 1-3; 3 Quodl, 14,2; 9 Quodl., 1,1; Dr: uternilale mundi. Cf. A. ANTwi!u.u,
Die Anfangslosigkeit der W elt nach Thomas uon Aquin untl Kimt, Trier 1!)6t. Bi-
biiogr.: lbid., p. Io6 nota 1 e J. BRINKTlllNE, Dir: uhre uon der SchOpfung n. P•
derborn 1956, p. 49; inoltre: SI. Thomas o/ Aquin, Sigr:r of Brab1111t, SI. ~,,_
t11ra, On 1he E1ernily of Wor/d', Milwaukec 1964. In modo ottimo: TH. Essn, Die
Lehre des hl. Thomas von Aquin iiber die Moglichkeil einer anfangslosen Schop/ung,
Miinster 1895.
21 V. noia 14.
22 Il Seni. 1,1,5.
23 S. th., I, q. 46, a. 2; S.c.g. !. 2,38.
24 E. BEHLER, op. cii., p. 21-31. Su Frohschammer, ecc.: TH. EssER, op. cit. Cf.,
per es., di recente: P. e LANDUCCI, 'Si pub dimosttare filosoficamente la tempora-
li1à e finitezza dimensiva dell'universo materiale', in Divus Thomas (P)
340-344 e la discussione nell'annata successiva.
'2 (1949)
LA FEDE NELLA CREAZIONE

vendo dai 'numeri transfiniti' di G. CANTOR~ potrebbero deporre a favore


dell'opinione che una quantità ordinata (o serie) senza un primo anello
entro la serie stessa non è dimostrabile come contradditoria; ad una
possibilità di tale quantità si riduce dunque in fin dei conti la questione
circa la possibilità di un mondo senza inizio. 25 Poiché la dimostrazione
'verticale' della necessità delh causa prima creatrice si fonda, in quanto
tale, sulla contingenza delle realtà mondane, essa e
indipendente dalla
massa quantitativa (sia finita, sia infinita) dei membri entro la conca-
tenazione orizzontale delle cause seconde. 26 Anche la filosofia dunque a
quanto sembra non porta alcuna decisione per il problema dell'inizio
temporale del mondo.
Il problema ritorna alla Jeologia. Questa cercherà di orientarsi per l'inter-
pretazione dei passi della Scrittura citati in principio, innanzitutto alla
tradizione e al magistero. La tradizione primitiva in verità in modo
molteplice sostiene che non si può dare creazione ab aeterno.Tl Però,
cosl si obietta,21 si tratta spesso di provare contro l'arianesimo dall'eter-
nità del Logos testimoniata dalla Scrittura, il suo essere divino increato,
- di un'eternità dunque, che non può esser attribuita al mondo in nes-
sun modo (essa afferma, oltre alla semplice assenza d'inizio e di fine,
il nunc s/ans della superiorità al tempo, soprattutto della chiusa autoi-
dentità, del puro e pieno raccoglimento in sé che esclude ogni deriva-
zione e successione). La circostanza che i Padri della Chiesa, anche al di
fuori del contesto cristologico citato, non riffettono su questa differenza
concettuale fra eternità e assenza di inizio,29 indebolirebbe la loro testi-
monianza in riguardo al nostro problema - però non la annulle·

25 Cf. W. B11uGGEa, 'fbeologia naturalu, Freiburg 11964, pp. 2<>6-211. Bibliogr.


Ibid., p. 2o6; inoltre: J. A. BERNADETE, I11p11ity, Oxford 1964.
:zr. Già per Aris101ele oon esisteva ron1raddizione 11cuna fra l'infinità temporale del-
l'insieme del divenire e la prova dal «primo mo1ore immobile•. L'!ndipendenza del
pmsiero della cr-azione dal problema della durata temporale del mondo ~ impor-
tante per il confronto con il malerialismo dialenico che con il dogma dell'eternità
del mondo pensa di aver sgombrato ogni domanda riguardo al suo fauore.
n Passi presso PETAVIO, Dogmt1ta tbeolog1ct1 1,3,6: cf., C. TaESMONTANT, Li
lifétapbysique du Cbristianisme, cit., pp. 214-242.
21 Per es., TH. EssER, op. cit., pp. 58-67; cf., L. LERCHU., 111stitutio11es tbeolog.
II, Innsbruck 1940, p. 236.
2'I IRENEO, Adv. baer. 2,34,3, PG 7,835: « ... quaecumque ft1clt1 sunt et punt, ;,.;.
ti11m q11idem suum accipiunt ge11t!Tt1lionis, et 'per boe' in/eriora sunt ab eo, qui e11
fccit ... »; BASILIO, Adv. Eunonium 2,17, PG 29,6o8, AMBROGIO, Hexaemt!Toll 1,3,1os ..
FL 14,138; GJO\'.\N:-.:1 DAMASCENO. De fide ortbodoxa 1,8 PG 94,ll12s. - a. la
stessa conclusione allre11a1a in E. BRUh'NER, 'Die christliche Lehre von SchOpfung
und Erl0sung', in Dogmalik Il, Zurich l196o: •Affermare eternità, mancanza di
inizio temporale del mondo, quasi come a proposito di Dio, rende il mondo l'altro
- io - Ji Dio, e Dio sosia del mondo ... All'essere del mondo, alla creatura ap-
partiene l'inizio nel tempo ..
CREAZIONE DEL MONDO CON L'INIZIO DEL TEMPO

rebbe. Perché anche colà, dove questa distinzione viene sviluppata in


tutta chiarezza, come da Ac;osnNo, 30 la tradizione continua ad affermare
che la Scrittura attesta l'inizio temporale dcl mondo. Questo era anche
il rresupposto comune di tutte le p:lrti (orto<loss~) nella controversia
filosofica dell'alto Medioevo. Nd 1 2 t 5 il concilio Lateranense rv sembra
indirizzare I'.1sserzio11c che Dio Ji,, crc•l!O il mondo ab initio temporis 31
contro gli Albigesi che acccttcvano un~1 materia etcrmt; il concilio Vati-
cano 1 l2 ripete la formula, applicandola contro il pensiero panteistico
o di tendenie panteistiche del secolo XIX. Perciò non si potrà considerare
questo ab initio h'm poris come ac1:;:ttazione occasionale di un'espressione
tradizionale <la pam: dcl magistero, anche se si è del parere 33 che non
rappresenti alcuna autentica definizione <li fede. Perciò non ci si potrà
accontentare che la teologia evangelica più recente '<la diverse parti',
soprattutto in coerenza con le interpretazioni esistenzialistiche ispirate
da R. BuLTMANN, arrivi fino a pensare che il discorso sul Creatore tace
circa I' 'inizio' e sia indirizzato unicamente ad un principium senza
initium. 34 Nell'ambito della teologia cattolica A.D. SERTILLANGES 15
simpatizza con questa opinione ·per la quale egli si richiama 36 - a
giusta ragionc? 37 - a TEILHARD DF. CHARDIN.

Particolarmente nel D~ Ci11i111u D~i 11.4·6; 12,1,,2, PL 41,319-322.364s.). a.


JO
J. DE BLic, 'Les arguments de saint Augustin contrc l'éternité du monde', in
Mrlanges d~ Scù·!'ice Religieuse I (1945) 33-44 Bibliogr. sulla concezione agostiniana
del tempo: O. LECllNER, Idee tmd z~;, ;,, dc:r JWe111pbyrik AUf.USlim, Miinchen
1964, pp. 120 s , l/·24· - Perfino 01t1GE.'llE, che per l'influsso platonico, accettava
che fossero esistiti prima di questo mondo altri mondi, e in verità il primo dall'an-
=
tidii1à, ammette pure che o nella predicazione ecclesiastica .. ( Scrittura) ~ con1enu10
cche il mondo incomincia in un determinato momento•. (De princ. 1, ob. 7, PG
II,119).
li DS 8oo; cf. M. Fua:-Z. ALSZEGHY, 11 cre11lore, cit. pp. 104 s.
l2 DS 3002; cf. anche DS 3890; 951-9'3; 1333.
lJ Come R. GuELLUY, Li création, Tournai 1963, p. 61, nota i; secondo lui
tuuavia l'attestazione dell'inizio del mondo nel tempo è «proche de la foi».
34 O. WEBER, Grundl11gen dt:r Dogm111il: I, Ncukirchen 1 1964, p. 556. Anche K.
Banh, che tien fermo all'inizio del processo temporale, l'oscura tuttavia con la sua
speculazione ( KD lii /1,75 s.) che egli «contro Agostino,. così riasSUllle: cmundus
J11etus cum lempore, 'ergo' in lempore•. (lbid. p. 76 sottolineatura dell'autore).
15 Nello studio assai noteo.rol" L'idée de cré111ion el ser r~tentirrements en pbi/o-

sophie, Paris 1!!45. pp. 7.12,16-19,38-40; cf. Die k111bolische Glaubenslehre I, Frci-
burg 1959, p. 4~6. In contrario: J. DE BLIC, in BLE 47 (19-16) 162-170.
36 lbid., pp. 16.18.
37 Precisamente lo sniuo di Tcilhard Les fondemenls et le Fond Je /'ldée de
/'Evolution, composto nel 1926, reso noto solamente nel 1957, da cui cita SEllTIL-
L\NGES (op. cii., p. 18), s'esprime in senso contrario: non solo nelle note (p. 193,
nota 5 [citazione dì Ser1ia~nges] e p. 198, nota ;), ma anche nel testo principale
T. spiega cl'inftni:à Jd tempo decorso» ecc. (p. 191; cioè «per mtto il pensiero
umano.. nella e realtà sperimentabile•) L"Omc rifiuto soitanto d'un cesperimentabile
166 LA FEDE NELLA CREAZIONE

Secondo P. Sc1100NENBER: 3' «l'attività di Dio all'inizio significa che egli


è prima del mo11do o meglio - poiché questo 'prima del mondo' pone
Dio in certo qual modo in u.1 tempo prima dcl tempo - che Dio è
sopra e fuori dcl tempo e del mondo ... Dio crea all'inizio, cioè fuori
della sua eternità, fuori da se stesso, e questa relazione fra Dio e mondo
rimane sempre la stessa». Tali interpretazioni, in quanto non abbando-
nino il punto preciso dcll'indaginc, 19 s..: si possono giustificare di fronte
a singole affermazioni della Bibbia e della tradizione, non lo si possono, a
mio parere, di fronte al loro contesto u11ivc·rsale.

La teologia della creazione che si comprende in modo storico-sal-


vifico nel contesto della fede, si dichiara, muovendo da questa
comprensione, per l'inizio temporale del mondo. In questa visione
storico-salvi:ìca 40 il mondo creato è spazio e tempo dell'alleanza di
Dio con il suo popolo, che nell'uomo Gesù Cristo, che è figlio di
Dio, raggiunge la radicalità unica e definitiva, che può introdurre
l'umanità nel suo compimento universale. Allora però questo mondo
punto zero nella durato, d'un inizio cemporale costatabile in modo fenomenale·
empirico (sottolineatura di T.) - ~questa pretesa csigen1.a dell'ortodossia si spiega
unicamente attraverso una contaminazione del piano fenomenale ad opera della
metafisica» (p, I97).
31 Gottes werdende Welt, Limburg 1963, 41 s. (tr. it., Il mondo di Dio in evolu-
zione, Coli. «Giornale di teologiu 20, Brescia 1968; cf. R. GuELLUY, op. cii .•
p. 6I.
39 Come in qu:!slo c11so Sertillanges, peraltro cosi straordinariamente acuco in
molti punti.
-40 Bibliografia sull'argomento: BARTH, KD 111/1,72 s.; H. U. VON BALTHASAll, Theol<>-
gie der Geschichte, Einsiedeln l1959; A. VO<iTLE, Zeit und Zeitiiberlegenbeit im bibli-
schen Verrtiindnis, Freiburg 1961; 0.CULLMANN, Cristo e il tempo, Bologna l1~ H.
U. VON Bt.LTHASAR, Das Ca11:e im Fragment, Einsiedeln 1963; A. DAllLAP, 'Tempo', in
DzT. 3 (21969) 453-46o; P. NEUEHZEIT, 'Gedanken zum biblischen Zeitvcrstindnis',
in Bibel und Leben 4 (196J) 223-2}9; W. PANNEHBEllG (cd.), Rivdwone come
storia, Bologna 1969; W. IV.sPEll, 'Grundlinien c:iner Theologie der Geschichtc', in
TQ 144 ( 1964) 129"169; P. Ncucnzc:it e altri, in Gerchichtlichkeit unJ 08enbarungs-
U'lmrheil, Miinchen 1964, pp. 37·6'; K. Rahner e altri, in Die Problematik von
R.aum und Zeit, cit., pp. :110-224; M. SECKLD, Das Heil in der Gercbichte, Miin-
chen 1964; O. CuLLMANN, li mistero della wlen:ione nella storia, Bologna 1966;
H. FatES, 'Zeit als Elanent der christlichen Olienbarung', in Interpre111tion der
Welt (Fsch. R. Guardini), Wiirzburg 196,), pp. 701-712. - Inoltre, anche per la
analisi dcl tempo in genc:ralc R. Bf.aUNCEl, Augustins dialogiscbe Metaplryrik,
Frankfun 1962, 42-145; F. KìlMMt:L, Ober den Begri/ der Zeit (Tiibingen 1962);
]. Mouaoux, Il mistero dcl tempo, Brescia 1969; R. SaiAEFFLE1t, Die StnJetur der
Geschichtneit, Frankfurt 1~}; W. MAVER (cd.), Das Zeitproblem im 20. ]ahrhun-
derl, Bem 1964; M. BoaooNI, li tempo. Valore filosofico e mistero teologico, Roma
196j; G. NEBEL, Zeit und leiten, Stuttgarl 196'; R. WALUS, Le temps, qUllJrième
dimnision de l'esprit, Paris 1966.
CREAZIONE DEL MONDO CON L'INIZIO DEL TEMPO

col suo svolgimento nel tempo dev'essere orientato all'evento di


Cristo da collocare in un preciso momento del tempo e che deve
progredire nelle ulteriori fasi del tempo come evento del Christus
totus caput et membra; e con un tale orientamento alla definitività
è certamente incompatibile un'assenza di inizio del tempo monda-
no. In un mondo già così da sempre esistente potrebbe aver impor-
tanza, secondo il comune pensiero greco e in particolare in senso
platonico 41 soltanto ciò che è sempre valido, ciò che rimane sta-
bilmente oppure, in quanto deve: esserci un mutamento empirico,
in un circuito eterno, la ripetizione di ciò che è continuamente
uguale. 41 Non ci sarebbe «niente di nuovo»,., ci sarebbe «la neces-
sità che la stessa realtà appunto è stata, è e sarb ... Ora questa è
In novità cristiana: che nel mondo c'è qualcosa di nuovo! Gesù
Cristo, che è A ed O della realtà del mondo, è proprio questa
novità nella forma al di là d'ogni aspettativa irripetibilmente nuova,
di un preciso evento storico, nella nascita umana e nella morte
umana. Questa novità di Cristo presuppone - e si presuppone -
la novitas mundi (della quale parla TOMMASO 45 nel senso del
mondo che inizia temporalmente). La colxOVOJtla» di Gesù Cristo,
in contrasto con la 'cattiva' ciclicità di ripetizione della concezione
antica dd tempo,411 si compie in una consecutio temporum, che è

•t PLATONE, Po/jteid 648j-499; Aa.lsTOTEll, EthU:a ad Nic. 64; 10,7; n40 a.;
unb.
42 Eucuro, B 30; Aa1sTOTELE, De genera/ione___ 2,n; Metrora l ,14; Probk-
mata 13,3; d. PlrysU:a 8,S-10 265a 266a. Luc1EZ10, De nat11Ta rerum, 3,945: ceadem
sunl omnia semper-.; 5,n35
., M.uco AuaEI.10, Ad seipsum. 7,1: oMn xmvciv; d. 6,J7-
.. Co51 la polemica anticristiana di Celso (secondo OaxGENE, Conlrt1 Cels11111,
4,65, PG 9,n33).
45 Il Sent., 2, l, 3 ad 2; S. th., I, q. 46, a. 2.
46 Per la già quasi classica distinzione ddla concezione antica ciclica e cnsnana
lineare del tempo e della storia, vedi soprattutto: O. CULLMANN, Cristo e il tempo,
Bologna 31967, PP- 24-30; 34 s.; 59-142; len. anteriore: lbid., 74, nota 3- Contro
W. KucK, Die Zukrmft tles Gekommenen, Miincbcn 1961; M. SEcn.t:a, op. dt.,
e altri (v. CuLLMAHN, op. cii., p. 26 s.). La ciclicità greca attestata come caratteri-
stica si doveva ben spiegarla, mediando e differenziando, quale pl11Ttditil di cicli
oppure, ciò che ha lo stessa signifu:ato, metter in luce attraverso l'equivalenza com-
pleta del punto di partCllZI e di ritorno, l'identità falsa (nel senso ~liano l di
inizio e fine mentre la 'linearità crisùana - gli schemi spaziali qui son sem-
pre difettosi. - non poteva escludere la rappresentazione dcl ciclo singolo COll
l'autentica identità. nella differenza. di inizio e fine. con la fine come compiir.ento
168

1Lgolata secondo un piano ordinato verso un fine nell'interiore or-


dine delle epoche temporali. L'età dei Patriarchi e l'età della legge,
le età dei Giudici, dci Re e dei Profeti si conseguono l'un l'altra -
e la pienezza dd tempo (Mc. 1,15) in cui Gesù Cristo ha la sua ora
(In. 2,4; ì.6; q,1) - il tempo dell'evangelo e della grazia. Nella
di1m:nsio11c l'u~111ic1, rnmprlndc11Lc il rnpporto di Antico e Nuovo
Testamento, il tempo appare rnmc tempo della crenzione, del pec-
cato, della rivelazione e della Chiesa. 47 Specialmente l'eone che
viene, 411 rende il tempo attuale del mondo una dilazione finita e
provvisoria. Dio ha posto nella sua potenza i «X~~pcl» (Act. 1 ,7:
i1 detto si riferisce agli ultimi tempi - vale però anche per i primi
cf. Act. 17,26). Egli prima di qualsiasi tempo ha ordinato verso
Gesù Cristo gli eoni nell'insieme (Eph. r ,10; 3,u). Gesù in
quanto Cristo (il messia) compie la promessa dell'alleanza di Dio
con Israele, la dinamica storica, dapprima particolare, dell'Antico
Testamento. Gesù in quanto kyrios-Signore assume il potere di
Dio sui popoli e sul mondo, che si fonda nella creazione del mondo,
portando cosl a termine e a compimento il senso universale del
divenire del mondo e dell'umanità. In questa doppia predicazione
di grandezza di Gesù come messia kyrios, la storia della salvezza
dell'Antico e del Nuovo Testamento oscilla, tra creazione e parusia
e s'incontra nell'incarnazione del crocifisso-risorto. Attraverso ciò
i tempi del mondo che si susseguono conservano il segno dell'epoca,
essi hanno il carattere qualitativo di un valore non interscambiabile:
non solo secondo la loro funzione anonimamente cristiana, per
il «progresso nella coscienza della libertà»,.. bensì per la crescita
nella pienezza dcl Christus lotus (Eph. 4,13). L'evento temporale
del mondo è profondamente orientato, in quanto storia salvifica, attra-
verso questa dinamica 'entelechiale' spirituale religiosa. Il rispettivo

unico e <lelinirivo. Non si tf31!3 dunque di vuoti schemi temporali svolgentisi io


un modo e nell'altro, :,,:nsl ,fi tempo qualitativo, compiuto. a. A. DARL\P,
'Tc:mpo', in D~T 3 ( 21969) -t59 s., e H. Ftm:s. op. cit., PP- ìOS-710.
'7 li. F111cs. op. cit., p. 707; Il U. voN BALTIIASAI!, DJs Ganu im Fragment,
finsic<leln 1963, 166.
41 i\lt. 1.2,32; Aie. 10,30; I.e. 18,30; Epb. 1.21; Tlebr 6.5 ... ; cf. H. ScHLIEI!:
LTK X ( r965) 1330-1332.
49 Hr.GEL, Werke 11.46 f::<l. (jJ,,.;kncr)
CRF..\ZIOXE DJ.:.l MO!\"IJO Cl~-.; !.'INIZIO DEL TI.MPO

presente è determinato attraverso il preterito del 'già' storico-sal-


vifico e il futuro del 'non ancora' storico-salvifico, ed esso dt:termina
da parte sua in forza della libertà umana, futuro e passato. Alla
anticipazione sul!' 'eschaton' dcl tempo currisponde il risalin· al
'proton' del tempo; l'inizio è l'abbozzo del compimento. Percièl
Ja storia della salvezza risale all'origine dell'uomo e di tutto il suo
mondo, e ciò in un preciso modo che smentisce l'equivalenza di una
consistenza da sempre del mondo, che non permetta ambito alcuno
di tempo per un 'non ancora' propriamente storico. Il tempo privo
d'inizio sarebbe da sempre esaurito, nient'altro che lungo momento
noioso: il suo 'riscatto' (Eph. 5,16), sempre nuovo, sarebbe im-
possibile. Il tempo però è ora per noi «l'annuncio delle garanzie di
Dio e della tensione del mondo tra due punti, che Dio tiem: scp:i-
rati l'un dall'altro nella pazienza». 50 In questo stato di tensione, anzi
wme questo stesso stato di tensione, avviene l'evento di Gesù Cristo.
Poiché Dio in Gesù Cristo accoglie l'altro da se stesso, il non
divino, in unità personale, accetta pure il tempo stesso lnla11i il
tempo non è conseguenza, che non doveva esserci, di una caduta
primordiale della libertà creata, esso non è soltanto un tratto della
figura decaduta di questo mondo (cf. 1 Cor. 7,31),51 esso apparti~ne
al carattere costitutivo radicale del non essere Dio dcl creato.52
Quindi il tempo 'esteriore' non entra in gioco solo e non tanto
c.ome una continuità vuota di imitazioni del mondo, misurata I al
massimo) con oggettivhà fisica; esso stesso piuttosto si atnrn dap-
prima per il fatto che esso. riflesso ~· nella coscienza umana, è compiu·
to e compreso nel tempo 'interiore' dell'auto-esperienza dell'uomo
che si attua in libertà verso la sua definitività. Questo tempo, che
l'uomo contribuisce a forgiare e che si compone, in reciproca dipenden-
za di un 1empo interiore ed esteriore, contrassegna e indica la realtà
dell'uomo. Come tempo umano è il tempo dell'uomo xa-r'U;oxiiv.

lO Il. Ou1.c11, Die Problemalik ~'On Raum und Zeil, p. 18j.


51 Pa»i presi dalla teologia attuale: .!l.t SECKLER, op. ciJ., p. 181 nota 1011.
•: 11. C. \•us BALTil.\SAR, op. cii., p. 40.
~· :\nd1c Ariswtdc. il primo teorico d'una comprensione del tempo supposta
::ia.mwlle <'i:g"ttiY~. era .il corrL11te di questa soggettività: Physicorum 'ibri \'lll,
.;.1.1 2J 1 ;1 ~1-2!1, conc!uden,!onc che «non ci potrebbe essere tempo alcuno, se
11011 l'i f•. -- ..... r~tninu)) (.?2Jil 26).
LA l'1IDB Nl!LLA CUAZIONE

che si chiama Gesù Cristo. In lui la negatività ontologica dcl tempo


è superata in una nuova, - cristologica - positività: «poiché
Dio, che si è aperto clemente alla nostra salvezza, ha accolto il tempo
in tutte le realizzazioni miranti a tale scopo».s. Cosl inhnc il tempo
è divenuto realtà del mondo - tempo del mondo con inizio e fine,
poiché Dio stesso volle divenire realtà umana. Esso è la manifesta-
zione in forma mondana dell'essere Figlio,ss del Figlio di Dio in
quanto Figlio dell'uomo; una dimensione dell'autocspressione di
Dio nell'elemento del mondo.56 Il tempo è delimitato come tempo
di salvezza, in tutte e due le estensioni, del passato come del futuro,
esso ha un terminus a quo, e un terminus aJ quem.ri
Questa visione storico-salvifica della creazione nella sua tempo-
ralità orientata non è soltanto una conquista teologica di data
recente. Per la teologia cristiana primitiva il tempo era, in una
comprensione non ancora riflessa, in modo del tutto funzionale un
mezzo per l'attuazione del piano divino di salvezza 51 - come
appunto già gli autori del veterotestamentario scritto sacerdotale
videro il processo della creazione e la storia primordiale, che essi
disposero nello schema della settimana, rispettivamente della suc-
cessione delle generazioni (Toledot), come evento temporale." AM-
BROGIO .io applica agli inizi del mondo la conclu.sionc storico-salvi-
fica della fine dcl mondo attestata dalla Scrittura (1 Cor. 7,31; Mt.
24a5; 28,20). AGOSTIN0 61 .oppone al ~circuitus tmiporum ... in ea-
dem redeuntes et in eadem cuncta revocantes» - con una felice in-
tuizione, l'espressione presa da Ps. 12,9 «in circuitu impii ambulant!:

s. M. FaIEs, op. cit., p. 70,.


ss M. SECKLER, op. cii., p. 12, (cf. pp. lopo8), seguendo H.U. VON BALTHASH,
Theologie der Geschichte, cii. pp. 23 ss., e J. MouJtOux, op. cii., pp. 81 11.
56 Cf. H. Dt.Rl.AP, 'Tempo', in DzT, 1(31969) 6o8. t. Ml!uat (L..r tbkloJie du
Corps myslique, Paris 1944 I, 163) parla cosl della creazione dcl mondo: •Dicu, ~
lors, se formait un corps».
SI A proposito di M. SECKLER, op. cit., p. ro4.
sa L. ScHEFFCZYK, Schop/ung und Vorsehung, Ò>ll. •HDG• II 21, Freiburg
r963, 62. Cf. St. OTTO, Das Problem der Zeit in der 11oraug11stinischen Tbeologie,
in ZKT 80 (196o) 74-87.
59 Vedi sopra p. 67; cf. H. HA.AG, in Hochland n ( 196<>-61) 276 (in Gen. l ~
insegnata la cre11lio in tempore) .
.io Hexaemeron r,3, 10, PL 14,138.
61 De civilale Dei, rz,13, PL 41,}61 s.
CAEAZIONE DEL MONDO CON L'IHIZIO DEL TEMPO 171

semel enim Christus mortuus est pro peccatis'•. Cf. l'espressione


una volta per tutte di Rom. 6,10; Hebr. 7,27; 9,12, 10,10 e
quella unica volta di Hebr. 9,28; 1 Petr. 3,18. «Circuitus illi
explosi sunt»62 questo è il grido vittorioso dei cristiani, ai quali Dio
si è rivelato come creatore e redentore.63 Similmente NEMESIO DI
EMESA 64 (scc. v) riferendosi alle parole di Cristo tlç futa; yàQ Tà
tijç ùvaot1iorto; ;ml où ~aTà JtEQiOOov. Secondo BoNAVENTURA 65 l'am-
mettere che il mondo sia senza inizio, porta alla affermazione che il
Figlio di Dio non sia diventato uomo.

Tale fondazione storico-salvifica dell'inizio della creazione nel tempo su-


pera una pura riflessione convenzionale che l'essere creato dcl mondo
venga affennato nel modo più energico mediante l'inizio (certamente
non esperimentabile!) della sua esistenza. Certamente infatti ciò che
incomincia ad esserci (o cessa) dimostra con ciò, in modo più radi.
cale che non con le caratteristiche permanenti della variabilità e tempo..
ralità, la propria costituzione contingente, a motivo della quale non può
avere in se stesso il suo fondamento sufficiente per l'esistenza, ma deve
essere causato da Dio assoluto e non contingente. L'inizio temporale dd
mondo, come per il mondo è segno di contingenza e casualità, cosl per
Dio è (secondo il nostro modo immaginoso di pensare) segno della sovranità
dcl libero creare il mondo da parte di Dio, della onnipotenza dcl libero vo-
lere amoroso di Dio che dona solo per amore, e dell'estrema gratuità e per
questo quasi soprannaturalità della creazione complessivamente come do-
no personale all'uomo amato da Dio con la chiamata all'esistenza.66

Ciò che in filosofia può essere una pura possibilità, teologicamente


- e ciò vuol dire, qui, per la teologia cristiana - è una necessità.
Dio dovette creare il mondo come mondo coll'inizio dd tempo,
poiché esso è il mondo di Gesù Cristo.

62 lbid .. 11,io"', PL 41,)71.


6J H. DE LuaAc. Cathnlids,,,r. P1ris 519,z, p. 111.
64 Dt '"''""' ho,,,inis J8, PG 40,761.
65 Dt dtct"' pratcrptis 2,2, (cd. Quaracchi ,,,14): cPontrt tnim mund11111 ae-
ltrnum, hoc tsl. dictrr quod Filius Dri non est incamalun•. · Dalla sua compren-
sione fondamen1ale dcl tempo come tempo di salvezza si può pure spiegare pcr-
chi per lui il pensiero di uni dur1t1 di tempo senza inizio poteva sembrare un
non senso (d. ]. RATZINGU, Dit GtschichlSlhtologie dts hl. Bonavtntura, Miincbm
19,9, pp. 142 s.).
66 TOMMASO esprime tutto ciò nel ccon11tnitnlissimum» di S.c.g. I. 2,38, cf. Dt
poi. 3,17 Ml 8: ccon11tnienlius•, siccome ctxprtssiusa.
LI\ FEDE NELLI\ CREAZIONE
172

6. La provvidenza di Dio conserva il mondo nel suo essere


e nel suo operare, in favore dell'uomo

La provvide11w di Dio, che fìlosolìcainente si presenta come conse-


guenza logica 9~mliva e labnriosa ddla metafisica creazionistica,
nell'asserzione hihlirn fonda111cn1al1· tic! Dio creatore e datore lii
salvezza è invece l'arn:rzi•rnc immt:diata, originaria e quella che
interessa innanzitutto t' s:>prnttulto Israele esperimenta la cura
provvidenziale dcl D:o dc:l'allc:inza che dispone come potenza
assoluta del suo destino in mezzo ,ti popoli, e confessa il dominio
cosmico e la potenza creatrice di t[UCSto Dio, quale presupposto di
questo sapersi protetti, frullo della fede, e quale suo estremo am-
bito e fondamento ultimo. Ncll' Amico Testamento, nel modo più
vigoroso nel Deutero-lsaia e in una serie di Salmi, 1 la potenza di
Jahvé, continuamente operante nella storia, si manifesta come la
prova del suo dominio sul mondo quale creatore. Con una immedia-
tezza che urta la coscienza odierna, l'Antico Testamento (p. es.,
Deut. 4,19) vede la mano direttrice di Jahvé nel destino dei popoli;
un popolo diventa verga punitrice per l'altro (/s., Ier., Ezech., Am.).
Anche la conquista del regno da parte di Ciro serve al piano di
Jahvé: I s. 4 5; e perfino le potenze nemiche di Dio di I er. 46- 5 1
e di Ezech. 27-3 I; 38 s. Dio segue l'uomo anche negli infidi bassi-
fondi del suo spirito e ne trae salvezza (Gen. 20; 26; Ex. 2). Il
racconto del sacrificio di Abramo (Gen. 22) e di Giuseppe in Egit-
to (Gen. 37; 39-50; d. 50,20) sono esaltazioni del Dio provvi-
dente; similmente i libri più recenti di Rut, Ester e Daniele.

«Ricordatevi il passato lontano, perché io sono Dio; non ce n'è: altri.


Sono Dio, nulla è simile a me. Sono colui che al principio rivela la fine
e, molto prima, quando non è stato ancora fatto; che dice: Il mio pro-
getto persiste, io farò quanto mi ·piace! Son io che chiamo dall'oriente
l'uccello da preda, da una terra lontana l'uomo del mio progetto. Cosl
ho parlato e così avverrà; così ho deciso, così pure farò• (ls. 46,9-11 ).
«Sia henedetto il nome di Dio per tutti i secoli, perché a lui apparten-
gono la sapienza e la fortezza. Egli alterna i tempi e le stagioni, depone

I Vedi sopra pp. 69 '"·


PROVVIDENZA DI !HO E CONSloRVAZlONE DEL MONDO 173

i re e li in11alzi1 Ji nuovo; concede la sapienza ai sapienti, la scienza a


quanti hanno intelligei1za. Svela cose profonde e nascoste; conosce ciò che
è nelle tenebre; con lui dimora la luce» (Da11. 2,20-22 ).

Non solo i grandi avvenimenti storici (cf. specialmente Ps. 46),


bensì anche le necessità di o~mi anno e di ogni giorno della comunità
hanno posto nella provvidenza di Dio, ed essa abbraccia pure il desti-
no de! singolo; ciò è annunciato a più riprese nei Salmi. 2 «Jahvé è
mio pastore, non mancherò di nulla». (Ps. 23). «Sei tu che hai preor-
dinato ciò che precedette quei fatti e i fatti stessi e quello che segul
poi. Tu hai pensato le cose presenti e le future e quello c.:he tu hai
pensato si è compiuto. Le cose che tu hai voluto si sono presentate e
dissero: 'Ecco ci siamo' perché tutte le tue vie sono preparate e i tuoi
giudizi sono fissati in precedenza» (] udith 9 ,5 s. ).
La provvidenza nel Nuovo Testamento: ciò fa pensare prima di
tutto ai detti di Gesù a riguardo degli uccelli del cielo e dei gigli
del campo (Mt. 6,25-34; I.e. 12,22-31; 11,1-4; cf. I.e. 12,4-7). La
fede filiale nella provvidenza paterna di Dio richiesta così insistente-
mente con parole piene di tenerezza deve affermarsi nelle avversità
(Mc. 4, 3 5-41 par.). Il collaudo è la comunione con Gesù nella vita e
nella morte: con l'annuncio dell'unità di destino del discepolo con
:! Maestro umiliato e sofferente (Ml. 10,24 s.), Gesù introduce nel
suo discorso missionario l'esortazione ad aver fiducia nella prov-
videnza divina (Mt. 10,28-31 ); e subito dopo l'accenno alla prov-
videnza del creatore, Gesù ritornà a parlare della somiglianza
richiesta tra se stesso e il discepolo (Mt. 10,38-40).
«Qui viene innalzata la croce in mezzo alla creazione, e la prov-
videnza, nascosta volontà di Dio creatore, che è efficace persino
nel cadere a terra del più piccolo passero, si manifesta come iden-
tica con la volontà che vuole unire l'uomo con il crocifisso nella
sua morte, per unirlo pl'li anche nella sua risurrezione».1 A questo
Gesù, in quanto Cristo, mira, come a motivazione originaria della
c.:reazione, l'eterna deliberazione del Padre (Eph. 3,9), tutta la sto-

: Ps. 16,5.ll; J7,23 ~.; 39 s.; 65,6-q; 66,10-12; ì3.23 s.; 92; 103; 139,6.24;
Cf. ler. 1,5; Ercl. 6,10; lob 14,5; Prov. 204; Ecdus 114.
1.45,10-21.
l R. P.ENTEll 'SchOpfong und Erl0sung', in Dogm11tik I, Gottingen 19,g, p. ;zOI.
LA Pl!DI! NELLA CREAZIONE
r74

ria precristiana, anche al di fuori dell'Antico Testamento (Act. 17,


22-3 l; 14,15· 17 ), la sequenza di generazioni della serie degli an-
tenati di Gesù (Mt. l,1-17; Le. 3,27-38). E anche la manipolazione
della giustizia da parte di Caifa dà alla profondissima azione prov-
videnziale di Dio il titolo dovuto: È bene che un uomo muoia per
il popolo (Io. x1,49-52).
La libertà interiore del cristiano, dalla preoccupazione per la
vita, sta dinanzi a questo Gesù come a colui che viene, al Signore
vicino (Phil. 4,6 s.; cf. Petr. 4,12-19; 5,6-11).
«E noi sappiamo che, con coloro che lo amano, Dio collabora in
tutte le cose al bene, con coloro che sono stati chiamati secondo il
suo disegno. Poiché quelli su cui egli ha posato lo sguardo, li ha
predestinati ad essere conformi all'immagine del Figlio suo, affinché
fosse il primogenito tra molti fratelli; e quelli che ha predestinati
li ha chiamati; e quelli che ha chiamati li ha giustificati; e quelli
che ha giustificati Ii ha glorificati. Che diremo dunque di fronte
a questo? Se Dio è per noi chi sarà contro di noi? Egli che non
ha risparmiato il proprio Figlio ma lo ha dato per tutti noi, non ci
donerà ogni cosa insieme con lui?» (Rom. 8,28-32).

Interessa poco di fronte alla testimonianza scritturistica, imponente su que-


sto punto, che la parola provvidenza - providentia - non abbia origine cristia-
na, ma che sia nata in terreno greco. Ne fanno uso gli storici ERODOTO e SE-
NOFONTE. Importanza sistematica ottenne però il concetto di provvidenza
soprattutto presso la Stoà.~ La tarda tradizione giudaica ne fu influen-
zata (anche gli apocrifi: J Mach . •p1; 5,30; 4 Mach. 9,24; 13,18; 17,22).
specialmente la comprensione del mondo generalmente ottimistica ad
eccezione di ]oh e Ecci. della letteratura sapienziale (p. es. Sap. 14,~;
17,2).
Il Nuovo Testamento non applica nec}vm11 a Dio, ma solo all'uomo che
dispone (Aci. 24,2; Rom. 13,14). I termini usati 1tpé&E01.ç, 1tpéyvw<n..;
npoy1yvwmmv, 11QOOQi;flv 1 fanno riferimento all'elezione degli uo-
mini in Cristo; essi sottolineano la funzione storico-salvifica della prov-
videnza divina.

' Ca1s1PPO, il sistanariro della prima S10\Ì: Il•Ql nQO~aç; C1CE1.0NE, De


tfalura deorum II, 73-1n; SF.NECA, De prov1dmtia.
5 Rom. 8,28; 9,11; Epb. 1,11; },Il; 2 Tim. 1,9; Aci. 2,23; t Pelr. r ,:t.20; Rom
e,29; 11,2; Rom. 8,29 s.; I C:or. 2,7; Eph. I,,. - a. O. WEBER, Grundlagen der
Dogmalik I, Neukirchen 11964; pp. '6' s.
PROVVIDENZA DI DIO E CONSERVAZIONE DEL MONDO 175

Corrispondentemente all'incarnazione nel mondo del pensiero greco della


propria coscienza di fede, la teologia cristiana primitiva dà al concetto di
provvidenza una forte eco. Il PASTORE DI ERMA 6 usa il termine itQ6vOLa
per la prima volta per affermare che Iddio creatore ha fondato la sua
santa Chiesa con sapienza e provvidenza. IRENEO 7 tenta di assumere
nella rivelazione divina della salvezza tutta la grande finalità cosmica.
CLEMENTE ALESSANDRINO vede nella provvidenza una funzione del
Logos, della sua pedagogia dell'umanità. Anche per ATANASIO 1 il Logos
è la forza autentica della provvidenza e della conservazione del mondo.
GREGORIO DI NAZIANZO 9 considera la provvidenza come rivelazione della
potenza di Dio nella storia della salvezza; mentre GREGORIO DI NISSA 10
pone l'attenzione più sugli effetti cosmici della provvidenza, che egli
deduce dalle supreme proprietà di Dio. Vere e proprie opere sulla prov-
videnza furono scritte da CLEMENTE ALESSANDRINO, LATTANZIO, GRE-
GORIO DI NISSA, CRISOSTOMO, SINESIO DI CIRENE, EUSEBIO DI CESAREA
e TEODORETO DI CIRO; il De civitate Dei di AGOSTINO è una magnifica
teodicea della provvidenza.
La scolastica ha concepito la provvidenza deducendola non tanto dalla
creazione, quanto piuttosto dalle proprietà essenziali operative di Dio, dal-
la sua conoscenza e volontà e dandone un'analisi razionale particolareggiata.
Ciò influl in seguito nella distinzione di providentia generalis - specialis
- specialissima da parte di riformatori onodossi, a seconda che la prov-
videnza abbracci tutto l'universo, l'umanità, gli eletti. Secondo il Vati-
cano 1, 11 «Dio, per mezzo della sua provvidenza, conserva e governa tutto
ciò che ha creato•.
Forse l'odierno disagio per la forzatura troppo antropomorfica 12 dcl pen-
siero circa la provvidenza può richiamarsi al fatto che l'Antico Testa-
mento ebraico e il Nuovo Testamento non posseggono un concetto pro-
prio per provvidenza: «poiché la concezione creazionista, che ha fondato
e sostiene la fede nella provvidenza, era un'idea del tutto attualistica e
contemporanea e la provvidenza fu intesa solo come una creazione con-

6 Vis. 1,3,..; secondo J. BEHM, in TWNT IV, 1oo6. In questa sezione: L.


SaiEFFCZYK, SchOp/ung und Vorsehuni, cii., pp. 34, 46, 49, ,,-6o, 6,, 81, 89, 9:1. 1.
7 Adv. haer. 2,26; 3,2,,1, PG 7,Soo-802.968.
I Contra gentes 42, PG 2,,84 s.
1 Oratio IV, 18 s., PG 3,,,46 s.
IO Or. Cat 20, PG "'·'6 s.: De aniMll et resurr. 2,3; 3,1, PG 46,.22-27.
Il DS 300~. Cf. anche: DS .u9790.2902.
12 Bisognosa J1 çritica appare specialmente una concezione: troppo dire11a della
provvidenza. la quale fa responsabile Dio di 1u110 ciò che: è da amibuirsi a debo.
lczza umana; invece: s1 dovrebbe dar più fortemente rilievo all'azione indirena per·
irissiva della volontà d'amore di Dio, la quale può, in uhima analisi, por11rc vera·
menle ogni cosa al bene
LA FEDE NEI.LA CREAZIONE

tinuata»Y Il riscontro della provvidenza quale eterna realtà di Dio è


l'efficace conservazione ad opera di Dio del mondo e di tutto l'agire
mondano.

Che Dio conservi il mondo mediante un'azione creativa continua


è affermato in generale nella visione storico salvifica, con i con
cetti di provvidenza e creazione; e, lo ripetiamo, non come conse·
guenza razionale della fede nella creazione ma per l'e~;perienza che ne
deriva. Poiché la rivelazione dell'azione storica di Dio conduce alla
sua azione creativa, l'attività creatrice di Dio deve manifestarsi non
solo nell'origine del mondo, ma anche, e ancora di più nella con-
servazione continua d'ogni momento e in seguito nel compimento
escatologico del mondo: è questa la creatio continua. Perciò la pro-
fessione di fede nella creazione dell'Antico Testamento con tutto ciò
che qui fu detto al riguardo, è dapprima e soprattutto una professio-
ne di fede nella conservazione creatrice dcl mondo, del suo corso
temporale e dei destini storici del popolo d'Israele e di tutti i popoli
ad opera di Dio. 14 A completamento di questa affermazione ci sarebbe
molto da aggiungere. La forza vitale di tutti gli esseri viventi è un
dono continuo di Dio:

Se nascondi il tuo volto, si smal'riscono


se ritiri il tuo alito, diventano cadaveri,
ritornano nella loro polvere.
Se tu mandi il tuo spirito, essi sono creati;
così tu rinnovi la /accia del suolo
(Ps. 104,29 s.)15

Tutto il Salmo 104 fa vedere, a mo' d'esempio, quanto il mondo


in ogni momento della sua esistenza abbia bisogno dcl sostegno ad
opera di Dio. 16 La giustizia di Jahvé «è l'auualità dell'atto crea-
tore di Jahvé, re e Dio. Essa viene trasmessa all'uomo come il
luogo capace di rendere possibile la vita nel suo proprio signi·

11 J.. Sc1tEHC:ZH,op. cii., p. 11.


t• Secondo G. Gloq:e (RGl,J V [ 1961] 14H7) questa i: •Il \'i~ della conoscenza
pt"r I sracle che, da una vitak l'Spcric:n1.a esis1cnzialc J'una crcaziunc: quotidiana,
perviene 'sempre più' a una lo..le di colui che ha creato 'in principio'•.
1 ~ Cl. lob. >-1,q s.; G1·r.. 2.;: facl. 12,7.
'"<.:f. G. v. RAD, Theologfr Jes AT I, 158 s.
PROVVIDENZA DI DIO E CONSERVAZIONE DEL MONDO 177

ficato». 17Dio fa morire e fa vivere (z Sam. 2,6). Egli elargisce piog-


gia, frutti, cibo a tempo debito (Ier. 5,24; Deut. u,14 s.; Ps. 145,
15}, egli plasma il giorno e la notte e le stagioni (Ps. 74,16 s.;
136,8 s.) cf. Sap. 1,7; II,24-26. Secondo lob 26,27 s.; 37,27 s. il
creare di Dio è attuale. La Parola, che fu mediatrice nella creazio-
ne, ne è ora anche la forza di conservazione (Sap. 16,26; Ps. u9,
51; Ecclus 43,26). Negli inni cultuali (p. es. Ps. 96; 66,5) la regalità
sovrana di Dio è qualcosa di esperimentato nel presente. Dio è il
re potente. 18 «Dite ai popoli: Jahvé regna! Egli fissò il mondo sl
che non si muova» (Ps. 96,10).
Anche il Nuovo Testamento dà onore al «re dei secoli» (I Tim.
r,17). Secondo Col. r,16, ogni cosa ha la sua consistenza stabile in
Cristo, il primogenito della creazione, nel quale tutto è creato. In
Io . .5,17 Gesù difende le sue guarigioni attuate di sabato (!): «Il
Padre mio opera fino ad ora, ed anch'io opero».19

In Io. 5,17 (e similmente già in Is. 40,28)21' può forse esser intravvista
una correzione riguardo al riposo sabbatico di Dio, col quale si conclude
il primo racconto della creazione? Il riposo di Dio dopo la creazione del
mondo può forse significare che l'attività creatrice di Dio precede sempre
ogni auto-sviluppo del mondo e dell'uomo, e anche la sua libera attua-
zione della cultura, in tutta calma e infinita superiorità, abbracciandolo
e sostenendolo nel suo riposo divino e per mezzo di esso il quale è
tutt'uno con l'azione creatrice di Dio; cosl che il riposo sabbatico di
Gen. 2,3 diventi appunto l'inaugurazione della creatio continua? 21

17 G. GLOEGI!, in K11D I ( 19n) 3' 001.1 33· con riferimento a K. KocH, Sdq im ·
A.T. (Diss.) Heidclbcrg 19n.
11 Cf. Ps. 91,14; 93,1 s.; 9,,3; 97,1; 98,6; 103,19; 149,2.
19 K. Burn (KD 111/i,10) richiama l'attenzione sul fatto che il termine cctta·
tore• nel Nuovo Testamento s'incontra solo una volta (1 Pttr. 4,19), mentre ordì·
nariamente ~ parafrasato con participi e proposizioni relative, e che quindi si pensa
alla creazione di solito espressamente [?] come a una azione storica di Dio, nel senso
della creaJio contm1111.
20 cDio eterno ~ Jah~~. creatore di tutta la terra; Egli non si stanca m! si af.
fanna ... •.
21 K. B.urn, KD 111/1, ro8.204·2,8. (spec. 249). Ugualmente in modo positivo -
con W. FousTEI, in TWNT, 111,1010 - L. ScHEl'FCZYK, op. cii., 61.; come pure
E. }ENNI, 'Die theol. Begriindung des Sabbatgcbots im A.T.', in Tht()l. St""itn 46,
Zollikon-ZUrich 19,6, p. 28 s., per il quale il sabato della creazione ~ •il rendere pos-
sibile l'alleanza quale meta della storia, coruquente alla creazione, tra Dio e l'uo-
mo•: •Attra'iJ:tSO il riposo, Dio mostra la sua disponibilitl ad entrare in un rap-

12. Mysteri11m Sal11tis, 11/2


I.A FF:DF. NF.Ll.A CREAZIONE

Se si rimane più vicino al testo, allora la preoccupazione a fondare la


legge dcl sabatll originariamente in Dio sembra offuscare agli autori
dcl codice sacerdotale la vista sull'attività crcatril-e permanente di Dio. 22
Anche l'indagine precedente circa il primo rncrnnto 23 della creazione, per
divl·rsi motivi, ritiene ;.-hc il Gen. 1 non voglia dire che Dio crea di con-
1 inuo, ma che ri11ttosto la creazione vi appare come un'azione di Dil'
conclusa, alla quale segue tuttavia la cura di Dio perché stabilmente
persista!
Nei simboli di fede della prima tradizione 24 si intravede nel nome di Pa-
dre e nella designazione spesso influenzata dalla Stoa, di Dio come
TCCl\l'toxp<i.'twp, reso spesso in latino con il termine 'omnìtenens', l'idea
della conservazione del mondo ad opera del Dio creatore. È interessante
il fatto che IRENEO zs ammetta proprio per l'uomo una creazione progre-
diente che si perfeziona avvicinandosi a Dio.
Sopra tutti AGOSTINO 26 ha sviluppato la dottrina della conservazione del
mondo; essa 1 è per lui un momento necessario dell'atto creatore. Tutta-
via si dovrà riconoscere 27 che nella patristica il concetto di creazione
continua è sviluppato solo debolmente. La scolastica 28 al contrario lo ha
discusso nel modo più ampio, prevalentemente sotto l'aspetto ontolo-
gico, compito che è proprio della filosofia. Per LUTERO l'articolo tradi-
zionale conserva il carattere esistenziale della fede nel fatto che «siamo
creati dal nulla da Dio e che siamo conservati quotidianamente dal
nulla..29 Creare est semper novum /acere.''111 Per l'interpretazione srorico-

porto di comunione ccn l'uomo inteso ((,11\C culmine della creazione... Per mezzo
della benedizione, Dio pone fone vitali in questo giorno•. Forse però non si deve
trarre di nuovo rroppe conseguenze da qu~-s1'unico pasw. l!n'in1crpre1az.ione t'llealo-
logica quasi corri•pondentc di Gen. 2,3 111raverso l Petr. 3.8 (un giorno dinanzi al
Signore è come mille anni) la dà per la prima volta la U-tterd d1 Barnaba'''· PC
2,no s.). Anche Gemente Alessandrino !S1wmald 6.16, PG 9, pp. 363-3i9. spcc. 370),
Agostino !De Gen. ad l.Ju. 4.12, PL 34.304 s.I tra gli altri, scol'llono in G('n. 2,\
il passaggio dall'a11ivi1à creatrice di Dio a quella conserv111ice (v. L. Sc11EFFCZYK,
op. cii., p. 49).
22 P. ScHOONENllEKC, Golles werdende Wc/1, cit., p. 40.
23 W. H. ScHMtDT. D1e Schopfungsgeschichle der Pries/erschrifl, cit., p. 183; dr.
184 s., ma anche 185·19i·
M Or. inoltre L ScHEFFCZYK, op. cii. pp. 2;. 29, 49, 62 no11 26.
25 Adv. haer 4.38, PG 7 ,1105-1109.
26 Per es .• Den Gen. ad liii 4,12,22. l'L ~.304; Con/. 11.13,15, PL 32,815:
comnicre11nt('m et omnilent:nlem•.
11 Con C. TR.ESMONT.\1'7. Li Mé111ph)•Jique du Chm11anisme, eia., p. 221.
li Cfr. L ScHEFFCZYK, op. cii., 98.114 0011 42. Tommaso, per es., riguardo alla
•conserva/io• della creazione: S th_ 1. q 104, a. t; Dc poi 5,t ad 1.
!9 W A 38,373,33 s.
'lii WA 1,563.8. Cf. WA 24,37,21-29.38,15-18.41,26-32; D. LORiaEN. Die Theo-
logie der Jchopfung bei L11ther. Gotringen 196<>. pp. 25 J., 30, 37-45.
PROVVIDENZA DI DIO E CONSERVAZIO:-IE DEL MONDO 179

salvifica della conservazione del mondo nella teologia moderna si può


citare F.A. STAUDENMAIER: 31 il mondo viene conservato da Dio affinché
possa venire redento». Circa l'azione di Dio che conserva il mondo, og-
getto delle dichiarazioni dcl magistero ecclesiastico ordinario, il magistero
'tr~mrclinario parla a stento in modo diretto.J 2
Da simile riconoscimento fondamentale, apparentemente molro
Poiché filosoficamente <lalla contingc::nza delle cose si deduce la luro
causa creatrice, contingenza che è un elemento costitutivo della strur·
tura del mondo empirico che gli è proprio non solo all'inizio - evcn
ruale - della sua comparsa, ma anche per tutta la durata della sua csi·
srenza. rer qucsrn In rre:11i0r.e (in senso proprio l diventa necessariamenu:
conservazione creatrice dcl mondo. Dei due concetti, che possono essere:
distinti tra loro solo logicamente, la creazione si rapporta al passaggio dal
nulla all'essere (il quale non può essere pensato temporalmente), mentre
la conservazione si riferisce alla durata nell'essere contro la nullità pro-
pria per essenza di ciò che è contingente. Al carattere ampiamente filo-
sofico della dottrina tradizionale su Dio come conservatore di tutte le
cose, corrisponde il fatto che essa nella sua origine è condeterminata dal
patrimonio filosofico dell'ellenismo, nel quale era viva l'eredità preso-
cratica, platonica e stoica/3 e che d'altra parte la creatio continua -
certamenre ogni volta modificata - trovò accoglienza nella filosofia mo-
dema.34 Come nella dottrina della creazione in genere, si fondono qui
insieme la speculazione greca cosmologico-metafisica e la coscienza cri-
stiana di fede portata cla un'esperienza storico-salvifica.35
Li S<.:rittura ci porta a completare la domina circa la conservazione
Jel mondo ad opera di Dio: Dio opera ciò che in tutta la storia
operano i popoli; inoltre tuni gli avvenimenti quotidiani nella
vita del singolo hanno in Dio il loro fondamento d'origine -
come abbiamo visto. 36 «lo sono Jahvé, che compio tutto questo»
(ls. 45,7; cf. 26,12). E Paolo confessa: «E Dio che suscita in voi
il volere e il fare, secondo la sua bontà» e «Tutto posso in colui

li Kirchen·l.~ikmt (cdd. H. J. WETZEt·B. WELTE) u (Freiburg 1848) :sr7.


ll Cf. DS 1784 - e la costituzione pastorale del eone. Vat. n del 7.12.1965 (n. 19):
.. L'uomo esiste solo perché, creato da Dio per amore, viene pure sempre conservato
per amore».
l l Questa è la conclusione di: H. HoMMEL, Schiipfer und Erhalt". Studien zum
Problem Cbristentum und Antike, Berlin 1956, p. 137; cf. pp. 81-132.
l4 a. per es., DESCAITf.S, Meditationes lii (cd. A.T. VUA9); MALEBRANCHE,
f.ntutiens métoph. v11,7; SPINOZA, Ethica I, prop. 24 coroll.
JI Cf. R. PtENT!i.R, Schopfung und ErlOsung, cii., p. 187.
16 Vedi sopra pp. 172 ss.
180 LA l'EDE NELLA CREAZIONE

che mi dà la forza» ( Phil. 2, I 3; 4, 11 ), Ciò che noi conosciamo


come azione delle creature t- insieme l'azione del creatore: un
operare causato. Ambito e fondamento di questa convinzione di
fede è di nuovo l'esperienza storico-salvifica: non è solo la statica
del mondo e dei suoi elementi - chi ci potrebbe metter mano?
- ma la dinamica di tutto quanto accade e che interessa il po·
polo d'Israele e l'uomo Gesù Cristo e tutti gli uomini cristiani,
che provengono dalla mano onnipotente di Dio e riposano in essa
- per la salvezza.

\,i si dovrà tuttavia chiedere se ques1:1 asserzione hiblica fondamentale


sull'economia della salvezza contenga in sé dè> che la tradizione teo-
logica - per altro di tutte k· confessioni cristiane (con forti differen-
ziazioni) - insegna riguardo 111la 'cooperazione' di Dio creatore con
l'agire creato, riguardo cioè al amcur.rus divim1s. Qui si è in presenza di
una riflessione filosofica (verso la quale getta il ponte Aci. 17,28! ). Se-
condo questa teoria Dio solo mantiene nel suo essere quanto ha creato,
dando durata stabile alla sua consistenza. Poiché ogni essere esistente è
necessariamente e costantemente un essere che agisce,37 ogni cosa si trova
nel campo del 'concorso' di Dio che la sostiene nell'essere, dato che essa
ha una struttura operativa nella misura in cui fa parte del processo del
mondo e sprigiona un'attività propria. La conservazione del suo essere
(dinamico, operativo!) diventa senz'altro collaborazione col suo operare.
Il fondamento della sua necessità è il fatto che ogni agire della creatura è
produzione che si ouiene con il passaggio da potenza ad atto, dall'essere
meno all'essere più, quanto a realtà; e come tale può avere il suo fonda-
mento sufficiente solo nell'agire immanente della realtà infinitamente per·
fetta, insuperabile (dell'actus purus). Come abbiamo già notato prima
quanto abbiamo detto presuppone una filosofia che giustifichi le sue idee
e le sviluppi nel suo contesto coerente e secondo il suo proprio metodo
fondamentale: altrimenti la concezione teologica del concursus divinus
non sarebbe che un discorso privo di senso.

A Dio deve e può essere attribuita una causalità universale, che


tuttavia non è assolutamente causalità esclusiva. Questa distinzione è
essenziale; essa necessariamente interessa non solo l'essenza del

n Cf. J, B. LoTz, On1olo1.i4, Frdburg 196J, pp. 96-r": •omne ens est opertlli-
vum».
PROVVIDF.NZA. Ili Uln f. CONSRRVo\7.IONF. Dl!I. MONDO 1li1

mondo e in special modo quella dell'uomo, ma l'essenza di Dio.


Non è che l'uomo e il mondo stiano da una parte, mentre Dio
dall'altra in concorrenza di causalità, in un rapporto di coopera-
:done su un piano orizzontale, Ji lll:Costamento o Ji opposizione
reciproca; questo schema di presentazione costringe a rifiutare
all'unn parte ciò che viene Jnto nll'nltrn. Mn non è cosl. Dio e
uomo-mondo non sono cause parziali di effetti parziali (perciò il
discorso si•lla collaborazione non deve essere inteso letteralmente
come 'sin-ergetico'): ciascuno attua interamente il tutto. Questo
però in una inclusione e in un riferimento 'verticale' oppure 'ra-
dicale': la creatura in un' 'esteriorità' categoriale (in relazione all'es-
sere così); il creatore, in un' 'interiorità' trascendentale (in relazione
all'essere ). 31
Dio È, e l'uomo-mondo sono; Dio agisce, e l'uomo-mondo agi-
scono. L'attività propria delle creature non restringe l'azione dcl
creatore, e l'attività propria del creatore non restringe l'azione delle
creature: questa sorge da quella, e quella fa nascere questa. Questa
struttura causale nella sua analogia e dialettica è radicalmente non
più materialmente oggettiva, bensl personale, soggettiva, e inter-
soggettiva.Jt Essa non ha nulla a che vedere con l'affermazione di
L. FEUERBACH 40 : «Fino a che mi sento dipendente, mi sento co·
me un nulla•. Nella relazione Dio-uomo (e mondo) domina la
legge della libertà dcl rapporto personale, nel quale - specialmente
nella sua forma completa, nell'amore d'amicizia - il legame sem·
prc più stretto con l'altro e lo sviluppo della propria personalità

li Cf. Tommeso: .c,c11,c 11utem ert dare csu• (1 Scfll. 37,1,1) - ude11 omflibus
ut cttusa eumJ1. (S. th, 1, q. 8, 1. 3) - •ctSC est m11gi1 i11tim11"' c11ilibet et qllOll
pro/1111Ji111 01,t11tb<11 incst• (S. th., 1, q. 8, a. 1; d. S. th., 11 q. 10,, a.'; ~ Scflt., 1,1,..;
Dc anima 9) - .ncus nt propria et immetliata r1111111 u11iu1cuiu1que rei et qllOdtmr-
moJo mnx.i; ,,,,;,,,., cu1que quam ip1um sii lfltimum sibi• (De ucr. 8,16 ad 12).
J9 E. P.RUN:-IE~. Dir chmtlicht uhrt "°" ScbOp/ung u11d Erl0su11g, àt., p. 168.
40 w..r.'.:e v11, 2 (cd. Bolinl Analogamente anche J. Oriega y Gassct (Werke m,
S1urtgar1 1956, p. p 1) si lascia condurre dal principio sbrigativo della •ci•mbdla>
(ciò <'he m3ngia uno, non lo può mangiare l'aluo): «Per chi esiste come ~tura.
per costui vi\·erc non significa poter vh-crc indipendentemente, a sé, egoisticamente,
ma solo in dipendenza da Dio e in continua relazione a lui•. In un modo più
profondo. H. Blumcnberg (Dir kop..rnikanischr Wendc, Frankfurt 1')6~. p. 9) vede
l'uomo dei tempi m~i in una •snnprc più ~ta divisione tra le sue possibi-
lità trascendentali di salvezza e la ~ua auto-.alttrmazionc all'interno del mondo•
I82 LA FEDE NELLA CREAZIONE

vanno di pari passo, in un crescendo .reciproco (non in proporzione


inversa)!'
In ciò consiste la divinità di Dio: che Egli agisce in modo tale
che mondo e uomo abbiano un essere indipendente e un'attività
loro propria. L'essere, il valore, l'azione propri della creatura ono-
rano il creatore, che è il solo a dare loro realtà ed efficacia. Egli
è sempre l'(infinitamente) più grande nella grandezza (finita) della
creatura. 42 Sarà compito della teologia del Dio della grazia pre-
sentare Dio come colui che rende libero l'uomo e lo porta alla
libercà. 43 Il creare dal nulla è la categoria propria dell'agire di Dio; 44
in ogni cosa è all'opera questo agire di Dio, anche in tutte le opere
culturali dell'uomo (in questo senso anche la mia macchina da scri-
vere è una creazione di Dio ).45 De.finire però per tal motivo tutte
le creature «maschere e travestimenti di Dio» 46 è tuttavia, e proprio

41 Cf. K. H.111NF.R, Srhri/1<•11 1, p. 183.202; F. MALMDF.RG, Ober de11 Gollmenschen,


Co!!. •Q1111esl. Jii·p.• 9, Frc:iburg 1959, pp. 24,35,46,63.
42 Cf. Tominaso: ~Detrabere perf~clioni crealurarum esl <ll.'lrahcre perJectioni di-
vinae virlu/i;,. (.\'c.g. I. 3,69) . .. Ex virlule euim agentis est quoJ suo e/Jectui dt:i
virtu/!'111 .ig:•ndi ... Sic igitur intelli1.cnJ11m est Dr11n1 upa<Jri in rebus, quoti t11men
[?] ipsae rrs proprÌilm hebeallt opaali<lnem•.
43 a. K. RAHNER, SchriJten lii, pp. 169-188; H. KvNG, Rechtfertigimg.. cit., pp.
257-266.
44 G. Gloege (RGG1v(1961)q81) a proposito di Lutero (cf. Wr1HA02,29ss.)
45 D.-M. Olenu !La Théologie 11u douz.i~me siè-cle, Paris 1957, p ..u) traccia un
interessante parallelo dall'attivismo circa la creazione, proprio della scuola di Char-
tres (sec. Xli), alla coscienza tecnica del presente: anche la creazione: della cultura
da pane dell'uomo fu allora fatta risalire: all'unica elficienza di Dio - con il rico-
noscimento però delle diflerc112e esisteoti rispetto alla azione delle cose naturali:
UtEl'iU cita (p. 45 nota 3) un manoscritto: De 11rtifocù1/ib11S qll4eritur "'"'"' 11 Dea
/<1cta si,,t, sicut cast:us, et sott1lares (scarpe:), et huimmodi qune dicuntur esse bo-
minis non Dei ... Unus ergo omnium auctor Dem ...
46 LUTEIO, WA •ì tt,192,28 s.; cf. 40 1,1;4.1 o: ahrove c ... egli le vuole far agm.·
con lui e aiutare a creare <>!!Di cosa, che qrli turtavia può fare e fa 1nchC' llt"ll•a
la loro rollaborazicne1>: ques1a continuazione della citazione suddetta (riga 29 s.) è
e•aua solo in pane; poiché Dio non può attuare un pensare, un volere e un sen-
tire umano senza l'uomo e la sua azione. E perfino quc.-s1a bella frase di Lutero
CWA 301,136,8-10) suona ancora come uoppo strumen1alc: cPoic~ le creatwe so-
no solo la mano, canali e mezzi, attraverso i quali Dio d~ tutto, come alla madre
egli dà il petto e il Ime da porgere al bambino... •. Così dice Lutero ancora ( W A
n.1ì842-1;9,1 ): •creatura ex nihilo est: ergo nibil sunt omnia quae cre11tura pe>
tt'St• - veramente =on l'aggiunta Criga 1 s. ): csi scilicet creatori opponantur, qui
dedit ei esse•. Come ana!ogamente anche Tommaso distingue nei passi pessimisti:
comnis creatura tenebra es/ cor:pJTata immensilat1 divini /uminis• (S. th. ll·II, q.
PROVVIDENZA DI DIO E CONSERVAZIONE DEL MONDO

per tal motivo, un'espressione che deve essere precisata. La creatura,


certamente, è nulla da sé: però essa ha in sé da Dio e per Dio il suo
essere. Questo suo ( re-lativamente assoluto) essere e agire sono la
gloria del Signore (assolutamente assoluto).
Da simile riconoscimento fondamentale, apparentemente molto
i1stratto, del rapporto creatore-creatura c'è solo un passo verso una
autonomia pluralistica degli ambiti propri del mondo, della vita e
della cultura, per la loro autonomia relativa, contro un semplicistico
integralismo ecclesiastico-politico e contro ogni monismo metodo-
logico pseudoscientifico .47

In questo contesto trova posto la domanda, se l'attività propria del-


le creature, alla quale Dio collabora attivamente, abbia quasi la forma
di un'evoluzione u11iversale (poiché è evidente che in tutte le singole
forme del mondo e della vita si trova un'attività che conduce ad un essere
di più, ad un grado di sviluppo più elevato): è il problema dunque della
creat.ione e dell'evoluzione.• La problematica non può essere qui trattata
ndla :>ua1 vastità; essa è per una pane conosciuta e per un'altra è risn-
\'&ta alla sezione di questo volume che riguarda l'origine dell'uomo.
Alcuni r.1pidi renni chiarificatori dunque: secondo lo studio di W
H. SCHMIDT'" sul primo racconto della creazione, il quale soprattutto
offre punti d'appoggio per un'interpretazione evolutiva, un' 'evoluzione'

'' 1. 1 1d 2); •tendere in nibilum non e$I proprie motu$ Mtur11e, ud e$I ip$ÌU$
de/ectrm• (De pot. p ad 16).
~ a. A.·D. Scrtillanges (L'idée de cré11tion, cir.): « ...c'est précisément pan:c que
Dieu donne tout quc la creature peut demeurer, sous son action, autonome et libre,
car il peut lui donncr cela meme• (p. 6o s.). Dio dà alle creature «la plus parfaite
1utonomie existenliellc et fonctionnelle• (p. 59). Sl: «Toutes choses sont de par Dieu,
com~ s'il n'y avair pas de Dieu•.
41 O.Ila leueratu,. già troppo vasta per essere abbracciata rutta quanta indichia-
mo: A.·D. SERTILUNGES, op. dt. pp. x28-14}; Scb0p/ung$g/11ube und Eniwicklung$-
tbeorie. Eine Vortrag$reihe, Stuttgarl x9n; P. UtAUOIAllD, La création évolutive,
P1ris 19n; P. OvERHAGE - K. RA11NE1t, D/1$ Probkm der Hominisation in «Qu!le$t.
disp.• 12/13, Fre'òurg 21963, hibL: pp. 380-399; (!r. it.: Il problema dell'omini:cu-
?ione, Brescia 1969); P. ScHOONF,'iBEIG. Gotte$ werdende \Velt, cit., pp. 9-49: E. BENZ,
Scb0p/ung$g/aube und Endieitalter, Miinchen x965; G. ALTNElt, St:b0.ofung$/!,/aube
und Entwicltlrtng.<gedanlte in der protest11ntùcben Theologie zwùchen Ernst H11ecltel
und Teilb11rd de Ch11rdin, Ziirich 1965, pp. 95 noia 67, 127·136 ulteriore bibl.
specialmente di reologia evangelica); ]. HVBNEI, Theologie und biologùche Entwick-
lungslehre, Miinchen 1966.
f9 Vedi bibl.: p. 186. li. U. v. B.urnASAlt, Wer i1t ein Chrùt, Einsicdeln 3 1966,
p. t09 (l. it.: Chi è il cristiano?, Brescia l1969l: «Si possono spremere i testi quanto
si vuole: ma non ne esce la più piccola goccia di evoluzione».
LA FEDE Nl!LLA CREAZIONE

non è conosciuta in Gen. 1. Per SERTILLANGES SJ al contrario la cosme>-


gonia biblica è «nettement évolutive»: a 'causa del ritmo dei giorni, nei
quali uno dopo l'altro, dopo corrispondenti preparativi, compaiono i
regni della natura. Si rimanda anche al fatto che secondo Gen. l ,10,
24.20 la terra 51 produce le piante e gli animali domestici, come l'acqua
produce i pesci, secondo l'ordine creativo di Dio. Però non si devono
sopravvalutare questi passi, solo perché si adattano ad un particolare siste·
ma. La diversità delle concezioni fondamentali, cosmologiche in Gen. l e
Gen. 2 (cosmologia 'terrestre', oasi nel deserto, da una parte - cosmologia
'acquatica', divisione delle acque iniziali, ccc., dall'altra parte) relati·
vizza la rispettiva concezione a una pura forma modello, a figure orna-
mentali dell'asserzione propriamente biblica di un Dio creatore, della
dignità dell'uomo e della sua sorte colpevole; 52 e ~e ci s'impegnasse aò
affermare che piante e animali, se~ondo Ge11. 1, si formano delle terra
e dall'acqua, in tal caso è de ritenere per contro che, come viene più
volte messo in rilievo in Gen. 1 ,11 s., 21.24 s., e~si vengono consi·
derati «secondo la loro specie», secondo le loro specie attuali, coti·
siderate quindi come fisse (diciamo più esattamente: il problema
della costanza della specie e quello dell'evoluzione non esisteva e
non poteva nemmeno esistere allora). Purtuttavia per far cadere le
prevenzioni ancora esistenti contro una concezione evolutiva delle
scienze naturali potrebbe forse avere utilità pedagogica (o andNgo-
gica), rinviare e quanto segue: secondo BASILIO 53 l'origine degli orga·
nismi viventi dal fango è un'opera del quinto giorno della creazione,
EFREM, BASILIO, CRISOSTOMO, VITTORE DI MARSIGLIA, tra gli altri,
fanno sviluppare gli uccelli da uno stato simile a quello dei pesci.
GREGORIO DI NrssA 54 afferma: «In potenza tutto era racchiuso in ciò
che Dio fece all'inizio nell'atto di crcazìone, in quanto c~ simultanea-
mente egli immise una certa forze germinativa ( OllfQµanxijç nvo;
bvvaµw>ç) per la formazione di tutto; in realtà la singola cosa non

SJ Vedi: Die Schop/ungsgeschichte der Priesterschrift, cit., p. 130. E. C. WESTEJt·


MANN, 'Der Schopfungsbericht vom Anfang der Bibcl', in Cdwrr He/te 30 (Stuttgart
196o) p. 20: «Qui (in Gen. 1) il concetto dell'evoluzione è inserito con un'ampiezza
straordinaria nell'avvenimento della creazione• (secondo W. H. So1M1DT, op. cii.,
p. r86 nota 5 ).
51 La concezione della terra come «madre comune" (Ecclus 40,1) è molto diffusa
nell'antico oriente (W. H. ScHMIDT, op. cit., p. ro8 nota 4). Ma ques[O è appunto
un motivo per ritenerla una forma di presen[azione, non un oggetto dell'asserzione
della Bibbia.
52 Secondo N. Lohfink (Vor/rag Pullach 20.9.1965).
53 Hexaifmeron 7,1 s., PG 29,148-152; EFREM ecc.: secondo J. BRINK'fRINE, Die
I....hre Hm der Schòpfung, cit., p. 262 nota 2.
~ Hexai'meron, PG 44,77.
PROVVIDENJA DI DIO E CONSERVAZIONE DEL MONDO 18_~

era ancora presente» (Al contrario la teoria, molto apprezzata soprat-


tutto da AGOSTINo,55 de!le - stoiche - rationes semina/es non signi-
fica affatto evoluzrone akuna, nel senso moderno della parola, poiché
fa essere presente fin dall'inizio formalmente distinto tutto ciò che
si attuerà in futuro: si tratta dunque di preforrna7.io11c, non di epige·
nesi ). E AMBROGIO 56 risolutamente afferma: Haec (cioè l'anima umana)
est ad immaginem Dei, corpus autem aJ speciem bestiarum. Come già
il preso::ratico ANASSIMANDR0, 57 cosl pure ARISTOTELE !Il in maniera
s::irprendente era orientato all'evoluzione. La sua concezione della
genera/io aeq11itioca, della generazione iniziale spontanea degli organismi
da materia anorganica, ha sempre goduto considerazione presso teologi
e scienziati al di là dello scolastico Medioevo 59 fino al secolo xix. La
concezione, che pure si rifà ad ARISTOTELE e a TOMMASO, dell'anima-
zione spirituale dell'embrione umano, che avviene solo dopo stadi di
vita vegetativo-sensitivi, concezione affermatasi per tanto tempo come
la teoria teologica predominante, la si può considerare come un modello
ontogenetico di evoluzione filogenetica.l!O Anche teologi cristiani 61 -
nell'ambito cattolico per lo meno prima dell'intervenzione della Commis-
sione biblica del 1909 62 - già molto presto si sono accordati positi-
vamente con la teoria di DARWIN. Che l'evento cosmico ddl'evoluzionc
estesa a tutta la realtà, dalla materia anorganica fino all'uomo quale
culmine dell'evoluzione, filosoficamente non sia impensabile,., si palesa
come probabile sullo sfondo della metafisica tomistica, che non disdegna
gli aiuti filosofici di l:IEGEL: in seguito alla radicale dinamica dell'in-
finità di ogni atto dell'essere, a implicazione universale delle essenze fi-
nite (delle 'specie' di ogni genere) in forza della loro costiruzione idea-
le, con l'aiuto dello schema filosofico aristoteliCO:scolastico della eductio

1'I Dr Grn. aJ litt. 6,10; 9,17,32, PL 34.H6-4o6. Cf. E. PonALIÉ, in DTC t (31923)
2349"23S5·
56 Heuimrron 6,7A3· PL 14,274.
51 A 30 (cd. Diels).
a. [.,,
51 ,ss
rtoriP degli animali 8,1; a 13-b22. Cli. Darwin: cLlnnco e Cuvicr
son stati due miei pe~rini ... , ma essi sono ~mplici scolari di fronte ad Aristotele•
(Thr Llfr .mJ Lrttrrs, ed. F. Dull'IN, London 1887, 111, p. Jj2).
511 Cf. in TOMMASO: S. th. 1. q. 78, a. r ad 3; 91,2; Dr pot. 3,8 ad 16.
611 a. BatHKDINE, op. cit., 2_s, s. (bibl.); rcccrnanente: A. Nn!DHMEYER, HanJ-
buch Jrr spezidlen PastorolmrJhin lii, Wien 19,0, pp. 10,·131; G. SAUSEl·M. Vooo-
PIVEC, in Gott ù1 Welt 11, pp. 850-872.
6l a. il libro ricco di materiale di E. Beuz, op. dt., pp. 1n-205: G. ALTKER, op
cii., pp. 6-,4.
62 DS JSl2-3,19.
63 Contro, p. es., H. E. Hengstcnbcrg, (F.volution ttnJ SC"bOpfung, Miinchen 1~).
19-22-49 e sp~) che ritiene metafisicamente impossibile il passagio da specie 1
specie.
186 LA PF.Da NELLA CREAZIONE

/ormae e potentia materiae e della funzio1:1c... dcl caso .. - schema che


si avvicina ai sahi dialettici di Tiamat - . Una spiegazione per l'attua·
zione dell'evoluzione universale la possono porgere questi fattori di
probabilità immanenti al mondo, solamente però se viene inoltre accet-
tata l'efficacia della potenza attiva di Dio, infuiira e trascendente il mondo
(e come tale presente interiormente nella creatura esercitandovi la sua
attività): il processo dcl pensiero metafisico abbozzato più sopra a p. 180
- in sostanza la prova del divenire di ARISTOTELE - trova con ciò
applicazione non solo nell'auto-trascendenza dell'individuo quale creatura,
attuantesi in ogni azione, ma nello sviluppo dcl vivente in genere nel to-
tale divenire cosmico."
Come la fil0So6a, cosl anche la teologia si accorda per lasciare per lo me-
no il campo libero per abbozzi unitari evolutivi sulla formazione dcl
mondo (dcl tipo di TEILHARD o di ahri ), riguardo ai quali resta tut·
tavia da considerare se e fino a qual punto conoscenza e riconosci-
mento della pluralità dci campi di vita e della scienza del mondo odier-
no consentono di adoperare questa libertà per disegni unitari.16 Se la
teologia possa impegnarsi in proposito muovendo dalla rivelazione (e co-
me altrimenti?), deve essere esaminato criticamcntc.07 Oggi non si ha
difficoltà a dichiararsi d'accordo con la frase, con cui C... DARWIN
concludeva la sua opera dcl 18,9, che ha fatto epoca, Ober tlie Ent-
steh11ng tler Arten (per opportunismo o meno]: «if: una concezione
grandiosa che la vita con la diversità delle sue fonc sia stata inspirata
dal creatore originariamente solo in poche forme o solamente in una
unica forma, e che questo pianeta, mentre segue la sua corsa cin:o-
lare secondo le leggi fisse della forza di gravità, da un simile sem-
plice inizio, abbia dato sviluppo a una serie infinita di bellissime
e meravigliose forme e che ancor sempre si evolva•. In ogni caso,
il creatore non può essere per noi il 'dr. ing. di primo grado', co-
me ironicamente disse E. HAECKF.I... La riflessione filosofica e eco-

M Cf. W. B1uooER, 'Die ontnlogischc Problematik der Entwicklung und der di1-
lek1ischc M11eri1lismus', in Schol1111ilt, n (1960) J11-341; e in base • questo articolo
VI. KEDI, •Dokurncn1e der Paulu~lschah• 6, Miinchcn 1964, pp. 6.t·n.
15 Cf. K. Rllmer in P. OvUllAGE-K. lùHNP.I, op. cii., pp. 13-go; spec. 64-70.
• K. Japcn lllelte in guardia conno e~ IKlriw Scb•le tlrr pbilosopbircbn
V,.nltrns, Miinchen 11966, p. 18).
~1 Qualora una simile fonnula sinretica non si pttsti troppo f.:ilmenic al malin-
tC50, noi chicdettmmo se li; veduta unitaria di Teilhard non debbe ~ 11119-
veno 11 critica di Baltluisar, dove il suo dmtto ottimismo verrebbe IOtto in questa
crisi cristiana (e, indimwncnte, ristabilito di nuovo). Cf. p. a. H. U. v. BALTHASU,
in Vlort """ Vl11brbeil 1 8 (1963) 339'3,0; 10., D111 G111'%c: ;,. fr•peru, F..imiedeJn
1963, pp. 201 •.• 114 ss .• 137-141. .
• Die uherrsw,,,,J~. Sruttprt 1904, 421.
l'RCl\'\'IDEN7.A PI DIO E CONSf.IVAZIONF. DEI. MONDO

logica conferma che è la maniera di Dio lasciar fare alla creatura ciò che
è in grado di fare con le sue capacità e forze - date da Dio e glorifi-
canti Dio... Non appare forse in modo anche più impressionante tutto
quanto il cosmo assunto nell'azione di Gesù Cristo per la redenzione
del mondo, se 111 progenie umana, dalla quale uscl Gesù come suo capl'.
è strettamente legata, nel modo reale di un'evoluzione universale:, con
rurre le forme Jd momlo e tutti gli c:vcnti Jclla vita!'"' E 1ut1;1V1;1 l
necessario ripeterlo: la questione circa Mmile bioloitica affinnà d'onl(ml",
per 4uantu stia 111 primo piano nell'interesse odierno, appare: come ~c<.:on·
daria per l'uomo m 4mmto uomo le per un'aniropoloitia metafisica teol,,.
gico-filosofica l. Ciò lo pom:bhe ptcsumihilmcntc insegnare: ancht" 111 di-
scussione. reccnrementL' sorlll. sul problem11 di un eventuale poligenismo
dell'unm1 proitcnie umana; perché, se il rapporto genetico m1 uomo e uo·
mo non dovesse aver appunro tanta importanza, allora cerro non avrebbe:
molta importanza nemmeno quello esistente tra uomo e animale. Ci se.•·
no rapporti più stretti e signi6cativi.

L'affermazione della teoria della evoluzione universale, reologicameme


.: filosoficamente più significativa, riguarda l'uomo: 71 I.' uomo è il sen
so del mondo. Lo attesta universalmente la rivelazione, conservata
negli antichi racconti sulla creazione: l'opera creatrice dei sci gior-
ni, di Gen. 1, culmina nella creazione dell'uomo, fatto ad imma-
gine e somiglianza di Dio, in modo che egli governi il mondo co-
me vicario regio del Dio creatore (Gen. 1,26-31 ).n
Con tutt'altra forma di presentazione Gen. 2 dice la stessa cosa:
Dio prepara il mondo come dimora per l'uomo, il quale però ~
qualcosa di diverso da tutto il resto, anche dagli animali che gli

69 Cf. li. VoLK, 'Schilpfungsglaube und Entwickluna' in Goti allei i11 llllt11t, Maim
1961, pp. 26-.µ.
111 Cf. H. DoMs, 'Die Stellung dcs Mcnschcn i.m Ko.mos, in H. BEama, H. DoLCH
cd altri, Vom Unbeleb1t11 zum Lebe11Jigen, Stuttgart 19,6, pp. 2,1-173,272. Non dice
anche la costituzione pa11orale eia 0.icsa nel mondo d'ogi• del Vaticano u (n. ,):
•Wal l'umanità compie il pasaaggio da una concezione pili stitica dell'ordine dc:Uc
cose, verso uni concezione più dinamica, mettendo in risalto il conce110 Ji evolu·
zione•?
71 All'uomo 1endono, anche prescindendo dalla teoria evoluzionistica, l'cnenza e il
divenire Jcl mondo intero. Anche se la sioria della natura non fosse un' ..nuopo~•
embrionale• (espressione di H. U. v. Balthuar) nel senso causale genetico, l8rebtx
ugualmente «macroantropulogiu (v. aopra p. 102) nella dimensione profonda della
causalità finale cd esemplan:.
n a. in questo volume il cap. IX acziooe 1; inoltre w.H. ScKMIDT, op. dt.,
pp. 136-1 .....
r88 LA Flòl>F. NF.LLA CREAZIONE

stanno vicini, ai quali egli come padro~e dà il nome (Gen. 2,8 s.,
18-20). Cosi Ps. 8 interpreta il passo di Gen. 1.26-28: «Dio ha
posto l'uomo solo di poco al di sotto delle potenze divine, lo ha
coronato con gloria e dignità; gli ha donato il dominio sull'opera
delle sue mani, sl, gli ha posto tutto sotto i piedi, specialmente
il mondo degli animali nel cielo, sulla terra e nel mare» (cf. Ps.
l 15,16; Hebr. 2,5 ss., applica Ps. 8 a Cristo, che per mezzo del
suo patire ha fondato una comunità straordinaria per i suoi fratelli).
Secondo I ac. I, I 8 l'uomo è la primizia del Pa&e nel regno della
sua creazione. La prima grande teologia ci disse una volta per
tutte n che il mondo fu creato per l'uomo. La scolastica, apparen·
temente sobria al riguardo, ci insegna che nell'uomo le cose del
mondo possano raggiungere se stesse, la loro vera autenticità. 74 Le
nostre precedenti ricerche ci hanno sempre condotto a questo cul-
mine del mondo che si chiama uomo. Il mondo muto, pur sempre
parola di Dio, vuole trovare risposta nell'uomo. 75 Ciò che nel mondo
è come orma del Dio uno e trino, spalanca nell'uomo gli occhi
dell'amore: in quanto imago trinitatis. 16 L'uomo è il punto focale
della glorificazione di Dio attraverso il mondo. 77 Potremmo dire che
anche il concilio degli anni 1962-1965 ci incoraggia a vedere l'uomo
in simile prospettiva.78
Il mondo, in quanto mondo dell'uomo, sta in quel processo di
evoluzione che si chiama storia: creazione in libero divenire. Que-
sto mondo nel modo più chiaro è un mondo che si evolve: mondo
che si protende innanzi impetuosamente con mobilitazioni di po-
poli insospettate, piene di promesse e anche di minacce. L'uomo,

73 Vedi sopra pp. 137 s. Come Giustino anch:: Taziano (Or. adv. Graecor 4. PG
6,814) dice che la formazione dd mondo con il sole e la luna è avvenuta «a nostro
favore• (xoiew iuui>vl.
74 a. Tommaso: crcs nata est animae coniungi et in anima esse» (S. lb., I, q. 78,
a. 1 ); «Creatura corporalis facta est quodammodo proptcr spiri1u1lcm• (S. tb., 1, q.
65, a. i ad 2); coportuìt ad perfecrionem universi esse aliquas n11uras intellectualcs•
(S e .g. I. 246; cf. 2 Seni., 1,2,2; 4 Seni., 49,1,2,2; De ver., 20,..; S. c. g. 1. 3,112)...
In particolare anche S. tb., 1. q. 14, a. 2 ad 1; De ver. 2,2 ad 2; 1Seni.,17,1,5 ad 3.
7' Vedi sopra pp. 102 ss.
76 Vedi sopra PP- 122 ss.
n Vedi sopra pp. 1 34 ss.
n Co11t111zionc dogmatica sulla Chiera, o. 48; Co1tituzione pttrtorole rulltt Cbiera
nd mondo d'oui, n. 12.
rROVVIDl\NZA DI DIO E CONSERVAZIONE DEL MONDO

dai tempi di Copernico non è più il centro spaziale dell'universo,


è la mèta temporale di esso (in quanto storia significa il tem-
po 'più temporale'). f: la freccia che indica il senso del futuro. 79
L'uomo di fronte al futuro non disponibile, che si chiama Dio, deve
nello stesso tempo liberamente disporre del suo futuro-mondo.IO
«Agire, significa: mutare la forma del mondo». 81 LI.' utopie devo·
no trovare il posto ( 't6'1toc;) della loro realizzazione - speranze asso-
lutamente utopistiche sarebbero illusioni, oppio per il popolo. 81
«Nulla può rimanere inte"ntato della tendenza verso l'essere in mo-
do migliore. Il cielo vuole che noi veniamo in soccorso gli uni
agli altri (che noi Io aiutiamo)». 83
Su questo gradino dell'evoluzione dei tempi del mondo, che è
la storia dell'uomo, ogni falsa valutazione circa la determinazione
dell'avvenire dell'uomo si svilupperebbe in una dimensione non
umana: quasi come se l'uomo futuro - in un mondo strutturato ,in
modo totalitario - dovesse differenziarsi dall'uomo attuale come
(o ancor più) l'homo sapiens dai suoi 'affini' animali.14
A ciò s'oppongono non solo quelle strutture metafisiche ultime
e le funzioni d'assolutezza - in genere nell'ambito di realtà-verità-
valore - che formano la natura spirituale immutabile dell'uomo
(la quale è richiesta per un'autoattuazione storica, in autenticità

79 P. Teilhard dc Chardin (Lz vision J11 fNISSI, Paris 19'7) perla nel 19'0 del
cnco.ntropoccntriamo, non più della posizione, ma della direzione nell'evoluzione-.
IO a. Cbristent11m 11ntl M1mcism11S. htult. Gtspriiche tltr P11ul111-Gtstllscb.ft (cd.
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30 (1966) rr6-1n; J. B. METZ, Vtr11ntwortunr. und Ho8nunr., Mai.nz 1')66; O.
Fuam1E1M, History 11nd Futurolor.y, Mcisenhcim am Gian 1966.
11 J. P. SAll'?llE, L'ltrt ti le nltlflt, Paris 1943, p. ,os (tr. it. L'essere t il nulU,
Mondadori, Milano).
12 Cf. E. BLOCH, 'Das Prinzip Hoffnuns' (1938-1949), 2 voli. in Vitrite '' Frank·
fun 19,9; al riguardo W. D. Muscu, Holtn wor1111f?, Hamburg 1963.
Il P. TEILHAID DF. ÙfAltDIN, Lt1ttr11 11 M11rghtrit11 Teilhad dcl 4.8.1916; d. m.,
Entwurf uNl Ent/tlltunr., Frciburg 1963, p. 139.
14 Cosi già FABllCIUS (r748-18o8), un discepolo di LINNEO, secondo M. LANr>.
MANN, Pbilos. Anthropolor.ie, Bcrlin 21964, p. 146 nota 2. E. BENZ, op. cit., pp. 89"
91,1o6,u,.,162-166,209 s., cf. pp. s, s.) porui prove schiaccianti di E. Diiring, A. R.
Wallace, L. Biichncr, Nietzsche, M.]. Savqc, E. Hacckcl, Sri Aurobindo. Cosi Sa-
vaac nel 1876 dice che eia distanza, che separa le fonnc più evolute dei mammiferi
da quelle meno cvolu1c degli uomini ~ un nulla in confronlo alle divergenze molto
più grandi, che 5Cp1rano qucs1i uoinim inferiori da Danic, Shakespeare e Newton
e da 1ltri geni della nos1ra rlZU• Clb1J p 164).
LII FEDE NELLA ClEAZIONE

personale, della comunità con gli altri):. in Gesù Cristo, in cui Dio
assunse la natura umana, questa è conformala una volta per sem-
pre come insuperabile e divinamente inviolabile. Non c'è nulla di
completame11te nuovo per l'uomo: Cristo è la sua ultima, già cffot-
tiva realtà. Lt: terribili capacità umane di d..:viazionc rispetto ali..:
sue possibilità future e l'esperienza assai reale dt:i mali e: Jdlt: ~olk
renze del tempo presente fanno capire chiaramente che 4uesto mon·
do, nonostante la provvidenza di Dio che governa sopra di esso e in
esso, non è un mondo nel quale all'uomo, o almeno a noi buoni
cristiani, 'non ci possa accadere niente di male'. In esso - prima
della fine - ci può accadere il peggio. 1~ L'abuso della libertà creata,
che 'oggi e fin dall'inizio' porta la responsabilità del male, è possi-
bile a causa delle strutture create del mondo.
Questo mondo viene 'da' Dio: per questo esso è sostanzial·
mente buono, 1111 ordinato, stabile, fidato, pianificabile. E questo mondo
è 'dal' nulla: per questo esso è anche portato al nulla, caduco,
contraddittorio, imprevedibile, ribelle, pericoloso, tentatore ... Che le
oscure possibilità della cre11zione diventino realtà nella propor·
zione che hanno attualmente e lo diventino per mezzo di lui stes-
so: è questo per l'uomo un grosso e inquietante problema. Pro-
blema. che può essere risolto solo per mezzo del redentore. Attra-
verso il mistero della croce e della risurrezione.17 Proprio il pro-
blema della teodicea, che apparentemente si oppone alla fede nel-
la pron·idenza che conserva il mondo nel suo essere e agire
e l"he Il' perfeziona per mezzo della libenÌI dell'uomo, rinvia con
forza più che tel'rica all'opera della provvidenza, della con-
servazione del mondo e della guida della storia da parte di Dio
Padre: l'incarnazione redentrice del suo Figlio per la santa comu-
nità di spirito degli uomini nella sua Chiesa. IRENEO 01 LIONE
portò la teologia storico-sa!vifica della creazione alla pregnanza di
questa formula: egli chiama Gesù «colui che redime la sua stessa

15 Cf. E. B1uNNE1, Die cbristliche Lehre von Scb0pf11ng 11nd Erléisung, cir , p. 173.
• V. sopra p. 122.
• 17 Di questo argomento si parlerà nel con1es10 cristologico dcl volume 111 di
quest'opera (vu cap., 4 sezione).
BIBLIOGllAFIA

creazione».11 L'uomo col suo mondo è creato in ordine alla sal-


vezza redentri..:e nell'uomo Gesù Cristo. Egli è: suum plasma
salvans.
WALTER KERN

11 Adv htter ;.22,~, PG 7.9c;R: "':'Ò :Ot.ov ~ì~tif1'!UJ. cn7''ç1ll·, - suu,,., pla1n1J salvaru
... a. F.ph. 2,10: xnollinr; Èv XQ10T1p "11)C10i•; PASTORE DI EllMA, V/I. 2,4, PG
1,399 s. l, a propo:;im delJ',.F.cclesi.1 Dei: omnium priT'la creata est ... et propter il/am
mundus creatus est•.

BIBLIOGRAFIA

Oltre alle opere citate nelle note che vanno da p. 89 fino a p. 190 (spe·
cialmente pp. 91 n. 6; 94 n. 13; 100 n. 40; II5 n. 66; u6 n. 68; u8
n. 82; 122 n. 104; 139 n. 46; 152 n. 41; 158 n. 63; 160 n. 4; 163
n. 20; 165 n. }5; 166 n. 40; 168 n. 48):

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SEZIONE TERZA

CREAZIONE E ALLEANZA
COME PROBLEMA DI NATIJRA E GRAZIA

La determinazione della creazione come presupposto dell'alleanza


e le asserzioni neotestamentarie circa la creazione in Cristo richia-
mano la questione del rappono tra la coppia di concetti acazione-
alleanza e quella di natura e grazia, situati formalmente in modo
analogo. Sembra quindi indicato sviluppare a questo punto, in un
breve scorcio di storia della teologia, la determinazione dcl rap-
porto natura e grazia; essa è fondamentale anche per i capitoli se-
guenti di questo volume, in quanto le asserzioni circa l'uomo come
creatura (cap. VIII), circa la somiglianza a Dio e lo stato originario
(cap. IX), circa il peccato dell'uomo e le sue consegueme (cap. x),
circa gli angeli in quanto mondo concomitante e circostante al-
l'uomo (cap. XI), circa il suo bisogno di redenzione e l'azione re-
troattiva della redenzione (cap. Xli) implicano sempre anme una
determinata concezione circa il rappono di natura e grazia.
In proposito si deve subito metter in rilievo 6n dall'inizio che
le due coppie di concetti creazione-alleanza e natura-grazia si ~
prono solo parzialmente: 'alleanza' è un concetto-chiave della sto-
ria della salvezza, da intendere solo muovendo dall'agire storico di
Jahvé con l'antico e il nuovo Israele. 'Creazione' può esser com-
presa pienamente solo quale fondamento della storia della salvezza,
come è stato spie1;,c1t< sopra. 'Natura' ha in buona parte lo stesso
significato di 'creazione' appena citato. anche nella denominazione ve-
lata del suo rapporto con l'origine (natura da nasci), ma ha avuto, per
la sua contrapposizione moderna alla grazia, .un significato preva-
lentemente statico-essenziale. Il concetto di grazia in questo con-
fronto è diventato quasi esclusivamente un concetto qualitativo-
oggettivo, senza un chiaro intimo nesso con la storia della salvezza.
Da uno sguardo retrospettivo alla storia della teologia della grazia

1\ • .\hsterium 511/utis, 11/ 2


CREAZIONE E ALLEANZA
194

appariranno la necessità e la fecondità, ma anche i limiti della rl·


cerca sul rapporto di natura e grazia.

1. La dottrina bihlico-patristica su grazia e natura

Cnrri~ponde alla situazione storico-salvifica dell'Antico Testamento


P fatto che non vi si trovi il concetto di grazia come intrinseca-
mente soprannaturale. 1 In primo piano nel pensiero ebraico-biblico
sta l'unità del mondo come creazione e come mondo chiamato, gui-
dato, governato e giudicato da Jahvé (attraverso Ysraele). Qua e là
però si palesa che la consistenza fondamentale del mondo e l'agire
salvifico di Jahvé sono in sé due realtà distinte, anche se non se-
parate. La salvezza vien elargita ad Israele come a un popolo che
sta tra gli altri popoli senza precedenze, ha in comune con essi
solo il fatto di essere creato e ottiene la salvezza come qualcosa di
straordinario, del tutto immeritato. In modo per nulla affatto mi-
tico, anche per lsraelt: h1 comunione con Dio non è la stessa cosa
che l'esistenza terrena, che Israele ha comune con gli altri po-
poli. Il racconto jahvista della creazione e della caduta (Gen. 2·
3) parla con immagini misteriose del grande dono della familia·
ricà con Dio, perduta con il peccato. Il patrimonio fondamentale
del creato con il suo contrassegno dell'uomo quale immagine di
Dio, non va pe>duto, secondo la testimonianza dell'Antico Testa·
mento, con il peccato. 2 La grazia che Jahvé elargisce dopo la ca-
duta al suo popolo eletto è amore e- misericordia, immeritata
non solo dai peccatori, ma anche dai buoni. 1 Jahvé s'è creato
e scelto come suo popolo non il popolo peccatore, ma «il
più piccolo di rutti i popoli» (Deul. 7 ,6-9 ). La benevolenza di
Jahvé è quindi del tutto indebita, non solo perché passa sopra alla
«peccaminosità d'Israele», e perciò quasi riscatterebbe un'esigenza
originaria, bensl perché nulla in Israele giustifica questa scelta. La
sintesi della predicazione del Deuteronomio è l'incomprensibile

I J. llASPECKER, 'Der Begrifl der Gnadc im AT', LTK IV h96<>) 978.


2 G. v. RAD, Theologie des Allen TestamentJ 1, Mi.inchcn l11)61, p. 1,1; su questi
l'mblcmi v. cap. rx, sezione 1.
J j, HASPECKEll, op. cit., pp. 977-980.
talAllA ~SATURA SEI PADRI E NELLA lllBBIA

amore preferenziale Ji Jahvé, nonostante tutti i fatti in contrario,


tra i quali però il peccato non è al primo posto.
Il riscatto dall'Egitto è un'elezione del popolo (e non solo la sua
liberazione) e un'introduzione in un nuovo ambito dell'immedia-
tezza con Dio non data ancora con l::i prima creazione e intesa nel
Deutero-l saia come autentica creazione.4
La piena conoscenza della grazia la porta solo la rivelazione di
quell'insuperabile chinarsi di Dio verso l'uomo, che è l'incarna·
zione del Figlio di Dio. Certamente nella luce della sovrabbon-
danza della grazia si manifesta anche il peccato nella sua perdizione
immensa. Perciò il detto di Rom. 3,23 s. («tutti hanno peccato e
sono privi della gloria di Dio; e sono giustificati gratuitamente per
la sua benevolenza, grazie alla redenzione avvenuta in Cristo Gesù»)
può «venir designato come passo classico della dottrina paolina sulla
grazia». 5 Se anche in PAOLO la peccaminosità dell'umanità alla
quale la grazia porta la redenzione, sta in primo piano, tuttavia la
sua teologia della grazia sottintende una dualità metafisica, mani-
festa. Grazia secondo Paolo è unione dell'uomo con Dio fattosi
uomo, è la nostra unione cli vita e comunanza di destino con il Fi-
glio naturale del Padre quali suoi figli adottivi e coeredi cli Cristo.
Essa è santificazione mediante lo Spirito, che è persona divina, e
si compie, secondo Paolo, nella visione di colui che abita 'propria-
mente' la luce inaccessibile.
Nella teologia cli GIOVANNI il concetto centrale della 'vita' ('çonl)
è una dii.ara rivelazione del più intimo mistero di qualsiasi grazia
cristiana: essa è quella comunione cli vita con Dio, iniziata con
una rinascita dall'alto, in questa vita terrena e che significa una
reciproca inabitazione dell'uomo e di Gesù, che vien paragonata
alle relazioni naturali dd Figlio con l'eterno Padre. Secondo la
teologia di Giovanni, Iddio invisibile, nascosto perché è al di là di
tutto il mondo, è divenuto visibile e raggiungibile nella pienezza
della vita propria a lui solo, cui ci fa gratuitamente partecipi
nel Figlio suo mediante il suo Spirito. Secondo la teologia
della grazia, sviluppata da Paolo e da Giovanni, la grazia non

• G. v RAD. op_ cit. 222, 179 s_; 1. 11, Munchc:n 21961. pp. i54 '-
Cal!AZIONE E ALl.LUl7.A

si esaurisct: nel cancellare il peccato. Essa fa anche questo, per il


fatto che, conforme alla sua natura, conferisce la partecipazione
alla vita di Dio stesso. Di fronte a tale vita l'uomo è solo uno che
riceve, non già uno che aspetta da sé, giacché una tale comunioni!
con Dio supera infinitamente qualsiasi possibilità umana.

Questo è il punto di partenza per ogni ulteriore riflessione teologica


circa la distinzione Jcll"ordinc della n:11ur;1 e della gruia. Non lo sono
altrettanto o1ltri con.:etti Jcl Nuovo Testamento che gli assomigliano ma che
sono meno chiari come iitovp<i.v~~ (che in maniera più generale si
applica al divino: W. BAUER, Worterb11ch z11m Neuen Testament, Bcr-
lin 5 1958, p. 604 s.) e m(-yEi.oç; cpUcn.ç nel Nuovo Testamento, accan-
to a un significato biologico-razziale e storico-salvifico, ne ha anche uno
astratto, metafisico: J. RATZINGEll, 'Gratia supponit naturam' in J.
RATZlHGEll·M. FarEs (edd.), Einsicht unJ Glaube, Frciburg 1961,
pp. 144-146.
I passi classici di Rom. 1,19s. e 2,14s. presuppongono nell'uomo una
conoscenza 'naturale' di Dio e una volontà di osservare la legge etica, indi-
pendentemente dalla fede rivelata; anche in questo caso csccondo il van·
gelo (di Paolo) è giudicato da Gesù Cristo• (Rom. 2,16).
In tale senso O. Kuss, 'Die Heiden und die Werke dcs Gcsetzes', in
MTZ 5 ( 1954), pp. 77-98 (confronto con l'esegesi protestante, soprat-
tutto più recente); In., Der Romerbrief, Regensburg 19:n. circa i passi
citati; G. BollNKAMM, 'Gesetz und Natur', in Studien zu Antilte und
Christentum. Gesammelte Aufsatze II, Miinchen 1959, pp. 93-118 (hi-
bliogr.). Per la storia dell'esegesi dei passi in Rom. e Act. 14 e 17: M.
LACHMANN, Vom Geheimnis der SchOpfung, Stuttgart 1952.

I padri dimostrano chiaramente che nella rivelazione neotestamen-


ta..:ia non si tratta solo di una purificazione dal peccato. La loro
vicinanza al pensiero platonico fa loro vedere più facilmente la dot-
trina della divinizzazione dell'uomo (facendo astrazione da qualsiasi
gnosi panteistica: CLEMENTE DI ALESSANDRIA).
'Partecipazione' alla gloria del Figlio è divinizzazione (ATANA·
SIO, CIRILLO DI ALESSANDRIA). La dottrina d'una divinizzazione
dcli 'uomo era tanto ovvia per la loro teologia e comportava tanto
chiaramente l'unione senza confusione e senza separazione di Dio

5 F. MussNER, 'Der Bc:griff der Gnadc im NT', in LTK av ( 196o) 981.


GIAZlA E. NATURA NEI PADRI E NELLA BIPIA
19ì

e dell'uomo, che da essa potevano dimostrare la divinità del


Figlio e dello Spirito santo.• Per OkIGENE la partecipazione al-
la natura divina va cal di là della natura•, non è •secondo natura»
(unte t~v (J'UIJlV, non 'l(atà tÌ}V cpumv).
Anche se per lo più nei concetti non si distingue rigorosamente
tra sostanzialmente (intrinsecamente) soprannaturale e straordina-
rio (soprannaturale solo per la sua origine), tuttavia nell'idea della
divinizzazione è compreso ciò che la teologia posteriore chiama
sostanzialmente soprannaturale, poiché è proprio in modo esclusivo
della realtà divina.
Fu gravido di conseguenze il fatto che la tradizione greca non
tmvasse risonanza nella teologia occidentale e che fosse appena
wnosciuta agli inizi dell'epoca moderna (presso i riformatori e i suoi
Clppositori come pure nella discussione all'interno del cattolicesimo).
La teologia occidentale circa la grazia fu caratterizzata da AGOSTINO
(sebbene non manchino influssi dall'oriente attraverso gli scritti dello
PSEUDO-DIONIGI ).7
TERTULLIANO rappresenta una tappa importante nella dottrina la-
tina circa natura e grazia: egli applica una nozione di natura chia-
ramente storico-salvifica. L'atto di questa natura (nel conoscere, per
es.), è uno stadio transitorio, essa raggiunge il suo compimen-
to solo nella fede.' Anche in AGOSTINO si può ancora trovare una
comprensione storico-salvifica della grazia. Egli pure afferma che la
grazia è una divinizzazione dell'uomo e mette a confronto lo stato
d'origine con lo stato del peccato e della redenzione. Il rilievo
principale è dato alla determinazione del rapporto tra grazia e
agire umano. Ve lo costrinsero le discussioni con i pelagiani e semi-
pelagiani. A questo contesto storico è da ascrivere il fatto che la
teologia occidentale ba riferito prevalentemente la grazia all'agire-
umano. Anche quest'aiuto era un dono di Dio. Ma per lungo tem·

• Sulla dottrina della gratuità dello stato originale e della 1CJ1Diali•0211 con Dio
come pure sulla «natura• in essa 1ncs111a d. aip. IX.
7 E. PltznrAllA, 'Der Grundsatz cGn1ia non destruit, seil supponit et perfidt ne-
turam•', in Schol4nilt 17 ( 1942) 182 s. _
• ST. Orro, '.Naturu uod cdispositio-. Un1ersuch11111 zwn N1twbegrif und zur
Denkform Tenullilns', in N1bS1 n/19, Miincben 19'c1.
Clt.EAZJONE E ALLEANZA

po non si distinse chiaramente lra un ·dono che spettava fondamen-


talmente alla creatura (concursus naturalis), una grazia d'ordine
~uperiore::, non dovuta, ma in sé 'naturale::', e quella grazia che cam-
biava un'azione umana in un atto della vita divina. La sua gratuità
(attestata dalla Scrittura) fu dedotta abbastanza di frequente da
Agostino i: più tardi cuminuamcme, in quanto era raramente .accor-
data. La conoscenza della teologia greca avrebbe portato più rapi-
damente alla formazione di un~~ terminologia riflessa, secondo la
quale il soprannaturale in senso pieno, l 'autocomunicazione di Dio
al mondo, potesse esser compreso nella sua peculiarità e distinto
da tutto il resto.

2. LA formazione del concetto di 'soprannaturale'

Il termine htino supernalura!is (come traduzione di UitEQlpUlJ;) en-


tra nella teologia occidentale attraverso l'edizione latina delle lettere
di ISIDORO Dt PELUSIO (morto dopo il 431) e degli scritti dello PsEUDO-
DroNIGI ad opera <li ILDUINO (morto circa l'anno 842). G10vANN1
ScoTo ERIUGENA (morto circa l'anno 8ì7) adotta il termine, scguenJ(1
Ilduino e ne estende l'uso servendosene per indicare Dio (e gli angeli)
come esseri soprannaturali o addirittura come natura soprannaturale.
Però nel complesso la terminologia resta 8uttuante, finché riceve ad
opera di ToMMASO n'AQUJNO un ambito ben delineato, sicché da que-
sto momento il conceuo ottiene un carattere tecnico nella teologia, sop-
piantando concetti ed espressioni simili.
Anche in TOMMASO però si trova l'uso di supernaturalis (e questo è
importante) per indicare Dio (e anche gli angeli e l'anima). Egli quindi
non intende il soprannaturale innanzitutto come un dono che, conside-
rato da parte dell'uomo, sarebbe non dovuto, bensì come distintivo di
Dio e della sua realtà che è ineffabilmente elevata e irraggiungibile. Cio-
nondimeno con l'affermarsi del termine e del concetto di supi-rnaturalis
anche la relazione di Dio e dei suoi doni, a lui solo propri, con lo stato
fondamentale creaturale dell'uomo viene circoscritta e (al più lardi in
Tommaso) \'ime precisata chiaramente: scompare la designazione agosti·
niana dello staio primordiale dell'uomo col termine di natura.
Natura diventa il concetlo antitt'lico a grazia; perciò anche lo stato pri·
mordiale è 'soprannaturale'.
Dietro la storia del termine si manifesta la storia del con;:ctto di super·
11aturalis, reologicamenre assai importante.
LA FOKMAZIONI! Ul;L CONClffl'O Ili SUPKANNATURALE 199

La nozione di una 'pura natura' non appare che nel secolo XVI,
quasi come consc~ucnza Jclla disputa con il baianismo. Anche dalla
teologin Ji san Tommaso si ricava che Dio avrebbe potuto negare
all'uomo l'immortalità, l'integrità e cosl anche la visione della sua
propria essenza. Ma solo all'inizio del secolo XIV si trova la dot-
rrina secondo la quale fondamentalmente l'uomo sarc:bbe potuto
venir creato da Dio senza la destinazione al fine soprannaturale
della visione di Dio. Presso il CAIET ANO questa dottrina della reale
possibilità di una pura natura acquista maggior chiarezza e prende
ora un posto centrale nella suu teologia. I risultati delle indagini
più recenti su questo tema tendono n indicare il profondo radica-
mento dell'idea di una pura natura nella migliore alta scolastica. 9
Nondimeno non si potrà trascurare che gli ac<.:cnti sono posti in
modo assai diverso in Tommaso e nella teologia tomistica poste-
riore. Fra l'altro, ne è testimone la sua dottrina dcl desiderio natu-
rale della visione di Dio (che il CA I ETANO nega!). I tentativi di
accordare questa dottrina di san Tommaso con la sua teologia dei
doni soprannaturali attestata altrove, sono assai diversi. 10 S'adatta
nel modo migliore alla sua antropologia dinamica la concezione
che. nel pensiero di Tommaso, si tratti di un vero desiderio del-
l'uomo per la visione immediata di Dio, che proviene dal patri-
monio creato della natura umana e che è dato inscindibiimente con
essa, cosicché l'esistenza umana non sarebbe priva di senso anche
senza la soddisfazione di questo desiderio (anche se non raggiunge-
rebbe così il suo pieno significato).
La concessione della visione immediata di Dio resta dunque per
TOMMASO un dono gratuito di Dio e, in questo senso, sopranna-
turale, che l'uomo non può raggiungere da sé, però un dono che

9 ]. ALFAllO, 'La graruidad dc la vision intuitiva de la csencia divina y la l'O'ibili


da<I dcl l-sr~do de noturaleza pura segun los teologos tomistas anteriores a Caye!ano'
ir Gr 31(19jo)250-2n; 10., I.o na/11ral y lo sobrena/ural. Estudio biswrico J,·sdc
sa11/o Ton1as h;1sta C..1)'<'ft1r.n ( 1274-1 5H ), M~drid IC)j2, 179 s., 2,6, 260. A1.FAllO
corregge: l"On ciò la lvncc.-1.ione di DE LVBAC, Surna/11rcl, Paris 1946, pp. 116 s. e •pes.;o
aitrove. Cf. ora anche li. PF. LueAC, Il nrislero dd suprannat11ro1/e, Boloitnll 1967.
10 Uno SC(lrcio sulla lc11cra1ura lo prcscnu H. L\IS, Die Gnadrnlrhre dcs heiliien
lhonras ;,, Jrr Summa Co11fra Genti/es und Jer Kommcntar drs Fran:r.isltus !;ylwslm
vun ferr.11<1, Miinchcn 1951; d. J ALrAl.O, 'Dl:sidcrium naturale', in l.1'K (1),lj~; ·
248-250 (hililioSr. )_
.200 CREAZIONE E ALLEANZA

non è imposto dall'esterno all'uomo_, bensl è desiderato da lui


stesso dal più profondo dell'anima.

3. La dottrina della natura pura e la disputa intorno a Baio

Non si può negare che con la fine del Medioevo e con l'inizio
dell'epoca moderna la natura dell'uomo nel pensiero teologico sia
divenuta sempre più indipendente, anche se ciò si può difficilmente
esprimere concettualmente in modo esatto.
Quando il CAIF.TANO afferma che i doni della grazia «non sono
dovuti alla natura» (indebita naturae) non è più la stessa cosa
che con ciò intendeva TOMMASO. Si deve considerare il campo di
rappresentazione e di comprensione dei due autori, che non en-
tra per nulla nella definizione del concetto. Il tempo moder-
no che inizia, incomincia a pensare muovendo dalla natura del-
1'uomo.
Questa mutazione di prospettiva ha avuto conseguenze straor-
dinariamente rilevanti per la dottrina circa natura e grazia.
Questo sviluppo è rilevabile nella scuola di Lovanio della pri·
ma metà del secolo XVI. In una deduzione, dapprima pienamente
legittima e necessaria, dall'essenza della grazia si arriva ad un
concetto di natura secondo il quale la natura, come natura ancora
'pura' dalla grazia, è presupposto ontologicamente necessario della
grazia. La scelta del termine 'puro' (natura pura) è significativa:
la mancanza della grazia lascerebbe la natura né aumentata né dimi-
nuita (così BELLARMINO). Muovendo da questo punto è semplice-
mente un passo logico assegnare a questa natura anche un fine natu-
rale, reso senza valore in forza dell'elevazione soprannaturale (Caie-
tano: «impossibile per accidens» ).
Nella stessa Lovanio verso la metà del secolo xvi sorse un movi-
mento di riforma, sostenuto soprattutto da M1CHEL DE BAY (Baius)
(morto nel 1589). Richiamandosi ai padri (ad Agostino soprattutco)
Baio cercò d'indicare che la grazia significa il compimento più pro-
fondo della natura e la sua perdita nel peccato originale una vera
decadenza per l'uomo. Ciò però può avvenire, cosl egli concludeva,
solo se la grazia è dovuta alla natura e non, invece, indebita nel
DOTTRINA DELLA NATURA Pl.llA E DISPUTA SU BAIO 20I

modo come sosteneva chiaramente la teologia precisamente anche


a Lovanio. Con ciò Baio aveva raggiunto, o credeva d'aver rag-
giunto, il concetto di natura di Agostino, secondo cui lo stato
originario era 'naturale'. In verità egli usava già un concetto di
natura più differenziato, cosicché egli riconosce uno stato fonda-
mentale dell'essere umano cui non appartengono i doni dello stato
d'origin~. Così anche l'uomo del peccato originale che ha perduto
questi doni, rimane ancora uomo. Egli però è uomo in uno stato
sommamente difettoso e miserabile.
Gli sono vitalmente necessari, i doni dello stato originale che
perciò da Baio sono detti naturali e dovuti.
Nel 1 576 Pio v condannò un certo numero di tesi prese dagli
scritti di Baio, con una qualifica sommaria e senza decidere se
con la condanna fosse colpita in ogni caso l'opinione dell'autore.
In modo simile a Baio anche GIANSENIO (morto nel 1638) sosten-
ne la 'naturalezza' della grazia. Però nella condanna della sua dot-
trina da parte di Urbano vm nel 1642 e soprattutto di Innocenzo x
nel 1653 altri punti dottrinali erano presi di mira.
Baio I rnme pure Giansenio) per quanto riguarda la sua dottrina
della soprannaturalità della grazia, con la sua istanza comprensibile
e per ampia pane giustificata, non raggiunse lo scopo. Nella situa-
zione della riflessione teologica che presentava il secolo XVI egli non
poteva assumere le asserzioni. di Agostino circa la 'natura' dell'uo-
mo per esprimere con esse la stretta unione storico-salvifica tra
patrimonio fondamentale umano creato e grazia. 'Natura' al tem-
po di BAIO significava, in teologia e nella intelligenza della vita,
qualcosa di diverso dai tempi di Agostino. Mediante la condanna
ad opera di Pio v (os 19n), di Pio VI (os 2616), e recentemente
ad opera della dottrina di Pio xn nell'Humani generis la questione
circa la necessità dell'ordine soprannaturale è stata risolta defini-
tivamente nel senso che Dio avrebbe potuto creare anche esseri
spirituali senza chiamarli alla visione beatifica (os 3891 ). 11

11 Il Vaticano 1 con le sue asserzioni sulla necessità, sul motivo, sull'oggc:no e sulla
conosttnza della rivelazione ha prc:sc:n1a10 indirettamente una dottrina sull'ordine so-
prannaturale; cf. os 3004, 3005, 3016. 3028, 3oo8. Il termine supernlll1mJis, appli-
202 CREAZlllNI' r .Ul.EAXZA

Però con la condanna di Baio non era ancor stata data una ri-
sposta completa alla difficile questione della teologia, tanto più
t:he ora la scuola di Lovanio e altri tc<'logi si dichiaravano per una
dottrina antibaiana circa la grazia.
Il concetto mcdicv:1le di supcmattiralis voleva metter in rilievG
la superiorità di Dio (nella i:rcazionc) e ndla santificazione. Di sot-
tomano per natura umana s'intese lluella ,·he presa propriamente
e· in senso stre11u non ha bisogno ddla comunicazione di Dio. Il
rnpernaturale prese il significato di superadditum. Questi teologi
volevano, come i baianisti e i giansenisti, dar risalto alla grazia e
superare un latente pcl:igirmesimo. I primi lo facevano con il pre-
sentare la grazia come indebita (e solo mci tamente la presuppone·
vano come necessaria): quindi aveva torto PELAGIO, poiché all'uo-
mo è essenzialmente necessario pitt di quello che ha 'per natura', cioè
la grazia soprannaturale. Gli altri giudicavano come pelagiana con-
cepire una natura che veniva presentata come sempre più perfe-
zionata e autonoma; poiché la grazia era stata tanto elevata sopra
la natura. In realtà la grnzia appartiene ali 'insieme e alla perfe-
zione della natura. Le due parti si tacciavano reciprocamente di
pelagianesimo.
L:evoluzione s'avviava sempre più chiaramente e universalmente
verso quella concezione che recentemente è stata chiamata 'estrinseci-
smo della grazia'. i rappresentami dell'altra concezione (soprattutto
della cosiddetta scuola agostiniana più recente) si persero più o meno
nella grande corrente che sfociò nella neoscolastica. Cosl fu detto
che ci sarebbero cdue ordini della nostra attività spirituale, fonda-
mentalmente differenti e sovrapposti,. .. i quali non hanno nulla in
comune». 12 «Infatti se la natura umana non rappresenta qualcosa
di concluso e finito in sé, ma si atrofizza piuttosto senza la gra-
zia nella sua realtà naturale, allora la grazia è un àebitum e cessa

cato per la pritna volta dal ma~istero ecclesiastico nel I ~67 contro Baio, trova qui
applicazione alla rivelazione e alla sua conoscenza.
IZ M. J. SoiEEDEW, Natur und GMJle, Freiburg i. Br. 31941, p. 9. Però si trovano
inoltre in Schccben asserzioni che comprendono la natura come esigenza profonda
della grszia, cf. Handbuch der k11tbolische11 DogmaJik, tt. m e IV, in Gesammellt
Schri/ten, v (edit. J. Hofer), Frciburg i. Br. 31961. pp.444(S171).
OOTTRINA DEI I.A NATURA rllRA F. DISPUTA SU BAIO 203

di esser grazia. La natura umana considerata in sé non esige la


grazia, ma nemmeno la esclude, bensì si comporta verso di essa in
modo indi/ferente e neulrale».u
L'epoca moderna ha visto nascere una duplice concezione della
natura: la natura come a sé stante, libera, in sé significativa, in
certo senso autonoma (rintracciabile già nel pensiero della sco!.tstica);
ad essa si atrribuisce sempre più autosufficienza. Ancora o:.iovamente
e più profondamente è scoperta nell'illuminismo e nel romanticismo
come il bene, non toccato dalla caduta, come quello che è vicino alle
origini e perciò fonte della vita.
Una seconda concezione della natura parte dai riformatori
per arrivare. attraverso il pietismo, fino all'idealismo tedesco (con
rispettivi mutamenti) ed è parallelamente rappresentata nel pen-
siero cattolico forse in certe forme della teologia e della pietà ba-
rocca: è la povera natura peccatrice, impotente, che è da com·
battere o da superare nella sua opposizione alla vita, alla salvezza
e a Dio.
Tanto la natura in sé significante, perfetta, salvatrice, quanto la
natura misera, mortificata, sono esperienze cristiane autentiche.
Nell'epoca moderna però esse son diventate troppo spesso indi-
pendenti, di modo che non si vedeva più come grandezza e miseria
della natura umana potessero esser elevate dalla salvezza che Dio
elargisce ed è lui stesso. La natura miserabile non vien più re-
denta, bensì combattuta, fuggita e superata; la natura sana è sana.e
completa a tal punto che essa non può quasi più esperimentare il
Figlio di Dio come colui che è venuto per salvarci da una tre-
menda situazione di perdizione. Così è paradossale e impressio-
nante come nel secolo XIX la letteratura circa la soprannaturalità
della grazia abbia sommerso tutto nell'intento di opporsi al natu-
ralismo imperante, presentando però in proposito una concezione
di natura che non consentiva d'intendere la grazia né come «sal-
vezza da una miseria mortale» né come adempimento della più
'profonda esigenza della presenza di Dio.

11 J. STUFUI, 'Dic: zwci WL-gc dcr ncucrcn lbeologie', in ZKT 50(1926) 329.
CREAZIONE E ALLEANZA

4. Il ripensame11to teologico sull'unione di natura e grava

Dal molteplice ripensamento dei nostri giorni circa la connessione


di natura e grazia e dopo la precedente discussione chiarificatrice,
si disegnano le seguenti linee:

a. L'uomo ha un'aspirazione alla v1S1one di Dio che è fondata


nel profondo della sua anima. Egli non è indifferente, neutrale di
fronte alla grazia, hensl il suo intero bisogno vitale si dirige a Dio,
il quale si vuol donare pienamente e interamente all'uomo, in Cri-
sto. La parola della rivelazione s'incontra con questa esigenza e la
compie gratuitamente. L'assenza di Dio, che si è dato al mondo
in Cristo, dalla vita d'un uomo è per costui oscurità, smarrimento,
miseria, indigenza mortale. La dannazione eterna è la radicalizza-
zione ultima di quest'invocazione a Dio, alla quale l'uomo stesso
ha rifiutato la risposta.
Questa brama non è quindi una pura 'velleità' (velleitas) e non
concerne una possibilità dell'attuazione della vita accanto ad altre
oppure a una possibilità nell'ambito di un'ulteriore e più vaga pos-
sibilità; essa non è nemmeno solo un desiderio condizionato. che
1>i attua in verità e pienamente solo se Dio apre una corrispondente
nuova possibilità.

b. Questa esigenza non è 'assoluta' nel senso che coinciderebbe


con il patrimonio fondamentale della natura umana. Ciò si palesa
innanzi tutto dal magistero, il quale parla della possibilità che Dio
, avrebbe avuto di non destinare l'uomo al fine soprannaturale. Ta-
le asserzione del magistero ci porta a questa riflessione fruttuosa: la
esigenza di cui s'è parlato finora, non è diretta a un bene di na-
tura che spetterebbe all'uomo in modo necessario oppure che egli
potrebbe 'prendere in possesso', bensl è un'aspirazione al libero
dono d'amore di Dio in Cristo mediante lo Spirito santo. Si tratta
quindi della più elevata attuazione del dono personalmente libero
da ambo le parti, in cui la libertà di Dio avvolge la libertà dell'uo-
mo e la fa esistere come tale per la prima volta.
RIPENSAMENTO SULL UNIONE DI NATUltA E GllAZlA
0
205

Il fatto che questa esigenza è data da Dio cosl come l'uomo nell'in-
sieme è creato e 'dato' (ma non 'si' è dato), non basta per farla appa-
rire come opera dell'amore di Dio, libero nel modo più completo. Que-
st'amore infatti si deve indirizzare a un partner e rispetto a questi
deve ancora esser libero. La grazia dell'auto-offerta di Dio non po-
trebbe più venir sperimentata come prodigio di un dono d'amore di
Dio rispetto a un partner, qualora coincidesse radicalmente con la costi-
ruzione di questo partner.

c. Ne deriva il seguente dilemma: o attribuire all'uomo in quan-


to tale un'aspirazione naturale a Dio trino (e quindi negare la li-
bera concessione e infusione da parte di Dio) o negargli una tale
esigenza naturale (e quindi far diventare la grazia una sovrastrut-
tura estranea e d interesse piuttosto mediocre). Si esce da questo
dilemma solo se s'interpreta la natura spirituale dell'uomo non
muovendo dal concetto di natura in&apersonale, bensl se la s'in-
tende come apertura radicale, non determinata in modo univoco e
limitato, con una tale aspirazione. Con ciò si ha il compimento
concreto della nozione di potentia oboedientialis.

d. L'uomo fin dal primissimo progetto di Dio è destinato stori-


camente all'unione vitale con il Dio trino. Il primato della grazia
sulla creazione, il fondamentale ordinamento dell'uomo al Dio del-
la visione beatifica si può comprendere rettamente solo se si vede
nell'uomo uno che nella storia della salvezza è chiamato all'unione
di vita con Dio, uno che è caduto e che soffre in maniera inespri-
mibile per la perdita di questa comunione di vita e che è stato
redento in Cristo ex novo e in maniera più splendida alla vita e
alla comunione con Dio. L'uomo in fondo riceve nuovamente la sua
vita (la quale quindi è sperimentata come ricchezza sovraboondante
della propria esistenza), la quale però è sua soltanto come dono
d'amore di Dio ~'ICr lui (e perciò suscita ringraziamento e contrac-
cambio d'amore).

e. Da questi elementi rivelati che interpretano la nostra espe-


rienza, segue che l'ordinamento dell'uomo al Dio della vita eterna
è intimo nel modo più profondo e appartiene al patrimonio primi-
206 CREAZIONE I! ALLEANZA

tivo storico dell'uomo come sua struttura esistenziale, 14 il quale


però dev'csser distinto dall'ultimo pat~imonio fondamentale e per-
ciò dev'esser chiamato esistenziale soprannaturale, seguendo una
millenaria tradizione teologica. Ne risulta la distinzione di 'natura
storica' quale distintivo della struttura storico-salvifica fondamen-
tale dell'uomo con il suo esistt:nzialc soprannaturale e 'natura tc:olù-
gica' che rappresenta il patrimonio restante, quello che rimane, cioc.
quando son stati tolti gli elementi soprannaturali, nori dalla rivela-
ziont> dal risultato della riflessione antropolog!ca; oppure è, in una for-
mulazione astratta e tecnica, quel patrimonio fondamentale della real-
tà umana, che l'ordinamento gratuito alla vita eterna deve presupporre.

Con ciò la qucsrione come mai qualcosa possa esser contemporanea-


mente non dovuro e l·ompimento profondissimo d'un'esigenza, è solo
differita. Infatti, in primo luogo, l'attuazione della grazia dev'esser
fatta realmente in quell'ambito che forma la realtà ormai data dell'uo-
mo. ~ dunque al massimo un differire la questione a quel campo in cui
solo può esser data la risposta.
In secondo luogo precisamente l'atto primordiale dell'uomo (in quanto
è creatura spirituale) è il tendere dinamico dell'uomo all'ambito illimi-
tato ('indelimitabile') dell'essere. Il singolo concreto atto conscio (actu.s
exercitus secondo la scolastica) ha determin.u:ione e delimitazione cate-
goriali. Quindi quell'atto primordiale trascendentale è diversamente atto
a esperimentare un'elevazione interna, soprannaturale, che l'atto cate·
goriale (nel quale tuttavia, secondo mohi, si pone dapprima il problema
della conciliabilità di gratuità e di inreriori tà della grazia).

5. Conservazione ed 'eliminazione' del conce/lo di 'soprannaturale'

Al termine della breve presentazione d'una lunga storia della no-


zione e della teologia del soprannaturale si pone la domanda circa
le conseguenze per la teologia odierna.

14 .. Tune le spiegazioni, che derivano Jall'3nali1ica ddla \'ila, sono raggiunte


in vista della sua struttura di esistenza. Siccome sono determinati dall'esistenzialità,
noi denominiamo esisten:;ialì i caratteri essenziali ddl'~'Sisten1.a. Essi sono da distin-
guere ne:iamente d:ille de1erminazioni dell'ente non mnno1a10 dall'csistcn1.a che noi
chiamiamo categorie-.. M. HEIDEGGER, Sein und Zeli, Tiibingen 10 196J, p. 44 § 9
ltr. it., Enue e tempo, UTET, Torino).
CONSERVAZIONI; ED ELIMINAZIONE DF.L CONCETTO DI SOPRANNATURALE 207

In primo luogo si deve dire: la nozione di soprannaturale è en-


trata nel patrimonio acquisito della teologia cattolica. Si tratta di
un genuino progresso dogmatico dell'interpretazione della Scrit-
tura da parte dei Padri greci e latini attraverso la Scolastica me-
dievale e la disputa di BAIO fino al ripensamento teologico odierno.
La nozione ha superato positivamente, nelle discussioni teologiche,
la sua prova di resistenza. Un ritorno alla terminologia di AGO·
STINO, per es., è impossibile a causa della mutata concezione della
natura.
In secondo luogo ci si deve però chiedere se l'interrogativo teo-
logico della teologia occidentale sulla grazia da circa mille anni debba
ancora rimanere tanto centrale, come soprattutto dai tempi di BAIO
in poi. La grazia è soprannaturale, ma non è la sua principale caratte-
ristica. La grazia vien deprezzata, se la si considera prevalentemente
per la caratteristica formale e negativa della sua gratuità. Nel
Nuovo Testamento questa peculiarità della grazia si rileva solo co-
me sfondo. Nella scolastica medievale Dio stesso è stato visto non
casualmente quale substantia supernaturalis.
Con ciò è già pacifico, in terzo luogo, che dovrebbe esser consi-
derato il dono stesso della grazia e non il suo carattere di gratuità.
Muovendo dalla grazia dell'estrema autocomunicazione di Dio (in
una causalità quasi-formale) la grazia è intesa come fine e conte-
nuto dell'opera salvifica di Dio e come compendio delle aspirazioni
umane e nel contempo è inequivocabilmente caratterizzata nella sua
proprietà formale della gratuità.
In quarto luogo bisogna considerare insieme con la sua gratuità
e la sua soprannaturalità, la sua stretta unione e intreccio con la
'natura' (perfino con la natura quale polo opposto alla grazia), dun-
que la sua 'naturalezza'. Molte tendenze 'naturalistiche', che la
teologia cattolica credeva di dover bandire, sono invece espres·
sioni di una ricerca dell'unità dell'uomo vivo, davanti a Dio. La
'naturalezza' perseguita oggi nell'ambito religioso è per lo più non
già soprannaturalità rifiutata, bensl ricerca di piena redenzione di
tutto l'uomo, quindi umanità in Cristo.
Se dalle riflessioni qui fatte riguardiamo alla determinazione
del rapporto di creazione e alleanza, si deve affermare che la crea-
208 BlBLlOGKAfl,\

zione nel suo ordinamento all'alleanza e in quanto creazione in Cri-


• sto (creazione nel pieno significato biblico) è già sempre assunta
nell'ambito della grazia. Il significato della distinzione di natura
e grazia non consiste nel coprire questo dato di fatto. Ma nem-
meno può trattarsi di subordinare il rapporto dinamico storico-
salvifico di creazione e di alleanza alla distinzione più staticamente
formale di natura e grazia, come se per una maniera teologica di
considerare, quest'ultima fosse più fondamentale.
Invece la distinzione tra natura e grazia può e deve servire a
presentare piì1 chiaramente l'intrinseca gradualità della creazione
in Cristo, in quanto all'aurocomunicazione di Dio alla creatura
spetta una gratuità che supera essenzialmente la gratuità implicita
nell'atto creatore in senso stretto in quanto tale, cioè come libera
posizione del non divino.
Per sé la creazione è possibile anche senza autocomunicazione
di Dio. Però nell'unico ordine concreto della salvezza de facto è
i;empre progettata in ordine all'alleanza, come suo presupposto e
per tanto la natura (storica) dell'uomo è anche sempre insieme
segnata nel suo più intimo da un esistenziale soprannaturale.

GEORG MUSCHALEK

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q . .\ln1.-r1.•m .\.ilu/H, 11/ z


CAPITOLO OTTAVO

L'UOMO IN QUANTO CREATURA

I seguenti capitoli di questo volume si occupano dellcl crecltùra,


che Dio si è scelto come partner dell'alleanza da lui pers.:guita e
attuata nella storia della salvezza: dell'uomo da Dio creato ..: arric-
chito con la grazia, allontanatosi da Dio e da Dio nuovamente
accolto nella grazia. Se in tal modo sviluppiamo un'antropologia
teologica e rinunciamo ad una cosmologia, ciò avviene nun come
un illegittimo antropocentrismo oppure come se non fosse possibile
all'uomo una scienza circa la struttura del cosmo visibile e circa
la caratteristica delle altre creature in questo cosmo, ma perché la
parola della rivelazione divina vuole renderci edotti non drca
l'essenza delle altre creature, ma precisamente di quella creatura,
che siamo appunto noi, nel suo rapporto con Dio. Con la parola
Dio ci dice dell'uomo chi egli è e che cosa è, ~ se la parola di Dio
parla anche delle altre creature, lo fa solo in quanto esse sono spazio
e ambiente dell'uomo. 1 Il teologo ha invero tutte le ragioni per
ammirare i risultati delle scienze naturali nell'esplorazione della ·
natura; per quanto gli è possibile cercherà di prendere conoscenza
dei loro progressi, per apprendere la visione del mondo che ne
risulta e che diventa sempre più quella dell'umanità odierna, e co-
sì sapere a quali uomini egli debba oggi rivolgersi. Ma queste cono-
scenze non formano parte costitutiva della teologia come tale; la
teologia deve precisamente trattare del rapporto tra Dio e l'uomo
in base alla parola di Dio. Pertanto la teologia non deve formulare

1 Poiché la rivelazione parla anche di angeli e di demoni solo in quanro yuesti


fanno parre dell'ambiente della storia della salvezza dell'uomo, cosi in questo volwnc
l'angelologia e la demonologia non sono poste prima della antropologia come:
dottrine più o meno auronome, ma sono aggiunte ad essa e in essa inserite (d. capi-
tolo Xl). Cosi si può pure metter sufficientemente in evidenza che angeli e demoni,
in quanto esseri personali e spirituali, non appartengono all'ambiente dell'uomo alla
stessa maniera del mondo delle creature non personali.
212 L'uaMo IN QUANTO CUATUU

alcuna teoria circa l'essenza delle crearare che circondano l'uomo,J


né alcuna cosmologia, ma deve restringersi alla dottrina su Dio e
alla dottrina sull'uomo nel suo rapporto con Dio, e vedere come
questo rapporto si sviluppi nella storia. A proposito di una simile
teologia 'teantropologica' dice giustamente K. BARTII: «La sua
conoscenza cin:a le creature di Dio in tanto è 'antropocentrica', in
quanto segue il centro di gravità che le è prescritto dalla parola
di Dio: l'uomo •.3 Dio stesso fa valere in modo eminente questo
suo rivolgersi all'uomo, che la teologia deve seguire, dal momento
che ha fatto diventar uomo in Gesù Cristo la sua parola rivelatrice.
«Chè non agli angeli venne in aiuto, ma alla stirpe di Abramo venne
in aiuto• (flebr. 2,16).
Ora si deve dunque chiedere che cosa ci dice 111 parola di Dio a
proposito dell'uomo che Dio stesso si è scelto come partner della
alleanza. Se poi si ha da riflettere sulla storia della salvezza, si deve
anzitutto indagare sulla natura del soggetto per il quale si attua la
storia della salvezza. E qui non si tratta di dimostrare che l'uomo
come tale è una creatura, avendone già parlato genericamente nel
capitolo precedente, bensl di rispondere alla domanda: chi e che
cosa è questa creatura, l'uomo, secondo la testimonianza della rive-
lazione? Pertanto indaghiamo anzitutto sulla natura creaturale del-
l'uomo, sulla struttura dell'essere umano che si conserva attraverso
tutti gli 'stati' storici dell'uomo, e che rispettivamente è conservato
e preservato dal Creatore. Inoltre non si deve dimenticare che: l'es-
senza creaturale dell'uomo, di cui si parla in questo capitolo, in
modo storico concreto esiste sempre e solo come natura dell'uomo
qualificata dalla grazia e dal peccato. Ma c'è une natura creata
dell'uomo con una determinata struttura, che è comune all'uomo
dotato di grazia, al peccatore, al giudeo, al cristiano e al pagano,
senza la quale tanto il giustificato quanto il peccatore non sarebbero
uomini. Quindi se nel capitolo JX si parla dell'uomo in quantll cdc-

2 Se oggi occasionalmente si parla di una 'teologia delle reahà tcrl'l:Stri', con c:ib
non s'intende quasi una ontologia teologica della realtà del mondo .:he drcmdt
l'uomo, bensl una rincssione teologica 1ul aignilicato e il giusto modo dell'attività
e dcll'atteuiamento dell'uomo di fronte alla realtà di que1tu mondo, che cali deve
plumarc (p. e. teologia dcl lavoro, della t~ii.."I, ~·.:.1.
> K. BARTH, KD 111, 2, Zollkon Z19,9 1 p. 11.
L'UOMO IH QUAHTO C&L\Tt.'llA 213

vato ad immagine soprannaturale di Dio per mezzo della grazia,


e nel capitolo x dell'uomo come peccatore, è sempre inteso quel-
l'uomo che nelle singole sezioni di questo capitolo viene descritto
come unità di corpo e di anima, come persona, come essere capace
di parlare, diviso in due sessi. orientato alla comunità e dotato di
forza creatrice.
Così se nei singoli temi di questo capitolo vengono in prima li-
nea i punti di vista dell'ordine della creazione, ciò non esclude che
in varie questioni (per es., nella teologia delle comunità umane)
siano messi in risalto punti di vista dell'ordine della redenzione.
Tale metodo fino ad un certo punto, è inevitabile non solo per la
struttura della dogmatica d'insieme (poiché non tutti i temi pos-
sono essere svolti più vohe secondo i diversi stati concreti dell'uo-
mo), ma, forse anche perché è richiesto dai reciproci rapporti fra
l'ordine della creazione e quello della redenzione. Come ciò avvenga
in particolare apparirà dall'esposizione delle diverse sezioni.
SEZIONE PRIMA

L'ORIGINE DELL'UOMO

All'esposizione della permanente natura creaturale dell'uomo si deve


preporre come introduzione la questione circa la sua origine. Al
riguardo, I' 'origine' dell'uomo qui è intesa in due sensi: come origine
dell'umanità in quanto tale (rispettivamente come formazione del
primo uomo) e come formazione di ogni singolo uomo. Ambedue le
questioni appartengono ai temi classici della teologia,4 ma sono oggi
nuovamente poste in discussione, in quanto in connessione con i
problemi di una mutata visione del mondo e con le più recenti
ricerche esegetiche. Non possiamo dispensarci da uno sguardo retro-
spettivo all'inizio dell'umanità e da un ripensamento circa l'inizio
di ogni vita umana, poiché sia le stesse testimonianze della rive-
lazione, sia la loro ulteriore spiegazione da parte del magistero ec-
clesiastico ci inducono a riflettere attentamente sull'origine dell'uo-
mo. Inoltre le conoscenze delle odierne scienze naturali costringono
il teologo a considerare nuovamente i limiti delle asserzioni a lui
possibili e, corrispondentemente, il significato ed il contenuto delle
asserzioni della rivelazione. In queste pagine può essere data solo
una sintesi concisa delle relative questioni e dell'attuale stadio della
discussione (ancora per nulla affatto chiusa).

I. L'origine dell'umanità

La questione completa circa l'origine dell'umanità e l'inizio della


sua storia (protologia) comprende anche la questione dell'originale
elevazione soprannaturale e quindi dello stato primitivo dell'uomo,

4 TOMMASO D'AQUINO, tratta 'de prima bominis productione', in S. tb. 1: a propo-


sito della creazione dell'anima dcl primo uomo (q. 90), della creazione del corpo
del primo uomo (q. 91 ), della creazione della donnJ (q. 92), ogni volta in quattro
articoli.
216 L'ORIGISE DELL'UOMO

che sarà esposta nel capitolo rx, come la questione del primo peccato
e conseguentemente dcl peccato origin.ale ereditario, da quello de-
rivante, di cui tratta il capitolo x. Ora nel contesto di questo capi-
tob si deve prender in esam~ solo il problema della essenza naturale
creaturale dell'uomo. Si vedrà veramente che in tale questione le
principali difficoltà derivano dalle asserzioni che si dovranno fare a
proposito dello stato primitivo e del peccato originale.
Le esposizioni che seguono si concentrano sui due principali pro-
blemi che sono in discussione fin dal secolo XIX e sui quali nella
teologia cattolica non si è raggiunta ancora unità alcuna: il problema
dell'evoluzione antropologica e del monogenismo.

a. Il problema dell'evoluzione antropologica

Come venne mostrato nel capitolo precedente, l'affermazione della


rivelazione a proposito della creazione del mondo non esclude af·
fatto fondamentalmente l'ipotesi di un'evoluzione delle creature.
Il problema considerato in generale deve ora qui esser posto for-
malmente e più rigorosamente a riguardo dell'uomo, in quanto si
deve cercare se e fino a qual punto la tesi delle scienze naturali a
proposito dell'evoluzione antropologica possa conciliarsi con la
dottrina cristiana della creazione dell'uomo ad opera di Dio. Il
confronto dell'a1Iermazione teologica con quella delle scienze natu-
rali ci può aiutare a determinare più esattamente il contenuto del
dogma cristiano della creazione e a delimitarlo di fronte a idee,
che, nel pensiero cristiano, si collegavano fin nell'epoca recen-
tissima in modo tale con il contenuto del dogma, da apparirne
parte integrante.

aa. L'affermazione della Scrittura. Com'è noto, non era il primo


(Gen. 1) ma il secondo racconto biblico (Gen. 2,7) della creazione
del primo uomo quello nel quale, dopo il sorgere dell'evoluzionismo,
s'era visto il fondamento biblico dell'atteggiamento negativo del
magistero e della teologia: l'espressione di Gen. 2,7 a proposito
della formazione del primo uomo dalla polvere o argilla della terra
parve e3cludere inequivocabilmente l'ammissione di un'evoluzione
t.'OJllC,INE DF.1.1.'UMANITÀ J.17

dell'uomo da esseri viventi preumani. Parve anche che per tale inter-
pretazione della Scrittura ci si potesse richiamare alla universale
tradizione giudaica e cristiana. Un argomento continuamente addotto
contro l'ammissione della tesi dell'evoluzionismo lo forniva la de-
scrizione biblica della creazione della prima donna (Gen. 2 ,2 I s. ),
che nel Nuovo Testamento riceve ad opera di Paolo una speciale
conferma ( / Cor. 11,8-1 2 ): anche se si volesse concedere che la
sacra Scrittura non vuole istruirci sulla materia dalla quale venne
formato l'uomo, si dovrebbe tuttavia tener fermo che la prima donna
è di origine diversa da quella del primo uomo. È chiaro che una tale
restrizione dell'evoluzione dell'uomo è inconciliabile con la teoria
sull'origine della spec:e.
Non si tratta qui di scrivere la storia dell'esegesi cattolica di Gen. 2
negli ultimi cent'anni. Al nostro scopo è sufficiente determinare bre-
vemente quella interpretazione del testo che oggi, grazie alle recenti
indagini esegetiche, si è largamente imposta nella teologia cattolica.
anche se essa non si può designare come sententia communis.
Come è stato già spiegato sommariamente nel capitolo VI di que-
sto volume, le affermazioni del primo capitolo del Genesi si devono
intendere nel senso di una etiologia storica, 5 in quanto Israele è
giunto alla conoscenza delle affermazioni circa la creazione attraverso
una riflessione di fede sulle premesse storico-salvifiche della sua esi-
stenza presente accanto alle sue esperienze dell'operare salvifico di
Dio nella storia dell'alleanza. Alla luce di questo principio erme-
neutico è possibile anche nella nostra questione distinguere più
esattamente tra contenuto dell'affermazione e modo dell'afferma-
zione. Contenuto dell'affermazione può essere solo quello che lo
scrittore nella parola che Dio allora gli rivolgeva, poteva ricono-
scere come parola di Dio circa l'inizio dell'umanità; tutto il resto
appartiene al modo di concretizzare )'esposizione da parte dell'agio-
grafo.

s \J. in 4m·'1" \•olunw 1.. ari:om~nra,ioni di H. Ganss, l'P· 3~ ss. e di K. RAHNEI.,


pp. 27.,0. lnohrc K. Rw:-.:ra, 'A1iolol(it·'. in l.TK I ( 19s7J 1011 s.; ID., 'Dic homi-
ni•auon als thnlu11isd1c Fra11~'. in P U\"'..~IJ.\c,! K. RAllNI'.•. Das Prob/,·m J.., Ho·
"Jt1111a1mn, •(.lucst. disp.• Il· I\, Frc1bur11 1t}b1. l'P H' Or. it .. Il probl~m11
1ft•ll'mmm:z11umrc'. Mur.-clliana. Hrc.ci• 1
L'ORIGINI! DELL'UOMO

Come contenuto dell'affermazion~ circa l'origine dell'uomo deve


poter valere: l'uomo secondo tutta la sua concreta natura, è debi-
tore del suo essere alla libera azione creatrice di Dio, il quale lo ha
scelto e creato, perché fosse il suo libero partner. Questo partner
del dialogo di Dio, voluto dallo stesso creatore diviso in due sessi, de-
riva, come gli altri esseri viventi, dalla materia di questa terra, ma
si differenzia radicalmente dall'animale per il fatto che egli solo è
adatto ed è chiamato a rispondere con parole e azioni alla vocazione
di Dio e in tal modo egli solo sta in una relazione immediata con
il Signore assoluto dcl mondo. Se l'agiografo trasporta all'origine
dell'uomo questa sua funzione di partner e questa possibilità di imme-
diata relazione con Dio, allora alla sua affermazione appartiene anche
il seguente elemento contenutistico: questo riferimento a Dio è tal-
mente fondamentale per l'esistenza umana, che l'uomo in tutta la
sua storia non vi si può mai sottrarre; veramente, poiché da Dio
è stato voluto come partner libero, lo può accettare o rifiutare ma
esso rimane sempre fondamento della sua esistenza.
Di fronte a questo, tutto ciò che l'agiografo aggiunge circa l'ori-
gine del primo uomo, circa il modo della sua creazione, ha valore
di forma espressiva e di mezzo descrittivo: la formazione dell'uomo
con la polvere o l'argilla della terra (e qui Dio sembra un vasaio),
l'insufflare l'alito vitale (ciò nel pensiero ebraico non è identico a
quanto più tardi fu chiamato infusione dell'anima spirituale), la
formazione della prima donna dalla costola di Adamo. Né Israele
né il compilatore potevano dedurre dal presente storico-salvifico al·
cunché a proposito del modo nel quale è proceduta la creazione, e
quindi un'affermazione in merito non è neppure da attendersi. ! ov-
vio poi che la descrizione rispecchia la concezione del mondo che
aveva Israele e che non era ancora segnata dal pensiero evolu-
zionistico.
Se si confronta il contenuto dottrinale così tracciato di Gen. 2
con il contenuto dottrinale di Gen. 1, si riconosce che le asserzioni
teologiche di ambedue i capitoli circa l'origine dell'uomo collimano;
la differenza consiste solamente in questo: la dottrina in Gen. 2, a
differenza di Gen. I, viene presentata rivestita di una descrizione
plastico-visiva dell'opera creatrice di Dio. Purtroppo influì negati-
J.'ORIGIN~: llf.1.1.'llMANll'À 219

vamente il fatto che la descrizione di Gen. 2 fu considerata tempo


addietro come integrazione del testo di Gen. I. Oggi, che è certo
che il testo di Gen. I fu compilato non prima, ma dopo il testo di
Gen. 2, il rapporto reciproco dei due testi è da precisare diversa-
mente: Gen. i si deve usare per interpretare Gen. 2: tratta quindi
ciò che è più importante nel testo più antico. 6 Ci si può oggi doman-
dare se non sarebbe stato possibile già prima arrivare a questa pre-
cisazione del genuino contenuto delle affermazioni di Gen. 2, se,
invece di fissare troppo l'attenzione su questa descrizione della
creazione, si fosse preso maggiormente in considerazione tutto l'An-
tico Testamento e più ancora il Nuovo Testamento. I contenuti so-
stanziali delle affermazioni di Gen. 2, che sono determinanti per la
illuminazione dell'esistenza del credente israelita e cristiano, ritor-
nano di continuo sia nell'Antico sia nel Nuovo Testamento; ma in
nessun luogo si inculca che la creazione di Adamo sia avvenuta dal-
la polvere o dall'argilla e quella di Eva dalla costola di Adamo e
non diversamente, anche se ovviamente questa presentazione venne
tramandata nella tradizione israelitica e apostolica. Nella discussione
a proposito di Gen. 2 non si è neppure mai addotta la prova che
la conoscenza del modo della creazione dell'uomo sia importante
per la sua salvezza, ed una simile prova non si può nemmeno por-
tare. Al contrario, non vi può essere dubbio alcuno a proposito del-
l'importanza salvifica della conoscenza che l'uomo è creatura di Dio
secondo tutto il suo essere e che è stato creato per un rapporto
diretto con Dio.
Concludendo possiamo dunque dire che né Gen. 2 né alcun al-
tro testo scritturale vuole insegnare alcunché a proposito di come
l'uomo fu creato. È evidente che la Scrittura noQ. costituisce istanza
alcuna a favore di una concezione evoluzionistica. D'altra parte non
decide neppure contro un evoluzionismo, che non si collochi al po-
sto del dogma della creazione dell'uomo e che non pretenda di
essere una spiegazione completa dell'origine dell'uomo_ Dalla Scrit-
tura piuttosto il problema è lasciato aperto.

0 a. H. HAAG. Bìblìsche Schopfungslehre 11nd kirchliche F.rbsiindenlehre, in cStutt-


garter Bibdstudien" 10 (Sruttgan 1966) 43 ss.
220 L'ORIGINF. DF.1.1.'UOMO

bb. li magistero ecclesiastico. È chi~ro che il magistero ecclesia·


stico come tale non è affatto competente nelle questioni puramente
scientifiche. ma è competente nella questione se una verità della rive·
!azione contraddica o no a una concezione scientifica. ~ uizualmente
chiaro che non pub sorgere una effettiva contraddizione tra una
conoscenza scicntiflrn vera, certa e oggettivamente fondata e una
dottrina rivelata. Di pii1, la storia prova che sono possibili abusi di
competenza, tanto da parte del magistero quanto da parte dei rap-
presentanti della scienza profana. In concreto il giudizio se una
ipotesi scientifica sia conciliabile con il dogma della Chiesa, può
essere assai difficile, quando cioè le conoscenze non siano sufficien-
temente chiarite né da parte della scienza, né da parte della teologia.
La presa di posizione del magistero ecclesiastico sulla questione
della conciliabilità dell'evoluzione con il dogma definito dalla Chiesa
della creazione, mostra ora chiaramente un graduale cambiamento da
un giudizio inequivocabilmente negativo sul problema, ad uno positi·
vo. Questo mutamento è determinato dai progressi nelle conoscenze
sia della teologia, soprattutto dell'esegesi, come pure delle rispettive
scienze naturali, mentre proprio le conoscenze scientifiche furono la
causa per cui la te:>logia si occupò più profondamente della questione
alla luce dei suoi specifici princìpi.

Il concilio pro\•inciale di Colonia del 1860 (Coli. Lac. ',292) condannò


del tutto in blll('CO l'evoluzionismo, senza la possibilità di prendere in
considerazione un moderato trasformismo. Nel 189' e 1899 dalle auto-
rità romane furono censurati i libri di due teologi cattolici (M.D. LEROY
e P. ZAHM) che difendevano l'evoluzionismo. Nel 1909 la Commissione
Biblica romana emanò un decreto cimi il carattere storico dei tre primi
capitoli Jel Genesi (DS 3,12), la cui ••ffermazione circa la speciale crea-
zione dell'uomo ed a proposito della formazione della prima donna dal
primo uomo, veniva interpretata dalla maggior parte dei teologi cattolici
come rifiuto dell'evoluzionismo. Tutt11via quando sotto Pio XI e Pio XII
apparvero scriui di teologi cattolici che difendevano un evoluzionismo
moderato, le auwrità ecclesiastiche non intervennero più. Finalmente la
endclicat di Pio x11 Humani generis I 19,0) determinò il libero corso del-
l'evoluzionismo moderato (os 3896).

La lc:m:ra enciclica Humani generis precisa che gli specialisti della


1.:ol\.l~ia e delle scienze naturali possono discutere la questione cdel-
L'ORIGINE DELL'UMAll:.l'rÀ 22l

l'origine del corpo umano da materia preesistente e animata», cioè


il problema di una connessione genetica tra il regno animale e la
corporeità fìsica dell'uomo. Invece a proposito dell'anima viene
espressamente messo in rilievo che, secondo la fede cattolica, si de·
ve tener fermo che essa è ;,tata creata immediatamente da Dio. L'en-
ciclica lascia capire che il magistero non considera ancora sicuramente
e univocamente dimostrala la Leoria scientifica dell'evoluzione e che
non gli sembra ancora evidente la conciliabilità dell'evoluzionismo
con il dogma. Se nel frattempo lascia tuttavia libera la discussione
sul problema è perché riconosce apertamente motivi che parlano
in favore della teoria evoluzionistica, e considera non decisive le
obiezioni teologiche finora fatte valere contro questa dottrina.

cc. Osservazioni teologiche. L'aver dato libero corso alla discus


sione circa l'origine dell'uomo da forme di vita preumane non ob-
bliga ovviamente il cattolico ad una concezione evoluzionistica. Il
magistero né può né vuole dichiarare obbligatorio né l'evoluzioni-
smo né la teoria copernicana. Pertanto, se un giorno si potesse an-
che raggiungere scientificamente la piena chiarezza del problema del-
l'origine umana, da parte della fede cristiana perdurerebbe com-
pleta libertà. Ora è pure un'innegabile realtà che nel nostro tempo,
non da ultimo per l'influsso degli scritti di Teilhard de Chardin,1
sempre più numerosi fedeli, teologi e non teologi, fanno propria la
teoria evoluzionistica, precisamente anche per quanto si riferisce
all'origine delJ'uomo. Ma anche supponendo che sia scientificamente
dimostrata, in modo inequivocabile, i'origine dell'uomo dal regno
animale, per le riflessioni di chi crede nella rivelazione si pongono
numerosi problemi che non sono per nulla risolti con la constatazione
che la dottrina evoluzionistica non è contraria alla fede.
Cominciamo con la questione del come si debba concepire l'ori-
gine di un organismo umano animato da spirito da un organismo
altamente sviluppato ma ancor preumano. In un primo momento

7 La letteratura che si pone a confron10 con la visuali: cvoluzionis1ka di Teilhard


è gtì molto vas1a cd aumcn1a ince ... n1cmcn1e lusic.:hé e im1>U5Sibilc: "ui in plll"O
spazio dare anche: solo una panoramica oggcniva di questa di•nis•io11.:. Nella scie·
zione bibliografica aggiunta a questa .czionc sono inscri1i alcuni dci piì1 importanti
lavori 1cologici su Tcilhard.
222 L 00IRIGINE l>ELL 0UOMO

sembra che la risposta da dare sia la solita distinzione, usata anche


dall'enciclica Humani generis, tra il corpo umano e l'anima spiri-
tuale: il corpo del primo uomo si sviluppò da una forma vivente
preumana, mentre l'anima umana fu creata direttamente da Dio.
Per mezzo di un continuo sviluppo di perfezionamento dalle forme
infc:riori Jcl regno animale, nel corso di smisurati intervalli di tem-
po sarebbe stato raggiunto uno stadio nel quale il creatore poteva
infondere nell'organismo così preparato l'anima spirituale quale
nuovo principio di vita. In corrispondenza di ciò si potrebbe pen-
sare che la fede e la teologia siano interessate solo all'anima ed alla
sua creazione immediata per opera di Dio. Una tale concezione
semplifica certamente in modo indebite tutto il problema e com-
porta il pericolo di idee che dal punto di vista della fede e della teo·
logia si debbono respingere.
Innanzitutto si deve considerare che l'affermazione che il corpo
dell'uomo si è sviluppato dal regno animale non sostituisce l'affer-
mazione della rivelazione che l'uomo è stato creato da Dio anche
per quanto riguarda il corpo. Sebbene la rivelazione lasci aperta la
questione sul come sia avvenuta la creazione dell'uomo in quanto
alla sua corporalità, essa però non dice solo che l'anima viene
creata da Dio, ma che l'uomo è creatura di Dio. Con ciò si è anche
richiamata l'attenzione su un'imperfezione che è contenuta nella
risposta sopra accennata e che può far credere che si possa parlare
di corpo umano astraendo dall'anima spirituale e viceversa. Anima
e corpo appaiono cosl in connessione l'uno con l'altro.
Con questo accenno non si deve ovviamente contestare la distin-
zione tra corpo e anima nell'uomo; si deve solo render consapevoli
che quando si parla del corpo dell'uomo, si parla sempre del corpo
umano animato dallo spirito, e che quando il discorso tratta del-
l'anima umana, tratta della forma spirituale del corpo umano. La di-
stinzione della corporalità umana e dell'anima spirituale è il motivo
fondamentale per cui le scienze biologiche si potranno occupare
dell'indagine di un determinato aspetto dell'essere umano. Ma an-
che le loro affermazioni circa l'origine dell'uomo, sono affermazioni
circa lo stesso uomo del quale parla anche la teologia. Se dun-
que esse affermano anche una connessione genetica tra l'uomo e le
L'ORIGINE DELL'UMANITÀ 22J

forme cli vita preumane, allora fanno derivare un organismo um11no


animato da spirito da esseri viventi infraspirituali. Possono farlo
senza contemporaneamente accettare uno sviluppo nell'uomo dello
spirituale dalla psiche animale? Più universalmente: supponendo la
destinazione, guidata da Dio, di organismi preumani alla forma-
zione del corpo umano, non si potrebbe anche accettare un progres-
sivo sviluppo, diretto da Dio, della parte psichica nel regno animale
che in definitiva portasse al sorgere dello spirito? Una simile con-
gettura si lascia conciliare c0n l'insegnamento della creazione del-
l'anima ad opera di Dio?
Se accettiamo uno sviluppo del corpo umano dal regno animale e
aggiungiamo che l'anima è tuttavia creata direttamente da Dio, al-
lora a proposito di questo intervento creatore di Dio si presenta una
difficoltà sulla quale ha particolarmente richiamato l'attenzione K.
RAHNER.' La presentazione corrente vede la collaborazione di Dio
e della creatura presso a poco cosi: un organismo animale s'è svi-
luppato fino al punto da essere il sostrato idoneo per l'infusione
dell'anima spirituale. Fino a questo punto era operante la creatura,
ma ora entra in azione Dio stesso direttamente con l'insutBazionc
dell'anima spirituale. Questa creazione settoriale corrispond<' effetti-
vamente all'azione cli Dio e presenta esattamente la collaborazione
cli Dio e della creatura? Non diventa qui Dio un demiurt(o e il
sorgere dell'uomo un avvenimento miracoloso? Chi pensa nel mo-
do suaccennato, riduce in questo caso la causalità trascendente e la
onnipotenza cli Dio ad una categoriale causalità intramondana, men-
tre inserisce l'operare cli Dio nella serie delle causalità immanenti
al mondo e lo pone accanto all'attività delle creature. In realtà la
azione di Dio non sta accanto all'azione della creatura, bensl è il fon-
damento che rende possibile l'operare della creatura; l'intervento di ta-
le azione nel mondo consiste nel realizzare essa stessa, sempre e ovun-
que, come fondamento trascendente, ciò che realizzano gli esseri creati.
Prima di esporre brevemente il pensiero di K. RAHNER, che cer-
tamente ha fornito il più significativo contributo per la chiarifi-

a Die HominisaJion 11/s theologische Frage, in P. 0vERHAGE·K. RAHNEL Das


Problem der Hominisation, in cQuaesl- disp.• 12-13, Freiburg 1961.
L'OllGDIE DELL'UOMO

cazione del problema, vogliamo richiar;nare l'attenzione su alcuni in-


segnamenti della rivelazione che in una soluzione della questione
vanno conservati. In corrispondenza alla visione della Sacra Scrit-
tura, che ha sempre presentato l'uomo come unità, il magistero ha
sempre messo in evidenza l'essenziale e sostall7.iale unità dell'uomo
(specialmente nella definiiionc del Concilio di Vienne, ns 2902, cui si
fece spesso riferimento in seguito: cfr. p. es. DS 1440 s., 2228, 3224).
Quindi non si deve considerare l'uomo come un qualche cosa di
composto in un secondo tempo da due realtà autonome, bensl come
una unità cui è ontologicamente ordinata la dualità delle real-
tà nell'essere dell'uomo. Ne deriva che non si può fare nessu-
na affermazione circa il corpo umano che non implichi anche
una affermazione circa la sua anima e viceversa. Ma la Chie-
sa insegna pure una vera dualità delle realtà nell'essere di uno
stesso uomo, che non sono derivabili l'una dall'altra né possono es-
sere ridotte l'una all'altra (os ;;,,o, 272, 800, 900, 3002). Essa
parla del corpo come di una realtà distinta dall'anima spirituale e
soprattutto mette in evidenza l'essenziale differenza dell'anima spi-
rituale dalla corporalità dell'uomo (ns 190, 360, 1440, 3022, 3896).
L'anima spirituale non può dunque esser~ intesa come semplice for-
ma di apparizione ddla materialità dell'uomo.
Secondo la dottrina della Chiesa l'anima spirituale semplice e so-
stanziale, è per se stessa ed essenzialmente la forma del corpo uma-
no, il principio costitutivo, che determina la natura dell'uomo .(os
902). Per la sua essenza è immortale (os 1440) e può sorgere solo
per un atto creatore di Dio, che, indipendentemente da ogni prece-
dente dato, pone qui qualche cosa di nuovo (os 3896). Con ciò non
!lii dice che l'anima è una realtà sussistente per se stessa che possa
esistere ed essere compresa indipendentemente da ogni riferimento
alla corporalità umana; essa aon arriva all'esistenza come essere in-
dipendente, bensì come principio sostanziale d.ell'uomo.
Ora, se la rivelazione afferma a proposito dell'uomo che egli vknc
dalla terra e se si prende sul scrio l'insegnamento della Chi~sa 11ppc·na
ricordato a proposito dell'unità sostanziale dell'uomo, dò si~nilio1
che «l'uomo intero è segnato da questa origine che è sua, o che, per
lo meno, fa parte 'anche' della sua eredità. In ogni caso l'origine mate·
L'OlllGINE DELL'UMANITÀ
225

riale è un condizionamento che determina l'uomo intero, anche se ri-


mane poi vero che questo condizionamento si modifica iri modi diversi
nella pluralità interiore dell'uomo a seconda dei singoli momenti di
questa pluralità, e quindi con questa considerazione si può e si de-
ve dire che la determinazione 'dell'anima' e la determinazione 'del
corpo' da quest'unica provenienza terrena sono di indole essenzial-
mente diversa».9
Questo punto di partenza è da tener in considerazione, assieme
alle affermazioni della rivelazione, quando in seguito sarà abbozzata
la spiegazione di RAHNER 10 che si basa sull'analisi d<tl concetto del
divenire, della causa e dell'agire. Il vero e genuino divenire (a difie-
renza di una semplice mutazione) si deve pertanto intendere come
un tutosuperamento, come un'autotrascendenza della creatura ope-
rante, eh; significa un ve'9-incrcmento d'essere dell'eslitente àCàto.
Una simile autotrasccndenza, che non è solo lasciarsi fare passi-
vamente oggetto d'una dotazione superiore, ma attivo aut~movi­
mcnto,_ avviene senza dubbio nello spirito creato (cuil'essere aSio-
luto si dona -ontologiamente) per mezz0 de1T'attuale autoattuazione
dello spirito, mediante l'~!_o della conoscenza per mezzo del quale
lo spirito acquista un di più nell'cs~re. Autotrascendenza che sf può
ben anche immaginare ndla creatura non spirituale cui non si dona
ontologicamente l'essere assoluto. A diJlerenza dell'autosuperamento
dello spirito, l'autotrascendenza della creatura non spirituale è tut-
tavia. sempre in ~~nso proprio un'elevazione del _pro_!>!~ essere,
un superamento della natura: il divenire di un tale essere i.O evolU-
zione è superamento di se stesso nel superamento della_p~_E!ia natu-
..fa.Jl_I} mondo immaginato in evoluzione si deve dunque inicnde;-c~
mc un mondo che divi~ne grazie all'autosuperament~. Ora si deve an-
che chiedere qual è il principio che rende possibile un tale autosupcra-
mento del creato che è in evoluzione. Da una parte si tratta qui di un
attivo autosuperarsi, in cui la stessa creatura è attiva; d'altra parte la
creatura non può raggiungere solo con le proprie forze l'incremento
dell~~sere che questo divenire significa. Principio della possibilità
di un tale autosupcramento può essere solo l'essere assoluto, la
causa infinita, la potenza di Dio, la quale in quanto atto puro con-

' Op cir., p. J,.


10 Op. C"il., pp. n-78.

1, · Mysur1u111 Saluti1, 11/J


226 L'ORIGINE DELL'UOMO

tiene antecedentemente in sé ogni realtà e fonda la nuova crescente


realtà dell'essere con la sua azione tr~scendente. Si può pensare il
divenire, che significa incremento dell 'esserc, solo se vi si aggiunge
ment~tII1erHe Dio come causa. che lo ren4e po_s_~)?.ilt:. In ogni CNl
inoltre l'azione di Dio che fonda la realtà del mondo non la si deve
immaginare in rapporto al mondo come un sostenere il mondo in
modo puramente statico; essa è piuttosto un sostegno del mondo per-
manentemente attivo-creatore.
Ora però è decisivo comprendere bene come la causa divina dia
un fondamento alla nuova ricchezza d'essere che la creatura acquista
nel suo divenire. L'essere creato, in quanto causa finita, può real-
m~fl!e superare se stesso, in altre parole l'effetto della causa finita
non puQ. ~sserle superio~e e nello stesso tempo provenire d-; essa, alla
sola condizione che 'mo in quanto éalisa"liifin}_ta -s;ir:i~.c:!l~~-pell_a c9-
Ls~!!~~l~~ella causa ~n!!~--~n --~to. D'altra parte l'effetto della causa
creata può essere realmente un superamento solo se la causa infinita
(benché s'inserisca nella cç.stiUJzione della causa finita) non è un mo-
mentulnlrinseco costitutivo della natura della causa creat;;· perché se
essa fosse ~~ mom-ento" lrltf'lnseco "deifa'"stessa
caUSahnita, questa
avrebbe ii@_ ciò ée nella~a a_utotra~n_denza deve anco~a raggiun-
gere. Penanto la creatura evolventesi per aucosuperamento si deve
intendere come causa cui la realtà infinita di Dio appartiene come
momento costitutivo, senza diventare momento intrinst:(;O della
causa finita, in quan~o esistente. E la causalità di pio O.O!} si dey_e
inte~<:ome un operare, che agisce t1g_anto all'opera della crea-
tura o che opera qualche cosa che la natura non opera, ma come un
operare ch~usl! lo stesso QP.~l!ft:_È~lla creatura, il quale supera
e soverchia le sue proprie possibilità. - -
Se l'evoluzione dell'uomo da una forma vivente preumana è una
realtà, allora questo concetto generale di divenire, di causa e di
operazione può essere ~plicato anche_ all'ominizzazione. L'origine
del primo uomo si dovrebbe quindi immaginare cosl: in una
forma vivente preumana s'è prodotta una autotrasccndcnza, una
ascesa da un organismo - no~ -mimato spiritl.laimente ---;i-un orga-
nismo animato spiritualmente. ascesa che però non è avvenuta gra-
zie alle forze proprie di questo essere preumano, ma in virtù della
L'ORIGINE DELL'UMANITÀ 227

dinamica dell'essere assoluto di Dio come fondamento trascendente


dell'esse~ e dell'~per~re finit~. Dio -non operò -il divenii:c-<lèlnuo-
vo essere, sostituendo la causa seconda; non esplicò la sua attività
accanto all'attività della creatura preumana come una causalità ag-
giunta a questa, bensì come il motivo trascendenti! che rende pos-
sibile .con (lttività creante.l'auwsupcrnmcnto da parti.: di qu~sta_crea­
tura. L'ominizzazione, in cuì si tratta di un essere corporale, si com-
pie nell'ambito dello spazio e del tempo e quindi presenta una
parte sperimentabile la cui indagine ~petta alle scienze naturali.
Per questo motivo e fintanto che si mant~ngono nell'ambito-ael-
le loro competenze. le affermazioni delle scienze naturali sono le-
gittime ~__ nçm__p_retendg~_o__ çli. QMC _una ~pi~~~~~i:!_~ __total~ dell'ori-
gine dell'uomo; rimane spazio per affermazioni riguardanti lo stes-
so avvenimento, che possono e debbono essere presentate dalla
fede.
È chiaro che dalla rivelazione è escluso l'evoluzionismo antro·
polo_gico radicale, di uno Spencer, Lamarle, Darwin, Hi.icleel, Tquali
negano un operare ·creatore ar·Dio. ncll'orìgine-- deil'uomo, oppure
l'evoluiigJti~mo del materialismo dialettico, il quale non riconosce
alcuna differenza essenziale tra spirit~--;- materia. Nel campo della
fede rivelata può dunque esser tenuto in considerazione solo un
evoluzionismo moderato, per il quale il magistero ha lasciato libera
la discussione. Nell'interpretazione --di RAHNER or oraabbozzar;,-la
q~~l~~ol giovare alla chiarificazione della relazione del dogma della
creazione con un evoluzionismo moderato, sono conservate tutte le
verità della rivelazione che si debbono prendere in considerazione in
questo contesto: l'u~tà e la tQt~ità ..dcll'uomo (in contrapposizione
a un dualismo platonico di corpo e anima), l'autentica dualità di
CQrP-<> e anima (in contrapposizione a panpsichismo e materia-
lismo), ladifferenza essenziale e~_mutua j!lÈerivabilità di spirito e
IEateria (anche nell'applicazione del concetto di divenire all'omi-
nizzazione lo spirito non è ridotto alla materia né da essa derivato),
l'anima spirituale come forma sostanziale determinante la natura del
corpo um.3119. In tutti i casi si potrebbe domandare se nella spiega-
zione surriferita si possa ancora parlare di U_!l!.__creazion~ im_mediiita
dell'anima per op(:ra cliDìo. Senza dubbio la spiegazione di RAHNER
L'ORIGINE DELL'UOMO

nun corrisponde alla solita rappresentazione dì un intervento creatore


di Dio, a tutto vantaggio, però di una comprensione più profonda
dell'operare creatore di Dio e del suo 'concorso' con la creatura. 11

Concludendo si deve accennare che contro l'evoluzionismo antropologico


mitigato si muovono difficoltà da tutt'altra parte e cioè dalla dottrina
creazi?nale sullo sfato_ di_origine. Le affermazioni della teologia tradi-
zionale a proposito dei dona stipernaturalia e praeternaturalia (l'esenzio-
ne dalla concupiscenza, dal dolore e dalla morte, scienza speciale) dcl
primo uomo possono essere solo difficilmente accoppiate alla figura che
anche.J'evoluzionismo mitigato §.Lforma del I>_ri~o_ UOllJO. Poiché l'intera
e
questione sarà trattata nei capitoli IX -x.~qui può bastare un accenno.
È oggi comunemente riconosciuto che nella descrizione del Genesi a _pro-
posito dcl paradiso terrestre si tratta di uno schema di rappresentazione
che serve com.e J!!_~~ espressivo per l'affermazione teologica. Nell'inter-
pretazione teologica dei doni soprannaturali del primo uomo la maggior
parte dei teologi dogmatici cattolici sono convinti che i doni sopranna-
turali e preternaturali (oppure almeno quelli strettamente soprannaturali1
siano stati effettivo e attuale possesso dei progenitori. Essi dunque sosten-
gono fc-iiri&m~E_te -.!:i._~o Stato originale storico, m merito al quale tuttavia
quelli che tengono in considerazione l'ipotesi dell'evoluzionismo sottoli-
neano che lo stato originale soprannaturale non ha comportato nel qua-
dro dell'apparizione del primo uomo _e 4~Lcorso della storia alcun cam-
biamento che ~t~~se esse~ ~t!a~ile daITC saenzc profàiic.' Questo
diventa particolarmente chiaro se si ammette che possesso attuale è stato
solo il dono strettamente soprannaturale della grazia santificante, la cui
vinualità sia spiegata con la dottrina dei doni preternaturali, e che que-
sto possesso è durato solamente fino alla prima decisione libera dell'uo-
mo. Cfr. a questo riguardo J. FEINER, Urstand LTK X (1965) p. '72 segg.
Una ancor più avanzata ipotesi d'interpretazione dello stato primitivo fu
recen@simamente proposta da Z. ALSZEGHY-M. FucK, Il peccato ori-
ginale in jirospettiva evOluvonistica, in Gr. 47 (1966) 201'225, cfr. 'Dic
Erbsiinde in evolutiver Sicht', in Theologie der Gegenwart 3 ( 1966)
. 151-159, i quali considerano il paradiso tcr~stre solo come il possesso
i Ivitl!'ale delle perfezioni soprannaturali che a causa -dcl peccato dclPuomo
I !lQ!!_Si sono svITuppate. Non equesto il posto per esporre e discutere
quest'ipotesi nei parucolari. Ad ogni modo essa può spiegare che fc:no-

Il Il concetto di e\'oluzione di K. Rahncr e la sua applicazione al problema dcl-


i 'origine dell'uomo è .a5$UDIO anche eia P. SotOONENBERG, Galles werdenle Welt, Lim-
burg 1963, 63 ss. (tr. it.; dlll'originale olaÌldcsc;lì mondo di Dio in evolu:ione,
«Giornale di teologia» 20, Qucriniana, Brescia).
L'ORIGINE DELL'UMANITÀ 229

menologicamente non si può accertare alcun cambiamento dell'evoluzione,


anche se - senza il peccato - l'evoluzione dell'umanità avrebbe seguito
un altro decorso.

b. Il problema del monogenismo

Nella discussione tra fede nella creazione e dottrina evoluzionistica,


nella teologia cattolica era da lungo tempo incontestato che nel·
l'Adamo biblico si dovesse vedere una singola persona storica, un
capostipite dell'umanità bisognosa di redenzione. I teologi cattolici
generalmente consideravano la dottrina della discendenza dell'uma·
nità intera da un unico Adamo individuale come un momento incon-
testabile nella dottrina ecclesiastica circa l'uomo, e questa convin-
zione la vedevano fondata già inequivocabilmente nei racconti della
creazione dell'Amico Testamento. Nel frattempo il crescente rico-
noscimento della conciliabilità del dogma della creazione con l'evolu-
zionismo moderato fece sì che venisse messa in discussione an-
che la questione dell'unità biologica dell'origine dell'uomo, del mo-
nogenismo. Anche se pochi scienziati difendono il 'polifiletismo'
(derivazione dell'umanità da forme viventi preumane diverse fra
loro), pure d'altra parte uno scienziato convinto dell'evoluzionismo
ben difficilmente pensa in modo monogenistico: come a proposito
dell'evoluzione nel regno animale ammette, sulla base di numerose
osservazioni, che il passaggio da una forma di vita inferiore ad una
superiore sia avvenuto in un maggior numero di esemplari, in un
intero gruppo, cosl ammette anche per l'uomo che l'evoluzione da
forme animali già altamente sviluppate sia avvenuta in un gruppo.
A questo si aggiunge (o per lo meno non si può escludere) la con·
vinzione che l'ominizzazione sia avvenuta in diversi luoghi della terra
all'incirca nel medesimo periodo biologico. Lo scienziato ~ dunque
in certo qual modo poligenista 'per natura'.' 2 Ma che cosa ha la
teologia da dire a proposito del poligenismo? Il rifiuto di esso da
pane del dogma è effettivamente necessario? Non appartiene forse

12 La posizione Jc:ll<> scicnzia10 odierno la definisce molto bene. E. BoNi, 'Un siècle
J'Anihrol""l~i<" préhisiori4uc. Compa1ibili1é 011 incomparibilité scientilique du mo-
nogénismc?', in NR'f 9~ (11162) pp 622·6~1; 709-734; ID., Devenir de l'homme,
Rmxell<"• 1~2
L'ORIGINE DELL'UOMO

anche il monogenismo a quegli elemc:nti del pensiero della fede che


s: possono abbandonare in quanto rappresentazioni condizionate dalla
concezione del mondo, senza pregiudizio per le genuine verità della
rivelazione? 13
Per anticipare subito la cosa più importante: la risposta alla que-
stione proposta dipende teologicamente dalla conciliabilità del poli-
genismo con il dogma del peccato originale. Questa questione sarà
esaminata nel capitolo x di questo volume. Qui pertanto può ba-
stare un brevt: sguardo generale alla situazione attuale del problema.

aa. L'affermazione della Scrittura. Presso gli esegeti cattolici va


sempre più imponendosi la convinzione che i compilatori di Gen. 1-2
non avevano l'intenzione di insegnare come verità rivelata che Adamo
è una singola persona e che da questa deriva l'umanità intera. Il
dogmatico eviterà perciò di riferirsi per il monogenismo a questo
passo scritturistico. Gli altri testi dell'Antico Testamento non con-
ducono oltre questa affermazione del testo dcl Genesi. Più difficili
invece da giudicare sono i testi del Nuovo Testamento, tanto più
che la loro spiegazione per opera degli esegeti cattolici d'oggi di-
verge considerevolmente. Mentre prima tutti gli esegeti cattolici
erano dell'opinione che Rum. ~.12-21 contenesse la dottrina eccle-
siastica del peccato originale e, in correlazione, la dottrina tradizio-
nale di Adamo capostipite individuale di tutti gli uomini, oggi al-
cuni esegeti cattolici sono persuasi che in ogni caso Paolo non possa
essere invocato come testimone per il monogenismo. Difficilmente
si può rii;olvere la questione direttamente con le affermazioni della
Scrittura; ci vorrà quindi una ulteriore riB.essione teologica circa
le implicazioni della dottrina del peccato originale. Ma, come s'è
detto, questa questione sarà esaminata più tardi.

bb. li magist.-ro ecclesiastico 11 concilio di Trento in connessione con la

n Dopo quanto de110. il rroblema monogenismo-poligenismo è la questione di


come sia da intendere l'•Jnitìa !senza dubbio da sostenere) del genere umano. Anche
le scienze naturali favorc\"Oli al poli11enismo ammettono un'unità della umanità. Teo-
logicamente si pone il problema se l'unitìl dell'um:mità sia da intendere nel senso dcl
monogenismo biologico, in quanto dc:ivazionc di tutti gli uomini per via Ji gene-
razione da un'unica coppia, dun4uc come unit:ì d'originc in senso stretto.
L'ORIGINE DF.LL'UMANITA
231

dottrina del peccato originale parla più volte cli Adamo come capostipite
dell'umanità, dal quale per generazione il peccato passò a tutti gli uomini
( os 1511-1514 ). Soprattutto sulla base di queste affermazioni del conci-
lio molti teologi hanno qualificato il monogenismo come de fide divina et
catholica, o anche come implicitamente definito, ma a torto, come oggi
viene ammesso da un num.:ro sempre crescente di teologi. Cf. per il
problema: K. RAIINER, 'Theologisches zum Monogenismus', in Schriften,
t, pp. 253-345. Anche se i padri dcl concilio tridentino in accor-
do con la concezione dd mondo che si aveva allora, pensarono si-
curamente in modo monogenistico, da ciò non deriva per nulla affatto
che questa idea sia stata definita insieme con quella. In favore di
ciò sta pure il fatto che il magistero odierno, nella sua presa di po-
sizione a favore del monogenismo, non si richiama affatto ad una
definizione, già avvenuta, del concilio tridentino. Per l'interpretazione
delle affermazioni del tridentino cf. anche cap. x sezione 4,3 b.c., do-
ve sono menzionati anche il canone citato per il concilio Vatica-
no I e il testo dell'enciclica Humani generis (DS 3897). L'afferma-
zione dell'enciclica Humani generis rappresenta senza dubbio finora la più
importante presa di posizione del magistero nella questione del polige-
nismo. (Precedentemente v'era una condanna ad opera del concilio pro-
vinciale di Colonia del 1860 ed una notificazione del decreto della
commissione biblica del 1909, secondo cui l'unità del genere umano, che
senza dubbio viene intesa in senso monogenistico, fa parie del conte-
nuto storico di Gen. 2-3 ). Mentre l'enciclica lascia libera la discussione
dell'evoluzionismo moderato, per quanto riguarda l'accetta7.ione dcl po-
ligenismo non viene concessa uguale libertà, pur esprimendosi l'enciclica,
a dir il vero, molto cautamente: «poiché non è affatto evidente come
una simile opinione possa conciliarsi con ciò che insegnano le fonti
della verità rivelata e la dichiarazione del magistero a proposito del
peccato originale». Anche qui appare evidente che il problema dell11
conciliabilità del poligenismo con il dogma si decide nella dottrina del
peccato originale oppure nella interpretazione teologica di questa dot·
trina. Il testo dell'enciclica non esclude apoditticamente che una tale
prova possa mai essere portata. Il concilio Vaticano n non ha preso aJ.
cuna posizione sul problema del poligenismo, dal momento che il corri-
spondente schema della commissione teologica preparatoria non fu ac-
colto nell'elenco delle questioni da trattare. Anche il discorso che Pao-
io v1 tenne nell'estate 1966 ad un gruppo di teologi sul tema 'Il dogma
del peccato originale e le moderne scienze naturali' non va più in là
dell'enciclica di Pio Xli. Di nuovo nel contesto del peccato originale il
papa afferma: .. ~ evidente perciò che anche le spiegazioni che del pec-
cato originale danno alcuni autori moderni, sembrano inconciliabili con
la genuina dottrina cattolica. Essi partono dal presupposto, ancora non
L'ORIGINE l>F.LL'UOMO

dimostrato, dcl poligenismo e negano più o meno chiaramente che il


peccato, donde è derivata tanta colluvie di mali nell'umanità, sia stato
anzitutto la disobbedienza di Adamo, 'primo uomo' e figura di quello
futuro ... Per conseguenza tali spiegazioni neppur s'accordano con l'inse-
gnamento della Sacra Scrittura, della Tradizione e del magistero della
Chiesa, secondo i quali il peccato del primo uomo è trasmesso a tutti
i suoi discendenti p.:r via Ji propagazione e non per via d'imitazione .....
(«Osservatore lfomano», 16 luglio 1966 ). Si deve tener presente che il
papa nello stesso discorso auspica una discussione teologica sul proble-
ma del pccrnto originale. Non sarebbe possibile che da quella discussione
derivasse luce per una eventuale conciliabilità del poligenismo con il
dogma del peccato originale? In ogni caso metodologicamente in tuna
la questione si debbono osservare le regole generali dell'ermeneutica.
Cfr. Mysterium Salutis 1/2, pp. 89 s., 93-97, u8 ss., ulteriormente M.
WHRER, 'llberlegungen zur lnterpretation lehramtlicher Aussagcn', in
Gott in Welt 11 499-52~ (tr. it. Orizzonti attuali della teologia n, Ed.
Paoline, Roma).

cc. Osservazioni conclusive. Anche se oggi si deve ammettere che


dai testi dell'Antico Testamento non ,si può dedurre alcuna prova
valida per il monogenismo, con ciò ,non è ovviamente ancor detto
che non sia assolutamente possibile alcuna prova scritturistica.
~ pensabile appunto che anche proprio a questo riguardo la rivela-
zione neotestamentaria porti a superare le conoscenze possibili gra-
zie all'Antico Testamento. Al riguardo una prova neotestamentaria
non dovrebbe necessariamente essère dedotta direttamente da di-
versi passi singoli (ciò che è assai discutibile, come già si disse),
piuttosto sarebbe pensabile nel senso di una eziologia storica, dove
sarebbero determinanti non i passi singoli della Scrittura, ma le
fondamentali realtà della salvezza testimoniata dal Nuovo Testa-
mento, se queste sono viste nelle loro connessioni e dalle loro pre-
' potrà forse apprezzare la prova scritturistica
messe. Chi vi riflette,
di K. RAHNER 14 come legittima eziologia del fedele neotestamen-
tario, che completa e approfondisce l'eziologia veterotestamentaria.
Qui si può solo accennare alla sua dimostrazione (indiretta) ben
ponderata, che in una sicura verità cristologica potrebbe presen-

14 RAHNE1t. 'Thcologisches zum Monogcnismus', in Schriftetr I, pp. 299"3Il; d. la


ricapirolazion~ nel saggio di J. FEtNf.R, in HFf, 2'4 s.
L'ORIGINE DELL'UMANITÀ

tarne il necessario presupposto 'adamologico'. Che la prova regga


ancora qualora si trovi una spiegazione ulteriore dcl peccato ong1-
nale (anzitutto per quanto riguarda la sua universalità e l'origine
umana) apparirà a qualcuno cenamente discutibile. Anche la pro-
va metafisica in favore del monogenismo tratta dal principio di eco-
nomia 15 non dovrebbe essere assolutamente convincente. Se RAllNER
afferma che l'ammissione di più coppie primitive capaci di procreare
contraddice al principio di economia poiché è causa sufficiente per
l'origine dell'umanità intera la capacità di procreare di una sola
coppia umana, allora ci si deve ben chiedere se scientificamente
(senza un miracolo) basti una coppia per una tale conservazione e
diffusione, oppure se non ne sia necessario un gruppo.
Le considerazioni addotte e i testi del magistero mostrano chiara-
ment: che il problema del monogenismo-poligenismo dipende, teolo-
gicamente, in ultima analisi dalla questione della spiegazione teolo-
gica del peccato originale. Se ne 'deve riparlare quindi in connessione
col capitolo x. Senza pregiudizio di quanto ivi sarà detto, si può già
qui far osservare quanto segue: al presente sembra che teologica-
mente l'accettazione del monogenismo sia più facilmente conciliabile
con i dati della rivelazione che non l'ipotesi contraria; questo princi-
palmente perché, fino ad oggi, tutte le dichiarazioni del magistero
preferiscono inequivocabilmente il monogenismo. Il dogmatico, se
considera la cosa solo partendo dalla sua teologia, non avrebbe cer-
tamente fondamento alcuno per allontanarsi dal presupposto del
monogenismo. Data però l'univoca tendenza delle scienze naturali al
poligenismo, egli è obbligato a riesaminare la sua posizione per
vedere se non vi sia pure una possibilità di salvare il dogma del
peccato originale in una supposizione poligenistica. Sarebbe ben esa-
gerato affermare che dalla dogmatica è già stata trovata una soluzione
soddisfacente sotto tutti gli aspetti. Tuttavia il teologo non si può
risparmiare la fatica di indagare oltre - in dipendenza dal magi-
stero, ma anche per offrire al magistero le sue proposte - per
fornire all'uomo d'oggi un contributo per l'accordo tra fede e scienza.

IS llAHND, Schri/Un 1, pp. 262·268


L'ORIGINE DELL'UOMO

2. L'origine dei singoli uomini post-adamitici

~ comprensibile che, nonostante l'assenza di esplicite affermazioni


bibliche circa una speciale azione di Dio per la formazione dei di-
scendenti dei progenitori, si sia formata sempre più chiaramente
nella Chiesa la convinzione che la forza procreatrice da sola non po-
trebbe produrre un essere umano animato di spirito, che anzi nel
divenire di ogni uomo anche il creatore sia all'opera in modo spe-
ciale. La conoscenza fornita dalla rivelazione biblica circa la parti-
colare dignità personale dell'uomo, la sua unicità e irrepetibilità, la
sua trascendenza essenziale sopra tutte le altre creature di questo
mondo e il suo riferimento immediato a Dio, dovette agire come
fermento il quale condusse a riconoscere che nell'origine dell'uomo
si tratta di qualche cosa di più che di un semplice processo di ripro-
duzione puramente biologica, come avviene nell'ambito degli esseri
viventi infraumani, non personali. Non ci si poteva accontentare
dell'affermazione secondo la quale, dacché il creatore formò il primo
uomo, l'umanità si poteva propagare da sola per forza propria
essendo già stato formato l'uomo da Dio con le capacità di pro-
creare. Ma solo dopo lunghe discussioni con concezioni insuffi-
cienti e false, 16 potè imporsi la convinzione, qualificata come
creazionismo, secondo la quale nell'origine di ogni uomo Dio
è partecipe in modo che egli crea direttamente l'anima spirituale di
ogni uomo, nel senso cioè che nel corpo generato dai genitori infonde
('inserisce', 'introduce') creandola, l'anima.
Il generaxionismo 17 sostenuto spesso soprattutto nei primi secoli

16 Un esempio caratteristico della situazione non chiarita al tempo dei padri è


Agostino, che durame tutta la sua vita si occupò continuamente del problema del-
l'origine dell'anima umana. Dopo che in gioventù ebbe difeso un rigoroso preesisten-
rialismo (Ep. 7: PL 33,68 ss.; rifiutato più tardi: PL 32,59<>,594); arrivò più tardi
ad un preesistenziali:mo moderato per quanto riguarda l'anima di Adamo, mentre a
proposito dell'anima degli altri uomini inclinò ad un generazionismo spirituale (seme
psichico dell'anima spiriruale), senza tuttavia approdare ad una soluzione univoca.
17 Un gencrazionismo materiale che contraddice chiaramente alla dottrina della
spiritualità dell'anima ru sostenuto da Tertulliano ! traduciancsimo materiale: il seme
corporale, definito come Jradux, è il mezzo di propagazione, dal quale sorge l'anima
del bambino); presso altri, per es. AGOSTINO. il generazionismo appare in una forma
più fine ( traducianesimo spiriruale: da una particella dell'anima dei genitori, entrata
nel seme, nasce l'anima del bambino). Dal generaxionismo traducianistico si dille-
l>Ol'OAIJAMO

del cristianesimo, secondo il quale l'anima del bambino sorge dalh1


sostanza (materiale o spirituale) dei genitori, ebbe come presupposto
una non chiara idea della spiritualità dell'anima e credette anche di
poter spiegare come il peccato originale possa trapassare nel bam-
bino, semplicemente ammettendo la generazione dell'anima del pic-
colo da parte dei genitori: se fosse stato Dio a creare l'anima, a lui
si doveva pure ascrivere la trasmissione del peccato originale. Al-
meno qui si fa sentire la giusta istanza che i genitori non sono sem-
plicemente i creatori del corpo, ma dell'uomo.
Tale esigenza non fu fatta valere nelle varie forme del preesisten-
zianismo.18 Esso, insegnando la creazione dell'anima prima della sua
congiunzione con il corpo, cioè un'esistenza precorporale dell'anima,
prendeva le musse da una non biblica divisione dell'uomo in corpo
e anima, come corrispondeva al dualismo platonico. Nel rifiuto del
preesistenzianismo, rifiuto che si manifesta già molto chiaramentl'
nei padri della Chiesa e si palesò in parecchie dichiarazioni dcl ma-
gistero, si tratta dunque del rifiuto di un'idea estranea al pensiero
biblico, la cui contraddizione alla rivelazione potè esser ben presto
riconosciuta. Il giudizio su certe idee generazioniste (astraendo dalla
forma grossolana del traducianesimo materiale di un Tertulliano)
era tuttavia più difficile. Si dovette arrivare fino all'alto medioevo,
perché simili concezioni fossero riconosciute generalmente inconci-
liabili con un pensiero conforme alla rivelazione.
Il creazionismo," sostenuto generalmente dalla teologia fin dal

rcnziano le concezioni di J. Frohschammer d'anima viene generata per mezzo della


forza creatrice dei genitori) e di A. Rosmini (i genitori generano l'anima sensitiva.
che poi gradualmente si perfeziona in anim3 spirituale I. Il generazìonismo traduci•
nistico fu condannato dal magistero: os 36o s. 1007. Le condanne di Frohschammer
e di Rosmini: D 1666 s., DS 3220. Cf. A. MITTEllER, 'Generatianismus, in LTK IV,
668 5
11 Il pm:sisrenzianismo. che fuori del cristiançsimo si presen1a come domina della
merempskusi e in altre forme, nel campo cristiano fu sostenuto in due forme prin-
cipali: o con riporcsi d'un'esistenza delle anime (di cui non si riconosce l'innata
ordinazione ~1 corpo) si collega l'idea che le anime degli uomini per castigo d'una
colpa morale e per purificazione siano srate esiliate nella mareria (11nosrici, Orilt"nt',
Agosrino ndla sua gioventù, priscilliani), oppure si ammette che le anime csis1cnti
dal principio dcl mondo vengono unite al corpo senzJI colpa. Il ma11istero ha con·
dannalo ambedue le forme: os 403, 4,6, 1440. Cf. K RArnlFR. 'Pricsistentianismus'
in I.TI\ vm, 6;.i s.
" Il creazionismo r sostenuto in parecchie dichiarazioni dd malli>tero e, come
L'OltlGINE PF.U'UOMO

tempo dell'alta srolastica,io secondo il quale l'anima spirituale è


creata direttamente eia Dio, rispettivamente infusa (creata dentro) per
creazione nel corpo generato dai genitori, abbisogna, parallelamente
alla dottrina della creazione del primo uomo, di ulteriore riflessione.
Si deve subito osservare chr nelle formulazioni spesso usate, secondo
le quali l'anima virne da Dio 'inst·rita' o 'infusa' nel corpo, si tratta
di modi di parlare figurati che necessitano di spiegazione. Perché ta-
li espressioni non siano fraintese, si deve anzi aggiungere (affinché
non si pensi che dapprima Dio crea l'anima per poi congiunger-
la al corpo), che creare e 'infondere' coincidono. Simili modi di par-
lare si debbono soprattutto difr·ndere dall'idea che l'operare di Dio
<1vvcnga in qualche modo dall' 'esterno'. «Quando Dio in un concepi-
mento crea l'anima, non riempie una specie di vuoto, che sarebbe
quasi rimasto aperto nell'atto della procreazione, bensl egli penetra
ed eleva l'atto dei genitori dall'interno. Cosicché l'atto della crea-
zione, che entra in azione nel caso dell'uomo, è di natura immanente
e non trascendente, per quanto la stessa causa prima sia trascendente.
Esso è opera di Dio in comune con la sua creatura. Oppure meglio:
proprio perché egli è il creatore trascendente, la sua opera è pro-
fondamente immanente. L'azione creatrice di Dio non è situata
'fuori' dell'attività procreatrice, ma opera in essa rendendola atti-
vu.21 Ovviamente sarebbe ancora una falsa concezione se l'afEcrma-
z.ionc della creazione diretta di ogni anima per opera di Dio, fosse
intesa come se Dio compisse sempre un nuovo atto creatore. cL'atto
creatore di Dio è unico e semplice, è l'unico atto della sua volontà,
che abbraccia e regge il cosmo intero e l'intero tempo, con quanto
essi contengono. Nella creazione possono essere presentate differenze
solo in quanto la creazione afferma la dipendenza d'essere delle cose
di fronte a Dio. Pertanto speciale creazione dell'anima umana non

minimo, è qu1lific110 qual~ donriru 1rologicammte sicura. Cf. DS 361 s .. 685, 1440,
JOl 5. '"96 a F LAkl'>FI. 'Krcati:tnismus'. in LTK VI, 597 s.
• ToMMASo o'AQ\JINO, con il quale :I aeazioni•mo s'impose ddini1ivamcn1~. trii·
I l il problema Jdl'ori111ne Jdl'anima degli uomini pos1adami1ici nel contesto drl
'IJO 1r111110 sul •"ORcono delle crca1urc alu conservazione e: al aovcmo dc:I mondo:
S tb I, 118,J, rf anchi, Dr 1mim11 z,116.
11 P. SMULDHS, Tbralngie unti Evvlution. Versuch iibrr Tei/bad dr Clurdin,
Eum 19'1) PP· 94 1. llr ir., Borb. Torino) con ciuzionc: di A D. SunLI.AHGEs,
L'id~r dr m1111orr rt us rnerrtiJJrmrnts Nr pb1/01ophir, Paris 194,, p. uo.
DOPO ADAMO

può significare altro che speciale dipendenza d'essere. E questa da


parte sua non può significare altro che uno speciale modo d'essere
proprio nel suo riferimento a Dio».zz A ragione oggi una intera
schiera di teologi si sforza di combattere contro il pericolo con·
nesso con una concezione fondamentalmente dualistica, che si col-
lega con il modo usuale di parlare della generazione del corpo per
opera dei genitori e della creazione dell'anima per opera di Dio."
:E: tuttavia sorprendente che i manuali di dogmatica cattolica ab-
biano cura di parlare espressamente solo dell'origine dell'anima del
singolo uomo, e cosl facciano sorgere l'impressione che la teologia
non abbia nulla da dire sull'origine di tutto l'uomo unitario, che il
problema del sorgere del corpo umano sia esclusivamente oggetto
della biologia. Se in contrapposizione noi abbiamo intitolato questa
sezione 'L'origine dcl singolo uomo', non volevamo ovviamente
affermare che la teologia abbia a pronunciarsi in materia biologica,
ma solo che la teologia, ·come le scienze naturali, benché su un
piano diverso, ha per oggetto tutto l'uomo nella sua unità. Anche
qui la teologia non deve semplicemente lasciare il corpo alle scienze
naturali per occuparsi esclusivamente dell'anima. Ora il problema è
di sapere come bisogna comprendere positivamente l'origine dell'uo-
mo per evitare i pericoli e fraintendimenti menzionati, e ·per ri-
!tpettare sufficientemente, da una parte, l'unità di corpo e di anima
i.pirituale nell'uomo e, dall'altra, la peculiarità della causalità cffi.
cieme di Dio.
Ci sembra che una spiegazione delle ailcrmazioni ecclesiastiche a
proposito della creazione di ogni anima ad opera di Dio, che soddisfi
tutte le esigenze teologiche, sia possibile se sarà posto alla base il
concetto di divenire, sviluppato da K. RAHNER, presentato nella
questione dell'ominizzazione, e che serve pure a definire la rcla-
~ione di Dio con il mondo naturale. 14 Se, nell'ambito delle cause

Z2 P. SMULDEIS, op nl, pp. 96 •·


2l Per es. A.O. SEITILLANCES, op àl, K. R.uani1, P. SMULDEas, op. cii., P. Saloo-
NENBEIG, Go1tt1 wtrdtrtdt wtll, Limburg 1963, pp. ,o
ss.
M K. lùh~r spiega l'origine dcll'anim1 umana comc caso del concetto di diwnirc
e di operare sviluppato in cQuaest. disp.•, U·IJ, cii., pp. 81 ss., 1pnao citalo.
!.'ORIGINE DELL'UOMO

seconde, si dà un caso in cui un 'azione debba essere attribuita a


una creatura operante, senza che l'eff~tto prodotto possa unica-
mente derivare dalla natura di questo essere, è proprio il caso
della procreazione di ogni uomo. Se ciò che i genitori producono
con la procreazione diventa un organismo animato da spirito,
allora ci troviamo di fronte a qualcosa di nuovo, qualcosa di
più, che si deve intendere come autosuperamento della causa
creata. Questo autosuperamento della causa creata è possibile
solo in forza della dinamica della causalità divina, la quale
proprio in quanto trascendente è profondamente immanente nel-
l'agente creato ed è da considerare a priori come momento del-
l'agente creato, che a lui appartiene senza essere un momento intrin-
seco della. sua natura. Il rapporto tra l'operare di Dio e l'operare
della creatura, cioè dei genitori, nel sorgere di un nuovo uomo non
si deve dunque rappresentare: come se in ceno qual modo Dio inter-
venisse accanto all'opera dei genitori, crt:<111do l'anima.· Dio anzi
opera per mezzo dell'azione dei genitori come origine trascendente,
elevandola dall'interno ad operare ciò che da sola con le proprie forze
non può operare, e rendendo cosl possibile l'autosuperamento della
causa creata. L'origine dell'uomo non si deve pertanto immaginare
quasi che i genitori ne producessero una parte, il corpo, e Dio l'altra
parte, l'anima. L'origine del corpo e dell'anima non è suddivisa tre
genitori e Dio come due cause operanti l'una accanto all'altra; piut-
tosto tanto i genitori quanto Dio sono causa dell'uomo tutto intero,
ma ciascuno sempre in modo corrispondente alla rispettiva causa-
lità. È evidente che in una tale visione l'unità dell'uomo è meglio
rispettata che nella presentazione corrente. Contemporaneamente
viene anche fatta valere la peculiarità della causalità divina, 1<1 qua-
le nell'ambito del rapporto normale di Dio con il mondo naturale è
appunto presente nel mondo ed agisce per mezzo delle cause se-
conde. Con ciò emerge la peculiarità dell'uomu come essere spiri- •
tuale che supera essenzialmente la realtà materiale. Nella procrea-
zione dell'animale che genera solo individui della stessa specie, non
si ammette una autotrascendenza che supera la natura; ma precisa-
mente si ammette nella generazione dell'uomo, che non >:cnera s0la-
mente un individuo della stessa specie, ma una persona, un qualche
DOl'OADAMO 239

cosa di irripetibile, sempre un essere simile spirituale. Quindi la


affermazione del magistero ecclesiastico a proposito della creazione
di ogni anima per mezzo di Dio non viene affatto posta in dubbio,
ma essa viene cosl interpretata che l'azione creatrice di Dio non ap-
pare come una causalità accanto all'operare della creatura e come
causa parziale aggiunta alla causa creata, ma come attuazione del-
l'agire creato che supera se stesso ad opera di Dio in quanto origine
assoluta di ogni essere e di ogni agire finito. 25
È secondaria e non è risolta dal magistero ecclesiastico la que-
stione sul momento nel quale avvengà l'animazione dcl feto umano,
cioè in quale momento avvenga il trapasso del nuovo organismo,
nato dall'unione delle cellule germinali dei genitori, all'altezza d'es
sere d'un organismo animato spiritualmente.26 Il pensiero evoluzio-
nistico è più incline ad accettare che questo passaggio non avvenga
nel momento della concezione, ma in un tempo posteriore dello
sviluppo embrionale, dopo il superamento di stadi intermedi attra-
verso i quali l'organismo viene orientato verso lo spirito. Una tale
ipotesi è nella linea della tradizione scolastica. È noto che TOM-
MASO II e la più parte degli Scolastici supposero che l'animazione
del feto avvenisse soltanto qualche tempo dopo il concepimento.
Certo in tempo più recente s'impose ampiamente l'idea che l'anima-
zione avvenga al momento della concezione; ma in proposito non

25 La spiegazione di K. Rahner, dopo quanto deuo, si deve definire come creazio-


nismo. Poiché secondo lui si deve dire che i genitori generano anche !"anima, poiché
generano l'uomo intero, qualcuno fone qrebbc tentato di considerare le sue conce-
zioni come una forma di gcncrato-creuionismo. Ma sarebbe certamente ingiustificato
respingerlo rinviando alla condanna ecclesiastica dell'opinione Ji Rosmini, qualificata
talvolta come gcnc:rato-crel2ionismo. La visuale di Rahner è nella linea di ciò che
souolinca A.D. Scrtillanges: cNon c'è da una parte un atto della natura e dall'altra
un ano di Dio. Non c'è per nulla generazione dcl corpo, creazione dell'anima e infu.
sione dell'anima nel corpo. Questo modo di parlare, che pure è corrente anche in
Tommaso, è solo una concessione al modo di esprirneni antropomorfico ... In realtà
c'~solo la generazioot. dcl CO!lijX»to, e la mela di__ questa generazione è ap_pun~ il
composto s1csso e non solamente il çorpo. Homo 11,e11er111 -b0mi11em. ~ l'anima?
Essa è, csatìaìnenie ji&"rlanJò, -non il fruiro.aéllil -i!CncriZìOni:,mine è tu11avi1 la
meta, cioè la meta unificata: tL'idée de criatio11 ccc., citato da SMULDERS, op. àl.,
p:-\)6, n. ;8). · ----
,._ Cf. G. SIEGMUSll, 'Besedung dcr Leibcsfrucht', in LTK 11, 29+
ii Tommaso 1ra11a dd momento dcil'animazione in 5. tb. I, q. 118, a. 2; Contra
<;.. ,,, .. Il, 89.
BlllLIOGltAPIA

si può parlare di una dottrina ecclesiastica vincolante. Rimangono


escluse solo l'opinione, condannata da Papa Innocenzo XI (nel 1679),
che l'animazione avvenga per la prima volta nell'istante della na-
scita (os 2135), e l'opinione di RosMINI, condannata da Leone
Xlii nel 1887, dell'animazione nel momento del primo atto intellet·
tuale del bambino (DS 3220).
)OHANNES FEINER

BIBLIOGRAFIA

La seguente scelta si limita alla produzione bibliografica apparsa dopo la


pubblicazione dell'enciclica Humani generis ( 19 ,o). Essa comprende solo
lavori che dei problemi trattati in questa sezione si occupano (per lo
meno anche) dal punto di vista teologico a prescindere da lavori esclusi-
vamente di scienze naturali.
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SEZIONE SECONDA

L'UOMO COME UNITA DI CORPO E DI ANIMA

Dopo la questione sull'origine dell'uomo rimane da porre la do-


manda sulla natura storica dell'uomo come unità di corpo e di
ar.ima e come persona. Non possiamo dimenticare che l'unità di cor-
po e anima non può venir considerata come problema isolato, proprio
dell'antropologia teologica e filosofica, ma piuttosto deve venir ana-
lizzato in rapporto con la rappresentazione e concezione generale
dell'uomo, perché la determinazione del rapporto fra anima e corpo
non riguarda soltanto il rapporto fra due prindpi intrinseci all'uomo
stesso, ma riguarda anche i rapporti con gli altri uomini e con Dio
stesso. Anche le diverse concezioni circa l'unità di anima e corpo
nel pensiero greco e nel pensiero ebraico manifestano non solo una
diversa antropologia, bensl una diversa teologia e un diverso con-
cetto di storia della salvezza. Ciò viene dimostrato attraverso un
confronto fra il modo di pensare gn:co e quello ebraico. Nello
stesso tempo viene cosi chiarito lo sfondo su cui si sviluppa l'inse-
gnamento neotestamentario e cristiano circa l'uomo.

I. Concetto greco e concetto ebraico dell'uomo

Tuttavia il tentativo di metter in luce le differenze fra la conce-


zione greca ed ebraica circa l'uomo lo si può fare solo con alcune
riserve! Anzitutto in questa distinzione si deve evitare l'impressio-
ne che il pensiero greco ed ebraico siano monolitici, senza correnti
eterogenee, o che solo il punto di vista pitagorico-platonico sia
tipicamente greco. Perciò questo tentativo di distinzione, non può

I J. BARI, The Semantics o/ Biblica/ Language, Oxford 1961 (tr. it., Semantica del
linguaggio biblico, li Mulinn, Bologna, pp. 17-34). Barr, critica T. BoMAN, Das He-
briiische Denken im Vergleich mii dem Griechischen, Gi:ittingen 4196,.
L'UNITÀ DELL'UOMO

disconoscere di fatto l'influsso reciproco tra le due concezioni; la


distii:azione non deve venir intesa quasi che, a priori, tutti gli ele-
menti qualificati come 'greci' avessero soltanto un carattere impro-
prio per un'antropologia teologica.
Bisogna in secondo luogo pensare che la prova dell'originalità di
un pensiero. attraverso la sroria delle religioni e delle culture, non
è eo ipso la dimostrazior>e della validità e del carattere di verità
teologica di un pensiero.~ In terzo luogo il mettere in evidenza i
concetti antropologici non può condurre a trascurare il contesto più
11mpio in cui si trova l'antropologia stessa, cioè la storia escatolo-
gica della salvezza.J Solamente qui, mentre si ricerca l'ambito proprio
dell'antropologia, viene pienamente valutata anche la differenza delle
esigenze antropologiche: l'uomo stesso viene inteso in un campo che
può essere o naturale-cosmologico o storico-escatologico. Fatte que-
ste riserve, tentiamo di indicare tre aspetti che differenziano l'idea
ebraica e greca dell'uomo e la rispettiva concezione dell'unione di
anima e corpo.

a. La concezione greca di anima e corpo

L'esasperato antagonismo fra monismo e dualismo non solo non ba-


sta a chiarire in modo adeguato la comprensione del carattere dia-
lettico nell'uomo dell'unione fra anima e corpo, ma anche conduce
facilmente a porre le concezioni greca ed ebraica esclusivamente
e totalmente sotto uno degli opposti denominatori. Nonostante
questa riserva, si può tuttavia e si deve costatare che tutta la
letteratura ebraica e la storia del suo influsso è segnata e im-
prontata prevalentemente da una concezione monistica dell'uomo,
mentre la concezione dualistica caratterizza perfettamente la storia
dell'influsso della concezione ellenisl:ica e in particolare platonica.

2 H. UlNzELMANS, 'Heutigc Problcmc dcr Paulus-Fonchung', in Der Ev11ngelische


En:ieh,., 18 ( 1966 I 2.p.
J J. SEVENSTEI. 'Die Anihropologie dcs Neuen Testamcnts', in C.J. Bu:<:KEI (cd.),
Anthropologie Reltiieuse, Leiden 19~5. pp. 165-167; W. ZIMMULI, 'Das :.ilenschcn·
bild dcs Alt~n Tcs1amcn1s', in TbEx (NF) 14 IMiinrlacn 1949) po; cf. ,;. IV.SE·
MANN. 'Lcib und Leih Oaristi'. in BHT 9 !Tiibingcn 1933) 22·2J.
CONCETTO GIECO ED EllUIC:O DELL'UOMO

aa. La sopravalutazione dell'anima rispello al corpo: Le radi-


ci della concezione dualistica dei greci risalgono a prima di PLA·
TONF., ad 0MFR<>, il quale è influenzato dalla concezione che la for-
za vi1.1le, gli spiriti vitali, abbandonano l'uomo in punto di morte.
L"1so di O'Wjux qui si riferisce a quel 'corpo morto' abbandonato
dalla ?1J:<Ti; in qucsw uso .111tiù1 c;w11a. non ~la per corpo (vivente),
ma per 'cadavere' o per 'corpo'.'
Il predominio di questo modo di vedere porta con sé anche una
svalutazione .netafisica del concetto di corpo. 5 L'esistenza corporale
viene sentita come un 'ceppo' estraneo' e il corpo viene considerato
dagli orfici come 'tomba dell'anima'. 7 D'altra parte questa concezio-
ne por:a ad un maggior apprezzamento dell'anima, la quale viene
considerata geneticamente e qualitativamente diversa dal corpo. Co-
sì che in PINDARO appare la concezione della 'divinità' dell'anima,
concezione che risente degli influssi orfici. Pindaro mette in evi-
denza l'ided che l'anima è un a.~ n0w>..ov, che proviene sola-
mente dagli dèi e sopravvive alla morte del O'Wµa.
Questa morte è la 'liberazione' dell'anima, la cui libertà viene
utopisticamente anticipata nei sogni, perché, in questa vita, l'anima
dorme mentre il corpo veglia, veglia mentre il corpo dorme.'

bb. Il corpo come causa Jell'e"ore e del male - Questo dua-


lismo riceve formulazione sistematica filosofica e rigorosità in PLA·
TONE, specialmente nelle opere della maturità. Egli accoglie e

•t discusso il si11nifica10 di 11'•7.;l e di nfuJ111 in Omero, per 'l'•'Xii d. E. ROHDE,


Psycht', s....1..11ku/1 und V11rlt"rblìchkeit:1g/aub.. J.., Griuh""· Tiibinl!Cn 1921, pp. 3-6;
W.F. Orro, Du.• Man<"n oJu van J ..,, Urfonr.<"n dt's Tol<"n11.lc1ubt'ns, Darmstad1 .
21958, llfl 11·56; E.. BtcKEL, 'lfo~rischer Sedcnglaube. Gcschichdiche Grundzùgc
mcnschlicher Sttlevors1cllung', in SGK 7 !Bcrlin 1926) 211-2.u; W. ]AEGER, Di<" Thro-
/ogìl' dn friihl'n grm:hischt'n Denkl'r, Stuttgart 195J, pp. 98·1o6; M.P. N1LSON, G<"·
schkhl<" dn Uit'chisch ..,, R..ti~ion 1, Miinchen ~1955, pp. 40.50. Per nci)Jla cf. E. JCA.
SUMANN, op. cii., 13-26; F.. Sal'll'EtZER, oci>1ut in TWNT VII ( 196o1l 1015-1027.
5 E. Sc11WEIZF.I, op. nl , 1025·1027.
•E. ScllWEtzu, op. nl, 10161027; Em. fr. 839 (TGF 63J), 1013 (TGF 683),
697 ITGF 381 I. ,
7 Cf. F1LOLAO, /r. q 1 Dicls 1 413,1,); O.PIL, /r. 8 (Kcm 84 s.). t difficile
fissare l'epoca poiché i lt"'ti provengono da un tempo più tardivo. Cf. K. PaiiMM,
'Dic Orphik im Spicgcl dcr ncueren Forschung', in ZKT 78 (1956) 1-40.
' Cf. R.B. ONtANS, Tbt' Origin1 o/ Euroi'f'11n Tboughl aboul lhe Body, tbe Mi11d,
lht' Soul. lhe World, Time c111d Fate, Cambridge 219,4, 102 s .
L'UNITÀ DELL'UOMO

porta avanti la tradizione pitagorica, quando parla del corpo come


'carcere dell'anima'. 9 Egli fa affermare a Socrate che il vero filo-
sofo va incontro alla morte 10 per liberarsi dell'influsso del corpo, 11
dal momento che esso non è solo la sede di basse passioni, ma
anche una limitazione dell'anima; anche gli organi dei sensi non
sono finestre o 'vista c.lell'anima'. bensì la sua inferriata o carcere
sottcrraneo} 2 Poiché il mondo corporale, cui appartiene il corpo
secondo queste rappresentazioni, è sottoposto al mutamento, la co-
noscenza 'vera' (cioè quella 'immutabile, permanente') non può fon-
darsi su di esso, ma solo in ciò che l'anima sola riconosce da sé e
per sé. Questo mondo corporeo è una copia opaca del mondo spiri-
tuale degli archetipi, il quale appartiene alla realtà 'autentica', quel-
la realtà che, in questa concezione, rimane immutata. 13 Inoltre la
materia è disordine e causa del disordine e del male.14 Negli scritti

9 Fedone 62 b. Cf. H. Ku.1N, 'PlalO ubcr Jcn Mcnschen', in H. RoMBACH (ed.).


Die Frage nach dcm Menschen, Miinchcn 1966, pp. 284-310.
10 Fedone 64a, 67b.
11 fedoni' 66c, 67a.
IZ Pedone 6,c, 82c; Cratilo .iooc. Cf. H. BARTH, Die Stele in der Pbilosophie Pla-
tos, Tubingen 1921, pp. 62-69.
13 Timeo 27d - 28c.
14 L'indagine è di parere assai discorde circa la questione se 11 ma1cri1 srcssa sie
per Platone principio e origine del male. Cf. A. FESTUGIÈRE, Rivlldtion d'Htrmès
Trismigfrte Il, Paris 1949, p. 118: cVoilà, pour nous, un csscnlicl. Il cn rcssort quc,
dc par sa narure meme, la matièrc, cn sa racine, est désotdrc et cause dc désotdrc ...
On pcrçoit ici l'origine de cene doctrinc mauvaisc». Al contrario A.E. TAYLOI, A
Commentary on P/4Jo's Timaeus, Oxford 1928, p. 117: •Tbc doctrinc of mauer u
me cause of cvii is quitc un-Platani<:». ID. 'An unplatonic Thcory of Evi! in Plato',
in AJP 58 ( 1937) 4n8. Per la materia come origine del male sono: F.P. HAGEI, 'Dic
Materie und das BOsc im antikco Platonismus', in Musn.m Hel~ticu111 19 (196.1)
74-103; S. PÉTREMENT, Le dualismi! chez Pldton, lts Gnosliques et lts Mdnirhims,
Paris 1947, pp. 45-47 e 72 s.; G. Vusros, '1bc Disorderly Motion in thc Timaeus',
in CQ H (1939) So-32; E. ZELLEll, Philosophie dn Griecbm 11/1 (Lcipzig 51921)
973, note 3 e 4; secondo i seguenti autori è invece l'anima l'origine dcl male: G.R.
Mouow, 'Ncccssity and Persuasion in Plaro's Timacus', in Pbilos. &view 59 (19,0)
163; U. \'. WrLAMowrrz, Platon 11, Berlin 1919, pp. 320-321. Rispcllo all'ullim1
posizione ci si deve chiedere se essa non interpreti passi dci primi scriui di Pla-
toDC muovendo dai più recenri, senza tener nella debiti considcl'82ionc 11 sua
evoluzione storica e i suoi diversi punti di vista. A. FESTUGJÈRI!, H nmès Trismi·
gisle 111, Paris 1953, pp. Xli-XIV mette in evidenza che la teoria dcl moto è quella
delle uui e non può esser applicati ai passi di Timeo dci quali si discute. Anche
l'interpretazione an1ica di Pla1one rispecchia quesra dispura: mentre P101ino pensa
che secondo Pla1onc il male sia nella materia, Proclo lo contesla. A proposito di
questa dispura ira Plotino e Proclo d. F.P. HAGu, op. cii., pp. s,-103. Per l'intcr-
CONCETTO GllECO ED EBllAICO DELL'UOMO

della vecchiaia Platone corregge, fino ad un certo punto. questo


dualismo estremista e descrive il rapporto fra anima e corpo con
l'immagine del marinaio (anima) e della nave (corpo).15 Tuttavia,
nonostante la 'collaborazione' fra anima e corpo implicata in que-
sta immagine, il corpo può solo essere 'strumento' dell'anima, fin-
tanto che perdura la deficienza sostanziale dell'esistenza corporea
descritta nelle prime opcre.'6 Il dualismo rimane quindi anche nelle
opere della vecchiaia di Platone e continua nella storia tanto che,
nonostante i tentativi di ARISTOTELE 17 e della Stoa di velarlo. con-
tinua ad essere presente ed operante nella filosofia dell'Impero Ro-
mano,11 nello gnosticismo e nel neoplatonismo. Sotto l'in8.usso Jel
pensiero platonico, per secoli interi si è designato il corpo come
elemento inferiore rispetto all'anima. Sottrarsi al corporeo con le
sue esigenze e passioni, e tendere alla purezza spirituale di una \'Ì·
ta dell'anima alienata dal mondo, era perciò il migliore atte~a-

prewione di Plotino d. l'ecceUente monogra6a di H.R. SotLETTE, Das F.ine Mntl


das Andnt St11dien :11r Problematile des Negatiwn in dn Metaph,silt Plotins,
Miinchen 1966, pp. 98·1n. r;. da tener presente l'interessante osservazione in W.
DAVJES, Plllll ""4 R.ttbbinic J,,,Uism, London 1948, p. 18: cThc tcnn miei; was
not used in the prevailing Hdlenistic literature to express the materiai as oppo-
secl to tbe ideai. Wc, 6nd GÀq opposecl to voii; but never aclol;'>.
l5 Leggi Xli, 961e. Per la sua meno negativa valutazione del corpo e del mondo
dei corpi cf. E. KAsEMAHN, op. ciJ., p. 28 s.; E. HAENscHEN, 'Aufbau und lDeoJo.
gie des Poimandres', in Goti 11nd i\fensch. Gesammelte AM/lilu, Tiibingen 196j,
nota 1; R. SouEllEa, Die11 l'homme ti la vie d'apr~s Platon, Neuchatel 1944. Que-
strlIDlll&gine della barca e del barcaiolo viene nccolta e criticata da PLOTIHO En·
neadi IV, 3, zo.21.
16 C.A. vAN PEuasEN, Lichaiun-Ziel-Geest, Utrecht s. d.
11 W. ]AEGER, Aristoteks, Grundleg11ng tiner Geschichu seinn Entwiltl11ng. Bet·
lin 1932, pp. 37-52, 354-357; G. D11UTZENBUG, 'Sein Leben Bewahren', io Stlltlien
1.Mm Alten Test11111ent 14 (Miinchen 9661 38: •Nella filosofia aristotelica vien si
superato il dualismo pla1onico di corpo e anima, essendo il corpo e l'anima com-
presi come princìpi che si integrano e che sono necessariamente riferiti l'un l'al-
uo - ambedue - esistono ~ome tali solo ndl'uni1à vivente - , ma nella dottrina
circa la parte più elevata e dominante dell'1nima umana, circ1 il voiiç, si svela
l'eredità platonico-orfica: esso non è prodouo, entra nell'uomo 'dall'esterno', con·
duce in quanto 'realtà divin.- un'esistenza particolare nell'uomo, la sua attività l-
puro pensiero, contemplazione dell'essere, nella morte si separa dall'anima, che
vien meno insieme ron il corpo, e da questo momento permane nell'essere puro•
11 a. E. ScttwEIZEll, 'Dic hellenistische Komponente im Deutestamentlichen sarx-
Begrilf', in ZNW 48 (19~71 2~7·2n; cf. 1 proposi10 dello gnosticismo F. bti;T.
'Biblische und gnostische Seinsecfahrung', in H. RoMBACH (ed.), Dit Frage n1Jch
dem Menschen, Miinchen 1966, pp. 340 s.
L'UNITÀ DELL'UOMO

mento di vita; esso si ripercuoteva s.ulla morale dell'amore, sulla


educazione, sulla valutazione filosofica dell'uomo, sui giudizi circa
il bene e il male, sui concetti teologici e via dicendo.1 9

cc. La pt•r/ezione chiusa dell'uomo. -- C'è ancora un terzo aspet-


to della concezione greca nell'uomo, il cui contrasto con il concetto
ebraico dell'uomo è stato messo in risalto specialmente da RoBIN-
SON 20 e ScHWEIZER, 21 ma che è anche in una certa tensione con
11ltri elementi della stessa concezione greca dell'uomo. La migliore
definizione di questo modo di vedere può essere 'la perfezione chiusa
dell'uomo'. Ci sono due diverse opinioni circa il rapporto fra anima
1: corpo che vengono qui addotte per chiarire questo concetto. Innan-
zitutto quella aristotelica: Aristotele applica notoriamente il suo
ilemorfismo alla problematica corpo-anima che gli è stata trasmessa.
In questo ilemorfismo la 'forma' è sia il 'telos', che specifica lo
scopo della 'materia', sia anche la forza 'entelechiale' che da una
massa informe ricava qualcosa di ben determinato? Benché questa
tendenza 'entelechiale' della forma, per cause secondarie che l'osta-
colano, non si esprima del tutto e non si attui nei singoli oggetti,
tende tuttavia alla perfezione definitiva dell'ideale estetico. 11 Questa
teoria ha le sue conseguenze in antropologia nel fatto che l'uomo
attraverso la forma che è l'anima (ben distinta dalla materia che è
il corpo) diventa qualcosa di ben definito che si sviluppa nell'am-
bito del 'telos' già costituito (l'anima form:.), in una perfezione
'ideale' chiusa in sé: qui appaiono, nonostante il fondamento per
una concezione umana globale, le radici di un'antropologia a-storica
ed individualistica.
Il pensiero della perfezione chiusa dell'uomo compare, in secondo

•~ C.A. \'Al" PEUR:;EN. op. rit., 40.


IO J.A.T. RoB1ssos. 'T'1e Body', in SBT 5 (Lon<lon 11n2I.
21 E. ScnwEIZEK n,;1µu. cit. 1030 s.
Zl E. ScttwEIZER, 'l...eibl!chkeit ist das Ende der \\~<'Il~ C.ones', in /ahresberirht
der Ulliversiliit liiriC::, ( tr-63/64\, pp. 4 s.
21 E.BLOCJt, Das P1in;:ip Hof!nung. Frankfur: 1959. PI'· 1925, 219, 2J7·2J9; lo,
Avirenna und Jie Arntotdische Un.l!e. in editions suhrkamp 22 (Franlr.furt 196J);
F.P. llAGER, np d!., p 78· •La critica aristordica dd ,·/.ommos nella dottrina
platonica delle idee è reno da ;n1~n<lcrr nel senso della •ah·aiiuardia di qudla perfc.
?.ione che sta immedia1amcnre nella narura corporea».
CONCETTO GRECO 1;0 E8RAICù DELL'UOMO
249

luogo, nella definizione antropologica di DEMOCRITO, in conseguenza


della quale l'uomo è un 'microcosmo'.24 Se dobbiamo qui lasciar da
parte la discussione dell'influsso categoriale dell'idea cosmica sulla
antropologia, 25 si può tuttavia affermare che la rappresentazione del
cosmo come un tutto chiuso, che perdura in sé ed è in sé completo in
'armonia prestabilita', si attua (attraverso la concezione delle cause
t:semplari) sull'uomo inteso come microcosmo. Negli scritti più re-
centi di Platone il cosmo viene visto come un corpo di Dio, che viene
retto uniformemente e viene dominato completamente dall'anima
di Dio.u Questa divinizzazione del cosmo e questo concetto dell'uo-
mo orientato in modo cosmo-logico contribuisce non solo ad inter-
pretare l'uomo come ideale chiuso, ma porta anche ad una concezione
del mondo che non conosce storia alcuna che abbia un futuro 'nuo-
vo' non mai attuato. Qui il pensiero greco è in antitesi con la sto-
ria della salvezza del popolo ebraico orientata in senso escatologico.

b. La concezione dell'uomo per gli ebrei

Passiamo ora ad illustrare la concezione ebraica dell'uomo secondo


tre aspetti della tradizione greca prima messi in evidenza.

aa. Una visuale sintetica e complessiva. - Il pensiero ebraico


viene caratterizzato dall'indagine veterotestamentaria e dalla storia
delle religioni come prevalentemente sintetico e globale. 27 Nel pen-
siero ebraico non c'è alcuna netta distinzione delle funzioni dell'uo-
mo che possano venir considerate come forze di questa o quella parte
essenziale dell'uomo, ma piuttosto l'uomo viene visto primariamente

i. D1ns 11 •H. 8.12 s.; d. W. KRM'Z, 'Kosmos und Mensch in der Vorstdlung
dcs friihcn Gricchen1ums'. in NGGNF 2 (1938) 161.
1' V/. K~ANZ, 'Kosmos'. in Arcbiv fiir &griffsg~scbichte 11/1 (19,~1 2'; E.
Sc11WEIZEI, ncilµa, op. Cli .• 1029: cSc il mondo vien rapp=cntato, in a<SnZioni
spontan~. ad immagine dell'uomo, nella riflessione filosofica invece l'uomo vien
interpretalo muovendo dal cosmo•. Sul 'cosmocentrismo' greco (come forma di pen-
siero) d. J.R. MF.Tl, Chmtlich~ Anthropoientrik, Munchcn 1')62 (tr. it., Antropo-
centrismo cristi11no, Boria, Torino).
26 Timeo 30-36c; ftl~bo 29a-3od.
11 A.R. JoHNSON, The Vitality of the f,,dividual in lhe Thought of Ancìe"t
lsr11~. C.ar.liff 194y, pp. 7-26.
L'UNITÀ DELL'UOMO

come unità di forza vitale attraverso cui egli ongmariamente e co-


stantemente è in rapporto con Dio ~ col suo ambiente politico-
sociale.211 Questo modo di considerare unitario e globale si manifesta
soprattutto nel fatto che le asserzioni antropologiche valgono tanto
per ogni parte o aspetto dell'uomo, quanto anche per tutto l'uomo.
Un'analisi dei concetti antropologici più importanti fa vedere che
per gli ebrei le funzioni spirituali non vengono separate dalle fun-
zioni vitali del corpo, cosicché non è possibile alcuna distinzione
essenziale fra fenomeni del corpo e fenomeni dell'anima o fra ani-
ma e corpo. 21 ln questo contesto si devono brevemente esaminare i
significati delle tre parole nefeJ, ruap e baJar.
La parola nefeI torna nell'Antico Testamento circa 7,o volte :io
e fu erroneamente tradotta dai LXX con \jluxii, tanto che poteva
sorgere la falsa impressione che questa parola indicasse la stessa co-
sa che la parola italiana 'anima' li la quale fa sottintendere il dua-
lismo greco. NefeI invece ha originariamente il significato di 'collo',
'gola' e 'cintola',32 che porta poi al significato traslato di 'respiro'

za J.
PEDERSEN, lsrael, its Life a11d Culture I, Oxford 1946, pp. 9J·IOJ, 170·179.
29 G. voN RAD, Theologie des Alte11 Testame111s I, Miinchen 4 1962, p. 166; H.W.
ROBINSON, 'Hebrew Psychology', in A.S. PEAKE (ed.), The People antl the Book.
Essa')ls on the O/d Teslament, Oxford 1925, pp. 353-382; G. Pxooux, 'L'hommc:
dans l'Ancien Testament', in C. Bl.l!EltU, op. cii., pp. 155-165; W. ScHMmT, 'An-
thropologische Begriffe im Ahen Teswnent', in EvT 24 (1964) 387: cln ogni caso
è poco sensato chiedersi se l'Antico Testamento abbia dell'uomo una concezione
dicotomica ('anima' e 'carne') o tricotomica ('anima', 'spirito' e 'carne'). Ciò ha il
suo fondamento DCI fitto che non 1i distingue nettamente aa l'organo e la sua
funziODC o tra la pene del corpo, che l'uomo ha, e il modo di essere e di com-
portani, nel quale l'uomo vive•.
JO J.H. BECKD, Het Begrip Ntftsi in htt Oude Ttstame111, Amsterdam 1942,
p. n7; d. però D. LYs, Nèphish, Histoirt de l'Amt tl1111s lii RJW/tltio11 d'lsrael ""
1ei11 des Rtlieunu proche-orientales, Paris 19,9, pp. 116-n9. Seooodo lui il te:rmine
ii trovi 7'7 volte: il sostanùvo, 7"1 volte; il verbo 3 volte. EBJi indica anche la
frequenza del termine secondo i diveni testi, le tradizioni e le epoche.
11 E. fASCHEl, Stele oder Lebe11?, Beslin 1959, si lamenti che le aaduzioni mo-
derne usino vi11 al posto di anima per rendere ia tedesco il termine nefei. Cf.
pero 11 risposti di W. SolANZE, 'Rezen1ion zu E. Fascher, Seele oder Lehen?', in
TLZ 86 ( 1~I) 662-664; ]. FtOfTNll, 'Seele oder Leben in der Bibel?', io TZ 17
( 1 ~1) 3oy318. Fichtncr esamina i passi più importanti, per dimostrare la conve-
nienza del termine vi11. EBJi noti che Martin Lutero ha tradotto nd& con uùma
cinquanta volte nel 152.J, ma nel 1541 solo 23 volte.
» L. DOn, Hebr. nefd, alUt 11apiJ1u = GulllCl, Kehlc:, io ZAW 43 (1925) 262-
269. Non s'iocooua però questo significato nei lesti più antichi, bensl solo alcune
volte, muovendo da Isaia.
CONCETTO GRECO ED EBRAICO DELL'UOMO

e 'soffio vitale' e, da ultimo, di 'vita'. Ma il vocabolo non denota la


vita in gener~, bensl la vita legata ad un corpo, oppure lo stesso
individuo vivente. Per cui non si può tanto dire che l'uomo 'ha'
una nefeI, quanto piuttosto che l'uomo stesso 'è' ne/d. 33 Quando la
'gola' è affamata, è l'uomo stesso che propriamente ·è affamato;
quando la nefd esige e spera qualcosa, allora è tutto l'uomo che
esige e spera. In questo contesto nefeI significa in un senso traslato
tutto l'uomo «in quanto egli è tendenza verso qualcosa».34
La parola rua~ torna nell'Antico Testamento 389 volte 35 e in
diversi aspetti del suo significato s'incontra con nefeI.y, Il suo signi-
ficato principale è 'soffiare', 'spirare'. In senso traslato diventa da
una parte 'respiro', 'vento', dall'altra 'spirito' e 'mente'.n Sarebbe
errato tuttavia intendere questo vocabolo come espressione dell'an-
titesi tra 'carne' e 'spirito' nell'uomo. 38 Piuttosto è espressione del
rapporto dinamico fra l'uomo e Dio. Per questo viene usato talvolta
per esprimere un carisma speciale concesso da Dio, che rende l'uomo
capace di un'opera straordinaria a servizio della storia della salvezza
di Dio e a ciò lo ispira. 39
Infine c'è da prendere in considerazione la parola baJar. ~ inte-
ressante osservare come l'ebraico per le due espressioni greche
crcip~ (carne) e CTWµci (corpo) conosca un solo vocabolo, basar ap-
punto,"' il cui significato primario è 'carne' in contrapposlZlone a
'ossa'. 41 Come ne/d non esprime qualcosa che l'uomo ha, ma la

ll W. E101110DT, Tbeologie des Alte" Teslame,.ls 2f3, Gottingen 4196,, pp. 87-
93. Eichrodt indica (op. cii. 88) •quanio sia gravido di conseguenze per la com-
prensione della psicologia dell'Antko Testamento il tradurre inconsideratamente
"efd con anima. Il termine indica iManzitutto e p~ di ogni cosa la vita e ... la
vita legata a un corpo. Perciò la "efel cessa d'esistere con la monc ... Si può perciò
addiriuura affermare che la "e/d m11ore ... • (a. N11m. 23,10; liul. 16,30).
lC W. 5cHMIDT, op. cit., pp. 377-381 .
.I! D. LYS, RllOCb, Le so118le do"s l'ancien Teslamenl, Paris 1962, p. 334.
36 W. BIEDEI, :nori'.'l'(l im Alten Testamene und Spiitjudcorum', in TWNT VI
( 19,9) 3'7·37}. spec. 3'7·J6o. ·
l7 W. 5cHMIDT, op. Cli., 382 S.
• ]. ScHMIDT, 'Anthropologie' (biblische), in LTK 1 (19n) ~-6o6.
39 ]. ScHAIBERT, Fleiscb, Geisl 11nd Sede im Pen1ate11ch, cStuttprtcr Bibcl Stu-
dicn• 19 CS1u11gar1 1966) 80. a. per 'r11ofl nel Codice sacerdotale: ]. ScHu:na:a,
'Geis1begabung in der Gemeindc von Qumran', in BZ 11 (196,) 16!r171.
40 H.W.Ro&INSON, op. Cli, 12s.; cf. le riserve di J.BAH, op. cii., 41-44.
11 Ge,.. 2,21; lob 2,,. Cf. E. KiisEMANH, Leib, pp. 1-14; W. SoiMIDT, op. cii.:
252 L'UNITÀ DELL'UOMO

condizione d'essere dell'uomo, cosl anche ba.far non è da intendere


come qualcosa che l'uomo 'ha', ma qualcosa che l'uomo 'è'. 42 Il voca-
bolo significa perciò in senso ampio anche tutta la persona e tutto
l'uomo 43 e può anche sostituire un pronome personale.44 Infine è
anche importante sapere che b{iSar può avere il significato di 'paren-
tela' e 'famiglia'. 45 L'uomo ebraico non si sente circoscritto nel
rapporto reciproco con gli altri dalla sua corporalità, ma si ricono-
sce, in quanto 'carne', insieme con altri. 411 In questo basar è una
'espressione' di parentela che significa una stretta comunione e con-
nessione 'vitalmente decisiva'. La 'nostra carne' esprime quindi «il
nostro fratello» (Gen. 37,27) o «il nostro prossimo» (Is. 58,7),47 e
la formula «ogni carne» abbraccia l'intera umanità nella sua crea-
turalità di fronte a Dio. 48 Qui appare evidente che 'carne' non solo
mette in evidenza la totalità individuale dell'uomo - a differenza
di ogni antropologia dualistica - ma anche esprime originaria-
mente l'esistenza intersociale e, in un certo senso, 'politica' dell'uo-
mo - a differenza da ogni antropologia individualistica. Quest'ulti-
ma in un certo senso dà risalto alla totalità del singolo uomo, consi-
derando però la sua socialità come qualcosa di secondario o derivato.
Questa socialità, come appare attualmente nell' 'essere carne', non è
rapportata né solo né primariamente all'interpersonalità privata e
intima dello io-tu, ma alla convivenza sociale e politica.•
Riassumendo: l'analisi della concettualizzazione dell'antropologia

cQuanto anche la 'carne' sia considerata non coine materia inerte preesistente, bensì
come realtà vitalmente attiva, si fa notare in modo fortissimo . nel fatto che essa
come 'mano' o 'piede' può designare il sesso (uv. 15,2.7. ad es.)•.
42 \V! faCHRODT, op. cii., 96.
41 Cf. Ps. ,6,, con :;6,12; ler. 17,,; lob 3.p;; 10,4.
44 Ps 119; 120; Prov. 4,22 e passim; cf. lor. I0,28 ss. eon ls. 40,5 s. e lorl 3,1:
qui si manifesta la couispondcnza di 'carne' e 'anima'.
ts W. RE1si::1, 'Die Verwandtschaftsformel in Gn 2,2)', in TZ 16 (r!j6o) 1-4;
A.M. DueAJtu:, Li cot1ceplion dt' /'homme Jans l'A.T., cSacra Paginn t (Pasis
1959) 522-536, spcc. 529"H2-
* E Sc:HwEIZER, 1..l"iblic/Jkeil, 8.
47 Cf. W. Sc1111.11DT, op. cii., p. ~82, nota 26; anche la bibliografia indicata sopra
nella noia 45.
"" A.R. Hut:;T, •.. Kol basar.• in der pricsterlischen Fluterzihlung', in OTS 12 ( 1958)
28-68. L'idea Ji debolezza e di caducità, che nell'Antico Tesllimento è spesso col-
legata con la cune, verrà discus,;a particolareggiatamente più avanti.
• Cf J.B. METZ, 'Politische thcologie', in Neues Forum 14 (1957) 13-17, il quale
mene in evidenza l'aspeuo poliliro circa la 'carnalità' nell'A.T.
CONCETTO GRECO ED EBRAICO DELL'UOMO 2.53

ebraica non mostra alcuno smembramento dualistico dell'uomo, «an-


zi oggettivamente in tutti e tre i concetti non si pensa mai ad una
parte dell'uomo accan~o ad altre, bensl all'udmo come unità inte-
grale».49 Fra i diversi sensi traslati si possono metter in evidenza i
seguenti: nefd è l'uomo in quanto tendenza verso qualcosa, rua~
è l'uomo in quanto sotto la guida carismatica di Dio vive a servizio
delle promesse salvifiche; basar è l'uomo in quanto sta di fronte a
Dio, inserito nella parentela e comunità civile.

bb. Il posto del corpo nell'escatologia e nell'etica. - La concezio-


ne unitaria dell'uomo per gli ebrei trova la sua espressione
non solo nella sfera concettuale dell'antropologia, ma anche e so-
prattutto nel modo di comprendere la salvezza nell'escatologia e
nell'etica. La salvezza escatologica non è puramente un'individuali-
stica 'salvezza delle anime', ma è innanzitutto partecipazione al re-
gno di Jahvé nella storia futura, sopra questa terra e in questa
vita. Solo tardi e per influssi estranei compare nel concetto della
salvezza l'idea di una ricompensa in un aldilà.50 Mentre per i greci
la morte è una liberazione dell'anima dall'ostacolo e prigionia del
corpo, per gli ebrei essa è: una separazione dalla comunione di vita
con Jahvé (Ps. 88) e un entrare nella zona dell'ombra e dell'impu-
rità estrema. 51
Ugualmente vi sono poche tracce dell'idea che il corpo, esistenza
materiale e terrena, sia fonte di peccati e origine di ogni miseria. Il
peccato è opera di tutto l'uomo; esso ha le sue radici non nel corpo

49 W. ScHMlllT, op. àt., 376.


511 W. BoussET, Die Rdigion des Judtntums im Spiilhtlltnistiscbtn Ztildlltr,
cHBNT• 21 ITiibingen 4 1966) 401; dr. anche P. Voi.z, Dit Eschatologie do ju-
dischen Ge,,:emdt 11r. Ntutestamenllichen Ztil•lter, Tiibingcn 1934, 133: «la dot·
trina sulla risurrl"Zione •i fonda •ul prcsupposlo aniropologico che il corpo sii
neccuario per l'esistCllZI piena dell'uomo. L'anima senza il corpo non è vcramcme
aulonoma e con la morie dccadc in un'csisten7.a incompleta; se l'anima scp.rata
ha da p.1mcci1,~rc alla salvezza, essa ha ancor bisogno di un corpo; pcr(ena felicità
senza corpo è im;>cnsabilc•. Se •i Jcvc notare una colorazione dualistica nella con·
cczione dell'uomo dcl giudnism<.> ellcnis1ico ortodosso, basta un confronlo con il
giudaismo non or1odosso, per es. con filone. e con l'ellenismo per mostrare
4u11mo poro dualistico sia il mondo dcl pensiero dcl giudaismo.
~ 1 Cf. G. YON RAD. op. cii., I, pp. 399·4.llo; 11. pp. 371 •.; W. E1c11aODT, op. cii.,
pp. 1.1--1·1.1;. 1 ~· •.; W. ZIMMEllLI, op cit., p. 17
L'UNITÀ DELL'UOMO

in quanto tale, ma nel cuore cioè nella «parte più intima dell'uo-
mo».52 Il cuore non è per gli ebrei soltanto un organo del corpo, ma
anche il centro che determina la presa di posizione di fronte alla
parola di Dio e la decisione di fronte alla volontà divina. 53 Il fatto
che il comportamento religioso e morale dell'uomo scaturisca dal
cuore mette in risalto il concetto unitario dell'uomo che l'ebreo ha
anche nella sua concezione del peccato.
Anche negli scritti tardivi dell'Antico Testamento, nei quali affiora
uno spiccato pessimismo etico, specialmente nella considerazione
della concupiscenza, questa non viene mai messa in connessione col
corpo, ma col cuore, simbolo dell'unità dell'uomo e della volontà
libera.54
cc. 'Carne' come espressione della crea·euralità del mondo uma-
no. - Se la 'carne' non è fonte di peccato (nel senso di 'parte
inferiore' dell'uomo), la parola 'carne' e specialmente 'ogni carne'
vengono usate per esprimere il rapporto fra l'intera umanità e Dio.
Il mondo non è per l'ebreo un organismo armonioso e perfetto, un
'corpo di Dio', ma sta di fronte a Dio nella sua caducità e creatu-
ralità. Questo aspetto della concezione veterotestamentaria del
mondo è il frutto di una certa evoluzione nell'ambito delle tradizioni
bibliche. Con la parola carne e con la formula di parentela la tradi-
zione più antica ']' esprime innanzitutto la comunione e il vincolo
fra tutti gli uomini. Più tardi nel Deuteronomio la locuzione ltol·
baiar viene applicata agli uomini, in quanto essi stanno di fronte al
Dio eterno come creature caduche. Quando invece 'P' usa questa
formula per la prima volta, è per far esprimere da parte di Dio la to-
tale corruzione morale dell'uomo. Tuttavia questo uso in 'P' non può
implicare una distinzione dualistica fra componenti corporee e non-

52 G.F. MooltE, Judaism in the First centuries o/ tbe Christian Era I, ClUcago
2927, pp. 486-489.
51 J. Soil.EINER, "Pers<>nlichc Entschcidung vor Gott nach biblischcm Zeugnis',
in Bibd und l.eben 6(1965) 112-115.
54 W. Boussn, op. àt .. 402-405. La dottrina circa l'inclinazione cattiva si lascia ri-
condurre a Ecclus 21,11; 27,31 ccc. Soltanto in Bar. 1,22 è la sensualità l'origine
della corru11ibili1à. Cf. F.C. PollTER, "Tbc Ycçcr Ha-n. A Study in thc Jcwish
Dcxtrinc of Sin', in B1blica/ and Semitic Studies, New Jork 1901. pp. 93-156.
CONCETTO DELL'UOMO NF.L N.T. 255

corporee dell'uomo, secondo la quale il corpo dell'uomo a priori


viene svalutato moralmente e teologicamente valutato meno. Piut-
tasto 'ogni carne' si riferisce a tutta l'umanità nella sua situazione
storica di fronte a Dio.55 L'uomo come 'carne' è un esistente sto-
rico, il quale con il suo popolo è proteso verso un futuro e perciò
- antiaristotelicàmente - aperto su una storia che detçrminerà
liberamente.56

2. Il concetto dell'uomo nel Nuovo Testamento

a. Il mondo giudaico tardivo

Possiamo comprendere meglio le opinioni sull'unità di anima e


corpo negli scritti neotestamentari considerandole sullo sfondo delle
diverse correnti di pensiero del mondo giudaico tardivo; esse sono
sorte dall'incontro del pensiero ebraico con sistemi greci e anche
asiatici. Il mondo tardo-giudaico si presenta come un ambiente
sincretistico, in cui si uniscono elementi giudaici ed extragiudaici
producendo cosl, dell'uomo e dcl mondo, diverse immagini, delle
quali alcune sono più dualistiche e dicotome, mentre altre sono
più monistiche. 57 Normalmente il mondo tardo-giudaico viene suddi-
viso in giudaismo ellenistico e giudaismo palestinese, per mettere
appunto in risalto questa diversità. Nd giudaismo ellenistico si
trova l'inizio dello sviluppo di una concezione dualistica dell'uomo.
L'ellenizzazione incomincia con i Settanta: essi infatti traducono
l'ebraico leb (cuore) con ~xii 51 e dividono il cosmo in due campi,

55 J. ScmuErr, op. cii., pp. 47-81 ~ di pererc diverso. Egli affmna: cSolo 'P'
e il redattore di Gt11. 6,1-4 rifleuono sul nppono reciproco delle componenti cor·
ponli e non rorponli dell'uomo•. Ciò però non si poo ricavare dalla connessione
della peccaminosità con l'espressione 'ogni camc'.
56 W. ZIMMERLI, 'Vcrhcissung und Erfiillung', in E11T u ( 19,1) 34-,9; H.W.
WoLFF, 'Das GcschichtsVcmindnis dcr a111cs1amcntlichcn Prophctic', in EllT (10)
(1900) 218-235.
57 R. MEYu., HellmiJtiJches ;,. der r11bbi11ischen Antbropologit. RAbbi11ische Vor-
sttllung l/OM Wuden des Mtnschen, Siungan 1957; L GorPELT, Cbristtntum und
Judentum im usttn und iwtitm Jabrbu11dtrt, Gutersloh 19'4: W D. DAVIES,
Cbristill11 Orit.inr and Judaism, London 1962.
51 G. DAUTZENBDG, op. cii., pp. 4' s.
L'UNITÀ DELL'UOMO

quello dello spmto e quello della carne. 59 L'ellenizzazione procede


ulteriormente nel Libro della SapienÌ.a, il quale non solo ~ivide
dualisticamcnte l'anima e il corpo, ma anche subordina il corpo
all'anima."° Infine raggiunge il suo vertice con FILONE 01 ALESSAN-
DRIA, il quale nella sua concezione esprime pienamente il dualismo
greco, con alcune riserve e dilierem:e. 61
Al contrario, il giudaismo palestinese si appoggia fortemente alla
conce-lione ebraica, ma la sviluppa ulteriormente, in diversa misura,
per l'influsso greco. I libri dell'Antico Testamento scritti in ebraico
ma conservati solamente in greco, seguono la via dei Settanta, so-
pra indicata. La letteratura qumranica, al contrario, rimane preva-
lentemente ali 'interno delle correnti di pensiero ebraiche. Il suo
dualismo, che è anche influenzato dall'esterno, è più dualismo co-
smologico, che antropologico, più etico che ontico. «In nessun
luogo si può dimostrare, anche solo come verosimile, che la carne
sia in lotta con lo spirito. Piuttosto la carne in quanto designa tutta
la personalità dell'uomo è il luogo in cui lo ·spirito santo e quello
del male combattono l'uno contro l'altro». 62 Nella letteratura apo-

59 Il «Signore degli spiriti di ogni carne• (Num. 16,22; 27,16) vien tradotto nei
Se111nta con «Signore degli spiriti e di ogni carne•.
IO 1,4 accostamento senza valutazione; 8,19 s. priorità dell'anima; 9,15 contatti
con PLATONE, frdont 81c. L'opposizione ua anima e corpo viene praticamente
inrcsa come impedimento per l'attività. spirituale del pensare.
61 Cf. E. SctlWEIZEI, Htlltnistischt Komponente, pp. 246-250; W. WoUtEJ.,
Fortscbritt und Volltndung bei Philo von Aleundritn, Leipzig 1938, pp. 239-241;
H. WoLFSON, Philo, Cambridge Mass. 21948. Il pensiero non sistematico di Filone
non consente che lo si comprenda univocamente come filosofo e.I.lenisti. cCame
non è l'uomo condannalo da Dio, nella sua totalità, come nell'Antico Testamento,
bensl la sua condizione fisica, che è freno al volo dell'anima•. E. ScmvE1ZE11, aiilp.a,
op. cii., 122.
61 R. MEYEI, aliJt,l.a in TWNT vu (1~4) 193: O. BOCHEI!, Der iohannische D111J-
lism11s im Z11sammt11hong dts 11achbiblische11 ]11dent11ms (Giitcrs.loh 1~5) 55: «A
motivo dcl.la stretta connessione tra l'antropologia di Qumrin con quella veterote-
stamentaria 1nche nei testi di Qumrin non si trova in nessun punto un muato
dualismo Ji corpo e anima o di carne e spirito». Il contrario era stato allesmato
prima da G. K. KuHN, :ttlQ<laµO~-lilMlom-aciel; im Neoen Testament und die
damit zusamml'nhangenJcn Vorstdlungcn', in ZTK 49 (1952) 2<><>-222. 'Carne', se-
condo lui, (op. cii., 216), in Paolo e nei testi delle sene è «ambito del potere e
dcll'12ione di quanto è contro Dio, dcl peccato». Quest'opinione ha suscitato oppo-
sizioni: F. Nl)TSCllFR, Zum lbeolo~ischen Terminologie der Qumran-TexU, «BBB»
10 (Bonn 19,6) 85 s.; J. Sc11u1NF.R, Geislbtgabung, pp. 161-18o; J.P. HYATT, ·~
Vicw of Man in rhe Qumran eHodayot•'. in /liTJ 2 (1955/56) 276-284; D. FLUS·
CONCETTO DELI.'UOMO NEI. N.'r. 2.57

calittica compare di nuovo l'evoluzione già notata nei Settanta, per


cui il dualismo fra Dio e l'uomo viene sempre più fortemente
messo in rilievo e amalgamato con il dualismo fra il campo dello
spirito e della carne (pensato in connessione con il peccato).63 In-
fine la letteratura rabbinica mostra nella sua antropologia un'accet-
tazione di nazioni ellenistiche, che però non portano, come nella
teologia alessandrina, ad un dualismo coerente, ma mantengono in
complesso la concezione ebraica.
A questo proposito è significativo notare come ora appaia, accanto
al concetto carne, l'espressione 'guf' che significa 'essere cavo, in-
cavato'. Questo passaggio, attestato fin dal II sec. a.C. circa,
dal vocabolo antico carne a quello che sembra più moderno, di
corpo, non significa solo un mutamento di termini, ma mostra an-
che un cambiamento nella concezione stessa dell'uomo. Mentre in·
fatti il concetto 'carne' come è usato negli scritti dell'Antico Testa-
mento fino a Qumran, indica tutto l'uomo come persona integrale, il
termine 'corpo' fa sorgere a priori il concetto di una cavità, di un
vuoto che ha bisogno di venir riempito. Questo corpo, secondo i
presupposti che il giudaismo ha nell'ambiente ellenistico-orientale,
viene immaginato come 'riempito' da un'anima invisibile. In tale
contesto sorge un'opposizione fra l'anima pura, celeste, ed il corpo
terreno che tende all'empietà." Questa antropologia rabbinica tut·
tavia non è cosi concretamente dualistica come quella greca, in
quanto crede ad una riunione fra anima e corpo dopo una situa-
zione transitoria. 65

SEK, 'Thc Dualism of Flesh and Spirit in 1hc Dcad Scii Scrolls and ilie NT', in
T11rbil 27 ( 19n/58) 5o6.540.
61 E. ScmntZEI, arivt;, in TWNT v11 (1964) 118-121. La concezione ebraica del-
l'uomo persiste, come mosira lo sviluppo della dolrrina nella risurrezione. a. K.
ScmiBEIT, 'Dic Enrwicklung der Auferstchungslchrc von der nachexiliscben bis
zur friihrabbinischen Zcit', in BZ 6 (1962) 177-2r4.
"'R. MEYn, aéot;, op. cit., 11.p18.
65 K. ScHuBEJtT, op. cii., pp. 177-214.

17 · M,·11emm1Sa/u1i1,11/1
b. I sinottici

Tenendo presente questo sfondo del tardo-giudaismo, è degno di


nota il fatto che, nelle asserzioni sull'uomo, i sinottici si rifanno alla
idea ebraica veterotestamentaria e non all'antropologia dualistica
di corpo ed anima del tardo giudaismo o all'uso ellenistico.66 Una
analisi di Mc. 8,3'·37, i cui due detti vengono più volte riferiti nella
tradizione sinottica,67 mostra che, nonostante le deviazioni di tra-
duzioni e d'interpretazioni anteriori, la predicazione di Cristo acco-
glie la concezione ebraica dell'uomo e la pone nell'ambito dell'esca-
tologia veterotestamentaria. li detto di Gesù in Mc. 8,36 secondo
molte traduzioni suona cosl: Che giova infatti all'uomo guada-
gnare il mondo intero se perde l'anima (IJiuxi'J) sua? 61 Basandosi
su questo detto HARNACK ha pensato che Cristo abbia insegnato il
valore infinito dell'anima umana; 69 proprio per questo }AEGER 70 e
NESTLE 71 hanno visto in Socrate e in Platone dei precursori di
Cristo. Un esame più approfondito del contesto redazionale di que-
sto versetto mostra tuttavia chiaramente che esso per modello non
ha alcun insegnamento ellenistico sull'anima, ma che in Cristo
agisce il modo di pensare veterotestamentario. Appare sorprendente
che nel precedente versetto 35 («Perché chi vuol salvare la sua vita
(ljiux-f)) la i>erderà. Ma chi perde la sua vita (IJiuxiJJ per amore
mio e per il vangelo la salverà•) l!Nx-fJ venga tradotto con vita
anche da coloro stessi che poco più avanti, nel v. 36, traducono lo

66 Cf. G. DAUTZENBUG, op_ cit., pp. ,1-168. L'unica eccezione, secoodo lui, è
costituita da Mt. I0,28, che si allaccia all'1.11trop0logia rabbinica. a. però o. CVLL-
MAHN, Uruterblichkeit der Seele oder AM/erstehung der Tote1f1, Berlin 1962, p. 69,
nota 18.
67 a) Mc. 8,35 par Mt. 16,z' par Le. 9,24; in Mt. 10,39 par Le. 17,33 par (cf. Le.
1.µ6; 21,19) e in Io. 12,z5; b) Mc. 8,36 s. par Mt. 16,16 (l..c. 9,z5). A proposito
della questione dcl nesso tra i due logia d. G. DAUTZl!NBl!llG, op. cii., pp. 68-82.
61 a., pc1 es., il testo dcl commento alla Bibbia dclla Hcrder Die Hei/ige Schrift
fiir dtU uben erlclirt.
69 A. VON li.uNACH, DtU Wesen des Christent11ms, Stuttgart 4 1904, pp. 43 s.; lii.,
uhrbuch thr Dogmengeschicbte I ( 41909) (Darmstadt I~) So: cil pensiero dcl
valore incalcolabile, che ogni singola llllima ha in sé ......
lii W. }AEGEI, Paideill. Die Form11ng des Griecbischen Me1fSCM1f o, Berlin 1944.
pp. 81i-9o (u. it. Paideill. Lr /onnlrliotfe dell'uomo gruo, La Nuova Italia, Fucnze).
71 W. NESTLE, Griecbische We/t11nschaM11ng ;,, ihrer Betk11t111fg fiir die Gegen-
W4Tt, Sruttga" 1946, p. 241.
CONCETTO DELL'UOMO NEL N.'I'.

stesso vocabolo con 'anima'. 'Vita', che mette meglio in evidenza


il significato del vocabolo ebraico ed aramaico nefel, si deve quindi
in modo coerente tradurre anche al v. 36.72 In questi versetti, alla
luce della concezione ebraica globale dell'uomo 4iuxi'i è usato, per si-
neddoche, per indicare l'uomo intero o l'intera persona. Questo uso
per sineddoche di '1ivx1J come vita viene del resto ulteriormente
concretizzato e determinato in questi versetti. In Mc. 8,35 non c'è
alcuna distinzione fra due tipi di esistenza, quella terrena e quella
celeste, ma l'esistenza concreta dell'uomo vivente è posta come
fondamentalmente unitaria e indivisibile. Ora questa esistenza, nella
sequela di Cristo, deve venir 'alienata' come un tutto perché essa
possa sperimentare la salvezza escatologica. Il v. 35 non è quindi
un puro detto per l'aldilà; esso mette in rilievo con insistenza
l'invito radicale alla sequela per la salvezza escatologica.n Nello
&tesso modo Mc. 8,36 in relazione al Ps. 49 parla dell'esistenza del-
l'uomo minacciata dalla morte. 'Perderla' significa, nei sinottici come
nell'Antico Testamento, venir separati dal compimento storico delle
esigenze vitali nella comunione con Dio. 74
La concezione sinottica dell'uomo si distingue da quella elleni-
stica non solo in quanto non riconosce alcun valore 'superiore'
dell'anima, ma anche in quanto non accoglie l'insegnamento che
la carne sia un impedimento per l'anima o una causa di peccato.
Mc. 14,38 «Vegliate e pregate per non entrare in tentazione. Lo
spirito è pronto (1Mvµa 1tp6Duµov,} ma la carne è debole
(O'liX ci.ai)EV'f)I;)• non è in contrasto con questa asserzione.
'Spirito' qui non significa la parte superiore o migliore dell'uomo,
ma l'elezione o la guida di Dio, poiché l'espressione 'spirito pronto'
viene dal testo del salmo 5 x dove coincide con lo 'spirito santo' di

72 J. ScHMm, Das Evangelium nach M11rkus, cRNT • 2 (Regensburg 511)63) i68:


Però evita ha qui lo stesso significato come nel logion precedente, benché ambedue i
detti originariamente non siano staù uniti. Perciò anche la traduzione corrente -
.. .ma rovina la propria anima - non colpisce in pieno il significato ...
73 a. il lavoro rispetùvo del discepolo di Schnackenburg, G. DAl.ITZEHBEllG, op.
cit., pp. ,i-82. Egli argomenta contro le posizioni di J. ScHMJo, op. cii., 18~ s. e
V. TAYLOI., The Gosptl accortiing to MlfTk, London 21966, pp. 381, che vedono un
doppio senso nella parola 'vita'.
74 G. DAUTZENBEl.G, op. cii. pp. 68-82.
L'UNITÀ DELL'UOMO

Dio. In Mc. 14,38 esso è in rappotto con la preghiera per resi-


stere alla tentazione, cosicché anche qui s'intende l'elargizione al-
l'uomo dello spirito di Dio che combatte contro la debolezza dd-
l'uomo visto nella sua totalità. 15 In questo luogo 1tVEVIJ4 corri-
sponde al ruaf? dell'Antico Testamento e non implica per nulla un
dualismo nell'uomo.

c. Paolo

La concezione dell'uomo in PAOLO costituisce una base ricca ma


anche complessa riguardo al problema dell'unione fra anima e cor-
po. Da una parte Paolo ci offre - prescindendo dalla discussione st:
la sua teologia sia da comprendere alla luce dell'antropologia o del-
l'apocalittica 76 - una concettualità antropologica molto esplicita e
sviluppata;" d'altra parte le conclusioni degli studi su s. Paolo mo-
strano quanto possano essere antitetiche le diverse interpretazioni
della sua antropologia. 71 Ciò non dipende solo dal fatto che Paolo può
venir interpretato movendo da aspetti divergenti della provenienza
della sua dottrina; ma anche perché egli, essendo pluralistico in se
stesso,79 sviluppa tuttavia la sua antropologia in determinate situazioni
e in considerazione di determinati avversari. Questi dementi sincre-
tistici ed occasionali devono venir presi in considerazione per indi-
viduare gli aspetti principali dell'antropologia di Paolo.

75 W.G. KOMMEL, Dai Bild des Menscben im Neuen Testament, «TANT» 13 (ZU.
rich 1948) 17 s; E. ScHwEIZER, irnùµa TWNT v1 (1959) l94·
70 H. KONZELMANN, Heutige Probleme, pp. 241-2,2; E. K:\sEMANN, Zur Tbema
der urcbmtl1chen Apokalyptik: E:cegetùche Versuche und Besinnungen li, GOuin·
gen 1964, l2j·131; P. STUllLMAC:HER, GeTechtigkeit Gottes bei P11ulus, .,FRLAN'f.,
87 (GOttinp 21966) 2o6 s. nota 2. E. Kiisemann e il discepolo Stuhlmacher criti-
uno il tentativo di Bultmann <l'interpretare Paolo, muo\•endo dall'anuopologia.
Vedi più avanti l'importanza di tale discussione per la comprensione di C2rll<: e
di corpo.
77 W.G. KiiMMEL, op cit., p. 20 s.
li Cf. A. ScHWtolTZER, Geschichte der pt1ulinisch~n forscbung, Tiibi.ngen 219n;
R. B1•LTMANN, 'Zur Geschichte der Paulusforschung', in TR I ( 1929) 26-j9; lu.,
in TR 6 ( •9H) 229-2~6: ID., in TR 8 (19J6) 1-22; G. DELLING, 'Zum neueren Pau·
lusventin<lnis', in NovTest 4 (191i<>} 9:;-121.
79 G. E1u1HoLZ, ProleY,omena i:u emer Theo!ogie des Paulus im UmTiss: Tradi·
tio11 u11d /,11eTpret111ion S11:Ji,·n wm Neu<"" Testome"I und ~"' Herme11eutik .
•rn. ~9 (l\.liinchen 196,1 161-189.
CONCETTO DF.1.1.'UOMO Nll N T 261

Le interpretazioni esegetiche anteriori, sorte sotto l'intlusso del-


l'idealismo tedesco, specialmente di HEGEL, vengono oggi comune-
mente respinte. F. CH. BAUR ha precisato in tale modo idealistico
il contrasto paolino fra 'spirito' e 'carne', affermando che lo spi-
rito è l'assoluto o l'infinito in contrasto col finito.• Su questa linea
è anche VAN DosscHOTZ,' 1 il quale tuttavia determina 'spirito' co-
me ciò che nella terminologia di HEGEL si chiamcrebhc 'ragione', e
'carne' come 'materialità'. Infine C. HoLSTEN e altri vedono in Paolo
la presenza del dualismo ellenistico fra lo spirito immortale e la
materia caduca.sz Oggi tuttavia è comunemente riconosciuta la teo-
ria di H. GUNKEL,11 secondo la quale il 'ltVWµa paolino non ha
nulla a che vedere con lo 'spirito' del razionalismo o dell'idealismo.
Viene generalmente accettalo che i concetti antropologici di Paolo
cnon riguardano mai parte dell'uomo, ma sempre tutto l'uomo con-
siderafo sotto determinati punti di vista e capacità» ... Ciò appare
osservando come i diversi concetti possono servire a sostituire i
pronomi io, noi, lui, ecc." Anche quando 'ltVWµa e CTlipl; ven-
gono conirapposti, non sono mai contrapposti due concetti antro-
pologici in senso stretto, collocando cosi l'opposizione nell'uomo
stesso, e supponendo quindi una separazione fra materia e spirito,
o 'corporale' e 'spirituale'. Si vuole piuttosto indicare la contrap-
posizione esistente fra la debolezza dell'uomo e la forza dello spi-

• P11uJ11s, der Apostel }es11 Chrisli (S1u1111ar1 1845; 21866/67); lo. Vorle111111en
uberntl. Thrologie, 1864, p. 14J. •L'idea fondamentale dcll'anuopololia dell'apo-
stolo» è «che atiQ1; è il corpo matcrialn.
11 Der Aposld P11iJ11s, Hallc 1926-1928.
12 Zum EV11ngdi11"' des P11ulus u11d des Pelrus, Rostock 1868, pp. 36, 447; H. 0

LliDEMANN, Die A111hropolo11e drs Aposlels P11iJu1 1111d ihrr SteU1111g in11rrbdlb iei·
nrr Heilslehrr nach dc" 11irr H1111p1brie/en d11r1e11eU1, IGe1 1872; W. BoussET, op.
Cli., p. 405.
ll Die Wirk1111ge" de1 Geisles n.cb der popularr11 AnsclM111111g der 11postolischen
Zeil ""d dcr l.ehu des Apostels P11ulus, Gottingcn 1888.
14 G. BoaN1'AMM, 'Paulus', in RGG (l1966) 179.
IS aiiiµa: 1 Cor. 1 J,J; 9,27; Ro,,,. 6,12; Phil. 14; "'1JXii: 2 Cor. 1,z3; 12,15; I Tbe:rs.
2,15; nvE\,.a: 1 Cor. 16.1R; 2 Cor. 2,13; G.t. 6,18, acio~: 2 Cor. 7,z; Rom. 6,
19; d. G. BoaNKAMM, op. cii., p. 1791. per altri passi di riferimento. W.G. KiiM-
MEL osserva: «l'csposi7.ionc dell'antropologia paolina è csucmamente difficile per
il fa!to che per la dcscriiione dell'essere umano Paolo usa una serie di termini
anuopologici, che non YCf180n delimitati rcciproouncnte e per il fatto che la ter-
minologia in genere non è accurata ... Op. cii., 20-21.
L'l•NITÌI Dt:LL'uoMu

rito di Dio.16 Perciò in Paolo il contrasto non è fra ljlvxTi e awµ11,"


ma fra la atipi; o ljlvxi} ( 1 Cor. 2, 13 s.; 1 .5 .44 ss. ) da una parte e
1tVEUµa dall'altra. In questo contesto 'ltVEvµ11 può significare la
forza o lo spirito di Dio nel suo rapporto con l'uomo, o l'uomo
integrale qualificato da questo spirito o forza di Dio." Cosl acipl;
può significare l'uomo integrale o esprimere anche una qualificazione
dell'uomo che è in contrasto con il 1tVEUµa."
Alla luce di queste sfumature terminologiche sono da considerare
due diversi significati del contrasto acip!; - 1tVEVµl1 in Paolo.
Primo: in Rom. 1,3, dove Paolo usa una formula prepaolina,'° assu-
mendone con ciò il significato datole dalla Chiesa primitiva: la
sfera terrena, limitata e contingente, della a~ viene qui posta in
contrasto con quella celeste e divina del 1tVEUµ11; la a~ con ciò non
viene vista in modo negativo, come peccaminosa o nemica di Dio,
ma solo come limitata, debole e caduca, cioè come ambito terreno
neutrale che non è determinante per la salvezza." In questo signifi·
ano la contrapposizione fra i due vocaboli ':NEUµo.-~ corri-
sponde tanto alla contrapposizione dell'Antico Testamento fra la
forza o la grazia di Dio 92 e la debolezza dell'uomo, quanto anche

16 Cf. O. Kuss, Drr Romerbrie/, Rcgcn1bur1 19,9, sos·'9'·


87 J. SCHMID, 'Dcr Bc:griff dc:r Scclc: im Nc:uc:n Testament', in J. lù.'l"ZINGER ·H.
FRms (edit.) E.insicbl und Cla11be, Freiburg 1c,i63, pp. 1}4·136, dove c:ali mette: in
evidenza l'importanu dell'uso paolino di nrijl&G, al posto di 1'UXii come un termine
centrale. 'l'vx1\ 1'incontn una sola volta acca.,to a aWtw. in 1 Tbess. s.z~. Cf. la di-
scussione della questione della tricotomia in B. R1GAux, Les épilrl.'s aux Themdo-
nicitns !Paria 19,6) '96-600; W.G. KOMMHL, op. cit, pp. u-24.
ss E. ScHWEIZU, nvrOµa., op. cii., 413-436.
" W.G. KOMMIL, RO"' 7 unJ die Btkehrun& des P1111l11s, cUNT,. 17 (Lcipz.ig
19z9) ,.z8. ~t pub L-die eaere antropoloaJcmnente identico a Jm1ilµa.: .z Cor.
z,13; 7,,., Una valorizzazione po1ltlva di ociot ai trova in J Cor. 3,3 (cf. in propo-
sito Euch. 11,19; 39,z6, Barn 6,14); .z Cor. z,13.
!IO 1 Ti,,,. 3,16; 1 Ptlr. 3,18h.
91 E. 5cHwE1za::a, 'Rom. 1,3f und der Gc:Aen1112 zwischen Fleisch und Gc:ist vor
und hd Paulus', in l!r/I' 1' (19,,J '63·'71; E. HAIIN, Chm1ologische Hoheitrtiltl,
~FRLANT,. 83 (Go11in11cn 21964) z,H,8.
91 L'oriaine esatta dell'uso paolino dell'antitesi nvtiiµu-miQ~ oggi ~ usai discussa.
La derivazione: di quc:st'antilesi ne determina l'interpretazione:. W .D. DAVIES, op. cii.,
PP· 17·3' la trova 11ià nel rabbinisma; K.G. KuHN, op. cii., pp. 200-..r.n in Qumrin
(cf. invc:cc la 0011 64 del hostro 1es10 e H. BllAUN, 'Rom. ;,7-z5 und das Selbstver·
stiindnis der Qumran-Frommc:n', in ZTK '6 [llJ.SIJ] 1-18); E. KAsEMANN, zu,,,
The11111 .... pp, 276 ... nell'apocalittica; E. SCllWEIZER, aaQ; op. cii., u4-136 nell'An·
CONCETTO DELL'UOMO NEL N.T.

all'antitesi giovannea, che proviene pure dall'Antico Testamento, in


cui atip~ significa l'ambito umano terreno nella sua limitazione,
ma non in una sua peccaminosità.91 Secondo: poiché ad.pi; e miEùi.Lt.t
possono essere anche qualificazioni dell'uomo, Paolo le usa per
~ignificare due ambiti (in senso morale, non locale), due situa-
zioni fondamentali o due modi di essere dell'uomo. 94 Poiché l'uomo
nella sua condizione terrena sta davanti alla possibilità o di abban-
donarsi alla sua carne terrena che proviene da Adamo, cioè al suo
passato puramente fisico, o di essere aperto al futuro reso possibile
e promesso dallo spirito di Dio, la sua opzione può venir qualifi-
cata come una vita «nella carne peccatrice e secondo essa», o come
una vita «nello spirito di Cristo». Non la carne in sé, secondo Paolo,
è peccatrice, ma solo l'uomo in quanto s'abbandona alla sua esi-
stenza passata, precristiana, e vive secondo le norme dcl passato
della sua carne che, in quanto tali, sono una forza attiva nel pre-
sente." Quando l'uomo nella sua corporalità si protende con lo spi-
rito di Dio che gli è concesso verso il futuro della nuova creazione
e opera in essa, allora la sua corporalità può venir valorizzata posi-
tivamente."

tico Teswncnto. L1 noma interpretazione rcnt1 di pttnderc: una posizione: inter·


media tra Ki1em1nn e Schweizer.
93 R.E. BROWN, 1"ht Gospel according lo ]oh11 I-XII, aAnchor Biblt• 29 (Garden
City 1966) 31 s., 139 s; R. SCHNACKENBURG, Das Joha11ntst11angtlium, I., «HTK•
J.V /I (Preiburg i.B. 196') 243 s., 38' s. Eni interpretano il termine 06.o~ piuttotto
muovendo dall'Antico Testamento che dalll Goosi, come fa R. BuLTMANN, Da
Evongtlium Jes Johann~s. «KEK» 2 (Gouingen 111962) 100, nota 4. Probabilmente
• ,14 ~ polemico conlro la Gnosi: «Carne per l'evanseli1t1 qui non ~ nient'altro che
la possibilità della comunicazione del Logos in quanto creatore e rivelltorc con gli
uomini• (E. KAsEMANN, 'Afbau und Anliegen cl.es johanni1ehen Prolop', in Extit·
tis(bt Vmucbt IJ,174).
" O. Kuss, op. cii., pp. ,o6.,9,; H. ScHUEa, D" Brie/ 1111 dit G.Iat", cKEK•
7 (Gottingen 12 1962) 2,1-264.
95 E. ScHWEIZER, aao; op. cii., pp. 124-136.
,. G. 8o1HKAMM, Sundt, Gtutz und Tod: Das Endt dts Gtstlie1. Gtsom11ftltt
Au/1iilzt, I (Miinchen 19nl ,1.69: cln Ro11f. 7 geme l'uomo, cui non è lllCOC 1t1to
dato lo Spirito e perciò rimane condizionato dii p11saro dcl suo io. In Rom. 8
invece sospira colui che ha ricevuto il dono dello Spirito, che perciò nei suoi desi-
deri e nel suoi gemiti guarda in faccia il fu1uro, cui lo Spirito lo lega, quale caparra
di cib che deve venire». 68. (H. UlNzELMANN, Ht11ligt Probltme, p. 2,0, nota 2, os-
servi: cLa presenza dello Spirito non significa che ll«Olldo il pensiero di Paolo sia
orm1i inizi1to il nuovo eone. Astraendo dii fitto che non si uova in PIOio l'espressio-
ne: 'nuovo eone', lo Spirito determina precisamente:• carattere dcl presente come tempo
L'UNITÀ JlELL'uoMO

Che Paolo non veda la carne in senso negativo e dualistico, ap-


pare evidente dal suo concetto di o-wµa. Attraverso l'uso di questo
vocabolo Paolo infrange le categorie mentali dei greci, in quanto
egli con i:rW~ux esprime spesso il pensiero della corporalità e non
àel corpo. 91
l:Wµa quindi non è per lui solo il corpo che, secondo l'antropo·
logia classica greca, riceve la sua limitazione e individualità attra·
verso forma e figura, ma è il luogo della comunicabilità."' Secondo
l'interpretazione bultmanniana di Paolo o-wµa non significa forma
o figura, ma la persona e tutto l'uomo. Ma nella misura in cui BuLT-
MANN interpreta la persona in Paolo con la terminologia di HEIDEG-
GER, per cui O"•~a dice come l'uomo sia in rapporto con se stesso,99
egli travisa il vero senso del concetto paolino di o-Wµa. «Iwµa
non è l'uomo nel rapporto con se stesso, ma con gli altri». 1m Nel
concetto di corpo Paolo non vede «la rappresentazione di una
persona chiusa su se stessa, di un organismo articolato, ma quélla
del dono di sé: il mio corpo, il mio sangue dato per molti».'°'
L'uomo, in quanto corpo, sta «aperto agli altri, solidale col mon-
do, in mano al Creatore, nell'attesa della risurrezione, nella possi-
bilità di una obbedienza concreta e della autodedizione». 102 In altri
termini: il corpo «è per l'apostolo l'uomo nella sua 'mondanità',
quindi nella sua capacità di comunicare. Cristo non è venuto prima-
riamente ed esclusivamente per individui e non è qui per essi. Que-

intermedio, tempo della fede e della speranza, non della visione ... Cf. E. Kii.SEMANN,
'Gottesdienst im Alltag der Wclt'. in Exegelischc Versuche, II, p. 200: spirituale
in Paolo non significa «in nessun caso pura interiorilà e norma etica. Infatti l'evento
escatologico consiste precisamente nel fatto che Dio ha incominciato a riconquistare
a st! il mondo che pur gli appartiene».
97 Cf. J,A.T. RoBtNSON, The Body, .. SBT» , (London 1952); M.E. DAHL, The
Resurreclion o/ the Body, .. SBT,. 36 (London 1962).
91 E. K:\s•:MANN, 'Anliegen und Eigenart der paulinischen Abendmahlslehre', in
Exegelische Versuche I, p. 32.
99 R. BuLTMANN, Theologie Jes Neuen Teslaments, Tiibingen •1961, pp. 193-202.
1ro E. GOTrGEMANNS, Der leidende Aposll'I und sein He". Studien zur paulini·
schen Chrislo/01,ie, «FRLANT,. 90 (Gottingen 1966) 208; d. F. Neugebauer, 'Die
hermencutischen Voraussetzungcn Rudolf Bultmanns in ihrem Verhii.ltnis zur Paulini·
schen Thcolo11ic', in K11D ' ( 19,9) 289-30,.
101 E. ScHWETZlll, Ltiblirhkeit, p. 10.
mz E. KXsriMANN, Anliegen, cit. p. H.
SCHIZZO DI STOUA DELLA TEOLOGIA

~to sarebbe un pensiero inimmaginabile per Paolo, per quanto spes-


so e a lungo esso sia stato presente nella Chiesa.
Poiché Cristo venne nel mondo e vuole il mondo per lui stes-
so come vicario di Dio, egli è presente per il corpo in quanto
realtà del nostro essere mondo e possibilità della nostra socialità.
Nell'obbedienza dei cristiani attraverso il corpo come liturgia nella
vita comune di tutti i giorni, si rende visibile la realtà che Cristo è
il Signore del mondo; e solo se ciò diventa visibile in noi, diventa
credibile come messaggio».' 03
Con questa concezione Paolo, come i Sinottici e Giovanni, è
sulla linea dell'antropologia cristiana primitiva che ha le sue origini
nell'Antico Testamento. Questa antropologia nella Chiesa primitiva
è in antitesi con quella greca, non solo in quanto l'anima non viene
valutata più del corpo, e non solo in quanto il corpo, o la carne, in
quanto tale, non è causa del peccato, ma anche in quanto l'uomo
non viene visto come perfetto e chiuso - la fiducia dell'uomo in se
stesso è il peccato - ma come aperto, nella sua corporalità e
mondanità, sul futuro escatologico del mondo, reso possibile da
Cristo.

J. Schiuo di storia della teologia

La storia del problema teologico dell'unione tra anima e corpo non


incomincia solo col 11-m sec., come se la comunità primitiva e i pri-
mi cristfani avessero avuto una vera concezione cristiana dell'uomo
interpretata poi in maniera erronea solo dagli eretici. 104 La situa-
zione fu completamente diversa; gli errori presenti nella comunità
influenzata dalla gnosi furono, almeno in parte, motivo degli
scritti di PAOLO e G1ovANNI. La gnosi, le cui origini sono assai

IOl E. Zum Thema, ci1. p. 129.


KiisEMANN,
llM W. BAUER,Recbtgliiuhligkeit und Ketzerei im iiltesten Christentum, «BHT»
10 (Tilbingen 2 1964).
105 A proposito della provenienza della gnosi ci sono varie teorie: a) ellenizzazione
del cristianesimo: Harnack, Burkitt, Baucr; b) orientalizzazione del cristianesimo:
Moskcim; e) ellenizzazione delle religioni orientali: Schraeder; d) Degenerazione
della filosofia greca: Leisegang; e) Religione orientale trasformatasi in un mistero
di redenzione: Reitzenstein, Widengren, Bousset; f) forma dualistica del giudaismo
266 L'UNITÀ DEU.'t·uMO

oscure, 1115 non è un movimento post-cn.sttano, ma pre-cristiano; 1... le


sue radici sono in parte presenti negli scritti sapienziali giudaici e
nella speculazione apocalittica 107 i quali a loro volta sono stati mar-
cati da altri influssi, per es. iranici e zoroastrici. 1111 Questa gnosi che
al tempo della diffosione del cristianesimo in terreno ellenistico, ave-
va raggiunto la ~ua forma più accentuata, era, da una parte, avversa-
ria politico-culturale del cristianesimo col quale gareggiava per il do-
minio di questo ambiente ellenistico; dall'altra parte essa ha anche
influenzato, in modo dimostrabile, il cristianesimo stesso.!09 L. gnosi
aveva un concetto unitario dell'uomo e dd mondo 110 in forte con-
trasto con quello cristiano. Contro gli influssi di questa gnosi su
quelli della comunità di Corfoto che ne erano entusiasti (d, p. es.,
r Cor. 6,12-20; 15) Paolo combatte gettando contemporaneamente
le basi della sua antropologia ed escatologia. 111 Questi esaltati mani-
festavano il loro disprezzo per la corporalità e la creazione, sia at-
traverso il rifiuto della risurrezione dei corpi e l'interpretazione er-

sincretistico: Quispel, Schoeps, Nock. Quest'ultima soluzione vien oggi comunemente


apprezzata. Cf. R. ScHNACKENBURG, Der /rube Gnosti1.ismus, «Kontcxtc» 3 iliwttprt
1966) 114-118.
106 E. HAENCHEN, 'Gab es eine vorchristliche Gnosis?', in ZTK 49 ( 111,2) 116-
349; S. SCHULZ, 'Die Bedeutung der neueren Gnosisfunde fiir die ntl. Wissc:oschatt',
in TR 26 (1960) 209"266.
101 Cf. G. KRETSCHMAR, 'Zur religionsgeschichtlicben Einordnung der Gnnsis', in
EvT 13 (1957) 354-361; G. QmsPEL, 'Jiidische Gnosis und jiidische Heterodm:ie';
EvT 14 (19'4) 474-484. W.C. VAN UMtmt, 'Die j\idische Komponente in der Eats1e-
hung der Gnosis', in VigCbr 15 (1961) 6'-82.
1111 Cf. G. WmENGaEN, 'The Grcat Vohu Manah and tbc Apostle of God', in
lranian unJ Manicbaean Re/igion, Uppsala 19n.
K1' R. 5cHNACKENBUllG, Der /riibe Gnostirirnrus, p. 117: cNonostante il rifiuto
per principio e deciso della via gnostica di sahlezza, si giunse, nell'incontro del cri-
stianesimo con la gnosi, all'assunzione nell'ambito ecclesiastico di certe problema-
tiche, di termini e di categorie di pensiero•.
no Nonostante i diversi elementi all'interno della gnosi, H. }DNAS, Gnosis untl
spiitantiker Geist I, GOuingen 3 1964; Il/i (Z1966) tenta di ricavarne una conce·
zione unitaria dell'uomo; H. ScttLIEll, 'Der Menscb im Gnostizismus', in C.J. BLEE·
KER, op. cìt. pp. 6o-76.
111 Cf. E. GliTTGEMA.'INS, op. cit., pp. 56-94, 226-239, 247-270; E. KAsEMANN,
Anliegen, p. 29; W. Sc11MITilALS, Die Gnosis in Korinth, cFRLANf,.. 66 (Got·
tingen Z1965) 146-150,217-225; H. CoNzELMANN, 'Zur Analyse der Bekenntnisformel
1 Kor. 15,3-5', in EvT 2, (1965) 10. Conzelmann sostiene. conrro altri, che i Corinti
difendono una cristologia gnostica. A proposito di 2 Cor. s,x-5 d. R. BuLTMANN,
'Exegetische Probleme des zweiten Korintherbriefes', in Symbola Biblica Uppsalien-
sisa 9 (1947; ristampa Darmstadt 21963) 3-12.
SCHl720 DI STORIA DELLA TF.ol.oGIA

rata di essa come ascesa al cielo dell'anima immortale, sia attraverso


il loro libertinismo. Contro questo disprezzo della corporalità nei
fedeli influenzati dalla gnosi, per la quale la salvezza consiste nella
liberazione, ad opera della 'gnosi', dell'io autentico, identico al
mondo celeste (anim11, pneuma), dalla degradazione della sua esi-
stenza corporale e mondana, Paolo mette in rilievo che è proprio
la corporalità il luogo ddl.a salvezza, poiché Cristo ci ha salvati at-
traverso il sacrificio del suo corpo e noi gli apparteniamo veramente
e totalmente quando i nostri corpi gli appartengono. 112
La stessa lotta per la difesa contro la gnosi si rispecchia in varia
misura negli scritti dei padri apostolici fino ad Agostino e caratte-
rizza in modo decisivo la loro antropologia. Dove questa lotta si
svolse su terreno ellenistico i cristiani assunsero e usarono gli argo-
menti psicologici della filosofia popolare greca del loro tempo.m
Con ciò la concezione cristiana dell'uomo si avvicinò a quella
greca e a quella gnostica, influenzata almeno in parte dall'ellenismo. 114
Il fatto che il cristianesimo nel corso della sua diffusione e auto-
enunciazione accolga elementi non cristiani, caratterizza questo pe-
riodo in mi sono state poste le basi di due diverse antropologi~. 115
Questo sviluppo inizia col tentativo degli Apologeti di rendere com-
prensibile il cristianesimo agli uomini di cultura ellenistica, mentre
la rappresentazione di Cristo viene collegata con il concetto Ji L6-
gos proprio agli stoici greci in una nuova interpretazione del pro-
logo di Giovanni. 116 Da questa nuova interpretazione greca sorge il
problema del rapporto tra carne e spirito, prima in campo cristo-
logico e poi in ambito antropologico. Questa problematica espressa

112 Cf. E. HAU!CllEN, 'l>u Buch Baruch. Ein Bcitrag zum Problcmc der christli·
chcn Gnosis', in ZTK 'o ( 19n) u3-1,8; Io., Die Botscba/1 des Tbom111-E1111nx.elium,
• TMalogiscbe Bibliuthe/I: Toprl111,,nn• 6 (Bctlin 1961) J9·7.f·
IU a. R. SEEBERG, uhrbuch dtr Dogmengtschit:htt 1, Darmsiadt 619,,, pp. 356-
ns.
114 11. E11L, Die Grundlogen der abmdliindischen Phtlosophit, Bonn 1934; .E.
SctnrF.1ZE11, alilpa, op. cii. 1090.
111 W. PANNEHBl!IG, 'Dic Aufnahmc des philosophischcn Goncsbegrilles ab dug-
marischcs Problcm dcr frilhchrisdichcn Thcologic', in ZKG 70 (1959) 1-45.
116 A. ADAM, uhrbuch des Dogmengescbichtt I. Dit Ztil Jer alttn Kird1t. Gii-
tcnloh 111n. pp. 1311-141.
L'UNITA DELL'UOMO

in termini ellenistici compare presso lGNAZIO o' ANTJOCHJA. 117 La


sua risposta tuttavia rimane determinata in senso biblico in quanto
egli mette in rilievo l'unità nel Risorto, di carne e spirito. 111 Questa
risposta biblica viene data anche da GIUSTINO martire, il quale con-
tro una duplice svalutazione gnostica del corpo afferma con vigore:
primo. che Dio e non angeli inferiori, hanno creato il corpo; 119 se-
condo, che le anime non vanno immediatamente senza il corpo in
cielo, ma solo nel momento della risurrezione della carne.1211 Giu-
stino usa l'espressione 'risurrezione della came'm al posto di 'risur-
rezione del corpo o dei morti' per mettere in risalto la vera realtà
della risurrezione in contrasto con tendenze gnostiche spirituali-
stiche.122 Il fatto tuttavia che egli rimanga chiuso in un ambito di
problemi di stampo ellenistico, viene alla luce dalla maniera con cui
parla dell'immortalità dell'anima. Veramente egli non intende immor-
talità come una qualità naturale dell'anima, ma come dono di Dio
in vista della generale risurrezione della carne. 121 Una simile valu-
tazione positiva della carne si trova in IRENEO DI LIONE, il quale
afferma che tutto l'uomo, non solo lo spirito ma anche la carne, è
immagine di Dio 124 e che l'uomo e il suo mondo si muovono verso
la recapitulatio in Cristo.125

m E. Sonrmze, mie~. op. al. p. 146.


111 lgnSm 3,1-3; 5,z; 7,1; 12,2; d. W. BtEDE.I, 'Aufemehung des l-lcisches odcr
des Lcibcs?', in TZ I (1945) 113-116.
119 ]usi. Dial. 62,3.
12D ]ust. Dìal. 8o,4: «Se voi doveste incon1rarvi con certuni che si dicono cri-
stiani, ma non condividono il suddeuo riconoscimen10, i quali però osano inolttc
bestemmiare Iddio d'Abramo, d'Isacco e di Giacobbe e ancora soslen(IOno che non
ci sarebbe alcuna risurrezione dei morti, bensl affermano che le loro anime ve=bbcro
assume in ciclo già al IDOmento della morte, non riguarda1eli per cristiani ... •.
121 ]llSI. Dial. 80,5.
m E. SonrEiza, aliQ~, op. cii., pp. 1~-1,0. Lo stesso vale per Ireneo; A. ADAM,
op. cit., p. 161: cè eviden1e la accenmazione an1ignos1ica, che ha improntato l'espres-
sione 'risurrezione della carne'•; R.M. GllANT, 'The Rcsurrection of the Body', in
Jourrial o/ Relìgion 28 (1948) 120-130, 138-208.
!:3 Jurr. Dia/. 6,r.
i.u AJv. Ha"7'. V, 16,z (Huvu II 368,n); H.M. ScHENKE, Der Goll· «Mensch•
in der Gnosis, Goningen 1962, p. 138; A. VON HARNA<:IC, l~hrl>uch der Dogmenge-
schìchte I, 14 1909, Dannstad1 1964) pp . .588-,91; R.M. W1LSON, Tht 'Early History
,,1 Gn 1,26, .,TIJ,. 63 (Bcrlin 1957) 420-437; J )EllVELL, lmaio Dei .. FRLANT• 71>
(Goninr,en 1959); G. JoPPICH, Salus C111'nis, Miins1erschwaruch 1965.
Il..~ E. Scmu, Recapitulatio mundi. Der Rekap1tulationsbtt.ril des hl. lrtnius,
Frciburg 1941; J. LAwsoN, The Biblìcal Theoln1.y o/ St. lrenaeus, London 1948.
SOU7.ZO DI STORIA DF.Ll.A Tf.OLOGIA

Infine la concezione dell'uomo in TERTULLIANO è guidata dallo


sforzo di combattere la gnosi di VALENTINIANO, in quanto questa
non solo insegna un'opposizione fra anima preesistente e corpo pecca-
minoso, ma anche divide l'anima in diverse parti e ripartisce gli
uomini in gruppi a seconda delle diverse qualità dell'anima.•»
Perciò a Tertulliano importa difendere non solo l'unità dell'uomo,
ma anche quella dell'anima e quella di tutto il genere umano.' 27 Egli
insegna che «l'anima viene trapiantata attraverso un seme spiri-
tuale unito a quello corporale, cosicché tutte le anime umane sono
'propaggini' di un'unica anima».'211 Tertulliano per esprimere la sua
piena realtà definisce l'anima come corpus sui generis. Corporeità
infatti per lui non significa primariamente una sostanzialità mate-
riale, ma una realtà intersociale della comunità o una comunione,•Zt
in cui la nostra corporeità costituisce proprio la nostra ineluttabile
responsabilità in questo mondo. In questo senso la corporeità della
carne di Cristo è il luogo dell'incontro tra Dio e l'uomo e la garan-
zia della realtà e serietà della nostra redenzione.'JO
Accanto a questa linea antropologica che mette in evidenza pri-
mariamente l'unità e la globalità dell'uomo, è sorta una concezione
dell'uomo piuttosto dualistica che trovò la sua piena espressione in
Oriente nella scuola alessandrina (i cui capiscuola sono CLEMENTE
ed iliIGENE) e in Occidente in LATTANZIO e AoosTINO. Poiché
CLEMENTE di ALESSANDRIA riconosce in pieno il valore della 'filo-
sofia' (greca), egli cerca di renderla sistematicamente e cristiana-
mente utilizzabile dal pensiero cristiano per sviluppare cosl la fede
semplice in piena conoscenza, la pistis in gnosis. Perciò la sua inter-
pretazione del concetto biblico della somiglianza dell'uomo con
Dio si distingue da quella di IRENEO, che vede questa somiglianza
nella corporeità dell'uomo; quella alessandrina rimane, al contrario,
116 HM. SCHENKE, Die Gnosis; J. LEIPOLDT/W. GaUHDMANN (cd.) Umwtlt des
Urchristentums I. Berlin 1965. p 394; H. KARPP, Probleme altchristlicher Anthro-
pologie, cBcitriige zur Fordcrung christlicher Theologie" 44 (Gurerslob 19,0) 49.
127 H. KA1tl'P, op. cit. pp. 141-191.
121 H. KARPP, op. cit., p. 59.
129 A. ADAM, op. cii. p. T65 sostiene che Tertulliano ha preso il suo 1crminc
corpur dal linguaggio lntino dci giuristi.
IJO H. V. CAMPF.NllAl1SEN, Latrinischr Kirche11wlr" cUrhan Biichcr•. ,o (Stuttprl
2196,) J6.
L'UNITÀ DELL'UOMO

determinata da FILONE che vede la somiglianza nel Logos ossia nella


ragione. 131 Per dimostrare la superiorità dell'anima sul corpo CLE·
MENTE distingue una parte superiore dell'anima, razionale, da una
inferiore, animale, dell'anima. Solo quest'ultima viene trapiantata. Egli
tuttavia non specifica ulteriormente l'origine ddla parte superiore,
benché respinga la preC'sistt·nza dell'anima secondC'I Platonc.m Il suo
discepolo OR!GENE radicalizza 4ucsta rnncczionc dualistica dell'uomo
in quanto vede il nucleo fonclarncntalc e l'essenza dell'uomo nella
anima razionale, la quale è caduta <la! mon<lo luminoso superiore
ed è legata attraverso l'anima 'sensitiva' alla corporeità. Corrispon-
dentemente alle dottrine orfico-pltagorichc e gnostiche sull'anima,
egli formula l'ipotesi che questa anima preesistente sia stata esiliata
come punizione nel corpo e che perciò la salvc~za consista nella libe-
razione dell'anima dal corpo attraverso la morte. Egli tenta tuttavia,
come difesa contro gli errori gnostici, di rimanere nell'ambito della
tradizione cristiana in quanto insegna la creazione dell'anima da parte
di Dio.m
In Occidente una concezione dualistica dell'uomo viene presen-
tata da LAT'fANZIO, in quanto secondo lui l'anima ha avuto origine
dal cielo, dall'ambito di Dio, mentre il corpo appartiene alla terra,
ambito del demonio. Così corpo ed anima incarnano il profondo
contrasto fra Dio e Satana. Tuttavia essi non sono per nulla con-
trasti radicali in quanto ambedue, anima e corpo, sono stati creati
da Dio. La superiorità dell'anima su tutto il corporale viene qui
espressa attraverso il fatto che l'origine dell'anima (la cui essenza
viene definita come spirito) risale direttamente, e non indirettamente
(come il corpo), allo spirito divino. La sua dottrina che ogni singola
anima viene creata direttamente da Dio al momento della conce-
zione, è importante per l'influsso storico, poiché qui ci sono le radici
del creazionismo, che viene spesso fatto risalire fino a Lattanzio,
benché non sia chiaro se la creazione dell'anima sia intesa da lui
come vera creazione o come cmanazione.' 34

1l1A. AoAM, op. r11 .. pp. 174-177.


H. K.urr. op. ot .. pp. 92. 1\1.
I.Il
m H. J<lf',\S, op. rii. 11/1, pp. 171-173; H. KARPP. op. di., pp. 186-229.
Ut H. Kurr. op. àt., J>P. 132.,s,.
SCHIZZO DI STORIA DELLA TEOLOGIA

L'antropologia di Agostino ha avuto una grande importanza


storico-culturale per la concezione ecclesiastica del problema della
unità fra anima e corpo. La ricezione e il superamento effettuato
nella sua antropologia di elementi non cristiani fu per lungo tempo
determinante in senso categoriale per il processo teologico ricet-
tivo della Chiesa. Nella sua concezione antropologica si sono con-
centrate tutte le problematiche precedenti. E dopo di lui il cristia-
nesimo occidentale, specialmente la prima scolastica fino al sec. XIII
e poi la cosiddetta scuola francescana, la mistica del tardo Medio
Evo, LUTERO, GrANSENIO e infine la filosofia e teologia dell'esistenza
furono influenzate e segnate da essa. 135 Nella controversia fra Ago-
stino e il manicheismo si rispecchia l'antica discussione fra cristia-
nesimo e gnosi, poiché il manicheismo, con la sua antropologia dua-
listica, non è altro che il terzo gradino della gnosi. 1·v; Agostino nella
sua fase primaria di sviluppo e di formazione appartiene al mani-
cheismo. Nonostante che egli, dopo la sua conversione al cristia-
nesimo, rifiuti il contenuto dottrinale del manicheismo e lo com-
batta attraverso le categorie di pensiero prese dal neo-platonismo,
rimane tuttavia nell'influsso della problematica derivante dalla for-
ma mentis manichea. m La sua ricezione del manicheismo, critica e
nello stesso tempo limitata, può esser indicata in tre punti:

Primo: nella sua valutazione dell'anima e della sua unione col


corpo. Agostino nei suoi primi scritti insegna che l'anima deter-
mina l'essere dell'uomo, non solo in quanto essa ha una stretta
unione con Dio, ma anche in quanto essa è una parte della vita di-
vina stessa; nei suoi scritti posteriori egli muta però solo qucst'ul-

m R. l.oRF.N7., 'Au11us1in' 11 (Thcologic), in RGG I (l19,7) 746 s.; a proposito dcl


processo di ricezione in Agostino cf. H. BLUMENBl'.RG, 'Au11U5tins Anteil an der
Geschichte des Begriffs dcr thcoretischcn Nc:ugierde', in REA 7 ( 1961) n-70;
M. GIABMANN, Dir GrunJirJ11nkrn Jes hl. Auiustinus uber Jie Sede unJ Goti,
Miinchen 219J9.
ll6 H. ScHENKE, Gnosis, pp ..p4 s., d. inoltre pp. 411 s.
IJ7 A. ADAM, 'Das Fortwirken dcs Manichiiismus bei Augustin', in ZKG 69 ( 1958)
I·J' d. io: • ... Agostino certamente ha abiurato le duttrine del manicheismo, alle
cui forme di pensiero 1: rimas10 debitoro. cr. W.H.C. FREND, 'Thc: Gnostic Mani·
chaean Tradition in Roman North·Africa', in ]EH 4 ( 1953) I J·J6. L. CILLERUELO.
'la occulta prcsencia del Maniqueismo cd la cCiudaJ de Dios1•, in C:iuJ11J 167
(19'41 47M09·
L'UNITÀ DELL'UOMO

timo punto della sua concezione: invece di affermare che l'anima è


una parte sostanziale della vita divina. stessa, ora dà risalto al fatto
che l'anima è stata creata da Dio stesso ad immagine di Dio trino.
La privilegiata vicinanza dell'anima a Dio non viene più spiegata
wmc identità, ma come partecipazione alla sapienza di Dio che
la parte superiore dell'anima (mcm e non anima) riceve nella con-
templazione, c.:osic.:c.:hé contemporaneamente viene portato alla con-
templazione anche l'essere dell'uomo. 131 Questa sopravvalutazione del-
l'anima determina la sua concezione del rapporto fra anima e corpo,
la cui unità viene intesa più come funzionale e accidentale che co-
me sostanziale. 119 La funzione dell'anima è dominare il corpo, 'usan-
J,ilo' c.:ome utensile e strumento.i~

Secondo: nella valutazione negativa del cOl'po come luogo dove


compare di preferenza il peccato. In teoria per Agostino tanto l'ani-
ma quanto il corpo sono buoni, in quanto creati da Dio. Benché
sembri che egli abbia con ciò rifiutato la doLtrina manichea secondo
la quale il corpo deriva dal demonio, e l'identificazione da lui prece·
dcntcmcnte stabilita della vita istintiva con la sede del peccato,
egli continuerà a v11lutare il corpo 'eticamente' in modo negativo. 141
Poiché il rapporto fra corpo e anima è accidentale e funzionale,
l'armonia originaria fra anima e corpo può diventare, col peccato,
disarmonia in modo che il corpo con la sua concupiscentia e ricerca
di piaceri sensibili può ostacolare l'anima e sedurre la volontà al
male. 142 Il male viene quindi inteso come allontanamento da Dio
e avvicinamento ai beni visibili del corpo_ 10

·Terzo: nel rapporto dell'anima con la storia e l'escatologia. La sua


dottrina sull'anima e sulla conoscenza induce Agostino a pensare il

111 A. APAM, 1-~hrbu,·h. pp. zn s.26o-264, 279-281. Cf. H. SoMMEl.S, 'La gnose
11111us1inienne, sens e1 vall'ur de la doctrinc de l'image', in REA 7 (1961) 1-Ij; ID ..
'lmai:c dc Dicu, Lcs o;oun.·cs dc l'cxégèsc augustinienne', in REA 7 (1~1) 105-125.
119 R. Sc11wAaz, 'Dic lcib-seclische Existenz bei Aurelius Augustinus', in Ph/ 6~
(19nl nz-n1.
1«1 W. v l..ot:WF.Nlat, Autustin, «Siebenstern• 56 (Miinchcn 1~5) 150.
1•1 A. ADAM, D•s Fortwirlun, pp. 4 s.
142 F.. D1NKl.F.1, Die Anthmpologie Augustins, «FKGG. 4 (Stuttgan 19,4) 115-11;;
W. V loEWF.NICll, Of' Cli , p 8o
141 A APAM, 1-~hrbuch, r 267.
SCHIZZO DI STORIA DELLA TEOLOGIA 273

tempo non come qualcosa di oggettivo o spaziale, ma cumc una


funzione spirituale, cioè come una dimensione dell'anima.'" Il fatto
che egli «toglie completamente il tempo dalla realtà fisica per ri-
porlo nell'anima», lo porta quindi «non solo nella filosofia ma an-
che nella teologia ad un restringimento so~..:ettivistico ... » quindi
non fu esente da responsabilità nello sviluppu <ldla moderna St"pa-
razione di soggetto e di mondo abbandonato dallo spiriw.' 4 ~ In una
direzione analoga tende la sua escatologia. «Al posto della evkknte
attesa del regno di Dio della comunità cristiana primitiva ~·'è in
Agostino la bruciante brama della visione beatifica dell'eterna ve-
rità in una vita nell'aldilà. La vera realtà non è quella terrena
ma il mundus intelligibilis, inteso in senso cristiano. Il desiderio di
Agostino è proteso più alla patria dell'anima «lassù nella luce» che
al futuro del regno di Dio. In ciò si manifesta senza dubbio una
nuova interpretazione platooizzante dell'escatologia dei primi <.'Ti-
stiani».146
Questa concezione neoplatonica-agostiniana dell'uomo continua
sostanzialmente nella prima scolastica,m in cui tuttavia incomincia,
nonostante il grande peso dell'autorità di Agostino, un processo
di superamento della sua antropologia spiritualistica, cosicché il
pensiero ddla prima scolastica si presenta in modo molto eterogeneo
<. per nulla unitario. 141 Da un lato viene espressa una posizione 'plii-

144 U. Duam~uw, ·~r sogcnnantc psychologischc Zeitbcgrill A~•t1n• 1m Vcr-


hiiltnis zur physikaliM:hcn und gcschichtlichcn Zeit', in ZTK 63 (196ft1 167-JKll;
li. BACllSCllMll>T, ·~r Zeitbcgriff bei Augustinus und die OricntiCIUllll cinc• ITk>
dcrnm Zeitbqtrilfcs an seincn Gcdankcn', in Pb] 6o (1950) .138·+f9; J.F. Wl.LAHAN,
fo11, Vit'WS o/ Time ;,. Anci.-11t Pbilosopby, Cambridge Mass. 1~8; ]. (;l'l1TuN,
Lt' lt'mps n NteTlfitr che: Plotin t'I Saint A11gustin, Paris 1,11,9·
145 u. DuLHIOW, op. cit., pp. 287 s. a. F. KOllNEt, 'Dic Entwidtlun11 Au1ms1in.
von der Anamnesis zur lUuminationslduc im Lichtc scincs IMcrlichkciuprinzip'. in
TQ 1 J6 ( 19HI }91-444. Cf. d'ahra pane AGOSTINO, St'Tmo 241,7: «T11 l{Ui Jids
'c0Tp111 est omne fu11.1end11m' occidt' mu11d11m•.
,.. W v. Lot:WENILll, op. cii., p. 178; d. G. SAUTEI, Z11ku11/l u11tl Vt"rb.Uss111111..
Dar Pmblem dt'T Z11kun/1 in dt'T gt'gmwiirtigt'lt tht'ologischt'lt 1111d philosophisd•.-n
Duk11siio11, Zii,,<"h 196_,, pp. 20-27.
m E. Gtt.SON. De' Gt'ist da mittdlllurlichc11 Philosophit', Wien 19,0, pp. 1111·20\;
(tr. it., Lo ipirito de/111 _filosofia medielHlle, Morcelliana, Brescia); R. KtllLAN!lla, 'fb.~
Co11t11111it)' o/ the Pldto11ic TTttàitio11 d11ri11g tbc Middle Agu, London 1._19 .
... a. R. HEtNZMANN, Dit' Unslt'rblicbkeil dt'r St't'it' 1111J dir A11/t'Tstrh111111. dt'J
I.ribes. Ernt' problemguchichtliche U11trrs11cb1111g dt'T fTiibuhol11llischt'1t .'ie111t11u11.

11< - .llnfr'1U1'1 SJ/utn.11/1


274 L'UNITÀ DELL'UOMO

tonica' estremista da UGO DI SAN VITrORE, dalla Summa Senten-


tiarum, da RoBERTO PuLLUS e ROBERTO DA MELUN. Essi dicono
che l'anima, cui solo spetta l'essere persona, è l'uomo propriamente
detto, cosicché il rapporto fra anima e corpo appare come accosta-
mento esterno, accidentale.i 49 Dall'altra parte GILBERTO DELLA
PoRRETTA e, sotto il suo influsso, SIMONE DA TouRNAI, RADOLFO
AROENS, ALANO DI LILLA, il maestro MARTINO e la somma ano-
nima Breves dies hominis, osservano che corpo e anima costitui-
scono in modo cosl essenziale l'essere persona dell'uomo che la lo-
lo separazione con la mone significa la fine dell'uomo in quanto uo-
mo. L'anima spirituale che sopravvive si trova in una situazione che
non corrisponde in nessun modo al suo essere, perché la sua fun-
zione è quella di vivificare il corpo. 150 Una posizione in certo qual
modo mediana è quella assunta da ABELARDO e PIER LoMBARDO,
i quali riferiscono la ratio personae dell'uomo esistente come corpo
e anima non puramente all'anima in quanto tale, ma soltanto al-
l'anima dopo la morte. La loro concezione dell'uomo non è però
<.-osl globale come quella dei 'Porretani', ai quali tuttavia sono più
vicini che al dualismo di UG0. 151 Senza sottovalutare la concezione
unitaria di GILBERTO e della sua scuola (e del suo influsso attra-
verso tutto il XII sec. fino agli inizi del xm), bisognerà tuttavia di-

und S11mmenlil"al11r von Anselm von I..a6n bis Wilhelm von Auxerre, Miinstcr
1966, p. 248. «Non è stato Tommaso d'Aquino colui che per primo ha traccialo
una nuova antropologia - per quanto egli abbia sviluppato ulteriormente i sinj!Oli
problemi - , il processo dcl superamento dcl neoplatonismo nell'antropologia ri11lc
piuttosto alla prima scolastica e si manifesta nd confronto tra Gilberto e Ugo».
L'opposto è sostenuto da H.R. ScHLETTE, Die Nichtigkeit der Welt. Der philom-
phische Horizonl des Hugo von St. Viktor, Miinchcn 1961, p. 4': «L'antropologia
di Ugo di san Vittore, come tutta l'antropologia della prima scolastica, è sostanzial-
mente l'antropologia dell'agostinismo neoplatonico... a. E. G1LSON, op. clt., pp. 191-
203. Cf. anche la presa di posizione di Schiette rispetto a Heinzmann in MTZ 17
( 1966) 143·14,.
149 R. HEINZMANN, op. cit., pp. 75-117; H.R. ScHLETTl!., Das 11nterschiedliche
P.ersonverstii11dnis in theologischen Denken Hugos und Richards von St. Vilttor in
«Mitteilungen dcs Grabmann-Instiruts der Universitat Miinchen», (fase. 3): Miscel-
lanea. Martin Grabmann Gedenltblatt, Miinchcn 19,9, pp. ,,.72.
1io R. HEINZMANN, op cit., pp. 1'·57; N.M. HAIUNG, 'Spl'llchlogischc Voraussct·
zungen zum Verstiindnis der Christologic Gilbcrts von Poiliers', in Schol4stilt. 32
(19'7) 373"398.
151 R. HEINZMANN, op. cit., pp. n8-146.
SCHIZZO DI STORIA DELLA TEOLOGIA 27')

re 111 che il vero superamento della concezione neoplatonica-agosti-


niana dell'uomo avviene solamente in TOMMASO che accoglie e ua-
sforma categorie aristoteliche.m Veramente la sua concezione, che
corrisponde all'_idea biblica dell'unità dell'uomo, non è una pura
accettazione dell'antropologia aristotelica, che in fondo non fa al-
tro che rimanere nell'ambito de! dualismo greco, ma ne è una corre-
zione e un superamento radicali. •se
Benché ARISTOTELE affermi chiaramente che l'anima e il corpo
sono l'uno nell'altro e con l'altro,155 distingue tuttavia lo spirito
(voùt;) cioè la facoltà della riflessione che è propria dell'uomo,
dall'anima. 156 «Lo spirito, tuttavia, viene solo dall'esterno (MpaDEV)
ed è divino, egli non mostra nella sua attività alcuna affinità con il
corpo». 157 TOMMASO si distingue dagli altri commentatori di ARI-
STOTELE, specialmente da AVICENNA, per la sua dottrina secondo la
quale l'anima è unica forma corporis (S. th. 1,76, 1 e 3).151
Questa definizione aristotelica dell'anima come forma corporis, che
fu adoperata per la prima volta da GUGLIELMO DI AUVERGNE,159
esprime secondo la sua concezione inequivocabilmente e propriamen-
te tomistica, in primo luogo un'unità radicale dell'uomo, senza ne-
gare attraverso una semplificazione monistica la pluralità delle di-
mensioni dell'essere uomo. Secondo questa dottrina l'uomo non è
«composto da un'anima e da un corpo, ma da un'anima e dalla materia

m In una certa opposizione a Hcinzm1nn, cl. nota 148.


151 Cf. K. RAHNER, Geisl in Welt, Miinchcn 1196,; J.8. METZ, 'Corporeità, in
DzT 1 !11969) 331-339.
154 A. Poots, At the Origins o/ the Thomislic Notion o/ Man, «Thc Saim Augu-
stinc Lccturc 1962», New York 1963.
155 De anima l,3,406b 14-26; I,4,408b 12-15; II,1'4131 9; II,2,4141 20-28.
156 De 11nima ll,2,.p3b 2,·27; d. F.J. NuvENS, L'évolution de la psycologie
d'Aristote, Paris 1948, pp. 272-279; W. JAEGER, op. cii., pp. 37.,2, 3'4·357·
157 e.A. VAN PF.URSt:N, op. cii., p. 119; d. De anima III,,..3oa I0-2,; De gene·
ratione 1mi111alium 11, 1.n6h 1 ,.29. F. NuvENs, op. cii., 296-309; W.D. Ross, Ari·
stoteles, London 41945, PI'· 18·r5i.
111 Cf. A. PF.cas, 'St. Thumas and thc Unily of Man', in J.A. Mc W!Ll.IAMS,
Progress i11 Philusophy, Milwaukcc I<J,5', pp. 1n·173; Io. 'Man as Na1u1e end
Spiri1', in Dorlor Com1111111is 4 ( 1951) ,2-63; A.J. BACKES, Der Geisl als hiiherer Teil
Jer Seele 11ucl1 Alberi Jem Grossen, «Studia Albertina. Beilriige zur Geschicl>te dtr
/'hilosophfr 1111d 'f'be•1/ogit· Jes Mittelalters ... Suppi, IV, Miinstcr 19,z, pp. '2·67.
1!141 R. llEINZMANN, op. cit., pp. 144 ~.: lu., 'Zur An1hropulu11ic dcs Wilhclm von
Auvergnc (gesi. 1249)', in M'fi.'. 16 (196') 27-36.
L°l'SIT~ Dt'LL'UOMO

prima che è da intendere come il substrato, in sé totalmente poten-


ziale, dell'auto-compimento sostanziale dell' 'anima' (del suo dar
/orma in senso metafisico), che dà la sua realtà alla potenzialità pas-
siva della materia prima (partecipando cosl se stessa), cosicchè ciò
che in questa potenzialità c'è di attuale (e reale) è appunto l'ani-
ma; senza dubbio cosl si afferma che ciò che noi chiamiamo corpo
non è altro che l'attualità dell'anima stessa nell' 'altro' della materia
prima, l'alterità autooperata dell'anima stessa, come sua espressione
e simbolo ..... ...
In altre parole: l'uomo non consiste in un accostamento suet"Cs-
sivo e a divcni livelli di due grandezze disparate e che stanno l'una
accanto all'altra in modo estraneo, come se corpo e anima fossero
due 'realtà', due cose, due esseri nell'uomo o due parti o pezzi del-
l'uomo:•• «In realtà piuttosto è sempre e soltanto l'uomo uno e
intero, tutto anima e tutto corpo, in modo che le affermazioni circa
l'anima come quelle circa il corpo possono stare per tutto l'uomo». 162
Tommaso d'Aquino rigetta espressamente l'apinionc di NEMESIO
(che egli erroneamente attribuisce a GREGORIO N1ssENo).1., secondo
la quale il nesso fra anima e corpo è una composizione di due so-
stanze complete; questa sarebbe sempre stata definita da Tommaso
come un'unità accidentale:" Anima e corpo sono piuttosto due prin-
cfpi metafisici all'interno di un'unità originaria dell'essere uomo, in
modo che ogni attività dell'uomo è una cooperatio totius hominis. 1.,
La concezione globale dell'uomo in Tommaso appare in secondo
luogo dal fatto che il corpo non viene deprezzato a favore dell'ani-
ma. L'anima è cosl strettamente unita ad un corpo che essa senza

I.O K. RAHNU, 'Zur Theologie dcs Symbols', in Scbri/WI IV, p. 30'; d. 111., Gti11
i11 Welt, pp. 32,·331.326: «Secondo 11 concezione tomista l'uomo non oonst1 di
'corpo' e di 'anirna', bensl di anima e di materia prima, la separ12ione delle quali
è essenzialmente: 'meta-fisica'».
••• J.B. Mnz, 'Zur Meraphysik dcr menschlichen Lc:iblichkeit', in Arzt unJ
Cbrist 4 ( 19,8) 78-84.
161 J.B. Mnz, 'Secle', in LTK IX (r964) '70S.
16l A. Pf.GIS, At the Ori&i11s, pp. ro s.
164 III St11t. ,.3.2. Cf. II Seni. r7.2,2; De Spiritualib"s Cr11al"ris 2; D11 A11im11 r;
De U11itat11 l11t11llect"s I, n; Ill,76.78.
165 II 1 Se111. 31.24(; cf. De V erit. lo,8,,.
SCHIZZO liTOllCO·TEOLOMOt 277

il corpo sarebbe come una mano recisa dal corpo;* essa non solo
ncm sarebbe persona,1' 1 ma non potrebbe semplicemente venir al-
l'essere,* poiché il corpo è la condizione dell'esistenza dell'anima.
Il corpo secondo Tommaso non è il carcere od ostacolo o puro stru·
mento dell'anima.'"' L'unione fra corpo e anima è necessaria per la
i.alvezza dell'anima e l:a corporeità è una fonte di bene e non la con-
seguenza di una colpa. 1111 Lo spirito dell'uomo è strutturato in mo-
do tale che solo tramite il suo corpo (conversio ad phantasma) l'uo-
mo può trovare la verità e amare il bene. In questo contesto si trova
la profonda spiegazione della concupiscenza da parte di Tommaso:
essa non è l'opposizione della sensibilità contro lo spirito, ma la
spontaneità di tutto l'uomo verso gli oggetti propri della sua real-
tà, poiché «Sensibilità non è in alcun modo ciò che si oppone
senza dialettica all'autocompletamento dello spirito umano; anzi.
tutto essa non è per nulla una forza a sé stante precedente o ac-
canto allo spirito, la quale solo a scapito della realtà dello spi-
rito sarebbe da mettere 'in accordo' con esso; essa deve piuttosto
venir compresa in un solo atto insieme con la costituzione ontolo-
gica dello spirito dell'uomo. Lo spirito pone, per essere realmente
spirito umano, la sensibilità o, più esattamente (per mettere in ri-
salto questo porre come risultato ontologico cfr. S. tb. 1,77, 6),
egli pone la sensibilità come sua propria realtb.m
In ter%o luogo la concezione globale dell'uomo in Tommaso si
mostra da~ fatto che nella corporeità 'nasce' la dimensione sociale e
storica dell'uomo. Poiché l'uomo è persona solo attraverso il corpo,
non vive solo in una storia prodotta dal gioco di una libertà spiri-
tuale assoluta,' 72 ma «egli nel suo esistere corporeo concreto, è pur

* S. th. I, 1. n. 2.
161 III Stlft. ,,3,2.
161 C. Gt,,I. n, 68; J,, Bott, dt y,;,,, .pc.
1"9 S. th. ], q. 89, a. 1c.; I, 76, 5c.; C. Gtnl. li, 68; Dt V trii. l9,1c.; III Qaotllib.
9 (21).
no S. th., I, 89, 1c.; Tommaso combauc l'in1erprctazionc origenista della :orponliù:
S. tb., I, 47, zc.; I, q. 62, a. 2; C. Ge,,t. 11, ""b; Dt Poi. 3,16; De 1111im11 7. Tommaso
11gomcn11: Come la materia ~ data per la forma lpropttr formtmrl. con il mrpo ~
dato per il bene: dell'anima lpropttr mtli11s ,,,,;m11t).
171 J.B. MRTZ, 'Concupiscenza', in D:T 1 ( 31969) 292.
m M. SKCKLEll, Das Heil ;,, dtr Gw:hichlt!. GtsC'hichlstheologischt.o Dt,,kt11 btl
Thomas "'°" Aq11i,,, Miinchcn 1964, p. 114.
L'UNl1'A DELL'UOMO

sempre anche realtà dell'obiettivazione. nel mondo di altre forme,


cioè di altre anime; realtà assunta dalla sua forma, cioè dalla sua
anima (nell'immergersi nella materia). Da ciò segue che l'essere cor-
poreo dell'uomo nella sua costituzione ontologica è inserito in un
insieme di uomini. Esso è ontologicamente un plurale tantum ... ».'71
In questo senso storicità e 'socialità' dell'uomo che si mani-
festano nella corporeità non sono cosa aggiunta in un secondo
tempo, ma un modo originario e globale dell'esistenza umana nel
mondo.
L'uomo per la sua corporeità appare da una parte come membro
della famiglia umana; egli vi è presente in comunione col suo pros-
simo; d'altra parte egli esperimenta, attraverso il suo corpo che
lo individualizza, anche la sua limitazione che lo divide dagli altri,
cosicché, nell'esperienza corporea, l'altro diviene l'altro, colui che
si incontra}74 Alla luce di questi due aspetti il corpo è contempora-
neamente il luogo della comunione e dell'apertura all'incontro. Per
ciò la corporeità ha un ruolo importante nella teologia di Tommaso
d'Aquino, nella quale il fatto che la grazia s'incarna è un elemento
essenziale per la salvezza dell'uomo e per la comunicazione di que-
sta salvezza. 171
Con questa soluzione tomista il dibattico teologico per stabilire il
rappono fra corpo e anima ha raggiunto un punto decisivo nella
storia della teologia. Qui infatti questo problema posto dal pen-
siero greco ottiene una risposta che, a dire il vero, resta fedele alla
concezione biblica, pur essendo elaborata con i concetti e le cate-
gorie del mondo greco. 1.,. Con ciò Tommaso ha infranto il dualismo
greco. Tuttavia rimane un certo spostamento di accento rispetto alla
posizione definita (più sopra) come biblica. Mentre il pensiero biblico

173 J.B. Mnz, 'Corporeità', in DzT 1 (119691 u6 s.; d. ID., 'Mitscin', in LTK VII
( 11)62) 492 s.
17' M.D. CHF.Nu, 'Situation humaine, Corporalité e1 Tcmporalite, in L'homm~ et
1011 J~slin. •Actcs du )"' Congrès lntcmational de Philosophie médiévale•, Paris
19,9, PP· 47 s.; d. P. E.~EUl.UDT, Do Mensc:b und s~i11e Zulttm/t. Per la que-
stione della concezione dell'uomo secondo Tommaso d'Aquino: H. RoMBAat (cd.).
Di~ fr•i~ 114ch Jem Mnmben, Miinchen 11)66, pp. 1'1·37-4·
,.,, F. MALMIEIC, Ein uchaan en éin Gusl, U1rcch1 1958, .M. SECKLEI, op. cit.,
pp. 240-2,1.
11' ]. B. MET'l, Cbrist/1ebr Anlbropozr11triJi, cit., Miinchen 11}62.
SCHIZZO DI STORIA DELLA TEOLOGIA 279

designa con il concetto 'carne' (basar) o 'corpo' (O'Wµa) l'uomo co-


me persona completa e sociale, Tommaso usa per questo concetto
'anima' e intende la corporeità dell'uomo a partire dall' 'anima'. Con
ciò la sua concezione dell'uomo lascia intravedere una certa 'spiritua-
lizzazione'.111 Tuttavia questa interpretazione dell'essere dell'uomo
'movendo dall'anima' deve essere anche (e proprio) vista in connes-
sione con un concetto di 'anima' globalmente umano, per cui ani-
ma non significa una certa 'parte' (privilegiata), ma l'esistenza cor·
porea dell'uomo nella sua 'possibilità' storica; anima quindi è la
corrispondente tomistica del concetto moderno di 'soggettività' ed
'esistenza'. 178 Fondamentalmente la visuale integrale dell'uomo nel
problema corpo-anima ha avuto il sopravvento nella teologia e nel-
1'insegnamcnto della Chiesa, in modo che la storia teologica di
questo problema dopo Tommaso, tranne alcune eccezioni, tcrmir>a
con la definizione del concilio di Vienne che accetta questa solu-
zione. m Tuttavia ci si continua ad occupare del problema del rappono
fra corpo e anima, specialmente dal punto di vista della loro coope-
razione, nella storia della filosofia e lo si concretizza in una mol-
teplicità di teorie. Queste discussioni però non hanno né sosti-
tuito né notevolmente modificato il concetto tomistico dell'uomo
nell'ambito della teologia cattolica.llD Nella pane sistematica che
segue verranno presi in esame singoli aspetti imponanti della di-
scussione odierna.

177 F. MALMUIG, op. cit., pp. 1§19-219 e anche pp. 1!9-101. Per il liFificato ec-
clesiale è impanante la seguente osservuione di H. D. KosTU, Eltltle~ i1ll
Werdm, Paderbom 1940, p. '7: cln Agostino la realtl messa in rilievo odl'espres-
sione crorpo di CrislO• non è la corporeitl, bcnsl proprio l'incorporeit1 della Olle-
.... In appendice a tale citazione Malmberg (op. cii), scrive: - Scoprirano la
stessa riduzione in san Tomamo... ; ancbe in lui riteniamo di cogliae qll8kma del
deprezzamento di quanto è 'materiale', della 'materia'; anche in lui sentiamo rroppo
ilo mancanza d'una correzione dcl cdualismo grm>• mediante il cmonismo biblico•. -
Le nostre prcscniazioni mostrano solo uno 1pos1amen10 d'acccn10. Contro Malmbcrg
.meniamo che Tommaso ba effe1tivamcn1e anuaio una c:orrczione dcl «dualismo»
gn:co mediante il cmonismo» biblico.
m J. B. Mrrz, 'Scclc', op. cit., ni 1.
11' B. ]ANSL'I, 'Dic Dclini1ion do Kunzils von Vicnnc:', in ZbT .B (1908) 2'9-
Jo6, •J.U·4ll7.
1• 0. C. A. VAN PEUISEN, op. Cli., per 11 storia dcl problema nell'epoca mo-
c:kma.
L'UNITÀ DELL'UOMO

4. S piega:zione teo~ogica

La teologia è la forma teorica che prende la fede quando trasmette


la rivelazione; per fare ciò, la teologia deve cimentarsi e studiare
l'insieme intersoggettivo e storico delle testimonianze nelle quali
questa fede si articola. La teologia perciò ha come oggetto le defi-
nizioni normative oggettivanti e mediatrici della rivelazione della
'soggettività' credente della Chiesa primitiva, come sono fissate nella
Scrittura e come sono testimoniate e comunicate attraverso le defini-
zioni della Chiesa successiva lungo tutto l'arco storico_ 181 In queste
definizioni si rispecchia nuovamente quello che la comunità dei cre-
denti ha inteso ed esplicato come normativo quale istanza e conte-
nuto della concezione biblica unitamente alla sua ricezione nella
storia della teologia.

a. Definizioni della Chiesa


Le definizioni e decisioni della Chiesa si pongono nell'ambito della
tensione, sopra accennata, fra il pensiero ebraico e quello greco. Da
una parte gli scritti dell'Antico e del Nuovo Testamento rappre-
sentano principalmente ed essenzialmente una concezione globale e
dinamica dell'uomo, senza divisione fra una parte superiore, buona,
e una parte inferiore 'cattiva'. Questo rilievo biblico dell'integrità
dell'uomo non nega in alcun modo la pluralità delle dimensioni del-
l'essere uomo. Questo viene alla luce primariamente nelle forme di
condotta dell'uomo globale di fronte al suo Dio e al suo prossimo,
forme orientate in modo storico ed escatologico.
L'esposizione da noi finora fatta ha tentato di mostrare il carat-
tere storico e dinamico di questa pluralità. Dall'altra parte si pre-
sentò il problema della ricezione di questa concezione globale e sto-
rica dell'uomo attraverso il cristianesimo sul terreno di una cul-
tura e di un ambito linguistico ellenistico con l'aiuto di concetti e
di categorie greche. L'inizio di questo processo d'assimilazione è
caratterizzato dal fatto che la problematica greca circa il rapporto
fra corpo e anima fu accolta, a dire il vero, ma ricevette una risposta

181 ]. B. MEn, 'Theologie', LTK X ( 1966) 68 s.


SPIEGAZIONE TEOLOGICA

mediante la concezione globale e storico-biblica dell'uomo, come mo-


stra il forte rilievo dato nella letteratura cristiana alla «risurrezione
della carne» al posto di una «risurrezione del corpo» o d'una «ascen-
sione dell'anima». Tuttavia ben presto sorsero nell'ambito del cri-
stianesimo diverse antropologie, delle quali alcune erano più moni-
stiche, altre più dualistiche, tutte legate di volta in volta al tenta-
tivo di dare, attraverso la concettualizzazione greca, una risposta al-
la problematica sorta dal pensiero greco. Questo processo termina
sostanzialmente con la spiegazione tomistica dell'unità dell'uomo
attraverso l'applicazione critico-pratica di concetti greci. Questo ri-
sultato venne preparato e alla fine accettato dalle decisioni dottri-
nali, in quanto che esse combattono contro ogni assolutizzazione
della pluralità delle dimensioni storiche dell'uomo operata attraverso
una scissione dualistica dell'uomo.iu Le definizioni ecclesiastiche
danno rilievo all'unità dell'uomo in primo luogo e innanzitutto, in
quanto esse 'collocano nel mondo' l'anima contro ogni tendenza di-
vinizzatrice e mettono in luce la sua unione col corpo.
Verso il 400 il concilio di Toledo respinge la dottrina dei priscil-
liani,113 per i quali l'anima umana è una parte di Dio o la sostanza
stessa di Dio e non c'è resurrezione della carne (os 190 s. e 200 s.).
Ugualmente il concilio della provincia ecclesiastica di Costantinopoli
nell'anno '43 condanna l'opinione degli origenisti,114 secondo i qua-
li le anime degli uomini sono spiriti santi, preesistenti, esiliati in
corpi per peccati commessi antecedentemente (os 403 ). La stessa
eresia manichea e priscilliano-dualistica fu condannata soprattutto
dal concilio di Braga (Portogallo) nell'anno 561.115 Essa condanna
tanto la dottrina secondo la quale l'anima umana è composta di so-
stanza divina e il demonio è il creatore del corpo e della materia
nostra come principio del male, quanto anche la concezione che il
matrimonio e la procreazione siano male e che non ci sia alcuna

111 Cf. K. RAHNF.R, 'Die Hominisation als theolo11ische Frll(le', in P. OvERHAGE·K.


RAHNER, Dar Probltm dtr Hominiration, «Quest. disp.,. 12-13 (Freiburg 1963) 32-42.
11.1 F. Li!z1us, 'Priszillian', in RE XVI (Leipzig l190') '9-6,.
184 E. DrnKAMP, Die origenirtirchtn Strtiliglteiltn im 6. ]11hr11ndtrl unti dllS V
allgemtint Ko11:il, Miinster 1899.
115 M. DE OLIVEIRA, 'Braga', in LTK II (19j8) 637; cf. anche F. LEz1us, op. cii.,
i! quale ritiene che i resti dei priscillianisti 1iano passati nel movimento dei catari.
282 L'UNITÀ l>ELL'UOMO

risurrezione della carne (os 455-464) .. Nello stesso modo la diviniz·


zazione dell'anima fu condannata da papa Leone IX nel 1053 (ns
685) e da Giovanni XXII nel 1392 (ns 977).
L'unità dell'uomo viene in secondo luogo messa in risalto dalle
definizioni dottrinali in quanto affermano l'unicità dell'anima. Anzi-
tutto l'vm concilio ecumenico costantinopolitano ( 869-871 ), affer-
mando che c'è una sola anima razionale (os 657), mette al bando
l'insegnamento che professa l'esistenza di due anime nell'u0mo. Que-
sta decisione nel concilio di Vienne nell'anno 1313 fu precisata con
le categorie tomistiche secondo le quali l'anima razionale è per se
forma del corpo (ns 902 ).'M> Questa risposta era indirizzata contro
PIETRO G10VANN1 OLIVI e gli 'spirituali' dell'ordine francescano i
quali pensavano che l'anima non si unisse in modo diretto con il
corpo ma solo attraverso un principio da essa oggettivamente distinto.
La portata di questa decisione si può valutare solo alla luce dello
sfondo storico. «11 significato della decisione consiste nel mantener
ferma l'unità essenziale e l'integrità dell'uomo. La divisione della vi-
ta spirituale dell'uomo in una vita dei sensi e una vita dello spirito
aveva avuto fatali conseguenze nelle eresie degli Albigesi e dei Val-
ciesi, che concepivano spirito e materia, bene e male come principi dcl
monda» .'l'I Nel 151 3 il concilio Lateranense v riprese questa fomiu-
lazione di Vienne nella sua condanna dell'eresia di PIETRO POMPO-
NAZZI ( 1464-1525) che si rifaceva al neoaristotelico Averroè.'11 Sccon·
do la concezione del Pomponazzi lo spirito dell'uomo per la sua facoltà
di comprendere ciò che è universalmente valido, non può essere
una singola entità individuale, ma solo un essere universale. Questo
spirito fu da lui distinto dal principio della vita organica e sensi-
tiva, che è cosl essenzialmente legata alla materia da spegnersi con

•• B. ]ANSEN, op. cit., sebbene sia stata usata la forma aristotelico-tomistica,


l'ilcmorfismo non fu definito in particol•rc. Cl. A. LAHG, 'Ocr Bcdcutungswandcl
dct Bcgrille «6dcs. und «haercsis- und dic: dog11U1tischc Werrung dci: Konzilscnt-
schcidungcn von Vicnnc und Trient', in Stuàitn 1.11' historiJCbtn Tbeologit, (Fest-
pbc fiir Fr. Seppe!) Miinchcn 19n. pp. I n-146, spcc. pp. 138-141.
1r1 NR 1p.
111 P. PoMPONAZZI, Dt immortolitote 11nim11t, Venezia 1518 lfac-similc edito da
W. H. HAY, Harverford 1938) A. H. DouGLAS, Tht Pbilosophy 1111d psycbology o/
Pietro Pomponoui, Cambridge 1910 (nuova cd. Hildshcim 1962).
SPIEGAZIONE TEOLOGICA

la morte del corpo individuale e materiale. Contro questo insegna-


mento di un Nous comune, il concilio mette in rilievo l'unità del-
l'uomo, rigetta la tesi che lo spirito umano sia solamente uno spirito
esterno ed estraneo, immortale, del quale le diverse generazioni
umane possono solamente partecipare, e d'altra parte mette in ri-
lievo positivamente che questo spirito è cosl essenzialmente legato
al corpo che è la forma singolare e individuale del corpo stesso (e
in quanto tale, in se stesso individuale) (os 1440).
In questo rilievo dell'individualità e dell'appartenenza dell'anima
al corpo il concilio attribuisce all'anima un'immortalità. L'intenzione
della definizione non tende primariamente a postulare un'immor-
talità dell'anima che divida l'anima dal corpo e dalla storia, ma, al
contrario, afferma che l'anima è immortale perché essa, in quanto
forma del corpo, costituisce essenzialmente il singolo uomo. L'iJn.
mortalità viene quindi attribuita dal concilio all'anima perché l'uomo
singolo nella sua concretezza storica è immortale.'" L'accento della
definizione sta quindi nel rifiutare l'idea dell'immortalità d'una nll·
tura spirituale puramente impersonale cd eterna e nel mettere in
risalto in sua vece l'immortalità storica dei singoli.
Infine all'unità dell'uomo viene dato risalto dalle definizioni t:e·
clesiastiche, in quanto viene affermata la creazione immediata da
parte di Dio del corpo e dell'anima. Dapprima, come accennato so-
pra, il concilio di Braga condannò sia una dottrina sull'anima, di ti-
po emanatistico come anche l'opinione che il corpo sia creato dal
demonio. Poi papa Anastasio II nell'anno 498 ha condannato in una
lettera ai vescovi della Gallia (os 360 s.) la dottrina del vescovo di
Arles, secondo la quale l'anima umana viene generata ad opera dei
genitori e viene trasmessa nell'ambito del processo procrearivo.
Anastasio si richiama a Jo. 5,17 («Il Padre mio opera fino ad ora,
ed anch'io opero») ed Eccles 18,1 («Colui che vive in eterno ha
creato ugualmente tutte le cose») e spiega: poiché Dio è colui che
crea in ogni tempo, non c'è motivo per non veder Lui presente in
ogni momento nel divenire dell'uomo; e in ciò è implicato, che

"' J. B. METz, 'Sede', op. cit., s72. Le asserzioni di Giovanni XXII e di Bencdc:no
Xli in relazione alla condizione dell'anima dopo la morte vcrr1nnu spiegau: più
1v1nti.
L'UNITA DELl. 0 UONO

l'uomo intero è creatura di Dio. Ma questa creazione dell'uomo ri-


guardo alla sua anima non deve venir intesa come una causalità
'categoriale' di Dio interna al mondo e isolata accanto ad 'altre camst:',
ma come una causalità 'trascendentale' e con ciò immediata. In que-
sto modo sono da intendere questa lettera papale e anche ulteriori
definizioni contro diversi tipi di traduciancsimo. 190 Benché esse riget-
tino ogni riduzione materialistica e ogni eliminazione monistica della
pluralità delle dimensioni dell'uomo, queste definizioni dottrinali non
separano l'anima dal corpo, anzi ribadiscono la causalità immediata di
Dio nel sorgere dcl singolo uomo.
Riassumendo: anzitutto le definizioni dottrinali della Chiesa re-
spingono qualsiasi divisione dualistica dell'uomo in una parte su-
periore e in una inferiore; secondo, esse definiscono l'immortalità
della singola anima proprio per mettere in risalto l'unità dell'uomo
(la cui anima è forma sostanziale del corpo); terzo, esse respingono
ogni traduciancsimo monistico, non attraverso una dottrina duali-
stica sulle anime, ma attraverso una dottrina della causalità sempre
operante e immediata di Dio nella creazione dell'uomo. e.osi la con-
cezione integrale dell'uomo viene conscrvat& conuo ogni divisione
dualistica e contro ogni semplificazione monistica delle dimensioni
dell'esistenza umana.

b. Spiegazione sistematica dell'unità del corpo


e dell'anima nell'uomo

Nel contesto di questa spiegazione sistematica sono da presen-


tare dapprima due riflessioni fondamentali. Dal punto di vista del
metodo: la determinazione dell'unità di corpo e anima nell'uomo
non è Ja trattare in modo neutrale e quasi razionalistico, come
se il problema dell'unità dell'uomo non avesse nulla a che fare
con la determinazione dell'uomo stesso come 'partner di Dio' nel
più ampio contesto di una teologia della salvezza, della condotta
di Dio nd riguardi dell'uomo e del comportamento dell'uomo, che

190 a. K. RAHNf.I, Die Hominislllion, cit., pp. 'l-90


SPIEGAZIONE TF.OLOGICA

consiste nella risposta e nella collaborazione con Dio. Poiché una


definizione teologica dell'unità dell'uomo viene compresa adegua-
tamente solo in questo contesto più ampio, !11 tratteremo non solo
come un problema antropologico, ma anche soteriologico ed escato-
logico. Analizzeremo quest'unico problema dell'unità dell'uomo sotto
questi tre aspetti come - per quanto ci fu possibile - abbiamo
fatto riguardo al principio di articolazione e di comprensione della
parte biblica e storica.
In secondo luogo, dal punto di vista della terminologill, come le
diflerc117.e fra la concezione greca ed ebraica dell'uomo si manife-
stano attraverso l'uso diverso di termini antropologici, così anche
la ricerca attuale di un concetto globale dell'uomo è caratterizzata
dallo sforzo di precisare i concetti antropologici. Le osservazioni
seguenti sono un'analisi provvisoria dei concetti per ottenere un'ade-
guata determinazione dell'essenza dell'unione fra anima e corpo.
Perciò queste analisi e precisazioni di concetti non sono da por-
tar avanti isolatamente in modo puramente analitico o filologico, ma
devono esser viste nell'ambito della storia dd problema dell'unità
e della natura dell'uomo nella filosofia contemporanea. Innanzitutto
ciò vale in relazione al corpo, corpo vivo e corporeità: alcuni filo-
sofi tedeschi distinguono tra corpo come cosa (Korper) e corpo vi-
vente ( Leib ), per mettere in evidenza che il corpo umano è qualcosa
di completamente diverso da un oggetto. Una cosa ci si presenta co-
me un oggetto estraneo, mentre il corpo appartiene all'esperienza
di noi stessi. Questa comprensione del corpo viene specificata attra-
verso il concetto di ccorporeilÌ•» dove ccorporcitb esprime il ca-
rattere totalmente umano e interumano dd corpo (e quindi com-
prende la soggettività umana e il suo comportamento)."1

I filosofi di cui ora si parlerà tentano di dare una spiegazione adeguata


al concetto dell'uomo determinato con questa distinzione concettuale.
Secondo M. SCHELEll 'corpo' vivo (Leib) precede la distinzione tra il 6-
sico e lo psichico ed è connesso coll'esperienza dcli' 'io', pur sema signi-
6care l'essere persona, che per Schder appartiene al campo dello 'Spiri-

m J.B METz, 'Corporei11', in D:rT 1 <'1969) Hl·H3·


286 L'UNITÀ DELL'UOMO

to'. 192 Con ciò viene affermata un'opposizione non tra corpo e anima ma
fra corporalità animata ossia anima vitale da una parte e persona spiri-
tuale dall'altra. 193 Secondo H. PLESSNER l'uomo da una parte si rico-
nosce come corpo vivo (Leib), in quanto si sperimenta come centro del-
l'ambito della vita e dall'altra parte si riconosce come corpo (Korper),
quindi come cosa tra le cose del mondo. 'Corpo vivo' e 'corpo' vengono
intesi da lui come doppio punto di vista dell'uomo che ha il punto
di unione nell' 'io' non oggettivabile dell'uomo. 194 Ci sarebbe da chie-
dersi se questa netta divisione fra 'io' e 'corpo vivo' (Leib) non
corra il pericolo di sopraffare il carattere di totalità dell'uomo e ren-
dere il 'corpo vivo' ( Leib) un oggetto come altri oggetti (o come il
corpo). Tenendo conto di questo pericolo G. MARCEL distingue tra 'es-
sere' e 'avere'. Cosl 'corpo' come 'anima' non esprimono qualche cosa
che l'uomo 'ha', ma piuttosto dò che egli 'è'.
Questo nesso tra soggettività e corporeità dell'uomo non viene inteso
da MARCF.L in modo monistico, come una semplice identità, quasi come se
l'uomo fosse 'solo' corpo, ma viene considerato come mistero che rappre·
senta l'esistenza d' 'incarnazione' dell'uomo nel mondo e tra gli uomini. 195
Questo concetto di globalità umana del corpo viene approfondito con il
tentativo di precisare più da vicino il carattere interumano del corpo e
l'origine dell'esperienza uman.i della corporeità. Questo tentativo effet-
tuato soprattutto da SARTRE e MERLEAU-PONTY deve venir visto come
reazione alla posizione di HussERL. Mentre per Husserl la coscienza
dell'unità fra corpo e anima è una presenza di vitalità e soggettività ori-
ginaria internamente data all'uomo, questa coscienza secondo Sartre vie-
ne fondata attraverso l'incontro tra gli uomini. Secondo Husserl l'uomo
esperimenta il 'corpo animato' ( Leib) dell'altro dapprima come semplice
'corpo' (Korper) o una \:osa' che poi solo attraverso un processo di ap-
percezione 'analogizzante' o 'assimilante' viene esperimentato come corpo
animato 'simile al mio' .196 Sartre invece afferma che l'uomo sperimenta

192 M. ScHELER, Der form11/ismus in der Ethik und die m11tt'riale W ertethik,
Bern 4 1 '>54. pp. 408·.132.
193 S. STRASSF.R, Het Zielsbegrip in de methaphysiche ew empirische Psychologie,
Lovain 19,0, traduzione tedesca, Seele und Beseeltes, Wien 1955, pp. 38-45.
194 H. PLESSNER, Die Stufen des Organischen und der Mensch, Berlin 1928;
Id. Die Einheit der Sinne, Bonn 1922, pp. 281-283.
195 G. MARCEL, journal métaphysique, Paris 1927, pp. 265-3or.305.325.329; Id.
Eire et Avoir, Paris 193'· p. 22, (tr. it., Essere e avere, Morcelliana, Brescia); Io.,
Du re/us à l'ilrvocatinn, Paris 1940, pp. 19-54; Io., Le mystère de l'étre, Paris
1951, pp. 91-I18 (tr. it., li "'istero dell'essere, Boria, Torino).
196 E. HussERL, Carttsianische Meditationen und Pariser Vortrage (cd. S. STIAS·
SER), «Husserlianaio 1, Den Haag 1948. Cr. la quinta meditazione: Ideen :i:u einer
rcinen Phiinomenologie und phiinomenologischen Philosophie; Io., Phanomenolo-
gische Unterrnchungen zur Konstitution, «Husserliana,. IV, Den Haag 1952. Cf. M.
SPIF.GAZIONE TEOLOGICA

la sua corporeità non da se stesso, ma soltanto dall'incontro con l'altro.


Solo alla vista dell'altro l'uomo si esperimenta come un'esistenza vivente
attraverso la corporeità in un mondo sociale di simili e quindi come un
soggetto che assume la sua esistenza corporale come un compito morale
ed etico. L'altro quindi è, secondo Sartre, la condizione concreta della
mia esistenza corporale e mi costituisce nel mio esser corporeo. Secondo
questa posizione di Sartre in L'étre et le néant, questo incontro interu-
mano, che avviene attraverso la corporeità, è in un certo senso un con-
fronto e conflitto ed implica un certo allontanarsi dell'uomo dal mondo. 197
Purtroppo qui non ci è possibile fare l'analisi dettagliata e una critica
di Sartre ... Si dtve solo osservare questo: mentre Sartre nella sua pri-
ma opera mira all'immediatezza dell'incontro con l'altro nel senso della
mancata mediazione del mondo, nella sua opera più recente, Critiq"e de
la raison dialectiq"e, questa sua tesi dell'immediatezza del rapporto uma-
no ha una pane meno importante, cosicché la mediazione dell'altro attra-
verso il mondo diventa la caratteristica essenziale della socialità, e la
materia elaborata e la pratica umana il medi"m fra me e l'altro."' Questo
aspetto dell'ancoraggio nel mondo e di chiarificazione del mondo attraverso
la corporeità viene sviluppata ulteriormente da Merleau-Ponty, ovvia-
mente in modo diverso da Sartre, in modo che per lui il concetto 'cor-
poreità' esprime non solo il carattere di totalità umana e interumana del
corpo, ma anche il suo carattere politico ed escatologico (ben~ per lui
in senso secolarizzato). Gli uomini secondo lui devono seguire la evoca-
zione del loro corpo» che è una chiamata politica per la costruzione di
questo mondo.•

Riguardo al concetto di 'anima' e al suo rapporto con il concetto di


'spirito' e 'persona' si è sviluppato, attraverso il secolare confronto
filosofico con il problema della natura dell'uomo, anche un concetto
globale e interumano dell'anima. Poiché questo sviluppo non può

THEUNISSEN, Der Andere. Studien zur Sozialontologie der Gegenwart, Berlin I96,,
pp. 1-155; H. WAGNER, 'Kritische Betrachtungen zu Husseds Nachlass', in Philo-
sophische Rundschau l ( I933/ 4) 1·22.
197 J. P. SARTRE, L'étre et le néant (Paris 1943) 36,-427 (tr. it., L'essere e il
nulla, MondRdori, Milano). Cf. W. MAIER, Das Problem der Leiblichkeit bei Jean-
Paul Sartre und Ma11,ice Merlet111-Ponly, «Forschungen zur Padagogik und Anthro-
polo11ic» 7 (Tiibingcn 1964) I-20.
199 Cf. M. T11wNISSEN, op. cit., pp. 187-2~0.
199 I: Théorie des ensemb/es pratiques, Paris 1960. Cf. M. THEUNISSF.N, op. cit.,
pp. 230-240.
zoo W. MAIER, op. cit., pp. 21·101. Per il significato teologico dell'aspetto 'poli·
tico' della corporali1à e per la sua fondazione interumana cf. J. B. MET'l, 'Verant·
wor1un11 dcr Hotlnung', in StdZ 177 (1966) 451·462.
288 L'UNITÀ DELL'UOMO

qui venir seguito in modo particola,reggiato, vorremmo rimandare


agli studi di S. STRASSER :ioi e H. HEIMSOETH. 202 Qui si deve sola-
mente discutere in breve il rapporto del concetto 'anima' con quello
di 'sostanza' e di 'spirito'. L'analisi dei concetti 'corpo' e 'corpo
animato' (Leib) ha mostrato che quest'ultimo non è un puro oggetto
presente o un <lato oggettivo e che non è suflìcicntemente distante dal
soggetto personale umano per potere essere oggeccivato da lui. Lo stes-
so vale per il concetto 'anima', perché essa non è un dato dere:rminabi-
le pt:r l'uomo né uno strato delimitabile nell'uomo. L'anima, assai più
che lo spirito che '<là forma' ad un corpo concreto umano, è la 'sog-
gettività' dell'essere umano. L'uomo non esperimenta la sua soggetti-
vità primariamente attraverso uno sguardo riflessivo su di sé, quasi
che l'essere soggetto fosse percettibile nello stesso modo come l'essere
oggetto; l'uomo esperimenta la sua soggettività in e attraverso i suoi
rapporti intersoggettivi. Questo concetto globalmente umano e inte-
rumano dell'anima che fu elaborato nella filosofia trascendentale e
- con le debite correzioni - nella filosofia del dialogo, si radica
nel concetto di Tommaso di sostanza e individualità, secondo il
quale la sostanza non viene pensata partendo dalla concezione greca
dell'essere statico-oggettiva e ontico-cosmologica, ma dalle cate·
gorie di pensiero storico-antropocentriche.:ioi
In questo contesto si deve trattare il rapporto tra i concetti di
'-spirito' e di 'anima'. H concetto di anima come soggettività del-
l'uomo non deve venir frainteso come identificazione di 'anima' a
puro 'spirito', poiché questo equivoco porta all'idea che l'anima sia
una 'pura soggettività spirituale' che possiede il 'corpo materiale' o
che è il soggetto del corpo. L'anima umana invece non è affatto spi-
rito puro totalmente indipendente da tutta la materia, ma invece è
costituita come spirito umano finito, nella sua spiritualità attra-
verso il suo modo di esistere corporeo. Il concetto 'anima' desi-
gna proprio il carattere umano globale e l'esistenza corporea dello
spirito dell'uomo. Se dunque l'anima viene qualificata come sogget·

1111 S. SnAssH, op. cii


:IDI H HE1Mson11, D1t' Jet:hJ Jt.rouen Th.-111.-n Jer 11bendl4ndi1chm Merapbysik,
B~rlin 219H. pp. 1o8-158.
lOJ C:f. J. B. Mt.T'l, Chri11/iche Anthropuuntrik, cit., pp. 'cr67.
SPIEGAZIONE TEOLOGICA

tività dell'essere uomo, essa è da intendere non come pura sogget-


tività spirituale, ma come una soggettività globale. 204

aa. L'unità di corpo e di anima come problema antropologico.


Dalle riflessioni storiche precedenti e dalle precisazioni terminolo-
giche appare come si debba intendere l'unità dell'uomo. Se si prende
sul serio la soluzione proposta da Tommaso d'Aquino, l'anima e il
corpo non potranno mai venir presi come due esseri o realtà riguar-
danti l'uomo e nemmeno come due strati od oggetti all'interno del-
l'uomo. Solo l'uomo uno e totale forma una realtà e un essere. In
questa concezione l'uomo unico e concreto è da intendere come tutto
'spirituale' e tutto 'corporeo'; ambedue queste determinazioni pren-
dono tutto l'essere unico e totale, dell'uomo. «Perciò il corpo non
può venir considerato in un primo momento semplicemente come
un elemento dato, quasi preesistente all'uomo, anteriore alla pro-
pria soggettività, all'autorapporto originario dell'essere spirituale;
esso sta piuttosto all'interno della realtà di questo autorappono
dell'uomo ed è sempre attraversato dalla coscienza dell'uomo rivolta
a questo rapporto.
Corpo è una 'condizione' originaria dell'uomo dalla quale egli
non si può distanziare attraverso nessuna riflessione, in cui è sem-
pre già immesso e che egli già afferma e attua quando determina
se stesso nei suoi atti, quando s'avvicina a se stesso e crescendo
realizza se stesso in libertà. In tutte le autorealizzazioni l'uomo
è già entrato nel corporeo-mondano; anche nel pensiero più subli-
me, che ha sempre in sé un'immagine corP<;>rea per essere reale
come pensiero umano. Ogni realtà dell'uomo ha quindi il carattere
della corporeità, unifica l'uomo nella sua attualità e presenza
mondane».lllS
Da questa unità di anima e di corpo risulta il loro rispettivo ca-
rattere totalmente umano. Anima e corpo non costituiscono l'uomo

204 a. K. RAHNU, •".;eisl in Well, pp. 71-378; w. Ca.uau, G"'ndkgung nnn


Theorie des Geisles ... Philosophischc Abhandlungcn• XIV (Franldun l196') 100:
«Una filosofia della soggcnività, la quale per ragioni della sua problematica riduce
la soggettività a esser «cosciend•, non può più sostanzialmente ritornare all'uomo•.
lllS J. B. MErz, 'Caro cardo salutis. Zum christlichen Vcntindnis dcs Lcibcs' in
Hocbland 55 (1961) 101 s. (tT. i1.. Queriniana, Brescia).
L'UNITÀ DELL'UOMO

come due cose rabberciate insieme, '!la sono due principii sostan-
ziali dell'unico essere umano, separabili soltanto metafisicamente.
L'anima quindi non è una parte invisibile dell'uomo, come se fosse
uno spirito nascosto e prigioniero nel corpo e la sua realtà fosse
diversa da quella dcl corpo. Piuttosto l'anima è reale nel suo es-
sere-fuori-di·sé come realtà che dà forma, cioè come corpo.
Lo spirito dell'uomo si completa come anima ed è per sé nel
suo essere-fuori-di-sé come corpo. 206 Ugualmente il corpo per il suo
carattere. umano globale, non è «un semplice manichino, un segno
dell'autentico essere dell'uomo che starebbe dietro ... , [piuttosto] nel
corpo [è) presente la 'profondità dell'essere uomo' e vi permane
attraverso l'individualità spirituale dell'uomo». 207
Questa unità globale dell'uomo non deve però venir intesa come
unicità senza riconoscere la pluralità delle dimensioni dell'essenza
umana. Da questo punto di vista le considerazioni di KARL RAHNER,
con la loro analisi ontologica sulla natura del simbolo, che si ri-
fanno al concetto di alienazione di HEGEL, sono un valido tentativo
di pensare questa pluralità nell'unità e questa unità nella pluralità.
Rahner scrive: « ... ciò che noi chiamiamo corpo non è altro che l'attua-
lità dell'anima stessa in questo 'altro' che è la 'materia prima', l'autoat-
tuata alterità dell'anima stessa, quindi la sua espressione, il suo sim-
bolo ... » 8 in altri termini: la pluralità, o non-identità, di anima e
di corpo consiste proprio nell'unità di 'spirito' e 'materia' nell'uomo.

206 K. RAHNER, Horer des Wortes, Miinchen 219n, pp. 47·88 (tr. it., Uditori tkU•
PllTOl4, Boria, Torino).
1111 J. B. METZ, Caro cardo salutis 105.
D K. RAHHEa, Zur Theologie des Symbols, cit., p. 305. Cf. anche i!EGEL, l..agi/r,
pane I, cPhiJ. Bibl.» 56, pp. 104 ss. Rahner usa questo principio per la unio hypos111-
tic11, in Schriften I, p. 182: cDi qui si vede facilmente che solo una Persona divina
può possedere come propria una libertà da essa distinta, senza che questa cessi d'es-
sere veramente aùe anche di fronte a lei che la possiede ... Infatti solo di Dio si può
in genere pensare che possa egli stesso costituire ciò che lo differenzia da se stesso. E.
attributo della sua divinità come aùe e del suo pote~ creatore la capacità di costituire
per se stesso e mediante un ptQprio atto come tale un essere che da una parte sia
radicalmente dipendente, perché totalmeme costituito, e dall'altra goda, per essere
costituito dal Dio uno e unico, una reale autonomia come realtà e una verità pro-
pria ... ,.. La questione che nasce in riferimento a questa cita2ione, cioè fin a che punto
si è autorizzati ad applicare questo principio alla relazione corpo-anima, purtroppo qui
non può essere trattata. Cf. anche la critica di W. PANNENBERG, GrutUh:.iig~ d~r Chri·
stologie, Giltersloh, 1964, p. 3 30.
SPIEGAZIONE TEOLOGICA

Questa affermazione dialettica può venir spiegata con un'analogia


presa dall'amicizia. Quanto più profondamente un amico viene ac-
colto dall'altro e 'introdotto' nella sua esistenza, tanto più diventa
indipendente e raggiunge la peculiarità della sua stessa esistenza,
cosicché quando due persone si donano l'un l'altro in amore e dedi-
zione, sorge un vincolo crescente tra loro. Tuttavia questo vincolo
non porta ad una negazione dell'autonomia del singolo, ma ad
una sua più profonda indipendenza. 209 Benr.hé questa analogia zoppi·
chi, giacché il rapporto tra corpo e anima non è un rapporto tra due
esseri, ma tra due principii metafisici, essa tuttavia mette in risalto
qualcosa di esatto circa questo rapporto, il fatto cioè che spiritua·
Htà e corporeità dell'uomo hanno la loro pluralità nella loro unità e
la loro unità nella loro pluralità. Ciò significa che lo spirito umano
trova il completamento della sua spiritualità proprio nell'unione con
il corpo, cosicché lo spirito umano in quanto tale non diventa tanto
più 'spirito' quanto più si separa dal corpo, ma quanto più s'incarna.
Ogni atto dell'uomo, tanto la più sublime delle sue elevazioni reli-
giose quanto il più elevato dei suoi pensieri speculativi, in quanto
è un atto che completa la sua natura, è un incarnarsi del suo spirito
e uno spiritualizzarsi del suo corpo.2'0 Questa radicale unità della
pluralità delle dimensioni dell'esistenza umana non viene ridotta dal-
l'uomo alla unicità se egli esperimenta questa pluralità in una ma-
niera che corrisponda ai suoi modi fondamentali di essere. Poiché
questa condizione fondamentale dell'uomo non è quella di un indi-
viduo isolato o di una monade in un cosmo di oggetti, ma quella di
una persona sociale in una società storica, l'uomo non sperimenta
anzitutto e primariamente attraverso la sua autocontemplazione e
autointrospezione teorica, la pluralità di dimensioni della sua pro-
pria esistenza come determinazioni plurali della sua individualità,
ma nell'incontro con altri e mediante esso. 211 Questi incontri non si
possono distinguere adeguatamente in rapporti intimi 'io-tu' o neu-
tri 'io-cosa', poiché si sviluppano principalmente nell'ambito di un

l.09J. B. MEn, "Weltversiandnis im Glaubcn', in Gul.. 3' (1962) 171.


210 J. B. METZ, 'Akt' (religiiiser), in LTK 1 (r9n) 2,6-2,9.
211 W. LUIJPEN. ExisUntiele Fenomenologie, Utrttht 19,9.
292 L'UNITÀ DELL'UOMO

comune rapporto oggettivo e di compid comuni, e perc10 non sono


primariamente privati ed intimi ma sociali e politici.2u In quanto
tali i rapporti interumani non si costruiscono nella semplice azione di
guardare, ma 'nel lavoro' cioè nel rapporto pratico con esseri, come
dice Heideggcr contro Husscrl, 213 o nella prassi esistenziale e sociale,
come mette in evidenza Sartre.214
Solo in questo rapporto operativo con il suo prossimo e con il
mondo circostante l'uomo esperimenta la piena· 'spiritualità' e 'cor-
poreità' degli altri, e con ciò contemporaneamente la sua. Questa
esperienza non avviene quindi con un'autoriflessione immediata,
ma come una riflessione derivata sulle dimensioni sociali della pro-
pria vita. 21s

Quando si discute sul problema dell'unità dell'uomo bisogna espres-


samente metter in guardia contro un equivcw:o. Già è stato accennato
che i concetti di 'anima' e 'corpo' non possono ·venir semplicemente
identificati con quelli di 'spirito' e 'materia', poiché i concetti di 'anima'
e 'corpo' si riferiscono a due principii totalmente umani dell'unico es-
sere umano. Il corpo non è semplice materia, ma una materia in-
formata da spirito, e l'anima non è puro spirito, ma uno tf>irito che
informa la materia. Per cui non si può parlare di anima o corpo come
se fossero 'puro spirito' o 'pura materia'. Ciò si deve tener presente
quando in definizioni ecclesiastiche e teologiche il problema antropo-
logico di base viene formulato come problema del rapporto tra spi-
rito e materia. In questo contesto s'impone un'ulteriore precisa-
zione. Le definizioni ecclesiastiche non conoscono solo un'unità di 'spi-
rito' e 'materia' nell'uomo, ma insegnano anche che esiste una diJle-
renza sostanziale fra i due. Ma come si deve intendere questa diJlerenu
sostanziale senza cadere in un dualismo antropologico assoluto, dove
'spirito' e 'materia' SODO due realtà completamente diverse e dove l'unità
dell'essere umano, fino qui posta tanto in risalto, viene in fine radical-

2U H. Cox, The Secul11r City !New York 1196') 38.,9. 2.p-270 (tr. it. La citt4
secolare, Vallecchi, Firenze). il quale sembra collegarsi per il contenuto con W.
PANNENllEl.G, 'Person', in RGG v (1961) 234, mostra che: la sua comprensione della
relazione io-tu come di una relazione attuata tramite una comune rclazionc di
cose, è impanante per il problema di Dio e per l'escatologia. a. F. F1011ENZA,
'Das saziale Evangeliwn und die sikularisierte Stadt', in StJZ xn (1966) 38J-388.
2tl M. fu1DEGGEK, Sein und Zeil, Tiibingen 101963, p. 120 (tr. it. Essere e tempo,
UTET, Torino).
2W Cf. H. THEUNISSEN, op. cit., pp. 230'240. 483-,07.
m C. A. VAN PEuasEN, op. cit., pp. 1o8 s
SPlllGAZIONF. TEOLOGICA 293

mente rimessa in questione? Per rispondere a questa domanda il prin-


cipio dialettico sopra spiegato per la determinazione dell'unità di anima
spirituale dell'uomo deve venir messo in relazione con l'ontologia scola-
stica e il suo pensiero (greco) di partecipazione. Questa ontologia opera
appunto, nel modo di esprimersi e di pensare, anche nelle definizioni
ecclesiastiche citate. Secondo questa concezione un essere ha tanto più
di 'attualità' 4uanto più 'partecipa' all'essere. Partecipazione all'essere e
atto dell'essere procedono strettamente paralleli. Una diversità nel
grado della partecipazione dell'essere costituisce perciò anche una diver-
sità essenziate: la differenza fra atto e potenza. Il rapporto fra materia
e spirito è da spiegare e intendere secondo questa differenza. 216 Allora
sembra impossibile per uno spirito creato una 'pura spiritualità' senza
qualsiasi rapporto con la materialità, in quanto appunto questo è determi-
nato dalla potenzialità nella sua distanza creaturale rispetto all'essere
assoluto. Solo Dio in quanto atto assoluto è 'puro spirito'. Pura poten-
zialità non è quindi, a dire il vero, nulla, ma anche non è alcun essere
determinato ('in atto'). Se si spiega cosl il problema del rapporto tra spi-
rito e materia sul filo conduttore del rapporto ontologico fra atto e po-
tenza, appare chiaro che non può esistere alcuna completa disparità tra
spirito e materia, quasi fosse~ due realtà. Come si possa determinare
alla luce di questa posizione ontologica il problema dell'evoluzione, del-
l'origine delle singole anime umane, come pure ·il problema dd rap-
porto fra macchine cibernetiche e spirito umano, lo mostra KARL RAH-
NER, Die Hominisation, op. cit., pp. 13-90; ID., 'Die Einhcit von Gcist und
Materie', in Schriflen VI, pp. 185-214.

bb. L'unità di anima e corpo nell'uomo in quanto problema sote-


riologico. La concezione biblica ed ecclesiastica dell'uomo ne mette
in rilievo l'unità, contro ogni dualismo che vede l'anima, o l'ele-
mento 'spirituale' dell'uomo, come una parte di Dio o una sua ema-
nazione, mentre considera il corpo, o l'elemento 'materiale', come
nemico di Dio o creatura del demonio. Tuttavia la fede cristiana,
se, da una parte, crede che Dio è il creatore di 'spirito' e 'materia'
e di 'cielo e terra' e se, d'altra parte, dà rilievo al fatto che Dio
stesso è spirito, afferma però anche contemporaneamente che Dio
non è una parte di questo mondo, bensl ne è l'origine trascendente.
L'anima è quindi distinta da Dio, e questo non solo perché essa

216 Dcv'csscr lasciata indecisa la questione se la materialità o la n:lazione con


essa sia una coodiziooe della possibilità della spiritualità creata.
L'UNl'fÀ DELL'UOMO
294

non è una parte di Dio e non solo perché, in quanto spirito che ha
il ruolo di forma, non è uno spirito 'puro', separato dalla materia,
bensl perché Dio è la sua origine assoluta, trascendente e in quanto
tale egli si può chiamare 'spirito' solo per viam negationis et emi-
nentiae.217 Qui appunto va ricordata la definizione del concilio Late·
ranense 1v, secondo la quale si può pensare una somiglianza fra
creatore e creatura solo se insieme ed essa viene pensata una disso-
miglianza ancor maggiore. 21 ~ Dal fotto che la fede cristiana confe~:,a
Dio come creatore di tutta la realtà, creatore di 'spirito e materia',
deriva inoltre che «la caratterizzazione di Dio come spirito è da
intendere solo in modo molto analogico e può avvenire propria-
mente solo prendendo contemporaneamente anche nella materia il
punto di partenza per la conoscenza di Dio per viam negationis et
eminentiae». 219 Se tuttavia questa definizione vale per 'spirito e ma-
teria' si avvera soprattutto per la spiritualità e la corporeità del-
l'uomo, poiché questi non sono esseri, ma principii metafisici del-
l'unico essere umano.
Perciò l'anima o l' 'elemento spirituale' dell'uomo non è per nulla
più vicino o più simile a Dio dell'elemento 'corporale'. Dio come
origine creante sta nello stesso immediato rapporto trascendente e
immanente tanto con la 'corporeità' quanto con la 'spiritualità'
dell'uomo. m
In conseguenza di ciò è da rigettare anche quella concezione
dell'uomo che è implicita nella dottrina neoplatonica dell'emana-
zione secondo la quale un essere è tanto più vicino a Dio quanto più
alto è il suo grado ontologico. Per rigettare questa concezione antro-
pologica il teologo può rifarsi non solo ·alla sua confessione di Dio
come creatore trascendente di tutta la realtà (come sopra), ma an·
che alla sua professione di fede che la salvezza dell'uomo avviene
nella rivelazione della grazia di Dio in Gesù Cristo. Questa afferma-

217 K. RAHNER. ·me Einheit von Geisc und Materie im chrisclichen GlaubcnsverJo
timdnis', in Schriften Vt, pp. 188 s.
lii DS 8o6: •qui11 inter cre11/orem et creaturam· non potesi similitudo notari,
quin inter eos m11ior sii dissimilitudo nota11Ja ...
m K. RAHNEll, Die Einbeit von Geist und ,\f111erie, ci1. p. 189.
220 K. RAllSER, flominis111ion, cit., pp. 4j·90.
SPIF.GAZIONI! TEOLOGICA

zione infatti qualifica la salvezza dell'uomo in duplice maniera: la


salvezza è in primo luogo la grazia di Dio, e in secondo luogo la gra-
zia data in Gesù Cristo. In ciò vi è nuovamente una duplice difesa
contro ogni concezione dualistica dell'uomo. Primo: poiché la sal-
vezza è la grazia di Dio, essa consiste in un'autopartecipazione di
Dio libera e concessa nell'amore. Non è un'autoperfezione imma-
nente all'uomo, raggiungibile in modo 'naturale', ma un dono sto-
l'Ìco, libero, e un dono gratuito di Dio. L'uomo non può ottenere
la salvezza migliorandosi in modo puramente naturale e curando le
'qualità superiori' del suo essere, (per es. la sua 'intelligenza spiri-
tuale'), ma viene salvato soltanto nel momento in cui Dio gli si
partecipa nell'amore e con ciò gli dona la sua 'amicizia' e 'grazia'.
La salvezza dell'uomo non consiste in uno sforzo naturale di perfe-
zionarsi in modo puramente ontologico o spirituale, bensl nell'acco-
gliere in atteggiamento di risposta l'autopartccipazione e l'amicizia
di Dio.m Secondo: poiché la salvezza è in Gesù Cristo grazia incar-
nata, essa ha un carattere essenzialmente incarnato e cristologico. Il
Figlio di Dio venne nella carne per rivelarci l'amore di Dio e per
salvarci attraverso la totale assunzione della nostra carne mortale.
Perciò, come dice Tertulliano, caro cardo salutis. «Cosi proprio
!'-incarnazione del Figlio ci ha rivelato la grandezza e la promessa
del nostro essere terreno-corporeo. Ora, poiché egli stesso si è avvi-
cinato a noi, s-appiamo che no!) ci sono due vie che corrono separate
l'una dall'altra, l'una verso Dio e l'altra verso la pienezza e il pro-
fondo del nostro mondo materiale; piuttosto. ambedue tendono
nella stessa direzione perché anche 'il termine delle vie di Dio è la
corporeità'. Il cuore della terra è più vicino al cuore di Dio di quan-
to noi, timorosi spiritualisti, osiamo credere. La 'carne' stessa è por-
tatrice di salvezza; c'è, per così dire, il 'sacramento della carn~·:
'nl"Jla carne' il Figlio porta a termine la sua opera centrale di ~al­
vezza e di liberazione; nell'oblazione del suo corpo si attua la ~ua
obbedienza salvifica verso il Padre, e con Paolo noi confessiamo che
siamo stati salvati 'nel sangue di Cristo'.

ni Cf. K. RAHHEI, 'O~r das Vcrhiihnis von Natur und Gnadc', in Schn/1'11 I.
PP- 323·}46; lo, 'Zum theologischcn Bcgriff dcr Konkupiszenz', in Schri/t~n I, pp.
177-414.
L'UNITÀ DELL'UOMO

La salvezza cristiana è salvezza c~rporale, essa non si compie


'dietro' o 'oltre' la nostra esistenza corporea, ma in essa, con essa
e infine per essa. Il corpo ha quindi una qualità salvifica originaria
che non deve mai venir mutata e travisata in qualcosa di 'puramente
proprio dell'anima'. Perciò anche la grazia cristiana non è limitata
in qualche modo esclusivamente alla 'pura interiorità'. Essa è 'ver-
sata nei nostri cuori' (Rom. 5,5), in quel centro che ci unisce era-
dica semplicementt! tutte le dimensioni del nostro essere, per im-
primersi e attuarsi da esso fino nelle ultime fibre della nostra vita
corporea e per essere così ciò per cui fu progettata: nuova crea-
zione dell'intero uomo». 222 Questa concezione della corporeità della
salvezza fa vedere lo stretto collegamento fra . l'antropologia cri-
stiana e la soteriologia. Si devono dunque considerare in connes-
sione con la fede cristiana nell'unità radicale dell'uomo le seguenti
affermazioni teologiche: la risurrezione della carne, la redenzione
attraverso il sangue e la morte di Cristo, la 'trasfigurazione' futura
del mondo attraverso la grazia, sacramentalità e visibilità ecclesiale
della salvezza, ecc. Queste re8ltà teologiche hanno le loro basi non
solo nella pura volontà di Dio, ma anthe nella natura dell'uomo e
nella corrispondente corporeità dell'anima.
Infine il cristiano nella sua idea dell'uomo rigetta ogni concezione
dualistica non solo perché non identifica semplicemente 'spiritua-
lità' umana con 'affinità con Dio', e non solo perché riconosce la
gratuità e la .corporeità della salvezza, ma anche perché non consi-
dera la materia 'in-formata' e il corpo come causa del peccato. cLa
materia fu continuamente sentita come oscurità, anti-dio, tenebre
in contraddizione e in dura lotta con lo spirito che è la vera imma-
gine e il luogotenente di Dio nel mondo, lotta che costituisce la
storia della natura e del mondo; e il cristianesimo ha sempre prote-
stato contro "1Ul ste immagini come interpretazioni sbrigative e
affrettate dcll't!Sp:.:rienza umana e le ha condannate come errore
cd eresia, an.-he :..e m•n ~utto era errato riguardo all'esperienza del-
l'uomo, pur f.1l~a·nem ~ :nterpretata. La materia stessa, con tutto ciò

m J. B. M TZ, e.o C4"dn sal..tis, cit., pp. 97 s.; d. B. Wl!LTE, A•4 J" Sp11r
tlts EW1J'"· 'rcibur8 196,, PI• 8J·lll.
SPIEGAZIONE TEOLOGICA
297

che essa è e significa, deriva dalla stessa origine da cui scaturisce lo


spirito creato» .223 Nonostante questa dottrina cristiana, s'incontra
una concezione diffusa della concupiscenza secondo cui si dovrebbe
concepire la concupiscenza come 'ribellione' dell'uomo 'inferiore' con·
tro il 'superiore'. Si suscita così l'idea che proprio ciò che è metafisi-
camente (ontologicamente) inferiore nell'uomo sia anche moralmente
più pericoloso, e perciò moralmente inferiore. Il pericolo di allonta-
narsi da Dio deriverebbe appunto dalle sfere umane ontologicamente
inferiori. Rispettivamente quanto più un'essenza è entitativamente
elevata, tanto meno sarebbe in pericolo nell'ordine morale, mentre
in realtà v'è il pericolo sia dell'orgoglio luciferino dello spirito sia
delle profondità tenebrose dell'elemento esclusivamente sensibile.
Nell'uomo, propriamente, non è la parte ontologicamente inferiore
m discordia con quella superiore a motivo della concupiscenza.224 Non
c'è nessuna 'spaccatura' tra lo spirituale e il sensibile nell'uomo, poi-
ché non esiste nell'uomo pura spiritualità o pura sensibilità in quanto
tale, come abbiamo spiegato sopra. Questa divisione è piuttosto
una disunione dell'uomo col suo mondo storico e quindi anche una
disunione (storico-sociale) dell'uomo concreto con se stesso. La con-
cupiscenza stessa quindi è un fenomeno che riguarda tutto l'uomo:
essa non interessa l'uomo solo in una ben determinata parte della
sua natura.m Ciò non significa svuotare o neutralizzare eticamente
la concupiscenza; infatti la natura umana rutta intera per la. sua
corporeità è sempre in una situuione mondana che non è mai neu-
trale, ma è sempre a priori influenzata storicamente ed esistenzial-
m~nte. «Ques1a situazione dell'uomo nel mondo e che sempre ha
un'incidenza sulla attuazione della libertà umana, non è soltanto
espressione e struttura di cause materiali (fattori ereditari, predi-
sposizione, costituzione, ecc.) ma anche di cause libere. Per questo
motivo e in una misura che da ciò consegue, essa porta già
in sé delle tendenze e degli orieniamenti del rutto determinati.
nella cui direzione vorrebbe spingere il libero atto che si rea-

w K. RAlll\f.I, v; .. Einbt'it I/On Gtist """ M•ttrit, cit., p. 188.


U• K. RAllNEI, "Zum 1hcologi1<:hcn BcgriJi dcr KonJwpiszcnz', in Scbri/te11, I,
p 3S..·
m K. RAHNu, ibiJrm, pp. 388·-4•-4·
L'UNITÀ DELL'UOMO

lizza nel suo ambito. A motivo di questo condizionamento la li-


bertà non parte mai da una posizione di neutralità e indifferenza;
al contrario, si trova già sempre sotto l'influsso d'una prece-
dente decisione. La sua situazione fa sl che essa sia già sempre 'ten-
tata', ossia 'compromessa': una libertà condizionata dalla sua situa-
zione è una libertà costituzionalmente tentata. In questo st:nso, per
la libertà di chi viene dopo Adamo esiste una preformazione pt:rma-
nente della sua sfera d'esercizio, una presunzione universale, per
cosl dire un esistenziale negativo della sua realizzazione».22b Ma c'è
anche, in senso teologico, una preformazione positiva della situa-
zione della libertà attraverso l'atto escatologico redentore di Gesù
Cristo. In questo senso questa 'passività' e 'minaccia' dall'esterno,
che tocca l'intero uomo, non deve portare necessariamente sempre al
male, ma può tornare in bene e salvezza - perciò la corporeità della
salvezza in Cristo e nella Chiesa! Il cristiano non vive quindi alienato
e disunito, nella sua fatale situazione nel mondo (assunta da cia-
scuno nel proprio sviluppo), ma anche nell'ambito dell'eone di Cri-
sto, già inaugurato e presto manifesto, nella prospettiva della sal-
vezza mediante l'Incarnazione. Egli ha perciò il compito escatolo-
gico di demolire sempre più il negativo esistenziale eHettivo di
concupiscenza della situazione della sua esistenza e del mondo, e
costruire sempre più l'esistenziale di Cristo attraverso l'attuazione del
suo essere, nella libertà di un giudizio critico e attivo sulla società,
verso quel futuro promesso della nuova creazione.127

cc. L'unità di anima e corpo dell'uomo in quanto problema esca-


tologico. - La determinazione del problema dell'unità dell'uomo co-
me problema escatologico non deve venir intesa come se si trat-
tasse «degli ultimi eventi» cioè dell'unità dell'uomo dopo la fi-
ne della sua vita oppure del mondo e della storia. La concezio-
ne cristiana dell'escatologia mira pure al rapporto dei cristiani
con il mondo e con il loro futuro storico. Perciò noi cerchiamo di
Z» 1. 8. Mnz. 'Libertà'. in DrT. 2 (l1968) 201.
ll7 j B. METZ. 'ConcupiSttnza', in O;:T 1 !11969) 29<H99; spcc. 297 s.; ID., 'Kllche
fiir die Ungliubigen?'. in TH. F1LnlAUT (ed.), Umkehr 1"1d Erne,,erung der Kirche
n11ch dtm Konlil, M1i02 1966, pp. 322·129.
st~lt-:CìA1.lllNF TEOl.C>litt.:•\ 299

vedere il problema dell'unità di anima e corpo dell'uomo non so-


lo come un problema dell'unità dell'uomo 'dopo la morte' e dopo
la fine dcl mondo, bensl anche come un problema del rapporto del-
l'uomo con un mondo e con il suo futuro storico.
Primo: l'unità dell'uomo dopo la sua morte. Benché l'insegna
mento della Chiesa rigetti ogni concezione dualistica dell'uomo, in
cui la salvezza dell'uomo viene vista solo nell'«ascesa dell'anima al
cielo» e non nella risurrezione c.lella carne, può tuttavia sorgere
l'impressione che le definizioni della Chiesa implichino una conce-
zione dualistica dell'uomo perché ammettono l' 'immortalità del-
l'anima' e la sua 'visione immediata di Dio' subito dopo la morte.
In rapporto all'immortalità dell'anima bisogna ricordarsi di quan-
to detto nella parte storica: il concilio Lateranense v diede rilievo
all'immortalità dell'anima precisamente perché voleva affermare l'uni·
tà e l'individualità dell'uomo contro il neoaristotelismo e la sua dot-
trina circa un'anima collettiva. Il concilio ha prima di tutto a cuore
l'immortalità del singolo e con ciò quella di tutto l'uomo e non so-
lo l'immortalità puramente 'naturale' dell'anima. Nonostante ciò,
alcuni teologi evangelici, per es. OscAR CuLLMANN,m trovano la
dottrina dell'immortalità 'naturale' dell'anima inconciliabile e in ra·
dicale contrasto con la conc1..-zione biblica, secondo la quale l'immor·
talità dell'uomo non consiste in una 4ualità duratura 'naturale' della
sua anima, ma in un atto gratuito salvifico di Dio che avverrà alla
fine del mondo nella generale risurrezione della carne. La sua affer·
mazione che esiste un radicale contrasto fra immortalità naturale e
immortalità data per graua si rifà a determinati presupposti filoso-
fici che sono da prendere in considerazione. In. una concezione og-
gettiva, cosmocentrica, la natura dell'uomo appare come un essere
astratto, universale, nel senso di una 'natura' statica, non-storica. Per
tale concezione la distinzione tra natura e grazia può venir intesa
solo come un'antitesi in cui la grazia è 'estranea' e accessoria alla
natura.
Per un pensiero storico-antropocentrico invece la natura dell'uo-
mo non costituisce un dato astratto, oggettivo e compiuto, bensl un

L» Op. cit, pp. •Vi,


L'UNITÀ DELL'UOMO

poter-essere, storico e concretamente .aperto; pon è S"emplicemente


un 'dato', bensl un 'compito', cosicché sulla via della storia e della
libertà la natura deve ancora diventare quello che essa è. 129 In que-
sta concezione il rapporto fra natura e grazia concessa in modo li-
bero e storico, non è puramente esterno, additivo.ZJO Le definizioni
ecclesiastiche sull'immortalità 'naturale' dell'anima devono venir
pensate all'interno di questo ambito di comprensione, proprio di
questa concezione storico-antropocentrica e non di quella oggettivo-
cosmocentrica. Secondo la fede cristiana l'uomo fu creato e costi-
tuito da Dio in modo ~aie che gli è promessa una vita eterna di
alleanza e amicizia con Dio.m Questo 'esistenziale gratuito' che vie-
ne 'assunto' da Gesù nel suo essere uomo e che da lui viene 'at-
tuato', è costitutivo della natura e della spiritualità concreta e storica
dell'uomo, cosicché la sua immortalità è nello stesso tempo naturale
e gratuita. Ciò significa che l'uomo conosce solo la sua vocazione con-
creta e storica aU'alleanza eterna con Dio. L'adempimento escatolo-
gico di questa alleanza non è soio un futuro ad opera della grazia,
in ..:ontrapposizicne al suo futuro naturale, come se il futuro del-
l'uomo fosse duplice, bensì è anche l'adempimento naturale della sua
natura umana in quanto è 'rivolta' verso l'unico avvenire che le è
promesso, che non è ancora realizzato, ma sul quale è storicamente
aperto. Se quindi la concezione biblica del futuro dell'uomo viene
intesa all'interno di questo pensiero storico-antropocentrico, allora es-
sa viene determinata non come antitesi al futuro 'naturale' dell'uo-
mo, ma come suo adempimento.m
è.on il problema del 'tempo' di questo unico adempimento, sorge
l'ulteriore questione, se cioè le definizioni ecclesiastiche sulla visione
immediata di Dio da parte dell'anima non implichino ancora una
concezione dualistica dell'uomo. Qui ci sarebbero diverse cose da
considerare. Innanzitutto il fatto che Benedetto XII nella sua costi-
tuzione Benedictus Deus insegna che l'anima viene resa partecipe

U9 J. B. METZ, ChriJtlichc Anthropozentrik, cit., pp. 64-67; cf. Io., 'Natur',


in LTK vn (1962) 8o'·8o8, spec. 8o7.
2lO J. B. METZ, Christliche _Anthropountrik, cit. pp. 8 3.
111 K. RAHNER, Ober das Verbiiltnis t10n N11111r 11nd Gnade, cit., pp. 326-346.
1•1 ]. B. METZ, Kirche /ur dìe Unilii11biien'. PP- 322-329.
SPIEGAZIONE TEOLOGICA 301

della visione diretta di Dio immediatamente dopo la morte e non


soltanto dopo la risurrezione universale alla fine del mondo. (os,
1000 ). Si tratta dunque in questa decisione principalmente dell'im-

mediata partecipazione dell'uomo alla visione di Dio dopo la morte,


e non primariamente della condizione corporale dell'uomo dopo la
morte. Non senza ragione si può anche qui richiamare - come in ge-
nere nella discussione dottrinale sull'immortalità dell'anima - che
teologicamente in queste affermazioni interessano e vengono espressi
mediante la dottrina della visione immediata di Dio, soprattutto la
singolarità, l'unicità dell'eterno destino dell'uomo non riducibile a una
generalità d'ordine naturale, cosi pure l' 'eterno' valore davanti a
Dio della esistenza attuata liberamente.
Inoltre un teologo, che vogHa parlare sulla condizione immediata
dopo la morte, deve osservare il seguente principio ermeneutico:
non bisogna fare di un caso limite un prindpio universale determi-
nante o un caso 'normale'. Una situazione teologicamente nota, non
deve venir spiegata mediante una non conosciuta o non cosi nota.
Una verità soltanto è sicura nella sacra Scrittura e nella definizione
ecclesiastica: l'unità escatologica dell'uomo. Benché la testimonianza
biblica metta in rilievo innanzitutto e direttamente l'immortalità
dell'uomo nella risurrezione della carne alla fine della storia, essa
non esclude l'essere immediatamente con Cristo dopo la morte (Phil.
1,23 ).w Come ciò sia da spiegare teologicamente, rimane oscuro.
Ne è una prova la diversità delle opinioni teologiche. Ecco come
KARL RAHNER interpreta la 'separazione' fra corpo e anima dopo la
morte: l'anima spirituale non diventa a-cosmica, ma pan-cosmica.
L'anima beata dopo la morte non perde la sua corporeità, ma
la sua corporeità viene qualificata in modo nuovo; dapprima di-
venta pan-cosmica, e poi è glorificata attraverso la risurrezione del-
la carne.zw H. CoNRAD-MARTIUS pensa che l'anima dopo lo scio-
glimento del corpo attuale conservi un apparente corpo etereo.m
L. Bo1os pensa a sua volta che la risurrezione del corpo avvenga

m a. J. ]EllEMIAS, novcil1r1ooç, in TWNT V ( 19,4) 767-771.


214 K. Rt.HNEI, SuJ/4 1toloii11 tle/111 morlt, Brncia 21966.
2l5 a. H. CoNIAD-MAITIUS, Dit Gtiit-Sule tler Mt111cht11, Miinchcn 196o. Io.
Bior 1111tl Prycht, Hambura 1949.
302 L'UNITÀ DELL'UOMO

già, in un ceno senso, immediatamente dopo la morte, poiché


il tempo finale che mira alla corpor~ità della salvezza è già inizia-
to e la «assunzione al cielo» di Maria non è c:ccczione, ma mo-
dello.!16 A ciascuna di queste posizioni potrebbero venir poste do-
mande critiche; le rimandiamo ad una ulteriore trattazione del pro-
blema nel capitolo sulla morte dell'uomo (volume quinto). Ci ba-
~ti solo affermare che una «teologia marcatamente negativa. ri-
guardo alle «ultime realtà» non è solo espressione di una difficoltà
teologica: essa corrisponde alla tradizione cristiana, la cui cono-
scenza di fede in confronto con la speculazione dello gnosticismo
e con le mitologie delle religioni misteriche è caratterizzata non
da un 'saper di più' in tali problemi, ma da 'un saper di meno'.
La fede cristiana non è una gnosi segreta che penetra .il futuro,
bensl responsabilità per il futuro del mondo, nella speranza. La
realtà escatologica della fede cristiana non vale quindi come
un'appendice alla realtà presente, su cui si specula e si teorizza,
ma come espressione dd 'nuovo mondo' fondato in Gesù Cristo,
mondo che costituisce il contesto e l'imperativo della nostra spe-
ranza e ddla nostra fede di adesso.
In secondo luogo: è per questo che l'unità di anima e corpo dd-
l'uomo come problema escatologico tocca il rapporto dell'uomo con
la storia e con il suo futuro. Innanzitutto si deve affermare: in
quanto la materialità della corporalità umana è l'espressione della
crcaturalità e potenzialità dell'essere umano, essa non è da conside-
rarsi negativamente, come nel neoplatonismo, quasi una 'deficienza di
essere', ma positivamente come un'apertura alla storia. In quanto
l'uomo esperimenta la sua creaturalità attraverso la sua corporalità,
esperimenta anche che egli stesso e il suo mondo non sono assoluti.
Partendo da questa esperienza si attualizza la tendenza fondamentale
dell'uomo verso un futuro sempre superiore e verso un Dio sem-
pre trascendente. Rimane poi da considerare: poiché l'uomo esiste
essenzialmente e sostanzialmente come corpo e anima, il suo fu-
turo e5eatologico che riguarda tutto l'uomo è un futuro che non

ll6 L. Boaos, Myslerium Mortis, Ohcn 1962, (lr. it., Qucrinlan1, Brescia); Io.,
Erlosus D•sei,,, Mainz 1~5 (lr. i1 .. Emten:u r~deP1tt1, Qucrini1n1, Brescia).
lllUOGllAFIA 303

è ancora arrivato: l'uomo non lo può comprendere né anuapare


nella sua esistenza attuale, terrena, attraverso una pura contempla-
zione intellettuale o una pura intuizione. In altri termini: poiché
l'escatologia cristiana non è un'escatologia puramente presente, ma
futura e ancora da venire, riguardante l'uomo intero, l'uomo tende
a questa realtà escatologica non solo attraverso una considerazione
teoretica sul suo futuro, bcnsl anche attraverso un rapporto ope-
rativo con questo futuro escatologico ancora da venire. Questo
rapporto opcraùvo si concretizza soprattutto nella relazione del-
l'amore fraterno e in un servizio al mondo che sia critico e libera-
tore tenuto conto delle situazioni concrete in cui si trova.

FRANCIS P. FIORENZA - J. B. METZ

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SEZIONE TERZA

L'UOMO COME PERSONA

Nella cornice della problematica fin qui dibattuta, può apparire


discutibile che il problema dell'uomo come persona venga posto
soltanto adesso. In ultima analisi il problema della persona del-
l'uomo non ha forse la precedenza su ogni altro problema antro-
pologico?
Non deve forse ogni problema relativo a 'che cosa è l'uomo?' es-
ser orientato prima di tutto al problema 'chi è l'uomo?', per riceverne
significato e finalità? ~ ovvio anzitutto che ogni indagine sul 'che
cosa' dell'uomo non si lascia racchiudere in una sola risposta, ma
svela diversi aspetti parziali a seconda dei rispettivi punti di vista.
Da questi viene luce sulla persona dell'uomo e risultano prospettive
che una conoscenza sull'essere dell'uomo come persona deve inte·
grarc. Cosl le due sezioni precedenti movendo dal problema del-
l'origine dell'uomo tentano di giungere ad un'asserzione fondata
biblicamente riguardante il 'che cosa' dell'uomo come unità di corpo
e di anima. 1 Questa asserzione dovrà avere più tardi un ulteriore
sviluppo con la presentazione della dualità dei sessi e la conside-
razione delle comunità umane e dell'attività creatricc. 1
A differenza della domanda sul 'che cosa' dell'uomo, la domanda
sul 'chi' dell'uomo non conosce molte risposte parziali, ma un'unica
risposta che cerca di valutare nell'essere personale dell'uomo il
senso e la portata degli aspetti parziali, che dischiudono e rischiarano
il 'che cosa' dell'uomo.
Cosl inteso, il problema circa 'chi' è l'uomo o circa il suo essere
persona segna, entro la problematica interessante il 'che cosa' dell'uo-
mo, un punto di incontro, nel quale si racoolgono, come a loro
proprio e comune punto di riferimento, tutte le asserzioni prima in-

I Q. sopra pp. 21,·~03.


? a. para11rafi di
j 5q!Uc:nti Qllf'<IO l 0
apitolo.
!.'AMBITO STORlru DP.I. PllOBLPMA .309

contrate sul 'che cosa' dell'uomo, e dal quale procedono tutte le


altre contestazioni che differenziano il 'che cosa' dell'uomo.
In questo modo può essere già messa in evidenze la priorità della
domanda 'chi è l'uomo' all'interno della domanda 'che cosa è
l'uomo'.
Una prima, non irrilevante conferma di questo procedimento ci
viene dallo studio del contesto storico nel quale il problema della
persona è nato e s'è sviluppato.

I. It contesto storico del problema relativo all'uomo come persona

Come la nascita dell'opera di un poeta o di un perisacore è legata


a determinate condizioni storico-spirituali, la cui comprensione è
importante per intendere rettamente una tale opera, cosl anche la
questione esplicita circa .l'essere personale dell'uomo presuppone un
preciso ambito storico filosofico e culturale.
L'interpretazione etimologica, ancora largamente incerta e dibat-
tuta della parola 'persona', non è in grado di fornire alcun contri-
buto veramente chiarifìcator; pet <lire ciò che s'intende ·con 'per-
sona.> L'accesso vero e p~prio al concetto di persona rimase pre-
cluso in genere anche al pensiero greco e all'antichità.
Il motivo più profondo di questa carenza sta nel peculiare sistema
di coordinate, dal quale la filosofia greca parte per tentare di deter-
minare natura e posizione dell'uomo. Un asse di questo sistema lo
forma lo spirito, che vien inteso come l'universale, l'assoluto, il di-
vino, trascendente e superiore a tutto ciò che è terreno e partico-
lare. L'altro asse lo rappresenta l'ente materiale, corporeo, fisico, il
cui compito consiste nell'individualizzare lo spirito in generale per
costituire uno spirito d'uomo, e nel rinchiuderlo in un determinato

] a. M. MOLLE.I-A. HALDEI, "Pttson". in S1L VI <'1961) 198; A. HAulu, 'Per.


son', in LTK vm (196J) i87s.; W. PA.'fNEHBEIG, 'Pcnon', in RGG v (11961) 2}0-
23.s: M. THEUNISSl!.N, 'Skeptische Bc1nch1unam zwn anthropologiscben Penonbe-
griff', in H. RoMBACll (ed.) Dir Fr•ir MCb dr"' Mrruchrn, Freiburg 1966, pp . ...ii~
490. Per lo schizzo sroricu ci 1ppoui1mo in parre qli 1r1icoli di M. Miiller e di
A_ Halder, IOpr8 ciui1i, inoltre Id A. G11LLMEIU, 'Penon', in LTK vm ( 1963)
290 ss., e Id A. Gl.KiGENaUGEI, 'Pcnool', in DzT 1 121\IC)SI 637-6j0.
po L'UOMO COME Pl!llSONA

settore della realtà materiale, dalla q~ale lo spirito si libera nel


momento della morte, per perdersi nuovamente nel suo originario
anonimato ed universalità. È chiaro che, sul terreno di un tale pen-
siero, il quale non riconosce nell'uomo nient 'altro che un individuo
o un rappresentante della specie umana, ed intende la vita terrena
come decadenza o come fase di transizione verso la pura esistenza
dello spirito, non poteva nascere e maturare nessuna indagine inte-
ressata all'essere personale dell'uomo.
Da questo sfondo si distaccano chiaramente esperienze che furono
alla base dcl concetto cristiano di persona. Si tratta essenzialmente
dell'esperienza storica vitale dell'alleanza tra Dio e l'uomo, cioè della
Parola che Dio pronuncia liberamente per chiamare l'uomo a parte-
cipare alla vita divina.
L'originalità di questa alleanza consiste nel fatto che l'azione
di Dio si rivolge in primo luog~ all'uomo come persona e che
solo indirettamente, attraverso determinate persone, raggiunge l'uo-
mo come tale.
Movendo dall'alleanza, si risale fino a fondare la comunione tra
Dio e l'uomo già nell'ordine della creazione, il quale ordine fonda
la dignità dell'uomo come persona mentre lo eleva al di sopra di
tutte le cose create del mondo 4 e lo indica in pari tempo solidale
con tutto il resto della creazione, così come indica anche il rischio
racchiuso nella libertà condizionata dell'uomo.
Sulla base della sua libertà il singolo può accettare ubbidiente la
comunione di Dio a lui offerta, oppure sottrarvisi con un rifiuto
colpevole. Con ciò la libertà storica della persona è concepita come
una capacità di disporre di sé e della sua realtà che arriva all'asso-
hto fino a che, con la morte, la realtà diventa definitiva.
La radicale serietà della comunione con Dio ha trovato da parte
di Dio la sua espressione intramondana nella storia dell'Antico e
del Nuovo Testamento; e in modo più forte nella persona e nel-
l'opera di Gesù Cristo. ccNel Dio fatto uomo, quale 'capo' divino

4 Cf. in proposiro sopratlutro il cap. IX in questo volume, sull'immagine di Dio


nell'uomo.
L'AMBITO STOllCO DEL PROBLEMA 311

dell'umanità, e nel suo libero atto d'obbedienza del vivere e del


morire, la chiamata di Dio ha trovato nell'uomo la risposta perfet·
tamente adeguata, quale operò una 'sostituzione' in virtù della
quale fu portato il giudizio fondamentale su tutta la vita umana
(anche anteriore e posteriore)» .s Cristo ha attuato e rappresen-
tato l'essenza e il mistero della comunione divino-umana nel mo-
do più puro e più pieno; è Dio stesso che in forma di servo porge
all'uomo la mano per la comunione, e che però in pari tempo pro·
dama mediante la sua comunione di destino con noi l'assoluta no-
biltà e l'infinita dignità del singolo uomo finito. In questo contesto
i.i costituivano il presupposto, la possibilità e la necessità dell'ori-
gine e dello sviluppo del concetto di persona, tenendo nel debito
conto la peculiarità di Dio e dell'uomo espressa ed esperimentata
nell'idea della comunione.
Tuttavia l'evoluzione storica della nozione ci insegna che il domi-
nio concettuale delle questioni riguardanti la persona comincia rela-
tivamente tardi, cioè coi primi tentativi più evoluti di interpreta-
zione dei misteri della fede nella primitiva epoca cristiana.• L'im-
mediato impulso in questo senso lo diede non già un'istanza filo-
sofica tendente ad una formulazione dell'idea che l'uomo ha di
se stesso, hensl la volontà di difendere i misteri fondamentali della
Trinità e dell'Incarnazione.
Ciò che si cercò di chiarire in questo contesto con l'aiuto del
concetto di persona rappresenta - almeno in parte - il riflesso
teoretico di una realtà sempre posseduta e vissuta già nella fede.
In questo senso la fissazione concettuale di ciò che la fede intende
con persona, non significa semplicemente che si è ampliata la pro-
8pettiva rispetto alla comunione personale già data e attuata tra
Dio e uomo, bensl che si è giunti ad esprimere legittimamente
questa realtà in categorie logiche corrispondenti al pensiero d'al-
lora. Se ci si servi in proposito anche della terminologia corrente
del pensiero greco e dei suoi correlativi latini, le categorie assun·
te tuttavia hanno ricevuto con ciò una specie di 'battesimo' che

5 M. MOu.n-A. Ru.nn, op. rii., pp. 198 s.


6 a. TE.UUU.IAHO, Adwrsus Pra~•ll, 12; 27.
L'UOMO COME PERSONA

supera l'ambito della comprensione precedente e la sottopone ad


un processo di trasformazione e di chiàrificazione.
Scn2a voler tracciare le diverse fasi di questo processo storico
di chiarificazione, si può dire, in sintesi. che il concetto di persona
come ipostasi ( substantia, rnhsistentia) colto dopo difficili ed oscil-
lanti discussioni, indicò la trinità in Dio ed il carattere reale del-
le tre divine persone di fronte a tutte le correnti che non
volevano vederci se non puri modi di manifcstazione. 7
La questione circa l'unità e la distinzione in Cristo ha permesso
all'interno della cristologia la distinzione di persona e di natura,
che ha trovato la sua classica espressione nella formula di Cal-
cedonia.8
Per lo storico, quanto strettamente legata è l'origine del con-
cetto di persona al nascere della speculazione sulla Trinità e l'In-
carnazione, altrettanto problematica appare oggi l'unione allora at-
tuata, e questo in seguito al successivo mutamento di significato
del concett.o, cosicché si può cercare una più appropriata concettua·
lizzazione della dottrina trinitaria. 9
In seguito, BOEZIO sviluppò la prima definizione di persona,
formale-ontologica e rigorosamente scientifica, che è rimasta de-
terminante e prevalse generalmente nel pensiero del Medioevo, an-
zi fino alla soglia della nostra epoca: Persona est rationalis natu-
rae ~ndi~ùl'1" substa.ntia (De duabus naturis 3, PL 64,'IH3 C).
Questa presentazione dell'essere personale nasce dal desiderio di
dichiarare la peculiarità non solo di Dìo, ma di tutti gli esseri dotati
di spirito, incluso l'uomo, di fronte a tutta la rimanente realtà
creata.
Mentre la definizione scorge il momento caratterizzante la per-
sona nell'inscindibilmente unica indipendenza ed autonomia della
creatura dotata di ragione, essa concettualmente porta ad un co-

7 a. A. GuLLMEIER, op. Cli., 290 s •


• Cf. DS 302.
9 a. K. RAHNER, 'Linee fondamentali della dottrina del magistero ecclesiastico
sulla Trinità', in Myst"iurn Salutis n/I, pp. +u s.
L'AMBITO STORICO DP.L PROllU:MA

mune denominatore due realtà sperimentate come antitetiche, aoe


la spiritualità, che è comune a tutti gli uomini, e la sua attuazione,
che è individuale e inalienabile.
La critica e le correzioni che i teologi del Medioevo apportano
a_ questa definizione di persona derivano dall'intento preliminare
di preservare la sua utilizzabilità ed elasticità riguardo alla formu-
lazione del dogma trinitario. «Cosl RICCARDO DI SAN VITTORE
sostituisce l'individua substantia con incommunicabilis e singularir
existentia e per le persone di.vine aggiunge il diverso rapporto di
origine. La critica di Riccardo si è rivolta soltanto contro l'individua
rubrtantia di Boezio. Mentre ammette la definizione di Boezio solo
per le perronae create, con la sua spiegazione dell'exrirtentia, che a
parer suo è caratterizzata da qualitar e origo, vuole ottenere un con-
cetto ampiamente sufficiente per abbracciare l'essere personale di
Dio, degli angeli e degli uomini (dr. De Trin. IV, 6-24). 10
TOMMASO o'AQUINO sostituisce nella definizione di Boezio il ter·
mine subrtantia con il concetto di rubristentia ed intende persona
come sussistenza spirituale, il cui ancoramento nell'erre egli ha vi-
ste ed espresso più chiaramente di quanto non avvenisse prima di lui
(In Seni. I d.6,q.2,a.t; d.7,q.1,a.2; d.23,a.2; S. th. l, q.29,a.I).
Persona significa, secondo lui, il modo immediato dell'esistenza con-
creta, che possiede la propria essenza in modo pieno e totale e ne
Jispone liberamente.
Similmente anche DuNs ScoTo si è sforzato di ottenere, moven-
.io dall'essere, un accesso al mistero della persona. Siccome però
secondo lui l'essere viene inteso come essere riferito essenzialmente
..il trascendentale, non è strano che egli intenda la persona come
'essere riferito a Dio' (In Seni. l, q. 23, a. 1 ).
Non è da mettere in dubbio che tali formulazioni cosiddette
.-lassiche del concetto di 'persona', nel metter in evidenza l'essere
proprio incomunicabile e sussistente, abbiano espresso un mo-
mento essenziale dell'esperienza della persona; rimane però da
chiedere, se ·persona', alla fine, non comporti altro che sus-
sistenza e incomunicabilità. In una tale concezione di 'persona'

•• A GuGGF~BF.RCEl. op cu .. pp. 640 s.


L'UOMO COME Pl!llSOtiA

non ne è messa troppo in evidenza l'autonomia, così che 1a creatura


lità viene quasi velata se non ignoràta? Inoltre ci si deve chiè-
dere se la prospettiva religiosa e storica, che è quella come abbia-
mo già detto dell'esperienza personale. si esprima pienameme nel
suddetto concetto. Non si è fatto entrare inconsciamente, rn luo-
go dell'esperienza storica. un modo di indagine più interessato ed
orientato al particolare ed ai suoi mutamenti? Non si è troppo tra-
scurato, alla fine, preoccupati di fondare la necessità del processo
di astrazione, la concreta esperienza e il fenomeno concreco dell"es-
sere personale!' Non si è rrasferita l'essenza della persona troppo
accentuatamente nell'ambito dello statico, dd compiuto e del per-
fotto? 11
L'ulteriore sviluppo del concetto di persona si pone in gran parte
sotto il segno del rifiuto di un personalismo piuttosto sostanzialista e
si orienta verso uno più funzionale o dinamico.
Con il razionalismo contemporaneo PASCAL condivide l'opinione
secondo la quale la grandezza dell'uomo è da cercare nd pensiero,
ma nel contempo se ne distanzia quando crede confidato il mistero
della persona non allo «esprit de géometrie», bensì allo «esprit de
finesse», che ha la sua sede nel cuore, dove viene anche presa la
autentica decisione sull'essere personale dell'uomo.
Contro una concezione della persona materializzatrice e psicolo-
gizzante, protesta KIERKEGAARD, mentre si rivolge proprio al1'111
dividuo perché scelga nella sua esistenza dei comportamenti 'ix-r-
sonali'.
L. FEUERBACH e E. MouNIER sviluppano una concezione della
persona umana che si fonda su una radicale relazionalirà: esser per-
!>ona significa relazione vivente era l'io e il tu. Tutti e due i filosofi
!>Ono diventati precursori del posteriore personalismo dialogico. seb-

li Cl.. ad es .. il poco ron\'mCenl(' rc-nrarn·o do 1tius1ificv.ion" dcl conceno dr per


sona di san Tommaso ad opera di A. KatiGEll, 'Moderne o:istcntialistische Penon-
begriffe inoerhalb der karholischen Thc:ologic', in FZfP 12 (196,) 191-2u, spec. 191
(• ...bisogna far notare che san Tommaso aveva già trovato il vero concetto di per·
son.a, mentre le ~.cczioni moderne si dimostrano traviamenti>). Nell'estremo op-
posto cade l'anicolo di A. AHZENBAotu, '1òomismus und lch-Du-Philasophic'.
Ibidem, 161-190, spec. 18<} s.
L'AMBITO STOllCO DEL PIOBLl!MA

bene secondo Feuerbach I' 'interazione' tra questi due poli non
superi i confini della concreta unione sensitivo-vitale. 12
Da ultimo, in questo modo, tale comprensione dialogica dd-
l'essere persona venne integrata ed approfondita attraverso i risul-
· ati ed il metodo della fenomenologia (G. HussERL, M. SCHELER),
uime pure attraverso l'apertura sul mondo dell'esperienza biblica.
11,·I modo in cui inizialmente fu abbozzato (F. RosENZWEIG, F. E11
NER, M. BuBER, TH. lIAECKER, P. WusT, R. GUARDINI) e viene
arricchita in maniera decisiva dagli stimoli derivanti dalla filosofia
esistenziale e dall'esistenzialismo (G. MARCEL, K. ]ASPERS, M. lb.1-
DEGGER). Cosl il personalismo segna oggi un movimento, che passa
per molti settori del pensiero umano ed il cui significato program-
matico per la teologia è formulato nèl modo seguente da G. GLOE-
GE: «Non possiamo, non vogliamo e non dobbiamo più tornare in-
dietro dal personalismo teologico. Ciò non significa un impegno per
una determinata forma di personalismo, bensì un impegno per il
pensiero personale in genere».u
In questa professione di personalismt) si riconosce in pari tempo
che non c'è affatto un personalismo come tale, ma sempre solo di-
verse forme o modi d'una stessa corrente di pensiero.
Per decidere su come sia da intendere persona, non bisogna anzi-
tutto dare una spiegazione teoretica dell'esperienza, bensl osservare
e descrivere il fenomeno stesso. Dopo questo abbozzo storico del
concetto di persona, tenteremo d'elaborare dunque una fenomeno-
logia della persona. i cui risultati riesamineremo e spiegheremo nel-
(' ambito della teologia.

12 Cf. B. uNGEMEYER, D" dialogìsche Penonalismus in der t!IJdltf,t!lischen •""


2,
J:atholischen Theologie àer GegenUJ(IT/, Paderborn 1963, pp.
bibliografici sono stati presi da questo libro.
s. Molti riferimenti

Il G. GLOEGE, 'Dcr thcologischc Personalismus als dogma1ischcs Problcm', in


KuD 1 <19nl-
L'UOMO COME PERSONA

2. Scoperta fenomenologica della struttura della persona

'Chi sei tu?' domandiamo, quando vogliamo conoscere l'intimo


dell'uomo, il suo 'tu'. In quale ambito possiamo in genere aver
speranza di una soluzione, di una risposta? Soltanto là, dove sap·
piamo che si puè1 incontrare nel suo intimo, dove veramente egli
vive. Uno di questi ambiti privilegiati lo incontriamo certamente
nel fenomeno dell'amicizia. Là noi sentiamo come veniamo toc-
cati nel nostro più intimo, come improvvisamente veniamo alla
luce, anzi, come per la prima volta diventiamo veramente persona.
Come inizia e cresce l'amicizia, che cosa avviene dunque in essa?
L'origine dell'amicizia somiglia a una scoperta spontanea. Si può
descrivere cioè il suo prima e il suo dopo, il suo che cosa e il suo
dove, mai però il suo come e perché: essa rimane nello stesso tempo
dono e mistero. f: del tutto irrilevante che io mi accorga di questo
altro in un colloquio, attraverso un gesto di gentilezza oppure per
un semplice incontro: egli in qualche modo mi ha colpito, cessa
per me di essere indifferente. lo gli presterò attenzione; tutto comin-
cerà con un semplice sorriso od uno sguardo d'intesa, con un'ami-
chevole stretta di mano per arrivare a scambiarci dei doni. coi quali
si manifesta il proprio affetto, al reciproco colloquio amichevole.
Si cerca la reciproca vicinanza e si vuole dimostrare la propria
stima. Quanto più ci si avvicina e quanto meglio s'impara a cono-
scersi e ad apprezzarsi reciprocamente, tanto più cadono in pari
tempo le barriere di ciò che separa ed è estraneo. L'altro diventa
per me sempre più un 'tu', come anch'io viceversa per lui: tu
per me diventi un 'tu'. I segni visibili dell'attenzione diventano
meno numerosi, ma contemporaneamente più determinanti e più
profondi, cosicché, per esempio. una semplice stretta di mano mi
può dire di più che molte parole; al loro posto subentra in modo
non vistoso una tacita atmosfera di mutata fiducia, di lealtà e di
fedeltà, le quali ormai riempiono e vivificano l'ambito che esiste tra
il 'tu' e I' 'io'.
Ciò che prima e sul principio appariva piuttosto come stima,
attenzione e inclinazione, ora si muta in amore disinteressato, libe-
ramente oblativo l'uno per l'altro. Tutte le esperienze che si as-
SCOPF.KTA FENOMENOLOGICA

sommano nella relazione d'amicizia, si riconducano a questo nome


'tu' wl quale io chiamo te e col quale concretamente e veramente
io intendo te. Noi siamo posti in una reciprocità amante, fra di noi
rc~na un cordiale rapporto, un dialogo cl'a111orc. Tu ti doni u me cd
io mi Jono a te. Sento la chiamata all'a1111•1c l·he viene da te. Questa
d1ianlllta è dono, sei Lu stesso il dono, i: rivelazione: nel tuo sguar-
do, nel tuo gesto, nella tua parola. Tutto questo tu doni e in ciò
doni te stesso. Tutto questo mi chiama, mi spinge mi invita alla vita:
tu mi rendi libero a me stesso. Ciò desta in me una risposta; non
per costrizione ma per una chiamata amorosa, una 'necessità d'amo-
re'. E cosl lo stesso mio accordo, anzi già il mio desiderio di accon-
sentire è accettazione, dove nulla è captato per sé ma tutto è riportato
all'altro nella risposta, qualunque forma essa prenda.
Ed allora nasce qualcosa in me, dal momento in cui mi posso rido-
nare, diventare donatore. Poiché rispondo come dono, io mi offro e
M>lo così divento cosciente e capace di vivere, di vivere in dialogo.
Tu dicevi 'tu' nella tua chiamata oblativa, mi chiamavi per nome,
dunque mi pensavi, mi davi la possibilità di risponderti. Qui, in
questo ambito, è la mia persona, anzi si forma la mia persona:
nell'ambito della chiamata, e della risposta, dell'amore e del ricam-
bio d'amore, dell'essere donato e del ridonare, del donarsi; sorge
un intimo rapporto, un'intima reciprocità. Improvvisamente sono di-
venuto conscio di me, divento 'io', ma solo perché tu sei qui, perché
mi riferisco a te. lo mi conosco, perché mi conosco per te. E quanto
più so in fondo di donarmi a te, tanto più io sono consapevole della
mia persona. Che sarei senza questo riferimento? senza questo
rapporto? So che non mi posso più comprendere, anzi essere, da
me stesso, senza di te. Il mio 'io' c'è soltanto in relazione al 'tu'.
La parola fondamentale è 'io-tu' (M. BueER), non 'io' solo. Il 'tu'
mi ha creato, attraverso il 'tu' sono diventato 'io', solo nel 'tu' io
rimango 'io'.
Che cosa c'insegna circa l'essenza della persona quest'analisi del-
l'amicizia? La mia persona, la mia realtà più intima, dice ordine
al 'tu'. Non è un essere precedente, no, è un essere in relazione
al 'tu' che nan c'è prima e fuori di questo ambito. Essa è relazione
non scambiabile: tu, che porti questo nome, mi chiami col mio
L'UOMO COME PERSONA

nome. Questo inconfondibile mistero della relazione sta nel nome.


Persona c'è solo nel ritmo del «movimento a» della chiamata obla-
tiva di sé e amante e del «movimento da» della risposta che si
ridona nell'amore. L'atto della persona è in pari tempo dono e
dovere, vita e esigenza. 1•
Questo rapporto tra 'io' e 'tu' non è disponibile, poiché esso
nasce nella libertà: non nel comando costrittivo, bensì nella libera
risposta alla chiamata ddl'amore, non come onere imposto, ma
come dono da accogliere e da garantire liberamente. Sebbene ogni
donarsi sia sempre un rivelarsi, la mia persona resta sempre come
la parte più intima di me stesso, un mistero; anzi nel rivelarsi cresce
il carattere di mistero.

3. Approfondimento teologico e ontologico


della struttura della persona rilevata nel fenomeno

a. Persona e fede nella creazione

Com'è possibile tutto questo essere-in-relazione? Su che cosa si


fonda questa relazione? Vedemmo che essa s'intende originaria-
mente come dono. Donde mi viene questo dono, che mi chiama
alla vera vita, all'essere-persona? Dove si trova la più profonda
radice della mia relazione al tu? Qual è il tu senza di cui non mi
posso comprendere? Chi m'ha chiamato per nome per la prima
volta?
Qui ci aiuta la fede nella creazione. Secondo essa, tutto il creato
porta il carattere della parola, e ad ogni atto creatore di Dio si confà
la struttura della parola: «Liete brillano le stelle ai loro posti; Egli
le chiama ed esse dicono: 'Siamo qui!'» (Bar. 3,34 s). 15 L'origine
di ogni parola sta però in Dio in quanto 'Parola'. Quando dunque
la Scrittura insiste nell'affermare che l'uomo è creato ad immagine
e somiglianza di Dio, afferma con ciò in pari tempo, che l'uo-
mo è parola in una misura molto maggiore di qualsiasi altra

14 Cf. E. BRUNNF.R, Dt'T Menscb im Widerspruch, Ziirich 31941, p. 88


is Cf. sopra pp, 9 3 ss.
APPROl'ONDIMENTO TllOLOGICO E ONTOLOGICO

creatura. Dio non mi crea mettendomi fuori di sé come una


cosa. No, egli mi crea con il chiamarmi per nome, parlando.
Questo nome è in pari tempo proclamazione e chiamata della
mia persona nell'amore. Infatti in quanto chiamata è un «Co-
municare ideale»:•• in quanto pronunciato io sono chiamato. in
quanto proclamato sono nello stesso tempo nominato e interpd
lato. Cosi dalla mia più profonda origine, fin dal mio esser stato
creato, io sono personalmente interpellato da Dio. Sl, tutto il mie>
essere persona è, da un lato, dono, regalo; e nel contempo impegno
a dare risposta a questa chiamata amante e creatrice. 17 La più ori-
ginaria relazione con il 'tu', o, ancora più esattamente, Li base, iJ
fondamento, l'inizio della più profonda relazione con il 'tu' è la
chiamata donante e creante di Dio. Essa è analogamente la rela-
zione ontologica al 'tu', la relazione essenziale, originalissima: ed è
già relazione personale, poiché si attua nella chiamata amante. Dio
mi chiama come suo 'tu', affinché io pure possa dirgli 'tu'. La mia
intera vita è un permanente percepire questo grido per rispondere
ad esso continuamente: il mio essere persona consiste ncu·~ere
risposta, o meglio, io divento sempre più persona quanto più da
parte mia aderisco, rispondendo con amore, a questa parola ~he mi
chiama. Senza questo personale rapporto di creazione, strutturato
dialogicamente, la mia persona non si può comprendere, non può
esserci.
Dove si attua concretamente questa creazione? Dove sono <..TCllto
concretamente come persona? In ogni incontro con persone, e, Ja
questo punco di vista, in ogni incontro con il mondo.
Dio infaui attraverso ogni prossimo crea l'uomo; e così ogni
uomo in ogni istante può intendersi ri~petto al suo prossimo co-
me un con-creatore e ciò nel più profondo significato del termine:
creare con tutto quello che di spontane1ta e di novità esso im-
plica. Allo stesso modo l'uomo si conosce, in ogni istante, come

16 Cf. H. E. HENGSTENBERG, Autonomismus 1111d Tran:u:ndenlphilosophic. Hcidcl-


berg 19,0, p. 217: «Una comunicazione puramente ideale deve però esserci là dove
colui che dona non dipende più nel dare da colui che riceve, bcnsl dove rului
che riceve, appunto nell'accogliere il dono, giunge all'essere».
11 Cf. R. GUARDINI, Welt und Person, Wurzburg 3I939, p. n3.
)20 L'UOMO COME PERSONA

colui che proprio mediante il suo prossimo viene creato da Dio. E


questo vale specialmente e innanzitutto per il diventare persona da
parte dell'uomo: io mi intendo sempre più, rispondo sempre più
all'appello creatore di Dio, che è a fondamento della mia esistenza,
se mi comprendo nell'amore mediante ed in virtù di tutte le rela-
;doni personali, che si costituiscono dialogicamente, movendo dal
prossimo. Ed io mi posso comprendere, come sono adesso, soltanto
per esse.
Da ciò risulta che non ogni incontro interpersonale penetra in
eguale ampiezza e densità nel centro, nel cuore della relazione 'io-tu';
ci sono decisioni ed esperienze che mi prendono più fortemente o
mi chiamano più irresistibilmente 'con il mio nome' e contribui-.
scono ad improntare il mio 'essere e diventare persona'; esperienze,
la cui eco in mc ancora a lungo è percepita e che mi aprono più
profonde prospettive sull'io e tu, che mi costringono a vivere e ad
intendere il mio essere personale più radicalmente e più profonda-
mente. In questo senso si può dire che esse mi sono di aiuto a sco-
prire il mio vero 'nome', anzi, che esse soltanto mi danno il mio
'nome'. Ciò che dunque abbiamo indicato nel fenomeno dell'amicizia.
si attua in una forma più o meno profonda in ogni incontro con il
prossimo; tutto sta nel rapporto reciproco con il 'tu', della chiamata
che dona e della risposta che a sua volta ricambia il dono. Cosl
ogni dialogo tra uomini, ogni dono, ogni aiuto, ogni esistenza per
l'altro sono partecipazione all'atto creatore di Dio. Cosl attuiamo il
nostro 'compito di creazione' in senso attivo.
E quanto più l'uomo trova la sua persona, quanto più esperi·
menta questo dialogico 'stare di fronte all'altro', tanto più guadagna
in significato la totalità del suo essere uomo e del suo essere-nel-
mondo. Persona significa anche l'uomo come un tutto, non solo
la sua personalità spirituale e la sua personalità di fede}' Quando
parliamo della persona, perdono d'importanza primaria le realtà
umane di spirito e di corpo come reciprocamente opposte, poiché
questo io che si comprende come relativo, questa mia persona, si
coglie sempre come un tutto. 19 E quanto più il mio essere per-

Il a. A. GUGGENBUGU. op nt .. 641 •
APPROFONDIMENTO TEOLOGICO F. ONTOLOGICO 321

sona si sviluppa, tanto meglio riesce ad integrare la sua realtà


umana totale. Lo sguardo, il gesto della mano, la stretta di
mano, anzi tutto il comportamento si trasforma in segno per-
sonale. Tutto diventa espressione, che si dona, dell' 'io' che
si sa sempre in rapporto con il 'tu'. Il centro dell'uomo, la
persona, 'personalizza' cosl sempre più tutto l'uomo. L'agire
dell'uomo diventa espressione personale: la sua materialità si
trasforma in corporalità.lll Certamente uno non è mai persona
completa, è sempre in cammino verso di essa. Questo ci auto-
rizza a usare l'espressione di G. MARCEL e di parlare di persona
viator.
Come si comprende il mondo in rapporto alla persona? Già dalla
sua origine da Dio esso è un segno oggettivato della parola perso-
nale di Dio: è creato come segno per noi uomini. Nel corso della
nostra vita è nostro compito imparare a leggere e ad intendere que-
sti segni. E l'uomo prende il morulo in mano, ma non si tratta solo
di ciò: la mia persona si sa sempre più costretta a fare assegnamento
sulla mediazione del mondo. Ma proprio per il fatto che il mondo
può serviire da mediatore alla persona, esso diventa più carico di
significato - cos1 come un oggetto, appena è presentato come
dono personale dall'amante all'amato acquista un significato pro-
fondo: diventa simbolo, pegno ed espressione del donatore.
D'altra parte, ogni espressione personale deve concretarsi ed
oggettivarsi, senza tuttavia perdere con ciò il carattere personale.
Cosl perfino l'estrema oggettivazione umana partecipa in qualcbc
modo all'essere più personale e mi parla perciò anche personalmente.
Anche quando il tu sembra interpellarmi solo come da lontano, pure
non mi è mai completamente assente. In questo senso potremmo
allora parlare legittimamente di una 'personi6cazione' del mondo.

" Analogamente la conoscmza della persona è la prima forma di conoscenza;


ogni alua conoscenza (p. es., qudla in1ellc11u1lc) è derivata.
lii a. sopra pp. 284 ss.; A. GUGGENBERGEJI, op.. cit., pp. 647 s.; G. MAICE.L,
Ho"'o VÌllJor, Diisscldorf 1949, 24; ID .. Srin und Hahrn, Padcrborn 19'4· p. u,88 s.,
92, 117 (tr. it. dal francese, Eunr r •vnr, Morcclliana, Brescia).
L'UOMO COME PllSONA

b. Fondamento .ontologico

Dopo aver scoperto la 'persona' fenomenologicamente e dopo aver


cercato di approfondirla movendo dalla teologia della creazione,
dobbiamo ora cercarne il fondamento ontologico.
Dalla nostra indagine fin qui condotta potrebbe anche nascere
facilmente l'equivoco che noi, quando abbiamo parlato del diven-
tare persona nell'ambito del prossimo, ci riferissimo piuttosto ad
un concetto attualistico di persona. 21
La questione che ci viene dunque posta suona: alla base dell'atto
del divenire persona, come lo abbiamo chiamato, sta anche un essere
persona sostanziale, oppure l'uomo è dapprima soltanto uomo, che
solamente nei suoi atti responsabili diventa persona ?22
Nella recente storia del concetto di persona F. EBNER" propugna
11ncora uno sfondo ontologico per la persona che si scopre nei suoi
atti. Ebner si riferisce esplicitamente alla creazione. All'opposto,
nella teologia protestante, per quanto anche Ebner in altri punti
può averla seguita, soprattutto in E. BRUNNER, questo sfondo onto-
logico viene generalmente abbandonato in quanto l'elaborazione del
concetto di persona viene collegata non alla creazione, ma alla parolt>
rivelatrice di Dio. 24 In campo cattolico ci si è sempre adoperati per
fondare la persona ontologicamente. 25
Si pensa, spesso, che «l'essere per sé» sia l'ultima caratteristica
della persona; ma anche questo non è pienamente soddisfacente.
Se da una metafisica generale dell'essere persona relazionale, come

li li personalismo attualistico fa nascere la persona solo nell'atto della decisione;


alla base di cale atto non ci sarebbe quindi nessun essere personale precedente.
Cf. B. LANGEMEYER, op. cit., pp. 107 s.
22 Cf. A. HALDER-H. VoRGRIMLER, 'lch-Du-Beziehung', in LTK v (1960) !19!1· An-
che qui si cerca un superamento all'insufficiente interpretazione dell'uomo come
sostanzi individuale, e dell'incontro fattuale come avvenimento solo accidentale.
23 Secondo B. LANGEMEYER, op. cit., p. 87 il rapporto intraumano in Ebner
sembra esser ridotto in un duplice modo: «Da una parte condotta personale indica
solo l'elemento spirituale nel prossimo; d'altra parte anche questo viene inteso solo
perché ~ riferito a Dio; perché Dio è presente in esso•.
l4 Cf. in proposito B. LANGEMEYER, op. cii., no.
15 Secondo LANGEMEYER, op. cit., p. 107, ci sono due tipi principali d'interpre-
tazione teologica della persona: uno attualistico e uno metafisico-sostanzialistico.
Cf. oltre a ciò M. THEUNISSF.N, Skeptische Bf'trachtungen, pp. 463 s.
APPROFUfiDIMENTO TEOLOGICO F. ONTOLOGICO

tentammo di descriverla, non si lascia assolutamente cogliere, forse


ciò avviene perché si dovrebbe dapprima costruire un'ontologia mo-
vcndo dal fenomeno dell'incontro personale. 211 E proprio movendo
Ja questo fenomeno potemmo vedere che persona dice essenzial-
mente l'irrepctibile stare-in-relazione al 'tu'. È in questa stessa pro-
spettiva che dobbiamo affrontare l'essere ontologico della persona:
a livello ontologico, la persona è un essere in relazione al 'tu', mi-
rante ad una crescita dinamica.?7 Questo ultimo ontologico dell'essere
personale è il nostro essere come nasce per la chiamata creatrice di
Dio, la quale rende possibile ognuna delle nostre risposte e alla quale
noi non possiamo sottrarci. Dunque nel nostro più profondo essere
persona non siamo qualcosa per noi stessi, ma siamo essenzialmente
risposta, che si sa sempre sostenuta dalla chiamata di Dio. Solo la
relazione di risposta al 'tu' di Dio permette di capire ogni formazione
di persona nell'intimo dell'uomo: essa è la forma categoriale di
questo sfondo trascendentale ·~nale. Cosi dunque anche la con-
dizione trascendentale della possibilità della persona attuale non la
rrendiamo formalisticamente,ll poiché in essa vediamo già una gran-
dezza veramente personale. Infatti noi, o il nostro spirito, non
!>iamo semplicemente aperti all'essere, ma aperti alla chiamata e
alla risposta personali, che costituiscono precisamente il nostro essere
più profondo.
Come è da intendere allora ontologicamente il divenire persona?
In ogni chiamata interumana, cui io rispondo, divento maggiormente
e più profondamente persona, divento più 'io', perché mi comprendo
di più riferito al 'tu'. In ciò c'è una crescita veramente qualitativa:
il divenire persona avviene in un continuo 'autosuperamento', in
un' 'autotrascendenza' 29 che vuol esprimere un concreto di più.

26 Per poter comprendere esattamente l'importanza, dal punto di vista metafi-


sico, della determinazione della persona come relazione al tu, ci si deve liberare
dall'idea dell'accidente scolastico di relazione.
27 Cf. H. E. HENGSTENBERG, Das Band iwischen Golf 14nd Schop/ung, Paderborn
1940, p. 123: «La relazione tra Creatore e creatura è in modo veramente primario
il fondamento nell'essere per ciò che è creato».
li Secondo TH. STEINBOCHl!I., Dii' philosophische Gru11dlegu11g der katholischen
Sitttnlehrt 1, Diisseldorf 21939, p. 339, l'essere-persona sostanziale non può esser
scambiato con un •cfa1to inerte•.
29 Il conceuo di divenire di K. Rahner vien qui trasferito al divenire persona:
L'uoMO COME PBISONA

Questo è possibile, perché avviene .sempre sul sottofondo della


creazione che continua - considerando la cosa dalla parte di Dio
- e questo sottofondo è personale. Dio stesso è cosl momento
immanente di questo autosuperamento. Dio è dunque veramente,
continuamente attivo come creatore, perché mi fa pervenire in ogni
istante la sua proclamazione e la sua chiamata e mi invita cosl ad
una risposta sempre più in profondità, ad un sempre più profondo
èiv.!llire personale. Su questo rapporto ontologico al 'tu' si pone
la relazione ontologica al 'tu'. ·
Per una migliore comprensione, vogliamo aggiungere questa pic-
cola analogia: l'amicizia non si limita ai precisi istanti in cui sono
posti dei gesti d'amicizia. Tutti questi atti si compiono sullo sfondo
della relazione globale amichevole da cui essi continuamente scaturi-
scono e su cui essi poggiano. D'altra parte si deve però dire che
questa relazione globale amichevole diventa più intensa, più fone,
più profonda, che io divento più amico, quando essa viene vivificata
da atti concreti.
Essa ha dunque una reale crescita anche in quanto globale. Se
noi dunque prendessimo l' 'essere amico', la relazione reciproca, ~
me categoria ontologica, allora amico ontologicamente sarebbe colui
che senza questa relazione totalitaria, che sta nel fondo, non ~
trebbc comprendersi come 'amico'. Eppure su questo sfondo è- pos-
sibile una crescita ontologica, man mano cbe si approfondisce
l'amicizia. Applicato alla persona questa analogia ci illustra due
fatti: la correlazione fra l'esistenziale essere persona e l'essere
persona ontologica, e il divenire della persona come un permanente
autosuperamento.
La relazione creatrice di chiamata e risposta, costitutiva dcl
mio essere persona, è la base sulla quale avviene ogni formazione
della persona mediante il 'tu' del prossimo. La persona, cioè la
nostra relazione di creazione cui si deve rispondere, cresce, spic-
ca più chiaramente, quando nell'ambito interumano si lavora
realmente e positivamente a divenire persona: nella stessa mi-

cf., in proposito, P. Ovu11At;r.-K. RAllNU, Das Problem der Hominisation, cit.,


pp, 74 KS.
APPROPONDIMl!"'TO TEOLOGICO E ONTOLOGICO

sura dunque, in cui la persona si costituisce esistenzialmente, essa


si realizza anche a livello ontologico. Questo 'diventare <li più'
dal punto di vista ontologico è da intendere solo nel senso che Dio,
mediante la sua relazione di creazione, è presente continuamente,
in modo trascendentale-personale, come momento interno del dive-
nire persona.

c. Persona nell'ordine concreto di peccato e grazia

Nella nostra indagine fin qui condotta alla scoperta di ciò che per-
sona significa ed è per l'uomo, abbiamo considerato gli aspetti po-
sitivi del fenomeno personale e i valori di cui essi, nella loro mag-
gioranza, sono portatori. Di proposito escluderemmo il male di cui è
sempre impregnata la vita concreta.
Questo procedimento era legittimo in quanto potemmo con esso
meglio vedere la strutturazione dell'essere e la crescita della persona.
Tuttavia, come si dovrà mostrare in seguito, la nostra esistenza con-
creta si realizza (o piuttosto, spesso, si deteriora) in un mondo a
pezzi, peccatore; in questo contesto la persona si distrugge e si per-
verte, senza però essere mai completamente annullata.
L'essere ontologico e l'essere morale veramente non sono da
separare; l'uno e l'altro si devono vedere continuamente nell'iden-
tico impegno di diventare ciò che devono essere.
Ora, per vedere come nell'ordine concreto l'uomo è impedito a
diventare persona, come la sua persona è sempre già in qualche
modo offuscata e ritardata, come gli riesca a stento di attuare
il vero 'io', che si sa sempre riferito al 'tu', dobbiamo riBcttcrc
sul fenomeno dcl peccato. Cosl saranno allora messe in luce an-
che le altre implicazioni teologiche, senza le quali non possiamo
intendere l'essere-persona, poiché se anche la considerazione che
muoveva dalla creazione era un procedimento necessario dal punto
di vista dcl metodo, tuttavia tale esame non renderebbe piena-
mente giustizia al fenomeno suindicato cd alla sua intera realtà
teologica, a rischio di rimettere in questione tutto quanto ha sot-
tolineato di fondamentale e di strutturale dell'essere persona.
326 L'UOMO COME PERSONA

Come abbiamo da intendere il peq:ato nelle categorie personali


finora indicate? Con esso vengono in qualche modo turbati i più
profondi rapporti che cost·ituiscono l'essere persona, cosicché si
manifesta un 'io' non sufficientemente sviluppato.
Giacché l' 'io' può rifiutarsi alla chiamata del 'tu', chiudersi a lui,
non aderirgli, comprendersi senza di lui. Così egli abusa della sua li-
bertà, poiché non si adatta alla direzione imposta alla libertà (libertà
per qualcosa!), prende il dono e la chiamata non come dovere ed
esigenza, ma li assume senza scrupoli come arricchimento dell' 'io'
isolato.
E con ciò egli si stacca ancor più, diventa una cosa impersonale,
si svuota del suo reale essere personale. Dallo stesso spirito d'auto-
nomia riferita solo all' 'io' è poi pervertito anche il suo ulteriore
agire: non è più risposta, donarsi nell'amore all'altro, amare, ma
egoistico voler-pretendere-per sé.
Il cosiddetto dono, che proviene da lui, diventa prezzo di com-
pera per un uomo, che I' 'io' vuole usare per sé, vuole 'avere', al
quale non rivolge più la parola come al 'tu', cui dovrebbe essere
ordinato in un rapporto d'amicizia.
La chiamata diventa Una pretesa, che egli avanza indebitamente ver-
so l'altro: il rapporto si perverte; il 'tu' diventa oggetto che è possedu-
to e usato; l'ambito originario di relazione, e con esso l' 'io', viene
spersonalizzato; anzi, di un tal uomo potremo dire sempre meno
c:Oe è persona. Egli diventa sempre più un puro centro di atti che si
chiude colpevolmente al suo vero essere, e la persona «svanisce»
(EBNER).
Ma questo agi'l"e peccaminoso non ha il suo effetto unicamente
su questo singolo uomo, poiché col suo ulteriore agire peccaminoso
egli elude il suo attivo impegno creazionale, non dona più ciò che
dovrebbe sempre donare in continuità: se stesso come 'tu' per un
altro. E cosl altri uolllini diventano meno persona, giacché vien
loro negato questo rapporto creazionale.
In questo modo, nella dimensione personale si vede particolar-
mente bene l'aspetto Sociale del peccato, anzi il peccato ridonda
proprio a danno dell'altro, poiché non gli si comunica più ciò che
gli occorrerebbe per diventare ciò che deve essere: persona, auten-
AP1'll0FONDIMENTO TEOLOGICO E ONTOLOGICO 327

tico 'io'. Egli viene piuttosto sottoposto ad un rapporto falsato,


inserito in esso.
In questo senso il peccato porta sempre i tratti del peccato ori-
ginale (e questa osservazione ci aiuta a comprendere il peccato
originale).
Il peccato è dunque in ogni caso una rottura del sistema di rela-
zione personale, che è sempre rivolto al 'tu': un chiuder-si, un au-
tentico auto-voler-essere.
Questo avviene precisamente in tutti gli atti che non esprimono
più il donarsi, il voler-essere per l'altro essi si oppongono alla
originaria chiamata creazionale, in forza della quale la persona vive,
e la reprimono, cosicché la persona corrisponde sempre meno al suo
essere, benché la realtà della chiamata e della grazia non possa essere
evidentemente soppressa. 30
Come possono allora il peccatore e tutti gli uomini che stanno
nell'ambito del peccato giungere al dialogo, come stringere una
relazione sana, come arrivare semplicemente ad essere persona?
Dio stesso parla ancor piì1 immediatamente nel nostro ambito
personale, rivela sé, il suo completo essere personale. Dio non ha
mai interrotto, per quello che lo riguarda, il dialogo con gli uomini
inaugurato nella parola creatrice, bensì anche dopo la caduta deJ
peccatore ha conservato e continuato nell'alleanza col popolo eletto
quella società con gli uomini, che in Cristo, l'ultima e definitiva
Parola, ha trovato la sua ultima e più perfetta espressione. Egli
è la persona perfetta, che può riproporre e stringere i veri ed integri
rapporti.
Soltanto muovendo da lui e attraverso lui si può rendere compren-
sibile e possibile un modo concreto di diventare persona, il solo che
s'accorda con la prospettiva cristiana. Perciò dobbiamo anche noi
..iffidarci a lui nella fede incondizionata, per essere da lui liberati, per
diventare persona, per raggiungere il vero io in una definitiva rela-
zione di risposta a Dio Padre.
Per il fatto però che Cristo ci rivela di nuovo, anzi ci dona rinno-
vato il nostro 'essere chiamati' da Dio e la nostra capacità di rispon-

'° Cf. R. GuAK&INt. vp. nt .. p. 112


L'UOMO COME PERSONA

dere al 'ru' divino, identificandosi _semplicemente con l'uomo,


volge nello stesso tempo il nostro sguardo su ogni 'tu' del
prossimo che ci circonda e ne ripristina il rapporto, cosicché
la via del '1u' di Cristo per me può passare addirittura attra-
verso il '1u' dd mio prossimo: in 4ucsto senso il 'tu' di
Dio mi è affida10 e reso accessibile nel 'tu' dcl prossimo; mi
è affidata però d'altra parte anche la cura per ogni tu, in quanto
'io' per lui ho da coprire il posto di Cristo e da compiere il servizio
di Cristo.
Così dunque in ogni atto umano, che è sempre in qualche modo
ordinato alla formazione della persona, sono presenti contemporanea-
mente tutta la dialettica e pienez7.a della chiamata creativa, della pec-
caminosa opposizione umana, e del rapporto redento, cioè reso libero
ed elevato, con il tu di Dio in Cristo.
E in questo ambito, in tutta la sua complessità, l'uomo diventa
un vero 'io', riferito al 'tu'. Così anche la somiglianza divina che
noi già possediamo, è somiglianza con il prototipo del Padre, cioè
con il Fi1dio.
E ciò innanzitutto vuol dire, che noi, come il Figlio, ci possiamo
comprendere soltanto partendo dal riferimento al Padre.J 1 Il fon-
damento trinitario del nostro essere in relazione di creatura, do·
vrebbe essere svolto distintamente in un proprio trattato.JJ Sinte·
tizzcremmo questo trattato così: ogni nostro stare-in-relazione con
altri uomini se vuqle unire autenticamente una persona sana ad
un 'tu', deve necessariamente fare riferimento alla santa persona di
Cristo, la quale ha redento il_nostro riferimento al 'tu' e lo ha restau·
rato in modo ancora più meravi1dioso. Resta, da un lato, vero che
attraverso Cristo e la sua grazia,31 sempre riferita essenzialmente alla
persona, ci è nuovamente possibile di diventare persona. come

JI a. o. SEMMF.LIOlli, Gott """ Metucb ;,, &iein11na. Frankfurt 1.M. 19,6,


p 91: •Secondo la testimonianza dd Nuovo Testamento, il Figlio, la seconda divina
persona, è l'immagine originaria di Dio (.z Cor. 4'4; Col. t,1,)•.
l2 Cf. B. l.AHGEMF.YElt, op. cii., p. 21).
ll Per il problema 'grazia-persona' d. H. Vouc, Gnade ,,,,,f Person, Go/I alles
in 111/enr, Mainz 1961, pp. 113-129; J. B. ALFAKO, 'Penoo und Gnade', in MTZ
Il (19')o) 1-19
APPllOFONDIMENTO TEOLOGICO E OHTOLOGICXI

d'altro lato, che noi non possiamo mai pienamente raggiungere e


possedere questo dono ed il compito che ne deriva.
Sostanzialmente è Dio che ci gratifica del nostro essere persona.
Grande è questo mistero! L'Apocalisse esprime in altri termini que-
sto stato di cose con l'immagine di una bianca pietra sulla quale
sta scritto il nome di ognuno ( Apoc. 2, 17 ), nome che nessuno cono-
sce, all'infuori di Dio, e che soltanto Dio gratuitamente può rivelare
a qualcuno.
Sembra che gli uomini si possano comprendere solo là dove spira
lo spirito d'autentico amore; solo la comprensione di un 'tu' ci può
aprire gli occhi su certe profondità, come soltanto nell'atmosfera
della più pura comprensione e di un amore disinteressato mi può
essere manifestato chi io sia veramente.
In questa maniera, soltanto Dio, il 'tu' più puro e più perfetto,
mi può realmente amare: egli è in grado di situare il mio 'tu' in
modo ultimo e decisivo, di comunicarmi il nuovo e permanente 'tu',
di chiamarmi con un nome definitivo ed eterno, che per sempre
esprime e custodisce validamente e pienamente tra lui e me il mi-
stero della mia persona.
Così vediamo, in definitiva, che non possiamo alla fine compren-
dere l'essere personale altrimenti che in prospettiva teologica. Infatti
la nostra relazione a Dio, che risplende già in forza della creazione
e attraverso alla creazione, nel rapporto interumano al tu, ma che ~
falsata dal peccato, è alfi.ne redenta da Cristo, da lui rcstauratli e
portata a compimento.

d. Sintesi

Persona dice l'essere più intimo di ogni uomo, il suo io, in quanto
si può comprenderlo solo in un rapporto reciproco al tu. 14 Questo
rapporto è essenzialmente dialogico, poiché vive di chiamata e ri-
sposta; esso è dono che si riceve e dono che si dà, poiché si fonda
su un dono gratuito, che diventa per noi un impegno da concretizzare

" Cf. •imilmenre A. BauNNER. La P~rsonn~ lncarnh·, Pari• 1947, p. 226: «rela-
1ion •11bs1anridle ou encore subs1ance rapporrfr•-
330 L \JoMO COME PllSONA

nella libertà; esso è rapporto d'amore:, poiché gli è inerente una


dinamica creatrice. Solo in quanto ci comprendiamo in riferimento
ad un 'tu', possiamo semplicemente dire 'io'.
Il fondamento della persona sta nella relazione al 'tu', che in-
tratteniamo con Dio Creatore e con Cristo 'Nuovo Creatore', rispetto
al quale dobbiamo intendere tutto il nostro 'essere persona' come
una risposta d'amore. Sulla base della relazione di creazione si
realizzano questo divenire ed essere della persona fondati in Dio,
nell'ambito interumano: spirito, corpo e mondo sono sempre onto-
logicamente ordinati alla persona, e perciò sono momenti da integrare
a livello personale in questa relazione.
Noi intendiamo la persona sempre come in divenire, che cresce
in una autotrascendenza continua e non cessa d'assimilare, come con-
dizione trescendentale-personale della sua possibilità, la relazione crea-
zionale di chiamata e risposta da parte di Dio (come momento
immanente). Essa diventa però categoriale nel rapporto interumano
creato, 'io-tu', in tutte le sue molteplici mediazioni cosmiche
Per completare questa visione essenziale della persona si devo-
no ancora spiegare alcune sue determinazioni, soprattutto confron-
tarle con le formulazioni classiche del concetto di persona.
Altri capitoli tratteranno della concreta attuazione, nella forma-
zione cristiana della vita, di questa relazione 'io-tu' che costituisce
la persona. 35
Cosi la cosiddetta autonomia della persona è sostanzialmente uno
'star di fronte' al 'tu'. Certamente non viviamo in «una esistenza
puramente autonoma, bensl in relazione personale d'esistenza», poi-
ché, nel nostro io, siamo chiamati fondamentalmente a un confronto
con Dio, 36 e non isolati in un puro 'io'. Ogni auto-attuazione significa
quindi sempre attuazione in dialogo al 'tu'.
Ogni singola persona è ininlerscambiabile e irripetibile in quanto
fondamentalmente rappresenta la rispettiva chiamata di Dio, che mi
c.hiama per nome. Cosl la relazione 'io-tu', costitutiva di ogni sin-

35 Cf. soprattutto in M ysterium Salutis. v, cap. 1: Legge di Cristo e moralità cri-


stiana (Queriniana, Brescia).
311 C:f. B. RosENMOl.LElt, M~taphysik der Seek, Miin.<tcr 1947. p. 197.
81111.IOGL\PlA 331

gola persona, è una rdazione di dipendenza sempre originale e per-


sonale, e non puramente formale.
Persona è da ultimo profondissimo mistero, che si sottrae a qual-
siasi cattura: essa sfugge quando ci si accosta ad essa considerandola
come un oggetto. Appena la si vuol prendere come oggetto, essa non
è più persona, e, quindi, non è mai oggettivabile.
La persona non può mai essere pensata come singola, bensl solo
in una intercomunicazione creata e amante con altre persone.
Ciò che l'uomo significa in quanto persona, sarà illustrato in se-
guito nel capitolo: 'l'uomo e la parola'.

CHRISTIAN SCHUTZ - RUPERT SARACH

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SEZIONE QUARTA

L'UOMO .E LA PAROLA

1. La struttura dialettica della genesi del/4 parola

PLATONE nel Cratilo presenta Socrate che domanda al suo interlo-


cutore: cCon quali parole [l'inventore delle prime parole] aveva
conosciuto e contraddistinto le cose, quando ancora non c'erano le
parole primitive, mentre tuttavia noi sosteniamo che è impossibile
imparare a conoscere e contraddistinguere le cose se non imparando
le parole o rintracciando la loro stessa essenza?.. E più oltre: cln
quale maniera possono cosl essersi formate con cognizione le parole
o essere in grado di detw legge, prima che ci fosse anche una sola
parola e che essi ne potessero conoscere anche una sola, ~ è
possibil~~ll~.f~r~ le -~-~--"9!L~.m_averso 1~P!!Ple?» (dr. 438A-
438D).1 A chi prende sul scrio ambedue le questioni circa l'origine
della parola e il suo rappono con chi parla e con la cosa espressa,
sembra di essere arrivato in un vicolo cieco. È il linguaggio che
precede_il ~nsiero o _è_ viceversa? La parola IL.asce ~ _~-fi!to libero
di colui che conosce, o la deve semplicemente accogliere in prece-
denza come_~!:/PPOStQ.-della propria auto-attuazione? Appartiene
essa al n6mos? Nasce dalla phjsis che si rivela precedentemente ad
ogni cognizione? O c'è for~ un centro un_ificantc, che fa uscire da
se stessQ_):a.U.Q..c;m.t.o.t:~. e accq&lie quello percipiente della parola
come poli distinti che tuttavia media e riconcilia tra foro? O forse
c'è stato un terzo elemento al d.Uà del ~!!siero.~ del!!_ ~tà («sia
egli stato un.~_..P.QJ~.m:_~ ~ovrµm~a.~J.J~_ensa Cratilo), che ha donato
alle cose il loro nome originale e perciò'vero'?Per questo motivo
infatti le cose potrebbero sia adeguarsi .alla conoscenza_ partengo
da.. s.e st~sse, e nel nome che esse possiedono, rinviare a se stesse, sia
1 Pi.ATONE, I Jitr/01,hi. 1'11polo1,it1 r /r rpisto/r (versione e interpretaione a cura di
E Turolla, Milano-Roma 19n. 11, p. 6<19.
L'UOMO E LA PAROLA
334

anche richiamare colui che percepisce le parole, sulla giusta via


verso ciò che egli vuol conoscere. Colui che apprende non sarebbe
peroallora c~ndan~at~.---per rispetto alla parola, a unL..Q_ass1vità
i~~ Da dove potrebbe egli sapere che queste parol~o
quelle giuste, che cioè esse sono veramente commisurate a lui e al
reale? Non contraddirebbe a se stesso nel formare le parole, dal
momento che egli dovrebbe affidare la testimonirn._d_~Lsuq_ agire
a un altro, che lo avrebbe posto a priori per lui come grandezza
stabilita? Cosl si concretizza la ricerca della genesi della parola.
Noi sperimentiamo che la parola ci ha ormai presi sotto di sé._che
noi i~___!!.!uUQ.oiamo i quesiti e li avviaip__9__ all_!!.~!uzione. ,
Dove dunque è da ricercare ~~i~i~?.. ~~!'-~-- p__g!0e, dalle quali
noi ricaviamo la conoscenza perché esse, in un'antecedenza irrag-
giungibile, hanno resa possibile al .12~!!.s_ieI_Q_ .!l!!!L_s_y~ S.PQ.Q.t~ità
facendolo diventare penetrante nei confronti della realtà? Oppure
nella~oscenza che genera_ la ~rola com~_!'()_eera ad__ ~~a _c~mmi­
surata e come pegno della verità conosciuta? L'origine della parola
sta forse in una preliminare assenza di lin1Wa&&io da parte del pen-
siero, che da tale condizione iniziale diventa per la primlt volta
~ace della parola? O invece il ~n~ù:ro è -~ui_pre già rivestito,
riemfil!Q_ ~--~!E~~- d~lla parola, di modo che esso non si potrepbe
sottrarre affatto a questa sua situazione originaria, senza cessare
d'essere quello che è? Nella genesi della parola l'inizio si svela come
stimolan.~ienezza e ricchezza della parola_g!_à_.~n>lUlllciata, oppure
come la mancanza ~--!''!~s~~- di essa nella povertà, perfino nella
impotenza della nuda assenza di parola da parte del pensiero?
All'inizio c:è.J.IL.~la, oppure i1l fatto della~Qllsi.scenza muta?
Un pensiero determinato in se stesso, là dove esso prende la sua
iniziativa priva di parole, non avreQ\?~ m,1JJ_a_ a che fare con la parola
c~~---~-~le, giacché esso non potrebbe stabili~~-~- pr~ede~iil ri-
sultato della sua produttività, se vuole incominciare senza condi-
zionamenti. ~ perciò la parola, quale frutto della conoscenza, qual-
cosa di dist~mo ... µ~i ~.<>.i:!.fro11ti d!~a sua genesi? E questo inizio è
tJ priori, perciò sempre inizio__Q.i_~_st~~ li!!!Il_utabile_.__·_~_e~itivo'?
Questo inizio però, in quanto termine d'un pensiero produttivo
solo in apparenza, sorgerebbe attraverso una vuota ripetizione di se
GENESI DEI.LA PAROl.A
335

stesso, ancora una volta come quel risultato che esso g1a e stato;
apparirebbe come un aborto privo di vita, il quale era già di per
sé un cadavere; la paro.!.!...infatti.~o.~ sarebbe generata dalla po.~~a
vital~__Q.dlQ spi,rito, e in tal modo non conferirebbe a chi parla la
libera auto-espressione. La parola (come questo inizio isolato rispet-
to alla sua m~iazione attraverso la libertà) non avrebbe negato
proprio la sua origine in chi parla, e avrebbe con ciò distrutto se
stessa in quanto è ciò che si proferisce?
Se essa rim1l11ess~ in tal modo ancorata a se stessa, colui che parla
non potrebbe più c~~~care se stesso ed espriinere se stesso nella
parola. pçrché questa lo velerebbe. Essa avrebbe distrutto la po-
tenza m:Lsuo stesso cr~tore mu~_Q~J~_nel)_l!_p~~.P.ria mag~ccnza,
l'avrebbe riferita a sé, posponendola a se stessa e rifiutando il ser-
vizio a colui che parla. Essa rimarrebbe sola in sé stessa e perde-
rebbe io___tal modo la sua utilità. Parlerebbe 'da se stessa', senza
essere aperta su colui che parla. In questa par~__Q!!Ì!!di nulla più
potrebbe_ venir detto. Dal momento che pensa se stessa, non offre
via libera per una sempre maggiore verità della realtà che vuol
risplendere in essa, sicché viene espresso contemporaneamente 'tutto
e nulla'. Cosl l'uomo e il mondo sarebbero condannati alla mutezza
----···--- ·--·-··--·-·--
nell',!!_~1~~~- A~~it_!yl~__d~ __ qu~t~_.P1l~la; essa ajatti n~~~rebbe
co~ l'~.o. Mi sé chiuso, da un parlare solo passato, sfuggente
nello stesso discorso e mai presente. Essi dovrebbero perdersi nella
struttura 6.!_s~ ~i_ ~l!~ __te~.~~!1t~ .. ç~c: ...U_ doIJ!L~e~bbc_.~~ll'esterno,
come una super-parola, da una sponda opposta e lontana. In essa
Slll'Cbbc già tutto detto, s~nza che l'uomo e il mondo potessero
esprimersi in se stessi. Ma d'altra parte_ questa ~la~--~~te
non avrebbe allontanati l'uomo e il mondo l'un l'altro, non li avreb-
be sempre più legati a se stessa? E in tale modo non avrebbe oscu-
~. Ja. hm: _d~!:LV.c::rità, in forza della quale tutti e due si appar-
tengono inscindibilmente, anche se tuttavia essa, in quanto parola,
non sembra esprimere nient'altro se non che l'uomo, co_n~ndo,
è /!!_e!s.o. .. l_'(lltro._, disti11to_ da !'!__stesso? Ma questo altro però, in
quanto conosciuto, non si realizza forse completamente in lui, e
appunto per questo si manifesta a lui stesso come la realtà?
L'UOMO E LA PAROLA

2. L'infranta unità di pie'!eua e di povertà


all'inizio della parola

Se si dice che il modo di parlare segue irreversibilmente il modo


<l~ c<.moscerc, allora colui che conosce crea la parola come frutto
e testimonia.nzjl. delll! lilli! C<.l(JQ_Sfe_l}_Za. Egli pone, creando, la _parola
come la ,jcop.e.tlll_figy_r~~.1l@!k del ~. In essa egli suggella la
forma matura sempre più perfezionata de~!!!.. sua auto-realizzazione
che cresce mediante l'atto della conoscenza. Nella parola hmmo
pensando introduce nel seno del suo intell~tto percipiente il mondo
che glL~ta di frmite; egli infatti riflettendo penetr~ e rito~na nel-
l'ambito interiore della sua esistenza. Include le cose, che. non pos-
sono comprendere se stesse, nelli!__p_a_i:9la, e quasi dà lpr.o_J):IQ80 e
dimot;i....dentro se stesso. Movendo dalla essenza del mondo, egli
introduc.e_in sé.il.,mondo che ~UP~.!!if.~~-~~...nella parola lo fa parte-
cipe alla storia della sua libertà e gli dona fisionomia umana. Cosl
egli custocli:ice e _presç_rva _la_r_~~hl.....n_ella parola _eh~ _glU~ dà. Ciò
facendo però, l'uomo penetra, in un certo senso 'dal di fu..ori~,.. nel-
l'insondabile profondità della ..!!:!!..- esistenza; mediante la parola
diventa familiare a se st~.Q_e.divkn~_ç.Qll~Jo di sé. Nell'attuazione
della conoscenza non si tratta per lui di un'accresciuta quantità di
nozioni, di un sapere misurabile (come somma di dati di cono.,
scenza) che egli si procura, bensl della pien~~_della sua esistenza
viva., __che su~ra se...\tessa..ndla...co~eoza; si tratta cioè della cre-
scita della sua libertà. Mediante la parola generata pensando, l'uo-
mo_ pcn~tra n~ fondall)ent~ rad.it:lil~4._e! ~u()_!!Ssere_p_l'_op.ti_o, a lui
assegnato, nel sì fedele alla propria natura, senza che possa lasciare
dietro di sé il punto di partenza e lo strumento di questa media-
zione (dentro l'aumentata ricchezza dell' 'essere presso di sé'). Egli
nella. parola guadagna aµtonomia. Ma mentre egli sta fisso .iii se
stesso, rimane tuttavia continuamente colui che ha fatto irrµzione
nell'aperto del mondo promesso, e colui che si è proiettato nell'am-
bito d'incontro di 'io' e 'tu' che lo circonA~_Egli è, in modo irrevèr-
sibile, presso di sé solo quando assume la responsabilità della sua
povertà ubbidiente verso l'altro, l'altro che rivela se stesso. Con
PIENEZZA E POVERTÀ ALL'INIZIO DELLA PAROLA
B7

ciò tuttavia l'indagine circa la genesi della parola si è ulteriormente


inasprita.
Per quale motivo e come -l'uomo, mediante il libero, illuminato
esser-presso-di-sé, mediante la ricchezza della sua auto-presenza co-
noscente può, ~Ila parola, aprire all'altro l'ambito a_ lui ad~_gua!_o
del farsi conoscere, della sua auto-espressione partlcolare, propria
rispettivamente soltanto a questo altro? Se è la__pa_rola che sta al-
l'iniEo della conoscenza, se l'altra realtà è sempre già- espressa in
me_i11 p~ole, se io sono sempre trasferito nella ricchezza della
parola, rimarrebbe allora soltant9_ la gloria dell'io che djspone di
se ,.s.tess_o nclla. _J!it[Ola, e che escluderebbe il tu e· il mondo? Ma
come potrà l'uomo agire ancora come se questo inizio nella parola
fosse_ 'nulla', come se egli fosse colui che continua a percepire ciò
che primieramente arriva sulla via del linguaggio e si protende verso
la parola futura? Come può egli, riempito dalla parola all'inizio
drl___pen~, essere appun.tQ _in_ tal~ mQt/Q__!'.Il~~!__il_!Oggc__tt_?__di sé, il
quà.Ie, divenuto ancora una volta povero nell'accoglienza priva di
parole, rientra in ~-.e Jascia __che_l'.!l,tr9_ parli in -~ __ stesso? Questo
infatti si rivela solo mediante la parola generata già dall'uomo,
quindi sotto il sigillo di una libertà che possiede se stessa!
Non dobbiamo sacrificare la ricchezza della parola già anteceden-
temente pronunciata all'inizio, alla sua povertà svuotata, a favore
del reale fhe deve es_prime~i pal~~m~_~te_j~ se stesso,_ nd suQJJon
maniP-Ql!lbile 'c~_e' e 'co_m~? Non .dobbiamo d'altra parte abbando-
nare la funzione di servizio ~e!_la Pll!E~._ fu11Z_icme _vuoti!_ di_ sé e an-
nichilita, nel suo inizio, ci~ l' 'assenza di par~a' del pensiero, alla
ricchezza e alla pienezza d'essere dello spirito che possiede se stesso,
in quanto egli è colui che con~sce, che è potente nei confronti del-
l'altro da se stesso, colui che perciò soltanto nella parola gli dona
lo ~io corrispondente, in cui esso si può rappr~~tare ~mo­
strare? La parola tramandata per poter essere pronunciata ~me
veramente presente nell'oggi, non :leve forse venir meno come pa-
rgla già__n~a, non deve esser 'indeterminata', affinché essa esperi-
menti nel discorso spontaneo qui e adesso la sua rispettiva deter-
minazione storica, il solo significato inequivocabile per me vinco-
lante? Dinanzi a questa dialettica apparentemente insuperabile,
12 - MysltriuM .Salutir, 11/l
} 38 L'UOMO E I.A PAHULA

l'indagine circa la genesi della parola non finisce in una rral(ll ~


fta_mmentarietà senza sp~i:.anza? Pòtere e servizio, magnihl·en:t.a ,
povertà della parola si pongono qui radicalmente inconciliabili uno
accanto all'altro.
Tutti e due i lati di questo inizio dissociato distruggono perii
la parola stessa: l'uno c1jg_e__ .l'.i.JJ.ikia.t.iv:a_ priva di _p;u.olit.ikll'M.to
del cmw~ere ed esige la ·~pontaneità senza premesse di un intell\::tlO
senza provenienza, che incominciando dal punto 'zero' ha davll:,nti a
sé la_p.ar.ola çom~ form~ _ppt:amente_futura <:_!ella sua auto-rappresen-
tazione. Questa struttura propria dell'inizio sott~~~ _all'uom.C>..TI suo
es~e_pr,~_ss9 fi_i sé antecedentemente comEi_!JtO~ per tenergli aperta
in tal modo la vi;i--;iili parola ~-~~si-T~--f~tura possibilità di realizzare
la sua 'li_ber.a' auto-enunciazione. Ma come potrebbe egli giunJ(t:rt"
a sé, senza esse~~ gi"à Titlzialmeote__~s~Q __ c;li_~_gp~çt; -~ioè __~~l!d
/
P!!!:Ql!!.? Come potrebbe essere percorsa questa via dal nulla all'es-
sere? L'altro lato della dialettica immiserisce e abbassa q~ero
a semplicc___ rjç~_uJyjtJ. impotente, incapace___ ..QL E;:.o.<!!!n:~J~_pa_rola.
perché questa 'ha detto se stessa' antecedentemente in maniera
ambigua e non può introdurre liberamente il pensiero nel lingua~­
gio. Perciò l'uomo non potrebbe rendere attuale la parola che fosse
solo presupposta, già «stata», e così riconoscersi come spirito che
conosce nel momento attuale della sua esistenza, e comunicarsi crea-
tivamente dall'interno.

a. La povertà degenere nell'inizio, come mutezza


e pura futuribilità della parola

Ma l'indagine della genesi della parola, in cui ci siamo introdotti,


tiene incatenata la riflessione né soddisfatta né disperata, a questo
punto della linea di pensiero intrapreso. Giacché la dissociazione
dell!,_parola n~lle due di~~ns.io~_i_i~~~-t~ Ai pi~nezza e di _EQ_vertà
del suo inizio, dissociazione che apparentemente distrugge ogni lin-
guaggio, non ha ancora raggiunta nella forma sopra delineata I.i
estrema acutezza e inesorabilità. Essa piuttosto è, per così diri;.
rimasta ferma 'a metà strada'. In altre parole: l'as~_r:ill_a___ ~l_i.~h:
e la 'povertà' 11<:L1,1a~~~!~--~~fui __.e~~~ non è ancora abbastanza
l'IENEll.A E PU\'l'.l!'l'À Al.l.'INIZlll UEl.Li\ l'AROl.A
339

dimostrata e scoperta come povera; e la 'piem:zza' della par,1la. la


testimonianza dell'uomo esistente liberamente presso di ::.é, noe
sempre attuantesi nella parola, non è ancora dimostrata e scoperta
sufficientemente come potente. Cosa significa ciò?
La privazione di parola dell'uomo, il quale ha davanti a s~ la
parola esclusivamente t:ome torma dclh1 prnpria auto-rcalia.1.i:io1w,
ancora da forgiare, futura. non si può ..<lppunto mai i.up1:rar" <1rri-
vanc\P- allit parola, dal momento che essa è muta. Essa n11n ,,,.,_fa
nessun vero percepire. bensl trasferisce il pensiero in una powrtà
apparente. Essa è ~~Jw_ra senza __ PQ!!S_i!?_~.fo~__.4L. ~~__gho, "·he
tenta di legittimare il suo inizio sostenendo di non aver accolto
nulla in antecedenza. Essa rimane quindi U!} ascoltare richi~sn su
se ....stes~Q._die_ 4. priori si è staccato dal presente incitamento t: ap·
pello della parola e perciò lo ha ipostaticizzato in una chiu~ futu-
ribjlità çhe_ -~~IJ arriv.a mai..all'.Qlgi. Mentre il pensiero in tal moJo
senza parola tenta di schiudersi nell'atto e di attuare la propria
produttività, gli sfugge appunto la capacità de_l!a p8:_ro!~- t~~-µ.ra.
Ma un futuro che non arriva, si è antecedentemente abbandonato
al suo passato. Vincolato a sé, esso è già 'stato' ed è per l"uomo
una realtà fissa sottratta, che egli non raggiunge mai e che storica-
mente non può giungere a una conclusione.
Infatti la parola puramente futura Lide.mi.ç~- ..altes.sere_.prruo
diJ.~ q~lJ~.Jjbertà___çl_g_~tJ~.~!.~. pri_n.:iie!all_l.e_.t_?._te,!... !:'.!~.. 9:'?C.~r.~~e!._1~to
inesistente. Perciò l'uomo sfugge in una fuga in avanti. E~di si
avveJlli!.;:.a. __.t_?.~l!~'..C:s~l!r.~_JE.Q!:.L~L~~· e perciò deve primkramt!nte
comprendere la sua propria natura a lui ancora ignota. Da un lato
questo lll~ll!.()___~el_ta. _ear_°-!l!.. Q~.Y-~_9!:!ingi es§..t::!L' vu_oto'. affinché t·sso
non prevenga in nulla la propria spontaneità; d'altro lato ;. ~ià
'com~1:1.t()'~ .. gJac_ché -~()lq C()SÌ .. ~PRare gi_~stifiC.l1~9- il pJim.2, __ pa~ in
llmD· Siccome però l'uomo non è ancora rientrato ndla sua
natura propria, cioè non è ancora capace di parola, ciò succede per
il fatto che il fµturo litt_rli_\'._e_!sl:\..H_.'_QlJfllQ .i!;.m' .dc:llaJib.enà. -~-ot1:c.i.;.d1.'.n­
tememti1!!.P.overitl! (nel suo presente anrnra incompiuto) l' dh·enta
passato. Allora la libertà potrebbe guardare indietro al sui• di~p,,rre
di sé, preso in possesso nella parola. Essa avrebbe mediato l'atto,
inizial~e~te ·ancora futuro, deffasi:;-a autodeterminazione, 1..on ,:i{1
L'UOMO E LA PAROLA

che essa era sempre stata fondame~talmente, anche se non ancora


come ad essa stessa spettante, quindi con la sua natura. Nella mi-
sura del suo passato che diviene più ricco, essa sarebbe giunta alla
sus~~s__lcm.a con~~ta. In tal modo essa afferra il futuro in vista
esclusiva verso ciò che è passa/o e che giace, dietro di essa.
Ora, vera spontaneità significa però attuazi~!l~ yitale _c;!~l'uomo
svolgentesi in_K __(f!f[~Q_j!!!_~anens). Mentre la libertà s'abbandona
tuttavia al futuro da elaborare, essa sacrifica il quieto essere presso
di sé, nell'oggi, alla tranquillità di domani che si annuncia; a quel
giorno senza tramonto in cui crede di diventare pienamente con-
scia di sé. Ess1L..dev~ te.ner 'vuoto' il ~u() pr_i;~Jlte,/per aver ancora
qualcosa davanti a sé e non affogar:e nella pura ripet~ie>~del_pas­
sato. Quindi anche il futuro dev~imanere differito _e. negato. Per-
ciò in due direzioni è estraniata dal suo proprio parlare nel pre-
sente: nella_~~ospetti,va. ,<!i u!!__ futJ:JJ:O, che essa vuol rendere acca-
duto a favore del suo compiuto essere-presso-di-sé nella parola, e
per rispetto. d.Lun pa~_sa_to che essa mira a togliere in quanto con
la parola ancora da pronunciare protende verso --il futuro i l suo
proprio essere se stessa. Ma H suo presente è_J~~ e semplice
antite&l della pa.nÙ_Lnon ancora fu~ura e di quella o~ espressa.
La pacala_ futurLOQD_ -~~___come un dono. Giacché essa
sarebbe allora sempre trasparente verso uno che la dona. Dove.ri-
marrebbe allora l'autocomprensione della libertà nella parola, che
essa sola genera? No, l'assenza di parola deve rendere I.!_ p&!'~a
·~~nte', deve far scorrere nel serbatoio del passato, attraverso
il vuoto presente, il futuro ancora non introdotto. Ciò non avviene
per il fatto che l'uomo sarebbe oramai antecedentemente diventato
ricco nella parola, come uno che ode (perché ormai ha percepito
e cosi realmente può ormai essere impegnato al presente dal fu-
turo della parola); bensl in quanto egli, partendo da sé, dispone
su ciò che verrà_~- riç<!_n_osce_ e attribui~e.. import~ e rango alla
parola_proprio mediante la sua povertà apparente. La sua presa ane-
lante verso il fut~ro imprime-- a ciò ch~-è-carpito il carattere di
dono e lo trasferisce così nell'oggi. Qui però l'uomo non può
acquistarsi; infatti il resto del futuro, non ancora ottenuto, lo spinge
ancora in avanti, e respinge indietro il presente nel passato. Perciò
PIENEZZA E POVERTÀ ALL'INIZIO DELl.A PAROLA
341

l'oggi, sia rispetto al passato attuato della parola già pronunciata,


sia anche rispetto alla libertà sottratta nella parola di domani, deve
scindersi da.....un lato .i.n !l,uda,c~a e d!ill'altro iri_ 4i~2.c;razione. Cosl
l'uomo vacilla nella sua spontaneità proprio davanti a questa fi-
gura della parola solo 'non presente', che lo avrebbe dovuto svin-
colare dalla caduta regressiva sotto la potenza ormai compiuta
della sua origine, e dalla parola solo passata, che non lo rende li-
bero, e avrebbe dovuto farlo erompere nell'agire creatore. Con la
paraJa 'che. si forma', l'uomo diverrebbe primieramente se ste~~o,
sebbene tuttavia questo giungere a sé presupponga già la libera
auto-disponibilità dello spirito finito, il suo potere su di sé e sul-
l'altro da sé, nella parola.
Però solo là dove la parola ormai generata, partecipata e ascol-
tata, movendo da sé ha qualificato e liberato lo spazio in cui essa
si dona e in cui essa nasce, là d@que dove l'uomo è orm!l_!_ risve-
glia\f) aL!!!l~agg_io, la muta assenza di parola del principio viene
elevata alla I_>overtà dell'~ccogliere, vera, cioè silenzio~ perché ar-
ricchita dalla parola. Solo ~l~i che è capace di parlare, è _?_.P.ace
di tacere e di ascolta!e___\'.~~m_ent_e. Solo la ricchezza della parola
donata in principio, rende poveri. L'ascoltare non può r&ggiun-
gere se stesso per virtù propria e ;dndare se stesso alla parola. Se il
vuQtQ iniz_io della conoscenza si distingue dalla pienezza della pa-
rola, la quale soltanto dischiude l'uomo all'apertura spoglia di sé,
cioè all'autentico futuro della parola e la rende capace di essa, al-
lora egli cessa di essere povero. Egli appunto ora non è più tenuto
alla parola_ futur_a sempre n_11_01Ja, che egli tenta di produr~e - per
salvare in ciò la sua spontaneità contro la super-potenza, falsamente
presupposta, della parola 'passata'. Questa forma della mancanza
di parola quindi vuol rendersi povera per giudizio proprio e l'a~l­
tare manipola se stesso nella sua pseudo-umiltà. Esso con ciò ac-
quista segretamente po~e _sopra la parola, che dapprima deve
venire e 'parlare'. Giacché la parola mediante l'autoriflessione irri-
gidita è a priori data in balla e sottomessa alla povertà del perce-
pire, e al posto solo apparentemente 'vuoto' dcl suo stesso arrivo.
Essa è rinchiusa nella via che l'uomo le ha fissato e ascritto, e de-
rubata del suo vero avvento. L'inizio muto, privo di parola, ha
L UOMO h LA PAROLA
1

ormai ingoiato in se stesso la parola. Esso non è abbastanza 'po·


vero', perché si ~ falto e~su .susso. dotato .in 111aniera ambig~ ed
è diventalo 'povero' per virtù propria. Così egli, sotto l'apparenza
dell'impotenza e dell'auto-distruzione, ha instaurato il dominio sulla
parola. La po~ertà dcll 'as~ol t"l~~-p;~-~ n_l~~---p~Ò gg_y_i;~~~-re ~~ _st~~§a,
s~n~; con ciò toglh:rc alln parola la sua fecondità in mezzo al vuoto
ad essa presupposto. I.a p:ivertà ddl'asst:nza di parola, che dispone
di se stessa, rifiuta alla parola il fuwro, poi~hé~sa ha tolto già
in antecedenza alla parola il suo presente. L'uomo proprio ~ra ha
dietro di sé la parola come puro passat21 quando egli. ~~~d~ di aver-
la davanti a sé com~ futur~;. 'l~;~d~ ~gli ha dato a se stesso la pro-
messa di ciò che doveva accadere e si è impadronito del dono della
parola per un ascoltare che padroneggia se stesso. Ciò significa che
l'assen~!l.. cl,i parola dell'intelletto che percepisce deve già essere
riempit~c.l~lluar~la, e ·13 s"lià pé»vertà sT"deve·-~~cl~re·~~me-~i~~h~~za
dell'aver accolto, affinché l'uomo in quanto libertà finita possa .pro-
durre J.a_.parn.l~L_C~lf!~ J.~~~_!~.. A~!l~_.Y.~Ii~~--_çonosciuta e testimonio
della sua autorealizzazione. L'origine della parola perciò non sta
già nella mutezza del pensare, padrona di sé, -~nsì nella povertà
deL.s.i/.ezW.Q, capace di parola. . --
L'inizio muto ed estraneo alla parola nella nascita della. mede·
sima aveva sacrificato la sua ricchezza alla povertà degenere. Affin.
ché l'uomo spontaneamente giungesse alla parola movendo da sé,
fu spcntaJLIQc;~__ g_~lk._parola~~a_n__!_t:cedent~C,:!_lte I_()_ l!bili_t_av~ al
lÌ!!&_uaggio. Il silenzio però manifesta ia vera povertà dell'assenza di
parola, come il pegno della. ricchezza creatrice i:lella Hbe_rt?_ n_ella
parola. Esso s_yela l'ascolta~~he accoglie_ la parola, come l'unica ne-
cessaria condizione della possib!fità della sua nascita e della sua
fecondità manifestantesi nel parlare. Solo attraverso il tacere, il
priQcipiQ del _P.C!_!_lsiero, _prb:~-~- ~rola, ha superato nellànascita
della parola il suo ~;uoto menwgne~o e ha scoperto la sua -~era, ab-
bandonata povertà, che nasconde in sé tutta la ricchezza del par-
lare. Nel silemjg .1~.~_rola ~~g~~~Qsiero, sebbene il pensiero
ncl~lenz!o_ sia ~<;f!lPI!__g;uq nella parola e presso di essa. Poiché
la parola è dapprima povera nel sile~i~. essa ricupera se stessa
senza riserve proprio là dove nasce nella sua pienezza in quanto pro-
l'U-:NF.<'.ZA I! PO\'EKTÌ\ ,\1.1.'1r-;u:10 DELLA PAROLA
.34.3

nunciata; apre la via (che è la stessa parola) verso la sempre più


profonda vita di colui che parla e la sempre più grande verità del
reale. Essa, al fiaru;u .. di .colui che l'acco.g!!~-- e l~... comt.1n.ica, si
collp_ca come .. P9.t.~m1, cioè lasciando libera l'auto-espressione di ciò ,
che viene enunciato e di colui cui ;;: rivolta la parola. E appunto
questo .:..auto-.abbando1111rsi.' dcl.la . pm:ola .gar.a.u.tiscc a c:hi .parla. an-
che la pienez:.::a della sua auto-espressione. Giacché soltanto allora
egli dqna qualcosa di se str;s:~o,_ quando il suo parlare si sprigiona
dalla pn,>fondità ... dd ~.MQ e§..sçxg __pJ's:Jiso .~i. . ~!.h. pienezza che gli è
stata aperta e assicurata dalla parola, antecedentemente accolta. La
ricchezza della parola nell'ini1o:io rende il pensiero in sé cosl libero
che esso si attua liberamente n per il proprio bene nella parola e
segue la parola.
Questa successione però è, sul fondamento appunto della po-
vertà di questa parola nell'inizio, l'unica garanzia del fatto che il
pensiem....-~_c_çJ.rr...maj<?3eatorc Aella _parola~is~ne in_ essa _dj
se ste~_c!-~he il majo__4el Pl!!~.!.e_2~_g_u~jl JIIOdo -~el conoscere.
Se in principio non ci fosse la parola, allora l'uomo non p<)trebbe
rappresentare se stesso come spirito finito, nella luce della sua
libera autodeterminazione. Siccome per~_ egli è spirit~ .11~-~ndo,
in co111plewntnto aprforistico, cioè è sempre più reale, egli ha la
parola in sé e presso di sé cosl come realmente egli possiede e at-
tua se stesso. La parola, in cui egli dà sistemazione a tutto il suo
conoscere, perché è per lui la via alla verità del reale e a se stesso,
lo conferma là dove lo sorprende in antecedenza, nella produttività
della sua esistenza.
Questa, per accertarsi della sua propria iniziativa storica, non ha
bisogno di creare dal nulla. Ciò che essa può ascriversi e attribuirsi
come parola generata e come frutto della sua auto-realizzazione,
essa lo ha ricevuto, e appunto per tale ragione essa è introdotta li-
bera nel linguaggio creatore.

b. La pienezza degenere all'inizio come puro passato della parola

Dopo che abbiamo scoperto ·la ~assenza di parola' all'inizio del_.lin-


iuaggi~_çgme povertà apparente, impona ora smascherare l'astratto
!.'UOMO f. I.A PAKOLA
344

porsi nella pienezza della parola imm.ediatamente presupposta 1 in


certa misura ormai compiuta 'al di là' dcl linguaggio) come appA-
rente ricchezza del pensier~. Si deve mostrare che l'uomo diventa
in verità capace della parola solo mediante il tacere, che egli salva
nell'indisponibile futuro della parola la pienezza del suo 'compiuto'
esser-presso di sé, avt.?e1w1.o --'l~lta parola_ soltanto mediante la spo-
gliata pcwertà dell'intelletto che ascol_ta. Nella seconda struttura
dell'inizio disgregato della auto-attuazione umana, il pensiero si
era stabilito nella definitività della parola data sempre ormai in ante-
cedenza. Esso era stato...J!vilitq Jl .UOil furu:iooc d.e!la parola_atl_!:!ata.
In conseguenza di ciò l'inizio assolutizzato nella pienezza della ..Ea-
rola appare appunto come ambig1:_10, come il porsi nella 'assenza di
linguaggio' del pensiero (distinto dalla parola): questo era 'p_Qyero'
e tuttaria non_p2_vero; quello. è. 'ricc.o' e tuttavia .non ricco. Ma,
cosl dobbiamo chiedere, perché il pensare può là precisamente ve-
nir distrutto, dove esso nella parola è manifesto presso di sé e
quindi come forma dell'attuazione della libertà che dispone Ji se
stessa? Come la sua 'ricchezza' nella pa~ola. d~vc improvv.i_sam~tc
non essere quello che....è•. b1!11sl_ sig11ificare )_!11pote~~!_del lingu.~~io?
Perché la parola che sta all'inizio (e perciò testimonia che l'uomo
possiede se stesso nella parola e precisamente in tal modo fa t"spri-
mersi in se stesso il reale) deve ancor una volta spogliarsi .ldla
propria magnificenza, abbas~rsi .oell~ povertà della ..muta. 115senza
di parola per essere realmente per colui che conosce la pienezza
del principio, la quale lo dota? Non avevanm superat<;>_Ja_'_EQvertà'
dell:inizio, privo_ di J>arola, per il fatto che l'avevamo sacrificato, in-
troducendolo nella rièchezza del pensiero 'già stato' nella parola, e
avevamo riconosciuta la· parola come invalicabile inizio della cono-
scenza? Perché ora questo ritorno indietro dalla pienezza raggiunta
verso il 'rimaner fuori' della parola che si ammutolisce?
La risposta a questa domanda dopo quanto abbiamo detto, non
è difficile. Cioè, se la parola, che ha già sempre sopravanzato l'ini-
zio _della conoscenza, non si spogliasse della sua ricchezza, se non
intrapren4._esse l~-~~- fo!!zione di servizio alla ci::~~ci!_~ della libertà
e alla sempre più profonda auto-e~pressione del reale, se non. fa-.
cessc giungere lll.Jiriguaggio !'µomo in s_e stesso e maturare la sue
PIENEZZA E POVERTÀ ALL'INIZIO DELLA rAROl.A

storia, allora il p~osare sarebbe dato in balla di una parola 'rom-


piuta'~he sempre più lo domina dall'esterno~- Questa. n-on prove-=
rebbe l'~t~~omia della su~- o-Cigine, cioè fa-forza di testimonianza
e d'investigazione di colui che parla. Colui che parla rimarrebbl!
prigionier9__di una .ricchezza che lo vuq_terebbe e lo imf>Overirebbe.
Il parlare__ devierebbe nella v~na rip~tizione di quello che è già
stato detto e degenererebbe in 'chiacchiere', in cui nulla più viene
detto,.__pokhé già tutto è stato deuo. La parola si sarebbe tolta la
dimensione di pi:ofondità della sua_poyertà, lo spazio del silenzio
verso la verità sempre maggiore e verso l'indisponibile profonJità
di colui che parla. La ~rola è solr_l!!J_!:~ 'se stessa' e _pt:!.ci_ò._J?ro-
prio r1ie_i:i!~ Da una parola, che ha negato la sua apertura_all'ine-
sprimibile assenzit di p_a_r.ola _Qell'fotenckt~ fillenzioso, che è stata
fatta-'-ricca' e che si è invaghlta.della_~~µdo-pienezza__deLcom__piuto
essere presso di sé, l'uomo cade nel silenzio della parola_calcolabile,
pass~a .~ perciò m11r1ipolata. Questa parola non può essere più
per lui figura della sua libera comunicazione di sé, benché sia sem-
brato che l!SSa gli consegnasse senza riserve l'auto-disposizjqru: di
sé e assicurasse la sua 'sostanziale' realtà come spirito che conosce
(realtà che sopravanza sempre tutte le attuazioni storiche). Ma l"ul>-
mo può prender~ po~so__ di. 'llle~t~ parola Pll5Sata solQ _dall' ~t~o,
per abusare di c:ssa come strumento della sua potenza sopra tutto il
resto. Questo ora altlettanto non si apre più alla autoesprc:s,,ione,
poicha-cimane muto .sotto la parola disparica. Con ciò stesso il
principio totalmente assolutizzato nella parola si rivela L"Ome una
apparente___c<>_ncessione di pit:Di po1etl_!___e<>lui cJie_parla, .:ome uaa
·pienezza', che in realtà è vuota impotenza. Dove la libertà !>1:mbrò
nascere in tutta pienezza, le si rivela nel profondo qualcos11 di srra-
niero, ..é_e_!!__ spinge alla co~traddiz~ol!_e co11 s~ssa. Questa hu-
giarda magnificenza della parola, che si_ ~iene_~ssa a sç stessa L~n­
rro la SJ:la__ annientata alien~zione (silente senza parole), non è an-
cora abbastanza forte, per poter essere povera. Perciò es:;a toglie
all'uo11!_o_ la libertà della autoasserzione. Questa magnificenza lo le-
ga regres~ivamenù al ciandante ripetere nella parola il :mu pa:.-
satQ_~~~a_jl~ve~l!"e, a ciò che egli sempre è già stato, senzil esserlo
diventato attraverso la parola. Questo inizio nella parola gli h.1.
L'UOMO F. LA PAROLA

tolto ogni speranza e lo ha condanna.te a non p.i;ogredire. Il libero


possesso di sé dell'uomo, la sua perfezione a priori nella ricchezza
della parola, è distrutta ed è sciolta nella nuda recettività di un
pensare divenuto muto. La parola nell'inizio ha di nuovo rinun-
ziato alla povertà del silenzio, cioè colui che parla ha voluto di
fronte alla auto-comunicazione del tu, dire e affermare solo se
stesso. Ora la sua parola lo ha rinchiuso nella spirale dell' 'anti-
qu1U9.' essere. presso di sé.. Poiché essa lo portò ad ammutolirsi I!
lo sottomise al 'vuoto' negativo dell'inizio, nessun'altra strada gli
rimane apl'.,t~!l tr~nne il tent~tiyq_g_i .c9.Il.S!'!Kn.arsi~ncora una volta
alla prima· struttura dell'inizio degener!l.tO, cioè alla .. pse~dop~vertà
della sua mancanza d'espressione .e alle sue promesse, per salvarf'
con questo mezzo la creativa spontaneità del suo parlare, che ora
gli è stata sottratta. La ricchezza apparente del pensare nella parola
assolutizzata dell'inizio decade dunque neces~ariamente nella pover-
tà apparente del silenzio, e ricomincia Ja capo il circuito diabolico
della dialettica mortale di una genesi infranta della parola.

3. La parola come mediazione di auto-divenire


e auto-accettazione della libertà limitata

Nel silenzio sono superati l'origine isolata e l'isolato futuro della


parola. Ricchezza e povertà della parola all'inizio non stanno più
una_!ccanto all'all_!!l, si adoperano piuttosto '(lssç_ s~i;~e.' l'una...~r
l'altra. L'origine .della.pa.rokfifilt~~é' J~--~-~sa, e, ciò mal-
grado, la parola. è __distinta da colui che parla, poiché essa è nata
dal silenzio. Attravetsa il silenzio però anche colui che parla si
distingue dalla parola. Egli pertanto esprime sé com~ un altro nei
rigu.iu:di della ~. in quanto in essa non ripete 'se stesso', nel-
l'irrigidito essere presso di sé di un'astratta identità, ma si porta
nella p.Jrola attral,'.erso il mondo denominato, cioè att~averso _la per-
sonalc_alterità .di un . .tu...:...Nel silenzio la parola dice un--~l-Senza~i­
serve alla propria usci_ta d~ colui c;:he ~!~.: Essa a~cetta Ì~-S"ua- na-
scita e accetta cosl il.present~ deJ_s!lo o.uh_ che non è mai il puro
ritorno del suo passato 'compiuto' nell'origine. La povertà nel si-
LA l'AllOLA COME MEDIAZION~ DELl.A LIBl'RTÀ LIMITATA
347

lenzio è: per la par~ la sua _utile trasparenza verso colui che parla,
dal quale essa esce, presso di cui e nel quale essa sempre è gÌà
stata, perché egli_~tesS() è nella Raro)!! -~ in essa egli si manifesta
rnmL~E!8_i11_~ -~~e._atrit:e. E poiché la pai~~--nelfiniiio-•~ra'-così,
c:ssa rende libero colui che parla, nella sua auto-asserzione e non
impedisc~- Ìa spo~ta~~icl-del suo discorso. Per qy_esto essa _SJ~~a_ è
in quanto parola 'testimonianza'. Nella ricchezza della sua propria
figura:-~~~- ~i . appÒggia-3··5-e· stessa contro colui che parla. Con ciò
essa avrebbe rinunciato all'obbedienza del silenzio e negato alla
sua origine l'auto-comunicazione. Essa è 'ricca' solo attraverso la
sua usAt.a ..daLsil_e_oii9__,_nel quale è stata ~~~pita,· -ge~erata. Altri-
menti colui che parla sarebbe svilito ad una semplice funzione della
parola. Questa lo avrebbe legato impotente a sé e con ciò stesso
avrebbe ~essa.to_d_'es~I!!.. JJna parola. Con ciò rimarrebbe solo an-
cora il precipitare se~for41-_ dç_U_a__p~Qla ne!~__mutezza; quella
forma di mrrogalo della vera povertà, attraverso la quale la pa-
rola _tenta di ..rende.r_.libera la spontaneità creatrice di colui c;;he
parla in quanto essa quasi vien meno di fronte a lui e svanisce
nell'altro, senza in fondo dl'!sistere dal suo segreto dominio sull'ori-
gine. Di questo abbiamo parlato poco fa; ora vogliamo approfon-
dire ancora, nella sua dimensione ontologica, l'ambito di quanto
abbiamo già detto.
Abbiamo visto che l'uomo, come spirito finito, nel mondo, è
sem~ già presso la parola. Egli si possiede e in ciò consiste la
ricche~-=dcìia-capacità di disporre di sé. Egli giunge alla parola del
tu e del mondo~ poiché gi~ ·all'Inizio del suo cammino era in essa.
L'altro, nel quale egli si imb;tte e che inco~t~a·,- non lo assai~ ~~l
mezzo di una immediatezza senza parola. Esso lo interpella piutto-
sto Ìà, dove egli si è già guadagnato ~-;, rarporto con sé, dove nella
libero!_! è diventato un altro_ per se -~; perciò proprio così può
essere colto e provocato dall'altro in ciò che r:gli stesso è come li-
bertà. Poiché egli nella parola è presso di sé, può sempre in libertà
esse~~ a volta a volta presso );altro ~a sé, e aprirsi a lui nell'ascolto.
E viceversa, poiché la sua intelligenza è= cusì formata, tutto ciò che
a lui arriva, non è mai, già anticipatamente, nuda lleterminazionc e
fat~lità, che viene d~ll'esterno~bensì nell'ambito della parola è ~eÌ
L'UOMO E LA PAROLA

contempo atto della sua libertà. Ncl\a parola egli si fa raggiungere


liberJJlli!nte. dal tu e dal mondo, dalla provocazione di ciò che a lui
inaspettatamente c1pi1a, nella forma di asserzione della sua libera
aJJ./a:.allyazione. Domina sulla parula, là dove egli si sottomette.
Serve, là dove egli si è assimilato l'altro, dove ciò che deteri~-ina
gli è diventato sorgente Jclla sua auto-determinazione, srnza rima-
nere qualcosa di estraneo per la libertà: bensl in modo da essere
essa stessa nella forma di maturità di una vita trasformata e pii1
piena. L'uno e l'altro aspetto hanno nella parola la originaria un~!à,
l'immagine interiore e la struttura dt'll'esistcnza che si completa.
L'uno e l'altro però nel più intimo (attraverso la genesi infranta e
la dissociazione della parola nella 'mutezza', o attraverso la 'ricchez·
za' egoistica) sono minacciati profondamente dalla rovina, e sono
alienati sempre più tanto nel vuoto 'servizio' della schiavitù verso
l'altro, quanto anche nella auto-affermazione, falsamente imperante,
della tirannide contro ogni altra realtà.
Ma dove si fonda il libero maturarsi dell'esistenza nella parola
proprio per mezzo della sacrificantesi povertà dell'ascoltatore? Do-
ve sta la radice di questo accordo di potenza e di servizio nella pa-
rola? Da dove risulta chiaramente l'unità di origine e di fut~ro
della parola come attualità del parlare nell'oggi mediato della pa-
rola?
a. La luce e le immagini

L'uomo con l'investigare rientra tanto profondamente nella sua pro-


pria essenza, che egli pef q~e~to 1 p~rlan~o, in~alza nella parola -~!la
luce del mostrarsi, l'altro da sé, conosciuto, p~t~ndÒ -dalia specifica
es~nza di ques-t'ultih;ò; ciò- però è possibile solo partendo da una
profondità_ che può garantire nel contempo ambedue le realtà: la
spo'l!aneità del libero lasciare uscire il mondo denominato e la
accelttU.ione percipiente dell'~Jr9_,_ la quale entra determinante nella
mia auto-asserzione; e precisamente in modo che per me ne va
del tu e del mondo (e deve essere rosl) là dove io, partendo dalla
mia essenza, mi esprimo e mi comunico. Ma questo mistero di do-
minio attraverso il servizio, di cui l'uomo è capace, è però l'essere
come Amore. Una semplice immagine ci può aprire l'ambito, dal
LA PARO!.A COME MEDIAZIONE DELLA LIDt:RTÀ LIMITATA 349

quale possiamo venire a sapere ancora in maniera più originale di


prima la relazione tra uomo e parola. L'AQUINATE dice, che «l'essere
appartiene alla luce» (Enarrat. in psalm. 7, 19) e che la realtà del
reale in esso è «una certa luce» (1 n lib. de Causis 1 ,6 ). Approfon-
diamo questa immagine!
Quando il sole sorge all'inizio del giorno, allora appaiono le
cose 9.~1 mondo prima nascoste nel buio della notte. Esse si mo-
strano nella corporea luce del sole e in certo qual modo irrompono
nella chiarezza della loro auto-rappresentazione. La luce sveglia dal-
la notte, dal 'non apparire', la -variopinta pienezza del mondo che
è dato e che si manifesta. Essa si dona insieme all'occhio che guarda
e alle cose guardate. Per mezzo della luce il primo e le altre non
stanno di fronte l'uno alle altre esteriormente e come estranei. Essi
sono disposti piuttosto in una unità, il cui frutto è il "'.~~~re e
l'essere visto; e questi nell'atto del ve.Pere appartengono l'un.o al-
l'altro jo manie_ra i'!~~n~.!_bile.
Nella luce, le cose si distinguono in figura più particolare come
singql!! e si differenziano quasi dall 'inte_!:.no. Esse non scompaiono
più.,ço!Jle_ ·~q!Ji_\'..alcnti', bensl si distanziano ponendosi l'una accanto
all'altra, nelle moltep-licl ··r~lazi~~i-del gi~rno presente, nell'ambito
del vedere, che a loro è aperto insieme con il loro apparire. Esse si
presentano e diventano distinguibili. La lorQ essenza si svela nel
colorato gioco dell'apparire. Questo però non esaurisce l'interforità
della rispettiva forma signmcante del reale, la quale nella luce del-
l'apparire è presente, insieme svelata e nascosta. Ciò che visibil-
mente sorge e arriva alla rappresentazione, svela precisamente il
fondo dell'ess~nza; ma la manifestazione lo vela anche là dove essa
gli è campo e spazio del suo mostrarsi. Se la forma dell'essenza en-
trasse pienamente e senza riserve nella manifestazione, allora .que-
sta non potrebbe più in alcun modo indicare qualcosa. Identica al
fenomeno, l'essenza delle cose si dileguerebbe nel 'n~H~'. Cosf si
promette _all'occhio una nuova, più profonda. u~ità là_,__dove esso
scopre, vedendolo, il mondo che appare e nel contempo se lo con-
forma spontaneamen~ nell'atto del vedere, un'unità cb~. in_Ja.v~
del suo apparire e del suo essere vista, si nasconde in ogni aliena-
zione della notificazione sensibile di sé. Nel guardare, l'occhio è già
350 1.'uoMU I'. I.A l'AHCll ~

chiamato verso la realtà più profonda come verso l'appartz1u.h·.


che a lui si dona, dcl mondo materiaÌe. Infatti ogni varietà ddl'ar-
parire è ~et~rr~1inata nella prospettiva dell'una e unificante 1·ssl·nza
di ciò che esiste, ~he in essi!-gioc-a-esFmos-tra co~;1e -1/nà- ~--iiiti'~c~arite.
benché ciò che è materialmente reale sia 'qui' e sia 'attuale' ·ml-
tanto in questa indeterminatezza e per mezzo di essa. Dunque
nella luce il mondo che appare esce fuori dalla profon~ità dell'es-
sere e con questo mezzo costringe l'occhio che lo percepisce a ri-
tornare nel suo sil~nzioso fondo dell'essere. L'uscita verso l'appari-
zione è rito_~n_().. ~J.Jg_i:ida!'!_1ento,_l;_r_i11_yig_n_~_ll.~un.i1à __de11'.oxigine.
Questa uscita e questo ritorno nondimeno non avvengono in
maniera esi.u:imi.b.il.~-- riB~~-~i_\.'.~C:~<:.. ~_a.___ _pa!!~- Aelle _~ose. P0iché
questlè__ l!_o_n possono essere presso di sé. Esse non hanno alcun po-
tere sul lor~ prof~ndo' e-p-erclò -son-;- all'oSC,!l!Q_E_ella differenza di
essenza e di apparizione. Mu poiché l'occhio non ~ifi~it~lu ~c"­
prire ~~~~~l'iafe~ --b~rlsf· l'uomo stesso, come spirito corporeu cht'
conosce per mezzo dei sensi, è__ pr.~-~~QJ'essenza (a lui originalmt·ntc
analoga) dell.'.altro da sé, cosl. D911 g)_i__h~~t~__ p_iµ_l~_ m@if_~aziont­
del mondo che si è impressa in lui. Egli in quamo spirito t- pr,-c;:;i•
di sé~ ha s:up_er?tC:1 __~el _va_gfo,uc__la profo1J.di1à _dell't:~sere. _l"Jppa
rire del mondo, come 'non-essenziale' dimensione del suo mostr.1rsi.
Egli raccoglie e supera perciò l'indeterminatezza dcll'apr.m/ione
verso il suo fondamento, mentre egli stesso entra e ritorna ncll:1
profondità della sua essenza dalla alienazione corporale del "UO
'essere-nel-mondo'. E viceversa: poiché egli in quanto spirir11 11-
nito s~ atg:11:v_etsQJ_:1_m~_4!!!ZiQn~ della sua corporeità_ arriva c1l!a
attuazione e vi persevera, cioè realmente è qui e presso le cnsl'. rn-
sì egli non può mai cancellare il fondamento e:.senziale del reale
per il cosiddetto 'non-essenziale' dcl fenomeno. Infatti l'e~"·nzJ
è quLconcretamente s~lo ne_ll~_ sua_ apparizipnc. per mezzo di , s'\a
e con essa, precisamente così come lo spirito è garante di sé e del-
l'altro da sé solo mediante la sua esistenza alienata nell'ambito dl'lla
corporeità. L'uomo è perciò la libera forma di attuazione di l ;ò
che __noi, in considerazione del mondo manifestantesi, abbiamo J1:-
nominato la sua «ascesa verso l'apparizioni: (• 1111c ritorno verso il
fondamento dell'essenza».
LA PAROLA COMli MEDIAJ:IUNE DELLA LIBERTÀ LIMITATA 351

Ma, a questo punto, ritorniamo all'immagine della luce. Abbiamo


visto che la_luce suscita, rende manifesto e svela. In essa viene su
verso l'appa~ire il sempre particolare fondamento- ontologico di
quanto esiste, nel mentre esso si radica nello stesso istante sempre
più profondamente in sé e proprio attraverso l'indeterminatezza
di questa sua alienazione si unifica dopo essersi comunicato. Con
ciò stesso ~t.rnve.rso .iL.~uo appl!ri~~--!!!() s~.4i_s!i~g_u~jr1__sé ora più
fondamentalmente che in precedenza dagli altri esseri. La luce dun-
que, nel mentre fa sl che le cose appar<;nd~J si dichiari11q,_p9~_ i
confini delle stesse e così pone ancora più nettamente nella distin-
zione ciò che è stato delimitato. Questa distinzione però risultava
dal ritorno. all'1111ità...d!!l..Q~.t_e:,r_II1Ji:i~11te: Jo'!~?111e:!!~o OJ)tolo_g!co:· Per-
ciò da una parte le cose alla luce escono l'una dall'altra e si distan-
ziano reciprocamente. Poiché però l'unità dell'essere compreso co-
sl più prc>fof!.<!a!I!_~~ di\lenta C!P.r.~~-4! ___1!1_3!liera p!_~_ ~ediata,
questo succede a favore del libero gioco d'insieme del distinto nel-
l'aspettare di contro non più nullo e senza forma, bensl in forma,
a favore dell'unificante attualità dell'uno nei confronti dell'altro.
Questa approssimante e rappresentativa manifestazi~ne delle. Ct!Se
attraverso il contrasto della loro singolarità trova però nell'esistenza
dell'uomo il luogo della sua libera sistemazione. Poiché l'uomo, in
quanto è uno che vede, è atto alla luce, cosl nello scopri.re-sensi-
bile delguardare, nel medium dell'immagine, avviene il distinguere
che __tmific_a_, __ l_'.!!riifì.ca_r~h a~!!a.!~!SO _il particolareggiare, dunque la
mediazione di «l!!!.!~à sensibile nella diversità». Qui avviene l'unifi-
care attraverso la liberazione del -pàriicol4re; cosa che noi, partendo
dalla luce, abbiamo interpretato come la presenza sensibile delle
essenze che appaiono attraverso la loro distinzione.
Ma cos'è rilipetto_ alla_luçe l'indeterminato campa dell'apparire?
L'apparizione, in cui si apre all' 'altro' l'essenza delle cose materiali
del mondo, non_ha nulla 'per sé'. per così dire, oltre la luce. Per-
ciò la luce, quando penetra nella notte, ~o-n trova ~un certo qual
modo_11çssun ostacolo dav~nti~ _sé. La stessa apparizione infatti 'è'
la ll!ce._ ~~me ~sa _rispl~_!; _nell:a.ltro da. sL.e ...attravexso di -~so.
Senza luce nulla appare. Ora quando la luce irrompe così prepo-
tente nella notte, si potrebbe credere che essa schiacci la possibi-
L 0 !JOMO H LA l'AROl.A
352

lità ad essa consegnata senza riserve, del mondo che appare. E poi-
ché le viene attribuita la signoria risvegliante su tutto ciò che ap-
pare, è la luce in grado di intendere e di far sl eh~ si lll.QStri «cç>~ne
tale» ciò che in essa appari::? Non deprime. essa, mediante la pro-
pria ricchezza, l'apparizione in maniera violenta? Non ripete essa
nel Jllondo che le si svel;i, solo la ricchezza _della sua propria es-
senza, in modo che nell'apparizjone non si.dà in_ nessuoiLman.lera
l'essenza delle cose, l' 'altro' non si apre alla luce, bensl la luce
nel su~_ rifrangersi_ ritro~l!__s9lt!!1-tO 2e stes~a? Poiché, cosl si po-
trebbe dire, il non-essere dell'apparizione non ammetterebbe nes-
su~t~~ concJl1sione_ al di.là della_luce. Ma non è cosl! La luce
non soff99L~_QQ.i;t_violenta c_iò che diventa manifesto nella ~tenza
della sua_chiamata r~svegliante. Al contrario, essa libera quest'altro
'non-es.is.tente_'.__deH~_~rizi<:>Il_e d~a notte della sua ~tCZZ!_yerso
la proprietà...della_ S_l,!!!_ e_~s_e_!}_!a. Cosl la foce entra senza riserve nel-
l'altro come autorizzazione dell'apparire e tuttavia si trattiene com-
pletame!ili: _<;lli~Qn_~~-9!!~_5j_O altro da sé. Essa è nello stesso tem-
po risvegliante la vita e rispettosamente riservata. Un dominio
'senza confini', che pure 'senza limiti' può ritrarsi in se stesso
ed essere 'cHsinteressato' a favore del mondo che appare. La luce,
nell'illuminazione dei feno111eni,_!12n !_ien~ ~!la fi_sso a sé,_ ma la-
scia che il mondo si presenti in tutta la sua varietà di colori e va-
ria pienezza; anzi, nell'incalcolabile molteplicità di ciò che appare
si sigilla proprio la liberante 'povertà' della pienezza della luce
che crea spazio, cui non interessa se stessa, bensl «il giungere-a-sé»
di ciò che da essa riceve ed è partecipe della sua potenza. La luce
'cgj_qma' (cfr. la radice bha: parlare, che originalmente vuol dire:
risuonare, risplendere, portare all'apparizione) facendo essere, e ~ta­
ce'__ nello stesso momento, proprio là, dove 'parla', poiché nell~_ SIJ.a
ricchezza le i~po.r'tilT'autorizzante dotazione dell'altro, e il suo domi-
nio è un servire.
L'occhio però è atto a questa luce, cioè è capace di questa luce
nella fo!ma di illuminazione ris"'.egliante e di lasciarsi mostra.re
di cig çhe apQare, dunque nella differenza di spontaneità sensibile
e ricettività. L'occhio vede e in ciò stesso è potenza rischiarante del
mondo che appare; ma un vedere, che 'fa apparire' e che perciò
I.A PUOI.A COMF. MF.DIAZIONE DELLA LIBERTÀ LIMITATA

nel contempo scopre il dato percependolo. Per conseguenza non


vede se stesso dentro l'altro (rimanendo chiuso in sé), ma esso è,
per il mondo che gli si svela, l'ambito visivo che lo accoglie, ambito
nel quale le cose che appaiono possono dispiegarsi e presentarsi,
proprio quanùo il guardare le innalza alla manifestazione del loro
presentarsi sensibile e dona loro la luce del poter-mostrarsi. U cen-
tro di azione e accettazione nel guardare, che illumina e libera, la
mediazione di ricchezza e povertà nell'ambito del vedere sensi-
bile è l'immagine.

b. La luce dell'essere nella forma della parola



Ma la luce del sole è sottomessa alla legge dell'impenetrabilità dei
core!_ e della dispersione. Essa presenta una potenza che unifica
e raccoglie, ma che tuttavia è potente solo nei confronti dei feno-
meni -~--che rimane legata alla J~_f!>_ i!ldet_er_f!linatezza. Questo vale
per conseguenza anche per l'occhio, che vede in modo sensibile
nella medesima luce corporea. E tuttavia abbiamo dovuto affermare
che l'occhio vede una realtà sempre più profon~ che il puro fC!!_o-
meno in sé._ perché colui che per
mezzo di- ~so conosce è l'uomo in
quanto spirito finito. Il fenomeno insussistente nella sua indeter-
minatezza, no!' è anzi,_a favore della concreta esistenza delle forme
essenziali del reale, identico ad ess_e. L'indeterminata varietà del
fenomeno__ yive Jell'unità_ unifican.u:.__del fund~e11to_ _ontologico.
Questo però si presenta solo come alienato nel gioco dell;~ppar-i­
zione e quindi mediato. A chi passa sopra ad esso si sottrae anche
il fondamento presente. d_i ciò -~~e ~_!iste. E viceversa, chi non su-
pera v~rso quella dimensione, che in essa concretamente si svela,
l'indeterminata varietà del fenomeno, non può prendere seriamente
il vedere sen_si.bil_e. L'uomo stesso però, nella sua esistenza, è la di-
mostrazione vivente, libera, di questa verità. Nella misura in cui
corpo e _spirito vengono pensati divisi l'uno dall'altro, la libe_rtà
perde la sua attualità storico-salvifica, _ji rifugia in un essere-presso·
di-sé apparentemente perfetto, che in fondo esprime soltanto il
rovescio della sua decaden1.a sotto l'indeterminatezza della manife·
stazione sensibilc. Solo la povertà del corporeo 'essere esposto'
L'UOMO E LA PAllOL\

conserva all'uomo la ricchezza del suo auto-dominio nella parola


e solo attraver~ questa parola egli· può aprirsi nella percezione al
cosmicamente altro. La alienazione sensibile a~verso l'immagine
è ~~Jui perciò peggo d~_l_l'esscr,e presso-di-sé neliai~ola. -Perciò
anche l'immagine è sempre qualcosa di provvisoriò":' Come l'essenza
delle 52~~ __!1()f) .P-~~ essere dedotta linearmente d~l suo fenom~no,
perché l'essenza non si copre con esso, nell'interesse dcl reale appa-
rire e della esistenza concreta, così non esiste nessuna strada con-
tinua,_ unica, d~Jl_'i~ma_gii:i_e_ a_lla __..earola. Poiché la luce materiale
vien meno nell'illuminare e nel liberare la profondità d'essenza e
d'essere del reale. Essa ha ancora in un certo modo 'fuori di sé'
la struttura, e l'occhio, che in essa vede.
Ma alla luce dell'essere nulla ~- _c;_~t~aneo, né la forma essenziale
del realt-..n.é_la-ma.tma, tranne il non-essere. Essa è una-immagine
della signoria dcll' 'amore divino' assolutamente autonoma e per-
ciò~~P!lC_~ .c.li_ o,g_ni alterità. Cosl essa è la pienezza dello stesso ini-
zio, al quaj_e più --li~.118 çlall'csterno può ~~c_rtt ~ill.n.tQ.S~~- a.4 _i:,sso
sia_estr'1)ço. Essa _si svela come la luce infinita, che non solo è
idonea all'indeterminatezza della manifestazione materiale di. ciò
che esiste come mondo, bensl come il sl della auto-comunicazione
divina che fa essere assolutamente e che si riferisce' -ail'in-;Iemc
della realtà creata: nulla ha prima o [uqti di sé e quindi d~__tullo.
m-
La lucc...d~u ·essere non -vien~ qu~di p1meci.pata--.'. p-~~(; ~ -~icché
essa aà, dove viene partecipata, starebbe dapprima obiettivamente
per sé, per poi perdersi nella varietà del mondo. Allora nella sua
ricchezza ripeterebbe soltanto se stessa e avrebbe rubato a chi da
essa era stato ~~cficiato la for~azion~ ~~~~ti~~--d~l-s~o ·fut~ro
appartenente sempre e soltanto rispettivamente a quest'altro. No,
nell'essere l'assol!!!O ~cg_reto dcll'()riginc __ ~-i partcc!pa._ ~~!L che __9.Ue·
sta origine proprio là dà tutto, dove essa senza fine considera e
prende sul serio 'in se stesso' l'altro da essa dotato. Poiché il sl
dcll'amor~--11 se stessa è il suo sl a ciò che è finito. Dio crea nello
stesso momento in cui afferma se stesso·. Cosl ciò che esiste riceve
nell'essere un sl abissale e indisponibile, per mezzo dcl quale esso,
chiamato dal nulla, giunge a se stesso. Nel ricevere egli attua se
stesso. E viceversa: dove egli 'fa' in verità il sl donato dell'essere
LA PAAOLA COME !\lf..l>IAZIO!'IF. Dt:Ll.A LIBUTÀ LIMITATA

egli gli si sottomette obbediente. La povertà del nostro aver rice-


vuto anteriormente è identica al poter essere della libertà limitata,
il quale si supera verso l'infinità dell'origine.
A questa lucc_g_ell'csscrc però vede lo sp~ri!2· Esso dunque espri-
me creativamente il reale dalla sua radice dell'essere e nello stesso
tempo, per la forza della povl:rtÙ di questa luce liber~te che non
tiene a se stessa, gli garantisce lo spazio accogliente del mostr~si
in se stesso. Poiché lo spirito dona la parola ~l. reale,_ lo accoglie
attrave"o l'auto-espressione dell'.~ltro. In questa luce lo spirito è
presso se: stesso, ha in sé e presso di sé, nella forma della libera
auto-asserzione attraverso la parola, tutto il resto, che non può es-
sere estraneo a questa luce. In quanto però la luce dell'essere non
intende se stessa in tale dominio, a cui essa autorizza lo spirito,
bensl proprio l'infinita varietà di ciò che esiste, cui essa si parte-
cipa, essa apre nello stesso tempo la ragione verso il servizio ricet-
tivo a ciò, che giunge al linguaggio proprio come realtà libera-
mente posta e presentantesi, là dove l'uomo esprime se stesso nella
parola. La parola è il centro di azione e di accoglimento di una
libe,,tt.@ lill!itata, che nel mezzo della sua storia ha da divulgare il
segreto di do~irJo e· di povertà dell'essere come amore, cioè la
presenza di Dio nel mondo nella forma della parola.
Poiché lo spirito è sempre slalo presso l'essere (e come dovrebbe
esso poter entrare - dall'esterno in questa abissale pienezza, alla
quale nulla è esteriore!?), cosl I~ sua auto-attu~ione avviene al-
l'inizio di tutto nella parola. Come l'essere è padrone di ogni -alte-
rità, cosl lo spirito, che esiste presso di sé nella parola dell'inizio,
testimonia che ha in sé e presso di sé tutto il .resto nella for~__dj
espr~~~io11e della sua persona. Ali~ -pienezza della luce, che lo
risveglia, egli ha già dà ~e~pre detto la sua propria parola ~sen­
zille_,_ In es~a egli attesta che è pensato partendo dall'essere co{lle
&!!!..<?~irreversibilmente nella liberlà ddia sua -auto-Oeterminazione.
Poich~ però esso rende giusti~ia a questo 'agire' dell'inizio nella
~~()_)~. solo quando esprime cd accetta Ja alienata libcrt~ ~ell'e_s~re
(il dono dcli 'amore infatti non si attacca alla propria gloria come
ad una preda), cosl esso è fatto ricco dalla parola dell'essere, ed è
colui che sempre già percepisce verso l'apertura del mondo e verso
!.'UOMO I:: LA l'AROLA

l'ambito d'incontro di io e di tu, cui interessa l'apertura dell'altro


che s'incontra comunicantesi in sé stesso; e per cui ne va della
parola del tu che lo determina. Nel parlare è già colui che
ascWta tacendo, uno che solo nella pa~~la può inc~minciare; infatti
in essa egli è già uno che risponde, poiché anticipatamente è
uno cui vien rivolta la parola. Egli nella parola può essere s~ato,
solo in quanto non l'ha mai dietro dL~é. ma l'ha davanti a sé, indi-
spanibilc anche per il futuro, proprio come ~uo inizio. Cosl l'unità
personale di azione e di accettazione della libertà limitata si pre-
senta nella parola sempre nello stesso tempo attraverso la verticale
della sua trascendentale possibilità all'essere come amore, e attra-
verso l'orizzonte del suo alienato, incarnato essere messo nel mondo
e nella storia. Ciò che l'uomo riceve nella perpendicolare, dall'abisso
della divina auto-comunicazione nella parola dell'essere, gli vien
appropriato ~i!l. attraverso la sua azione_ sia attrave_rso J11__~Y.ll obbe-
di_~_nza. E questo cÌ~~i~io -~ttrav~r~o il servizio si svolge nell'ambito
di mondo e di storia in tal maniera, che egli ogni concreta deter-
minazione attraverso l'altro e ogni parola che vi sopravviene, tanto
se le presuppone in maniera indisponibile e le accoglie come auto-
manifestazione dell'altro, quanto precisamente con ciò nella ·parola
le lascia accadere e le 'fa'.

4. La parola come meuo della differenza ontologica dell'essere


rispet10 a ciò che esiste e come compendio
del/' auto-attuazione umana

a. La parola nella dialettica di padrone e servo

Il tema di fondo dell'attuazione umana, nel quale sono centrate


tutte le forme della sua rispettiva aUlo-comprensione storica, è iJ
mistero ds;.!la_grand~.sf.eJl'~sserc come_ amore~ttraverso la _pove!.tà
della sua riduzione a realtà limitata. La filosofia chiama questo fatto
l'adattamento della - differen1.a ontologica dell'essere rispetto al-
1..'.~nte. Come immagine creata della sua origine, l'cssére è pienezza
infinita e ricchez;..a partecipata della vita divina, che si possiede in
I.A PAROLA COME MEZZO UELLA DIFFERENZA ONTOLOGICA
357

maniera assoluta e che non viene necessitata, limitata e condizio-


nata da nessuna attività. Esso è quindi forma di enunciazione della
libertà dLDio, che è beata in sé, è pura, semplice luce. Ma esso né
rimane prigioniero nelle mani del datore, né si rivolge indietro. da-
vanti alle porte di colui che riceve, per risalire verso le altezze del
cielo e lasciare solo, nella sua nullità, colui che riceve. In tal ma-
niera l'essere non potrebbe pm1ar~_ (rutto. Esso, divenuto 'sQ-
stanza', sarebbe chiuso in se stesso, un 'dono' che non potrebbe
diventare la fonte nutriente per colui al quale viene 'donato'; un
grano di frumento che non accetta la morte per avere sempre mag-
giore la vita che in lui è nascosta; bensl nmore la cattiva mqrte__del-
l'infruttuoso rimanere·soli. Esso sarebbe paragonabile alla parola,
che 1,1scita da chi P.l\1la, va incontro all'altro e di là ritorna di nuovo
alla sua origine, ma che non si fqss_(! las_ç!_ato toccare in sorte il tu,
che non avesse attuato l'amore verso il fine estremo~ il servizio .cioè
all'altro (la 'lavanda dei piedi'). L'essere, come immagine del-
l'amore eterno, regna. perciò attrav_erso Ja sua pover!à. Esso mani-
festa la sua ricchezza per q~esto non ~_ima~e_ l'~~ come_ 1:111.
mediatQ!e tr!_Dio_~ mondo, come un 'dono' che non giunge presso
l'altro, perché il donatore non ha la forza di comunicarsi. Non c'è
'nulla' tra Dio e il finito. «Media/or unius non est• (Gal. 3,20).
Proprio perché il Dio vivente non ha altri dèi presso di sé,
ai quali la sua divinità sarebbe legata, poiché è l'uno, unico Signore,
egli non ruota, come sostanza assoluta egoisticamente in sé, non
gQQ_e se stesso in ciò._çhe_.dà. Egli_phittosto si esprime senza riserve
nel finito .SC non potesse regalare cosi, allora rimarrebbe come un
tiranno, la cui parola, al di_là dell'!lienazione, è sempre stata 'va-
lida' ~-k&~~a alla s.ua _Erandezza. Egli potrebbe avere fuori di sé solo
l'impotente mutc:Zza dello ~hl~vo e dovrebbe verificare la sua po-
tenza sulla nullità del tu finito. Ma con ciò egli sarebbe divenuto
s.J!Q_ schiavo. In quanto 'assoluto signore', egli riman:ebbe unJl. hm-
zio~e _del~uo servQ,._a cui egli non potrebbe né doyri;b~uare
la sua parQ~ affinché essa divenga per l'altro fonte di libertà e di
auto-espressione. Infatti, nella misura in cui il servo attraverso la
paro!~ d'amo!e del Sjgnore giung_esse a sé, il tir3!!00 cesserebl>e dJ
c:siru:re. Egli muore nella morte della parola sottratta, la quale è
L'UOMO I( LA PAROLA

superata nella parola dell'essere come amore. Allo schiavo però


la parola del suo p._.adrone rimane :_e.l!.tr_a.J1~. Essa non può portar
frutto in lui e può solo restare per lui una parola semplicemente
'pasf!!!.q', che non può ap_i:_jrgli ness.un futuro. Una tale parola all'ini-
zio getterebbe nella notte del silenzio colui che la ode e tuttavia
non la può udire realmente. E questo oscuro potrebbe diventare
luminoso, cons_apey_gl(! della 2rnm.es.s.1t.dL un_!Jlattino, se, contro la
parola nell'inizio, partendo dalla propria pove~tà~ servile (poiché
non vuotata dalla parola ricevuta), cercasse di prno.µpçi~,re la sua
parolauc:91lle. ~e.mel!s:emente futuu._per convincere in tal modo della
propria impot~.n.za la _p_ar,~la .~()l_t_r~tt~ .. ~ll'inizio, per smascherare la
mutezza dell'inizio e proclamare la 'morte di Dio'. Il 'Signore asso-
luto' infatti ~on El.l?> propr,io manifestare S!; s.t<;.iì.S.Q. e.p.arlare_de.ntto
al_mQ!!!Y-__tu __fu:jjo. La sua·p~~~la è--;~a_J9r~~_Q~r_ch.cL~ssa in lui
si c,mm: ...e... sLassiç1,1ra__ f.9.!'!!0 il fruttuoso parlare di colui al quale
chi parla trattiene la libertà dell'essere se stesso attraverso la parola
ricevuta. Ma l'essere come amore persevera nell'origine, non og-
gettivato in_se. st~~_so. ~~so_ è ~.e.st!P.:?.n.iaJE.!l_.4c:l__dominio del_!)io
vivente, che non è egocentricamente chiuso in sé come sostanza
assoluta, ma per sua essenza è già eternamente amore com~nicante
~ stes~o... Siccome egli simboleggia J~nZil riser.v.e_.n.ella parola. il suo
amo.re, egli l'ha detta in tal maniera, che essa, nello stesso tempo è
anche detta __!!o J.a..vore .ciella .Jib~rtà_resa. libera. dLquelli~sh~ 111. Qçiono
e la mettono in pratica. Nella sua parola l'amore è già entrato da
sempre dalla parte deU'altro, C<:>1ne.. a11zi ~-~~e Ja~!l.!.~!! ~~11'.~~ine
non appartiene a se stessa ma a colui che parla. Questi brilla nella
parola come coh1i, .i:he}!1 e~~a ~01J!u11ica p~rland<?J~___s.1:!~ es~enza,
cosicché l'eterno procedere della parola si svela sia come azione
infinita di una obbedienza sia nello stesso tempo anche come la
potenza della parola, che è essenzialmente eguale alla sua origine.
In questo mistero è nascosta l'abissale unità di grandezza e povertà
dell'essere, che la filosofia enuncia nella frase: «L'essere, in quanto
immagine di Dio, è pura, infinita semplicità e pienezza, la quale
però non sussiste in sé accanto a Dio». •
Mentre la parola, manifestando la sua origine, si dona, essa non
testimonia nient'altro che questa sua verità. Se quindi l'essere, in
I.A PAROl.A COMF. MEZZO DF.LLA DIFFEKENZA ONTOLOGICA
359

quanto immagine dell'amore divino, esce dalla sua fonte, svela la


sull ricchezza solo nella sua alienazione. Benché niente gli sia estra-
neo tranne il non-essere, tuttavi~- la.. sua pienezza presuppone a se
stessa l'infinita molteplicità e varietà delle forme sostanziali «;! il
non-sostanziale abisso della materia, come fondamenti, da essa real-
mente distinti, che rendono possibile la sua delimitazione. Ciò, den-
tro cuj_ l'essere si dona, non esce da esso in modo _c_()nti111Jg_tjvQ, Al-
lora infatti esso non prenderebbe sul serio il suo venir ricevuto
finito, delimitato e condizionato. Esso rimarrebbe, come per la
gnosi, fisso nell'origine. Poiché però ciò che riceve è presupposto
come l'altro e non è una marionetta guidata a priori in forza di un
dono partecipato solo in apparenza, esso nella sua povertà, in quan-
to vuota 'potenza', è pegno del fatto che la pienezza dell'essere,
essendo "fferta senza riserve, intende quell'altro cui essa viene
donata. b per trattare del tutto originariamente dell'alienazione
dell'essere in.~q!,.lanto amore,. sipJJ.?u;lj_~_fQil l'A_çy!_t<f~!~.>...~he._~.Qn
sono la forma sostanziale e la materia quelle che ricevono l'essere,
beo.sl la sostanza fin;!a. Infatti i fondamenti di possib!lità, presi
in sé sono interamente 'potenzialità non-esistente' e seducono perciò
facilme12te il pensiero a fissare, di fronte a loro, la f>Ot~a ~el sem-
plice essere, il quale àilo!inon sr libe~erebbe dalla sua origine ~
di fronte alla nullità dell' 'altro' si attaccherebbe a sé solo ancora
più saldamente, analogamente alla dialettica di padrone e schiavo
che abbiamo poco fa abbozzato. Se si dice però che la sostanza
finita .!i.ce_ye l'essere, non --Yiene co.n__çfo pr()Qr_iQ__ sostenuto, che il
finito, prima che gli venga assegnato il dono dell'essere, avrebbe
qualco~~ _'.per s( <? che sareb~ b~;i_to su ~-.s.~e:sso..... ~k_ché_non
avrebbe bisogno che tutto gli venisse donato, o che per esso sol-
tanto allora sorgerebbe il dono dell'essere come amore, quando esso
si fosse anticipatamente annullato in una totale rovina? È vero il
contrario! Poiché_il finito, 'prima' .di ogni ricevere, ha.già _ricevuto,
poiché soltanto .fa pienez~a_ __ p.ar.te.cipat.a dell'essere.. stesso rende.. .po-
~~poiché lo schiavo non obbedisce mai realmente, bensl soltanto
colui che_ç_ libero perché re!iòoJibeIQ,__Q.oiché P.iQ. _!!_on _è !iJ:.@n<;>_jpi-
potente, ma è amore che si possiede assolutamente e in tal modo
eternamente si dona, perciò egli non parla dentro nella servile chiu-
L'UOMO E LA PAROLA

sura di una povertà dcli' 'udirt:', la qµale dispone di se stessa, bensì


egli parla in un 'obbedienza liberata, in un tacere riscattato dalla
parola. Se egli parlasse nel servile vuoto dello schiavo, avrebbe egli
allora rifiutato, con un tale presupposto, il suo amore. Infatti lo
schiavo, per tutto il tempo in cui rimane tale, può udire la parola
Jel padrone soltanto come a lui sottratta, cioè non può percepirla.
Il vero signore dunque può giungere al servo solo attraverso una
obbedienza liberata, la quale in mezzo alla schiavitù è capace della
povertà della riduzione al finito dell'essere come amore.
Solo cosl egli infatti testimonia che è seria la alienazione della
sua pa.uùa, che la sua parola può. e de\l'essere udita, che ne_ va
della likertà di colui. che è il serv(),__p_roprio per il fatto che questi
rifiuta il sacrificio dell'essere come amore. A questo noi dobbiamo
fare molta attenzione, quando parliamo della differenza dell'essere
di fronte alla sua sussistenza finita (all'ente). Questa formula è anzi
solo l'espressione analoga, applicata ontologicamente, per indicare
che la pienezza dell'amore si svela là, dove essa nella parola della
verità è in tal maniera data dall'altro, che esso, nel ricevere, nasce
come libertà disponente se stessa e in tale divenire se stesso rimane
precisamente colui che percependo penetra nell'indisponibile della
sua origine.
Ma ritorniamo ancora una volta alla riduzione dell'essere al finito.
In quanto dono di Dio esso è immagine del suo creatore e per ciò
stesso, ne! ~~n_t_~po, -4!verso _da lui. Perciò egli, essendo diverso e
altro nei confronti dell'uno e unico Sign~re, può dimostrare la sua
origine .Q.all'amore assoluto solo attraverso la varietà di ciò che
esiste, _ov;er.o, hi quanto 'molteplice-,~- Esso non è -attaccato a - sé e
manifesta la sua povertà nel presupporre, lasciandolo essere, l'altro,
dal quale è accolto. Ma questo altro non gli è estraneo, perché il
presup.PQgQ_ d~l_ SIJO venir udito e percepito deriva dalla p~ola
d'essere dello stesso -~orC.-M:entre l'amore si fa toccare in sorte la
realtà presupposta, esso arriva in un ambito che è già suo dominio.
Altrimenti avrebbe sacrificato il suo dominio alla povertà, cioè non
si comunicherebbe come pienezza che dà tutto. Ciò verso cu~ l'es·
sere si dona, è dunque uscito da lui, altrimenti l'origine sarebbe
di nuovo legata con un'alterità che dall'esterno la condiziona e la
LA PAROLA COME MF.Z<:O DELLA DIFFERENZA ONTOLOGICA

limita. Essa sarebbe data in balìa all'impotenza di ciò che essa


sembra dominare, e che invece la divora, e non si potrebbe comu-
nicare in un libero discorso. L'essere, assorbito dalla finitezza, sareb-
be sommerso nei suoi fondamenti di possibilità e proprio così non
sarebbe più ricevuto e oggetto di ringraziamento. Perciò possiamo
dire che l'unità di magnificenza e povertà dell'essere come amore
si manifesta nella differenza ontologica in cui l'essere presuppone
il suo venir ricevuto, il criterio della sua povertà e della sua obbe-
dienza, in maniera tale che esso non ha in sé lo spazio della sua
auto-asserzione finita come prolungamento di se stesso puramente
proiettato; bensì se lo forma creativamente. Altrimenti là, do.ve egli
si comunica, non ci sarebbe proprio l'altro a percepire, ma lui stesso.
Viceversa anche la dimensione di accoglimento della autocomunica-
zione di Dio nella creazione non è per sé fissabile nei confronti
della sua uscita dalla pienezza dell'essere come dono. Allora la ric-
chezza dell'origine, che si dona nell'essere, sarebbe spogliata della
sua potenza e semplicemente distrutta nell'altro da se stessa. Il
finito non potrebbe ricevere più nulla, poiché esso antecedentemente
non sarebbe stato fatto povero movendo dalla pienezza di ciò che
è stato donato.

b. La differenza ontologica e dialogica dell'essere come amore

Abbiamo affermato che l'uomo è idoneo alla luce dell'essere. Ora


questa verità ci si è svel~ più profondame!Jte..: La libertà- infatti,
nella sua potenza di essere, non si riferisce ad una dimensione
dell'inizio ogg~ttiva e sussistente per sé al di là della sua esistenza
concret.a o 4el mondo reale. Essa è piuttosto interna al suo inizio
in tal misura che lo può superare soltanto se ne può assumere la
responsabilità come amore, cioè nell'unità di magnificenza m_ediante
la povertà, o nella incolmabile differenza ontologica della sua deli-
mitazione, in cui nel contempo si dona ad essa anche la non dispo-
nibile pienezza dello stesso. Essa stessa movendo dalla sua essenza
è il J!bero adattamento finito di quel mistero, al quale abbiai;no
cercato di avvicinarci. ··~: atto finito della alienazione dell'essere
infinito, -ncll'-acco1dimento finito della sua potenza insuperabile, as-
L'UOMO g LA PAIOLA

saluta. Essa rappresenta in attuazion~ storica la differenza ontologica


nella forma di dominio e di servizio dell'amore, la cui più profonda
essenza si simbolizza nella parola, per quanto essa trae origine da
questa mediazione di atto e di accoglimento dell'intelletto capace
dell'essere. Perciò si può anche dire che la vera parola riunisce in sé
la forma sana della differenza ontologica, perché è affidata alla li-
bertà finita come la forma, a lei conveniente, della sua auto-attua-
iione.
Risvegliato e reso libero ad opera dell'essere come amore, l'uo-
mo non.J_ç>lq puè> ricevere la _ricchezza dell'inizio, ma può anche
at~arla. Egli non la ha accanto nell'alte-rità di una legge che muove
dall'esterno e che si può conoscere, bensì proprio in se stesso nella
sua indisponibilità come potenza dell'amore, il quale è n, in quanto
'uomo'. Poiché egli, in un certo modo, in quanto spirito, appartiene
già d~_semprc alla_l?l~:11e~-~--dc:Il'ess~re e non le è estraneo, partendo
da quel punto, egli si scopre autorizzato al creativo far nascere i
fondam_~nti deJI~- sua possibilità (forma sostanziale e materia). Egli
è introdotto con ruolo attivo nell'evento della riduzione dcl suo
inizio al finito. Qui ha guadagnato un libero rapporto sia nei con-
fronti della sua e di qualsiasi altra essen1.a, sia anche nei confronti
della sua corporeità e della realtà materiale dcl mondo come tale.
Ciò che riceve, considerato da questo punto, è sempre già atto della
libertà. Se però la parola è la forma conosciuta dell'essenza dcl
reale, in quanto nell'uomo sorge come frutto della conoscenza, allora
si mostra che la generwone creativa della parola è soltanto possi-
bile perché l'intelletto finito, per la luce del suo inizio, è capace di
se stesso e dell'essenza di ciò che esiste. In ciò esso corrisponde alla
verità che all'essere niente è estraneo, tranne il 'non-essere'. E non
ha bisogno di essere messo in particolare evidenza quanto abissal-
mente l'uomo sia tentato nella profondità della sua esistenza.
Poiché questo compiuto essere-presso-di-sé è già sempre minac-
ciat'?_ ~_~sseduto dalla frattura dialettica dell'inizio, la quale, come
abbiamo visto, sacri.fica . la povertà della sua alienazione proprio a
questL·g[andezza.:._ e nel far uscire dall'essere le forme sostanziali e
ia potenziale nullità della materia non manifesta che ciò che è rice-
vente, è derivato da esso unicamente e soio ~raz1c alla racrificata
LA PAIOLA COME MIOLZO DELLA DIFFElt.NLA ONTOLOGICA

riduzione al finito dell'inizio. L'alterità dei fondamenti di possibilità


testimonia nella sua reale, non apparente, diversità rispetto all'es-
sere soltanto il suo non-esser in se stesso. Essa lascia apparire attra-
verso la sua spogliazione la pienezza dell'amore. La libertà può
dunque conservare la ricchezza della sua auto-asserzione nell'inizio
solo attraverso la povertà dello stesso. Essa, a favore della capacità
d'essere dd suo agire, deve presupporre a se stessa in reale diDe·
renxa ciò che da essa nasce; deve ubbidire all'alienazione dell'es-
sere, sottomettersi ai fondamenti ddla sua possibilità, e precisa-
mente in maniera tanto originaria come, partendo dalla sua origine,
dispone di se stessa. Con questo mezzo annnuncia che non riesce
ad attirare magicamente verso la finitudine, con la forza dell'ascol-
tare proprio, che dispone di sé, il dono della parola ddl'essere, bcnsi
che c::ssa vive d11ll'11 priori assoluto della autocomunicazione creativa
di Dio. Essa non può darsi l'essere come amore, non può far giun-
gere, partendo da se stessa, la parola d'essere dell'origine nella
storia. L'adattamento della differenza ontologica è ad essa appro-
priato e incontrovertibilmente presupposto attraverso il fatto insu-
perabile della sua concreta esistenza.
Ora però, nel riflesso attuare insieme questa kénosis ontologica
dello spirito verso l'ambito accogliente della sua comunicazione
finita, esistono in certo qual modo dei gradi di . intensità, nei quali
si presenta e si simboleggia mmanie~a ·sempre più forte la forma pie-
na dcl libero adattamento della differenza ontologica, fino alla libertà
che disPo"ne -di se stessa mediante la parola e che perciò percepisce
tacendo. La nullità solo potenziale dei fondamenti di possibilità
presupposti (forma sostanziale e materia) richiede, come già abbiamo
visto, il sacrificio ddla pienezza dell'inizio 'in maniera minore'
(sit venia verbo!) di quanto lo possa la sostanu finita già esistente
in sé. L'ente, concepito come sostanza, è per cosl dire più idoneo
al ricevere (sul piano ontologico) poiché manifesta più originaria-
mente la povertà dell'essere che là dove l'alienazione dello stesso
si riferisce soltanto al 'non-essere', da esso realmente distinto dalle
potenziali forme sostanziali e della materia non-sostanziale. Quanto
più la realtà che accoglie viene presupposta sciolta da se stessa,
tanto più chiaramente nasce il sacrificio dell'essere, tanto più cssen-
L'UOMO E LA PAROLA

zialmente però esso si svela anche n.ella sua ricchezza che non ha
fuori di sé alcuna alterità che la limiti. Perciò la differenza tra es-
sere e sostanza materiale, la distinzione di potenza e di atto, è
'meno' sufficiente all'evento dell'amore che si fa finito che la diffe-
renza ontologica dell'essere nei riguardi della sua sussistenza finita.
Partendo da questa, l'inizio viene sperimentato meno oggettiva-
mente, più liberamente che nella limitazione dell'atto di essere
mediante la potenza. Il non-tenere-per-sé del dono rispetto alla sua
alterità diviene dunque più esprimibile nella misura in cui giunge
a sé la for-1.a di percezione ad esso presupposta come realmente
distinta, cioè la libertà del servo precedentemente estraniato da se
stesso (sottomesso ancora all'alterità del mondo sottratto e alla
schiacciante potenza del signore tirannico) riesce a erompere. Poiché
solo cosl egli testimonia che il signore, poiché si possiede in ma-
niera assoluta, rende libera autoritativamente (augere= accrescere!)
l'esistenza di chi gli obbedisce, verso l'adempimento dell'autoasser-
zione che gli spetta. Il libero parlare del servo liberato manifesta
la signoria della parola del Signore proprio nell'alienazione della
sua forma di servo. Perciò la ricchezza dell'essere come amore nasce
tanto più radicalmente, quanto più profondamente l'essere scende
sotto di sé, quanto più in modo liberato la profondità di accogli-
mento della sua venuta è donata antecedente a se stessa ma par-
tendo da esso. Con ciò stesso il non-tener-per-sé dell'essere arriva
alla crisi estrema là dove esso non si dà e non si 'sottomette' solo
ai fondamenti di possibilità di ciò che esiste, i quali lo ricevono e
lo limitano (qui la sua pienezza non arriverebbe a un accomoda-
mento proprio senza riserve), non solo all'essere-in-sé, non auten-
tico e oggettivo, della sostanza finita, bensl alla alterità 'personale'
della libertà finita. Questa attraverso la povertà del suo tacere, che
viene fuori dalla ricchezza ricevuta del suo parlare, può manifestare
ultimamente, nell'obbedienza, sia il dominio sia anche il servizio
dell'essere. Qui soltanto naufraga ogni oggettivazione precedente-
mente ancora 'possibile', dell'inizio rispetto alla sua 'vana' alterità.
Se però la libertà, capace dell'essere, diventa conscia della sua
potenza attraverso il sussistere di questa riduzione al finito, allora
comprende se stessa precisamente non per mezzo di un'alterità
LA rAROLA COME MEZZO DELl.A DIFFF.RF.NZA ONTOLOGICA

localizzata nel mezzo della sostanza materiale, in contrapposizione


al mondo che si manifesta, bensl per il fatto che essa fa passare il
tentato tenersi fermo alla pienezza dell'inizio, alla concreta presup·
posizione e all'alterità di una libertà che la impegna. Solo qui si è
veramente resa manifesta in se stessa la differenza ontologica del-
l'essere creato. Poiché la libertà del tu, che possiede se stessa, testi-
monia l'alienazione dell'essere ad opera dell'io che ascolta molto
più radicalmente di quanto possa svdarlo un' 'altra realtà' ancora
presa a se stessa nel campo materiale dell'ambito cosmico. Perciò
la differenza ontologica, e la parola come suo mezzo, non possono
primariamente venir lette e interpretate movendo dal rapporto
dell'essere con ciò che esiste, dell'intelletto con il mondo, del sog-
getto con l'oggetto; esse devono venir lette e interpretate nell'am-
bito di io e di tu.

c. Il 'dar un nome al mondo' come evento della scoperta del tu

Benché l'intelletto capace dell'essere sia già sempre 'stato' presso


l'essere, esso può avere il dominio nella pienezza dell'inizio attra-
verso la parola soltanto nella misura in cui esso, percependo, .si
estende nell'incalcolabile varietà di ciò che esiste materialmente e
fa scaturire da sé il mezzo della corporeità sens_i_bile come l'orga.!lo
nel quale esso corrisponde alla delimitazione dell'essere come amore
ed è presso l'altro da se stesso. Questa azione originaria dell'incar-
narsi, vista da questo punto, non è nient'altro che l'adatt31I!ento
dell'obbedienza dell'e~sere. Il parlare fuori dall'inizio si dà all'in-
telletto, partendo dalla sua apertura verso il mondo che è dato.
L'intelletto arriva all'essere solo per mezzo della presupposta_ di-
mensione delle sostanze che si manifestano. Queste, nella parola che
l'uomo dice, e nell'immagine che egli forma, ricevono proprio la
luce della loro automanifestazione, che le rende libere in se stesse;
ma nel contempo partendo da sé danno consistenza alla parola e al-
1'immagine. Senza la realtà data, la parola non avrebbe 'nessuna
sede'. Le mancherebbe il terreno nutriente della realtà, nella quale
già sempre essa ha posto radici. E, senza il mondo che si manifesta,
~66 L'UOMO E LA PAROLA

l'uomo si perderebbe nell'irrealtà della sua forza immaginativa svi-


gorita perché priva di fondamento e di sussistenza. Così la libertà,
finita nella sua esistenza concreta, è sempre già superata dal condi-
zionamento dell'essere per mezzo della sua alterità, in essa e con
essa e, obbedendo a questa povenà, viene disposta alla percezione
dell' 'altro da se stessa'. Essa può solo pronunciare la parola come
testimonianza dcl suo essere-presso-di-sé nel mentre rende libero
l'altro nella sua auto-dichiarazione, lo fa essere manifesto e lo lascia
apparire in se stesso.
Essa però raggiunge la sua adeguata alterità, come abbiamo visto,
non nell'ambito del mondo come tale, bensì nel tu. Solo l'alterità
personale di una libertà la rende libera dalla fissazione oggettiva
dell'essere nell'inizio che non poteva ancora apparire 'precedente-
mente' nella differenza personale di io e tu, poiché esso contro il suo
finito fondamento di possibilità in un certo qual modo teneva ancora
a sé, e perciò poteva rendere libero questo 'solo' nella forma della
materia vivente. In qt1esto 'nome' dell'altro la libertà però non tro-
va l'altro ad essa adeguat(). L'essere sostantivato in quanto tale
infatti, l'~mti-Dio ('accanto' al 'Dio come origine', ad esso legato,
imprigionato nel finito, alienato da se stesso), non vuole obbedire
alla povertà dell'amore. Egli perciò degrada il suo libero 'esser rice·
vuto' nell'altro, a 'servile' impotenza di una potenza 'oggettiva'.
Alla sua parola, nella quale non vuole proprio essere udito, pre-
mette la 'ç.Q!!cr~tl1_ fox~~~i9JJ.~_'__9i un essere 'vivent~' __!llate-
rialmente, della 'bestia'. Se la differenza d~11 ·e5~re- viene semplice-
me_m_ç ?_P.ert~-~":1L1:IJ.o.l1.c.l._Q__Q~tivo, se la libertà nell'accomodamento
del condizionamento guadagna solo l'entità materiale come pegno
della alienazione 'senza riserve' del suo inizio, allora essa ha ancora
sempre nascosto_ il datore assoluto, lo ha preso prigioniero nell'im-
potenza della- s~~- ti;a-nnide. Essa, rispetto alla manifestazione an·
cora negata (poiché qui l'origine non può palesarsi), è precipitata
nella 'coscienza infelice' (HEGEL) e non è capace della sua concreta
autoasserzione. s~J()-i~~--Cloveialibertà"-dell'io diienta -povera ;erso
la libertfdel tu che ascolta nell'attuazione della diffcren7.a ontolo-
gica, -~~I far u~~i~e-~~eCpresi_lpporre i fonda~cmi d~ll'accogli~cnto
ddl'essere sacrificato come amore, attraverso la generazione della
LA PAROLA COMF. MF.7.7.0 Dfl.LA DIFFEllEl\'ZA ONTOLOGICA

parola, solo là essa ha affermato la verità: Mediator unius non est.


In questo modo parlando domina solo attraverso il suo servizio
all'apertura che percepisce di fronte al tu nel mondo, da dove le
viene appropriato ciò che essa liberamente lascia accadere a se
stessa.
Lo spirito finito, capace della luce dell'essere, solo allora corri-
sponde alla pienezza dell'inizio, quando obbedisce alla verità, la
quale gli çlj~~ _che l'epifania 4~11~ ricche~. d~.!!~uto-c~~\).Dic~_one
divina è identica alla sua sacrificata alienazi_one. L'uomo perciò,
nell'interesse della sua libera auto-asserzione, è costretto ad attuare
quest'obbedi~!Jledi~_te jl sì ~_lla_s'"! esiste~ i'!c.~113ta; a met-
tersi nei confini del suo storico essere-nel mondo strutturato sempre
pluralisticamente, a percorrere la 'piccola via', che solo garantisce
l'auto-superamento della parola fino ai 'confini del mondo'. C.Osl
però egli non apparti~r.i~_a s~ s_~e~~·- bens!_a_ u_n_~; egli è qui per
le esigenze dell'altro. Quanto più radicalmente si attua l'incarna-
zion~_deJl~ sE!!!t~~nto @ profondam_ente_~!O. si lascia render
povero nella limitazione della sua natura materiale, quanto più indi-
feso e~so èdato inbaiia alla par~fa del -t~ tanto più originaria-
mente può esprimersi creativamente. Dove rinunzia alla ricchezza
del proprio parlare, attraverso il suo ta_cere, fa che l'altro si esprima
e giunga alla- parola, esso P<>ssiede.;; stesso, la sua parola diventa
fruttuosa al di _là di lui_, _l!~lJa- p~c:ila_ egli comincia a .d~~inare.
Anche nel rapporto di soggetto e oggetto domina questa media-
zione di dete!_minar~ 'medi~~te~ il. venir determinato. Ma l'alterità
del mondo che determina l'uomo che conosce non lo impegna cosl
originariamente come una libertà che dispone di se stessa. Soltanto
part_e!ldo dal tu, esiste l'io J!l_ q!,1_1m_to ta_l~ Lt.9J1.çi..ò. ~- lQ!almente
chiamato a percepire; viceversa l'altro, in quanto tu, è l'adeguata
dimensione di possibilità della libertà auto-determinantesi dell'io.
In altre parole: l'attu~i9!1~. della c!ifkrenza ontologica, come esito
del condizionamento dell'essere attraverso l'io, dischiude a sé la
vera efimensione d'obbedie'!u nel _t~ chu_s~ dimensione che è
presuppo~~a real"!_ef!.~e__diE_ersa _ila lui. Poiché questo tu preesiste
non in servile potenzialità, bensl come una libertà che si auto-deter-
mina, così si fa evidente all'io, attraverso lo spazio accogliente del
L'UOMO f. I.A PUOI.A

tu, che egli stesso è uno che percepisce, è cioè già in se stesso
libertà finita in ascolto.
Nella parola del dialogo non si può dunque ripartire sul tu e
sull'io azione e ricezione, senza soggiacere di nuovo alla dialettica
Ji p!_drone e schiavo. Con ciò stesso, nel pronunciare la par9la, l'io
si riferisce in tale maniern al tu, che egli nell'unità di autodivenire
attraverso auto-accoglimento, presuppone a se stesso questo come
un uditore, che ascolta pcrch_ç parlg. Lo stesso vale anche viceversa.
Nell'ambito dunque <li io e tu, viene rispettivamente posta e pre-
supposta come tale (~nità personale di atto e _di___E_oten~a, _d! far
essere e di lasciar libero. Perciò qui n~n __solo l'ente è !ihr_!_fosa
ri~p.etto all'essere, bensl l'intera difierrnia ontologica, il mistero
creato di magnificenza e di p~vertà dell'essere, la forma fondamen-
tale di soggettività finita dell'io è posta e presupposta come la sog-
geµività cl.!!llAllro. E come l'essere non si può conservare dentro
i suoi fondamenti di possibilità, bensl dovette rendersi finito attra-
vers~~ .I_e~e ~iv~J.il~ degli siwi, cosl più che mai l'alterità perso-
nale del tu per l'io non-~. !1'-1~!. ~~~P.Ecer:n_ente espressione del mede-
s~m_9. È piuttosto testimonianza della pienezza dell'essere, affidata
incondizi~~mente all'io, cioè pegno della poveri~ dell'inizio. "B
una prova vivente del fatto che l'io dispone di se stesso solo attra-
verso l'aver ricevuto l'essere come amore. Qui l'io è chiamato come
uomo nella sua totalità e si deve impegnare come tale nella sua
totalità. Mentre a chi parla interessa il tu che ascolta, egli an-
nuncia che l'inizio sacrificato, dal quale viene il suo parlare, lo in-
tende come parlante rendendolo realmente libero.
L'uomo non può disporre né della differenza ontologica, né di
quella ..~!i~lo~_a, perché è Dio che le tiene aperte ...L'uomo i~ompe
vers~I tu solo là dove Dio preceden/emt·n/e ha riconosciuto che
non~ b~ono per lui essere 'solo' (cfr. Gen.-;,18 ss.). Egli non p~ò.
partendo da se stesso, porre quest'altro; altrimenti, come succede
nel pec~t~;-egli ·avrèb& co~~~ differ~nza personak_ rispetto
a!._~. dall'inizio dell'essere eh~ egli pretende prendere in possesso
contro la sua riduzione al finito. Dio gli rende manifesti i suoi 'limi-
ti'; soltanto sullo sfondo clell'anoluto stesso l'essçre, come imma-
gine Cièrffiedcsi~o. -~n _può sta~-a-sé quasi un secondo Dio, bensì
LA l'AROLA COME MEZZO IJ~LLA lllfH'.RENlA ONTOLOGICA

attraverso l'altro da sé deve accettare i presupposti fondamenti di


possibilità (spogliandosi della sua unità), deve accettare la sua
'non-sussistenza' tra Dio e il tnondo e 'trovare' sé nell'essere ac-
colto. Più oltre si deve riflettere che l'uomo, proprio nel movi-
mento di questa scoper_ta J.el._f!!,__a lui di_schiusa da_ Dio, dà alle cose
un nome: e « .. .in qualunque modo l'uomo avrebbe chiamato ogni
essere viven~eL quello do_~~v~ esser~! s_ll_g _n~me» (~fr, .G~n. !,19).
Egli porta le cos~ creativamente nella parola, che non imponç__loro
dall'esterno, bensì assegna dall'interno, dalla piene~za della_ sua
capacità d'essere. Così egli fa uscire da sé creativamente nella parola
questo altr~~-però __è-~~ rj'ie forma per lui precedente17!e_!Zt_e _ciò,
che lui 'denomina', ed anche Ì;;-__'_condt~~e-a -l~F. pe~ ~<vedere, _c_ome
lo avrebbe cliia~ato». Dio suscita il parlare donando all'uomo ciò
che 1'1-!__~mo denomina e fa giungere alla parola, fa essere 'presente'.
In maniera abissaimente profonda splende qui l'incolmabile difle-
renza..Qi ll_Zione e di ricezione nella parola. Non una 'cosa completa'
Dio porta all'uomo, bensì la forma 'ancora una volta' dalla terra.
Non a quakòsa che è già 'stato' viene dato un nome, bensì Dio
conduce all'uomo qualcosa d0l1_Qyo', furmato dalla possibilità pro-
fonda. deli;-•terra;: Infatti- ciò che egli accoglie ca"~~ pr~~PPoSto,
è pres~ ne_lla parola eh~ ~glj_ li~e_ramente prod~e dalla_ luce e_ .flal-
l'inizio de~'esse~e. Perciò nel formare le cose da parte di Dio viene
espresso il fatto che nella parola, che _!'.uomo _gon.a_Joro, gli _enti
vengono fatti essere fin dall'orieine, in tal maniera, che l'uomo nello
stes~ -t~mpo in questa azione li crea e li accoglie _movendo _<Wla
origin~_çiò che Dio gli 'conduc-;-;,-n~n gi~ce af di là dell'azione del
parlare, bensJ, è tanto 'nuovo' __qu!nt~-e~sa. «E così l'uomo impose
dei nomi a tutto il bestiame, a tutti i volatili del cielo e a tutte le
fiere della steppa, ma l'uomo 11on trovò un aiuto a lui corrispon-
dente» (Gen. 2,20). NeiI~-paro-la che- eglipronuncia:rast chel'altro
si m!?__stri in ~é s~ssc:i e_Q eg~i ~isura la sua auto-asserzione ~ue­
s,l!!ltro, e l'altro su ciò che egli ~-per essen~a;_e_ non trova nessun
aiuto. «Allora ... Dio fece cadere un sonno profondo sull'uomo ...
costruì la costa, che aveva tolto all'uomo, formandone una donna
e la condusse all'uomo» (Gen. 2,2r ss.). In questo sonno l'uomo,
da una parte, è dcl tutto presso se stesso, è staccato da ogni altro e
_ 1 .lf\·11~rm111 S.iillr11, 11/ l
370 L'UOMO E LA PAROLA

nello stesso tempo è preso a se stesso dentro una povertà estrema.


Qui egli non parla più. Nel tacere gli vengono meno tutte le parole,
nelle quali egli può far sl che l'altro si mostri, e giunga a sé. E Dio
«prende d'--lui e costruisce» per l'uomo in questa povertà l' 'alte-
rità' a lui adeguat~. r:;-libertà la può solt~to f;r ~scire -da sé, -dove
essa nell'estremo abbandono è sottomessa a Dio. Un'abissale testi·
monianza per l'insopprimibilità della differenza dialogica nella pa-
rola. Non più Dio conduce all'uomo un' 'altra realtà' da lui prece-
dentemente formata dalla terra, bensl l'uomo stesso mette fuori
questo suo tu; l'altro è ora la cosa a lui più intima; egli stesso, in
quanto libertà finita, si dona sacrificato. Ma Dio forma e conduce
di nuovo il t_u all'io, c;he solo .o.clricevere.J'!Jtrg di~en~a ca_pace di
dargli il 'nome'. 'Dormendo', l'uomo perdutamente obbedì all'azione
di Dio su di lui. Ora egli può parlare, e può udirlo un tu che parla
come lui stesso. Dobbiamo restringerci a questi pochi cenni, benché
proprio su questo argomento ci sarebbe da dire ancora ~alto di
fondamentale per il nostro tema.

5. Li parola come mezzo Jell'antllogia dell'essere

a. La decadenza della parola a causa del simbolo infranto


di 'unità in molteplicità'
La dissociazione della 'lingua unica'

Abbiamo cercato di mostrare che la costituzione ontologica clcll'es-


serc finito diventa esplicita nella creatrice auto-comuni~one _di
J)io, per mezzo de.I Q!tl~re e deil'ucilrCdella p~rola __~'~b~t9 del-
l'io e del tu, movendo ~Ila lo~ propria profondità; e perciò si
esprime nell'ambito di libertà della storia. La fondazione ontologica
dell'ente dall'essere.. deve__y~nir SC!!lpre n@vamente compr~ e
interpretata panendo_diJà. _Perciò l'avvenimento della creazione rag-
giunge nella parola il suo proprio modello. In questo esso è vera-
mente preso fin in fondo o rifiutato, giustificato ~to a Dio, o
distrutto. Attraverso la parola, il ritmo che in apparenza si attua
senza problemi, del condizionamento dell'essere è dischiuso con
LA PAROLA COMI! MEZZO DELL'ANALOGIA DF.LL BSSl!RB
0
371

forza verso le aperte dimensioni della storia e affidato alla libertà,


è inserito nella storia di salvezza e di perdizione dell'esistenza
amante e decaduta dell'uomo. L'inizio della creazione, l'unità di
dominio e di servizio nell'essere come dono non è più per la libertà
un fatto 'passato', che (una volta mediato attraverso la dialettica di
atto e potenza nella sussistenza concreta dell'ente creato) verrebbe
a trovarsi dietro all'auto-attuazione umana. No, nella parola l'inizio
di creazJçme è ~~mpre un pres~nte nuovo, non disponibile. Esso è
l'irrompente oggi di Dio, perpendicolare all'orizzontale della li~rtà
dissociata in pura origine e puro futuro perché divenuta muta o
perché corrotta dalla ricchezza apparente della parola; oggi di Dio,
al quale l'uomo risponde, in quanto amando si comunica ad un tu
e nella parola rende libero questo tu in se stesso, cioè ascoltandolo
come l'altro che si palesa nella parola. Perciò l'evento della crea-
zione, l'attuazione della partecipazione dell'essere finito si simbo-
lizza n~is~ero dell'amore assoluto che è presente senza riserve nel
dono dell'essere~ ;ttra~erso Ja parola: nella SUa più originaria fo""rm.
di asserzione nell'ambito dcll'intersoggettività umana. Su questo
punto ritorneremo più wdi. Ora ciò che importa è rlllettere ancora
più profondam~nte part~do d~'amb!t~ anE:_o~logico A~lla pa_rola,
sulle strutture del condizionamento dell'essere, dove l'avvenimento
della creazione è al proprio posto.
Se l'essere rimane chiuso nell'origine, allora esso sottrae 'se
stesso' al dono di sé, per il fatto che si co_lloca in una posizione
di eq;ilibriòtra l'as5o1ut~-e-~i!~~~ e 'si' costituisce come ·,.;~­
tore' tra i d~e. Esso tenta di tener fermo alla sua 11ni1à originaria
--·
come 'immagine di Dio' contro il venir accolto, limitato e condizio-
· - - --· ---- - - ----
nato nell'infinita varietà delle essenze calate nella materia. Esso
considera la sua magnificenza come una rapina rispetto all'obbe-
dienza dell• sua ~~crtl_ali~ata. Pre!!!_l!flisce la sua potenza contrq
l'apparente impotenza della sua mediazione finita. Ma ciò che av-
viene in questo chiudersi dell'essere, non vien attuato cda esso
stesso•. A questo punto la riflessione filosofica entra in una crisi
abissale. Essa, se ci si può esprimere in tal modo, o deve personi-
ficate l'essere come il più eccelso dono dell'as~luJo_che~Ltomwiica
(ma il filo~f~--~~n ha aìcun dlrltt~-di farlo), oppure è tentata di
L'UOMO E LA PAROLA
372

'oggettivare' l'essere, per poter farr; queste asser;zi.oni _'in esso' o


'pqrtendo da. esso'. Allora però in questo 'far dell'inizio una sostanza'
snatura già a priori l'essere come pura mediazione dell'amore. Nel
suo parlare ddrauderchbc se stessa della sana esperienza di ciò
che in fondo le interessa. Perci(l quanto è stato fin qui detto, il
'se stesso' dell'essere inteso insieme, è da comprendere come una
espressione usata ontologicamente per le rispettive, determinate
formc strutturali storiche della libertà finita. 'Equilibrio dell'essere
nell'inizio', 'divenire sostanza', 'negazione della propria limitazione'
sono formulaiioni in cui non si esprime altro che un tentato dire-
se-stesso da parte dell'uomo, il quale ha rinunciato alla sua obbe-
dienza rispetto al tu infinito e finito, vuole darsi una parola 'asso-
luta' dal freddo ambito di luce dell'ipostasi dell'essere ed eliminare
con ciò l'essere-antecedentemente a sé nel silenzio.
L'uomo non ubbidisce più al tema della creazione della riduzione
dell'essere al finito, bensl si vincola in un_ purg 'ess_~re-pe~f
contcg la propria limitaziQ_ne e contJ'O __!! presy_Qposto _per~epiente
del tu. Egli ha logicizzato l'essere che trascende le essenze, cioè lo
ha Rreso in_possesso come r.c:>_nc~tto d~p_ol}il;lile _per disobpligarsi
e
dell'apertura i~dllesa della possibilità di esser interpellato nei ri-
guardi del tu e del mondo. In termini ontologici: è negata cd elimi-
nata l~ ~ensione di obbedienza all'alterità, a· lui presupposta in
modo realmente. distinto: dte gli° de~e i~teressare~ in quanto ~gli
afferma se stesso. Egli nella parola ha costituito accanto a Dio una
dimerw911e di dominio 'simile a Dio' ed è cosr- precipitato in un
abisso, in cui- appa~e~te~erite- né mondo né Dio possono superarlo
mediante la parola. Dio mediante questo atto della libertà, 'che
dice solo se stessa', è sperimentato come un'origine che non può
comunicarsi, perché è_~s~at~ pt:r l'essere, il qua1e-:-ln qu"anto dono
di cui l'uomo può disporre in modo oggettivo, rimane in equilibrio
'tra' il donatore e colui che riceve; e con ciò testimonia l'auto-alie·
nazione della sua origine assoluta. Il finito però jn tanto è dc~ten­
ziato in quanto n()n è anco~ t:l!P.a_ce_ della _parola__!!lfinita_dell 'essc_re
che viene amministrat;-- i;; un antropocentrismo degenere, cioè che
in concreto è giunto a parlare non ancora libero rispetto a se stesso.
La varietà di ciò che esiste è annullata nell'eqt1ilibrio t1nivoco e logi-
I.A PAROl.A coMr. Mf.ZZO llELL'ANAL0<;1A DF.l.!.'F.SSF.RF.
373

cizzato dell'ipostasi anti-divina dell'essere ed è tolta la mediazione


alienata dello spirito nel mezzo non-essenziale della materia (questo
pegno dell'essere come povertà sacrificantesi dell'amore) cioè nella
sua corporeità. Nel concetto dell'essere, l'uomo dispone di ogni
alterità. Egli_possiede iLpon.te._ cJaJ frill19 _l!ll'i_nfi11it~~· Egli ha tra-
sformato lo slancio trascendente verso l'assoluto in un excessus de-
termi11at11s; nella parola dell'essere da lui decisa ha intrecciato il
nesso babelico tra cielo e terra, si è fatto 'un' nome per sfuggire
alla 'diaspvra' nell'altro e «non essere disperso sulla superficie di
tutta la terra» (Gen. 11,1-9). In questo parlare, Dio vien conside-
rato come vertice e con ciò stesso di nuovo come un settore del
mondo. La parola dell'uomo si è impressa nella ricchezza apparente
della pura univocità dell'essere.
Ma l'i11i_ziativa deve mutarsi tosto nell'opposto. L'ibrida oggetti-
vazion~~delfes~~~e costi-inge laiib~tà "sotto lo strafare dell'alte~ità
della pluralità finita, prima domata, èsdusa- ed eliminata. L'inizio
'oggettivato' affoga nell'ambito materiale del mondo insieme con la
propria origine 'divina', antecedentemente vuotata. Colui che 'per
l'addietro' parlava liberamente cade sotto lo strapotere della corpo-
reità che lo assorbe, nel risucchio della realtà mondana che lo tiene
occupato dall'esterno, e la sua 'potenza' cade sotto il giogo del suo
schiavo di un tempo. Infatti la pienezza dell'essere che si salva
contro l'adattamento della sua povertà, la spontaneità assolutizzata
del 'creatore' far sorgere in parola e immagini le forme sostanziali
di ciò che esiste, prodotte materialmente, è, come abbiamo visto,
solo il rovescio della impoten1.a vuotata del parlare. Ora, di fronte
all'alterità del tu diventato tiranno e dell'anonima minaccia del
mondo, che la soverchia, la parola si svela nella sua mutezza. La
produttività del parlare, della parlata univoca e inequivocabile e del
'nome unico', il quaie doveva riunire cielo e terra, ha dato luogo
alla estraniata mancanza di linguaggio. Il silenzio negato, che rap-
presenta la pml('rfà dell'essere, riaffiora ora nel disordine della pri-
vazione della parola, precisamente ~ome_ ]? _lj_111_itazione della li~~tà
dell'essere nell'ascoltart' accogliente antecedentemente rifiutata, vie-
ne ricapitolat.1 come figura corrotta dell'inizio 'creatore' che decade
impotente nella ~ua alterità materiale. Lo spirito 'diventa bestia' e
L'UOMO E LA PAl!OLA
374

la parola si perde nella parvenza senza nome delle immagini. La


libertà viene sottomessa al destino dcl suo depotenziamcnto cupido
mediante l'altro da essa stessa che la estrania oltre ogni modo. Ora
i fondamenti della possibilità della 'riduzione al finito' gil 'esclusi'
hanno assunto il loro dominio. Ciò che il linguaggio fissato nell'ini-
zio logkizzato__aveva nega~o come sacrificio di servizio, come esi-
stenza per gli altri nella parola, proprio questo ora lo trascina, come
reazione, in schiavitù. La libertà mediante il no alla povertà del-
l'essere si è defraudata della propria pienezza; nella 'morte del si-
lenzio' si è privata del~o l!!_()prio _P1'rlare; nell'esclusione della
incarnazione esposta all'aperto del moI!~~ si è tolto la sua libera
auto-determinazione; cioè ha t~Itc;; alla molteplicità di ciò che ~iste
la vis concretiva dell'essere come amore. Così, mediante il tramonto
dell'inizio nell'alterità che ora lo inghiotte, l'accomodamento del-
l'evento della creazie>.!1~ -~i infrange nell~ur~. _equivEc!!L~el finito.
Con la parola, che vuole ten~rfermoaila propria ricchezza e che è
scivolata nella mutezza, anche l'anaJQg_ia_cl~ltesscre è stata ~trutta!
La _parola, come mezzo di azione e ricezione di una libertà finita,
viene fatta a pi;zzi nella dialettica deH' 'equilibrio dell'essere' e della
pura 'varietà dclfutito';e F,;~ica. lingua, nat;&iia parola del-
l'essere posseduta in modo ibrido, vien data in balla del disorienta-
mento babilonico. Il legame tra ciclo e terra è spezzato. La antece-
dente 'univocità' della parola dell'essere è scomparsa nell'oscurità
crepuscolare della sua 'pluralità di significato'.
Entrambi gli antipodi, l'unità logicizzata e la pura molteplicità,
sono tuttavia solo due momenti dell'unico e identico processo. In-
fatti il. 'p1,1~-j>~lare' dall'essere fisso in sé ha ora 'sostituito' la vera
povertà del silenzio medi;~J-~-uoto-mut~ dell'a~senza di parola
di fronte alla strapotente alterità del tu e dcl mondo. E viceversa:
là d~~e il parlare è estraniato a se stesso e preso nell'altro, esso
deve tentare di togliere la pro-pria nulHtà - attraverso 18 negazione
dell'altro. Siccome tu e mondo non danno più la loro parola, l'uomo
è cost@.O a_inoltrarsi nuovamente nel luogo dcl sottratto 'univoco'
equilibrio dell'essere (che sembra escludere ognì Tumtaz1one me-
diante un'alterità presupposta!) e dire a se stesso la parola. Egli
dunque deve parlare contro il tu e contro il mondo là dove nella
LA PAKOl.A COMI! MEZlO D•.Ll o\:-IAl.0Glo\ Pf.l.L'•.SSUE
0

parola pronunciata (come nella testimonianza che l'altro è in lui


e presso di lui) pensa e crede di essere diventato capace e partecipe
di essi, e di aver superato la propria schiavitù nell'alterità di tu e
mondo, diventata 'plurivalente'. Come la mutezza implicava il 'par-
lare ~so\!Jto~.J- così il ban~o della pura CtJlli_!ocità, _il __ quale_ tutto
distrugge e rende estranei ~li esseri l'un l'altro, è solo la ~nsc­
guenza necessaria di una libertà che (mediante la proiezione del-
l'univoco equilibrio dell'essere) - afferma se stessa contro l'altro.
Essa_nell' 'unica parola' manomessa, nell' 'unica lingua' aveva preso
anticipatamente tutto è aveva nnunciato al suo servizio nel dialogo
pluralistico delle molte lingue, il dar ascolto al parlare dell'altro
nella sull lingua. Il fatto che ora ode solo se stessa e cancella la
differenza personale rispetto al tu; che nella parola che essa pro-
nuncia non le inreres5a f ~tf"o,testimonia del fallimento dell'essere
come amore nell'ambito dell'univocità pura. D'altra parte: il fatto
che essa_!! dove: accoglie la y~o~ dal tu, non è più intes~e
'essa stessa', nella libertà della sua auto·asserzione capace della ric-
chezza dell'essere, esprime _çhe è_p~c_~ da_lla '..p~ra·~~ivocità nella
esperienza dell'essere (la quale raggiunge appunto nella par~bl;:;ua
immagine interiore a volta a volta strutturata diversamente). Dap-
prima io e tu pensavano di comprendersi l'un l'altro senza riserve
nella parola 'univoca' dell'equilibrio logicizzato dell'essere. Ora s'è
fatto evidente che proprio cos} l'uno non poteva più rivolgere la
parola all'altro e ascoltarlo. In ambedue i casi anche la auto-comu-
nicazione divi~ è _oscurata,__~ve_XuomQ domina m~iant.Li_'_QJget­
tivazic;me d~l'.~SC..~t.9oç_ SenCra !a .~ola ~nz& ~V~fl~~lta, egli
cerca tanto di identificare il discorso di Dio con il suo proprio,
quento_<!Lmomare_a,rtch~rr_ ciò çhe_ D!Q.. io un---1~lc;_ 'trnttc:ru:ICJl
suo dono (e ciò significa appunto il sostantivare l'essere), come fa
il tiranno, _!l.On las~~ <:~~ere l'altro da se stesso, bens} lo impoverisce.
Nemrod in Babele è il rappresentante di tale dominio. T-uttavia,
mentre quest'inizi_o univoc.o ~la P.!roJ~__(contro la povertà del si-
lenzio) precipita nella pluralità non mediata della sua alterità ne-
gata, si manifesta anche l'impotenza _4i _~esto Dio, _çp~ _ha._ccuato
di esistere e di comunicarsi nella parola là dove l'uomo incomincia
a prender in possessc;> il dono dell'essere antecedentemente ritenuto
L 'uoMo E LA PAROLA

sottratto, a dire senza presupposti la. su11 parola e con ciò 'a far-
essere' se stesso e ogni altra cosa. A questa 'ricchezza' del suo par-
lare è però propria inoltre la parvenza della 'povertà', poiché egli
cade continuamente sotto lo strapotere dell'altro. cioè si sfugge
nella mutezza del suo ascoltare (che non pcn:epi~cc nulla!). Certo
questa dipendenza, simulata come 'alienazion..:', ì.: ancora una volta
'povera', equivoca. Siccome cioè essa nasce dalla clecadenw impo-
tente del dominio nell'cssrre univoco, l'uomo sa anche che egli pub
superare per forza propria questa dipendenza dall'altro, cioè la può
tl'gliere movendo dal centro di potere univoco perdurante sullo
sfondo.
Ma come nell'analogia dell'essere sono supernte entrambe le
perversioni della pura univocità ed equivocità, ogni somiglianza con
l'origine è resa povera attraverso il più profondo abisso della sem-
pre maggiore dissomiglianza, è conservato il mistero dell'unità nella
molteplicità dell'essere, e persiste l'inizio attraverso l'apertura del
suo dominio 'mediante' il servizio, cosl si concreta questo vero ac-
comodamento della differenza ontologica nella parola. Attraverso
ogni parola pronunciata si simboleggia personalmente nell'ambito
di io e di tu la sana o corrotta attuazione dell'analogia dell'essere.
La parola (espressamente o nascostamente) indica sempre se la ri-
flessione attraverso la fuga nell'equilibrio dell'essere 'univoco', fat-
tosi trasparente concettualmente e quindi 'inequivocabile', si sia
sottratta alla povertà dell'amore alienato, cioè alla materia ('cor~
poreità') come campo del suo non fissarsi-in-sé, e al tu come la per-
sonale alterità del suo ascoltare che si abbanduna; oppure se essa,
amando, abbia attuato il suo essere se stessa positivamente ine-
quivocabile, 'superante' ogni alterità movendo dal principio, me-
diante il suo finito essere-nel-mondo e nell'esistenza per l'altro.
Nella parola l'analogia dell'essere ottiene una forma storica. Qui
essa si dispiega come il significato originario del dialogo di io e di
tu, nella mediazione di 'riflessione e amore', mediante l'incarnazio1x
dello spirito. Nella parola l'evento ontologico di 'unità nella molte-
plicità' ha raggiunto il suo libero simbolo. In C'ssa perciò la riduzione
dell'essere al finito si svela anche come gioco.
I.A PAROl.A COME MEZZO llEl.L ANAl.<XilA llf.1.1.'ESSF.RE
0

377

b. Parola e gioco

In ogni gioco arriva alla sua esistcnia concreta una legge formulabile
'inequivocabilmente' detta 'regola', attraverso la sua mediazione
incakolabile_s impreveJibile a priori nel campo plqralisdco dei
fenomeni materiali, degli atti individuali di attuazione, e nelle rela-
;doni storiche di quelli che fannn la 'regola'. Da una parte il gioco
non è reale nella forma della pura 'li.Qfa, sebbene qbesta entri -nel
gioco· come grandezza -·costituente. D'altra parte il suo influsso nel-
l'ambi!Q dcl mondo è J>!>ssibile s~ltanto se la dimension.~ del suo
apparire rispetto alia legge 'univoca', che viene attuata nel gioco
reale e si presenta in modo concretamente visibile, è in sé indeter-
min_!lta. Verso questa indeterminatezz_! deve ess~re _'!_~ta la legge,
nell'inte~ei~~- della s~a realizzazione. Non si può anticipare l'impre-
vedibile come risultato del gioco attuato. Non c'è, movendo dalla
legge 'conosciuta', alcu__!l_a__d~d~~ione conce!fual~dell__! fQrm~ storico-
concreta dell'attuazione del gioco. Ciò che si deve fare nel parti.co-
lare, m;dT~t~~i I~ regola diventa concretamente esistente e entra
nell'esistenza comunicata, non si può sviluppare a priori riflessiva-
mente come imperativo universale. In termini di ontologia: ciò
che esiste è indeterminato nella sua molteplicità rispetto alla sua
unità di essenza e di essere che si manifesta in lui. Se questa verità
non si accetta, allora non si può svolgere nessun gioco. La indeter-
minata molteplicità nell'agire della regola è allora revocata nella
legge conosciuta e determinata fuori dalla sua astratta universalità.
Perciò in questo caso la regola ripete solo se stessa e la riflessione
della legge non va oltre questa. L'atto mediatore dell'alienazione
della parola nell'attuazione storica sarebbe assorbita nel puro s11pere
della regola universale, il valore sarebbe stato sublimato ad una
funzione della riflessione; il mistero dell'amore.! è logicizzato. La
legge unica in sé avrebbe con ciò rifiutato la propria 'incarnazione'
nell'indeterminat<'z.r.a dell'apparire concreto. Infatti questa, nella
sua pluralità materiale e storica, è avviso dcl fatto che la profon-
clità creata dell't.'sscre è data ;n modo pl11rali.rtico solo nella molte-
plice alterità delle forme degli esseri materiali e della loro appari·
zione, rneJiamc c·ssa e con cssa. Nella indeterminatez;.a dcl gioco si
L'UOMO E LA PAROLA

manifesta quindi l'essere come amore,. non logicizzabile, perché so-


pra-essenziale e non fisso in sé.
Questa alienazione dell' 'univocità' della legge nell'indetermina-
tezza molteplice e sempre 'plurivalente' del suo esito concreto può
dunque mancare in due modi. Da una parte, con l'el~vare l'inde-
terminatezza a intelligibilità della legge in un solo significato ('uni-
voca'). Questa esiste ora in quanto conosciuta quasi 'per se stessa'.
Allora ciò che ancora può realmente divenire evento storico è puro
porre e attuare se stessa da parte di una legge già stata. L'abbando-
narsi della legge sull'alterità della sua varietà, che la comunica nel-
l'esistenza, è cancellato. Infatti ha la indeterminatezza solo fuori di
~é ed è inca[Jace di essa. Ciò in cui si manifesta, le è estraneo, co-
sicché l'apparizione non svela più l'essenza della regola e perciò
cessa di essere manifestazione attuata della regola del gioco. Ma se
la legge non può più apparire, allora è separata contro ciò che im-
pronta e non è più una 'legge'.
Ma il vero gioco è la comunicazione della legge 'inequivocrl,ile'
nella molteplicità «plurivalente delle sue concrete forme di attua-
zione». Perciò l'analogia dell'essere, al di là di una semplice uni-
vocità ed equivocità, ha anche il carattere di gioco. La riflessione
·non può mai cogliere l'alienazione dell'essere nella dimensione della
sua idealità, negare l'alterità presupposta e fissare l'inizio in sem-
plice univocità. Allora la differenza ontologica dell'amore si sarebbe
colmata e la povertà dell'amore, la cui magnificenza si verifica solo
nel sacrificio, nel rischio verso l'altro da se stesso, si sarebbe svilita
a funzione della legge conosciuta nell'inizio. L'io potrebbe disporre
del tu, del 'prossimo' e decidere già a priori chi può presentarsi o
non può apparire come l'altro nell'ambito della sua libertà. Non si
esporrebbe più all'altro in ascolto. Nello stesso istante però l'essere
logicizzato, univoco in quanto legge, si sarebbe perso nella pura in-
determinatezza; sarebbe vittima dell'equivocità. La legge diventa
matrice del puro arbitrio di esseri reciprocamente estraniati e cosl
ha distrutto se stessa. Il gioco dell'amore che si rende finito, an-
nullato.
Precisamente lo stesso pervertimento affiora tuttavia nella genesi
della parola. Se l'uomo parla dalla ibrida emancipazione nell'univo-
LA PAROLA COMll M"ZZO l>l'.l.L'ANALOGIA DHl.'ESSF.RE 379

cità dell'equilibrio dell'essere, allora egli, reso capace della appa-


rente pienezza dell'inizio, attribuisce la parola unicamente e so-
lo alla sua propria spontaneità. Egli nega ogni alterità: la sua incar-
nazione, il suo farsi determinata attraverso l'essere nel mondo
e l'accogliente ascoltare del tu. ~ scomparso il luogo mondano e
personale che scopre la pienezza nell'inizio creatore del parlare me-
diante la povertà della sua riduzione al finito. La parola vien fis-
sata come semplice posizione e come immagine chiusa in sé, come
legge che non prende su di sé il rischio del 'venir udito' e 'diventar
fruttuoso'. Colui che parla, teme nell'auto-comunicazione, per la
'inequivocabilità' della sua parola. Egli non vuole lasciarsi interpre-
tare di nuovo movendo dal tu. Cosl egli dice la sua parola al tu sem-
pre solo movendo dall'esterno e cosl violenta l'altro. Egli toglie
alla parola la fecondità ermeneutica e non può affidarsi, amando, al
tu. Egli si decide arbitrariamente lo spazio del suo venir accolto;
proprio cosl come antecedentemente la povertà dell'essere nell'ini·
zio veniva disposta movendo dalla sua 'magnificenza' irrigidita ir:
se stessa concettualmente. Perciò colui che parla si dice solo nella
parola del potere cieco, il quale annienta ogni gioco di botta e ri·
sposta, perché egli, movendo dalla sua natura, non vuole per nulla
esser ascoltato. La primitiva inequivocabilità della parola è dege-
nerata nella plurivalenza arbitraria e quindi indeterminata. Con ciò
colui che parla da parte sua cade sotto il potere del tu antecedente-
mente escluso, il quale presuppone a sé la parola un tempo 'inequi-
vocabile' in semplice plurivalenza ed ora, nell'atto dell'interpreta-
zione soggettiva, la eleva in se stessa ad una 'inequivocabilità' pre-
sente, non più sottratta. Cosl colui che parla, nella parola che pone
al di là della sua povertà incarnata, è ormai diventato una funzione
dell'impotenza dell' 'altro'. Egli decade alla semplice ricettività, che
è 'determinata' esclusivamente partendo dal tu.
Così il discorso ha perduto la sua determinatezza interiore e
vien dato in balla dell'indeterminatezza strapotente del semplice
vedere sensibile. La parola scompare nelle immagini, nelle quali
tuttavia non appare più nulla. Infatti, analogamente alla libertà
depotenziata di colui che parla, il quale nell'esito negato della limi-
tazione ora è impotente mediante il ~ominio dei fondamenti po-
L'UOMO li LA PAROLA

tenziali della possibilità dell'essere t:d è dato in mano alla 'inde-


terminatezza' dell'altro, anche la essenza del reale è scomparsa nella
alterità della sua manifestazione. Quindi ciò che esiste material-
mente come realtà che solo ora determina, e il tu precedente-
mente reso schiavo, i quali ora h.111110 ottenuto il dominio su co-
lui che antecedentcmcntc diceva solo se stesso, non possono pili
affatto riempire qm·sta vuotata forza di ricezione dell'io. Il gioco
della parola è scomparso nella notte della mancanza di linguaggio,
la quale ora deve viceversa abbandonarsi a un mondo reso stra-
potente e allo schiavo divenuto padrone. Ora tutto il parlare del-
l'io può riuscire solo attraverso un furto, in cui esso si appropria
la parola che gli è sottratta. Parlare diventa 'lavoro' e, anche in
questa prospettiva, è tolto il carattere ontologico di gioco della
lingua e del dialogo.

6. La parola come simbolo dell'esisteni.a per cui si deve ricont.scenza.


Parola e tempo . .

a. La genesi della parola nel ringraziamento

Ogni volta che la libertà o si abbandona 'spontaneamente' all'essere


concettualmente fissato, univoco, nell'equilibrio ideale, o nella sua
'recettività' si dà in balìa alla molteplicità infranta e immediata
di ciò che esiste materialmente, essa finisce sempre in un isolato
dire se stessa o nel mutismo. Nelìa decadenza della parola, essa
perde anche il carattere di gioco dell'essere autolimitantesi: il te-
ma della creazione. Una volta che la mediazione alienata dell'essere
scompare ( mt·diante i fondamenti di possibilità supposti realmente
distinti da esso), l:i pienezza dell'essere si chiude contro la sua po-
vertà, l'essenza contro la sua immissione nell'apparire, la parola
astratta n>r.ro l'immagine, lo spirito contro la sua incarnazione
sacrificata, l'io contro il tu che ascolta. L'essere'come dono rimane
negato nell'inizio. Non è più trasparente rispetto all'origine che in
esso si comunica. Ciò significa che l'uomo tenta di parlare creativa-
mente partendo <lallil luce dell'essere a lui interamente assimilato,
LA PAROLA <;OME SIMBOLO VFLL ESISTENZA
0

in quanto egli non concede all'autocomunicazione divina la parola


sempre maggiore sopra di sé come libertà finita. Il datore mani-
festo nel 'dono non donato' (quindi implicato fin dall'inizio in una
assoluta contraddizione con se stesso) e contemporaneamente an-
che 'nascosto', rende apparentemente 'possibile' all'uomo l'imporre
un nome a tutto l' 'altro' partendo dall'essere concettualmente dispo-
nibile dalla sua radice ontologica, e il dominarlo in quest'unico no-
me facendolo essere. Proprio perché il dono fissato in sé non viene
accolto, sembra render possibile a chi parla tutta la libertà della
autoasserzione illimitata. Cosl egli è produttivo, senza esserne
autorizzato.
In certo qual modo egli evita la riduzione al finito della sua
parola attraverso il tu che percepisce, e che rappresenta per lui
la sua adeguata personale alterità nel mondo.
Nel parlare dunque egli non si fa più ascoltare. Come egli co-
mincia in un punto che non lo costringe più ad ubbidire al dona-
tore assoluto, come il suo proprio parlare non trae vita dal suo
ricevere, la sua parola non viene resa povera nel tacere, bensl è
una ricchezza 'uguale' a se stessa, astratta, cosl egli nella sua
'autocomunicazione' non ha più bisogno di interessarsi dell'altro,
attraverso il parlare del quale, posto come premessa, egli arriva
all'ascoltare. L'essere non accolto rimane legato a se stesso in mo-
do tale che non ha più bisogno di percorrere l'abisso della diffe-
renza reale dell'io rispetto al tu, in certo qual modo sottratto a se
stesso (poiché del tutto donato). Colui che parla, parla a se stesso.
La sua parola quindi non è più simbolo dell'essere per cui si è rico-
noscenti, poiché egli stesso non vuole più essere ricevuto, nella
parola, da un tu, non vuole 'appartenere', nella parola, ad un
altro.
La differenza d'amore dell'essere colmata lega dunque la libertà
a se stessa. La sua esistenza non le si presenta più come dono,
poiché essa non ha più bisogno di affermarlo attraverso l'atto del
suo proprio autosuperamento verso il tu. Poiché il dono dell'ori-
gine irrigidito e fisso in se stesso non si libera dal suo impotente
donatore, esso sembra assicurare all'uomo l'assoluta spontaneità dcl
suo parlare. Per mezzo della impotenza di un Dio che non può
L'UOMO E LA PAROLA

rivelare se stesso nella sua parola, la ~ibertà si acquista la sua sfre-


nata automanifestazione. Essa però dimentica che facendo questo,
tanto meno nasce nel tu, dunque muore della mala sorte del rima-
nere soli, come non può comunicarsi ad essa il Dio impotente, che
essa si presuppone come il garante del suo essere se stessa.
Abbiamo visto però che l'uomo, tramite la oggettivazione del-
l'essere nell'inizio, cade sotto il giogo dell'alterità dapprima negata,
cioè dei fondamenti di possibilità personali e mondani che le limi-
tano. Questo decadere, privato di ogni potere e vuoto, della li·
bertà sotto se stessa e dentro nell'altro, sostituisce ora, per essa,
ciò che precedentemente era stato escluso come suo vero essere ac·
colto movendo dal tu e dal mondo. Solo attraverso questa aliena-
zione e dipendenza 'degenere' essa si percepisce impegnata al
'ringraziamento' (che in verità è inesistente). Poiché anche là dove
l'essere scompare nell'ente, la parola cade sotto le immagini, Io
spirito sotto la materialità, l'io sotto il tu, e con ciò la libertà inco-
mincia quasi a diventare 'ricettiva', nulla viene accolto.
L'impotenza di Dio si manifesta però nel muto, passivo esset
preso dell'uomo dall'esterno, in questo ascolto apparente dell'altro,
proprio cosl come quando l'uomo, chiuso in se stesso, è caduto
prigioniero nel monologo. Come non viene accolta la parola, che
ha la sua radice nella ricchezza univoca dell'equilibrio dell'essere
staccato dalla sua obbediente riduzione al finito, cioè in una li-
bertà priva di Qscolto, così nemmeno il parlare giunge all'ascolto
percepente a causa del depotenziamento della sua spontaneità sotto
la forza depauperante dell'altro.
Una volta che l'uomo ha colmato la differenza ontologica d'amore
dell'essere, cioè si è rifiutato alla parola di Dio, ha negato il carat-
tere di dono della sua esistenza, allora egli vuole 'essere' senza
donarsi nella parola e senza diventare, amando, l'altro. La sua pa-
rola non si può più superare verso colui che ascolta, perché non
può essere accolta da questo, non essendo passata attraverso la
notte redentrice del silenzio. Perciò egli è incapace attraverso la
parola di rendere libero il tu in se stesso, di risvegliarlo alla fecon·
dità che gli è propria e di portarlo al linguaggio. La parola in
lui non può tramutarsi in ringraziamento attraverso la liberazione
LA PAROLA COME SIMBOLO DELL'ESIS'l'ENZA

del tu, poiché essa stessa non è nata dalla gratitudine. Colui eh-e
parla strumentalizza colui che ascolta e contemporaneamente ricade
impotente da questi su se stesso. Egli diviene cosl lo schiavo di
colui che credeva di dominare con la sua parola. Questa non ha più
la sua misura nel tu, vuole solo se stessa e plasma su di sé lo spa-
zio del percepire, la potenzialità dell'ascolto. Se d'altra parte la
parola deriva dalla ricettività muta, non nasce dal ringraziamento.
L'ascolto passivo non accoglie niente poiché esso è in funzione
dello strafare dell' 'altro'. Se questi si fosse realmente espresso,
allora colui che ascolta sarebbe risvegliato attraverso l'autocomuni-
cazione del tu, al suo parlare reso libero. In questo modo l'impo-
tente accettazione del silenzio sterile e corrotto della schiavitù si
tramuta repentinamente in una presa verso la parola negata. Nella
parola intesa come 'concetto', l'uomo si assicura del suo potere
sull'altro, il quale precedentemente lo aveva alienato da se stesso.
Ma anche questa parola non è sentita come ringraziamento, per-
ché in fondo non appartiene a colui che la possiede. Essa non era
nata come frutto dell'autorealizzazione di colui che conosce, la cui
alienazione ascoltante nell'altro si era svelata non come radice
della propria maturante autodeterminazione, ma come il destino
della sua mancanza di parola. L'ascoltare non era stato per lui un
pegno della sua automanifestazione attraverso la parola liberamente
prodotta, bensl una sorda sottomissione rispetto a una parola del
tu, il quale si presentava solo determinante, senza lasciarsi da
parte sua determinare mediatamente dall'accoglimento dell'io.
Ma se la parola è immagine interiore della riduzione dell'essere
al finito, rivelazione della sua magnificenza attraverso la povertà
della sua umiliazione alienata, la forma unificante dell'unità di po-
tere e servizio, nata dunque ad opera dell'azione e dell'accogli-
mento, allora essa si rivela anche come simbolo dell'esistenza per
cui si è riconoscenti. Essa è perciò fin dalla sua essenza più origi-
naria 'glorificazione e lode' in cui si fondono rutte le altre forme
del parlare e del linguaggio. Pertanto fin dall'inizio non è mai 'una'
parola, ma è piuttosto mediata e dischiusa nella pluralità di un pe-
riodare, poiché è simbolo dell' 'unità nella molteplicità' e vive della
differenza d'amore dell'essere. La parola è il compendio della glori·
!.'UOMO E !.A PAKtll.,\

fìcazione di Dio attraverso l'autorealizzazione dell'uomo, l'arche-


tipo ontologico di ogni e ringraziamento'.
In essa si s11ggclla la verità, che ogni dono dall'alto è anche
sempre nel contempo f rnt10 che proviene dal basso, che ciclo e
terra si uniscono nel! 'epifania dell'essere come amore. Essa testi-
monia che là dove il clono dell'amore è riversato interamente c
senza riserve dai cicli, la tcrrn si apre e «fa .spuntare la salvezza
e germogliare la giustizia» (dr. ls. 45,8). La filosofia afferma que-
sta verità quando enuncia «l'identità della pienezza e della non-
sussistcnza (del 'non-essere'} del semplice essere tra Dio e la fini-
tezza». Essa ritiene, con ciò, che gli accoglienti fondamenti di possi-
bilità dell'essere siano scaturiti da esso creativamente e nel con-
tempo, per amore della povertà del suo condizionamento (in cui
solo si svela la sua magnificenza}, che siano ad esso presupposti;
afferma che l'essere, al quale nulla è estraneo tranne il non-essere,
in quanto ricchezza superessenziale proveniente dall'alto, risulta
tuttavia (come sostiene san Tommaso} «dai principi della realtà
realmente distinta (e a questi appartengono materia e forma sostan-
ziale), dunque sorge· dal basso; esso è frutto di ciò che da esso è
stato in modo assoluto superato, dotato e chiamato all'esistenza».
Questa non è altro che un'espressione analogica e ontologica per
dire che in ogni parlare si tratta di un tu che ascolta, presupposto
come accogliente; che ogni discorso creativo serve .alla automanife-
stazione del tu e che la ricche1.za di una parola si verifica nel
giungere al linguaggio riconoscente e libero di colui, che essa ha
precedentemente dotato.
In.fatti anche la parola dell'essere dell'origine che parla è già
sempre 'risposta'. Poiché per essa si tratta della libertà di colui
che da essa vive, essa è sempre già, stando dalla parte dell'altro,
propriamente la parola della assoluta potenza di Dio. Se la parola
umana riassume in sé questo evento dell'auto-divenire attraverso
l'autoaccoglienza della libertà dal mistero dell'essere, essa però
raggiunge la sua piena forma nel ringraziamento. La vera perversione
della parola consiste quindi nel fatto che l'uomo tenta di realiz-
zare con le sue forze la mediazione tra ciò che è sopra e ciò che
è sotto. Egli allora si pone in tensione tra spirito e materia in mi-
LA PAROLA COME SIMBOLO DELL'ESISTENZA

sura tale, che a lui si rendono disponibili la vetta più alta e l'abis-
so più profondo, sia nella forma dell'univocità logicizzata dell'essere,
sia nella molteplicità dell'ente materiale dissociato nella contiguità.
Entrambi i poli si capovolgono tuttavia necessariamente l'uno nel-
l'altro. Infatti la povertà dell'ascoltare, quand'è pervertita (come
alienazione attraverso l'altro), implicava la hybris dell' 'essere nel-
l'inizio' preso in possesso concettualmente; e questa 'ricchezza',
che ascoltava solo se stessa, era contemporaneamente impotente
sprofondare della libertà sotto il potere dell'altro. La dialettica del
dominio attraverso il servizio si ripresenta pervertita in questa
forma diabolica.
L'apparenza del farsi fruttuoso erompe dal basso poiché l'inizio
tramite la sua oggettivazione è caduto violentemente nello spazio
del mondo, e la sua impotenza è trasformata nella dinamica di una
'trascendenza immanente' del finito come finito, che ha raggiunto
la sua ricchezza assoluta. Ora finalmente 'parla' quello che per
l'addietro era stato 'il Dio assente'. Ma la sua parola che si abbassa
è solo la proiezione di una libertà che arbitrariamente porta sulla
terra il suo essere se stessa per l'addietro 'sottrattole'.
E questo 'movimento' coincide con lo sprofondare di colui, che
ha cessato di comunicare liberamente la sua parola eterna. L'uomo
è debitore a se stesso del dono della stessa parola; la terra, con
un processo evolutivo, può trarre tutto da se stessa; e quello che
prima era schiavo può porsi come nuovo padrone sul trono del
mondo. Non perché il Signore stesso avrebbe per amore assunto la
figura di schiavo, non perc~é la pienezza dell'essere come dono
proprio attraverso la sua povertà avrebbe reso possibile questo
fruttificare dal basso verso l'alto; non perché Dio per mezzo del
dono 'ha creato' dall'alto il fruttificare dal basso (cfr. Is. 4,,8),
bensl perché l'uomo 'afferra' la parola dell'essere fin dall'inizio in
modo tale che, sulla base della logicizzazione della stessa, egli
diventa con ciò partecipe della assoluta 'sicurezza' di non aver
'niente' dietro di sé, di quello che egli non avrebbe davanti a sé
come pienezza prodotta da se stesso, come dominio di se stesso pre-
cedentemente nullo, ora però divenuto ricco nel processo storico!
A questo punto, nella parola ogni ringraziamento è distrutto. La
25 - Mvsterium Salutis, 11/2
L'UOMO E LA PAROLA

parola è di nuovo spezzata nel puro passato (tutto era già stato
detto nell'origine, quando l'essere è 'stato' sottratto), e nel futuro
puramente a venire (tutto verrà alla parola solo tramite l'uomo,
poiché ciò che è passato è 'nulla'); quindi nella pienezza apparente
e nella povertà apparente. Poiché la libertà dell'essere come amore
non rende libero il vero futuro della parola, essa ba già reso passato
ciò che si produce attraverso l'oggettivazione dell'inizio. Solo la
caduta di questo dominio nella pluralità equivoca, materiale e sto-
rica, quindi l'impotente 'caduta' verso il basso della potenza (che
non dà 'nulla', perché essa ha già assorbito in sé precedentemente
la sua possibilità di essere accolta e di essere ascoltata) suggerisce
all'uomo che egli ha ancora tutto davanti a sé. In verità tutto il
futuro della sua auto-asserzione è già passato, come anche l'essere
sovressenziale è già stato logicizzato oggettivamente e consegnato
alle forme sostanziali degli enti materiali. Al di fuori del ringrazia-
mento il fruttificare della terra distrugge se stesso.
Tutto ciò si concreta fatalmente nell'ambho personale del lin-
guaggio. Come può colui che ascolta svelarsi in se stesso e uscire
dal suo nascondimento come uno che parla, quando io dico solo
«me stesso», posto che egli può divenire «partecipe» della mia
parola solo per il fatto che io mi 'perdo' in lui? Quando nel parlare
io non m'interesso dell'autoasserzione del tu? Quando dunque la
mia parola non è sottoposta precedentemente al giudizio del suo
silenzio accogliente? L'impotenza del tiranno non porta mai lo
schiavo alla vera potenza!
L'autentica attuazione della riduzione al finito dell'essere come
amore non si lascia sostituire mediante l'inerme caduta dell'inizio
nell'alterità dei suoi fondamenti di possibilità. Infatti questa 'ca-
duta' è solo il rovescio della povertà dell'amore rifiutata radical-
mente. Il mio parlare è genuino solo quando la parola viene donata
al tu in modo tale, che egli, in forza della mia parola, giunge alla
rispettiva originalità del suo parlare in modo che il tu custodisce e
si fa garante della mia parola, diventando a sua volta, proprio da
tale accoglimento, uno che parla liberamente. Se la parola non
prende su di sé questo distacco liberatore dell'amore, se tiene occu-
pato dall'esterno il tu attraverso il suo soffocante 'presente', senza
LA PAROLA COME SIMBOLO DELL'ESISTENZA

morire nell'altro nell'esser accolta e ascoltata, allora essa rimane


da una parte prigioniera in chi parla, e d'altra parte, a causa di
questa sua impotenza, vien gettata sterilmente in colui che ascolta.
Essa è mia parola, ritorna non infruttuosa a me che parlo, solo
quando è diventata, come frumento, pane dell'essere persona, pe-
gno del tu che giunge al linguaggio, fonte della libertà, «esistenza
per cui si è riconoscenti». Solo là è evidente che colui che parla
ha potenza nella sua parola; che questa non inten..le solo se stessa,
cioè la chiusura di colui che parla, e dunque manifesta la sua pro-
pria impotenza, bensl nella testimonianza della vera auto-comuni-
cazione dell'io al tu, prende 'distacco' dal tu. In ciò essa manife-
sta non propriamente la sua sottrazione nei confronti di colui che
ascolta, bensl il suo avvento in lui completamente liberatore, irre-
versibile, il suo servizievole e dominatore 'esser con lui' fino alla
fine. Solo in quanto frutto di colui che parla (cosl infatti essa ri-
vela la sua posizione in lui) la parola può render libero l'indicarsi
in se stesso di ciò che vien detto e la vera auto-realizzazione di co-
lui al quale è rivolta.
Mentre la parola rende capace colui che l'ascolta, dell'attuazione
del ringraziamento, cioè dell'accomodamento, libero perché supe-
rato e osato dalla parola, della storia proprio esclusivamente a lui,
essa manifesta che colui che parla non si è né perso nell'altro da
se stesso (cosa che la spontaneità che lo domina da parte del tu,
che sempre già parla, presupvarrebbe), né irrigidito egoisticamente
in sé ha ricusato di rivolgere all'altro la parola (per cui il dono
fisso in sé avrebbe provocato nell'ambito del tu una vuota mise-
rabile ricettività). Se la parola ritorna alla sua sorgente, allora essa
suggella la sua origine da colui che parla e il suo servizio al me-
desimo, nel quale essa trova il suo posto adeguato per il fatto che
il suo 'ritorno all'origine' è il 'sl' estremo al suo illimitato sacri-
ficio in colui che ascolta. Ma la risposta a questo ritmo unico e
duplice della parola realmente pronunciata è il ringraziamento.
L'UOMO E LA PAROLA

b. La parola come mezzo di unio.ne tra ongme e futuro.


Il suo presente nel ringraziamento

Nell'atto del ringraziare, né l'autodivenire né l'auto-accogliersi


possono esser posti isolatamente per se stessi, poiché qui, attra-
verso la parola nata dal silenzio, è superata la dialettica mortale
della dissociata analogia dell'essere, della quale abbiamo parlato.
Ogni parlare creatore e ogni ascoltare rimane precluso all'uomo.
Solo quando egli ha già ascoltato, gli vien data la parola; quando
realmente «crede, che egli ha già ricevuto», gli si dischiude il suo
futuro, nella parola arriva a cogliere se stesso, irrompe nell'im-
mensità della sua libertà (cfr. Mc. 4,25 e u,24). E viceversa: la
parola, giungendo a lui, non lo colpisce nella notte dell'impossibi-
lità di parlare, ma gli si rivolge piuttosto come già da sempre do-
nata, e come parola che si è suscitato e formato già prima l'ambito
della capacità di percezione adeguata a se stessa, aperta; proprio
in quanto futura essa è già stata udita. Come quella che è già
arrivata, invece, essa rimane futuro non disponibile.
A questo punto ci si manifesta ancora una volta più chiara-
mente fin dove la parola è realmente il mezzo della differenza onto-
logica dell'essere autodelimitantesi.
Quando dicevamo che l'essere come dono non è chiuso in se
stesso nell'origine, si intendeva con ciò il fatto che esso non rag-
giunge la sua propria magnificenza antecedentemente al suo sa-
crificio, per scendere solo «successivamente» nell'ambito del fi-
nito. Poi, sulla base di questa oggettivazione preliminare (il dono
non sarebbe dato, ma rimarrebbe chiuso in se stesso!), esso ver-
rebbe a scambiare la sua originaria creativa povertà con la caduta
impotente nell'altro da se stesso, quindi la riduzione al finito con
il concupiscente esser assorbito dall'alterità dei suoi fondamenti di
possibilità.
Ora però la sovressenziale pienezza dell'essere come amore è già
<la sempre 'povera', cioè quando essa si scopre come ricchezza, è
completamente donata e diventata tutt'uno con la sua capacità
radicale d'accoglimento; in quanto dono dell'amore, essa è l'altro;
'diventata' la radice della sua libertà sussistente, si è trasformata
LA PAllOLA COME SIMBOLO Dt;LL'ESISTENZA

nella realtà di colui che accoglie; 'sussiste' mediata, come la 'perdu-


rante' potenza della sua esistenza. Perciò ogni futuro del dono può
comunicare come nuovo e non disponibile solo ciò che esso è stato
da sempre a motivo della sua povertà, cioè il sì assoluto alla li-
bertà liberata di colui che accoglie. Non si può privare il dono
futuro di questo suo 'aspetto di passato' e della sua mediazione già
attuatasi, affinché soltanto allora e in questo modo sia conservato
quello che è veramente 'nuovo' in ciò che ha da venire. Chi sot-
trae l'essere alla sua radicale alienazione, snatura proprio il suo
futuro, fa perdere ad esso la sua repentina, imprevedibile subitanei-
tà; questi ha già deviato il fulmine. Egli ha già liberato dalla sua
kénosis il futuro dell'essere, il sempre di più della sua pienezza;
lo ha estraniato dall'ambito percepente della sua presupposta alte-
rità materiale e personale e con ciò condannato all'irrigidimento
oggettivo. Il futuro, che sta fuori, ora e anche per l'avvenire viene
costruito contro la sua attuazione alienata, storica, cosicché l'uomo
capita proprio là donde era fuggito, cioè nel puro passato di questo
futuro. Infatti l'avvenire, a favore della sua dinamica qualità di
futuro, è stato 'ricacciato' in se stesso dal presente (e perciò anche
respinto dalla mediazione attraverso ciò che è già stato). Ci si è di-
menticati che il futuro, nella sua indisponibile sovraessenzialità
che supera tutto ciò che è già stato, è manifesto solo quando si
promette attraverso la kenosis. Ma questo futuro (diventato 'futuro'
e ricco attraverso la rifiutata obbedienza dell'essere alla riduzione al
finito) non è più un vero fururo. Esso precipita, insieme con tutte
le sue promesse, nelle tenebre di ciò che è sempre già stato e vie-
ne inghiottito dallo spazio di ciò che è solo passato. Esso cade sotto
la statica contiguità dello spazio 'atemporale'.
La temporalità si coagula nelle strutture del finito e del già
compiuto. Perciò il dono dell'essere come amore è futuro solo in
quanto esso è sempre già accolto, delimitato nella profondità spa-
ziale della sostanza; dunque è stato ciò che esso supera, al di là
della essenza, per una realtà infinita. Il futuro dell'essere non po-
trebbe maturare lo spazio del suo venir accolto, se in esso e per
mezzo di esso non fosse, sempre, già mediato dentro il suo pre-
sente. Proprio in questa povertà il futuro è a volta a volta più
390 L'UOMO E LA PAROLA

ricco e non pura ripet1z1one del pas~ato; e il tempo non è pura


funzione, ma piuttosto un fondamento che sempre nuovamente fa
sorgere, cioè la potenza dello spazio 'che crea spazio'. Perciò anche
il passato non è un puro momento nello spazio statico del futuro
già mediato, bensl, derivando dalla maturazione per mezzo del fu-
turo, è esposto, movendo da esso, sempre nuovamente al muta-
mento e all'autosuperamento. Né origine né futuro dell'essere si la-
sciano separare l'uno dall'altro. L'essere è attualmente 'presente'
qui solo da questi suoi due poli. Se però esso viene guastato nel
suo carattere di amore, allora esso rientra in questi suoi due poli,
cioè rimane prigioniero nell'origine come dono sottratto, solo 'fu-
turo', e perciò una origine che violenta 1a libertà, che non la
rende libera, ma la altera. Perciò esso si promette all'uomo come
futuro in quanto lo costringe a prendersi e assimilarsi ciò che gli
è negato, dunque a portare a compimento con le proprie forze ciò
che l'amore depotenziato dell'origine non ha potuto realizzare.
Nella parola però si in.scrive insopprimibilmente la mediazione vera
o infranta della spazio-temporalità ontologica.
La parola, come testimonianza dell'autorealizzazione dell'uomo,
non può dunque salvare il suo sorgere in colui che parla per il
fatto che essa si comporta rispetto el tu come un evento puramente
'futuro'. Se essa viene pronunciata realmente dalla profondità dCI-
l'intelletto capace dell'essere, allora è sempre già arrivata in co-
lui che ascolta e 'incorporata' nel suo essere se stesso. Non la si
può quindi interpretare come un risultato sempre nuovo deri-
vante dalla spontaneità di chi parla. In tale caso, questi non si
sarebbe superato nel tu, poiché non si sarebbe sottomesso allo
spazio di colui che ascolta, il quale, in quanto tale, è già stato
uno che parla. Egli non avrebbe attuato la riduzione dell'essere
al finito attraverso la sua dimensione di accoglimento presupposta
realmente distinta da lui, cioè non avrebbe assunto l'inizio del
suo parlare come un dono donato per intero. Egli non si rico-
nosce più chiamato all'esistenza attraverso l'autoaccoglimento nel
suo proprio parlare e non vuole farsi scoprire e affermare come
uno che ascolta muovendo dal tu che già parla. Perciò non può
essersi 'perduto' nel tu, e crede che allora non può più esprimere
LA PAROLA COME SIMBOLO DELL'ESISTENZA 391

se stesso. Perciò colui che parla nega un suo essere stato prece-
dentemente accolto in colui che ascolta ed è perciò costretto a costi-
tuire sempre nuovamente il suo presente di fronte al tu. Il suo
futuro nella parola di fronte al tu non è superato da questa con
la percezione, in modo che l'io, nel suo carattere futuro per il tu,
non 'arriva' a se stesso partendo da questo. Il tu che ascolta non
è per lui autorizzazione del suo parlare. Per essere manifesto, co-
me uno che è capace della parola, egli deve quindi parlare conti-
nuamente. Non può mettere in salvo il suo discorso nel silenzio,
per testimoniare cosl il reale sacrificio della sua parola all'altro.
Se egli però, parlando e quindi giungendo all'altro, fosse per
lui 'futuro' e non fosse sempre colui che viene ascoltato dal tu,
se la sua parola non fosse 'stata' nel tu come in uno che è arri-
vato al linguaggio, egli non potrebbe mai essergli futuro. Solo
attraverso un misconoscimento di questa verità si può dire che
allora a colui che parla non resterebbe più nulla da dire e che
verrebbe soppresso ogni futuro di io e tu. Questo si potrebbe asse-
rire solo se si fosse scambiato l' 'essere stato' dell'essere futuro
con l'assorbimento nei suoi fondamenti di possibilità che lo accol-
gono, e non si vedesse più che solo il fatto antecedente della sua
riduzione al finito, cioè la libertà liberata dell'altro, garantisce la
sovresscnziale pienezza dell'essere nell'inizio, cioè la ricchezza del
mio proprio parlare. E, viceversa, solo quando colui che percepisce
«crede• veramente che ha già ricevuto, cioè che è uno che parla,
solo allora il suo ascoltare può aprirsi alla parola futura.
Perciò nel dialogo la parola riunisce in sé tutto il mistero della
temporalità ontologica. In essa io e tu portano a compimento que-
sto tempo nella sua figura, sana o degenere. Se la parola quindi co-
mincia nell'inizio fisso in se stesso dell'essere puramente futuro,
essa rimane da una parte estranea al tu; e d'altra parte si dissolve
nell'altro (sulla base di questa sua provenienza oggettivata). Essa
vien meno in lui come la parola già 'passata', nel tu è solo 'stata'.
Ma il tu, al quale perciò sfugge via cosl il futuro della parola ac-
colta, assolutizza se stesso nella propria parola, perché si è già
raggiunto nell'elemento della parola. L'io è perciò per lui qualcosa
di passato proprio là dove egli, parlando, si costituisce di fronte
L'UO~IO E LA PAllOLA
392

al tu solo nel carattere di puro futuro. Egli si sottrae perciò alla


esigenza del tu. Quando la parola non garantisce la vera media-
zione di futuro e di passato dell'essere, il dialogo si spezza, cioè il
presente di io e tu si dissocia nella dialettica dei due poli, che si
Jistruggono l'un l'altro, di futuro e di passato del linguaggio e del
parlare. L'io nella parola può essere futuro per il tu solo in quanto
è sempre «già stato» nel cu, cioè parlando rende libero il tu che,
attravt.:rso la parola, si annuncia in sé, e attraverso il parlare del-
l'altro rientra nella sua propria essenza. In tal modo, attraverso il
suo futuro rispetto al tu, si mantiene non irrigidito nell'attualità
del suo proprio discorso. Nella sua parola futura è nel contempo po-
vero tacendo e questa povertà si sigilla nel fatto che l'atto del
suo parlare è sempre staio in precedenza non disponibile da colui
che parla, la potenza che rende l'altro libero di parlare. In questa
verità, io e tu portano ad accomodamento fnitezza e temporalità del
loro parlare. La parola nel suo vero futuro non può valicare l'abisso
di questa differenza, nella quale essa è stata posta, senza privarsi
del suo reale sorgere nel tu. Se colui che parla tentasse, nel carattere
futuro della sua parola nei confronti dell'altro, di disporre arbitra-
riamente di questo suo 'esser stato' nel tu, allora non si presente-
rebbe povero dalla parte dell'altro, non avrebbe bisogno di aprirsi,
nell'ascolto, alla parola dell'altro. La parola, che io pronuncio, non
sarebbe perciò motivo di ringraziamento, perché non resa libera per
sé movendo dalla parola dell'altro, convinta della sua riduzione al
finito e resa feconda da un ascoltare. Ma se l'io rimanesse prigioniero
nella parola del tu, che già parla, se la sua potenza non fosse mani-
festa in ogni sua nuova parola proprio là, dove io l'ho accolta, e
quindi sono già uno che parla, allora per il tu la sua parola sarebbe
letteralmente 'passata', e tanto meno motivo di ringraziamento. Per-
ciò si può dire che solo il vero dialogo garantisce nel ringraziamento
la spazio-temporalità oncologica nella parola. Solo nella parola del
ringraziamento l'uomo può riunire origine e futuro dell'essere nel
presente della sua esistenza, come io e tu.
LA l'AKlll.A c·oMI' Sll\.11"11.ll UU l ll>ll>Tf.N"lA
0

393

c. La parola come legge e promessa

La parola può esser sentita rettamente solo dalla riduzione dell'es-


sere al finito. Come forma sostanziale conosciuta del reale, essa è
sca111rita dall'intclleun capace dell'essere, però nel contempo è ad
esso presupposta. Il pensiero è creativo solo in quanto, nel pro-
cesso dell'amore che si è abbandonalo, si sottomette, ascoltando,
all'altro da se stesso, oppure, in termini ontologici, esprime l'adat-
tamento della pienezza dell'essere attraverso la sua kénosis nella di-
mensione, che la accoglie, dell'obbedienza di forma sostanziale e
materia. La particolarità dell'altro, presupposto, sia esso l'essenza
dell'ente materiale nell'ambito dcl mondo o la libertà dd tu, non
può proprio venir omessa nell'interesse della magnificenza intangi-
bile dell'inizio nella sua attualità che si comunica. Colui che elimina
la posizione positiva della realtà che riceve, la struttura essenziale
e legge dell'ambito della obbedienza nella delimitazione dell'essere,
perde nel contempo la propria pienezza d'atto. La spontaneità del-
l'auto-asserzione esistenziale della libertà si ritira in se stessa, in una
vuota produttività. Questa finisce nella crepuscolare indetermina-
tezza dell'equilibrio dell'essere che si fissa in sé, nell'insieme contem-
poraneo di sl e di no. Con ciò era data tuttavia proprio la schiavitù
del parlare 'creatore' nella concettualizzazione dell'inizio, in cui
nuovamente ogni attualità s'irrigidisce 'in modo essenziale' e quindi
soggiace al formalismo razionalistico della lingua.
Si era però fatto vedere che l'emancipazione della libertà, che
dice se stessa nell'inizio oggettivato, è data in balia all'altro da se
stessa cioè all'alterità, che ora assorbe tutto, dcl fondamento mate-
riale dell'accoglimento e alla sua dissociazione. Perciò l'attualismo
formalizzato di una auto-comunicazione nella parola sciolta da qual-
siasi sostanziale legalità 'istituzionale' decade nell'ambito dell'emo-
zione sensibile. Esso entra nel vortice 'indeterminato' delle sue sen-
sazioni e affermazioni, il trastullo dei quali è diventata la sponta-
neità di colui che parla, la quale prima pareva possedere se stessa
pienamente. Se però la parola riunisce in sé l'accomodamento della
differenza ontologica (il compendio dell'attuazione umana), allora
L'UOMO E LA PAROLA
394

essa è determinata nella maniera più profonda dalla struttura di


questa mediazione degenere.
Di ogni autentica parola è proprio un profilo netto che nell'atto
del conoscere da cui nasce la parola non si lascia costituire di nuovo,
rispettivamente dissolversi nell'indeterminatezza di ciò che non è
stato detto, oppure non ancora. La parola non può esser disgregata
a piacere, in vista di un'attuazione della sua genesi possibilmente
ancora più originaria, nella sua struttura essenziale. Infatti con ciò
sarebbe defraudata della sua intima portata, se non potesse testi-
moniare la realtà nascosta in essa, sempre di più e sempre maggiore
di colui che parla e di quanto è detto, cioè la profondità sopra-
essenziale dell'essere. Quanto più irreversibilmente riluce la diffe-
renza reale dell'essenza presupposta rispetto all'atto dell'essere,
tanto più profondamente questo si rivela mediante la sua riduzione
al finito nella 'indeterminatezza' positiva della sua ricchezza irrag-
giungibile, dalla quale è sorta la sostanza che lo accoglie. La parola,
come forma essenziale conosciuta, ha in sé questo irremovibile e in-
sopprimibile splendore di ciò che è posto in antecedenza. Lo 'spirito'
della parola non si svela al di là di questa positiva struttura norma-
tiva della stessa. Chi parla non può stemperarla arbitrariamente nel-
l'atto di un conoscere che vuol rimanere sempre 'iniziale'. Nella
parola autentica, ciò che giunge alla parola vi è sempre già stato
mediato, avendolo realmente prodotto colui che conosce come frutto
della conoscenza, in attuazione del dono dell'essere ricevuto non
infruttuosamente. Qui si fonda la struttura stabile, 'essenziale' della
lingua e della sua grammatica. L'articolazione grammaticale delle
strutture della realtà data nella parola non può essere eliminata in
favore della libera auto-asserzione di colui che conosce. Proprio in
vista dell'abisso sopra-essenziale dell'essere mai oggettivabile, in cui
si fonda la plasticità del linguaggio, c'è un 'indice dogmatico' della
parola, mai eliminabile. Tutta la dinamica del parlare interiore ed
esteriore è segnata da questo a priori della parola posta. In favore
della presenza del futuro attuantesi dell'essere, la parola è istituzio-
nalizzata legalmente in tale misura che essa in ciò attesta il non esser-
6sso-in sé del suo futuro. Questa costanza della parola determinata
movendo dall'essenza dell'ente, il suo carattere s.tabile e 'perduran-
LA PAROLA COME SIMBOLO DELL'ESISTENZA
395

te' è però tutt'altro che la prova di un positivismo linguistico, tutta-


via forse legittimo.
Certo noi siamo continuamente esposti alla tentazione di far sl
che la parola sia 'stata', di scioglierla dalla profondità inesprimibile
dell'essere sopra-essenziale, di strapparla all'abisso del silenzio e di
calcolarla 'compiuta'. Cosl la poniamo fuori dall'ibrida emancipazio-
ne del pensare nell'equilibrio onnipotente dell'essere clell'inizio an-
cora 'indeterminato' e crediamo di aver ormai tutto raggiunto.
Allora la parola decade a segno linguistico manipolabile a piacere.
Oppure ci riferiamo alla parola già posta come a un'estranea cosa
in sé e rispondiamo ad essa con una passività impotente, cosicché
la facciamo produrre e 'esserci' successivamente nel modo più spon-
taneo in rinvio alla soggettività creativa, per indicare che essa, solo
come frutto dello spirito che conosce, può essere la misura oggettiva,
alla quale lo spirito solo allora si sottomette se esso stesso la ha
prodotta. La parola data può ovviamente determinare la libertà solo
in quanto questa la genera creativamente. Dalla fecondità mediata
della soggettività è ricavabile l'oggettività determinante di ciò che
è detto. Ma non si può far diventare 'determinante' lo strapotere
presupposto, 'dogmatico' di ciò che determina, strapotere che ha
alienato la soggettività nella pura recettività (e con ciò non deter-
minava più affatto) per il fatto che, in antitesi alla posizione di par-
tenza, si mobilita la spontaneità dell'io. Ci si sarebbe sottratti alla
vera esigenza della parola. La fuga dal suo 'passato' e dalla 'legge'
della parola in un futuro che la fa essere presente solo nell'evento
momentaneo del parlare e subito nuovamente la dà in balfa dell'as-
senza, affinché diventi possibile l'attualità di un 'nuovo' parlare
intatto, ha distrutto la vera produttività del discorso.
Nella libera esecuzione della delimitazione dell'essere come amore
la parola viene continuamente di nuovo riempita o svuotata dal-
l'inizio consistente o no, che nessuna forma sostanziale conosciuta
può raggiungere; ciò però che in essa si lega come maturazione o
rovina della libertà, non sopprime la parola in cui è pensato e detto,
bensl ·si effonde in essa come in uno spazio in cui l'evento storico del
parlare è già 'giudicato' a priori. Le parole 'vita', 'luce', 'tena',,
'cuore' possono essere fisse e compiute. Con esse si può circolare,
L 0 UOMO E I.A PAROLA

come se si avesse in mano monete ~oniate, senza comunicarsi real-


mente in esse, senza donarle come testimonianza della realtà speri-
mentata e conosciuta. Ma anche là dove queste parole sono 'riem-
pite', si annunciano nella 'medesima' forma: 'vita', 'luce', 'terra',
'cuore'! Sono però ancora le stesse come prima? Niente affatto! In-
fatti ciò che esse erano, è stato mutato mediante l'irruzione di un
futuro prima non ancora arrivato di una 'nuova' esperienza dell'es-
sere. Cosl la parola è profon<lissimamentc mutata mediante il farsi
presente di ciò che finora era in essa nascosto! Cionondimeno, la
'nuova' realtà si presenta in essa come quella sempre intesa, e detta
insieme pur con ogni deficienza. Infatti ciò che è nuovo 'era' la
'misura' dell'antico. Cosl le parole 'giudicano' colui che parla nel suo
agire! Ciò che si promette come futuro nella parola che è 'stata',
non si lascia ricavare razionalmente dall'ambito di ciò che è antece-
dente al parlare nella parola già data. Facilmente l'uomo è sedotto a
far tali cose perché il sempre più di ciò che deve venire, in forza
della sua povertà, si è sempre mediato in ciò eh~ è 'stato'. Tuttavia
il passato vien preso seriamente solo se esso apre l'amhic.1 profondo,
lo 'spirito' della parola, il quale si dona nel silenzio, lo conserva e
lo lascia soffiare.
Là solo la parola ha speranza, se, in quanto stata, sta nel 'non
ancora' dell'essere come amore, indisponibile riflessivamente, il
quale non può esser espresso adeguatamente in nessuna parola es-
senziale. Cosl la parola 'antica' deve esser attestata di continuo nuo-
vamente fuori dal futuro ontologico. Ciò che sopraggiunge non si
può intendere come risultato derivato da ciò che era stato introdotto
nella parola. Ciò costituirebbe la morte di ogni promessa, da una
parte la condotta della picnez1.a dell'essere sotto la legge dell'essenza
che ha ormai sempre ricevuto, e d'altra parte l'oggettivazione del-
l'inizio nel futuro puramente non esistente. Provenienza e futuro
sarebbero allora divenuti concettualmente disponibili per l'uomo.
L'idolo, l'ibrida libertà nell'equilibrio dell'essere logicizzato a ine-
quivocabilità, procurerebbe la sicurezza per ogni futuro. Ora può
venir solo ciò su cui l'uomo può riguardare come su realtà com-
piuta. Ma il vero 'da dove' della parola passata è il suo futuro, da
cui essa deriva. Poiché questo (come mistero dell'essere che si rénde
LA rAROLA COME SIMBOl.O DELI.'f.SISTENZA
397

finito) pone dalla propria ricchezza ciò che è stato, in modo che già
'era' in esso, a motivo Jclla sua povertà, cosl esso è perciò in realtà
proprio il 'dopo' e il 'non ancora' non disponibile, che abbraccia
tutto il passato eJ erompe nel mistero. «Io ha annunciato il passato
da tempo; esso proviene dalla mia bocca, io l'ho fatto udire. Al-
l'istante io l'ho adempiuto ed esso si è verificato» (Is. 48,3). «lo
te lo annunciai da tempo, prima che avvenisse, te lo feci conoscere,
perché non dicessi: - li mio idolo ha fatto ciò, la mia starua e il
mio simulacro lo hanno ordinato» (ls. 48,5 ). Così parla Dio.
L'uomo quindi non si può riferire alla parola passata, come se
egli l'avesse già compresa come passato. Il futuro gliela rende 'per-
cepibile', da un accogliere gli è attribuito e affidato ciò che egli crede
di abbracciare con lo sguardo. Non si tratta di un patrimonio fisso
che si è sviluppato per forza propria, bensì di qualcosa 'attuato im-
provvisamente'; non mai una realtà che 'perdura' univoca, una
realtà 'esistente, chiusa in se stessa' e separabile rispetto al suo
futuro, bensl sottratta al bando della alterità materiale, al risuc-
chio della 'legge naturale' fissa in sé. Presupposta oggettiva-
mente, vien fissata in modo cosmocentrico solo allora quando l'uo-
mo fa che la parola sia talmente passata mediante la presa in pos-
sesso concettuale del futuro sopraessenziale dell'essere, cosicché
nell'ami-Dio dell'ipostasi dell'essere eretta da lui, egli adora l'op-
zione per se stesso. Allora perb il futuro della parola è per lui solo
passato ripetuto in modo privo di vita. Egli non può più far morire
nel silenzio la sua parola. Essa resta per lui la 'stessa realtà' in una
identità sterile, cosicché in essa la libertà non si può più superare,
non può 'diventare di più'. Il dialogo è ammutolito e gli uomini
si logorano reciprocamente in un discorso infruttuoso.

d. Parola ed evoluzione

Cosl la libertà finita non può mai colmare in un oggi assoluto la


differenza ontologica, origine e futuro dell'essere come amore, senza
o distruggere la sua esistenza presente per il tu in una tentata auto-
asserzione assoluta (che ha ormai distrutto l'altro come suo futuro,
rispettivamente come sua origine), oppure distruggere se stessa
L'UOMO E LA PAROLA

dentro la mutezza .di fronte alla parqla del tu puramente passata


(come sua propria origine, rispettivamente come suo futuro ne-
gato). Perciò in ogni dialogo genuino si attua· la sana mediazione
della spazio-temporalità ontologica nel presente dell'amore, il quale
solo libera nel suo oggi, nel suo 'io sono qui' il vero maturarsi della
libertà dagli ambiti non disponibili di futuro e di passato. In que-
sto contesto si esprime una realtà ancora più profonda. L'interpre-
tazione intersoggettiva, storica, della differenza ontologica nella pa-
rola non apre solo la forma del tempo dell'essere creato, bensl nel
contempo il ritmo di auto-formazione mediante auto-accoglimento,
come si manifesta nell'evento dell'evoluzione cosmica.
Infatti l'essere come dono mostra là originariamente la sua po-
vertà dove esso presuppone a se stesso la sua alterità non solo nella
struttura dei fondamenti ontologici della possibilità, bensl anche nel-
l'essere se stesso personale del tu. La vera ripercusssione dal basso
verso l'alto dell'infinito atto d'essere, condizionato e accolto, è per-
ciò raggiunta solo nell'ambito dell'io e tu. La libertà corrisponde al
carattere di dono della sua esistenza se comprende se s~:!ssa in modo
da esperimentarsi interpellata movendo da un tu che non si può
più eludere. Quanto più costosa e ricca è in se stessa la dimensione
dell'ubbidienza della mia propria alienazione, quanto più radical-
mente l'altro possiede se stesso ed esiste 'per il proprio interesse',
tanto più egli mi rende libero da ogni irrigidito fissarsi nel ghetto
dell'essere sostantivato; tanto più profondamente mi libera a do-
narmi; tanto più io mi sento sottomesso all'inizio dell'essere donato
senza riserve, disposto ad accogliere, sciolto dai poli isolati della
pura origine e del futuro puro, e aperto presente all'altro da me
stesso. Dove l'uomo amando si comunica nell'amore, là gli appare
che egli giunge a sé attraverso un tu, e questo egli lo abilita a
parlare quando egli si è già sottomesso all'ascoltare dell'altro, attra-
verso la cui povertà egli è ricco e il suo proprio potere si legittima
solo attraverso l'accresciuta libertà del tu. Nel tu, il dono della mia
parola è per me compito, la mia parola ha futuro, cioè l'intima forza
di donarsi. Perché e in quanto il tu, con il parlare, addirittura si
supera nel suo proprio futuro, la mia parola è realmente pronunciata,
è 'stata' nell'altro, si è 'consegnata' in lui. Solo là dentro si esprime
LA PAROLA COME SIMBOLO DBLL'F.SISTF.NZA 399

la forza dell'essere conscio di me, solo cosl io mi indico e mi annun-


cio in me stesso.
Ciò significa che l'unità dell'essere come amore, non limitata da
alterità alcuna, si 'perde' nella profondità dell'infinita molteplicità
e varietà delle forme sostanziali degli enti materiali ( pluralitas per-
tinet ad rationem boni!) e si fa 'compito' a se stessa nel portar
frutto dal basso verso l'alto. Attraverso l'altro giunge a se stessa,
senza esser 'compiuta' già prima di questo futuro, cioè senza sussi-
stere come dono in sé consolidato 'accanto' all'origine e sopra la
libertà. Il fatto che questo 'compito' dell'auto-trascendenza 'comin-
cia' nel medium della materia, nell'abisso della separazione e della
contiguità, non vuol dire nient'altro che l'essere nell'inizio fa deri-
vare da sé non solo la molteplicità delle forme sostanziali (in sé
uniche), bensl anche questa non essenziale dimensione di possibilità
della sua riduzione al finito per l'epifania della sua vera alienazione;
che esso non è diventato un futuro 'contraffatto' già stato, bensl
realmente un 'compito', che attesta la sua ricchezza compiuta e
sempre già 'stata', non altrimenti che mediante l'auto-superamento
di ciò che senza di esso è nulla. Perciò ogni incarnazione dello spi-
rito capace dell'essere è nel contempo un frutto della terra e una
prefigurazione ontologica della incarnazione della parola eterna. la
quale, precisamente perché il Padre la genera nel!' 'oggi' assoluto
(e non la ha davanti a sé né come già 'stata' al di là della sua na-
scita da lui, né come puramente 'futura'), possiede un albero genea-
logico nella stirpe umana. Cosl povera può farsi solo l'assoluta pie-
nezza dell'amore. Poiché Dio si possiede totalmente, cioè in quanto
Padre attraverso il Figlio nello Spirito santo è amore eternamente
donato (ciò che esclude la sua caduta sotto l'altro da se stesso, ma
include la auto-comunicazione illimitata, liberamente voluta) l'es-
sere in quanto immagine di Dio è totalmente donato, nasce solo
come auto-superamento di ciò che attraverso questo dono ha accolto
se stesso; esso celebra la sua epifania nella forma della differenza
ontologica, cioè nell'azione di grazie della liturgia cosmica di auto-
divenire attraverso auto-accoglimento.
La parola però ci si era svelata come mezzo del ringraziamento.
Essa si fonda originariamente come frutto dello spirito capace del-
l.'LJOMO E LA PAROLA

l'essere nella pienezza sovra-essenziale dell'inizio in essa ammutolito.


Perciò porta l'uomo trascendentalm'ente sempre di nuovo in quel
luogo in cui egli è liberamente confrontato con l'insieme del cosmo,
con tutte le dimensioni della possibilità, che scaturiscono dalla
kénosis dell'essere. Le parole impegnano cosi in maniera totale, mo-
vendo dalla loro origine, l'abisso della materia e la varietà delle
forme sostanziali. Tutto ciò che può nascere da questa dimensione
materiale dell'accoglimento è antecedentemente sottomesso all'auto-
asserzione dell'uomo nella parola, alla libera responsabilità della
riduzione dell'essere al finito; è toccato nel modo più profondo dal
futuro irraggiungibile (perché radicato nell'abisso sopraessenziale
dell'essere) della parola, sottoposto al destino della libertà. Dunque
nessun passato puramente materiale, che, quale seno cosmico esi-
stente per se stesso, rotante su se stesso al di là del presente della
parola, potrebbe generare da sé lo spirito e la parola a modo di
evoluzione; non c'è nessun procedimento progressivamente lineare,
all'interno del quale, in un punto della linea ascendente, potrebbe
una volta presentarsi la parola. Piuttosto questo 'passato' materiale
è già superato originariamente mediante la parola, fin dall'inizio.
~ solo allora apparentemente capace della parola in forza dell'evo-
luzione là dove la libertà rifiuta l'essere come dono dell'amore, si è
abbandonata all'altro da se stesso irrigidita nell'esser fissa in sé (e
quindi sostanzializzata) cioè dove l'io, nel dire la sua parafa, re-
spinge da sé il tu come la profondità dell'obbedienza del suo con-
dizionamento e precisamente cosl decade sotto il potere assorbente
di costui. Solo la dialettica di padrone e schiavo della parola infranta
costituisce l'abisso fermentante dell'alterità materiale, che non ga-
rantisce più la ricchezza della pienezza sopra-essenziale dell'essere
e della parola che ne deriva.
Poiché però d'altra parte l'essere non si fissa in sé, bensl svela
la sua pienezza nel fruttificare dal basso verso l'alto, nell'attuazione
del ringraziamento, cosl anche la parola non raggiunge l'altro Ja se
stessa partendo dall'esterno. Essa si fa diventare destino ciò che
antecedentemente ha interpellato e con il dono dell'essere entra
totalmente nella sua alterità, anzi muore in essa in quanto viene
accolta e udita, in servizio della crescente e aumentante libertà di
LA PAROLA COME SIMBOLO DF.J.l.'l,SISTF.NZA

colui. che la ha accolta. Come dunque la parola riesce a smascherare


il falso 'passato' dell'evoluzione, cosl essa è il luogo in cui questa
può svolgersi liberamente. La parola non prende nulla in anticipo
all'auto-superamento cosmico, poiché le interessa l'auto-annuncio
dell'altro. Essa è per natura lo spazio in cui l'essere si 'abbandona'
e si fa compito. La parola custodisce la riduzione al finito dell'essere,
il quale solo può essere futuro, in quanto essa è 'stata'. Perciò la
parola si 'consegna' al divenire cosmico. In ciò sta la sua pazienza,
la quale non vuole rendere passato il futuro aperto, non vuole rag-
giungere il dominio. Cosl essa estende la durata, il perdurare di
questo divenire, per milioni di anni, fino al punto in cui essa
stessa sorge come frutto della terra. Ciò non contraddice a quanto
detto sopra, bensì lo conferma. Infatti la materia nel suo autosupe-
ramento provocato dall'essere, attraverso lo svincolare l'unità del-
l'inizio in essa delimitata, nel gioco mitologico di 'unità' nella va-
rietà, tende' allo spirito come alla sua forma estrema che la compie
poiché essa, come medium della sua alienazione, come testimonio
della povertà dell'essere, si compie nella libertà incarnata, la quale
nel generare la parola fa giungere al linguaggio l'unità di azione e
ricezione, di magnificenza e povertà dell'origine nell'ambito di io e
tu come forma del ringraziamento.
Là dove un io, nella sua parola rivolta al tu, presuppone a se
stesso l'ambito del suo essere ascoltaco in modo che esso in forza
della parola è già stato in questo, come in uno che parla, quindi
esso stesso come uno che ascolta lascia che questo tu si esprima, là
il dono e il compito dell'essere è svelato nell'evoluzione cosmica ed
è diventato evento storico. Nel parlare, la parola avvera la pienezza
dell'essere; nel silenzio, la sua povertà. Nell'accoglimento del tu non
disponibile essa si sacrifica, si trasforma nella libertà dell'altro, la
quale si fa fruttuosa. Qui è il luogo personale in cui diviene mani-
festo nello spazio della libertà ciò che abbiamo definito il 'futuro'
ontologico dell'essere dalle sue dimensioni materiali di possibilità.
Solo nella parola dell'amore di io e di tu il superamento cosmico
ha accolto quella luce dalla quale esso può essere interpretato ana-
logamente; coml' appunto anche la dialettica dcl presupporre e del
far scaturire delle dimensioni essenziali e materiali dell'accoglimento
402 L'UOMO E LA PAROLA

nella riduzione al finito dell'essere dov~va venir compreso partendo


dall'evento intersoggettivo del donare e del ricevere, del parlare e
del tacere, quindi movendo dalla parola e dall'amore.

7. Parola e silenzio

L'inizio delle nostre parole è l' 'unica' parola dell'essere, che nel-
l'attuazione della riduzione al finito, si svela come I' 'unica' povertà,
che può rendere libera la molteplicità delle parole umane senza per-
dersi in esse. Altrimenti essa non ci interpellerebbe, cioè non po-
trebbe venir percepita, perché 'verrebbe' solo in forza dell'impo-
tenza della sua origine e perciò non darebbe più nulla! Il nostro
parlare quindi ncn riuscirebbe ad uscire dalla fatticità dissodata,
molteplice delle parole finite, già passate. La differenza ontologica,
nel processo di questa assolutizzata riduzione al finito del principio,
verrebbe consolidata e racchiusa in maniera positivistica nel patri-
monio linguistico. Perciò colui che parla non sarebbe nemmeno ora
nella possibilità di denominare la realtà movendo dalla sua radice
sopra essenziale dell'essere. A causa della morte del silenzio è di-
ventato incapace di dire in modo creativo le parole, cosicché esse si
introducano in ciò che nominano. Ciò sarebbe possibile solo se egli
fosse corrispondente all'essere che è la realtà più intima ad ogni
realtà. La parlata resta quindi esterna a colui che parla e a ciò che
vien detto. Perciò anche le cose non possono più ritenere il loro
nome. L'uomo che decreta la parola dall'esterno, ha davanti a sé
un mondo senza nomi. Questo 'sostituisce' per lui, nella sua OSCU·
rità ancora intatta, la profondità del silenzio, cui esso si è negato.
Siccome il suo dire e indicare (radice dic) non eccita il mondo a dire
e indicare se stesso, soggetto e oggetto si separano l'uno dall'altro.
Le parole vengono irrigidite nella semplice funzione di segno, nella
quale tutto ciò che è significante sembra imprigionato nel significato
del parlare. Il futuro di questa parola 'passata' può esser solo l'ano-
nimato del mondo non ancora oggettivato concettualmente senza
riserve, ma sempre ormai deciso.
L'altro aspetto del silenzio mancato si manifesta nel fatto che
PAHOl.A t SILENZIO

il parlare si cmandpa ndla ricchezza apparente Jclla parola dell'es-


sere a sé stante e non dispensa all'altro la differenza dialogica, cioè
non parla attraverso il servizio dcl pcrc.:epirc. Ora l'inhdo è già
'passato' nella sua pienezza, l'abisso non esprimibile dell'essere è
disposto nel w11cctto 1111hws,i/e. Poiché questo da una parte com-
prende tutlo, ha in sé l'apparenza della 'ricchczza'; in quanto pen'i
è vuoto, pos3icdc l)Ua:;i il sigiilo ddla 'p.wenà'. Da lJUi è 'possibile'
!'unic.:a meta-lingua, divenuta dcduc.:ibilc. Partendo dalla parola dcl·
l'essere logicizzata, si apre l'ambito, in cui le molte lingue sono
sottoposte a una c.:ritica radicale. Come per(l la pluralità di ciò che
esiste è diventata un germoglio logicizznto di questo punto di unione
universale c:ompreso in modo rifh:ssivo, die in essa ripete solo se
stesso, così le lingue conc.:rete sembrano formalizzabili nell'unica
lingua della parola universale dell'essere. In entrambe le ligure del-
l'inizio infranto è distrutto lo 'spirito' della parola, il motivo fon-
tale della sua autentica positività, l'ambito profondo del tacere
come mezzo dell'ontologica differenza d'amore.
Ma la parola è nata dal silenzio, perché questo è: più che la parola,
come appunto anche l'intelletto capace dell'essere supera e si fa
derivare da sé tutte le forme sostanziali nel suo inizio trascendente.
Perciò il silenzio, in quanto pienezza della parola dell'essere, è la
parola autentica rispetto alla varietà di tutte le altre parole. Perciò
i! silçnzio 'parla' più originariameme che le parole. Queste sono (in
senso negativo) più 'silenziose' del silenzio. Infatti questo ne è
l'origine non disponibile. Poiché però il silenzio, in quanto parola
autentica, non ha niente per sé, non intende per se stesso la sua
pienezza, bensì in forza della povertà della parola dell'essere di cui
esso è: il respiro, la scopre mediante la sua riduzione al finito, per-
ciò le molte parole sono 'più' del silenzio. L'uomo, quando parla,
corrisponde al tacere, più originariamente che là dove, per così dire,
lo ha di mira in se stesso ed esclude la varietà delle sue parole. Nel
frammento delle parole, nella spe-aettatura del suo parlare, egli
penetra nell'abisso del silenzio che lo circonda. Qui inesorabilmente
gli si dischiude il fauo che egli non di\•enta consapevole della pw·
fondità della parola autentica nel no al linguaggio finito, bensì
solo là dove nel parlare viene meno; egli si <leve confrontare con-
L'UOMO E LA PAIOLA

tinuam'"ènte con quesl 'incapacità, quasi. deve 'osare' il 'di più' delle
sue parole, rispetto al silenzio, per poter sperimentare il silenzio
come la parola autentica, unica, reale. Soltanto nel dire le sue pa-
role egli prende sul serio il silenzio. Ciò che a lui sembra essere di
mt:no della lingua, gli diventa nel parlare ciò che è sempre di più.
C,osì le parole, nella loro varh:tà dissociata, sono 'più ricche' del
,;ilcnzio (in senso positivo); più silenziose del silenzio, se questo vien
preso per sé. Il pJro farsi muto dentro la parola dell'essere al di là
del suo servizio alienato demro la povertà del parlare finito, e il
puro parlare finito al di là della pienezza dcl silenzio che· dischiude
tutte le parole, si sprofonda nella assenza di linguaggio. Dove l'uo-
mo presuppone a se stesso in maniera riccttivn la parola, senza gene-
rarla creativamente, fa andar in rovin:i la ricchciia del silenzio,
l'autentica parola dell'essere neJla casualità della parola finita sem-
pre già antecedentemente detta. Dove egli produce la parola, senza
ascoltare e senza essere prima da essa determinP~o. sacrifica la
povertà del silenzio aJla potenza mal compresa dell'autentica p&roJa
dell'essere, con la quale egli si identifica. In ambedue i casi la parola
non è più un dono di cui si è riconoscenti. Se la parola è solo posta,
una tesi nominalistica dell'inteUetto, allora essa non si sottomette
più al tu che ascolta. Così dall'esterno costringe l'altro sotto di sé.
Essa si è fatta interamente univoca e ha perduto la positiva pluri-
valenza sopra-essenziale, l'ambito profondo del silenzio che ammuto-
lisce dentro l'abisso dell'essere. Perciò non può rendere libera al-
cuna risposta, perché essa non si vuole realmente comunicare. La
perdita della sua autentica piurivalenza, fondata nel silenzio, ha
distrutto il dialogo. Nella misura però in cui l'uomo scioglie la pa·
rola come forma conosciuta dell'essere da questa sua radice, la
parola non ha proprio più in sé l'incontestabile carattere di 'legge'
e perde in questa 'univocità' pre-cisa (re-dsa) la sua vera univocità
positiva, fondata nella luce sopra-essenziale dell'essere. Essa diventa
plurivalente in senso negativo, cosl che lascia io e tu soli pur in
tutta la apparente dinamica del 'dialogo', che si è corrotto in chiac-
chiera (che può certo essere 'attuale' ma non efficace). Essa costringe
ambedue nel qualunquismo del parlare e dell'udire e 'sostituisce'
in tal maniera la vera plurivalenza del silenzio che nella parola dcl-
PAJlOLA E SILENZIO

l'essere supera ogni altra parola. Cosl la plurivalenza può attestare


l'inesauribile profondità del silenzio, dalla quale ogni vera parola
è cresciuta e dalla quale essa è distinta nell'interesse della autoco-
municazione nella parola di colui che parla. La plurivalenza può
però intendere anche l'apparente pienezza del silenzio già raggiunto,
pienezza non giunta a una decisione finita, dalla quale nasce la ca-
sualità del discorso.
La parola finita non può raggiungere il suo presupposto non pro-
nunciato e non esprimibile, senza sopprimere se stessa. Se l'uomo
potesse dire la parola adeguata all'essere in quanto essere, la parola
dell'essere, egli avrebbe 'reso presente' il presupposto della sua
parola e del suo parlare. Ciò però sarebbe la fine della differenza
ontologica, la !ogici1.zazione della delimitazione dell'essere come
amore. L'uomo avrebbe identificato se stesso con la parola eterna.
Questo arro lo trascinerebbe nella disperazione di una contraddi-
zione assoluta. Mentre egli compie questa chiusura, dovrebbe nel
contempo affermare che tutto ciò che esiste è sempre stato cosi
come è, e tuttavia nel futuro sarà del lullo diverso da quello che è.
Il suo oggi dovrebbe infrangersi nella assoluta distanza di prove-
nienza e di futuro. Solo Dio può donare all'uomo la parola, che
riunisce in sé tutta la piene1.za e la povertà dell'essere. Un parlare
finito non può fare che si manifesti in se stessa la parola dell'essere,
distruggere se stesso. Non è l'uomo che 'fa' che arrivi l'essere come
dono dell'amore, benché egli appunto sempre tenti di farlo attra-
verso l'emancipazione ibrida verso l'equilibrio dell'essere (pura azio-
ne, univocazione, univocità della parola, negazione dell'alienazione
e del ricevere), oppure auraverso la magia della povertà (pura ri-
cettività, equivocazione, pbriva!cnza delle p:trole, alienazione asso-
lutizzata, assenza di paro!a come inizio), quindi nella dialettica di
padrone e schiavo. Ma s.e l'amore gli si dà nella sua personale parola
dell'essere, allora es~o adduce questa duplice morte del parlare
umano nella morie che deve portare la v1111. per liberare l'uomo a
se scesso nella sua parola, per salvarlo nel ringraziamento come
consacrazione del suo farsi se stesso mediante autoaccoglimento,
nella festa della sua rdenzione. « Tuue le cose, avvolte nel silen-
zio, erano tranquille; la notte aveva percorso metà della sua corsa,
~06 L 0llOMO E LA PAROLA

quando la tua parola onnipotente, dal cielo, dal tuo trono regale,
balzò come un guerriero terribile in mezzo a quella terra di stermi-
nio, portando, quale spada aguzza, il tuo ordine inesorabile. Ferma-
tasi, riempl tutto di morte» (Sap. 18,14-16). «Toccava il cielo e
camminava sulla terra» (l'eterna personale parola dell'essere della
analog)«· t•ntis, la parola delle parole, il silenzio di tutte le parole!).
La parola adeguata in modo personale all'essere, in quanto essere,
riempie tutto cosl che ancora una volta in modo insuperabile rende
libero al parlare finito l'ambito inesprimibile dell'essere e perciò fa
giungere a sé ogni parlare, che appena ora incomincia a diventare
reale, mediante un abissale silenzio. Il Logos stesso è la povertà
del silenzio assolutamente obbediente, perché è la parola della po-
tenza del Padre che parla nello Spirito dell'amore. Proprio là dove
l'uomo ascolta nella fede il Logos dell'essere, personale, che non
tenne alla sua gloria come a una rapina, bensì fu obbediente fino
alla morte di croce, l'ambito del suo ascoltare finito è compiuto per
lui in modo non 'logicizzato', bensì fatto povero dentro un estremo
silenzio. Perciò egli può nuovamente rientrare nel fondo dd suo
parlare, nella parola personale dell'essere, solo cosl che egli non
identifica la sua parola con questa parola nell'inizio, poiché l'eterna
Parola, amando nell'assoluta obbedienza, ammutolisce entrando nella
sua origine, che parla in essa amando. Essa non dice se stessa, bensì
ciò che colui che parla le ha affidato da dire. Più profonda è la
povertà del percepire creato, più indisponibile è l'essere come amore
in nessun altra parte che là dove questo mistero della consostanzialità
di parola e silenzio si dona al parlare finito attraverso lo spirito del-
l'amore di Padre e Figlio.
Qui vien meno ogni discorso filosofico circa la 'parola dell'essere',
dell'alienarsi, del donarsi, limitarsi dell'essere, discorso che, sorgen-
do dal 'pensiero naturale', sarà continuamente assalito dalla tenta-
zione diabolica di una spersonalizzazione, cioè di una sostanzializ-
zazione (sit 11enia verbo.') dcli 'inizio. Quando parliamo filosoficamente
in tal modo, abbiamo già sempre mentito. Parliamo allora da noi
stessi della 'parola personale dell'essere', senza per questo lasciarci
rendere poveri nella fede. 'Al di là' della fede allora il linguaggio
della fede diventa un linguaggio umano in rovina. Facciamo ciò,
BIBLIOGRAFIA

come se noi potessimo per forza nostra dire ciò che solo Dio può
dare. Tuttavia 'dobbiamo' parlare cosl! Infatti Egli ha rinchiuso
tutto nella disobbedienza, per aver poi misericordia per tutti!
Cosl, attraverso lui, ci diventa salvezza ciò che v'è di più opposto al-
la salvezza. Cosl riesce più facile il cessare di parlare proprio là dove
si crede di non aver ancor detto nulla di 'essenziale', di non poterlo
dire, o di non doverlo ancora dire, data la limitatezza dello spazio.

FERDINAND ULJlICH

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SEZIONE QUL'IT A

SESSUALITÀ E MATRIMONIO

Per il fatto che l'uomo in concreto esiste come uomo e donna, si


deve porre anche la questione, in un'antropologia teologica, circa il
significato teologico della sessualità. La risposta a questo quesito è
fondamentale per l'ulteriore indagine riguardo alla struttura che
dalla creazione proviene al matrimonio, in cui la reciproca unione
dei sessi viene attuata in maniera insuperabile. Le esposizioni di
questa sezione si sforzano di penetrare questo complesso di que-
stioni partendo dall'ordine della creazione, tenendo sempre presente
che la creazione in concreto deve essere intesa come creazione rife-
rita a Cristo, ciò che appare in ·modo del tutto particolare dalla
considerazione teologica dei due sessi e del matrimonio. Da tale
relazione non si fa astrazione nemmeno in questa sezione.
D'altra parte, si debbono tenere presenti anche i dati biologici,
psicologici e filosofici, se si vuole che la ricerca teologica sulla ses-
sualità e su.I matrimonio colga i diversi aspetti creati di q11c-~tfl
realtà.
Il problema del significato sacramentale del matrimonio, invece,
verrà posto solo nel quarto volume di quest'opera, in connessione
con l'ecclesiologia.

1. Prospetto fondamentale

Il modo di essere dell'uomo è attuato in due sessi. Non vi sono


uomini formati pienamente e perfettamente, ma normalmente c'è o
l'esemplare maschio o l'esemplare donna. La tipologia sessuale ab-
braccia l'intero uomo, non solo il suo corpo fino alla costruzione
di cellule e tessuti, degli organi e della loro attività (cf. M. BORGER),
ma anche la particolarità della vita psico-spirituale.
I!:' proposito, si deve rilevare che la. diversità negli organi si di-
410 SESSUALITÀ E MATRIMONIO

mostra con chiarezza attraverso una. diversa accentuazione e strut-


turazione di una sola e uguale «idea d'organo», e che anche le di-
sposizioni psico-spirituali sono essenzialmente uguali, ma accentuate
tipicamente in modo diverso. Inoltre non c'è persona nell'ambito
fisico e psico-spirituale, che non dimostri in qualche proprietà
accentuazioni dell'altro sesso. Si deve poi notare che certi con-
trassegni prettamente sessuali si cambiano nel corso dello svi-
luppo, ad esempio, conformazione della voce, dei capelli, del
petto, e analogamente nella stessa psiche. Per una determinazione del
sesso maschile o femminile secondo le proprietà psico-spirituali, si
deve essere molto prudenti. Sia gli influssi svariati, esercitati dai
fatti culturali e sociali, dai modi di vedere e dai costumi sulla forma-
zione dci tipi psichici, sia anche la rappresentazione che uomo e
donna ricevono nei miti dei popoli continuamente interessati ai
due sessi dell'uomo, e più che mai la realtà concreta di ogni sin-
golo uomo, non àgevolano una caratterizzazione di sessi netta e
incontestata, se si eccettua forse una mera descrizione in senso pura-
mente statistico.
La mitologia conosce cosl, per esempio, amazzoni guerriere e val-
chirie, conosce Artemide e Atena Pr6machos; e la realtà non cono-
sce solo principesse di poco rilievo, ma ne conosce anche di eccel-
lenti che possedevano in maniera spiccata proprio il talento, di so-
lito tipicamente maschile, per la vita pubblica; e viceversa conosce
uomini che dominano in maniera perfetta i lavori tipicamente casa-
linghi, riservati per sé alle donne, come cuochi, sarti o artisti del
ricamo. Si deve infine tener conto assai del fatto che al sesso fem-
minile appena da un secolo a questa parte è stato aperto l'accesso
alla piena formazione intellettuale e artistica, come a numerose pro-
fessioni finora riservate all'uomo, e anche questo all'inizio quasi so-
lo nell'ambito culturale dell'Occidente.
Sembra errato metodologicamente non considerare tutto que-
sto problema della caratterizzazione sessuale psico-spirituale, per-
ché ne deriva che molto di ciò che apparentemente è consi-
derato tipicamente maschile o femminile, non deve essere ascrit-
to all'essenza del tipo maschile o femminile come tale, essendo
assai più frutto di condizionamenti culturali, sociali e di educazione
PKOSPF.Tl'O FONllAMU'ITALE 411

Per la posizione dei due sessi nella società umana e per la loro
accentuazione psico-spirituale saranno e rimarranno normative due
differenze biologiche:
Prima: lo sviluppo di una nuova vita umana avviene dalla fecon-
dazione lino alla nascita per nove mesi nel corpo della madre. Se-
gue biologicnmcntl', scrnndn il corso naturale, un lungo periodo di
allattamento. Tutto ciò logora l'organismo femminile, lega la donna
in lnrgn misura alla casa, ma anche molto vitalmente e personal-
mente ai bambini, e richiede con ciò anche sul piano psico-spiri-
tuale uno speciale adattamento per il servizio immediato al bam-
bino. La relazione della donna verso il suo bambino è perciò, tanto
per l'aspetto fisico quanto per qudlo psichico e spirituale, più im-
mediata cd elementare di quella tk·ll'uomo.
Seconda: il tempo della capacità generativa è molto pm limitato
nella donna che nell'uomo. Durante questo periodo vitale essa è
sottoposta ai periodi di maturazione, in media di 28 giorni ciascuno,
di un ovulo e della sua emissione dal follicolo. Essa ne risente
psichicamente e fisicamente. Nell'uomo non si riscontra nulla di ciò.
Sarebbe sorprendente e strano, se queste due diversità non fossero
alla radice delle normali proprietà del modo di essere dell'uomo e
della donna.
Ma ancor più immediato che verso il bambino è l'attrazione
reciproca, sia nell'uomo sia nella donna, tanto psichico-spirituale
quanto fisico dell'uno verso l'altro. Ciò è espresso da Gen. 2,24 e
3,16. In questo nature.le ordinamento è fondata la possibilità del
matrimonio. La narrazione jahvistica della creazione esprime questo
in Gen. 2,20 nel fatto che fra tutti gli animali non se ne trovava
uno dlc 1xitessc esser d'siu10 e che fosse capace di star di fronte ad
Adamo: lo riconosce solo nella donna creata dalla sua costola ( v. 2 3),
ossa delle sue: osi.;J, carne della sua carne, qualche cosa quindi di se
stesso. E al v. 24 si dice: «È per questo che l'uomo abbandona suo
padre e sua madre e si unisce alla sua donna, e i due diventano una
sola carne».
La comunione di vita di un uomo e di una donna, giuridicamen-
te indissolubile, che: abbraccia tutta la vita compresa quella sessuale,
costituisce il matrimonio. Si può sostenere èome teologicamente cer-
412 SESSUALITÀ E MATRIMONIO

to, riferendosi a Gen. 1 e 2 e alla loro valorizzazione da parte di


Cristo (Mt. Ì9,4 ss.; Mc. 10,6-9) e di Paolo (Eph. 5,31 s.), che so-
lo il matrimonio indissolubile corrisponde al pensiero di Dio.
Tuttavia si potrebbe discutere sul problema, se le esigenze
circa n· matrimonio, il suo sorgere, la sua unità e indissolubi-
lità, i diritti e .i doveri dei coniugi, nella misura in cui val-
gono per il cristianesimo, si possano dedurre dalla natura del-
l'uomo, proprio come viene a trovarsi dopo la caduta e prima della
redenzione compiuta da Gesù, così da dover condannare come in
contraddizione con la natura umana altri ordinamenti giuridico-so-
ciali della relazione sessuale, anche se forse presso altre culture si
sono conservati, attraverso millenni, come in qualche maniera
validi. 1
Se sl, allora forse. non sarà sufficiente giustificare con una spe-
ciale dispensa di Dio solo la poligamia e il libello di divorzio nel
popolo eletto (cf. p. es. Gen. 29 e 30). Se no, si potrebbe parlare
etnograficamente e storico-culturalmente di diverse relazioni ses-
suali, ordinate da diritto o tradizione, che si potrebbero qualificare
a volta a volta come una forma storica del matrimonio su base pura-
mente naturale, le quali si distanziano però più o meno dalla forma
ideale del matrimonio nota dalla rivelazione, che si riferisce a uno
stato di cose soprannaturale, senza per questo essere semplicemente
in contraddizione con la natura dell'uomo. Ma tale presentazione
non corrisponderebbe alla prese.ntazione teologica corrente, entrata
anche nei documenti ecclesiastici.
Tuttavia non sarebbe forse impossibile che, sotto l'influsso della
divina provvidenza, sia avvenuto un più alto sviluppo storico del
matrimonio anche prescindendo dal cristianesimo, e che ancora pos-
sa avvenire, rendendo con questo più facile oggettivamente la di-
sposizione ad accogliere la rivelazione.
In ogni caso, resta fisso per il cristiano, specialmente di oggi, che
il matrimonio è un rapporto che si basa su un contratto libero dei
coniugi, e che esso, non solo per la cura della prole, ma già per la
personale profondità di significato dell'atto coniugale e per la comu-

I Cf. al rii:nardo SANC:lll'Z, De matrim. sacram. I. II disp. xm, 4 ~nt.


PROSPETTO FONDAMENTALE

nione di vita duratura, richiede l'unità e l'indissolubilità come idea-


le, e che perciò può essere attuato solo in una comunione coniugale
condotta secondo l'ideale di un amore fedele e reciproco. Allora il
matrimonio può condurre a quella strettissima comunione di per-
sone, nella quale i limiti dell'uomo vengono assunti, completati e
arricchiti dalla donna, e quelli della donna dall'uomo, in modo che
ambedue si portano reciprocamente verso un completamento perso-
nale-spirituale più alto, e possono così essere di grande vantaggio
per la cultura e per la comunità.
Nel matrimonio anche i corpi dei coniugi servono per l'unio-
ne delle persone, non solo agli scopi della procreazione e del
remedium concupiscentiae. Essi non servonò solo per un'unione in
un momento di istinto passionale, ma come mezzo per esprimere il
dono reciproco continuo della propria persona al coniuge. Questo
è il fondamento per cui la benedizione della creazione nel paradiso
terrestre può compiersi in una maniera del tutto conforme alla vo-
lontà di Dio attraverso la procreazione e l'educazione.
Nel matrimonio c'è una comunicazione di persone, che è total-
mente diversa da ogni altra comunicazione puramente intenzionale:
essa è fatta di pensiero, assenso, promessa, azione o simboli del·
l'amore. Il dono coniugale carnale supera di gran lunga ciò che è
meramente fisico: esso è un aprirsi all'altro in un'esperienza unica
della persona, esperienza che, per questo l'ebraico, il greco, il lati·
no, l'italiano, il tedesco e il francese, esprimono anche con il ter-
mine 'conoscere'.z L'incontro dei sessi, come dedizione completa di
persone fisico-spirituali tra di loro, è il germe naturalmente pre-
destinato delle associazioni umane naturali (cf. Gen. 2,18.21 ss.).
In esso l'istinto unitivo fisico, l'amore dell'io al tu, rivolto al tu per
la volontà di arricchire l'io e che si dona disinteressato al tu, sono
destinati a diventare, attraverso la mediazione dell'eros sessuale,
l'unione matrimoniale specifica del rapporto coniugale. Questo svi-
luppo della personalità, mediante la conoscenza e la padronanza
della vita nella comunione coniugale, è indispensabile, in complesso,

2 Cf. LTK 111 !19,9) 996 s.; JWNT 1, 6<J6.


SUSUALITÀ E MATRJMONIO

per la ma1urazione dell'uomo e della donna in vis1a di ruoli sociali


più ampi (famiglia, professione, stato).

2. Aspetti della sessualità

Tutte quesle considerazioni presuppongono la rcahà della duplice


scssualilà dell'uomo. Ad uno sguardo più a11cn1w la duplice sessua-
lità si presenta come un fenomeno a diversi livelli, che deve essere
considerato da diversi punti di vista.

a. Fattori biologici

Non solo nell'espressione mitologica dcl pensiero gli uomini si di-


mostrano interessali profondamenie all'indagine circa il senso e il
fondamento della duplice scssuali1à; anche san TOMMASO o'AQUlNO
lo è altrettanto quando nella S. th., q. 92, a. 1 insegna che la donna
è stata creata per essere un aiuto all'uomo per la generazione e che
per ogni altro scopo un secondo uomo sarebbe stato più adatto.
Questa concezione si basa sulla teoria della materia-forma della ge-
nerazione, secondo la quale la donna non ha la capacità di produrre
un veru seme attraverso il 'riscaldamen1u' del sangue, ma solo una
materia adatta alla generazione di un seme imperfe110, mentre l'uomo
'riscalda' il sangue fino a farlo diventare un vero seme e, per mezzo
di questo, plasma la materia offerta dalla donna.J
Inv.ece oggi è certo che sia le cellule germinali maschili sia quelle
femminili presen1ano materia viva, forma1a in modo uguale e so-
i.-rattutto con1enente i geni nei cromosomi. Le cellule dell'ovulo e
del seme sono formate del tu110 indipendentemente dall'atto ses-
11uale delle persone. Esse sono parti indipendenti di ambo gli orga·

l Commixtia 11•111i11u111 o s1111J1.ui11u111 acnrro• la copula cnmplela, fomlamenralc


per la que•lionc del 11nrgere Jcl1'1111prJ1111,·11/um 118i111t111i1 lino all'cnrrara in vigore
de! CJC; prn:iii anche la corula con•idcrara e clcsignora come 11ctu l.f'lt'r11tio111s.
Cf., per la Cllmprrnsione bi·~IOJ1ica .t..l11 rommixtm 1t'mi11um o 11111iui11um nell'atto
CC'niu1ale, 11 rrallazion<" <lell'mo coniugale r lr concezioni dclii generazione: in
ALllF.RTO MAGNO, ToMMASo e ni~i st'wli lino all'cn1ra1a in vigore Jc:l CJC: Il. DoMs,
G11ttt'n~i11ht'it u11J N111·hkomme11scha/I, Mwin7. 1•>6,, pp. 61·9J. 1.1 si lrova anche
documcncazionl' l'<"r l'i111p1'tWHrnl11111 affe11it111/s dal secolo Xlii lino al 1918.
ASP"TII Dfll.A ~lSSllAl.ITA

nismi dei genitori. Attraverso la copula narurale \'Cngono portati


nelle vie sessuJ!i femminili spc:rmaiozoi in quantità ingente, conte-
nuti nello sperma, cd essi ascendono per queste vie con azione pro-
pria. Molti di essi vengono presto ri:issorbiti; se uno di questi si
incontra, nell'utero o, come di solito avviene, in una delle trombe,
con un ovulo maturo per la concezione, p~·netra da Sl: in esso; i nu-
clei delle cellule si unificano, si ha In fecondazione e il sorgere del
cosiddetto zigote, da cui, attraverso una continua divisione cario-
cinetica, nasce il nuovo organismo pluricellulare.
Solo nel 1875, quando fu scoperta ;,, vivn negli echinodermi la
fusione di una cellula ovaria con una cellula seminale e questa fu-
sione fu compresa come essenza della fecondazione, vennero meno
la ratio di san TOMMASO per la sessualità, il suo giudizio sulla
donna come di un uomo mal riuscito in seguito a circostanze este-
riori sfavorevoli (mentre il sorgere di un uomo, secondo lui, costi-
tuisce sempre la vera meta della natura), il fondamento per la con-
cezione canonica della affinità, e altri concetti e fondamenti cano-
nistici e di teologia morale. Apparve di quale enorme importanza
sia in questo campo la conoscenza biologica; appunto per questo, ne
souolineercmo ancora alcuni punti importanti.

r. La determinazione sessuale nell'uomo avviene per me7.zo dello sper-


ma al momento della fecondazione. L'ovocellula possiede dopo le divi-
sioni di riduzione (meiosi) un cromosoma X, e la cellula seminale può
avere un cromosoma X o Y. X+ X dànno un individuo femminile, X+ Y
un individuo maschile.
2. Nelle divisioni di maturazione delle cellule germinali si presentano
delle anomalie che hanno per conseguenza distribuzioni atipiche dei cro-
mosomi sessuali su cellule germinali e sullo zigote che deriva da esse
durante la fecondazione. Si può giungere cosl a forme intersessuali, che
esteriormente appartengono all'uno o all'altro sesso, ma che non possie-
dono una formazione sessuale normale di tutta la persona. Vi sono le
più svariate gradazioni fino al vero crmafro<lismo, ciò che ha un'impor-
tanza per una interpretazione: mciafisica dei sessi. (Cf. Di:r Grosse Jlerder,
Ergiinzungrband I f 1962). 563 s.; E. Ovnz1u, Dit· interrexualitiit,
Stuttgart 1961.
3. Ogni fero umano è dapprima essere bisessuale, con le predisposizioni
sia per gli organi sessuali m:isrhili, sia rer quelli f:c-mminili. Più tardi
SESSUALITÀ I! MATlllMONIO

uno di questi due inizi di organi sc:~su111i scompare o si atrofizza. Cf.


RAUBER-K0Psc11, Lehrbuch unJ Alias der Anatomie dt•s Menschen
Il, Leipzig 18 19'5, p. 2 34.
4. Mohi dati indicano che originariamente per tutti gli animali sessuali
v'è alla base la doppia sessualicl, che occasionalmcnlc erompe di nuovo
atipicamente presso singoli indi\•idui. Forse addirittura ogni cellula ha la
possibilità per una differenziazione maschile ,. femminile, ma si deve per
lo più difle~enziarc in un 'unica direzione. Ci so:io anche animali che
sono dapprima maschili e poi femminili o viceversa, e come tali si com-
ponano .
.5· Frequenlcmeme si presema nel regno animale la partenogenesi, c!oè
il sorgere di nuovi individui da uo\'11 non fe<."tmdare, talvoha per molte
generazioni. Ma poi si presenrano nncora improvvisamente maschi, e si
hanno una o più generazioni fecondate. Anche nell'uomo sono stari
dimostrati i primi passi di divisione parrenottenetica di ovocc:llulc. Presso
alcune specie tuttavia la partenogenesi è l'unico modo di riproduzione
ed i maschi sono dcl rutto sconosciuti. Si può accettare con sicurezza
che la partenogenesi si è sviluppata qui dalhi duplice sessualirà in ma·
niera genealogico-storica. Ci sono inoltre degli esscri viventi che si ri-
producono non attraverso cellule sessuali. m11 attraverso la divisione di
tutto l'essere vivente o artraveNo germogli.
6. Presso alcuni animali sorgono più individui da un'unica ovocelluln
fecondata, per la separaiionc dci blastomeri (per es. presso alcuni in·
setti; fra i mammiferi, norm11lmente fra gli armadilli). Anche nell'uomo
si presentano tali divisioni. Nascono i cosiddetti gemelli monociti, che
si sviluppano per lo più come persone normali.
7. L'accoppiamento nel regno animale avviene sempre in modo tale dn
rendere possibile l'incontro di ovocellule e cellule seminali (stagione dc·
gli amori). Se manca questa possibilità, allora manca sempre anche la
inclinazione all'accoppiamento. Talvolta tuttavia un unico accoppiamento
può essere sufficiente per la fecondazione di mHioni di uova per più
anni. Nell'ape regina gli spermatozoi assunti permangono capaci di fe-
condare per quattro o cinque anni; in alcune specie di formiche per
quindici, forse addirittura per vent'anni.
Presso i mammiferi si ha una distanza plurimensile della feconduzione
d~lle ovocellule dall'accoppinmento nei pipistrelli. presso i quali l'accop-
piamento avviene prima e la fecondazione delle ovocellule solo dopo
il letargo. Nell'uomo la fecondazione non avviene certamente nella CO·
pula, ma alcune ore o pochi giorni dopo (capacità fecondatrice degli sper-
matozoi). Oggi perciò non si può più parlare di un 'acJus' generalionis
umano. Forse solo per il genere umano la situazione è tale che la ten·
.\Sl't-:TTI OHI.A St-:SSUAl.ITÀ

dem:a fondamentale alla copula è indipendente dallu possibilità di cau-


sare unn fecondazione. Con questa affermazione non s'intende l'impossi-
biliti1 fecondativa accidentale, bensl naturale. Per la donna, v'è un'inca-
pacità n:lluralc <li concepire che subentra non molto dopo la fcconda-
:i:ione; inoltre per il tempo della gt:Stazione, prima della pubertà e dopo
l:i menopaus.1. Tuttavia IJ donna sana 1: capace di copuhi anche durante
(., gcst•tzione e <lopo la menopausa. Dal momento che la capacità fecon-
dati\•a dell'ovocellula non sussiste ohre le sei ore, forse solo fino a tre
ore dopo lo scoppio <lei follicolo, una donna che ha le mestruazioni
normali sarebbe capace di concezione al massimo per circa onantaquat-
t ro ore all'anno (cioè sei per tredici o quaitordici), invece è fondamen-
talmente sempre atta alla copula.
Jous Ro<:K ( Gc!mrlt'11ko111rollc. Olten 1964, p. 199) aggiudica all'ovo-
celluln um:m11 uscita J;11l'uvario una capacitil di fecondazione per la du-
mta di l_.ore. La pii1 lung.1 valutilzione di tempo utile per la capacità
concezionale di ur.a donna dopo lo scoppio <lei follicolo, comporta, per
quanto so, quarantotto ore. Nel periodo che segue immediatamente una
gravidanza, la disposizione alla concezione è ancora molto più limitata"
mentre la disposizione alla copula è limitata solo relativamente e soprat-
tutto per motivi etici. Sembra che ne derivi il fano, per motivi naturali,
non fol'5C accidentali, che non si possa sostenere che ogni atto coniugale,
secondo natura, sia per se aptus aJ procreationrm pro/is (canonicamente
si può usare questa designazione, qualora si specifichi esattamente ciò che
il diritto intende con essa). Se uno dei congiunti con sicurezza naturale
hic et nunc è inadatto alla fecondazione, e i panners lo sanno, allora il
loro atto cuniug;1lc, in primo luogo come ;iv\·cnimcnto naturale, è per
sé i11ept11s ad prnae11/iom·111 proli.r, e lo ì: pure, qualora In si consideri
come actus h11l'l<1nus.
Le conoscenze biologiche: dal 187' sont' progredite: ancora in modo rile-
vante anche dopo l'entrata in vigore dcl CIC.. spccialmc:ite appunto per
ciò che concerne b maturazione e l'espulsione dcll'ovocdlul.1 della donna.

8. L'unione delle cellule ~crmin;1li per la fecondazione presso animali


acquatici viene lasciat;I in misur.1 rileva:lle alla rnrrentc e 11ll'11ttrazione
chimica sugli spermatozoi <la parte delle ovocellule. Anche in certe speci
non acquatiche accade che il maschio emetta una grande quantità di sper-
matozoi uno dei quali viene raccolto dalla femmina nell'orifizio, mentre
la femmina assume simile carico genitale senza copula. Si ricordi inoltre
ancora la possibilità, verificata spesso nel regno animale, che spermatozoi
usciti da una sola copula rimangano vivi per anni interi nell'organismo
femminile e siano sufficienti per numerose fecondazioni.
Se si pondera tutto ciò, specialmente il punto sette e otto, si sarà co-
stretti a porre la questione dcl perché Dio ha formato l'uomo come
27 - ltfysleriu111S11/utir,11/ i
.p8 SESSUALITÀ E MATRIMONIO

essere sessuato proprio in tale modo. Se si dovesse ridurre tutto alla


riproduzione, allora in ogni caso molti teologi, 4ualora mettessero a
confronto le strutture del regno animale. si potrebbero pensare come più
convenienti lllcri rapporti di wpula e di fcwn<lazionc.

b. Il significato della duplice sessualità

Dopo quanto si è detto, sorge la domanda sul perché la riproduzione


dell'uomo esiga i due sessi. E ancor più semplicemente: quale sia il
ruolo della duplice sessualità nella fecondità degli organismi. Ci sono
appunto organismi che si moltiplicano solo in modo vegetativo; altri
la cui riproduzione avviene solo per partenogenesi. La mescolanza
dei caratteri ereditari può essere invocata pc~ rispondere alla nostra
domanda, poiché tale mescolanza è certamente legata alla dualità dei
sessi. Tuttavia si conoscono degli organismi che si autofecondano. 4
Dal momento che, in una visione teoretica della discendenza, non v'è
dubbio che in tutti i casi di deviazione di organismi superiori dalla
fecondazione collegata con la mescolanza dei caratteri, non si tarda
a perdere la disposizione a questo modo di fecondazione d'altra parte
cosl utile, s'impone la domanda, se dietro alla duplice sessualità non
possa esserci ancora un significato del tutto diverso. In og'"'.i caso la
duplice sessualità dell'uomo, tenuto conto della peculiarità della per-
sonalità umana e delle generali realtà biologiche, pone delle questioni
alle quali non si può dare una risposta partendo dal dovere della
riproduzione (ARISTOTELE-TOMMASO) (nonostante la ovvia connes-
sione esistente tra bisessualità e riproduzione).

aa. Tentativi di spiegazione metafisica - Diverse interpretazioni metafi-


siche della duplice sessualità mi sembrano artificiali e non affatto con-
vincenti. Se ToMAS ANGELICA WALTER - se riesco a capire esatta·
mente il suo difficile modo di esprimersi e lo svolgimento del pensiero -
riporta ambo i sessi alla categoria dcli' e essere-tale» e dell'esistere, dove
l'uomo, come colui che ha più doti, corrisponde più all'cessere-tale» e la
donna più all'esistere, allora io credo che l'interpretazione di questi
prindpi, data la loro profondità e universalità, si dovrebbe avverare
dappertutto dove si manifesta il sesso maschile e femminile. Ma questo

• Per es. nei pla1elmin1i, nei nematclminti, nei cirripedi, nelle limneidi (Schnecke);
nel regno vegciale l'autogamia è diffusa nelle alghe, nei fonghi, nelle piante con
fiori cleistogami (impollinazione prima dell'apcr1ura Jd bocciolo).
ASPETTI DELLA SESSUAl.ITÌI

non è affatto sempre vero. Si pensi alla differenziazione somatica e psi-


chica di alcuni insetti sociali, presso i quali, come ad es. presso le api,
i muschi servono solamente o quasi per l'accoppiamento della regina, e
nella loro strntturaziom: psicologlca e ne11e loro prestazioni per la spe-
cie sono di molto infc:riori al sesso femminile differenziato. Oppure si
pensi in akuni gruppi del regno animale alla formazione <li maschi 11,111i,
nei quali press'a poco tutti gli organi interni e perfino gli organi sessuali
mancano ddla formazione completa. Mai si trovano nelle femmine defi-
cienze ,!i formn;r,ionc così spinte. E infine: è possibile dopo tutto assegnare
in modo sempre obiettivo e non arbitrario determinate perfezioni ontolo-
giche nlln parte dell '«essere tale» o dell'esistere?
Non posso giudic;1re in modo più favorevole il tentativo di BERNARDIN
KREMPF.L (Die Zweckf rage der Ehe in neu1·er Betrachtung, Einsiedeln
1941 ). Egli è dcl parere che ['uomo, come tale, manifesta la natura
umana come formata da diversi elementi fondamentalmente diversi e
cioè da materia e spirito, mentre la donna, come tale, manifesta la na-
tura, in cui questi clementi sono fusi in un'unità (cf. pp. 160-161). Se-
condo lui il sesso è perfezionato innanzitutto nell'uomo, e meno marcato
negli animali e nelle piante, dove è limitato alla conservazione della spe-
cie in cui il sesso maschile sarebbe più ricco di possibilità, quello femmi-
nile più unitario, come nell'uomo. Ciò viene visto in modo errato sia da
Krempel come da Walter (Seinsrhythmik, Freiburg 1932). Io penso an-
che che l'enigma-uomo nella sua composizione di materia e spirito e nella
unità di ambedue questi elementi, non si manifesti a livello metafisico
solo e nemmeno principalmente, nella diversità dei sessi. Si pensi, ad
esempio, alla conoscenza sensibile e alla conoscenza spirituale e come que-
;;te possano venir facilmente turbate (da veleni, da malattie dello spirito
di causa somatica, da malattie psico-somatiche).
Io ritengo molto improbabile che si possa riuscire a far risalire uomo e
donna a principi meta.fisici. Il motivo mi sembra si trovi nel fatto che, se-
condo l'indicazione della rivelazione, il significato ultimo della duplice
sessualità si radichi profondamente nell'ambito della teologia.

bb. Duplice sessualità e a11alogia trinitaria - Al teologo cattolico


si presenta la domanda se uomo e donna nel loro reciproco riferi·
mento monogamico possano forse essere presi come analogia della
Trinità. Si deve premettere, che, secondo la tradizione scolastica,
in ogni esistente finito si trova una 'traccia' della Trinità; nello spi-
rito creato im·ece un' 'immagine' della Trinità.

Per una coricrctizzdzic>nc del pensicw sulla cluplire Sl'ssualità si pub


rinviare a F.. P11zVW'ARA. 1l 11tf.mrologit' I. 1.p· 'immilj!inc-' prove-niente
SESSUALITÀ E MATKIMONIO

da Dio e rivolta 11 lui, che nel mistero della sua intima recirculatio (nel-
l'esodo e nel ritorno <lei Figlio ,,1 Padre. nello Spirito santo) «è relationis
oppositio ... , opposizione della relazione che è Padre, Figlio e Spirito».
J. G. H. HoLT (Autonomie dt•s Gt•schlechtliche11) offre uno spunto trop-
po limitato, ma forse suscettibile di sviluppo, seguendo HEDWIG CoNRAD·
MARTIUS. Per il momento però suscita in me delle riserve, sia dal punto
di vista metafisico, quanto da quello biologico. Ci si può riferire inoltre
a ScHEEBF.N (Dogmatik n/3 n. 37') il quale intende la creaiione del
primi uomini come analogia della processione dcl Figlio e dello Spirito
santo (cf. anche: Misteri del cristianesimo, Brescia 1960, pp. 184 ss.).
Egli ebbe un precursore in CORNELIO A LAPIDE (In Gen. 2,22). L'idea
che la creazione dell'uomo e della donna ebbe come modello le processioni
del Figlio e dello Spirito santo, è profondamente sviluppata da F. ZIM·
MERMANN (Die beiden Geschlechter, pp. 46-~6). Questi non sono altro
che tentativi speculativi fondati più o meno strettamente su dati dogma-
tici e scritturistici.

Per la sua importanza e per il suo influsso è da considerare a que-


sto punto soprattutto il pensiero del grande teologo protestante
KARL BARTH. Egli procede dal plurale con il quale Dio si rivolge
a se stesso in Gen. 1,26, e costata (KD IIl/1,216) che questa
pluralità è sulla linea della rappresentazione cristiana della Trinità.
In proposito, Barth si attiene alla «pluralità affermata univOMIDente
nell'essenza divina, a quella differenziazione e relazione di quell'a-
moroso essere e operare insieme, a quell'io e tu, che è evento innan-
zitutto in Dio stesso. Questa indicazione non significa proprio nulla
in questo contesto? O non è possibile vedere che tra quella carat-
teristica dell'essere di Dio (che cioè racchiude in sé un io e un tu), e
la natura dell'uomo (che cioè egli è uomo e donna), ci sia una corri-
spondenza del tutto semplice e chiara, appunto un'analogia relatio-
nis? Quale il rapporto dell'io che interpella all'interno dell'essere di
Dio il tu divino da lui chiamato, tale è il rapporto di Dio verso
l'uomo da lui creato, e tale è anche, nell'esistenza umana, il rap-
porto dell'io col tu, dell'uomo con la donna. Non può trattarsi
più che di un'analogia» (p. 220). Questo pensiero viene ampiamente
sviluppato.
Alla p. 222 si trova ancora una sintesi pregnante: «Cos'è il pro-
totipo in cui o il modello secondo cui fu creato l'uomo? Secondo
le nostre riflessioni precedenti, esso sarebbe la relazione e la distin-
ASPET1'1 llF.LLA Sf.SSUAl.ITÀ 42r

zione di io e tu in Dio stesso. L'uomo è creato da Dio in corri-


spondenza a questa relazione e a questa distinzione esistente in Dio
stesso: come tu che Dio interpella, ma anche come io responsabile
verso Dio; nel rapporto di uomo e donna, nel quale l'uomo è il tu
dell'altro uomo e, appunto per questo e in risposta a questa chia-
mata, è egli stesso un io».
Quest'interpretazione è costante in tutti i capitoli sull'uomo e
sulla donna e sul matrimonio in KD m/ r, rn/ 2 e m/ 4. Essa sfo-
cia da ultimo nelle relazioni tra Cristo e la Chiesa, ma pure trae qui
i suoi argomenti da Gen. r e 2. Gli sviluppi di questi passaggi,
molte volte sottili e profondi, presentano, per la poca chiarezza dello
stile, per l'uso del concetto di analogia e ancora per diversi altri
elementi, alcune difficoltà.

Ora mi sembr.1 che sia di grnnde importanza il fatto eh::: ultimamente


da parte dell'esegesi protestante siano state sollevate obiezioni rnntro
questa analogia tra una relazione io-lu intradivina e 4uella tra uomo e
donna. W. EicHKODT (Tbeologie des AT 11/111, '1964, p. 83, n. 47):
.. Con l'interpretazione tentata da Karl Banh. . questa, qui prescniata,
concorda in un punto decisivo, nel metter cioè in rilievo che l'uomo. in
quanto portatore dell'immagine divina, è un essere che Dio interpella
come un '" e lo rende responsabile come un io ... Viceversa il riferimento,
basato sulla sua particolare interpretazione dcl plurale di Gen. 1 ,26, del
prototipo divino alla contrapposizione di io e tu che prenderebbe forma
nell'opposizione e nel riferimento di uomo e donna .. ., costituisce tanto
nella concezione di selem e di demut come protoripo e modello, quanto
nella determinazione di un'analogia relationis tra l'esistenza umana e il
movimento interno dell'essere divino, un'interpretazione dell'asserzione
della creazione, che non ha fondamento filologico sufficiente ed è estra-
nea all'idea di Dio che abitualmente ha l'illustre pastore». W. H.
ScHM1DT (Die Schopfungsgeschichte, p. 146, n. 4) così giudica l'inter-
pretazione di Barth: «Per considerazioni esegetiche non si può dunque
ammettere: a) la somiglianza divina nell'incontro di uomo e donna (se-
condo il v. 27), bi né una distinzione di io e tu in Dio (secondo v. 26),
poiché all'interno del testo sacerdotale è improbabile che Dio si ri-
volga con la parola ad una corte celeste, e non ci si trova di fronte ad
un consulto, bensl solo di fronte all'annuncio di un fatto ... Cosl questa
esegesi difficilmente trova un aggancio nel testo». J. F. KoNRAD (Abbild
und Zie/ der Schopfung, pp. 177-244) ha contestato molto accurata·
mente, dal punto di vista esegetico e teologico, la concezione di Barrh.
SF.SSUALITÀ E MATRIMONIO

Tra le molle argomentazioni c1t1amo le seguenti proposizioni ( p. 188 ):


.. Nonostante tutta la profondità dei pcn.sieri, l'interpretazione del passo
dell'imago Dc•i esegeticamente sembra molto problematica. Si ha l 'im·
pressione che si voglio legittimare ad ogni costo un'idea preconcetta.
Lo indica in modo del tutto particolare il fatto che l'esegesi dcl con-
cetto di selem e di Jemut, come pure l'analisi delle panicelle b• e
k', venga forzata in vista del risultato sopra riferito. Il grande pun·
to interrogativo è: da porsi soprattutto riguardo alla sicurezza con cui
B11rth sostiene che 'P' h11 definito con wchar un•leeba la somiglianza di-
vin11. Non potrebbe trattarsi, in questo 'maschio e femmina', di una
esposizione sintetica del passo 'Dio creò l'uomo', altrettanto bene che
di una spiegazione analitica del passo 'a immagine di Dio lo creò'?
Un accostamento più accurato al codice sacerdotale e alla sua possibi-
lità non suggerirebbe piuttosto l'esposizione sintetica?» ecc. Io riman-
do ancora alle critiche dcl Konrad ed alle sue osservazioni sulla lunga
citazione da KD 111/ 1, da p. 228 a pp. 297 s. Ripetutamente viene ac-
cennato dagli esegeti nominati sopra e anche da H. WILDBERGER, al
fatto che Gen. 9,6 riferisce chiaramente l'immagine di Dio al singolo
individuo, e che anche Pr. 8 e Ecc/es 17 non si richiamano a uomo e a
donna a proposito dell'immagine di Dio. (H. WILDBERGEll, Das Abbild
Gotter, p. 493).
Per quanto l'intenzione di Barth di una visione d'insieme di An-
tico e Nuovo Testamento mi sia in sé simpatica, non posso tutta·
via approvare né il suo tentativo di esegesi, né il suo metodo di
argomentazione per applicare Gen. 1 a Paolo, né soprattutto la con-
nessione troppo stretta della vita associata degli uomini con la du-
plice sessualità.
Non solo sappiamo da Gen. 9,6 e da Ps. 8 che l'uomo singolo
come tale viene considerato come immagine di Dio, indipendente·
mente dalla sua possibilità di riferimento, come essere sessuato, al
sesso opposto, ma proprio nei Vangeli il comandamento dell'amore
dd prossimo appare equiparato al comandamento dell'amore di Dio
senza alcun riferimento al rapporto tra uomo e donna. lo mi rife-
1isco ad es., a Le. 10,30·3ì (buon samaritano); a Mt. 18,23-35,
specialmente v. 3.5 (il debitore impietoso); a Mt. l~.3'·46 (giudizio
universale).
La relazione uomCH!onna è una circostanza speciale nella rela-
zione interumana tra persone, ed ha il suo punto centrale norma-
tivo nel matrimonio, ciò che in ultima analisi si vede costreuo ad
ASPl!TTI Ul!LLA SESSUALITÀ

asserire anche KARL BARTll: « ... tutto quello che si deve dire in ge-
nerale di questa (relazione tra uomo-donna), vale anche in particolare
per il matrimonio: meglio vale prima di tutto e fondamentalmente
per il matrimonio. Ciò che vale: per il matrimonio in particolare dà
in ogni caso la norma per tutto ciò che si deve dire in genere dell'in-
contro tra uomo e donna (KD 111/ 4,203).
lo sono pienamente convinto che il singolo è immagine di Dio,
che la donna lo è come l'uomo. Sono inoltre dcl parere che la so-
cialità umana, e il relativo comandamento dell'amore ad essa con-
nesso, riguarda una parte della somiglianza con Dio che per s6 non
ha niente a che fare con la duplice sessualità, ma che con essa può
tuttavia aver a che fare attraverso la sessualità di uno o più uomini
che s'incontrano. L'uomo ha bisogno del suo prossimo, la persona
umana di altre persone umane: nella prima infanzia per il fatto che
non può mantenersi da sola, e più tardi per ragioni di ripartizioni di
lavoro, essa si mantiene e si sviluppa più facilmente in comunione
sociale; infine, per il suo sviluppo come persona dal punto di vista
fisico e mentale non può fare a meno di partners umani.
Supposto che Dio avesse creato solo un uomo e fosse entrato con
lui in alleanza attraverso una rivelazione immediata, quest'uomo,
grazie a questo rapporto, potrebbe comportarsi sia spiritualmente,
sulla base cioè della conoscenza e dell'amore di Dio, sia per rapporto
alla natura non spirituale, come dominatore ad immagine di Dio, ma
la sua immagine di Dio, che implica anche la capacità di amare, non
avrebbe alcun oggetto adeguato. Non lo sono le creature materiali
e non lo sarebbe nemmeno Dio, perché non lo si può arricdtlrc
mediante nessun amore e venerazione.
Solo la presenza di più uomini rende possibile il dono o l'oHcrta
a un'altra creatura fatta ad immagine di Dio di qualcosa per conser-
varne o arricchirne la vita, per il fatto che gli uomini sono bisognosi
sia fisicamente sia spiritualmente. Questa capacità di donare quakosa
al proprio simile, di poterlo arricchire, è una rispondenza analoga
all'attività di Dio che crea o che arricchisce. E non appena ci sono
più uomini, i quali mai sono completamente uguali l'un l'altro, sor-
gerà cultura umana. Per il fatto poi che ci sono due sessi, le possi-
bilità culturali vengono ancora fortemente aumentate.
SF.SSUALITÀ E MATRIMONIO

Ogni società umana deve necessariafI1ente nel suo ordine sociale,


nel costume, nelle norme morali, prendere atto dell'esistenza di uo-
mini e donne per organizzarsi adeguatamente. Le funzioni particolari
insostituibili della duplice sessualità riguardano de facto l'incontro
specificatamente sessuale tra uomo e donna e sono considerate glo-
balmente in rapporto al compito della procreazione. A questo punto
nasce la questione sul perché la procreazione nell'uomo sia legata
a due sessi, mentre in sé sarebbero almeno pensabili una moltipli-
cazione di persone partenogenetica oppure asessuata, oppure un
ermafrodismo con accoppiamento, o altre possibilità come analoga-
mente si nota nella varietà di rapporto del regno animale. A me
sembra che il fondamento ultimo della duplice sessualità, come espor·
rò più avanti, sia in connessione con la determinazione del fine so-
prannaturale dell'uomo, concretamente con l'incarnazione. Ritengo
però che ciò si possa fondare solo nel Nuovo Testamento e non sia
dimostrabile in senso stretto. Perciò da un lato sono in un profondo
accordo con Karl Barth, dall'altro differisco fortemente da lui meto-
dologicamente e concretamente.

cc. Psicologia dei sessi. Nonostante le difficoltà fatte notare,! le


quali oggi ostacolano una determinazione tt.'Ologicamente valida sul-
le peculiarità psicologiche di uomo e donna, non vi si deve tuttavia
rinunciare completamente. Io seguo il metodo di BuYTENDIJJC e di
LERSCH, i quali ancorano fortemente le loro opinioni alla compren-
sione delle particolarità anatomico-fisiologiche, come pure alla ca-
pacità espressiva delle forme corporee, dei movimenti, ccc., dei
sessi.

Si è già messo in rilievo come tutte le cellule di un uomo si distinguono


per i cromosomi sessuali XY, mentre quelle della donna si distinguono
per i cromosomi sessuali XX. Già la forma e l'azione delle cellule ses·
suali prima e dopo la fecondazione hanno certamente una capacità di
determinazione circa il comportamento dell'uomo e della donna. L'ovo-
cellula è relativamente grande, raccolta in forma sferica attorno ad un
punto centrale, non divisa in parti esterne variamente differenziate; emes-
sa dall'ovaia per lo scoppio del follicolo, essa viene portata passivamente

s Cf. pp. -t09 s.


ASPETTI OELLA SESSIJALl'l'A

ncll'utew attraverso le trombe. Se non viene fecondata, rimane nell'utero


senza movimento proprio, finché muore. Lo spermatozoo è molto più
piccolo, mentre è lungo, composto dalla tcsu1 che contiene i cromosomi,
dalla parte intermedi.i, t'hc ha un rnrpo centrale e spesso motocondri e
microsomi, e dalla l'oda che serve per il movimen10 autonomo. Arrivato
nell'organismo femminile, esso nuota in senso contrnrio alla direzione dcl
battito ciliare delle 1.:dluk dell'utero (superando !(li ostacoli), fim·hé :1r-
riva nella tromba, dtivc eventualmente s'incontrn con un'ovocellula ma-
tura per la fecondazione e in 4uesta s'introduce. Solo ora l'ovocellula
diventa attiva; gli avvenimenti successivi fino alh1 formazione del nucleo
dello zigote diploide, per l'unione dell'ovocellula e dcl nucleo dello sper-
matozoo, richiede l'attivitÌI di ambedue le cellule germinali. Lo sperma-
tozoo va in cerca dunque dell'ovocellula, che soltanto dallo spermatozoo
viene 'eccitata' ad una attività propria. La morfologia dell'uomo e della
donna e il loro comportamento 'tipico' quando si avvicinano e si incon-
trano presentano analogie sorprendenti con quanto conosciamo ddl'ovulo
e dello spermatozoo.
Se vogliamo giungere a una visuale oggettiva della psicologia dei
sessi, bisognerà prima rendere evidenti altri momenti significativi
per la formazione della psicologia caratteristica di ogni singola per-
sona umana. Io credo di poter segnalare i seguenti: 1) i fattori ere-
ditari; 2) probabili influssi della madre sul feto: sulle alterazioni
psicosomatiche nel sistema vascolare, nel sistema, nervoso, nelle
ghiandole endocrine della madre; eventuali malattie, medicamenti,
tossine, cultura; 3) esperienze che il bambino ha dopo la nascita, con
madre e padre, eventualmente con fratelli, dapprima puramente reat-
tive senza presa di posizione personale; più tardi una presa di posizio-
ne iniziale e progressiva in un ambiente umano composto di bambini
e di adulti. Suoi successi ed insuccessi, importanza dell'educazione,
dell'esempio, dell'usanza; 4) influsso molto forte delle idee e valori
dominanti, livello di civilizzazione, massmedia, spirito del tempo; 5)
inoltre l'influsso della fede religiosa e delle pratiche religiose, oppure
l'influsso dell'ateismo. I fattori sommamente reali dell,a grazia divina
e degli influssi diabolici rimangono in gran parte non rilevabili. A mio
avviso non è possibile alcuna asserzione fondata sull'eguaglianza o
disuguaglianza della portata del fattore specificatamente spirituale in
tutti gli uomini.
Da tutto questo risulta che la psicologia concreta di ogni uomo
e di ogni donna è fortemente:! predeterminata fino al tempo in cui
.+26 SESSUALITÀ E MATRIMONIO

la persona, almeno inizialmente, preni:Je posizione con la propria


capacità critica e con libera autonomia di fronte a se stessa e in
rapporto con il suo ambiente; essa è già predeterminata sul piano
delle idee, dei valori e anche in ciò che sia conveniente o sconve-
niente per un ragazzo o per una ragazza, nel conscio o nell'inconscio
della sua vita psichica.
Inoltre bisogna prendere in considerazione anche quanto segue:
1) Le valenze (efficacia) dei fattori ereditari che attuano la determi-
nazione sessuale possono essere più forti, oppure più deboli. 2) Il
modo tipicamente diverso di realizzarsi della natura umana per il
sesso maschile o per il sesso femminile si manifesta bensl nel set-
tore psico-spirituale, non però in quanto un sesso sia dotato di
determinate capacità che mancano del tutto all'altro. La diversità
consiste piuttosto solo in una certa diversa accentuazione e in una
certa dinamica diversa, in un certo altro indirizzo. 3) La corporeità
non è solamente per molti aspetti condizione o causa dello psichico,
bensl anche suo campo di manifestazione, come pure, sotto altri
aspetti, suo strumento.

Già anatomicamente e fisiologicamente gli organi sessui11i dell'uomo e


della donna manifestano un significativo riferimento al modo di es~re
di ambedue i sessi. Nell'uomo l'organo principale è posto in vista di una
attività centrifuga, per penetrare in un'altra persona, per comunicarle
qualcosa per cui essa, nel caso animale, fa una profonda esperienza, la
gravidanza. Per l'uomo l'atto è di breve durata e non ha effetti che toc-
chino direttamente la sua corporeità. Nella donna l'organo corrispondente
è strutturato in modo da consentire all'uomo di introdurvisi. Ciò che
l'uomo depone nella donna, esercita nel di lei organismo un influsso al·
meno per delle ore. Quello che succede durante la copula è per lei pre-
valentemente centripeto, come pure le sue conseguenze. E questo vale
in misura particolare quando, come seguito della copula, si arriva alla
concez1ooe.
Nella struttura del corpo lo scheletro dell'uomo, come pure la sua mu-
scolatura, sono comunemente più robusti di quelli della donna. Braccia e
gambe sono in proporzione del tronco piì1 lunghe che nella donna. L'uo-
mo ha le spalle e il petto piì1 sviluppati conforme ad un lavoro più pc·
sante delle hraccia o ;1d una pitt profonda respir;1zione_
La donna invece ha il bacino più largo. come è conveniente allo svi-
luppti dcl fcw m:ll'utcro e al parto. I.e focte7.ze esterne delruomo sono
ASrF.TTI DF.f..LA SESSUALITÀ

più angolose e quelle della donna più rotondeggiimli. Le mani della


donna sono più morbide, meno pelose, e più sensibili all'eccitazione
tattile. In complesso si può dire che l'uomo, data la suu conformazione
fisica, è dotato per il dominio di ambienti più ampi, per un lavoro più
pesante e <li più dura resistenza, mentre la donn<t è per ambienti pii1
ristretli, per lavori più leggeri e per sentimenti pii1 delicati.
A quesle dillnenzc :111<1r11rnirhe corrispondono, all'ingr11sso, 11cll'amhito
ddla civilizz;1~.ionc ncci1kntale, le ;lttrattivc, le tcndenzc e i l'llllli dci
sessi. C)ucsto app,1re gi~ nel compon.1rnentc1 dci ragazzi 1· dl•llc ragazze.
Quelli preferiscono i gi1Khi in cui possono provare la loro forza, la
lotta, il supl•r;1111cnt11 degli oslacoli, il dominio sulle cose, lJUcslc invece
prcfcrisrnno In cura d1 esseri viventi oppure di loro imitm(ioni (ham-
holc) e lavori 111an11ali; sono sempre pronte <1 lasciarsi influcnz;ire dalle
cose, a sroprire in cssc dei valori, ad adattar~i a rose oppure ;mchc ad
uomini. Pcrciìi l'indole dell'uomo adulto è piu1tosto incline al lavoro
pesanle, al dominio della natura inanimata, alla risolutezza. al supera-
mento deJ!e diHìrnlt~. ;11l'instaurazione di contesti ordinati anche di tipo
sociale. A tutto questo corrisponde un'intelligenza fortc:.:menle analitica,
astraila. All'indole della donru adulta s\tddice meno un lavoro duro su
un materiale refrattario e iniinimato, come pure un'accività decisa, inles;1
al dominio; ma piuttosto la custodia di esseri viventi specialmente
umani, la scopcria dr quello che po1en7.ia la vita e delle proprie doti e
il prendersene cura creando armonia e bellezza. Essa 'cura amorosamc:nu:'
ogni valore. La sua capacità intellettiva consiste nell'intuizione, nell'imma·
ginazione, ndl'afferrare con il cuore e nell'instaurare rapporti \."Omunitari:
il sentimento è il bisogno che le rende possibile il contano col mondo. Per·
ciò questa peculiarità della donna può più facilmente svilupparsi in un
comportamento globale di madre, ma solo quando l'inclinazione naturale
viene sviluppata coscientemente e disinteressatamente. L'uomo sente
molto il suo corpo come mezzo di dominio sul mondo, la donna piutto-
sto come me7.zo per incontrare sensibilmente il mondo. La donna pcrciii
è più facilmente \•ulnerabi!e; m:1 anche questa disposizione è già ralfi-
gurara nella struttura fisica della donna: deflorazione, mestruazioni. parto
sono connessi con ferite. Cf. E. v. EJCKSTEDT. Die Forschu11Jl. dnt Men·
.rchen III: Psvchologie und philosophische Antropologie, p. 2 37 2.

Riassumendo, si può ben dire: la posizione dell'uomo verso il mon·


do è più volitivo-centrifuga, quella della donna è più istintivo-cen-
tripeta. Concludendo, si possono citare due passi di BuvTENDIJK:
«Ogni essere umano è dorato in vista di ambedue le forme dina-
miche fondamentali, anche se non in eguale misura» (p. 264). «Dob-
biamo sottolineare che anche nell'uomo può esserci senso materno,
SESSUALITÀ E NATalMONIO

mentre nella donna esso può essere .molto debole» (p. 283), per
ragioni in parte di disposizione, in parte di educazione, di svt-
luppo e di esperienze. Ripetiamo che non esiste ancora una psico-
logia dei sessi su hasc universale. Certamente è possibile, purché
si proceda criticamente, scoprire dalla raccolta ddle note caratteri·
stiche la struttura essenziale dei sessi.~ Ma è decisamente sbagliato
minimizzare, oppure trascurare le enormi differenze nd compor·
'amento dci sessi, quali ci son indicate dalla etnologia. Per esem-
pio, non si può passar sopra facilmente al materiale interessante
raccolto da M. MEAD sul lavoro campestre, e tanto meno alla
istituzionalizzazione del ruolo attribuito ai sessi nelle grandi e
antiche culture. Perciò è bene ricordare ancora alcuni dci risul-
tati delle ricerche etnologiche, la cui importanza deve far ri-
flettere.

Jd. Risultati delle ricerche etnologiche - Fondamentale per lo sviluppo


di una pii1 approfondita autocomprensione dei sessi e dei loro rapporti,
ap11are anche la conoscenza dell'indispens.1bilità del coito per la nascita
della prole. Ma certamente tale conoscenza non c'era 6no a poco tempo
fa, e ancor oggi non esiste presso certi popoli. BERNATZICK, Die neue
grosse VolkerkunJe III, Fr:mkfurt a.M. 1954, p..p 1 scrive: cNume-
rosi miti di popoli primitivi, ma anche di popoli molto civili, provano la
ignoranza nei tempi più antichi del rapporto fra coito e fecondazione. Molte
tribù indigene dell'Aumalia, oppure gli isolani delle Trobriand della Mela-
nesia, negano ancor oggi la connessione naturale tra generazione e conce-
pimento». Quest'ultimo lo ritengono attuato dai geni degli avi o dei
bambini, germi di bambini (d. la particolareggiata descrizione delle isole
Trobriand in MALINOWSKI, Das Geschlechtsleben der Wilden in NorJwesl
Melanesien, Leipzig 1929, pp. 123-14'; accenni in BL"SCll1\N, Vijf/ter·
kunJe n/I '~' e THUllNWALD II, 18. Per una nuova interpretazione
critica: MoHa, Die christlicbe Ethik im Lichle der Etbnologie, Miinchen
19'4· pp. 134 s., d. anche DJETERTCH passim). Un ulteriore momento
molto importante potrebbe consistere nel ricercare se le condizioni giu-
ridiche dei popoli siano determinate più secondo l'aspetto maschile: o
femminile. Dove domina il matriarcato, oppure dove ci sono ancora se-
gni di matriarcato, la posizione ddla donna suole essere più o meno
elevata. Dove domina il matriarcato può nascere la poliandria che (se·
condo BuscnAN 11/1, 466, 487, :po, 634) esiste ancora, o esisteva fino

'- G. SaiE1E1. EM ;,,, Horna111 tl~s Sri111, Essen 19f>J, p. :131, nota 11.
ASPETTI Df..LLA SESSUAUTA

a poco fa. presso molte tribù degli altipiani intorno all'Himalaya, nel
l'India anteriore, nell'India meridionale, a Ccylon, nel Borneo e nelle
regioni agricole della Cina (cf. ancora BERNATZICX III, p. 444 s., l'arti-
colo sulla poliandria, dove si dice: cNonostante i molti divieti, si pote-
vano cosmare fino al presente numerosi casi di poliandria nell'India
meridionale ... all'interno tli Ccylon, come pure nel Tibet. Senza dubbio
una volta cr:i molto più diffusa.. Seguono dl.-gli esempi). Situazioni più
o meno matriarcali, s::n1.a csisten7.il di poliandria, sono però pii1 frequenti
di quelle poliandr!rhe.
Bcrnatzick riferisce dal Sudan (Avatime) di una regina assistita da pani·
colari donne capitribù. Le donne, sia in famiglia sia nella vita pubblica,
erano tenute in grande considerazione, tanto che i capitribù non pote-
vano prendere certe decisioni senza il consenso dell'assemblea delle
donne. Lo stesso autore riferisce (p. ·U4) dei Rotu, presso i quali ancor
oggi sono riconoscibili perlomeno tracce di un antico ordinamento
matriarcale: che la prima donna dcl re veniva onorata come cmadn: dcl
regno• e la donna Rotsc veniva considerata ampiamente alla pari del-
l'uomo. Viceversa nell'Islam, che pennette: una poligamia limitata, la
donna non è tenuta in grande considc:ra7.ione. Secondo H. L. GoTr-
ESCHALK (Fa. Kt>NIG [cd.], Chris111s 11nJ Jk Rtligionen dtr ErJe m,
19,1, pp. '2 s.), l'uomo può semplicemente mandar via la donna senza
indicare i motivi, mentre per la donna è molto difficile: prendere l'ini-
ziativa di separarsi e la sua deposizione in tribunale vale solo la metà
di quella dell'uomo. Secondo BuSCHAN 11, pp. 168 s., la posizione della
donna nell'India è veramente bassa: •L'indù vede in lei solo una crea-
tura inferiore... e, per ogni riguardo, essa è la sua schiava e cosl pure
quella della suocera ... (Le bambine alla loro nascita vengono salutate:
con una maledizione e un tempo venivano uccise in massa) ... L'antica
legge dcl Manu scrive ... che una brava donna deve onorare come un
dio anche un uomo riprovevole:•. Come possono tali relazioni non svuo-
tare profondamente la coscienza della donna della sua dignità e come
può non avvenire che dci notabili abbiano più di cento concubine
(d. TIUMBORN, Die inJianischtn Hochltulturtn dts Alten America, Bcr-
lin 1963, p. 19) oppure che le donne vengano date come paaa (lo., op.
cii., p. 126)?
Accenniamo ora al caso di due occupazioni maschili svolte da donne.
THURNWALD parla (Il, 5.J-56) di guardie dcl corpo femminili presso i
signorotti della Cin:i, dell'India e dcl Dahomcy e fa qualche ulteriore
accenno a donne dci tempi primitivi abili nella guerra. Un'altra occu-
pazione generalmente riservata all'uomo Cd. il prospetto presso W. N.
STEPHENS, The Family in cross-cu/turtJ/ Pt>rspectivt, New York 1963,
P- 282) è la caccia. Ma THURNWALD scrive (Dit mtnuhlicht Gtullscha/t
r, Berlin 1931, p. 42) che presso gli esquimesi alcune delle ragazze più
S1':SSU/\l,IT;.. I'. MA1'KIMllNl<1

giovani si danno anche alla caccia dcl caribi1 e delle: foche, e che tutta
la comunità prenderebbe parte allc ba1tÙ1e al caribù. E. Sc1mLSKl (So
zioluy,ie der Sexualitat, Hamburg 2 196"5 riferisl·c, riprendendo R. L1NT0N.
che presso i Tasmani le donne raggiungon() a nuoto le rupi dove ~tanml
le foche, si avvicinano ad t:sse e le uccidono l'on le mazze, che dànno la
caccia anche all'opossum, e che inoltre si arrampicano su grandi alberi.
Certo grandi prestazioni di caccia, davvero pericolose!

Concludendo, penso che la psicologia dell'uomo e dellu. donna presso


gli isolani delle Trobriand sia dcl tiltto diversa da quella dei popoli
primitivi che sono a conoscenza del rapporto tra il coito e il con·
cepimento; che la psicologia sessuale dei popoli prt:sso i quali esi·
ste la poliandria sia diversa da quella dei popoli presso i quali
esiste la poligamia; che la psicologia sessuale degli indù sia diversa
da quella dei popoli con ordinamento matriarcale. R. MoHR (op.
cit., cap. VI), parlando dell'atteggiamento globale dei popoli pri·
mitivi nel confronto dei sessi, ha molto insistito sulla distinziom:
tra il comportamento religioso-soprannaturale di venerazione e la
posizione magico-intramondana. 6 In ogni caso il poderoso materiale
raccolto da MonR (op. cit., cap. VI) ci invita ad una grande pru-
denza nel campo di una psicolgia dei sessi riguardante in senso
generale tutti gli uomini. Tuttavia io ritengo che perlomeno ci
sia un fondamento universale. La differenza dei sessi è fondata
senz'altro sulla combinazione dei cromosomi XX o XY nello
zigote nella fecondazione. Grosso modo è qui il fondamento di
una reciproca relazione dci sessi, la quale, assieme alle diverse
attrazioni corporali, abilita e globalmente impegna uomo e don-
na da una parte ad un reciproco personale completamento
dell'intera persona, dall'altra alla procreazione e all'educazione
della prole. Qui uomo e donna hanno ruoli non scambiabili,
che sono fondati nelle loro differenze corporali alle quali fon-
damentalmente corrisponderanno due diversi tipi di disposizione
psicologica riguardo al comportamento e alla decisione. Forse
la distinzione fra la più forte tendenza ad un'attività centrifuga

• Mi riferisco principalmcn1c: ;li nn <> e ;. pp 125-I}/- Specialmenlc le pagi""


1 p-137 dimos1rano quali in1t-rpre1azioni itmllnche e del tulio irreali siano possi-
bili circa la differenza e il si11nifica10 dei ~si.
PER UNA VISIONE BIBLICA DEL MATRIMONIO
431

o centripeta potrebbe alla fine presentarsi come la più risolutiva


differenza fra i sessi. Ma questa si concretizza in modi molto di-
versi secondo le culture, le usanze nazionali, Ja visione religioso-
soprannaturale oppure naturale della uita, ecc... A mio parere, non
si deve sorvolare su questo; è assolutamente da prendere sul serio
lo studio del materiale etnologico e storico-culturale. Esso mostra
come è difficile far derivare dalla natura dell'uomo leggi riguardanti
il campo deJla sessualità. Non possiamo ringraziare Dio abbastan-
za per aver ricevuto attraverso la rivelazione neotestamentaria
certi fondamenti ultimi, partendo dai quali è possibile chiarire
e risolvere, movendo da Cristo luce e vita del mondo, i proble-
mi del sesso cosl ingrovigliati, e i cui ordinamenti vari le diverse
culture hanno portato continuamente con sé attraverso i secoli e i
millenni.

3. Per una visione biblica del matrimonio

Gli aspetti a vari livelli della duplice sessualità, precedentemente


discussi, non consentono un'interpretazione unitaria senza la rive-
lazione. Perciò a questo punto è da chiedersi come deve essere
interpretata la duplice sessualità alla luce della rivelazione. Ciò
può avvenire ricercando la visione biblica del matrimonio, movendo
dalla quale può essere spiegata la duplice sessualità dell'uomo
sul piano teologico. Le indicazioni decisive ci vengono dal Nuovo
Testamento.

a. Antico Testamento

Secondo il più antico racconto (jahvistico) della creazione dell'uo-


mo e dell'istituzione del matrimonio ( Gen. 2,20-24), Eva viene
creata come aiuto dell'uomo, dopo esser stata tratta da lui stesso
quale suo simile, e a lui viene presentata da Dio. Il v. 24 indica
la profondità e unità della società coniugale. L'ordine di pro-
creare non è ricordato. Secondo il racconto posteriore della crea-
zione (Gen. 1,27), Dio h'a creato l'uomo a sua immagine, maschio e
femmina. e li ha benedc:ui e ha affidato loro il compito della pro-
~ESSUALITÀ E :\!ATRIMONIO

creazione (v. 28), come, secondo il v .. 22, aveva pure benedetto gli
animali acquatici e gli uccelli, affidando loro un compito analogo.
Forse in ceni testi riguardanti i patriarchi, il tempo di Mosè e
dei Giudici, si possono notare delle tracce di matriarcato (per es.
Gen. 24,28; Lev. 19,3; /ud. 8,19), mentre più tardi l'uomo è sen-
z'altro privilegiato nei confronti della donna.
Secondo Gen. 2,18.20.24 il matrimonio è istituito come mono-
gamico per il superamento della solitlllline e per il conseguimento
di un aiuto simile all'uomo. Ma più tardi si trova la poligamia, co-
me è già narrato nel caso di Lamech (Gen. 4,19) e frequentemente
nella storia dei patriarchi. Solo i benestanti potevano concedersi il
lusso di avere più di due donne, e Dt. 17,17 vede nell'avere nume-
rose mogli, come nell'avere molte ricchezze, il pericolo che il cuore
si allontani da Dio. Secondo l'Antico Testamento, già due donne
possono difficilmente possedere in modo eguale il cuore del loro
marito, cf. Giacobbe con Lia e Rachele (Gen. 29 ss.), Eleana con
Anna e Peninna ( 1 Sam. 1 ). Che questo accadesse di frequente lo
indica il fatto delle disposizioni legali per la successione in Dt.
21,15 ss.
Il matrimonio per il popolo di Dio, come per tutto l'Oriente, è
ordinato alla conservazione e al bene della stirpe. La sterilità della
donna è considerata disonore, disgrazia e castigo di Dio. 11 matri·
monio viene stipulato dai capifamiglia. Ma succede anche che sia
l'uomo a scegliere (per esempio Giacobbe), oppure che la sposa
venga interpellata (Gen. 24,58, cf. 24,5 .8 ), oppure che il desiderio
del cuore della ragazza venga preso in considerazione dal padre
(1 Sam. 18,20). In qualche caso viene riferito come l'amore s'in-
stauri in un secondo tempo, dopo lo sposalizio (per es. Gen. 24,67 ),
oppure come venga preparato psicologicamente (Tob. 6,19). in qual·
che caso si parla anche della sua forza e invincibilità (Cant. 8,6 s.).
Sembra perciò che Israele fosse consapevole dell'intimo valore insito
nel profondo amore matrimoniale; ciò spiega la progrediente
consuetudine del matrimonio monogamico, la quale sembra sia
stata dominante ai tempi di Gesù, come pure le considerazioni
nei libri sapienziali sulle donne di malaffare, sulla gioia dell'amore
e sulla lode delle spose perfette (per es. Prov. 5, 1 8; 3r,1q-31 ;
PER UNA vrs1n1'"F. 111111.IC:A DF.L MATlttMnl\:10
4H

Ecclus 26; 36,2 3-31; negativamente Ecci. 7 ,26 ss. ). L'immagine del·
l'amore di Jahvé per il suo popolo infedele che si esprime attraverso
l'amore matrimoniale sarebbe incomprensibile senza l'alta stima del
medesimo. Bisogna certamente tener presente tuttavia che all'uomo
israelita era permesso dare alla donna il libello di ripudio, con la
possibilità per ambedue gli sposi di contrarre un nuovo matrimonio.
(A Elefantina anche le donne giudaiche potevano dare il libello di
ripudio). I matrimoni riusciti bene erano tenuti in grande onore,
ma i matrimoni non riusciti potevano essere sciolti.
:B da tener presente la grande importanza che si dava alla verginità
della donna prima del matrimonio. Chi commetteva adulterio veniva
punito con la lapidazione: Lev. 20,10 (d. il decalogo: il sesto co-
mandamento si trova tra l'assassinio e il furto). Per altro, l'uomo
godeva di una relativa "libertà nelle relazioni con le ·donne nubili e
con le scllliave; solo non era permessa la violenza. Per il bene della
stirpe, nell'epoca antica era consuetudine di sposarsi tra parenti, ma
in seguito questa consuetudine fu limitata (tuttavia rimaneva il
levirato). Ci stupisce in particolare l'usanza di generar figli unendosi
alla schiava della moglie. Questi venivano considerati figli legittimi
dell'uomo e della padrona della ragazza. Cf. pt.r es. Abramo (Gen. 16,
2 ss. ); Giacobbe ( Gen. 30 ,3 ss.; 9 ss. ). Quindi rispetto al diritto natu-
rale e al sesto comandamento nell'Antico Testamento i problemi a
a proposito di matrimonio non sono soltanto i casi di poliga-
mia, il libello di ripudio e gli atti sessuali incompiuti.7 Forse aiuta
a capire il fatto che il rapporto di Jahvé con il suo popolo, nella
maggior parte degli scritti profetici, veniva descritto come un rap-
porto di ·sposa o di matrimonio, e perciò ogni defezione da Jahvé,
particolarmente nei casi d'idolatria, veniva descritta come adulterio

7 E interessante il fatto che TOMMASO, Exposit. in Gtn. in cap. 16, nei suoi
tentativi di dimostrare la disptnsabilitas della poligamia, la mette in relazione al
significato del matrimonin di Cristo con la Chiesa: «Sic per p/ures uxorts et con
cubinas Si[l.1ti.ficatur, quod praeter unam principa/em tcclesiam sunl aliat sec. quid
Deo coniunctae, lii synagoga in quantum caeremonia/is, et plures congregationu
errantium vel peccantium, in quantum habent a/iquid vtri ti boni ... •. Più avanti:
«Tertia causa est ad mystice d1·si11.nandum, quod caro dehet servire spiritui, et ac·
tiva vita con/emplalivae, et syna[l.oga eccltsiae, et congrega/io schismatica ve/ ille-
giiima seu carnalis verae co/umbae: et quod quidquid in bis boni est, subderivatur
ab uxore principali».

28 · Mysterium Sa/utis, n/2


SESSUALITÀ E MATalMOHIO
434

(d. Os. 1,2 ss.; 3,1 ss.; ler. 2; 3; q_,21-27; 31; faech. 16,23; ls.
Hi 62).'
Il servirsi dcl matrimonio per rendere comprensibile il rapporto
di Dio con il suo popolo presuppone una grande stima del matri-
monio unico' e indissolubile, ma anche dell'amore coniugale pro-
fondo, ricco di valori sul piano morale, che supera di gran lunga il
semplice eros sensibile (d. Tob. 6,19; 8,6 s.). Era certamente molto
significativo il divieto esplicito della fornicazione cultuale e l'uso
del compenso delle meretrici per scopi di culto (DI. 23,18 s.). Vice-
versa la fedeltà, l'amore, la misericordia, la premura di Jahvé come
fidanzato e come sposo del suo popolo, eran molto adatti per favorire
una comprensione eticamente e psicologicamente approfondita del
rapporto coniugale. g probabile che solo per il lento sviluppo di
questa intelligenza approfondita, l'ordinamento dcl diritto matri
moniale e deUa sessualità sia potuto andar oltre i punti di vista
della conservazione della stirpe e del popolo quali idee determi-
nanti per la vita sessuale. g da notare che al tempo di Gesù e degli
apostoli il pensiero che Jahvé è lo sposo del popolo e che ogni di-
sobbedienza alla sua volontà costituisce adulterio, era accettato
apertamente da tutti (cf. Mt. 12,39; 16,4; Mc. 8,38; lac. 4,4, forse
anche Io. 8,7). La guida del singolo al matrimonio nei.l'Antico Te-
stamento è vista più volte come guida da parte di Dio. Il sesto
comandamento (del decalogo) è legge di Dio. In Prov. 2,17 c'è un
accenno aL «patto del suo Dio»; Ezech. 16,8 dice a Dio che egli
all'inizio dell'alleanza ha fatto un giuramento al popolo che fa pen-
sare ad una promessa con giuramento fatta all'inizio del matrimonio.

I a. J. ZrEGLEI, D~ LUIH Gollel IHi de11 ProplHI~, Munster i.W. 1930, inol-
tre W. EicmtoDT. Theolo1.ie tle1 AT.. 619,9, 7 IV. Si deve tener presente che P1.
4,, secondo la traduzione del rispettivo Targum, fu inierpretato del Re Messia e
secondo Bertholet solo per tal motivo fu ronservaro. Similmente per il C.111ico
ilei c•nlici si dcve rinviare all'interpretazione messianica dello sposo nel rispettivo
T argum e nel Midras Sbir ha-Shirim Rabba. Secondo Buddc il Ui111U:o u1 ca-
lici deve il suo Kroglimento come rotolo pesqu.ale alla sua interpretazione nel sen-
so del rapporto Jahvé-popolo (E. KAUTZSCH, Die Hl. Schri/1 deJ A.T., Tubingcn
•t92~. pp. 168 e ~90). a. J. BatElllE-NAllONNE, UJ prop!Ntiu melJÌlllfÌqllel
d11ru /11 lilln•l11u iui1Je, Paris 19n. pp. 22 s.
'A proposito di Ier. 3,6ss. (le due spose) d. Jer. 2,2s.; per futtb. 2~ (Ohola
e Oholibal d. 1°111XC11no all'origine unitaria di Eucb. 2J.2; la caduta nell'idolatria
di ambedue i rqni rimane la rottura dell'unico, originale matrimonio con Jahvè.
PER UNA VISJO)l,'E BIJILIC.t\ DP.L MATlllMONIO 435

Movendo da qui, può ben essere compreso nel modo più immediato
il fatto che, secondo Mal. 2,14-16, Dio è presentato come testimonio
contro l'uomo che infedele si è separato dalla donna della sua gio·
vinezza. Tuttavia la stipulazione del matrimonio e il ma~-imonio
stesso non appaiono in sé come affare sacrale.
Il matrimonio con stranieri e il matrimonio con i pagani non
sono ancora proibiti al tempo dei patriarchi. ma solo più tardi per
motivi religiosi (DI. 7, spec. v. 3 s. 6).

b. Nuovo Testamento

Ci vengono riferiti solo pochi detti di Gesù riguardanti il matrimo-


nio. Ml. ,,28 insegna che non è peccato solamente l'adulterio esterno
(proibito in Ex. 20,14 e Deul. ,,18), ma anche l'adulterio commesso
'nel cuore', come accade allorché uno guarda una donna con sguardi
passionali.
t di fondamentale importanza la presa di posizione di Gesù
riguardo al diritto di ripudio esistente presso i Giudei, il quale
ammetteva la possibilità di nuove nozze per i separati, Ml. ,,31 s.;
19,3 ss.; Mc. 10,2 ss.; Le. 16,18. 10 Gesù non condanna come adul-
terio solo l'abbandono della moglie (in Mc. 10,12 anche quello del
marito), bensì anche le nuove nozze. Passando a nuove nozze.
l'uomo separato, la donna separata, come pure il rispettivo nuovo
marito o moglie, commettono adulterio. Sono particolarmente im-
portanti i due punti seguenti: 1) Gesù si richiama al fatto che Dio
ha creato l'uomo maschio e femmina (Gm. 1 ), e che c:gli ha detto
(Gen. 2,24): cPer questo l'uomo lascerà suo padre e sua madre e
si unirà a sua moglie, e i due saranno una carne sola». Il Signore
continua: «Cosicché non sono più due, ma una carne sola. Quello
dunque che Dio ha congiunto, l'uomo non lo dividu. 2) Gesù
come motivo della concessione dcl divorzio nell'Antico Testamento
indica la «durezza di cuore• dci Giudei (Mc. 10,,; Ml. 19,8). Que-

" u q1JC1tionc, come debb. esvre spiqiato l'inci!IO Mt. ,.\J ftnorx-rò; >.Oymi
IQIQ'lllaç opputt 19,9 llfr i.xl~ non ci può occupare •1ui. A:Khc ~~li protestanti
arnmrlluno CM r. imf'O'•ihil·· dle." ~.. poua ancnu.nr r .....1u11' J:\'1r10 di diYOrzio;
d. TW1'iT 1,6.f8, noia l.f; 1v.;41. nota n.
SESSUALITÀ I! MATRIMONIO

sto è lo spirito dell'«ostinata insensibilità umana di fronte alla mani-


festazione della volontà salvifica di Dio, che vuole essere accolta ...
dal cuore». 11 L'espressione ricorda il «cuore di pietra» (Ezech. 11,19
e 36,26 ss.), che la misericordia di Dio vuole sostituire con un cuore
di carne. L'indisponibilità del popolo alla volontà salvifica di Dio
e la sua resistenza di fronte ai castighi sono come l'infedeltà del
popolo verso lo sposo divino. Forse il riferimento alla durezza di
cuore come motivo della concessione della separazione e all'aboli-
zione del diritto di ripudio pronunciata con autorità da Gesù, sono
un accenno velato al fatto che ora è incominciato il tempo in cui
la benevolenza di Dio ha promesso il dono di un 'cuore di carne, di
uno spirito nuovo, di un cuore nuovo, nel quale il Signore ha
scritto la sua legge (ler. 31,33). Il messia è venuto. Gesù in Mc.
10,6-8 rinvia a Gen. 1,27 e 2,24 come fondamentale punto di par-
tenza della sua presa di posizione, e in Mt. 19,8 vien detto in modo
del tutto esplicito: «Ma da principio non fu cosl». Non è un sugge-
rimento che solo «in principio», prima del peccato originale, si po-
teva comprendere e attuare universalmente il vero significato divino
del matrimonio monogamico, e che questo può avvenire di nuovo
solo dopo la venuta del messia, e che per questo Mosè nel frat-
tempo potè concedere il libello di ripudio? Infatti, non ricoscendo
più il significato dato da Dio al matrimonio monogamico, non era
più possibile attuarlo.

Certe difficoltà sono collegate con quei testi dei vangeli nei quali Gesù
si serve delle parabole delle nozze, come pure dell'espressione 'sposo'
senza tuttavia parlare della sposa; oppure dove Giovanni Battista si qua-
lifica come amico dello sposo. Questi passi sono Mt. 9,14-17 e par., Mt.
22,1-14; Mt. 25,1-13~ Mc. 2,19 s.; lo. 3,29 s. Alcuni esegeti pensano
dfe gli uditori di Gesù a stento avrebbero potuto capire che con l'im-
magine dello sposo veniva indicato in messia. (J. ]EREMIAS in TWNT IV,
pp. 1094 ss.; ID., Le parabole di Gesù, Brescia 1967, p. 60). Per questo è
bene richiamarsi alla rappresentazione del rapporto di Jahvé con Israele
come di un rapporto sponsale o coniugale. Inoltre ci si deve richiamare
specialmente a ciò che è stato detto a proposito di Ps. 45 e del Cantico
dei cantici (nota 8). Per questo non è errato ammettere che i giudei

11 TWl\'T m,616.
PE!t UNA VISIONE BIBLICA DEL MATRIMONIO
437

uditori cli Gesù conoscevano dalla liturgia il paragone Messia-sposo. Ma


chi Gesù avrebbe dovuto indicare come la sposa? Non il popolo che
allora, nell'insieme, non lo riconosceva. La Chiesa soprannaturale? La
celeste Gerusalemme dell'Apocalisse? Tutto questo sarebbe stato incom-
prensibile, ambiguo, perfino provocante.
Una chiara indicazione di Cristo che ritorna come sposo, al quale Paolo
presenta la Chiesa quale sposa, si trova in 2 Cor. II ,2. È importante
inoltre Eph. 5 ,22-33, di cui si dovrà trattare in modo particolare, come
pure Apoc. 19,7 s. e 2I,9 ss. In Hebr. 1,8 Cristo è il re e lo sposo
di Ps. 45.

Paolo tratta ampiamente, in modo normativo, questioni sul matri-


monio in r Cor. 7. Il divorzio non è permesso; se i coniugi si sono
separati, non possono contrarre un nuovo matrimonio. Questo è un
comandamento del Signore (v. 10 s.). ·I matrimoni misti (con i
pagani) secondo l'insegnamento dell'apostolo possono essere mante-
nuti, se il coniuge infedele è d'accordo. Esso viene santificato dalla
comparte fedele, e cosl pure i figli. Ma se il coniuge infedele vuole
separarsi, allora la comparte cristiana è libera (v. 12-16: fonda-
mento per la dottrina dd privilegio paolino).
Paolo consiglia la continenza, però conosce la debolezza degli
uomini e per questo non solo raccomanda il matrimonio,· ma esige
anche la prestazione del debito. Gli sposi per non cadere in tenta·
zione si possono separare di comune accordo solo per ·brevi tempi
durante i quali dedicarsi alla preghiera ( vv. x-6 ). e.erta.mente Paolo
ritiene consigliabile la vita verginale, tuttavia sa che Dio concede la
v0Ca2ione al matrimonio o al celibato come un dono speciale che
ciascuno deve seguire (vv. 7 ss.). In conformità a ciò, l'apostolo non
considera peccaminose le nozze di una vergine, ma ritiene che sia
meglio rimanere nello stato verginale. Paolo pensa alla parusia ormai
prossima ed esorta ad una più grande libertà per Dio, libertà che
egli scorge nello stato verginale (vv. 25-38) e, corrispondentemente,
consiglia alla vedova di rimanere vedova, tuttavia aggiunge che ella
è libera di sposarsi di nuovo «nel Signore».
Col. 3,18 ss. esige la subordinazione della donna all'uomo come
una cosa conveniente nel Signore, ma esige anche, viceversa, amore
(agape) e abbandono di ogni durezza da parte dell'uomo nei con-
fronti della donna. I versetti precedenti, 1-17, richiamano l'atten-
SESSUALITÀ E MATRIMONIO

zione sul comportamento cristiano fon~amentale proprio come pre-


supposto per tutto ciò. II medesimo ordine nel matrimonio viene
proposto in Eph. 5,21 ss., non però come pura aggiunta di esorta-
zioni simili per uno stato comune di vita cristiana, bensl come fon-
damento particolare in una visione teologica. Se ne tratterà ancora.
Nel corpus paulinum si trovano inoltre alcuni accenni a idee impor-
tanti per il matrimonio e per il significato religioso del rapporto dei
sessi per es., 1 Thess. 4,4; Rom. 7 s.; I Cor. 14,34 ss.; r Tim. 2,8-
15; 3,2.4; 4,3; 5,9-16; Tit. r,6; 2,1-5; Hebr. 13.4· Molto affine al
pensiero paolino è r Petr. 3,1-7.
Paolo proibisce non solo l'adulterio e il divorzio, ma qualsiasi
atto impudico, come mostrano i noti cataloghi dei peccati. Ed egli
però argomenta a questo proposito, soprattutto in r Cor. 6,12-20,
non dal punt<> di vista della legge naturale, ma specificatamente dal
punto di vista cristiano-teologico e con ciò, senza dubbio, supera
di molto in esigenza e dal punto di vista normativo ciò che era stato
richiesto all'uomo nell'Antico Testamento.
Paolo ovviamente conosce la designazione veterotestamentaria del-
l'alleanza come di un rapporto sponsale o matrimoniale, in cui Jahvé
appare sempre come la parte maschile e il popolo come la parte
.femminile. Egli conosce anche il rapporto della duplice sessualità
dell'uomo con le concezioni religiose nell'ambito del Mediterraneo,
dove si conoscevano dèi e dee, divinità celesti e infernali di sesso
maschile e femminile. Per lui il mistero di Cristo è diventato la
grande sorgente della luce, con la quale egli cerca di illuminare
il disegno di Dio all'inizio della creazione 1 nella storia della sal-
vezza del genere umano, e finalmente alla conclusione della storia
della salvezza. Da tali presupposti egli in diversi punti, con la sua
genialità carismatico-speculativa, prende posizione improvvisamente
circa il problema della duplice sessualità. L'asserzione più signi;.
ficativa si trova in 1 Cor. r r ,3-12. L'apostolo applica qui come in
altri punti il passo di Gen. 2 riguardante la creazione della donna
dall'uomo; questo passo gli serve per raggiungere una compren-
sione dei sessi dal punto di vista di un loro contenuto religioso-
simbolico. Esegeti cattolici odierni, come RENCKENS, ScHWEGLER,
MoRANT, m genere partendo da punti di vista metodolo-
PEll UNA VISIONE BIBLICA DEL MATRIMONIO 439

gico-esegeuc1 non accettano una interpretazione letterale del primo


capitolo della Bibbia. Se in Paolo si fosse trattato di una singola
tesi non molto importante dogmaticamente, allora si potrebbe argo-
mentare anche contro di lui movendo dai citati punti di vista meto-
dologico-esegetici. Ma dall'interpretazione paolina del racconto della
creazione della donna in Gen. 2 dipendono nel corpus paulinum
molte altre tesi dogmaticamente importanti. 12 Certamente le frasi di
1 Cor. I I ,7 ss. sono oscure,11 ma se ne può dedurre quanto segue:
cCapoi. al v. 3 significa colui che sta sopra all'altro nel senso che è
cli fondamento al suo essere. 14 Più difficile è capire che al v. 7 s.
l'uomo venga presentato come immagine e gloria (ELxwv xuL SOi;«)
cli Dio, e la donna come gloria (&6~«) dell'uomo, con riferimento
alla creazione della donna dall'uomo e per amore dell'uomo. Sicu-
ramente la donna per Paolo è pari all'uomo quale immagine di Dio
nella sua capacità di essere redenta (cf. Gen. I,27; Gal. 3,28; inoltre
I Cor. 1~;,49; 2 Cor. 3,18; Rom. 8,29; Col. 3,10 s.). Ma perché qui
vien detto semplicemente dell'uomo che è l'immagine cli Dio, se lo
è anche la donna? Io penso che qui vien detto che l'uomo è imma-
gine e riflesso cli Dio in un senso nel quale non lo è la donna. Piut-
tosto, riguardo a ciò, la donna è solo ri.Oesso dell'uomo, cioè non di
Dio, ma cli una creatura ad immagine cli Dio, ciò che per Paolo ri-
sulta dalla modalità della creazione cli lei. Il fatto che l'uomo è
direttamente immagine e ri.Oesso cli Dio, significa senza dubbio una
alta dignità, un primato religioso per ordine e per importanza nei
confronti della donna, la quale è solo riflesso dell'uomo. E questo
non vale solo per Adamo e per Eva personalmente, ciò che sarebbe

12 Mi sembra semplicistico scrivere, come fa D. S. BAILEY, Mann und Frau im


christlichtn Denletn, Stuugart 1963, p. 241; «Noi che leggiamo queste parole, ab-
biamo ricevuto una conoscenza massiore da Dio, il cui santo Spirito ci spiega alla
luce di questa rivelazione il testo rivelato• - riferendosi a selem e demut di Gen.
1,26 - , mentre poi (a pp. 268 ss.) respinge criticamente l'interpretazione paolina
d1 Gen. 2,18.:u ss. Proprio Paolo non deve evidentemente aver ricevuto lo Spirito
santo per la spiegazione di Gtn 2 in un passo importante assai dal punto di vista
dogmatico! Il testo di c~n. J costituisce un fondamento essenziale per l'argomen·
tazione di Gesù in Mc. 10,6·9; Mt. I9,4·6.
Il K. H. RENGSTORP, Mann und Frau im Urchrislenlum, Kèiln 1954, p. 48, nota
104, oescrva: «Non è ancora stai~ data della frase una interpretazione veramente
IOddisfacente•.
14 C.Osl H. SCHLIER, in TWNT 111,678.
440 SESSUApTÀ Il MATRIMONIO

comprt:nsibile poiché Adamo, secondo il racconto di Gen. 2,7 citato


da Paolo, quale primo uomo fu creato direttamente da. pio, e la
donna invece, secondo v. 2 1 ss., fu creata dalla carne e dallè ossa
di Adamo e secondo il v. 18 fu creata per amore dell'uomo. Ciò va·
le, come prova tutta l'argomentazione di 1 Cor. 11,3-16, per tutti
gli uomini e per tutte le donne come tali, anche se tuttavia, secondo
v. 12, anche tutti gli uomini vengono al mondo «attraverso la don·
na» e non diversamente. Perciò al tipo umano 'maschio' come tale
deve spettare un primato religioso come «immagine e gloria di Dio»
che non spetta al tipo umano 'donna' come tale. Ci si chiede ora se
questa interpretazione del difficile testo possa essere resa probabile
da altri testi o pensieri del corpus paulinum. lo credo di sl.
C'è innanzitutto ( 1) il parallelo Adamo-Cristo (o meglio Cristo-
Adamo )15 collegato con (2) il pensiero del peccato originale. L'anti-
tipo dell'uomo singolo Gesù Cristo (Rom. 5,15) è l'uomo singolo
Adamo (Rom. 5,12.I4.19), a causa della cui disobbedienza irruppero
in tutto il genere umano peccato e morte. Tuttavia non fu Adamo il
primo a peccare, ma Eva, ciò che mettono espressamente in evi-
denza 2 Cor. u,3 e I Tim. 2,14. 16 Bisogna aggiungere che (3) nella
Chiesa l'ufficio di presidenza è riservato agli uomini, cosa che ap-
pare come ovvia in connessione alla scelta e alla missione degli apo-
stoli, ma che espressamente è fissata nel fatto che le donne, in forza
d'un comandamento del Signore, non devono parlare durante l'as-
semblea (1 Cor. 14,34-37), e che (1 Tim. 2,12) le donne sono esclu-
se dall'esercizio dell'ufficio d'insegnamento. Infine (4) in Eph. 5,
22-33 viene fatto un parallelo di tal genere fra il rapporto Cristo-
Chiesa e s~sposa che il rapporto terreno, coniugale, viene pre-
sentato come un'imitazione e ripresentazione del rapporto Cristo-
Chiesa. «L'esempio di Cristo non è soltanto un esempio riprodotto

15 a. O. Kuss, Der Romerbrie/, Regcnsburg 19'7 ss., riguardo a Rom. 5,12,


pp. u6, 231, 235-239 (tr. it., ùttera 11i Rom11ni, Morcclliana, Brescia).
16 Riguardo al parallc:lo Cristo-Adamo cf. inoltre 1 Cor. l,,u s., 45-49. O. Kuss,
op. cii., commenta a riguardo di Rom. 5,21 a p. 274: •li peccaro venne nel mondo
per il fano che il primo uomo peccò... Eva quindi per Paolo scompare interamente
dietro ad Adamo che - nella visuale giudaica - è lui solo importante per la
genealogia e sopratrutto poteva essere lui solo l'anritipo di Gesù Ciisto•. In
1 Cor. 14,34 ss., è utilizzato come detenninanre eviden1emc:nte Gen. 3; in 1 Cor.
f5.45 ancora una volta Gen. 2.
PER UNA VISIONE BIBLICA DEL MATRIMONIO
44 1

nell'immagine del matrimonio umano: quest'immagine, cioè il ma-


trimonio terreno e il suo compimento, attingono dal modello di
Cristo ;mche la loro essenza. L'immagine, cioè il matrimonio terreno,
riceve, assume e rappresenta il modello, cioè il rapporto di Cristo
con la Chiesa. Nel matrimonio terreno viene conservato nella sua
essenza il rapporto di Cristo con la Chiesa... Il matrimonio terreno
trovandosi in questo rapporto con l'unione che esiste tra Cristo e
la Chiesa, si distingue da qualunque altro rapporto umano, anche
se Paolo non tralascia di dire che anche i rapporti tra genitori e
figli, tra schiavi e padroni devono aver luogo tv Kupl~ e wc; 'téi°>
Xp~o--.éi'>». 17 L'evento riferito in Gen. 2,24 è tipo di Cristo e della
Chiesa e quindi segno che nasconde e manifesta nello stesso tempo.
«In quanto l'avvenimento riferito in Gen. 2,24, il mistero della
unione tra Cristo e la Chiesa, viene imitato nel matrimonio terreno
tra uomo e donna, questo partecipa di quel mistero e in tal senso
è esso stesso mistero». 11 Questo è per Paolo il fondamento misterico
di ogni matrimonio umano (La sàcramentalità del matrimonio cri-
stiano non coincide con ciò, ma vi è fondaty).
C.Ollegando queste quattro affermazioni paoline, a mio parere
diventa fnolto probabile che l'apostolo delle genti in I Cor. n,7, in
modo simile come in Eph. 5,3r s., abbia presente un grandioso
aspetto antropologico-teologico, il quale consente di comprendere
sia il significato di ambedue i sessi nella questione del peccato ori-
ginale, sia il primato dell'uomo nella guida delle comunità, sia il
rapporto degli sposi nel simbolismo del matrimonio, sia la posizione
generalmente subordinata della donna rispetto all'uomo (in queste
prerogative). È univocamente chiaro il significato tipologico-si.ml»
lico dell'uomo nel parallelo Cristo-Adamo e, nel peccato originale,
dell'uomo con il suo influsso su tutto il genere umano, come nel
matrimonio. Esso è analogamente chiaro anche per la comprensione
dell'idoneità al sacerdozio speciale mediante la proibizione per le

17 H. ScHLIEll, Lett1m1 agli E/esini, Brescia 1965, P- 322, noia 45 .


.. Op cit_, 262/263. a. WutENHAUSEll, Die Kircbe als der mystiscbe Leib
Cbristi N1Cb dem Apostel Paulus, Freiburg 21940, p. 2o6, con riferimento all'altro
concetto di mysterion come parola enigmatica piena di mistero, invece di mistero
nel contenuto, cioè nel divenire uno. cln realtà ambedue le imcrprelazioni sostan·
zialmenie por1ano alle stesse conclusioni».
442 SESSUALITÀ I! MATllMONIO

donne d'insegnare durante l'assemblea ~ mediante il fatto che né in


Paolo né altrove si parla dell'istituzione di donne vescovo o di donne
preti nelle comunità cristiane.
Se vogliamo ampliare dal punto di vista teologico questa visuale,
dobbiamo chiederci come si può chiarire su questa base tipologico-
simbolica di strutture il significato e il rapporto dei sessi. Innanzi
tutto sono necessarie però alcune osservazioni più generali.
1. Pur essendoci una conoscenza dell'importanza dei capostipiti

(Adamo e Cristo), dell'irruzione del peccato nel genere umano a


causa del peccato di Eva o dei progenitori, di un hieròs gamos nel
pensiero giudaico o pagano al tempo di Paolo o poco prima, conc>-
scenza che può aver stimolato l'apostolo delle genti - di quando in
quando per polemica - , tuttavia la sua visione globale non è pen-
sabile senza la sua comprensione dcl posto di Cristo nel a>-
smo, e senza la sua interpretazione di Gen. 1-3 culminante in una
comprensione cristocentrica. Ciò vale anche per la sua illustrazione
del significato di ambedue i sessi e del loro rapporto reciproco, cui
egli dà in questo modo un assai profondo contenuto dogmatico.
Movendo da qui, forse si dovrebbe attribuire al racconto della crea·
zione di Eva di Gen. 2,21 ss. un contenuto che difficilmente potreb-
be esser ricavato dal genere comune dcl rivestimento letterario delle
idee religiose nel racconto della creazione. Dobbiamo essere ben
consapevoli che qui all'inizio della storia della salvezza ci troviamo
di fronte ad una situazione importante analogamente alla incarna-
zione del Logos attraverso la nascita verginale."
2. Non dobbiamo mai dimenticare che la creazione di ambedue i
sessi e la loro unione ad opera di Dio nel primo patto matrimoniale
sono avvenute prima del peccato originale, e che innanzitutto quindi
all'uomo e alla donna sono stati posti degli scopi che Dio aveva
prefisso a un genere umano che derivav.a •la progenitori che si trova·
vano ancora nello stato di santità e di giustizia originaria.
3. Non possiamo dimenticare che l'istituzione dcl matrimonio

19 Sia detto di passajlgio riguardo a Gt,,. 2,21 s.: ogni cellula germinale ~ di
fatto una parte autonoma dell'uomo o della donna, toh1 da essi. Solo anraveno
queste pm11 dt!i I.""' lori nasce un nuovo uomo, non da un atto procreai ivo nd
senso ari.ioteliro-scolastico.
PER UNA VISIONI! lllllLICA Dl:L MATllMONIO
443

da parte di Dio nel paradiso terrestre è considerata da Gesù stesso


ancora come normativa, nonostante il libello di ripudio (e la poli-
gamia): Ml. 19,4-6.8. La citazione di Gen. 2,24 serve per fondare
l'indissolubilità del matrimonio, l'essere una sola carne è voluto da
Dio (che precedentemente ha formato Eva e Adamo). E così, questa
norma doveva essere osservata sempre e dappertutto. Eph. 5,31 s.
ne indica il fondamento ultimo. Il rappono tipologico con il mistero
Cristo-Chiesa è fondamentale per il matrimonio, non se ne può pre-
scindere.
4. Bisogna inoltre osservare che c'è una sicura corrispondenza tra
l'origine della donna Eva dall'uomo Adamo per opera di Dio, e la
nascita della Chiesa nel tempo ad opera della redenzione operata
da Gesù, che l'ha amata e si è donato per essa allo scopo di puri-
ficarla e santificarla per mezzo della parola nel lavacro dcl batte-
simo. In questo modo volle presentare a se stesso (come causa e
fine!) una Chiesa tutta splendente senza macchia o ruga o altri
aspetti negativi, una Chiesa santa e senza alcun difetto (Eph. ,,27).
inoltre 2 Cor. 5,17: «Quindi se uno è in Cristo, è una creatura
nuova; le vecchie cose sono passate, ecco ne sono nate di nuove!».
Eph. 2,15 s. « ...per creare in se stesso, dai due, un solo uomo nuo-
vo, facendo la pace; per riconciliarli entrambi con Dio in un solo
corpo, mediante la croce, distruggendo in se stesso l'inimiciziai..20
La Chiesa, trasformata dallo Spirito di Cristo nell'uomo nuovo e
riunita nel corpo di Cristo, appare in Eph. 5 come l'archetipo della
sposa che è il corpo dello sposo. Secondo 5,31 s. in Gen. 2,24
l'unione matrimoniale di Adamo ed Eva è una misteriosa prefigura-
zione del rapporto di Cristo con la Chiesa. Così la Chiesa è formata
dal secondo Adamo attraverso lo Spirito emanante da lui, dal suo
Spirito.

Per ragioni di completezza s! deve rinviare ancora a 2 Cor. 1 1 .2, dove la


Chiesa di Corinto appare come la sposa di un unico uomo, Cristo. Cf. per
la missione dello Spirito ancora lo. 7,39; 16,7.14 s. Il pensiero. secondo

lD Cf. ancora r.111 6.1.,; f.pb 1,2J; 2,10.13.1 p.; Col. 1,18·22; 2,9-11.19; J,p.911.;
f.pb. 4,3 s.; Ro1'1 ll,9; G11/ ~.6; Epb. ~.11-16; / Cor. 12,J·l4.19 I Diversità dci doni
e delle operazioni dell'unico Spiri10, che ;, lo Spiri10 di Cristo e che riunisce in
un unico corpo tutti i crcdcn1i, u s.).
SESSUALIT~ E MATRIMONIO
444

cui la Chiesa nacque dal costato apert~ di Cristo addormentato nella


morte, è comune nella patristica cominciando da TERTULLIANO e METODIO.
Cf. RAC u, ,,3.

Se c'è quindi, senza dubbio, una particolare corrispondenza di


immagine tra l'uomo e Cristo che non spetta alla donna, allora noi
possiamo innanzitutto supporre che l'apostolo abbia avuta presente
questa corrispondenza in 1 Cor. 11 ,7 dove l'uomo è presentato
come immagine e riflesso di Dio, la donna invece solo come riflesso
dell'uomo, nell'interpretazione della creazione di entrambi nel rac-
conto di Gen. 2. Secondo 2 Cor. 4'4 Cristo è l'immagine di Dio
(cioè del Padre); in Col. 1,1, si afferma del Figlio amato dal Padre
che egli è l'immagine del Dio invisibile (del Padre). Allora anche
alla caratterizzazione della donna in I Cor. 1 r ,7, come un (sem-
plice) riflesso dell'uomo, potrebbe attribuirsi un particolare ·signi-
ficato simbolico: essa è (secondo Gen. 2 interpretato da I Cor.
11 ,7) immagine dcll 'umani.tà come creatura, la quale è destinata
alla glorificazione attraverso lo Spirito di Dio che proviene dal Figlio,
e che è destinata al fidanzamento ( 2 Cor. 11 ,2) o alle nozze (Eph. 5)
con Cristo.
Ma andiamo oltre nella nostra riflessione. Secondo Rom. 8,19-22
l'intera creazione soffre le doglie del parto e anela alla manife-
stazione gloriosa dei figli di Dio. Secondo Col. 1 ,20 è Cri-
sto colui che, mediante il suo sangue, sulla croce riconcilia tutte le
cose che sono sulla terra e in cielo, dunque tutta la creazione, e che
fonda la pace. Questo è strettamente collegato con la creazione
dell'uomo nuovo e della Chiesa in Col. 3,4.10 s., dove la Chiesa
viene quasi identificata con Cristo.
Prendiamo in considerazione ancora una volta la condizione ori-
ginaria del· paradiso terrestre. :t: probabile, ma non teologicamente
certo, che anche senza il peccato originale dci progenitori ci sarebbe
stata l'incarnazione. Se prendiamo in considerazione la possibilità
che senza il peccato originale non ci sarebbe stata l'incarnazione,
allora l'uomo, quale immagine di Dio nel senso che non riguarda
la donna, avrebbe assunto probabilmente nell'umanità una posizione
simile a Cristo rappresentando il Figlio di Dio, che il Padre ama;
a lui sarebbe toccato di essere lo strumento creato dell'opera di Dio
PER UNA VISIONE BIBLICA Dl!L MATRIMONIO

collaborando con lui nella nascita di ciascun uomo, per comunicare'


l'immagine divina soprannaturale a tutti gli uomini discendenti da
lui, e innanzi tutto ad Eva. E dopo Adamo questa funzione sarebbe
spettata a tutti i suoi discendenti maschili: come Adamo avrebbe
rappresentato Dio che vuole unire a sé soprannaturalmente gli uo-
mini e in un senso più largo tutta la creazione, cosl Eva avrebbe rap-
presentato l'umanità che doveva venir glorificata da Dio, e, in un sen-
so più ampio, la creazione che doveva pure essa venir glorificata da
Dio. Se anche senza il peccato originale ci fosse stata un'incarnazio-
ne, allora Adamo sarebbe stato a priori, in un senso particolare, che
Eva non poteva pretendere, immagine e rappresentante del Dio-uomo.
Ma l'ordine concreto della salvezza è quello in cui i progenitori
-sono caduti in peccato, in cui nell'umanità c'è la colpa originale, e
in cui l'uomo-Dio apparve come redentore. I passi neotestamentari,
specialmente quelli paolini, sull'uomo, sulla donna e sul matrimo-
nio, riguardano quest'ordine effettivamente attuato.
E se già l'unione coniugale della prima coppia umana nel paradiso
terrestre era, secondo Eph. 5,31 s., un segno misterioso, un tipo del
futuro mistero Cristo-Chiesa, e se nel matrimonio nel loro reciproco
rapporto rispettivamente l'uomo rappresenta Cristo e la donna la
Otlesa, si capisce che fu il peccato di Adamo, non quello di Eva, la
causa dell'ereditarietà del peccato originale nel genere umano; come
anche, viceversa, si deve ammettere che, senza peccato originale,
Adamo in forza della sua particolare rappresentatività di Dio, ri-
spettivamente dell'uomo-Dio, sarebbe stato l'autentico mediatore
umano per l'assunzione della sua discendenza nell'amicizia con Dio
operata dalla grazia {giustizia ereditaria). In ogni caso, senza il pec-
cato originale il matrimonio doveva essere l'istituzione attraverso la
quale veniva trasmessa al genere umano l'amicizia soprannaturale
con Dio.
Partendo da questo punto, sarebbe possibile capire le caratteri-
stiche di ElxWv xat ool;a l'Eov per )'uomo e di o6l;a ò:vo~ per la
donna, se non ci fosse stata la colpa originale, ma piuttosto si fosse
trasmessa la giustizia ereditaria all'umanità. Ma come questo può
avere un senso per l'umar.:tà peccatrice? A mio parere ciò è possi-
bile, se consideriamo che Dio non rifiutò il suo disegno di
Sl!SSUALITA I MAntMONIO

elevare gli uomini ad una particolare amicizia, di elargire loro la


partecipazione della sua intima vita trinitaria, come ci mostrano la
incarnazione del Figlio e la sua morte espiatrice con tutte le sue
conseguenze. E cosl uomo e donna conserverebbero sempre un certo
proprio significato - senza dubbio infinitamente affievolito - per la
rappresentazione di quei rapporti virali soprannaturali tra Dio e la
umanità, come era staio nel paradiso terrestre e come doveva venir
restaurato in Cristo. E questo significato torna a vivere dopo la
restaurazione. Ora l'uomo ha un primato nel significato simbolico
storico-salvifico, il quale si manifesta nella sua posizione nel matri-
monio e nella sua capacità per l'ufficio apostolico e per i suoi mini-
steri sacramentali; mentre la donna a lui subordinata nel matrimonio
non è capace di partecipazione al sacerdozio ministeriale. Nell'Antico
Testamento troviamo i rapporti dcl Nuovo Testamento accennati
nell'immagine già citata dell'alleanza di Jahvé con il suo popolo
eletto, presentata come un rapporto sponsale o matrimoniale, come
pure nel fatto che c'era un sacerdozio di soli uomini, al quale erano
riservate certe funzioni cultuali e sacrifici che si offrivano nel tempio.
Cosl mi sembra dunque che 1 Cor. I r ,3 e 7 s. si riferiscano al
significato simbolico storico-salvifico di uomo e donna che, nel para-
diso terrestre, nello st11t11s naturae lapsae non reparatae, e reparatae,
s'esprime rispettivamente in modo diverso, ma senza mai perdersi.
Infatti secondo Eph. 5,31 s., nell'istituzione del matrimonio, per la
quale solamente la correlazione fra uomo e donna può giungere a1
completo sviluppo nell'ordine voluto da Dio, è sempre esistito fin
dal paradiso terrestre il rapporto simbolico di uomo e donna rispetto
alla relazione spo.-uale tra Cristo e Chiesa, anche nei matrimoni non
cristiani e quindi non sacramentali. Questa è anche una tradizione
antichissima nella Chiesa, sempre ripetutamente confermata dai pa-
pi.z1 Quando si parla perciò, sul piano teologico, del cmatrimonio
naturale», si vuol dire cmatrimonio non-sacramentale>. Ma l'esprcs-

21 a. WNF.. I rp. 167, PL , ... 120-4; INNOCEHZO Ili e 0No110 lii, in CJC fontes,
lrd. GASPAHI) 111, Roma 19l,, pp 1 '8 s.; l..F.ost lii, An-.anum Ji11irur dcl 10-l-188o,
riprcu da Pio Xl nella C4lt1 wnn.,bii Jcl JI 12.19}0, rd HcrJcr, n. 83. Per le
concezioni pa1ris1ichc riguardo allo 1posalizio del Logos con la natura umana cf.
RAC. 11,,,7 s.
PEI UNA VISIONE BIBLICA DEL MATUMONJO
447

sione non è felice; a rigore ogni matrimonio valido, diversamente da


ogni altra costizuzinne di società proveniente dalla natura degli uo-
mini, è una conformazione sociale ndla quale uomo e donna imitano
almeno per modo di accenno, nel loro riferimento vitale reciproco,
la relazione Cristo-Chiesa, indipendentemente dal fatto che essi lo
sappiano e lo vogliano. Il matrimonio ha sempre un senso sopran-
naturale. Esso è stato stabilito da Dio quale segno dcl disegno so-
prannaturale salvifico di Dio per gli uomini, attuato attorno a Cristo
come centro. Ciò è conoscibile solo attraverso la rivelazione sopran-
naturale; tuttavia il matrimonio ha stimolato fortemente sul piano
religioso anche il pensiero mitologico.
Da questo risulta che il significato più profondo delh dualità
dei sessi dell'uomo non è metafisico, filosofico o biologico, ma teo-
logico. Mi sembra che senza una visione di fede tale dual~tà presso
gli organismi vegetali e animali e presso l'uomo sia qualcosa. di
puramente primordiale, che noi semplicemente troviamo, cosl come
troviamo la generazione asessuata o partenogenetica, o il metaboli-
smo. Dovremmo concepirla come una delle forme di organizza-
zione della natura accanto ad altre. Il fatto che una struttura
ancorata cosl profondamente nella corporeità dell'uomo abbia
un scn~o soprannaturale-teologico, si può comprendere muovendo
dal mistero dell'incarnazione, poiché Cristo è anche vero uomo, ha
preso un corpo umano da Maria vergine, ci ha redenti accettando
la morte corporale, è asceso al ciclo con il corpo risorto e glorioso
e fino al suo ritorno è presente nella sua Chiesa nella santa euca-
ristia, per far arrivare gli uomini, che il Padre gli ·ha dato, alla risur-
rezione gloriosa e anche a partecipare corporalmente alla sua gloria
celeste. E in quanto l'uomo proviene per il corpo da capostipiti ani-
mali, anche Cristo è realmente legato attraverso il suo corpo umano
con il mondo degli organismi inferiori all'uomo, e da lui uscirà il
compimento dell'attesa di tutta la creazione (Rom. 8,19-22) in unio-
ne con la risurrezione dei santi. Cosl appare come molto significath•o
il fatto che anche nella duplice sessualità ordinata all'unione di un
maschio con una femmina, perlomeno nel mondo degli organismi
inferiori più vicini all'uomo, si trova una lontana somiglianza, un
debole riflesso dcl mistero Cristo-Chiesa.
SESSUALITÀ E MATRIMONIO

4. Per un'antropologia dei sessi

In continuazione alla visione biblica del matrimonio e della duplice


~essualità si possono fare ora alcune affermazioni di approfondimento
riguardo all'antropologia dei sessi e alla loro unione nel matrimonio.
Già in precedenza 22 si accennò brevemente al fatto che ci sono
diversi momenti biologici, che sono d'ostacòlo ad un'interpretazione.
metafisica· di ambedue i sessi." Riassumo brevemente: 1) Ogni essere
umano nel periodo embrionale, nel quale vengono poste le gonadi,
è indeterminato quanto al sesso. 2) Si conoscono diw~rsi gradi soma-
tici intermedi tra uomo e donna a causa dell'erroneo rapporto tra
i cromosomi, fino all'autentico ermafrodismo. Anche questi tipi
intermedi sono persone· umane. 3) Ci sono persone che dal punto di
vista somatico -vengo~o considerate chiaramente quali uomini o
donne, che però psichicamente non sono portate verso l'altro sesso
ma verso il proprio (omosessuali). Secondo lo studioso di genetica
umana O. v. VERSCHt?ER n si tratta qui di una caratteristica eredita-
ria. 4) C'è però anche una omossessualità psicogena, acquisita durante
l'infanzia, la quale tuttavia può venir regolarizzata attraverso una
buona psicoterapia, come può venir indirizzata, pur in una inca-
pacità psichica, ad un amore coniugale felice e alla capacità gene-
rativa. ' ) Qui si dovrà ammettere almeno una certa pre-disposizionP,
legata ai caratteri ereditari, che potrebbe esser messa in relazione
con l'indeterminatezza dell'embrione e con le diverse valenze non
eguabnente forti, che dal corredo diploide dei cromosomi sessuali
dello zigote influiscono, in modo tendenzialmente diverso, sullo
sviluppo dell'organismo in formazione in direzione maschile o fem-
minile. 6) Con questi rapporti potrebbe anche collegarsi il fatto che,
secondo un'ipotesi comunemente accettata non c'è alcun uomo che
non abbia caratteristiche femminili né alcuna donna che non abbia
caratteristiche maschili. Ma sempre anche nelle malformazioni, la
natura si sforzerà di arrivare ad un insieme organico equilibrato, an-
che se non sempre le riesce perfettamente.

u Cf. pp •P4 ss.


ll O. v. VERSCHUl!R, Gt•netik deJ MenJChen, Miinchen 1959, PP- 76 s_
PF.R UN'ANTROPOLOGIA DEI SF.SSI
449

lo ritengo falso dire che ogni persona umana è un uomo o una


donna, e ho molte riserve riguardo a formulazioni come la seguente:
«L'essere umano non è uomo o donna come è grande, sano, forte,
intelligente o amante della musica. Poiché l' 'essere uomo o donna'
non sta accanto ad altre qualità, ma le comprende tutte. Il sesso
caratterizza l'essere umano come tale; è una realtà globale che per-
mea tutte le qualità, le situazioni e le attività dell'uomo e partecipa
loro il suo 'timbro' inconfondibile, come lo fanno tutte le realtà
esistenziali di un esistente» (SCHERER, Ehe im Horizont des Seins,
Essen 1965, p. u2). Su questo punto probabilmente ci si è spinti
troppo avanti nel campo filosofico. Anche l'insieme dci caratteri ere-
ditari che è eguale in ogni cellula nucleata, e lavora in modo corrispon-
dente, e certi fattori individuali specifici nel citoplasma esercitano un
loro influsso, per es. «l'essere di questo esistente», e la massa eredi-
taria ha una fortissima influenza causale non solo nel far sl che
«questo esistente» diventi un uomo o una donna, bensl anche nel
far sl che in lui appaiano fenotipicamente caratteristiche fortemente
maschili o femminili.
Per lo sviluppo psichico giocano talvolta un ruolo molto impor-
tante, oltre alla ereditarietà, l'autentica esperienza di affetto nella
famiglia, l'amore o l'avversione verso il padre o la madre, verso que-
sto o verso quello dei fratelli, il tipo di ragazzo e di ragazza legato
al tempo e alla cultura che viene presentato nell'educazione, ecc.; e
tutte queste forze lavorano sulla massa fondamentale dci caratteri
ereditari.
Frattanto io non oso più dire che da un sano sviluppo si pos-
sono avere due esemplari della specie umana, il maschile e il fem-
minile; e precisamente su questo voglio spiegarmi. L'ideale è l'uo-
mo con un carattere decisamente maschile non effemminato e la
donna con un carattere decisamente femminile, non mascolinizzato. I
bambini di regola impareranno durante l'infanzia in famiglia che ci
sono persone umane maschili e femminili. Essi faranno esperienza
già da bambini che uomini e donne nella vita sociale umana hanno
compiti diversi (benché questi possano essere diversi anche per la
i.ituazionc storico-culturale). Quando il bambino sarà più maturo

JCI · ,\h•lcri11m \'11/11ti<, 11!1


SESSUALl1'À ~ MATRIMONIO
4.50

e riflessivo, noterà, nel quadro culturale in cui vive, quanto l'esi-


stenza dei sessi, uomo e donna, siàno di grande importanza per
la vita sociale, umana, anche prescindendo completamente dall'atti-
vità specificatamente sessuale. Neg1i anni seguenti diventerà sensi-
bile alle qualità particolarmente attraenti di persone dell'altrn
sesso, e questo può portare ad un rapporto eroticÒ psichico
con una persona dell'altro sesso e finalmente al fidanzamento e al
matrimonio. Il matrimonio è senza dubbio per la stragrande mag-
. gioranza degli uomini lo stato normale. nel quale essi possono por·
tare la peculiarità maschile o femminile della loro personalità alla
immediata attuazione spirituale-psichica-corporea completa e bene
ordinata in un legame intimo, destinato a durare tutta la vita, con
il "partner coniugale. Il matrimonio è un rapporto contrattuale giu-
ridico e morale che si distingue dagli altri rapporti contrattuali per
il cosiddetto ius in corpus e comprende la totalità della comunione
di· vita.
Anche presso gli animali si ris~ontrano, anche se raramente, casi
di unione se,ssuale a vita. Ma il matrimonio umano è qualcosa di
completamente diverso. In esso i partner sessuali sono esseri cor-
poreo-spirituali, cioè persone. Il rapporto matrimoniale degli sposi
è perciò un rapporto di persone, che si sono unite tenendo in spe-
ciale considerazione le loro diversità e l~ loro capacità sessuale, ma
non esclusivamente in vista della viva attuazione delle loro capacità
sessuali o semplicemente della loro vita corporeo-sessuale, bensl
nel •riconoscimento e nel rispetto della loro dignità personale in
quanto uomini, perciò in quanto personalità morali, e - precisa-
mente per lo ius in corpus - per una comunione di vita piena e
duratura. L'unione sessuale animale sottostà alla legge dell'istinto,
casualmente della stabilità, mentre quella umana sottostà all'esigenza
della signoria dello spirito. Conformemente a dò, l'unione sessuale
coniugale umana è degna dell'uomo solo se essa è sostenuta dal-
l'amore vicendevole di benevolenza. Con ciò non si vuol dire che
il momento specifico dell'attrazione sessuale non sia legittimo o
desiderato nel matrimonio. Al contrario, sarà perfino normale che
agli inizi l'amor concupiscentiae si faccia sentire fortemente. Ma già
l'eros specificatamente umano, con forte accentuazione sessuale. ben-
PER UN'ANTROPOLOGIA DF.I SESSI

ché fortemente legato all'istinto, C()ntiene un momento di autentica


disposizione a superare il proprio io per un amore personale che si
dona, e se due esseri umani si legano in matrimonio per tutta la
vita, il legame esige anche la sollecitudine reciproca, ordinata a ciò
che essi si formino il comune cammino della vita come aiuto alla
attuazione completa della personalità. Al contrario, la natura nel
regno animale e vegetale procede in tal modo che sacrifica senza
riguardi i genitori alla conservazione della vita della specie. Si deve
anche metter in evidenza il fatto che la cura e la cosciente disposi-
zione all'educazione dei bambini diventa per i genitori umani un
periodo lungo di cure amorose e disinteressate e di sacrifici, e
questo periodn non viene interrotto dal sopraggiungere di altri
bambini. Cosl per i genitori umani la dedizione ai propri bam-
bini diventa un 'esigenza di arricchimento spirituale pm!'ressivo
della personalità attraverso una crescente esperienza ed un amore
disinteressato, dcl quale non si dà più un parallelo nel regno ani-
male. Ma anche il significato chè' gli sposi umani reciprocamente
costituiscono e che hanno per tuua la vita, non solo come aiuto
nelle cose esterne della vita, bensì per l'arricchimento della perso-
nalità attraverso l'amore disinteressato in vista del fine ultraterreno,
è qualcosa di specificamente umano.
Tutto questo è collegato al fatto che anche l'unione sessuale dei
coniugi umani è superiore all'accoppiamento di tutti gli animali, a
causa della componente spirituale delle persone umane. Certamente
anche presso l'uomo il desiderio dell'atto coniugale ha origine nella
for.la d'attra~ione dei due sposi esistente nella corporeità. Ma la
c0mponente animale ha nella vita dell'uomo un significato che su-
pera di molto l'ambito puramente organico. Essa è da una parte
fondamento per la vita spirituale, che senza di essa non si potrebbe
svolgere. I sensi sono per l'uomo fondamento per ogni conoscenza.
L'uomo esperimenta anche se stesso come determinato in un modo
o nell'altro, come stanco o riposato, sazio o affamato, ecc ... in con-
formità alle indicazioni del proprio corpo. Ci sono anche strati pro-
fondi di esperienze presenti o passate, che normalmente sono incon-
sce, ma che suscitano a livello spirituale numerose emozioni che
influenzano le motivazioni dell'agire. Viceversa talvolta comporta-
SESSUALITÀ E MADIMONIO

menti spirituali di chiusura di fronte 11: valori stimolanti provocano


delle nevrosi che possono tradursi in malattie o indisposizioni. Il
corpo ha anche la funzione espressiva spirituale psichica della
persona umana. Non solo l'espressione del viso, ma anche dei
gesti, l'emissione e il tono della voce ecc. possono avere un
valore di espressione spirituale-psichica, che nelle relazioni inte-
rumane, nell'incontro, può trasmettere delle cognizioni, che solo
in modo molto inadeguato possono essere formulabili concettual-
mente.
Ora ogni copula umana perfecta è un'attuazione reciproca, voluta
liberamente, di ambedue le persone attraverso tutte le componenti
della persona, anche se essa avviene senza amore personale, anzi
senza eros, senza sensibilità a livello sessuale. San Paolo riferisce an-
che ad una tale copula il passo di Gen. 2,24 (r Cor. 6,16). Essa però
è un'unione indegna del cristiano, anzi della persona umana, poiché
in verità consiste in un usare di persone simili a Dio, l'altrui e la
propria, per il puro piacere sessuale.
La cosa cambia completamente quando gli sposi, che si amano,
si uniscono nell'atto matrimoniale. L'atto può ancor provenire da
una profondità molto diversa ed essere più o meno penetrato oppure
libero dall'egoismo. Ma quanto più è naturale e ovvia per ambedue
gli sposi l'abituale condotta reciproca di amore, tanto più sicura-
mente sarà un'espressione spontanea in cui ogni persona si dona
lealmente in modo totale al partner e ne accoglie il dono. Ambedue
si riconoscono come aperti l'uno all'altro, appartenenti l'uno all'al-
tro, fatti l'uno per l'altro, e si 'riconoscono' con la chiaroveggenza
dell'amore pienamente umano, grazie alla forza espressiva del corpo.
L'atto coniugale non ha quindi puramente carattere di segno di in-
clinazione, come il bacio, perché in esso non s'impegna tutta la per-
sona. "t: piuttosto un reciproco dono reale delle persone che si .amano
reciprocamente, reso possibile dalla diversità della loro sessualità
che permette di esprimere precisamente l'amore personale in dire-
zione reciproca nell'atto d'unione sessuale matrimoniale; per questo
atto nessuno degli sposi mostra di attendere qualche cosa da se stesso,
ma ciascuno accetta solo quello che l'altro gli dà in dono. Perciò que-
sto atto ha un profondo valore personale. Esso plasma la persona
PEI UN'ANTllOPOUlGIA DEI SUSI 4H

dell'uno fino nelle profondità dell'inconscio attraverso e per l'altra


persona; esso rafforza e consolida il rapporto coniugale. Quanto mag-
giore è la gioia dell'esperienza dell'amore e dell'unione, tanto minor
considerazione trova - secondo le affermazioni di coniugi d'elevate
qualità umane - l'esperienza del piacere corporale, che però è
assolutamente legittimo. Tutto ciò che è corporeo e tutto lo psi-
chico condizionato dal corpo, in un atto matrimoniale compiuto per
autentico amore coniugale, è penetrato, ordinato e nobilitato dallo
spirito. Ma l'atto ha questo senso profondo solo se esso è l'attua-
zione e la rappresentazione specifica della piena comunione di vita
di ambedue i partner, che vogliono appartenersi completamente in
quanto uomini, fino a che la morte non li separi.
Ora l'atto matrimoniale è anche la via naturale per cui può
venir avviata la spontanea unione di un'ovocellula matura per la
concezione con uno spermatozoo, e con ciò la nascita di un bam-
bino, a condizione che lo spermatozoo penetri nella tromba in un
momento favorevole in rapporto all'esplosione del follicolo. Poiché
ovocellula e spermatozoo sono elementi autonomi, vitali, dell'orga-
nismo dell'uomo e della donna, ciò che si produce nello zigote e
nell'organismo del bambino che si sviluppa da esso, costituisce un
documento vivente dello scambio d'amore dei suoi genitori e una
immagine sostanziale della loro unione matrimoniale duratura. Nd
nucleo dello zigote e nei nuclei delle cellule del corpo, derivanti
nelle divisioni mitotiche, i cromosotni provenienti dal padre e dalla
madre conservano la loro autonomia e dirigono insieme l'evoluzione
della cellula, in modo paragonabile alla comunione di vita matrimo-
niale durevole espressa in una vita comune dei genitori, rimasti tut-
tavia persone autonome. Cosl il bambino è l'espressione dcl fatto
che l'unione vitale dei genitori tende intimamente a far sfociare
nell'amore disinteressato, di servizio, il loro mutuo rapporto e a
porsi a servizio di nuove persone; queste concretizzano, conferma-
no, consolidano, arricchiscono l'elevatezza dell'unione matrimonale.
Il bambino è così un valore per gli sposi, i quali ricevono la di-
gnità di genitori oltre che quella di sposi. La ricchezza delle persone
umane è però troppo grande perché questo matrimonio concreto
possa esprimere la loro immagine sostanziale in modo esauriente
SESSUA!.ITÀ F. MATRIMONIO

in un unico bambino. Per questo, più ba,mbini, anzi molti, sono per
un matrimonio una naturale manifestazione della sua ricchezza on-
tologica. E se la comunità umana viene avvantaggiata dalla forza
dell'amore ordinato proveniente necessariamente da ogni buon ma-
trimonio, essa tuttavia viene avvantaggiata soprattutto dai bambini
ben educati, provenienti da un buon matrimonio. Essi sono un
bonum eminens per la società. Poiché il matrimonio ha un signi-
ficato fondamentale anche per i compiti naturali della vita della
persona umana e della società, è comprensibile che esso debba esser
considerato anche come istituzione esigita dalla natura umana
astraendo dal sigillo sacramentale. Tralasciamo di trattare la que-
stione dal punto di vista del diritto canonico.
Certamente il motivo ultimo e più profondo per l'assoluta indis-
solubilità di ogni matrimonio cristiano consumato è la ratio sacra-
menti. Come motivo ultimo ·decisivo si era soliti addurre finora il
bonum prolis, un forte argomento tanto nel caso in cui si discute
con coloro che non riconoscono la sacramentalità dcl matrimonio,
quanto anche per il problema dell'indissolubilità del matrimonio
dei non-battezzati. Bisognerebbe tuttavia domandarsi se riguardo al-
1'unità e all'indissolubilità del matrimonio dei non-battezzati, non
sia da dar rilievo maggiore al riferimento ~ al rapporto di simbolo
dell'unione di Cristo con la Chiesa o dell'incarnazione, delle quali,
almeno in modo sommario, dal paradiso terrestre, ogni matrimonio
è riflesso e immagine.
Il matrimonio ha i suoi fini immanenti, ma esso non è, anche
quando non è sacramento, un puro consorzio esterno che si basa
su di un patto o su una disposizione giuridica sovrapersonale; e
nemmeno è solo in funzione dei bambini. Il matrimonio è sempre
un totale, reciproco mettersi a disposizione di due persone, sessual-
mente diverse, in vista di una comunione vitale fino alla morte,
legato dal diritto reciproco all'atto di unione che attua totalmente
la loro mutua relazione. Ciò non significa solo che, per una consi-
derazione generale, la procrea/io et educatio prolis è, come tale,
fine immanente del matrimonio, ma anche che «l'intima formazione
reciproca degli sposi, il perseverante impegno di andare insi<-me
alla perfezione» (DS H07) ~ pure un fine- immanente dd m11tri-
PP.11 UN'ANTllOPOl.ClG!A DF.I SF.S~I

monio. Per yuanto sia grande: il l'ignificato della simpatia psico-spi·


rituale e sessuale quale presupposto al matrimonio, tuttavia l~ r~i­
proca donazione e l'esigenza a legarsi completamente di due per·
sone create a immagine di Dio, sono giustificate e possibili solq
nell'amore profondamente personale. In -;iò c'è sempre, almeno
implicitamente, la relazione di responsabilità morale di fronte a
Dio, la ·quale responsabilità non .abbraccia stabilmente con sguardo
<l'amore solo l'atto singolo come tale, bensì il dovere per ogni per-
sona umana di arricchirsi e di rompletarsi. Unità e indissolubilità
del matrimonio corrispondono perciò picn11mente all'unità e alla
totalità di ambedue le persone spirituali-corporee e alla profondità
della loro capacità (in quanto create a immagine di Dio) di una
condotta d'amore che supera se stessa donandosi; senza la parteci-
pazione a questo amore· anche l'atto di unione coniugale non puo
essere pienamente umano. Solo su tale base saranno possibili un'au-
tentica armonia e un completamento delle personalità di ambedue
g)i sposi; presupposti, d'altra parte, necessari per la soluzione del
compito dell'educazione dei figli provenienti dal matrimonio.Je Il
disordine causato dal peccato originale porterà difficoltà partico-
larmente gravi a livello spirituale e psichico delle persone che qui
si incontrano nell'unicità della loro costituzione, dd loro carattere
e del loro istinto, ma anche possibilità di superarle àtuavcrso
l'azione dell'opera redentiva. Ambedue le cose diventano compren-
sibili se si considera che quando Dio pensò l'uomo, la donna e il
matrimonio aveva presente uno stato di giustizia originale cd ere-
ditaria, e che dopo il peccato originale gli uomini persero i doni
soprannaturali,, quale fonte dell'ordine interiore e della forza per
l'adempimento dei compiti altissimi, soprannaturali dd matrimonio,
fino a che, attraverso l'opera della redenzione, pur permanendo l'in-
terno disordine e l'inclinazione al male, attraverso l'incorporazione
delle persone e del matrimonio stesso nel corpo di Cristo, non si
aprì, conformemente .ilk po,~ihilitii l" alk· leggi di vita valide per

1• U 111 p,·,·1:·,"t·.1 J, I i ·.i.: .. , I;, ,' · ~.1!. b111i; 196o, pau1m (8i-
hh,1~r.1fi.1: 'rlu.::.:t ·. ·.·1·1 uL1.1~ .1 ... ;'11·11: ,;·e 1: :::l' ...dl j'L'f ~tu-llv ).llCiolr~icn.
'SESSUALITÀ E MATRIMONIO

la natura lapsa et reparata, la via verso una rest~razione, diversa-


mente strutturata, dell'idea divina dÌ ambedue i sessi e dei loro
compiti matrimoniali.

5. Tappe del cammino teologico della dottrina cristiana


circa il matrimonio fino al Vaticano II

Come conclusione, presentiamo a brevi linee lo sviluppo della


dottrina cristiana sul matrimonio fino al Vaticano 11. Dopo che
già r Tim. 4,1 ss., aveva preso posizione contro gli eretici che vieta-
vano di sposarsi, e dopo che in r Tim. 5,14 vien espresso il desi-
derio che le vedove ancor giovani si sposino nuovamente, durante
i primi secoli nella Chiesa si trova, da una parte una coscienza del
significato profondamente religioso-cristiano del matrimonio, dal-
l'altra una consapevolezza del serio impegno morale degli sposi. 25
Nei primi secoli esercitò. però un influsso negativo sullo sviluppo
della dottrina cristiana e della morale circa il matrimonio il fatto
che il cristianesimo fu costretto a difendersi da due pericoli, da
una parte contro dottrine spiritualistiche nemiche del corpo, dal-
l'altra contro la licenza sessuale nel paganesimo. Si arrivò cosl a1
punto che grandi padri della Chiesa come GREGORIO DI NISSA e
CRISOSTOMO .ebbero una concezione talmente spiritualistica da ritene-
re che senza peccato originale gli uomini non si sarebbero moltipli·
cati mediante l'incontro sessuale, ma in un'altra forma. Perciò se-
condo il CRISOSTOMO il fine più importante del matrimonio è spe-
gnere il «fuoco della natura». Anche AoosTINo dovette innanzi-
tutto superare una concezione spiritualistica del matrimonio del pa-
radiso terrestre, prima di presentare la sua dottrina, cosl impor-
tante nei secoli seguenti, riguardo ai tre bona nuptiarum:"' proles,
fi.des, sacramentum (sacramentum = indissolubilità).Z7 Agostino ha

:ZS Spingono piutlosto in questa prima direzione i testi in R 319 s., 505, 1249,
1253 cf. anche Jakobus von Batnii (BKV, Schriften der syrischen Dichter, 347-350)
piuttosto nella seconda, R 67, 86, II9, 1094, 1176, 1322.
16 De bono coniugali, R 1640, 1642.
27 Tuttavia nel De nuptiis et concupiscentia si 1rova già riferimento a Eph.
5,25: R 1867 ss.
EVOLUZIONI; TEOLOGICA l>ELLA DOTTRINA DEL MATRIMONIO

anche messo in rilievo la naturalis in diverso sexu societas come fi.


ne del matrimonio,28 e il profondo significato dell'amore coniugale 29
spiri.tualizzato. Egli ha però anche considerato il piacere sessuale .
come un male inevitabile dopo il peccato originale e insegna però
che è un errore morale volere il male. Soltanto l'intentio prolis è
irreprensibile.30 È facile capire come i bona matrimonii siano stati
considerati anche come fini essenziali e questa concezione divenne
normativa per l'influsso del diritto. La triade pro/es, adiutorium,
remedium (incontinentiae) si trova per la prima volta in I s IDORO
(PL 82,367 ).
Lo sviluppo d'una visione sistematica del matrimonio ebbe tut-
tavia da superare grandi difficoltà, che in parte erano presenti an-
che in AGOSTINO. Non si riuscì per lungo tempo a liberarsi da una
svalutazione morale del piacere sessuale e ci si affaticò per se-
coli all'elaborazione di motivi più consistenti in favore dell'attua-
zione dell'atto coniugale. Anche il rapporto tra la comprensione
dell'unione degli sposi nell'atto coniugale e la comprensione del-
la sacramentalità del matrimonio dovette causare delle difficoltà,
fin tanto che questo atto, in conformità alla concezione biologica
della com'!'ixtio seminum, fu visto solo come atto generativo e va-
lutato corrispondentemente; cosicché l'elemento del dono reci-
proco delle persone degli sposi rimase troppo facilmente inosser-
vato. Oggi, grazie alla messa in evidenza dell'amore sponsale come
fine del matrimonio nella Casti connubii e in un discorso di
Pio XII, è assicurato il riconoscimento dell'alto valore obiettivo
personale dell'atto matrimoniale. Ecco le parole di Pio xu 31 :
«L'atto coniugale, nella sua struttura naturale è un'azione personale,
una cooperazione simultanea e immediata dei coniugi, la quale,
per la stessa natura degli agenti e la proprietà dell'atto è l'espres-

:11 R 1640.
:zt R 1868.
lO Cf. per lo sviluppo del problema dall'antichità fino all'alta scolastica sopra1-
rutto M. Mih.I.E1., Die Lebre du bi. Allgustinus "°" der Paradiesesehe und ibre
Auswirkung in der Sexuale1hik des 12. und IJ. Jllhrbunderts bis Tbom11S "°"
Aquin, Regensburg 195-f, inoltre P. ADNÈS, Le Mariage, Tournai 1963, p. 59 nota
1. (tr. it., Il matrimonio, Desclée, Roma).
li AAS 43 (1951) 850.
SESSUA!.!TÀ F. MATRIMONIO

sione del dono reciproco, che, secondo ·le parole della Scrittura,
effettua l'unione, in una carne sola. Ciò è molto più dell'unione di
due germi, la quale si può effettuare anche artificialmente, vale a
dire senza l'azione naturale dei coniugi. L'atto coniugale, ordinato
e voluto dalla natura, è una cooperazione personale alla quale gli
sposi, nel contrarre il matrimonio, si scambiano il diritto». La ca-
ratterizzazione dell'atto matrimoniale che qui è data e motivata
come «espressione del dono reciproco», conferisce all'atto un . senso
e un valore proprio, anche quando si pone erroneamente nell'atto
stesso l'unione dei germi, nel senso della commixtzo seminum am-
e
messa un tempo, soprattutto nei casi in cui già in antecedenza è
impossibile una procreatio prolis secondo natura. Questo specifico
senso e valore sono l'espressione concreta, attuata nella ca.-ne, del
dono personale che era stato attuato in modo puramente spirituale
nello scambio del consenso, e sua rinnovata conferma. Senza il ri·
ferimento a questa espressione nella carne, non sarebbe compren·
sibile il nesso simbolico con il rapporto Cristo-Chida, nel quale sono
significativi il dono di Cristo nella morte çorporale e nell'eucaristia.
Anche Pio XII dice in un contesto simile, che il matrimonio in quan
to istituzione della natura ha come fine primario e più intrinseco
quello di suscitare ed educare nuove vite. Potrebbe essere chiaro
che il rapporto significante del matrimonio e dell'atto matrimoniale
con il sacramentum Christi et Ecclesiae sta prima e al di sopra del
fine del matrimonio in quanto istituzione naturale.
Il Vaticano II nella Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mon·
Jo contemporaneo ha fatto, nella sessione pubblica del 7 dicem-
bre 1965 (II ,I) delle dichiarazioni molto chiare e assai importanti
per la teologia del matrimonio. Alcune vengono citate testualmente,
altre vengono riassunte. Riguardo allo scambio del consenso viene
detto (n. 48): «L'intima comunità di vita e di amore coniugale ... è
stabilita dal patto coniugale, vale a dire dall'irrevocabile consenso
personale. E cosl, è dall'atto umano col quale i coniugi mutuamente
si dànno e si ricevono, che nasce, anche davanti alla società, l'isti·
tuto del matrimon.io che ha stabilità per ordinamento divino... Per
sua indole natl!rale, l'istituto stesso del matrimonio e l'amore co·
niugale sono ordinati alla procreazione e alla educazione della prole
liVlll.UZIONE TEOLOGICA OF.LLA DOTTRINA DEI. MATRIMONIO
459

e in questa trovano il loro coronamento. E cosl l'uomo e la donna,


che per il patto d'amore coniugale 'non sono più due, ma una car-
ne sola' (Mt. 19,6), prestandosi un mutuo aiuto e servizio con l'in-
tima unione delle persone e delle attività, esperimentano il senso
ddla propria unità e sempre più pienamente». Il n. 49 tratta pro-
prio c.lell'amore coniugale (amor coniugalis). Si accenna al fatto che
anche nel nostro tempo molte persone stimano altamente l'amore
tra uomo e donna. Poi si dice: «Proprio perché atto eminentemente
umano, essendo diretto da persona a persona con un sentimento
che nasce dalla volontà, quell'amore abbraccia il bene di tutta la
persona, e perciò ha la possibilità di arricchire di particolare digni-
tà i sentimenti dell'animo e le loro manifestazioni fisiche e di nobi-
litarli come elementi e segni speciali dell'amicizia coniugale. Un
tale amore ... pervade tutta quanta la vita dei coniugi; anzi diventc1
più perfetto e cresce proprio mediante il generoso suo esercizio.
~ ben superiore, perciò, alla pura attratùva erotica che, egoistica-
mente coltivata, presto e miseramente svanisce. Quest'amore è
espresso e sviluppato in maniera tutta particolare dall'esercizio de-
gli •atti che sono propri del matrimonio; ne consegue che gli atti l'Oi
quali i coniugi si uniscono in casta intimità, sono onorabili e d~i
e, compiuti in modo veramente umano, favoriscono la mutua dona-
zione che essi significano ed arricchiscono vicendevolmente in Kioio-
sa gratitudine gli sposi stessi».
Il n. 50 tratta della fecondità del matrimonio. Vien detto che i
bambini sono il dono più grande d~I matrimonio e che contribui-
. scono molto al bene dei genitori. Essi significano una partecipa-
zione dei genitori all'opera creatrice di Dio che è affidata solo agli
sposi. Nell'interpretazione del loro concreto incarico divino gli spo·
si.hanno una loro propria responsabilità, tenuto conto di tutte le
circostanze in cui si trovano. Ma nella loro condotta non
possono agire per capriccio, ma devono guidarsi secondo la
loro coscienza, allineata secondo la legge divina interpretata au·
tenticamente dalla Chiesa. È importante la frase finale del n. 50:
«Il matrimonio tuttavia non è stato istituito soltanto per la procrea·
zione; ma il carattere stesso di patto indissolubile tra persone e
il bene dci tigli esigono che anche il mutuo amore dei coniugi ah-
SESSUALITÀ! MATllMONIO

bia le sue giuste manifestazioni, si sviluppi e arrivi a maturità.


E perciò anche se la prole, molto spesso tanto vivamente deside-
rata, non c'è, il matrimonio perdura come consuetudine e comu-
nione di tutta la vita e conserva il suo valore e la sua indissolu-
bilità».
Nel n. 51 viene riconosciuto: «·Là dove, infatti, è interrotta la
intimità della vita coniugale, non è raro che la fedeltà sia messa
in pericolo e possa venir compromesso il bene dei figli: allora corrono
qualche pericolo anche l'educazione dei figli e il coraggio di accet·
tame altri». Si deve metter in evidenza che il concilio non parla mai
del finis primarius e secundarius; che è fatto risaltare come l'ordi-
namento del matrimonio e l'amore coniugale siano ordinati al bambi-
no e che l'atto matrimoniale è indicato come espressione e come com-
pimento dell'amore coniugale, e che senza dubbio esso è annoverato
tra le possibili manifestazioni di questo amore le quali possono n~
bilitare l'amicizia coniugale come parte integrante e segno speciale.
Ora si deve certo attendere per vedere se e in quale forma
il diritto ecclesiastico assumerà alcune nuove fonnulazioni. Bi~
legi e medici senza dubbio saluterebbero volentieri alcuni muta-
menti. L'incolmabile distanza tra il ·concetto medievale-barocco e
quello moderno della fecondazione e della procreazione, che poggia
su basi sicure appena dalla scopena del processo della fecondazion"
e che da allora ha esperimentato ed esperimenta ulteriormente un
rapido sviluppo, sembra esigere dei cambiamenti. Qui JD8"C8 lo
spazio per trattarne nei panicolari.JZ
Per l'educazione al matrimonio le dichiarazioni dcl Vaticano II
significano già ora un nuovo punto di partenza poderoso e pastoral-
mente impegnativo. L'amore coniugale è posto talmente in primo
piano che nell'educazione dei ragazzi e delle raga?.Ze non si può più
porre unilateralmente l'accento, con la stessa insistenza sull'obiet·
tivo della procreazione. ! anche troppo vero ciò che ScHERER dice:

JZ Ne ho trattalo particolaregiatamcnte nel libro Gottttttittbeil 111'111 N.ch/to,,,.


1r1r1uclu/1, che certamente è foodament.almente impegnato a stabilire una baK
biolog1cammte incontestata per questioni di teologia morale circa il matrimonio
Ma purtuttavia 1'txc1mUJ delle pagine ,,..oo
e: le diJcussioni alle pagine 9n u
npardano anche in modo ciel tulio esplicito il diritto canonico.
EVOLUZIONE 'l'EOUJGICA 01\LLA D01TlllNA DP.L MATllMONIO

•Dove l'amore coniugale non è curato per se stesso, ma tutto è


in vista del bambino, non va bene né il matrimonio né il bambino»."
Le affermazioni dcl Vaticano 11 fanno continuamente risuonare
il riferimento alla sacramentalità dcl matrimonio. Se ne tratterà par·
ticolareggiatam'ente nella quarta parte di quest'opera. Ciò che è
stato detto a proposito della dottrina paolina circa l'uomo e la don-
na, è sembrato necessario per raggiungere un fondamento teologico,
anche se discutibile, della dualità dci ses9i, che, a mio parere,
non si può ottenere, nonostante l'irradiazione fino ad oggi della
teoria di ARIS1'0TELE e TOMMASO, né attraverso una speculazio-
ne filosofica, né sul piano biologico. Ci è parsa pure necessaria la
forte accentuazione dei fondamenti biologici, perché la determi-
nazione quale uomo o donna di un essere umano viene decisa con
sicurezza dalla costituzione delle cellule germinali fecondate, e per-
ché movendo di qui attraverso la formazione sessualmente distinta
degli organi, anche la vita psichica del! 'uomo e della donna riceve
le sue caratteristiche panicolari e fondamentali, le quali poi, dopo
aver ricevuto, attraverso leggi organiche, soprattutto attraverso la
ereditarietà, una assai ampia diversificazione delle loro possibilità di
reazione, vengono penetrate dalla C011Jponcnte spirituale e promosse
al rango di una vita personale. L'esperienza della ricerca moderna
sul comportamento degli animali superiori potrebbe illuminare cir-
ca il comportamento sessuale specificamente umano ancora con mol-
to profitto, molto più ancora di quanto abbia tentato l'autore di
Der Einbau Jer SexlUllitiil, ccc. ( 19,9). Su questo punto la filosofia
e la teologia cattoliche, hanno ancora molto da apprendere e nuovi
problemi verranno seriamente posti.
Dovremmo accogliere nel nostro modo d'esprimere e nel giudizio
su tutti i matrimoni monogamici validi al di fuori del cristianesimo,
la convinzione che ogni matrimonio di questo tipo partecipa simbo-
licamente già in qualche modo al mistero dell'incarnazione, oppure
del rapporto Cristo-Chiesa.
Una teologia di altre forme di rapporti sessuali stabili, stimolata

u G. Sotuu. EIN ;,,, HoritOlfl dtJ StilfS, Essen ~ ;,, 194 I.


BIBUOGIL\FIA

;pccialmente dal raffronto con cuhur~ non-cristiane, si dovrà, ~resto


o tardi, fare, in funzione dei compiti missionari su. scala universale;
di essa san TOMMASO nei testi citati sopra ha tracciato un abbozzo."

DOMS

.w Cf. p. 411. m•U 7.

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'Erschautlung des Menschen', 'Eugenetik', 'Feminismus', 'Geschlechtich-
keit', 'Monogamie'. Cf. parimenti circa le asserzioni bibliche i vari commen-
ti e le teologie bibliche come: fuAG, BL e BAUEJt, Bibeltheol. Worter~ucb.
SEZIONE SESTA

L'UOMO NELLA COMUNITÀ

Questioni preliminari

a. L'ambito della teologia sociale

La teologia sociale finora fu «colpevolmente trascurata» (J. HoFFNER).


Il suo sviluppo si fa oggi urgente in vista della crescente socializzazione
di tutti i settori della vita, dell'integrazione tecnica, economica e cultu·
raie dell'intera umanità e dcl contemporaneo sorgere di ideologie so-
ciali, le quali s1uebbero impensabili se il bisogno elementare di una vera
comunità avesse trovato nella dortrina e nella vita una risposta giusta e
soddisfacente in modo esistenzi11ll".
Per il malerialismo dialellico le forze materiali produttive e i rapporti
economici di produzione, dunque la 'base', diedero la forma a tutta la
'sovrastruttura' della vita sociale. Sotto l'influsso di una 'sociologia'
positivistica (A. CoMTE t 1875 ). e di una filosofia sociale. idealistica
(G. W. F. HEGEL t 183r) ed economico-materialista CL. FEUERBACH
t 1872), K. MARX (t 1883) esso afferma il ritorno dell'uomo alla sua pro-
pria esistenza socializzata, non per la pratica della filosofia, ma per mezzo
del lavoro collettivo. Cosl sorge un nuovo essere sociale e da questo
infine una nuova coscienza. La società ideale si costruisce partendo dalla
materia e per mezzo del lavoro; essa non viene fondata muovendo da
Dio, né per il tramite di fattori spirituali.
Analogamente il darwinismo sociale o l'evoluzionismo positivistico (per
es. H. SPENCF.R t 1903) fanno a meno di un Dio personale creatore.
Un'unica evoluzione porta dall'atomo originario alla 'biosfera', al super·
organismo della società umana, la quale, mediante una concentrazione
della 'noosfera' si può svilupp11re in una persona collettiva sopra-indi-
viduale. Se la società viene intesa solo come organismo vitale, non rima-
ne posto alcuno per un rappono personale e immediato della singola
persona con Dio e per un libero intervento di Dio nella storia della
umanità.
Un'assoluti:zzazione della i11tersogget1ività non comporta solo che la per-
sona diventi cosciente di sé stessa innanzi tutto per l'incontro con il tu,
bensl addirittura che es~a esista solo nella relazione interumana. Questa
relazione comprende oltre la corporeità anche il cosmo, si pone come un

l" · Mntt"ri1m1 S11/uns. 11/1


.j.66 1.'1:11!\1fl NEI.I.A COMUNIT·\

valore a~soluto. Per Dio non c'è quindi posto .1kuno, pnichc qdi rl·11-
derebbe relativa la relazione interumana assoluta.
A favore dell'importnnza llcllc relazioni interumanc parla la psirnlogi.1.
Essa mostra come la person11 sia condizionata persino nella sua coscienza
e nel suo comportamento religioso dal rapporto tra genitori-figli; come
lo svolgere una 'parte' sociale orienti decisamente la condotta umana;
come particolarmente le opere umane siano per lo più opere di gruppo,
improntate dallo 'stile di vita' (dinamico) di una comunità.'
Anche nella teologia si possono e si devono prendere seriamente queste
cognizioni. L'assolutizzazione e la divinizzazione della coscienza sociale
in FEUERBACll, riportate dal marxismo sul piano materialistico, rappre-
sentano al contrario un ulteriore sviluppo 'reazionario' dell'idealismo in-
dividualistico, il quale certamente ancor oggi mostra la sua forza, ad es.
nell'esistenzialismo di un SARTRE. Per lui esistere significa essere un indi·
viduo assoluto, anche se mancato. Già l'esistenza dcl prossimo mi rende
oggetto per lui. Cosl la 'comunità' o I' 'umanità' minacciano il singolo.
«L'enfer, c'est Ics autreu. 2

b. Filosofia sociale e teologia sociale


L'individualismo moderno ha esposto gli uomini a un 'isolamento' allar·
mante. L'aspirazione elementare ad una solidarietà, che faccia esplodere:
tutti i confini e le ideologie sociali, costituisce oggi una forma di rea-
zione a quell'isolamento degli individui. La cristianità non ha potuto
iniziare senz'altro questo movimento, poiché perfino in essa, per secoli,
predominò un risucchio verso l'individualismo Jellfl salveu•.
Da un punto di vista teologico, responsabili del fatto che il mistero del-
l'unità e della società non sia stato più compreso in una visione glo.
bale e intuitiva, sono da ritenersi l'analisi aristotelico-razionale, il pen-
siero statico, il metodo della sintesi puramente logica, il giuridismo e
gli in8ussi riformatori.
Questo stesso individualismo era pure colpevole di un certo stato di
debolezza della vita della Oticsa,3 stato dal quale la Otiesa oggi cerca
di risollevarsi, curando entro il suo stesso ambito la coscienza comuni-
taria e rappresentandosi contemporaneamente come 'segno' o 'sacramento'

1 L'uomo con la nascita viene immesso nel 'grembo materno sociale' della fa-
miglia quasi come 'pano prematuro'. Cf. A. PoRTMANN, 'Die Entschcidungcn dcs
m1cn Lcbcnsjahrcs', in Hochlontl 49 (19,2) 11-21.
2 V. RiiFNEa, 'Ocr Pcnonalismus', in Marol :wiscMn Anspr11eh antl V"onl-
wort11ng, Diisscldorf 1964, pp. 407-409, 417.
> H. DE LuBAc. CotholiC"isme. us 1uputs socioux du dot1.me, Paris 1918. PI'
,,6.273.
l}l!ESTIONI PRELIMINhKI

e ..-urne «germe» ddl'unit:'1 'oriak· degli u11m111i.' La Chiesa si ritiene


rivescirn di un.1 mi~>io1w soci:1lt~ Vt"rsn il mondo. La su.1 dottrina sociale
è comprensibile s0lo pancndo dalla 'li" coscienza reli?iosa di missione e
dalla sua concezione dcl ml1ndo; m~• di fronte ad un mondo che non
~1ccetta la rivelazione l'ssa aq:omenta prevalentemente secondo la filo-
sofia ~ociale; 1 l'etica sot'i.1lc <leve definirsi partendo dall'ontologia del
sociale.
Il punto di partenza della filosona sociale negli indirizzi delle scuole
cattoliche è vario. Il cosiddetto personalismo e solidarismo mirano con
preferenza alla persona individuale.6 Questa non può certamente realiz-
zare la sua potenziale pienezza di valore, il suo essere uomo senza l'at-
tualizzazione della sua disposizione al 'vivere insieme' mediante comu-
nicazione e scambio con altre persone. La realizzazione del valore, che
può essere perseguita solo trascendendo socialmente l'io, crea solidarietà
sulla base e nell'ambito della comune umanità. L'amblto valore della
totalità deve stare al servizio non dell'io, ma di ogni singola persona. In
questo senso vien data grande importanza al principio di sussidiarietà,
inteso principalmente come impegno alla tutela del campo di libertà
personale. Con ciò si crea una netta antitesi contro tutte le ideologie
compromettenti la dignità della persona; tuttavia, in vista delle verità
salvifiche, ci si può chiedere se questo sistema non sia concepito in senso
troppo antropologico e individualistico. In <tgni caso il prossimo non
può essere visto solamente come mezzo al perfezionamento di se stessi,
e si deve mostrare che l'aspirazione personale al perfezionamento non
può mai da se stessa pervenire al pieno appagamento, ma che è solo
'direttiva negativa' verso un soddisfacimento trascendentale. 7
Un altro indirizzo della scuola cattolica, che si richiama in special modo
alla tradizione impersonata in TOMMASO o'AQUINO, inizia non dalla per-
sona individuale ma dal valore dcl tutto.• Ciò che è veramente sociale,
il momento fondante unità e ordine è il bene comune, un valore di per-
fezione, al quale partecipano tutte le parti dell'insieme e che assegna alle
parti 'funzioni complementari' in vista del valore totale: ciò che di fronte

• Cos1i1112ione Lumen Gent1Um, nn. 1 e 9.


5 a. la bibliografia alla radice 'Socia!·' in LTK IX (1964), 905-926.
6 G. GUNDLAOf, ·~llKhaft' (11 Wt'unl, in StL 111 (61959) 819-822; [D., 'So-
zialphilosophie', in StL VII ( 6 19'12) B7·346; G. W1LDMANN, Personalismus, Solitu-
rrrm11s unJ Gesellschafl, Wien 1y61.
7 B. HA.111NG, Dar Heilit.t' unJ J,11 Gute, Krailling vor Miinchen 1950 (1r. it.,
Il sacro e il bene. Morcelliana. Brescia).
a E. WELTY. Gemeinsch.,ft und Einzelmenscb, Salzburg 19n; A. P. VERPAALEN,
D" Begri6 der Gemt'inwohles bt'i Thomas 11. A., Heidelberg 1954; A. F. Un,
SaiUdethile 1, Heidelberg 1958; D. v. H1LDEllllAND, Metaphysile d" Gt'meiucbaft,
Regcnsburg 219n.
L'UOMO NELLA COMUNITA

al bene comune viene suscitato come attrazione è amore; l'amore di


molti per un valore comune la cui forza irradiante (bonum diffusivum
sui!) quale virtus unitiva unisce i molti, fonda comunità tra le persone,
una vicendevole presa di contatto, anzi una 'coscienza del noi'.
La persona nella sua individuale natura sociale è portatrice di queste
relazioni sociali, le quali appartengono all'ordine reale, benché siano acci-
dentali. L'insieme non ha un'esistenza specifica, quale ipostasi, al di sopra
delle parti, ma è un'unità d'ordine, d'azione e di fine nei membri. Poiché
esiste un agire comunitario in vista del bene comune, la comunità stessa
è una realtà. L'elevatezza del suo essere corrisponde all'altezza di valore
dcl bene comune rispettivo. Il valore del bene comune richiede necessaria-
mente degli sforzi corrispondenti delle persone, sforzi che sono dunque
'imposti' (in diversi modi l e non lasciati al libero arbitrio.
Supponendo un identico piano di valori, al valore della totalità, in forza
dd suo carattere universale e 'partecipato' dai membri della comunità,
spetta una preminenza sul bene particolare dei singoli. Ci sono di fatto
molti valori più elevati, propri di un'umanità perfetta ed attuabili solo da
parte di una comunità, così che il bene dci singoli dipende fortemente dal
bene comune. Perciò il singolo si sente obbligato in coscienza verso la
comunità, perfino a grandi sacrifici personali.' La dignità della persona
non viene qui trascurata. La comunità è anteposta al singolo solo in
quanto questi è una parte e ha compiti determinati complementari da
effettuare per il bene dell'insieme (e quindi anche per il proprio bene).
Però l'uomo non è mai soltanto una parte del tutto, ad es. dello stato,
secondo tutte le dimensioni del suo essere, e perciò non può mai essere
assorbito 'totalmente' dalla comunità, come se la persona fosse solo
'mezzo' o 'cosa' in confronto al tutto. Non alla comunità, bensl alla
persona spetta il carattere di sostanza. In forza della sua spiritualità
essa è libera, responsabile e aperta verso la trascendenza. Il tutto non
sopprime le parti, poiché il bene comune è «l'insieme di quelle condi-
zioni di vita sociale che consentono alle comunità e ai singoli membri
di raggiungere la propria perfezione pienamente e rapidamentc». 10 Lo
sviluppo dei valori della persona e della comunità è reciproco. «La per-
sona umana infatti è, e deve essere, principio, soggetto e fine di tutte
le istituzioni sociali». 11 Le 'istituzioni' esterne della comunità non sono

9 Cf. la raccolta di tes1i presi da Tommaso d'Aquino, in A. F. Utz, op. cii. So-
no celebri sopra11u1to i seguenti passi: «Bonum commune multorum melius et
divinius est quam bonum uni11s» (S. th. 11-11, q., 31, a. 4, ad 2); IHl, q. 47, a. 10,
ad 2; «Pars ordinati" ad to/l/m ul imper/ec/um ad perfectum• (S. th. IMI, q. 64,
a. 2 c.); «Homo non ordinalur ad communilalem politicdm secu11dum se tolum»
(S. th. 1-11, q. 21, a. 4, ad 31.
10 Costimzione paslorale G1111dium et Spes, n. 26.
11 Ibidem, n. 25.
QUESTIONI Pl.E.LIMlHAll

da equiparare al valore totale personale della comunua, il quale è di


natura più elevata di quanto è puramente istituzionale; questo ha valore
strumentale rispetto a quanto è personale.
C.Osl dunque, la filosofia sociale ora abbozzata mette in rilievo l'ethos
dci valori della comunione (nel principio di solidarietà) e la dignità della
personalità e delle comunità più piccole, più vicine alla persona (nel prin-
cipio di sussidiarietà). Partendo da questo principio vengono determinati
il ruolo dell'autorità in una comunità, come pure i doveri della giustizia
sociale e dell'amore. 12
A seconda dell'indirizzo della scuola può porsi maggiormente in primo
piano o il valore del singolo o il valore personale della comunità. Anche
in teologia sarà necessario porre la domanda se i valori soprannaturali
supremi abbiano carattere individuale oppure siano valori comunitari.
I principi della dottrina sociale devono strutturare la realtà concreta.
Per questo è indispensabile una coscienza più profonda dcl fatto sociale.
Qui la sociologia può rendere un servizio. Essa cerca di elaborare il carat-
tere differenziale delle singole formazioni sociali e corrispondentemente
i diversi rapporti tra uomo e comunità. Per il nostro campo d'indagine
sono importanti sia la sociologia pastorale elaborata empiricamente, la
quale fa vedere, fra l'altro, quanto il comportamento religioso sia condi-
zionato pure da fattori sociali, sia la sociologia religiosa generale, la quale
esamina le strutture delle comunità religiose manifestantisi esternamente
e i loro effetti sulla socictà. 1J
Una Jeologia sociale 14 deve essere più che una sociologia e deve oltre·
passare una 'dottrina sociale cristiana' intesa meramente in senso filo-
sofico. Essa non ha solo una funzione di stimob e di controllo nei con-
fronti di una dottrina sociale filosofica conforme alla legge naturale. L'in-
contro tra la dottrina sociale cattolica e il pensiero del Vangelo viene
reso difficile, quando ccla legge morale naturale• viene presentata troppo
ingenuamente come un insieme, chiuso in se stesso e autosufficiente, di
leggi di un Dio creatore inteso deisricamente. Un tale diritto naturale de-
ve quasi necessariamente venir frainteso come una barriera tra un Dio
(parzialmente destituito) e l'uomo, la quale renderebbe impossibile o
superfluo il dialogo personale della fede, perché nel diritto naturale sa-
rebbe aperta una via naturale di salvezza verso una giustizia senza Cri-
sto. La dottrina sociale conforme alla legge naturale deve venir quindi

12 J. H~FFNF.R, Chrisllichc Gese/lscha/tslehre, Kevdacr l1964, pp. 40-70.


u E. K. FRANCIS, 'Soziolugie', in StL vu (•1962) 41,.4,6 (bibl.); O. Saw!uoEJt,
'Rcligionssoziologic, in StL VI ( 61961) 830-837; G. LE Bus. Etudes de sociologie
rcligieust, 2 voli., Paris 19,,-19,6; B. Hio:111NG, Macbl und Obmachl der Religion.
Salzburg 19,6.
14 A. GF.CK, 'Soiifthhcologie', in l,TK IX (1964) 925-926.
470 L'UOMO NF.1.1.A COMUNITÀ

111scrita nella teologia, dovendosi spiegare il rapporto natura-grazia non


secondo un modello a due piani, bensl in senso storico-salvifico.

1. Comunità nell'ordine della creazione

n. L'unità della crea;o:ione

Una teologia dell'unità e Jella comunione dell'uomo implica una


consapevolezza circa una comunione /rasce11dentale con Dio, la
quale prima di tutto asserisce almeno l'interesse dell'uomo per le
questione Jel mistero dell'essere che è sopra di noi, in noi e con noi.
Nell'evento religioso della rivelazione la persona supera quindi la
!>Ua soggettività e incontra il Santo. Nella comunicazione personale
della fede essa esperimenta infine la profondità della propria per·
sona, poiché essa nella sua unicità è chiamata ad una libera deci-
sione. Questo conoscere comunicativo si manifesta come un sapere,
che non è sapere tirannico, egoisticamente interessato, rispetto a
un oggetto posto di fronte da apprendere come bene utile, ma è
conoscenza amorosa e sostanziale, che accetta e ama il socio in sé
nel suo valore di persona (non solo nel suo valore 'per me'). Cer-
tamente solamente Dio può abilitare e chiamare al dialogo il socio
umano tanto dissimile.
Questo dialogo conduce alla fede in Dio, il Creatore, partendo
dal quale si comprende l'esistenza e la coesistenza. Cosl l'uomo
impara a capire l'ordine della creazione in un senso che non è
«secondo le scienze naturali». Israele ha trovato la via alla fede in
Dio creatore riflettendo sulla storia della sua elezione.a5
La 'fede' è preceduta da una comprensione in ricerca e presen-
timento del mistero della comunione tra Dio e uomo, sulla base della
analogia nell'essere e nella conoscenza dell'essere, che esiste tra di
essi. Questa possibilità 'naturale' di conoscenza, posta de Dio nel-
l'uomo, diventa, mediante la rivelazione, partecipazione all'amorosa
conoscenza che Dio ha 'per natura' circa la sua creazione.

1• G. v. RAD, Thenl Jn AT I, Miinchen 4 1962. pp. 149·153: A. HAMMAN, 'Der


christlich" Glauht- an J.,n Gott Jcr Schopfung', in ThGI 55 ( 1965) 452-4,9; P
DF. llAFS, nit' Schopfung .,/s Ht'il11nysrerium, Mainz 1964; A. HuLSBOSCH, Dìe
!!Jchopfung Gorw. Wicn 1965.
COMUNllJ'À NELL'ORDINE DELLA CREAZIONE 471

Nel quinto volume verrà sviluppata la teologia della comunità


umana nell'ordine della redenzione. Qui invece si tratta prevalente-
mente della comunità umana come realtà della creazione. Un ogget-
to non meramente filosofico, bensl teologico, qualora si prenda
seriamente il primo articolo della fede (Io credo in Dio ... creatore)!
La storia della salvezza non può qui essere persa di vista, poiché
solamente in essa poteva svegliarsi la 'fede' nel creatore; ma non
anticipiamo i problemi che affronteremo più avanti.
La riflessiQne su unità e comunità nella creazione non deve par-
tire dalla persona intesa come una sostanza non storica, per ag-
giungere poi le relazioni con altri e infine con Dio. 10 In antitesi
con ciò, i padri, specialmente AGOSTINO e TOMMASO, per spie-
gare la creazione sostengono un esemplarismo teologico: tutto ha
0rigine da Dio, immagine primaria, e tramite il L6gos e i>er mezzo
del Cristo tutto tende al disegno finale, all'unità e comunione con
Dio. Le opere del creatore furono trovate tutte «assai buone»,
poiché esse, secondo la decisione libera e amorosa di Dio, presen-
tano la sua propria magnificenza come in una riproduzione. La
multiforme ricchC7.28 del Dio uno si manifesta nel cosmo unico,
universale e vario, nel quale l'uomo costituisce l'elemento centrale
di connessione tra il macro- e il micro·cosmo.
Ogni realtà extradivina, come anche ogni valore temporale di
comunione, era situato prima dei tempi in Dio stesso. 17 Ciò che Dio
vede in sé come qualcosa di imitabile per creazione (idea), viene
creato per mezzo della sua Parola, cosicché in ogni realtà creata,
pur con tutta la dissimilitudo, si trova tuttavia una similitudo con
Dio, un Logos della creazione. Questi segni del Creatore e questa
sacramentalità della natura rimandano dal creato al creatore.
Origine e prototipo del creato, diversamente che nel platonismo,
non è un essere divino neutrale, ma il Padre del nostro Signore
Gesù Cristo, il Dio dell'amore. Soltanto l'azione storico-salvifica del
Dio trino consente di concludere alla natura immanente della Tri·

16 A. HALDU/H. Vm1GR1MLEI, 'lch·Du·Bezichuni'. in l.TK v ( 196<>) ,9,.,98;


A. DAll.AP, 'Kommunika1iun', l.J"K VI ( 1961) 409 ).
17 G. VAC.AC.CINI, li unw teoln1,ico del/" /11ur1,111, Roma l19,9, pp. J]·J9.
472 L'UOMO NEI.I.A <:OMUNI1'À

nità: il Dio uno è persona in quanto unità assoluta, quale origine


della comunione (il Padre);. egli è persona in quanto essere com-
partecipato, quale espressione generata, quale potenziale molteplicità
delle idee e con ciò quale 'luogo' della creazione potenziale e della
au tocomunicazione di Dio alla realtà extra-divina {il Figlio); egli è
persona in quanto rapporto d'amore con l'essere comunicato, quale
forza d'amore che unisce ciò che è relativamente distinto in Dio e
potenzialmente molteplice al di fuori di Dio portando alla ·comu-
nione {Spirito santo). 11
Unità e comunità della natura nella contrapposizione delle per-
sone, questo mistero della Trinità è il prototipo di ogni unità e
comunità creata e umana. La persona divina possiede la sua pie-
nezza d'essere quale valore di comunione nel modo della parteci-
pazione; perciò l'idea archetipa della creazione (innanzitutto come
lex aeterna in Dio) è anche la legge imiversale della comunità. 19
Il bene, che in Dio è uno e semplice (pure nella trini~à delle
persone), appare molteplice nelle creature, ma ordinato tuttavia
verso un k6smos; per lo meno il tutto nel suo essere ordinato è,
secondo l'idea archetipa di Dio, 'ciò che doveva essere dapprincipio'.
Quando però l'essere creato non si lascia inserire come parte
nell'ordine totale non corrisponde all'idea archetipa di Dio e non è
bene. Il valore della creatura si misura secondo il suo grado di
valore nell'ordine dell'universo e nella sua immagine divina.
Perciò l'universale (che per mezzo della partecipazione nel singolo
deve venir realizzato storicamente) è più in alto quanto a valore
e più vicino a Dio che non il particolare e il tutto ha una premi-
nenza sulla parte. 20
Tuttavia Dio crea la singola realtà come parte del tutto, e non le
è presente solo attraverso intermediari (come in una struttura gra·
duata del mondo alla maniera di PLOTINO), ma immediatamente.

li H. U. v. BAl.Tl!ASAR, 'Das Ganze im Fragment', Einsieddn 1963, p. 11\; J.


FELDERER, 'Dreifahi11keit' (V, 4), in LTI< 111 ( 1959) 557·
19 F. PILGRAM, Ph}•siologie der Kirche, Mainz 186o), p. 32; A. At.'F.R, Wrlto;.
/uier Christ, Dusscldorf 21962, p. 87.
20 Cf. a proposito di questa visione 11lobale (tomistica): E. WELn, Ge1'1t'in-
scha/1 u11<J Einzelmensch, Salzburg 193,, pp. 141·169; L. BuG, Soxialethik, Miin·
chen 1959, pp. 170-175; F. P1LGRAM, op. cii., p. 19"20.
COMUNl'l'À. NBLL'OllDINll ORI.LA CRl!AZIONF.
473

Le particolarità esistono come partecipazione del tutto, e la neces-


sità della comunicazione con il tutto è iscritta nella loro natura. Per
questo in tutte le creature si trova un'irrequieta ricerca della loro
piene1.za totale di valore, una tendenza ad una realizzazione attuale
dell'unità di Dio come un desiderium naturale verso il bene totale
archetipo, al quale esse partecipano.
Questa 4isposizione dinamica è fondata non nell'essere singolo
come tale, ma riposa sulla virtus unitiva del bene comune il cui
ordine è anteriore a tutte le parti. Così tutto l'universo è ordinato a
Dio come a suo massimo bene comune, poiché l'universo partecipa
della bontà di Dio.
La 'legge universale della comunione', presente prima di tutto
come lex aeterna in Dio, fonda nella sua comunicazione alla crea-
tura la legge altrettanto universale dell'amore, la tendenza esisten-
ziale all'essere perfetto, finalizzato e mai realizzabile isolatamente,
la quale, in quanto determinazione della natura, ordina il molteplice
o le parti al tutto e da ultimo a Dio, ed è lo stesso principio dell'or-
dine tra le parti. L'armonia nell'operare suppone già un'unità e una
comunità. Ordine e comunicazione vengono attratte fuori dal par-
ticolare per opera del valore del tutto, e quèsto non viene costruito
arbitrariamente dal basso. Un'esistenza delle pani per se stessa, iso-
lata, è senza valore. Solamente l'attuazione del molteplice nell'unità
manifesta la perfezione divina.
Questa visione complessiva della creazione 21 e del suo ordine
deriva dall'unità e dalla comunità di persone in Dio e sfocia nella
visione dell'amore quale dinamica fondamentale, propria a tutto il
creato, tendente verso il bene comune generale.
Ma non stiamo mescolando forse l'ordine della creazione con
quello della redenzione? Ci si dovrebbe piuttosto chiedere se pro-
prio nella creazione non sia da cercare un tipo di quella caritas che
si manifesta nell'ordine della redenzione. Una teologia non statica,
orientata anzi in senso storico-salvifico, accetta oggi il pensiero di

21 a. sopra note 8 e 9· lnolcre A. F. UTZ, 'Theologie und Sozialwissenschaften',


in FThh 4'3 s; G. TmLs. Teologia delle realtà terrene, Alba 2 1968, pp. 113-119;
L BERG, Vom theol. GrunJ der Sovalethik: Der Mensch unter Gottes Anruf und
Ordmm11.. Dlisscldorf 1958, pp. 6S-S8.
L'UOMO NELLA COMUNITÀ
474
fondo di quell'indirizzo scolastico medievale che comprende la pa-
rola della creazione come un'anticiparione della parola dell'incarna-
zione. La creatura è pensata da Dio anticipatamente e in modo irri-
nunciabile come destinataria della autocomunicazione di Dio in Cri-
sto, come corpo potenziale dell'ordine della redenzione.zz
Sia che si parta dal concetto della creatio continua (cioè dal con-
cetto della continuazione della creazione nella conservazione del
mondo e nella provvidenza) sia che s'intenda la conservazione del
mondo come movimento divino d'opposizione alla potenza distrut-
trice del peccato, in ogni caso anche l'ulteriore esistenza storica del
mondo in unità e molteplicità è un'opera dell'amore di Dio. Dio,
inteso come causa prima, e le cause seconde create sono un atto del·
l'unico amore, che tende a un valore superiore. Al movimento discen·
dente dall'idea archetipa divina verso la creatura corrisponde un
moto ascendente impresso nella creazione, il quale va dal singolo
materiale verso la spiritualità sovra-spaziale e verso l'unione di
tutto il mondo con l'Assoluto (pur non raggiungendo tale dinamica,
da se stessa, questa meta).
Dove questo movimento d'amore finalizzato, (non ciclico nell'an-
tico senso), viene attuato storicamente, là esso si compie già in pre-
parazione del mistero di Cristo, in preparazione di quella profondis-
sima comunicazione e partecipazione. dell'amore tra Creatore e crea-
tura. Portatrice attiva di questo movimento è però prima di tutto la
persona protagonista della storia.n C.OSl sussiste una certa continuità
tra un tipo anticipato dell'amore sul piano della creazione e la sua
pienezza nella grazia, pienezza che si palesa incominciata già prece·
dentemente.

u K. !lAHNF.•. 'fr1111en der Kon1rover11hcologie iibcr die RechfeMigung', in


!uhri/U>1 1v, pp J6J s.; h1. 'N11ur und Gnade', in Sc:hrifltn IV, pp. J07, JJ6; ID.,
'$chopfun11slehre', in LTK ix (1964) 470-474; J. RATZINGEll, 'Sdxipfung', in LTK
IX ( 1964) 46o-466. . . • .
u C. WEtU. IJit >11/urlu·h,.,, Ord>11111gt11 in ihrtr JchOp/1111gJmiirrigt11 1111d htilsit·
schicht/1chm 8t'Jr1111111g, in O. lst::U.AND' (~.). Dit K1rc:ht Christi, Einsi~dn s.d.,
p. l}6; J. RATllNGU. Km·ht W11hrheit 1111d Zt11g11is, Diisseldorf 196,., pp. ,.6,..
466.
COMllNITÀ NEl.l.'llMlllNli UH.I.A CRf.AZIONI::

b. L'umanità come c•,munità

Dio realiZ7.a il suo piano di salvezza - incominciando con la crea-


zione - in una sequenza di avvenimenti storici. In questo evento
complessivo ogni realtà svolgl' una sua parte nel tulio. Dio in que-
sra economia salvifica ha riservato anche all'umanirà una precisa
parte. L'umanità una. la quale comprende tutti i singoli individui
storici, sra da\'anti a Dio come un unico proragonista, come una
persona.14

aa. La comunità immagine di Dio. Dio, creando l'uomo come sua


immagine, ha voluto dare all'intera creazione un capo, un signore e
un rappresentante di Dio. La somiglianza divina dell'uomo è attuata
in modo uguale in ogni singolo. «Il seme della parola divina è immesso
in tutto il genere umano• (GIUSTINO); dalla prima creazione in poi
il genere umano è perciò un'unità corporativa, una natura-umana,
anche se ciò risulta pienamente chiaro solamente considerando la
unità dell'agire storico-salvi.fico di Dio con l'umanità e soprattutto
partendo dal 'figlio dell'uomo' Cristo.:e In questa luce è significativo
che in Gen. J ,26 s. la creazione di Adamo intenda genericamente
l'umanità; che i padri preferiscano parlare della creazione di tutta
l'umanità e non solo degli individui e che anche nel mito dell'uomo
primitivo bisessuale venga affermata l'unità della natura.lfl
L'individuo, cioè, non potrà mai rappresentare tutta la ricchezza
dell'idea divina circa l'uomo. Perciò Adamo riconosce di aver biso-
gno di una aiutante. Essi ricevettero la benedizione della fecondità.
Il valore comunitario dell'uomo deve manifestarsi chiaramente in

N Per le destinazione dell'uomo. 10rprendcn1cmcn1e profana, al dominio sulla


creazione quale mandatario di Dio cl. G. v. RAD, Thtologi<' dts AT l, Miinchen
41962, p. 16o, nota 19; E. G11.soN, Drr hl. Augustinus, Hdlcrau 19)0, p. 314.
25 }USTIN\.15, 11 Apol, cap. 8, n. 1. H. DE I.u1Ac, C11tholil'ismt us 111pec1J
ioci11ux Ju doimt, Paris 19}7, p. ;116; G. voN RAD, 'Eilton', in 'l"WNT 11, }90;
M. J. ScHEEIEN, H11nJbuch J~r k111h Dogm1111k. Frcibur11 1878, v, 1, pp. 77.79;
11, pp. 1~,.p96. L'espressione 'figlio dell'uomo' rinvia a una certa preesistenza dcl·
l'um1nità nel dcctc10 di· Dio. Cf. Y. CoNGAll, 'Le Chri11 d1n1 l'«onomic 11lu1airc
et d1n1 nos 1rai1é-s dogmatiques', in Concilium 2 (1966) 10.
a H. DE LU11Ac, op. cii., pp. 3-9; H. Era1., AM1111linus, Ohcn 1;>,1. p. 16o;
J. Sct11LDENIEIG, 'Adam'. in LTK 1 (19,7) u,·qo; L. Bue, So::i.1/etik, Miinchcn
l<),9, pp. 177·1R1; ll9·nll.
L'UOMO NELLA COMUNITA

una molteplice specificazione. Cia~uno è un'attuazione dell'unica


umanità; tutti sono quindi consanguinei e 'consustanziali', impegnati
vicendevolmente in solido nell'unica famiglia dell'umanità. Questa
è un'analogia della comunità di vita tripersonale in Dio.
Così la socialità dell'uomo non è solo una conseguenza della
sua povertà, del suo bisogno d'aiuto spirituale e fisico, ma è mol·
to più un'espressione creata della pienezza dell'essere trinitario,
riprodotta dalla socialità umana. Anche il Bonum humanum 9Ì
attua pienamente solo nell'umanità complessiva. La solidarietà de-
gli uomini è perciò dono, prima che dovere. Essa è data ante-
riormente come un talento, e solo secondariamente è frutto dell'im-
pegno umano.
Il racconto del paradiso terrestre parla dell'amicizia dell'uomo
con Dio e insieme di un'armonia con tutto il cosmo, al cui centro
sta l'uomo. Solidale con il cosmo, egli, posto al vertice di esso, ha
un ruolo di mediatore nei confronti di Dio. Per questo l'umanità
non trova il suo pieno perfezionamento senza il cosmo.17 Più ur-
gente dell'unità cosmica è però la fraternità della famiglia umana.
In essa si deve rispecchiare che Dio non è solo realtà unica, bensì
anche comunità di vita tripersonale nella reciprocità dell'amore. In
questo modo è posta in eviden:za la persona.

bb. La persona sociale immagine di Dio. L'umanità, che nella


sua totalità è un'immagine di Dio, trova il suo centro nella persona
individuale. Come l'umanità non è per nulla un'emanazione da Dio,
così nemmeno la persona è un'emanazione dell'umanità. Essa non è
solo numericamente una parte propria nel tutto (come il granello di
sabbia nel mucchio), ma è una pars praecipua del tutto. Pars 'pro'
toto.' La persona è capace di rappresentare il tutto dal momento che
essa ha il proprio essere da Dio stesso, unico archetipo del tutto.
Essa non è tuttavia immagine di Dio nell'isolamento, bensì nella
sua duplice sessualità e, più generalmente, nella sua natura sociale,

ll V. A OF.ll.IANT, Throlo11.y n_I Snciety, London 1947· pp. n-18; A. P. VEll·


rutEN, Der Begri8 der Gemeinu•oblr, Heidelberg 1954. pp. 58-6o; A. AuER,
Welto#ener Cbmt, Dùsseldorf 21962, pp. 88-93.
COMUNITÀ NJ::LL'oaDINJ:: DJ::LLA CREAZIONE
477

nell'orientamento al tu, nella determinazione al 'noi'. Nella per-


sona dunque viene realizzata la pienezza del tutto (in modo crea-
turalmente limitato) per mezzo della partecipazione.
La mentalità antitetica occidentale, del rapporto (relativamente,
della preminenza) tra l'individuo e la comunità (che ideologica-
mente tende spesso all'eliminazione di un polo), non corrisponde
alle categorie bibliche 21 della rappresentanza e della 'personalità
corporativa'. Di essa si è potuto dire: «talvolta la comunità si con-
densa in un unico rappresentante, talvolta la comunità rappresenta
l'espansione di un unico membro».!'!
In considerazione di questa presentazione ebraica della persona-
lità corporativa, la Bibbia è forse da 'desociologizzare'? A tale te·
si si oppone innanzitutto, in quanto l'ordine della creazione è unll
anticipazione storica dell'ordine della redenzione, il fatto ddla
alleanza, che Dio nel corso della storia stringe sempre più stretta-
mente con il suo popolo. La comunità dell'alleanza è non solo unll
tipica presentazione semitica, ma una realtà; anzi, la sequenza gra-
duale dei momenti dell'alleanza marca essenzialmente il progredire
della storia salvifica, l'alleanza viene festeggiata nel culto ed è vis-
suta (moralmente) nell'ambito sociale; senza questa comunione si
rimane esclusi dalla corrente della vita emanante da Dio.311
La rivelazione rende continuamente più chiaro il fatto ~ne la
appartenenza all'alleanza è da attribuire non solo ai vincoli del san-
gue, ma al volere, all'elezione e alla chiamata divina. Essa viene
comunicata al popolo per meuo di singole persone, e la peculia-
rità della rivelazione del Dio dell'alleanza risveglia irresistibilmente
il presentimento della individualità del rapporto con Dio.
Di fronte ad ogni pericolo, spiegabile forse sociologicamente, di
una 'ideologia comunitaria', soprattutto i profeti rinviano all'im·

21 P. HoNIGSHEIM, 'C".cmcinsc:haft und lndividuum' ( r ), in RGG 11. Tuhinici:n


1 1958, p. I H<l.
!9 I DF. FRAtNF., Adam t:I son lit.nt1f.t:. Bruicc:s 19j9, p. 216.
lO G. v RAo. '/'h,·nln11.1•· J,._, A.T. I, Miinchen •19<>2. l'I'· 14J-l.f9, )82·19\;
W. EicuaooT, Theol. J"s A'f 1, Bcrlin •19,0, pp. 2o8·2.f.f. Eichrodt riconosce che,
st:condo la Bibbia, esiste un~ continuità dalla creazione dcl cosmo fino alla reden-
zione d'Israele, la 4ualc inclu<k (nel pano di D:l\'i<k) ;1nchc il compimento messia·
nico. /biti, 111, lkrlin l1•no. pp. 2 s.: Le disposizioni \'itali fundamenrali della
comunità, una volta poste, wmprcmkino l'cthi~~ dt'l(li individui.
l. 0
\ 'OMO :-:i:t.J,,\ LOMl!Nl'l'A

mediatezza dci rappurti rc-rsonali con Dio:H Ognuno ha la sua rcspon-


sabilit:ì davanti a Dio, l.· chiamato da Dio per nome, come persona li-
bera. Ci~>. al di sopra di ogni logica razionale, l: da collegare con la na-
tura sociale dell'uomo e con la libertà di Dio, il quale dalla pienezza
della sua vita tripersonale crea liberamente l'immagine. Poiché Dio
chiama all'esistenza e all'alleanza tramite la sua parola creatrice e
per amore, egli crea l'uomo come suo socio libero, anche se con
lui impegnato per un atto consapevole d' 'amore' e non di 'dominio'.
Questa reciprocità della parola e dell'amore, cosl come si mani·
festa in modo speciale nell'alleanza, crea una comunità personale.
Principalmente la parola e la forza d'amore consentono la comuni-
cazione con il prossimo, il quale è pure un'attuazione dell'unica
idea di Dio circa l'uomo: ex una igitur eademque caritate Deum
proximumque diligimus ,32 e la vera parola umana non è mai senza
relazione al LOgos. 33 Ma la comunicazione nella parola e nell'amore
ha il suo posto nel centro della persona, nella sua coscienza. La
persona vive con il proprio essere interiore appunto nel suo ruo-
lo di mediatrice e nella sua responsabilità, animata dall'amore, tra
Dio, l'uomo e il cosmo, anzi la persona sorge nell'incontro con il
tu (ad esempio nella famiglia), al quale, sotto questo punto di vista,
spetta una preminenza sull 'io. 34
Nessuna esperienza oppressiva di dominio deve d'altra parte in-
contrare il prossimo, egli deve divenire libera personalità ed evol-
versi essendo egli accolto e fatto partecipe di uno scambio di va-
lori materiali, culturali e infine spirituali. Dal singolo è dunque ri-
chiesta l'apertura nei confronti del prossimo, il rispetto del suo
ambito di libertà, una proesistenza, che supera la mera coesistenza,
come disponibilità alla comunicazione della propria pienezza di va-
lori, dell'amor benevolentiae et amicitiae. Ciò conduce alla forma-
zione della comunità (nel gioco, nel lavoro, nell'arte, nella scienza,

11 W. E1c11RODT, Theol. dt•s AT 111, Bc:rlin 11950; V. IIAMP, 'Bund', in L'J'K 11


1958 770-774.
lZ AGOSTINO, Dt• Trù1it. RS,12, PL 42,959.
33 Cf. B. HXRING, D1u Geset:. Christi 111, Frciburg 61961, pp. '20-,26 (tr. it.,
La legge di Cristo, Morcelliana, Brescia).
34 A. VETTER. 'Die Pc:rsonaliiiit dc:s Mcnschcn', in Ha11db11ch der So:.ialer:.iehung
1. Freiburg i.Br. 1963, p. 16.
COMUNl'J'A 'llEJ.l.'UKlllNI llH I.A l:IU.:A/lllNJ 479

nell'amicizia e nella fi:dc), L' quc~to non signiiica un rl'stringimento


della persona, lwnsì una garanzia e un poten:.:iamcnio ddl:i sua
libertà. L'io pul1 svilupparsi secondo la sua l'.'ssenza solo nella
comunità.~~
«Paucis humanum vlvit genus»! Forti personalità con la loro
maggiore ricchezza di valori possono partecipare in modo decisivo
all'arricchimento e al progresso di una comunità. Ciò fa pensare
al concetto biblico della 'personalità corporativa' (e ha il suo riscon-
tro in alcuni di singolare potere di distruzione, fino all'Anticri-
sto). Tuttavia anche il gesto più modesto d'amore viene inserito
nell'umanità presa come tòtalità. Un simile amore è partecipazione
alla parola di Dio che è creativa nell'amore. Essa attua l'inserimento
dei singoli nella determinazione globale dell'umanità perché siano
la manifestazione creata della comunità di vita tripersonale esistente
in Dio.
La natura sociale dunque non scaturisce, in ultima analisi, da un
'impulso' meramente umano 'alla partecipazione', proprio della per-
sona, ma - come la personalità - dalla parola creatrice e dal-
!'amore di Dio. La persona ha coscienza di essere una stazione di
collegamento. Essa nella comunicazione della lingua e dell'amore tra·
smette attivamente ad altre persone valori che solo tramite questa
partecipazione diventano loro, e li moltiplica nello stesso tempo.
Perciò non si può costituire alcun conflitto di fondo tra valori pro-
pri della personalità e valori propri della comunità. Chi vuol salvare
i primi, non ha da paventare di fronte agli altri.
La crescente interdipendenza tra uomini (socializzazione) non ha
perciò necessariamente come conseguenza la 'massificazione', nemica
della persona, come amano insinuare alcuni elementi emarginati o
intellettuali isolati.
La crescente complessità della vita sociale, qualora in essa non
manchi l'amore alla persona, può condurre anche ad un amplia-

J5 J. RATZINGER, Rappresentanza/sostituzione, in D:::T l (21969). PP· 4 2 -n; R.


GuARDtM, 'Lebendige Freihcit'. in Leb~ndig~r G~ist, Ziirich 19.so. PP· 1.s-n; H.
DE LUBAC, Catholicisme. Les aspects soci1111x d11 doim~. Paris 193;, PP· 179 s. L'io
esperimenta anche la sua libertà quando giunge alla coscicnz11 di sé. Tunavia nel-
! 'intimo della persona esso incontrerà il bene comune sommo. cioè Dio
L1UOMO NELl.A COMUNITÀ

mento dell'ambito della libertà dei singoli. Forse che anche nella
natura le parti di un tutto non son~> sviluppate tanto più differen-
ziatamente e sicuramente, quanto più unita e integrata è la strut-
tura del_ tutto? 36 _

Soprattutto però in Dto si congiungono il più ampio sviluppo del-


la personalità e la più intima unità e comunione. In lui non esiste
alcun isolamento, alcun egoismo, ma un perfetto scambio. Così an-
che la sua immagine non deve vivere isolatamente.
Se il micro- e il macrocosmo creati tendono concentricamente e
centripetamente verso la loro sommità, verso il low rappresentante
e mediatore, verso l'uomo libero, allora vita e sviluppo di questa
persona hanno significato solo nell'apertura, nell'impegno in favore
degli altri, nella comunicazione traboccante in modo centrifugo, della
'parola' e dell' 'amore', nel suo ruolo intermediario tra Dio, gli altri
e il cosmo.
Se la persona si sacrifica nell'amore per la comunità, allora non
va perduto nessun valore personale. Se, viceversa, la comunità po-
ne premesse favorevoli per lo sviluppo della persona individuale,
allora essa cura il proprio bene comune. La legge della 'solidarietà'
include la legge della 'sussidiarietà' che esige l'ambito della libertà.
Il bene comune non richiede mai la distruzione dei valori della
persona; l'impegno e l'offerta individuale nell'amore per altri mem-
bri della comunità possono però costituire, (come solo la rivelazione
renderà del tutto chiaro), un compimento ottimale per la persona. 17
Il dedicarsi liberamente al bene comune crea comunità e aumenta
il valore della persona. Premessa a ciò è prima di tutto la spirilua-
lità della persona, che rende possibile il superamento della indi-
vidualità spazio-temporale, e che anzi, in quanto 'apertura', si con-
trappone all'autosufficienza. La sua causa finale è l'inserimento ordi-
nato nel tutto quando la persona ha scoperto il proprio signifi-

"' S«ondo Tcilhar<I tic: Cliardin la concentrazione sempre più spinta di clcmemi
sempre più complessi pon~ ad ul\ll unità di vita sempre più sorprendente Quini<>
più Jilfcrcnzialc le pari.i. lanto mauiorc l'unitiì. Cf. O. A. R~BUT, Grsp.riicbl ,,,;,
fr 1/h<1rd 1/r Ch<1rJ111 (hc1hurg i.Br. 1961 I 2~ s. -43·79 s., (1r. 11., Morcelhana, Bre-
scia I; G. SALZMANN, 'D1e •Personalisicrung~ hci TcilharJ dc Cliardin', in Alb.
,\l,irr. Bloilltr 10 (196\) ;07·ì21; H. DF. l.UBA<., op. cii. pp. 289-311.
l7 I'. K1ù1t.a. Gr1111Jlu11.c·11 J.-r btb Grn·llschll/tslclJrc, Osnabruck 11)6<>, pp. 1,0 s.
COMUNITÀ NELL'ORDINE DELLl\ CREAZIONB

cato. 38 La condotta nella comunità è affidata alla coscienza guidata


dalla ragione.
Cosl si potrebbe affermare che lo stato è affidato alla ragione
dell'uomo, che ne ha ricevuto mandato da Dio. 39
Con la capacità dell'intelligenza, della ragione e dell'amore, l'uo-
mo ha da ritrovare il naturale ordinamento delle parti nel tutto, ha,
per es., da trovare una 'razionale' ripartizione delle funzioni e del
lavoro per il bene del tutto.
Ma questa spiritualità non può sussistere e non può svilupparsi
all'infuori di uno scambio razionale di valori spirituali all'interno
di una comunità personale.
Mentre il carattere della spiritualità ad immagine di Dio, è un
noto topos, bisogna invece sottolineare il fatto che questo essere a ,
somiglianza ed immagine di Dio include anche la corporeità dell'uo-
mo. «Così l'anima è uno spirito che diviene cosciente di se stesso
strutturando il suo corpo in intimo rapporto col mondo,.. 40 La spi-
ritualità ha bisogno del medium della corporeità. Il mezzo di comu-
nicazione più significativo di valori spirituali-personali è il linguag-
gio, che è legato al corpo. Materialmente gli uomini sono dipen-
denti tra di loro.
Soprattutto la duplice sessualità della persona, simultaneamente
personale e sociale, ne manifesta il condizionamento corporale ddla
somiglianza all'immagine divina. La corporeità è simultaneamente un
fattore della costituzione del singolo e della sua individualizzazione.
L'uomo in quanto essere di natura spirituale e materiale vive in
un campo di tensione tra la possibilità di continuo sviluppo dello
spirito e il suo legame e limite spazio-temporale nella corporeità.
La concreta comunicazione tramite il medium della corporeità si può
attuare immediatamente e vitalmente solo in un ambito limitato,
dapprima quindi non nella totalità dell'umanità e nel cosmo, ma
nell'ambito di più piccole comunità. Solo le relazioni di scambio e

li G. SALZMANN, op. cii., pp. 715.


l9 Il. THIP.l.IC:KF., Theol. Etbile n/2, Tiibingen 1968, pp. 24 s.
• J. Mouaoux, Sens cbrétien de l'homme, Paris 1945, p. 47; G. YON RAD, T/x>o/.
des AT 1, Miinchen 41962, pp. 158s.; M. RF.llING, Der Au/b1111 der cbristl. Exmen:.
Miinchen 1962, pp. n-59; H. THIELICU, Tbeol. Ethilt •• Tiibingen 219,8,
pp. }28 s.
L'UOMO NBLLA COMUNITÀ

i rapporti tra singoli gruppi formano poi la totalità esistente con-


cretamente.
Una solidarietà che valesse solo per il tutto e che non conside-
rasse le concrete relazioni sociali tra le persone viventi, quali pos-
sono formarsi tramite il medi11m della corporeità, sarebbe un vuoto
pathos, fantasticherie sentimentali senza fondamento e senza efficacia
concreta. Le possibilità concrete di solidarietà esistenziale sono certa-
mente condizionate dalla storia: date le meravigliose possibilità di
comunicazione del. nostro tempo, l'esperienza di1.ciascuno e il suo
libero agire possono oggi trasmettersi fino agli antiP9di.

cc. Storicità. Il concetto della creatiò continua, che ci fa com-


'
prendere la creazione trami.te la parola .come punto di partenza di
una storia, ma ancor più la storia vera e' propria della salvezza ci
41

mostrano che l't.manità, e: in essa le singole persone, si trovano in


un'evoluzione storica,. in .un contesto storico spazio-temporale e fi·
naliuato. I~ quanto la st~ria accade nel presente, è la persona che
aaisc~ in essa e la porta avanti; ma in quanto la storicità dell'uo-
- ...
mo significa rapporto con l'inizio e la fine di un tempo, essa si deve
necessariamente oggettivare in modo sovra-individuale, soprattutto
nelrintercomunicazione di società umane, le quali rendono possi-
bile una continuità storica oltre le generazioni. 42 Senza il medi11m
della società l'uomo non sta nella corrente dell'evoluzione storica.
Dal momento che la salvezza di Dio diventa presente in modo
progressivo, essa deve venir comunicata al singolo tramite la comu-
nità, che annuncia la fede e rende possibile la risposta di fede.
Anche religioni non cristiane mostrano che un avvenimento sto-
rico di rivelazione è fondatore di comunità. E viceversa: poiché «la
nostra salvezza nel suo più intimo essere è di natura sociale, per
questo tutta la storia diventa insostituibile comunicazione tra Dio

41 W. Etc11RODT, Theol. des AT 11, Berlin 319w, pp. 48·H·


42 Cf. Voi. 1 pp. n.77-80; C. WEIER, 'Die na1iirlichen Ordnungen' ccc., in O.
hERl.AND (ed.), Die Kirche Christi, Einsiedeln, I" 192; M. SP.CKL"R, Das Ilei/ in der
Geschichte, Miinchcn r964.
COMUNITÀ NELL'ORDINE DELLA CREAZIONE

e ciascuno di noi». 43 Dio attua la salvezza non nella soggettività iso-


lata, ma· nella oggettività storica e sociale.
Ciò non avviene solo nell'intervento, attestato dalla rivelazione,
che Dio opera nella storia salvifica particolare, ma è Dio che governa
già entro la storia generale della salvezza ogni avvenimento; questo
fatto viene indicato con i concetti di creatio continua, conserva-
zione del mondo e provvidenza. 04 Ciò conferisce alla storia della
creazione una dimensione in profondità che la eleva di molto al di
sopra di un processo meramente storico naturale.
Da ultimo si tratta di un avvenimento interpersonale tra Dio e
l'umanità, avvenimento che assume il carattere di un ordine di vita
eternamente valido. 45 Questo rapporto vitale ordinato è certamente
di natura dinamica, poiché l'umanità deve essere condotta verso il
suo destino in modo storico-finalizzato.
La 'forza unitiva' del valore sommo e universale infonde ad ogni
essere, formatosi tramite partecipazione creata e analoga alla pie-
nezza d'essere di Dio, una 'irrequietezza', una naturale tendenza onto·
logica verso il valore globale della creazione e verso il suo archetipo.
Nella comunità umana questo desiderium naturale raggiunge il
grado della coscienza e della libertà, un'apertura spirituale quindi.
La tendenza a rappresentare dinamicamente l'unità e la ricchezza di
Dio, tendenza che è pur presente tacitamente nella creatura inani-
mata, può essere realizzata dall'uomo liberamente. Egli l'attua pri-
ma di tutto quando è tutt'uno con se stesso, quando non sviluppa
- in contrasto con l'indirizzo conforme alla sua natura e alla
tendenza essenziale creaturale della persona - dinamismi aper-
sonali, che condurrebbero ad una rottura dell'unità della perso-
nalità.
L'unità della personalità totale, da realizzarsi in senso storico-
dinamico, viene proclamata dalla recente psicologia individuale (A.
AoLER, continuato da C. G. ]UNG), cosl come già la scolastica esal-
tava l'equilibrio delle tendenze e il valore del «giusto mezzo». 46

u H. DE LuBAC, Calholicirme. Ler arpectr soriaux du do11.me. Paris 19~8. p. uo.


'4 W. ElcHKODT, Theol. der AT Il, Bcrlin 119,0, pp. 77·97. Cf. n..-1 presente
volume pp. 172-210.
4s lbid., 91.
L'UOMO NELLA COMUNITÀ

Se l'uomo deve manifestare a mo' di immagine l'unità di Dio e


la pienezza della sua comunione pers~nale, allora egli ha da atti-
vare in misura crescente le sue capacità sociali. Una legge innata
di natura non lo spinge solo a cercare aiuto in altri, bensl anche in
certi casi ad assistere egli stesso un bisognoso.
Attraverso il libero inserimento nella comunità e attraverso l'im-
pegno di capacità professionali politiche e domestiche, in uno scam-
bio di valori attivo e nel medesimo tempo ricettivo, matura la per-
sona e, d'altra parte, promuove la comunità sul cammino verso il suo
bene comune ideale. Premessa per un dinamico avvicinarsi della
comunità al suo tipo ideale è un'attiva collaborazione, quanto più
possibile ampia, e una partecipazione di tutti i membri, rispettati
nella loro libertà e dignità personale, al bene dell'insieme.
Oltre a un mero equilibrio di interessi specifici individuali e a
una solidarietà e sussidiarietà intesa solo in senso statico, è neces-
sario un aiuto vicendevole storicamente concreto e dinamicamente
progrediente, che si può chiamare amore sociale, anche se si tratta
solamente di una forma anticipata dell'amore cristiano verso il
prossimo. In esso si mira ad uno sviluppo dei valori della persona
e dell'unità sociale in considerazione di una forma ideale trascen-
dentale e irraggiungibile nell'ordine concreto della creazione. Questa
intenzionalità sociale della persona si dirige in fine verso qualcosa
di assoluto. Altrimenti rimane incomprensibile come una persona
possa impegnarsi incondizionatamente al punto da trascurare la pro-
pria esistenza biologica a favore del prossimo. Senza un'apertura
e una dinamica verso il trascendente non resta che un'umanità
piatta e rotante in modo necessario attorno a se stessa ciclicamente
all'interno della storia. L'essere uomo si perderebbe nel sociale in-
tramondano.
II sublime ideale di perfezione dell'umanità che l'uomo persegue,
cioè la comunione definitiva con Dio. e che si propone ancora solo
oscuramente, rischiara il significato di una libertà personlllc:: che non
cerca se stessa e non cerca di sottomettere l'altro, di strumenta-

... J. BbcKMANN. Au/g11bnr und Methoden der Moralprychologie. KOln 1964.


pp. 149-151.
<.OMUNl'l'A I·: KEDt:NZIUNl.

lizzarlo e di dominarlo, ma che si riconosce obbligata a servire al-


la promozione altrui. Questo è un inizio della liberazione delJa per-
sona dai legami del proprio io. L'inquietudine e l'apertura ad una
vocazione trascendentale dirigono l'uomo verso l'ultimo orizzonte
razionale, e ci permettono di intendere ogni crescere _e1 divenire
scarico, la censione acl una umanizzazione del mondo, l'aspirazione
ad un maggior rispetto dei valori della persona in un intreccio so-
ciale crescente e in un'integrazione dell'umanità su tutto il pianeta.
Questa dinamica ha pure una componente cosmica. Attraverso la
corporeità dell'uomo viene inserito pure il cosmo nella tensione
verso l'unità e la comunità, anche se noi non riusciamo bene a spie-
garne il come. All'interno del mondo la dinamica della comunità
umana non può certo arrivare a compimento. Alla ragione natu-
rale si pone quindi la domanda circa la meta razionale dell'ascen-
sione storico-sociale dell'umanità e del cosmo, almeno nella misura
in cui quest'ultimo è in relazione con l'uomo.
La risposta non ci può venire dalla pura ragione naturale: si
tratta della rappresentazione esemplare, prima di tutto ontologica
e quindi libera e cosciente, dell'unità e comunione di Dio, che nella
sua crescita storica verso la perfezione è e deve essere a sua volta
adorazione di Dio, prima di tutto ontologica, quindi libera e CO·
sciente, personale e sociale. 47 Questa visione si dischiude pienamente
solo nell'ordine della redenzione.

2. La società nella prospettiva dell'ordine della redenzione

Il discorso sulla società umana entro l'ordine della redenzione deve


essere svolto dettagliatamente nel V volume. Tuttavia qui non
possiamo ignorarne la prospettiva, poiché altrimenti sarebbe forte
il pericolo di una glorificazione o di una demonizzazione della realtà
sociale della creazione. La Bibbia e uno sguardo alla situazione con-
creta dell'umanità mostrano che l'umanità dinamicamente orientata

47 A. DARLAP, 'Gcmcinschaft', in LTK 1v{196o)648·6,1; A. Auu, Weltoffener


Christ, Diisscldorf 21962, PP- 29) s.
L'UOMO NELLA COMUNITÀ

al suo prototipo di unità e di comunione non è pienezza di realtà ma,


in parte, solo tipo ideale. La cristia.nità evangelica ritiene per lo
più che non sia possibile riconoscere nel tipo attuale concreto, se-
gnato dal peccato, il tipo ideale originario.

a. Il peccato

Il peccato rappresenta un muro divisorio tra Dio e l'uomo. Il rap-


porto, costitutivo essenziale per la persona, con il proprio prototipo
è distrutto. Il peccato rappresenta un attentato all'unica immagine
che Dio si fa dell'uomo. Per questo la rottura con Dio e la perdita
della comunione con lui portano pure anche all'incrinatura della soli-
darietà fra gli uomini. La Scrittura accenna espressamente a questa
conseguenza del peccato: la colpevolezza di Eva che accusa Adamo,
al quale era eguale nell'essere; lo scoprimento della nudità e la per-
dita del dominio riguardo alla diversità sessuale; il fratricidio ad
opera di un loro figlio; l'inno di Lamech alla vendetta e alla forza;
la divisione sociale (del linguaggio) dei costruttori di Babele e cosl
via. Non la solidarietà originale, ma la scissione all'interno della
umanità è il vero problema,411 poiché l'uomo non è stato creato per
il conflitto, ma per vivere insieme e per la società. Il peccato ferisce
la sua natura sociale e scatena antagonismi nella società e nel cosmo,
i quali distruggono l'ordine armonico del tutto, e come forze distrut-
trici e disintegranti sovvertono l'unione ordinata della creazione, ge-
nerata con la parola e che manifesta l'amore di Dio.
Tuttavia l'allontanarsi da un'unità originale per formare una
società multiforme non costituisce il peccato originale. Tensioni po-
lari e un gioco dialettico di forze tra parti di un tutto o tra i
membri di una società possono stare al servizio di una sintesi più
alta. Anche il malum metaphysicum nella natura che può manife-
starsi nella distruzione delle parti a favore dell'insieme, può corri-
spondere all'ordine di Dio. Altrimenti si deve postulare che Dio
dovrebbe chiamare all'esistenza soltanto il creato più perfetto pen-
sabile, negando cosl la libertà del creatore. Il peccato veramente
distruttore non sta in un'imperfezione creata, ma nella mancanza o

411 V. A. DEMANT. Theolo[l.y of Soczety, London i947, pp. I I·I ,.


COMUNITÀ E REDENZIONE

nel rifiuto dell'ordinamento a Dio dell'immagine di Dio. La pertur-


bazione dell'ordine dell'amore nell'uomo è «un momento della col-
pa, che non colpisce soltanto lui come singolo, ma direttamente e
primariamente la società, alla quale manca ormai la forza dell'amore
vivificante nei rapporti di sesso - famiglia e stirpe, che quindi non
può elevare i figli che crescono, all'altezza e al livello dell'amore
richiesto per la libertà del singolo e della società». 49
·Il venir meno all'amore è un'infedeltà a Dio e alla sua imma-
gine. La conseguenza è una rottura dell'unità personale e della soli-
darietà tra gli uomini, perciò - secondo i padri - Adamo unificato
fu disperso al di là dell'orizzome terrestre (ADAM = Anatolé, Dysis,
Arktos, Mesembria).iu Non sono qui intese la crescita e l'esten-
sione dell'umanità, ma la tendenza centrifuga, la perdita del suo
centro e con ciò una dispersione delle forze, che dovevano dinarni·
camente avanzare verso una maggiore perfezione. L'umanità è ora
idolatra di sterili egoismi d'ogni specie invece di manifestare frut-
tuosamente l'unità e la pienezza della comunione di vita con Dio
arrivando cosl ad essere, tanto ontologicamente quanto personal-
mente, glorificazione di Dio. La dispersione delle foo;e, attuata da
una sterile superbia e da odio, impedisce l'avanzamento dell'uma-
nità, possibile solo nell'amore, verso il proprio fine razionale. ~
messo in pericolo il bene comune all'interno del mondo, cioè lo svi-
luppo delle persone solidamente legate nella comunicazione della
parola e dell'amore. La relazione d'amore liberatrice cede il posto a
una relazione di dominio che rende schiavi e genera soltanto pseudo
società nemiche della persona. Cosl la Scrittura narra che la donna
deve per castigo del peccato bramare l'uomo, che la dominerà. La
forma naturale dell'amore entra sotto il segno di non-amore pcno-
nale (come stimolo e come forza). 51
L'egoismo domanda i suoi tributi. La perdita del senso sociale
sottintende necessariamente una solidarietà nella rovina. Se in-
fine l'umanità come vertice di tutto quanto il creato non è più

49 H. U. v BALntASU, D11S Gatt?e ;,,, Fragmettl, Einsiedcln 1~3. p. 109.


lU Così specialmente AGOSTINO, ltt ps. 9,, n. 1,, PL 37,1236. H. DE LUIAC,
Catholicisme. Les aspects sociaux d11 dogme, Paris 1938, pp. ro s.
51 H. v. BALTHASAI, Das G111tu ;,,, Frag,,,ettl, Einsiedeln 1963, p. 26t.
L'UOMO NELLA COMUNITÀ

giustamente orientata, anche il cosmo stesso perde il suo centro.SJ


Se queste conseguenze della caduta vengono prese molto seriamente;
come di solito avviene in particolar modo fra i teologi evangelici,
tanto più ci si deve meravigliare che ci sia ancora un ordine nel
mondo. Qui è all'opera la mano conservatrice di Dio. Egli infligge
castighi, però non annienta, giacché non vuole allontanarsi dall'uo-
mo. La creatio continua, ossia la conservazione del mondo per la
provvidenza di Dio, si manifesta anche e precisamente nello staio
che segue il peccato originale. La stessa generale lontananza Ji Dio
viene in qualche modo controbilanciata dalla solidarietà salvifica di
Dio con la creazione. La pazienza portante di Dio non consente che
la somiglianza di Dio sia distrutta pienamente dalla caduta nel pec-
cato.53 Gradatamente viene ristabilita con patti di alleanUJ l'unione
fra Dio e l'uomo. L'uomo, secondo la Scrittura, ha ricevuto sempli-
cemente la promessa del seme che schiaccerà il capo al serpente
(Gen. 3, 1, ). Soprattutto è stato concluso, secondo la tradizione sa·
cerdotale, il patto di Noè con l'intera umanità e con ogni essere
vivente (Gen. 9,8-17) cosl da rivestire carattere universale, cosmico
ed eterno. Tutti i popoli (cf. ~bito dopo Gen. 10: tavola dei po-
poli) appaiono come una famiglia chiamata all'alleanza con Dio.
Dopo la confusione delle lingue deve venir scelto un popolo di Dio
nel patto di Abramo. Però in Abramo e nella sua discendenza de-
vono essere benedette tutte le tribù della terra (Gen. 12,3; 28,14).
Un patto di Dio con degli uomini considera in fondo sempre l'uma-
nità intera, anche se questa appare rappresentata soltanto da sin-
goli. La società particolarmente eletta sta come •rappresentanza di
tutti'. Pars pro toto.' Le distanze fra Dio e l'uomo diminuiscono
visibilmente nell'alleanza di Abramo, di Mosè e di David. Il rap-
porto di comunione dei membri dell'alleanza con Dio diventa più
stretto e comprende tutte le situazioni della vita, particolarmente i
rapporti sociali con i rimanenti membri dell'alleanza. Certamente i

SI A. Auu, Welto/lenu Christ, Diisscldorf 21~2, pp. 111-121; H. T1t11!LICKE,


Tbeol. cthil: 11 2, Tiibmgcn 19,8, p. 21.
si G. v. RAD, 'J"heo/. des AT 1, Miinchcn 41962, p. 169; F. P11.GRAM, Ph)'siologie
der Kircbt, Mainz 186o, pp. 38-.43; cl. Mysterium Salutis l/J, Brescia 21969, pp. 87·
100.
COMUNITÀ E HDl!NZIONE

diversi rapporti sociali, familiari, politici (stirpe e popolo) cd eco-


nomici sono regolati da proprie leggi interne; sopra tutti però sta
ordinatore il rapporto di società con Dio. 'Giusto' è chi è a posto
nei riguardi di questo rapporto. L'ordine morale è dunque un ele-
mento integrante di quest'ordine sociale. 54 Un parallelo alla peda-
gogia della salvezza secondo la Scrittura lo offre la storia universale
delle religioni. 55 Nel tempo della 'pansacralità primitiva' la religio-
ne è un affare della famiglia o della tribù. Queste società, senza le
quali è impossibile esistere, hanno esse stesse un carattere sacrale,
anche se alcune possono svolgere un ruolo particolare nella reli-
gione della famiglia. Nella fase di formazione degli stati si costitui-
scono le religioni della tribù e del popolo. Il diritto dello stato vie-
ne sviluppato per la difesa di interessi particolari da un pericolo
pubblico (guerre di tribù). In continuazione di una certa pansacra-
lità, lo stato e il diritto hanno carattere sacro, mentre viceversa la
religione è un affare di stato. Infine nelle 'epoche di perno' della
storia del mondo si giunge alla esplosione delle culture superiori, al-
la sostituzione del pensiero simbolico con la concettualizzazione,
alla dissacrazione della natura e dello stato, verso una religione e
filosofia non più mitica, portatore delle quali è l'individuo.56 I Iµniti
del sangue, della tribù e della nazione vengono meno nella religione
superiore, la quale assume il carattere di una società spirituale uni-
versale. In questo processo storico che abbiamo abbozzato semplifi-
candolo si può scorgere una praeparatio evangelii. La strada porta
ad una società religiosa, che ha la sua 'sede' non più nella comu-
nità del sangue o della nazione, ma nella coscienza delle persone.51
Il carattere sociale della religione con ciò non viene abbandonato,
bensl sublimato. Quando Dio, secondo la Scrittura, comunica la

54 G. v. RAD ,op. cii., p. 383; W. E1cHRODT, 1'h~ol. dei AT 1, Berlin 419,0, p. JI 1;


H. KONG, Christenh~it alI Minderheit, Einsicdcln 196,, pp. J9 s (tr. it., Cristilmittl
in minoranza, Queriniana, Brescia).
55 G. MENSCHING, So:iologie der Religion, Bonn 1947; J. llASl'.NFUSS, Ge,,,ei"·
schaftsmachte und Religion, CoU. Asc:halfcnburg 1964; H. R. Sc11LETTE, Die &/;.
gtonen alI Thema der Theologie, CoU. cQuaest. disp.» l2, Freiburg i.Br. 196\ r Lr.
it., Le religioni come tema della teologia, Morcellian2, Brescia); P. RossANO, ·1~
religioni non cristiane nella storia della salvezza', in se l)j(196') 131•·140*.
56 H. U. v. BALTHASAll, Dos Ga11u im Frog,.,ent, EinsleJeln 196l, p. 19, .
.,, Costituzione pastorale G11uJ11"'' et spes, n. 16.
L'UOMO NELLA COMUNITÀ

sua salvezza attraverso la proposta e la conclusione di un patto, e


quando attraverso i profeti ricorda la responsabilità dei singoli, si
ha di mira la stessa realtà: per quanto la religione abbia carattere
sociale, pure in essa è impegnata la persona individuale.
L'uomo può rifiutarsi all'appello di Dio (trascinando nello stesso
tempo solidariamente l'umanità nella perdizione) e rompere il patto,
però ogni rottura del patto e del dialogo ha davanti il salvifico
patto e il dialogo mai interrompibile, nel corso del quale Dio in-
clude tutto ciò che è fragile. L'insieme creato da Dio, che egli trovò
«molto buono» all'inizio, può frantumarsi solo all'interno di questa
totalità che rimane. 11
Cosl anche nello stato susseguente al peccato originale si mani-
festa sempre più chiaramente in modo storico ciò che è, secondo
il piano di Dio, la legge cosmica della comunione, e che Dio
non abbandona il suo piano anche di fronte al rifiuto degli uo-
mini, mentre egli per amore fa sl che, in vista di una totalità e
società maggiori da lui volute, il rifiuto di singoli si trasformi in una
«felix culpa».

b. L'opera della redenzione

Solo il compimento in Cristo rivela il senso di ogni promessa di


sé (nella parola) e di ogni partecipazione di sé (in amore) di Dio
alla umanità. La comunicazione tra Dio e uomo nell'ordine della
creazione deve essere vista come fondazione e premessa del suo com-
pimento nell'ordine della redenzione, cosl che il primo ordine non
possa essere compreso senza tettere presente il secondo. Nella re-
denzione Dio getta un ponte sopra l'abisso aperto dal peccato e
riempie l'apertura umana verso la trascendenza con una presenza
che supera ogni aspettativa.
Questo avviene attraverso Cristo, che secondo Paolo è l'immagi-
ne perfetta del Padre invisibile, suo rappresentante, il vero e so-
vrano vertice dell'universo. Il figlio dell'uomo immagine e rappre-
sentante di Dio non più semplicemente attraverso una rappresenta-
zione analogica della sovranità di Dio nel creato, ma attraverso l'ac-

58 H. U. v. BALTHASAI, op. cii., p. 26o.


COMUNITÀ E IEDEJl/°/.IONE 491

coglimento dell'umanità all'interno della vita divina e attraverso la


partecipazione della verità e dell'amore di Dio al mondo dell'uomo.
Attraverso l'incarnazione tutto ciò che era disperso viene riunito in
questa unica e totale raffigurazione di Dio. L'umanità e, attraverso
di lei, il cosmo, trovano m Lnsto il centro e il vertice e il loro
giusto orientamento. Ciò suppone, - se non si ammette qualche
cosa d'arbitrario - nella creazione dell'umanità una determinazione
per l'unità; l'umanità viene redenta nella misura in cui era stata col-
pita dal peccato. La 'legge cosmica della comunione'. dapprima lex
aeterna in Dio, si manifesta corporalmente, anche se la solidarietà
cosmica umana non è ancora pienamente palese in Cristo. Ciò «che
non è assunto» nell'unica immagine del Figlio, «non è redento». Ma
ciò che attraverso l'incarnazione è riunito strutturalmente nell'unità
e nella società con Dio, deve, attraverso l'opera di mediazione del-
la croce e della risurrezione, 'passare' alla effettiva comunione di
vita con Dio. La potenza del diavolo, che 'confonde' l'unità e
produce un controregno della ribellione, dell'egoismo e della di-
scordia, viene spezzata per l'umanità unita a Cristo attraverso la
abnegazione e l'obbedienza di Cristo." Dalla croce Cristo attira
tutto a sé e raccoglie così il 'disperso Adamo'.eo La nuova uma-
nità unificata non viene generata dalla natura stessa, ma sorge da
nuova nascita. Non viene costruita dal basso, non da 'mano umana'.
ma dall'alto come «la città tempio della presen1.ll di Dio fra gli
uomini•.61 Non la concentrazione della noosfera, non la socializ-
zazione crescente, il teamwork tecnicamente organizzato degli uo-
mini lavoratori, portano, con la necessità di un processo natu-
rale. ad un'unità universale in una società personale. Queste for-
ze naturali sono ambivalenti e possono anche generare un mo-
stro apocalittico, una collettività, che asservisce la dignità della
persona attraverso un'illimitata «scienza di dominio». Ciò che
è in contraddizione con i piani di Dio, incorre certamente in un
giudizio di carattere universale (ciò che ha significato soltanto se il

" A. Aun. Weltoffenu Chrìst. DUsseldorf 11962, pp. 1}6-119.


eo Cf. sopra 0011
" Y.M.-J. CoNGo\I.
,o.Le "'ysti-re
du Te,,,p/e. Paris 19,8. Salzburg s d. (1r. il., Il
Mlllero del te,,,pìo. Boria. Torinol.
492 L'UOMO NELLA COMUNITÀ

destino del singolo si integra in cQntinuità storica verso una tota-


lità).62
Dio ha iniziato la sua opera senza di noi ed egli attuerà la forma
definitiva della società, però non senza di noi. La redenzione deve
superare la dissipatio del peccato attraverso una collectio virium di
tutta l'umanità in una dinamica volta al perfezionamento finale.
Per questo il Signore glorificato infonde nell'umanità il dono dello
Spirito. Accolto nella fede e nella coscienza maturerà i frutti dello
Spirito, cioè i beni di comunione dell'amore, della gioia e della
pace, della pazienza, dell'amicizia, della bontà, della fedeltà, della
mitezza e della castità (Gal. 6,22 ). Questi fermenti della spiritua-
lità devono determinare la condotta sociale. Un mutamento dei rap-
porti sociali verso una maggior verità e fraternità presuppone però
una conversione dei cuori.63 Un appello a ciò è la kénosis del Logos,
la sua obbedienza fino alla morte. Questo appello alla coscienza li-
bera è la maniera dell'agire dcl 'regno' di Cristo nel mondo presente.
Egli fonda una società nello spirito, una società fondata sulla fede
e sull'amore, che deve prendere tutto l'uomo e dunque anche la
sua disposizione sociale, le sue relazioni sociali nella famiglia, nel
matrimonio, nell'amicizia, nella professione, nello stato, e anche
nel suo legame col cosmo. Una dinamica dello spirito porta
attraverso la coscienza personale ad una costruzione della civitas
Dei. Perciò Cristo si prende cura del seguito socio-spaziale dei di-
scepoli e fonda la comunità dei discepoli.64 Questa entelécheia ri-
mane propria della Chiesa. Però attraverso la coscienza personale i
fermenti dello spirito devono lievitare anche le società naturali, af.
finché esse non impediscano il movimento dell'umanità verso la
comunione finale con Dio, bensl lo rendano possibile nell'ambito
della loro competenza. Alla coscienza personale si rivolge la chia-
mata per la 'via stretta' della sequela, che sola può portare alla
lata caritas. Essa esige il superamento di molti egoismi e la rinunzia

6J H. U.V. BALTHASAR, op. cit, p. 131.


63 G. THJLS, Teolo1.i11 delle realt4 terrene, Alba 21968, pp. 157-171.
64 A. V6Gru:, 'Dcr Einzclnc und die Gemeinschaft in det Stufenfolge dcr Chri-
srusnachfolge': Jtntire F.ccle1i111'I, Frciburg i.Br. 1~1. pp. ~0-91 (tt. it., Ed. Pao-
line. Roma).
COMUNITÀ E REDENZIONE
493

a molti legami, i quali prima ne avevano escluso altri. Solamente alla


dinamica dello spirito infatti corrispondono l'apertura e l'impegno
per la promozione degli altri. Ogni impegno vicario, forse anche
doloroso, per il bene degli altri, e quindi per il progresso della società,
è, secondo Agostino, un 'vero sacrificio': «verum sacrificium est
omne opus, quod agitur. ut sancta societate Deo inhaereamus, relate
scilicet aJ illum finem boni, quo veraciter beati eJJe poJJimus». Ogni
aiuto solidale per un aumento dei valori autentici, per una maggiore
beatitudo, per una vita migliore, porta più vicino a Dio l'altro o
la società che beneficia di questo bene. Scopo di tale 'sacrificio' non
è la rinuncia negativa di sé. bensì l'elevazione dell'umanità alla
trasfigurazione pasquale nella società escatologica, che, secondo Ago-
stino, è abbandono-comunione personale e sociale con Dio: «.tota
ipsa redempta civitas, hoc est congrega/io societasque sanctorum,
universale sacrificium».""
Lo scopo della società umana è dunque l'amore, che ha ora più
carattere di culto, ora più carattere sociale e umano. Movendo dal-
l'ordine della redenzione ciò dev'essere postulato 'retrospettiva-
mente' anche per i campi sociali 'profani' che già sono frammenti
inseriti entro l'ordine mondano orientato alla glorificazione.
Di certo le realtà sociali soprannaturali, come la Chiesa, non so-
no da vedere immediatamente come modelli delle comunità dell'or-
dine della creazione: una famiglia non è un convento, una scuola
non è una casa d'esercizi, lo stato non è un corpus mysticum. 66 La
Chiesa stessa, non è acosmica e asociale, bensl si assimila in un pro-
cesso storico, strutture sociali dell'ambiente e vuole, da parte sua
come 'principio di vita' della comunità, irradiarvi fermenti di spi-
ritualità. Mentre però essa stessa è immediatamente sacramento del
regno di Dio, ad esso le comunità 'profane' sono orientate sol-
tanto in modo più remoto. La Chiesa non ha da impartire in que-
sti campi direttive tecniche, ma ha da comunicare comportamenti
spirituali. Così alla società profana compete un'aulonomia, che

65 Dt ci11. Dti 10,6 CSEL 40,1,4,4; 4,6,6-&l; Y. U!NGu, Jlllo"s porn ""t tbéo-
logit d11 14ic.t, Paris 1964, pp. 200-204 e passim.
66 G. THILS, Ttologilt dtUt rtllltò tt"t"t, Alba ZrC)68, p. ro6.
494 L'UOMO NELLA COMUKITÀ

cuuavia si pongono nel più vasto ambito dell'insieme. Così la con-


creta conoscenza politico-sociale deve essere inserita in un giusto
prospetto cosmico.67

3. · Le comunità concrete

a. La famiglia

La famiglia si evolve attualmente dalla grande famiglia patriarcale


ad una famiglia di coniugi paritari. Perde qualche funzione sociale,
però consolida il suo carauere personale. Questa trasformazione so-
ciale insegna che non si può troppo in fretta sviluppare dal tipo
biblico della famiglia una teologia sovratemporale della famiglia. Si
aggiunga che la Scrittura parla piuttosto della stirpe e della tribù e
del matrimonio più che della famiglia. Una teologia della famiglia
dovrà partire dall'insegnamento biblico sul matrimonio e sulla co-
munità, avrà come presupposto quindi una teologia della società.
Ci sta davanti un campo non ancora sufficientemente lavorato. 69
Si parlerà ora del significato della famiglia secondo l'ordine della
creazione, ciò che non può farsi senza la prospettiva dell'ordine
della redenzione, il quale tuttavia viene trattato più particolareg-
giatamente altrove.
La famiglia, che è l'unità elementare di vita della società, ha
il suo fondamento nella fecondità creatrice dell'amore matrimoniale.
In essa le persone oltrepassano l'io per il noi. La libera e personale
comunione di vita degli sposi non è rertamente una realtà autonoma
nella creazione, poiché il bambino non vien accolto entro un ordine
costruito arbitrariamente, bensl in un ordine predisposto e quindi
vien sentito come un dono.tW La partecipazione della vita biologica
e personale è una partecipazione alla forza creativa di Dio, un
evento entro l'universale crea/io continua. Nel bambino, che è una
persona umana, il tutto riceve un nuovo centro di valori e un nuovo

67 A. AtJF.R, \V.-/1offent•r Chml, Oiisseldorf 21961, p. l<)t.


fili F.. Mann 11'11/ Frt111 111 f11111ilfr 1111d O!Jen1/icb/.:eit, Miinchcn i964,
Gl\SSMASN,
p 76: J. lli\fl'NEK, 'Rcrtcr dit• Farnilic', in Wahrt•il 1111J leuy_11is, DiiNscldorf 1964,
p. 281; J. l.F.c.1.ncv·J. l>AVll>, Dii' ft11111lir•, Freihurg 21<15!1 .
.. H. WoL!.ASCll. 'Farnilic' 111. in 1.TK IV (111lio) 11Jo14.
LE COMU:o!ITÀ CONCRETE 49,

portatore della sua dinamica. Il bambino inoltre è immagine e rap-


presentazione dei propri genitori, in modo tuttavia che questa par-
tecipazione all'immagine nel rapporto storico delle generazioni ri-
manda alla paternità di Dio rispetto all'umanità simile a Dio.10 I
genitori da parte loro sono per il figlio rappresentanti e sostituti di
Dio, del suo ordine e del suo amore, 71 perché hanno parte alla sua
paternità (auctoritar).
I genitori si realizzano r.d modo più perfetto non già nel rispec-
chiare egoisticamente se stessi, ma nell'amore reciproco e nella re-
sponsabilità e nella disponibilità di servizio della paternità e della
maternità. I figli invece esperimentano e sviluppano la loro uma-
nità nella sicurezza della 'casa' e alla 'mensa' dei genitori, e od con-
tinuo 'essere interpellati dai genitori'. Il bambino diventa capace di
vita e di comunità attraverso l'esperienza di un amore gratuito, per-
sonale, che conduce alla libertà. Così si rispecchia nel valore di co-
munione della famiglia la libertà e la comunione personale di Dio.n
L'esperienza vitale di Dio, come pure la condotta sociale nei
riguardi degli altri, dipendono larghissimamente dalla famiglia. La
figura del padre e dei genitori, che s'imprime nel bambino assai
presto, la sicurezza e la fiducia originaria che un bambino esperi-
menta per tempo nella famiglia (o che non trova), si trasportano sulla
rappresentazione di Dio nell'uomo adulto, ed anche sulla sua raffi-
gurazione della 'madre' Chiesa, e così via. La conseguenza ne è una
condotta religiosa e sociale (o asociale) aperta, fiduciosa (o domi-
nata dall'angoscia e difensiva). La famiglia comunica fondamen-
tali conoscenze di verità attraverso un continuo reciproco rivol-
gere la parola e ascoltare o obbedire; attraverso la cura e l'amore
tra i suoi membri nasce una libera relazione di comunità, che non è
dominata dal sentimento del dominio, bensì unisce libertà con re-
sponsabilità l'uno per l'altro, ed insegna fedeltà, abnegazione e one-
stà. Nella famiglia vengono formati coraggio, 'cuore', coscienza, il
senso non istintivo, ma personale, dei valori, dunque il vero e pro-

10 Cf. Le. 3,38: « ... qui ftul Se1h, qui futl Addm, qui fui/ Dei».
71 H. TlllELICKE, 'fbeo/ !!:bik li 2, Tiibingcn 195K, p. \H.
72 B. HARING, Ehc in dit'Jcr l.t•i/, Salzhurg 1940, pp. 166-169; J. lloHNER, Ebe
und Familie, Miins1cr 1965, pp. 60-87. Cf. sopra nota 68.
L'UOMO NELLA COMUNITA

prio «campo di comunicazione» della persona nel suo rapporto con


Dio e con gli uomini: ciò che è decisivo per la formazione indivi-
duale della responsabilità, come per la preparazione al vivere in
comunità, questo vive della mediazione dello scambio di valori per-
sonali.n
Se nella famiglia i bambini appaiono soprattutto come quelli che
ricevono, tuttavia la vita di famiglia 'educa' anche i genitori ad un
amore disinteressato, e da ultimo la società intera vive dei valori
sociali che vengono esercitati nella famiglia.
La famiglia sana coltiva le categorie originali dell'amore: l'amore
dei genitori verso il bambino, la loro sollecitudine creatrice, protettri-
ce, il loro disinteresse e la loro comprensione, tutto quanto guida il
bambino verso la libertà e l'autonomia; l'amore del figlio per i genito-
ri, la fiducia con la quale egli li guarda, consapevole d'esser dipendente
ma sicuro e protetto; un amore che dapprima «divora» e più tardi
si fa riconoscente e personale; l'amore fraterno, prima solidarietà e
primo apprendistato a vivere uno vicino all'altro e uno con l'altro,
che rispetta le peculiarità del socio e le concilia; così pure l'amore
di amicizia, che è d'ordine extrafamiliare, e l'amore degli sposi hanno
la loro radice nella famiglia. 74
Queste sono le forme fondamentali della vita sociale e - come
indica la Scrittura - anche della vita religiosa: paternità, figlio-
lanza, fraternità, amore verso il prossimo, amicizia solidale, stima
della persona e della libertà. La famiglia, già nell'ordine della crea-
zione è una partecipazione tipica dell'unità della comunione perso-
nale in Dio; essa ha perciò un valore esemplare per ogni comunità
umana e nello stesso tempo è una 'prefigurazione' della società del-
l'ordine della redenzione. In considerazione del rifiuto degli uomini
che si ripercuoterà particolarmente catastrofico nell'ambito della
famiglia, anch'essa ha particolare bisogno di diventar partecipe della
redenzione. La grazia dcl redentore scorrerà in essa soprattutto dal
sacramento del matrimonio."

73 A. VETTER, 'Der anthropol. Ansaiz', in llandbuch der Sozialerziehung, 1, Freihur11


i.Br. 1963, pp. II·3'·
74 D. v. HILDEBRAND, Meta{lh)•stk der Grmeinscha/t, Augsburg 1930, pp. ~ H:)L
75 Costituzione pastorale Gaudium et sprs, n. 411.
LE COMUNITÀ CONCIETE

In particolare la famiglia è il modello della solidarietà sociale,


poiché questa è una proprietà e una condizione della famiglia; es-
sa non ha bisogno d'essere unificata poiché lo è già. La famiglia
che è radicata nelle generazioni passate (soprattutto per il legame
del sangue e i valori della lingua. della cultura, del costume. della
tradizione), e che si protende in modo storico-dinamico nel futuro,
manifesta in modo particolarmente chiaro, che la comunità è più
che la somma dei memhri. che qui cresce. partendo dall'unità del
'corpo matrimoniale', una 'totalità' persQna!e.l'tl Andn: la sussidiarietà
è uu posruiato soscanziale della vita familiare. I genitori aiutano,
e ciò è voluto dalla natura, a divenire indipendenti, e il rispetto
dell'inclividualità dell'altro s'impara - se mai - soprattutto nella
famiglia.
I genitori sono i primi educatori della sussidiarietà. Lo saranno
non «opprimendo» il figlio ma plasmando la sua personalità, comu-
nicandogli i valori autentici e formando in lui una coscienza dritta.
Mai la famiglia può sacrificare i genuini valori personali a van-
taggi e(:onomici o politici. La concentrazione della vita della fami-
glia all'ambito personale, come si afferma nell'attuale mutamento'
sociologico, è un vantaggio, anche se alla famiglia vengono tolte
alcune funzioni 'sociali', come, per esempio, il ruolo di un luogo
economico di produzione. Al contrario, è nell'interesse della stessa
società reagire ad una perdita di funzione della famiglia nell'am-
bito personale (come l'ovviare ali' 'esautorazione dei padri' e al-
l'isolamento dei 'figli chiusi in casa [Sch/Usselkinder]'), e aiutare
a allargare la strettezza dello spazio vitale (che non consente il sor-
gere di alcuna fratellanza), impedire l'invasione della curiosità pub-
blica nell'ambito personale della famiglia e della fedeltà tra i co-
niugi, opporsi alla diminuzione della funzione educatrice e culturale e
religiosa della famiglia. L'umanità perderebbe qualcosa d'essenziale,
se la prima viva rappresentazione della sua unità più non possedesse
la sua forza vitale. Però la famiglia non può im:apsuhirsi in un egoismo
familiare, ma deve comunicare ulteriormente i propri valori persona/i

76 Cf. R. &ENTER, 'Dic Vcrfiigung dcs mcnschcn iibcr scinen Lcib im Lichte des
Totalilii1sprinzip, in MTZ 16 ( i96') 167-178.
L'UOMO NELLA C:OMIJNITA

e sociali in quanto rappresentazione .dell'unità e della comunità delle


persone in Dio. Non che la società e le singole comunità trovino il
loro proprio significato nelle 'famiglie'. Questo sarebbe un 'familia-
1ismo' male inteso (G. EhMJ·.CKEL Però la società deve 'partecipare'
ai valori della fa miglia. La famiglia nel suo insieme (non solo nei
suoi membri) deve essere un punto d'incontro dei rapporti sociali,
irradiare il senso della solidarietà, l'ordine, la genuina autorità, la
disinteressata disponibilità di servizio, e movendo da qui formare
le premesse umane per una genuina immagine di Dio e così adem-
piere ad una funzione di mediatrice in favore di una maggior aper-
tura dell'umanità. La famiglia infatti deve tenere in movimento la
dinamica della comunità totale, fornendole, senza soluzioni di conti·
nuità, membri nuovi e autonomi. Questo è un servizio dei genitori
alla società, nel senso agostiniano; un vero sacrificio, sacrificio cioè
orientato all'ascesa dell'umanità verso il suo fine, verso la società
definitiva. Questo seme dell'immortalità riposa nella famiglia ter·
rena, che in quanto tale è peritura, poiché noi qui non abbiamo «al-
cuna dimora stabile» (Hebr. 13,14) bensì siamo in via «verso la
abitazione nella casa del Padre» (1 o. 1 4,2) e verso il 'convito' della
sua rnensa.n

b. Le comunità intermedie

Tra famiglia e staro vi sono molte e diverse formazioni sociali.


Giocano già un grande ruolo nell'Antico Testamento prima della
formazione degli stati (e sopravvivendo ad essi) la .e.rande famiglia
e la tribù come portatrici del diritto e della proprietà, dal momento
che l'individuo si sente in esse socialmente integrato e impegnato.
Nella più vasta unità sacrale delle tribù, le stirpi diventano capaci
di una fusione nel patto delle dodici tribù. In questi gruppi si mani-
festa l'idea biblica di comunità: il carattere della vita e della sal
vezza legato alla comunità; il ruolo di m,·JiJzit1111.:, di rappre·
't'.ntan;r.a e di sostituzione (per la salvezza e la rovina). dcl patriar
ca. dcl re. degli antenati. ecc .. 1'personalirà corporative'); la stori-
cità delle comunità nel corso delle generazioni. Pur nel mutamento

.I lli>rFNFR Fh, '"'J p.,..,,;,,.. \lunsrer r<iM. pp. 6~. oJ •J~


1.f. coMt 1NrrÀ CoNcllETF.
499

delle strutture sociologiche rimane conservato il loro signifìcato. Si


mostra chiaramente nel cambiamenlo della forma esterna dcl feno-
meno la forza neativa dell'umanità. l.'umanilà e le persone non
potrebbero svilupparsi liberamente in llllte le dimensioni, se fossew
limitate, ad es .. alle comunità dello stesso sangue, c non potessero
superare qut·s1i confìni. Se nel Medio E1'0 1"1111irn cris1ianiti1 l' piì1
tardi gli stati nazionali stavano in ;;;imo piano ndla coscienza,
oggi può essere legittima la sollecitazione degli individui mediante
una pluralità illimitata Ji società intermedie. Oggi innurncl"l'voli
interessi economici, politici, culturali. scientifìci, ideologici, portano
a formare gruppi prescindendo del tutto dai legami di amicizia l'
di religione. Prese in sé le società profane non sono sovratemporali,
mentre la famiglia, come prima cellula origin<tle della società, i: una
istituzione permanente, come pure lo stato, in forza del suo com-
pito di assicurare il bene comune generale dei cittadini negli inte-
ressi terreni.
Il tentativo di 'situare' teologicamente queste società intermedie
deve tener conto della loro diversità. Alcune sono, per cosl dire,
~stensione della famiglia: così la tribù imparentata per il sanJtue e,
per lo meno anaJogamc:-ntt·. c.·rti rapporti di natura personale.
che cresçono organicamente da comuni1à già l:o~tituitc ( ~pcsso ~:onw
piccole 'cellule' in un più \'asto gruppo). Psicologicamente si forrn.1
yui una 'comunità' del 'noi' con una più ampia solidarietà fra i
membri.
In altri gruppi, - tipica è a questo proposito la società anonima,
- l'accento poggia non sul noi ma sull'io. Ci si trova in questo caso
assieme in una società, per promuovere i propri interessi circa beni
utili mediante compenso o scambio contrattuale. L'altro è rispettato
come portatore di diritto, non però amato innanzitutto per il suo
valore di persona, bensì considerato soltanto nel suo 'valore per me'.
Sono da elencare anche le forme di organizzazione f unzionalmenrt·
senoriali o comunità di lavoro; infine esiste la banda che nasC<'
dall'istinto gregario e la folla 'massificata' 75

71 J. P1EPEK, Gru11J/orl'trn 10ziJfrr Spidre1.eln. Frankfurt a M. l19n; F. Tùs-


~IES. Ge,,,etnschaft und GewllJCh.i./t. l.cipzig 111117. ghJH
,oo L'UOMO NELLA COMUNITÀ

Qual è dunque, nell'ordine della creazione, il significato di tale


tendenza a formare varie comunità? La natura umana si manifesta
qui come pluridimensionale e sociale. Essa non può sviluppare tut-
te le sue ricchezze nell'isolamento, e nemmeno in un'unica e
chiusa struttura sociale, ma deve potersi realizzare a livelli di-
versi di valori, in rapporto sociale con gli ahri. 1n ciò si palesa
'nello stesso tempo la limitau:zza creata dell'uomo. Egli non può
essere sufficiente a se stesso. Egli <leve necessariamente essere
aperto agli altri e vivere e lavorare solidalmente legato con essi.
Certo, ciò non è solo un segno della limitatezza umana, ma anche
una conseguenza della ricchezza sociale della persona. Se questa con-
nessione interumana non deve rimanere un vuoto pathos, essa deve
esternarsi in forme concrete, che in parte sono predisposte da situa-
zioni storiche, in parte vengono scelte liberamente dal singolo (che
così di nuovo si pone dei limiti). Queste comunità offrono alla per-
sona una possibilità di irradiazione, in quanto allargano lo spazio
della sua libertà. Insieme con quanti son animati da eguali senti-
menti ·un<• ru;, ..:sercitare un influsso attivo ed efficace sull'insieme
sociale più vasto, anche sullo stato, e così prendere coscienza delle
~ue responsabilità per l'insieme.
Così si auua l'articolazione dei membri per il bene del tutto,
grazie alla società intermedia vicina alle persone, la qual<' è una
parte 'rappresentativa' del tutto. Pars 'pro' toto! Per questo la sus-
sidiarietà deve essere riconosciuta in quanto ogni individuo e ciascun
gruppo minore, che lavorano entro la società nel senso del bene
comune, non devono essere impediti, anzi in caso di bisogno devono
esser potenziati,1' affinché arricchiscano attraverso la propria ini-
ziativa e corresponsabilità, e la comunità e se stessi. Così è possi-
bile un'elevazione della società. Ci sono però da tracciare ambiti di
competenza partendo dalla natura stessa delle cose. Se certi com-
piti non possono essere assolti da singole comunità e da comunità
subordinate in modo soddisfacente in considerazione del bene comu-
ne, questi sono da affidare alla società superiore adeguatamente
capace, eventualmente allo stato; poiché la sussidiarietà esige che

7t A. F. Un, 'Theoloaie und Smialwissenschaften', in FfH 45N6o.


L~- COMUNITÀ CONCRl<TF- ~Ol

tutti i compici per il bene della umanità vengano assolti dal gruppo
sociale più adatto allo scopo.
Considerato teologicamente, il bene comune comprende anche le
premesse per lo sviluppo conveniente della sfngola persona. Il sin-
golo deve stare nell'insieme come persona. Come egli è chiamato
per nome da Dio, cosl egli non deve scomparire nella società come
puro numero nell'anonimato di una realtà colleuiva. Questo peri-
colo c'è quando una società attua superstrutture totalitarie e assorbt
le strutture vicine alla persona che sono proprie delle società inter-
medie. Soltanto in queste generalmente la persona può farsi ascol-
tare. Se la parola deve giungere troppo lontano e su un piano imper-
sonale, essa perde l'accento e il calore umani: IO perderebbe ogni
risonanza personale. Anche l'amore perde di molto il suo carattere
umano, se lo si vuole sviluppare in un giro di persone non più domi-
nabile. L'attenzione ai valori della persona richiede che l'amore uma-
no venga dimostrato nell'ordine dato dalla vicinanza delle persone,
cioè ai parenti prossimi, ai colleghi di lavoro, e soprattutto ai 'più
prossimi' del momento. E quando una comunità può essere formata
più umanamente portando i partecipanti ad una libera paritetica
comunicazione, bisogna cercar di attuarla. Ciò è possibile alla società
totale soltanto mediante le società intermedie. Cene grandi organiz-
zazioni e 1st1tuzioni possono lavorare in modo relativamente 'im-
personale' conforme alla loro peculiarità, però soltanto nell'ambito
dei servizi, che non devono divenire fine a se stessi, ma debbono
rimanere subordinati ai valori personali della comunione. Altrimenti
esiste il pericolo che dei 'funzionari' 'amministrino' gli individui
atomizzati, 'materialmente' invece che umanamente, e che la tiran-
nia di un apparato tecnico domini su quella relazione umana e vitale
d'amore, che sola può portare le persone alla libertà.
Non si possono, dunque, ignorare gli enti intermedi della società.11

IO G. v. MANN-TIECHLER, 'lbcol. Sozialgrundlagen'; in Handhuch "" Sorial,·r·


:il'hun11. I, Frciburg i. Br. 1<)6~. p. 89.
11 Cf. 'Le conclusioni della «XXXVII Settimana sociale dei cattolici italiani ... Ani-
rolazionc della società e valori ddla persona, in L'Ossl'rwtorl' Rom11no n. 212 (15
SCII. 1965) 9 S.
L'UOMO NELLA COMUNITÀ

C'è solo il pericolo che essi pongano j propri 'interessi' di associa-


zione al di sopra dcl bene comune dell'insieme e sviluppino per
'un e;.oismo di gruppo' una solidarietà interna segregazionistica. La
libera concorrenza e l'iniziativa dei singoli e dei gruppi vicini alla
persona sono preziose, ma possono anche danneggiare l'organico gioco
d'insieme dcl tutto. Qui la libertà ndla formazione delle comunità
trova un necessario limite. L'autorità della società superiore (lo stato)
non deve in verità restringere la libera, creativa crescita della società
o 'dirigerla' arbitrariamente, però deve pure assicurare l'armonia
de/l'i11siemt• Tuttavia l'organizzazione statale non può da sola con-
trollare tutti gli egoismi che possono arrivare fino all'usurpazione
del potere dello stato. I contrappesi salutari devono essere trovati
in una visione positiva della comunità e della persona pluridimensio-
nalt:. Qui sta il rnmpito della fede. Essa lo adempie nella visione
della storia della salvezza e dell'immanente Trinità, considerando
l'ohhedienza del fo'iglio dell'uomo, che ha unito ciò che era disperso,
e nelln stesso tempo, arricchiva ciò che era povero.

c. Lo stato

Il sistema statuale appare dapprima in forma rudimentale in tribù


autonome e nelle comunità più piccole. Oggi lo stato nazionale è il
tipo più corrente. Un tempo esistevano formazioni universali, che
praticamente abbracciavano una gran parte della società civilizzata
che viveva in comunicazione. Questo fatto ci vieta di pensare a un
qualunque sistema di stato come espressione per sempre valida
dell'ordine della creazione, o di racco~liere in una presunta defi-
nizione 'atemporale' tropp: concreti elementi, come territorio, po-
polo. autorità dello stato, autarchia, sovranità. Esiste un pericolo
ideoloji!ico se lo stato viene semplicemente posto sullo stesso
piano della società, se perciò la realtà politica viene compresa com1..·
la struttura fondamentale che assorbe tutte le altre categorie della
realtà sociale, se lo stato viene semplil·ernente assolutizzato come lo
spirito oggeuivato dell'umanità.ai

11 li. l'Enws lt' ahril. 'S1"1'. in Sri. vii (•1.,62) 520 ,1q; .I. H. KA1sn, 'S1aa1'
khrr-·. in ~ti. \•111•,,,b21 ~ll96nt> 1h1hl l
LE COMUNl'l'A UlNCRF'l'F

La Scrittura parla parimenti soltanto di forme del tutto concrete


di stato. Gesù stesso, secondo l'evangelo (Mt. 22,21; Io. 19,11)
non prende posizione direttamente e tematicamente riguardo alle
questioni 'tecniche' dell'ordine sociale, riconosce però pienamente
l'autorità statale. Le lettere degli apostoli (Rom. 13,1-7; r Tim. 2,2;
Tit. 3, 1; r Petr. 2, 13-17) ponendosi nel senso della tradizione
giudaico-ellenistica considerano positivamente lo stato, e l'origine di-
vina della genuina autorità statale e del potere, il dovere di obbe-
dire in coscienza di fronte allo stato, e il compito di servizio dello
stato come rimuneratore, come protettore, come promotore del
bene. D'altra parte la Scrittura mette in evidenza che si deve ubbi-
dire più a Dio che all'uomo, e parla del contrapposto dello stato
buono, di una comunità totalitaria dell'anticristo e della bestia
(Apoc. 1 3 ).aJ Questo giudizio differenziato esorta alla prudenza nel
giudizio sullo stato come formazione naturale dell'ordine della crea-
zione.
A un determinato punto dello sviluppo storico lo stato è necer·
sario. Esso può originarsi differentemente, per una 'delega' della
autorità 'paterna', voluta da Dio, da parte dei capi famiglia e capi
tribù verso persone politiche ufficiali, o per altri fattori storici
contingenti. 11 Però Io stato non è una semplice confluenza arbitraria
di individui, è più che la somma dei suoi membri. Esso s'impose
agli uomini a partire da un certo stadio della loro evoluzione; essi
debbono crearlo 'come cosa di natura', senza la quale l'umanità. che
fu disposta dalla natura ad un vivere insieme, non può raggiungere il
'pieno sviluppo della vita'. Così Iddio creatore sta indirettamente
dietro al fatto dello stato, mentre la persona che è ad immagine di Dio
fu creata immediatamente da Dio. L'ordine dello stato, che deve esse-
re soprattutto un ordine di pace e di giustizia nella vita sociale, è un
elemento voluto da Dio all'interno della creatio continua dell'uma-
nità. Esso è un modo della conservazione e direzione del mondo da
parte di Dio. Lo stato partecipa dunque, attraverso le persone che

" \'. z~11 KO\"ll'S. v.. , .\/JJ/11.rJ.inlce n.i.·h P.i11(uJ In Riim 13,1·7, \Vien 19').J;
I I T11111.11 1;r. 11•1·0/ E//nk 11 2. Tiibini:cn 1•1,8.
"' Il hrt«r.111<:,im" fJ Jcm·.1r<· l"a111ori1il d..11" ~tale• dAll"ulli<-io di padre. Cf. II_
T111t I u ... , "" j" f'I' \\,.' .\-
L'l'OMO NELLA COMUNITÀ

fanno da mediatori, alla lex aeterna in Dio, che è anche l'ordine


storico della creazione illuminante gli uomini e il cui carattere ob-
bligante è riconosciuto dalla coscienza dei singoli.u Cosi, alla fine,
lo stato è una creazione del Lògos. La realtà politica non è una
zona libera da Dio e dall'etica. Sopra l'ordine statuale sta il senso
della creazione della realtà sociale.86
Lo stato non è certo semplicemente la società o l'insieme sociale.
Esso è per gran parte soltanto 'istituzione' e serve le persone, pro-
movendo valori di comunione nello spazio intramondano. Al ver-
tice del cosmo sta come gerarchia di valori la persona, non lo stato
istituzionale. Il bene comune personale tuttavia, al quale lo stato
serve, sta sopra il bene privato di singoli membri, e di comunità
minori. Se la realtà politica non esaurisce tutte le dimensioni sociali
della persona e lo stato non è semplicemente l'intera realtà sociale
dell'umanità, esso rappresenta tuttavia l'insieme in un preciso am-
bito del suo essere e nei limiti del suo campo. Esso è pure la rap-
presentazione dell'insieme più ampia che qualsiasi altro ente sociale
intermedio, benché soltanto frammentaria.
La solidarietà nell'ambito statuale comporta comunione di valori,
i quali abbracciano gli aspetti singoli del bene nel vivere sociale, e
li portano ad un'armonico equilibrio. Lo stato cosl serve indiret-
tamente al personale sviluppo dei suoi membri, alla più facile comu-
nicazione dei valori tra di loro, e perciò ad un progresso della cul-
tura umana. H compito immediato dello stato è, viceversa il bene
comune, che è l'insieme di condizioni favorevoli per lo sviluppo della
persona e delle comunità di persone.
Per questo fu affidato allo stato il compito di 'metter insieme il
buon volere' dei cittadini, affinché gli interessi particolari e gli egoi-
smi non mettano in pericolo il tutto, e cosl anche gli individui, ma
sia resa possibile un'ascesa storico-dinamica dell'umanità attraverso
la collaborazione di tutti.
Contro la tentazione di tendenze totalitarie la sussidiarietà ha il

as V. Zs1ncov1Ts, op. cit., pp. 93-<;8-


• R. HAUSElt, 'Du-christolog. Motiv dcr polit. Ethik der christl. Konfessioncn', in
Der Mensch unter Gottes Anruf und Ordnunlf., Diisseldorf 19,8, pp. 229-2,6; A
Aus.. Jl'.i:l1Jl6t:tU'T Chri.<t Diisselclorf 21Q(.2. PI'- 266-2qq.
LF. COMUNITA CONCRETE

ruolo di difendere nell'insieme la persona e le comunità minori


vicine alla persona. Perché lo srato viene sostenuto dalla persona
orientata alla socialità, e poiché rispetto ad essa ha una funzione di
servizio come istituzione, esso deve promuovere la partecipazione
attiva personale dei singoli alla vita politica. Ciascuno deve poter
adempiere la sua parte nd tutto in modo il più possibile libero.
responsabile, con iniziativa propria. Lo stato deve evirare I in consi·
derazione del bene comune) ogni restrizione nt•n ogge11ivamenrc
fondata dello spazio della libertà e promuovere le possibilità ragione-
voli di sviluppo di cutti.87 Così lo stato non s'immischia nella vita fa.
miliare o religiosa dei singoli, eccetto che non debba porre precise
condizioni minime nell'interesse dell'ordine pubblico. Lo stato deve
tener in considerazione il fatto che la persona si eleva al di là del-
1'insieme politico, in un ordine trascendentale: in esso la persona
- in coscienza - rende moralmente responsabile la sua condotta
di fronte allo stato, poiché essa è aperta alla parola di Dio, e acco-
glie gli impulsi ad un servizio disinteressato, non ambizioso rispetto
all'insieme. Se lo stato pretende obbedienza mediante la persona del
pubblico ufficiale, ha da rivolgersi di nuovo alla coscienza e non pu(1
servirsi di metodi indegni dell'uomo, della costrizione o del 'lavag·
gio del cervello', cosa che può accadere, in certo senso, anche attra-
verso una manipolazione adeguata dei mezzi di comunicazione
sociale.
Lo stato non può adempiere senza l'autorità i suoi comp1t1, m
quanto esso è pluralità di persone riunite per il proprio bene comune
sociale intramondano. Con ciò s'intende l'organo della formazione
comune della volontà nello stato, organo che rende possibile un or-
dinamento convergente di tutti verso lo stesso scopo. Poiché strade
in molti modi ddlerenti portano agli stessi fini, è per natura neces·
saria una isticuzione che possa fare con obbligatorietà le indispensa·
hili scelte. Ed essa è, nella stessa misura che lo stato, un elemento
dell'ordine della creazione.
L'organo che è portatore di autorità, può manifestarsi in diversi
modi. In nome della sussidiarietà certamente l'ideale che la comune
L'UOMO NEI.I.A COMUNITÌ.

formazione Jclla volontà si compia .attraverso la più ampia base


pcssibilc Ji pcrsom: atcivamente e liberamente compartecipi. nella
misura in mi ciò risp;.>ndt:, nelle situazioni scoriche concrete. real-
m,·nr..: al benc del 1u110. Lo sraco e la sua 'au1omm1i.1' sono 'alTiJaci'
alla lihcrtà dci cit1;1dini.
L'autoritÌI deve csserc fornita anche di forza cocrciti\'il l' puni·
1iva. Ciii non rnn1radJice al quadro tracciato dello staw. bensì è una
rnnsegucnza dcl Pt't'CtJ/o. Lo staw è sì dapprima un elcmcnto Jclla
creazione buona da parte di Dio, tuuavia trasrnrare h.: l·onscgucnze
Jel pcn-.110 sarl·bbc. ndl'ambico (X>litico, n1sa l·s1rant:a al1;1 rcalt;'i
e alla rivelazione. Clll'rcizionc e pena sono r<1gionc\'oli solo 4uanJo
è n1xcssario opporsi al male. Quando l.jllt'St i limiti vengono sorpas.
sati. allora h.1 luog11 un abuso ddla li>•za, chi.' - al"l·rc~cendo il
male - può arrivare 111 Jemoniani.
L1 1c11lo~i;1 C\'illl~clic;t è indinl· a vcdcre 111 s1;1111 prcvakllll'llll"lll•
rnme orJinamento necessario, posto da Dio, per la difesa dal
peccato t 11rurt• m11/u'11). Il prendere con serietà il peccato può
I ar me~lio. wdere la /unzione rtorrco-ralvifica dello stato. Esso
è una 'grazia' di Dio ndl'amhiro 'nawr.1lc' tdo,·,-. llt:ri1. ~an·hhc
meglio evitare il termine 'grazia'). Esso serve cioè alla conservazione
dell'ordine creato, della vita sociale, che è una premessa essenziale
dell'ordine della redenzione. Lo stato in ciò è esecuwre della poten-
za divina nell'ambito storico. Lo staco sia di f rome a Dio anche m
un rapporto di servizio, quando esso impedisce il peccato e lo
punisce e diventa così un'espressione del giudizio di Dio.""
Dell'aspetto religioso della realtà politica potrebbero non essere
consci in larga misura le autorità come anche i cittadini. In modo
diverso stava forse la cosa antecedentemente, in una comunità non
pluralistica, cristiana, con autorità patriarcale od oligarchica. 'Onto·
logicamente' lo stato può tuttavia ancor oggi adempiere la sua fun-
zione entro la 'storia generale della salvezza'. Esso può conservare
l'ordine in modo tale che uomini liberi possano singolarmente e
comunitariamente promuovere, secondo la loro coscienza. il bene
comune senza alcun ingiusto pregiudizio da parte di altri, quindi

1111 A. Allf.R, op. c11 .. p. 267; H. THlF.l.lCKE, Theol. l:thik Il 2, Tiibingen ••J58.
H COMt•NITA CONCllF.TI.

nella pace e protetti dall'ordine pubblico. Se qui si tratta della pre-


sentazione e della crescita di autentici valori comunitari creati, lo
stato non è solo una rappresentazione per quanto frammentaris
dell'unità e della comunità in Dio, ma esso adempie anche (in certo
qual modo come condizione preliminare) un compito in vista del-
l'avvento del regno.
Nel senso agostiniano lo stato può preparare la strada alla venuta
di questo regno, qualora esso procuri un aumento del vero bene
e della vera felicità. Ciò si fa chiaro solo nell'ordine della reden-
zione, che manifesta pure il significato dello stato inteso come 'realtà
della natura'. La tendenza all'abuso della potenza si manifesta chia-
ramente come una conseguenza del peccato, mentre l'obbedienza
e la sottomissione del Verbo incarnato di fronte allo stato, mani-
festano il significato più alto della comunità umana, cioè l:i
..:11munil'it1.io1w 1111ivl·r~ak 1wll'a11111n: nd llll.tlc l'io dimentica se
s11:sso, e u~ni 11rdin;t1Til'lllO sul.'ialc nazionalmenlc limi1ato viene
'de\';tto' ,,d un piano di \';tlori pili ;tiro. Qui ri~uha l·hiaro che la
potl·nza 111111 ~· li1w ;1 w ~i.·"·' e • lw 111 ,1.11n k1 ,1,lo cirattcre 'prov-
vis1>rio '.'•
Ma queste riscr\'c non conscntono di vedere nello stato solo un
intern:nw di Dio n>ntro il pecrnto o <l'imendcrlu come antitesi della
città di Dw. Per ALoSTll'\11 ogni comunità sorge grazie all'amore di
molti verso 1111 valol"t' (o un valore ;1pparenie I. il quale sprigiona
lla sé una t•il"!w 1111i1iua. poiché: bm1u111 nl di/!11Ji1•11m sui.
Nell'ordinamento ateo tutti portano in sé I' 'immagine dell'uomo
terreno', la quale, in quanto valore centrale, unisce tutti nel 'go-
dimento' dei beni terrestri: questo è lo 'stato mondano', una ca-
ricatura dell'ordine, poiché in esso, come in una banda di ladri,
ciò che tiene insieme i membri è egoistica smania di potere, di gua-
dagno e di pia<:ere.
La ci/là di .Oro è un ordinamento di pace, nel quale singoli,
famiglie e comunità superiori vivono nella grazia, quindi portano
in sé l'immagine Ji Dio; ciii significa che essi vivono di Dio quale

•• 11 T11111.1<KI. " ' ' f i l . l'I' \00·\ll\


!.'UOMO Nl,LLA COMUNITÀ

valore centrale unificante, 'godendo' Dio e amandosi vicendevolmen-


te in Dio.
Lo stato politico è una coesistenza di cittadini dello stato terreno
e di quello divino. I cittadini dello stato divino sono uomini. Il loro
corpo esige la partecipazione ai beni materiali, per i quali è orga-
nizzato lo stato civile. Cosl essi prendono parte all'ordine civile di
pace corresponsabilmente portando insieme i pesi.
Ma mentre i cittadini dello stato terreno nell'ambito dello stato
politico 'godono' (frui) i beni terreni e si immergono in essi, i cit-
tadini dello stato divino non assaporano fin in fondo questi beni per
loro stessi, ma li usano (uti) come mezzi all'interno di un ordina-
mento, che è stabilito in vista di una meta più elevata. I cittadini
dello stato divino sono impegnati quindi r.ello stato politico.
Se l'autorità civile rompe, viola l'ordine, essi la rispettano ugual·
mente, ma devono soffrire molto per i suoi errori. Cosl lo stato divino
rafforza lo stato politico e collabora alla conservazione della pace
e dell'ordine.
Tuttavia la Chiesa non deve essere identificata con lo stato divi-
no, poiché tempore sacramentorum appartengono ad essa anche
cittadini dello 'stato terrestre'. Lo stato divino si trova dove la
'immagine' di Dio è realtà vivente e vivificante come preparazione
terrena alla comunità perfetta con Dio, nell'uomo-Dio quindi e in
ogni vita conformata a Cristo."'
Lo stato però è un lògos spermatik6s riguardo a quella meta
della vita sociale e della storia che è la comunità definitiva univer-
sale. Sul camm;no verso quest'ultima unità c'è forse da postulare
una riunione istituzionale di tutti gli uomini sotto una autorità ter-
rena internazionale? La risposta sarà positiva se e nella misura
nella quale negli interessi terrestri e nella situazione storica attuale
solo una tale associazione può garantire certi valori comunitari di
grande importanza, come per es., la pace internazionale, la sicurezza
di uno scambio di beni economici (per appianare i dislivelli di
vita, causa di tanto disordine), il progresso della cultura tra-

.., E. G1LSON. Dtr hl. Auiustinus. Hdler1u 1930, pp. 301-322.


BIBLIOGRAFIA

mite una comunicazione dei valori spirituali che eviti un livella-


mento, ecc. 91
L'accento si sposta sempre di più dalla solidarietà alla sussidia-
rietà a salvaguardia dell'ambito della libertà, dalla famiglia, attra-
verso associazioni intermedie, verso lo stato per la formazione di
una compagine statuale internazionale che esige, ora più che mai,
una struttura federalista antitotalitaria. Tuttavia anche una compa-
gine statuale internazionale di tutta l'umanità avrebbe valore solo
'provvisorio' e frammentario in vista della «tota redempta civitas»,
che in Cristo sarà l'immagine completa e reale dell'unità e della
comunità divina.
GEORG HOLZHERR

91 Cosiituzione pastorale Gaudium el Spes, nn. 83-90.

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SEZIONE SETTIMA

LA FORZA CREATRICE DELL'UOMO


TEOLOGIA DEL LAVORO E DELLA TECNICA

L'uomo, quale essere cosciente, partendo dalla sua natura è teso era
due poli, che egli non può interamente raggiungere e integrare, com<;>
non può svincolarsene e dai quali non può separare, strappare, ta-
gliare il suo compimento vitale ed esistenziale. Essi sono: verso il
basso la materia, verso l'alco Dio.
Dio è l'ambito infinito del suo essere che l'uomo non può mai
raggiungere e fondere completamente in sé, e che tuttavia non può
né negare né rinnegare: sempre per l'uomo rimane una trascendenza
verso l'alto.
La materia è quell'elemento che egli non può risolvere intera-
mente in spirito e che non può dominare pienamente né col pen-
siero, né con la volontà. L'uomo rimane sempre legato a un ele-
mento che non è completamente lui stesso e che sostiene e reprime
nello stesso tempo il suo spirito, lo nutre con sempre nuove im-
pressioni e lo impedisce nel suo slancio verso l'alto, gli conferisce
forza e tuttavia appesantisce la sua volontà, lo potenzia e contem-
poraneamente lo limita. La materia, che gli appartiene, gli fa per-
cepire che egli non è pienamente se stesso, che egli non esiste da se
stesso e non può abbracciare tutta la sua esistenza, che egli non è
solo potenza, ma anche impotenza, che egli non è un essere assoluto,
ma contingente, vulnerabile, non creatore, ma creatura. Egli trae
origine da profondità che non può scandagliare.'

I Per i seguenti accenni d. la fondazione generale fondamentale di H. GRoss,


cap. 6, scz. 2. Nel nostro tema è impossibile separare completamente le affermazioni
teologiche da quelle filosofiche. La Bibbia si occupa qui di un mondo d'esperienza
e di pensiero al quale le realtà, i concetti e le conoscenze odierni sono ancora sco-
nosciuti. Una teologia dcl lavoro puramente biblica si è dimostrata piuttosto povera.
lcf. i lavori di IIAESSLE, RoNDET, HAUCK, BIENERT). Per giungere a risultati con-
creti, le affermazioni bibliche devono esser confrontate con le conoscenze odierne
oppure, ancor meglio, devono essere portate con esse ad una sintesi. Questo può

H - M.1•s/cr111111Suiuti<,11/2
LA 1·uaZA CMf.ATKICE PF.l.L UOMO
0

1. Per lo sviluppo della teologia del lavoro

a. Teologia dcl racconto della creazione

La Bihhia esprime questo rapporto dell'uomo con la mareria con


efficacia e in 1u11a chiarezza nelle immagini e nei racconri della
scoria dclla creazione. L'uomo è un essere composto. «Polvere» e
«alito di Dio» (G'e11 2,ì) appartengono al suo essere; ciò che è
mono e ciò l·he è vivo. materia e spirito sono in lui collegati.
Quesro legame però non ha in sé. secondo la Scriuura. nulla di
J~grada111c. nulla di contraddirtorio alla maniera manichea. Essi'
inolin· non nasce: da una cieca o necessaria evoluzione cosmica. da
una lo11a tra mareria e spiriro. oppure come casuale varianre del-
l'essere. bensì è un'opera di Dio crcatore. sapicnre. ordinatore l'
amante. Così lfuesto composro non è qualcosa contro natura o da
disgiunjlere. Al contrario: proprio lo scioglimento signi!ìca morte.
Il legame significa qualcosa di posirivo. è un'animazione e un'ele-
vazione della materia, la partecipazione di questa alla vita e al
respiro del Jivino. Tale respiro però trova in questo legame il suo
sostegno, h·. sua possibilità J'azione, la sua realtà. la sua propria
esistenza.
Questo essere non è isolato e sospeso nel vuoto. La Bibbia pone
subito l'uomo in un <'giardino» (Gen. 2,8). Ancora di più; ques111
nuovo essere non è solamente «tratto dalla terra» portando in sé
«l'argilla» come elemenro essenziale, bensì esso non può né rnn-
servare, né sviluppare la propria esistenza senza uno stabile uso e
scambio, senza un'azione e una reazione con la materia. «Voi ,.i
nutrirete dei suoi frutti» (Gen. 2,16). Questo esser costretti a far
affidamento sulla materia non è giiì pensato come maledizion~ e
gravame, bensì innanzi1utto come dono: come «paradiso». E 4uesw
non solo in un senso c contcsto soprannaturali, ma anche nawrali.
ammesso che questa distinzione sia 4ui già presente.
Dono e missione, elevazione e dignità non si fermano qui: Adamo,
l'uomo, deve coltivare il suo «giardino» (Gen. 2,r 5 ), deve «saggio-

valere anche pc:r ~hri problemi, nei quali l'evoluzione storica ha un grande ruolo.
Cf. J. DAYID, 'Theolugic dcr irdischc:n Wirklichkciten', in FTh S49·~67.
sv1u1r1~111H.l.A n:Ol.OGIA UEI. 1.AVOHO

gare la terra» e deve avere il dominio sugli uccelli del cielo e i pesci
dell'acqua e su tutti gli animali che si muovono sopra la terra
(Gen. r ,28).
Il rapporto dell'uomo con la materia, con il mondo materiale e i
suoi beni non è, secondo il sempre sorprendentemente geniale rac-
conto della creazione, né puramente reale statico, né pura neces-
sità e uso, bensì un rapporto dinamico di 'prendere in servizio',
di coltivare. di dominare. Il racconto accentua in tutto il contesto
il fatto che, sia l'associazione e la comunione di vita tra uomo e
donna, sia anche il mandato e la sovranità sul mondo materiale
hanno qualche rapporto di somiglianza con il Creatore e con I' 'ali-
to' di Dio.
Questo essenziale, positivo e dinamico rapporto fondamentale
dell'uomo con il mondo materiale non è però rimasto inalterato, se-
condo la testimonianza della Genesi stessa. Questa perturbazione
non deriva tuttavia dalla materia, non dalla associazione tra uomo
e mondo materiale, ma dallo spirito, dallo spirito dell'uomo, che
volle «diventare come Dio» (Gen. 3,5), e da un'oscura, inaffer-
rabile forza spirituale. la cui essenza. la teologia, fino ad oggi non è
stata in grado di spiegare esattamente. La caduta in peccato è sl
descriua in modo profondamente significante con l'immagine del
mangiare un frutto materiale (Gen. ~.6), però l'intima esse117.a è il
tentativo dell\:mancipazione da Dio, la disobbedienza, l'innalzarsi
al di sopra dcl creatore, che è l'assoluta fonte originaria dell'essere,
è il tentativo cioè «di essere come Dio».
Conforme a ciò è il castigo: esso si ripercuote nell'ambito mate-
riale (Gen. 3,16-19). ma la sostanza è l'alterazione del rapporto con
l'Assoluto, che causa anche la.perdita della giusta relazione, da domi-
natore, nei confronti del 'visibile', del limitato, dcl contingente:
«Spine e cardi farà spuntare ... Con il sudore della tua faccia man-
gerai pane» (Gen. 3. T 8 s. ). Tuttavia anche questo strappo nella
esistenza umana, che non trae origine dalla natura, ma da motivi più
profondi, non rimane, nello stesso resoconto biblico, senza una pro-
messa (Gen. 3,15), il cui adempimento alla fine non viene da penti-
mento e da sforzo dell'uomo, bensl da una dimostrazione di grazia
da parte di Dio, il creatore, misericordioso e redentore.
LA FORZA CREATRICE DELL'UOMO

Si tratta ora di spiegare nell'insieme della rivelazione e in una


teologia vicina alla rivelazione questi quattro eh:menti fondamentali:
l'associazione naturale, conforme alla creazione e insopprimibile,
tra uomo e materia, la missione di dominio dinamico sul mondo
materiale, l'alterazione attraverso il peccato, la redenzione prossima
e remota e il compimento escatologico.

b TeoltJgia del lavoro nell'ordinamento di un'economia statica

Non è da stupirsi che non tuttl 1 testi della rivelazione abbiano


potuto portare fino in fondo intatta e inalterata la concezione gran·
diosa e completa del primo capitolo della Genesi. In essi si rispec-
chiano momenti di fioritura e di decadenza culturale, sociale, reli-
giosa e morale: ora spicca più chiaramente l'uno ora l'altro punto
di vista, o rientra nell'ombra. Questo vale per il rapporto comples-
sivo dell'uomo col mondo visibile, in particolare però per la conce-
zione del lavoro, della tecnica e della cultura. 2 Per lunghi tratti
viene considerata (e sperimentata!) più la fatica che la capacità pla-
smatrice e il dominio, più che l'aiuto la tentazione che viene all'uo-
mo dall'ambito materiale.
Tuttavia colpisce il fatto che, per esempio nei Salmi, ci si
lamenti di gran lunga di più della persecuzione e dell'oppressione
ad opera degli uomini, che delle catastrofi naturali, cioè degli in·
cendi, delle siccità, dei cattivi raccolti, delle malattie e della morte.
E dove si parla di questi avvenimenti, essi non vengono attribuiti
alla 'natura' e neppure ai demoni, bensì quasi esclusivamente al
peccato degli uomini e alla corrispondente collera di Dio.
In un'epoca in cui l'economia era stazionaria e a raggio ristretto,
un progresso tecnico era appena visibile; d'altra parte però lo
sfruttamento del lavoratore da parte dei ricchi e dei potenti era
grande, e perciò la Sacra Scrittura cercò di difendere la dignità
dell'uomo lavoratore soprattutto attraverso le seguenti ammonizioni
e disposizioni:

2 Cf. H. RONDET, ''f.lémem pour une chéologic du travail'. l..'rn/anl rl wn avrmr


profruionnel, Paris 1959; W. BIENEaT, Dir Arbrit im Lich Jrr Bibd, Bcrlin 194<i.
SVll.UPPO DELl.A TEOl.OGIA DEL l.AVORU

aa. Il riposo sabbatico. Esso doveva non solo assicurare all'uomo


impegnato nel lavoro l'indispensabile pausa di riposo, ma anche
collegare, attraverso il suo carattere religioso, lo spirito e il lavoro
dell'uomo con i più alti fini della natura umana (cf. fra l'altro Ex.
20,8-11 e Dt. 5,12-15).

bb. L'ammonizione contro l'avidità, la cupidigia e l'avarizia (per


es. Am. 2,6 ss.; 4,r; 5,II ). In un tempo in cui i beni non erano
facilmente moltiplicabili, e la ricchezza dell'uno andava quasi neces-
sariamente a costo della povertà dell'altro, il problema della giu-
stizia era innanzitutto un problema di divisione dei beni disponibili,
e nello stesso tempo un avvertimento al ricco a non soffocare nella
cupidigia dei beni materiali la sua dignità umana, come pure a non
schiacciare la dignità del povero con la mancanza del necessario per
vivere. Nella stessa direzione va la prima esigenza, quella di non
trattenere al lavoratore il salario pattuito; era ritenuto che questo
peccato «gridasse vendetta al cielo»: il povero stava sotto la pro-
tezione dell'Altissimo (Deut. 24,15 s.; Lev. 19,q).
Una eguale divisione dei beni non era ancora un «problema di
economia politica•, la soluzione del problema della povertà non
consisteva ancora nell'aumento della produzione bensì in una divi-
sione dei beni esistenti disponibili che fosse rispettosa della dignità
dell'uomo (per es. Dt. 15,7-18).
cc. Accanto al gravame opprimente dcl lavoro la Scrittura cono-
sceva però anche la gioia del lavoro, specialmente in alcuni Salmi
(cf_ p. es. Ps. 104). Ma la gioia consisteva soprattutto nel rapporto
con la natura e nell'attesa di un raccolto abbondante grazie alla be-
nedizione di Dio. Lo sviluppo delle proprie capacità, l'intimo cre-
scere e rafforzarsi dell'uomo attraverso la sua prestazione, meno
che meno il progresso non entravano ancora nell'ambito di questa
cultura.
L'ammonimento contro l'ozio aveva prima di tutto una motiva-
zione soggettiva: l'ozio è il principio di tutti i vizi (cf. fra l'altro
Ecdus 22,1 s.).

dd. Pur nella gioia per lo splendore, per l'oro, per le pietre prc·
I.A FllRU CREATRICI' Jll'U.'llOMO

;dose, per le vesti costose e per gli µngucnti pregiati, che venivano
ammirati specialmente nel tempio e nei re, e nei quali veniva rico-
nosciuto anche un potenziamento Jdla vita, la Scrittura tuttavia
non nascondeva per l'uomo Ja H d11zio11e dcl uare maggior impor-
0

tanza allo splendore: csicrno invt'Ct' che: .1lla aescita interiore. Risul·
tava chiaro non solo il l'l'ricolo per il 'riu:o' di opprimcrc per nipi-
digia il povero, ma anche quello di so!Tocnn: tra 'spini e triboli' le
proprie pili alte aspirazioni (la. 9,22; Pr. 52,9; Prov. 11,28 t'
pauim).
L'esortazione continuamente ripetuta, di elargire elemosine (Deut.
15,rt; Prov. 3,27 s.) era intesa non solo come aiuto per i
poveri, bensì altrettanto come aiuto per la liberazione del ricco
dalla schiaviti1 dci beni materiali e per la spiritualizzazione deg!i
stessi. Nella coscienza dell'uomo entrava in modo pratico, attra-
verso l'elemosina elargita generosamente, l'origine di questi beni
come derivanti non solo dall'abile operosità umana, bensì soprat-
tuuo dalla mano e dalla benedizione di Dio creatore, e la deter-
minazione della finalità degli stessi, di essere, cioè, mezzo per la
attuazione dell'umanità, ma anche per la testimonianza di gratitu·
dine nei confronti del creatore.
Capacità creati\'a, invenzione, attività artistica non ebbero in-
vece nell'amico Israele e fin nel Nuovo Testamento un significa-
to positivo. Esse eran(J, se pur semplicemente esistevano, trop-
po collegate col paganesimo, col culto Jegli Jèi, con la prcpo1cnz.1
e gli atti di violenza dei popoli ci\·ilizzati finitimi, per poter essere:
riconosciute nel loro valore positivo. Solo ciò che direttamente po-
teva servire al culto di Dio, in primo luogo poesia e canto, aveva
un significato positivo. Perfino in / Cor. 10,31 troviamo ancora
questo passo: «Sia dunijue che mangiate, sia che beviate, o qual-
siasi cosa facciate, fate tutto per la gloria di Dio». Non si parla del
lavoro professionale! Cosl pure in Col. 3,16 s.; Eph. 5,19; 1 Cor.
14,26.
La situazione non era molto diversa nel Medio Evo. Lo stesso san
TOMMASO vede nel lavoro solo un quadruplice scopo: appresta·
mento dci beni necessari per la vita, rimedio contro l'ozio, freno
della concupiscenza, possibilità di fare elemosina (S. tb., I-II, q.,
SVILUl'l'U 111'.l.I.,\ TFOLOGIA lll'I. 1.AVORO

187, a. 3). Egli confronta la vira 'attiva' con quella contemplativa


e dà ovviamente la preferenza a 4uest'ultirna nel quadro della sua
filosofia e seguendo la concezione del mondo di allora. Unicamente
nell'estetica, nella filosofia dell'arte, appare il presentimento di
un'altra valutazione, nella quale però l'attcm:ionc rimane pur sem·
pre rivolta pii1 all'opera d'arte che alla creatività artistica.

c. Irrompere d'una nuova concezione

Appena nell'epoca moderna si fa strada una nuova valutazione, dap·


prima in campo profano, senza e non di rado contro la reologia.
L'enorme esplosione al passaggio dcl secolo xv al secolo xvi. l'epo-
ca del Rinascimento, dell'Umanesimo, dell'Illuminismo, della con-
quista dei nuovi continenti, della autonomia delle scienze e delle
arti, del forte incremento delle scienze naturali, della tecnica e del-
l'economia, della trasformazione dd mondo e degli stati nella loro
struttura, interna ed esterna, del disfacimento e ddl'climinazionc:
della sacralizzazione medievale di ogni settore della vita, condusse a
nuove vedute e a conce-.1.ioni nuove.
Solo con esitazione la teologia seguì tutto questo, essa che trop-
po a lungo era rimasta sulla difensiva, sebbene non si possit
negare il paradosso che in verità tutti i settori profani attuano In
loro autonomia e il loro sviluppo per lo piLr co111rn le posizioni
della Chiesa, ma d'altra parte tutti, per <.jlumto si tratta della mo-
derna comprensione di questi settori, si svilupparono esclusiva-
mente su un terreno penetrato e profondamente improntato dal
cristianesimo.
Questo non vale solo sul piano puramente storico-fattuale, ben-
sl, come sempre più chiaramente si riconosce, anche su quello dei
principi. Soltanto la fede nel fatto che la materia è stata creata, la
fede nell'immagine di Dio nell'uomo, nella parrecipazione dell'uomo
alla superiorità sul mondo e alla porenza creativa di Dio, sgombrò
il terreno sul quale si sono sviluppare, e si potevano pienamente
sviluppare, una scienza libera da animismo, da magia e da diviniz-
zazione della natura, una tecnica ed un'economia. 1

J Cf. in proposito, ptt n .. i lavori di F Dcss.aucr, J. Hommn, K. BroclunOllcr.


po I.A l'OK;(A <.:KEATR!CE DF.tL'UOMO

2. - Riflessione sistematica

a. La natura del lavoro

La natura del lavoro umano, nel corso della storia, nella quale si
sviluppano sia il lavoro stesso sia la riflessione sopra di esso, si
svela sempre più come nient'altro che un inserimento di spirito
nella materia. Attraverso questo inserirsi lo spirito stesso si svi-
luppa. mentre dispiega sempre più coscientemente le sue forze del
conoscere, del volere, del progettare, del riuscire. Si sviluppa però
anche la materia, che attraverso questa impregnazione di spirito
non diviene solo qualificantemente idonea all'impiego per l'uomo,
ma anche sempre più spiritualizzata, umanizzata, ingegnosamente
sviluppata nelle sue possibilità, inserita nell'ambito umano e per
questo anche più simile allo spirito. Quanto più la materia
oppone resistenza allo spirito, tanto più lo provoca: essa limita
sl la volontà dell'uomo attraverso le sue leggi, ma la sprona
anche ad un sempre maggior impiego e sviluppo della sua capacità.
Una macchina da scrivere, per es., oppure un cervello elettronico
(computer) non può evidentemente essere costruito senza questa
attenzione alle leggi proprie della materia, la quale, ad opera
della forza dello spirito che riconosce e costruisce, è certamente
sempre più ricondotta dalla sua casuale forma esterna al suo
nucleo sostanziale e quindi viene resa disponibile a sempre mag-
gior possibilità; macchina da scrivere e computer utilizzano a
fondo le possibilità interne della materia - essi indicano però al
tempo stesso qualcosa, che supera semplicemente questa legge
interna della materia e che si colloca più vicino allo spirito razio-
nale che alle leggi proprie della materia. Analogamente del
resto il linguaggio dell'uomo o una sinfonia non si attuano
senza onde sonore, ma sono infinitamente di più, qualcosa di
veramente nuovo, di più affine allo spirito di ciò che noi chiamiamo
materia.
In questa lotta per la penetrazione e la trasformazione della ma-
teria lo spirito stesso si sviluppa; esso si libera dall'arbitrio ed ac-
quista al tempo stesso un incremento di libertà e di consapevo-
1111'1.~SSION~ SIS'l'l~MATICA
521

lczza della propria forza, avanza a tastoni verso nuovi orizzonti e


ha un presentimento del tutto nuovo dell'Infinito. Inoltre se da
una parte questa lotta supera la forza del singolo e costringe alla
associazione e alla collaborazione, dall'altra però essa rafforza la
comunità umana, e contemporaneamente il prodotto di questa lotta
crea nuove possibilità di estensione, wmc pure d'intensità di
collaborazione.
Come ogni agire umano, anche questo sforzo e il suo successo so-
no alla fine certamente ambivalenti: essi possono condurre l'uomo
a sempre nuovi confini del suo essere e cosl portarlo vicino al crea-
tore infinito, essi possono però anche renderlo ebbro di sé, rinchiu-
derlo nel suo mondo cosl fortemente dilatato (che però rimane sem-
pre finito) e cosl in definitiva condurlo all'insensatezza e all'auto-
distruzione: al vertice del suo potere: al nichilismo. In modo tra-
gico e pieno di presentimento ciò è rappresentato nel racconto bi-
blico della costruzione della torre di Babele e della sua fine.

b. I momenti nello sviluppo della creatività umana

Nello sviluppo dell'azione creatrice umana si possono cosi indivi-


duare i seguenti momenti:

aa. L'uomo, che è stato dal creatore incaricato senza possibilità


di rinuncia all'uso delle cose materiali, lavora innanzitutto per con-
servare la sua vita e per facilitarla. Egli elabora le cose della na-
tura visibile, per renderle più appropriate e più abbondanti per le
sue necessità. Sotto l'aspetto religioso il Creatore con ciò lo chiama
a contribuire lui stesso in qualche misura alla sua esistenza ter-
rena, e non a riceverla solo passivamente o a sopportarla, bensl a
prender parte attiva alla sua conservazione e al suo sviluppo.

bb. Egli non lavora solo per sé, ma anche per i suoi: egli si as-
sume attive responsabilità per l'esistenza e per lo sviluppo di altri
uomini a lui affidati: dimostrazione della attiva solidarietà in uno
strettissimo ambito in cui può vivere e vive un'esperienza personale
e che ha acceuato.
LA FOl1.A CltEATUCE DELL'UOMO

cc. Egli non lavora solo per altri, ma anche assieme con altri.
La comunità di lavoro è una nuova forma e un nuovo modo di spe-
rimentare la socialità: ordine, associazione e subordinazione si svi-
luppano. Si dispiega il campo per l'organiz1.azione, direzione e au-
torità, pratica e concentrazione del potere; per la garanzia Jelht giu
stizia, della fedeltà, dell'onestà, della sicurezza, dell'interesse per
gli altri.

dd. Nel lavoro l'uomo non plasma ~olcanto la materia esterna,


bensì sviluppa e plasma anche se stesso: e non solo nelle sue facoltà
corporali, bensì anche in quelle spirituali, e non solo nella cono·
scenza, ma anche nella volomà.

ee. Nel lavoro, specialmente in quello ad alto livello di qualifica·


zione, l'uomo acquista contemporaneamente maggior indipendenza
dalla materia e maggior dominio sopra di essa. Come questo dominio
deriva dalla somiglianza con Dio creatore, cosl pure la sviluppa.

ff. Attraverso il lavoro il mondo materiale non vien solo dominato,


ma anche elevato, impregnato di spirito, 'umanizzato' e avvicinato
allo spirito. Le sue proprie possibilità vengono sviluppate, ma an-
che spinte oltre se stesse in nuove dimensioni, che stanno più vi-
cino allo spirito.

gg. Dopo che lo sviluppo del lavoro, dell'economia, della scienza


e della tecnica ha condotto al fatto che l'uomo non solo usa delle
cose della natura, ma le plasma nuovamente in misura crescente, si
svela in modo insospettato il carattere dinamico sia del mondo ma-
teriale, sia di quello spirituale: il mondo non è un posto di osserva-
zione e di lavoro, completo e statico, bensl un processo. La conce-
zione statica del mondo è diventata dinamica; l'unità del mondo,
come l'unità dell'umanità, viene concepita non puramente come
un'unità combinata dal Creatore, bensl come un'unità che si svi-
luppa e si plasma nel corso della storia, per forze interne. Così
pure non si può omettere che anche l'idea di Dio che la teologia
ha, assume sempre più fortemente quei tratti dinamici, che ha nella
KIFU.SSIONE SISTEMATICA

rivelazione, ma che nel sistema concettuale platonico-aristotelico


non poterono adeguatamente farsi valere ed esprimersi.4
Anche il concetto di natura non potrà non esser intaccato da
questo processo dinamico di trasformazione. insieme con tutte le
conseguenze che ne risultano per la teologia dell'incarnazione, del-
l'eucarestia, della Chiesa, della storia della comunità, dell'escatolo·
gia e in particolare delle esigenze morali. Non è più così facile ed
inequivocabile definire cosa sia realmente 'natura' e 'natura immu-
tabile' e fino a che punto essa sia moralmente normativa. L'antro-
pologia e la morale si trovano qui di fronte a nuove aperture.

hh. La maggior parte dei motivi e degli elementi di una teologia


dell'azione creatrice dell'uomo hanno trovato sia nell'Enciclica Ma-
ter et Magistra ( 1967 ), sia specialmente nella costituzione pastorale
sulla Chiesa nel mondo contemporaneo (1965) la loro conferma e
la loro sanzione. La costituzione ne fa derivare perfino un impegno
vincolante dell'umanità per il progresso (d. nn. 34-35,64, i capi-
toli sull'attività umana nel mondo, sulla retta promozione del pro-
gresso della cultura, e sulla vita economico-sociale). «Gli uomini e
le donne, infatti, che per procurarsi il sostentamento per sé e per
la famiglia esercitano il proprio lavoro così da prestare anche con-
venientemente servizio alla società, possono a buon diritto ritenere
che col loro lavoro essi prolungano l'opera del Creatore, si rendono
utili ai propri fratelli, e donano un contributo personale alla realiz-
zazione del piano provvidenziale di Dio nella storia (GauJium et
Spes, 34).
Si aggiunge però subito energicamente: ccL'attività umana in-
vero, come deriva dall'uomo, cosl è ordinata all'uomo. L'uomo, in-
fatti, quando lavora, non soltanto modifica le cose e la società, ma
anche perfeziona se stesso. Apprende molte cose, sviluppa le sue
facoltà, è portato a uscire da sé e a superarsi. Tale sviluppo, se
ben compreso, vale più delle ricchezze esteriori che si possono
accumulare.

4 a. i lavori di K. Rahnc:r, K. Brockm<illrr. K. Barth, l'intera tenden7.a nella


Bibhia e nella 1,·oloi:ia, ~ vedere Dio r1r/1'1111tJ J1 rJR.trr.
LA l:'OllA CllEATRICf. bEl.LUOMO

L'uomo vale più per quello che ·~· che per quello che 'ha'. Pa-
rimenti tutto ciò che gli uomini compiono allo scopo <li conseguire
una maggiore giustizia, una più estesa fraternità e un online più
umano nei rapporti sociali, ha più valore dei progressi in campo
tecnico. Questi, infarti, inssono fornire, per così dire, la materia al-
la promozione umana, ma da soli non valgono in nessun mo<lo ad
cficttuarlai. (Ga11dium et Spes, 35 ).
Ql1indi l'insieme dcl progresso <."Steriore e la costrm:ione di una
cultura oggettiva vengono di nuovo reinseriti nella crescita ~et·
tiva dell'uomo stesso. Ma questo è tutto? Le opere della cultura
oggettiva hanno solo il valore di far progredire lo sviluppo sog·
gettivo dell'umanità, oppure hanno un valore in se stesse?

ii. Con ciò si è sollevata la questione del valore escatologico defi-


nitivo delle cose materiali e del 'mondo'. La rivelazione insegna che
la figura cst~rna di questo mondo passa - o piuttosto viene radi-
calmente trasformata. La forma es1ema passerà interamente quando
avrà attuato i suoi fini soggettivi? Il problema sfocia nella que-
stione del significato della risurrezione del corpo. Il corpo significa
sempre anche 'mondo', e mondo significa sempre anche 'ambiente
dell'uomo'. Che significa alla fine la frase «Le loro opere. li seguono»
(Apoc. 14,1 3 )? t da intendersi solo soggettivamente, come merito
di colui che opera, oppure in un qualche senso anche oggettiva-
mente? A questo punto questa domanda può solo venir posta, non
risolta.

c. Per una filosofia e una teologia della tecnica

La tecnica come attività creatrice indica una forma superiore


di lavoro, in quanto essa testimonia in misura cospicua 'inserimento'
( im-pressione) di spirito nella materia. Essa significa un nuovo gra-
do di questo impegnarsi, in quanto mostra alcune particolarità di
grande portata umana e teologica: 5

r.-..
5 Ci. F. Dl!SSAUEK, Strl'tl ,,,,, 11il' h11ik, Frankfurt 1958; J. IIOMMF.S, Dl'r Ern1
tln Trcb111k. Frciburg , 9 ,,; VI. VAN BENTHEM, D~ E1bo1 J~r Ttcbniscb~n Arb~il
'""' tln Trcbnik. ~ 1966.
alFLESSIUNE ~ISTEMATICA

aa. I mezzi, sia quelli cli prcx:iuzione come i mezzi di consumo,


assumono qualitativamente e quantitativamente una sempre più
grande estensione. Così essi danno in mano a colui che li pos-
siede, li padroneggia, li sa produrre e usare, enormi possibilità
e fattori di potere che gli assicurano un vantaggio considerevole
nei confronti degli altri uomini e che lo mettono in condizione di
dominare in tal mcx:io non solo sulle cose, ma anche sugli uomini.
In questo mod,> essi promuovono ed esigono la socializzazione della
umanità. Essi pongono con particolare acutezza il problema dcl
potere.

bb. Questi mezzi acquistano una certa autonomia e presentano


all'uomo delle esigenze: essi esigono per la loro produzione molta
scienza e competenza, e, nello stesso tempo, l'impiego di. consi-
derevoli capitali e forze lavorative; in una compagine sociale se
devono essere finanziariamente sostenibili, (cioè se devon poter
'rendere'), esigono l'impegno intensivo massimo possibile e spin-
gono cosl ad una sempre maggiore attività materiale; essi producono
in tanta abbondanza, che ci si vede commercialmente obbligati a
smerciare ad ogni costo i prodotti, il loro uso e consumo mediante
una propaganda intensiva e dispendiosa, non di rado immorale e
dannosa all'uomo. Perciò esigono e determinano certe forme sociali
e tecniche d'organizzazione (grandi aziende, grandi imprese, mercati
estesissimi, propaganda, rapido smercio, ecc.) .

.cc. Questi mezzi minacciano di rendersi autonomi anche nel sen-


so che essi per lo più non sono utilizzati da colui che li ha prodotti,
bensl esigono una certa esistenza propria, che può durare e avere
efficacia per più generazioni. Le grandi attrezzature, la potenza delle
macchine, le imprese dei trasporti, le invenzioni che si susseguono,
la pressione alla continua razionalizzazione attraverso una sempre
maggiore specializzazione e ripartizione del lavoro umano da una
parte, e dall'altra la necessità di procurarsi continuamente macchine
sempre più complicate, i fenomeni sociali, che ne risultano, una
concorrenza spietata, alti e bassi congiunturali e le condizioni di
vita che ne derivano, non influiscono solo sulla vita di quelli che
I.A FORZA CR.EATKIC~ l>~LL'UOMO

creano queste c:ost· e lt" or~anizzano_, ma anche sulla vita di un


incalc.:olahile numero di altri uomini, che sono esposti a queste situa-
zioni senza possibilità d'esercitare alcuna influenza. Tutto ciò fa na-
scere in molti uomini, che non riescono a vedere tutto il contesto, la
sensazione J\·sscr soprafLmi da potenze extraumane, Jal 'demone
della te<:nica'.
C:ili ch'è stato chiamato 'demone della tecnica', non sta però in
questi mezzi della tecnicu, ma nella sproporzione tra lo sviluppo dei
mezzi e qudlo dell'uomo e della sua organizzazione sociale. Sta
nel rapporto sbagliato esistente tra la pienezza e la grandezza delle
possibilità che la tecnica offre da una parte, e l'uomo. i suoi carat-
teristici punti deboli, le sue fragili forze: morali, la sua insufficiente
e inade~uata educazione all'uso di questi mezzi conforme a ragione
e da dominatore, la sua arretrata organizzazione sociale, e infine la
difficoltà di ripartire e di controllare il potere dato da questi mezzi.
Se prima l'uomo vedeva il 'demone' più nelle forze della natura,
alle quali egli si vedeva esposto senza aiuto, oggi egli lo sente in
primo luogo nei mezzi e nelle organizzazioni, di cui egli stesso è
artefice, e che ora minacciano di diventare per lui tentazione di
potere e d'abuso, oppure anche (nelle mani di altri) un destino
non voluto e non dominato. Questa tentazione non riguarda solo
l'abuso dei mezzi e della loro potenza, l'intemperanza e la smode-
ratezza nell'usarli, il dominio, l'oppressione, il sopruso e lo sfrut-
tamento di altri uomini, bensì ha un influsso anche spirituale dando
all'uomo il senso di uno sfrenato despotismo e di una potenza sfre-
nata, che poi lo spinge a negare o a rifiutare ogni superiore potenza
e dipendenza (cf. la figura del 'Promoteo' • presso i greci e, in
Goethe. quella del 'Faust' I.
Questa tentazione esistette, a dir il vero, d.1 5cmpre, come mt"
strano i racconti delld co'>truzione della tom: di Babele, della schia
vitù d'Israele in Egitto, Jdla sfrenatezza lin·nziosa di Salomone da
vecchio e dei suoi figli, della «superbia dei pa~ani», ccc. Soltanto
che questa tentazione nei tempi mode~ni ha ~•ssunw, attraverso la
estensione e l'efficacia dei mezzi da una parte, come attraverso il

• Cf r DESSAL'H. Pru•ll~lbrns unJ Jz,· \X'dttlbd. l'ranklurl 1\1'''·


KIFLESSIONE SISTEMATICA

razionalismo secolarizzante dall'altra, forme più fredde e più evi-


denti. Fin a che punto poi le forze spirituali extraumane possano
servirsi di questi mezzi e delle loro tentazioni per influenzare l'uo-
mo, è un problema che sarà chiarito più avanti. 7 È certo però che
questo 'demone della tecnica' non può essere padroneggiato attra-
verso il rifiuto, gli anatemi, la distruzione o l'esclusione di questi
mezzi, bensl solo attraverso un 'adeguata educazione e uno sforzo
morale, come pure attraverso un'intelligente organizzazione e un
controllo sociale. Fondamentalmente il 'demone della tecnica' è da
superare non attraverso la rinuncia, ma attraverso il dominio. Certo,
una rinuncia provvisoria può essere non solo utile, ma anche neces-
saria. Questa rinuncia però dovrebbe consistere non in una attesa,
finché le forze morali siano ricresciute, bensì in un mezzo per au-
mentare queste forze morali stesse. Tale rinuncia sarebbe poi non
un rifiuto sistematico o un deprezzamento di questi mezzi, bensì
una fase di passaggio ad una forma più elevata, dominata e domi-
nante dell'uso di essi.

d. L'idea del progresso

Un discorso simile si deve fare riguardo al progresso e all'idea del


progresso.' Che l'umanità abbia fatto dei progressi nel dominio
della natura, e che questo progresso nel senso di uno sviluppo delle
capacità dell'uomo e dell'assoggettamento della natura al servizio
dell'uomo si debba valutarle positivamente, non si può negarlo.
~ altrettanto palese che il progresso nel corso concreto della storia
ha portato con sé anche crisi, pericoli e catastro6.' Attraverso ama-
re esperienze abbiamo imparato che il . prC?gresso esterno non com-
porta necessariamente quello interiore, sebbene il primo non possa
essere benefico senza il secondo. Poiché i progressi furono attuati
spesso in uno spirito secolarizzato, - in una propensione sfrenata
verso il mondo e in un allontanamento da Dio, come espressione

7 Cf. cap. Xl sezione }·


1 A. DEMPF, Die Krist Jn For1ubrittsglauben1, Wien 1947; ID., 'Fortschritt', in
l.TK IV ( 196o) Jll ss.
• Cf I'· es, B. MANSTEIN, lm Wurgegr16 dei forurbriw. frankfurt 1961.
518 LA FORZA CREATRICI; l>ELL'UOMO

e mezzo del dominio cosmico, riuscì difficile alla teologia (e


troppo spesso anche alla filosofia) riconoscerne i valori e l'interna
giustificazione e rinunciare al proprio rigido comportamento di di-
fesa. Alla base di un'idea del progresso, smisurata e spesso condan-
nabilmente ottimistica in modo superficiale, stava non di rado una
filosofia scettico-nominalistica che non riconosceva un'intera strut-
turazione essenziale né delle cose né dell'uomo, e che, in ultima
analisi, non voleva saperne:: né di un ordine di creazione e ancor
meno di unu finalità nella creazione::.
Tutto questo però non dovrebbe impedire che la teologia, nel
progresso, anche in quello esterno, materiale (in quanto esso è or-
dinato all'attuazione della vita d'insieme dell'uomo e dell'umanità),
riconosca un grande valore, anzi un mandato del creatore. Il con-
cilio Vaticano II ha trovato nella Costituzione pastorale, special-
mente nei capitoli riguardanti !'«attività umana» (nn. 33-39) e la
«promozione del progresso della cultura» ( nn. 5 3-62 ), giudizi e pa-
role notevolmente positivi. Già prima in misura crescente Leone
xm, Pio xr (Quadragesimo anno) e Pio XII nei suoi discorsi ai rap-
presentanti delle diverse scienze e settori della cult~ra, ma soprat-
tutto Giovanni xxm nelle sue due encicliche Mater et Magistra e
Pacem in te"is avevano inaugurato la nuova prospettiva.
In modo particolarmente positivo ha interpretato il progresso
P. TEILHARD DE CHARDIN. 10 Egli vede in esso, quasi in una visione,
non solo un progresso e una elevazione, bensl, da una parte, un di-
spiegamento e uno sviluppo, conformi a delle leggi e a un piano, gui-
dati da una segreta entelechia, delle forze e dei germi che sono riposti
nella 'natura' tanto del mondo materiale come dell'uomo e che ne
costituiscono quasi l'essenza; dall'altra l'avvicinamento ad una me-
ta prefissata, il punto 'omega' verso il quale tutta l'evoluzione si di-
rige: qui viene raggiunto il massimo di complessità, unità e consa-
pevolezza (coscienza), nel quale al tempo stesso l'umanità e il co-
smo, mediante amore e grazia, entrano nell'ambito del divino. At-
traverso il lavoro è promossa l'unità tra uomo e mondo, e contcm-

°
1 Cf. soprattutto le seguenti opere: Il fenomeno umano (Milano 1968), L'am-
biente divino (Milano 1968); L'Avenir de l'homme (Paris 19,9).
RIFLESSIONE SISTEMATICA

poraneamente, attraverso la ripart1Z1one del lavoro, la socializza-


zione dell'umanità, che a sua volta conduce ad una più elevata va-
rietà, unità e consapevolezza.
Fino a che punto le asserzioni di Teilhard sulla paleontologia,
sulle scienze naturali, sulla storia, sulla filosofia e sulla teologia si
mostrino sostenibili e conciliabili tra di loro e con la rivelazione
deve ancor chiarirlo la discussione scientifica. Si può però già ora
affermare che le sue vedute e concezioni sulla teologia della crea-
zione, dell'incarnazione, della redenzione e del compimento del
mondo non rimangono senza influsso.

e. L'arte

Una forma speciale e particolarmente elevata di 'inserimento (im-


pressione) di spirito nella materia' è presentata dall'attività artistica
dell'uomo. Essa si diversifica dalla tecnica per il fatto che non deriva
dal puro pensiero razionale e dalla volontà dell'uomo indirizzata
verso l'utilità materiale, bensì dai suoi sentimenti, dalla sua intui-
zione e fantasia. Essa non serve all'utilità materiale, ma all'espres-
sione, all'intensificazione e alla decantazione del sentire e del pre-
sentire e del 'vedere' dell'uomo artista, e promuove la stessa cosa
nell'uomo che riceve, contempla e ascolta. Essa cerca a suo modo
di penetrare nell'essenza delle cose e può anche portare all'espres-
sione e all'intuizione, presentimenti che non sono senz'altro acces-
sibili ad un pensiero razionale. L'arte perciò, anche attraverso il
corso di millenni, è sempre stata particolarmente vicina alla reli-
gione; e la religione da parte sua non ha solo is'Pirato di continuo
gli artisti, ma ha anche cercato la loro opera, per esprimere ciò che
razionalmente non è esprimibile, e per trovare il 'cuore' dell'uomo,
che solo difficilmente o per nulla affatto s'apre all'espressione ra-
zionale.11
L'arte perciò è sempre stata tra le pit1 elevate attività dell'uomo;
e gli uomini, sia coloro che la esercitano sia coloro che la godono,
vi hanno sempre visto un elemento 'divino'. Siccome non d~riva

11 Cf. la TheoloF.ische ii.sthetik di H. U. v. BALTllASAR, 1-lerrlichktit, Einsicdcln,


l ( 1961) 2 ( 1962) 3/1 ( 1965).

'-1 · Mvsll'ri11m Sal111ì1, 11/2


LA FORZA CREATRICE DF.l.L 0 UOMO

dal puro pensiero razionale, essa si. sottrae anche facilmente al con-
trollo razionale e può perciò, a causa della scissione introdotta dal
peccato originale nell'uomo, cadere in mano alla licenziosità e al
'demone'.
L'intima affinità tra lavoro, tecnica e arte, non si manifesta solo
nel fatto che la ijngua parla del 'lavoro' e dell' 'opera' dell'artista,
bensl anche nel fatto che il lavoro manuale, non appena ha supe-
rato la sua fase elementare, cela in sé sempre anche elementi arti-
stici, e che In tecnica moderna da parte sua si orienta da pure forme
d'utilità a forme artistiche nel costruire strade, nel fabbricare ponti,
edifici, macchine (automobili, macchine da scrivere, ed elettrodo-
mestici). Si parla di 'bellezza della tecnica'. Il più forte elemento di
congiunzione tra arte e tecnica è dato dall'architettura, la quale,
quando è compresa bene, dovrebbe per sé servire sia all'uso pratico,
sia alla bellezza.
Arte e tecnica si assomigliano anche nel fatto che entrambe in·
nanzitutto imitano la natura, ma giungono alla maturità e alla piena
conoscenza di se stesse quando, ad imitazione non già delle creature
ma del creatore, vogliono creare qualcosa di nuovo. In questo con·
siste il loro vertice, come anche la loro tentazione ali' 'hybris'. 12

f. Significato storico-salvifico del creare umano

Da tutte queste constatazioni e problemi risulta che nel mondo del


creare umano è insito un significato storico-salvifico li diversi livelli:
l'attività umana attua e dinamizza, segnala e anticipa il fatto che il
mondo materiale ha un rapporto personale con l'uomo, il fine della
sua esistenza e il suo destino. Essa attua e dinamizza contempora-
neamente la socievolezza dell'uomo, la presuppone e apre ad essa
insospettate possibilità;
attraverso la sua fatica come attraverso i suoi successi essa nutre
la nostalgia e la speranza di redenzione dell'umanità;
attraverso il sempre più alto inserimento di spirito umano nella
materia e la conseguente 'umanizzazione' della creazione cxtraumana

12 Per ["insieme che qui vien sfiorato solo brcvcmcnlc cf. le OSICl'Vazioni di H.U.
v Balthasar in Myst~"''"' Sal11tis 1/2. pp. 170-292.
Kll'L~SSIONE SISTEMATICA

già avviata, essa accenna in quale direzione si trovi il suo compi·


mento; se essa offre una presa e un campo d'attività all'egoismo
e alla brutalità, alla brama di potere e alla presunzione, all'invidia
e al rancore, all'ingiustizia e alla violenza, all'irrazionale cupidigia
e al lusso soffocatore dell'anima, mostra allo stesso tempo che la
reale redenzione e trasfigurazione devono provenire da altre dimen-
sioni. «La creazione stessa è nell'attesa della rivelazione dei figli
di Dio ... » (Rom. R,19-23 ).
Certamente anche al lavoro come tale spetta una certa effica-
cia redentrice. Però essa si trova ben oltre e, in ultima analisi, in
un'altra direzione e dimensione che quella identicata da MARX e
dai suoi continuatori. Marx 13 vede nel lavoro lo sviluppo delle
forze, la liberazione dalla schiavitù della materia e, in definitiva,
da ogni alienazione. La creazione e la sempre più larga ripartizione
del benessere rendono libere le forze dell'uomo per più ahi com-
piti e valori. Tutto ciò dal messaggio cristiano non è né negato, né
sottovalutato.
Marx però ignora che il mondo dcl lavoro e il suo successo creano
nuove tentazioni e nuovi rischi: delirio del potere, smania di godi-
mento, chiusura in ciò ch'è terrestre. Per ciò si trovano nella sacra
Scrittura, ad es., la torre di Babele, i tiranni pagani, Erode, il ricco
epulone, e la parola ammonitrice: «Guai a voi, ricchi!» Il lavoro e
il suo mondo è anch'esso bisognoso di redenzione. Marx ignora inol-
tre più che mai, che la salvezza definitiva dell'uomo non può consi-
stere in una sempre più raffinata evoluzione della dimensione mate-
riale, anzi neppure in un progressivo spostamento dei confini della
esistenza e dell'agire umano - che in ultima analisi restano sempre
impigliati nel finito - , bcnsl in una nuova dimensione comple-
tamente diversa.
In una visione cristiana la fatica dcl lavoro ha il suo significato
innanzitutto nel compimento della volontà di Dio, delle sue dis1»-
sizioni, del suo giudizio e della sua misericordia. Essa non significa
solo necessità fisica, bensì penitenza, obbedienza, umiltà, disciplina.
Già con questo è dato nell'attuazione della vitll dell'uomo il legame

Il Cf. Y. CAL\'F.Z, Karl Marx, D•rstt'l/11ni 11nd Km1Je seints Dtnletns, Olten
1964 (1r. il K11rl Marx, Boria, Torino).
BIBLIOGRAPIA

con il Dio assoluto, eterno, che chiama, che domina sovrano e che
dona la grazia. Certamente l'uomo ha il diritto, e perfino il dovere,
di diminuire per sé e per gli altri questa fatica. Questo è autentico
progresso. Ma non arriverà mai alla fine.
Se il lavoro viene compiuto per amore del prossimo, come esige
la Scrittura (e come è continuamente messo in rilievo nella Costi tu·
zione pastorale), allora esso purifica, eleva e santifica sia l'uomo che
lavora e distribuisce, sia 4uellu che riceve. Il lavoro libera anche le
forze stesse dell'uomo, ma in una visione cristiana ultimamente
orientata verso mete che sono più alte di quanto possano esserlo
tutti i successi visibili. Dal dominio e dalla prigionia del caduco
l'uomo deve essere liberato ed elevato a una vicinanza e a una so-
miglianza a Dio, che supera ogni umano com-prendere.
Anche la creazione della comunità e dell'unità dell'umanità non
ha, in ultima analisi, senso in se stessa, ma nel legame con Cristo,
nell'amore e nella grazia di Dio, nella partecipazione alla vita divina
e all'amore dell'altissima Trinità. Questa partecipazione però non
è raggiungibile dall'uomo con le sue forze neppure nelle sue lotte,
nelle sue opere e nel progresso più grandi: essa deve essergli donata
da Dio. Così ogni attività umana è relativizzata. Tuttavia essa non
perde il suo valore e la sua efficacia pieni, bensi ne riceve una pie-
nezza, che supera veramente le forze e possibilità dell'uomo e può
essere donato solo da Dio.
JACOB DAVID

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Vedi su quesro tema la bibliografia in: Myster;um Salutis t/2, p. 292.
CAPITOLO NONO

L'UOMO COME IMMAGINE SOPRANNATURALE DI DIO


E LO STATO ORIGINALE DELL'UOMO

La tematica del capitolo precedente riguardava anzitutto 1 la que-


stione dell'origine dell'uomo considerata dal punto di vista natu·
raie, ed era inserita nella visione di ciò che riguarda l'uomo nelle
varie dimensioni del suo essere e della sua autoattuazione in modo
stabile sulla base dell'ordine della creazione. Ma l'origine dell'uomo
secondo la rivelazione è determinata anche in maniera decisiva da
un momento soprannaturale. Si tratta ora di chiarire questo aspet-
to, spiegandoci come l'uomo sia immagine di Dio, e discutendo
sul suo stato originario. È chiaro che le diverse affermazioni di
questo capitolo devono essere intese secondo i presupposti di
quella problematica ermeneutica che fu già indicata nella prima
sezione del capitolo sesto. Inoltre si deve. tenere presente che il
tema della somiglianza divina dell'uomo va oltre la problematica
dello stato originario e concerne tutta l'antropologia teologica.
Così anche questo capitolo, come già è stato per il precedente
affronta la considerazione di un momento permanente e allo stesso
tempo quella di un momento irripetibile in senso storico-salvifico;
in tale modo l'inizio, inteso sia come 'origine' sia come 'stato ori-
ginario', determina contemporaneamente in maniera stabile la storia
dell'uomo.

I Anzitutto, quindi non t-sclusivamente, poiché per motivi pratici nelle diverse
questioni erano tenuti presenti anche punti di vista dell'ordine della redenzione.
SEZIONE PRIMA

LA SOMIGLIANZA DIVINA DELL'UOMO

r. Fondamenti biblici

a. L'Antico Teslamento

La dottrina dell' 'uomo, immagine di Dio' è il nucleo centrale del-


l'antropologia veterotestamentaria; e tuttavia esso viene accennato
espressamente solo nei primi capitoli dello scritto sacerdotale (Gen.
1,26 s.; 5,1.3; 9,6) e in due passi dei libri sapienziali (Sap. 2,23;
ccclus 17,3). Il passo fondamentale è Gen. 1,26 s.: «E Dio disse:
- facciamo l'uomo, che sia la nostra immagine, conforme alla
nostra somiglianza ... E Dio creò l'uomo quale sua immagine; quale
immagine di Dio lo creò ... ».
Nella visione d'assieme della concezione fondamentale del ~odice
sacerdotale si tratta qui degli inizi dell'azione sovrana di Dio, che
deve poi condurre alla vocazione <li Abramo, a Israeh: e alla terra
promessa; non si tratta perciò della questione: 'Cos'è l'uomo?',
bensl di quest'altra: «Come si arrivò alla vocazione di Israele?».
All'interno di questo vasto contesto storico salvifico l'uomo, la cui
formazione è preceduta da un particolare disegno di Dio, appare
come fine e momento culminante della creazione; come «vertice
di una piramide cosmologica» 1" veramente determinante, egli sta
in un rapporto incomparabile con Dio.
In evidente contrasto con le religioni dell'Egitto e della Meso-
potamia, nelle quali' gli uomini venivano considerati come discen-
denti immediati degli dèi e nelle quali anche la differenza dal
mondo degli animali si perdeva in non chiare sfumature, Gen. 1,26 s.
traccia in queste due direzioni una delimitazione: la somiglianza a
Dio stacca l'uomo da tutte le creature infraumane e lo colloca dalla

•• (;, v. RAD, Tbeologie des Alten Testamentr 1, Munchen 1957, p. 146.


LA SOMIGLIANZA DIVINA DELL'UOMO

parte di Dio, e assieme a lui egli appartiene a un altro mondo più


elevato. Allo stesso tempo lo separa in maniera sostanziale da Dio,
la cui assoluta trascendenza viene messa in evidenza dal fatto che
l'uomo non appare 'bambino' o 'figlio', ma come 'immagine'. Egli
non ha una natura uguale a quella di Dio, ma gli è soltanto simile.

Ciò risulta dal concetto <li d''mut (somiglianza) altre volte, o in altro
contesto, usato come sinonimo di sNem (immagine) (Gen. 5,1.3; 9,6),
rispetto al quale ha un significato attenuante che intende sottolineare
come l'uomo è simile a Dio, ma non è uguale a lui. Il Salmo 8,6, il più
importante commento veterotestamentario a Gen. r ,26 s., svolge una
perifrasi dei due concetti cons..:rvan<lo lo stesso significato. «Eppure lo
=
hai reso di poco inferiore a Dio ( d'mt1I), l'hai coronato di gloria e
magnificenza ( =relem)»: l'uomo è affine al mondo divino degli angeli
e delle potenze. Perciò anche il plurale «Facciamo ... » non è da inten-
Llcre in senso irinitario e rnrm· un inviro di Dio a se stesso, bensi come
un consigliarsi da parte <li Dio con la sua corte celeste, il mondo degli
angeli (come i Reg. 22,r9-22; lob 1,6; 2,1; Ps. 97,7.9; /r. 6,1-3).

Il rapporto di somiglianza con Dio non indica una somiglianza


esteriore, corporale, nel senso del «portamento eretto» (L. KoHLER)
e dello «Stesso aspetto della divinità» (HUMBERT), né un rapporto
puramente spirituale della sola anima e nemmeno della differen-
ziazione sessuale tra uomo e donna (K. BARTH). Piuttosto l'uomo
è creato ad immagine di Dio nella sua totalità di anima e corpo, il
che risulta dalla fondamentale unità della concezione veterotesta-
mentaria e in particolare dal P.r. 8,6. In Ge11. 1,26 e Ps. 8,6 Dio
appare come colui che agisce in modo sovrano e autonom , in
questo senso anche la specifica dignità dell'uomo ha il suo fonda-
mento nel fatto che egli è chiamato a partecipare al dominio e ai
diritti di sovranità di Dio nel mondo. Egli è «per cosl dire l'ese-
cutore della potenza di Dio»,2 il suo «vicario»' e «segno di sovra·
nità»4 e, come tale, persona lihcra e spirituale.
Il codice sacerdotale non parla di una diminuzione o addiritrura

2 TH. C. Va1EZEN, Theologi~ Jes /\T ;,, Gru11J4iig1·n. Ncukir,hcn 19,6. p. 190.
l lbid., 177.
4 G. \'. RAD. op. cii. 1, p. '''-
FONDAMENTI BIBLICI 54 1

di una perdita della somiglianza divina. Essa rimane intatta anche


dopo il peccato (Gen. 5,3; 9,6). Gen. 1,26 s. si riferisce dunque
all'uomo come tale, indipendentemente da ogni libera decisione, e
indica una determinazione costitutiva del suo essere naturale.
Nel significato immediato del testo, nulla è detto della vocazione
mediante la grazia; ovviamente, non per questo essa viene positiva·
mente esclusa.

b. Il Nuovo Testamento

Nel Nuovo Testamento è soprattutto la teologia paolina che ri-


prende il tema di Gen. 1 ,26 s. come uno dei suoi temi portanti,
e lo traspone allo stesso tempo sul piano della redenzione di Cri-
sto. La somiglianza a Dio viene ancora ricordata, ma solo inciden-
talmente, come una qualità naturale indipendente dal peccato e
dalla grazia, e come ovvio presupposto (I Cor. 11,7; lac. 3,9; e
praticamente anche Rom. 1,20).
Al posto centrale del messaggio neotestamentario appare la fun-
zione cristologica e soteriologica: solo Cristo è la vera immagine
di Dio. Egli restaura l'immagine oscurata dal peccato e nello stesso
tempo la completa. La somiglianza con Dio è: somiglianza con
Cristo. Indicando Cristo come la vera immagine di Dio, una delle
tesi centrali della teologia paolina (Col. 1,15 s.; 2 Cor. 4,4; Hebr.
I ,3) riprende chiaramente e interpreta cristologicamente il testo di
Gen. l ,26 s. Poiché è la perfetta immagine di Dio, Cristo è me-
diatore della creazione, e in quanto uomo perfetto è il fine di essa.
L'uomo di Gen. 1 ,26 s. è solo la promessa profetica del vero
uomo Gesù Cristo (Rom. 5,14), il quale appare nel tempo escato-
logico finale come redentore e rivelatore (2 Cor. 4,4.6) adempiendo
e portando a compimento la promessa di Gen. l ,26 attraverso la
sua obbedienza (Phil. 2,6-u; Col. l,15-20).
La somiglianza divina dell'uomo è quindi partecipazione alla so-
miglianza divina di Cristo nella grazia e nella fede. Seguendo Cri-
sto egli diventa partecipe attraverso il Pneuma della somiglianza
manifestatasi in Cristo ( 2 Cor. 3, 18) e «conforme all'immagine del
Figlio» (Rom. 8,29). In questa comunione con Cristo egli riacqui-
LA SOMJCUAH7.A IJ(VJNA DELL'UOMO

sta la sua ongmaria dignità, che nel peccato è stata perduta o


almeno sconvolta e oscurata (Rom. 1 ,2 ~; ~ ,2 3) e diventa ora vera-
mente •immagine di Dio•; ciò avviene in una seconda creazione,
nella quale la prima viene compiuta e superata ( 2 Cor. 4,4-6; Col.
3,9 s.; Epb. 4,23 s.}. Perciò, secondo PAOLO, la somiglianza con
Dio propria del primo uomo è da porsi su un grado sostanzialmente
inferiore e subordinato (I Cor. 1 5,4 5-49 ). La somiglianza con Dio
restaurata attraverso Cristo supera quella di Gen. 1 ,26 s. nella
stessa misura in cui Cristo supera Adamo. La restaurazione signi-
fica contemporaneamente devazione e di conseguenza significa com-
pimento. L'imago è dunque in ultima analisi sinonimo degli altri
concetti di grazia del Nuovo Testamento e, come questi, si trova
nella stessa tensione tra la realtà presente e il compimento escato-
logico ancora da attuare (Rom. 8,29; 2 Cor. 3,18; Col. 3,10; I Cor.
I' ,49 ).
Mentre Paolo pone il tema della somiglianza con Dio nel conte-
sto di peccato e redenzione e nello stesso tempo accenna a una
perdita della somiglianza originaria, egli va oltre all'immediato si-
gnificato delle parole di Gen. 1,26 s. e pone il fondamento per la
posteriore distinzione tecnica tra la somiglianza naturale e sopran-
naturale. La somiglianza soprannaturale della comunione con Cri-
sto, apparsa in Cristo e conferita di nuovo attraverso la sua grazia,
ha certo un evidente primato tematico e obiettivo. La somiglianza
originaria di Gen. 1 ,26 s. è perciò da intendere muovendo da Cri-
sto come dal centro della storia della salvezza e non viceversa.
Essa, secondo la tipica concezione veterotestamentaria, è già inizio
ddla storia della salvezza e si pone come promessa profetica di
Cristo che viene come suo compimento determinante al quale Dio
mirava fin da principio (Rom. 8,29 s. l

2. Storia dei dogmi e della teologia

a. Patristica

Nella teologia patrtsuca il tema della immaJ:ine di Dio diventa


molto presto un tema di primario interesse. Esso si sviluppa nella
STOllA PEI DOGMI E DELIA TEOLOGIA

disputa con le correnti spirituali dell'antico oriente, della antichità


eJlenistica e della tarda teologia giudaica. In ognuna di queste
correnti il concetto d'immagine aveva una funzione importante.

L'idea che l'uomo sia formalo secondo un modello concrc10, come i va-
si e gli at1re1.zi di un'opera manuale. è: 1tiì larttamcnlc Jillusa nell'am-
biente oricn1ale an1ico. Negli 11mbicn1i religiosi essa si era introdona
attraverso la concezione: tecnica dcl demiurgo di PLATONE, arrivando si-
no ai Padri, dove è visibile ancora nelle metafore prese dal mondo della
pittura e della scultura. (Dio come 'pictor' e 'sculptor' imaginis).
Platone vede l'in1ero mondo visibile come immagine dcl mondo in·
visibile delle idee. Il mondo delle idee non è per se stesso di nalura
divina, ma 1uttavia suuiste indipendcn1emenre cd è separato completa·
mente dal mondo delle loro immagini. Esso non è né causa efficiente
~ origine delle cose visibili, ma solo il modello secondo il quale esse
si sono formate. Esiste dunque solo la relazione tra prototipo e imma-
gine (solo dimostrativa e non partecipante), tra esempio e imitazione.
La separazione platonica tra prototipo e immagine viene però abban·
donata quando si introduce l'idea dell'emanazione. In questo caso il
modello diventa allo stesso tempo origine. La copia panecipa della se>
scanza del prototipo cd è ad esso legata attraverso i passaggi Ouidi di
una serie discendente di emanazioni. Siccome essa possiede sostanziai.
mente lo stesso modo di essere (che occasionalmente diventa sostan·
ziale identità), l'antitesi sensim sine sens" è abolita. Nelle forme più
elevate di questa concezione la copia stessa diventa invisibile e perciò
è cercata non più nel mondo visibile (che per Platone valeva solo come
immagine) bensì nel centro spirituale dell'uomo. Dal scmplice riferi-
mento di Platone cua finisce per diventare una manifestazione del-
l'idea. Una tale teoria si trova nelle religioni misteriche, negli scritti
ermetici, ndla stoa e soprat1ut10 nella gnosi. Nella gnosi troviamo l'uso
più largo della concezione delle immagini nel smso di un'emanazione
di molteplici serie di iconi dcl Dio altissimo, al quale la vera immagine,
l'cuomo interiore•, è in ultima analisi identica. Nella filosofia di PLO-
TINO, vertice dell'antica speculazione sulle immagini, soltanto l'anima
è la vera immagine di Dio, nella quale si specchia la sapienza divina.
Essa è decaduta dal regno dell'intelligibile e deve ritornare all'origi·
nario stato di unione con Dio attraverso l'homoiosis (un concetto chiave
di ogni 6loso6a derivante da Platone).
lA teologia rabbinico-1arJogiud11ic11 si C'lnscrva quasi immune da ta·
li speculazioni; la somiglianza è intesa da essa come· esigenza di vita
secondo la legge, nella quale si vede l'espressione perfetta della somi·
gliama divina.
LA SOMIGl.IANZA DIVINA DELL'UOMO
'44
Tra tutte le correnti, quella che ha· avuto maggiore influsso è stata
la dottrina di FILONE, che per la prima volta parla di una somiglianza
dell'uomo (in quanto XU't'Etx6vrx oppure dwv Elx6~) mediata attraver-
so il Logos invisibile in quanto esso è FÌluov) cosl che l'uomo appare come
immagine dcl Logos e non più, come nella stoa, immagine del cosmo. Il
vero essere dell'uomo, e perciò unico portatore della somiglianza, è an-
che per F11.0NE solo l'anima ~piritualc.

Sullo sfondo di queste molteplici correnti si sviluppa la teologia


ratristica dell'immagine. Anch'essa si sviluppa nella relazione pro-
totipo-copia e esempio-imitazione. L'uomo partecipa all'essere di
Dio, però in quanto essere creato e fondamentalmente distinto da
lui. Gli interrogativi predominanti riguardano anzitutto il modello
stesso (trinitario o cristologico), e conseguentemente il portatore
dell'immagine (solo l'anima, o anima e corpo?), e inoltre riguardano
il rapporto di 'imm1tgine' (r.lxwv, imago) e 'somiglianza' (oµotooaLç;,
similil"do ).
Nella risposta data alla prima questione si possono distinguere tre
tenden7.e:
1. Prototipo dell'uomo è il Logos invisibile quale immagine di Dio
identica a lui per natura, e copia di esso è l'anima altrettanto invi·
sibile e spirituale. Mediante l'incarnazione questo prototipo rag·
giunge la propria copia per restaurarne l'originaria dignità. La
somiglianza si mostra nel Aoyuu>v delle potenze conoscitive, intese
come capacità della visione del prototipo, e nell'mE;ovcnov della
libertà responsabile come forza per l'assimilazione al prototipo nella
6poiw111ç, mediante la virtù e l'imitazione. Il corpo è considerato
solo marginalmente: esso è vestigium dell'immagine, semplicemente
perché in esso si rende visibile un riflesso dell'anima. In questa
visione si accenna frequentemente, rifacendosi a concezioni già
diffuse anteriormente, al portamento cretto e allo sguardo rivolto
verso l'alto come a segni della sua provenienza divina. A questa
1endenza appartengono, partendo da CLEMENTE e da 0RIGENE,
quasi tutti i padri greci e la maggioranza dci padri.

2. Prototipo è la Trinità divina nell'unità della natura e nella


trinità delle persone; immagine è lo spirito umano (AGOSTINO: la
STURl.t DEI DOGMI E DELLA Tf.01.0GIA 545

rationalis mens) nell'unità della sua natura e nella trinità delle po-
tenze dell'anima mens - voluntas - amor, oppure memoria - intelli-
gentia - voluntas. Quest'interpretazione è una delle concezioni ori-
ginali introdotte da AGOSTINO e rimane predominante attraverso
tutto il Medioevo.

3. Prototipo è il Logos fattosi uomo. Adamo fu creato guardando


al Cristo che doveva venire nella carne. Questa opinione la tro-
viamo in TERTULLIANO, PRUDENZIO e soprattutto in IRENEO. Per
Ireneo, il corpo ripieno di spirito del Cristo glorificato è il modello
secondo il quale le due 'mani' di Dio, il Figlio e lo Spirito, formano
l'uomo. 5 Immagine è dunque soprattutto il corpo dotato di spirito,
corpo che l'uomo possiede a differenza degli angeli. Per mezzo di
esso, già nel paradiso terrestre è annunciata l'incarnazione del
Logos, che nella sua umanità glorificata è la perfetta attuazione di
Gen. 1 ,26 s. e la meta di tutta la storia della salvezza.
La questione circa il rapporto tra imago e similitudo conduce
al punto centrale della dottrina patristica circa la somig)ianu. La
base concreta di questa distinzione consiste nell'ammettere che la
somiglianza intesa come una tendenza dinamica va soggetta ad un
intrinseco progr~so: un pmgrcsso universale storico-salvifico che va
da Adamo a Cristo, e un progresso personale che parte dall'imms·
gine originaria sino al compimento escatologico. Nella filosofia
platonica il concetto di homoiosis come crescente assimilazione alla
divinità assegnata all'uomo, ha una funzione decisiva, e siccome
questo concetto emerge anche nel testo di Gen. 1 ,26 dei Settanta,
era logico che divenisse una concezione dominante nella teologia
dei Padri. All'inizio venne dedotta da Gen. r ,26 dalle tendenze gno-
stiche, e in seguito accolta dai Padri nelle dispute con gli gnostici.
Eikon indica perciò lo stato iniziale, mentre homoiosis indica il
compimento e la via verso esso. Benché l'uso coerente di questa
terminologia sia raro, la concezione da essa indicata è presente
nell'insieme della patristica e forma il centro della sua teologia
dcli 'immagine.

5 A. OHE, 'El homhrt" idt"al en la trologia <k s. lm~o', in \.r.n(19(u)4'4!1".f91~


E. PETERSON, 'L'immlljltnC di Dio in S. Ireneo'. in se 69 ( 19.p) of6·H·

li· ,\(vflr•r111•11~ulufff,11I1
LA SOMIGLIANZA DfVINA DELL'UOMO

La somiglianza divina non è una qualità statica presente nell'uo-


mo, ma è una tendenza dinamica che conduce al compimento di se
stesso nella 'somiglianza' con il prototipo divino. La immagine
aspira a ritornare alla propria origine, e questo ritorno è contempo-
raneamente la via per un adempimento sempre più perfetto della
legge, sotto la quale l'uomo sta fin dall'inizio.
L'immagine di Gen. 1,26 s. è dunque l'inizio di uno sviluppo
ascendente che conduce da Adamo a Cristo, dal logikon dell'origi-
naria immagine del Logos alla 'somiglianza' perfetta con Dio che
viene raggiunta unicamente nell'imitazione di Cristo, l'uomo per-
fetto. In quanto immagine, la creatura trascende se stessa, cioè
essa è immagine mentre diventa simile a Dio.'
Questo schema di un compimento ascendente dall'imago iniziale
verso la perfezione della similitudo viene sviluppato ampiamente
dapprima da CLEMENTE, poi da ORIGENE, e in seguito penetra
tutta la teologia patristica. Esso compare anche là dove non viene
trattato con questa precisa concettualizzazione. Per IRENEO, ad
esempio, Adamo era ancora ad uno stadio imperfetto; egli posse-
deva già la 'homoiosis' dello Spirito santo, ma poteva perderla nel
peccato, poiché il prototipo secondo il quale egli era stato creato
non era ancora apparso visibilmente. Solamente nella corporeità
trasfigurata della perfetta conformazione a Cristo gli viene donato
il compimento di Gen. 1,26 s.
La posteriore distinzione fatta in seguito tra natura e grazia
gioca quindi un ruolo solo nel senso che viene dato rilievo all'as-
soluto carattere di dono della somiglianza a Cristo. Essa tuttavia
non può essere identificata con la distinzione imago-similitudo.
Già il punto d'inizio dell'essere immagine si pone nell'ambito del
soprannaturale, e l'origine contiene già in sé il germe dcl compi-
mento. Il movimento verso la somiglianza perfetta è solo lo svi-
luppo dell'inizio posto da Dio. Perciò anche i principali contenuti
della somiglianza, il Iogilton delle facoltà conoscitive e l'autexounon
della volontà, non sono qualità puramente naturali nel senso della

0 G. BOak~:. 'Des Origenes Lchrc vom Urstand des Mcnschen', in ZK1' 72 ( 111,ol u.
STORIA DEI DOGMI I! Dl!LLA TBOUIGIA
!147

terminologia moderna, ma abbracciano anche la grazia in unità


concreta.

b. La teologia medievale

La tematica patristica entra nel Medioevo sotto la forma datale da


AcosTINO. Cosl la prospettiva cristologica, che già in Agostino
svolgeva solo un ruolo subordinato, rientrò quasi completamente.
cCristo secondo la dottrina scolastica dell'imago non è tanto im·
magine di Dio per mostrare ai figli di Dio cosa essi siano, ma
piuttosto per mostrare agli uomini chi sia Dio».7 Con l'accentua·
zione, derivante dalle lotte cristologiche e trinitarie, della divinità
di Cristo e con la fondazione della speculazione trinitaria nell'unità
della natura divina viene indicata come prototipo dell'uomo non
più tanto la persona dd Logos e ancor meno l'uomo Gesù, bcnsl
l'unica natura divina, che si specchia, secondo il modello agostinia·
no, nelle tre potenze dell'anima: memoria . intelligenti4 - 11olunt11S
oppure mens • nolitia · amor. Portatrice della somiglianza divina
~. di conseguenza, esclusivamente l'anima, specialmente nella sua
capacità di conoscere Dio e di possedere Dio nell'amore, «eo quod
est tx1pax Dei», come dice BoNAVENTURA. Il corpo vale come uesti·
gium della somiglianza divina.
La distinzione imago-similitudo tiene ora un posto importante
nella concezione progressivamente più chiara dcl soprannaturale.
In connessione con la questione se Adamo sia stato creato nello
stato dei gratuita o solo dei naturalia (cf. SEZIONE 11 ), si distingue
una imaf.o secundum naturalia e una imago secundum gratuita e
si tratta con questa concettualizzazione il problema della grazia ori-
ginale. In una direzione simile indirizza la triade creationis ( naturae)
. recreationis ( gratiae) • similitudinis ( gloriae) introdotta da PIETRO
LoMBARJ>O. Benché in essa risuoni il tipo di considerazione storico
salvifiço dei padri. essa serve. a differenza di questo, per una p1u
chiara delimitazione della somiglianza divina propria di tutti gli

7 L. I Wut. 'Zm F.ntwicklun~ der lriihscholmis~hcn Lchrc von der Gortebcnbildlìch-


b:i1', in l.'homm<' rl '°''
d,·11111 d'tJprh Jt.r {'•"n<turr du Movt11 Aie. Louvain 1960,
p. \~6.
LA SOMIGLIANZA DIVINA DELL'UOMO

uomini alla immagine nell'intdletto e nella volontà, dalla somi-


glianza per dono nello stato della grazia e della trasfigurazione
finale. In proposito si pensa primariamente muovendo dall'ordine
dell'attività: la somiglianza della creazione diventa l'immagine ad
opera della grazia della redenzione, mentre si attua nelle virtù
della conoscenza e dell'amore di Dio. In questo senso imago indi-
ca la spiritualità e immortalità dell'anima (la potentia cognoscendi),
similitudo la sua santità e giustizia (la potentia diligendi).

c. La teologia della riforma

La dottrina della somiglianza divina dei riformatori e dell'orto-


dossia sia luterana sia calvinista si differenzia appena nel conte-
nuto dalla dottrina della scolastica medievale. Anche le differenze
tra LUTERO e CALVINO non vanno al di là dell'ambito delle tesi
portate avanti nel Medioevo. L'unica differenza di qualche impor·
tanza si trova in Lutero, che identifica la somiglianza divina con la
grazia originale, la iustitia originalis, e perciò parla più di questa che
di quella. In ciò lo ha seguito anche la Formula di concordia 1 e
l'ortodossia luterana. 9 Egli di conseguenza deve parlare di una per-
dita completa della somiglianza, nel peccato. Il problema che si
presenta a questo riguardo circa le strutture permanenti della na-
tura dell'uomo non viene posto espressamente da Lutero. L'orto-
dossia introduce allo scopo il concetto del 'resto' usato anche da
Calvino.

Nella teologia riformata più recente, si sono distinti per il loro inse-
gnamento circa la somi~dianza sopranutto EMIL BRUNNER e KARL
BARTH. Emil Brunner (Der Mensch ;,,, Widerspruch CBerEn i937); Dog-
matik II (Zurich 1950, 53-93 l ahbo1.za la natura dell'uomo paxtendo
dal rapporto con Dio, che consiste nella relazione io-tu di parola e
risposta_
Poiché Dio vuole comunicarsi a un partner, che risponda alla chiamata
del suo amore con il suo amore di corrispondenza, egli vuole l'uomo
come essere libero, responsabile. La somi,:lianza divina è dunque una

8 SD 1 10; BSLK. 8~8.


9 J. Gf.RllAllll, [,oci IX. I ~ 1~2~.
STORIA DEI DOGMI F UF.llA TF.01.0G!A
549

relazione e consiste nr:lla responsabilità. Perciò Rnrnncr distingue la


somiglianza divina «formale-strutturale» dell'Antico Testamento da quel-
la «effettiva» dcl Nunvo Testamento. La prima è «indifferente» per ln
antitesi peccato-grazia e rimane anche dopo il peccato. Essa consiste
nella libera, personale responsabilità dell'uomo di fronte a Dio, nello
«stare davanti a Dio» ( Dogm. p. 7 r ), nell'«essere per l'amore» (lbid., p. 78 ).
Il «Compimento effe1tivo» di questa «struttura» (p. 67), di cui parla
il Nuovo Testamento, è il retto uso della responsabilità, cioè l'«essere
nella parola di Dio» (p. 68), !'«essere nell'amore» (p. 76). Esso è an-
dato perduto col peccato e viene ristabilito da Cristo. Con questa di-
stinzione Brunner coglie il significato della concettualizzazione cattolica
di natura e grazia, benché egli polemizzi contro di essa. (Cf. H. VoLK,
Emil Bru1111ers Lehre von der ursprii11gliche11 Gottebenbi11dlichkeit des
Menschen, Emsdetten 1939).
KARL BARTH (KD m/1, pp. 204-233) traduce Gen. r,26: «Facciamo l'uomo
secondo il nostro modello nel nostro prototipo» ( 13. 205 ). Ciò signi-
fica che «nell'ambito e nell'essere di Dio stesso esiste un prototipo di-
vino, fondato in se stesso» dell'uomo ( p. 205) cioè la «Comunione di
sentimenti e di opere», in 'forza della quale Dio «ha in se stesso la
differenza e il rapporto di io e tu» Cp. 215 ). Questa «esistenza nell'an-
titesi di io e tu» (p. 207) è il tertium comparationis tra Dio e l'uomo.
Essa si attua nell'uomo nella contrapposizione sessuale di uomo e don-
na, nella quale Barth vede l'essen1.a della somiglianza divina. cCome
nell'essere di Dio l'io che interpella si comporta con il tu divino da
lui interpellato, ... cosl nella stessa esistenza umana l'io sta in rapporto
con il tu, l'uomo con la donna• ( r. 220 ). L'immagine consiste dunque
non in una qualità speciale dell'uomo, bensl solo nel fatto che «Dio
lo ha creato come uomo e donna o ( p. 208) e che egli in questo «stare
di fronte al suo simile» ( p. 208) è anche partner di Dio col quale Dio
vuole parlare e trattare. In questo senso l'uomo non «possiede» l'im-
magine e quindi non la può perdere. Essa è intenzione e promessa di
Dio, non distruttibile per colpa dell'uomo; infatti il rapporto di somi-
glianza divina dell'uomo in maschio e femmina rinvia oltre a sé e in-
dica l'unica vera immagine di Dio, cioè cGesù Cristo e la sua comunità.
(p. 213). Cf. J. J. STAMM, 'Die Imago-Lehre v. K. Barth und die alt.
Wissenschaft', in Antwort (Festschr. K. Barth), Zollikon 1956, pp. 84-98.
LA SOMIGLIANZA DIVINA DF.LL'UOMO

3. Es posizione sisternatica

La dottrina della somiglianza divina dell'uomo è il tema fondamen-


tale dell'antropologia cristiana e ne contiene in sé tutti i temi,
cosicché partenJo da essa si potrebbe sviluppare una dottrina si-
stematica sull'uomo. Tuttavia qui questo tema deve venir discusso
solo nella sua più stretta delimitazione, cioè come affermazione
dn:a il rapporto dell'uomo con Dio. Esso viene caratterizzato già
con il concetto di prototipo e copia, piuttosto che con il rapporto
di causa ed effetto.
L'uomo come immagine è simile a Dio e porta in sé tratti del-
l'essere divino in una maniera ancora da precisare più esatta-
mente. Egli rimane inoltre stabilmente dipendente da Dio come
da sua origine e in forza della sua esistenza come immagine rinvia
a lui come all'essere più grande ed eminente, senza del quale egli non
può né esistere con significato né esser compreso nella sua vera digni-
tà. Somiglianza e dissomiglianza, l'origine da Dio e la trascendenza
della sua origine appartengono all'essenza del concetto di imma-
gine e appaiono nell'immagine come tale, cosicché il rapporto con
l'origine può venire colto come si coglie l'artista nella sua opera.
La somiglianza divina consiste perciò nell'essenziale e stabile
relazione dell'uomo con Dio come fondamento e figura al suo
essere. Essa non è una qualità neutrale di fronte al rapporto con
Dio, ma contiene in sé l'essere riferito a Dio come a centro del suo
essere. L'uomo è per natura indirizzato a Dio e solo insieme con
Dio può essere vero uomo. Perciò si falsa il suo essere più pro-
fondo ~ si vuole determinarlo solo dal basso, dal suo rapporto col
mondo della natura e del regno animale. Egli è a priori un essere
responsabile verso Dio e creato per lui, e sulla base di questa sua
somiglianza divina, che costituisce la sua vera dignità, egli è fonda·
mentalmente diverso da tutto il mondo infraumano. Siccome egli è
immagine di Dio, supera tutti gli altri esseri terreni e non può
essere posto sullo stesso piano con nessuno di essi. Essa lo fa
diventare rappresentante sovrano di Dio e lo indica come il centro
significante di tutte le cose visibili, che esistono in suo favore e che
vogliono venir plasmate da lui.
ESPOSIZIONE SISTEMATICA

La relazione con Dio, posta con la somiglianza divina, è più d1e


un attributo statico. Essa è una forza viva, che spinge:: l'uomo a
indagare e a ricercare circa la sua origine trascendente, anzi lo eleva
al di sopra di tutti i valori terreni, come ha esattamente visto la
patristica greca con la sua idea dell'homoiosis. Lo spirito umano
supera tutti gli oggetti appartenenti al mondo e trova il suo com-
pimento solo nell'unione col suo prototipo divino. In forza della
sua somiglianza divina egli sta essenzialmente nell'ambito della
tealtà religiosa e può trovare se stesso solo nell'incontro con Dio.
L'atto fondamentale della sua natura, in cui egli decide di sé e del
suo destino e che determina anche tutta la sua visione del mondo,
è- quindi un atto religioso.
Poiché la relazione essenziale dell'uomo con Dio è una rc::altà
simbolica, essa rinvia a una specie di rapporto simbolico con Dio
e lo riflette, per così dire, come sua origine e sua meta. L'uomo
a immagine di Dio è manifestazione e rivelazione di Dio in un modo
che supera tutta la creazione visibile. Mentre le altre cose esistono
solo in un rapporto di dipendenza causale da Dio e perciò mani·
festano al massimo la sua potenza, non già la sua natura, l'uomo è
un riflesso del mistero di Dio stesso e nel tratto essenziale più pro·
fondo del suo spirito fa diventar visibile Dio quale e come è, cioè
pura persona in perfetto amore e libertà. L'uomo è l'unico luogo
nel mondo visibile nel quale Dio è riconoscibile come spirito per·
sonale, poiché egli rinvia a Dio non solo nel suo esistere, ma anche
nel suo essere tale. La relativa autonomia dello spirito uJThlno si-
mile a Dio è la più alta, anche se sempre oscura, velata e inade~ata
forma della rivelazione naturale di Dio.
Così si è risposto anche alla questione sul luogo dell'immagine,
dell'uomo. Come Dio è spirito personale, così la immagine sta nella
dignità personale che nell'uomo abbraccia insieme spirito e corpo.
Egli dunque non porta l'immagine di Dio come una qualità in sé,
bcnsl egli stc!>so è immagine. Come una persona che possiede se
~tessa in conoscenza e amore, che non ~ più strumento per altri.
ma porta in sé il proprio significato e si attua in libertà come tale es·
sere personale, l'uomo è immagine di Dio. Egli in ciò è chiamato a
essere partner del Dio operatore di salvezza, come anche a essere si-
LA SOMIGLIANZA DIVINA DELL'UOMO
554

Il peccato non poté distruggere questa perfetta continuità della


volontà salvifica di Dio. Esso è solo «entrato temporaneamente»,
come ha visto Ireneo nella maniera più profonda, affinché la per-
fetta somiglianza di Cristo risultasse tanto più splendente, e così
conducesse l'uomo creato secondo la sua immagine al completamento
dell'homoiosis nella corporeità trasfigurata.
SEZIONE SECONDA

LO STATO ORIGINALE

1. Fo11dame111i biblici

a. L'Antico Testamento

L'asserzione generale della somiglianza divina dell'uomo è com·


pletata e precisata dal racconto dcl redattore jahvista sul paradiso
terrestre e sulla caduta (Gen. 2,4b fino a 3,24). Questi capitoli for-
mano le basi per la dottrina sullo stato originale e sulla giustizia
originale.
Come già nel codice sacerdotale anche qui ci troviamo di fronte
ad una descrizione degli inizi della storia della salvezza nel senso
di un'eziologia storica. Il redattore jahvista vuole spiegare la si-
tuazione presente mediante la riflessione sulla sua origine e affer-
marla più chiaramente spiegandone la provenienza. La questione
non è: come era una volta? hcnsÌ: come si è arrivati al giorno
d'oggi con la nostra esperienza di colpa, dolore e morte? Per ri-
spondere a questa domanda non occorre ammettere né un'immediata
ispirazione divina, né una rivell!lione primordiale, che si sarebbe
mantenuta intatta fino al tempo dello jahvista (ciò che non solo
è difficilmente pensabile a causa della lunghezza del tempo, ma è
anche escluso dalla Scrittura stessa, poiché essa afferma espressa-
mente che gli antenati di Abramo avevano servito «ad altri dèi»:
los. 24,2 ). Il racconto è piuttosto un risultato della riflessione d'Israe-
le, guidata dallà fede nell'unico Dio, sul suo proprio passato, d'una
riflessione che alla luce della rivelazione condusse alla conoscenza
della vera origine, mentre simili riflessioni presso altri popoli giun-
sero solo a presentazioni mitiche. La fonte per Gen. 2-3 è la fede
di Israele, che si fonda sulla rivelazione speciale di Dio, rivolta
ad Israele. Lo jahvista fa uso delle immagini e delle forme di
espressione che sono a sua disposizione. Egli parla innanzitutto
LA SOMlta.IANZA DIVINA DELL'UOMO

gnore del monJo visihilc, «di poco inferiore a Dio» e «con il dominio
~ulle opere dclll' tue mani» (Ps. 8,6 s.ì. Se la teologia patristica e
medievale dell'immagine attribuiva per lo più la somiglianza divi-
na solo all'anima, cosl, pur dietro tutto il disprezzo platonizzante
della corporeità, si devono scorgere le intenzioni pit1 profonde che
volevano dar evidenza allo spirito quale elemento detcrminante
della personalità umana.
La somiglianza divina riguarda la totalità umana di corpo e di
anima. Essa comprende il corpo nella misura in rni anche in esso
si fa visibile la dignità della persona umana. Poiché il corpo non è
recipiente di un'anima a lui in fondo estranea, bensl l'incarnazione
dello spirito e in quanto è specificatamente corpo umano, che lo
spirito si forma come manifestazione di se stesso, anch'esso è,
in certo senso, creato «secondo l'immagine della somiglianza con
Dio». Lo spirito umano è essenzialmente spirito in un corpo. Per-
ciò l'opinione di IRENEO secondo cui proprio la corporeità distin-
gue l'uomo dagli angeli e che la somiglianza non vale da ultimo
a proposito di essa, ha un profondo significato giì1 in questa ma-
niera di riflessione, che pensa muovendo dall'essere naturale del-
l'uomo.
Da quanto detto segue necessariamente che la somiglianza divina
nel suo nocciolo non può venir distrutta o andar perduta a causa
della colpa. Essa non è una qualità che potrebbe mancare senza
pregiudizio dell'integrità essenziale dell'uomo, bensì è il centro
determinante dell'essere umano stesso. Con la sua perdita sarebbe
distrutta anche la spiritualità personale, che con essa coincide. Per-
ciò la somiglianza divina espressa in Gen. 1 ,26 s. rimane anche
dopo il peccato, anche se mediante la colpa è stata indirizzata a un
bene ad essa estraneo e perciò è sconvolta nella sua determinazione.
Come rapporto con Dio però essa rimane quale dovere che non si
può perdere e sempre vincolante.
Le asserzioni della teologia paolina circa il primato assoluto di
Cristo anche nella somiglianza divina e circa il rinnovamento della
immagine originaria, gli accenni dei Padri al Logos incarnato come
al modello del primo uomo e la dottrina circa lo stato originario
indicano che l'uomo fin dall'inizio. antecedentemente a qualsiasi
F.SrOSIZIONE SISTF.MATICA

libera decisione, sta nell'ambito della grazia divina e della vita


divina, in cui egli è chiamato a una attualizzazione di se stesso d1e
supera tutte le possibilità immanenti della sua libertà creata. La
somiglianza divina dell'uomo mira sempre più alla gratuirn comu-
nione col Dio trino, cosicché l'uomo fals.1 and1c l'adc111pi1111.·1110 dclb
sua somiglianza naturale se si oppone a questa chiamata divina.
Con la colpa egli ha perduto, in vero, la attuazione gratuita della
sua vocazione soprannaturale. Ma la vocazione stessa rimane in
forza della immutata e perdurante volontà salvifica di Dio, cosic-
ché anche l'immagine naturale continua a esistere solo in quanto
destinata alla grazia divina e si distingue però fondamentalmente
dalla somiglianza di un ordine puramente naturale. La dottrina di
una doppia somiglianza divina, naturale e soprannaturale, deve
solo conferire a questa continuità nella discontinuità e all'assoluto
carattere di dono della grazia, un'espressione intellettualmente
precisa.
Siccome l'intero ordine soprannaturale è un ordine di Cristo,
anche la somiglianza divina dell'uomo è una realtà della storia
della rivelazione e una parte del mistero di Cristo. In quanto im-
magine identica per natura a Dio Cristo è l'unica attuazione per-
fetta delle parqle di Ge11. 1,26. Come già CU::.Mf.NTE o'ALESSAN·
ORIA ha visto, Gt•11. 1 ,26 s. è una profezia che si doveva adempiere
nel Cristo futuro. li suo significato pili profondo era nascosto lino
all'apparizione di Cristo e non si rivela se non nella sua vita. Cristo è
colui che è stato voluto per primo; perciò l'uomo fu creato a suo
favore. come «abbono,. di Gesù Cristo !K. Rahncrl ed è, come
tale. sua immagine. La somiglianza di Cristo rende possibile e com-
pleta allo stesso tempo la somi~li:1mr;1 dell '11omo. Percièl solo in
Cristo si lascia cogliere che cosa l'uomo debba veramente essere.
Il dovere dell'imitazione di Cristo sgorga dalla concreta essen1.a della
somiglianza stessa. Poiché essa è progcuata muovendo da Crisw,
l'uomo trova il suo vero essere solo nella conformità con Cristo.
Nella somiglianza dh·ina dell'uomo primordiale s'inaugura tulta la
storia della salvezza. Già questo inizio ancor incompleto rinvia al
mistero di Cristo come al centro significante dell'intera storia della
rivelazione e porta peri> le strurture della grazia attuata in Cristo.
I.O STATO ORIGINALE

la lingua dell'annuncio profetico. Gli. avvenimenti del tempo pri-


mordiale devono porre davanti agli occhi dell'israelita il fatto che
egli, come unn volta Adamo, sta <lavanti alla scelta tra vita e morte,
tra benedizione e maledizione, e che castighi simili lo colpiscono
~e egli trasgredisce la legge dcl suo Dio.
La situazione che deve venir spiegata attraverso una tal rifles-
sione eziologica è contraddistinta dall'esperienza della colp:1 e della
fatica, dcl dolore e della morte, un'esperienza che nella sua ama-
re1.za senza uscita lascia già presagire che un tempo non doveva
essere cosl. Iddio d'Israele però è «giusto e retto». Il suo agire è
'perfetto' ( Deut. 3 2 ,4) e tutte le sue opere sono 'molto buone'
(Gen. I ,3 I). Come si può conciliare la miseria del mondo con tale
bontà di Dio? Lo jahvista risponde: Dio non ha creato l'uomo così
come egli è adesso. L'uomo originario viveva in comunione con
Dio nel possesso tiella vera vita. Ogni infelicità è conseguenza
della sua propria colpa. L'umanità· è caduta in questa situazione
perché essa nel suo progenitore ha abbandonato Dio. Tutte le
perturbazioni della vita umana hanno la loro radice nella pertur-
bazione del rapporto con Dio.
In questo contesto l'accento di Gen. 2-3 è posto inequivocabil-
mente sulla narrazione della caduta. Il racconto del paradiso terre·
stre non ha uno scopo a sé, ma deve preparare ciò che segue e
vuole condurre alla comprensione della gravità della colpa. Esso
descrive però un mondo come corrisponde alla concezione di Dio
in Israele e alla sua idea d'una esistenza· perfetta. ~ in fondo il
mondo familiare dell'israelita, dal quale è stato tolto tutto quant.>
è negativo e fonte di sofferenza, per così dire un'cimmagine negativa
dd mondo effettivo• riprodotta in positivo. 10 L'autore al quale dob-
biamo la forma odierna della narrazione, ha riunito, allo scopo, cle-
menti di diversa provenienza che non si lasciavano amalgamare l'un
l'altro se si voleva comprendere Gen. 2 come esatta descrizione di un
giardino realmente esistente. Nella forma in cui lo jahvisra cc lo
descrive, il paradiso terrestre non è mai esistito. I singoli elementi
sono immagini che devono rispecchiare la costituzione spirituale dcl

IO H. RENcttL"s. Ur1.tschichu 1111J Hrils1.tschichte, Mainz l1964, p. 147.


l'UND/\MltNTI BIBLICI 557

primo uomo e i doni di grazia di Dio. Anche i mutamenti del mon-


do materiale, sui quali verte il discorso nel racconto sulla caduta
indicano semplicemente il mutamento nell'uomo stesso, il quale
dopo il suo peccato incomincia a vedere anche il mondo con altri
occhi.
Con la premessa di questa forma figurata di descrizione, da Gen. 2
si puti ricavare prcss'n pucu qunnLo segue riguardo all'uomo delle
origini: l'uomo è composto da un principio materiale e da uno spi-
rituale vivificante e perciò è mortale ed effimero per natura come
ogni realtà terrena (2,7). Dio però lo circonda d'uno speciale amore
e gli dona più di quanto a lui spetti in base alla sua provenienza
(la terra) e alla sua natura (vita effimera). Questo dono diverso
per altezza di grado viene espresso attraverso il collocamento nel
paradiso terrestre (2,7.8). Il giardino con l'irrigazfone e la lussu-
reggiante vegetazione è un'immagine dell'intatta vita nella comu-
nione con Dio. L'uomo era sl 'nudo', cioè povero, senza aiuto e
impotente davanti a Dio (cf. fa.ech. 16,8-13.39; Os. 2,3), ma non
doveva vergognarsene perché Dio lo aveva rivestito con la sua bontà.
Egli è essenzialmente differente da tutti gli animali e mediante
l'imposizione del nome viene presentato come loro signore (2,19 s.).
Anche la differenza e la comunità dei sessi risale all'atto dclla crea-
zione da parte di Dio. Uomo e donna son fatti l'un per l'altro,
muovendo da questa loro origine e sono uguali di natura (2,21-24).
Il significato della vita del paradiso terrestre non sta però nel godi-
mento d'una esistenza senza preoccupazioni (l'uomo è posto nel
giardino per il lavoro e la sorveglianza 2,1 ') bensl nella prova
dell'ubbidienza a Dio. Egli deve accogliere la grazia di Dio nella
sua libera decisione e deve ricevere la vera vita, che sta completa-
mente in mano a Dio, quale frutto della sua obbedienza (2,16-17).
In questo dovere del servizio ubbidiente sta il significato culmi-
nante del racconto del paradiso terrestre e il suo rapporto col rispet-
tivo presente.
Nel resto dell'Antico T es lamento si parla sì occasionalmente del
paradiso terrestre come giardino di Dio (per es. Ezech. 28,11-19;
31; Gen. 13,10; ls. 51.-~; Ezech. 36,n), ma dello stato originale
d'Adamo non si parla quasi affatto. I motivi dcl racconto del para·
LO STATO UaJGJNAl.F

diso, invece che a questo, servono alla descrizione del tempo futuro
di benedizione, nel quale Israele spèra come frutto della sua feJelr.'1
alla legge. Una menzione e!lplicita della ~razia dello s1a10 originale
la troviamo solo in Sap. 2,24 dove viene messa in rilievo la desti-
1

nazione ali' 'essere imperituro', e in Ecclus 17,1-14. Qui la descri


zione della creazione e della vocazione dell'uomo diventa imper-
cettibilmente descrizione dell'alleanza dcl Sinai e viene anche de-
scritla nei concetti della teologia dell'alleanza. Dio creò l'uomo
dalla terra e secondo la sua immagine come signore sopra tutti gli
esseri viventi ( 1 -6 ). Gli fece dono «di domina e di intelligenza»
mos1randogli am·he .di bene cd il male» (v. 7 == Dt·ut. 30,1 s ver-
sione LXX). Inoltre gli diede «la scienza e la legge della vita» e
stabill con lui «un'alleanza eterna» ( 11-12 ). Questa evidente messa
in parallelo indica lo stato originale come un primo patto tra Dio
e l'uomo e dà rilievo perciò accanto ai doni divini prima di tutto
al dovere dell'obbedienza.

b. Il Nuovo Testamento

La vera portata del racconto sullo stato originale non era espressa-
mente presente né all'auiorc di Ge11. 2, né al popolo d'Israele. Essa
viene svelata solo nel Nuovo Testamento attraverso la rivelazio-
ne della parola di Cristo e appare qui come l'inizio gratuito della
&toria della salvezza, che trova in Cristo il suo compimento. Come
tutti i temi dcl Nuovo Testamento, anche le asserzioni sullo stato
originale e sul peccato stanno esclusivamente a servizio del miste·
ro di Cris10. Esse devono spiegare la realtà di Cristo e rendere
visibile la sua immensa importanza salvifica. Esse devono mo-
strare che egli vince le conseguenze del peccato e restaura la purezza
iniziale. Come la gravità dcl peccato può essere misurata solo dalla
i:r.mdezza del suo atto redentore. così solo il suo dono della grazia
rivela la vera essenza dell'origine volma da Dio. Anche il Nuovo
Testamento raggiunge lo stato originale soprattutto mediante una
riflessione eziologica e lo riconosce come parte del mistero di Cri-
sto. Perciò a priori non si deve coniare sulla possibilità di raggiun-
l'llNDAMENTJ lllBLICJ

gere lo stato originale con i metodi della scienza profana. Come


realtà soprannaturale è visibile solo agli occhi della fede.
Benché il Nuovo Testamento non rifletta proprio espressamente
sul tempo che precedette la caduta di Adamo, bensl veda sempre
Adamo già come il progenitore dell'umanità peccatrice, dominata
dalla morte e perciò come riscontro negativo di Cristo (Rom. ,,u-
2 J ) troviamo tuttavia una serie di chiari accenni alla grazia dcJlo
stato originale. A ciò appartengono le affermazioni sulla restaura-
zione della somiglianza divina originaria e in generale la descri-
zione dell'opera di Cristo come una reintegrazione in un possesso
antico, come riconciliazione e restaurazione della reahà un tempo
perduta. Come Cristo mediante il suo atto d'amore riconcilia l'uma-
nità con Dio (Rom. 5. 1 o. JJ; 2 Cor. ',18 s.) cosl questa rottura pre-
cedente a tale conciliazione presuppone nuovamente uno stato "di
pa~ originale, se la cosa può essere spiegata adeguatamente coi
termini di 'discordia' e 'inimicizia'. Cristo è inoltre il 'secondo
Adamo', il figlio di Dio, che mediante la sua ubbidiell7.a adcmpl il
compito al quale una volta venne meno Adamo. (Rom. ,,12-21;
r Cor. 15.21 s. 4'; Phi/ 2,,.11 ). La situazione d'Adamo prima del-
la colpa era dunque simile alla sua: Adamo visse chiaramente ncJla
fortificante luce della grazia divina.
La stessa cosa risulta dalla più probabile esegesi di Rom. 7,7·2' 11
che nell' 'io' del testo vede semplicemente l'Adamo del paradiso
terrestre come l'immagine dell'uomo. PAOLO s'accosta qui cosl evi-
dentemente alla concettualizzazione e allo svolgimento dei pensieri
di Cen. 2· ~ che ejlli ha sempre presente Adamo per dimostrare
con il suo destino la funzione della legge. Egli vuole mostrare che
non la legge porta la vita, bensì la grazia; la legge è solo occasione
della morte del peccato. Cosl anche Adamo 'visse' 'senza legge'
( 7 ,9) ancora prima che fosse emanato un comandamento qualsiasi.
Ciò significa che la storia della salvezza iniziò con un tempo della
grazia e della comunione con Dio. Adamo possedeva già la 'vita',
che il cristiano ottiene come frutto della grazia di Cristo. Rom. 7 ,9

Il S. LYONNET, 'Tu Il<" con\·01tcru pu' IRom. VII 71, in N~ot~1tt1llf~t1t1<i1 ' ' P11trr
J/I•"" (F"51schrih O. Cullmann I. l..-1dcn 1961; ivi uhcriorc b1bliogr.
LO STATO UKIGIHAl..E

ha in fondo lo stesso significato di R.om. 6,14, solo che esso vale


per un altro periodo della storia della salvezza. Come il cristiano
«non è più sotto la legge, ma sotto la grazia» (6,q), cosl Adamo
'visse' «senza legge» ( 7 ,9 ), e precisamente nel senso d'una parte·
cipazione alla vita divina, che in Rom. 6-8 viene sempre indicata
mediante il concetto di 'vita'.
Queste affermazioni spiegano la dottrina dello jah\•ista. Alla luce
del Nuovo Testamento le immagini della storia del paradiso terre-
stre indicano la gratuita attuazione di quella comunione con Dio
che fu donata all'uomo peccatore mediante l'atto redentore di Cri-
sto. Già Adamo possedette la vera vita che ora è frutto della reden-
zione. La storia veterotestamentaria della salvezza, come primo brano
àella quale lo sguardo profetico d'Israele ha riconosciuto la crea-
zione e chiamata del primo uomo, appare ora come preistoria di
Cristo. Già il suo inizio era posto sotto la forza attiva della sua
grazia e apparteneva all'unica storia della salvezza. La linea di col-
legamento tra lo stato originale e Cristo ha però, secondo il Nuovo
Testamento, una direzione inequivocabilmente ascendente. L'opera
di Cristo è elevazione di quanto iniziato con Adamo. Egli non solo
ripara una colpa, ma corona e compie la storia della salvezza, tur-
bata dal peccato. Cristo è più grande d'Adamo e la grazia della
redenzione supera la grazia del paradiso terrestre. Le indicazioni
che troviamo nel Nuovo Testamento per questo rapporto sono
molte. La storia della tentazione viene descritta in Marco ( 1, 12-13)
nella concettualizzazione della concezione tardo-giudaica della caduta
del primo uomo. Gesù appare qui come il secondo Adamo, che
supera di gran lunga il primo, perché egli supera la tentazione, alla
quale il secondo soggiacque e restaura così lo stato del para-
diso terrestre. Nella teologia paolina già la descrizione di Cri·
sro come immagine perfetta di Dio (Col. 1.15; 2 Cor. 4.4) contiene
un implicito paragone con la grazia del primo uomo e la subordina
alla grazia di Cristo. Muovendo di là Paolo contrappone espressa-
mente Cristo ad Adamo: Adamo, il 'primo uomo', è solo 'anima
vivente' e deriva 'dalla terra'. Cristo però, il 'secondo uomo', è
'spirito vivificante' e viene 'dal cielo' (r Cor. 15.45-47-22). Cristo
è il prototipo al quale Adamo solamente rinvia quale «figura di
STORIA DEI DOGMI E DELLA TEOLOGIA

colui che deve venire» (Rom. 5,14). La storia della salvezza è


dunque la storia d'una crescita graduale, che raggiunge il suo pro-
prio culmine soltanto nell'apparizione di Cristo. Per quanto la ~ra­
zia originale appartenga alla realtà di Cristo, essa se ne differenzia
tuttavia come l'inizio felice del suo compimento. Pur con tutta la
sua sublimicà la grazia del primo uomo è solo uno stadio prelimi-
nare, nel quale la grazia della redenzione è bensì presente, ma non
ancora completa.

2. Storia dei dogmi e della teologia

a. Patristica

La teologia dei Padri si occupa della grazia dello stato originale


nella discussione sulla posizione del paradiso terrestre, nell'esposi-
zione allegorica della storia del paradiso terrestre e nella esplicita
questione sulla qualità e la struttura della grazia del primo uomo.

Siccome si concepiva il paradii:o terrestre come una realtà spaziale, gli


si assegnò un luogo determinato all'interno dell'antica concezione del
mondo come aveva già fatto la teologia dcl tardo giudaismo. L'opinione
predominante lo cercava non sulla terra, ma negli spazi situati sopra di
essa, non di rado nel 'terzo ciclo', menzionato anche da Paolo (2 Cor.
12,2.4). L'uomo, creato sulla terra, viene poi trasferito nel paradiso si-
tuato più in alto e dopo il peccato viene rinviato di nuovo sulla terra. Il
paradiso stesso rimane. Esso viene indicato da molti padri come il luogo
nel quale i giusti defunti attendono la risurrezione. Spesso coincide anche
col paradiso della fine dei tempi il quale però è superiore al paradiso
originale, in quanto non può più essere perduto dai giusti redenti.
Queste concezioni in fondo, se bene intese, sono solo figure della gioia
del paradiso assolutamente gratuita e del suo rapporto con la grazia
del tempo finale escatologico. Cf. J. DANIÉLOU, 'Terre et paradis chez
Ics Pères de l'Eglisc', in Eranos-]b. 22(19H) PP·433-4ì2; F.J.DOLGER,
'Sol Salutis', in LF 4/, (Miinster 1920); J. DE VutPPENS, Le paradis
te"estre au troisième ciel, Paris 1925.
Qualcosa di simile si deve dire della spiegazione allegorico-simbolica
della storia dcl paradiso, in cui i singoli elementi del paradiso vengono
visti come figura della dotazione dell'uomo mediante la grazia. La
fonte storica di tale esegesi è l'opera di FILONE o'ALESSANDRIA, il luo.

'" Mntr""""' S.,/11tJr. 11/ 2


LO STATO OUGINAU::

go della sua accettazione l'Alessandria di CLEMENTE e 0RIGENE. Muo-


vendo di là investl in vasta corrente tutto il pensiero patristico.
Il p.iradiso vale qui per lo più come simbolo dell'anima umana. Adamo
significa allora lo spirito, Eva i sensi, il ·serpente la voglia cattiva e gli
animali i moti dei sensi. Nelle piante dcl paradiso con i loro frutti e
nei ri\'i dcl paradiso, si vede la grazia di Cristo nelle sue forme molte-
plici. Cf. I. DANIÉLO!!, San:amentum futuri. Paris 1950; P. HEINJSCH,
'Der Einfluss Philos auf di;;. aheste christlichc Exegese', in AT A I I 2
( Miinster 1908 ).

Gli accenni alla grazia dello stato originale, fondati sull'interpreta-


zione allegorica del paradiso, formano lo sfondo delle riflessioni
esplicite sullo stato del primo uomo che i Padri indicano unanimemen-
te come stato della grazia. Essi parlano, al riguardo, del vestito della
«magnificenza», col quale Dio aveva avvolto l'uomo, e identificano
la grazia di Adamo con la grazia dei redenti. Cosl i Padri greci ve-
dono anche nel soffio di Dio di Gen. ~.7 il conferimento dello Spi-
rito santo, che sarebbe stato restituito da Cristo risorto, nel cena-
rolo (lo. 20,22) «allora con l'anima, ora nell'animu. 12 Innanzitutto
troviamo nell'intera teologia dei Padri la dottrina della restituzion.:
della grazia originale mediante l'opera di Cristo. Egli è la vera im-
magine di Dio, che venne dalla sua copia, l'uomo, per ristabilire e
completare il suo ordine che l'uomo aveva distrutto. «Questa im-
magine - così dice LEONE MAGNO - la rinnova in noi ogni giorno
la grazia del redentore, mentre nel secondo Adamo viene rialzato
ciò che nel primo è caduto». 11 La grazia di Cristo è dunque la grazia
originale ripristinata. Perciò la grazia del primo uomo appartiene
all'ordine soprannaturale della salvezza. Poiché essa fu concess.i
all'uomo nel momento della sua creazione e perciò doveva assegnar-
gliela fin dall'inizio, essa si chiama anche bonum naturae 14 o natu-
ralzs dignitas .'s senza che si faccia espressamente distinzione tra na-
tura e grazia.
Da quanto detto circa l'opera di Cristo risulta che la grazia ori-

u BASILIO, Adv. E11nomi11m 5, PG 29, 728 s. Similmente CnuLLO ALESSANDRINO,


Dial. de Trin. 4 (R.2086J.
13 Sermo 12,1 (R.2192).
14 DS 396.
15 LEONE MAGNo. op. nt.
STOllA DEI DOGMI E DELLA TEOLOGIA

ginale fu vista come grazia di Cristo. Troviamo anche esplicite for-


.mulazioni che parlano della grazia di Adamo come «grazia di Cri-
sto•16 o del fatto che Adamo viveva «in Cristoi.. 17 Tuttavia vale
anche qui la legge della linea storico-salvifica ascendente. Adamo è
solo un precursore di Cristo. La grazia della redenzione non solo
restaura Io stato originale, ma lo supera, poiché essa fu donata nel
corpo visibile di Cristo e perché essa conduce non più a un para-
diso che può essere perduto, bensl nel regno della vita eterna che
non può esser perduto. Questo pensiero dell'aumento della grazia
del paradiso appare per la prima volta in CLEMENTE o'ALESSAN·
DRIA e riaffiora da qui in avanti, in forma più o meno mutata, in
tutti i Padri. Esso appartiene ai punti centrali della teologia patri
stica circa lo stato originario. Cosl dice Clemente: «0 miracolo
misterioso! Il Signore si è abbassato, l'uomo è risorto e colui che è
stato cacciato dal paradiso ottiene per la sua ubbidienza una ricom.
pensa ancora più grande, il cielo». 11
Per lo sviluppo successivo diventa di particolare importanza la
dottrina di AGOSTINO. Essa nasce nella discussione con la nega-
zione pelagiana di un vero peccato ereditario e con la concezione
naturalistica della grazia ed è ad essa connessa ed è perciò essenzial-
mente determinata dalla dottrina agostiniana del peccato originale.
La giustizia originale viene caratterizzata dalla mancanza di quel-
l'elemento che per Agostino costituisce l'essenza del peccato origi-
nale, la concupiscenza. Egli la chiama perciò, facendo seguito a
Ecclus 7,30 (Deus /ecit hominem rectum), «rectitudo naturae»:
l'armoniosa unità di tutto l'uomo nella subordinazione delle po-
lenze inferiori a quelle superiori. Centro di questa rectitudo è la
bona voluntas, dalla quale dipende anche la rettitudine della ragio-
ne. Egli possedeva la grazia di Dio che gli dava la possibilità di
rimanere sempre in questa reclitudo, purché egli aderisse con la sua
volontà («adiutorium sine quo non-.: R. 1954-1956). Il peccato è

16 AMllOGIO, F.p. 20.17. PL 16,999.


11 ID, In Ps 39,20, CSE.L 6.p25 s.
ti Prolrtpl. 11,111,3, GCS 179. Traduzione di Stiihlin in BK\' 1• Cltmtns I (19341
186.
LO STATO ORIGINALK

dunque opera della sua propria volon.tà. Esso gli portò la perdita
dell'adiutorium e contemporaneamente della rectitudo.

b. La teologia medievale

La teologia medievale, la cui dottrina specifica sullo stato originale


incomincia propriamente con ANSELMO, inizia col concetto agosti-
niano della rectitudo naturae.

La 'rettitudine' (rectitudo) significa per ANSELMO quella qualità me-


diante la quale ogni essere è ciò che deve essere. La 'giustizia' (iustitia)
è l'inclinazione della volontà alla rettitudine, dunque «la rettitudine del-
la volontà custodita per se stessa». Essa è nella volontà, ma non s'iden-
tifica con essa e può perciò andare perduta. In questo senso Adamo cd
Eva erano 'giusti' fin dall'inizio in virtù di una grazia preveniente
(gratia praeveniens), essi possedevano la giustizia originale iustitia originalis.
In seguito alla riflessione di Anselmo s'interpreta la iustitia primaria-
mente come esercizio della virtù. Siccome però l'uomo con le sole nu-
de forze della sua natura è troppo debole per la vera virtù (che spesso
è detta semplicemente 'grazia') e per l'amore di Dio meritorio, egli ha
bisogno della grazia come dell'aiuto divino che trasforma con l'amore
i suoi atti umani.
Questa grazia non è grafia elevans nel senso di una elevazione essen-
ziale, bensl gratia sanans. Essa non deve quindi superare la sproporzio-
ne antica verso un fine soprannaturale (cosa che insegnerà per prima
soltanto l'alta scolastica) ma deve sostenere e sanare le deficienti forze
della natura. L'esercizio della virtù, reso possibile dalla grazia (e nel
quale natura e grazia non sono ancora concettualmente distinte), viene
anche chiamato il gratuitum.

In seguito a queste riflessioni si solleva la questione centrale per la


dottrina scolastica sullo stato originale, se Adamo sia stato creato
già 'in gratuitis' o solo 'in naturalibus', se egli dunque abbia posse-
duto le virtù fin dall'inizio, o se le abbia ottenute più tardi. Nella
risposta a tali quesiti si distinguono tre gruppi, l'ultimo dei quali
infine si afferma.

1. Per GILBERTO PoRRETANO e la sua scuola, Adamo prima


della caduta possedeva solo i naturalia. Egli avrebbe ottenuto i
F.ratuita, solo se avesse superato la prova.
STORIA DEI DOGMI E DELLA TEOLOGIA

2. Il secondo gruppo distingue due fasi prima della •aduta.


Adamo possedeva dapprima solo i naturalia, cioè la ìuJf1tia origi
nalis della natura perfettamente intatta, alla quale appartiene !'in·
terna armonia di tutti gli istinti e deUe potenze dell'anima e anche
:l dono dell'immortalità, in quanto possibilità di non morire; inol
tre l'aiuto di Dio a non cadere, ma non ancora la grazia dell'agire
meritorio. In un momento, non determinato più precisamente, egli
ottiene i gratuita, cioè l'amore e tutte le virtù che gli aprono la
possibilità di azioni soprannaturalmente meritorie. Questo gruppo
dunque distingue la iustitia originalis (la quale, benché venga detta
naturale, non può venir scambiata col concetto posteriore di na·
tura pura, poiché esso comprende anche i doni extra-nat\trali, pre-
ternaturali e la grazia attuale) dalla gratia sanctificans, fonte
delle virtù meritorie. Questa distinzione si fonda sulla legge
generale dell'ordine salvifico cristiano per cui un aduho si do-
vrebbe preparare convenientemente a ricevere la grazia per po·
terla ratificare anche con la sua libera volontà. Questa opinione è
universalmente diffusa dapprima nell'alto Medioevo. PREPOSITINO,
che vi è contrario, la dice communis, Uco DA SAI'-: CARO: com-
munior et celebrior, BoNAVENTURA: communior et probabilior. Il
caposcuola è PIETRO LoMBARDO. Lo seguono, tra gli altri, ALES-
SANDRO DI HALES, ALBERTO MAGNO, BoNAVENTURA e molti altri.

3. La terza opinione, che inizia con PREPOSITINO e trova la sua


ampia divulgazione ad opera di TOMMASO, sintetizza ambedue le
fasi. Adamo possedette fin dall'inizio i gratuita. Egli fu creato 'in
naturalibus et gratuitis'. L'esigenza del secondo gruppo è ricono-
sciuta da Tommaso per il fatto che egli dice che l'uomo già nel
primo momento della sua creazione ha acconsentito liberamente alla
grazia (S. th. I, q. 95, a. 1, ad 5). Soggetto della giustizia originale è
nell'insegnamento di Tommaso la sostanza dell'anima. Pars /or-
malis della giustizia originale è la subordinazione dell'anima a Dio,
attuata dalla gratia sanctificans. La subordinazione del corpo all'ani-
ma (unitamente all'immortalità) e delle forze inferiori al dominio
dello spirito (l'integrità) è pars materialis della giustizia originale
e viene resa possibile dalla grazia per il fatto che essa eleva !'ani-
LO STATO OIJGINAU!

ma. La giust1z1a originale consiste dunque per Tommaso nel per-


fetto ordine e armonia di tutte le parti e forze dell'uomo con ul-
tima radice nella grazia santificante, concessa all'anima.
Co~ dò ci troviam<,> innanzi a un mutamento fondamentale della
dottrina sullo stato originale. Per il secondo gruppo i doni della
giustizia originale (armonia interiore, integrità, immortalità) non
hanno alcun nesso intimo con la grazia santificante, poiché la gra-
zia ha solamente il compito di rendere possibile l'esercizio delle
virtù meritorie (dell'amore soprattutto). li concetto della iustitia
vriginalis perciò non contiene ancora il concetto della grazia santi-
ficante. Tommaso al contrario considera già questi doni come frutti
e effetti della grazia santificante. La grazia non solo conferisce le
virtù, ma perfeziona la natura dell'uomo sul piano dell'essere, CO·
sicché i suoi atti sono soprannaturali e meritori per il fatto che
derivano da un principio elevato soprannaturalmente. Cosl la gra-
zia santificante sta alla radice di tutti i doni dello stato originale.
I concetti prima separati si avvicinano a tal punto che più tardi
si discuterà ancora solo su questo problema, se cioè la grazia sia
una parte o solo la radice, rispettivamente la causa della giustizia
originale. In generale si afferma la concettualizzazione usata dai
tomisti dei secoli XUJ e xiv che indica tutti i doni dello stato ori-
ginale insieme con ia grazia santificante come 'iustitia originalis'
(giustizia originale). La necessità ancora menzionata da Tommaso
àd libero assenso alla grazia, una delle esigenze predominanti della
prima scolastica, scompare sempre più dalla visuale e non emerge
quasi più nella teologia propria.mente scolastica.

DuNs ScoTO prende una 'pos121one occasionalmente differente da que-


sta linea. Secondo lui I:: volontà nella giustizia originale era cosl le-
gata a Dio, che egli indirizzava ai suoi propri 6ni l'intima naturale ribel-
lione nell'uomo delle potenze inferiori dell'anima. Questo superamento
degli istinti ribelli per Scoto è fondamentalmente uguale all'esercizio delle
virtù dell'uomo post-adamitico, specialmente del martire. L'armonia
dello stato originale ha luogo perciò solo come risultato di un supera-
mento costante e do!oroso, che lascia dietro a sé nello strato inferiore
dell'anima una certa «tristezza• come conseguenza del suo dover ubbi-
dire. Perciò sarebbe stato possibile anche un peccato veniale, senza che
STORIA DEI DOGMI E DEI.I.A TP.OLOGIA

l'uomo perdesse la giustizia originale Inoltre egli avrebbe avuto l'im-


mortalità solo se Dio lo avesse chiamato a sé prima della decompo-
si7.ione dcl cor(lO. Per Scoto l'uomo anche nel paradiso terrestre era
essenzialmente mortale, perché il suo corpo soggiace a un processo na-
turale di decompo!izionc. L.1 questione se Adamo sia siato creato 'in
gratuitis' o 'tn naturalihur' non è ua1t11ta da Scoto. Cf. J. flNKENZELl.f.R,
'Erbsiinde und Konkupiszen:t nach dcr Lchre des Joh. Duns Scolo', in
I. AUER-H. VoLK (edd.), Tbeologie in Geschichte und Gep,enwarl. (Fell·
schrift M. Schmaur), Munchen 1957, pp. ~p9-550.

c. La teologia della riforma

Nella teologia della riforma la riflessione circa lo stato originale


giuoca un ruolo solo in connessione col tema ora predominante di
peccato e redenzione. Inoltre la problematica si sposta dalla dota-
zione di grazia del primo uomo, che viene descritta interamente
nel senso dell'antica dottrina come stato della grazia, dell'esen-
zione dalla morte e ddl'integrità, alla questione sulla gratuità della
grazia dello stato originale. Benché LUTERO comprendesse il con-
cetto naturalis, che egli usa occasionalmente a proposito della gra-
zia dello stato originale, 11• ancora nel significato agostiniano della
realtà originaria, concessa 6n dall'inizio, tuttavia si presentò più
forte in lui la tendenza ad annoverare la grazia originale tra gli
elementi costitutivi dell'uomo.
Nella teologia più recente della riforma s'intende lo stato ori-
ginale spesso in modo puramente simbolico-attualistico, poiché si
crede, come osserva E. B1tUNNER, di poter salvare il vero conte-
nuto dei racconti biblici sullo stato originale all'interno della no-
stra mutata concezione del mondo solo con «l'abbandono della
storia di Ad•mo• ( Dogmatilt l l ',-60 ).
Lo si spiega allora come
affermazione generale sull• situazione di ogni uomo, il quale vien
sempre dal peccato e tuttavia è chi•mato da Dio all'ubbidienza e•
all'amore, quindi non come avvenimenti storici, bensl come 'con-
trasti dell'esistenza' nell'uomo stesso (R. PllENTEll Schopfung 11"'1
Erlos1mg I, Gottingen 19,8, 241 ).

11a Ad c:s. W l.f,111; l.f,11; .fl,11.f.


LO STATO OllGINALE

J. Il magiste,ro

Il magistero ecclesiastico s'è occupato tre volte del dogma della


giustizia <le Ilo stato originale: nella controversia con i pelagiani e
!.emipelagiani nei concili del!a chiesa occidentale nei secoli v e VI,
nella disputa con la dottrina <lei riformatori sullo stato originale e
!.ul peccato ereditario nella sessione v dcl Concilio cli Trento e nel
corso delle controversie gianseniste.
I documenti antipelagiani contengono la dottrina seguente: Ada-
mo, il primo uomo, possedeva nel paradiso terrestre mediante la
grazia di Dio una «capacità naturale e innocenza» ( naturalis possi-
bilitas et i11nocenlia: os 2 39; NR 2 17) che viene chiamata anche
'libertà' o 'libero arbitrio' (liberlas, arbitrium voltmlalis, /iberum
arbitrium: os 239; 242; 370; 371; 383; 622). Egli non era
detto mortale» (os 222; NR 206) ma viveva in una i11/egritas
nella quale lo conservava la grazia di Dio fino che egli non peccò.
Col peccato egli ha perduto tutti questi beni.
Come nei sinodi antipelagiani, anche nel concilio di Trento si
tratta primariamente del peccato' ereditario, così che la giustizia
originale viene menzionata solo occasionalmente. Essa qui è chia-
mata 'santità e ~iustizia' ( sanctitas et iuslilia: os 15 1 1; 15r2; NR
221-222) o anche 'innocenza' (innocentia: os r521; NR 710). Col
peccato, Adamo non solo ha perso queste grazie, ma ha anche por·
tato la morte (DS 1511; NR 221) e la concupiscenza (concupiscen-
1ia: os I 515; NR 22 5) all'umanità. Con ciò però il libero arbitrio
(liberum arbitrium) «non fu affatto tolto, anche se indebolito di
forza e reso fragile» (os 1521, NR 710): una chiara indicazione
che la libertas e il liberum arbitrium dei documenti antipelagiani
non designavano la capacità di decisione data con la natura del-
l'uomo e perciò permanente, di cui parla qui il Tridentino, bensl
libertà per le buone opere meritorie, donata per grazia e che per-
ciò poteva esser perduta.

L'antica opinione che Adamo sia staco creato solo 'in naturalibus' (la
iustitia originalis nel senso della prima scolastica) non però 'in gratuitis'
(la sanctitas) trovò ancora numerosi sostenitori al concilio di Trento
LA GRAZIA DELLO STATO ORIGINALE

Perciò il testo dell'abbozzo iniziale «sanctilatem et iustitiam, in qua


creatus /11it» fu attaccato a causa della samtitas (che si voleva sostituita
da rectitudo) e a causa del creatus. Ci si accordò sul neutrale constitu-
tus e s'è lasciata cosl volutamente apcria questa questione con la for-
mula: <ASanctitatem et iustilùtm in qua constit11tus fuerat». Cf. cr V
pp. 199-203 passim; 208,q-16.18 s.; 217,7; 2I8,t9 s.; 220-222; P.
SFORZA PALLAVlCINO, Istoriu Jel Concilio di Trento, VII 9,1 (t. Il,
Roma 1833; 182).

Contro le dottrine gianseniste viene difesa la perfetta gratuità della


grazia ddlo stato originale. L'elevazione del primo uomo alla par·
tecipazione della natura divina era un'«elevazione indebita per la
natura umana» e non il suo «stato naturale• (os 1926; NR 208).
Dio pcrd\1 avrebbe potuto creare l'uomo anche senza queste gra-
zie e don i ( us 1955; NR 2 79 ), senza che con ciò egli ledesse essen-
zialmente la natura umana o non avesse soddisfatto le esigenze
Jerivant1 necessariamente da essa (DS 1903-1907; 1909; 1921;
1923 s.; 1926; 1955; 24H; 2-JJ]; 2616 s.).

4. La grava dello staio originale. Esposizione sistematica

a. Grazia santificante

Le asserzioni della Scrittura, la tradizione della Chiesa e i docu-


menti del magistero attestano come dottrina della fede che il
primo uomo viveva nello stato di comunione soprannaturale con
Dio, dunque nello stato della grazia santificante. Mediante una
speciale prova d'amore egli era chiamato, al di là del suo essere
e delle immanenti possibilità della sua natura, alla partecipazion<'
gratuita alla vita di Dio trino. Egli era dunque giusto davanti a
Dio, nel senso del Nuovo Testamento e possedeva tutti i beni,
che secondo la testimonianza della ri\'elazione sono legati insupe-
rabilmente wn la giustificazione e precisamente non solo come
pura promessa di un futuro escatologico, bensì come realtà di
salvezza presente, a lui interna e che lo tr:.1sformava. Egli era un-
to e sigillato con il Pneuma divino. :1d qual1: Dio stesso si comu·
nicava a lui. Come vero figlio c;I: Dio egli partecipava alla vita
LO STATO ORIGINALE
570

divina ed era ordinato all'immediato. possesso di Dio nel compi-


mento escatologico.
L'uomo quindi è creato fin dall'inizio come un essere chiamato
alla comunione soprannaturale con Dio. Già prima di qualsiasi
personale decisione del singolo, la storia dell'umanità sta sotto
una destinazione soprannaturale e si svolge nell'ambito della chia-
mata divina. Benché questa destinazione soprannaturale sia un
dono puramente e pienamente indebito della benevolenza di Dio,
essa appartiene all'essenza dell'uomo e in quanto vocazione e de-
stinazione non si può perdere con la colpa. Ancor oggi Dio chiede
all'uomo ciò cui Adamo si rifiutò. In questo senso, come impegno
duraturo e promesso, lo stato originale è rimasto un elemento
costitutivo dell'intera storia della salvezza e perciò, nonostante il
peccato, è rimasto presente. L'essenza dell'uomo concreto del
nostro ordine ha una dimensione soprannaturale. Le sue deci-
sioni morali s'attuano nell'ambito della chiamata divina, cosicché
egli rimane sempre simile al primo uomo davanti alla decisione
in favore o contro Iddio della vita eterna e con ciò anche in fa-
vore o contro la sua propria essenza naturale.
Dunque non c'è mai stato uno stato della pura natura. Ciò
vale anche per le distinzioni patristiche tra imago e similitudo,
come per quella medievale tra i naturalia e i gratuita. L'imago pa-
tristica contiene già in sé l'intera destinazione e dotazione sopran-
naturale e vuole ancora solo svilupparsi in similitudo. Anche i
naturalia della dottrina medievale sullo stato originale non sono
identici con la natura pura bensl comprendono per lo meno an-
che i doni preternaturali (integrità, immortalità) e la grazia at-
tuale e sono, dopo tutto, solo preparazione dell'uomo a ricevere
la grazia santificante. Essi devono rendere possibile la libera
decisione e perciò in quanto tale fase dispositiva sono una parte
integrante dell'ordine soprannaturale e compresi in esso. Anche
se con la maggioranza dei teologi della prima sco~astica e con a).
cuni dei più recenti, 19 ci si dovesse decidere per un conferimento
più tardivo della grazia santificante, con ciò non sarebbe detto

19 C.ome J. A. Mih1LF.R, Symbolile S 1 (ed. Gciselmann, Kiiln 19~8) pp. 61-63.


I.A GRAZIA DELUl STATO ORIGINAI.E
.57 1

niente contro la fondamentale destinazione soprannaturale di tutta


la storia, bensl sarebbe espressa unicamente una distinzione all'in-
terno dell'ordine soprannaturale.
Nella grazia dello stato originale si manifesta dunque la legge
che vale per tutta l'umanità. Lo stato originale non sta sullo stesso
piano accanto aJ altre fasi della storia della salvezza, ma ha, in
quanto inizio significante, un'importanza costitutiva.

b. La grazia di Cristo

Alla questione se la grazia di Adamo e la grazia della redenzione


di Cristo siano identiche, si dovrà rispondere affermativamente
con la stragrande maggioranza dei teologi. La grazia dello stato ori-
ginale è grazia del Cristo venturo già regnante sul mondo. Questa
tesi segue già dai testi della Scrittura e dei padri, che parlano di
una restaurazione ad opera di Cristo, di ciò che era perduto. Essa
risulta inoltre dalla dottrina di molti padri secondo la quale Adamo
è stato creato ad immagine del Cristo futuro e perciò fin dall'inizio
era 'membro di Cristo' o era 'in Cristo' e secondo la quale nella
redenzione: Cristo venne come prototipo alla sua 'copia' per restau-
rare e compiere il suo ordine, dopo che esso era stato turbato dal-
1'uomo. Essa è inoltre asserita insieme anche nei racconti dell'An-
tico Testamento sullo stato originale. Se l'Antico Testamento com-
prende già il racconto della creazione come eziologia della voca-
zione d'Israele e con ciò la storia del primo uomo come il primo
avvenimento salvifico e l'inizio della storia della salvezza, e se que-
sta storia della salvezza mira a Cristo come al suo significato e al
suo compimento, allora fin dall'inizio il tutto sta sotto la stessa
significazione: l'inizio deve appartenere al medesimo ordine del
compimento. L'identità fondamentale della grazia di Adamo con
la grazia di Cristo si ricava da ultimo dalla dottrina biblica inte-
grale della creazione in Cristo e del primato assoluto di Cristo su
ogni creatura (Col. 1; lo. 1 ; H ebr. 1 ).
Prescindendo completamente dalla questione scotistica se Cri-
sto si sarebbe fatto uomo nel caso che Adamo non avesse peccato,
sulla base di questi testi si deve dire: ora, in questo ordine vo-
LO STATO Oll!GINALE
572

luto e creato cos} da Dio, Cristo è il. primo, e il primo voluto da


Dio. Il primo atto di amore di Dio, che dà fondamento a tutti gli
altri, è la volontà per l'incarnazione del suo Figlio come centro
significante dell'ordine soprannaturale, sotto il quale sta fin dal-
l'inizio tutta la creazione. Percii) l'uomo fu creato come parte del-
l'universo di Cristo. Già la grazia dello stato originale viene dal
Cristo futuro e porta le strutture della sua grazia.
Se la grazia di Adamo non fosse stata concessa ad opera di Cri-
sto e in vista di lui, allora Cristo verrebbe come redentore in un
ordine che avrebbe consistenza indipendentemente da lui. Egli al-
lora non sarebbe più il primo assoluto, verso il quale e per il quale
tutto fu creato. Egli servirebbe a un decreto estraneo, fissato senza
di lui. Siccome la grazia di Cristo colmerebbe solo un'esigenza
presentata in Adamo che noi abbiamo da adempiere in quanto fi.
gli di Adamo, allora l'ordine di Adamo sarebbe più grande, più ori-
ginale e più vasto dell'ordine di Cristo. Cristo però secondo la te-
stimonianza della Scrittura è più grande di Adamo e ha in tutto
il primato. Perciò anche l'ordine di Adamo dev'essere stato già
ordine di Cristo.
Per questo motivo l'essenza propria dello stato originale si sve-
la solo in Cristo. Il compimento rende visibile il vero signifi-
cato dell'inizio e lo manifesta come la prima sezione della storia
della salvezza, che in tutte le sue fasi viene guidata da Cristo e
prepara la sua venuta nella pienezza dei tempi. Perciò le strutture
della grazia di Adamo si lasciano cogliere solo in Cristo. «Cri·
sto è tutto in tutto, il primogenito. Come 'inizio' negli uomini cht'.
egli ha accolto, come 'termine' nell'ultimo dei santi e altrettanto
in tutti gli uomini. Egli è inizio in Adamo. Egli è termine nel suo
arrivo. Come sta scritto (1 Cor. 15,45) 'L'ultimo (secondo) Adamo
è Spirito che dà vita'» (ORIGENE). 20
Per quanto però la grazia di Adamo venga da Cristo e sia
stata conferita solo per amor suo, essa tuctavia sta in un chiaro
rapporto di subordinazione alla grazia <li Cristo. A<lamo appartiene

20 In }01111nir E1•anfi.e/i11m 1 q, (;(:S IV 38. Secondo la 1rncl11zionc cli H. RAllNFR in


Er1111m-./b. 15 (1947) 220.
I.A GRAZIA llELl.O STATO UKLGINALI! 5d

ad un'altra fase anterime dell'irreversibile storia della salvezza ri-


spetto a Cristo. Egli (: solo «tipo di Cristo» (Rom. 5,14), solo
«anima vivente» e non «spirito vivificante» (e Cor 15,45-49). Cri-
sto è il primo in tutto e sopra tutto. Il peccato fu solo permesso,
affinché la magnificenza della grazia divina si manifestasse tanto più
<::suberante (Rom. 5,20 s. ). Pere i(> con l'insieme dci padri si deve
rnnsiderare hl grazia Jcl paradiso terrestre come una realtà subor-
dinata alla grazia della redenzione. La grazia della redenzione è:
di grado più elevato che la grazia dello stato originale. Siccome lo
stato originale è l'inizio, in tutto benedetto, della storia della sal-
vezza, compare in esso puramente l'e~enza di ciò che incomincia
ora, della grazia divina. Pertanto c~o supera le:: a!tre fasi della st0-
tia della salvezza, nelle quali la grazia si attua solo nel superamento
del peccato e delle conseguenze del peccato. Ma poiché lo stato
originale riceve il suo significato da Cristo, esso sta all'inizio d'una
via che raggiunge la sua meta appena in Cristo. Lo stato orig!nale
non è quindi un vertice insuperabile, quasi che tutta la storia suc-
cessiva dovesse solo raggiungere di nuovo l'inizio perduto e Cri-
sto restaurasse solamente uno stato precedente. Cristo conduce l'uo-
mo al di là della grazia del paradiso terrestre, perché in lui è ap
parso visibile il mistero della salvezza, all'inizio ancora nascosto, e
perché egli dona all'uomo purificato d:ill'esperien1.a del peccato la
grazia della sua presenza corporale.
Perciò non si rende giustizia alla grazia del paradiso terrestre se
si cercano in essa tutte le perfezioni anche solo immaginabili. Cri-
si o, non Adamo, è l'unico uomo perfetto, nel quale si lascia co-
gliere l'essenza dell'uomo e della grazia, cosl come fu progettata
eia Dio. Come più tardi si deve mostrare, non è estraneo a ciò iJ
fatto che Adamo possedeva una serie di doni preternaturali, che
nella grazia della redenzione non sono stati restituiti nella stessa
maniera. La ~razia della redenzione presenta a suo modo la volontà
d'amore di Dio in maniera almeno ugualmente perfetta quanto la
grazia del paradiso terrestre non toccata dalla concupiscenza con-
trastante.
~74 LO ST.\TO ORIGINALE

c. 'Status viae'

Poiché Adamo per il n1mando di Dio era nella scelta tra ub


bidienza e disubbidienza, si trovò egli come tutti i suoi succes·
sori in statu viac, sulla strada del compimento, non ancora nella
perfezione stessa. Egli dov~va accettare nella sua propria libera
decisione l'ordine nel quale Dio lo aveva posto. Certo egli era
1•cllo stato della grazia, antecedentemente a ogni possibilità di
una presa di posizione personale. Ma la grazia non doveva es-
sergli veramente e definitivamente attribuita, senza che egli stesso
non avesse detto il suo sl al riguardo. Per questo vale anche per
Adamo la legge fondamentale dell'ordine della salvezza, che Dio
11on salva l'uomo senza la libera adesione dell'uomo stesso. Come
tutti gli altri, anch'egli era chiamato alla responsabilità e doveva
dimostrare la serietà del suo amore nell 'ubbidicnza alla volontà
di Dio. Anche Adamo non era ancora arrivato alla meta. La sua
posizione si distingue da quella dell'uomo postadamitico solo in
questo, che la situazione, nella quale dO\·eva cadere la sua deci-
sione, era contrassegnata dalla luce corroborante della grazia non
offuscata, e non dalle conseguenze del peccato - una diflert:nza,
che fa solo apparire ancor maggiore la gravità della colpa di
Adamo.
L'esigenza nascosta nella dottrina della prima scolastica circa
la creatio in 11aturalibus si rapporta a 4uesta necessità dell'ade-
sione alla grazia e viene dalla convinzione che la grazia raggiunge
la sua meta e la sua vera essenza solo nell'accettazione libera da
parte dell'uomo.
Pertanto la prima scolastica ha riconosciuto una legge esscn·
ziale della grazia e dell'ordine della salvezza che oggi deve venir
di nuovo messa in rilievo, poiché essa, muovendo dal secolo Xlii,
ha giocato un molo scarso nella teologia dello stato originale.
Come si sia svolta questa appropriazione della grazia, se essa
si sia prolungata per un certo periodo di tempo (nel senso della
prima scolastica) o se sia accaduta nella prima libera decisione
dell'uomo (come insegna Tommaso), non costituisce una quc-
DONI PRETERNATURALI

stione di primaria importanza. Ce ne occuperemo ancora nel pro-


blema della storicità dello stato originale.

5. I doni preternaturali

a. Significato generale

Secondo la testimonianza unanime della tradizione, lo stato ori-


ginale comprendeva, accanto alla grazia santificante strettamente
soprannaturale, alcuni doni, che sono veramente nella linea ddla
natura umana, ma sono attuabili solo con una >:razia speciale di
Dio. Essi non sono dovuti, dal momento che anche senza di ess:
la natura umana rimane ancora sopra il limite più basso, che come
tondamento dell'essere umano non può essere oltrepassato sen1.a
distruggere l'uomo. Si distinguono dalla grazia, poiché non oltre-
passano il confine della natura umana neanche verso l'alto. Di
origine divina è solo la loro auuazione. non la loro essenza.
Il significato generale dei doni dello stato originale deriva dal
loro carattere preternaturale. Poiché essi devono perfe-.lionare l'uomo
nella direzione della sua propria natura. essi sono a servizio del fi.
ne specifico, che è assegnato nll'uomo come persona. Sono capiti nel
modo migliore, quando li si spiega come doni, che devono render
rossibile una perfeua auto-auuazione. ricavata dal possesso atti,·o e
personale della libertà. Essi quindi non dicono nulla in primo luof!o
circa il possesso di determinate qualit;. di ripo materiale. Non si può
senz'altro concludere da essi, come accadde occasionalmente nella
tradizione, che il primo uomo sia stato colmato di tutte le perfezioni
immaginabili, che egli abbia posseduto le \•irtì1, tutto il sapere e so-
prattutto ogni felicità esteriore nella misura più alta pensabile. Que-
sta concezione non regge già alla domanda circa le qualità da auri-
buire a un tale uomo idealizzato. Dappertutto, dm·c si concepl in
questa maniera l'immagine del primo uomo. essa presentò fonda-
mentalmente solo i tratti idealizzati del tipo d'uomo a volta a volta
predominante e si mutò con questo.
Al contrario i doni del paradiso terrestre significano una perfe-
zione dell'interiorità personale dell'uomo stesso nei suoi atti cen-
LO STATO ORIGINALE

trali e precisamente in modo che l'uomo potesse possedersi e attuarsi


più profondamente e più radicalmente e senza essere impedito da
eventi non personali. L'uomo doveva poter disporre di sé e della
sua posizione nei confronti di Dio movendo dalla libera originalità
del suo essere personale e precisamente in modo che la volontà spi-
rituale improntasse tutti gli strati dell'uomo, anche quelli che so-
no più lontani dal centro della sua persona, e li trasformasse nello
specchio puro cli se stesso. I doni preternaturali dovevano dunque
creare l'ambito in cui la decisione, che era affidata all'uomo, potesse
avvenire come azione della pura libertà.
A questi doni appartengono innanzitutto l'integrità come libertà
dalla concupiscenza e la libertà dalla necessità della morte.

b. L'integrità

Secondo Paolo (Rom. 5, 12-7 ,2 5) fa concupiscenza ( rn~avµla.) sta


in stretto rapporto col peccato. Essa è chiamata anche perfino 'pec-
cato' (Rom. 6,u), ma non è identica al peccato, bensl indica una
forza interna, che spinge l'uomo al peccato. Essa è per Paolo (Rom.
7,7; I Cor. 10,6) perfino la radice di ogni colpa umana, cioè l'egoi-
smo radicale dell'uomo che non vuole essere creatura e non vuole
ricevere la sua vita da Dio, bensl pretende disporre cli sé secondo
la sua iniziativa e il suo arbitrio. Perciò egli può riassumere tutta
la legge divina nella parola: «Non desiderare!ll> (Rom. 7,7). Se-
condo l'esegesi del Genesi contenuta implicitamente in Rom. 7 ,7-
25, «Adamo non conosceva la concupiscenza» finché egli era nello
stato della vita». Essa si destò soltanto per causa del comando e
generò poi il peccato e la morte. Essa dunque sta in stretto rapporto
con il peccato, senza essere tuttavia per se stessa già un'azione libera
e colpevole. «Deriva dal peccato e rende inclini al peccato» (os
1515; NR 225). Il regno dell'epithymia cominciò per la prima volta
colla colpa di Adamo. Essa dunque non regnò nella grazia dello stato
originale.
Queste asserzioni che non contengono ancora niente a riguardo
dell'intima struttura della concupiscenza e della libertà da essa, so-
no comprese e sviluppate nella teologia della tarda patristica e del
DONI Pll.E'l'EVIATUaALI H7

medioevo nel senso dell'agostiniana rectitudo naturae. La libertà dal-


la concupiscenza ( = integrità) qui significa innanzitutto l'unità e la
compattezza della persona nella subordinazione rispettivamente delle
forze inferiori a quelle superiori e di tutte sotto la sovrana disposi-
zione dello spirito sottomesso a Dio. In senso più stretto per inte-
grità s'intende la perfetta assenza dei moti dei sensi, in quanto che
essi si oppongono allo spirito e tendono al male e precisamente ne]
modo che essi o erano estinti a priori o domati dalla forza superiore
dello spirito, elevata dalla grazia.
Nei documenti del magistero del tempo delle lotte pelagiane la
libertà dalla concupiscenza è contenuta nel concetto della integritas
(ns 389) e soprattutto nel concetto della libertas (os 239, 242,
370-371, 383, 622), senza ruttavia che sia nominata espressamente
come tale.
Il significato più esatto di queste affermazioni deve essere chia-
rito muovendo dall'essenza della concupiscenza.21 La concupiscenza
non può consistere solo nell'attrattiva verso il male. Sarebbe poi in-
spiegabile perché mai la sensibilità, che ruttavia è cieca per i valori
morali, si desterebbe con la sua resistenza solo di fronte agli oggetti
moralmente buoni. La concupiscenza è piuttosto la capacità ostinata
di tendere contro la volontà dello spirito e diventa soltanto allora
desiderio 'malvagio' se si erge contro la volontà al bene. La volontà
di desiderare della persona si deve imprimere, nell'uomo post-
adamitico, continuamente negli strati umani intrapersonali e affer-
marsi contro la tendenza stabile loro propria che è moralmente in-
differente. Nella direzione delle inclinazioni del corpo e del sensibile,
cosl diversa dalla volontà della persona, e nell'impeto della spinta
al male derivante dal peccato originale si fa sentire la sua tendenza
ostinata nello stato presente, soprattutto come resistenza al bene e
come inclinazione al male, nonostante che essa possa presentarsi,
muovendo dalla sua essenza narurale altrettanto bene come resi-
stenza al male. In quanto l'uomo prova la concupiscenza così intesa
nell'ordine sessuale, il pudore può anche essere un segno della con-

21 Cfr. K. RAHNEK. 'Zum theologischcn Bcgriff der Konkupiszcnz', in Scbriften I,


377-.p4.

17 · AIVH<'TI""' Safotir.11/2
LO STATO ORIGINALE

cupiscenza sessuale e quindi della c~ncupiscenza in genere, nono-


stante che contenga primariamente altri elementi. Questa contraddi-
zione fondata sulla essenza dell'uomo è, nell'ordine presente, sem-
pre inseparabilmente legata a quella epithymia paolina che ha la sua
sede nello spirito, non nel corpo o nella sensibilità, e spinge l'uomo
come persona libera alla resistenza alle disposizioni di Dio.
L'integrità dcl paradiso terrestre significa inoltre la libertà dalla
concupiscenza in questo senso globale. Nella grazia dello stato pri-
mitivo l'uomo possedeva la capacità del perfetto dominio di sé in
modo che lo spirito non era sottomesso a quella spinta elementare
verso il male e imprimeva questa sua volontà di decisione, attuata
nella pura libertà, anche agli strati esterni alla persona sia che quella
tendenza d'opposizione non esistesse, sia che egli la trasformasse con
la potenza della sua libertà. Per questo l'opinione di Duns Scoto,
secondo la quale l'integrità paradisiaca è eguale nella sua struttura
all'esempio delle virtù dei redenti, si può senz'altro accordarla con
le fonti. Si può dunque dire con Scoto che la tendenza d'opposi-
zione degli strati inferiori appartiene alla natura dell'uomo e per-
ciò non era estinta neanche nel paradiso terrestre. La volontà spi-
rituale si doveva allora affermare in modo simile (e anche simil-
mente doloroso) come al tempo seguente alla caduta dcl peccato,
solo che la grazia dello stato primitivo concedeva allo spirito del-
l'uomo una potenza, che ora egli non possiede più.

c. La libertà dalla necessità della morte

Secondo la testimonianza della Scrittura e della tradizione la morte


è la conseguenza e un modo di manifestazione del peccato ( Gen.
2,17; 3,19; Sap. 2,14; Rom. 5,12; DS 222; 372; 1511). Con ciò è
detto semplicemente che secondo la volontà iniziale di Dio doveva
essere diversamente e che l'uomo era destinato da Dio alla vera vita
indefettibile.
Troviamo l'asserzione fondamentale nel racconto del paradiso ter-
restre e della caduta ad opera dello jahvista. Dio minaccia la morte
all'uomo per il caso in cui egli violi il suo comando e mangi del-
l'albero proibito della scienza: « ... dal giorno in cui tu ne man-
OONI PRETERNATURALI 579

gerai, dovrai morire»; «con il sudore della tua faccia mangerai pane
f:inché tornerai nel suolo perché da esso sei stato tratto, perché pol-
vere tu sei e alla polvere tornerai!» (2,17; 3,19). Per il redattore
jahvista il primo uomo dunque si trovavo davanti alla scelta tra la
sua propria volontà, contraria a quella di Dio, che doveva recargli b
morte, e l'obbedienza al comando di Dio, che gli prometteva in
cambio la vita. Che l'uomo ora debba morire, che la morte irrompJ
su di lui con tale amarezza, ciò per lo jahvista è connesso con il
reccato nello stesso modo della fatica del lavoro, delle spine e dci
triboli, dei dolori del parto e del turbato rapporto dci sessi.
Per una romprensione più particolare di queste affermazioni si
deve ancora riflettere su quanto segue: per la fede d'Israele l'aspetto
amaro e distruttore della morte non consisteva propriamente n;~~i­
morte corporale, ma nel fatto che il defunto è escluso da Israele, ia·
comunità di salvezza, e dal suo culto, anzi nel fatto che Dio stesso
lo abbandona (ls. 38,18; Ps. 88,6.12; Ps. 6,6; ecc.). Si considera
dunque la morte come realtà primariamente religiosa, davanti a cui
perde d'importanza la fine terrena della vita. «C..ome il concetto di
vita non comprende solo la vita corporea, ma anche tutto ciò che il
giusto ottiene in ricompensa della sua virtù, al primo posto l'ami-
cizia di Dio, cosi il concetto di morte comprende tutto il male che
capita all'uomo come castigo dei peccati, in primo luogo la perdita
dell'amicizia di Dio». 21 La stessa cosa risulta da Sap. 2,2 3 s., dovi!
per la 'morte', che «entrò nel mondo per invidia del diavolo .. è in·
tesa inequivocabilmente la lontananza da Dio, non la morte corpo-
iale; poiché soffrono questa morte solo coloro «che appartengono a
lui (al diavolo)», mentre i 'giusti' «riposano nella mano di Dio».
'Vita' e 'morte' sono inoltre concetti centrali della teologia ebraica
dell'alleanza. Il popolo sta di fronte alla scelta tra vita e morte (Deul.
30,15-20) senza che per questo si debba trarre conclusioni sul
possesso attuale d'un'immortalità. La vita è promessa piuttosto CO·
me ricompensa dell'obbedienza, mentre la disobbedienza alla pa-
rola di Dio porta con sé la morte (b:ech. 3,18-21; 14,13-23; 18;
20,u.13.21; Abac. 2,4; Bar. 4,1). La posizione d'Israele corrispon-
LO STATO ORIGINALE

de qui alla pos1z1one di Adamo. Entrambe sono collegate espressa-


mente l'una all'altra anche, come già vedemmo, nel libro dell'Ec-
clesiastico ( 17, 1-14 ).
Alla luce di queste affermazioni i concetti di 'vita' e di 'morte'
si riferiscono anche in Gen. 2-3 principalmente e nell'intenziona-
lità propria degli asserti, alla vita con Dio nell'ubbidienza alla sua
parola e alla separazione da Dio nella colpa, alla morte dell'anima.
Come la situazione di Adamo corrisponde alla situazione del popolo
d'Israele nella stipulazione dell'alleanza, cosl anche i due concetti di
'vita' e di 'morte', come le possibilità della sua decisione, hanno in
entrambi i casi un significato simile. La morte corporale, cui l'uomo
è soggetto, è immagine e segno della lontananza da Dio. La vita,
t-..,. Dio gli promette, è la comunione duratura e inalterata con il
Ja. ' O•r vivente.
·

-e~che il passo neotestamentario fondamentale di Rom. 5, 12 con-


.erma questo risultato." La 'morte', di cui Paolo parla come della
conseguenza rovinosa del peccato, è da ultimo la perdita della vita
divina, la lontananza da Dio,2 4 a cui allude simbolicamente la morte
corporale nella sua amarezza. La vita precedente a questa morte è
da intendersi poi nel medesimo senso ampio come la comunione di
grazia con Dio della vita eterna.

Nonostante la fantasiosa rappresentazione della meravigliosa condizio-


ne paradisiaca, che si rifà ampiamente alla teologia del giudaismo rah·
binico, anche i padri mettono in evidenza che l'immortalità corporale
di Adamo era solo conseguenza e segno della comunione di grazia con
Dio. Spesso (soprattutto in AGOSTINO e in alcuni dei primi scolastici),
l'immortalità è fatta risalire ai frutti dell'albero della vita. Nell'alta sco-
lastica l'albero della vita ha un ruolo sempre più ridotto. L'immorta·
lità ora vale come parte della iustitia OTiginalis ed è effettuata dalla
stessa causa di quest'ultima. Per ScoTo anche l'uomo allo stato origi·
nale non era immortale nel senso terreno corporale. Il processo natu·
raie di disfacimento del corpo avrebbe recato presto o tardi la morte.

li S. LYONNET, 'L: péché origine[ et l'ex~ de Rom. 5,10-14', in RSR of.4(1956)


6}·89; ID, ·1...c péché origine! en Rom. 5,12', in Bibl. 41 (196<>) 32~-~n-
14 M. ScHMAUS, DogmaliA: 11, Miinchen 4 1949, pp. 374 (tr. it.: Dogmatic• callolica,
Marietti, Torino).
DONI PRETERNATURALI

L'immortalità egli l'avrebbe ottenuta solo se Dio lo avesse chiamato


a sé prima della decomposizione del corpo.

In un ripensamento sistematico si dClvrà riflettere sul nesso tra con-


cupiscenza e morte e tra integrità e vera vita. Come la concupiscenza
derivante dal peccato originale raggiunge il suo punto culminante
nella morte, in cui l'uomo non può disporre attivamente di sé, ma
!>Olo sopportare ciò che gli capita senza averlo cercato, cosl anche la
integrità originaria si sarebbe completata nella vera vita. Anche nel
caso di una buona decisione, la vita terrena di Adamo si sarebbe do-
vuta trasformare nella vita vera ed eterna, lo status vitae nel compi-
mento del fine, e forse la buona decisione sarebbe stata già l'atto di
questa trasformazione.
La libertà dalla necessità della morte nel paradiso terrestre signi-
fica dunque che la vita eterna, che comporta la trasfigurazione del
corpo, per l'uomo creato dalla terra e perciò mortale per natura, è
stata 'fatta sperare' come frutto della sua obbedienza. Questa vita
intesa cosi, l'uomo se l'è giocata col suo peccato. Ora non fu tolta
la promessa stessa. La vita, che Adamo doveva raggiungere medianfe
l'unico atto di ubbidienza, è ora il frutto gratuito della sequela di
Cristo, che si avvera nell'esperienza della morte. Si è dunque cam-
biata la strada che conduce alla stessa meta.

d. Dono della scienza e dell'impassibilità

Tra i doni del paradiso terrestre vengono nominati occasionalmente an-


che i doni della scienza e dell'assenza dal dolore. Per il dono della
scienza ci si basa sull'imposizione dei nomi agli animali da parte di
Adamo (Gen. 2,20) e sulle parole riguardanti la donna (2,23 s.). S'addu-
ce inoltre il principio che Adamo quale capostipite doveva essere più
perfetto dei suoi successori, e che inoltre avrebbe dovuto possedere
per loro istruzione una scienza vasta (che alcuni teologi medievali esten-
dono anche ai campi della conoscenza sperimentale posteriore). L'iin-
posizione del nome agli animali tuttavia dev'essere espressione solo della
posizione di dominio dell'uomo. Le parole riguardo alla donna sono una
affermazione della omogeneità dei sessi. Poiché la scienza dell'umanità
cresce con l'esperienza - e non solo mediante l'insegnamento - basta
LO STATO DalGINAUt

anche per il primo uomo il fatto che egli possedeva le normali potenze
spirituali umane. Anche la decisione religiosa, a cui Adamo era chia-
mato, non presuppone alcuna esplicita conoscenza dci sinRoli contenuti
di fede nel senso di un11 conoscenza estesa della fede. Né la pouibilità
della dt'cisione stessa, né la sua profondità ed t'fficacia salvifica Jipcn-
Jono dalla misura dd sapert'. Pt"rciò non c'è bi50Rno di supporre una
rivelazione:' sopr11nn11turale con parole, accolta coscientemente:, nd sen-
so d'un ammaestramento divino di Adamo.
La decisione religiosa è possibile ovunque l'uomo accetta la sua esisten·
za nella liherrà e si riconosce posto davanti a Dio nella responsabilità del
bene e del male. Per la spiegazione del dogma dello stato originario
è sufficiente in senso stretto l'esperienza di quei contenuti di conoscen·
za che noi desiRniamo comunemente come raggiungibili attraverso la
'conoscenza naturale di Dio'.
Su di una vera esenzione dal dolore del primo uomo il racconto dcl
Genesi non contiene nulla. Mette in evidenza perfino il dovere dcl la-
voro. I castighi, cui appaniene anche la fatica della vita del lavoro,
non significano un'alterazione della natura o delle forze fisiche dell'uo-
mo, ma vogliono indicare una mutata posizione dell'uomo riguardo ai
fatti della vita, che sono dati con la realtà terrena come tale. La prescr·
vazione dal dolore in senso proprio non si lascia conciliare col mondo
a noi noto.

e. Il rapporto della grazia coi doni del paradiso terrestre

Con ScoTo e molti altri si può vedere nella grazia la causa ultima
dei doni del paradiso terrestre. L'opinione contraria, che è difesa
ad es., da SUAREZ e che sostiene che i doni preternaturali vi sono
stati uniti solo in base ad un decreto divino e solo per il tempo
dello stato originale, dunque non in base ad un intimo nesso, si fon-
da sul fatto che in Cristo fu restituita solo la grazia santificante,
non perè> quei doni. Questo presupposto si può contestare. Anche
la grazia della redenzione non è attuata pienamente prima che l'uomo
abbia raggiunto la beata libertà dei figli di Dio ( = integrità) nella
trasfigurazione della vita eterna ( = immortalità). Integrità e im-
mortalità sono semplicemente conseguenze connaturali della grazia
della redenzione e non sono congiunte ad essa solo esternameme.
Esse appartengono alla sua manifestazione perfetta. La differenza tra
STOtlCITA DEl.1.0 STATO ORIGINALE

il paradiso terrestre e il tempo della redenzione sta solo nella forma


della loro attuazione: ciò che doveva toccare ddinitivamerue al pri-
mo uomo in seguito ad un 'unica decisione buona, è ora il frutto
della vittoria dolorosa sul peccato e sulla morte. Pertant• anche la
grazia della redenzione porta con sé integrità e immortalità, per cui
un'antica tradizione cristiana parla giustamente della vita cristiana
come di un •ritorno al paradiso•.l5

6. La storicità dello rtato originale

Non si tien conto sWlicicntcmente della dottrina della Scrittura e


della Chiesa, se s'intende lo stato originale in modo puramente sim-
bolico-attuale come un'affermazione sulla situazione dell'uomo in
genere. Si tratta piuttosto di un evento svoltosi all'inizio nel tempo
della storia della umanità. L'uomo era stato creato da Dio nello
stato di grazia e con un suo atto peccaminoso ha perduto per tutta
l'umanità la vita divina, che gli era stata donata e perciò ba pro-
dotto la situazione di miseria, in cui oggi ognuno viene generato!
In questo senso lo stato originale è veramente storico. E siccome la
volontà salvifica di Dio, manifestata nella grazia del paradiso ter-
restre, sussiste immutata nonostante il peccato di Adamo, sotto le
cui conseguenze sono tutti gli uomini e che vien commesso poi con-
tinuamente, lo stato originale e la caduta dcl peccato rimangono
presenti e si può riconoscere in essi anche un'asserzione sull'uomo
~ sulla sua salvezza in generale.
Ciò che è riferito al di là dei contenuti strettamente religiosi
del racconto dcl Genesi sul paradiso terrestre è forma d'esposizione,
non contenuto. Già l'aspetto bizzarro e inverosimile di alcuni tratti
indica che qui non si tratta di un mondo reale (essenzialmente
,·ambiato rispetto a quello odierno), bensl esclusivamente dell'uomo
e; della grandezza della sua vocazione. Il paradiso terrestre come
'giardino' non è mai esistito, ma certamente è: esistita la grazia del
primo uomo. Poiché dunque si tratta di una realtà spirituale e re-

i• A. SrnLZ, lrologia J,•l/;1 111i1licd, Mor,clliana, Brc1da


I.O STATO ORIGINALE

ligiosa lo stato originale è fondam~ntalmente irraggiungibile per


tutti 1 metodi di conoscenza delle scienze profane. Il dogma dello
stato originale e del peccato ereditario non dice nulla neppure
sulla forma corporale del primo uomo. Lo si può immaginare intera-
mente come un tipo biologicamente e mol'fologicamente ancora
'primitivo'. Nel momento in cui una creatura è persona, dunque
spirito che possiede se stesso, esso è anche 'partner' di Dio e per-
ciò capace della decisione religiosa al cospetto di Dio. Questa capa-
cità presuppone solo il possesso dell'anima spirituale, non invece
un determinato grado di civilizzazione o una cultura sviluppata. La
questione del tipo del primo uomo nella sua evoluzione storica e
dell'era geologica della sua comparsa cade nella competenza esclu-
siva delle scienze naturali.
Riguardo ad una durata temporale dello stato originale non è
detto nulla né nella Scrittura né nella tradizione e se con TOMMASO
(S. Th. I-II, q. 89, a. 6) si accetta che il primo atto propriamente
libero e cosciente è una decisione su se stesso in vista del fine ul-
timo, nella quale decisione avviene simultaneamente o l'abbandono
fiducioso alla grazia della giustificazione o la separazione da Dio
nel peccato grave, allora si può del tutto accettare che la decisione
peccaminosa di Adamo è stata quel primo atto libero. Un tale atto
può estendersi ad una certa durata temporale senza perdere la sua
interna unità. Le grazie e i doni dello statò originale avrebbero
avuto l'unico compito di render possibile questa decisione e di
crearle l'ambiente adatto ad essa. In questa concezione dunque
Adamo non avrebbe mai pronunciato prima della caduta il libero
sl alla sua vocazione.
Una tale grazia, che santifica l'uomo anticipatamente ad una
presa di posizione personale, noi la conosciamo nell'ordine presente
nel battesimo dei bambini. Nel sacramento del battesimo al bam-
bino sono concesse la grazia e le virtù soprannaturali, cosicché egli
è realmente «in ius/itia et sanctitate», già senza per questo aver
pronunciato un libero sl. Al primo uomo sarebbe stata donata in
modo simile la grazia dello stato originale al momento del suo farsi
uomo, e cioè come un dono, che egli avrebbe dovuto ancora assu-
mere liberamente, perché divenisse perfetto, e che in effetti egli non
BIBLIOGRAFIA

ha assunto, ma ha rifiutato, e per questo l'ha perduto. Una tale


concezione potrebbe fondarsi sulla dottrina molto diffusa ancora nel
secolo xv sccondo cui Adamo prima della caduta nel peccato non
avrebbe compiuto atti propriamente soprannaturali e meritori.i..
Anche la dottrina della creatiu ùz naturalibus - dalla Chiesa mai
contestata - si avvicinerebbe a 4ucsta concezione.

WOLFGANG SEIBEL

26 A. ZUMKELLEK, 'llugoJin von Orvieto iibcr Urstand und Erhsiindc', in AuguJti


niana 3 (1953)4,.

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CAPITOLO DECIMO
L'UOMO NEL PECCATO

Nella sua rivelazione Dio ci dice chi egli voglia essere per noi e
che cosa noi siamo e possiamo essere per lui. La nostra relazione
col Dio della nostra salvezza è l'unità concreta di diversi momenti
che in questi capitoli verranno analizzaci successivamente. Nel no-
stro rappono di creature con il Creatore e di giustificati con il Dio
dell'Alleanza è incluso il fatto che l'uomo si trovi in un atteggia-
mento di risposta di fronte a Dio: nella fede, se si accetta, o nel
peccato se si rifiuta. E al riguardo la parola rivelatrice di Dio fa
presente a noi tutti e ad ogni singolo che il peccato ha ottenuto
potere con noi e sopra di noi in modo che noi abbiamo bisogno
della giustificazione di Dio in Cristo anche come redenzione. «La
Scrittura invece ha rinserrato ogni cosa sotto il peccato, perché ve-
nisse data la promessa in virtù della fede in Gesù Cristo a quelli
che credono» (Gal. 3,22).
Nell'Antico Testamento i profeti e gli agiografi, i 'primi profeti',
formano la coscienza d'Israele ed essi scorgono il peccato in seno
al popolo di Dio. ISAIA inizia la sua predicazione con una dura
requisitoria: «Guai, gente peccatrice, popolo carico di iniquità!
Progenie di scellerati, figli corrotti!» (Is. 1 ,4). A GEREMIA, il pro-
feta della rovina di Giuda, dice Jahvé: «Percorrete le vie di Geru-
salemme, osservate bene e informatevi, cercate nelle piazze se tro-
vare un uomo, uno che operi giustamente e ricerchi la fedeltà e io
le perdonerò... Ahimé, anche questi hanno rotto il giogo, hanno
spezzato i legami!» (]er. 5,1.5). Che i popoli pagani siano immersi
nel peccato, specialmente per la loro idolatria, è un assioma per i
profeti, ma non costituisce mai un motivo per esaltare Israele al di
sopra di loro: «Grande fu l'iniquità della figlia del mio popolo,
maggiore del peccato di Sodoma» (Lam. 4,6; Ezech. 16,46 s.). Que-
sto peccato non si estende però solo sui contemporanei di coloro
INTllODUZIONE

che cosl parlano, ma macchia il popolo di Dio in tutta la sua storia.


I primi peccati hanno avuto inizio già nei giorni del primo amore,
nel tempo della peregrinazione nel deserto, quando il popolo con il
suo mormorare e il culto del vitello d'oro tentò il suo Dio. Secondo
EzECHIELE il popolo pcccc) già in Egi1to ( f::tech. 20,6- rn; 2 3 ,3·7 ).
La storia dei Patriarchi parla già di peccati nel capostipite Gia-
cobbe o Israele, cd anche Abramo non fu del tutto coerente nella
sua fede. Del resto egli proveniva da quel grande mondo di popoli,
già carico di colpe dai giorni di Noè. Israele e l'umanità intera quin·
di si trovano in stato di peccato davanti a Dio. di tuo primo padre
peccò, i tuoi intermediari mi furono infedeli• (ls. 43,27): questa
parola su Giacobbe, il capostipite che porra il nome di Israele,
vale anche per tutta l'umanità. Da questa disamina ebbe origine la
narrazione del peccato 'dell'uomo' nel libro della Genesi. (Gen. 3 ).
Il Nuovo Testamento non parla diversamente circa la peccami-
nosità di tutti gli uomini. L'incredulità che porterà al rifiuto del
messia, è biasimata da Gnù stesso (Ml. 23) e da Stefano (Aci. 7)
come continuazione delle colpe dei Padri. PA01.o inizia la dottrina
della redenzione nella lettera ai Romani descrivendo la peccamino..
sità 1an10 dei pagani quanto dei Giudei e conclude affermando che
tutti si trovano sono l'ira di Dio: •non c'è nessun giusto, neanche
uno solo•. (Rom J,IO; cf. Ps. 14,3). Nel quinto capitolo di questa
lettera, piena di esuhanza per la sovrabbondanza della redenzione,
Cristo viene contrapposto al protagonista di Gen. 3 1 ad Adamo con-
cepito qui come figura storica (Rom. ', 12-21 ), e con ciò le colpe
dei discendenti sono connesse con quelle del progenitore: la costa·
tazione della riflessione preliminare: e tutti hanno peccato» (Rom.
3,23) è qui ripetura (Rom. 5.12). Al termine del lungo passo sulla
temporanea repulsione di Israele ritorna il pensiero dell'universo.
lità del peel"ato e della grazia: « IJdio dunque ha racchiuso tutti
nella disobbedienza per usare misericordia con tutli» (Rom. 11,32 ).
Questo messaggio di Paolo (· esposto da Grm'ANNI con altre catc·
gorie: mediante la loro incmlulirà nei rnnfronri di (~ef.Ù 'i giudei'
rinne~ano il loro padrt• Abramo e prendono per p.1dn: il dia\·olo
(lo. 8,37-~9). La medesima perversione si reali1.za in tutta l'umanilà,
nel 'mondo'. il quale. per avere rifiuraro Cristo, da mondo ranto amato
INTltODl 17.IONf.

da Oio che vi aveva inviato il figlio suo, diventa mondo sottomesso


al diavolo come a suo principe e odia Cristo e i suoi, mondo nl
qua'e Cristo non si rivela. per il quale egli nemmeno prega. mondo
della triplice concupiscen1.a, tutto posto nel maligno (/o. 1,10; 12,
31; q,19.22; 15,18 s.; 16,8-11; 17.9; 1 lo. 2,16; 5,19). All'Agnel·
lo di Dio si contrappone il pecrnto dcl mondo (lo 1,29 ).
Quanto ci è presentato in queste e in molte altre espressioni della
Scritrurii sarà rielaborato teologicamente nelle pagine seguenti alla
luce ddla tradizione e del magistero. Già a una prima lettura dci
testi riportati risulta chiaro quale grande potere eserciti il peccato
in noi tutti e su noi tutti. Sarebbe perciò più conforme alla Scrit-
tura un'indagine sul peccato nella comunità e solo dopo nel singolo.
Tuttavia per ragioni di maggior chiarezza e per strutturare piìr
semplicemente questo capitolo vogliamo procedere analiticamente
e invertire l'ordine. Perciò trattiamo anzitutto del peccato in quanto
riguarda il singolo uomo; in questa indagine esamineremo il suo
carattere di ribellione, la sua derivazione dalla libertà, la sua essenza,
il suo rapporto con Dio, la sua punizione e le conseguenze nello
stesso uomo peccatore. Solo in seguito passeremo a trattare dei
problemi che sono connessi con la solidarietà di noi tutti nel pec·
cato e che si trovano in stretta relazione con il tema biblico dcl
'peccato del mondo' e con quello tradizionale del peccato originale.
SEZIONE PRIMA
L'ESSENZA DEL PECCATO

r. Aspetti del peccato

a. Il peccato come offesa contro Dio e contro la creazione

I termini usati per lo più nella Scrittura per esprimere il peccare, 1


l'ebraico hiitii e il greco àµ11pi:ci.vw, hanno il significato originario di
'mancare', ma nel contesto possono assumere spesso il significato
di 'mancare di rispetto', 'offendere qualcuno', 'offendere Dio'. La
nostra usuale definizione del peccato come trasgressione della legge
di Dio corrisponde sì alla Scrittura; tuttavia bisogna considerare
quanto intimamente questa legge sia stata assunta nell'Alleanza e
quanto insistentemente sia stata imposta da «Jahvé, tuo Dio» (5
volte in Ex. 20,2-12).
Il peccato trova perciò l'aspetto suo più espressivo nell'idolatria,
che nel decalogo è proibita per prima (Ex. 20,3-Deut. 5 ,7 ), per pri-
ma è rinfacciata dai profeti al popolo (Am. 2,4; Os. 2,4; Mich. 1,7;
Ier. 1,16; Soph. I,4; Bar. 1,22; Is. 57,5; Ezech. 6,1) e in cui altri
peccati hanno la loro origine (Sap. 14,22-31; Rom. 1,18-32). Essa
significa soprattutto offesa (pefa'), sfida (kii'as) e disprezzo (na'as)
di Jahvé e riveste il carattere di rottura dell'alleanza, di adulterio
nei confronti di Dio.
Tale concezione veterotestamentaria è confermata nel Nuovo Te-
stamento e al tempo stesso approfondita, perché Cristo smaschera il
peccato come diretto da ultimo contro il regno di Dio e contro lui
stesso (Mt. 10,33; n,20.24; 12.38-42; ]o. 15,18.23-25) e contro
lo Spirito santo (Mc. 3,28 s. e par.).
Dio è però il Creatore, che ci giustifica in Cristo. 11 peccato perciò

I Cf. G. QuEr.1., G. BERTRAM, G. STAllLI:-l, W. GRUNDMANN, ciµnQ-rcivw, ecc., in


TWNT 1, 267-320; S. LYONNET, De peccato et redemptione I, Roma 1957.
ESSENZA DEL PICCATO
~94

non è diretto soltanto contro Dio, ma anche contro la sua creazione


dotata della sua grazia. Se esso in una definizione usuale è spiegato
come aversio a Deo et conversio ad creaturam le ultime parole
possono suscitare un malinteso e condurre ad una ascesi non più
cristiana, se non sono intese espressamente come una inclinazione
disordinata verso la creatura. Questo disordine può consistere nel
fatto che la creatura diventa idolo, ma può anche significare una
perturbazicine dell'ordine intramondano. Come l'amore si estende
a Dio e alla creazione, cosl il peccato, che è sempre rifiuto dell'amore,
è diretto contro l'intera realtà di Dio e della sua creazione, èontro
la comunione con Dio e con il prossimo. Questo fatto fu ricono·
sciuto già nell'Antico Testamento, anche se non nella pienezza di
comprensione e di coerenza del Nuovo Testamento in cui Cristo
ha parificato l'amore· di Dio all'amore del prossimo (Af.c. 12,28-34
par.) e il nostro rapporto con il prossimo al rapporto con lui stesso
(Mt. 25,31-46). Ote l'uomo del nostro temp<) consideri il peccato in
prima linea come mancanza contro il prossimo, è un grande passo
in avanti rispetto a una rappresentazione cultuale in cui i coman-
damenti di Dio venivano presentati prevalentemente come prescri-
zioni esterne e la sua glorificazione ci rendeva spesso estranei al
prossimo. Chi manca nei confronti dell'uomo, manca verso un es-
sere che è aperto verso il suo Creatore e verso il quale questo
Creatore vuol esser Padre in Cristo.

b. Il peccato come alterazione del rapporto soprannaturale


tra Dio e uomo

Da quanto si è detto deriva che il peccato urta contro una realtà


soprannaturale. Certamente esistono peccati che urtano immediata-
mente contro l'ordine della creazione, ad esempio l'omicidio; ci
sono pure peccati che urtano immediatamente contro le relazioni
soprannaturali che ci legano a Dio e al prossimo, ad esempio l'apo-
stasia e lo scandalo che ne deriva. Nella Scriuura questa ultima spe-
cie di peccato ricorre con la massima frequenza: nella forma più
estrema e acuta, il peccato era direuo contro lo Spirito santo ed
anche nella forma della trasgre:tSione della legge si dirigeva contro
ASPETTI DEL PECCATO

«]ahvé, tuo Dio». Questo rende palese che la creazione con il suo
ordine è stata assunta nell'alleanza di grazia con Dio. Perciò anche
· l'uomo concreto che pecca è elevato alla vita di grazia o almeno
è fatto per essa. L'uomo al quale è donata la vita di grazia può
peccare nel rifiutare tale vita: con l'apostasia, con l'indurimento di
cuore e con una cosciente opposizione all'invito di Dio per una più
intima comunione di vita con lui. Ma anche quando pecca nell'am-
bito delle relazioni interumane, va a toccare assai profondamente
il dialogo tra Dio che dona la sua grazia e l'uomo giustificato; per-
ciò egli con una tale colpa può giocarsi la vita della grazia.
! evidente che ciò non è possibile soltanto entro la Chiesa di
Cristo, ma ovunque Dio doni la sua grazia. Data l'universale volontà
salvifica di Dio, la grazia vien offerta, in qualche maniera, a cia-
scun uomo; in ogni caso, ogni uomo è elevato all'ordine della gra-
zia e destinato a un fine soprannaturale. Perciò il peccato, nel no-
stro mondo, ha sempre un carattere soprannaturale; anche se, per il
suo contenuto, può esser chiamato naturale, è tuttavia soprannatu-
rale come risposta (negativa) a una elevazione soprannaturale.
Se anche in questo ambito si vuol fare della riflessione circa la
creazione, non reale ma solo possibile, senza fine soprannaturale,
cioè circa la natura pura, allora si può parlare di peccato soltanto
per analogia: in tal caso è un 'no' a Dio, solo in quanto può esser
chiamato dialogo il rapporto puramente naturale tra Creatore e
creatura.
Difatti però i peccati commessi direttamente contro Dio che giu-
stifica, si oppongono alle virtù teologiche; alla fede, alla speranza
e alla carità. Ora la carità, l'unico amore, a Dio e al prossimo è an-
che l'anima, la 'forma' delle virtù morali che riguardano immeclia-
tamente le nostre relazioni intramondane. Assieme alla carità lo
sono anche le altre virtù teologali perché la carità trova la sua luce
nella fede e la sua forza nella speranza (come pure, viceversa, fede
e speranza, nella loro pienezza, vivono della carità). Fede, speranza
e carità, queste tre assieme sono presenti come anima nelle virtù
morali. Sl, esse non possono esser presenti altrimenti che incarnate
e precisamente incarnate nelle virtù morali, se comprendiamo tra
queste anche la virtù dell'adorazione di Dio, la religio' che ha per
ESSENZA OEL PECCATO

oggetto la preghiera, il culto e la predicazione. Questo fatto im-


plica come conseguenza che i peccati contro le virtù teologali si
esprimono sempre in una mancanza contro la religio e contro le altre
virtù morali. L'incredulità nei confronti del vero Dio della salvezza
può esprimersi in idolatria, ma anche in persecuzione, offesa, nega-
tivismo contro la fede. Il rifiuto della carità del prossimo implica
tutti i peccati del catalogo dell'apostolo Paolo in Rom. 1.
Sia sul piano della religiosità sia sul piano delle altre virtù mo-
rali, il 'no' del peccato può manifestarsi in una delle due forme
che si richiamano sempre a vicenda: come usurpazione e come
rifiuto. Il no contro ~ acquista forma per Israele innanzitutto
nel tentativo positivo di <(diventare come Dio» (Gen. 3,5), di di-
sporre dispoticamente dei liberi doni di Dio, di quello che è proprio
di Dio, anzi di Dio stesso, nella magia e nella superstizione. L'altra
forma, negativa, del peccato si rivela nel rifiuto delle richieste e dei
doni di Dio, nell'uccisione dei profeti da parte del popolo idolatra
e nel rifiuto dello stesso Figlio di Dio da parte di coloro che si giu-
stificano da soli e credono di non aver bisogno di nessun medico.
Anche il peccato contro il prossimo si manifesta in quelle due
forme dell'usurpazione e del rifiuto: da una parte ciò che Paolo
chiama le «passioni ignominiose» in balia delle quali egli vede
l'umanità idolatra del suo tempo (Rom. 1,26): peccati che s'impa-
droniscono del prossimo, che vogliono disporre di lui come di un
oggetto. Dall'altra parte quei peccati dei quali Paolo parla nei ver-
setti seguenti ( 29-31) che manifestano tutti un atteggiamento di
rifiuto, di odio o di inimicizia nei confronti del prossimo, come
«invidia, omicidi, discordie, inganni, malignità».

c. Il peccato come trasgressione delle nonne fondamentali


della creazione e della storia della salvezza

Da quanto si è detto finora risulta che il peccato significa violazione


delle norme che vigono nel mondo concreto della creazione e della
Alleanza. Non si tratta di violazione cli leggi che ci sono state date
soltanto su tavole di pietra e in qualche maniera sono state imposte
dall'esterno alla nostra realtà. Il peccato non si dirige contro la
ASPETTI DEI. PECCATO
'97

volontà di Dio sopra la nostra realtà, ma contro la volontà e la sa-


pienza di Dio che si esprimono nella nostra realtà. Il peccato non è
primariamente una mancanza contro 'leggi positive', bensl viola-
zione di 'leggi essenziali' della realtà naturale e soprannaturale e
soltanto in seguito violazione di leggi positive, in quanto giusti-
ficate dalle leggi essenziali.
Ma anche a questa formulazione sottostà un equivoco, l'equivoco
dell' 'essenzialismo'. L'uomo non è soltanto collocato in una realtà
alla quale si deve conformare, egli è il vertice della realtà e porta
in se stesso la missione di «soggiogare la terra» (Gen. 1 ,28 ), di co-
struirla cioè e di darle forma, persino di costruirsi e di dare forma
a se stesso. La nostra libera volontà è più che una facoltà ad accet-
tare ciò che è esterno a noi ed è più che il potere di dominarlo;
essa è in prima linea la capacità di dare a noi stessi un atteggia·
mento e un senso definitivo.
Perciò non è compito nostro solo accettare norme, ma anche
crearle; la 'natura' non racchiude in sé delle norme compiute, ma
ha la possibilità di essere assunta nella rel82ione personale tra noi
uomini, che, a nostra volta, siamo accolti nell'alleanza con Dio. Solo
il significato che può avere la natura in questa comunic82ione o il
significato che questa comunic82ione può trasmettere alla natura, è
norma morale. Peccato perciò non è solo contrarietà ad accettare
norme valide, ma anche rifiuto di collaborare alla formazione e alla
istituzione di nuove norme. La «durezza di cuore» (Mc. 10,5 e Mt.
19,8) per cui l'indissolubilità del matrimonio non riuscì ad affermarsi
nel giudaismo (come del resto nemmeno nel paganesimo), può es-
sere addotta come esempio per il peccato che si oppone allo stabilir-
si di una norma, anche se Gesù, in consonanza alla comunione del
mondo del suo tempo, la descrive come un venir meno a una
norma che esisteva «fin da principio».
Con questo fatto il peccato è contro il significato della storia
considerata come uno sviluppo della libertà e più che mai contro la
storia della salvezza. Benché posto nella storia per via della sua
origine dalla libertà, il peccato è anti-storico. Possibile di fatto solo
entro la storia della salvezza, il peccato è una opposizione contro di
essa. BuLTMANN non esprime soltanto una concezione moderna esi-
ESSENZA Dl!L PECCATO

stenzialistica, ma anche una concezione biblico-cristiana quando de-


signa la peccaminosità con un esser ricaduti nel passato e la reden-
zione come esser aperti al futuro. 2 Per questo aspetto il peccato è
«un opporre resistenza allo Spirito santo» che per mezzo dei pro-
feti e in Cristo porta a compimento la storia della salvezza (lkt.
7, 51 s.). L'à\lo~~la. o peccato contro lo Spirito santo consiste nel
fatto che questo aspetto nella vita propria dell'uomo pct·catore è
portato alla piena coerenza; egli si preclude da sé ogni via alla
salvezza.
Se il peccato si dirige contro Dio e contro il mondo da lui ele-
vato alla grazia nella storia della salvezza, in tutto questo si dirige
contro Cristo. Con la crescita della grazia di Dio fino all'incarna-
zione del Figlio suo, cresce anche il peccato nel rifiuto di questo
Cristo. Anche per l'aspetto storico visibile c'è una relazione tra
l'apostasia idolatra da Dio, l'uccisione dei profeti e la crocifissione
di Cristo, «perché si è dichiarato Figlio di Dio» (lo. 19,7). Ma ancor
più il peccato si dirige contr0 Cristo dopo che egli, glorificato
mediante il suo Spirito, ci vuol accogliere in sé: ora ogni giocarsi
la grazia, conscio o inconscio, è un rifiuto di essere in lui. Soprat-
tutto l'ingiustizia che indurisce i cuori, lo rifiuta; perciò siamo
anche soliti designare come l' 'Anticristo' colui nel quale l'apoca-
littica neotestamentaria vede personificata questa àvoµia, l'ìivoµo;
per antonomasia (2 Thess. 2,8 ). Secondo Giovanni l'A'nticristo è
presente già ora ed Anticristo è chiunque non vuol riconoscere
Cristo (1 lo. 2,18; 2 lo. 7). Nella prassi quotidiana della Chiesa
questo carattere anticristico del peccato è alla base dell'idea che una
colpa che si gioca la vita della grazia, rende indegni anche dell'eu-
caristia. Paolo lo costata per i peccati che ledono la cariJà fraterna
tra i membri della Chiesa ( 1 Cor. 11, I 7-29 ): questa mancanza di
carità è nel più crasso contrasto con la ccena del Signore». L'intuì·
zionc della Chiesa vede a ragione questa indegnità- pvunque un uo-
mo pospone il suo prossimo o lo degrada allo stato di oggetto, per

i R. BuLTMANN, 'Oie Entmythologisierun11 der ncutcstamentlichcn Verkiindigung


als Aufga~'. in Kervg,,,11 1md Af)·tbo1 I, p. 29 Con ciò non si deve però nega~ che
anche il passato senso possa esser Hato lato~ di a11ire salvifico divino. Cf. J. Scml1E-
w1ND. 'Antwort an Rudolf Bultrnann'. in Kerygma ,,,,J Myrbo1 I, p. s,.
ASPl\TTI Dl!L PECCATO

cui come con l'incredulità o con l'opposizione a Dio si oppone a


questo adempimento dell'infinito amor~ di Cristo per il Padre e
per noi. L'intero piano di Dio riguardo al mondo e a ognuno di noi,
consiste nel «ricondurre a un unico capo, Cristo, tutte le cose: quelle
che sono in c.iclo e quelle che sono sulla terra» (f.ph. 1,10); al
contrario ogni peccato è in un certo senso u:i rifiuto a lasciarsi as-
sumere m lui.

d. Aspetto interiore ed esteriore dt'l peccato

Quando il peccato è definito come una trasgressione della legge di


Dio, si aggiunge che esso è una trasgressione libera. Nell'Antico
Testamento quest'idea non è sempre espressa con eguale chiare1.za.
In tutta la Scrittura l'interesse per l'agire umano è più di natura
religiosa che psicologica; concetti basilari moderni come 'responsa-
bilità' e 'coscienza' si trovano soltanto con parsimonia. 'Libertà' è
piuttosto un concetto sociologico che psicologico e si sviluppa per·
ciò nella «libertà dei figli di Dio», non però in un concetto proprio
di «libertà della volontà». Nel diritto umano di Israele e anche nei
confronti di Dio le trasgressioni «senza intenzione» sono consi-
derate spesso solo come peccati più lievi, mentre talora Jahvé è
descritto come punitore, senza che la questione della colpa venga
anche soltanto posta (r Sam. 13,7-14; 2 Sam. 6,6).
Ma nello stesso Antico Testamento, specialmente da parte dei
profeti, è sollevato un principio che reprimerà queste concezioni
giuridiche magiche. Questo principio suona cosi: «Jahvé guarda il
cuore». Il cuor~ è l'intimo, il centro della persona, non solo il sen·
timento, ma anche e soprattutto la libera volontà come sede del bene
e del male. «L'uomo guarda l'apparenza, Jahvé guarda il cuore» ( 1
Sam. 16,7). Egli punirà il suo popolo: «poiché questo popolo si avvi·
cina a me solo a parole, e mi onora con le labbra, mentre il suo cuore
è lontano da me» (ls. 29,13). Nel Nuovo Testamento Gesù fa propria
questa parola e dichiara che l'uomo non è contaminato da ciò che
entra nella bocca, ma da ciò che esce dal cuore (Mc. 7,1-23). Non
le qualità e gli effetti delle azioni umane, riscontrabili e determina-
bili dall'esterno, fanno l'uomo buono o cattivo dinanzi a Dio (in
600 ESSENZA DEL PECCATO

verità dunque), ma la risposta della ~rsona libera, incarnata in que-


ste azioni. Finché l'uomo nelle sue attività esterne non esprime se
stesso, pone soltanto 'azioni di un uomo' (actus hominis) che non
fanno parte dell'ordine etico. Le 'azioni umane' invece (actus hu-
mani) che fanno parte dell'ordine morale, sono azioni dell'uomo in
quanto uomo, in quanto persona. Esse sgorgano dalla libertà che è
propria della persona in quanto tale, dalla 'volontarietà' (volunta-
rietas) e finché sono poste quaggiù sulla terra, dove l'uomo può
ancora scegliere anche in vista della sua meta finale, procedono
particolarmente dal 'libero arhitrio' (liberum arbi1ri11m).
· Quantunque il peccato proceda dall'essenza della nostra persona.
sono d'altra parte il nostro corpo e il mondo, nel quale siamo accolti
attraverso questo corpo, l'ambito nel quale si esprime la decisione,
in cui essa diviene un'azione determinata. La Scrittura considera i
peccati interni soltanto come collegati agli esterni: o sono desideri
di un'azione esterna, o si esprimono in una parola; l'ipocrisia è in-
fine la buona azione esterna che procede da una cattiva intenzione,
e questa cattiva intenzione è perciò spesso riconoscibile a sua volta
da altre azioni cattive. Tutto questo rende chiaro che l'esterno è la
rivelazione dell'interno, ma può tuttavia esser considerato anche
come il suo velamento. Questa costatazione è fondata sul fatto che
il nostro corpo è il luogo d'incontro tra la realtà propria e quella
estranea, tra il nostro io e il mondo che ci circonda. Nel nostro
corpo e attraverso il nostro corpo nel mondo noi esprimiamo il
nostro atteggiamento interiore e gli diamo una configurazione. Per-
ciò l'azione esterna e in tal modo il suo contenuto, che il nostro
agire riceve dalla nostra corporeità e dal nostro mondo è un segno
della nostra mentalità morale. Ma poiché è segno, rivela e vela al
tempo stesso; perciò il nostro intimo non può mai esprimersi pie-
namente attraverso di esso. Nemmeno il nostro atteggiamento mo-
rale-religioso vi fa eccezione. Inoltre l'aspetto esteriore del nostro
agire non è affatto comprensibile da ogni. punto di vista. Può suc-
cedere che noi con una buona intenzione commettiamo azioni og-
gettivamente o materialmente cattive, e più che mai che le nostre
azioni oggettivapiente buone siano del tutto o in parte rovinate da
una cattiva intenzione e servano addirittura di velo al nostro ca1-
GRADI Df.L PECCATO 601

tivo comportamento. Inoltre la connessione con l'aspetto esteriore


comporta che la realizzazione della nostra libera decisione avvenga
su un piano più o meno profondo. Di questo si tratterà ora.

2. Gradi del peccato: peccato che conduce a morte,


peccato mortale, peccato veniale

a. Scrittura e storia del dogma

Nell'Antico Testamento troviamo diversi cataloghi di peccati che


hanno per conseguenza un'immediato allontanamento da Dio (Deut.
27,15-26; Os. 4,24; Is. 35,15 s.; Ier. 7,9 s.; Ezech. 18,5-18; 22,6-
16; cf. Ps. 15; lob 31). Anche il Nuovo Testamento conosce simili
cataloghi di peccati. Talvolta ammonisce che coloro che vivono cosl
verranno condannati nel giudizio finale; spesso sono enumerati i
peccati dai quali i cristiani si sono convertiti e nei quali non devono
ricadere, se non vogliono esser esclusi dal regno di Dio (Mt. 25,
41-46; 1 Cor. 6 9 s.; Gal. 5,19-21; Rom. 1 24-32; 13,20 s.; Eph.
1 1

4,17-19; 5,3-5; Col. 3,5-u; 1 Tim. r,9 s.; 2 Tim. 3,r-5; Tit. 3,3;
1 Petr. 4,3; 2 Petr. 2,12-22; Iudae 10-16; Apoc. 21,27; 22,15). I
peccati enumerati in questi cataloghi esprimono un certo modo di
vivere e un atteggiamento stabile, ma non contengono ancora im-
mediatamente il peccato dell'indurimento, l'livoµC11. 1
Con questo peccato che da Giovanni vien chiamato anche «pec-
cato che conduce a morte» (1 Io. 5,16), i peccati enumerati sono
delimitati verso l'alto. C'è una delimitazione verso il basso? per
gli agiografi dei libri del Nuovo Testamento esistono anche peccati
più lievi? Effettivamente si possono riscontrare degli indizi in
proposito. Le parole del Padre nostro: «e rimetti a noi i nostri de-
biti» ( Mt. 6, 12; Le. 1 1 ,4) sono la preghiera per una grazia che vale
per ogni giorno, come il pane quotidiano e preparano cosl il con-
cetto di «peccati quotidiani, veniali». Ciò vale anche per l'espressio-
ne di Giacomo: «In effetti, tutti manchiamo in molte cose» (lac.
3,2 ). Oltre a questi testi, la tradizione ha fatto ricorso a una espres-

1 Cf. I. DE LA l'<rrn:1ut, 'Le péché. c'esc l'iniquité', in NRT 70 (1956) 78_n97.


602 l!.SIDIZA Dl!L PECCATO

sione misteriosa di san Paolo ( 1 Cpr. 3, 10-1 '); egli parla ivi di
clegno, 6eno, paglia. con cui altri hanno costruito sul fondamento
della sua predicazione circa Cristo. Qui si parla sl direttamente di
una predicazione di qualità inferiore da parte di questi altri, ma il
fatto che mentre la loro opera vien bruciata nel giorno del giudizio,
queste persone stesse csi potranno salvare, ma come attraverso il
fuoco• indica dei peccati per i quali non si sarà condannati, ma dai
quali si verrà purificati. L'opposizione ai cataloghi dei peccati per
i quali ci è stata predetta la condanna da parte di Dio, lascia a
buona ragione intravedere in questo testo un abbozw della dot-
trina dei peccati veniali. In tal modo nel Nuovo Testamento quei
peccati che oggi chiamiamo 'peccati mortali' e 'peccati veniali' sono
in un certo senso già accennati od loro particolare carattere e come
da lontano contrapposti l'un l'altro.
~ persuasione comune della Chiesa che per peccati gravi è ne-
cessaria la penitenza sacramentale, mentre per i peccati veniali si
può esser perdonati mediante esercizi privati di penitenza come pre-
ghiera, digiuno cd elemosine. Entro questa norma 6ssa, varia molto
fortemente la concezione su quali siano questi peccati mortali. Fino
al secolo sesto il tempo penitenziale della Chiesa diventa sempre
più lungo, e quasi senza eccezione era concesso soltanto una volta
nella vita del cristiano; in seguito divença più frequente, meno pub-
blico, per quanto inizialmente non meno severo. Parallelo a questo
corre il fatto che all'inizio la penitenza veniva praticata per peccati
che erano considerati come estremamente gravi, anzitutto per i tre
peccati classici: apostasia, omicidio e adulterio; più tardi però an-
che per altri peccati gravi, tratti dai cataloghi biblici, specialmente
per i peccati contro i dicci comandamenti. Anche per questi peccati
si ritiene. necessaria la penitenza e la riconciliazione sacramentale
perché anche essi escludono dal Regno di Dio (1 Cor. 6,9 s.), men-
tre gli altri peccati non implicano questa esclusione. La moderna
distinzione tra peccati mortali e peccati veniali, che aveva le sue
radici nella Scrittura, ottiene in tal modo il suo pieno valore nella
prassi della Chiesa. Anche il magistero la riconosce. Il concilio di
Cartagine del 418, ispirato da Agostino e approvato da papa Zosi-
mo. e tanto imporrante nella Chiesa per il riconoscimento del peccato
GRADI DEL PECCATil

'originale', si esprime affermando che i 'santi', cioè coloro che vi-


\•ono in grazia santificante, Je\'ono applicare a se stessi la richiesta di
perdono <lei Padre nostro r• degli altri passi della Scrittura «in verità
e non solo per umiltà .. (os 228-210 ). Il concilio di Trento nel suo
decreto sulla giustificazione chiama la medesima domanda sulle lab-
bra del giusto. «umile e verace al tempo stesso .. ( humilis et verax );
~ubito prima afferma: «I nfaui anche se in questa vita mortale,
per quanto santi e giusti siano, di tanto in tanto cadono almeno in
peccati più lievi e quotidiani, nei cosiddetti peccati veniali, non
cessano pur tuttavia per tale motivo di esser giusti• (os 1536). Per
il medesimo motivo viene condannata la tesi di BAIO: cNon ci
sono peccati che 'per loro natura' (ex n11t11r11 s1111) siano veniali,
bensl ogni peccato merita una condanna eterna• (os 1920).
La maggioranza dei teologi della Scolastica è persuasa che Dio
nella sua volontà sovrana prende sul serio le sue creature e conse-
guentemente ha ricercato anche la distinzione nella qualità dci pec-
cati, dunque nella natura dell'agire umano.• Mentre Agostino po-
teva ancora parlare con disinvoltura di una più o meno Eone trasgres-
sione 'contro' la carità (De sententia Jacobi liber, se11 epistol4 167,
v,17, PL n,740), nella Scolastica si cerca piuttosto di trovare la
distinzione nell'agire contro (contra) la legge e nell'agire Ili di f11ori
della legge (pr11eter legem). Dietro la legge si comincia a vedere
l'orientamento al fine ultimo e il rapporto di carità con Dio; cosl
TOMMASO nella sua Summ11 theol., Hl, q. 22 e q. 89. Si distinguo-
no, a questo proposito, due specie di comportamento peccaminoso
rispetto al fine ultimo: il peccato mortale come un disordine nei
confronti di questo stesso fine ultimo (inordin11Jio circa finem), il
peccato veniale come disordine nei confronti dei mezzi (inordin11tio
circ11 ea quae sunt ad finem ); ciò porta soprattutto a una distinzione
secondo il contenuto dell'atto peccaminoso (ex obiecto vel ex ma-
teria). Un'ulteriore distinzione tra peccati gravi e veniali è colta in
base alla disposizione qella persona che pecca (ex dispositione su-
biecti), secondo il grado di perturbazione del rapporto di carità con
Dio, cioè secondo il caso, se l'azione peccaminosa contraddica

• l.~NDr.aAF, Il 1vI1, 7·47, rno-202.


ESSENZA DEL PECCATO

alla carità e significhi la sua totale interruzione oppure se soltanto


devii, o decada da un atteggiamento che però continua ad esser
animato dalla carità. È interessante costatare che la possibilità di
commettere peccati che siano solrnnto peccati veniali è negata da
TOMMASO all'angelo e ai primi uomini per il loro dono dell'integrità
e della libertà dalla concupiscenza; con ciò questa possibilità è ri-
condotta in ultima analisi alla struttura dell'uomo nella sua attuale
composizione terrestre.
Oggi questi motivi soggettivo e oggettivo vengono semplicemen-
te posti uno accanto all'altro. I catechismi sono in questo punto
concordi. Essi affermano: «Noi commettiamo un peccato mortale
quando trasgrediamo la legge di Dio in materia grave, con piena
avvertenza e con deliberato consenso. Commettiamo un peccato
veniale: I) quando trasgrediamo la legge di Dio in materia leg-
gera; 2) quando trasgrediamo la legge di Dio in materia grave, ma
senza piena avvertenza e senza deliberato consenso».5 Non si può
non costatare che, cosl sembra a noi, nell'insegnamento sul pec-
cato e nella valutazione pratica del peccato il misurare la 'materia'
ha la preminenza sulla ricerca dell'intenzione morale. Al contrario
nella riflessione teologica attuale ci imbattiamo in tentativi singoli
di considerare peccato mortale e veniale innanzitutto dall'interno.•

b. I diversi gradi del peccato nella loro dipendenza


dalla nostra decisione morale

L'essere umano, come lo incontriamo ora, presenta una certa divi-


sione e opposizione in se stesso che si manifestano pure nella nostra
attività e soprattutto in quella attività che dovrebbe essere la più uni-
ficata possibile, cioè l'attività religiosa-morale. Tutta l'attività religio-
sa-morale manifesta queste antitesi, questa unità spezzata, e non sol-
tanto nella sua forma cattiva che è il p~ccato. Se noi percorriamo que-
sti gradi dalla parte della nostra conosçcnza, troviamo innanzitutto una

5 Cosi il Ca1t•,·his1110 tednrn (§ ~1 s.), quello belga (domanda 212 e 216), quello
olandese del 1910 (domandu 284 ~ i87) e dcl 1948 (domanda 381 e 384).
6 K. RAHNEK, 'Zurn 1hcologischcn Bcgriff dcr Kunkupiszenz', in Schriflen I, pp. 377·
414, specialmente p. 401.
GRADI DEL PECCATO

oppos1z1one tra la totalità del nostro conoscere spirituale in quan-


to tale e una tendenza all'isolamento, alla divisione e all'astrazio-
ne, derivante dal nostro esser vincolati agli organi dei sensi. Il
nostro spirito in quanto tale considera la totalità della realtà, tutto
il suo contesto e la sua intera profondità, infine il riferimento
di noi stessi e del mondo a Dio. Però a causa del suo legame agli
organi dei sensi possiamo aver presente o soltanto l'aspetto esterno,
il nesso visibile entro un limitato settore della realtà, oppure ap-
punto questa stessa profondità metafisica, per cui però l'altro
aspetto rispettivo rimane in gran parte implicito. Nella nostra co-
noscenza scientifica quest'opposizione è coltivata metodicamente (ol-
tretutto con l'intenzione di dare alla totalità della nostra conoscenza
un contesto più ricco): o - come nelle scienze naturali e storiche
- si cura la concreta realtà dell'esperienza il più possibile pro-
grediente da singola realtà a singola realtà, oppure - come nella
metafisica - si esprime la realtà nel suo contesto generale, nel suo
riferimento a Dio.
Ma anche nella conoscenza ordinaria, quotidiana è presente que-
sta opposizione. Se l'uomo è spiritualmente vigile, in ogni sua espe-
rienza del fenomeno concreto sarà operante, per quanto anche del
tutto nascosta, in qualche modo una conoscenza dell'intera realtà;
marginalmente può anche accadere che questa comprensione uni-
taria nell'esperienza di alcuni fenomeni si rilevi improvvisamente
più chiara: ad esempio nell'estasi della meditazione di qualcosa di
bello, in un contatto personale profondo, in un'esperienza religiosa.
Questa visione unitaria più o meno chiara della realtà è già sempre
presente ogni volta che l'uomo si vede posto nel suo agire davanti
a una decisione morale-religiosa. In ogni specie del suo agire, nell'eser-
cizio della sua professione o in qualsiasi altra attività, l'uomo resta
sempre in un certo senso consapevole di prendere un atteggiamento
di fronte alla realtà in quanto tale e ultimamente nei confronti di
Dio: egli sa sempre che di Il gli si rivolge un appello e già nel suo
agire fisico dà una risposta morale-religiosa.
Talvolta però egli diverrà consapevole in modo particolarmente
espressivo e sperimenterà che nel suo agire è posto di fronte a una
scelta che è un chiaro 'sl' o 'no' nei confronti dell'intero ordine
606 l!SSENZA DllL PECCATO

morale, ultimamente nei confronti di Dio. La distinzione di questa


seconda particolare situazione da quella riportata prima, ordinaria.
·è colta da TOMMASO con altre parole quando parla dell'atteggia-
mento, dell'orien_tamento (rispettivamente della sua forma rovinata
dal peccato) dell'uomo nei confronti dcl suo fine ultimo: nel primo
caso l'uomo è confrontato direttamente con il finis ultimus, ma deve
prendere la sua decisione soltanto circa ea quae sunt ad finem, nel
secondo caso la decisione avviene direttamente circa finem. Ci si
trova posti, dunque, davanti a una decisione nella quale l'orienta·
mento al fine ultimo e il rapporto a Dio restano velati dietro una
determinata realtà oppure vengono chiaramente alla luce in essa.
Se ci si decide per il male, nel primo caso si commette un peccato
veniale, nel secondo un peccato mortale. Ma in ambedue i casi ci si
può decidere per il bene: nel primo caso si potrebbe allora parlare
di una «buona azione quotidiana», nel secondo invece di una 'azio-
ne morale capitale'.
Una tale decisione non è però ancora la decisione più profonda
possibile all'uomo. Per quanto in questo caso il rapporto morale-
religioso con la realtà non resti più nascosto, ma venga già consi-
derato consciamente nella decisione particolare, non ci si rende
ancora presente l'intera realtà nel suo rapporto definitivo a Dio.
né tutta la pienezza e profondità di questo rapporto nella nostra
decisione. Ciò può avvenire soltanto in un atro intuitivo totale, ma
un simile atto non esiste nella vita qui sulla tena. Po~:>iamo avvici-
narci a una tale visione con l'accrescere in noi, mediante sempre
nuove esperienze, la conoscenza totale della realtà, ma in modo
esplicito, predominante, implicante in sé tutte le altre forme del
conoscere la si può avere solo nella vita eterna. Non ci sarà più
allora da prendere a \cuna dec:sione religiosa-morale, ma si attua
stabilmente la decisione già presa. La decisione è di questa vita,
l'intuizione dell'altrn, eppure c'è una decisione che partecipa già del
cai:attere intuitivo della vita futura ed è perciò totale, così totale,
che per mezzo di essa si decide per il bene o per il male per l'eter-
nità stessa. Questa decisione ha luogo nel transito, nella morte. Ll
si attua la suprema parola dell'amore che l'uomo pronuncia, oppure
il suo indurimento definitivo, il peccato, che è pienamente e inte-
GRADI DEL PECCATO

ramente peccato che conduce a morte. Si rivela al tempo stesso che


anche i peccati mortali - e ancora parallelamente le 'azioni vitali'
- non sono uguali tra cli loro. Esiste tra peccati veniali e peccati
capitali una distinzione altrettanto grande che tra i peccati mortali
commessi in questa vita terrestre e l'indurimento definitivo della
morte nell'impenitenza. Certamente esistono tramezzo anche forme
di passaggio, come, ad esempio, se si nega la fede che in altri pec-
cati mortali si era ancora conservata.7
I singoli elementi della linea saliente: peccato veniale, peccato
mortale, peccato che conduce a morte, e il loro rispettivo paral-
lelo nel bene, possono essere considerati anche sotto un altro punto
di vista, cioè nella loro rispettiva relazione di dipendenza dalla nostra
libera volontà, o meglio, dall'intimo della nostra persona, in quanto
esso dà orientamento a tutto il nostro essere, anche al nostro essere
come 'natura' o 'presenza'. Se la totalità dell'ordine morale resta
nascosta dietro altri motivi, allora vengono chiamate in causa atti-
vità che procedono dalla nostra natura e non possono esser total-
mente garantite dal nostro nucleo personale, attività dunque che, se
sono cattive, significano un peccato veniale e non toccano ancora il
nostro più profondo orientamento al bene. Se la totalità dell'ordine
morale diventa il nostro motivo, la volontà del nostro nucleo per·
sanale determina tutto il nostro atteggiamento, per quanto non
ancora definitivamente, finché non si è attuata la decisione intuitiva
del trapasso.
La scala: peccati veniali, peccati mortali, peccati che condu-
cono a morte si adatta anche alla categoria dell'interpersonalità.
Il peccato veniale equivarrebbe alla disattenzione e all'offesa della
carità, che non rompe tuttavia un legame fondamentale; il peccato
mortale ad un'offesa e un'infedeltà cht: comporta realmente una
rottura; infine l'insanabilità di una rottura umana (che però non è
mai assoluta in questa vita) si avvicina alla rottura definitiva con
Dio e con il prossimo che conduce alla morte eterna.

7 Cosl oggi specialmente K. RAHNu, 5ull4 teologid dell.i morte, Bn:teia i!)66,
pp. 36-43; R_ TROISFONTAINES, «]e ne me,,rs piU•, Paris i96o, pp. 109-1,1; L_ Bo-
ROS, Mysterium mortis, Olten 1962 (tr. it., Queriniana, Brescia).
608 l::SSl::NZA OH PECCATO

c. I diversi gradi _del peccato


considerati dal punto di vista dell'oggetto

Ora soltanto si può parlare della 'materia grave o leggera'. La di-


stinzione nella 'cosa', nell' 'oggetto' o nella 'materia' quanto al
peccato e alla condotta religioso-morale in genere, non è da iden-
tificare con la distinzione della decisione interiore. Quest'ultima è
d'importanza primaria, .soltanto essa colloca gli atti su un piano
morale e fa si che le loro diversità siano tali davanti a Dio stesso.
L'aspetto esterno non può perciò esserle posto accanto come un
criterio indipendente di qualificazione morale. Il criterio esterno
dev'essere assunto in quello interno. Tanto la negazione di ogni
normazione da parte di un criterio esterno, quanto l'affermazione
che nell'aspetto esterno si trova una norma indipendente, risalgo-
, no in ultima analisi a una negazione del nostro corpo umano. Il
fatto, cioè, che non siamo solo una persona spirituale, ma anche una
persona corporea implica che anche l'aspetto esterno della nostra
condotta abbia un'importanza nella decisione religiosa-morale; il
fatto poi che, viceversa, il nostro corpo venga accolto nella nostra
persona comporta che il nostro agire esterno non possa essere una
norma morale a sé, indipendente. È perciò anche sicuramente er-
roneo dire di una determinata azione esteriore: 'Questo è peccato
mortale', oppure: 'Questo è peccato veniale', oppure parlare di un
'obbligo sotto pena di peccato mortale' per una legge positiva. In
tali espressioni si considera sempre l'azione esteriore che è general-
mente la materia di un peccato mortale; non menzionare l'atto in-
teriore può accadere soltanto in un contesto che lo presupponga
chiaramente; altrimenti comporterà per lo più pericoli di un'infelice
deformazione di coscienza. Positivamente possiamo meglio di tutto
considerare l'azione esteriore come un segno della decisione inte-
riore, con la medesima pienezza e con la medesima limitazione con
la quale il nostro corpo è un segno della nostra persona, come una
rivelazione quindi e un velamento al tempo stesso. Ciò significa qui
che la grandezza e la esiguità delle nostre azioni esterne è anche,
conseguentemente, un segno per la maggiore o minore profondità
della nostra decisione interiore. Un segno che è- rivelante, ma può
GRADI DF.I. Pf.CCATO

anche velare. La possibilità di defraudare qualcuno di un centesimo


non ci pone davanti a una decisione centrale; la questione della
fedeltà coniugale, sl. Perciò la trasgressione della legge divina 'in
materia leggera' rinvia a una decisione che non è cosl centrale
e profonda da togliere l'amore dal nostro cuore, mentre la tra-
sgressione 'in materia importante' generalmente rinvia ad una ta-
le decisione. L'azione esterna non è un metro di misura, bensì un
segno. Benché la teologia morale sia stata conscia di questa relati-
vità dei criteri esterni, bisognerebbe mettere ancor più in rilievo
questa relatività. La possibilità che un'azione esterna classificata di
solito a ragione come materia di peccato mortale, per determinati
motivi soggettivi non sia affatto un peccato mortale, non deve es-
ser limitata a pochi casi singoli.
Ne consegue sul piano pratico che non bisogna ammettere con
troppa fretta un peccato mortale. Una pastorale che con troppa
fretta ammetteva un peccato mortale in singoli atti misurati spesso
esteriormente (mentre inoltre, in modo stranamente incoerente, l'at-
to di dolore perfetto era dichiarato come raro), è stata la causa di
molta scrupolosità (e rilassatezza!). Per il peccato mortale, come
per l'azione capitale nel bene, si richiede una relativa maturità in
senso adulto, tanto più che soltanto attraverso una crescita spiri-
tuale l'uomo è portato ad agire dall'intimo della sua persona (gra-
zie straordinarie possono accelerare questo processo; queste però
nella dimensione della persona sono da paragonare con la dota-
7.ione dei fanciulli prodigio nella dimensione della natura)_ Gli anni
disaetionir nella vita morale non sono da identificare con la capa-
cità della «distinzione tra semplice pane -ed eucarestia», almeno in
quanto quest'ultima rimane nell'ambito di pura concettualità o di
un pio sentimento. D'altra parte il peccato mortale non è identico
aJl'indurimento del cuore e perciò impossibile praticamente nella
vita umana, come invece si sostiene talvolta al nostro tempo per
reazione esagerata alla concezione troppo ristretta, ricordata poco
fa. Sul cammino della nostra \'Ìta possiamo veramente cadere -
come anche elevarci. La differenza tra peccato veniale e mortale
ci può anche render chiaro il fauo che mediante quest'ultimo
ci si gioca la grazia santificante, ma che solo il rifiuto di ogni

19 · Mvsrertum .\<1/u/n. !1/2


610 ESSENZA llF.I. Pl'.CCATO

grazia di conversione ci porta all'inferno - come l'atto buono ci


apre a una più intima vita alla grazia, ma solo la risposta positiva
all'ultima grazia ci fa entrare nella beatitudine.
Il carattere 'quotidiano' dci peccati più leggeri, riconosciuto dal-
la tradizione, (; stato wnfermato dal Concilio di Trento, quando
afTerma che nessuno, senza un particolare privilegio, può evitare i
peccati veniali in maniera totale ( DS e 57 3 ). Se noi traduciamo
questo nella c•ttcgoria di evoluzione e storia, per quello che riguar-
da l'uomo abbiamo l'immagine seguente che esprime la vicendevole
implicazione di questi due fattori, come anche il loro contrasto: il
male fisico lo possiamo considerare con PIERRE TEILHARD DE CHAR-
DIN un inevitabile prodotto secondario dell'evoluzione. Poiché quan-
to al corpo siamo intricati nella trama della natura, in parte anche
la nostra storia è soggetta a leggi statistiche: nella medesima misu·
ra in cui il peccato, nella forma del peccato veniale o dcl peccato
puramente materiale o dell'esser situato peccaminoso, che trattere-
mo più avanti, è sottratto alla decisione proveniente dall'intimo della
nostra persona, esso può essere inevitabile. La sua essenza si trova
però nella libera decisione che è nel contempo libertà di scelta ( ns
r 486; 15 21; 15 5 5; 200 3 ), e per questo aspetto non è soggetto
all'evoluzione, bensì costituisce la storia.

;. Dio e il peccato

Fin qui il peccato è stato descritto come una ribellione proveniente


dalla nostra volontà libera contro Dio nella sua volontà salvifica e
nella sua creazione. Nascono di qui i problemi concernenti la
qualità di questo rapporto tra Dio e il peccato. Il peccato raggiunge
realmente Dio? E viceversa: Dio ha contatto con il peccato? J,.o
causa, dato che egli causa tutto? Infine ancora la questione: cosa
significa che Dio punisce il peccato?

a. Il peccato tocca Dio stesso?

Il peccato tocca Dio? La trascendenza di Dio potrebbe suggerirci


una risposta negativa. Ma vediamo nella parola di Dio, che per
ll!O E IL PECCATO 611

quanto egli resti il Dio trascendente, vuol entrare in relazione pro-


prio con noi e che il suo agire salvifico deriva da lui ed è in lui.
Ora il peccato che nella sua essenza più profonda si dirige sempre
contro l'alleanza di grazia offerta da Dio, è perciò altrettanto real-
mente un 'no' contro Dio, in quanto il suo agire è un dialogo; il
peccato lo tocca nelle relazioni di persona a persona che Dio in-
tesse con noi; spegne la vita di grazia per la quale noi siamo in
lui e mediante la quale egli è il nostro Dio e Padre. Per ~utti que-
sti motivi Dio è raggiunto dal peccato per quanto resti intangibile
nella sua essenza e solo noi siamo danneggiati. La sacra Scrittura
descrive anche la violenza dell'ira e della gelosia di Jahvé per i
peccati del suo popolo dell'Alleanza, ma manifesta anche come que-
sta gelosia lo muova a ristabilire la sua gloria i11 questo stesso
popolo. L'importanza di queste immagini dell'ira di Dio, della ge-
losia, del pentimento per la sua precedente ira, ecc., è grande; si
potrebbe dirle quasi addirittura necessarie per annunciare a noi il
modo soprannaturale di agire di Dio nell'Alleanza. Con più preci-
sione bisognerebbe dire che è necessario riconoscere a Dio un in-
tervento nell'alleanza, un entrare in comunione e precisamente in
senso proprio (dunque come una perfectio pura) e che in proposito
le immagini dell'ira di Dio, ecc., sono estremamente indicative.
La serietà dell'agire di Dio nell'alleanza con l'uomo nella sua
storia raggiunge la sua massima espressione se noi guardiamo a Cri-
sto. Partendo dal Verbo fatto uomo si fa ancora più evidente come
Dio nel suo Figlio sia in relazione al mondo e legato alla sua sorte.
Poiché il Figlio è veramente carne, quindi generato, stanco, rifiutato,
condannato, consegnato, flagellato, deriso, crocifisso - nella sua car-
ne, ma anche nella sua persona («uno della santissima Trinità» ns
401) - , si può attribuire a Dio in senso proprio e non solo in
senso traslato perfino l'ira, la ripugnanza, la tristezza, il dolore che
derivano dai peccati. Si facciano però in proposito due importanti
riserve: anzitutto, tutto questo vale soltanto di Dio Figlio, che
solo si è fatto uomo; Padre e Spirito li raggiungiamo solo nel
Verbo fatto uomo. Inoltre - e questa è la riserva più decisiva -
Cristo fu in tal modo rattristato e offeso, soltanto durante la sua
vita mortale, nell' «annientamento» (Phil. 2,7) per il quale infine
11.SSF.N7.A DP.L PECCATO
612

«fu fatto peccato» ( 2 Cor. 5 ,2 I). Ora. però «risuscitato dai morti,
non muore più, la morte non ha più potere su di lui» (Rom. 6,9),
e, conseguentemente, per lui non sono più possibili né dolori, né
tristezza, né angoscia. La tesi addotta a motivazione della devozione
riparatrice al Cuore di Gesù che peccati commessi oggi hanno rat-
tristato Cristo durante il periodo della sua vita terrena, deve esser
riesaminata criticamente nella cristologia.

b. È Dio causa del peccato?

Per quello che riguarda l'influsso causale di Dio nei confronti delle
nostre azioni peccaminose, la Scrittura indica due aspetti del miste-
ro. Essa annuncia le azioni di Dio e spesso tralascia di nominare le
cause create; questo uso porta alla conseguenza che il peccato sia
presentato talvolta come voluto e operato assolutamente da Dio.
Jahvé indurisce il cuore del Faraone (Ex. 4,21; 7,3; 9,12; 10,1.20;
27; u ,10; 14,8) e Jahvé fa fare a David il censimento per il quale
più tardi lo punirà ( 2 Sam. 24,1 ). Paolo ha presente il primo fatto
quando a proposito di Dio scrive: «egli indurisce chi vuole»
(Rom. 9,18).
Nell'Antico Testamento si fa però strada anche un'altra idea:
l'idea della trascendenza di Dio sugli avvenimenti del mondo.
Spesso questa idea si esprime per ·il fatto che si attribuisce la pa-
rola o l'azione di Dio nella nostra storia ali' 'angelo di Jabvé' o al-
la sua schiera celeste; in questa presentazione la tentazione è attri-
buita a (o a un) 'Satana'. Con chiare1..za particolare, è espressa tale
opinione, la conoscenza cioè della distanza tra Dio e il male, nella
lettera di Giacomo: <cNessuno quando è tentato dica: Sono ten·
tato da Dio; perché Dio non può esser tentato dal male, né tenta
alcuno. Ciascuno è tentato dalla propria concupiscenza che lo attrae
e lo seduce» (Tac. l ,J3 s.). Più tardi la Chiesa ha dichiarato con-
tro il dualismo degli albigesi che Dio ha creato tutto buono e solu
il peccato ha reso cattivo il demonio (os 800).
Già la Scrittura ci insegna che possiamo vedere una causalità di
Dio rispetto al male solo nell'ambito della causalità trascendentale
mediante la quale il Creatore sostiene di continuo il mondo intero,
UIO E IL PECCATO 613

senza sostttmre l'uno o l'altro soggetto che agisce in concreto. I)


Creatore fa compiere ad ogni creatura in ogni istante la sua pro·
pria azione, senza assumere o anche solo completare quest'azione
per qualsiasi riguardo. Se questo principio metafisico, che si fa
strada già entro la Scrittura, fosse stato tenuto sempre sufficiente-
mente fermo nella dottrina della Chiesa, sarebbero stati risparmiati
atla teologia molti problemi che per secoli non trovarono solu-
zione per il semplice motivo che erano stati impostati in modo
errato. Fa parte ampiamente di questi problemi la discussione del
rapporto fra grazia e libertà umana nella teologia del secolo XVI e
XVIII. Ambedue le opposte concezioni, Molinismo e Baiiezianismo,
sono egualmente insufficienti. Non è vero che l'intlusso causale di
Dio raggiunga soltanto la nostra possibilità e non la nostra libera
azione stessa: quest'azione infatti dev'esser attuata per intero dalla
causalità trascendente di Dio, se vuol esser realtà. D'altra parte
quest'influs90 di Dio non si deve inserire come un'entità speciale
tra la possibilità e l'azione e determinare così l'azione perché altri-
menti questa realtà non dipende dalla nostra facoltà, non sarebbe
un'azione dipendente dalla nostra libera decisione.• Non si può
quindi attribuire a Dio quale soggetto immediato la cattiva azione.
Egli non commette il peccato. Per il medesimo motivo non può
esser lui a indurre al peccato. La sua 'tentazione' sta nel fatto che
egli fa sussistere un mondo in cui avviene il male e in cui questo
esercita per noi la sua forza seducente. L'idea metafisica che il
male in quanto tale non ha nessuna causa (non habet causam effe-
cie11tem sed deficientem ), ci fa comprendere da una parte ancor più
chiaramente che Dio non causa il male, ma d'altra parte fa della
creazione di Dio ancor più un mistero davanti al quale dobbiamo
chinarci.

c. Come punisce Dio il peccato?

Come bisogna ora pensare il castigo del peccato da parte di Dio?


La Scrittura lo vede innanzitutto nella linea di una punizione da

8 Cf. K. RAHNER in P. OvERHAGE u. K. RAllNER, Das Problem Jer Hominisation,


Freiburg 1961. p~ 66-;o (tr. it: li prohlmlll del/'0111i11itzazione, Morcelli1n1, Brescia).
ESSENZA DB.l PECCATO

parte degli uomini, specialmente della pena di morte. Dio uccide i


peccatori. Da questo nesso tra peccato e morte nasce in tutta la
Scrittura un'interpretazione della storia e precisamente in rapporto
al passato, al presente e al futuro. Le sanguinose sconfitte nel pas-
sato sono attribuite dagli agiografi all'infedeltà del popolo nei con·
fronti di Jahvé (ad es., /ud. 2.1.~ s.; 3,7.12; 4,1 s., ecc.); le cata-
strofi nelle guerre presenti sono interpretate dai profeti alla stessa
maniera, così ad esempio nelle amare rampogne di Isaia dopo la
invasione degli Assiri in Giudea (/s. 1 ). Ancor più energicamente
vengono minacciate morte e distruzione per il futuro, quando i pro-
feti proclamano le loro infinite serie di profezie contro le nazioni,
ma anche quando preannunziano sopra Israele e Samaria, Geru-
salemme e Giudea i castighi di Jahvé per mezzo dei suoi strumenti
e servi, i re di Assiria e di Babilonia (si potrebbe citare qui quasi
la metà dei libri profetici).
Tutto ciò parla dell'intervento di Dio, un intervento potente.
vendicatore contro il peccatore. Quello che la Scrittura dice in rife-
rimento alla trascendenza di Dio e al suo amore misericordioso, ci
lascia supporre che la rappresentazione di Dio che puni.;ce con la mor·
te, non sia la sua parola definitiva. A una considerazione più at-
tenta, troviamo anche una seconda concezione del castigo di Dio,
secondo la quale in misura sempre crescente si afferma che il per·
rato si punisce da se stesso. Talvolta accade che Dio completi la
rovina provocata dal peccato, mediante l'annientamento dei pec-
catori (Gen. 6,11-13), che egli riversi sopra i peccatori la loro pro·
pria malizia (l er. 14,16), che li abbandoni alla durezza del loro
cuore (Ps. 81,13). Il proprio peccato è conservato per il peccatore
(Os. 13,12), esso cadrà sopra di lui, (Num. 32,23), egli lo porterà
su di sé (Ezech. 16,58), il peccato lo schiaccia (Ezech. 33,10), lo
colpisce (ler. 2,19), lo trascina via comç il vento (ls. 64,6), gli fa
mangiare i suoi frutti amari ( Prov. 1, ~ 1 ). Se Israele abbandona
Jahvé, è separato dalla sua roccia (Ps. 7 ~.25-28), solo, senza il suo
sposo, e presso i suoi falsi alleati e amanti trova infine soltanto
derisione e maltrattamenti. Specialmente nel Libro della Sapienza
troviamo una chiara riflessione sul castigo immanente nel peccato
stesso. Il peccato porta la morte, invoca esso stesso la morte (Sap.
lllO t Il. PH'.C.ATO

1,11-16; Prov. 8,35 ), ma non è Dio a inviarla come punizione.


L'idea 3i Gen. 2 circa l'intenzione: originaria di Dio di donarci la
immortalità è riuscita a farsi strada qui. Non Dio ha fatto la morte,
anzi egli ha creato tutto per la vita e l'uomo per l'immortalità, ma
i peccatori hanno concluso un patto con la morte e l'invidia del dia-
volo ha portato la morte nel mondo - senza dubbio a causa della
seduzione al peccato (Sap. l,13-16; 2,23 s.). Per i suoi castighi Dio
si serve di questa potestà nemica che si trova ora nel mondo: egli
«armerà il creato per castigare i nemici» (Sap. 5,17; 16,17-24).
Egli avrebbe potuto punire gli Egiziani con animali feroci, ma lo
ha fatto con insetti che essi veneravano «perché capissero che le
stesse cose sono strumento di peccato e di castigo» (Sap. l l ,I 6;
d. 12,24 s.; 15,18-16,1 ). In tal modo l'uomo è punito dal suo
stesso peccato. Caino «perì nella sua collera a causa del suo furore
fratricida» (Sap. 10,3 ). Tutto il capitolo dedicato alla piaga delle
tenebre in Egitto (Sap. 17) fondamentalmente non ci dà che una
descrizione dell'angoscia che nasce dal peccato: «La malvagità,
condannata dalla propria testimonianza, è pavida; agitata dalla sua
coscienza, suppone sempre il peggio» (v. 10); perciò «il tormento
reciproco era più grosso della tenebra» ( v. 20 ).
Infine la pena immanente al peccato è: la sua fecondità per ulte-
riori peccati. Proprio il Libro della Sapienza, nella forma più chia-
ra entro l'Antico Testamento, vede come l'idolatria sia stata «l 'ini-
zio della fornicazione» e sia diventata «la degenerazione della vita»
(Sap. 14, 12 ). Questo pensiero assai significativo è ripreso da Paolo
nel Nuovo Testamento. Mentre nei racconti storici antichi nei pro-
feti si afferma ripetutamente che Dio abbandona Israele ai suoi ne
miei per i suoi peccati (los. 7,7 s.; !ud. 2,14; 3,8; 4,2; 6,1; 10,7;
13,1; r Sam. 12,9; Mich. 5,2; ler. 20,4 s.; 21,10; 22,25) Paolo,
a riguardo dei peccati dei pagani, afferma che Dio a causa della lo-
ro idolatria «li ha abbandonati all'impurità nelle concupiscenze del
loro cuore ... a passioni ignominiose ... a uno spirito reprobo» (Rom.
1 ,24.26.28). Perciò proprio nel Nuovo Testamento il peccato si
manifesta come potere. Il peccatore è sottomesso ad esso come uno
schiavo e il legame tra peccato e castigo è caratterizzato da Paolo
con la più grande precisione attraverso ciò che è il suo castigo da
6r6 ESSE!'>ZA Dll rffCATO

parte di Dio, cioè la morte che ora bisogna considerare come mer·
cede o stipendio di questo padrone (Rom. 6,2 3 ). f:. significativo tra
il resto che non solo il peccato contro Dio provochi altri peccati,
peccati contro il prossimo, ma che ci si possa trovare anche di
fronte al rapporto inverso. Quest'ultimo pensiero è tolto dal van·
gelo di san Giovanni: «E il giudizio è questo: è venuta la luce
nel mondo, ma gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce,
perché le loro opere erano malvage. Chiunque infatti fa il male,
odia la luce e non viene alla luce perché le sue opere non vengano
riprovate» (I o. 3, 1 9 s. ). Per questa incredulità nei confronti della
luce l'uomo «è già giudicato perch~ non ha creduto nel nome del
figlio unigenito di Dio» (/o. 3,18), egli «morirà nei suoi peccati»
(lo. 8,24 ), il suo peccato «rimane» (lo. 9,41 ). Si mostra qui nuova-
mente la «violazione della legge» l'indurimento definitivo. li pec-
cato produce infine questa violazione della legge; peccato nella sua
piena accezione è questa violazione della legge: "'1 iiµaQtiu Èatlv
Ti à:voµla ( 1 lo. 3 ,4 ). In tal modo il castigo dei peccati non è sol-
tanto la «seconda morte», ma anche il peccato stesso «che conduce
a morte» (1 Io. ,,16 s.).
Nella Scrittura l'idea che Dio punisce il peccato è almeno com-
pletata dall'idea che il peccato è punizione a se stesso. Possiamo
addirittura affermare che questa ultima concezione corregge la pri-
ma, perché sembra più di tutte accordarsi con l'immagine comples-
siva di Dio, indicataci dalla fede e dalla ragione (in adesione alla
Scrittura stessa). Si evita qui l'influsso e l'intervento mediante i
quali Dio si inserirebbe nelle cause intramond1ne, e ciò soddisfa di
più anche per l'aspetto metafisico e teologico-speculativo. Molto più
significativo nel complesso della rivelazione è il fatto che in questa
concezione si evitano gli aspetti dubbi della punizione dell'uomo
ed entra in primo piano l'immagine del Dio dell'amore. La pena
non è da intendere come una prestazione per riparare un'ingiusti-
zia. Ancor meno, oltrepassando questa restaurazione ed entrando
m:ll'ambito pubblico, può divenire vendetta della società (ciò che
i: già st1ua cosl spesso~ soprattutto in tempi e presso popoli ancora
barbari). Se la pena umana vuol avere il suo significato, deve spie-
gare chiaramente al delinquente e alla società che cosa è stato il
010 E tL rrn:no

delitto e operare cosl nel singolo e nella societi1 una catarsi. Anche
la pena giuridica perciò, se ha un senso, non sarà applicata arbitra-
riatnente, senza una qualche riscontrabile relazione al delitto, ma
sarà un'evidente conseguenza dcl delitto: poiché ci si è posti al di
fuori della società, si vien ora anche estromessi da essa. Se ciò vale
già all'interno di una società umana qui in terra, quanto più deve
aver valore nella comunione con Dio, che permane in eterno. In
questo senso la pena non è più intesa come un'espressione incom-
pleta di ciò che è stato commesso, ma è il peccato stesso. Solo di
fronte al proprio peccato viene a trovarsi il peccatore, non di
fronte alla vendetta di Dio. Da Dio e dalla definitiva comunione
di amore in cui Dio sarà tutto in tutti, il peccatore sarà tenuto lon-
tano unicamente dalla sua propria malizia. Dio è un Dio di vita
e di amore e a tutti vuol comunicare questi doni; questo amore re-
sta rivolto anche all'uomo peccatore, ma per il suo indurimento
diverrà un fuoco consumatore.
Non c'è bisogno perciò che in questo capitolo la pena dcl pec-
cato venga trauata ulteriormente come un tema speciale. Nella se-
zione seguente si parlerà delle conseguenze del peccato; verrà allora
motivato più da vicino anche il coincidere di peccato e pena.
SEZIONE SECONDA

LE CONSEGUENZE DEL PECCATO

r. Il peccato stesso come castigo

a. Condotta peccaminosa e castighi corporali

Il peccato dunque, come abbiamo già visto, si punisce da se stesso.


Val la pena chiarire cosa ciò significhi. Innanzitutto presuppone
che il castigo non venga solo dopo il peccato, bensì che il peccato
perduri. Sul piano giuridico, nel caso di pene civili o ecclesiastiche,
il castigo può solo venire dopo la trasgressione. Che il peccato, il
quale oltre ad essere un'azione esteriore sbagliata è anche una deci-
sione personale, coincida con la pena la quale dunque, da parte
sua, non ha bisogno di esser inflitta dall'esterno, come nell'ambito
giuridico, deriva dal fatto ch'esso non vien meno con l'azione
esterna. Ogni azione presenta, a dir il vero, nella sua esteriorità
un momento transitorio, tuttavia nel suo nocciolo è statica. Que·
sto nòcciolo di ogni azione è la decisione mediante la quale la per-
sona si attua in una determinata direzione, il comportamento che
essa dà a se stessa.
Questa condotta (habitus activus) non è solo dunque il risultato
di un'azione, ma questa stessa azione nel suo carattere duraturo (in
antitesi con l'abitudine, habitudo, che, quale effetto perdurante di
molti atti e influssi esteriori determina la nostra natura psichica e
fisica). Perciò c'è una disposizi<;me abituale al bene e un peccato
abituale, uno stato di grazia e uno di peccato. Per vero in questo
tempo terreno non si dà mai uno stato stabile, che non sia esposto
a tendenze opposte, nessuno stato di grazia senza una tentazione
al male e soprattutto nessuno stato di peccato, senza la pressione
della grazia redentrice di Cristo. Perciò lo stato di peccato mor-
tale può già esser scosso mediante il pentimento imperfetto
o anche esser eliminato attraverso una conversione, il dolore
620 CONSEGUENZE DEL PECCAlU

perfetto, ancor prima della riconciliazione sacramentale ddla con-


fessione. Visto così lo stato di peccato o il peccato abituale è as-
sunto nella grazia redentrice e durante questa vita terrena, per no-
~tra fortuna, non è mai definitivo. Questo tuttavia non esclude
che esso possa essere un fatw reale. Il comportamento peccami·
noso può prevalen: nonostante le 'buonl' azioni quotidiane' susci-
tate dalla ~razia o nonostante i residui dei buoni comporta-
menti, come pure, viceversa, nel prevalente buon comportamento.
nello stato della grazia santificante possono inserirsi peccati veniali
o esser ancora presenti residui della condotta peccaminosa. E que-
sto comportamento peccaminoso è l'autentico castigo nella nostra
esistenza terrena e dopo di essa.
Questo conduce ad una riflessione critica su di una verità general-
mente ammessa dalla teologia cattolica, che, cioè, dopo il perdono
dei peccati, possono rimaner indietro 'pene temporali' che devon
esser scontate in questa vita terrena o nella purificazione ultrater·
rena, nel cosiddetto 'purgatorio', oppure possono esser rimesse con
le indulgenze. Per lo più ci si raffigura la cosa in modo da affer-
mare che la colpa è senz'altro perdonata, tuttavia le pene non
sono ancora condonate. Questo modo d'esprimersi ci ricorda trop-
po una situazione corrispondente nello stato e nella Chiesa, in cui
uno può avere preso le sue distanzl' dalla rolpa cd essersi convertito.
ma deve ancora prender su Ji Sl; pene ~iuridiche, comunitarie. Qual-
cosa dcl genl'.n: è possibile perché queste pene esterne rimangono
sempre il segno rivelante, ma nel contl'mpo occultante, del com-
portamento dcl delinquente. Esse possono dunque venir o rimaner
imposte anche quando il comportamento interiore non è più sba-
gliato, sebbene nell'infliggere ed, eventualmente, nel condonare quel-
le pene si sia tenuto conto anche di questo mutamento di condotta.
Ma le pene temporali di cui qui si tratta non son la stessa cosa
Jclle pene ecclesiastiche ( r11gione per cui la Chiesa anche nelle
sue indulgenze ha intenzione di condonare più che semplici pene
ecclesiastiche ns 2640). Esse stanno nell'ordinamento del nostro
essere di fronte a Dio, esattamente come i 'castighi eterni'. Ora
questi castighi eterni sono generalmente riconosciuti condonati con
il perdono di un peccato mortale; perciò non deve valere anche per
Pf.CCATO COMf. CASTIGO 621

le pene temporali, che sono tolte col perdono dei peccati o che
rimangono perché il peccato stesso non è ancora perdonato? Con i
peccati mortali ci si gioca la vita della grazia, ma Dio la ridona in
Cristo, quando l'uomo abbandona il suo comportamento peccami-
noso; che significa ora che egli ha ancor da scontare castighi tem-
porali? Anche qui va applicata l'identificazione del castigo e del
comportamento peccaminoso. I castighi temporali significano al-
lora che il nostro comportamento non è ancor del tutto giustifi-
cato, che con la buona disposizione fondamentale e con la corri-
spondente vita di grazia, sono rimasti ancor dei comportamenti
periferici sbagliati. Il purgatorio ne è la punizione risolutiva, pur
potendo essi venir tolti già nella nostra vita terrena. E l'indulgen-
za è una benedizione della nostra purificazione, nella forma invec-
chiata e quindi oggigiorno difficilmente comprensibile, del condono
di una penitenza esteriore.

b. Peccato in quanto autoannientamento

Il castigo dunque nel suo senso più profondo non resta esteriore
al peccato, ma coincide con esso. Sta però di fronte all'uomo, in
quanto questi non può esser identificato con il suo peccato, lo tiene
prigioniero e lo porta \'erso la morte. Ma non è sufficiente accertan·
quesro in generale e non ci si può certamente fermare a delle im
magini. Ovviamente può, tra l'altro, far parte del contenuto della
azione peccaminosa il fatto che si arrechi danno ai beni, alla salute
e alla vita altrui o dello stesso peccatore: c'è ben un peccato d'as-
sassinio e così via. Mediante tutti questi peccati del mondo è stato
arrecato molto danno alla vita umana; sembra perfino che la razza
umana possa estinguersi mediante i propri peccati. Ma questo non
è il 'danno più profondo che consegue al peccato.
Oltretutto, attraverso azioni peccaminose vengono attuati anche dei
valori mentre attraverso un agire virtuoso è possibile arrecare danno.
Ma innanzitutto: tutto questo danno deriva dal contenuto di deter-
minati peccati, non dalla più profonda essenza di qualsiasi peccato.
Ora si manifesta anche da questa stessa essenza che il peccato causa
necessariamente per noi la rovina? E se sì, fin dove si arriva? Co-
622 CONSEGUENZE DEL PECCATO

mc dal distacco da Dio derivano morte, solitudine, paura? Il pec-


catore perde se stesso, perché perde Dio? Annienta se stesso, perché
si allontana dal suo creatore?
Qua e là è rintracciabile anche nella teologia cattolica la ten-
denza a ritenere il peccaro come autodistruzione, mentre sarebbe
da attribuire alla grazia redentrice di Dio il fatto che il peccatore
rimanga ancora in vita e resti ancora uomo. Si argomenta in un
modo genericamente metafisico affermando: Dio è la fonte dcl-
1'csserc: distaccandosi da lui, si riduce il proprio essere al nulla,
ci si annienta da se stessi. Oppure, mettendo più in risalto l'es-
sere personale: chi si distacca dai suoi simili, non può ritrovare
se stesso e nemmeno attuare se stesso, e tanto meno vi riesce il
peccatore che si distacca da colui che è la fonte dcl suo essere pro-
prio. Queste riflessioni mostrano solo che il peccato mira all'auto-
distruzione; il fatto che non la consegua, può poi esser attribuito
alla conservazione della creazione ad opera di Dio o alla reden-
zione. Se si ascrive questo mancato raggiungimento della autodi-
struzione alla continua attività creatrice di Dio, non si può obiet-
tare nulla per quanto riguarda l'argomentazione. Ma si porta più
chiarezza se si mostra contemporaneamente che nell'azione peccami-
nosa fin dall'inizio c'è qualcosa d'altro che l'aspirazione all'autodi-
struzione. Chi pecca pone essenzialmente un'azione ambivalente.
Egli aspira verso un bene, cerca di effettuare un valore, ma lo fa
contro l'ordine e il patto di Dio e opera con ciò negativamente, di-
struggendo. O viceversa: il peccato è negativo, ma concretizza la
sua negazione in un'azione positiva. Perfino il più immediato indu-
rimento nei confronti di Dio e del prossimo è ancora un'autoaffer-
mazione, un porre in atto la propria libertà. Infatti non può essere
altrimenti. Siccome la creazione è stata attuata una volta da Dio
ed è sempre continuamente attuata da lui anch'essa non può far
altro che attuare se stessa. Oppure, con formulazione negativa: la
creazione non può distruggere se stessa, come non può darsi l'esisten-
za. In ogni autoattuazione della persona libera resta tuttavia sottratto
al suo potere l'essere o il non essere della creazione. Nemmeno il sui-
cidio è autodistruzione. Il suicidio è forse il più evidente tentativo di
autodistruzione e con ciò la più tangibile incarnazione del carattere
PECCATO COME CASTIGO"

negativo del peccato, ma la persona che pone questa azione, dovrà


sussistere ugualmente. La potenza del peccato rimane sempre al-
l'interno della potenza creatrice di Dio; il peccato non è per nulla
un atto dell'onnipotenza. Siccome la potenza creatrice di Dio lo
circonda e lo delimita, non è da attribuire alla sola grazia reden-
trice di Dio il fatto che il peccatore rimanga ancora in vita. Certa-
mente tutta la creazione di Dio è orientata alla grazia. Ma la diffe-
renza fra la creazione, quale presupposto per la grazia e la grazia
stessa si mostra anche precisamente nel continuare a sussistere de.!
peccatore e, a dir il vero, in base al fatto che questo continuare a
sussistere può tornare non solo a giustificazione, ma anche a giu-
dizio. Quando il peccatore si è espresso completamente nel suo
peccato, allora la sua ulteriore esistenza gli torna solo per la com-
pleta rovina: e «sarebbe stato meglio per lui che non fosse mai
nato!» (Mt. 26,24). Da tutto ciò risulta che noi non prendiamo
nient'affatto meno seriamente il peccato, quando relativizziamo in
esso l'elemento dell'autodistruzione. Se il peccato fosse veramente
un entrare nel nulla, non sarebbe cosl cattivo, in ogni caso non lo
sarebbe per il peccatore il quale non avrebbe più nulla da sop-
portare, perché non ci sarebbe più!
Col peccato dunque non si raggiunge la completa autodistruzione
del peccatore, bensl piuttosto una contraddizione all'interno della
sua propria natura, la contraddizione tra la preghiera «Signore, apri-
ci!» e la decisione con cui ci si è chiusa la porta da se stessi. L'in-
ferno, la seconda morte, non è un male minore dell'annientamento,
bensl peggiore.'

' Nel sensazionale capitolo che Hans Ki:ing dedica all'imponanu cosmica di Cristo
come Rcdcn1ore !H. KiiHG, Lii giustifoctnione, Brescia 1969, pp. 16o ss.) passa un po'
iroppo rapidamente dalla morte come corucguenza del peccalo all'anniemamcnto; in
proposito è probabilmeme sono l'influsso di Kart Barth e forse anche di quegli au-
tori scolas1ici che accettano abbastanza superficialmente la possibili1à assoluta di una
11nnihildtio. Se è grazie alla destinazione al Redentore futuro che l'uomo pccca1ore è
rimasto ancora in vita e con1inua ad esser uomo, ciò avviene perché qucs1a des1ina·
zione coincide con la stessa creazione (concreta) e non perché essa, in quamo grazia
(soprannaturale) sos1ituirebbe l'essere: proprio (na1urale) della crca1ura. Cf. RAllNEl,
'Fragen der Kontrovcrsthcologie iiber die Rcch1fcrtigung', in Schri/ten IV, pp. 237·271,
spccialrncn1e p. 269.
CO:-!Sf.GUEH7.E DEL PECCATO

c. Il peccato quale rottura dell'alleanza

Il peccato non è in primo luogo autodistruzione, bensì ronura del-


l'alleanza. Tutto quanto c'è di verità nella concezione del peccato
come autodistruzione, appare quando è visto in modo sufficiente-
mente concreto come rottura dell'alleanza. Questo realismo esige da
noi innanzi tutto di considerare che il peccatore, con una decisione
che importa peccato mortale, mette in gioco la stessa vita della
grazia, rifiutandola. Quando la perdita della grazia santificante vie-
ne presentata come castigo, dev'essere interpretata alla luce della
precedente riOessione: il peccato stesso punisce il p~ccatore pri·
vandolo della vita della grazia. Quei teologi che ritengono passi·
bile per sé (de potentia Dei absoluta) che l'uomo conservi nello
stato di peccato mortale la grazia santificante, svolgono un gioco
completamente irreale di sottilissime speculazioni. Essi negano o
la dimensione soprannaturale di ogni peccato o la realtà ontica (e
non puramente giuridica) dello stato di peccato o, in fine, il carat·
tere personale della vita di grazia. Questa non è tuttavia un ele-
mento che è prodotto in noi in modo puramente causale in cui noi
entriamo solo passivamente, bensì è una vita nell'alleanza, in una
comunione personale, un essere insieme, che ci vien donato e
perciò offerto alla nostra libertà; esso perciò può esserci per il fatto
che noi abbiamo risposto all'offerta di Dio e continuamente rispon-
diamo nel nostro quotidiano oomportamento d'amore, di fede (vi-
va) e di speranza. Anche quando fede e speranza s'incontrano in
una forma morta e svuotata interiormente, cioè fin tanto che noi ci
rifiutiamo di seguire questa fede nella nostra vita, noi possiamo
ugualmente aderire ancora ad essa in un ultimo movimento ambiva-
lente d'abbandono (os tH8).
Il carattere soprannaturale del peccato potrebbe ora esser com-
preso rispetto alla nostra natura umana in modo molto esterno. Il
peccatore si gioca la grazia e conserva la sua natura. Certi cristiani
riformati sono spinti a interpretare così l'opinione cattolica, ed è
spiacevole che effettivamente molti teologi cattolici diano mutivl•
ad una tale interpretazione. Una simile rappresentazione esteriore
della grazia non è però né necessaria né esatta. La natura umane1
PF.CCATO COME CASTIGO

realmente esistente è ordinata alla grazia e proprio in modo in-


trinseco e assoluto (solo tale natura ha importanza in fin dei conu:
la rappresentazione artificiosa di una natura pura, non destin11ta
alla grazia, serve solo a metter in rilievo la gratuità della grazia ri·
spetto a qualsiasi natura). In modo intrinseco non solo superfi.
ciale o accidentale; in modo assoluto poiché la destinazione al li-
bero dono della grazia divina è l'unica che esista e abbia valore.
Evidentemente questa comunione con Dio è anche il maggior bene
per la creatura. La perdita di questo bene è dunque per l'uomo non
un danno di una compagnia casuale, ma della comunione che lo
completa nel più intimo. L'argomento citato sopra, secondo cui
l'uomo danneggia se stesso nell'allontanamento dal suo prossimo, è
qui al suo posto per poter palesare l'isolamento e la frustrazione
ad opera del peccato. Con l'allontanamento da Dio, che solo lo può
colmare e in cui soltanto gli altri lo possono completare, l'uomo è
isolato nel modo più profondo, la sua natura è frustrata nel suo
più profondo orientamento. Con ciò l'uomo non perde proprio
l'essere, ma il suo senso e la sua pienezza e per tanto la parola
'autodistruzione' sarebbe al suo posto. Tutto sussiste in Cristo, tut-
to trova in lui la sua connessione (Col. 1, 17) e il peccato si gioca
esattamente questa connessione. Non possiamo descrivere meglio la
esistenza peccaminosa che con le parole esistenziali deJla Sacra Scrit-
tura. Fa parte però del compito della teologia, e quindi è neces-
sario alla fede, cercare di metter in evidenza in modo più anali·
tico la reazione del peccato sulla nostra esistenza naturale e sul
nostro agire.
Quale danno apporta il peccato oltre al fatto che esso è la per·
dita dei doni soprannaturali e proprio perché esso è la perdita dei
doni soprannaturali, alla 'natura' dell'uomo, al suo essere e agire
che gli è proprio in quanto natura umana? Per rispondere a que-
sta domanda è bene volgere un momento l'attenzione sulla rela-
zione natura e persona: la natura è l'essenza umana in quanto pree-
sistente alla nostra decisione; persona è il soggetto stesso della li-
bertà. Destinatario del dono della grazia divina nel senso di questa
distinzione non è solo la natura dell'uomo, bensì anche la sua
persona.

40 - Muteriu"1Sufoti<.11/2
C'.ONSl!GUENZE DEL Pl!.CCAl'O

La natura reagisce alla grazia in quanto quella è nelle mani delle


persona umana; la sua reazione è l'espressione delle risposta perso-
nale dell'uomo, in quanto essa si può esprimere nella natura. Im-
mediatamente sotto l'influsso della grazia non è la natura, bensl la
persona e, mediante questa, la natura in quanto è presupposta alla
persona come oggetto di decisione e formazione personale. La ve-
rità di questa costatazione si conferma in varie esperienze, soprat-
tutto in ciò che riguarda la nostra natura corporale: in un malato,
raggiunto dalla grazia di Cristo, non si muta in prima linea la sua
malattia, ma il suo comportamento nei confronti della malattia e
- forse - , attraverso questo, anche la sua stessa malattia. Que-
sto vale anche per la risposta negativa alla grazia, per il peccato.
L'assenza d'amore non è la causa per cui uno ne perda la salute;
gli toglierà l'apertura e la gioia nell'intimo della persona e - ancor
una volta: forse - per questa via anche la salute. Per il momento
non trattiamo il problema. Se questo modo d'influsso sia l'unico
possibile. In ogni caso, il campo normale d'influenza del peccato si
trova nell'ambito morale: ed è ciò che ora esamineremo.

2. Incapacità d'amare

Il peccato è l'antitesi dell'amore ed esclude l'amore. Con c10 e


veramente detto tutto quanto c'è da dire sulle conseguenze del
peccato per l'agire morale, e questa riflessione coincide con le
asserzioni teologiche sulla necessità della grazia per ogni virtù e per
tutto il bene.

a. Dichiarazioni del magistero

Si comprenderanno meglio le asserzioni del magistero quando ci si


è convinti che il peccato (nella sua accezione piena, dunque il
peccato mortale) non esclude solo l'amore soprannaturale, ma an-
che l'amore naturale. Due principi spingono a questa conclusione:
ogni uomo sta continuamente in dialogo con la grazia soprannatu-
rale di Dio, alla quale egli ha una destinazione intrinseca assoluta
e: amore è auroespressione di tutta la persona («con tutto il ruo-
INCAPACITÀ D't\MARE

re») di fronte all'insieme della realtà, Dio e mondo in tutti 1 loro


aspetti. La tesi che col peccato viene escluso anche l'amore naturale
s'accorda con l'insegnamento di san TOMMASO nella sua Somma
(S. th. I-II, q. 109, a. 3) quando si pensa che l'amore di Dio e del.
prossimo sono inseparabili. Ciò concorda anche con l'opinione di
sant'AGOSTINO che una vera virtù e un comportamento morale pie-.
namence buono sono esclusi dal peccaco e che non sono possibili al
di fuori della grazia. Ciò però non significa che l'uno e l'altro non
sono possibili al di fuori della Chiesa, dato che Dio dona infatti
anche là la sua grazia, anche se non senea connessione con la Chie-
sa. Non i pagani come tali, ma l'uomo nel peccato è. escluso dalla
grazia, dall'amore e dalla virtù.
Il magistero ecclesiastico ha fatto propria nella lotta contro il
Pelagianesimo e Semipelagianesimo l'argomentazione or ora formu-
lata. Il concilio di Cartagine dichiara necessaria la grazia per l'uo-
mo decaduto «per non commettere peccati» (ns 225 ), «per poter
volere e fare ciò che dobbiamo fare, secondo il nostro giudizio»
(ns 226) «per seguire il comandamento di Dio» (ns 227). Queste
tre espressioni sono anche accolte nell'Indiculus gratiae (ns 245),
in cui inoltre si dice che 'nessuno è buono di per se stesso' (ns
240 ), «nessuno eccetto che attraverso Cristo, usa rettamente la
sua libertà di scelta (liberum arbitrium)» {Ds 242), che il Padre
celeste tocca i cuori dei suoi figli «affinché essi facciano qualcosa
di buono» (Ds 243), «·perché noi, che senza di lui non possiamo
alcunché, per mezzo suo possiamo fare il bene» (Ds 244; cf. fo.
15,5). Anche il concilio di Orange insegna che la grazia è neces-
saria «affinché noi crediamo o vogliamo o possiamo fare tutto
questo, come si conviene» {ns 376; cf. Rom. 8,26). «Viene da un
dono di Dio se noi pensiamo bene e teniamo lontano i nostri
passi dalla falsità e dall'ingiustizia; ogni qual volta infatti noi
facciamo il bene, Dio opera in noi e con noi, affinché noi agiamo»
( os 3ì9 ). «L'uomo non compie nulla di bene, se Dio non gli do-
na <li compierlo» ( os 390 ). «Nessuno fa qualcosa di proprio ec-
cetto che falsità e peccato. Se l'uomo ha pert> qualcosa di vero
e di giusto, ciò deriva dalla fonte di cui in questo deserto noi
dobbiamo esser assetati, affinché irrorati quasi da alcune gocce,
CONSEGUENZE DEL PECCATO

non veniamo meno per via» (os 39~). In egual modo sono doni
di Dio pure !'«obbedienza alla volontà divina» (os 393) e «l'amore
per Dio» (os 395). Questi concetti rimangono vivi nella Chiesa.
Ancora nel secolo Xli il sinodo provinciale di Sens condanna la
tesi di Anf.LARDO «che la nostra libertà di scelta (liberum arbi-
trium) sia capace da sé di qualcosa di buono» (os 72 5 ). Del resto
gli stessi concetti si trovano ancora sempre vivi nelle preghiere
della Chi~sa, soprattutto nelle orazioni delle domeniche dopo
pentecoste e possono esser riassunti in una confessione della colletta
della prima domenica: «Senza di te la debolezza umana non può
nulla». Ciò è, come le asserzioni precedenti, l'eco delle parole di
Cristo: «Senza di me non potete far nulla» (Io. I 5 ,5 ).
A questa confessione fondamentale e sempre valida la Chiesa ha
aggiunto tre serie di asserzioni dottrinali complementari. La prima
serie tratta delle grazie non ancor giustificanti, ma che tuttavia
dispongono alla giustificazione. Il concilio ecumenico di Trento di-
stingue molto chiaramente lo stato di grazia nell'uomo giustificato
da quelle grazie che vengon concesse per porre gli atti di fede, di
speranza e di pentimento verso la giustificazione, atti che non sono
per nulla falsi o peccaminosi, bensì, al contrario, sono salutari e
dispongono positivamente alla grazia santificante, senza tuttavia me-
ritarla (os 1525 s., 1557). Ne deriva il rigetto del principio baiano
e giansenistico dei due stati che si pretendono i soli possibili per
l'uomo, quello dell'amore (caritas) e quello della concupiscenza
(cupiditas) (os 1930), che vengono opposti l'un l'altro sempre allo
stesso modo esclusivo come «amore per Dio» e «amore per se
stesso e per il mondo» ( os 2 307, 2444 ), mentre è del tutto trascu-
rata la possibilità di una posizione intermedia, cioè gli atti descritti
dal Tridentino. che dispongono alla grazia santificante e all'amotf"
perfetto.
Così è fatta una seconda serie di asserzioni: non sono peccato
tutte le azioni poste da un peccatore (ns 1940, 2302, 2309, 2459),
cioè poste da un uomo prima della sua giustificazione (ns 1949,
2428), oppure non per caritas (os 2 3 r 1) o per virtù (ns r 216).
Neanche tutte le azioni degli infedeli sono peccato ( os 192 5, 2 308 ).
Queste azioni non peccaminose del peccatore posson esser gli atti
INCAPACll'À ll AMAKI·.
0

dispositivi, di cui abbiam sentiro parlare il Tridentino; e le azioni


r.on peccaminose degli infedeli, «ai 4uali Cristo non fu predicato»
( ns 1 968) possono addiri t cura procedere da una fede implicita.
La terza serie di asserzioni del magistero srmhra invece talvolta
esprimere l'opposto di quanto è stato detto contro il Pelagianesimo
e altre correnti. Se ABELARDO era stato condannato, perché ammet-
teva che il liberum arbitrium era capace da sé, cioè in modo natu·
raie, di qualcosa di bene (os 725), invece contro BAIO veniva difeso
precisamente colui che «riconosce una qualche bontà naturale, cioè
qualcosa che nasce solo dalle forze della natura» (os 1937; d. 1965).
Ancor più chiaramente troviamo l'ammissione di una bontà, nata
dalle «sole forze della natura» (ex naturae solis viribus), di nuovo là
dove espressioni «al di fuori della grazia», «senza la grazia» (absque
gratia, sine gratia) sono adoperate nelle dichiarazioni antibaiane e
antigiansenistiche. Contro BAIO si condanna l'affermazione che il
cliberum arbitrium senza l'aiuto della grazia sia atto solo a peccare»
(os 1927, 1930); contro QuESNEL si trovano asserzioni della stessa
tendenza (os 2401 s., 2438-2442). Può darsi che questo «senza
grazia,. sia da ritenere talvolta come «senza grazia santificante»; al-
lora «il bene senza grazia» sarebbe dunque ciò che non si compie
ancora per virtù dell'amore di Dio, bensì dispone a ricevere l'amore,
e la disapprovazione riguarda l'immediata ed esclusiva contrapposi-
zione delle due situazioni dell'amore e della concupiscenza. Però
csenza grazia» sembra affermare di più e in ogni caso vien ricono-
sciuto qualcosa di bene alla volontà anche solo dalle sue forze natu-
rali. Ciò costituisce un'eco della dottrina del Tridentino circa la
volontà libera nell'uomo caduto. Nel decreto sulla giustificazione il
concilio dichiara che questo liberum arbitrium non è «per nulla tolto,
anche se indebolito di forza e inclinato al male» ( os I 521: tametsi
in eis liber11m arbitrium minime extinctum essei, viribus licei atte-
nuatum et inclinat11m), e questa osservazione alla fine del decreto
vien resa oggetto di un canone in una proposizione dipendente
(DS 15~~).
(ONSl!GUENZE l>EL PECCA1U

b. Peccato, natura ~ persona

La serie di asserzioni del magistero citata per ultima ha soprattutto


carattere suppletivo, giacché parla immediatamente della natura del-
l'uomo. li peccato n.:ndc l'uomo debole e lo pone in schiavitù, ma
non annienta nulh1 di quanto i: proprio dell'uomo stesso, nemmeno il
liberum 11rbitl'i11m. Il peccato, appunto come la grazia, influisce sulla
nostra narnra in quanto questa i: data prima della persona e vien
predsata e formala più partirnlan:ggiatamcntc mediante la nostra li-
bertà. Mediante l'influsso dcl peccato sulla natura umana, legato
con la perdita dei doni soprannaturali, l'uomo, cprrispondentemente
all'immagine dell'uomo in viaggio per Gerico, derubaro e ferito, vie-
ne, secondo AGOSTINO e molti teologi posteriori, «spogliato dei doni
della grazia e ferito nei beni naturali». Tuttavia sembra più esatto
sostituire l'immagine del ferimento con un'altra: nelle nostre facoltà
spirituali nulla è ferito, invece la nostra libera volontà t: lef!.ala nella
sua attività e con essa anche le altre facoltà. Questo esser legati
non toglie la libertà, solo il suo campo d'azione è ristretto. Colui che
ritiene che la libertà sia tolta, quando è legata, parte da una astratta
'libertà in sé', non dalla libertà quale la possiede ogni uomo con-
creto. Ciascun uomo inizia la propria esistenza in una iibertà situata.
In astratto, in sé, egli può volere ogni cosa; in concreto, il suo volere
è determinato dalle circostanze in cui vive. In ogni ulteriore auto-
attuazionc, per quanto creatrice possa esser in rapporto alla situa-
zione in cui egli si trova, egli nel contempo si delimita ancora ulte-
riormente, poiché ogni decisione lo porta, esteriormente e interior~
mente, in una nuova situazione. Così all'interno dell'ambito delle
nostre attività naturali la libertà è in concreto sempre una libertà le-
gata e delimitata e tale legame e limitazione non avvengono me-
diante una diminuzione o un ferimento della stessa libera volontà,
bensl mediante la situazione in tui ci uoviamo e che noi stessi
creiamo.
Nulla di diverso succede anche per la situazione della mancanza
della grazia: la libera volontà dell'uomo rimane libera, ma manca
di un ambito e di un4 comunione, in cui essa arriva a!l'amore e alla
vera virtù. L'incapacità, che qui nasce, non deriva da una mancanza
INCAPACITÀ D'AMAllE

di facoltà, hensl dal collocamento di noi stessi con tutte le nostre


facoltà e antecedentemente a tutta la nostra libertà, condizionato dal
peccato personale o dal peccato originale. In forza della nostra na-
tura umana la capacità, la libertà, è radicalmente intatta, ma a causit
Jel particolar< r-ollocamento anche l'incapacità è altrettanto radicale,
perché anche quel collocamento giunge fino alla radice, - della no-
stra decisione cioè, che esso costringe in un ambito stretto, ma deter-
minato. Nella teologia si fa spesso la distinzione tra la capacità fisica
all'amore, che ha l'uomo peccatore e la sua incapacità morale per
esso. Si dovrebbe in proposito intendere il termine 'morale' meno
rnrnc è compreso nella dottrina filosofica della conoscenza, quando si
parla Jclla ccrte-aa 'morale', quindi nel senso di 'approssimativo',
bensl piuttosto in un senso più profondo, come appartenente cioè
all'ordine etico e quindi cau!'ato da una libera decisione. 'Morale'
allora non s: contrappone ad 'assoluto'; ben al contrario, perché la
incapacità morale per l'amore ora descritta, è essa stessa assoluta.
All'interno di questa assoluta incapacità morale per qualsiasi amore
e per qualsiasi virtù vera, completa, animata dall'amore, la nostra li-
bera volontà esercita la sua facoltà fisica di scegliere. Può in tal mo-
do l'uomo nel peccato scegliere da sé il bene? Si, però il bene limi-
tato, non quello pieno. La capacità per questo bene limitato fu inse-
gnata dalla Chiesa contro BAIO (os 1937), contro ABELARDO invece
l'impotenza per il bene totale (os 725).

c. Il bene limitato, che rimane possibile

Qual è ora questo bene limitato, che l'uomo peccatore può ancora
scegliere e attuare? Ci sono certi comportamenti morali, che si at·
ruano in un campo limitato, pèr esempio l'amore all'interno di una
famiglia, di un clan, di una tribù, oppure ancora: la fedeltà alla pa-
tria o per un partito; l'onestà e la castità appunto all'interno di que-
sti confini, ecc. Nel senso luterano si dovrebbe qui _parlare di una
iustitia civilis, che si contrappone alla iustitia spiritualis. Conside-
rati in sé, questi- comportamenti e atti, son da dirsi buoni e certa·
mente non sono peccati; perciò fu condannata la tesi di BAIO, secondo
la quale tutti gli atti posti in stato di peccato sarebbero sempre nuova-
CONSEGUENZE DEL PECCATO

mente peccati (os 193,). TOMMASO o'AQUINO li chiama «un certo


qual bene particolare» (aliquod bonu.m particulare) e porta come
esempi: «Costruire case, piantare vigneti e simili» (S. th., I-II, q.
109, a. 2).
Veramente in tutti questi esempi si tratta di atti che attuano piut-
tosto solo un valore relativo e, considerati in sé, sono ancora più o
meno indifferenti; essi non devono necessariamente rappresentare un
comportamento moralmente buono in sé (una casa ad es., si può
costruirla solo per un impiego favorevole del capitale, anzi perfino
per più bassa bramosia di guadagno). A noi però interessano soprat-
tutto quelle decisioni morali che per loro natura .devono esser dette
bll'One (vedi gli altri esempi addotti sopra): cosi si può parlare di
una condotta buona moralmente, di un atto virtuoso, il quale però
sia intrinsecamente limitato per la privazione dell'amore soprannatu-
rale, che solo rende pienamente e totalmente virtuoso e buono un
atto. Questa intrinseca incompletezza si può manifestare in diverse
maniere. Ciò che è più evidente è che anche questo bene limitato
non è in generale di lunga durata nell'uomo peccatore. Cosl ritro·
viamo la concezione teologica corrente secondo cui l'uomo caduto
non è capace, senza la grazia, di osservare per un lungo tempo i co-
mandamenti della legge naturale. Questa limitazione nella stabilità
nell'agire morale può esser vista come una manifestazione della limi-
tazione che si palesa tanto nell'individuo quanto anche nell'ambito
più vasto della comunità culturale. Quanto più una cultura è sem-
plice e stabile, tanto più immediatamente verrà in primo piano la
limitatezza dell'ideale morale, il legame alla famiglia e alla tribù.
Questa limitatezza sta già nella morale dell'Antico Testamento e
vien acutamente indicata da Cristo: «Avete udito che fu detto: -
Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico» (Mt. ',43). Questa
è la 'morale chiusa', che è stata descritta tanto magistralmente da
BERGSON. Essa non vive solo nelle comunità primitive, bensl minac-
cia di presentarsi in ogni formaziope di gruppi, quasi come una for-
ma d'egoismo sociale e abbiamo sempre bisogno che Cristo ci chiami
e ci renda liberi per un amore che non conosce confini.
INCAPACITÀ D'AMARE

d. Incapacità d'integrazione

L'incapacità per l'amore porta con sé un'incapacità per un pieno


orientamento al bene: questo risulta più chiaramente che da una
considerazione Jella vita etica in sé, da una inJagine sul come na-
sce questa vita morale. L'uomo sulla terra è sempre in cammino
per divenire una unità ed egli è tanto più in cammino quanto più
deve ancora giungere alla maturità. Per la nostra corporeità e per
la nostra partecipazione al mondo materiale, in una parola, per la
nostra materialità, noi costituiamo una pluralità di tendenze verso
determinati beni particolari, la quale ha ancora bisogno d'ordine, an-
che se queste tendenze nascono dalla nostra natura spirituale. Il no-
stro bisogno di nutrimento, di riposo o anche di autosviluppo attivo,
di sicurezza o di elevazione del mondo, di solitudine e di comunione;
la nostra sessualità e la nostra aggressività; il nostro bisogno di sotto-
missione e di dominio, tutco ciò non è per nulla sin da principio in ar-
monia, bensì quest'armonia deve svilupparsi e conquistarsi. Ciò non
è solo una conseguenza del peccato, bensì un qualcosa che è dato con
la nostra natura corporale e spirituale; e in tale misura la nostra con-
dizione non è per nulla affatto da considerare come qualcosa di male.
Essa indica quanto l'esser uomini ci sia messo nelle mani come pro-
getto, come vocazione e come compito. Noi stessi dobbiamo for-
marci personalmente mettendo in ordine, portando all'unità, inte-
grando, e precisamente nel retto ordine della nostra persona, nella
comunità umana e davanti a Dio, tutte le tendenze e capacità e
quindi anche tutte le situazioni in cui ci troviamo. In altri termini:
tutto dev'esser integrato con l'assunzione nell'amore: l'uomo per se
stesso è per sua natura una realtà caotica, che aspira all'integrazione
mediante l'amore. E qui il peccato si rende palese. Il suo influsso non
sta già nel carattere della nostra natura, caotico ma già aspirante al.
l'ordine, bensì nell'incapacità all'amore e quindi all'integrazione, di
cui è causa. L'uomo è segnato dal peccato non in quanto egli tende
ancora all'integrazione. bensì in quanto manca di amore, il quale solo
può attuare quest'integrazione.
CONSFGUENZF. DEL PECCATO

3. L'inclinazione al male

Accanto all'incapacità per il bene, il peccato ha come uheriore con-


seguen1.a persino ancora più immediata, la spinta al male: un'azione
è sempre di più 1.:hc un fenomeno esterno 1.1ppure il suo contenuto
circoscritto, i quali passano; questi sono manifestazione e attuazione
di un impegno, di una condotta che è duratura. Dopo l'assassinio,
rimane l'odio; dopo l'impurità, la concupiscenza egoista. f:. bensì
possihile che i sentimenti si cambino repentinamente nel loro oppo-
sto. come indicano la disperazione di Otello oppure l'avversione che
assalì Amnon contro Tamar dopo che l'ebbe violentata ( 2 Sam.
I 3, r 5 ), e soprattutto il pentimento di Giuda dopo il suo tradi-

mento (Mt. 27,3-5). Ma fin tanto che non segue nessuna conversione
interiore ad opera della grazia, l'egoismo che era alla base della pri-
ma azione continuerà a tener prigioniero l'uomo e a cercarsi altre
vie oppure a irrigidirsi in ostinazione e disperazione. Le azioni ester-
ne, i sentimenti, i pensieri concomitanti partecipano della mutevo-
lezza del nostro contatto corporale con il mondo, ma la condotta
partecipa dell'immortalità della persona spirituale e tanto più, quantCl
più profondamente essa è radicata. Questa condotta cattiva si me-
scola in vario modo con l'incapacità al bene. Perciò nell'uomo in
quanto è peccatore, c'è uno stimolo peccaminoso e un'inclinazione
peccaminosa sia a causa dcl persistere della condotta, che si manife.
stò nell'azione peccaminosa antecedente, sia anche per In mancante
integrazione, quella da ultimo del fatto che le diverse capacità, ten·
denze, istinti, passioni cercano il loro parziale appagamento anche
nella società umana a prezzo del valore totale della pcr·sona umana.
Le inclinazioni bisognose d'ordine diventano 'passioni disordinate',
in quanto esse o vengono travolte da una condotta peccaminosa op·
pure, per la mancanza di amore, non possono trovare integrazio·
ne alcuna. Qui «la concupiscenza concepisce e genera il peccato»
(Iac. 1,15).
Questa considerazione ci pone davanti agli occhi la serietà del fat-
to che c'è quella condotta cattiva. Si ricordino quelle asserzioni della
Scrittura secondo le quali Dio dà al peccatore il suo proprio induri-
mento e così il peccato si punisce da sé, diventando fonte di nuovi
lNClll'<.t,L!ONE AL MALE

peccati. La dottrina dei sette peccali capitali risalente all'epoca dei


padri, rinvia (in 4uanto è anrnr vitale I a queste asserzioni della
Scritiura. ~cbbcnc n.::a arri,·i a presentar:>i propriamcme comi: una
condo1ta fondamentale pl·cc:1minosa, ncgativaim.:nte leologale.
Questo ftindamc11t;.1lc comportamcnw peccaminoso in radice è
preso profondamt:ntc su: :-cr;o dal pn •lt.:st:lntt·s!mo soprat11Jl:o di
espressione lutcrana. Vn nlllfromo con la dourina protcstallle dcl
peccato originale condizionala da qucsta visione seguirà più tardi
(cf. pp. 70-1 s. ). 1" rn ogni caso si può affermare che la concezione
cattolica corrente può essi.:r liberata da un esclusi\'o moralismo della
azione e arricchita circa una dimensione profonda mediante la pro-
spettiva della teologia riformata. Infine la suddetta riflessione rende
possibile una comprensione pii1 profonda di alcuni concetti come
'carne', concupiscenza' e 'schiavitù', che nella Bibbia e nella tradi-
zione sono continuamente collegati con il peccato. Ad essi va ag-
giunto il concetto di 'conflitto'.

a. Carne

La carne (11lipt caro) nell'idea semitica dell'uomo non si oppone


all'anima, bensl al sangue o alle ossa. 'Carne e sangue' oppure 'carne
e ossa' rimandano perciò sempre a tutto l'uomo o alla «realtà umana».
Anche nel Nuovo Testamento nella contrapposizione di 'carne' e
'spirito' (n,·r\•µ11) non si fa (o, per lo meno non lo si fa in prima
linea) una distinzione antropologica tra parti sostanziali nell'uomo,
bensl si esprime una distinzione teologica e soteriologica tra due si-
tuazioni, in rni l'uomo si trova rispcuo alla propria salvez7.a. In
qwmto 'spirito', l'uomo, il cristiano (precisamente come Cristo che
è «lo spirito» secondo 2 Cor. 3,17) è riempito della potenza di Dio,
dello Spirito santo. In 4uanto 'carne' è in balia della sua propria
debolezza come -.creatura, anzi più ancora - soprattutto secondo
Paolo - in balla dcl peccato. Ciò è espresso particolarmente in tre
passi, in rni la carne vien contrapposta allo spirito: r Cur. 2,rn-3 14;
Gal. 5 1 16-26; Rom. 7,14-8.13.
IO Esrosizioni unitane della dottrina di U.1tero circa il 1>eceato offrono special-
mente: E. KirmJ:K. Vie lirbiii11dt', S!ut!i;an 1959 e P. ALTl!AUS, Die Tbeologie Mar-
t111 Luthers. Giitt·rsloh 1962, pp. u!l-144.
CO~SEGUl!HZF. DEL PECCATO

Nel primo passo l'uomo carnale o a_nche «terreno»> ( 1 Cor. 2,14:


11•ux1xii; 1'i"llt><oJto; anima/is homo) sembra principalmente sen-
za comprensione per ciò che è Dio, mentre l'uomo spirituale «giu-
dica ogni cosa» ( v. r 5 ), «lo spirito infatti scruta ogni cosa, anche
le profondità di Diu» ( v. r o). È dunque innanzitutto l'incapacità
derivante dalla natura a conoscere il mistero di Dio quella che qui
caratterizza l'uomo carnale, benché anche la peccaminosità vi abbia
una parte: «Quando, infatti, c'è tra voi invidia e discordia, non siete
forse carnali?» (1 Cor. 3,3).
Esclusivamente la peccaminosità determina la carne, quando Pao-
lo spiega in Gal. 5 che «la carne ha desideri contrari allo spirito e lo
spirito ha desideri contrari alla carne» (v. 17) e fa conseguentemente
un'enumerazione delle «opere della carne», in cui vediamo prepa-
rato il catalogo dei peccati di Rom. r. È degno di nota il fatto che
i singoli peccati che in 1 Cor. 3 vengon messi in connessione con
la carne e alcune opere della carne tra quelle di Gal. 5, vengon dap·
prima determinati come peccati 'spirituali' in un'analisi più psico-
logice; ciò che nuovamente rende palese quanto questa 'carne' rap-
presenti: l'uomo intero, con corpo e anima, nella sua peccaminosità.
Nel terzo passo (Rom. 7,14-8,13) l'opposizione tra carne e spirito
viene illustrata mediante altre realtà. Una di queste è la legge di
Dio, che da Paolo vien detta 'spirituale'; al che fa seguire immedia·
tamente: «mentre io sono un essere di carne, venduto in potere del
peccato» (Rom. 7 ,_r 4) e con ciò è subito nominata un'altra realtà:
il peccato. Questo 'io' che si oppone alla legge, ma anche all' 'io'
migliore, impegnato per la legge ( vv. 15-22 ), è tanto fortemente
«venduto in potere del peccato», che Paolo equipara il peccato a
questo io cattivo, quasi lo personifica: «non son più io a farlo, bensl
il peccato che abita in me» ( v. 20 ). Questo io cattivo è detto pec-
cato, ma Paolo lo identifica anche con la 'carne': « ... il bene non abi-
ta in me, cioè nella mia carne» ( v. 1 8 ).

b. Concupiscenza

Se il concetto 'carne' proviene dalla immagine semitica dell'uomo, il


concetto invece di 'brama' di 'concupiscenza' (lJt13uµia, cupidi-
INCLINAZIONE AL MALF.

tas) è più congeniale al mondo greco. Qui or1gmariamente la 'bra-


ma' e la 'cupidigia' hanno un significato neutro, però il dualismo
della filosofia greca indica l'bdh 1 ~1in soprattutto come tendenza
opposta alla ragione, ad essa non sottomessa, cosicché questa parola
ne riceve un significato peggiorativo.
Nell'Antico Testamento però il desiderio cattivo non si contrap-
pone alla ragione, bensì alla legge di Dio (Ex. 20,17; Deut. ,,21) e
a1la sua guida (Num. 11,4). Nei libri del Nuovo Testamento 'brama'
o 'desiderio' possono esser usati in vista del bene e hanno un signifi-
cato neutro: anche «lo Spirito ha desideri» (Gal. ',17 ). Per lo più pe-
rò il contesto indica che si tratta di una concupiscenza cattiva; talora
per il fatto che il portatore della concupiscenza è la carne. È anche no-
to il rapporto. messo in rilievo da Giovanni, tra concupiscenza e mon-
do (1 lo. 2,16). Con dò la concupiscenza in senso peggiorativo è de-
terminata come l'inclinazione ?.I p~c:cato all'interno dell'uomo O della
umanità, che è posta sotto il peccato, che sta cioè nella carne o nel
mondo. Essa però non è soltanto inclinata al peccato, bensl anche
deriva dal peccato, che predomina nell'uomo carnale e mondano.
In Paolo la legge gioca ugualmente il suo nwlo. Di fronte alla
sua esigenza la condotta peccaminosa provoca trdsgressioni (Rom.
4,15). Soprattutto la legge: «Non desiderare!» scatena la concu-
piscenza (Rom. 7 ,7 s. ). Questa concupiscenza è çonsiderara ne1la
dottrina ecclesiastica e nella teologia quasi esclusivamente come
conseguenza del peccaco originale, ma, in accordo con la Scrit-
tura, può anche essa esser collegata con i peccati personali. Essa
consiste allora nella condotta peccaminosa e, insieme, nell'incapa-
cità di integrare le nostre tendenze nell'amore, cui si è già accennato.
Sia qui messo in rilievo ancora una volta che si tratta in proposito
di tutte le tendenze della nostra natura umana corporale-spirituale
tutta intera. La teologia più recente perciò ha collocato, assai ragio-
nevolmente, in accordo con la Scrittura, la concupiscenza non solo
nella corporeità, bensì in tutto l'uomo. 11

11 K. 'Zum Begriff der Konkupiszenz', in Schri/tett 1, PP- Jn-4q.; 8.


Rr.H:<ER.
STOECKLE, Die l__,.hre von der CThftlttdlichett Kottk11pisu11~ m ihrer Bedeut11ttl( /iir dJ1
christliche Lei!Jt•thm_ Eucl 1954; J- B. Mr.r.i:. 'Concupiscenza'. in D~T. 1 (l1969) 2-<)0-
299.
C-ONSF.GUENZ•· ni-:1. rECCATU

c. Schiavitìi

Proprio mediante la concupiscenza il peccato domina, secondo


Paolo, nell'uomo e sull'uomo. Per l'uomo, in quanto egli sta di
fronte alla sua condotra peccaminosa o incapacità, ciò s.ignifica
'schiavitù'. Si vuol forse anche dire che con ciò è tolta qualsiasi
libertà? Sì, se la parola 'libertà' è intesa nel suo significato biblico;
no, se si tratta della liberta della volontà. Noi esercitiamo questa
(più immediata) libertà nel Jervire, sia al servizio di Dio oppure
.al servizio di Satana e del peccato. Gli uomini nell'Anùco Testa·
mento sono 'servi' di Jahvé (p. es. foJ. 14,7; 24,29; /ud. 2 18;
2 Reg. 17,2 3) ed anche noi siamo chiamati a servire ~al Dio vivo e
vero•: cosl nel primo scritto di san Paolo ( r Thess. 1 19) il quale si
definisce 8o\iÀ.oç (servo) di Dio (Tit. 1,1) e di Cristo (Rom. 1,1;
Pbil. 1, 1) e che contrappone il servizio della giustizia e il servizio
dell'ingiustizia come due modi di esistenza dell'uomo (Rom. 6,15-
2 3 ). Quando però lo stesso Figlio di Dio ci chiama al servizio del
Padre suo, questa dipendenza avrà, ancor più che nell'Antico Te-
stamento, un carattere liberatore: siamo suJJa via verso eia libenà
della gloria dci figli di Dio» (Rom. 8,21). Anzi ora noi siamo già
liberi, perché siamo riscattati e liberati da quell'altra servitù, che
può esser detta a piena ragione schiavitù. Questa altra servitù è
triplice: è una servitù sotto il peccato (Rom. 6,1,·23; 7 1 14-2,; 8 1 2;
Tit. 3,14.33), sotto la legge (Gal. 2,4; 4,3-10; ,,1-3; Rom. 7,3-13;
8,2 s.; cf. Act. 15,10), sotto la morte (Rom. 5,14.17.21; I Cor. 1,,
56). Da tutta la descrizione che ne fa Paolo risulta che questa
dipendenza è schiavitù, mentre la dipendenza da Dio è libertà.
Ciò che si manifesta ancor più fortemente in Giovanni per il
quale la servitù a Dio è ancor più chiaramente un dono di Dio che
noi possiamo avere già in questa vita ( 1 lo. 3 ,2 ). Cristo rimane an-
che qui il Signore dci suoi (lo. 13,13; 15,20) e questi devono
«osservare i suoi comandamenti• (lo. 15,10.14.17), tuttavia essi
non sono «più servi, ma amici» (lo. 15 ,15 ). A motivo della loro·
comunione rnn il Signore i cristiani non posson più esser detti
servi o schiavi. Al contrario, l'unica schiavitù è la schiavitù sotto
il peccato e quindi il servizio rispetto a Dio e a Cristo è l'unica
INCUNAZIONB AL MALP

libertà ( To. 8, 3 1 • J5 ). Secondo queste parole dunque il cuore di-


venta libero solo nel legame a Dio, invece nel peccato rimane as-
servito. La 'libera volontà' raggiunge la 'libertà' solo nel bene; nel
peccato essa è una 'libera volontà' non libera.
Mcdiamc le dichiarazioni già sopra cime (p. 626 ss.) circa la
conservazione dcl liber11111 arbitrium sono tracciati i limiti della
mancanza cli libertà e della schiavirù, in cui ci porta il peccato. Ag-
giungiamo, tuttavia, che così non si toglie nulla della gravità di
questa schiavitù. Essa anzi si manifesta solo ora pienamente e
totalmente. Se infatti l'uomo peccatore avesse perduto mediante
il peccato anche la sua libertà della volontà, allora egli non sa-
rebbe più responsabile e punibile. Il suo stesso peccato costitui-
rebbe allora l'atto delittuoso e la disgrazia di un momento, che
lo priverebbe di una componente della sua natura, ma che nel
contempo lo porrebbe in uno stato di equilibrio, anche se su un
piano inferiore. Il peccatore sarebbe allora un 'uomo' non più
responsabile in avvenire delle azioni che egli pone, nemmeno dcl
peccato che ha commesso, poiché anche rispetto ad esso non po-
trebbe più assumere una condona personale. Più esattamente:
il peccatore non sarebbe più un uomo, bensì un essere infra.
umano, ormai insensibile 11) contrasto tra il suo peccato e il suo
esser uomo. Ma se all'uomo son conservate: la ragione: e la li-
bertà della volontà, allora egli resta responsabile davanti a Dio
e punibile, in prima linea rispetto al giudizio di Dio, poi anche
riguardo alla redenzione divina in Cristo. Ovviamente la Chiesa
sostiene la conservazione dcl liberum arbitrium anche in nome
della redenzione, grazie ad essa infatti l'uomo rimane capace di
accogliere la grazia che lo giustifica gratuitamente (ma si badi be-
ne: non di render giusto se stesso interamente o parzialmente al-
l'infuori della grazia); tuttavia la conservazione del libert1m arbi-
trium, prima ancora di significare un messaggio di salvezza, è
annunzio dcl ~iudizio t!i Dio. Mediante il suo liberum a~bitrium
il peccatore rimane colpevole nella sua libertà; proprio per colpa
sua la sua libertà diventa una vera schiavitù. Fino a tanto che il
peccatore non accetta la grazia con il suo liberum arbitrium e non
si lascia render libero ad opera dello Spirito dcl Signore, egli ri·
CO~SF.CUENZE DEI. PECCATO

mane nella sua scelta peccaminosa, se ne tiene egli stesso prigio-


niero e se ne rende schiavo. Perciò le immagini biologiche di una
ferita o di una malattia sembrano indicare la situazione peccami-
nosa meno esattamente che la schiavitù o la prigionia, perché nelle
ultime rimane inclusa la conservazione del corpo e delle membra.
Ciononostante anche esse devon esser completate, in quanto l'uomo
peccatore si pone liberamente in schiavitù e in prigionia e vi ri-
mane. Con ciò in 6ne è detto, nel contempo, che anche la libertà
di volere che si è conservata, è condizionata in se stessa dalla per-
dita della libertà, per cui anche nei documenti ecclesiastici il libe-
rum arbitrium dell'uomo caduto è esso stesso descritto come non
libero, oscurato, cattivo, ammalato e insipiente (I ndiculus, os 248:
liberum arbitrium ... liberalur, ut de tenebroso lucidum, de pravo
rectum, de languido sanum, de imprudente sit providum) o più
brevemente come indebolito di forza e inclinato (al male) (Triden-
tinum, ns I 52 I: libcrum arbitrium minime exstinctum.. ., viribus
licei attcnuatum et inclinatum ). Infatti finché non è stata ricevuta
la grazia salvifica, il peccatore manca dell'integrazione mediante
l'amore e rimane in bali'.a della sua concupiscenza.

d. Conflitto

Abbiamo detto sopra che l'incapacità di amare, che è la conse-


guenza del peccato, si concretizza nella morale 'chiusa' o del tutto
generalmente in una morale che non vien spinta dall'amore oltre
determinati confini di spazio e di tempo. Ma se si palesa che il pec-
cato causa, ohrc questa incap .. ~ità d'amare, anche una spinta ad al-
tri peccati, a comportamenti non integrati, disordinati, egoistici,
opposti all'amore, allora c'è da aspettarsi che il peccato tenti non
solo di condizionare, bensì anche di intaccare interiormente e di
distruggere questa morale. Esso si manifesta non solo in una pace
limitata, bensì nella guerra 'calda' o 'fredda', in breve, nel con-
flitto. La morale chiusa è descritta da lIENRI BERGSON; il conflitto
generale nessuno l'ha descritto meglio di ]EAN-PAUL SARTRE. Non
è il caso d'approfondire qui ulteriormente la sua filosofia, che è
espressa in cosl numerose opere letterarie e che ha trovato la sua
INCLINAZIONE AL MALE

presentazione sistematica soprattutto ne L'étre et le néanl (in cui


non si possono ancora notare le idee marxiste che sarebbero affio-
rate più tardi in Sartre). 12 Si vuol solo fare una riflessione teologica,
partendo dalla fede cristiana della redenzione. Movendo da questa
fede, la filosofia di Sarue non può essere descritta che come la
rappresentazione del rifiuto dell'amore (mettendo però necessaria-
mente in rilievo che non spetta a noi giudicare delle persone che
aderiscono a questa filosofia: queste infatti valgono più della loro
fil0&0fia e inoltre la fede stessa ci dice che solo Dio giudica la per-
sona). La filosofia di Sartre è l'esatta dcsl·rizione dell'esistenza nel
peccato e proprio di un'esistenza in cui non solo la mancanza di
amore rinchiude la morale in un determinato ambito circoscritto,
bensi, nel contempo, il rifiuto peccaminoso vizia qualsiasi morale.
Il conflitto non dice solo che io sono immobilizzato nella mia
possibilità d'amare; esso significa nel contempo che il prossimo ha
preso un altro significato. Lo stesso vale del resto anche per la
concupiscenza e per la schiavitù. Per l'uomo peccatore il prossimo
e il mondo non mutano nella loro propria sussistenza, bensl relati-
vamente, cioè nel significato che loro dà l'uomo peccatore. «A Jahvé
appartiene la terra con tutta la sua pieneiza» (Pr. 24,1 ): questo
dett9 dei Salmi cita Paolo ( 1 Cor. 10,26) per indicare che neanche
i sacrifici cruenti rendono illecito questo nutrimento per colui che
non riconosce gli idoli. E a proposito della impurità giudaica, egli
afferma: clo so, e ne sono certo nel Signore Gesù, che nulla è im-
puro in se stesso; ma se uno ritiene qualcosa come impuro, per
lui è impuro» (Rom. 14,14). Però mediante la nostra incapacità per
il bene e la nostra inclinazione al male, uomo e cosa possono diven-
tare una tentazione ad un uso disordinato e una provocazione alla
aggressione e all'avversione. Il mondo, che è creatura di Dio, a
causa della nostra concupiscenza stimola al male, precisamente co-
me la legge stessa, che è santa e viene da Dio (Rom. 7,7-13). Sic-
come e in quanto l'uomo nella sua condotta è contraddittorio, il
mondo è ambivalente per lui; siccome l'uomo è diviso in se stesso,

12 J.-P SARTRF., L'Etrt t:I lt' Nf,,111, Paris 7 1943. Cf. R. TaOISFONTAINES, Lt Choix
de J.-P Sartre, Paris 2194,.
CONSEGUENZE DEL PECCATO

il mondo è per lui disgregante. Perciò la conversione, che signi-


fica in prima linea una contrizione del nostro cuore indurito e un
rinvigorirsi secondo l'uomo interiore, dovrà attuarsi spesso in una
rinunzia di valori, in un abbandono, in un 'sacrificio', nel signifi-
cato ascetico dcl termine. L'uomo chiamato da Dio deve, come
Abramo, abbandonare la terra degli idoli costruiti con le proprie
mani, per trovare la terra di Dio e per morire, per amore di Dio,
a. se stesso e al mondo. Il peccato rende la via verso la vita nel
tempo stesso come un morire. E la situa;:ionc-limite della nostra
esistenza terrena, la sofferenza e la morte, saranno in modo speciale
un appello ad uscire da sé e dal proprio mondo.
SEZIONE TERZA

IL PECCATO DEL MONDO

Le due sezioni precedenti si restringevano a considerare il peccato


come si attua nella singola persona. Molto di ciò può venir riferito
anche alle comunità di uomini e all'umanità nel suo insieme, ma solo
nella misura in cui si tiene conto che una comunità non è di per sé
una persona, ma la coesistenza di persone. Ed ora devono venir trat-
tate appunto le questioni riguardo al peccato che derivano da questa
coesistenza. Tanto nella Scrittura quanto nelle dichiarazioni del magi-
stero ecclesiastico appare la solidarietà umana anche nel peccato. Il
magistero ci mette di fronte a quest'argomento nel dogma del peccato
originale. Nella forma tuttavia in cui questo viene annunciato, la soli-
darietà nel peccato è meno in primo piano: di ogni singolo bambino
si afferma un misterioso legame col primo progenitore, senza che i
peccati dei suoi propri genitori e dcl suo ambiente o le grandi deci-
sioni peccaminose nel passato degli uomini vi giochino la loro parte.
Ma se il dogma del peccato originale non dovesse realmente signi-
ficare niente di più, c'è il pericolo che l'uomo moderno sia portato a
spiegare la dottrina del peccato originale senz'altro come mitologia.
Perciò è ragionevole incominciare dapprima con una più ampia con-
siderazione circa il coesistere nel peccato, cosl come la Scrittura ce
lo presenta, e solo in appendice esporre la dottrina ecclesiastica sul
peccato confrontandola con le conclusioni di questa sezione. Per que-
!>to segue prima di tutto uno studio sul tema biblico 'il peccato

del mondo' .

1. li peccato del mondo e i suoi elemc11ti costitutivi

a. La dottrina della Scrittura

«La Scrittura ha rinserrato ogni cosa sotto il peccato» (Gal. 3,22):


ciò risultava già dall'introduzione generale di questo capitolo. Israele
PECCATO DEL MONDO

e i pagani, l'umanità d~ Adamo in qua, il 'mondo', - tutti sono pec-


catori. Il 'noi' e il 'voi', che vengon usati in proposito, hanno un
significato più ampio di un denominatore comune, al quale gli indi-
vidui vengono riportati per semplificazione. E se 'viene usato il sin-
golare, se, per es., tutto Israele viene visto come figlio disobbediente
o come sposa infedele di Jahvé, in tal caso questo mezzo d'espressione
non può venir inteso così come noi oggi forse useremmo, nel senso
cioè di un raggruppamento di individui puramente successivo e secon·
dario. Per Israele la comunità è egualmente primaria come lo sono le
singole persone. D'altra parte i singoli non vengono meno nella co-
munità, ma influenzano il suo destino, come lo dimostrano il rac-
conto di Akan in los. 7 e tutta la storia dci re. 1' Gli uomini perciò
vengono spesso premiati e puniti «con tutta la loro casa», tanto nel
diritto civile quanto dav1:1nti a Jahvé. Non solo i re dete1·minano con
il loro comportamento il de~tino del loro popolo, ma anche e ancor
di più 'i padri' e specialmente il patriarca della famiglia o della tribù.
Del resto spesso non si riesce a distinguere se si parla del capostipite,
del re o del gruppo a lui legato. La persona individuale è quella che
precede le altre, ma anche le altre sono riunite in essa; questo ele-
mento viene chiamato la 'personalità corporativa'. 14
Si pensi a ciò che il profeta OsEA, dal quale deriva l'immagin~
del popolo come di una adultera, dice riguardo ai peccatori di 'Giu-
da', di 'Efraim', di 'Giacobbe' e di 'Israele' (Os. II e 12). La pi\1
forte manifestazione del legame esistente nel male, come anche nd
bene, tra le generazioni che si susseguono, si trova ndle parole di
Jahvé, con cui proibisce l'idolatria ne:! decalogo: «lo, Jahvé, sono il
tuo Dio, un Dio geloso, che punisce la colpa dei padri nei figli fino
nella terza e nella quarta generazione, per qudli che mi odiano, ma
che dimostra il suo favore fino a mille generazioni, per quelli che
mi amano e osservano i miei comandamenti» (Ex. 20,5 s.; Deut.
5,9 s.).
Non solo il popolo di Dio, ma anche i pagani sono colpevoli di
fronte a Dio. Così leggiamo non solo nell'Antico Testamento ma

Il Cf. inolrrc in 4ucsro volum~ .1 Scbarbert, pp. 1185


14 Una visione completa sull'uso <lì questo elcrm.-nro stilistico nei due Testamenr;
la olfrc J. DE FRAINF., AJ<1m et wn lzgnage, Bruit<.,. 1959.
ICLF.t.IE.'"1~OSTIT\l11\'I
64,

anche nel Nuovo: la storia dei peccati di Israele viene ricapitolata


in Mt. 2 3 e soprattutto in Act. ì. ma anche le condanne da parte
di profeti del paganesimo peccatore ven~ono riprese da Paolo in
Rom. 1, anche se per Paolo come per i profeti i peccati dei giudei
sono più malvagi I Rom. 2} e segnano per così dire l'apice della
risposta peccaminosa che l'umanità dà a Dio. Ciò viene esposto so-
prattutto da GIOVANNI quando parla del 'mondo' e del suo peccato.
Il ·mondo' :zoa~ioç, mundusl è in prima linea oggetto dell'amore
di Dio e lo spazio per la venuta di Cristo (Io. I ,9 s.; 3, l 6 s. 2 Cor.
5,19; I Tim. l,15). Già in Paolo però, e accanto a Giovanni anche
in altri scrittori neotestamentari, subentra una risonanza peggiora-
tiva nel concetto de 'il mondo' e soprattutto in 'questo mondo', che
viene contrapposto al 'mondo futuro' lil quale addirittura non viene
chiamato x6crµoç, ma a.lwv 1. «Il peccato è entrato nel mondo»
(Rom. 5,121 e ne ha caratterizzato I'~sistenza attuale: questa figura
paS:Sa ( r Cor. 7, 3 l) e il mondo verrà giudicato (I Cor. Il ,2 l ). Per-
ciò il cristiano deve «conservarsi puro da questo mondo» (Iac. l ,27)
e «l'amicizia del mondo è inimicizia contro Dio» ( l.Jc. 4,4 ). Dio e
mondo hanno norme antagonistiche: riguardo alla tristezza (2 Cor.
7,10), ma sopra~utto riguardo alla sapienza e alla stoltezza (1 Cor.
1,20.27; 3,19}. Perciò «nessuno dei principi di questo mondo ha
0

potuto conosc~a (la Sapienza divina); se l'avessero conosciuta, non


avrebbero crocifisso il Signore della Gloria• ( 1 Cor. 2.81. Il mondo
per Paolo sta in uno stato d'irredenzione impotente e cieco di fronte
a Cristo. In Giovanni esso appare inoltre colpevole e indurito. Dopo
le parole del prologo riguardo all'avvento della Luce nel mondo, segue
immediatamente: «ma il mondo non lo conobbe» (lo. 1,10}. In Gio-
vanni 'il mondo', quando egli lo nomina nel senso peggiorativo, è
carauerizzato non solo dai peccati che precedeuero Cristo, ma soprat-
tutto dal pet-cato di aver rifiutato lui.
'Il mondo' t 'questa generazione' gravata dc:i peccati dal temp<l
dell'assassinio di Abele, la quale con il rifiuto di Gesù colma la mi-
sura dei suoi padri (Mt. 23,29-36; Le. II,47-51). I detti riguardanti
il mondo nel suo significato positivo si trovano ancora nei capitoli
iniziali del quarto Vangelo (per es. Io. 3, 1 6 s. }, ma nel racconto della
passione è izi;. RV\'t"nina h decisione contro Cristo; da allora 'il mon-
PP.C:C:~TO DF.L MONDO

do' sta sotto il giudizio, perché esso non accetta il Figlio e lo odia
(Io. 12,3 r; 15, 1 8 s.; 16,8-II ). A questo 'mondo' Gesi1 non si ma·
nifesta (lo. 14,19-22) per esso nemmeno prega (lo. 17,9) certo non
per mancanza di amore ma perché questo mondo non è aperto a
ricevere questa rivelazione, questa preghiera (cf. 1 Io. 5 .1 6 ), «per-
ché tutto quello che è nel mondo: la concupiscenza della carne, la
concupiscenza degli occhi e la superbia della vita, non viene dal Pa-
dre, ma dal mondo». ( r Io. 2,16 ). «Tutto il mondo si trova nel
male» o «dipende dal maligno» ( r Io. 5, 19 h Nel Nuovo Testamento
si trova una preferenza per l'uso del termine a11i:xp-.l1X al singolare
'Il peccato' è padrone nel mondo, cosl dice Paolo (Rom. 5, q ); Gio-
vanni parla perciò de «il peccato del mondo» (I o. 1,29 ).

b. Le azioni e il loro elemento di congiunzione

Questa considerazione collettiva del popolo di Dio e dell'umanità


non esclude che compaia nella Bibbia anche la responsabilità pro-
pria delle persone individuali. Così all'inizio dell'esilio i due grandi
profeti, GEREMIA ed EzEClllELE, fanno sentire in nome di Jahvé
la loro veemente protesta contro quel proverbio che può valere come
la traduzione popolare del principio, secondo cui Dio punisce i pec·
cati degli antenati fino nelle generazioni seguenti: «I padri mangia·
rono l'agresto e i denti dei figli ne rimasero allegati». Geremia. im-
mediatamente prima delle sue parole riguardo alla 'nuova Alleanza',
afferma circa il tempo messianico: «In quei giorni non si dirà più:
- I padri mangiarono l'agresto e i denti dei figli ne rimasero ~.tlc­
gati - Perché certamente, ognuno morirà per sua iniquità; a ogni
uomo che mangia l'agresto, si allegheranno i denti» (I er. 3 1,29 s. I.
Ancor più netta suona la protesta di EZECHIELE: «Per la mia
vita - oracolo del Signore Jahvé - , per voi non varrà pit1 una
simile massima in Israele. Ecco la vita di tutti mi appartiene: la vit:1
del padre come la vita del figlio mi appartiene; la persona che pecca,
essa morirà» (Ezech. 18,3 s.; nel seguito di questo capitolo il prin-
cipio della responsabilità personale viene poi illustrato con esempi).
Tuttavia questa prospettiva sulla responsabilità della persona in·
dividuale è solamente un aspetto del rapporto dell'uomo con Dio.
ELEMENTI COSTl"fU'l'lVI

L'altro aspetto è la solidarietà, descritta sopra. Questa sussiste sem·


plicemente accanto alla responsabilità indiviJuale; così appare in
tutti gli scritti del tempo di GEREMIA ed EzECHlllLE e negli scritti
posteriori, anzi nei libri stessi di questi profeti (vedi, p<.:r es. Ie1·.
3,25; 11,10; 14,20; 16,17; 32,18; Lam. 5,7; Is. 65,62 s.; Ezech.
2,3; 16,20; 23). Nel Nuovo Testamento non va diversamente. Il
fatto che Dio ricompensi ciascuno secondo le sue opere viene qui
espresso, per quanto possibile, ancor più chiaramente (Ml. 16,27;
Io. 5,29; Rom. 2,6; 14,12; r Cor. 5,rn; 11,15; Gal. 6,5; Eph. 6,8;
I Petr. l,17; Apoc. 20,12 s.; 22,12).

D'altra parte appare il tema del dominio 'del peccato' nel 'mon-
do'. Paolo all'inizio della sua lettera ai Romani attesta ampiamente
che Dio, senza considerazione di pt:rsone, ai giudei come ai gre-
ci, a ciascuno darà, secondo le sue opere, vira eterna o ira. tri-
bolazione o gloria (Rom. 2,6-u ), ma poi quando viene a parlare J;
Adamo, mostra come «per la disobbedienza di uno solo, tutti sono
stati resi peccatori,. (Rom. 5,19). Queste due linee corrono una ac-
canto all'altra in tutta la Scrittura. Ciò rende almeno probabile che
anche la solidarietà sia qualcosa di più della somma dei peccati indi-
viduali, senza alcun nesso interno. D'altra parte però essa non viene
costituita dal fatto che la colpa di uno passa semplicemente nell'al-
tro; ciò sarebbe contro il principio della responsabilità personale.
Deve quindi esistere al di fuori dei peccati delle singole persone un
elemento di congiunzione per cui i peccati di uno siano collegati con
quelli dell'altro, i peccati del padre con quelli dei suoi figli.
Questo elemento di congiunzione può essere la punizione, cioè le
conseguenze che da se stesse seguono ai peccati. Si deve però esclu-
derne il comportamento peccaminoso stesso, che per il peccatore è
il maggior castigo, poiché esso è ugualmente non trasferibile come
l'azione stessa. Ma l'isolamento, la costatazione di trovarsi dalla par-
te opposta di quelli contro cui si è peccato, la rovina della salute
spirituale e fisica, l'insicurezza e l'angoscia, tutto ciò può passare dal
peccatore ad altri che a lui sono stati affidati o che a lui sono legati.
Così il popolo di Dio diviso in due regni sopporta la punizione per
la politica di Salomone. Così pure esiste il proverbio: «I figli adul-
terini non giungeranno a maturità, la discendenza di un'unione ille-
PECCATO DEL MONDO

gittima scomparirà» (Sap. 3,16). Tuttayia troviamo nella Scrittura


una solidarietà, che non solo sta nella punizione, bensì anche nel
fatto che i figli vanno dietro ai peccati <lei pa<lri, «tornano all'ini-
quità dei loro padri» (I 11r. 1 1, 1 o) «colmano la misura <lei loro pa-
dri» (Mt. 23,32). Anche 4ui si Jcvc nuovamente osservare che nes-
suno pu(i indurre senz'altro un altro uomo a peccare, nemmeno i
padri i loro figli. La persona an7.i non può venir costretta ad azioni
responsabili che nascano dallél sua libertà, per nes1;un influsso cstcr·
no, nemmeno ad opera di un'altra persona. La nostra corporeità è,
in verità, esposta all'influsso di un'azione causale esterna, ma nella
nostra libertà noi non siamo sottomessi a un influsso nel·essitante.
· Pen:iò esiste un modo di influenzare la libertà di uno attraverso
quella di un altro: dall'azione libera di uno parte un appello, al
quale può venir data risposta dall'azione libera di un altro. Questo
appello pu(i farsi valere immediatamente in b11se alle capacità cono·
scitive dell'altro; esso tuttavia può produrre effetti anche a distanza
nel tempo e nello spazio: il peccato d'oggi può trascinare altri con
la t<.'11ta7.ionc non solo nel momento stesso in cui avviene, bensl
anche più tardi: così è per i discendenti, che si comportano come
i loro padri, che in conseguenza dci peccati dei loro padri non hanno
più una migliore conoscenza.

c. Situazione ed essere-situato

Ogni influenza, che da una libera persona si esercita su un'altra,


appunto perché si tratta di una persona libera, in considerazione di
questa libertà, anzi con richiamo a questa libertà, cade sotto il con-
cetto di situazione. La mia azione libera porta l'altro sempre in una
situazione che incita al bene o al male, che gli dà un appoggio o
glielo fa perdere, che gli mette davanti valori e norme o che lo
priva di essi. Questa situazione determina la sua libertà non in
quanto che egli debba compiere una determinata a?.ione buona o
cattiva, bensì in quanto egli è costretto a dare una risposta al bene
o al male, o anche ad evitare una risposta, ma sempre in forza di
una decisione libera personale. Dalla mia lihera azione dunque non
viene prodotta o causata la reuione dell'altro, bensì la situazione
!::LEMENTI COSTITUTIVI

alla quale egli deve reagire decidendo liberamente. L'altro dunque


ad opera mia entra in una determinata situazione (come del resto
ad opera di mille altri, anche per l'azione di cause non libere).
La situazione è l'elemento d'unione di una libera decisione con
un'altra, cosicché la storia può esser definita come l'alternarsi di
decisioni e di situazioni. Accanto alle azioni peccaminose, dunque, ciò
troviamo, come seconda parte costitutiva del mondo, la situazione
peccaminosa che proviene dal peccato e induce al peccato, ben-
e.bé essa a motivo della libertà dell'altro possa aver come risposta
!a decisione per il bene.
Situazione è un complesso di circostanze in cui quakuno o qual-
che realtà si vedon inseriti in un determinato momento. La situa-
zione sta o giace 'attorno' a una determinata persona, essa appar-
tiene al suo 'ambiente'. Non viene contestafo il fatto che ciò fin dal
primo momento racchiude in sé, simultaneamente, un ruolo signi-
ficativo e formativo della persona stessa. Qui però bisogna metter
in rilievo che la situazione sta in prima linea al di fuori della per-
sona, e la tocca dal di fuori. Con questa considerazione continuiamo,
dunque, la nostra riflessione ed esaminiamo ora più da vicino come
la situazione determini interiormente l'individuo. Qui non si tratta
della situazione, ma «dell'essere-situato» della persona, che secondo
i! linguaggio scolastico porrebbe essere detto la sua situatio passive
sumpta.
Non un legame tra i peccati personali, che si trova al di fuor:
dell'uomo (e in quanto sta al di fuori dell'uomo), è da ultimo di
importan1.a quale parte costitutiva del peccato del mondo, ma l'es-
sere-determinato di questo stesso uomo. Il peccato dcl mondo, ma
anche la peccaminosità storica di una determinata comunità fami-
liare o culturale - si pensi per esempio all'antisemitismo, al colo-
nialismo - è una realtà nell'uomo stesso. In alcuni essa diventa
autodecisione peccaminosa: un'azione è soprattutto una condotta,
che si è assunta personalmente; in altri essa è l'essere-situato, l'es-
sere-determinato nello spazio d'azione della propria libertà tramite
i peccati dei primi. Quest'essere-situato peccaminoso è dunque ciò
che deve essere aggiun:o ai peccati personali, perché si possa a ra-
gione parlare del peccato di una comunità, del peccato del mondo.
P!CCATll UP.L MllNI><

Fu già mostrato sopra come un simile essere situato non faccia


venir meno la libertà stessa.

2. Le azioni che appartengono al peccalo del mondo

a. La dottrina della Scrittura

Fu già accennato che, almeno dalla venuta di Cristo in poi, i pec-


cati sono un rifiuto di Cristo, anche se in modo implicito. Tuttavia
un simile carattere implicito anticristiano può venir già attribuito
ai peccati, che accaddero nell'umanità prima della sua venuta, sulla
via che portava a lui.
Che i peccati precedenti hanno raggiunto il loro culmine nel ri-
fiuto di Cristo viene fatto capire nell'invettiva di Gesù contro i fa-
risei, in cui il detto «voi avete colmato la misura dei vostri padri»
si riferisce all'incredulità che li porta a rifiutare i «profeti, i sapienti
e gli scribi» mandati da Gesù e in essi lui stesso (Mt 23,32-34). Nel
discorso di Stefano viene espressamente collegata l'uccisione dei pro-
feti e l'uccisione di Gesù. «Quale dei profeti non hanno persegui-
tato i vostri padri? E uccisero quelli che preannunciavano la ve-
nuta del Giusto, del quale voi ora vi siete fatti traditori e uccisori:.
(Act. 7 ,52 ). Fu già accennato che se.condo Giovanni «i giudei• e
tutta l'umanità diventano nella stessa misura 'mondo', nel signi-
ficato nefasto del termine, in cui si attua il rifiuto di Cristo per la
incredulità. Gli uomini hanno tradito la luce, anzi l'hanno rifiu-
tata, poiché le loro malvage opere precedenti non potevano soppor-
tare questa luce (lo. 3,19 s.). Da tutto ciò risulta chiaro che il ri-
getto di Cristo, che si concretò nella sua crocefissione, segnò il cul-
mine nella storia dei peccati precedenti e un punto centrale in tutta
la storia dei peccati. ROMANO GUARDINI ha ragione quando chiama
questa realtà eia seconda caduta» 15 forse tuttavia meno colla parola
«seconda» che con la denominazione di «caduta-. In ogni caso in
seguito ai testi or ora citati può venir descritta una storia delle
azioni e delle condotte peccaminose, il cui vertice costituisce il ri-
fiuto di Cristo.
IS R. Gt•Allm>ll. Il Sig•mre. Milano Srqt;.f, pp. 122,126 e pauim.
SUI! AZIONI

In Mt. 2 3 Gesù sta di fronte all'indurimento, all'civoµCCl de-


gli scribi e dci farisei, e questo atteggiamento è il motivo più
profondo per la sua morte in croce (poco importa, quanto possa
essere stata grande la responsabilità giuridica di questi pari i ti; essa
sembra stare più dalla parte dei Sadducci ). Il precedente rifiuto dei
profeti trova il coronamento nel rigetto dcl messia, come Stefano
lo fa capire ancor più chiaramente. Ma non solo il sangue dei pro-
feti scend.:rà su «questa generazione», ma anche «tutto il sangue
giusto versato sopra la terra, dal sangue dcl giusto Abele fino al
sangue di Zaccaria, fip;lio di Barachia, che voi avete ucciso tra il
tempio e l'altare» (Mt. 23,.~5).
Dunque non solo il peccato contro i messi di Dio, ma anche il
peccato contro il prossimo (anche se questo peccato ha in ambedue
i casi un certo carattere di sacrilegio) prepara l'uccisione del Figlio
di Dio. Del resto Paolo in Rom. 1 nota che tutti i peccati contro
il prossimo derivano dal rifiuto di dare a Dio il dovuto onore.
Perciò tanto questi peccati contro il prossimo qwmto quelli spe-
cificamente religiosi, l'idolatria e il rifiuro dei profeti. possono venir
considerati come la via che sale sempre più verso l'uccisione di
\.risto - meglio si parlerebbe di una discesa. di una caduta. Se la
~roria umana si considera nel suo complesso, questi peccati diven-
tano sempre più visibili. Come nella vita di ogni singola persona.
cosl pure nella vita di tutta l'umanità la decisione per il bene o per
il male acquista una forma sempre più chiara. Là dove l'umanità
inizia ad orp;ani12are la sua esistenza e ad esprimersi in una cultura
(soprattutto dal tempo del grande rivolgimento nella storia della
umanità quale lo presenta l'inizio dell'era neolitica l. compaiono an-
che i peccati contro la comunità umana e contro la religiosità. So-
pra1tu110 le !!randi culcure a!!ricole con la loro organizzazione poli-
1 ica e sociale presentano m:llu stesso tempo guerra. latrocini. sfrut-
tamento dei vinti, schiavitù, oppressione: delle classi inferiori; ac-
canto a ciò esse mostrane, insieme con una religione organizzata,
11nche forme di idolatria.
PECCATO Dl!L MONDO

b. Storia universale di. perdizione

Certamente Dio vuole la sal~ezza di tutti gli uomini; muovendo da


questa coscienza cristiana possiamo vedere nelle religioni pagane
anche una ascesa verso Cristo e con ciò anche un inizio di fede nella
presenza salvifica di Dio. 16 Noi possiamo scorgerli probabilmente
anche nella venerazione delle immagini; dal Nuovo Testamento de-
sumiamo che l'aspra condan~a del culto delle immagini per oper~
dei profeti dell'Antico Testamento non debba avere necessariamen-
te un valore definitivo. Ciononostante anche questa condanna pro-
fetica è vera. La religiosità del paganesimo è un dialogo confuso
dell'uomo con la divinità che vuole essere la nostra salvezza. L'ap-
pello misericordioso di Dio all'uomo risuona nella risposta credente,
grata e umile di questo; ma, nello st~sso tempo, l'uomo cede alfa
eterna tentazione: «Voi diventerete come Dio», e cerca di disporre
magicamente e idolatricamente dei doni di Dio, e cosl di disporre in-
fine di Dio stesso. Quest'ultimo fatto trova la sua conseguenza nel
politeismo e nel panteismo di culture più speculative. Anche se in
Israele Dio porta questo dialogo alla chiarezza, non per questo verrà
meno la risposta peccaminosa dell'uomo; essa, all'opposto, mostrerà
anzi ancor più chiaramente il suo carattere d'opposizione.
Da una pane vediamo attuarsi nell'Antico Testamento il grande
miracolo storico di un monoteismo che viene confessato senza com·
promessi da un popolo, che rimane esposto ad ogni seduzione del
paganesimo circostante. Dio si mostra e viene riconosciuto come il
Dio trascende_nte, santo, vivo e che si dona, e l'uomo sta di fronte
a lui in adorazione, responsabilità, fede e fiducia, e anche amore.
Ma, d'altra parte, non è scomf>arsa con ciò la risposta peccami-
nosa, né dall'antico Israele con le sue inclinazioni paganeggianti, né
dal giudaismo più recente, purificato. In lsraele i profeti lottarono
continuamente contro il culto degli dei srranieri, specialmente ca-
nanei, ma anche contro un culto di Jahvé, che viene messo al posto
degli obblighi verso il prossimo ( ls. 1) o che diventa un titolo al

•• Cf A. DARLAP, M)·5terium S11/111is 1/r. Brescia lr96c). STOF.CKLf.• M)•sft>rium S11-


/1o1ir. 11/2.p. I\' e !<O(>fllllUHO la Costitm:im1r sun11 Cl>i~•fl. n. r6. <lf-1 VRticano 11
L'F.SSEIE SITUATO

quale ci si possa richiamare, in modo da credere di potersi sentire


·sicuri già solamente in nome del tempio (ler. 7). E il giudaismo più
recente vede la stessa auto-assicurazione e auto-giustificazione nel
rapporto materializzato con Dio del fariseismo (pur con tutta la se-
rietà morale e religiosa, che esso ha messo in atto), rapporto che
cosi chiaramente risalta di fronte alla spiritualità, credente e ane-
lante alla salvezza, dei «poveri di Jahvé». La sua fede ha conce-
pito in Maria il Figlio di Dio, ma l'auto-giusti6cazione lo ha rifiu-
tato e crocifisso. Cosl il peccato del mondo mostra, nel paganesimo,
il volto di un'idolatria usurpatrice; nel popolo eletto, il volto del
rifiuto della salvezza di Dio attraverso i profeti. che da ultimo si
compie nel rifiuto di Cristo stesso. A ciò si aggiunge ancora che
vien rifiutata una grazia di Dio sempre maggiore: dapprima la sua
presenza ancor poco espressa, conosciuta soprattutto grazie ai bene-
fici della creazione: «piogge e stagioni fruttifere colmando di ci-
bo e di letizia ... » (Act. 14,17), poi la grazia della sua Parola auto-
rivelantesi e costruttrice della storia nell'Antico Testamento, infine
la grazia della Parola eterna incarnatasi. La ripulsa della grazia è
diventata rifiuto del mediatore e della fonte della grazia. E tale
ripulsa fu così aspra che si concretò in un terribile delitto: il media-
tore, la fonte della grazia divina, fu bandito dalla nostra convivenza
umana sulla terra; egli fu ucciso. ciò che significa la più totale e
definitiva ripulsa ed esclusione, che noi possiamo fare verso qual-
cuno. Perciò noi tutti siamo stati privati di grazia, in un modo,
èal nostro punto di vista, totale e definitivo, il che fu superato
solamente con una grazia ancor maggiore di Dio nella risurrezione
di Cristo.

J. L'essere-situato attrave~so le azioni peccaminose

a. Essere-situato esistentivo ( existentiel)


ed esistenziale ( existential)

Il peccato s'incarna in una determinata forma del male morale, e


già secondo questo aspetto più esteriore esso può restringere lo spa-
zio d'azione della nostra libertà per mezzo di un oscuramento delle
PECCATO Dl!.L MONDO

norme e dei valori. Ciò accade già tramite ogni cattivo esempio,
che ci impedisce una testimonianza dì vita per il bene e si sosti-
tuisce ad esso, ma che nel medesimo tempo è anche un appello al
male e perciò un'occasione alla caduta, una 'pietra d'inciampo' uno
11Xciv811À.o'll. L'appello al male diventa più forre nella misura in cui
esso è accoppiato con la pressione sociale. L'oscuramento delle nor-
me e dei valori diventa tanto più esiziale, quanto più uno è co-
stretto ad aflid11rsi alla testimonianza dell'ahro. ci11è 4u11nio piì•
ognuno abbisogna di educazione morale.
Per un bambino, che nei suoi genitori non hil visto altro che ii
furto, sarà veramente difficile non rubare. Si può anche arrivare
addiriuura fino al punto, che al bambino non sia accessibile fin dalla
sua infanzia il valore della lcahà, in quanto, cioè, nc:ll'ambienie in
cui il bambino inizia la sua esistenza, manca assolitltJmenle 4uesw
, alore. Questa uhima situazione non la cara11erizzi11mo mmc situa-
zione esistentiva (existentiel), cioè essa non è una situazione, che
troviamo nella nostra esistenza e alla quale noi stessi diamo signi-
ficato, ma la chiamiamo situazione esistenziale (existentUd), cioè
una situazione che precede il nostro esistere e lo tiene circoscritto.
Esaminiamo ciò che l'essere-situato attraverso una simile situazione
esistenziale significhi per la nostra libertà.
Se il caso citato per uhimo è reale, il h11mbino non può ttiunjlerc
alla leahà, e questo non-potere è qui inreso in senso 11ssoluro. An-
cora una volta sia messo in rilievo che con ciò la libertà non cessa
per nulla di esistere, poiché solo un settore determinato è tolto al
suo raggio d'azione ed è precluso ad essa. Non risuha diffidle aff~­
mare qualcosa di analogo circa il nostro potere di rnnoSt·c:re. Que-
sto è sempre presente nell'uomo e rimane sempre aperto 11d ogni
realtà (•anima est quodammodo omnia»). D'altr11 p11rtc peri> non
ci si può formare in nessun modo un concerro di u1111 n:altà che
non abbiamo visto o di cui non abbiamo !ot'.J1tiro parlar.:. in breve,
di una realtà \.'he non sia stata desunta dal mondo, 1rami1t: i nostri
organi sensoriali: chi in qualche modo non ha m11i il\'Ulll notizia
degli orsi bi.. nchi. non può formarsi alcun rnncerm di ~..,.,~i; l·ii1 tul-
tavia non si~nifica che in tal modo gli venga neg.ua la \.'ilp1ll'1tà di
conoscenz11. I.o stt>sso valt" per la nosrra lihcra volontà. Pure per
L'ESSERE SITUATO

suo tramite la nostra persona è aperta ad ogni realtà, per abbrac-


ciarla nell'amore e per darle forma (anche riguardo alla volontà
l'intimo della nostra persona è quodammodo omnia). Ma anche qui
vale di nuovo il fatto che la volontà ratifica come valore soltanto
ciò che le vien presentato, tanto per mezzo della facoltà conoscitiva
come anche per mezzo delle inclinazioni spontanee delle nostre ten·
denze corporali e spirituali (o meglio di tutto l'uomo). Se un valore
non viene presentato in tal modo, la volontà non lo può attuare o
abbracciare.
Chi dovesse supporre che la libertà non venga qui presa sul se-
rio, deve lui dapprima chiedersi se abbia esaminato realmente in
tutta la sua serietà, l' «essere-in-carne-ed-ossa-nel-mondo» della no-
stra persona, soprattutto ciò che riguarda l'essere-situato della no-
stra libertà. Questo può appunto escludere radicalmente in casu un
preciso settore di valori e rendere impossibile alla libenà di attuarsi
in tal campo di valori. Assolutamente impossibile, non solo pratica-
mente, come lo è con la nostra facoltà conoscitiva nell'esempio pri-
ma descritto. In consonanza con la terminologia che già fu usata a
proposito delle conseguem.c del peccato per l'individuo, si potrebbe
ora chiamare questa impossibilità assoluta ad attuare un valore, una
impotenza morale (moralis impotenlia), dove il termine 'morale'
a sua volta non avrebbe il significato di 'approssimativo', ma di:
situato nell'ordine etico, causato da fattori etici, con conseguenze
nell'ordine morale (sebbene, in questo caso, senu una colpa morale
propria).

b. L'essere-situato per il rifiuto di una mediazione di grazia

L'aspetto corporale del peccato, quale si manifesta all'esterno, è la


trasgressione contro un determinato valore e una determinata virtù.
Ma la sua anima, il suo nucleo più profondo è l'offesa contro l'in-
tera realtà di Dio e del mondo, e contro l'amore (sia naturale si11
soprannaturale). Quest'ultimo aspetto lo si deve trovare anche nella
situazione peccaminosa. L'umanità è una comunità da educare e da
condurre non solo verso forme determinate di eticità, ma anche ver·
so il più profondo essere umano nell'amore.
PECCATO DEL MONDO

I rapporti soprannaturali non sono esclusi da questo contesto.


Anche nella comunione Ji grazia con Dio l'uomo ha verso il suo pros-
simo un ruolo <l'intermediario strutturato in un modo o nell'altro.
La teologia classica deve ammetterlo per Adamo, se non vuole spie-
gare l'influsso di questi su di noi per la salvezza o per la perdizione
semplicemente con un decreto esteriore di Dio (il che significhe-
rebbe che essa lascia inspiegato questo influsso). La fede c'insegna
la mediazione di Cristo, ed è del tutto conforme al pensiero catto-
lico vedere una partecipazione a quest'opera di mediazione nei mi-
nisteri, ma anche nei carismi e nell'intercessione entro la Chiesa di
'Cristo, anzi perfino in Israele e nell'umanità, che si trova in cam-
mino verso questa Chiesa. Per questo aspetto dev'esser preso sul
serio ciò che san Paolo dice di Abramo quale nostro padre nella
fede (Gal. 3,7; Rom. 4,12) e ciò che Giovanni dice sulla fede di tut-
ti grazie alla testimonianza del Battista (Io. I ,7 ). Del resto, tanto la
fede di Maria quanto la incredulità, che rifiutò Gesù, hanno dato
alla nostra salvezza una precisa forma. Non è d'importanza alcuna
il come la mediazione debba rappresentarsi nel suo rapporto con
la grazia soprannaturale, se essa sia strumentale o semplicemente
condizionale. Due fatti sono sufficienti: prima di tutto che ogni con-
tatto, attraverso il quale una persona comunica il suo interiore a
un'altra, è nello stesso momento, espressamente o no, una testi-
monianza per il suo rapporto con la grazia; poi, che in forza del
nostro proprio essere uomini, come anche soprattutto in forza
dell'essere uomo del Verbo cli Dio, non c'è concessione della gra·
zia di Dio nella quale non abbiano un ruolo simultaneamente il mon-
do e il prossimo. Questi fatti mostrano che la grazia di Dio si col-
l~ga sempre con una mediazione umana.
Ne segue che anche il rifiuto di questa grazia, che è il peccato,
esercita sul prossimo un influsso di privazione della grazia e lo por-
ta in una situazione in cui egli viene a mancare della grazia divina,
che gli dovrebbe pervenire attraverso un altro uomo.
Questo può accadere su tutti i piani che noi abbiamo or ora de-
scritto. Così sarebbe possibile anche una situazione priva di grazia,
la quale sia esistenziale (existentia/) e preceda tutte le nostre libere
decisioni e le comprenda. Questa situazione è tanto reale quanto
L'ESSERE SITUATO

quella che è creata dall'assenza di certi valori o norme morali. Pro-


babilmente qui si penserà al peccato originale di cui ogni uomo
è affetto in seguito al peccato di Adamo. Di questo dogma qui non
si è ancora trattato. Ma anche dalla storia, or ora descritta, del pec-
cato del mondo compare in primo piano un fatto che è causa di
una simile situazione esistenziale di mancanza di grazia: si tratta del
rifiuto di Cristo stesso.
Poiché questo rifiuto si è concretato nella sua uccisione, per ope-
ra nostra gli è stato rifiutato l'accesso a tutta la realtà della nostra
esistenza terrena. Dal nostro punto di vista, egli è definitivamente
escluso da essa. Ora siccome Cristo è il mediatore e la fonte di ogni
grazia, partendo da noi questo mondo è diventato definitivamente
privo di grazia.
Così si può comprendere come per Giovanni, il quale era tanto
convinto del fatto che Egli era la luce che illumina tutti gli uomini,
il pane per la vita del mondo, la via, la verità e la vita, anche la
dannazione sia illimitata nello stesso modo del mondo. Nessun con-
cetto di minor ampiezza, ma solo quello del 'mondo' stesso è in
grado per lui di circoscrivere lo spazio della perdizione. Il 'mondo'
è ora assolutamente privo di grazia: il mondo giace nel male, il
mondo non può (più) ricevere la rivelazione di Cristo, poiché egli
è stato rigettato fuori dal mondo.
Ciò implica dunque il fatto che d'ora in poi, l'uomo che inizia
la sua esistenza nel mondo, già antecedentemente ad ogni decisione
propria, si trovi in un ambito privo di grazia. La mancanza di gra-
zia è diventata una situazione esistenziale (existe11tia/). Ciò implica
ulteriormente che essa dal momento dcl rifiuto di Cristo è diven-
tata anche una situazione generale valida per ognuno e per ognuno
inevitabile. Fintanto che il peccato, per quanto profondamente ed
espressamente avesse rifiutato anche la grazia, non aveva ancora
escluso la fonte della grazia stessa dalla nostra esistenza terrena,
poteva esserci entro il mondo ancora una fonte di restaurazione,
poteva venir tolta la situazione di mancanza di grazia mediante una
offerta di grazia attuata all'interno di questo mondo. Con l'ucci-
sione di Cristo ciò è escluso per sempre. Da parte dell'umanità il
rifiuto è definitivo.
PECCATO DEL MONDO

Solo chi prende sul serio in tal modo il peccato del rifiuto di
Cristo può giudicare tutta la sovrabbondanza delle offerte di grazia
da parte cli Dio, che appunto attraverso la morte stessa di Cristo e
la sua risurrezione ci ha redento da questa situazione. A Dio nulla
è impossibile. Il Padre volle darci ancora il proprio Figlio, anche
quando noi lo uccidevamo, e il Figlio è rimasto fedele all'ordine del
Padre e a noi. Per questo il Padre, e con lui il Figlio stesso, fecero
di questa morte un passaggio a una «vita per Dio» (Rom. 6,10),
che è presente per noi, in un modo più elevato. Il Cristo glorificato
ci è ora vicino come redentore con il suo spirito al di là del con-
fine della morte.
Paolo ha visto la conseguenza che da ciò derivava: il battesimo
per entrare in comunione con il Signore significa ora un uscire dal
mondo peccatore, un passare con lui, attraverso la morte, per cam-
minare d'ora in poi nella novità della sua vita di risorto (Rom. 6,3.
11 ); è un morire insieme con lui e perciò anche un risorgere in-
sieme con lui (Col. 3,1).
L'intera creazione si può dunque ritrovare in Dio solo nella mi-
sura in cui noi attraverso la partecipazione alla morte in croce di
Cristo diventiamo partecipi della sua resurrezione. Come Abramo
dovette abbandonare il paese degli idoli, cosl il cristiano deve mo-
rire al mondo nella sua totalità; la sua terra promessa sta nel cielo
nuovo e sulla nuova terra. Per quanto egli sia già ora partecipe alla
costruzione di questo nuovo mondo, tuttavia la figura del mondo
d'oggi è ancor passeggera, il tempo è accorciato e i valori attuali
non sono valori definitivi ( 1 Cor. 7.29-31). La morte dal momenw
della morte di Cristo mette in risalto piuttosto ciò che rende la no-
stra esistenzl\ terrena un'inanità; la morte ci rapisce non solo il
senso del nostro lavoro (come viene espresso nel libro dei Proverbi),
ma essa ci ha anche rapito colui nel quale l'uomo e il suo prossimo
potevano incontrarsi nell'amore e nel quale il mondo così «sussiste»
(Col. l,17). La morte è diventata inoltre la grande separazione;
la dipartita biologica dal mondo dei viventi in nessun modo viene
piL1 superata ora con una continua ascesa al «Dio tutto in tutti»
( / Cor. 15 1 28), ma, all'opposto, viene inasprita perché noi ci at-
L'ESSERE SITUATO

tacchiamo fortemente a questa esistenza terrena e perché la terra


stessa non lascia più libera la visione verso Dio.
Ma come ogni partenza dalla patria e dalla casa, quand'cs~a ri-
sulti dalla chiamata di Dio, è una via verso una terra promessa,
cosl pure la morte nella conformità con Cristo è l'unica via neces.
saria per arrivare alla vita in modo tale che essa è attuata fin dal-
l'inizio, a quella nascita che è il battesimo. Il peccato dcl mondo,
che raggiunge la sua pienezza nell'uccisione di Cristo, ha creato
tra noi e lui, che è la nostra vita, l'abisso della morte.
SEZIONE QUARTA

IL PECCATO ORIGINALE

Le riflessioni sul peccato del mondo nella sezione precedente hanno


spesso richiamato il pensiero al dogma del peccato originale. La
dottrina del peccato originale infatti è un tema affine, e le due trat-
tazioni probabilmente si integreranno a vicenda, forse perfino ver-
ranno a coincidere. Per svolgere questa ricerca segue qui dapprima
un'esposizione della dottrina della Chiesa sul peccato originale, co-
me si è sviluppata autonomamente. Solo dopo si potrà investigare
quale sia la relazione tra peccato originale e peccato del mondo.
Con l'espressione «peccato originale» intendiamo la situazione di
peccato dalla quale l'uomo è affetto fin dalla sua origine. Più pre-
cisamente si indica questo stato come peccato originale passivo
(peccatum originale originatum ), in contrapposizione al peccato ori-
ginale attivo (peccatum originale originans), cioè al fatto il quale
fa sì che ogni uomo venga al mondo con il peccato originale pas-
sivo. Questo fatto può però più chiaramente essere reso con la
espressione «la caduta».

I.Il peccato originale


è contenuto implicitamente nella Scrittura

Per secoli la teologia si è richiamata, a proposito della sua dottrina


sul peccato originale, ad alcune pericopi della Bibbia, riferentisi ad
'Adamo' cioè a Gen. 2 e 3 e soprattutto a Rom. 5,12-19; a pro-
posito di quest'ultimo passo, anche dei concili hanno asserito che
esso tratta del peccato originale. La Chiesa però non ha mai dichia-
rato che unicam~nte questi testi c'insegnano il peccato originale,
e nemmeno che essi ci insegnano solamente il peccato originale.
Perciò s'indicherà brevemente a riguardo di questi testi che cosa
essi accennino e che cosa lascino aperto in riferimento al dogma
662 PF.CCAT•1 ORICINAl.f

del peccato originale. Anche alcuni a~tri testi cadono a proposito


nel discorso, poiché essi, similmente a Rom. 5, si riferiscono al
racconto della caduta di Gen. 3.

a. Antico Testamento

Gen. 3 pu(> valere come sintesi di tutto ciò che nelle precedenti
riflessioni è stato raccolto dalla Scrittura circa la natura del pec-
cato. Quantunque vi si parli anche di un comandamento, di una
legge e perfino di una sanzione - motivo per cui Paolo parla di una
«trasgressione» di Adamo (Rom. 5,14) - tuttavia il peccato vi è
inteso in prima linea come un allontanamento personale da Dio.
Esso comincia con l'abbandono della fiducia in Dio e prosegue non
'olo come disobbedienza, ma anche come tentau"vo <li impasse:.·
~.arsi con la propria forza di ciò che è riservato a Dio e di farsi simili
a lui. Gli uomini distruggono la rdazione personale rnn il loro mag-
giore benefattore e perciò non è da meravigliarsi se questi diventa
subito per essi straniero e terribile. Qui si trova descritto in un
1·acconto popolare il momento più profondo di ogni peccato e del
peccato di ogni singolo.
È quest'ultimo anche l'intento del compositore o intende rife-
rirsi a persone determinate? r peccatori qui nominati sono: colui
che in ebraico viene chiamato ha' adam, e «la sua donna», la yuale
solo dopo il peccato riceve il nome Eva (Gen. 3,20: 'awwa' = vita).
Si tratta qui 'dell'uomo' o di una persona concreta di nome Adamo?
Le antiche traduzioni parlano di 'Adamo'. L'esegesi attuale al ri-
guardo è della opinione c~e ha' adam - con )'articolo quindi -
non sia un nome proprio e che in tutta la narrazione di Gen. 2 e 3
si debba sempre leggere l'articolo davanti ad adam. Ecco perché le
traduzioni più recenti interpretano il personaggio principale unani-
memente con 'l'uomo'. Ci troviamo qui di fronte alla figura lette-
raria della 'personalità corporativa'. Il personaggio principale rap-
presenta l'intero genere umano, viene però descritto contempora-
neamente come il capostipite dell'umanità, poiché prima di lui «non
vi era akun uomo» (Gen 2,5) e la sua donna è «la madre di tutti
i viventi» (Gen. 3 ,20 ). Anche lo stato in cui cade questo perso-
~F.I. I.A SCRITTURA

naggio principale attraverso il suo peccato è, da una parte, il mondo


dei contrasti - tra Dio e uomo, tra natura e uomo, tra uomo e
uomo - nei quali ci porta ogni peccato; d'altra parte, dal contra-
sto tra queste conseguenze e la condizione paradisiaca descritta nel
capitolo precedente, risulta che anche per l'umanità come totalità
è andato perduto qualcosa a causa di questo peccato.
Se nel racconto jahvista di Gen. 2 e 3 'Adamo' rimane ancora
ambivalente ('l'uomo' rispettivamente 'il primo uomo') la sua carat·
teristica di progenitore è messa maggiormente in evidenza se noi
consideriamo questi capitoli nel quadro globale della Scrittura in-
tera. Già in Gen. 4 troviamo che ha' adam, l'uomo, è nominato co-
me padre di Caino (v. I), ma 'adam', Adamo, è il padre di Set (v.
25 ). Nella genealogia del codice sacerdotale di Gen. 5 si può essere
indecisi circa le prime parole del primo versetto; nei versetti 3, 4 e
5 però il discorso verte certamente intorno alla perso ta di Adamo.
Quest'ultimo vale anche in altre genealogie della Bibbia ( 1 Chron.
1,1; Le. 3,38), in scritti giudaici non canonici cd infine in Paolo
(z Cor. 15,21 s. 45-49; Rom. 5,12-21 ). Anche di questa riflessio
ne storicizzante, per lo meno fin dove essa ha luogo nella Scrittura,
dobbiamo tener conto. Non dobbiamo soltanto considerare le fonti
e investigare le unità letterarie nella loro autonomia, ma ricercarne
anche il significato nella totalità della Scrittura, poiché è questa
totalità in definitiva che è data alla Chiesa attraverso lo Spirito
santo. Anche se 'Adamo' esprime l'indicazione di una collettività,
questa ha creato uno stato infelice non soltanto per se stessa, ma
anche per tutta l'umanità e per ogni uomo singolo.
Gen. 3 può valere come sintesi dell'intuizione profetica di lsrae·
le in ciò che il peccato produce in tutti noi. Questa intuizione,
come abbiamo già mostrato è espressa nella Scrittura in vari modi.
Per contro Gen. 3 stesso ha trovato poca eco tra i libri canonici
dell'Antico Testamento. Il Libro di TobitJ (8,6) offre una chiara
reminiscenza della creazione di Adamo ed Eva, ma non parla aflat.
to del loro peccato. Due altri testi invece lo fanno. Essi parlano del-
l'origine della morte nel mondo e nominano in proposito anche pec-
cato e demonio: «Dalla donna ebbe inizio il peccaro; per causa sua
moriamo tutti» ( Ecclus 2 5 ,24 ); «Sì. Dio l't'CÒ l'uomo per l'immor-
PECCATO ORIGINALI!'

talità; lo fece a immagine della propria .natura. La morte entrò nel


mondo per invidia del diavolo» (Sap. 2,23 s.). Qui non si dice nulla
di diverso da quello che afferma Gen. 2 e 3; solamente il testo sa-
pienziale interpreta il serpente chiaramente come il diavolo e contem-
poraneamente la morte come allontanamento peccaminoso «ne (del-
la morte) fanno esperienza quanti appartengono a costui» (Sap.
2 ,24 ). Di una trasmissione dcl peccato stesso, qui si parla così poco
come nello stesso racconto del paradiso.
Nei due ultimi secoli prima di Cristo, come pure nei primi se-
coli della nostra era, l'universale stato peccaminoso dell'umanità è
un tema importante nei libri apocrifi dell'Antico Testamento. Esso
viene più esplicitamente messo in relazione con un peccato di ori-
gine, ma la riflessione sostanzialmente non va più avanti che nci
libri canonici. In opposizione a questi ultimi, gli apocrifi elaborano
la narrazione su Adamo ed Eva in modo fortemente storicizzante,
cosa che noi ritroveremo presso Paolo.

b. Nuovo Testamento

Il Nuovo Testamento assume tutti i dati dell'Antico Testamento,


collocandoli però nella luce di Cristo. Anche nei libri neotesta-
mentari troviamo tre riflessioni su Gen. 2 e 3, ma esse penetrano
più a fondo delle considerazioni fugaci di Tobia, dell'Ecclesiastico
e della Sapienza. Secondo i Sinottici (Mc 10,1-II = Mt 19,1·9) Ge-
sù si richiama a Gen. 2,24 per imporre il matrimonio indissolu-
bile, come esso era «all'inizio». Sullo sfondo della spiegazione di
Gesù si disegna in certo modo il mistero della caduta e della re-
denzione. Tra lo stato dell'inizio e lo stato che Cristo ora instaura,
sta la legislazione matrimoniale imperfetta, la quale era necessaria
«per la vostra durezza di cuore». Ciò suggerisce che fin dall'inizio
sia venuta sull'umanità o per lo meno su Israele una situazione
nella quale questa durezza di cuore era predominante; inoltre che
il Signore - il quale di nuovo ripropone l'ideale dell'inizio: «Ma
io vi dico» - dia anche la possibilità di un nuovo cuore ben di-
sposto. L'antitesi, qui accennata solo vagamente, tra caduta e re-
denzione risulta chiaramente là dove presso Giovanni e Paolo emer-
NELLA SCRITTURA

ge il ricordo del racconto del paradiso. Molto energicamente pres-


so ambedue, Cristo è messo in contrapposizione con colui che sta
all'origine del peccato e questo è, per Giovanni, il demonio; per
Paolo, Adamo. Le parole di san Paolo conferirono indubbiamente a
questo tema il più vigoroso risalto e risuonano poi nel modo pm
chiaro anche nella tradizione: perciò devono venir trattate piì:1
estesamente.
Presso Giovanni Adamo non viene nominato, cosl come nei te-
sti riguardanti il peccato originale di san Paolo non è nominato il
demonio. Già in Sap. 2,4 il serpente di Gen. 3 era interpretato co-
me il demonio; l'Apocalisse di san Giovanni (12,9; 20,2) parla
esplicitamente del «serpente antico che ha nome diavolo e Satana».
In Apoc. 12 questo serpente sta contro «la donna», la Chiesa cioè,
contrassegnata con tratti mariani, come contro la nuova Eva e ri-
prende la lotta con la sua discendenza, servendosi delle potenze
terrene. Il diretto influsso peccaminoso del demonio - conforme
alla narrazione del paradiso - sugli uomini di oggi viene denun-
ciato da Gesù nel quarto vangelo. Qui. come in Paolo, il pec-
cato 'domina': «In verità, in verità vi dico, chiunque commette il
peccato è uno schiavo» (lo. 8,34 ). Di nuovo, come in Paolo, chiun-
que ora pecca ha un archetipo e un padre, ma qui non è Adamo,
bensl Satana. Due volte Gesù parla 'ai giudei' del 'vostro padre' e
contrappone questo 'padre' ad Abramo (lo. 8,38-41 ). Poi egli aper-
tamente dichiara: «Voi siete progenie del diavolo che è vostro pa-
dre e volete fare i desideri del padre vostro. Egli è stato omicida fin
da principio e non si è attenuto alla verità; perché la verità non
era in lui; quando dice il falso, parla dcl suo perché è bugiardo e
padre della menzogna» (/o. 8,44). Qui c'è una chiara allusione al
'principio', al paradiso, in cui il demonio introdusse la m0rte (Sap.
2,24 ), poiché egli con la sua menzogna condusse l'uomo al pec-
cato. Cosl presso Giovanni il peccato si trasmette ne.gli uomini co-
me eredità spirituale e dominio di Satana.
Paolo per{> ha descritto più chiaramente questa eredità. Nella pri-
ma lettera ai Corinti Adamo e Cristo stanno contrapposti l'uno di
fronte all'altro come la fonte della morte e rispettivamente della
vita: «E come tutti .muoiono in Adamo, così tutti saranno vivifi-
666 PF.CC.\TO ORIGINAI I'

ca ti in Cri!: CO» ( 1 Cor. I 5 .22 e/. 4 5-49 ). Nella lettera ai Romani


Adamo e Cris:o son•1 inoltre rispettivamente l'origine Jel peccato e
della giustiziro. Ciì1 viene sviluppato solo nel capitolo quinto, eh<.>
rappresenta chiaramente, in prima linea, un inno di esaltazione
della redenzione. Il tema di /fom. 5,12-21 dichiara: Cristo si con-
trappone ad Adamo e ai pccnaori che vengono dopn di lui e ne
supera allo stesso tempo l'influsso, poiché al posto del peccato por·
ta la giustizia e al posto della morte la vita. Non solo il p;:ccato di
Adamo, bensì anche i peccati pasonali commessi dopo Adamo
stanno di fronte alla redenzione di Cristo. Ciè> diventa perspicuo
per le trasgressioni ddla legge ( vv. 20 s. ), ma ad un'osservazione
più attenta si mostra che anche là dove una piì1 antica esegesi ve-
deva solamente l'influsso del peccato di Adamo. sono intesi anche i
peccati personali successivi. Ciò vale anzitutto per i. versetti 12-14:
«E quindi, come per un uomo il peccato è entrato nel mondo, e per
il peccato la morte, e la morte raggiunge tutti gli uomini, perché
tutti peccarono ... Fino alla Legge infatti c'era peccato nel mondo e,
anche se il peccato non viene imputato quando manca la Legge, la
morte regnò da Adamo fino a Mosé pure su quelli che non pecca-
rono con una trasgressione simile a quella di Adamo, il quale è
figura di colui che doveva venire ... ». :.t universalmente ammesso
che l'icp'<!> del versetto 12 non significa «in cui (tutti hanno pec-
cato)», come è suggerito dalla traduzione della Volgata. Esso si
deve rendere con «perché, tenuto conto dcl fatto, della premessa
(avverata) che ... ». 17 Con ciò non si può trovare in questi versetti
alcun esplicito e distinto accenno al peccato originale. Attraverso
l'entrata e l'estensione della morte il peccato originale viene certa-
mente accennato, tuttavia con tutta probabilità non in modo tale

11 S LvoNNT.T, 'Le sens de iq-"1(> en Rom. 5-12 et 1'.-xr11~ d'"' P~r<"S 11recs', in Bi-
blica \6 ( t9nl 416-45i; lo.: 'Le péché origine! et l'exr!lèse de Rom. ,,n· 14'. in RSR
.µI lQ\6) 6\·84. Tra gli eseJ?Cti modem! L. Cerfaux f f.,. Chmt J.ini [.,; 1héolo11.ie Je
111mt P.zul, Paris 1951, p. 178J vuole però riierirc i•1 '•i• ad AdJmn l" r..-nd..-rlo no,
con /11 q1<0, ma con ..a causa di colui per il quale•. (.luesto riferimemo ad •Adamo•,
che è separato da 1hç'q1 da alcuni altri sostanrÌ\•i, non sembra grammaticalmente tanto
accenabile. Concretamente tanto J'~i di Cerfaux Quanro Quella che dipende dal-
J'in quo della Volgara rappresenta un cm..-euo bibla:u. J condizione ,hc s'interpreti
poi cAdamo• come una •persona rnr(lOrati\·a-. A nosrni parere nulla dice la Scrit-
rura circa qualcosa come un'•inclusione ontologica• dell'umanità di Adamo.
N• 11.A SCRITTURA

che la morte corporale vi compaia come un segno della sua presenza.


La morte in Gen. 3 è collegata con uno stato di allontanamento da
Dio. In Sap. 2.24 (a cui si richiama Rom. 5.12), la morte è solo
provvisoriamente e quasi solo apparentemente la sorte dci giusti.
ma in <lcfiniriva è la porzione dci peccatori. Ciò Paolo <leve a\·erlo
avuto davanti agli occhi. lnohr~ egli sresso, sopranutto nella lette·
ra ai Romani (1,32; 6,16.21.23; 7,5; 8,6.13; cf. Iac. 1,15), pre-
senta la morre come ricompensa, frutto e mèta finale del peccare.
In un altro passo l'ultimo nemico, che Cristo ha da annientare al
suo ritorno, non è propriamente il peccato ma la morte ( 1 Cor.
1 5, 561. Perciò è del tutto giustificato vedere qui nella 'morte' più
che la sola morte corporale. ~ inteso tutto l'insieme di morte-pec·
cato, compresa la 'seconda morte'. Questa morte «raggiunge tutti
gli uomini. perché tutti peccarono». Anche con la traduzione «per-
ché» questo senso poteva riferirsi ancora al solo peccato originale:
:·:>iché tutti (in Adamo l sono divenuti peccatori. Tuttavia si è por-
tati a riferire le parole «tutti peccarono•, per lo meno in prima
lettura, a peccati personali. 11
Precisamente queste stesse parole vengono usate poco prima
r Rom. 3 ,2 3) per riassumere i peccati personali di pagani e giu·
<lei, quali l'c1postolo ha descritto nei primi due capitoli di quesra
lettera. Proprio questi capitoli mosrrano che Paolo non perde cosi
presto di vista i peccati personali quando parla adel peccato». Que-
sto peraltro è anche il caso di Rom. 5.12-21. I versetti 16 e 2os.,
parlano di molte e copiose trasgressioni. Anche le parole che seguo-
no immediatamente al versetto 12 « ... il peccato non viene irnpu·
tato quando manca la legge• sono proprio applicabili solamente a
peccati personali. La cosa più probabile è dunque che Paolo con le
:1ltime parole del versetto .P voglia dire: rutti hanno peccaw per·
sonalmenre. Ma si può dire anche che quesri peccali che non viu·
lano alcuna legge espressa e non sono 'trasgressioni', che insrau·

" L'opiniunr che :uivn; fiµn1,1tuv di Rom j,12 si riferisca ai peccali P<'fsonah ,.
dilna anchto con en~r11i1 d1 O Kuss. Du Romerbrtr/ 1 !Regcnsburg 1c";l. p. 1\1
ltr. i1.: l..cller.1 111 Rum11ni 1, Morcelliana. Brescia). Noi rimandiamo anche 1ll'excuru1s
biblico-1eologico Slinde ""'' T od, Erhtod und Erbsiinde presso Kuss, op. cit , pp. 141·
174.
668 PJ!.CCATO ORIGINALE

rano la signoria della morte su colui che li commette? Questa è la


questione che Paolo si pone sotto forma di un'obiezione: <<. •• Il
peccato non viene imputato quando manca la legge» (ibid. ).
Relativamente a questa obiezione e alla risposta del versetto 14
le vie dell'esegesi divergono fortemente. Moltissimi ritengono che
l'apostolo enunci il principio: «senza legge il peccato non viene
imputato» e che nel verscLto seguente adduca il dominio della
morte da Adamo fino a Mosé come una prnva per affermare che in
questo periodo c'era di piì.1 che dci semplici peccati personali. «La
morte» è quindi interpretata esclusivamente come la morte corpo-
rale. Il fatto che gli uomini morissero anche prima della legge indi-
cherebbe dunque secondo l'apostolo ciò che noi oggi chiamiamo
peccato originale. Si attribuisce tlllora a Paolo una delle due se·
gucnti conclusioni: i pe~~cati personali commessi senza la legge non
sono semplicemente imputati. non valgono perciò come peccati sog-
gettivi; tuttavia gli uomini muoiono; ciò dimostra il peccato origi-
nale; oppure: i peccati personali commessi senza la legge non sono.
imputati per la morte (solo il divieto dato nel paradiso terrestre e
la legge mosaica comminarono la morte come castigo per i pec-
cati); e tuttavia gli uomini muoiono; ciò indica parimenti il peccato
originale.
Ma molte difficoltà son da superare per ascrivere all'apostolo una
di queste due conclusioni. Relativamente alla prima si può osser-
vare come mai egli, se voleva argomentare soltanto dal fatto che
anche uomini senza peccati personali muoiono, dovesse richiamarsi
a questa oscura epoca prima di Mosè e non alla morte dei bambini
di tutti i tempi? Relativamente alla seconda conclusione è da no-
tare: soltanto determinati peccati sono puniti nella legge mosaica
con la morte, non tut~i. e allora si trana proprio di un 'portare alla
morte', non solamente della morte naturale, di cui ognuno muore.
Contro tutte e due le spiegazioni si può inoltre ancora obiettare,
come già fu notato, che la 'morte' che è venuta nel mondo col pec-
cato, è più che la pura morte corporale. Infine si oppone nel modo
più deciso il fatto che Paolo non può acconsentire al principio «il
peccato senza legge non viene imputato,.. Egli conosceva senz'altro
dal Genesi i peccati della umanità che furono così severamente pu-
NELLA SCRITTURA

niti da Dio, cioè con la morte: il diluvio universale e la distruzione


di Sodoma e Gomorra. Egli stesso ha dichiarato all'inizio di questa
lettera a proposito dei pagani peccatori che essi «sono inescusabili»
(Rom. 1,21). E in una riflessione al riguardo confronta questa colpa
col principio «il peccato senza la legge non viene imputato» e ri-
sponde: ma anche per questi pagani c'è una legge ed è una legge
interiore! «Tutti quelli che hanno peccato senza la legge (mosaica),
periranno ... anche senza la legge ... Quando i pagani che non hanno
la legge, per natura (cpucm) agiscono conforme alla legge, pure
non avendo legge; sono legge a se stessi; portano il dettame della
legge scritto nei loro cuori: ne danno testimonianza la loro coscien-
za e i giudizi di biasimo o di lode che portano gli uni sugli altri»
(Rom. 2,12-15).
Se noi partiamo da questa chiara asserzione, Rom. 5,14 non può
essere altrimenti interpretato che come una risposta negativa alla
obiezione: cil peccato non viene imputato, quando non vi è una
legge». In Rom. 2 Paolo vi rispondeva con un altro principio: c'è
sempre ancora una legge interiore, qui egli risponde con i fatti: cl.a
morte regnò da Adamo fino a Mosè» anche su coloro i cui peccati
non erano, come quello di Adamo, una trasgressione (1CaedfJaoi.ç),
i quali dunque non violano una legge espressa e determinante una
pena. Probabilmente stavan davanti agli occhi di Paolo la puni-
zione, mediante la morte, dd diluvio universale e la distruzione di
Sodoma a lui ben note. Tutti e due i fatti servono inoltre nei li-
bri del Nuovo Testamento come esempio per una punizione che va
molto al di là della semplice morte corporale: i disobbedienti del
tempo di Noè sono «prigionieri» evidentemente negli inferi ( r Petr.
3,19), e Sodoma e Gomorra «Stanno come esempio (ammonitore)
subendo pene di un fuoco eterno (1Npòç alw'llLov)» (ludae 7).
Questi esempi offrono a Paolo il destro per affermare: cl.a
morte regnò da Adamo fino a Mosé» (Rom. 5,14). Egli intende in
ciò la morte come morire corporale e come divisione da Dio per
motivo dei peccati personali. Riguardo al peccato originale come
tale egli nei versetti 13 e 14 non dice niente di più di quello che
aveva detto nel v. 12, cioè che da Adamo in poi peccato e morte
PECCATO ORIGINALF.

sono entrati nel mondo.•~ Il rimanent.e testo della pericope in que-


stione mette in evidenza ancora più chiaramente i peccati personali
e non menziona in modo particolare il peccato originale.
Ciò vale per tutte le lettere di san Paolo. All'infuori di r Cor.
1, e Rom. ' l'Adamo peccatore non viene da lui menzionato. Lo
stato di peccato della 'carne', di cui noi abbiamo già trattato ante-.
cedentemente, non viene posto da Paolo in relazione con Adamo
quando egli afferma che noi «eravamo per natura ( <pfoE1) 6gli del-
l'ira» (Eph. 2,3). Questo ultimo testo si trova in un capitolo che
rammenta ai cristiani i peccati che essi hanno commesso preceden-
temente, quando erano nel paganesimo. Si tratta di una descrizio-
ne dei peccati personali dei pagani, che ricorda fortemente Rom. 1.
L'espressione «per natura» si riferisce dunque all'intera esistenza
dell'uomo al di fuori della rivelaziont; giudeo-cristiana - precisa-
mente come là dove è detto a tale riguardo che i pagani «per na-
tura» (di nuovo <p\1ou) agiscono conforme alla legge» (Rom.
2,14); ci si riferisce a questa esistenza, comprese le azioni personali
buone e cattive e non allo stato del bambino che non ha ancora po-
sto atti personali morali. Solamente una volta nelle sue lettere Pao-
lo tocca più o meno chiaramente la situazione del bambino, e allora
egli spiega appunto che in esso lo stesso peccato è morto: cPcrò
io non conobbi il peccato se non per la legge ... senza la legge in-
fatti il peccato è morto» (Rom. 7 ,7 .9 ). Per usare concetti moderni
diremo: l'apostolo tiene conto del peccato originale soltanto in
quanto questo s'esprime in peccati personali; lo stato originario di
peccato in se stesso è per lui un peccato che ancora non ha avuro vita

1• ~ anche possibile vedere la mone come lo stato dell'alienazione da Dio, da cui


provengono gli stessi peccati. Paolo allora dimostra il dominio della mone non tanto
dai castighi, ma dal fatto dei peccati stessi. Secondo quesla visione l'apostolo parla
non implicitamente, bensì espliciramenre della situazione di peccato originale: essa
cioè è la morte stessa. Presenta questa sfumatura ddl'esegesi di Lyonnet A. HuLS-
llOSOI, 'Zonde en dood in Rom. ,,12-21', in Tiidsrhri/r voor TMologie 1 (1961)
194·204.
SVILUPp0 DF:LLA DOTTRINA

2. Lo sviluppo della dottrina sul peccato originale

a. Padri greci e latini


prima della controversia pelagiana

Non è da attendersi che la nostra odierna distinzione tra peccato


personale e peccato originale compaia chiaramente subito dopo l'era
apostolica. Ancora per un tempo relativamente lungo è dapprima
l'uomo adulto che è visto come soggetto del peccato e della reden-
zione, come destinatario del battesimo; inoltre la Chiesa deve di-
fendere contro il dualismo gnostico la bontà della creazione. Sem-
pre più universalmente però il battesimo viene dato anche ai bam-
bini e questa prassi contribuirà alla distinzione tra peccato perso-
nale e peccato originale. 20 La nostrA esposizione può iniziare perciò
da questo punto. Al battesimo degli infantes et parvuli, dei bam-
bini piccoli, allude già Ireneo a metà dcl secondo secolo (AJversus
haereses 2,22,4, PG 7,784). Secondo la Scrittura il battesimo ha
luogo «per la remissione dei peccati• (Aci. 2,38; cf. inoltre, per
es., r Petr. 3,21, Rom. 6); ritroviamo questa formula nella profes-
sione di fede niceno-costantinopolitana (ns 150), mentre già nel
medesimo secondo secolo si possono trovare tracce di un inseri-
mento di queste parole nel simbolo battesimale, per es., presso il
martire GIUSTINO (D 3). Ciò rende verosimile che ogni battesimo,
anche il battesimo dei bambini piccoli, fosse amministrato in re-
missione dei peccati. TERTULLIANO ne è lucidamente consapevole e
perciò chiede appunto perché ci si affretti a battezzare bambini in-
DC)Ccnti (De baplismo 18, PL 1,1221: Quid festinal innocens ad
remissionem peccatorum?). Il suo compatriota C1PRIANO è di opi-
llione contraria: Se anche ai peggiori peccatori mediante il batte-
simo è concessa la remissione dei peccati, ca maggior ragione esso
non può poi essere proibito al bambino, il quale come neonato non

20 P~nlano una sinrni della iradizionc A. GAUDF.I., 'Péché origine!', in DTC


xn/1 (19n) 317-432 e (unila1cralmcn1c!) J. Gaoss. F.nutrhun1.11.ruh1chte de1 Erh
siinde-Dogmas, 2 voli., Miinchcn 196o-63. Vedi inohrc: J. F1EUNDORFP.I, Erbsiindr
und Erbtod brim Apostel p,./us, Miinsrcr/W. 1927, pp. 1op77; J. M1mLMANN, N..
tura filii iru, Roma 1957.
PECCATO OlllGIMALE

ha commesso peccati, ma solamente (nfhil peccavi! nisi quod) gene-


rato fisicamente dopo Adamo, ha contratto (contraxit) la contami-
nazione con l'antica morte attraverso la sua prima nascita; questi
perviene tanto più facilmente alla remissione dei peccati grazie al
fatto che a lui non vengono perdonati peccati personali, ma pectati
di estranei» (Epist. synodica 5, PL 13,1018). Intorno al medesimo
tempo 0RIGENE in Oriente esprime un parere ancora più chiaro:
«La Chiesa ha ricevuto dagli apostoli la tradizione di amministrare
il battesimo anche ai bambini piccoli (parvulis ); coloro ai quali so-
no affidati i segreti dei sacramenti divini ( mysteriorum ), sapevano
bene che ci sono in tutti vere macchie di peccato (genuinae sordes
peccati), le quali devono venir lavate con acqua e Spirito» (In Ro-
manos commentarii 5,9, PG 14,1047). Sebbene Origene qui non
nomini Adamo, egli scrive in altro passo: Se Levi che vide la luce
nella quarta generazione dopo Abramo, è stato nei lombi di Abramo
(Hebr. 7,9 s.), a maggior ragione allora tutti gli uomini che na-
scono in questo mondo furono nei lombi di Adamo, quando questi
era ancora nel paradiso terrestre (In Romanos comm. _5,I, PG
14,1009 s.). Per altro egli riferisce il 1tci.V't'Eç tjµap't'ov di Rom .
.5, l 2 ai peccati personali e afferma perfino che i bambini so-
no anche discepoli dei loro genitori e «non tanto attraverso la na-.
tura quanto molto di più mediante l'insegnamento sono spinti al-
la morte del peccato» (In Rom. comm. 5,2, PG 14,1024). Ciò tut-
tavia non significa che i Padri greci non trovino in Rom. 5 niente
altro che una pura successione di peccati personali dei quali il pec-
cato di Adamo sarebbe stato esclusivamente l'inizio cronologico.
CIRILLO DI ALESSANDRIA secondo cui «noi siamo diventati imita-
tori (j..U.µ1}-taC) della trasgressione di Adamo per il fatto che (xa.i)'o)
tutti abbiamo peccato» (In Rom. 5,12, PG 74,784), si chiede co-
me il «giudizio» di Rom. 5,16 abbia colpito noi che allora non era-
vamo ancora nati, e nella sua risposta perviene ad una specie di
peccaminosità originale. «Noi in conseguenza siamo diventati pec-
catori a causa della disobbedienza di Adamo. Egli era stato gene-
rato all'incorruttibilità e alla vita ... Ma poiché egli cadde in peccato
e nella corruttibilità, sopravvennero nella natura della carne le vo-
glie impure e cosl si è formata la dura legge delle nostre mcm-
SVILUPPO DELLA llOTTlllMA

bra. Perciò la natura si è ammalata di peccato per la disobbedienza


di uno solo. C.OSì i molti diventarono peccatori non perché essi aves-
sero peccato insieme con lui nello stesso tempo - essi infatti non
esistevano ancora - , ma perché sono della sua natura, la quale è
caduta sotto la legge del peccato» (op. cii., PG 74,789). La visione
di un simile stato peccaminoso che precede i peccati personali dei
discendenti di Adamo, la troviamo in forma più chiara anche nella
seconda metà del quinto secolo presso il patriarca GENNADIO DI
CosTANTINOPOLI: questi, parla perfino dei bambini piccoli ed è il
primo che li mette in relazione con Rom. 5 (Fragm. in Rom. 5,13,
f'G 85,1672).
Rispetto all'esegesi dei padri greci, l'esegesi dei padri latini batte
una via propria, perlomeno muovendo dal quarto secolo. La diver-
genza fra l'esegesi greca e quella latina sembra aver inizio già nella
traduzione dell'tcp'~ di Rom. 5,12 con «in quo (omnes pecca-
verunl)».21
Probabilmente questa opinione derivò da quell'ignoto autore del
secolo quarto le cui opere furono attribuite per lungo tempo a san-
t' AMBROGIO, cioè dall'AMBROSIASTER. Egli vi può essere stato
spinto dalle considerazioni già riferite di IRENEO sul nostro peccare
in Adamo. «~ chiaro perciò che tutti hanno peccato in Adamo co-
me in una moltitudine (quasi i11 m1m11 l: e~li ~ressi infarti si è: corrotto
per il peccato, e tutti quelli che lui ha prodotto, sono nati sotto il
peccato. Da lui derivano perciò tutti i peccatori, poiché proprio da lui
stesso veniamo noi tutti» (Comm. in ep. ad Rom. 5,12, PL 17,92).
Il versetto 12, secondo il punto di vista dell'Ambrosiaster tratta

21 Sicuramen1e ques1a ttaduzionc laiina è siata in1esa per mol1i secoli in un signi·
6ca10 che Paolo non in1endcva, ma bisogna vedere se questo è il signi6ca10 origi·
nario dell'in quo della Volgata. Queste parole non devono necessariamente esllCtt
intcrprelate come pronome relativo, quindi nel significato di 'nel quale' o 'in cui'.
Esse possono anche csxre una congiunzione, una abbreviazione di 'in co quod', con
un si11nificato di 'sotto la quale circostanza' e perfino di 'dove'; l'ultimo si avvicina al
significato di 'a condizione che', che :ioi abbiamo attribuito all'lq:'41. Una prova
che !'in q1'o di Rom. ,,12 si può intendere anche in questo modo, può ronsis1cre
nel fatto che diversi altri autori lasciano sussistere l'i11 quo in citazioni abbreviate,
anche se non c'è il sostantivo a sé stante cui il pronome relativo possa riferirsi. Tut·
iavia in quo non fu inteso in questo senso per molto tempo; esso fu presto intcr-
prelato come pronome relativo, che si rifctiscc ad 'Adamo': •Adamo, in cui tutti
hanno peccate»>.
4} - Mysterium .'ìalu:ir.. 11/2
PECCATO ORIGINALE

solamente del peccato originale; ma quando egli dà più avanti una


spiegazione del «giudizio» e del «diventare peccatori» dei «molti»,
allora vi comprende di nuovo i peccati personali, come i greci. Più
nettamente di questi, egli distingue tra morte corporale e morte
eterna: quest'ultima l'attirano su di sé soltanto coloro che imitano
,personalmente il peccato di Adamo (In Rom. 5,15, PL q,97). Una
esegesi che guarda l'intera pericope di Paolo solamente sotto il punto
di vista del peccato originale l'ha presentata per primo AGOSTINO.
Ma tra lui e l'Ambrosiaster si colloca la negazione di PELAGIO.

b. Il pelagianesimo

Le opinioni di Pelagio risalgono in ultima analisi al suo ascetismo


e alla sua filosofia stoica. In una lettera che egli scrive verso l'anno
41 2 alla vergine Demetria, egli manifesta molto chiaramente il pro-
prio ideale. Dio, cosl egli afferma, ha dato all'uomo la potenza della
libera volontà (liberum arbitrium ), cosl che egli può naturalmente
scegliere il bene e il male. Ciò risulta dalle virtù di molti filosofi
pagani. «Se gli uomini anche senza Dio danno a riconoscere che
Dio li ha creati, considera allora ciò che i cristiani potrebbero com-
piere, essi la cui natura e vita fu dotata da (per) Cristo per azioni
migliori (in meliur... constructa est), e alle quali inoltre viene dato
aiuto attraverso l'assistenza della grazia divina» (Ad Demetriadem
3, PL 30,18; 33,no1). Segue poi un'analoga conclusione relativa-
mente al. bene possibile sotto la legge giudaica. Grazia, come an-
che remissione dei peccati, vengono riconosciuti da Pelagio, ma la
grazia rende solamente più facile il bene che è già possibile in virtù
della nostra natura, e la remissione non è affatto una trasforma-
zione interiore dell'uomo. L'influsso salvifico di Cristo sull'uomo è
per Pelagio solo l'influsso della vera dottrina e del buon esempio,
cosl come Adamo ci ha danneggiato solamente attraverso un cattivo
esempio. Ciò emerge soprattutto dal commento alla lettera ai Ro-
mani che Pelagio ha scritto prima del suo soggiorno in Africa.zz

Z2 Esso fu considerato per molto tempo in versione rimaneggiata come un'opera di


Gerolamo (PL 30,645-902) o di Primasio (PL 18.431-686) e ricostruito da A. Sauter
SVILUPPO DELLA DOTTRINA

Secondo questo, Paolo nel quinto capitolo col suo confronto tra
Adamo e Cristo ci mostra che «noi, che seguendo questo Adamo
(sequentes Adam) ci siamo allontanati da Dio, siamo di nuovo con
Dio riconciliati attraverso Cristo» (op. cit., 45). Il peccato dei di-
scendenti di Adamo non è poi nient'altro di più che l'imitazione di
un modello. Riferendosi alle parole: «il peccato è entrato nel mon-
do» Pelagio osserva: «attraverso l'esempio o il modello» (exemplo
vel forma). Si comprende da sé che con la proposizione «tutti pec-
carono» sono intesi i peccati personali. Mentre i padri greci spesso
non intendono «i molti» del versetto 19 come «tutti», Pelagio in-
comincia ancora dal versetto 12 a fare eccezioni: Abramo, Isacco
e Giacobbe non sono morti. Secondo la sua opinione, Paolo parla
qui solo generalizzando. Perciò egli può affermare: «Come il pec-
cato, quando esso ancora non c'era, è venuto per mezzo di Adamo,
cosl anche la giustizia, quando essa non era rimasta quasi (paene)
in nessuno, è stata richiamata attraverso Cristo» (ibid.). Che la gra-
zia venga in maggior pienezza che il peccato, Pelagio lo spiega nel
modo seguente: «Adamo non ha trovato molta giustizia da pot~r
distruggere con il suo esempio; ma Cristo ha cancellato con la sua
grazia ii peccato di molti e Adamo died~ solamente l'esempio di un
peccato (solam formam fecit delicti), ma Cristo ha perdonato gratui-
tamente il peccato. ,,,me anche offerto un esempio (exemplum) di
giustizia» (op. cit., ·t:(>· E ancora, riferendosi al versetto 19: «Co-
me, per l'esempio (exemplo) della disobbedienza di Adamo, molti
hanno peccato, così anche per l'obbedienza di Cristo molti sono giu-
stificati (op. cit., 48). '
Le conclusioni che questa posizione racchiude sono espresse più
chiaramente dal suo seguace spirituale CELESTIO. Questi fu accu-
sato a causa di sei tesi tolte dai suoi scritti che possiamo conside-
rare come la formulazione dçl pelagianesimo classico. AGOSTINO
le riproduce due volte nelle sue opere (Dç gestis Pelagii XI, 23, PL
44,333 s.; De peccato originali XI 12, PL 44,390), entrambe le
volte nella stessa forma. Esse, tradotte nel discorso diretto, suo-

principalmente sulla base di un manoscritto dci nono secolo: Pd4gius's Exporitions


o/ tbirteen Epistks of St. Paul, 11: Text and appaatus critùus, Cambridge 1926.
PECCATO O&IGIMALE

nano cosl: r. «Adamo è stato creato mortale e sarebbe morto indi-


pendentemente dal fatto che avesse o no peccato». 2. «Il peccato
di Adamo ha danneggiato solamente lui, non l'umanità». 3. «La
legge introduce gli uomini nel regno di Dio altrettanto bene come
il vangelo». 4. «Prima dell'avvento di Cristo esistevano uomini
senza peccato». 5. «I bambini neonati sono nello stato in cui si tro-
vava Adamo prima della sua trasgressione». 6. «Per la morte o il
peccato di Adamo non muore tutta quanta l'umanità, precisamente
cosl come l'umanità intera non risorge per la rerurrezione di Cri-
sto». MAR10 MERcATOR.E, un contemporaneo di sant' Agostino, ri-
porta la tesi 1, 2, 5 e 6 in una ste.sura equivalente e inoltre anche
la tesi seguente: «I bambini hanno la vita eterna anche se non
vengono battezzati» (Liber subnotationum in verba ]uliani praef.
5, PL 48,n4 s.). Certamente senza battesimo non si può entrare
nel «regno dei cieli», come afferma Cristo stesso (lo. 3,5 ), ma si
può guadagnare una «vita eterno e attraverso questa sottNrsi alla
morte eterna. Come la grazia di Cristo sulLi terra rende il bene soLi-
mente più facile, cosl essa nell'al di là dà puramente un perfeziona-
mento della vita eterna che si può raggiungere con le proprie forze
(cf. AuGUSTINJJS, De haeresibus 88, PL 42,48). Ora è AgostinQ
che combatte nel modo più forte proprio questa tesi.

c. Agostino

L'atteggiamento di Agostino nella controversia sul peccato ongt-


nale, è connesso soprattutto con la sua esperienza personale del-
l'esser soggiogato al peccato e della grazia libeNtrice di Cristo. Ese-
geticamente egli viene determinato dall'opinione dell'AMBROSJA-
STER circa il passo «in quo omnes peccaverunt». Agostino ha sem-
pre attribuito a queste parole il significato «in cui» o «nel quale».
Veramente gli parve sul principio, nella sua lotta contro Pelagio,
che non fosse inequivocabilmente determinato a quale parola di
Rom. 5,12 esse si riferissero. Dopo che egli ebbe preferito dap-
prima la versione «il peccato ... in cui tutti hanno peccato», la sua
scelta cadde definitivamente su «un uomo ... nel quale tutti hanno
SVILUPPO DELLA DOTI'BJNA

peccato». Espressioni circa il nostro «peccare in Adamo» s'incon-


trano ripetutamente in tutta l'opera di sant'Agostino, e ci offrono
una sintesi della sua esegesi di Rom. 5 e della sua dottrina sul pec-
cato originale. In antitesi con l'Ambrosiaster, AGOSTINO non vede
in tutto il passo di Paolo nient'altro che l'unico peccato, che da
Adamo passa su di noi. (Cf. De peccatorum meritis et remissione
I, 9-15, PL 44,114-120; Contra Iulianum Pelagianum VI, 4,9, PL
44,825; Opus imperfectum contra Iulianum II, 35 ss., PL 45,1156
ss.). Perfino quando Adamo nel versetto 14 viene definito «forma
futuri'», ciò non lo riferisce a Cristo, ma ai discendenti di Adamo,
a cui egli ha dato attraverso il suo peccato la loro figura (forma)
(Contra lui. Pel. VI, 9, PL 44,826; De pece. mer. et rem. I, 13,
PL 44,n6). L'AMBROSIASTER riferiva ancora il «giudizio» e il
«diventare peccatori» dei «molti» anche ai peccati personali; Ago-
stino semplicemente afferma: «Adamo certamente dal suo unico
peccato ha generato dei colpevoli» (ex uno suo delicto reos genuit)
e spiega la «dovizia sovrabbondante della grazia» con il fatto che
Cristo libera da quei peccati «che gli uomini hanno aggiunto quali
peccati liberi e volontari al peccato originale in cui furono generati»
(De pece. mer. et rem. I, 14, PL 44,117). Il fatto che «il giudizio
venne da uno su molti» trova per Agostino il suo fondamento sola-
mente in questo «che vengono giudicati anche coloro che hanno
ereditato con la nascita questa unica trasgressione (qui unum il/ud
generatione traxerunt)». (Op. imperf. contra lul. II, 105, PL
45,1185). La morte ha regnato secondo Paolo mediante la colpa di
un solo uomo, perché, così afferma Agostino, «sono incatenati in
questo unico uomo, in cui tutti hanno peccato, con la catena della
morte anche se non vi hanno aggiunto peccati personali» (De pece.
mer. et rem. I, 17, PL 44,II8). Quindi i «molti» di san Paolo di-
ventano per Agostino semplicemente «tutti», anche se essi non do-
vessero aver peccato personalmente. L'intero passo di Rom. 5,12-
21 s'esprime dunque a riguardo dell'unico peccato di Adamo, il
quale si trasmette con la. nascita, e non a riguardo dei peccati nei
quali costui viene imitaro. «Non vedete», così egli apostrofa i pela-
giani, «quali difficoltà derivano per voi, se volete porre nel paral-
lelismo che l'apostolo stabilisce tra Adamo e Cristo, imitazione con-
PECCATO ORIGINALE

tro imit11zione e non nascita contro nuova nascita?» (Opus imper/.


contra lui., II, 146, PL 45,1202).
~cr Agostino, Ada.mo in ral modo diventa in seno all'umanità il
peccatore per antonomasia. Ciò innanzi tutto già in forza dello sta-
to paradisiaco, il quale viene Jcscritto in alcune sue opere come
nettamente privilcgiaLo: t\damo per la presenza di Dio è «reso ~iu­
sto, illuminato e felice» (De Gem·fi atl lit1eram, VIII, 1,25, PL
34,383.). Oa ciò deriva la chiarezza, la superbia e quindi la gravità
del peccato' di Adamo:' «La defezione (apostasia) del primo uomo,
nel quale la libertà della propria volontà era somma e non era osta-
colata da alcuna deficienza: costitul un pcccatu tanto grande, che
attraverso la sua caduta è decaduta la natura umana nel suo insieme»
(Opus imperf. contra Jul., III, 57, PL 45,1275). Inoltre questa
natura e non solo è diventata peccatrice ( peccatrix ), ma genera an-
che peccatori» (De nuptiis et coneupiscentia, II, 34,57, PL 44,471).
Quest'ultima conseguenza ha la causa nel fatto che Adamo è il
progenitore in cui tutta l'umanità era presente quando egli peccò.
«Attraverso la cattiva volontà di quest'unico uomo, tutti hanno pec-
cato in lui, quando tutti erano quest'uno (quando omnes ille unll'f
fuerunt), da cui pertanto tutti i singoli hanno ereditato il peccato
originale (de quo propterea singuli peceatum originale traxerunt)».
(De nupt. et concup., Il, 5,15, PL 44,444). cln Adamo hanno tut-
ti peccato allora, quando essi erano tutti quest'uno nella sua natura,
attraverso ~est'intima potenza per cui egli poteva generarli tutti»
(De pece. mer. et rem., III, 7,14, PL 44,194).
Perciò tutti gli uomini diventano peccatori proprio attraverso la
procreazione. Come però il peccato di Adamo non è un puro fatto
di natura, cosi anche l'uomo che• nasce non può divèntare peccatore
attra\'.erso la procreazione, in quanto essa è un puro fatto naturale,
ma in quanto essa sottostà a un moto peccaminoso della volontà,
cioè alla concupiscenza. (De nupt. et concup., Il, 21 ,36, PL 44,457 ).
Anche i genitori cristiani che non hanno il peccato originale come
tale, lo trasmettono tuttavia, poiché essi generano i figli nella con-
cupiscenza. (De pece. mer. et rem., Il, 9,11 PL 44,1,8). Questa
1

-èòiicupiscenza della carne contro lo spirito (da Agostino intesa però


fonemente come concupiscenza del corpo, della sessualità, contro
SVILUPPO OHI.LA DOTTRINA

l'anima spirituale) esiste in noi non in virtù della creazione, ma a


motivo del peccato in Adamo; essa trae origine dal peccato e al pec-
cato conduce; è figlia e madre del peccato, castigo del peccato e sem-
pre malvagia, anche se non sempre è essa stessa peccato. Essa è pe-
rò peccato nel non battezzato, così che Agostino può affermare:
«Chi è battezzato è libero da ogni peccato, ma non da ogni male»
(omni peccalo care/, non omni malo: Contra ]ul., VI, 16,49, PL
H,850 s.). «Nel battesimo vien tolra la colpa della concupiscenza,
ma In sua fragilità rimane (concupiscentiae reattts in h11ptismo sol-
vitur, in/irmitas mane/». (Rectractationes, I, I 5,2, PL 32,609 ). «La
concupiscenza rende colpevoli i fanciulli· non battezzati e li conduce,
quali figli dell'ira, anche qualora essi muoiano da bambini, alla con
danna (ad condemnationem trahi/)». (De pece. mer. et rem., II,
4,4, PL 44,1 p ). Per Agostino il peccato di Adamo e la nostra unio-
ne con lui sono chiaramente tanto grandi che egli si raffigura il pec-
cato originale nei bambini totalmente nel senso di un atteggia-
mento peccaminoso, di una colpa personale; la concupiscenza pcc·
caminosa in essi è in quanto malum una punizione, ma in quanto
peccatum essa merica inoltre di essere essa stessa punita anche nel-
l'altra vita. Il peccato originale non porta con sé come punizione
sulla terra solamente la concupiscenza stessa e la morte come sua
ombra, esso non esclude solamente dal regno di Dio nella vita fu-
tura. Al contrario dei pelagiani, i :p1a1i concedono ai bambini non
battezzati la avita eterna» come uno stato intermedio, Agostino li
mette in inferno (Opus imperfect. contra fui., III, 199, PL 45,1333;
contra ]ul. Pelag., VI, 3,6, PL 44,824; De pece. 1ner. et rem., I,
28,n, PL 44,140 s.), benché egli consideri la loro punizione come
la più mite (EncbiriJion 93.. PL 40,275 ).

d. La scolastica

Abbiamo esposto cosl particolareggiatamente l'opinione di sant'Ago-


stino, perché nèlla teologia della Chiesa cattolica (la quale anche in
questo punto ha purtroppo perduto il 'contatto di dialogo con
l'oriente) essa è rimasta fino ad oggi innegabilmente predominante.
Soltanto in alcuni punti questo quadro fu corretto dalla riBes-
680 PECCATO ORIGINALE

sione teologica successiva, nel modo pi~ evidente riguardo al castigo


del peccato originale nei bambini morti senza battesimo. Certa-
mente si è sempre rimasti fedeli con ragione all'opinione di san-
t'Agostino, che nessuno, il quale sia gravato anche solamente del
peccato originale, possa entrare nella beatitudine celeste. In que-
sto senso il peccato originale porta il bambino all' 'inferno' ma le
'pene più miti' di sant'Agostino vengono ancor più mitigate, per
perdere finalmente del tutto il loro carattere di punizione.
Anche lo stesso peccato originale viene interpretato meno come
attivo, tuttavia ciò avviene solo molto lentamente. Presso sant'AN-
s ELMO la carenza della giustizia originaria viene messa fortemente
in rilievo (De eone. virg., c. 27), per cui più chiaramente che presso
Agostino appare che la concupiscenza non costituisce di per sé il
peccato originale e che nei battezzati non è peccaminosa. Ciò non
ostante per Anselmo rimane peccaminoso nei non battezzati anche il
sentire la concupiscenza (De eone. virg. c. 27).
Da TOMMASO o'AQUINO lo stato di peccato originale è posto nel-
la categoria dell'habitus (S. th. I-II, q. 8, a. I). Non si tratta peral-
tro di un habitus che consiste in un'inclinazione verso azioni pecca-
minose, ma in una disposizione cattiva (dispositio) che pertanto può
essere chiamata una «malattia della natura» (languor naturae). Que-
sto habitus inoltre non è scaturito dagli atti personali dei singoli
uomini, ma dall'atto di Adamo. Se Tommaso in un altro passo (In
II sent., 33 ,2.1, ad l) riconosce tuttavia al peccato originale nei
discendenti di Adamo una anche se pur minima voluntarietas, que-
sto può valere quale modello per la formula secondo cui il peccato
originale è voluntarium ex voluntate Adami.
La relazione dello stato di peccato originale, e con ciò di ogni
singolo uomo, con Adamo fu interpretata partendo da Agostino in
un modo abbastanza costante. Nel Medio Evo l'idea che i teologi
si fanno di questo rapporto dipende fondamentalmente dalla loro
opinione sul valore degli universalia o concetti universali. Nel se-
colo IX GIOVANNI ScoTo ERIUGENA propugnò una consistenza estre-
mamente platonizzante dei concetti universali. Secondo lui in Ada-
mo è ,presente praticamente tutta intera l'umanità in modo attuale.
Tale visione non poteva più essere conservata ovviamente in
SVll.UPPO DELLA DOTTRINA 681

questa forma nei secoli seguenti e cosl sentiamo ANSELMO, il qua-


le peraltro sostenne pure il realismo nella questione degli univer-
sali, esprimere la concezione di Scoto Eriugena con una riserva:
«In Adamo tutti noi abbiamo peccato, quando egli peccò, non
perché allora abbiamo peccato noi stessi - ancora infatti non esi-
stevamo - ma perché da lui dovevamo avere il nostro essere (quia
de ilio futuri eramus)» (De eone. virg., c. 7; PL 158,441). Ma come
abbiamo da Adamo il nostro essere? Non secondo l'a.nima, poiché la
creazione immediata dell'anima spirituale viene considerata sempre
più come verità di fede, ma secondo il corpo: il quale in un qualche
modo contamina l'anima.
Ma questa contaminazione partecipata è una malattia e non una
colpa in sé, come Tommaso espressamente insegna (S. th. 1-11,
q. 8r, a. 1). Perciò deve essere qualcosa come un'attività che rende
colpevole l'uomo che nasce. Questa attività non proviene da Dio
e neppure dall'anima stessa, per conseguenza deve venire da Ada-
mo. Quindi Tommaso cerca la soluzione non nella comune natura
umana semplicemente, ma nella concreta comunione di persone.
Tutte insieme costituiscono per cosl dire un unico corpo, un'unica
persona collettiva. Come la mano con cui uno commette un assas-
sinio è colpevole a causa dell'impulso della volontà, cosl il disor-
dine in ciascun uomo è uno stato peccaminoso, poiché la volontà di
Adamo muove ciascun uomo motione generationis (S. th. I-II, 81,1 ).
Teologi posteriori sostituiscono la spiegazione di san Tommaso
con un modo di considerare più giuridico: Dio ha concluso con
Adamo un patto secondo il quale egli è responsabile della salvezza
dei suoi discendenti; Adamo è nostro rappresentante e perciò la
nostra azione e la nostra volontà sono incluse nella sua.
Ciò porta facilmente alla conclusione che la nostra colpa sia per-
tanto solamente la colpa di Adamo, la quale viene imputata a noi,
come al tempo del Tridentino insegnano i teologi PrGGE e CATARINO,
i quali con ciò instaurano un parallelismo con la tesi dottrinale pro-
testante della «giustizia imputata» (ns 1513).
Di fronte a queste considerazioni giuridiche si sviluppa poi più
tardi, in parte sul fondamento di un nuovo contatto con i padri,
una nuova reazione. Diversi teologi vogliono vedere in Adamo tanto
PECCATO ORIGINALE

il capo 'fisico' quanto il 'capo morale' della umanità, e ritornano


in parte di nuovo alla visione corp6rativa ·di san Tommaso. In
questo senso lo ScHEEBEN reagisce contro le negazioni razionali-
stiche di HEltMEs."
Un teologo del più recente passato, EMILIO MERSCH, vede in
conseguenza del principio dell'intera sua teologia, orientata piutto-
sto ontologicamente, la nostra comunione con il peccato di Adamo
come la contrapposizione della nostra comunione in Cristo. Attra-
verso la prima dotazione di grazia di Adamo la sua unione con noi
e la nostra unione con lui diventò più forte e intima - sebbene
non sia diventata ancora cosi grande, come doveva essere nell'uomo
Dio - , e l'unione nel peccato originale è la conseguenza negativa
di questa unione voluta da Dio nella «grazia originale». 24 Del resto
noi costatiamo il fatto che tanto· i teologi che vedono il vincolo tra
Adamo e noi soltanto in Dio, quanto anche quelli che indicano una
tale comunione di natura categoriale, distinguono sempre più chia-
ramente il peccato originale dal peccato personale e lo descrivono
sempre più come uno stato peccaminoso, spesso senza definirlo
come volontario.

e. Per la comprensione del peccato originale nella teologia riformai~

Nel sedicesimo secolo la dottrina del peccato originale incontra la


corrente di pensiero della Riforma e dell'umanesimo biblico. La
critica umanistica comincia già con ERASMO, secondo il quale la
dottrina del peccato originale non trova fondamento in Rom. 5; essa
progredisce nella posizione negativa di ZwINGLI, dei socm1ani e
della teologia illuministica, così che torna nuovamente in voga la
negazione pelagiana del peccato originale.
La critica presente in questa corrente, dell'esegesi storicizzante
del Genesi e della concezione biologica della ereditarietà del pec-
cato originale influì più tardi anche sulla «linea fondamentale del
pensiero <lei riformatori circa il peccato originale. Questa linea fon-

ZJ ~- .J. Sn1F.Fn1 s. H.mdbuch der leatholrschen Dor.mJtile, voi IV, spccialmcnu:


s 200.
14 E. M.-sc11. l..i 11>,;oiog1e du corps 11/)'Stique I, Paris 19-H. pp. 177-201.
SVILUPPO DELLA DOTTRINA

damentale incomincia in MARTIN LUTERO, il quale propugnò la


visione agostiniana mantenuta nella Scolastica pn:~alentemente dal
LoMBARDO, secondo la quale il peccato originale è da considerare
equivalente alla concupiscenza, essendo tolto nel battesimo solamen-
te il reatus culpae. Lutero dà rilievo energicamente alla corruzione
dell'uomo peccatore e alla sua totale impotenza per qualsiasi giu-
stizia davanti a Dio. Ambedue questi punti non sono tuttavia i più
importanti e la loro discordanza con la dottrina cattolica del pec-
cato originale, ad uno sguardo più attento, può essere probabilmente
ricondotta ad una diversità di risalto e di terminologia.
Decisivo per la comprensione di Lutero e del protestantesimo
classico è il peso esistenziale dell'esperienza della peccaminosità del-
l'uomo radicato nella sua vicenda della giustificazione. Questa espe-
rienza costrinse Lutero a intendere il peccato originale ç:ome cattivo
comportamento ·di fondo e fonte di tutte le azioni peccaminose.
Questo comportamento non è solamente innato e presente nel bam-
bino non battezzato, ma rimane nell'uomo anche dopo la sua giu-
stificazione, per cui la sua non colpevolezza viene spiegata attraverso
una non imputazione. Ii punto controverso con la teologia cattolica
non sta dunque in prima linea nel rapporto tra peccato originale e
concupiscenza, ma nella comprensione del luterano simul iustus et
peccator. Questa concezione di Lutero sostenuta anche da MELAN-
TONE, ha trovato la sua formulazione classica nel secondo articolo
della dichiarazione di Augusta: «Inoltre noi insegnamo che dopo
la caduta di Adamo tutti gli uomini nascono così naturalmente, sono
concepiti e generati nel peccato, cioè che tutti essi sono pieni di
desiderio e d'inclinazione malvagia fin dal ventre materno, che non
possono avere dalla natura nessun vero timor di Dio, nessuna auten-
tica fede in Dio, che anche lo stesso innato contagio e peccato ori-
ginale sono in realtà peccato e condannano rutti costoro all'eterna
ira di Dio, se non sono rigenerati attraverso il battesimo e lo Spi-
rito santo» ( BSLK 5 3 ).
Lo stesso discorso fa CALVINO, il quale pure dà rilievo al colpe-
vole atteggiamento di fondo come fonte di tutte I.: azioni pecca-
minose e vede presente la corruzione specialmente nell'intellet-
to e nella volontà umana (1 ns1i1111iones 1 r, r ,5-9 ). In questa con-
PECCATO ORIGINALE

cezione protestante, si manifesta in sr.ecial modo la connessione


dell'atteggiamento peccaminoso con la stessa naturn umana. Così
si comprende il fano che FLACIO ILLIRICO chiamasse questa dispo-
sizione la sostanza dell 't:omo, certamente in opposizione ad altri
teologi protestanti, i quali. secondo il suo punto Ji vista, considera-
vano il peccato originale come troppo accidentale. Anche se il ca-
rattere di colpa del peccato originale condurrà pii1 tardi ad una
presentazione esistenziale, que;;ro stretto lf"game rimane srabile. Il
peccato originale diventa il primo peccato, il peccato, senz'altro!'
L'origine da un'azione storica di un primo uomo e la eredita~ietà
attraverso la procreazione umana furono sempre messi in evidenza
nella teologia protestante meno che nella cattolica. Più cardi, con
l'abbandono dello storicismo e del fisicismo, questi punti furono
relegati quasi dcl tutto sullo sfondo o furono negati. Così per KARL
BARTH il concetto di un peccato originale è una contradictio in
adiec/o. Inteso rettamente questo peccato non è trasmesso per ere-
dità, ma proviene dal suo stesso soggetto; esso è «l'azione vitale di
ciascun uomo la quale si attua come sommamente volontaria, som-
mamente responsabile» ( KD IV/ 1,55 8 ).
La più recente teologia protestante sul peccato originale cerca,
con l'aiuto di categorie personalistiche ed esistenziali, di affermare
saldamente il peccato di fondo, e la bontà della creazione senza ca-
dere in contraddizione.lii

25 f;: significativo a tale proposito il fatto che alcune enciclopedie protestanti non
ci1ano il peccato originale sotto un vocabolo particolare. Cosi RE ( 3• ristrmpa del
1896), EKL (1956) e RGG (31957).
26 Così tra gli altri P. ALTHAUS, Die christllche Wahrheit. Lehrbuch der Do1.matile,
(Giitersloh 31952) 367·3n; E. BRUNNF.R, 'Die christliche Lehre von Schopfun~ und
Erlèisung', in Dogmatik u, Ziirich r950, pp. u6-125; R. PRENTER, 'Schi.ipfung und
Erléisung', in Dogmatik 1, Gotting 1960, pp. 237-244; P. TILLICH, Sy·stemulis<·he
Theologie 11, Stuttgart 1958, pp. 35-52. Da parte cattolica questa teologia protcstanie
del peccato originale fu prescn1ato da H. VoLK, Emi! Brunners Lehre von dem Sundtr,
Miinster 1950, pp. 40-43; 96-138; e l.. ScHEFFCZYK, 'Die Erhschuld zwischen Natu-
ralismus und Existentialismus', in MTZ 15 ( 1964) 17-57, specialmente 31-44.
DOTTIUNA DELLA OllESA 68~

3. La dottrina della Chiesa sul peccalo originale

a. Dichiarazioni pretridentine

La dottrina dei sinodi, muovendo da AGosn11:0, non ha bisogno di


essere trattata espressamente in tutto, poiché molto di essa fu ripre-
so quasi alla lettera dal concilio <.-cumenico di Trento. Questi primi
concili sono diretti contro Pelagio. Egli fu condannato nella Chiesa
dell'Africa romana innanzitullo nel sinodo provtnciale di Cartagine
dell'anno 418, il quale formulò otto (o nove) canoni, in cui fu
esposto il pensiero cattolico riguardo all'esistenza del peccato ori-
ginale e alla necessità della grazia. Essi formano in certo senso un
quadro antitetico alle tesi di Pelagio, così come furono riferite da
Agostino e da Mario Mercatore. Il primo canone stabilisce che la
morte per Adamo non deriva dalla sua natura, bensì è castigo per
il .suo peccato:
«Oiiunque osi affermare che Adamo, il primo uomo, sia stato
creato mortale, cosl che egli, sia che peccasse o no, doveva morire
nel corpo, cioè doveva separarsi dal corpo (ex corpore) non per
punizione per il suo peccato, ma per necessità di natura, sia sco-
municato» (DS 222; NR 206).
Di maggior portata è il secondo canone il quale afferma lo stato
peccaminoso degli stessi disccnden ti di Adamo ( os 2 2 3 ); esso è
stato ripreso dal Tridentino. I canoni seguenti (os 225/230) danno
rilievo alla necessità della grazia di Cristo per l'uomo decaduto e
con ciò ammettono la sua mancanza di libertà. Del concilio di Car-
tagirle nominiamo qui ancora solamente un terzo canone (os 224), il
quale, in sintonia con Agostino, e contro Celestio afferma che non
esiste per i bambini non batte1.zati un medius locus, uno stato in-
termedio tra paradiso e inferno, in cui essi possano trovarsi felici.
L'autenticità di questo canone è controversa; tuttavia essa è soste-
nuta da molti.
Papa Zosimo trovò giusta e confermò la decisione di Cartagine
(os 231). Finalmente il concilio ecumenico di Efeso nell'anno 431,
nelle sue definizioni cristologiche ha formulato anche un anatema
contro coloro che tenevano la parte di Celestio, il più noto e decisa-
686 PECCATO ORIGINALE

mente dichiarato seguace di Pelagio iA oriente (Ds 267 s.). Il con-


cilio di Efeso tuttavia non dà affatto in questa questione formula-
;doni dogmatiche.
Si trnvano però nel tempo che corre tra i concili di Cartagine e
di Trento 11ltcriuri importanti prese di posizione del magistero sul
peccato originale, come i canoni di Arausica nella Gallia meridio-
nale,· l'odierna Orangc, nell'anno 529. Si tratta ancora una volta
di un sinodo provinciale chi.: fu approvato dal papa (DS 398 s. ). Noi
rimandiamo ai primi due canoni, i quali affermano ancora una volta
secondo il concilio di Cartagine l'esistenza del peccato originale, ora
indicato come schiavitLI e morte dell'anima (os 37r s.). Il Triden-
tino ha assunto pure questo insegnamento.
Il peccato originale viene indicato indirettamente e in modo an-
cora più chiaro come una realtà interna alla nostra storia terrena,
quando la Chiesa riprova la concezione dualistica secondo cui le
nostre anime sarebbero esistite già prima del nostro corpo e sareb-
bero state congiunte con un corpo a causa di un peccato commesso
in questa preesistenza ( ns 40 3 ). Il carattere peccaminoso del pec-
cato originale nei discendenti di Adamo, cui aveva dato tanto rilievo
AGOSTINO, sta pure in primo piano quando negli anni 1 r 40 e 1 r 4 1
vengono condannate dal concilio provinciale di Sens in Francia,
d'accordo con papa Innocenzo 11 (DS 721) alcune tesi di ABELARDO,
tra cui la seguente: «Da Adamo non abbiamo ricevuto alcuna colpa,
mà soltanto un castigo» (os 728). Che il peccato originale sia una
colP.a e che perciò stesso meriti una punizione, è il punto di par-
tenza di una lettera di papa Innocenzo 111, nella quale però egli di-
stingue chiaramente questa colpa e questa punizione da quelle del
peccato personale: «Il peccato originale in cui si incorre senza con-
senso personale, \•iene pure condonato• ~enza consenso in forza del
sacramento; invece il peccato personale (peccatum actuale), che si
commette con consenso non viene affatto perdonato senza consenso
personale». «Il castigo del peccato originale è la perdita della visione
di Dio; il casùgo dei peccati personali invece è la tortura dell'infer-
no eterno» (os 780; NR 434).
Il secondo concilio ecumenico di Lione nell'anno r 274, trattando
dei novissimi, afferma la stessa cosa nel mentre denomina pure 'in-
IJOTTRINA llt:Ll.A CHIESA

ferno' (infernum), secondo il pensiero agostm1ano, questa perdita


della visione beatifica: «Le anime di coloro che muoiono nel pec-
cato mortale o anche solamente nel peccato originale, precipitano
subito nell'inferno, ricevendo tuttatria pene diverse» (ns 858; NR
843). Una dichiarazione uguale la leggiamo in una lettera di Gio-
vanni XXII agli Armeni (ns 926). In una sentenza dello stesso te-
nore di Benedetto XII (os 1002), il peccato originale veramente non
viene menzionato, ma il papa condanna l'opinione degli Armeni
secondo cui i figli di geni.tolli cristiani che muoiono senza battesimo
sarebbero ammessi in un paradiso terrestre (ns 1008), come anche
che il peccato originale non ci sarebbe veramente negli stessi bam-
bini (ns IOII; cf. anche ns 1073 ), e che l'atto di procreazione dei
genitori sarebbe peccato (ns 1012). Il concilio ecumenico di Firenze
ripete, nel suo decreto per i Greci, la dichiarazione del concilio di
Lione sul supplizio universale di coloro che muoiono in peccato
mortale o anche solamente nel peccato originale (ns 1306), e insiste
di nuovo sul peccato originale nel decreto per i giacobiti (Ds 1347).
Infine il concilio ecumenico di Trento ripete soprattutto la dottrina
dei concili di Cartagine e di Orange, ma la precisa e, contemporanea-
mente, la ordina più rigorosamente.n

b. Il Tridentino e le dichiarazioni posttridentine

Già per il fatto che il primo canone parla solamente di Adamo e


che soltanto i seguenti parlano dei suoi discendenti viene espresso
l'ordine più rigoroso di quegli elementi che il concilio di Trento ha
assunto dai canoni del concilio di Orange. Colpisce il fatto che lo
stato di Adamo prima del peccato viene presentato come uno stato
di 'santità e giustizia', ciò che indica il carattere soprannaturale di
questo stato. Questa formulazione subentra al posto della dichia-
razione del sinodo di Orange sulla perdita della libertà dopo la

Z1 Si possono seguire 1ninu111mcntc i verbali ncll'cdi1ionc: pubblicata da S. EHsES,


CT Y, 105-256. Vedi anche li. JEDIN. 11 (0'1cilio Ji r.~,,I•. Brescia 1962, Il pp. 147-192
' A. VANNESTE, 'La préhistoirc .Ju dtcret du concilc dc Trenre sur le péc~ origine!,
in NRT 86 (1964) Jn-}68; 490-j10; lo., Le dkrel Ju Com-ile Je Tre111t sur le
péché origi111~l. in NRT Bi ( 196') 688·i24; 88 ( 1966) '81-6o2.
688 PECCATO ORIGINALE

caduta (os 371), alla quale il Tridentino ha dato subito dopo la


necessaria precisazione. Come conseguf".nza per Adamo è nominata,
nella linea degli asserti precedenti, non solo la morte corporale, ma
anche la 'schiavitù del demonio': «Chi non confessa che: Adamo, il
primo uomo, dopo che ebbe trasgredito nel paradiso terrestre il
comando di Dio, perse immediatamente la santità e la giustizia in
cui era costituito e attirò su di sé per la offesa di questa caduta nel
peccato l'ira e lo sdegno di Dio e e.on questo la morte, che Dio gli
aveva in precedenza minacciato, e con la morte la schiavitù sotto il
potere di colui che dopo di ciò ebbe nelle sue mani l'impero della
morte, cioè il diavolo; e che Adamo tutto intero, in corpo e anima,
fu mutato in peggio per questa offesa della caduta peccamino.sa: chi
dunque non riconosce questo sia scomunicato» (os 1511; NR 221).
Il secondo canone estende ciò che fu detto di Adamo anche ai
suoi discendenti. Per questi discendenti Adamo ha perduto la san-
tità e giustizia, menzionate or ora, e li ha messi in uno stato di
morte e peccato: «Chi sostiene che la caduta peccaminosa di Adamo
ha danneggiato lui solo, non però la sua discendenza e che egli ha
perduto per sé solo, e non anche per noi, la santità e la giustizia
ricevute da Dio; oppure che egli, contaminato per il peccato di di-
sobbedienza, ha trasferito sull'umanità intera solamente la morte e
i castighi corporali, ma non anche il peccato, che è la morte del-
l'anima: costui sia scomunicato. Egli infatti contraddice all'apo-
stolo il quale afferma: ... (segue Rom 5,12 nella versione della Vul-
gata)» (DS 1512; NR 222).
Il terzo canone stabilisce, completamente sulla linea delle mas-
sime antiche, che il peccato originale può essere sanato soltanto per
i meriti di Cristo, che ci vengono comunicati attraverso il batte-
simo. In tale occasione è data una nuova descrizione dello stesso
peccato originale, nella quale alcuni elementi dei due precedenti ca-
noni risaltano ancora più nettamente, cioè la sua connessione con la
generazione e la sua esistenza in ogni singolo: «Chi afferma che
questo peccato di Adamo, il quale alla sua origine è uno e trasmesso
per generazione non per imitazione, è in tutti ed è proprio di cia-
scuno, può essere tolto con le forze della natura umana o tramite
un altro rimedio, invece che per il merito dell'unico mediatore, il
DOTTRINA lll'.1.1.A CHIESA

Nostro Signor<.• Gesi.1 Cristo, il quale ci ha riconciliati con Dio nel


suo sangue, poiché egli è divenuto per noi sapienza, giustizia, santi-
ficazione e rcdcnzio11<.!» ( 1 Cor. 1. 30 l; o chi nega che proprio questo
merito di Gesù Cristo è comunicato tanto agli adulti rnmt· ai bam-
bini. per mezzo dcl sanamentl> del battesimo l"l~ltamen!l· ammini-
strato nella forma della Chiesa, sia scomunicato. « Poichc\ non vi è
altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale possiamo avere
la sai vez:ll1 » (Aci. 4, 1 2 ). Perciò 4uclla parola «Ecco l 'Agncl lo di
Dio, che tnglie il pecrnto del mondo» (lo. r ,29), e quell'altra: «Tut·
ti voi, battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo» (Gal. 3,27 )».
( l>S I ~ I 3: NK 2 2 3 ),
Dopo che sono nominati Cristo e il battesimo cristiano, segue
un quarto canone sul peccato originale, in rapporto al battesimo dei
bambini. La sua formulazione è ripresa quasi interamente dal conci-
lio di Cartagine, tuttavia vi vengono apportate alcune precisazioni
più particolareggiate: anche i figli di genitori cristiani sono affetti
dal peccato originale; il battesimo è necessario e questo non sola-
mente per raggiungere il regno di Dio, ma anche per ottenere la
vita eterna; oltre a Rom. 5,12 è riportato contemporaneamente
lo. 3,5 e il battesimo dei bambini viene fondato su una tradizione
apostolica: «Chi nega che i bambini neonati debbano essere bat-
tezzati, anche se nascono da genitori battezzati; oppure chi afferma
che essi vengono certamente battezzati per la remissione dei pec-
cati, ma che nulla si tirano addosso di un peccato originale di Ada-
mo che debba essere cancellato nel bagno della rigenerazione per
raggiungere la vita eterna, da cui pertanto consegue che per essi la
formula del battesimo per la remissione dci peccati è intesa non nel
vero significato ma in uno falso, sia scomunicato. Poiché ciò che
l'apostolo ha detto: 'e quindi, come per un uomo il peccato è en-
trato nel mondo e per il peccato la morte, e la morte raggiunse tutti
gli uomini nel quale tutti hanno peccato' (Rom. 5,12), non si può
intendere altrimenti da come la Chiesa cattolica, ovunque diffusa.
lo ha sempre inteso. Per questa regola di fede infatti, secondo la
tradizione apostolica, sono battezzati anche i bambini i quali non
hanno personalmente potuto commettere ancora peccati, e pertanto
sono battezzati veramente per la remissione dei peccati, affinché in
+~ · M HIC'rium S<Jlulis, 11 / z
PECCATO OKIGINALE

essi per la rigenerazione sia purifica~o ciò che per la procreazione


hanno contratto. Infatti 'se uno non nasce da acqua e da spirito
non può entrare nel regno di Dio' (lo. 3,5)» (os 1514; NR 224).
In questi quattro canoni è riproposta tutta la dottrina degli anti-
chi concili in un modo più particolarmente precisato e più rigoro-
samente ordinato. Il quinto canone tocca un punto che, per causa
di LUTERO, aveva conseguito una nuova e forte attualità, e cioè il
rapporto tra lo stato precedente il battesi;no e quello seguente il
battesimo, a proposito della concupiscenza, e rispettivamente, della
sua colpevolezza. «Chi nega che attraverso la grazia di nostro Signore
Gesù Cristo, conferita nel battesimo, la colpa del peccato originale
sia rimessa oppure anche sostiene che non è tolto via tutto quello
che costituisce la reale e propria essenza del peccato, affermando
invece che questo viene solamente 'cancellato in modo superficiale',
oppure non imputato, sia scomunicato. Dio infatti non odia niente
in coloro che sono rinati, poiché 'non c'è più nessuna condanna per
quelli' che realmente 'sono stati sepolti insieme con Cristo col bat-
tesimo nella morte' (Rom. 6,4), 'i quali non vivono secondo la
carne' (Rom. 8,12), ma si sono spogliati dell'uomo vecchio e hanno
rivestito l'uomo nuovo che è stato creato ad immagine di Dio (Eph.
4,22 ss.; Col. 3,9 s.), e così, senza colpa, immacolati, puri, innocenti,
sono diventati figli diletti di Dio, eredi di Dio, coeredi di Cristo
(Rom. 8,17), in modo che proprio nulla più li trattiene dall'ingresso
nel cielo. Il santo concilio però riconosce e ammette che nei battez-
zati rimane la concupiscenza o I' 'esca'. Ma poiché essa è stata lasciata
per il combattimento, non può danneggiare coloro che non vi accon-
sentono, ed invece virilmente con la grazia di Gesù Cristo vi oppon-
gono resistenza. Che anzi: 'Chi lotta secondo la regola, riceve la
corona' (2 Tim. 2,,). Se l'apostolo chiama occasionalmente questa
concupiscenza peccato, il santo concilio dichiara che la Chiesa cat-
tolica non ha mai inteso la sua denominazione di peccato in modo
che in coloro che sono rigenerati ci sia realmente e propriamente
peccato, ma poiché essa deriva dal peccato e inclina al peccato. Chi
pensa il contrario sia scomunicato» (os I 515; NR 225).
Con ciò è esposta tutta la dottrina sul peccato originale. Il con-
cilio dichiara in un ultimo canone, che c<non è sua intenzione inclu-
DOTTRINA DELLA CHIESA

dere in questo decreto in cui si tratta del peccato originale, la beata,


immacolata vergine e genitrice di Dio, Maria>> ( os l 5 i 6 ). La sesta
sezione del Tridentino tenu-ta nell'anno 1547, richiama nel suo de-
creto sulla giustificazione la dottrina del peccato originale e la rias-
sume brevemente nel primo capitolo. Degno di nota è in esso il
principio che anche nell'uomo decaduto «la volontà (liberum arbi·
trium) non è affatto estima, anche se è indebolita nel vigore e incli-
nata (al male)» ( os 1 52 r; 155 5 ): anche qui di nuovo il rifiuto di
una tesi di Lutero.
Per il tempo che segue al Tridentino è importante la dottrina di
BAIO circa il carattere peccaminoso del peccato originale nel bam-
bino. Egli spiega che non appartiene all'essenza e definizione del
peccato l'aspetto 'volontario' (voluntarium) (os 1946), per cui il
peccato originale nel bambino ha realmente in sé l'essenza del pec-
cato, senza alcuna relazione e riferimento alla volontà da cui esso
ebbe origine (ns 1947 ). D'altra parte egli lo dice volontario anche
nel bambino per un atteggiamento abituale della volontà (os 1948);
questo atteggiamento della volontà fa sl che il bambino, se muore
senza battesimo, porti odio a Dio nell'altra vita (os 1949). Qui il
dato naturale della concupiscenza stessa è inteso come peccato, sen-
za che per questo sia necessaria una libera volontà, nemmeno la
volontà di Adamo. Queste tesi furono respinte insieme a molte altre
da Pio v nell'anno 1567. Più tardi fu condannata anche la tesi gian-
senista secondo cui «l'uomo deve fare penitenza per il peccato ori-
ginale per tutta la sua vita» ( os 2 319 ). In seguito il peccato origi-
nale fu nominato incidentalmente in una condanna degli scritti di
GIORGIO lliRMES da parte del papa Gregorio xvi (os 2739). Il
Vaticano primo non è più arrivato ad occuparsi delle decisioni dot-
trinali circa la caduta, che esso aveva preparate. In campo pratico
papa Pio x1 richiama il peccato originale nella sua enciclica sull'edu-
cazione. Dai pericoli che sono connessi con una rinnovata interpre-
tazione teologica del peccato originale, mette in guardia Pio Xli. Nel-
l'enciclica Humani generis egli dice che «si falsifica il concetto del
peccato originale, se si trascurano le definizioni tridentine» ( os
3891 ). Nella medesima enciclica si richiama inoltre l'attenzione sul
fatto che non è evidente come la dottrina cattolica circa il peccato
PECCATO 011.JGINALE

originale sia compatibile con l'affermazione che l'umanità derivi da


pili di una sola coppia di progenitori (ns 3897 ).

c. Conclusione

Secondo i princ1p1 dell'ermeneutica, per una retta comprensione di


asserzioni dottrinali del magistero è sempre da considerare che in·
sieme con esse vengono espressi contemporaneamente determinati
presupposti. Se questi sono necessari per il contenuto della defini-
zione noi li dobbiamo accettare come implicazioni della stessa. Ma
se i presupposti appartengono solamente alla conce:i:ione storica del
mondo e dell'uomo nel quale è stata fatta una determinata defini-
zione, essi sono da separare da quellR. Alla luce di questo principio
sarà ora esposto in alcuni punti il contenuto delle definizioni con-
cernenti il peccato originale or ora ripresentate.

aa. Il concilio di Cartagine afferma (ns 223), e il Tridentino ri-


pete (ns 1515) che la dottrina del peccato origirntle è da trovare
nelle parole di san Paolo in Rom. 5,12, le quali vengono riferite
tutte e due le volte nel testo della Volgata e quindi con la tradu-
zione oggi criticata: in quo omnes peccaverunt. Queste non possono
essere interpretate altrimenti da come «la Chiesa cattolica, ovunque
diffusa, sempre le ha intese». A tale riguardo può essere innanzi-
tutto notato che ambedue i concili fanno sl questa osservazione in
un canone, ma sempre dopo 1'a11athema sit. Essa perciò è intesa
evidentemente piuttosto come une motivazione giustificativa della
condanna comminata, piuttosto che come incerpretazione autentica
imposta con l'anatema. È possibile che i padri di tutti e due i concili
fossero della opinione che tutta la Chiesa avesse condiviso l'inter-
pretazione agostiniana dell'in quo omnes peccoverunt (in questo
caso essi non avrebbero perciò conosciuto l'esegesi greca). Ma ciò
che essi esplicitamente affermano non è niente di più dcl fatto che
nel versetto citato di Rom. 5,12 (il quale può essere considerato
come un riassunto di tutto il passo 12-21) viene insegnato il pec-
cato originale. Se ciò avvenga proprio nella proposizione secondaria
in quo omnes peccaverunt, se Paolo insegni il peccato originale in
UOTTIUNA Dl!.LLA CHIESA

modo esplicito o implicito, se ciò avvenga solamente in Rom. 5, su


ciò niente viene deciso. 21

bb. Nelle definizioni del Tridentino, come anche in tutte le altre


decisioni del magistero, viene sempre supposto che caduta e pec-
cato originale stiano sul terreno morale-religioso, là dunque dove è
in gioco la nostra libertà. Non si tratta qui di un presupposto che
possa essere separato dalle definizioni stesse, ma, al contrario. di
un'implicazione sostanziale, senza la quale il discorso della Chiesa
su peccato, colpa, redenzione, giustificazione, ecc., verrebbe privato
del suo contenuto. La teologia classica ha rivolto tutta la sua atten-
zione a quelle modificazioni che, secondo il suo modo di vedere,
devon aver avuto luogo, con la caduta, nella 'natura' dell'uomo e
perfino senza la sua cooperazione. Si può così capire che queste
modifiche nella presentazione comune e specialmente nella loro ac-
cettazione da parte dei fedeli determinarono ampiamente in modo
unilaterale la comprensione del dogma del peccato originale. Così
ora avviene che coloro i quali da una concezione cosmico evoluzio-
nistica considerano questi mutamenti come propri di un mondo in
fieri, vogliono ridurre anche lo stesso peccato originale all'imperfe-
zione del nostro essere umano che si sviluppa. Il modo assai sobrio
in cui il Tridentino parla dei doni del paradiso terrestre e della loro
perdita, può insegnarci a rivolgere tutta l'attenzione al carattere
morale-religioso della caduta e dcl peccato originale.

cc. Lo stato di peccato originale viene chiamato dal Tridentino


'peccato' nei canoni 2, 3 e 4, e perfino 'colpa' nel canone 5. Da ciò
che in bb. fu osservato, si può concludere che qui peccatum non ha
significato di 'neo'. 'difetto di fabbricazione' o qualcosa di simile;
nel latino della teologia infatti già dai tempi di Agostino è detto
che il peccato originale non è solamente malum, ma inoltre (nei non
battezzati) peccat11m. li concetto di 'colpa' richiama inoltre l'atten-
zione sul fatto che esso non può essere ridotto ad una pura punizione

is Vedi la discussione ira I'. SPADAFORA. 'Rom 5.12: esegesi e riflessi dogmarici', in
Dn·ìmtas ~ ( 1960) 1lll)-29H ~ S. LvoNNET. 'I.e: péché origincl cn Rom. 5,12. L'Exégèsc
des Pères Grecs ..-1 (l.,. &.'crc:is d11 C.oncilc dc Trente'. in Biblica . .p ( 1Q6o) 12~-U5
PECCATO OIUGIN.\LE

per una azione peccaminosa o alla conlìeguenza di un atto colpevole,


ma che appartiene esso stesso all'ordine morale (d. il sinodo cli
Sens, os 721 ).

dd. 'D'altra parte il carattere qi peccato e di colpa del peccato


originale è diverso da •quepo dei peccati personali. Il Tridentino
assume qui la dottrina espressa nel concilio di Cartagine e in una
lettera di papa Innocenzo in (os 780). Secondo il Tridentino non
si può dunque ascrivere allo stato di peccato originale, il carattere
di un atto o di un 'habitus attivo' o di una per.sonate volunt.arietas
nel bambino (per lo meno durante la sua esistenza individuale). Il
problema circa la più precisa connessione dello stato di peccato ori-
ginale con la decisione della volontà degli uomini, circa le categorie
da applicarvi, rimane aperto; solamente il collegamento del peccato
originale con la caduta e la sua inerenza nel bambino non può
essere negata (di ambedue più tardi si tratterà ancora più partico-
lareggiatamente).

ee. Con lo stato di peccato originale è collegata la morte e la con-


cupiscenza. L'esistenza della concupiscenza non viene insegnata di-
rettamente, ma piuttosto supposta, poiché si vuole distinguerla dal
peccato originale stesso (adeguatamente o inadeguatamente); essa
rimane anche dopo la remissione del peccato originale (canone 5 ). La
mortalità o 'la morte' è descritta nel canone 1 direttamente come
conseguenza della caduta e con ciò come collegata con lo stato di
peccato originale. Che qui 'morte' non sia intesa nel significato com-
pleto della Bibbia, ma in quello particolare cli 'morte corporale',
risulta dal canone 2, dove essa è contrapposta «al peccato stesso
che è la morte dell'anima». Con ciò il Tridentino si allinea con il
primo canone di Cartagine sopra citato ( os 222 ). È degno di nota
tuttavia che il Tridentino nella descrizione della immortalità e ri-
spettivamente della mortalità di Adamo, non fa parola dei dettagli
più minuziosi del primo canone cli Cartagine. Un'esauriente esposi-
zione dei doni della innocenza originale e la loro perdita non erano
ancora dibattuti. Anche oggi l'indagine teologica su questo punto è
ancora aperta.
DOTTllJNA DELLA CHIESA

ff. Il peccato originale è da attribuire al soggetto e perciò an-


che è nel soggetto come uno stato a lui proprio: omnibus inest uni-
cuique proprium (canone 3 ). Ciò è diretto contro la dottrina di
P1GGE e di altri che sostenevano che esso sarebbe solamente impu-
ta tu da Dio. Se oggi qualcuno volesse situare il peccato originale
nell'ambiente che circonda il soggetto, non sarebbe condannato diret·
tame;·n•e da questa sentenza del Tridentino, poiché questo problema
non era allora ancora in discussione. Tuttavia si deve affermare che
un tale modo puramente esteriore di considerare il peccato origi-
nale è contrario ad un'essenziale implicazione del Tridentino e a
tutta la dottrina ecclesiastica, poiché altrimenti il peccato originale
non avrebbe sicuramente delle conseguenze per l'altra vita. Se pe-
rò dei teologi interpretano l'essere-situato come una determinazione
interiore e esprimono in modo corrispondente il peccato originale,
in questo caso essi non vanno contro il Tridentino il quale intende
in modo simile per lo meno ciò che riguarda il rapporto tra il pec-
cato originale e il suo portatore.

gg. Questo stato di peccato originale è universale. Già il conci-


lio di Orange parla della discendenza di Adamo e di «tutto il ge-
nere umano» (os 372). Il Tridentino vi si allinea nel canone 2;
esso inoltre precisa l'universalità del peccato originale, mentre da
un lato lascia spazio per la immacolata concezione di Maria (ca-
none 6), e, d'altro lato, insegna che il peccato originale è presente
nei bambini «anche se essi nascono da genitori battezzati» (cano-
ne 4). È con ciò dichiarata un'universalità assoluta del peccato ori-
ginale? Probabilmente si può asserire che tutta la dottrina dcl pec-
cato originale è definita per riguardo al battesimo: il canone 4 dke
appunto che anche i bambini di genitori cristiani devono essere
battezzati per la remissione dei peccati. Per il tempo in cui il batte-
simo ancora non esisteva, la definizione non direbbe niente. Ma
al contrario si deve notare che al tempo di Maria sicuramente il
peccato originale esisteva, altrimenti la sua immacolata concezione
non sarebbe un'eccezione. È chiaro però che l'universalità del pec-
cato originale per ii concilio e per tutto il pensiero della Chiesa
è limitato dalla caduta. Con Adamo anche Eva è entrata nel mondo
PICCATO ORIGINALE

immacolata: nessuno interpreta questa affermazione come una nega-


zione dell'universalità del peccato originale. Se qualcuno pertanto
considerasse la caduta altrimenti, per es., come uno sviluppo sto-
rico progrediente a mano a mano, questo non può venir senz'altro
respinto sulla base dell'universalità dcl peccato originale inscgnata a
Trento (sia pure grazie alle sue fonti in Rom. 5 ). ~ assolutamente
possibile che un'opinione del genere venga in conflitto con il dogma
del peccato originale per altri motivi, ma 110n si pone, almeno non
si pone direttamente, in contrasto con l'affermazione dell'universa·
lità del peccato originale, poiché questa fu sempre interpretata come
una universalità dopo la caduta.

hh. Il peccalo originale si contrae ge11eratùme (canone 4), esso


dunque è propagatfom•, non imitatione trans/usum (canone 3 ). Es-
so si attua pertanto attraverso la procreazione. Sebbene a questo
riguardo alcuni termini, come ad esempio il testé citato trans/usum,
abbiano una risonanza considerevolmente fisica, il Tridentino for-
malmente non insegna un influsso fisico e con ciò neppure una
causalità diretta dell'atto generativo. La procreazione viene menzio-
nata per rendere chiara l'esistenza del peccato originale anterior-
mente all'influsso di cattivi modelli e prima di ogni decisione: con
esso l'uomo inizia la sua esistenza. L'affermazione che l'atto procrea-
tivo produca per se stesso solamente il nuovo uomo, il cui stato di
peccato originale sia però da riferire alla determinazione concreta
della umanità storica, è un'opinione che certamente si allontana da
diversi autori scolastici, ma che non si pone in contrasto con la
dottrina del Tridentino, perché questo non ha determinato più in
particolare il rapporto causale tra procreazione e peccato originale.

ii. La fonte del peccato originale è il peccato di 'Adamo'. Specu-


lazioni scolastiche che il primo peccato di Adamo da solo - non
peccati di Eva o ulteriori peccati di Adamo - cansil il peccato
originale, non si possono trovare nella dottrina dcl Tridentino.
Certamente questo concilio parla solo di Adamo. La questione se ci
siano stati uno o più progenitori, non si poneva ancora allora; ri-
mane perciò possibile che il ruolo di un solo progenitore sia sol-
P<JTTKINA DELLA CHIESA

tanto un presupposto che può essere staccato dalla dottrina che i


bambini vengono al mondo già con il peccato e con il bisogno di
redenzione. Ma il Tridentino non afferma pure qualcosa di più, per
cui il monogenismo diventa elemento essenziale del peccato origi-
nale? Come si devono intendere le parole origine zmum, unico al-
l'origine, che sono <lene del peccato originale nel canone 3? Con
queste parole il concilio vuole respingere la teoria di Pigge, secondo
cui il peccato originale numericamente è uno solo e non molte-
plice, in quanto esso nei discendenti di Adamo non è una realtà,
ma ad essi vien<: ~olamente imputato. «Soltanto la teoria sostenuta
da Pigge circa l'unicità numerica del peccato originale ... è condan-
nata chiaramente nel canone p>. 19 «Ln formula intende dire: il pec-
cato originale negli uomini singoli. non è numericamente uno, la
sua unità è posta piuttosto nella sua origine. Sulla natura di que-
sta unità Jell'originc il concilio non si esprime» ..111 Perciò l'opinio-
ne che anche i peccati di altri progenitori siano stati d'influsso sul
peccato originale dei bambini - una opinione che i padri del con-
cilio tridentino credevano si trovasse in AGOSTINO - non sta in
alcun modo in contraddizione con l'origine unum. Un influsso da più
che da un solo progenitore. e perciò il poligenismo, rimane estraneo
alla prospettiva dei padri del concilio di Trento, tuttavia poiché es-
si non vollero dire altro di più del fatto che l'unità del peccato
originale è da trovare solo nella sua origine. non presentarono da
credere come tale quell'idea che essi avevano su questa origine. Se
l'enciclica Humani generis cita la dottrina del Tridentino, da una
parte tuttavia non viene poi citata letteralmente la formula stes-
sa ol'igine unum e, <l'altra parte, se ne deduce solamente che non è
chiaro come il poligenismo si possa conciliare con la dottrina del
peccato originale (del Tridentino) (non dunque che è evidente che
le due cose siano inconciliabili). Una ragione immediata per di-
chiarare il monogenismo dottrina <li fede: non si può trovare nel
Tridentino.
Una tale ragione non si può trovare neppure nelle dichiarazioni

H. JF.DIN, Il Co11cilm di /'u1110, Brcsd:1 19l>l, 11 p. 189.


:!'>
"' !'. SMurn~w .. T!J<•o/ov1' rmJ l.~''"illtr<-rt, Essen 1961, p. zz~. norn 176.
PECCATO OllGINAU

dottrinali dell'ultimo secolo, quando s.'incominciò a porre la que-


stione 'monogenismo o poligenismo'. Il Vaticano primo preparò un
canone che condannava semplicemente il poligenismo: cSi quis
universum genus humanum ab uno protoparente ortum esse nega·
verit: anathema sii». Questo canone però non fu mai promulgato,
cosl che il magisterium extraordinarium non si è pronunciato nep-
pure allora rispetto al monogenismo.li
Consideriamo ora il testo dell'enciclica Humani generis; esso si
esprime come segue: cSe però si parla di un'altra ipotesi, del cosid-
detto poligenismo, allora non si addice più ai figli della Chiesa la
stessa libertà. I credenti infatti non possono sostenere quell'opinio-
ne i cui patrocinatori vanno affermando che dopo Adamo sono
esistiti sulla nostra terra autentici uomini, i quali non ebbero da
lui, quale progenitore di tutti, la loro origine tramite una genera-
zione naturale, oppure che 'Adamo' significa una pluralità di pro-
genitori. Non è infatti affatto evidente come un'ipotesi del genere
si possa comporre con quanto le fonti della verità rivelata e gli atti
dcl magistero insegnano sul peccato originale, il quale ha la sua
origine nel peccato commesso veramente dall'unico Adamo e, tra·
smesso a tutti per generazione, è intimo ad ognuno come peccato a
lui proprio (DS 3897; NR 205b).
Qui dunque si proibisce di dichiarare il poligenismo sentenza li-
bera, ma d'altra parte (probabilmente a causa di un tardivo muta-
mento dd testo di questo passo) non viene tuttavia affermato co-
me motivo, che poligenismo e dottrina. del peccato originale siano
inconciliabili, ma si dice in una formula che rimane ancora aperta:

JI a. P. SMULDEIS, Theologie und EllOl11tion, p. 2,0, nota 228: cFu già espressa
l'opinione che il monogenismo sia dottrina di fede e proprio in bue .U'autoriù dci
vescovi che paneciparono al concilio Vaticano primo. Fu infatti proposto di definire
che '1u110 il acnerc umano discende dall'unico Adamo' (Mansi n,236) e dci ses-
santa VC"SCOVi che si pronunciarono su ques10 pro~uo nessuno sollevò obiezioni con-
tro questa parie dello schema. Una prova impressionante per la convin2ionc dci ve-
scovi. Una considerazione più accurata però fa dubitare. I vescovi avevano l'intcn-
nonc di in)Cgn.uc che l'umanità ~ una, di fronte ad una 5Clllcma per la quale i
negri o gli indiani non erano considerati come autentici uomini, nostri simili: cii
1tt20 dogma. che ••iene proclamato, è l'unità dcl genere umano• (212; d. anche DS
212 3). 1n modo dd 1u1to OV\'io cui espressero questa domina con la formula del-
l'unico progenitore. Forse una discussione portala più avanti avrebbe dininto tra la
dottrina e qun10 modo di presentarla.
DOlTRINA DELLA ClllESA

non è ancora chiaro come le due cose siano da conciliare. Esiste


nel caso la possibilità che l'inconciliabilità venga dimostrata; ri·
mane però anche la possibilità che il monogenismo non si possa
presentare come una parte essenziale della dottrina del peccato
originale. Certamente in favore del monogenismo parla la prae-
sum ptio, dal momento che da sempre era intrecciato intimamente
con la dottrina ecclesiastica del peccato originale. Spetta a coloro
che vogliono separare l'una dall'altra le due cose l'onere della dimo-
strazione, ma non è impossibile che essi portino le prove e non c'è
alcun motivo per rendere ad essi impossibile a priori questo ten·
tativo.
SEZIONE QUINTA

PECCATO ORIGINALE E PECCATO DEL MONDO

La storia del pensiero cattolico riguardo al peccato originale abboz-


zata nella sezione precedente, mostra un quadro abbastanza uni-
tario, che noi per amore di semplicità possiamo chiamare la dot-
trina classica del peccato originale. Non è proibito rinnovare que-
sta dottrina classica in corrispondenza all'ambito dell'odierna pro-
blematica teologica, se il dogma della Chiesa vi rimane intatto, e
questo può certamente apparire in una luce nuova in conseguenza
di un simile rinnovamento, come corrisponde alla storia di ogni
verità rivelata. Un simile rinnovamento può derivare già da una
approfondita riflessione filosofica delle relazioni intramondane; cor-
risponde però piuttosto al pensiero teologico, se a tale scopo ven-
gono portati in campo contemporaneamente nozioni rivelate. In
questo senso si vuol qui attuare un tentativo di rinnovamento della
dottrina del peccato originale basandosi soprattutto sulle dichiara-
zioni della sezione terza riguardo al peccato del mondo. Secondo la
nostra concezione è possibile avere una spiegazione teologica del
peccato originale, se si tiene conto di quanto fu esposto circa l'esse-
re-situato a causa del peccato di altri. Ma rimane inoltre sempre an-
cora aperta la questione se quanto fu detto circa il peccato del mon-
do debba venir semplicemente aggiunto alla dottrina classica sul
peccato originale, oppure se debba essere assunto in sé interamente
da questa. Ambedue le possibilità devono venir qui discusse.

I. Il peccato originale come un essere-situato

Secondo le decisioni dottrinali ecclesiastiche il peccato originale è


uno stato negativo dell'ordine morale, il quale condiziona interior-
mente ogni uomo, e, da una parte, viene chiamato «peccato» e «col-
pa», d'altra parte però viene distinto da ogni peccato e colpa perso-
PECCATO OllGIHALE I PECCATO Dl!.L MONllO
702

nali. Queste determinazioni del peccato originale possono però ve-


nir riassunte dal fatto che si possono descrivere come essere-situato.
Con l'uso di questo concetto risulta infatti possibile delimitare il
peccato originale tanto dall'ambito del meramente-naturale, non-
ancor-morale, quanto da quello della decisione personale. L'esser-
situato peccaminoso, come sopra fu descritto, non è appunto un
fatto puramente naturale, ma esso deriva dalla storia, da libere
decisioni peccaminose. D'altra parte queste de..:isioni non sono
quelle della persona stessa cosl situata, in modo che questo essere-
situato non è una condotta peccaminosa, non un habitus attivo.
C.Ome fu già mostrato, l'essere-situato è un momento determi-
nante interiormente il soggetto, il qual momento corrisponde alla
sua situazione, all'ambito che lo circonda. L'essere-situato perciò si
accorda perfettamente con la realtà che il peccato originale è inhae-
rens e unicuique proprium. Esso fu descritto già anche come deter-
minazione negativa, il che s'accorda con l'affermazione che il pec·
cato originale significa una mancanza della vita di grazia e quindi
un'impotenza ad ogni azione buona soprannaturalmente, poiché
manca l'amore soprannaturale che porta le nostre forze naturali al-
l'integrazione. Al contrario la concezione del peccato originale come
essere-situato sembra a prima vista contraddire alla terminologia
ecclesiastica, in cui esso viene detto «peccato» e «colpa:11>. Tuttavia
si deve considerare che questo «peccato» e «colpa. vengono acuta·
mente distinti dal peccato e dalla colpa personali, derivanti da una
propria decisione. La contraddizione esiste solo riguardo alla volon·
tarietà ( voluntarielas) del peccato originale, se lo si vuole nominare
un essere-situato. Quella però non è un termine ecclesiastico, ma
teologico per descrivere il peccato originale. Del resto anche la teo·
logia, almeno dopo la scomparsa di un realismo esagerato riguardo
agli universali, il quale per un certo tempo influenzò la dottrina
dd peccato originale, non attribuisce al peccato originale alcuna
volontarietà nel senso pieno. Il peccato originale del bambino se-
condo i teologi è solo e volontario per la volontà di Adamo» ( vo-
luntariMm ex voluntale Adami), ma non per decisione propria dcl
bambino stesso. Questa formula analogizza intanto il concetto della
volontarietà fino al punto in cui esso perde il suo contenuto, in
PECCATO ORIGINALE COME UN ESSl!aE·SITUATO

modo che si dovrebbe più giustamente parlare di punto zero della


volontarietà piuttosto che di un minimo di volontarietà! Cosl si
può comprendere che alcuni autori nella presentazione dello stato
di peccato originale passano sotto silenzio la volontarietà del pec-
cato originale. Ma se noi interpretiamo il peccato originale come
essere-situato, non viene solo negata la sua volontarietà in senso
proprio, ma è implicato pure il collegamento con una risoluzione
volontaria nella storia dell'umanità. Perciò viene salvata la vera
esigenza della poco felice formula volontarium ex voluntate Atiami
- e in verità meglio che in quella formula - , qualora si intenda
il peccato originale come un modo d'esistere situato proveniente
dalla volontaria decisione di Adamo.
L'interpretazione del peccato originale come essere-situato può
valere come tentativo di mediazione m:. la visione naturalistica,
e essenzialistica, da una parte, e una visione personalistica, o esi-
!itenzialisrica dall'altra. Nella nostra presentazione l'esistenza segna·
ta dal peccato originale viene univocamente delimitata rispetto a
ogni peccato personale. Come già accennato, alcune dichiarazioni
dottrinali della Chiesa distinguono tra •peccatum oriRinale• e cpec·
catum actuale•. Ciò è deplorevole in quanto si tralascia il •pec·
catum habitU4le'!- Poiché il peccalo abituale appartiene al peccalo
personale e non al peccato originale. Si può certo definire lo sta-
to di peccato originale come un habitus passivo, tuttavia questa
terminologia è problematica nella misura in cui l'habitus deve ve-
nir concepito ontologicamente come l'elemento dell'agire che rimane
nel soggetto e per questo sempre come qualcosa d'attivo.
Ma ogni habitus attivo implica una condotta personale e volon-
taria, e appunto il peccato originale non lo è. Con ciò viene tirata
una linea di separazione tra la concezione del peccato originale,
quale si è sviluppata nella teologia cattolica nonostante il punto di
partenza agostiniano e nonostante i termini «peccato• e ccolpu,
e l'interpretazione propria dei riformati ed esistenzialistica del pec-
cato originale inteso come condotta peccaminosa di fondo. Ciò che
in questa presentazione viene detto circa una condotta peccaminosa
di fondo dell'uomo, dovrebbe venir riconosciuto dal pensiero cat-
Pf.C:CATO ORlGINAl.I'. F. PECCATO DEL MONDO

tolico certamente p1t1 che di consue.to; rimane problematico frat-


tanto il congiungimento da parte dei riformati di questa condotta
peccaminosa <li fondo con il peccato originale, come anche l'inter-
pretazione della sua consistenza con l'essere giustificato dell'uomo.
Nel! 'esposizione della seconda sezione noi abbiamo cercato di te·
ner conto della fondata esigenza propria della teologia riformata.
Qui si deve ora metter in rilievo che il dogma Jd peccato originale
contiene nei suoi confronti un qualcosa di più: esso parla non solo
di una condotta di fondo dell'uomo peccatore. bensì anche di uno
~tato, di un modo d'esistere, che precede appunto il sorgere di una
propria condotta attiva e che avvolge tutte le decisioni personali.
Appunto ciò vien espresso. quando si definisce il peccato originale
come un essere-situato. Detto più precisamente, si tratta di un es-
&ere-situato esistenziale (existential) e non solo esistentivo (existen-
tie/): quest'ultimo risulta contemporaneamente dalla situazione ester-
na e dalla presa di posizione interna, il primo invece come tale
risulta solo dalla situazione esterna, è un puro essere-situato e un
venir-situato, che precede ogni situarsi-personale.
Si potrebbe ora obiettare certamente che un tale essere-situato
esistenziale (existentiall non c'è mai puramente per sé; poiché l'uo-
mo, anche al suo inizio, non è mai pura esistenza passiva, ma è an-
che sempre esistenza personale. Ciò è esatto. Però non dice nulla
contro la dis•inzione sopra presa tra peccato originale, quale puro
essere-situato, e peccato personale il quale deriva da una risolu-
zione propria. L'obiezione afferma solo che il peccato originale non
è a noi presente puramente per sé nell'uomo, e chiarisce così la
vecchia dottrina secondo cui peccato originale e peccati personali
non possono semplicemente venir addizionati. li peccato originale
è sempre solo un momento nell'intera esistenza dell'uomo, che si
trova all'inizio della vita; l'altro momento è la sua personale presa
di posizione, in parte peccaminosa, in pane redenta."

12 Ovviameme ques1a presa di posizione, m quanto si oppone già come redenta


all"essere-siiuato caratterizzato dal peccato oriitin:1lc. è: po~ihilc solo tramite la grazia
e proprio 1ramite la grazia che per la volontà sah-ifica uni\•crsale di Dio e per la
redenzione universale di Cristo prepara al ba11esimo. Per questo il battesimo è ri·
chicslo non solo dallo stato di peccato originale di 011ni uomo - questo argomento
ecclesiastico rimane in vita - . ma anche dalla 11razi~ 5tcssa. C'he nel sacramen10 trova
PECCATO OllIGINALE COME UN ESSERE-SITUATO

Con ciò il peccato originale è delimitato contro un'interpreta-


zione personalistica ed esistenzialista, che lo riduce a una specie
di peccato personale. Ciò però non significa che le categorie per-
sonali siano ora da sostituire con quelle naturali, come purtroppo
è il caso nella tendenza finora dominante della teologia cattolica
sul peccato originale. L'essere-situato determinato dal peccato ori-
ginale, come noi l'abbiamo descritto, precede in verità la presa di
posizione personale del portatore dcl peccato originale, essa appar-
tiene però essenzialmente all'ambito (inter)personale poiché risulta
da decisioni personali (di altri). Per questo non si può presentare
il peccato originale come un fattore biologico della natura, per
salvarne la realtà, poiché così esso non apparterrebbe più al re-
gno del peccato e perderebbe il carattere etico religioso, che la
Chiesa gli attribuisce. Certamente nella Scrittura non si trova al-
cun punto di appoggio per una comprensione biologica o naturale
del peccato originale.
La concezione classica di uno stato primitivo precedente al pec-
cato originale serve sicuramente a contrassegnare l'entrata del pec-
cato nell'umanità come fatto storico. Conformemente a ciò anche il
progresso della forza del peccato entro l'umanità non è forse da
interpretare storicamente e personalisticamente, e non biologica·
mente? La concezione opposta porta con sé il pericolo di un'inter-
pretazione evoluzionistica dell'esistenza determinata dal peccato ori-
ginale, il che fu rifiutato già riguardo al peccato in genere. Con ciò
non deve venir contestato che il modo d'esistenza caratterizzato dal
peccato originale si collega con l'imperfezione dell'umanità in evo-
luzione e di ogni singolo uomo ;,, fieri, in modo da formare un com-
plesso di debolezza e caducità. Ma da parte cattolica si deve tutta-
via tener fermo che appunto nell'uomo in evoluzione è presente più
della sola naturale caducità, che in lui è presente uno stato di pec-
cato a causa del quale egli abbisogna non solo della maturazione,
ma anche della redenzione: ciò come sembra, vien espresso nel
modo migliore quando il peccato originale viene inteso come essere-
situato esistenziale (existential) tramite i peccati personali di altri.
il suo apice e la sua conferma· d. K. RAHNEI. Pusonalt' unti soltrarnt'ntalt' Frorn-
rn1iltei1, io Schriftt'n 11. pp. 115-141.
706 PECCATO ORIGINAI!!: E PECCATO NEL MON!J1

La nostra concezione è un tentativo di mediazione tra natura-


lismo e personalismo, essenzialismo ed esistenzialismo, che non solo
evita ambedue gli estremi, ma che fa posto anche alle esigenze di
tutti e due. Esso evita, da una parte, la riduzione del peccato ori-
ginale al peccato personale abituale e ciononostante lo fa apparte-
nere all'ambito personale; d'altra parte esso evita una riduzione
del peccato originale a un processo naturale, ma, nello stesso tem-
po, ammette che esso è un dato di fatto che precede la presi\ di po-
sizione personale di ciascuno. E così potrebbe esser percorso sostan-
zialmente il retto sentiero dell'interpretazione.
Inoltre l'essere-situato del peccato originale può venir interpre-
tato in due modi diversi: È possibile conservare la dottrina clas-
sica del peccato originale, in quanto essa contiene l'influsso quali-
tativamente proprio di un peccatore primo cronologicamente (Ada-
mo), e di completarla con ciò che qui fu detto circa il peccato del
mondo. Tuttavia è ugualmente possibile assumere in pieno la dot-
trina classica del peccato originale in modo pieno nella rappresen·
tazione del peccato del mondo, or ora sviluppata. Tutte e due le
possibilità devono qui venir abbozzate, senza fare una scelta vinco-
lante (anche se apparirà un'inevitabile preferenza!).

2. Il peccato originale, completato dal peccato del mondo

La dottrina del peccato originale nella teologia classica sta accanto


a una riflessione riguardante il peccato personale del singolo, la
quale vien per lo più presentata solo nella teologia morale. Da
tutto ciò a stento si deduce qualcosa di essenziale per la teologia
del peccato. Soprattutto non viene posto il problema di una teolo-
gia della storia del peccato. La teologia ·tradizionale delle scuolt
considera troppo poco la volontà salvifica universale di Dio; tra-
scura quasi completamente l'attuazione storica di questa volontà
nello spazio esistente fuori di Israele e della Chiesa, e così essa non
scorge nemmeno una storia del peccato in tale ambito. Qui si pre-
senta l'occasione di una prima integrazione: Tra Adamo e Abramo
esiste una storia della salvezza e della perdizione; di fronte alla
PECCATO OlllGINALE COMPLETATO DAL PECCATO DEL MONDO

permanente offerta di salvezza di Dio ha guadagnato in potenza an-


che il peccato una volta entrato nel mondo, «perché tutti peccaronoi.
(Rom. 5,12).
Questa storia della salvezza e della perdizione non si svolge solo
nel tempo precedente l'impresa salvifica di Dio per Israele, ma an-
che ora al di fuori dell'ambito del cristianesimo. Inoltre la rifles-
sione teologica deve valere anche per i peccati in Israele stesso, i
quali accaJono «con una trasgressione simile a quelle di Adamo»
(Rom. 5,14), e come «molte cadute» hanno preceduto la giustifi·
cazione operata da uno solo (Rom. 5,16). ,
Nella stessa morte di Cristo in croce appare in questo modo in
prima linea il peccato di quelli che lo rifiutarono e perciò il signi-
ficato salvifico della morte in croce ·e della resurrezione ricevono un
aspetto ancor più paradossale di quando esso, come succede al so-
lito, vien confrontato solo col peccato della prima coppi.a umana.
Che con il peccato di Adamo trapassino ai figli anche peccati di
antenati successivi è un'opinione che AGOSTINO ebbe presente co-
me dubbia, che fu sostenuta nel Medioevo, e fu menzionata nel
concilio di Trento e che non fu mai oggetto di condanna." Si può
completare con questa teoria la dottrina del peccato originale, non
restringendo l'influsso dei successivi peccatori ai loro soli discen-
denti biologici. Ci sembra addirittura che la dottrina del peccato
originale si debba completare in questo modo. Se l'influsso di Ada-
mo sui suoi discendenti attua uno stato, che non appartiene solo
alla natura, bensl all'ordine morale, questo !!tesso influsso deve
estendersi per vie morali. La sopra menzionata motio generationis
di san TOMMASO (S. tb. I-II, q. 81, a. 1) diventa quindi una motio
educationrs nel senso più ampio, la quale pone in una situazione
l'uomo già all'inizio della sua esistenza. Quindi diventa anche più
chiaro che lo stato di peccato originale non è presente solo all'ini-
zio, ma esercita il suo influsso in tutta la vita, perdurando nella
concupiscenza. Co~ì il peccato originale si pone come l'elemento di
unione tra il peccato di Adamo e i peccati personali dei suoi discen-

JJ Cf. A. M. UNllGllAF, Dogmenp,eschichte der Friihscholastik IV /l, Rcgcnsbul'll


19,,, pp. 1 n·192; A. M. Dt1BAllLE, 'La pluralité des péchés héréditaircs dans la tra·
dition augustinicnnc', in Revue des études augustin. 3 (1967) 113-136.
PECCATO ORIGINALE E PECCATO DEL MONDO

denti, il che corrisponde alla visione di. san Paolo e dei padri greci.
Il peccato originaie del bambino diviene meglio comprensibile qua-
le caso limite dello stato di peccato. che esiste nell'adulto non bat-
tezzato e che produce effetti posteriori nel battezzato. L'influsso di
Adamo viene fatto passare ad altri tramite i peccati successivi e,
nel contempo, viene diflerenziaw, il che si dimostra appunto nella
vita successiva dei discendenti. In questo modo la caduta di Adamo
e il peccato originale, col quale l'uomo viene a quesro mondo, per-
dono già molto di quello strano sapore mitico che la trattazione
isolata della teologia classica ha dato loro 'involontariamente.

J. Il peccato originale, assunto nel peccato del mondo

Non è però possibile interpretare il peccato originale solo in modo


che i successivi peccati dell'umanità vengano aggiunti al peccato
del capostipite, cosl che tutto il peccato del mondo modifichi più da
vicino il nostro essere-situato a motivo del peccato di Adamo, ma
vi è anche un 'altra possibilità . di interpretazione, secondo la quale
il peccato di un peccatore primo in senso cronologico, non si diffe-
renzia essenzialmente dai peccati seguenti. In tale caso esso è assun-
to come un elemento in tutta la serie, così che tutti i peccati, il pri·
mo incluso, pongono allo stesso modo l'uomo in una situazione fin
dal suo inizio. Questa seconda possibilità viene rifiutata nella dot-
trina classica del peccato originale. Tuttavia essa, a nostro avviso.
merita essere considerata seriamente, solo in quanto viene evitata
una falsa comprensione naturalistica del peccato originale. Se in-
fatti l'influsso del primo peccato si svolge in un ambito personale.
allora questo influsso non sembra essere per nessun riguardo so-
stanzialmente qualcosa d'altro da quello dei peccati successivi.
Certamente bisogna considerare con lucidità le serie difficoltà
legate a una simile interpretazione. Si può prima di tutto obiet-
tare che il primo peccato e il suo influsso si distinguono dai peccati
successivi anche per via delle loro circostanze, e, a dire il vero, in
modo sostanziale. Appunto ciò afferma la dottrina classica dd pec-
cato originale: il peccato di Adamo ci priva delle grazie proprie
Pl!CCATO ORIGINALE ASSllNTO NEL PECCATO Dfl MO)ID() 709

dello stato originario, e l'essere-siiuato dovuto al peccato di Adamo


è perciò sempre collegato, am.\ie se viene interpretato personalisti-
camente, con la mancanza di questi doni. che è qualcosa e.li natu
raie. Per questo anche l'evento namralc della procre<1zione è una
causa dell'essere-situato caratterizzato dal peccato originale, se non
in sé, almeno per la trasmissione dèlla natura umana modificata
dalla perdita dei doni dello stato primitivo. Per questo motivo
anche l'unità di derivazione del genere umano peccatore e il ruo-
lo di un singolo capostipite è un'implicazione necessaria del pec-
cato originale.
Ma sta veramente così la cosa? Il ·primo atto peccaminoso ha
veramente portato la nostra natura in un'altra condizione e per
questo il peccato originale è collegato con qualcosa di naturale?
Questa domanda può venir suddivisa in tre domande particolari:
a) vi sono conseguenze naturali di un primo peccato? oppure
queste conseguenze possono venir equiparate con le implicazioni so-
pra descritte dall'essere-situato tramite il peccato del mondo?
b) in conseguenza di ciò vi è una causalità diretta della procrea-
zione ri~ardo allo stato di peccato originale? oppure questo stato
si forma allo ste!lso modo come l'essere-situato attr~l'Jerso il peccato
storico del mondo?
e) esiste cosi uno specifico influsso di un primo progenitore?
ovvero esso è assunto nell'influss('I di 1u110 il ccmondo,. peccatore?
Ad ognuna di ql1~ste domande parziali si deve tentare di dare
una risprn-r11. che non deve fralllmto venir considerata definitiva.

a. Vi sono cnnsc~enze naturali di un primo peccato?

La dot 1rina dassica Jel peccato originale ha sempre risposto posltl-


vamente a ques1a d('lmand11, abbozzando un quadro dettagliato dei
don11 pr11elernatura/i,1. che furono donati ai primi uomini e che a
causa del loro pi:n;aro anJarono tutti perdmi per noi. Riguardo a
questi e.Ioni preternaturali esiste . ora certamente una difficoltà nel
fattb che. se non li si vuole lntendere semplicemente come un'ag-
giunta estern,1. de,•ono risultare interiormente dalla grazia sopran-
naturale dei primi uomini. mentre però d'altra parte con la rcstau-
710 PECCATO ORIGINALE E PECCATO DEL MONDO

razione della grazia in noi non vengono a loro volta ristabiliti. A ciò
si può rispondere o affermando che la natura umana stessa sia stata
data ai primi uomini in un modo d'essere intrinsecamente diverso,
oppure che i doni preternaturali ci verrebbero restituiti, ma solo
nel compimento finale. In ambedue i casi gli uomini primi storica-
mente vengono resi figure di una grandezza sovrumana, escatolo-
gica, contro di che si oppone energicamente la nostra odierna conce-
zione dell'uomo e del mondo. Alcuni particolari della figura clas-
sica del primo uomo si appoggiano su una simile concezione non
evoluzionistica riguardo all'inizio della nostra schiatta, ed anche su
di una falsa esegesi, per es. per ciò che riguarda la scienza straordi-
naria, che viene attribuita ad Adamo. Simili particolari si possono
tranquillamente lasciar cadere, e ciò accade anche perfino in quei
teologi che pur rimangono fedeli alla dottrina classica dcl peccato
originale.
:E. pure possibile spiegare l'esenzione della concupiscenza (immu-
nitas a concupiscentia, integritas) prima della caduta nel peccato e
la presenza della concupiscenza dal momento del peccato originale,
in modo tale che si ammetta un cambiamento non nel rapporto tra
anima e corpo, ma nel rapporto della libertà umana con il mondo:
da una parte uno stato dell'integrazione nell'amore o della sua po&·
sibilità, dall'altra parte una bramosia non integrata per la mancanza
di amore. •
Se si procede cosl nella dottrina del peccato originale, allora non
v'è in questo punto differenza alcuna con ciò che fu già indicato
come implicazione dell'essere-situato tramite il peccato del mondo.
Se si potesse ora spiegare il rapporto dell'uomo con la morte allo
stesso modo, allora il peccato originale e il peccato del mondo con-
corderebbero anche in questo punto. Ma ciò è poi possibile? Ap-
punto in considerazione della morte si ha l'impressione come 5e
non solo la teologia classica, ma anche il Magistero ci costringessero
ad attribuire al peccato di Adamo un'inffuenza più profonda che al
peccato del mondo. Si tratta qui soprattutto del primo canone del
concilio di Canagine. Siamo noi perciò costretti a considerare l'im-
mortalità prima della caduta come una assenza della morte biologica,
in modo che la mortalità apparterrebbe alla nostra costituzione bio-
PECCATO OltTr.INALE ASSUNTO NEL PtCCATO DH MOMlO 711

logica solo in forza di questo peccato originale? Già se con la dot·


trina classica del peccato originale si riconosce la mortalità come
fatto naturale, si dimostra come molto difficoltoso ammettere per
lo stato della giusti7.ia primitiva una modificazione della natura del-
l'uomo cos1 profonda, da sottrarlo alla mortalità anche sul piano
biologico. Al contrario si può addurre soprattutto la considerazione
della generale necessità della morte degli uni al servizio della vita
degli altri (pensiamo per es. alla questione dello spazio vitale, ecc.).
Più che mai si erge contro questa considerazione un 'interpreta-
~ir.ne evoluzionistica della realtà dcl mondo, la quale scorge il pia-
no biologico dell'uomo, almeno per quanto riguarda gli inizi dcl
genere umano, in stretta parentela con la vita animale. Forse però
è possibile interpretare la dottrina classica dcl peccato originale e
comprendere le dichiarazioni dottrinali del concilio di Cartagine in
modo tale che la morte biologica abbia per l'uomo un altro signi-
ficato, possa venir concepita antropologicamente in modo diverso,
cioè come dipartita dal mondo, come un abbandonare il mondo e il
prossimo, divenuti necessari affinché l'uomo peccatore e sottomesso
alla concupiscenza e alla schiavitù possa ritrovare l'eterno cDio
tutto in tutto».w Se questa interpretazione dell'immortalità primi-
tiva ora accennata (la quale cosl non richiede necessariamente l'e-
sclusione della morte biologica) e della sua perdita con la caduta
non sta in contraddizione col dogma, in tal caso anche in questo
punto non c'è contraddizione tra ciò che producono in noi il pec-
cato di Adamo e il peccato del mondo.

M Cf. L Boaos. Myslrm11<r morliJ. Ohc:n 1962, r U·q8. Rc:lativamc:ntc: 11 np-


rorto dc:lla monc: con lo "•to 0111unano r col prcraio originale noi siamo in larp
misura d'accordo con Bom~ r Karl Rahnc:r (cf. K. RAHHf'.I. "Zum thcolOflischen Be.
griff drr Konkupi<Zcnz". in Schr1f1r11 I, pp. J77-.fl.f, romc: pure 'Zur TI.cologic: drs To-
drs". Frciburg 19,8, pp. J i-.46 ( 1r i1 : 5,.11. 1N1101.1• drl/11 mortr, Brescia, Morcelliana),
tuttavia ron la differenza che noi intendiamo i doni prc:tc:matunli dello staio origi·
ruirio non come un diverso modo d'esistere della n1tur1 umana, 1n1 romc una posai·
bilitì inerente alla vita dC'll~ grazia. Perciò questi doni possono pure andar perduti
un po' alla voha r venir ri11abili1i un po' alla voha.
712 PECCATO ORIGINAT.F F. PECCATO DFI. MONDO

b. Peccato originale e .procreazione

Se si considera il modo in cui si trasmettono all'uomo, da una par·


te, il peccato di Adamo, dall'altra parte il peccato del mondo, di
primo acchito si pu1'1 ben credere di aver scoperto infine una diffe-
renza decisiva tra i due pecotti: questa trasmissione nel caso del
peccato originale non avviene forse tramite la procreazione, nel caso
ciel peccato del mondo invece solo attraverso l'ambiente? A questo
riguardo fu già accennato al fatto che il concilio Tridentino ha
bensì sottolineato che il peccato originale è propagatione non imi-
ta/ione /ran.rfusum, ma che non ha rielaborato più da vicino il signi-
ficato della procreazione per la trasmissione del peccato originale.
Anche gli ablativi generatione e propagatione si traducono con per
riproduzione, pur tuttavia questa riproduzione può sempre vettir
intesa ancora o come causa immediata o come causa ·mediata (even-
tualmente come conditio sine qua non).
Se la procreazione è la causa immediata, allora ciò si può inten-
dere solo nel senso che la caduta nel peccato ha mutato biologica-.
mente la natura umana e che con questa natura biologicamente mu-
ta ca viene trasmesso anche lo stato stesso di peccato, dal momento
che questo le è connesso.
Se invece la procreazione è solo la causa mediata o il presuppo-
sto per la trasmissione del peccato originale, allora ciò significa che
f'atto procreativo come tale produce solo l'uomo (in tale contesto
la questione del sorgere dell'umanità anima e corpo non ha bisogno
di essere ulteriormente considerata) e che lo ,. 1co di peccato ori-
gin1tle, come tale, viene causato solo dalla situazione storica, in cui
si trovano i genitori.
Forse ci si può rendere più conto di questa specie di influsso con
un paragone: un bambino può essere benissimo (per nascita) un
italiano, anche se i suoi genitori non sono di 'sangue' italiano "
se' ·solo da poco terl}Po posseggono la cittadinanza italiana. Ovvia-
mente con ciò non viene in nessun modo negato che lo stato di
peccato originale sia per l'uomo di ben maggior importanza e molto
pi\1 profondamente radicato nella sua vita che non la nazionalit~
J n ambedue i casi però dalla situazione, in cui si trovano i geni1,1ri
PECCATO ORIGINALE ASSUNTO NEl. PECCATO DEL MONDO

sorge per il bambino un essere-situato, e c1oe un essere-situato esi-


stenziale (existential), che precede qualsiasi decisione personale.

c. Peccato originale e monogenismo

La terza domanda, riguardo al rapporto di peccato originale e mo-


nogenismo, può estendersi solo alla questione, se la ~crivazione
da un'unica coppia di progenitori sia imrlicata o no nel dogma
del peccato originale; se tale implicazione non esiste, allora la do-
manda, se noi deriviamo da un'unica coppia di uomini, non è più
d'interesse per la teologia, ma solo per la biologia e la paleontologia,
e forse nemmeno per esse. In tal modo fu posta la questione nella
enciclica Humani generis, e la risposta fu che il monogenismo sia
legato in tal modo con la dottrina del peccato originale, che nori si
riesce a vedere come il poligenismo possa venir messo in accordo
con questo dogma.
Il teologo ora può certamente cercare di comprendere nel modo
migliore dall'interno questo punto di vista del magistero. ponendosi
la domanda: perché l'apparenza nega che il poligenismo si possa
collegare con la dottrina del peccato originale? Dove stanno yueste
difficoltà? Quali punti della dottrina del peccato originale richie-
dono in modo speciale la nostra origine da un'unica coppia uman~?
Sembrano essere soprattutto due punti, a venire in considerazione:
la perdita dei doni preternaturali e l'universalità del peccato ori-
ginale.
Per questo nella questione circa la connessione tra monogenismo
e dottrina del peccato originale si può forse ulteriormente proce-
dere, se la si risolve in due ques~ioni particolari: la perdita dei doni
preternaturali porta con sé la nostra origine da un 'unica coppia
umana? e: il peccato originale deve essere derivato da una comune
coppia umana, per essere presente in tutta l'umanità?
Alla prima delle due questioni si è dato risposta in gran parte
nell'ipotesi d'interpretazione sopra presentata dci doni preternatu-
rali. Se essi sono realmente una determinazione naturale dell'uomo
stesso iii modo che questo con la caduta nel peccato è stato mutato
biologicamente o almeno costituzionalmente, in tal caso l'origine da
PECCATO ORIG11'ALE E PECCATO DEI. MONDO

un'unica coppia umana è legata necessariamente o quasi, con il


peccato originale. La procreazione ha quindi una causalità imme-
diata per il formarsi di una natura così mutata. Ma se è possibile
equiparare i doni preternaturali alla forza unificante della grazia
stessa, allora anche la lorn perdita potrebbe compiersi un po' alla
volta in una intera storia del peccato. Allora non sarebbe più neces-
sario supporre un 'unica coppia di progenitori, in cui la nostra na-
tura umana sarebbe esistita in un modo intrinsecamente diverso, e
un unico peccato ben qualificato di questi progenitori, tramite il
quale questa natura avrebbe iniziato ad esistere in questo nostro
modo, per venir trasmessa in questo stato così mutato per via della
generazione.
Con tale ipotesi risulta più difficile rispondere alla domanda, come
si possa trovare un fondamento sufficiente per l'universalità del pec-
cato originale. Certo la dottrina dell'universalità del peccato origi-
nale, che la Chiesa mantiene, implica che anche i bambini dei geni-
tori cristiani non vengano al mondo senza peccato originale in forza
del loro ambiente cristiano, ma possono essere liberati solo in se-
guito, mediante il battesimo. La Ghiesa ha insegnato questa rigo-
rosa universalità del peccato originale, come ogni dichiarazione circa
il peccato originale, sempre trattando del battesimo. Prima che nella
storia della salvezza ci fosse il battesimo, cioè prima della morte e
della risurrezione di Cristo, alle quali esso fa partecipare, non è ne-
cessario che, questa universalità valga incondizionatamente in modo
rigoroso, se si tien presente l'ipotesi or ora sviluppata del peccato
originale come una storia di peccati. Ma dopo la morte e la risur·
rezione di Cristo il peccato originale è strettamente universale, la
perdizione (si può ben cancellare di nuovo, ma) non si può più
rendere inesistente, nessuno la può sfuggire.
Deve perciò esserci un Jactum, un• peccato determinato e quaJifi.
cato i quali hanno provocato una situazione, la quale è irreversibile
non solo per l'umanità nel suo complesso, ma ora anche per il Stn·
golo uomo.
I rappresentanti della dottrina classica del peccato originale tro-
veranno qui un nuovo argomento per l'influsso incomparabile del
peccato di una coppia umana di progenitori. Ma per colui che puc'.1
PECCATO ORIGINALE ASSUNTO NEL PF.CCAl'O DF.L MONDO 715

approvare la descrizione del peccato del mondo presentata sopra, vi


è pure un'altra possibilità. Il peccato, con il quale Cristo è respinto
dal mondo, dalla nostra esistenza terrena, costituisce quindi il
factum che rende per ciascuno inevitabile l'esser situato nel peccato
originale, così come la cosa fu esposta in connessione con il peccato
del mondo. Questa 'seconda caduta' in tale prospettiva è piuttosto
il compimento di una storia di perdizione, che può esser definita
nella sua totalità, come peccato originale.
Forse questa teoria rende chiaro il, carattere di morire e di risor-
gere insieme con Cristo, che secondo Paolo (Rom. 6,3-7; Col. 3,1-4)
è proprio del battesimo. Pur tuttavia una simile concezione rimane
molto ipotetica. Ma forse non è nemmeno necessario cercare un
unico peccato tra i molti, che sia la causa dell'universalità dell'essere
situato nel peccato originale, poiché ogni uomo è esistenzialmente
(existential) situato ad incontrare il peccato in qualche momento e
in qualche modo nella sua vita.
Con ciò si collega il fatto che il battesimo, come ogni grazia di
redenzione, non solo cancella il peccato, ma anche lo previene, e
che la necessità del battesimo dei bambini fu motivata anche con
questo risanamento preventivo. 35
Queste riAessioni rendono però evidente che !"esclusione del mo-
nogenismo dal dogma del peccato originale non è per ora senza
problemi.•
PIET SCHOONENBERG

' 1 Testi, tra il resto, presso J.·C. DIDIER, 'Un cas t)'piquc dc Jc.'vdop!'<'mcnt du
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CAPITOLO UNDICESIMO

IL MONDO DEGLI ANGELI E DEI DEMONI


IN QUANTO È PARTECIPE E AMBIENTE DELLA STORIA
. DELLA SALVEZZA DELL'UOMO

Un'ampia presentazione dogmatica della storia della salvezza, il cui


inizio è la creazione e il cui fine è il compimento dell'uomo e di
tutte le realtà nel regno di Dio, ha da includere sostanzialmente
nelle sue asserzioni anche il mondo degli angeli e dei demoni. Le
potenze spirituali buone, come pure le potenze spirituali personali
nemiche di Dio, appartengono, secondo la testimonianza della rive-
lazione, al mondo associato e circostante· alla storia della salvezza
dell'uomo. Dopo l'analisi teologica dei diversi elementi che deter-
minano stabilmente l'uomo fin dalla sua origine e nella sua essenza
concreta, e prima della presentazione della teologia della storia della
salvezza avanti Cristo, va trattato anche di quelle potenze, senza le
quali la storia della salvezza non può essere pienamente capita. Poi-
ché oggi non poche questioni di tipo esistenziale e metodologico
contrastano una tale asserzione teologica,1 anzitutto vanno motivati,
in una riflessione di fondo, la possibilità e il senso di una dottrina
sugli angeli e sui demoni (sez .. r), prima di parlare separatamente
degli angeli (sez. n) e dei demoni (sez. m).

1 Tutte le rispettive dissertazioni di data più recente vengono a parlare dei presenti
problemi. Tratta soprattutto questioni di tipo generico J. \'(I AC;NF.R, 'Der En11cl im
Leben des modernen Menschen', in LuM 21 (1957)7·17. Per il ripensamento teo-
lcgico attuale cf. K. RAHNER_. 'An11elolo11i~', in IJI\. 1I1<151 J 5 n·538; lo., 'Viim<>
nologie' in l.TK nr( 1959) '-Il· '-17·

46 - Mysterium Salutis, 11/2


SEZIONE PRIMA

QUESTIONI PRELIMINARI
ALL'ANGELOLOGIA E ALLA DEMONOLOGIA

r. La problematica

Uno sguardo alla prassi ecclesiastica odierna ancora valida può far
apparire infondata la difficoltà or ora accennata. Fino ad oggi in-
fatti la Chiesa nei suoi testi di preghiera parla tranquillamente
degli angeli, cdebra feste proprie degli angeli, unisce ogni giorno
nella celebrazione eucaristica la sua lode con l'acclamazione ado-
rante delle schiere celesti, proclama nella sua azione liturgica la sacra
Scrittura, la quale tratta tanto frequentemente dei messaggeri di
Dio. Sembra che, quanto agli angeli, tutto sia in perfetto ordine,
ora come prima.
Con una tale asserzione ci s'abbandonerebbe però a un'illusione.
Appare ora sempre più che nella vita dei fedeli adulti del nostro
tempo - nonostante il movimento liturgico - la conoscenza ri-
guardo all'esistenza e al potere degli angeli minaccia di scomparire.
Nella coscienza dell'uomo moderno hanno preso posto una certa
sobrietà e riservatezza riguardo agli angeli e alla loro natura. Di tale
atteggiamento si possono indicare motivi del tipo più vario. Dap-
prima sono da nominare i progressi della ricerca scientifica, i quali
hanno condotto alla scomparsa della concezione arcaica del mondo,
dove ogni fonte aveva la sua ninfa, ogni tempesta e ogni vento il
loro spirito, e ci si immaginava che astri e costellazioni fossero
mossi da esseri sopraterrestri. Vi si aggiunge la razionalizzazione
del pensiero che sempre più si propaga ed anche lo svuotamento
della figura angelica nella fantasia degli artisti, incominciando dal
rinascimento e dal barocco. Il fatto che incomincia a profilarsi
un cambiamento e che gli angeli ritrovano un posto nell'arte e
ANGELOLOGIA I! DEMOHoLOCIA

nella letteratura/ non può che essere di utilità alle premure della
Chiesa volte a contenere il depcrime~to della fede.
Le cause della presente crisi della fede sono ampiamente intrec-
ciate tra di loro e presentano un quadro complesso, il cui sviluppo
risale parecchi secoli addietro. Vi si è aggiunto in tempo più recente
lo sforzo dell'umanità, il quale impegna tutte le energie, di spingersi
fino ai confini della materia, fino all'ultima oscurità dell'universo.
Allora in varia maniera non rimane né spazio, né tempo né energia
per l'esperienza del mondo di Dio e del mondo intermedio degli
angeli. Il cristiano può anche rimaner consapevole che le realtà
appartenenti all'ambito della fede non si possono dimostrare con
esperimenti e che esse sono sottratte al dominio delle scienze pro-
fane,J ma ad ogni modo la sua fede in Dio e anche la fede negli
angeli sono contestate da tali ricerche.
La fede contestata si manterrebbe salda più facilmente se non le
mancasse nello stesso tempo l'incontro con gli angeli, vissuto con-
cretamente. Si rinvia di nuovo sempre all'esperienza esistenziale,
mancante al1'uomo d'oggi, del mondo df'gli angeli.4 L'esistenza e
l'attività di Satana oggi si lasciano piuttosto sperimentare o per lo
meno presentire, in un tempo in cui il male, il brutale, l'inumano
hanno ottenuto una legittimità pubblica come mai prima d'ora, in
un tempo in cui la psi<.:ologia del profondo insegna che non si pos·
sono eliminare o rende-re innocue delle rcahà per il semplice fatto
che, per motivi razionalistici, esse vengono dichiarate inesistenti.
Ma assai fa difetto l'esperienza degli angeli buoni.

J Cf. W Gai !1>7.MANN, 'Die Gl-slah Jr:s Engels in der modernen Li1en1ur', in
L11M Ja ( •9'71111 \7; D. Zii1111NGn. "Di:r Mensch und der Teufel in heu1iaer
S1cht", in B.\f J') I 19n) 285-305; 111. BoGLE•, 'Der Engcl in der modernen Kunst',
i" f.111\1 21t''>Sii110-121.
l Cl ..1. Murn, 'Anl'Clo'. in D:T, 1 ( 1 1')69) 1o6.
• • rcr 1tiu1lizi mncrcri si !lente oiq:i for1e111cntc la mancanza delle autentiche npe-
ricn7e c:sisrC"n1.iAI;. <H. Sou.n1.. Dir Fn11.~ ll••<h rl~m Nr111:11 T~Jt""urrt, Frcibura
i. Br. 1yt.,., 1t.1 I. ·Ancora un rer~o ;1s~110. ccnamcnic il più importante di luni,
\":c.-nc in 'l"t"'1i1M1c: in sen<o negativo. OJcni cr1S1iano crc.knte ha, secondo la rnll·
moniar1'a h1hhca. un 'esrcrien1_,, f""r>onalc. un inronno re;ak e srahile cnn Gesù Cristo
e con Dio, che •Il rave"'° Cristo tra11a rnn rKll. Ma chi ali 1u11i quc•ti credenti po-
nl'hlx :tlttour.. di ~1·ere una cono••:.,n1.;1 pcr5<>nalc Jdl'es1>tt'.nza degli angeli?... Non
nlft"rmiamo e~ la ri"l'""'a a 4ues1a Jumandd dehha l'SSl.'Tc: 'Nessuno'' ma S01tc:-
n••nw1 che 1onn unA J!fl>S"3 cccezinnc n>lom eh" possono rispondere 1n senso posi
""''" (E. l\•tiNl'll 1, 1>1111.m•tlilt 11. Zum:h 196o, PV· q6 s.).
P~Olll.fMATICA

La questione circa l'esperienza esi5tenziale, non può essere esclusa


a priori dall'ambito della considerazione teologica, dal momento
che la parola e l'agire divino rivelanti riguardano l'uomo nella sua
intera esistenza. Proprio le apparizioni angeliche cieli' Antico Testa-
mento e degli inizi dcl Nuovo manifestano che Dio che si rivela
volle, al di là del rispettivo incarico speciale dei suoi messaggeri,
attestare attraverso tale invio una realtà che per l'uomo del tempo
biblico appai :eneva al comune mondo dell'esperienza. La questione
sollevata è dunque legittima, in quanto nulla si oppone per sé ad
un concreto incontro con gli angeli. «Quando si presentano nella
natura e nella storia tracce d'intelligenza e di una dinamica volitiva
extra-umane è metodologicamente errato valutarle eo ipso sempre im-
mediatamente come manifestazioni immediate dello Spirito divino.
Se l'angelo ha una natura, egli ha anche un'azione naturale del suo
essere, e non si capisce perché a priori sia impossibile che questa
entri nell'ambito dell'esistenza déll'uomo». 5 Dunque ci possono es-
sere angeli nell'ambito dell'esperienza dell'uomo. Tuttavia: è neces-
s11rio per questo che gli angeli siano sperimentabili in ogni settore
della storia della salvezza e soprattutto in ogni vita umana? Qui
l'uomo può ben chiaramente vedere che spetta alla decisione della
libera misericordia di Dio rischiarare i misteri della fede con cspe-
rienu: esistenziali. Solo alla parusia di Cristo la fede si cambierà in
visione. Se poi diamo uno sguardo retrospettivo alla storia della
Chiesa e dcl mondo, «costateremo nei luoghi più inaspettati che e
come gli angeli siano stati in scena e abbiano effettivamente parlato
e operato».1 Nel tempo della Chiesa eia fede è il fondamento delle
cose che si sperano, e l'argomento di quelle che non si vedono»
(Hebr. 1 r ,I). Solo dove ciò è dimenticato, Dio e i suoi angeli pos-
sono diventare un problema.
Già AGOSTINO ha energicamente accennato al fatto che noi cono·
sciamo gli angeli con certezza definitiva solo nella fede.1 La fede

5 K. RAllNEJt, 'An(!Clologic', cit., p. n6 .


• BAITH. KD lii/ J ( 19,01 p. ,40; cf. ibiJ. p. H9·
1 ~Ile spiegazioni dci Sa/,,,; dichian: •Q11i f«1I "111.NOJ 11101 sp1'11UJ, .-1 ,,,,,,,.
stros s1101 1i:.nttn1 Ja11.rantem (Ps. IG.JA 1. Et hoc. q1U1"1&1is "°"
11ideam111 11p{ltlritin11em
""f.dnrum; o1bvcntiìt11 est e,,;,,, ab ocn/11 nostnJ . t11me11 eue Alfiela1 110oim111 nt
fiJr .. "' tm.-mus. nec indr dubit11re fas nnbis rst• IF.n. in Ps: 103.1.1~. PI. 37.1µ81.
ANGELOLOGIA E Df.:\lONOLOGIA

da noi tenuta salda, perché annunciata. dalla Chiesa attraverso la sua


liturgia e il magistero ordinario, che esistenza e attività degli angeli
sono una realtà presente assieme all'agire salvifico di Dio, non trova
la conferma né dal!e scienze naturali né in modo assoluto da cspc-
ricnZl' csistt•nziali; essa piuttosto si fonda nella te~timonianza della
Scrittura. «Sta di fatto, che si dovrebbero revisionare ra<lirnlmcntc la
sacra Scrittura stessa e con essa tutta la storia Jella salvezza, se si
volesse sbarazzarsi degli angeli».~ Nella testimonianza biblica cir1:a
Gesù Cristo è inclusa come premessa negativa innegabile l'esi~tcn:.rn
di una potenza sovrumana delle tenebre, che fu vinta mediante la
morte di Cristo in croce. Parimenti è certo che Dio manda i suoi
angeli per preparare la salvezza in Cristo e per portarla a compi-
mento nella Chiesa. La soluzione radicale della demitologiz:~azionc,
la quale vorrebbe eliminare gli angeli dalla testimonianza della Scrit-
tura,9 non è sostenibile da parte cattolica. Certe rappreren!azion;
angeliche dell'Antico e del Nuovo Testamento sono sicurament•~
legate al tempo e per questo oggi non più ammissibili, tuti"~via si
negherebbe l'autorità di Gesù, se si negasse l'eristem:a degli an-
ge!i.10 Questa distinzione fra rappresentazione degli angeli, che sta
mutandosi, e contenuto definitivamente rivelato delle dichiarazioni
bibliche, va accettata con l'esegesi più recente, e qui emergono le
questioni vere e proprie ddl'odierna angelologia e demonologia.
Dapprima è da chiedersi in quale rapporto stia la parola rivela-
trice di Dio con rappresentazioni extrabibliche di angeli e demoni.
Sarebbe semplicemente falso «sostenere che l'esistenza di persone
extraumane finite sia direttamente in sé un oggetto ro/Janlo della

a A. W1NUHOFE1t, Die Welr Jer Engel, E111I 1961, p. 144, nm• 2. Cf. lo., 1"roktar
~-ber den Teu/el, Frankfurt a.M. 1961, pp. 8-14; E. BRUNNE~. Dog11111tik Il, pp. 147·
149, 160 s.
9 Si vuol rinviare all'esposizioni spesso ci111e di R. 8111.TM~NN: ·Ad opera della
ronos~nia delle forze e delle le11gi della natura è finita la f....:le negli spiriti e nei
demoni• rNcucs Tc-stamen1 und Mychologic' in KerYf.'"" 11nJ Mvrhm 1, Hamburg
119 5-1, p. 17'; «Non si pos,;ono adoperare luce clc11rica e radio, non si può ncorrere
in ca.•n di malania ai moderni mezzi medicinali e clinici e nello stesso tempo ere
Jcrt• JI mondo dei:li spiriti e dci miracoli dcl Nuovo Tes1amcn10• Ubul .. p. 18 I. Ancht'
,~ rt: i:rurpi 1lclla ·"louvelle Tht:Ologic• scmhrano aver mrs'o 1n 4ucs1ionc la rcalrà
pc:r ...inalc Jq:li angeli; contro la loro 01>inionc si riv<>lsc sopranuno la en«idica
11,,,,,.,,,, )'.e1tair t DS \891 ).
tu Cl G. (;1.on;t:. 'Engcl' (dOJ?matisch), in R<.;G 111'1.,~Kl461!s.
PRODLEMATlCA

parola rivelatrice divina e che possa essere solo cosÌ». 11 Come dimo-
stra la storia delle religioni, all'epoca biblica tutte le religioni e filo-
sofie del bacino mediterraneo e dell'oril·ntc conoscono esseri inter-
mediari di qualche tipo fra dèi e uomini. 12
La pre:;enza dì tali rappresentazioni ::mgc:liche al di fuori della
religione rivelata condusse <li quando in quando (unitamente ad
altre riflessioni) ali 'accettazione <li una cosl detta 'rivelazione origi-
naria'. Una tale visione sembra oggi esser posta in questione. Pur
ammettendo una rivelazione originaria, ci sarebbe poi sempre an-
cora da chiedersi per quale motivo essa potè mantenersi cosl a lun-
go, all'interno e all'esterno della speciale storia della rivelazione.
È molto più accettabile che la conoscenza' dell'umanità circa l'esi-
stenza di potenze spirituali buone e cattive, sia stata raggiunta
grazie ad una propria forza di conoscenza e ad un'interpretazione del
mondo, un sapere, che per questo potè venir tramandato, perché
poté sempre formarsi di nuovo. Comunque si cerchi una spie-
gazione, gli influssi di rappresentazioni angeliche extrabibliche sono
assolutamente possibili e molto probabili nell'Antico e nel Nuovo
Testamento. Ciò nonostante, alla rivelazione vera e propria della
parola e dell'agire divino va attribuita come per il passato un'impor-
tanza essenziale. Così le è propria in primo luogo una funzione di
'garanzia', cioè la rivelazione da Dio non significa in ogni caso sem-
pre un nuovo aumento della verità salvifica, bensì in alcuni casi
solo la conferma, vincolante nella fede, dell'esistenza di ciò che da
sempre è stato sperimentato e riconosciuto. L'esperienza di potenze
spirituali buone e cattive di tipo personale ottiene, attraverso la
rivelazione tenuta ferma nella Scrittura, l'autentico significato sal-
vifico e la sua delimitazione critica. Anche questa funzione 'selet-
tiva' ultimamente nominata non può essere trascurata. La dottrina
extrabiblica circa gli angeli e i demoni viene liberata da elementi
che sono inconciliabili con la rivelazione, inconciliabili con l'unicità

11 K. RA111111'R. 11111.•·lnl,,1.it" 11 . nli.


12 Qui si deve rimandare sopranuno al parsismo e 311li angeli nella grecità, 00.
ve già nel trmpo omerico hanno un ruolo •aerale; ri. W. GKllNDMANX, ùyyfl..oç;,
in T\f1NT ( 193 3) 71 •· L'i•1il11«n <le-I par.;i•mo •ulld l:l1bbia, che già si ritenne per
certo, va ~i i;i11dka1Cl wn ri"'r' a1cna :i rau•a Jcllu dillicohà J'imerprctazione e
della sua data;.ionc; d E. PAX, 'Parsismus', in Lll\ \'lii! 1963 I 1 q.
ANCìELOLOGIA E DEMONOLOGIA

e assolutezza del Dio dell'Alleanza d'Israele e con la illimitata sovra-


nità di Cristo quale mediatore della ~uova Alleanza.
Ora veramente non è sempre facile - e questa è appunto la
difficoltà principale - estrarre dalla sacra Scrittura il contenuto
genuino della rivelazione. Proprio in relazione agli angeli e ai de-
moni manca alla parola della Scrittura qualsiasi sistematica. Se gli
agiografi dell'Antico e del Nuovo Testamento vengono a parlare
delle potenze e delle forze personali sovraumane, ne parlano però
sempre in maniera piuttosto accidentale, nel contesto di verità più
vaste, quando, ad esempio, si menziona il potere universale di Dio
e di Cristo, o l'universale pericolo e il bisogno di salvezza dell'uomo.
Men che meno la Scrittura è interessata a questioni quali il numero
e la gerarchia delle potenze angeliche e demoniache. Gli aiuti, che
il magistero straordinario della Chiesa assicura con le sue definizioni
e dogmi per l'interpretazione dei testi scritturistici, nella nostra
questione sono offerti solo scarsamente. Le decisioni magisteriali
straordinarie relativamente agli angeli e ai demoni _:.' i testi conci-
liari sono in tutto soltanto due - si limitano al puro necessario e
lasciano alla teologia ogni elaborazione sistematica. Spiegazioni dei
testi scritturistici, che vogliano sviluppare e approfondire la fede
sugli angc1i, possono dunque venir fatte solo in seguito a uno studio
accurato dci passi che vengono in questione, con un continuo rie-
same della loro concordanza con l'insieme della rivelazione.
Un'ultima difficoltà dell'odierna angelologia e demonologia risulta
dal fatto che la dottrina sistematica precedente circa angeli e de-
moni non ha sempre percorso vie indovinate. 13 Uno sguardo alla
storia della teologia mostra che i primi Padri della Chiesa, nelle
loro dichiarazioni, seguivano da vicino la sacra Scrittura; però,
con lo sviluppo progressivo della dottrina sugli angeli, s'incomin-
ciano a :naneggiare molto disinvoltamente i testi della Scrittura,
senza riguardo al genere letterario o all'autentico orientamento del-
le loro asserzioni. A ciò si aggiunge l'uso incauto di nozioni filo-

n Cf. K. RAllNF.R, 'An11l"lologie' cii:, pp. H4·5}6; ID., 'Daemonologie' cit., p. 14j
Tu1uvia il giudizio espresso da Barih in KD mf3, pp. 52;; s., sulle «pisce sba·
gliate• Jclla patristica, della scolastica e dell'intera angelologia è troppo negativo ~
dcv'csscr corrcuo.
DOTTRINA SUGLI ANGELI E SUI DEMONI 729

sofiche, che non furono esaminate sufficientemente circa la loro pro-


venienza e la loro legittimità nell'ambito cristiano. Si possono cer-
tamente prendere anche dall'antropologia dei dati teologico-salvi-
fici, ma per il loro trasferimento nell'angelologia si è proceduto mol-
to spesso troppo semplicisticamente. Il più delle volte è stata tra-
scurata anche la totale subordinazione della dottrina degli angeli e
dei demoni alla cristologia, come la conosceva PAOLO. La difficoltà
che risulta dalla storia della teologia si potrà eliminare con una
nuova riflessione sulla genuina testimonianza biblica e quindi sulla
dimensione storico-salvifica dell'angelologia.

2. Possibilità e senso d'una dottrina sugli angeli e sui demoni

Nonostante le questioni e i problemi enumerati, delineati solo breve-


mente, ancor oggi è possibile e valida una dottrina sviluppata teolo-
gicamente sugli angeli e sui demoni, se essa può servire, quale com-
prensione approfondita della fede, allo sviluppo di una fede più viva.
Gli angeli sono certamente una realtà diversa da Dio e dall'uomo,
diversa dal contenuto centrale della parola di Dio; essi sono sostan-
zialmente figure marginali, e tuttavia sono collegati inseparabilmente
con l'agire di Dio nello spazio e nel tempo. Cosl l'angelologia non
ha alcun senso proprio, assoluto, staccato dal resto della rivelazione
salvifica. Gli angeli non sono oggetto d'una riflessione a sé stante,
rivolta ad essi. Essi stanno al limite d'una necessaria, salutare comu-
nicazione della fede. Un passo oltre questo limite condurrebbe nella
zona -dell'ignoto, anzi del superfluo. Tuttavia una dogmatica storico-
salvifica deve condurre anche a questo limite. Poiché la Scrittura,
nell'insieme della storia divina della rivelazione, testimonia conti-
nuamente l'attività efficace degli angeli, di essi si deve necessaria-
mente trattare in questo contesto. Debbono essere considerati co·
me «i messaggeri dell'unico vero Dio, che è vivo, attivo e m11ni-
festo come il Padre, il Figlio e lo Spirito santo».•• Così, e questo fu
già sottolineato, nemmeno l'agire di Satana e dei suoi angeli, rivolto

H K. BAaTH. KD 111/J, p. 6oJ.


i30 ANGELOLOGIA E DEMONOLOGIA

contro il regno di Dio, può essere eliminato dalla testimonianza


della rivelazione.
Anche se riguardo alla sacra Scrittura furono indicate speciali
difficoltà, tuttavia le sue asserzioni drca angeli e demoni non sono
cosi oscure che non se ne possa desumere in modo vincolante una
presentazione teologica sistematica. Nel rispetto di regole ermeneu-
tiche valide, molte particolarità si possono raccogliere, in modo sor-
prendente, per un quadro d'insieme convincente. Si tratta soprat-
tutto di rispettare il genere letterario dei testi. 11 Importa quindi di-
stinguere, nell'esame di passi scritturistici neotestamentari che par-
lano degli angeli, se si tratti della semplice comunicazione d'un fatto,
come, ad es., quando in Hebr. 1,14 gli angeli vengono designati
come aiuto dei cristiani; o se si tratti delle visioni simboliche del-
l'Apocalisse, le cui dichiarazioni devono venir enucleate dall'involu-
cro di rappresentazioni metaforiche che le rivestono. Modi di vedere,
come le enumerazioni di gruppi di angeli presso PAOLO, che sono
legati alla concezione antica del mondo, oggi sorpassata, perdono la
loro importanza attuale. Specialmente a proposito dell'Antico Testa-
mento non ci si deve scandalizzare o smarrire per il fatto che indi-
scutibilmente siano di continuo contesti leggendari o espressamente
poetici quelli in cui appaiono gli angeli. 16 Prescindendo dal genere let-
terario, il contesto immediato può spesso già illuminare circa la dire-
zione dcl significato d'una parola rivelata.
Una dottrina sugli angeli e sui demoni diventa inoltre possibile
se queste potenze spirituali vengono viste nel contesto della storia
salvifica universale, anche prescindendo dal fatto che esse siano
incluse nella storia dell'alleanza di Dio con gli uomini come testi-
moni, rispettivamente come messaggeri, o come avversari. Dio stes-
so ha inserito i suoi angeli e i demoni nell'evento della sua venuta
in questo mondo in Gesù Cristo. Le potenze angeliche sono al ser-

11 Su cic\ rende a11emi •pccialmenle J. Mie.HL, 'Angelo', in D:z:T 1 (31969) IOj.


1• Pl·r quc-.11 quc:s1ionc d. sopra11u1tu K. BARTII, KD m/3, pp. 432-434. Tra il resto,
ivi egli dichiara: ·C'è storia \"era, cioè acc1du[a realmente nello spazio e nel tempo,
che ha 1ppunto questa forma, o tuttavia la forma di passaggio a questa. Il fatm che
ess:a ha tale forma non custituiscc argomento stringente contro il suo caraltere di
storia; non c'i: alcun ar11omento stringente che il suo corrispondente racconto fav«>
loso o lc:gj1cndariu non vada preso sul scrio in quanto di valore minore o nullo»
DUTT:t!NA SUGl.l ANGELI E SUI DEMONI 731

vizio del Dio ddl'allcanza, che si rivela in Cristo, con la loro obbe-
dienza volontar;a; l:: potenze demoniache con la loro ribellione.
Ambedue scn•<Jno dcl tutto secondo la volontà di colui che, come
Signore della storia, vuole stabilire ddìnitivamcntc la sua sovramca
universale nel suo Figlio fatto uomo. Gli angeli e i demoni sono
ordinati all'1m.ica storia soprannaturale della salvezza, che parte da
Cristo e a Cristo wnduce. La Jiml!nsione storico salvifica dell'an·
gelologia va dunque vista fondamentalmcntc determinata in modo
cristologico. L'angelologia non è, come I'antropolo1-1ia, una conse-
guenza interna della cristologia, ma ne è in verirà epilogo e aggiunta
integrante, chiarificatrice, che spiega il discorso teologico sul! 'agir;:
di Dio in Gesti Cristo. Muovendo dalla Gistologia dunque l'angelo.
logia riceve la sua giustificazione, il suo indirizzo assertivo, la sua
ampia motivazione. Da quc~:to risultano anche deduzioni per la
natura degli angeli come tali: s.: l'assoluta auto-asser.t.ione di Dio
nell'esteriori7.zazione della st:a parola è fondamento della creazione,
allora di e5sa va fatto calcolo anche nella dottrina circa la creazione
degli angdi. Se Dio si rivolge alle creature personali con amore solo
nel suo Figlio, allora anche la grazia degli angeli va determinata
quale grazia di Cristo. Se l'auto-rivelazione di Dio per amore del
Figlio è essenzialmente parola che chiama e che interpella, l'esi-
stenza dell'angelo andrà intesa come orientata per sua natura alla
risposta, al dialogo e alla lod~. In breve: anche gli angeli trovano
il loro più alto compimenco in Cristo, sia nell'ordine della natura
come nell'ordine della grazia.
In quanto gli angeli sono il mondo personale associato alla parola
espressa dal Padre, la cui alienazione nell'essere genuino dell'uomo
serve alla salvezza degli uomini, la dottrina degli angeli è anche un
momento dell'antropologia teologica: all'uomo viene manifestata
una parte del mondo associato e circostante per la decisione della
sua fc:dc. D'altra parte possono forse venir legittimamente assunti
dall'antropologia cristiana nell'angelologia alcuni principi della dot-
trina della grazia e l'idea dell'alleanza. 17
1' I nostr: rifrrmn·n1i ,:ri,to1oi::n l' .antropoh•J!lli 11'1l'~!li.I m c-\•1dC'nia 1l('r l',1ni:-·
Jr,fof.tJ hanno n\•\iallll"llll' l.1 lorv \•ahdi1il pc:r t.1 ckmnnnlo!?"'· na1urulmrn!r rnn cara1
Ili I\! id1<.' "l'l'"'ll'.
732 ANGELOLOGIA E DEMONOLOGIA

La storia salvifica di Dio con l'uon:io è precisamente per amore


di Cristo autentica storia, che conosce un seguito graduale di tempo,
un prima e un poi, un inizio e una fine. L'angelologia cosl non porta
in sé il rapporto cristologico solo come disposizione interna, essa
piuttosto ha da rispettare nella presentazione sistematica anche lo
svolgimento storico-salvifico, temporale, delle prestazioni degli an-
geli. Essa deve distinguere le prestazioni degli angeli nell'Antico
Testamento da quelle del Nuovo Testamento e mettere in evidenza
il loro speciale significato, perché evidentemente il ruolo che gli
angeli hanno nella storia della salvezza, subisce un cambiamento so-
stanziale mediante il servizio di Dio che decide ogni cosa in Gesù
Cristo. Dalla testimonianza delle lettere paoline risulta che per la
presenza di Cristo, per l'agire dello Spirito santo e per il ministero
missionario della Chiesa in questo mondo, gli angeli retrocedono
nella loro importanza, mentre Satana, fondamentalmente detroniz-
zato dalla morte di Cristo, intensifica i suoi sforzi quanto più s'avvi-
cina su di lui il giorno del giudizio finale. La conclusione del patto
con Dio e la parusia di Cristo determinano quindi l'inizio e la fine
anche dell'angelologia.
L'angelologia e la demonologia qui abbozzate in compendio e, per
quanto possibile, presentate con orientamento storico-salvifico, pos-
sono sentirsi confermate dalla testimonianza della liturgia. Proprio
nei testi della liturgia sono interamente conservati il teocentrismo
e il cristocentrismo delle dichiarazioni bibliche sugli angeli. 18 Corri-
spondentemente alle esposizioni dell'enciclica Mediator Dei è certa-
mente cosl, che «la sacra Liturgia ... non determina né costituisce in
senso assoluto e per virtù propria la fede cattolica, ma piunosto,
essendo anche una professione delle celesti verità, professione sotto-
posta al supremo magistero della Chiesa, può fornire argomenti e
testimonianze di non poco valore, per chiarire un punto particolare
della dottrina cristianu. 19 In quanto anche la cristianità evangelica

1& Dà una rappresen1azione moho esauricnlc e che 1ien conio di lutti i lesti che
vengono in queslione B. Nt:m111rnsE11. 'Ocr EnRCI im Zcugnis dcr Li1urgie', in ALW
'IJ1/1 ( 1959) .p7; in par1icolare per la cd.-brazione cucaris1ica cf O. HEIMING, "Ocr
Engel in dcr Li1urgie'. in L11M, H. l i ( 19'7) 38·,,.
19Gv. Cali. (1947)1 98/4, p .f9l·
PQTTl.INA SUGLI A.'IGtiLI E SUI DEMONI
733

riconosce la testimonianza della liturgia,lll da essa si stabiliscono in


particolare punti di contatto per una comprensione ecumenica.
Ogni qual volta è possibile, si deve accennare ai testi della liturgia.
Con il postulato di un'angelologia svolta in modo storico-salvi-
fico non è allatto necessario rinunciare del tutto alle asserzioni, che
soprattutto i padri hanno fatto rispetto alla natura degli angeli.21 Se
l'uomo, sulla base della rivelazione, potè formarsi un'immagine di
Dio come lo Spirito semplicemente soprannaturale, beato in se stes·
so, egli può anche raggiungere, almeno approssimativamente, una
comprensione della na~ura degli esseri spirituali da Dio creati. Non
si deve ricercare il perché l'essenza naturale dell'angelo non si po-
trebbe distinguere dalla sua dotazione con la grazia soprannaturale.
Oggi dovrebbe esser evidente che le questioni riguardo alla natura,
al numero e alla gerarchia degli angeli, si possono prendere in consi-
derazione veramente solo con grande riservatezza e mai possono
stare come primo piano d'una presentazione storico-salvifica. Una
dottrina sugli angeli non dovrebbe per questo «andar oltre ciò che
ci dicono una sana esegesi della sacra Scrittura e della liturgia, un
illuminato riesame della storia dell'angelologia della Chiesa e lo
stesso magistero ecclesiastico».u
La testimonianza biblica, la confessione della Chiesa, e la dottrina
teologica degli angeli e dei demoni indicano incessantemente al cre-
dente che egli sta in una storia di salvezza e di dannazione, la quale
va al di là ed è più ampia dell'ambito umano. Questo concetto rende
valida anche oggi una angelologia e una demonologia. Nel concilio
Vaticano 11 è risultato chiaro che la Chiesa per la missione salvifica
affidatale deve impegnarsi in questo momento, ancor più che per il
passato. Affinché essa non dimentichi che il regno di Dio abbraccia

.!'l A mo· di esempio: nell'ordine di vi1a della 0-.iesa cvangclico-lu1erana uni11


della Germania si trova la st·~ut:ntc <i!!nilica1h·a costatazione: aNel suo cullo la
comuni1à è unita, al dt là di 1ut<c le divisioni. con la cris1iani1à di 1u11i i tempi e di
tulli i luoghi. (Ci1a10 SL-ConJo !'Agende f. evluth. Kìrcben und Gemcìnden, 1. I.,
Edizione per la comuni1à. Berlino 19n. p. 5*). a. anche la pn:fa7.ione dell'agenda
citata, PP- 8 s.
11 Le rispenive questioni che riguardano la spiritualità degli angeli. la loro C()fl().
SC<'nza e volontà, il loro nu;,icro e ordine, ,-cngono da noi riassun1c in un para·
grafo siorico-tcologico.
!! ]. WAGSER. op. al., 16.
734 A~GF!.01.0GIA e DF.MOMlLlk;JA

più che la sola realtà riconoscibile dagli uomini, le fu rivelato il


mondo degli angeli come suo mondo associato e circostante. Lo
sguardo al regno ultraterreno di potenze angeliche, la consistenza <"
l'operare di questo regno nella storia dell'umanità fanno contrappeso
alla sopravvalutazione dell'esisten1.a materiale, che altrimenti facil-
mente subentra. Qui risplende un'unità vasta del cosmo, che supera
tutte le conoscenze puramente scientifiche. In particolare il cristiano
sa l·h1.: anche questo ambito degli esseri spirituali vivi e personali
partt·cipa alla storia dell'alleanza e della salvei.za che riguarda &}i
uomini.i' Questa partl.'"Cipazione è una partecipazione di minaccia e
di distruzione, quando si tratta dei demoni. Dio solo può salvare da
un tale pericolo, egli solo può salvare dal peccato e dalla morte. In
quanto «Dio degli eserciti» egli ha chiamati a ciò anche gli angeli,
che a lui servono, per condurre a forma definitiva la sua iilleanza
pattuita con gli uomini, nonostante ogni potenza di satana. La dot-
trina degli angeli vorrebbe portare più vicino all'uorTh) credente lo
stesso mistero di Dio, i1 mistero che Dio in ogni tempo è con quelli
che sono stati da lui chiamati. Con l'esempio nell'Antico Testamento
gli angeli indicano, anticipano il fatto che Dio stesso verrà a r1.:di-
mere il suo popolo; dichiarando e delucidando, affermano nel Nuovo
mere il suo popolo; chiariscono e confermano nel Nuovo Testa·
mento che la venuta di Dio in Gesù Cristo è diventata realtà defi.
nitiva. Così gli angeli e i demoni, pur con tutto il loro aspetto occa·
sionale, non sono clementi troppo trascurabili dell'evento di Cri-
sto, testimoniato dalle Scritture. L'agire di Dio in Gesù Cristo è
però un avvenimento che colpisce l'uomo anche nel luogo e nel
momento attuale, nella sua fede, nella sua concezione del mondo,
nella sua esistenza di ogni giorno. L'evento di Cristo, che continua-
mente opera nella Chiesa e attraverso la Chiesa nel mondo, libera
2.1 Il l l von l\alrha"lt rid1ium.1 l'attenzione sul fatw che questa partecipazione alla
storia della •alvczz;1 "" intesa und1c nel senso <·hc il mondo degli angeli già ora rapprt:
senta un'n1tuaiinn< a111idpa1;1 dcl rc11no csca1ulogico di Dio: ~Non i: pr..pron ,,..,;,
0

e non può ><>r11crc l'imprc"ionc quasi che il regno, <hc il Figlio viene " fondare
e che egli certamente incarna nella sua totalità, sia un luogo solitari<> ddl'Assoluu.,
che sarebhc poi popol;11u per div<·ntar comunità, da tutti i risorti <ht: sc:iniiranno
Cristo; piu1tosto <lll<"sto 1110110 presso Dio, a cui vengono portati i reJenti in terra,
è fin da princirio 'la rittà dcl Din vivente, la Gerusalcmm<' celesu:' cun le .uc
'innumerevoli schiere di an11cli, con l'assemblea festosa dei primogeniti' \H~br.
Il,22 s.)» (ll1·rr/1Chk,•i1 I, Eimicd,.ln 1961, pp. 469 s.).
IH}'M'~INA ~UGLI ANr.f.1.1 F. SUI DEMONI 735

da una schiavitù che non è spiegata solo con la colpa umana, perché
ha fondamento nella malizia diabolica. Questo avvenimento di Cri·
sto conduce alla piena libertà dei figli di Dio, perché, subordinati al
Figlio, anche gli angeli sono al servizio di coloro che devono conse·
guire la salvezza ( Hebr. 1 ,14 ). Questo devono rendere chiaro )'an·
gelologia e la demonologia.
SF.ZlONE SECONDA

GLI ANGELI

Esistenza e attività di esseri personali ultra-terrestri, che noi chia-


miamo angeli, sono testimoniate nella rivelazione dell'Antico e del
Nuovo Testamento. Com'è stato spiegato nella sezione precedente,
l'affermazione della loro realtà, che esige la fede, non si può sepa-
rare dal messaggio di Cristo. Ogni dichiarazione magisteriale e teo-
logica sopra gli angeli si fonda sulla testimonianza della Scrittura,
che anche qui deve venir posta come preliminare alla ricapitolazione
storic~-teologica e allo svolgimento sistematico della dottrina sugli
;mgeli.

I. Gli angeli nella testimonianza della Scrittura

Il messaggio biblico sugli angeli conosce già in sé un progresso


storicamente lineare, collegato con un contemporaneo approfondi-
mento della realtà rivelata e riconosciuta. Ciò è determinante anche
pèr la nostra presentazione: muovendo dalle attestazioni veterote-
stamentarie sugli angeli essa vorrebbe illuminare la testimonianza
dd Nuovo Testamento e presentare quest'ultima come compimento
Jetìnitivo di ogni precedente rivelazione.

a. Gli angeli nell'Antico Testamento

aa. Ogni avvenimento di salvezza fra Dio e l'uomo ha per il giusto


dell'Antico Testamento una dimensione spazio-temporale ed è nello
stesso tt:mpo sempre un avvenimento celeste-terrestre. 1 Come sem-

• Sul complcsm delle asseriioni vecerotcstamencarie informa nel miglior modo


J. M1c11L, 'Engcl', in RAC v (1962) 60·97. Cf. ID., 'Engcl', in LTK 111 11959) 864-
lsoo; Io., 'Angelo', in DzT. I (J1969) 93·97; C. IIEIDT, Angdology o/ the Old
Terlamenl. A Studv in bihlirnl Theolo[!.y (Washington 1949). Tutti portano ulte-
riori informazioni letterarie. · Benché anche i demoni possano esser compresi sollo
il termine di 'angelo', in q11;1n10 è denominazione della natura (angelo= essere
738 GLI AN<ll!LI

pre, si deve tener conto della conrezione fisica che del mondo ave-
vano gli antichi: nella rappresentazi~ne dcl 'sopra' e del 'sotto',
che ne deriva, si rispecchia, ad ogni modo, per la persona religiosa
di quel tempo, il rapporto Dio-creatura. E questo non come se il
cielo - che ci si rappresenta ulteriormente strutturato - si idcnti·
ficasse con Dio: esso è, come l'uomo e tutte le cose visibili, l'opera
delle mani di Dio (Ps. 102,26) è creazione fatta mediante la parola
del Signore, mediante il soffio della sua bocca (Ps. 33,6). Il cielo
inteso dalla parola della Scrittura non è da identificarsi con Dio;
non è neppur pienamente identificabile con il firmamento degli
astri, che si inarca sopra la terra, perché l'espressione biblica com·
prende coscientemente il mondo delle «realtà celesti» (Zach. 14,,;
Ps. 30,1), degli spiriti, sui quali Dio esercita la sua sovranità. Cosl
è più esatto parlare non di un 'luogo', ma di un 'regno dei cicli'.
In questa realtà cosmica-sopracosmica anche il mondo degli angeli
in senso inclusivo è il cielo, 'più vicino' a Dio che la terra; è, insie-
me a Dio, ciò che 'sta di fronte' all'uomo terrestre. Dal cielo Dio
elargisce i suoi benefici, manda minacce e castighi, invia la sua parola
(cf. Ex. 16,4; 2 Reg. 1,10; Sap. 18,1,). Operando così Dio dal cielo,
anche il regno dei cieli stesso partecipa a questa opera; Dio fa par-
tecipare anche gli angeli a questo avvenimento celeste-terrestre ordi-
nato, strutturato e multiforme. Dio si serve di loro come di suoi
'messaggeri'.

Il nome '1mgdi' nel linguaggio odierno comune, in voga definitivamente


dall'inizio del Medio Evo, indica spiriti ultraterreni; e in verità non pri·
mariamente per la loro natura, ma per il loro compito nel servizio di
Dio. Li lingua ebraica non ha in sé nessuna specifica espressione con
estensione concettuale simile al tedesco Engel e ai termini corrispondenti
in altre lingue moderne. Il termine mal'ak, usato frequentemente, ma
nun csdusivamente, nell'Antico Testamento, deriva probabilmente dalla
radi1..-e ;1raba la'aka = 'inviare qualcuno con un incarico' (cf. H. Gaoss,
'Der J;ngel im Alten Testament', in ALW v1/x (1959) 28). Mal'ak in-
dica originariamente l'astratto, la 'missione', I' 'annuncio', ma poi, tra-
sferito al l."Oncreto, diventa il 'messo', il 'messaggero'. In questo signi-

pel'$0nale spirituale), noi qui con ~w vorremmo intendere soltanto le potenze


s1·irituali buone. souomesse a Dio.
NF.1.1.A SCRllTU~A
739

ficato generico vengono chiamati mal'ak anche il sacerdote (Mal. 2,7), il


re (.2 Sam. 14,17.20), anche semplici uomini (1 Sam. 29,9). Quando il
termine designa un angelo in senso stretto, specifico, allora proprio si
tratta soltanto di un caso particolare dell'uso comune Jella parola. li ter-
mine 1'iyyFi.o; Jella lingua greca profana ha quasi la stessa esrensione
di significato. Nel Nuovo Testamento si manifesta già più chiaramente
la differenziazione del vocabolo, tultavia la Volgata per prima è coerente
nella distinzione, usando mmlius per il messaggero ordinario, a11grlus
per il messaggero celeste. Il messaggero, in sé non determinato, diventa
in modo inequivocabile il messaggero di Dio, l'angelo, se il contesto in-
clude indirettamente nella sua denominazione Dio quale mandante, op-
pure se il vocabolo è contrassegnato da un collegamento al genitivo con
il nome di Dio o da pronomi possessivi (cf., ad es., Gen. 28,12: «An-
gelo di Dio»; Ps. 34,8: «Angelo del Signore»; Gen. 24,7: «il suo an-
gelo»). Ogni angelo appartiene a Dio, ed esiste soltanto in quanto è il
suo angelo, il santo angelo di Dio, che viene fatto partecipe del parlare
e dell'agire di Dio sulla terra.
Accanto a mizf'ak, a questa fondamentale designazione del tutto deter-
minata esclusivamente dalla funzione e dall'attività, si trovano nell'Anti-
co Testamento ancora altri nomi per gli angeli. Poiché derivano da Dio,
essi vengono chiamati cfigli di Dio» (Gen. 6,2; Job 1,6; 2,1; 38,7; Ps.
29,1; 89,7), sono i «santi» (]ob 5,1; 15,15; Ps. 89,6.8), i «potenti»
( Ps. 103,20). Essi hanno per questo anche la loro dimora presso Dio
in cielo (Gen. 21,17; 22,11; secondo una primitiva concezione, anche
sulla terra: Gm. 32,2 ). Secondo la fonna della loro apparizione essi
sono designati occasionalmente anche come «uomini• (Gen. 18,2.16;
19,10.12). Visti nel loro insieme, gli angeli formano «l'esercito di
Jahvc!• flos. ,,14). «l'esercito celeste:» (1 Re11.. 22,19); Dio sresso è il
«Dio degli eserciti• (Os.12,6; Am. 3,13), cJahvé degli eserciti• (1Sam.
1,3.11; Ps. 24,10; fr 1,9; 6,3; ler. 7,3; 9,14). In r Sam. 17,45 questa
formulazK>ne designa Dio quale supremo condoniero dcl popolo nel cui
nome si schierano gli eserciti. Ciò dimostra che il nome ha in sé un senso
molto vasto e: che anche gli astri possono essere intesi con il nome:
'esercito' (ler. 33,22; fr 40,26). Cf. su ciò M. Rehm, in EB 11 ( 1959) 14,
nota a 1 Sam. 1 ,3.

Il termine di messaggero mal'ak, come anche tutte le altre denomi-


nazioni che incontriamo nell'Antico Testamento, per gli angeli, li
considera interamente nel loro riferimemo a Dio. Anche se le rap-
presentazioni veterotestamentarie degli angeli sottostanno 11 molte-
plici mutazioni, incominciando dal tempo dei patriarchi fino al pe-
riodo dopo l'esilio, tuttavia gli angeli rimangono fondamentalmt:nlL'
in totale dipendenza da Jahvé, il Dio del cielo e della terra. All'an-
gelo spetta un'indipendenza più ristr~tta che all'uomo, relativaml·ntc
indipendente. Dovunque si percepiscano l'essere e l'agire di un ,m.
gelo, là viene udita la parola di Dio, è riconosciuto l'avvenimento
della r1111 volontà, vengono richieste fede e obbedienza per Dio.
<~Fondamentali sono solo l'opera di aiuto, di salve1.za, di custoJi11;
di protezione. e la vicinanza di Dio che dirige, conduce e provveJt:
in situazione spesso priva di aiuto e disperata:-' cose che diventano
percepibili e sperimentabili per mezzo di questo messaggero. L'an-
gelo così è prima di ttllto messaggero che esegue un incarico del suo
Signore come suo servo e schiavo. Egli è espressione del fatto sem-
pre nuovamente sperimentato da Israele e dai suoi devoti che l'aiuto
di Dio qui in questo mondo vien incontro dappertutto all'uomo
fiducioso e credente».1
L'aiuto di Jahvé per Israele, diventato addirittura persona, è
)'«angelo di Jahvé», testimoniato sopranutto nei primi testi vetero-
testamentari (Gen. 16,7-14; 18,2s; 21,17-19; 22,11-14; 31,11-1 ~:
Ex. 3,2-6; ecc. ). 1 In queste prime tradizioni risplende il mistero della
vicinanza unica fra Dio e angelo: l' «angelo del Signore» è un<1 spe-
ciale manifestazione di Dio. Ciò spiega lo scambio voluro, spesso
improvviso, che si trova nei luoghi citati, fra il discorso di .Jahvé e
il discorso dell'angelo. Come esempi si possono prendere il primo e
l'ultimo testo nominato. In Gen. 16,7-13 il testo introduce imme·
diatamente !'«angelo di Jahvé». Egli appare ad Agar nel deserto
come un messaggero di Dio, noto, pronto ad aiutare e dal quale ella

l K DHAllAYI'., 'Engd im Alt"n Tesument, F.ine 1heolo1t1>d1c Auslc:ll\lnit"· in I".


KoPF·WENDLING. Erigei '"' 11/ttn Tt'1t.imt'nt, :z: Monutvpìen, Freiburg 196,, pp. •" •.
1 Rii:uardo ai ll"Sti tuJivi d. fr• l'ahro 1 .fom. l\),9; 2 ç,,,,,,
14,17.lo; 19,111;
2~,1ti; 1 Rt'~. ,,,,, 7; J Rrl( 1,p,: P.r. 14.!I; H,, •.; qui e1di non appare più ..:om,
mqnifc,l<11.ion1· di Dio, ma scmplic.,mente wme suo ~"rvo e messo privile11iaro. Al·
rum a111ori vnrrehhcro veder present.- anche nd Nuovo Tc•IJ~nto I~ f~ra ,l,·1
l'can11cln dcl ~111norc•: d. a mo' 1h esempio e K1TTt:I .. 1'iyyfi.n;, in fW.'111
I (191!1 K1; C. WF.STl'RMANN, ·En11el'. in EKL I (19<•tl tON: K. BART11, KD 111. 1.
nos. Essi rinvidno a passi come Mt. 1,20.24; 2,11.19: /.< 1,11; 2,<,1; Art '"'"
11,JI>; 10.1, e p.isrtm Nonn'1.lnle il vonbola1io d11: non h• difkren1.1· di 1erm1111,
uot vorremmo invL-ce tener fermo eh<• l'•an11do del Siitnorc•. ~-ome tiicura con una
prossimità unica a l>io, appare .olo nell'Antico Tes1amen10
NF.1.1.A 5CRITTLIRA 7.p

non ha nulla da temere. La promessa dell'angelo viene come da


potere proprio, Agar però vi riconosce la potenza e l'autorità quali
spettano solo a Dio. Dunque è un angelo che appare, ma secondo
la comprensione di Agar è Jahvé che pronuncia la parola della pro-
messa. Nel racconto di Ex. 1.2-6 J' .. angelo di Jahvé» e Dio sono
ancora più strettamente accostati: appare l'angelo di Jahvé, ma
Jahvé guarda e parla.4 Anche gli altri testi collocano !'«angelo di
Jah\'é» in una tale \•icinanza a Dio, da rendere difficile una chiara
distinzione fra i due.

Esegeti e teologi hanno sempre cercato di spiegare la hl?lJra del mtJ!'"k


Jahvé. Elenchiamo in breve le teorie più importanti, ciascuna delle quali
ha il suo pro e il suo contro:
La teoria Je/111 r11ppresentanu intende )'.. angelo di .Jahvé• come angelo
creato, che entra in scena quale rappresentante di Jah\•é, in forza di uno
speciale incarico e con autorità divina. A mo' di confronto si rinvia
volentieri all'ufficio del messaggero, del diplomatico, che, munito dei
pieni poteri, rappresenta il sovrano. Già in GEROLAMO e in AGOSTINO
si trova un'esegesi dei testi nel senso della rappresentanza. In tempo
più recente specialmente J. RYB1NSK1 (Der Mal'akh Jahwr, PaJerhon
1930), difese la teoria della rappresentanza. Essa costituisce fino aJ oggi
l'opinione più comune. Anche se F. STJER non crede di poterla seguire,
ci sembra che la sua concezione, secondo la quale )' .. angelo Ji J.ah,·é•
rappresenterebbe il vizir, si muova in verità nell11 stessa direzione 1 F.
STIER, Gol/ una uin Enf(el im Alten Testament, in Alllt•stammtliche
Abhandlungen 12/2, Milnstcr 1934). L'aspetto positivo della teoria Jella
rappresentanza è che, secondo essa, appare un vero angelo: per n1i In
espressione m•l'ak Jahv~ diventa veramente significante. D'altra parte
però con il concetto della rappresentanza i tesai non sembrano spie1tati
esaurientemente. Il messaggero, il diplomatico, può molto bene rappre-
sentare in modo pienamente valido il suo sovrano e parlare per su11 in-
carico, ma non può scmplicemen1e equipararsi al suo mandante, senza
prima aver fornito corrispondcn1i credenziali. Nei testi citali invece,
discorso e azione pa~sano in modo incontrollabile e arbitrario cLa Jahvé
all'c1mgelo di Jahvé». Non si parla di uno speciale incarico.
A questa difficoltà vorrebbe sfuggire la h'oria Jell'iJentità, in quanto

4 G. v. RAD vorrebbe vedere un cerio 1i11ema nella variazione apparenicmc:nlc


senza Jis1in1ione: se si parla di Dio senza 1ener conio Jdl'uomo, allora si 1rova
Juh,·.C. ma appena Dio c:n1n ncll'appcrn"~ìonc Jcll'uomo, allora enlra in scena il
mal'ak dì .hhvé (uyyrl.o;, in lWNT I, 76).
742 GLI ANGELI

essa identifica l'«angelo di Jahvé» con Jahvé. Alcuni Padri della Chiesa
volevano identificare !'«angelo di J11hvé» piuttosto con il Logos (teoria
del Logos). B. Stein, che hn fatto una ricerca soprattutto sui testi dcl
libro dell'Esodo, giunge a questo risultato: «L'angelo dell'esodo non è
dunque un anKclo crcnto, mn lo stesso Onnipresente, che è operante e
presente di preferenza in un luogo speciale .. ('Der E11gel dt•s A11szugs'.
in Biblica 19 [ 1938] 307 ). A questa teoria va obiettato che i testi poste·
riori vedono inequivocabilmente nell'«angclo di Jahvé» un messo divino
creato. Con ciò la rappresentazione degli angeli non offrirebbe uno svi-
luppo continuo, bensl una netta frattura nel passaggio da Dio alla crea-
tura, e questo avrebbe bisogno di una nuova spiegazione. Se si deve
narrare una reale teofania, perché allora Dio non rimane continuamente
il solo ad agire e il solo a parlare? Per quale motivo gli scrittori biblici
introducono in aggiunta ancora un angelo come colui che appare? Po-
trebbe trattarsi solo di posteriori correzioni del testo.
Questo parere viene portato avanti dalla teoria dell'interpolazione (detta
anche teoria dell'interpretazione). Essa vede nell'«angelo di Jahvé• il
risultato d'una riflessione e d'una speculazione teologica posteriore. Con
la progressiva conoscenza dell'assoluta trascendenza di Dio, la quale non
consente più rapporti immediati e diretti con Dio, si sarebbe giunti a
mutamenti nei racconti originari delle teofanie. In questo senso si pro-
nuncia fra gli altri J.M. LAGRANGE ('L'angc de Jahwé', in RB I2 [ 1903)
212-225) e G. v. RAD (TheoloRit: des A/1e11 Teslam1•n/s l=Ein/ubrung
in die evangelische Theologie 1, Miinchen 1957· pp. 284-286). Vi si op-
pongono V. HAMP ('Engel Jahwes', in LTK Ili [l959) 879), il quale
ritiene una tale interpolazione come «indimostrabile e difficilmente vero-
simile», e H. G1oss (Der EnRei im Allen Terlament, p. 34 s.). Di fatto
tali interpolazioni sembrano 5tabilite incoerentemente, come mostrano le
aggiunte dei LXX e Ex. 4,24 e a luJ. 6,14.16. La •riflessione teologica•,
sicuramente supposta a ragione, va ascritta, secondo H. GRO!'S (op. di.,
p. 35 ), piuttosto al primo racrnglitore delle antiche tradizioni e non a.
pensatori posteriori. Evidentemente, per mantenere l'originalità dei rac-
conti, egli ha congiunto gli strati differenti della tradizione, non senza
una suturazione. Perciò anche l'•angelo di Jahvé• appartiene molto
probabilmente al patrimonio intatto della tradizione.
La discussione riguardo ai tentativi esposti per una spiegazione, non è
ancora chiusa. Cosl si può ancora ritenere che mediante l'•angclo di
Lihvé• s'intcndòl un vero angelo creato. L'idel della rappresentanza
·deve sl·nza duhbio venir svilurpara Il. JuNKF.R dii indicazioni preziose
in quesra direzione del suo commenro a Gen. 18-19, in EB 1(19H)76s.
dove egli fu l'ahro spiega così la sua ipotesi J..Ila ri111·la:ione: •L'angelo
di Jahvé non 1mnuncia il messaAAio di Jahvé pensato assente. ma di Jahvé
Nt::LL.\ Sl:RITTUU
743

presente. Noi incontriamo il pensiero del narratore e diamo il giusto peso


alle sue diverse asserzioni nel modo più pieno, ammettendo che l'angelo di
Jahvé manifesti agli uomini, con il suo farsi visibile quale accompagnatore
e latore della gloria di Jahvé, la presenza di .Jahvé, il quale però, misterioso
in se stesso, rimane invisibile» p. 77. Similmente parla H. GRoss (op. cit.,
p. 3' ): •L'angelo di Jahvé è de1crminabilc nella maniera migliore come
una forma di manifestazione Ji Jahvé ... Dietro all'angelo di Jahvé, me-
glio ancora in lui, sta invisibilmente presente Jahvé, che egli rivela; attra-
verso di lui parla e aitiscc .Jahvé ... La sua caratteristica è che Dio si lega
molto strettamente a lui quale mezzo dell'apparizione, senza tuttavìa
entrare pienamente in lui, quasi come un'unione ipostatica. Ciò confe-
risce all'angelo di Jahvé una sublimità e una superiorità quali solo ecce-
zionalmente vengono elargite alla creatura».

La figura dell'«angelo di Jahvé» probabilmente non si lascerà mai


determinare in maniera univoca. Questo non deve esser sentito af-
fatto come uno svantaggio. Proprio la varietà e l'indeterminatezza
della sua immagine esprimono in modo eccellente la convinzione
fondamentale del popolo eletto: «L'angelo di Jahvé rende manife-
sto in senso esatto ciò che il nome o ancora meglio il titolo di angelo
intende: il messaggero di Dio, munito di mandato e di pieni poteri,
il cui intero operare si esaurisce nell'esecuzione di tale mandato.
In ogni caso il Dio dell'alleanza viene sentito come il vero agente.
Egli è colui che rivolge agli uomini la parola apportatrice di salvezza.
Non può dunque meravigliare che l'interpellato, per cui vale la
promessa di Dio, identifichi ampiamente discorso e azione del mes-
saggero con l'azione di Dio portatrice di salvezza. Egli alla fine con-
fessa la prova della benevolenza di Dio dimostratagli nel suo mes-
saggio attraverso le parole o l'azione dell'angdo». 5 Tutte le narra·
zioni più tardive sul parlare e l'agire degli angeli sono soltanto va-
riazioni dell'unico tema, come già si presenta nelle prime pagine
della sacra Scrittura.

bb. Con la progressiva rivelazione storico-salvifica fu gradual-


mente approfondita e allargata anche la rappresentazione degli an-
geli, e questo evidentemente in stretta relazione al mutare dell'im-

5 K. DELAHAYE, op cii., 13 5 (con omissioni). a. K. BAITll, KD 111/~,,74 •.


7H GLI ANGELI

magine di Dio. Se il popolo eletto ne.I tempo antico aveva capito


Jahvé dapprima come Dio nazionale, con l'inizio dell'epoca dei re
(invece) fu sempre più consapevole che il suo Dio è un Dio universale.
Jahvé si era bensì scelto Sion come dimora, - egli troneggiava là
sull'arca dell'alleanza trn i Cherubini - , ma la sua presenza non
era allatto legata solo al tempio. II Dio universale, il Signore del
dc.:lo e della rerra, diventa nello stesso tempo anche il Dio lontano.
Egli ~ ora il maiestatico re dcl cielo, circondato da una corte di spi-
riti che Io servono (cf. 1 Reg. 22,19), elevato sopra tutte le cose da
lui create. La distanza crescente fra Dio e Israele va veramente
intesa più come natura che come spazio. Quanto maggiore diventa
questa distanza in corrispondenza ali 'idea di Dio che si va mutando,
tanto più sentito diventa il bisogno di angeli per notificare sulla
terra la volontà di Dio.
La trasformazione dell'immagine di Dio si effettua prima di tutto
nella rappresentazione dell' «angelo di Jahvé», che appare come pri-
ma, ma ora viene visto completamente come messaggero creato.
Tipico in questo senso è un avvenimento tratto dalla vita del pro-
feta Elia, narrato in 1 Reg. r9,5-11. Qui l'apparizione dell'angelo
( v. 5-8) viene chiaramente distinta dalla vera apparizione di Dio
(v. 9-u), e in verità non solo in modo spaziale, ma anche in modo
funzionale: l'apparizione dell'angelo ad Elia ha solo un fine di ser-
vizio, di preparazione, non più di manifestazione di Jahvé, come
presso Mosè. Lo sviluppo non poteva venir dimostrato più chia-
ramente.
Un secondo momento dello. sviluppo della rappresentazione degli
angeli consiste nel fatto che il numero degli angeli è aumentato: ac-
canto all'unico «angelo di Jahvé» entrano in scena ora molti spi-
riti, i quali hanno da svolgere una funzione di aiuto e di protezione
per Israele. Essi mettono a portata dell'uomo la salvezza di Dio. ma
sono anche nunzi cd esecutori dei suoi castighi. Senza dubbio Jall.1
epoca dci re gli angeli acquistano importanza in modo crescente.
wme istanza intermedia fra Dio e l'uomo. Ciò sarebbe inconcilia-
bile con nmmagine del Dio dell'alleanza, il quale solo opera, se
nc::llo stesso tempo non fosse entrata sempre più nella consapevo-
le1.za del popolo eletto la creaturalità degli angeli. Totale creatu-
NF.1.1.A SCRITTllllA ì45

ralità e accresciuto impegno di servizio si lasciano però molto ben


conciliare.
In misura progressiva è possibile indicare a questo punto influssi
extrabiblici nelle rappresentazioni degli angeli, soprattutto per quan-
to riguarda i Cherubini e i Serafini. I Cherubini 6 sono attestati
molto spesso nell'Antico Testamento. Il loro nome deve essere
presumibilmente derivato dall'accadico kariibu ( = pregare, benedi-
re). Il sostantivo kiiribu o karubu ( = orante, intercessore) designa
di solito una divinità protettrice, che porta la preghiera dei credenti
davanti alla divinità suprema. Rappresentati originariamente in fi-
gura d'uomo, furono più tardi provvisti d'ali e con le caratteristiche
di un'aquila, leone o toro. Possono aver influito su tale rappresen-
tazione anche le immagini delle sfingi egiziane, come pure le im-
magini dei colossi assiri, alati in figura di leone e di toro con volto
d'uomo, che stavano come custodi agli ingressi dei templi e dei
palazzi. E nota la loro somiglianza con le figure dei Cherubini sulla
arca dell'alleanza (Ex. 25 1 18-2 2; figurati un po' diversamente nel
Santo dei Santi del tempio salomonico: I Reg. 6,23-28) e con le
immagini della visione di Ezechiele (Ezech. 1,4-13; cf. 10,8-17).7
Ciononostante, quest'analogia di nome e d'immagine non dice anche
identità di concetti. Secondo l'Antico Testamento i Cherubini sono
esseri creati, appartenenti alla corte dell'unico Dio assoluto che tro-
neggia sopra di loro (r Sam. 4,4; 2 Sam. 6,2; 2 Reg. 19,15; Ps. 80,
2; 99,1 ). Gen. 3,24 li conosce come custodi all'ingresso del para-
diso (d. Exech. 28,14.16). Nella teofanie essi sono i portatori di
Dio e rivelano la sua presenza (2 Sam. 22,10; Ps. 18,11 ). Nelle
visioni di Ezechiele ( 1; 1 o) quattro Cherubini simili a fuoco, con
quattro volti, conducono il carro del trono della gloria di Dio. Al
profeta sicuramente non interessa la descrizione esatta dei singoli
elementi dell'immagine: nell'insieme, i Cherubini devono in ultima
analisi rivelare Dio stesso, la sua sapienza, la sua sublimità e mae-
stà, la sua forza e potenza protettrice.• Anch'essi, pur con ogni par-

6 a. P. D1101lME .11. L. V1NC.F.NT, 'I.es Chérubins', in RB 35 ( 1916) 328-n8.


1 Per la rappresentazione dell'arte cristiana cf. H. Pwws, 'Chc:rubim', in LTK
Il (19,8) 1045.
8 Cf . .f. Z1F.Gt.ER, in EB III (1958) 455 s., nota a Ezech. 1,10. Qui e nella nota
Gl.I ANGELI

ticolarità, per cui si distinguono dagli angeli comunemente noti,


sono parimenti esseri interamente al servizio.
I Serafini, come esseri simili ai Cherubini, a sei ali, con volto
mani e piedi, sono nominati unicamente nella visione della voca-
;'.ionc Ji Isaia (6,2 s.6). Il loro nome Ufriifim =brucianti) designa
Ji solito il serpente velenoso, che minacciava gli Israeliti nel deserto
(Num. 21,6.8) o un serpente alato (ls. 14,29; 30,6). Il modo in cui
IsAIA parla dci Serafini, fa pensare che essi debbano esser stati
conosciuti dai suoi lettori. Se si prescinde da Is. 6,6, i Serafini non
appaiono ordinati al servi:t.io degli uomini, ma dediti solo alla lode
di Dio. Essi si identificano con !'«esercito celeste», che secondo
r Reg. 22,19 e }ub i,6, sta alla destra e alla sinistra del trono di
Dio. A ragione J. M1CHL osserva che i Serafini e i Cherubini per il
loro totale riferimento a Dio non sono angeli secondo il significato
=
originario di questa parola ( messaggeri di Dio agli uomini), e che
perciò nel tempo antico non furono mai chiamati così; tuttavia già
nel giudaismo posteriore essi furono catalogati nel gruppo degli
esseri oggi chiamati angeli (aethHen. 61,ro; 71,7) e cosl possono
esser indkati con il senso odierno di questa parola.9

cc. Il contatto con la cultura e la religione persiana e greco-romana


portò nel periodo dopo l'esilio uno sviluppo oltremodo ricco delle
rappresentazioni degli angeli, che si fissò soprattutto nei libri di
Giobbe, Daniele e Tobia, ma ancor più nei cosiddetti apocrifi (libri
di Enoch, libro dei giubilei, siriaca Apocalisse di Baruch, ecc.). 11 Se
finora una minaccia politeistica per la fede in Jahvé non aveva la-
sciato nascere in Israele un'angelologia sviluppata, ora la rappre-
sentazione, che diventava sempre più rigida, della trascendenza di
Dio favoriva l'interesse nei confronti di esseri concreti intermedi.
Lo mostrano chiaramente le correzioni tardive dei testi 11 come pure

al wrsc110 11 ancM aù-.~l'lni ai mutamenti in Apoc 4.6-8 .


• J ~hall.. 'Angelo". in D::r I (31969) 94. Qui e importanie la testimonianza
ddla liturgia, poiché Cherubini e Serafini sono menzionati in mohi prdazi (d. Trt.
BoGLER. Drr f:n11.d tn da ntodernen Kun1r. in LuM. 21 ( 1957) 114, nota ,.1.
10 Documenti deuagliati per le concezioni del lardo giudaismo e dei rabbini '.
presso J. MrcHL. ·Engd', in R1IC V (19621 64-97; m breve sint<"Si 11>., ·Angelo", in
D:T. I ( 31.,ltql 941J7.
Il Cosi in akuni passi dove nt' 'PSto ebraico agisce Dio stesso, nei LXX vient
NFl.l.A S!:RITTl!KA
74ì

un confronto delle teofanie di I s. 6 e Dan. 7. Già I s. 6 mette in


luce la mait•stas divi111.1: Jahvé è ingigantito in dimensioni cosmiche
come Dio-re sopra questa tcrra, tuttavia l'orlo della sua veste rag-
giunge ancora il tempio, e la gloria di Jahvé lo riempie. Cosl in
lsAIA sono espresse ancora due realtà: il legame di Jahvé con il
tempio, con questa terra, e nello stesso tempo la sua superiorità al
di sopra della terra. Nella visione di Dio di DANIELE Jahvé è inte-
ramente innalzato nella trascendenza. Le nubi del cielo, sulle quali
il Figlio dell'uomo vien portato davanti a Dio (Dan. 7,13 ), segnano
in maniera inconfondibile confini fra il mondo di Dio e la terra
dell'uomo.
L'immagine dell'angelo non rimane senza modificazioni data que-
sta approfondita conoscenza della trascendenza di Dio. Gli angeli
appartengono, come corte di Dio, allo spazio di Dio elevato sul
mondo terrestre. Essi formano quasi la famiglia di Dio e per questo
vengono chiamati, specialmente nella letteratura apocrifa, 'figli di
Dio', 'figli del cielo' e 'divini'. Designati ormai come 'spiriti' per
contrassegnarli nella loro peculiarità, essi esistono senza corpo e per
questo anche sono più vicini a Dio che all'uomo. D'altra parte viene
fortemente messa in evidenza anche la loro creaturalità (]oh 4,18;
5, 1; 15 ,1,; 33 ,2 3 s.; 38,7 ). Il loro numero è smisuratamente
grande.'z
Per quanto riguarda gli eventi del mondo anche le concezioni
tardo-giudaiche difendono in tutto l'unico potere di Dio, cosl che
agli angeli, come a consiglio della corona di Dio, non spetta alcuna
propria partecipazione al regno. (]oh 1,6-12; 2,1-7; Ps. 89,8). An-
che in questa epoca gli angeli vengono intesi in tutto quali servitori

r.onunato solo un an~lo (cf. per es. Ex. 4.i4; lob 20,1'; Ps. 8,6). In lob 1,1\ •fi·
l'li di Dio• è sostituito con •angeli•, così pure il •dèi• in Ps. 97,7 e 138,1. Ripcr·
cussioni nel Nuovo Tes1amen10 v. in Le. 12,ll s. e 15,10, dove parimcn1i si potrc:bix,
intendere Dio stesso.
t? S«ondo D.m. ;,10 sono •mille migliaia• quelli che servono Dio. Con CÌÌl
!"agiografo ragl'iunge valori limite dd si't"""' numerico ehrain>-aramaico, oltre Il'
decine di migliaia: il valore numcnle wsì espres"> vale come impenubilmcnte
grande (cf. 11. GROss. n,., Fn~..J. p. ,si. Anche se gli angeli vcniono preferihil-
mcnte pensati come la coric Ji J),,,, 1u11avia il loru \C'rvizio piì1 elevato, l'CS<'('U·
z1onc Jclla liturgia celcs1c, \'ic.-n<· nnmina10 ndl'An1in1 Testaml'nto solo raramc:ntl'.
per il semplice motivo dte i primi documenti c.lclla rivelazione non devono allon-
tanare troppo Jal temd propri<!, 1'J11nnc cioè ,dlvilÌ<"A di Dio riguudo agli uomini
LI.I ANLt.1.1

di Jahvé, che solo regna. Come suoi J:Qessi essi vengono presso gli
uomini (r Chron. 21,18; Tob. 3,17; Dan. 14,33), li proteggono
(Dan. 3.49; 6,23; 2 Mach. 11,6) e fanno spt:rimentare il loro aiuto

nella maniera più svariata. Risalendo di nuovo a Dio, portano da-


vanti a lui le preghiere degli uomini (]oh 33,23 s.) e intercedono
(Tob. 12,15). La funzione protettrice degli angeli viene sempre più
precisata, così che alla fine ad ogni popolo si ascrive un angelo
particolare (Dan. 10,13.20 s.; lub. 15,31 s.; aethHen 89,59), come
anche ad ogni singolo uomo (I QS 4,15 s.). Secondo la regola delle
sette di Qumran due spiriti devono abitare nell'uomo, uno è spirito
della verità e l'altro spirito dell'ingiustizia (I QS 3,18 s.). Il passo
verso una dottrina sviluppata sugli angeli custodi era ormai breve
(cf. gr. Apoc. Bar 12,3; slavHen 19,4).
L' 'angelo interprete', che è caratteristico per il tempo dopo l'esi-
lio, svolge un servizio di tipo particolare. Dio non parla più diretta-
mente al profeta o allo scrittore apocalittico, ma fa giungere la sua
parola rivelatrice attraverso un angelo (d. tra l'altro Zach. x,9; 4, x;
5 ,5 ). In EZECHIELE questo angelo viene semplicemente chiamato
<<Uomo» (40,3 s.; 43,6 s.; 47,3-6); secondo ZACCARIA !'«angelo di
Jahvé» sembra assumere parzialmente il compito dell'interpretazione
e spiegazione (3,1.6); il libro di DANIELE invece assegna questa
funzione all'angelo Gabriele (Dan. 8,16; 9,21 ). Occasionalmente
perfino un angelo deve chiedere informazione per sè all'angelo inter-
prete (Dan. 8,13). L'introduzione dell'angelus interpres negli scritti
profetici illustra in modo speciale la sensibilità accresciuta per la
trascendenza di Dio. La ricerca esegetica odierna trova difficoltà
a decidere nel caso singolo, se si tratti soltanto di una forma lett~·
uria o dell'intervento angelico, da intendere come concreto.
L'indipendenza relativamente maggiore con la quale gli angeli
nel tardo giudaismo entrano nella vita degli uomini. viene sollo·
lineata dal fatto che ora appaiono i nomi di singoli angeli. Ql.
tre all'angelo Gabriele, già menzionato, vengono nominati Michele
1Dan. 10.13.21; 12,1), Raffaele (Tob. 3,25; 5,6.18) e molti altri an·
cara, soprattutto negli scritti extracanonici." Questi nomi dei singoli

B J. M1c11L, "Engcl". in RAC V, 201rz39, enuncia 269 nomi pur non volendo la
N!oLl.A SC.lllTTl'llA
749

anf'di dimostrano che i messi di Dio sono partecipi della storia della
salvezza non solo come insieme, ma anche come esseri singoli, e
ciò proprio in quel modo speciale indicato dal significato dei loro
differenti nomi (Michele =
chi è come Dio?; Gabriele l'uomo di =
di Dio; Raffaele =.Dio salva). Però le asserzioni della Scrittura ver-
rebbero senza du~bio forzate, se si volesse derivare troppo da tali
nomi circa l'individualità degli angcli.' 4
I singoli angeli vengono riuniti in gruppi. L'angelo Raffaele, fC·
condo Tob. 12,15, si dà da ricoi\oscere come «uno dei sette an-
geli che stanno presenti e che entrano al cospetto della gloria del
Signore»; Michele è «uno dei primi capi» (Don. 10,13; 12,1 ). La
numerazione non è senza dubbio unitaria; cosl non si parla solo di
St"tte (Tob. 12,15; grllen. 20,2-7; aethHen 81,5; 90,21), ma an-
che di sci (ae1hHe11 20, 1) o di quattro (aetbHen 9,1; 40,2-10)
principi degli angdi, o arcangeli." Inoltre vengono numerati sette
(TestLev 3,2-8) o dieci (aethHen 61 ,10; slavHen 20,1) ordini di
angeli.
Tuno qut:sto conferma ancora una volta che gli angeli nel tardo
giudaismo acquistano una grande importanza... Il loro compito

sua ca1alogazionc avanzare pretese di completCZZI. Il Nuovo Testamento conosce.


fra i nomi particolari degli angeli, solo Michele (ludae 9; Apoc. 12,7) e Gabrielc
(Le. r ,r9.26), che insieme con Raffaele sono gli unici ecclcsiaslicamentc approvati;
il nome di Urici spcsso nominato (.. Erdr. 4,r; 5,20; 10.28; aethHcn 9,1; ro,9;
20,2) non fu mai riconoscimo ufficialmente.
14 I testi addoni sugeriscono che ognuno dei nomi spetta personalmente ed
esclusivamente ad ogni singolo angelo - la liturgia Jc:lla Chiesa ad ogni modo ha
fatto propria questa concezione - , e tunavia si può affermare con K. Banh che ciò
che nel nome è cspresso individualmente dci si11110li angeli, è valido dell'essenza de-
rli angeli in genere. li nome Michele: cChi è come Dio?• è qui interessante in
modo panicolare . proprio ciò che .Michele.. significa in modo spcci•lc, va dcuo
d1 tuni gli angdi: rulli porrebbero e dovrebbero chMmarsi Michele, e proprio con
questo loro nome re5timoniarc la d011111nda cui si può dare una sola risposra: che ...
ir. ciclo nessuno è: uguale a Dio, nl'SS\mo è come lui. (K. BuTH, KD 111/3,532).
IS Si tratrA qui cli una formazione di parole giudaico-cllcnisrica, che è 1estimo-
nia11 per la prima volta in gr1len 20,7 e può esser resa anche con •angelo delle
s..-hiere• (nel st"nso di an~lo condoniero l; così dal tardo-giudaismo io poi vengono
desi11na1i gli angeli di 11rado elevato. in FILONE il Logos stesso. Il numero privile-
11i1to di selle non ha nulla a che fare con i setre Amc5a Spenta della rdigionc dcl-
l'anrico Iran, come dimostra F. STUMMEK, Tobit in EB II (19,6) ,o6 nella noia a
rob. 12,15.
16 QucHo sviluppo si potrebbe seguire ancora ulicriormentc al di là degli scritti
canonici cd apocrifi. Jn modo spe.:iale si dovrebbero 4ui prcnJc:re in considera-
GLI ANGELI

supera ora anche l'ambito puramente umano e i confini della sto-


ria della salvezza in senso stretto. Ci si raffigura gli angeli posti an-
che sopra gli elementi della creazione, quali custcx.li dell'ordine del-
la natura crt.-ato da Dio. Un angelo vigila sul firmamento (4 Esdr.
6,4rl. un altro sopra gli astri (at·thHcn ì2,r.3; slavHen 19,2). nel
caso che gli as~ri non fossero ritenuti esseri animati uguali agli
angeli (aetbHen 18,1 ~-16). Fenomeni naturali come vento, lampo,
tuono e pioggia vengono ascritti all'azione degli angeli (jub. 2,2;
aethHen 60, l l-21. altri angeli sono preposti alle stagioni ( s/avHen
19,4), all'acqua (aethl-lcn 61 ,ro; slavI-len 19,4) e ai frutti della
terra (slavHen r9,4).
Generalmente è però da osservare che lo sviluppo della rappre-
sentazione degli angeli negli apocrifi è più ricco che negli scritti cano-
nici, i quali meglio conservano l'immagine originaria della rivela-
zione dell'an~elo e lo vedono e lo intendono solo in riferimento a
Dio. Lo sviluppo della 1lottri11a ~ugli angeli corre p.ualle!amentt: a:
s:n~oli ~mdini dcli.i rivclazirnw ,k·!l'idc;1 di DicJ. E tutta\'ia i testi
canonici tengono formo, nonostante tutto lo sviluppo, al principio.
che già risplendeva nel servizio dcll'ccangelo di Jahvé»: se Dio in
alcuni testi più tardivi del!' Antico Testamento pu(i esser anche
considerato sempre più come il regnante che troneggia al di sopra
del mondo, come il Dio 'lontano' (e/. in proposito, d'altra parte,
ciò che si è detto nel cap. 11 circa la preparazione alla rivelazionr
della Trinità), gli angeli rimangono sempre secondo la loro essenza
i suoi messi agli uomini. Chi ascolta la loro parola, percepisce l'au·
tentica parola di Dio, chi sperimenta il loro aiuto, si sa difeso dalla
protezione dell'Altissimo (Pr. 91,r.11)_

b. Gli angeli secondo il Nuovo Testamento

aa. Le asserzioni neo-testamentarie circa gli angeli si fondano sul-


le concezioni tardo-giudaiche. ma ne riconducono la prolissità
e varietà ad una sobrietà e concretezza conformi alla nve-

,.,ml" !t·~opc.·rte lh.·i mJTR~~ritti tld \1.1r ~k•r1l'. Cf in propo~ltn ~UTSCllER, 'Gc-ist
unJ Gei,1cr in dcn Texien rnn t)umran', in M<'l11nf.t"J bib/1q11e1 en /'ho1111eur d'A
/~,,ber!. Paris 19)/. pp. 105 11 ~
St.LLA SCRITTURA

lazione. 17 Gli agiografi del Nuovo Testamento vivono, come i loro


predecessori, nella fede ovvia per gli angeli e li attestano quali mes-
saggeri celesti, che vengono presso gli uomini (e/. Ml. 1 ,20; Le.
1,1r.26; 2,9 s.; Aci. 8,26); tuttavia il loro discorso al riguardo è
orientato di nuovo totalmente alle azioni salvifiche di Dio.

Già le denominazioni «angelo di Dio» (Le. 12,8s.; 15,10; Io. 1,51, e


passim) e «angelo del Signore• (Ml. 1,20.24; 2,13; 28,2; I.e. 1,11; 2,9;
Aci. 5,19; 8,26 e passim) mostrano inequivoc;1bilmente, che questi mcs·
si, data la loro provenienza, appartengono a Dio. Essi sono esseri dcl
mondo di Dio e perciò «angeli del cielo• (Le. 2:?,43; Gal. 1,8; cf. Ml
24,36 [angeli dei cieli]; Mc. 13,32 [:tngcli in cielo]. Occasionalmente.-
si trova anche la semplice denominazione «angeli» (Ml 4,11; 1 3,39; 26,
n. e passim). Siccome stanno vicini a Dio in modo speciale, essi sono
«angeli santi» (Mc. 8,38; Le. 9,26; Aci. 10,22; Apoc. 14,10), «angeli
eletti» (1 Tim. 5,21), semplicemente «i santi» (Eph. 1,18; Col. 1,12;
2 Thess. 1,10). Tutto sommato, la loro ubicazione caratteristica è eia
dimensione della santità di Dio, della quale essi partecipano-. (H. Sct1LIER
op. dt., 161 ).

L'azione decisiva di Dio, che fonda la nuova alleanza, è la venuta


del Figlio suo nella carne in Gesù di Nazareth. Perciò l'annuncio
degli angeli di Dio è ormai totalmente ordinato e subordinato a
questa inaudita buona novella. Ogni discorso neotestamentario su-
gli angeli deve esser visto in questo stretto legame con l'evento di
Cristo, in relazione all'andare e venire di Cristo, al suo ulteriore
operare nella Chiesa, al suo ritorno nella gloria. Se gli angeli già
nell'Antico Testamento hanno solo attestato una vera vicinanza soc-
corritrice di Dio, essi confermano ora che la presenza di Dio nella
persona di Gesù Cristo è diventata corporale per una realtà esca-
tologica non più superabile da qualcosa d'altro. Il servizio degli
angeli «è per gli evangelisti conferma ed espressione della realtà
di Gesù•." E poiché l'agire salvifico di Dio è sempre in rapporto
alla parola, come l'incarnazione della sua PAROLA in Gesù Cristo

n Per l'AngclnlOj!iJ neu1~1amen1aria v specialmente H. ScnuER, D1e F.ngd nacb


drm Ne11t'n lnta,,11·111; ID . llr·w1,,1111)!. a11I J;1J Ne11c T eriameni ( Freiburg i. Br.
,,-,0~1 160-175; I \lll'hl. 'Eni:d', in R:1C \', 10<1-11~; ID, 'Eni:d'. in Bibe/rheol
\Forrabu,-h I !Graz 2196l) i,6.z'<>
11 G. K1TTn. uyyrl.n;, in TW,"\T I, 8\.
GLI ANGELI
752

lo manifesta Jefinitivamente, 19 il Nuovo Testamento non dà più


tanta importanza alla descrizione esterna delle apparizioni ange-
liche ,20 bensì mette in evidenza piuttosto ciò che gli angeli
hanno da annunciare agli uomini: attraverso la loro parola gli an-
geli si mostrano quali messi celesti, quali servitori dell'cvangelo di
Cristo.
Va da sé , comel g1'à accennato, .m forza de1 pensiero
' ·
neo-testa-
mentario stesso, che gli angeli non solo sono ordinaci a Cristo, ben-
sì anche che essi sono a lui subordinati; per questo la loro impor-
tanza non può essere che secondaria. Anche nel Nuovo Testa·
mento perciò gli angeli vengono trattati sempre solo incidental-
mente; mai la loro natura e il loro agire sono tema proprio dl:lla
rivelazione; in nessun luogo si trova una riflessione piuttosto lunga
circa il loro servizio, nemmeno nella lettera agli Ebrei e ai Lolo.1 ·
sesi, che sono rivolte contro la cristologia angelica e il culto gntl-
stico degli angeli. 21 Cosl la nota costatazione di GREGORIO MAt;No.
che quasi ogni 'pagina della sacra Scrittura testimonia l'esisten1.a ,Jt.-
gli angeli, 22 non potrebbe corrispondere ad un referto og~~·tt ivu a
proposito del Nuovo Testamento. Gli angeli vengono mi:nzionati
più frequentemente solo nei racconti dell'infanzia di Gesù in Mat-
teo e in Luca," nei racconti della risurrezione e negli Atti J.,R./, Apo-
stoli e nell'Apocalisse. PAOLO si occupa più spesso delle «1>1-•tL.·,ca e
potenze» demoniache ed in modo relativamente raro degli angeli
buoni. Nel vangelo e nelle lettere di Giovanni essi vengono ar1ien:1
menzionati.
19 a. M. SEEMANN, Worl und Sakrament als okumeniscbe fra11.e. in I,,.1,,..,Ji1.LJ
Zeu11.nu, H. 2'3 ( 1964) 119 s.
lD L'apparire di un angelo viene sentilo sempre come un'irru7.ione mi•teriu<a dal-
l'invisibile; perciò per cara11erizzarlo \•iene occasionalmente adoperato il 1.-nnine
c:'i'lhi (Le 1,11; 22 ••n; Act. 7,35), che vien u5210 di solito nelle apparizioni
del risorto (Le. 24.34; Act. 13,31; t Cor. 15,5) del glorificato (Act. 9,17: 2t.,•".' ,
Ji colui d~ deve venire lflebr. 9,21!). Uheriori denomil\llZioni p.:r apparizioni Ji
angeli v. presso Il. Sc.:11L1n, np. cii., i6ì.
li La domma sugli angeli propria dello gnosticismo non può qui v•·nir 1rattat.1.
d. al riguardo J. M1cH1., 'Engel', in RAC V, 97-109.
Zl .E,s,.e ... an11elos et archangelos, pene omnes sacri eloquii paginae t~untur• •H.,,,,
}4 in f:v. n. 7, PI. 76,1249).
l l Noi \•orrcmmo qui rr:murare lt" prestazioni degli angeli arcidentalment..: m.-.,
zionate in ,\11 . .J,1:. I.e u4J e Mt 26,53; il logion di Mt. 18,10 verrà 1ratr:111• in
altro con1es1n.
NELLA SCRITTURA
753

bb. Allorché Dio si fece uomo in Cristo, con lui anche gli an-
geli sono entrati di nuovo nell'ambito dell'uomo. Tuttavia quanto
ai sinottici, dà subito nell'occhio che essi concentrano i loro. rac·
conti circa l'attivi"tà degli angeli interamente nel mistero dell'incar·
nazione e nell'avvenimento pasquale: il servizio angelico si restrin-
ge ai due fatti salvifici nei quali Dio agisce elargendo la vita al suo
unto. Gli angeli hanno o da annunciare ciò che sta per accadere, o
de testimoniare ciò che è avvenuto, ma giammai entrano in scena
là, dove Gesù stesso annuncia in parole ed opere il regno di Dio
e lo porta vicino agli uomini. La loro luce viene qui «superata come
quella di una candela dal sole meridiano» (K. Barth). In nessun
luogo la funzione degli angeli è maggiormente di servizio che là
dove essi disinteressatamente passano in seconda linea, dopo che
quanto da essi era stato annunciato (Le. 1,32 s.; cf. Mt. 1,21) è
diventato realtà presente (Le. 7, r 6 ).
In connessione con il mistero dell'incarnazione i vangeli parlano
del servizio degli angeli sia per un fatto che deve ancora accad~re,
sia per un fatto che è già avvenuto. Nell'annuncio a Zaccaria (Le.
1,5-20) e a Maria (Le. 1,26-38) l'angelo ha da annunciare l'avveni-
mento che sta per accadere; nell'annuncio ai pastori (Le. 2,9-15), da
render noto ciò che è accaduto. Come già accennato, è la parola che
rende l'angelo un angelo.
Proprio qui s1 presentano tuttavia per l'esegeta non poche difficoltà ri·
guardo al genere letterario dei testi, poiché si deve escludere una testi-
monianza oculare cd auricolare degli evangelisti. Sicuramente gli evange-
listi anche nella storia dell'infanzia non volevano raccontare alcuna leg-
genda, ma narrare in modo essenziale fatti storici. Ma ciò vale senza restri-
zioni, per tutti e interi i racconti? ~ significativa per la situazione pre-
sente della ricerca esegetica l'affermazione di B. BRINKMANN: cFm dove
la presentazione della storia dell'infanzia voglia riprodurre solo fatti
storici o voglia esser soltanto un rivestimento letterario, pur supponendo
l'ispirazione, ben difficilmente si può affermare con sicurezza; non ha
però nessuna importanza per il lettore credente• ('Die Glauhwilrdigkeit
dcr Evangelien als hermeneutisches Problem', in ZK.T 87 (1965] 92).
Soprattutto l'importanza data da noi al discorso dell'angelo, fa pensare, a
causa dell'evidente parallelismo con !'«angelo interprete» (v. sopra) in-
trodotto nel tardo giudaismo, ad un rivestimento put~ente linguistico
(anche in riferimento all'avvenimento pasquale!). Brinkmann .(op. cit.,
48 • Mystmum Salutis, 11/2
GLI ANGELI
7H

93) accenna perfino come ipotesi alla possibilità che, per esempio, i pa-
stori abbiano ricevuta la notizia della nascita di Gesti senza l'intervento
del!' angelo.
Invece J. Sc:HILDENBERGER rimanda decisamente al fatto che anche il
messaggio dell'angelo, come esso suona nell'annuncio a Maria. appartiene
ai fatti storici della storia della salvezza: «Nel racconto dell'annunciazione
dell'arcangelo Gabriele a Maria (Le. 1 ,26-3 !I) l'evangelista vuole inse-
gnare sicuramente, autoritativamente, che Cristo fu concepito in modo
verginale da Maria per un prodigio divino. Alla storia della salvezza
però appartiene non solo la actio Dt•i, l'azione di Dio, ma anche la
reactio hominis, il comportamento dell'uomo. Dio non ha semplicemente
operato il prodigio in Maria a sua insaputa e senza il suo sl. Dio dovette
manifestarle dunque il suo piano. Il racconto dice anche questo, e l'evan-
gelista lo vuole insegnare in modo autoritativo, poiché egli ha da dare
un'esatta presentazione storiro-salvifica dell'incarnazione dcl Fi1dio di
Dio. La narrazione però dice ancora più esattamente in che modo Dio
fece pervenire il messaggio a Maria: non direttamente attraverso una
ispirazione divina, ma mediante un angelo ... A mio avviso non si darebbe
valore al testo, se si volesse spiegare l'invio dell'angelo Gabriele a Maria
soltanto come forma letteraria, che affermi scmplicemcnrc che Dio h:i
reso noto il suo piano alla vergine santa, in qrn1lsiasi modo poi ciò si sia
attuato» ('Der Wcg dcs Wortes Gottcs in dic Wdt', in Die Bihel i11
Deutffhland [ edd. J. ScHll.DENllF.RGER e altri] Stuttg:irt 1966. p. 80)
A questa sentenza ci si può a1tenere saldamente con tutta la precedente
tradizione della Chiesa, fin tan10 che l'interpretazione contraria del testo
non è inequivocabilmen1e dimostrata come valida e non è approvata dal
magistero.

L'angelo appare là dove l'agire proprio di Dio non è ancora v1s1-


bile, o non è visibile direttamente all'uomo. All'avvenimento stesso
l'angelo non ha parte alcuna, gli spetta soltanto di essere annun-
ciatore dell'azione salvifica di Dio. Inoltre all'uomo interpellato
non viene affatto tolta la facoltà di rispondere e di decidere (Le.
1,38; 2,15; cf. Mt. 1,24; 2,14.21). L'apparire della schiera celeste,
attestato da Le. 2,13 s., dimostra che, oltre all'incarico angelico in-
dividuale, la moltitudine degli angeli partecipa all'annuncio,24 che

11 \'a o.sen·aro che an<h: questo apparire di altri angeli vale per i pa11or1, come
precisa espressamente il ,. . 1 ~ Le solite rappr~ntazioni natalizie con gli angeli
presso la manj!iawia non si 1•ossono richiamare al noslro tt"SIO. Cerco anche il Dio
fauo.<i uomo era circondato Jar suoi an~li. tunavia senza che questi dov~ro farsi
'isibili o udibili.
NELLA SCRITTURA
755

in definitiva può esser soltanto lode di Dio per il suo abbassamento


e per l'umiliazione nell'incarnazione del suo Figlio. Dopo che gli uo-
mini sono diventati consci di questa grandiosa azione di Dio, essi
stessi devono essere annunciatori della buona novella - in espli-
cita concordanza con la parola dell'angelo (Le. 2,17 s.; cf. v. 20).
Riferimento e subordinazione degli angeli ali 'evento di Cristo che
muove cielo e terra non potrebbero venir caratterizzati in modo
più eccellente di come avviene nei racconti dell'infanzia di Gesù.
Una cosa simile va detta delle apparizioni angeliche che vengono
menzionate dagli evangelisti nel contesto dell'avvenimento pasci,uale
- che abbraccia risurrezione e ascensione al cielo - . 25 Anche qui,
dove appare lo stesso risorto, non si fa parola degli angeli. Essi si
fanno vedere e udire come i testimoni celesti dell'avvenimento pa-
squale, prima e dopo che il Signore si è mostrato ai suoi come il
vivente e il glorificato. Compito degli angeli che appaiono nel gior-
no di pasqua è quello di annunciare il fatto salvifico della risurre-
zione di Gesù, 10 con l'incarico dato alle donne di portare a loro vol-
ta la notizia della pasqua ai discepoli (espressamente Mt. 28,7 e
Mc. 16,7; implicitamente Le. 24.ì). li fatto che. secondo iWt. 28,9
e lo. 20,14. il Signore stesso dopo di ciò s'annuncia direttamente.
conferma di nuovo che gli angeli devono soh.mto :;ervire a prepa-
rare gli incontri pasqu.ili con il risorto. L'annunrio degli angeli vor-
rebbe solo confermare la promessa propria di Gesù. giunta ora a
compimento (/.c. 24.6-8: Q.22 \. Lo stesso ·rnle per la parola degli
angeli nel passa~io della swria di Cristo a storia della Chiesa
(Aci. t,1os.l: es~a rafforza l'annunrio personale di Gesù (Mt.
16,27 s. l ed CSllrta così all'a11csa paziente e j!ioiosa del suo ritorno
k/. Le. 24.52 s.1.
Secondo !a testimonianza univoca dep,li evangeli. Cristo nella sua

1~ l racconri non '°"!'I n1.11 n1enwn1e ~en1.a <litleren1•· rr~uardo alla descrizione
,!ell'apparizione .rr"a Id .\f/ 18.2 nin Mr 1<.,,; /_.· z~ ..J: In. 10.12\. in ri(eri
mento al luoj!O Id. Ml 21!.-1 e I,· z4.4 (nn Mc 16.1 .- In 20.11 s 1 e alle dnnne.
cui vien fana r.'l"P·tr"'nnr •d lo 20.1 . .\11 211.1 .\le 1t._1. L· 24.101.
2b ln nessuno Jet qua11ro \•ani:eli la tnmha RJl<'rta r vuol3 comr tale conduce a
questa profes.<ione di lrdt-: <'"a è un \Cl{nO . .i,.. ha hi'<•)!tt<• dell'inrerpret!lZione. la
quale vien da1a Ò•11li ~nJ!r-li lJ11i n110\'.1111.-n1t· """ fanl11a atfarro 1., .-omrorensione
de! tesli il \'C'drn•1 ~1,, uni.t h'fnlil lr-1trr1tr11t
GLI ANGELI

venuta in gloria sarà accompa~nato d~gli angeli (Mt. r6,27; 25,3r;


Mc. 8,38; Le. 9,26; e/. 2 Thess. 1,7; r Tim. 5,21 ): essi elimine
ranno dal regno di Dio tutti gli operatori di iniquità (Mt. I 3.4I s.;
49 s.) e raccoglieranno gli eletti dai quattro venti (iHt. 24,3 1 ). Il
Figlio dell'uomo poi si farà conoscere ai suoi davanti al Padre e agli
angeli (Le. 12,8 s.; cf. Apoc. 3,5 ). La signoria Ji Gesù Cristo, rico-
noscibile solo nella fede e ancora nascosta nel presente eone, e la
partecipazione degli angeli all'avvenimento terrestre verranno con-
temporane11m.ente svelate nel giorno della parusia.

cc. L'azione salvifica di Dio in Gesù Cristo, dopo la sua ascen-


sione e glorificazione, si attua nella Chiesa e attraverso là Oiiesa.
Gli Atti degli Apostoli rendono chiara questa svolta storico-salvi-
fica anche riguardo agli angeli. Come indicano già i brevi accenni di
Mt. 4,1 r e di Le. 22,43, il servizio degli angeli non è ristretto sol-
tanto alla trasmissione di un messaggio, ma è molto più ampio: gli
angeli non illuminano soltanto l'avvenimento di Cristo nella sua
importanza salvifica; essi non rafforzano solo la parola e la pro-
messa di Cristo, ma servono anche alla sua stessa persona.n Ora
la Chiesa stessa ha ricevuto dal Signore come incarico l'annun-
cio del vangelo (Mt. 28,r9) e predica Cristo come il Messia
promesso, come il redentore del mondo (Act. 2,14-36). Ora agli
angeli spetta di stare a fianco degli apostoli e dei discepoli di
Cristo per aiutar~i là dove viene ac.colta nella fede la parola di
Dio, come ad es., nel battesimo del funzionario etiope (Act. 8,26) e
nel battesimo di Cornelio (Act. 10,3-7; cf. 10,22; rr,13). Essi libe-
rano gli apostoli (Act. 5,19 s.) e in particolare Pietro (Act. 12,7-
11 ), dalla prigione, affinché essi possano ulteriormente annuncia-

re la buona novella di Dio: il servizio degli angeli alla parola è diven-


tato servizio agli uomini che la annunciano - è ora dunque ordi-
nato e subordinato alla Chiesa e al suo annuncio.

r l1 La teologia evangelica - a mo' d'esempio l'angelologia cli K. Barth - par·


tendo dllll'11priori reologico dell'alta stima da parte dei riformati dell'annuncio della
parola, non sfugge sempre al pericolo di dar unilateralmente rilievo al parlare degli
angeli. Anche se noi .s1essi più sopra abbiamo souolineato la p11rol11 degli ang,.li nel
suo significato, tuttavia tutte le espressioni della Scrittura riBUardo al servizio ange-
lico devono venir prese in considerazione.
NELLA SCRITTURA
757

dd. La dottrina contenuta nelle lettere dell'apostolo PAOLO non


offre le stesse difficoltà dei testi dei vangeli,28 poiché in esse non è
in questione la storicità delle apparizioni evangeliche. Paolo, ri-
guardo a ciò, poteva esser d'accordo con la fede dei suoi contempo·
ranei e aver ritenuta possibilissima l'apparizione di un angelo. Al·
l'apostolo delle genti interessa primariamente un chiarimento teo-
logico sul riferimento essenziale e storico-salvifico degli angeli al
mistero di t:risto. Ora, qui, per l'attuale esegesi, emergono que-
stioni del tutto diverse. Così fino ad oggi non si è potuta ancora
acquistare una sufficiente chiarezza sulla teologia e sul culto degli
angeli presso gli eretici, contro i quali Paolo si volge in maniera
evidente (cf. p. es., Col. 2,18). Inoltre bisogna chiedersi, a propo-
sito dei testi che trattano delle «potenze e dominazioni», dove Paolo
si riferisce a angeli buoni e dove a spiriti demoniaci.2' In primo
piano nel suo interesse stanno inequivocabilmente le dominazioni a
Dio nemiche e soggiogate da Cristo glorificato, così che so1o poche
delle sue espressioni fanno pensare a potenze buone (Eph. 1,20 s.;
3,10; Col. l,16; 2,10).io Inoltre ambedue le denominazioni non
lasciano riconoscere se si tratti degli stessi angeli o di gruppi di
angeli distinti l'un dall'altro. La medesima questione sorge riguar-
do agli altri nomi che Paolo usa per gli angcli. 31 A giudicare dal con-
testo, sembra che egli stesso non dia peso troppo grande a una tale

• Oltre alla leuerarura adaou• sopra alla nota 17 d. G. KullZE, Der Errge/s-
111111 Te11/elsgl1111be des Apostr/s Poul11s, Frciburg i. Br. 191'; H. Sc11L1E1, Mikhtt
11nd GnHlttn im Neuerr Test11mtnl, in Coli. cQuaestioncs disp.• 3, Frciburg i. B1.
11963; ID., Mikhtt 11nd GelDlllttn nach dm1 Nt11en Ttst11mtnt; ID., Btsinrr11ng 1111/
dllS New Ttsl""'ent, 146-1,9; K. L. SolMIDT, 'Die Naiur und Geistlaihe im pauli·
nischen &kmnen und Glaubc:n', in Eronos-Jahrbuch 14 (19461 87·143; C.8. YllUl,
Principtdlties 11nd Powtrs. A S111dy o/ Paulint Thtology, London 19,6.
l9 Le cpotenu e dominazioni• (àexal xal l~ouoicu I vengono nominate nei seguen-
ti passi: Rom. 8,J8, 1 Cor. 1,,.t4; Eph. 1,2os.; 2,2; po; 6,12; Col. 1,16; 2,10; 2,1,.
I nomi come 1nli sono già noti nell'Antico T~i.memo e nella letteratura tardo-giu-
daica e apocrifa (cl. ]. M1c11L, 'Miichte un<l Gewahen', in B1belthtolof/.. Vlorterb11ch
Il, 819·!121 ). Gli autori nominati nelle note 17 e 28 non risolvono allauo unanime-
mente la nostra questione.
lG Cosl H. ScHLIER, Dic Engel nach dcm Neuen Testamtnt, p. 162, nota ';
questi quallro testi prcs~ntano secondo lui per io meno un carattere «neutro•.
31 Paolo riguardo agli angcl; parla fra l'altro di: lhrvci1m; (virt11tts, potenze:
1 Cor. 1,,24; Eph. 1,u); xue1cl'tT1ttç (dominotiones, dominazioni: Eph. 1121_; Col.
r,16); OQ6vo1 (throni, troni: Col. 1,16). Come J. MICHL, 'Engel', in LTK III, 866
dimostra, le stesse denominazioni si trovano già nel tardo-giudaismo.
GLI ANGEU

distinzione. Ulteriori ricerche esegetit:·he e di storia delle religioni


potranno probabilmente chiarire ancor più l'una o l'altra delle no-
stre questioni.
Se. ciononostante, si vogliono raggruppare per temi e pensieri su-
gli angeli, da Paolo esposti per nulla affatto in ordine sistematico,
vanno nominaci in primo luogo quei testi in cui egli sviluppa conce-
zioni cristologiche in ?,eneralr. ·~
Anche per Paolo l'intera storia della salvcnn è un avvt·nimenw
celeste-terrestre, come 5i è già messo in eviden:ra per l'Antico Te
stamento. Un testo come 1 Cm-. 4.9 suggerisce che gli angeli son
fatti partecipare all'avvenimento di salvezza :ilmenn come testimoni
e spettatori designati. Come esseri dotati di ragione, essi sono po-
sti a fianco degli uomini. rnnoscono gli avwnimenti della terra e
vigilano sui messaggeri della fede nelle loro sofferenze. Quakosa
di simile va detto del testo di r Cor. T t . 1 o. esegt>t kamence non
del tutto chiarito: secondo l'interpretazione tradizionale la donna
deve manifestare la sua sottomissione all'uomo anche all'esterno.
anche davanti agli angeli quali testimoni di Dio. Muniti di autorità
divina, essi con la loro presenza muovono l'uomo all'osservanza del·
l'ordine posto da Dio creatore. Anche nell'esercizio dcli 'uffido ec
clesiastico gli angeli si presenrano come testimoni accanto 11 Dio e :i
Cristo ( 1 Tim. 5.21 ). La loro testimonianza può, non da ultimo
esser fondata sul fatto che anche secondo la concezione di Paolo gli
angeli accompagneranno Crisro al suo ritorno per il j!iudizio finale
(2 Thess. 1,7; 1 Thess. 4,16). La loro presen:-a. giil ora professa1;1
nella fede, sarà contemplata senza ,·elo nella pam~ia.
Con la uadizione rabbinica tardo-giudaica, Paolo è del parerr
che gli angeli abbiano cooperato p;uticolarmente alla promulga·
:tione della legge veterotestamentaria (Gal. ~.19:J' e/ Deut p.,2

ll Non >i può fan: qui un'c:scgcs1 Jc:uag!1dU Jc: >Jngoli 1es11 a caus.i Jd luru
11randc numero; vanno quindi consulrati i commcnti compctenll. A noi inreress•
soltanto mcner in ""idenza gli as;>eni pii1 importanti d.-11·,...scrt" <" ddl'op.-urr cl,·
11li an~h
" lf S< 111 !FM Dit· 1::.•1~d p 1t>d. Of't.il 21:. \·orrebbe m questo pa"\.1.1 int:-ndert9
•ollo 4yytÌ.o~ polcnze ca11iv<", in considerazione della legge delle opere. u\ata
m~lamcntt· nel pncaro < pronxam.- al peccaw A nosrr<' d"""" 1 1es11 parallcli
dA noi 1m·mwn.ri tense-mono Ji pt.·mar.: an.-hc 1J "-n1tcl1 huon1 LJc:l rrslo 11manr
.1f11t·rt~ l.1 qu(.~ll(lll·t' 'C t'apos1c11(l .tcn'l>:.a t..1ut--src.: conn:z1,1n: in nl11(tc' nnn r1tlC"sSt•
NF.1.1 A SCRITTURA
7.59

LXX; Aci. 7,~8.n; Hebr. 2,2). Paolo si riferisce a questa conce·


zione, nota ai lettori della sua lettera, non più per sottolineare la
sublimità della l('gge, bensì per metter in evidenza la sua imperfe-
zione di fronte al vangelo di Cristo. Il compito degli angeli nell'An-
tico Testamento è legato al suo significato preparatorio. Nella Nuo-
va alleanza Dio agisce dil"ettamente atcraverso Gesù Cristo. L'atti-
vità degli angeli è ora ristretta per la sua portata, o ad ogni modo
subordinata all'opera salvifica di Cristo.'~

Non sembra fino ;1d o~gi univocamente chiarita fra gli esegeti la que-
stione fino a c:hc punto Paolo faccia proprie in Gal. 4.~.9 e Col. 2.8.20
conce~ inni COllll'lllporancc. e che cosa egli stesso intenda per orn1)'.fÌn
'toii XOO'ftO\J. l:'tOLXELo'J put'i cioè significare molte cose: in primo luogo i
fnnd:1nw111i ini1.i;di Ji umi scienza. poi le pani integranti originarie e le
materie pri1m· dl·I l'Osm,n: p<1rimcnti si possono intendere c:on questo ter·
mine le ros1cllazioni. orpure .rnche esseri spirirnali c:he sono posti soprn
la crcazinnc ( d, Bt\111.. w. (,'nC'Ch1srh-deut.1c hn W iirterbui-h u1 J,,n Schrif-
/en J,.,,. N1·111·11 'f'1·.1t11111cnf\'. 8erlin '1958, p. 152,J. Un confronto critico
fra i tl'sti nominali dclll· lettere paolin~ ci fa p::n"tre. st'rondo K. STt\t\B,
«ad l"·'-t:l'i ~p111111.1li pn~onali. piuttosto c:hc: •I dementi m;ucriali .. IDie
Gef.lllj!,<'IH<'h.i.il 1hn..1,· Exkurs: 'Dit· Wt•ltt:lcmt'nt<''. in RNT VII I' 19'i9]
901. e; Kl'lli'r im· ... .-c ririt'n~· n•rfl• .hc: il -iitnifi,...... dt a''tO~ xri:ov =- e~-ere
spiri111.il ... ,;;1 •t;llll nello ,,,:n 1wl lt'llll'" posi-m·o1n1.1mt·111.1rit1 i op. ,·it ..
I~ 1 I. C~<1:1 )!r:tmlc proh;1hi!iti1 l' f'l'rl'I~> tl.1 'llflp<'rrt• t lw 1';1011• intt'ntlil
sempliteme11tt' lt- .. m.11,·rit· prrnw .i,! m.1.1d1•·" .. dll' n:ni:<1m• ronsidcratc:
SCltlO r11.111 d1 \'hl;I t:ti1<1r:-li:.:11"i" 11/.1;/ 1\71 . . . le 11•1'/t' ;"trnlu~khe.
cLi cui l·i ..,, ut.k·\'a .i.,.1t·rmin:111 pt·r clt'slln•"• 10 KAMRl.11. Nc·1ws l't·sta·
me•11 Miin~ht'l '' ''H· r 5_p, Tl• •I.I .I (,,,/ .j.\ l. p,, .. :.. \'11<'1 Jirc çhc chi
sta m:ll:t ft'de in ( ·r:'1". i· !,:,<'LII",(., 'i"'''I<" .I l':·11.l. .. 11:· n.1111r.1li. t'c•smil'he

La subordina;-inne. ripetutamente acccnnara. delle potenze spiri-


tuali celesti al mistero di Cris1u rapprest"nta la rnnlinut1x.ume e /'ap·
pro/ond1111en/fJ autentirnmente p;1nlinn cl~lla tlnrtrina ncotestamen
taria ~t1~li an)oldi. Ciò che i r·111r~t'ft ft,,nlllri c J?li Alti defl,li Apostolt

~·ppuh: ''-. .in.etti il pe-ra!r-ic:ro '-lui l"'!iprC'SSO 1..·oml· iauu sloricu. S-."(·ondu (,,,,/ 1,K
h1olo nuc:ne ad 011ni modo porstbtlt' dw: gli an11d1 P'"'~no ponarl' agh uomini
rivelazioni divine (cf_ Act lì.2} s.).
" l\onos1an1" 10110, Paolo ha un conc::euo 8$~Ì elevato degli 1111teli. 1 Cor. 1),I
>embra .opporre che gli angeli siano in possnso di doni spirituali, corrispondenti
alla !!'"""lalia Cf G Kt·•~F. "P Cli Jl r 1.
GLI ANGELI

adducono semplicemente come fatto, viene da Paolo sviluppato e


motivato in connessione con le sue concezioni cristologiche.
Per Paolo l'intero mistero della persona e dell'opera redentrice
di Cristo è ricapitolato nell'avvenimento pasquale. Eg~i predica Cri-
sto il crocifisso (r Cor. l,23; cf. 2,2), il risorto dai morti, innalzato
alla destra di Dio in cielo, elevàto sopra tutte le schiere, potenze,
forze e dominazioni (Eph. l,20 s.). Proprio nell'ultimo passo l'apo-
stolo parla primariamente della glorificazione attribuita a Cristo
nei cieli. Egli lo vuole descrivere come colui che è stato elevato so-
pra tutte le potenze ultraterrene; e riguardo a queste si deve pen-
sare tanto alle potenze spirituali buone come a quelle demoniache.
«Grande è il mistero della pietà», dice Paolo in un altro passo, il
mistero di colui che «Si manifestò nella carne, fu giustificato nello
Spirito, apparve agli angeli, fu annunziato alle genti, fu creduto nel
mondo, fu assunto in gloria» (r Tim. 3,16). Se gli angeli finora
conoscevano l'uomo-Dio solo nel suo abbassamento, con la sua ri-
surrezione (che è la sua giustificazione nello Spirito) egli incomin-
ciò a manifestarsi come colui che è stato innalzato al di sopra di
tutte le creature. Per il fatto che Cristo fu obbediente fino alla mor-
te di croce, per questo il Padre lo ha innalzato cosl in alto e gli ha
dato il nome al di sopra di tutti gli altri nomi, «perché nel nome di
Gesù· ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra»
(Phil. 2,8-10). La posizione di Cristo, che sovrasta anche quella de-
gli angeli, è quindi fondata, secondo Paolo, nell'opera di salvezza,
nella morte e nella risurrezione di Cristo. Attraverso l'annuncio
dell'apostolo, attraverso il servizio missionario della Chiesa, vien
reso noto alle potenze e alle dominazioni del cielo che la redenzione
di Cristo vien comunicata anche ai pagani come a persone finora
non chiamate (Eph. 3,8-10; cf. 1 Petr. 1,12). Cristo e la sua Chiesa
vengono conosciuti e riconosciuti dagli angeli nella loro inscindibile
unione.
Infine Cristo è «il capo di ogni principato e potestà» (Col. 2,10~
non solo per la sua azione redentrice, ma per il fatto che egli «è
l'immagine di Dio invisibile, primogenito di ogni creatura» (Col.
1,1s). A lui, quale Figlio, viene attribuita la creazione di tutte le
cose che sono in delo e sulla terra: «le visibili e le invisibili; Troni,
NELLA SCRITTURA

Dominazioni, Principati e Potestà. Tutte le cose sono state create


mediante lui e per lui, egli è prima di tutte le cose e tutte sussi-
stono in lui (Col. r, 16 s. ). Paolo non potrebbe descrivere in maniera
più grandiosa e più impressionante la posizione incomparabile <li
Cristo di fronte ad ogni creatura e in particolare <li fronte agli an-
geli. Per l'Apo!itolo, Cristo è la peculiare immagine Ji Dio, in tutto
uguale al Padre, colt1i d1c riceve dal Padre vita e glorificazione di-
vina in un'imml!dintezza estrema. Come primogenito egli precede
ogni creatura, è l'origine e il fine di ogni essere creato, inizio e fine
anche del mondo Jegli angeli.

ee. Con simili parole anche nella lettera agli Ebrei viene descrit-
ta la superiorità di Cristo sugli angeli 35 - una prova in più del
come questa lettera, anche nella sua dottrina sugli· angeli, stia vicina
al mondo del pensiero di Paolo. I destinatari sembrano porre la
legge veterotestamentaria, mediata dagli angeli, e gli angeli stessi,
al di sopra di Cristo e del suo vangelo. L'autore vorrebbe loro
mostrare che Cristo, proprio in quanto Figlio di Dio (Hebr. 1 1 21) 1
è diventato «tanto superiore agli angeli quanto più eccelso del loro
è il nome che ha ereditato» ( 1.4 ). Di nuovo Cristo viene designato
come «splendore della gloriai. di Dio ( 1,3a), come il creatore dei
mondi ( 1 ,2c ), Colui che sostiene tutto con la sua potente parola
(1 1 3b); egli viene annunciato come il reJentore del mondo (1,3c),
che siede alla destra della maestà di Dio nel cielo ( 1 ,3d), costituito
crede di tutte le cose ( 1,2b ). Mentre agli angeli spetta solamente
una posizione di servizio ( r ,7 .14 ),36 Cristo è dominatore, re e Dic>
sopra ogni creatura ( 1 18 s. ). Certamente Cristo nel suo abbassa.
mento nell'incarnazione e nella morte di croce era posto sotto gli
angeli (2,7.9; cf. Ps. 8,6 LXX), simile in tutto ai suoi fratelli
(2 17.11 s.); ma ora egli è coronato di gloria e onore (2,7b.9), è
1

erede e Signore del mondo futuro ( 2, 5 ). Nel mondo che ha da ve-

35 Cf. in rroposiro G. Ku11zE. op Cli, pp. q8·r ~4·


lt L'inrcnz1onc ddl'asscmonc: di llebr. 1,14 è rivolra al H'rL'l:in ,lc:gli Jngeli e
non alla loro .,,;....,nza n>mc •rncumata• lnolrrc: quc.rn "'rviiio ha per ronrenuto
la salvezza de11li uomini: 11li 1n11cli Manna in •iuro. al fonco Ji Crisro, r .. amore
ddla ""lvc:zn• fH,·hr >.101.
GLI ANGl'Ll

nire la redenzione degli uomm1 e ogni scrv1z10 per 1.1 loro salvezza
giungeranno a compimento, e così la celeste (;erusalcmme unirà
uomini e angeli in festosa assemblea per sempre davanti a Dio e a
Gesù Crisro (12,22-24).

ff. Pit1 spesso che negli scnttJ neotcst;1rnc111ari llnorn 1ra11ati. j.Zli
angeli vengono menzionaci nell'ApocalisH·.';

Veramente, non tutti 1 tcsri rhe vengrn1n in qul'~1in1w '"IH' '"ll'''l'llll'


men re chiariti. Così, alcuni autori vorrehlK·ro vnk•rc i.tli .1111!l'I i rll'i ",,., f<'
spiriti», che sono m1minati in Apor. 1.4; \,I: 4.~ ,. ~.A 1d. I ~l1n11 /l11·
En[!.l'lt•orsll'l/1111f!.1'1t, p. 112 fino 192; lu. 'Fll)!ll'. i11 RAC: \I. 114. Il.
Scm.IER, Die Engel, p. 16~ ); altri vogliono vedrn•i l:i rit·nc-:-1;1 ill'lln
Spirito Santo (cf. T. SCHILDF.NBERGER, 'Durl"h (;erich1 wm I leil'. i11 S,·i·1
und Sendung 30 [1965] n~; E.Il. ALLO, /.'Apoc11/\•p.1·1·. [Il)\\ I. p.701.
Noi vorremmo aderire all'ultima opinione e perl'iÌl 1H111 ni11sidl'1 ;m· q11i
i testi citati. Similmenre. non è unanime l'in1crprt'l.1ziP11l' dq.?11 · An)!cli'
delle sette comunità del!' Asia Minore, a cui l'uj?iogrnfo >nivt• ( Ap111
.z,1.8.12.18; 3,1.7.14; cf. 1,20). Secondo la mag11ior p;ll'll' dri rnmnwn
tatori qui non si pensa ai vescovi delle comunità, ma 11gli anizeli. chl'
vegliano sulle singole comunità e che ora vengono .1d<lotti in rnpprt··
sentanza <li qucMl· td. fWr esempio(;, K1rn:1., 1'iyyFi.o;, in 'J'\t'NF 1.86~
H. ScHLIF.R, Dfr Engel, p. 17 r; M. E. HotsMARr>. 'L'Apocalypsl!·. in L1
Sainte Bib/e, Paris 1956, p. 1624, nota a Apoc. 1,20).

L'Apocalisse continua in particolare la tradizione apocalittica tardo-


giudaica. Notoriamente qui ha una grande importanza l'angelus in-
terpres, il quale comunica e interpreta al veggente le rivelazioni
(1,1 e passim fino a J1,q; cf 22,6). Probabilmente è uno dei set-
te angeli che stanno davanti al trono di Dio (21,9; cf. 8,2). che
tuttavia è interamente 'conservo' del veg~ente e fratello suo ( 19,rn:
.z.z,8 s.).
L'ammissione d'una forma piuttosro letteraria è molio consona
. per uno scritto apocalittico. Accanto all'«angelo di rivelazione».
nell'Apaca/irse vengono menziona1i inoltre i tradizionali «angeli
della creazione» tardo-giudaici: ci sono angeli che sono posti so-

17 Cf. J. Mu;m.. D1t En11.tl11tJTJttllun1.tn in Jtr Apolr.slypu dtJ hl /ohamres I.


Miinchcn 193;
Nl'.J. l.A SCII I TI'lJ RA

pra i quattro venti (7,1 s.), sopra il fuorn ( 14,18) e sopra l'acqua
( 16, 5 ); altri inoltre prot~gono da dl·te-rioramento terra e mare e i
loro fruui (7,2; cf. 9,15). I Chembini e i Serafini, noti dall'Antico
Testamento, sono unici insieme in un gruppo di lJllllllro «esseri vi·
venti», che attorniano il 1rn1111 di Dio (4.6 8; 5,(>.!l; 19,4). II.
Schlier vorrebbe \'edere in lnro non solo anµl•li che si dislin~11nni1 in
modo generico, ma altrcsì angdi rhe on:upano un pos10 spel·iale
nella creazione."
Per il resco, le rappresentazioni angeliche dell'Apocalisse stanno
assolutamente nella linea delle solite espressioni neotestamentarie.
f: evidente che nell'attesa del ritorno del Signore gli angeli ven~ono
visti specialmenrr nella loro rdazione rnn la storia finale. Sono es·
si che, in quanto messaggeri privilegiati Ji Dio, annunciano l'avve-
nimento tÌJ'\ale del ~iudizio sullit terra e sulle sue potenze con voce
forte e con segni (cf. Apoc 10.1; q.6; 18.1.2zl. con~iunti alla
parola consol11ntc e ammonir ril'l' dd «vanJ!do t'lernon ( 14.6 l.
Gli nn~di addidttura c111san" que!-la s1oria linall· auraverso la
lnrn pan>lil ... Ciò che an·iem: in .:i11<·~10 tt·•npl• ,wrin1, che ~ rcmpo
di giudizio, acladc 111 risposta ad una provoctllonc angelica»."' Gli
;10geli sono perciò <rnche "ministri e attori dell'avvenimento fina
le» (H. St.-hlier l: al suClno ddl:t !Clro t mm ha ~i rin~rsa rovina su w
vina (Apoc. ~.9; 10.7; 11,1;1. a loro :;ono consegnate le coppe con
l'ira di Dio (Apnc. 15,7; 16,1). essi hanno potere di incatenare Sa-
tana e di gettarlo nell'abisso ( Apoc. 20,1-3 ). Ma Dio stesso rimane
sempre Signore della storia e giudice del tempo del mondo. Questa
dipendenza essenziale e fondamenrnle degli an~li da Dio anche
nell'Apocalisse non è dimenticata in nessun posto.
La speciale subordinazione degli angeli a Crisro è particolar-
mente evidente. Ciò che i sinottici raccontano semplicemente come
un fatto, ciò che Paolo cerca di sviluppare e d'approfondire nel
contesto della sua cristologia, nell'Apocalisse viene designato in vi-
sioni che descrivono la liturgia cdeste (Apoc. 5). Qui l'agnello uc-
ciso, che sta davanti al trono di Dio ( 5 ,6 l. è immagine del Cristo

" H. ScttLIER D1e En;.d 'lach dem Neuen T e1:•mer.t p 1t>;


1• lh1d .. P- 171.
GLI ANGEl.J

crocifisso e glorificato, il quale nel suo sangue ha riscattato per Dio


gli uomini schiavi di Satana e dcl peccato ( 5 ,9 ). All'acdamazione io-
nica dei quatlro esseri (Cherubini e Serafini) e dei ventiquattro an-
ziani (rappresentanti dell'antico e dcl nuovo popolo di Dio) si uni·
sce la lode degli innumerevoli angeli, i quali attribuiscono all'agnel-
lo «la potenza, la ricchez:1:a, la s11picnza e la forza e l'onore e la
gloria» (5,II s.), attributi che convengono a Dio stesso (4,u) eco-
sì dimostrano la divinità anche dell'agnello (5,13).
Sostanzialmente, anche nell'Apocalisse sono in tal modo contenuti
gli stessi pensieri fondan:ientali che erano già caratteristici della dot-
trina sugli angeli nei vangeli e nelle lettere paoline. Il fatto che le
medesime rappresentazioni degli angeli sono date nella descrizione
della liturgia celeste, è qualcosa di nuovo e, in certo senso, conti-
nuazione ultima e conclusione significativa di tutta la dottrina bi-
blica sugli angeli. Per quanto, cioè, gli angeli siano sostanzialmente
messaggerÌ di Dio per gli uomini e tutta la sacra Scrittura mantenga
costante questa concezione, tuttavia le asserzioni della rivelazione
non sarebbero complete se non prendessero in considerazione anco-
ra questo fatto: che gli angeli, rivolti a Dio, stanno in un'inces-
sante lode attorno al suo trono. «Non appartiene solo al loro uffi-
cio e al loro compito di onorare Dio in tutti i loro servizi, ma ap-
partiene già alla loro natura rendere a lui un omaggio inesauribile
davanti al suo volto nel canto di lode unanime e incessante».40 La
lode di Dio in cido è il contenuto autentico ddla vita degli angeli
e lo scopa di tutta la storia della salvezza sulla terra.

2. Note di slori4 della teologia

Il deposito della rivelazione, affidato dagli apostoli alla Chiesa


oralmente e in iscritto, essa stessa lo ha tramandato e ulteriormente
sviluppato nel suo ufficio magisteriale e attraverso la bocca dei pa-
dri.41 La domina degli angeli inoltre, fino nel Medio Evo, ha occu-

• ti. Sa11.1F.R. 1bid.• p. 165.


41 Va osservato che i padri della Chieu dci primi secoli cnno rer lo più
"escovi e che JIC'rcÌ<.1 incorpor11no contemporaneamente nella loro persona il ma-
gislero.
NOTE DI STORIA DELLA TEOLOGIA

pato un largo spazio. 42 Quantunque oggi molto di ciò che i padri


hanno detto in relazione all'argomento, non possa essere accettato
senza ponderazione, sembra tuttavia opportuno uno schizzo storico-
teologico della dottrina dei padri. In particolare si devono trattare
qui le questioni che si occupano più della natura degli angeli, che
del loro significato storico-salvifico. Nella sezione sulle questioni
preliminari era già stato chiarito che tali problemi non si devono
evitare. A questo proposito ci proponiamo di presentare le risposte
della odierna teologia a tali questioni.

a. Lo sviluppo della dottrina angelica in genere

aa. L'ammissione dell'esistenza e dell'attività di potenze buone


e di potenze demoniache superiori all'uomo era diffusa in larga
parte anche nel tempo post-biblico in tutto l'ambito giudaico ed
ellenistico del cristianesimo appena nato. I padri perciò considera-
rono come loro compito anche quello di difendere le concezioni bi-
bliche sugli angeli contro ogni alterazione da parte di favole giudai-
co-apocalittiche e di rappresentazioni demoniache delle credenze
popolari greco-pagane. Si dovevano soprattutto porre in evidenza
di fronte alle tendenze materialistiche dello stoicismo la spiritualità
degli angeli, e cli fronte agli gnostici, che facevano partecipare atti-
vamente gli angeli alla creazione del mondo, la loro propria crea-
turalità. Quest'impostazione dell'angelologia dapprima a scopo apo-
logetico - benché essa volesse servire alla conservazione della
fede negli angeli secondo la Scrittura - ha diretto sempre più la
attenzione su questioni che, ad ogni modo, nelle asserzioni bibliche

42 a. in proposito: J. TUIMEL, 'Histoirc dc l'a~lologie &s lemps apostoliques


à la fin du cinquième siècle', in Re11ue d' histoire et de lillb•ture religieuse 3
(1898) 289-3o8, 207-.04. ,,,.,,2; J. DAIOÉLOU, I.es 1111ges et leur mission d'11près
ks Pères de l'Eglise, Olèvetogne 19'3; ]. M1CHL, 'Engcl', in RAC V, 11,·~oo;
A. RECHEIS, E"gel, Tod und Srcelenreise. Das Vlirken der Geister beim Heimg1111i
des Melf$Che11 in der Lebre der Aleu11dri11ische11 urul K11ppodoli:ische11 Vìiter, Ro-
ma 19,8; W. CR.AMEI, 'Die Engelvontdlungen bei Ephrim dem Syrcr', in O>ll. cOmn·
tali11 Cbristi111111 A,,./ectn, 173, Roma 196'; B. l..oHSE, 'Zu Augu1tins Engdlehrc',
in Zeitschrift 1- Kirchengeschichte, 70 ( 19,9) 278-291; K. PELz, Die Eneellehre des
heiligl!ll AMgustinus, Ein Beitr•e :ur Dogmeneeschichte, Miinster 1913; L. Kuaz,
Gregors des Grossen Lehre !>Clii den Engel,,, Ronmburg 1938.
GLI AHGEU

non stavano cosl in primo piano. Cçrtamente l'insegnamento dei


padri circa gli angeli rimase specificatamente cristiano, come dimo-
strano tutte le monografie di storia dei dogmi, tuttavia le questioni
sulla natura degli angeli guadagnano sempre più in importanza e
rimangono predominanti per lungo tempo. 0
La concezione che gli angeli siano esseri puramente spirituali,
poteva imporsi coerentemente solo tardi. 44 A causa delle appari-
zioni raccontate nella Scrittura, fu attribuito agli angeli, fino al
quarto secolo, un corpo di natura sottile ed eterea. Anche quei
padri che designavano gli angeli come esseri immateriali, volevano
che ciò venisse inteso in modo relativo, poiché solo Dio veniva in·
teso come Spirito assoluto. Solo lo PsEuoo-D10NJGl AREOPAGITA,
che rimase come guida per tutta l'angelologia posteriore,45 ha espo-
sto chiaramente il pensiero della pura spiritualità degli angeli. In-
vece la creaturalità degli angeli, testimoniata dalla Scrittura, non fu
mai messa seriamente in discussione dai padri. La creaturalità degli
angeli fu però negata dagli eretici. Contro costoro si rivolse il con-
cilio lateranense quarto ( 1 215 ), il quale dichiarò essere rivelata de
fide tenenda la dottrina che Dio, quale unica origine, ha «creato
dal nulla all'inizio del tempo in modo eguale ambedue gli ordini
della creazione, quello spirituale e quello corporale, cioè il mondo
degli angeli e il mondo terrestre, e poi il mondo degli uomini, che,
in certo modo, comprende e il primo e il secondo, in quanto essi
sono fatti di spirito e di corpo» ( os 800, NR 171 ).

Come tulll i testi c..·onciliari, anche questo resto va interpretato in senso


stretto! Poiché que,td Jdiniziom: <lei magister<> straordinario è <liretta
e\·i<lentt-mentt: co111ro il dualumn dci Catari. corrispondentemente al
senso dell'affermazione, va riferita alla crearuralità degli angeli' Per er·
rore s'afferma occasionalmente che qui l'esistenza degli angeli sia dichia-
rata de fidi· Essa è piuttosto da connornre come de fide ex magtrter10
ordmarm. e nd te~lll da noi cit:llO vienl' prcsuppmta come ~ià da credere

" Cf :\ \' ALAl''T. · AnKélolOJti<" dan~ l"F-1tliS<' la1ine <ll"Pu1• le tempes d~ Pètre•
ju5<1u'il 5ain1 Thoma•. in nrc I I 1~>1) 12211297_ (V ·Ange I
.. Oi pii1, 'u 4ucs10 arjlolTIC'Tlto nd segu<"mt· par~rafo b
" a. J TUIMF.l., 'l.'an1télolottic dt'pUIS lr laux Denys l'Ariop3gi1e·. in Rewr
J'h111oir~•-N Jr li1tér11/urr rr/1g1ruu 4 I 189<11 21~ 238. 289-309. 41.J·4H. Hi·~62
M~1oti par1icolat' •ullo !>SC'Udo-l>ioni11i nd ""l!ll<"nte paragrafo b
NOTE DI STOl.IA DELLA TEOLOGIA

in modo vincolante. Anche la spiritualità degli angeli non è intesa in


modo diretto nella definizione del Lateranense 1v. Sarebbe da notare la
stessa cosa per il testo del Vaticano 1 ( 1870), che ripete soltanto la for.
mulazione del x2 x5 (os 3002, NR 191) e, in fin dei conti, come questa
sviluppa il simbolo niceno (os 125, NR 829: «per mezw dcl quale tutte
le cose sono state create, quelle in cielo e quelle in tena»).
Del resto i testi del magistero straordinario in riferimento agli angeli
sono molto rari. Cosl il concilio di Braga in Portogallo (563 (560?]) ha
affermato contro i manichei e i priscilliani, che gli
angeli non sono ema-
nazione della sostanza di Dio (os 455, NR 164). Papa Benedetto xu nel
contesto di alcuni errori ascritti agli Armeni condannò anche l'opinione
che un angelo derivi da un altro ( os roo7, NR 204 ), cosl che si può
dedurre che ogni angelo è creato direttamente da Dio. Di fronte a ten-
denze moderne nella teolo!!ia, Pio Xli, nella sua enciclica Humani generis
( 1950 ), ha richiamato che gli angeli, orn come prima, vanno intesi quali
creature personali (os 3891 ). Tutti gli altri testi che vengono addotti
occasionalmente nei manuali, nominano gli angeli piuttosto per accidenr
(cf. DS 475, 633, 1078, 1901-1905, 2800, 2856, 3815). Dal magistero
straordinario si può dunque ricavare relativamente poco circa gli an-
geli. La sacra Scrittura rimane anche qui fonte principale per la teo-
logia.

bb. La decisione del Lateranense 1v rimase determinante per il


tempo posteriore. Anche se non era nelle intenzioni una fissazione
dogmatica della pura spiritualità degli angeli, tuttavia la formula-
zione menzionata contribul molto alla chiarificazione. TOMMASO
o'AQUINO poté costruire tutto il trattato della sua Summa Theoln-
gica circa gli angeli sulla tesi fondamentale che la natura degli an-
geli è totalmente spirituale (5. th. I, q. _50, a. 1 ).

Le sue esposizioni si trovano nelle questioni ~0-64 e 106-114 della parte


prima della Summa Theologica. come pure nel secondo libro della Sum·
ma contra genti/es, capitoli 9t-101. Per Tommaso gli angdi, come «for-
me sussistenti in sé» (5. th I 50,.z I. sono senz'altro distinti individual-
mente e perfino secondo la loro 'specie' (spern•s) (/bid 4),. Dalla natura
degli angeli risultano determinate conseguenze per 1:1 loro conoscenza
lqq. 54-581 e volontà iqq. 59 e 601. Benchl- Tommaso si occupi anche
della grazia degli angeli e della loro caduta nel peccato (qq. 61-64 J, tut·
L1\'ia hanno rilievo in primo pi.mo le 4uest ioni piuttosto lilo~ofichc,
anche 1:1 do\'e egli !raaa dell'esistenza storica e Jcll'auivit ~ degli angeli
I qq. 106-1t4 ). Il collegamento fra principi filosofici e dichiarazioni teo·
GLI ANGl!Li

logiche non è riuscito del tutto felicemente al doctor angelicus (cf. R.


HAUBST, 'Die Engellehre seit 1215', in LTK III [1959] 869 s., v. Engel).

In contrasto con Tommaso, DuNs ScoTO non stacca in egual mi-


sura la vita conoscitiva e volitiva degli angeli, quale deriva dalla lo-
ro spiritualità, dalla vita dell'anima umana, e ascrive ad essi anche
un modo di pensare discorsivo. Del resto però tutta la dottrina de-
gli scolastici sugli angeli si costruisce sopra la tesi fondamentale
sugli angeli, efficacemente motivata da Tommaso, come «intellec-
tus separati». 46 Solo nei tempi moderni si profila un ripensamento
delle dichiarazioni propriamente bibliche. In questo abbozzo di
storia della teologia devono tuttavia esser aggiunte ancora alcune
questioni concrete della teologia dei padri.

b. Questioni particolari

aa. Come già menzionato, la creazione degli angeli da parte di


Dio è testimonianza unanime della Scrittura e della tradizione ec-
clesiastica. I padri si sono sempre unanimemente espressi in que-
sto senso, ed inoltre hanno designato gli angeli come creati dal
Logos (cf. IRENEO, Adv. Haer. 2,2,4, PG 7,714 B; GIOVANNI
DAMASCENO, De fide orth. 2,3, R 2352). Solo la questione sul
tempo preciso della creazione degli angeli procurò difficoltà vere e
proprie, poiché dalla rivelazione risulta soltanto che essa precede
quella dell'uomo. I pareri dei padri presentano, di conseguenza, di-
verse sfumature: alcuni suppongono una creazione anteriore a quell:i
del cosmo materiale (cf. per es. AMBROGIO, Hexaem. 1,5,19, R 1316),
altri ritengono gli angeli creati immediatamente dopo il cido e la
terra (d. AGOSTINO, De civitate Dei II,9, PL 41,325; GREGORIO
MAGNO, Moralia 28,34, PL 76A67 D). Il concilio Lateranense IV
non ha affatto deciso definitivamente questa questione.47 Evidente-
mente perciò anche oggi le opinioni dei teologi differiscono ancora

- a. A. VACANT, Angt'lologie de saint Thomas et Jes scholastiqW!S postérinus,


in DTC I (1903) t228-1248. lv. 'Angc').
47 Il «rimul ab initio tcmpori~.. afferma eh., tutto allo stesso modo è stato
cmito da Dio, qualunque poni esser stati la sequenza temporale (d. A. WlNIO.-
HOFEI, Traktat iiber den Teufe 1 Frankfurt a.M. 1961, 28,, nota 11).
NOTE DI STORIA DELLA TEOLOGIA

l'una dall'altra. Secondo A. WINKLHOFER, Dio chiamò «all'esistenza


prima di ogni altra creatura materiale il mondo puramente spiri·
tuale degli angeli». 48 A noi sembra invece signi6cativa l'opinione
rappresentata da D. FEULING, secondo cui il inondo degli angeli è
stato «formato nello stesso momento nel quale è stato formato il
mondo corporeo»,49 p~iché in ciò risplende meglio il nesso essen-
ziale di tutta la creazione. Del resto, a tale questione non si do·
vrebbe dare troppo rilievo, se soltanto si tien saldo che gli angeli,
come tutto il creato, furon tratti dal nulla <<all'inizio del tempo».

bb. Non solo a causa delle apparizioni angeliche raccontate nella


Bibbia, ma anche in vista della coesione esistenziale di tutto il
cosmo, i padri non potevano dapprima rappresentarsi gli angeli
senza corpo.50 Fu sl escluso un corpo di carne per i messaggeri ce-
lesti (cf. IRENEO, Adv. Haer. 3,20,4, PG 7,944), tuttavia alcuni
padri ritennero conveniente un corpo immateriale, corrispondente-
mente alla natura di essi (cf. TERTULLIANO, De carne Cbristi 6,9,
R 354; GREGORIO NAZIANZENO, Or. 28,31, R 989); questo cor-
po s'immaginò con la forma dell'aria oppure simile al fuoco (e/.
BASILIO, De Spiritu Sancta 3,8, PG 32,137; FULGENZIO, De Tri·
nitate 8, PL 65,505). Altri padri si espressero per la pura spiri-
tualità degli angeli (cf. EUSEBIO, Demonstratio evangelica 4,1, R
667; GREGORIO MAGNO, Moralia 4,3,8, R 2307). AGOSTINO non
poté ancora decidersi in modo univoco. 51 Fu una lotta, che durò
fino al tempo dell'alta scolastica. 52 Oggi la spiritualità pura è soste·
nuta universalmente dai teologi.

48 T rJetat 19.
49 D. FEULING, Katholische GlaMhenslehre, Sab.burg 19,0, p. 207.
511 P. G1.0KIEUX, Autour de la spintualiti! des anges. Dossier scr1pt"'airt ti (M·
tristique, Coli. .Monumtnta Christiana Sdecta• ~. Toumai 19,9, offre una cata·
logazionc dei più imr<manti Inti pairisrici sull'arg~nto. Alcuni di questi 1n1i
SI rifanno a un 'inrerprctazione riscontrabile già nel lardo giudaismo, ma ogi
messa in evidenza come non esatta, riguardo a Gen. 6,2.4; cf. A. WtNKLHOFEl,
Die We/1 der Engd. Etra! 1961, p. 146, noia 6, e J. MICHL, 'Angelo', in D:T,
I (31969) 97. V. anche la nota 36
s1 Cf. i testi in P. GLOlllEUX, op. cit., pp. 41-48.
5? Cf. per ques10 E. KLEINF.IDAM, Dor Prohlem dtr hylomrwphen Z1munmtnset-
zung der geistigtn Suhstan:en '"' / J. Jahrhundtrt, hehiindelt bis Thomas llOn
Aquin, Breslau 1930.

49 - Mysterium Salurir, 11/1


GLI ANGELI
770

L'essere gli angeli privi di qualsiasi corpo, non è espressamente definito


dal magistero (cf. il nostro excursus nel precedente paragrafo a); ciono-
nostante, tale opinione non può più venir seriamente negata, dopocht.'
essa è diventata corrente nell'odierna angelologia. Anche se non viene
in questione una composizione di materia e forma, gli scolastici distin·
guono tuttavia negli angeli fra essenza cd esistenza, fra atto e potenza,
fra persona e natura - questioni la cui trattazione va ricercata nei ma-
nuali corrispondenti. Qui basti accennare solo al fatto che gli angeli sono
sostanzialmente simili all'anima umana (e perciò possono esser loro
attribuite le qualità comuni della realtà spiritulle); essi tuttavia non si
possono considerare come anima dello spirito! Il loro essere sostanziale,
il loro conoscere e volere sono liberi da tutti i condizionamenti a un
corpo r ai suoi sensi, e perciò diflicilmentc afferrabili per una compren·
sionc umana. (Per il problema che risulta, della natura 'superiore' degli
angeli cf. K. RAHNER, 'Angelogie', in LTK I, 535). D'altra parte, ciò
non significa che gli angeli stiano di fronte al mondo corporale se~za
alcuna relazione (cf. A. WlNKLHOFER, Die Welt der Engel, pp. 33-37).
A ciò appartiene infine anche la questione che appassiona gli scolastici,
riguardo alla 'lingua' degli angeli, questione che noi vogliamo trattare
nella parte sistematica, come questione circa la natura sociale degli esseri
spirituali. Vorremmo infine indicare come ancora aperta la questione se
gli angeli rappresentino per se stessi ciascuno una 'specie' (species) -
cosl TOMMASO D'AQUINO (v. sopra) - oppure se siano soltanto indivi-
dui di un'unica cd identica specie, come fu sostenuto, fra gli altri, da
ALBERTO MAGNO, ScoTo e DuRANDO (cf. H. AMSCHL, in DTA rv,568).
Nelle loro apparizioni agli uomini gli angeli, secondo alcuni padri, ven-
gono visti nella loro corporalità eterea, oppure diventano visibili attra-
verso l'assunzione di un corpo materiale, per sé estraneo ad essi. Secondo
opinioni oggi correnti, queste apparizioni possono venire interpretate
in modo diverso: come influsso spirituale sui sensi esterni dell'uomo,
come conoscenza spirituale operata nell'uomo, che viene tradotta in im-
magini della fantasia, oppure quale assunzione, già menzionata, di un
modo d'esistere corporale (cf. H. LAIS, 'Erschcinungen' in LTK m, 1047-
1049, e D. FEULING, Katholische Glaubenslehre, pp. 201 s.). Secondo
R. HAUBST,. in LTK lii 87 2, la Scrittura stessa lascia concludere in parte
per apparizioni corporali visibili (Le. 2,9; Mt. 28,2 ), e in parte per visioni
immaginarie (Mt. 1 ,20; 2,13 ). In qualsiasi modo si possano spiegare le
apparizioni degli angeli, esse rendono chiaro in ogni caso che gli angeli
sono in grado di operare come messaggeri di Dio all'interno dell'ambito
dell'esistenza pienamente umana, e di esservi percepiti.

cc. Nelle questioni circa la conoscenza e la volontà degli angeli


i padri e i grandi teologi del Medio Evo sono d'accordo nell'affer-
l'OTE DI STORIA DELLA TEOLOGIA

mare che essi, già per la loro natura spirituale, sono dotati di un'am-
pia conoscenza di se stessi e di ogni cosa creata, come pure di una
volontà interamente sicura del fatto suo. Gli scolastici hanno ben-
sl tentato d'interpretare più da vicino il tipo e il modo della cono-
scenza angelica 53 e dell'autodecisione che ne deriva, ma noi, uomini
legati alla terra, non possiamo farci in definitiva alcuna immagine
del come gli angeli, quali puri spiriti, siano capaci di conoscere e di
volere. Noi possiamo solo intuire che alle loro facoltà spirituali de-
vono spettare intensità ed attualità che superano i limiti della co-
noscenza e della volontà umana. Come gli uomini, anche gli angeli
hanno il loro più alto destino nel conoscere Dio (GREGORIO MAGNO,
Moralia 4,3,8; R 1307). Ovviamente se questa conoscenza fosse
soltanto una conoscenza mediata cd analogica, il Dio uno e trino
non si sarebbe rivelato anche agli angeli. Poiché invece ciò avven-
ne, «l'intelletto degli angeli è sottomesso in puro amore alla PAROLA
di Dio• (AGOSTI.NO, De gen. ad litt. 4,,2,49, R 196r). Anche questa
visione resa possibile dalla grazia non esaurirà tuttavia la profon·
dità del mistero di Dio - gli angeli rimangono nei limiti della crea·
ruralità.

dd. 11 grande numero degli angeli creati da Dio, che occasional-


mente viene indicato nella Scrittura ( cf. Apoc. ',11 ),54 come pure i
diversi nomi di angeli, usati specialmente da Paolo, fanno nascere
presso i padri anche la questione di una eventuale disposizione ge-
rarchica del mondo degli angeli. I pareri in proposito non sono stati
in un primo tempo affatto unanimi. ~ diventata poi molte volte
usuale la divisione in nove cori.

!-1 Secondo la dottrina tomistica, gli angeli conoscono 1u110, grazie a imm1111n1
infuse (spt"cies impmud; d. R. HAUBST, in LTK III, 870 (v. 'Enael'). A. Wu>1KL·
HOFER, sviluppando vorrebbe ammellcte per gli angeli cun1 conoacenza cre11u-
ralmen1e condizionala, acquisita lllrAv~r8o unA percezione spirituale• (Die W tlt
der Enge/, p. 148, noli 8).
~ Tutti i padri e i teologi sono d'accordo che il nuffltro degli anj!eli superi I.i
possibilità di valutazione umana, f'OÌChé le informazioni della Scrillura non oflronu
indizi sufficienti allo scopo [cf. M. ScHMAUS, Dogmatica cattolica, Torino 21966
t I, p. 620]. Non vi è akun parere unanime quando viene messo in relazione
il numero degli angeli con le gerarchie dcl mondo an11elico in seguilo menzionate.
t supcdluo ocruparsi qui di questa qucs1ionc, poiché non vi si può IOSlmctt una
ipotesi teologica sensata.
GLI ANGELI
772

Essa risale allo PsEUDO-DIONIGI AREOPAGITA, che la presenta nella sua


dissertazione :tEQÌ rijç où!,la\'ia' LE?<XPX(a.s- (ca. ,oo ). Secondo lui, i
nove cori si dispongono ulteriormente in tre 'gerarchie' ciascuna di tre
cori (Angeli, Arcangeli, Principati, Potenze, Potestà, Dominazioni, Tro-
ni, Cherubini, Serafini [cf. Eph. l,21 ]). Il termine 'gerarchia' è un neo-
logismo, che risale allo srcsso Pseudo-Dionigi e che in lui vuole esprimere
quella relazione dinamica, secondo cui ogni coro angelico notifica al coro
subordinato la comunicazione di Dio, sia nell'ordine della creazione e
della conoscenza, sia nell'ordine della salvezza. Questa esigenza fonda-
mentale del collegamento vitale degli angeli fra di loro, e con Dio e con
gli uomini, è ciò che lega ancora con la Scrittura la dottrina dello Pseudo-
Dionigi circa gli angeli, in misura ad ogni modo maggiore della conce-
zione statica della gerarchia angelica, diventata comune più tardi. L'or-
dine a gradi come tale, cosi come fu sviluppato in seguito, non si può
tuttavia derivare dalla Scrittura!
La dottrina dello Pseudo-Dionigi divenne comune in Occidente muo-
vendo da GREGORIO MAGNO, ìl quale accetta appunto tre gerarchie, ma
di due, di cinque e nuovamente di due cori (Angeli, Arcangeli, / Potenze,
Potestà, Princ;pati, Dominazioni, Troni, / Cherubini, Serafini [cf. Col.
1, 16] ). Già questo diverso modo di raggruppamento, come anche la tra-
duzione per nulla unitaria dei termini greci, dimostra che i padri non
erano affatto unanimi nella presente questione. Corrispondenti sono ogni
volta solo i due cori più alti e i due più bassi. Inoltre il numero nove
dei cori e la divisione ulteriore in gerarchie non vanno scambiati a
vicenda.
Come mostra il prospetto riassuntivo di B. DIETSCHE, in DTbA VIII
(19'!) 618, diversi padri si esprimevano anche per un numero più grande
o più piccolo di cori angelici. Se poi nel corso del tempo fu mantenuto il
num~ro di nove, ciò va ricondotto al primitivo uso liturgico di questo
numero (B. D1ETSCHE, Ibid.; per l'uso dei vari nomi degli angeli nei
singoli prefazi d. TH. BoGLER, Der Engel in modernen Kunsl, p. 114,
nota 4 ).

Ricerche esegetiche più recenti dimostrano che i cinque nomi di


angeli che appaiono nelle lettere paoline, si lasciano difficilmente
distinguere l'un dall'altro nel loro significato, e perciò non offrono
alcuna possibilità di stabilire un ordine gerarchico.~5 Inoltre si deve
tener presente che in Paolo, talvolta per lo meno, queste denomina-
zioni indicano potenze spirituali ostili a Dio. Solo dopoché ciò era

55 Cf. K. STAAB, 'Die Gcfangcnschaftsbriefc. Exkurs: Die Ch0re der Engel', in


l<:NT VII (31959) 79 s.
NOTE DI STOllA D~LLA TEOLOGIA
773

stato dimenticato ed esse erano state ritenute senza eccezione spi-


riti buoni e celesti, poterono esser riunite insieme con gli Angeli,
Arcangeli, Cherubini e Serafini, già noti, nel numero nove dei cori.
Ciò non vuol dire d'altronde che i molti angeli creati da Dio non
si distinguano in nulla l'uno dall'altro - ciò sarebbe «una super-
flua ripetizione della stessa realtà» (A. Winklhofer ). La sacra Scrit·
tura, pur con ogni riservatezza, suggerisce in tale questione che
gli angeli esistono ed operano in modi diversi. Analogamente all'or·
dine della creazione e ddla grazia nell'uomo, si devono ammettere
nei singoli angeli doni altrettanto vari, della natura come della gra-
zia, e parimenti una gradazione di servigi nell'ambito della storia
della salvezza.~ Anche se la Scrittura autorizza questa fondamentale
affermazione teologica, «tuttavia non viene sollevato il velo che ci
tiene quasi completamente nascosto il reale sfondo soprannaturale,
cioè il mondo degli angeli e la sua struttura».57 Qui, come in tutte
le singole questioni precedenti, vanno apprezzate la dottrina dei
padri e lo sforzo dei teologi precedenti, ma nello stesso tempo essi
vanno ridotti in quei giusti limiti che - anche per motivi ecume·
nici - sono imposti dalla sacra Scrittura!

ee. Quali esseri dotati di intelligenza e di libertà (cf. IRENEO,


Adv. Haer. 4,37,1, R 244; AGOSTINO, De cw. Dei 22,1, R 1782),
anche gli angeli sono ordinati alla comunione di vita con Dio. 51 Nei
padri non c'era alcnn dubbio che la Scrittura testimoniasse di con·
tinuo l'immediata vicinanza degli angeli a Dio, come pure che atte·
stasse occasionalmente un'opzione a loro precedentemente offerta,
pro o contro il loro creatore. Rimanevano dunque aperte solo le

56 La diversa intensità del dono di grazia (non si dovrebbe mai parlare della
diversa «qualità» de!l'amocomunicazione di Dio concessa nell'amore~), come: pure
del diverso corredo di doni di narura, costituiscono )"unicità", la irripetibile perso·
nalità di ogni singolo angelo (d. S. tb., I. to8,4): •dis1inc1io ergo ordinum in
angelis est non solum secundum dona gratuita. sed etiam sccunclum dona nam-
ralia .. ). A nostro parere però, la personalità non richiede fra gli angeli I' 'unicità
di specie' di ogni angelo, come suppone A. W1NKUtOFER, Die Wdt der Engd,
p. 151, nota u).
-;i B. DIETSC!IE. op. dt. 619.
58 Gli angeli de facto - secondo la 1estimonianz.a della rivelazione - sono
ordinali alla grazia e alla felicità; tuuavia la grazia non va considerata come cJc.
men lo L-sscnzial~ della nalura angelica {DS 3891 ).
774 GLI ANGELI

questioni riguardo al tipo della prova 19 e al momento del conferi-


mento della grazia. 60 P,er quanto riguarda l'ultima questione, muo-
vendo da TOMMASO D'AQUINO, (cf. s. th. I., q. 62, a. 3) si è po-
tuta affermare l'opinio11e, sostenuta da molti padri (per es. BASI·
LIO, GREGORIO NAZIANZENO, GEROLAMO, AGOSTINO, GREGONIO
MAGNO e ANSELMO), che Dio abbia dotato gli angeli, già al mo-
mento della loro creazione, della vita di grazia soprannaturale. Que-
sta elevazione ha trovato, dopo la prova, la sua pienezza nella vi-
sione immediata di Dio, come tutti i padri insegnano conforme-
mente al senso della Scrittura: anche gli angeli, come gli uomini,
hanno la loro origine e il loro fine in Dio.
La creaturalità e l'elevazione degli angeli, biblicamente fondate,
sono le due tesi fondamentali a cui si rifanno tutte le asserzioni qui
abbozzate. I padri, come anche i grandi teologi del Medio Evo, fu.
rono sempre consci di quanto fosse difficile, in tutte le questioni
menzionate, andare oltre gli scarsi accenni della Scrittura ( cf. ad es.
0RIGENE, De principiis 1, Praef. 10, R 448; AGOSTINO, Enchiridion
15, BKV2 VIII, 446-448; TOMMASO D'AQUINO, s. th. I, 108,3). Al
di là di tutte le questioni sulla natura e sulla grazia degli angeli, i
padri non hanno tuttavia dimenticato l'ordinamento storico-salvifico
di essi nell'antica e nella nuova alleanza.

J. Gli angeli nell'opera salvifica di Dio

La realtà propria ed essenziale che la teologia dogmatica ha da


esprimere circa gli angeli, è e rimane la loro relazione con l'opera
salvifica di Dio, fondata nella rivelazione ed annunciata dai Padri
della Chiesa: accolti nella comunione del Dio uno e trino insieme
con l'uomo da lui chiamato all'esistenza, gli angeli nel loro servizio

" La rivelazione non spiega più da vicino in che rosa sia con'1sUta la prova
degli angeli; Suarez e Schcebcn la ve<ki'lo in connessione con il mistero dcll'iocar·
nazione di Cristo (R. J-IAUllST, in :..rK III, 871, [v. 'Engel']).
1iO ~ teologica~nte sicuro che gli angeli, già prima della decisione _ come i
primi uomini -, erano s1a1i elevati alla vira di grazia; la questione Qllindi suona
più precisamente: se al dono di grazia sia precn!uto uno stato di na~a pura (cf.
R lliuasT, /bid)
GLI ANGELI NELL'OPERA SALVIFICA DI DIO
775

hanno parte all'alleanza di Dio con gli uomini, la quale in Cristo e


nella Chiesa è entrata nella sua fase finale spazio-temporale e che
troverà la sua pienezza nel regno dei cieli. 61 Da questa tematica bi·
blica storico-salvifica sono determinate le seguenti esposizioni siste·
matiche., che chiudono il nostro trattato.

a. L'alleanza di Dio con gli angeli e con gli uomini

aa. Ogni creatura deve la sua esistenza al decreto di Dio di


far partecipare le realtà create alla propria vita secondo gradi
diversi. 62 Quest'alleanza di Dio esterna all'ambito trinitario -
qui intesa in senso largo - trova la sua massima attuazione là dove
si tratta di creature personali, che sono capaci di rispondere con
libertà creata, operata dalla grazia, alla chiamata di Dio alla piena
comunione di vita. La sacra Scrittura, presentandoci gli angeli sem-
pre come messaggeri di Dio, operanti in modo personale, attesta
con ciò che oltre all'uomo sono evidentemente chiamati all'alleanza
con Dio anche esseri spirituali privi della corporeità terrena. Il Dio
uno e trino, essenzialmente parola e spirito, ha espresso se stesso
a mo' di immagine non solo nella creazione materiale e nell'uomo
spirituale e corporale, ma anche negli angeli. Quali immagini create
del Dio tripersonale, gli angeli sono per natura esseri calcameme
personali~.~ Al loro essere persona, nella gerarchia delle creature,
spettano non solo la consapevolezza e il possesso di sé, ma soprat-
tutto la relazione più intima ad un tu, l'essere aperti a un partner

61 Già fra le que<tioni preliminari fu fatto notare per illusione che, oltre alle
asserzioni della Scrittura riguardanti direttamente gli angeli, si possono r.rasferirc
al mondo anttclico - osservando la necessaria riservatezza - anche ceni dati del·
l'ordine salvifi,o in genere (la nozione dell'alleanza, la struttura sociale della sal-
vezza t'CC.) e Jcll'anirorologia teologica (personalità, libertà).
62 Per le n01:ioni scgucnii: allcan21-personalità·liber1à d. M. SEEMANN, Heilsge·
srbt'hl'n 1111d (joru1dtt'11St. Die uhre Peter Brunners in lt111holischer Sicht, in Coil.
~Konfcssion.kunJlirhc: und kontrovenihcologischc: Studien• 16, Padcrbom 1966,
pp. l<>·JJ, 114, u9 s; K. RAHSER, 'Wiirdc und Freihci1 dcs Menschen', in Schrifren
li, pp. 24j·277; lu., 'Thcologie der Freihcit', in Schrifren Vl, pp. 211·237.
"-' A. W1sK1.HOFER, "i'rak1111. p. 19. Se nella Scrinura gli angeli appaiono tuttavia
come , esseri personali e nello stesso tempo impenonali• (H. Sc:Huu, Die Engel,
I' •('l '. '-!"''''" ,1n1<·:1,· per _11 tatto d1c c»1. 4uah c:sscri riferiti totalmente a Dio.
'.romp.11onn wmplct3mcnre dietro ali~ loro missione, ciò che non è possibile quando
e un uomo l"•tl" .11ulurn.·1.a si me'."\sa,u;t10.
GLI ANGELI

personale. Come la libertà dell'uomo, così quella dell'angelo viene


da Dio e tende a Dio. Essa infine è libertà di fronte a Dio stesso,
che può esser accolto nell'amore o che può venir rifiutato nella ri-
bellione. Questa libertà ha bisogno della grazia se vuole affidarsi
a Dio, suo fondamento portante, in una totale disposizione di sé.
Secondo la testimonian7.a della Scrittura, gli angeli come inviati ven-
gono dall'ambito di Dio: essi si sono dunque decisi - così si può
dedurre - nella libertà operata dalla grazia, per l'assoluta vicinanza
a Dio. La loro personalità e la loro libera capacità di disporre di se
stessi hanno trovato la loro pienezza davanti al volto di Dio. L'esi·
stenza degli angeli consiste, dopo quest'unica ed irrevocabile deci-
sione fondamentale, «nella attuazione comune della vita divina me-
diante l'amore, la visione, la lode e il servizio».64 La loro vita è per-
fetta auto-attuazione nella partecipazione alla vita del Padre, del
Figlio e dello Spirito di Dio.
Ogni angelo trascende non solo se stesso verso Dio in forza della
sua personalità, libertà e grazia, ma anche inserisce nel flusso del
suo io tutti gli angeli con lui creati. Cosl, senza dubbio, nel mondo
degli angeli c'è un vivo flusso di mutuo dare e ricevere in un reci-
proco arricchimentu.65 «La comunicazione degli angeli però è intrec-
ciata di giubilo. Comprendere l'altro è giubilo, poiché in lui, in
quanto realtà essa pure creata, viene riconosciuta l'immagine del
Creatore. Gli angeli gioiscono l'un per l'altro per il fatto che si ve-
dono a vicenda, giubilando assieme, attendendo secondo la loro voca-
zione, instancabilmente, senza riserve, totalmente alla lode dell'Al-
tissimo, e in ciò rifulgendo della gloria del Signore».66 Come crea-
ture, gli angeli sono ordinati pure a tutto il cosmo. Come ogni uo-
mo è quasi il centro del mondo, il punto d'intersecazione fra macro-
cosmo e microcosmo, così anche ogni angelo sta pieno di potenza

64 L. BoRoS, Esistenza rede11ta, Coll. cMeditai:io11i teologiche•, l, Brescia, 11967,


p. 122; d. M. SCHMAus, op. cit., 618 s.
65 Qui va collocata la questione riguardo all'influsso reciproco (motio) e alla
lingua (locutio) deii]i angeli (S. th., I 106s.; d. A. W1NKLHOFE1t, Die Welt dv
Engel, p. 27 s.). Benché a noi sia na.<;<;osto il tipo e il modo del discorso degli
angeli, tumr:ia rim:mc fermo che gli angeli "esistono in parola e risposta> (H.
ScHLIEll, Die Enge/, p. 162).
66 J. lù:NNL'IG, 'Communicatio angelica', in GuL 36 (1963) 215.
GLI ANGELI NliLL'OPERA S•ILV!l1H:A I.li 1110
777

al centro dell'universo, in una posmone di servmo ordinata all'in-


sieme di ciò che Dio ha creato. Veramente l'importanza degli angeli
nei riguardi della creazione materiale non dovrebbe venir soprav-
valutata, come è accaduto nella dottrina tardo-giudaica e patristica
sugli «elementi del mondo». Quali esseri totalmente e veramente
obbedienti (Ps. 103,20), gli angeli operano nel mondo (custodendo
e conservando oppure distruggendo) solamente per un mandato
divino di volta in volta particolare.67

bb. Come giustamente dice AGOSTINO, il nome conferito con più


insistenza dalla Scrittura agli esseri spirituali celesti indica il loro
compito principale nello spazio e nel tempo: essi sono al servizio
dell'alleanza di Dio con gli uomini.68 Angeli e uomini hanno pure
in comune un fine soprannaturale, al di là del rapporto derivante
dalla creazione. «Nonostante il peso del corpo, anche noi infine
siamo determinati dai tatto che slamo spiriti, esseri trascendenti
aperti verso l'infinito, che è Dio. Questo ci rende affini agli angeli
in modo essenziale. Non si possono distinguere angeli e uomini
gli uni dagli altri come si divide, ad es., ciò che è privo di vita da
ciò che vive. Piuttosto angeli e uomini sono fatti gli uni per gli
altri fin dal principio: non solo per l'unica grazia soprannaturale.
ma già per la trascendenza aperta ad un unico ed identico fine».69
La somiglianza naturale &a angeli e uomini è sopraelevata nella
eguaglianu della grazia e nell'unità di una chiamata speciale.
~ Dio stesso colui che con parola e azione conduce l'uomo, che è
diventato peccatore e che tuttavia è permanentemente chiamato alla
allean1.a, al suo eterno destino. Nel loro servizio gli angeli si pon-
. gono a disposizione di quest'azione salvifica di Dio, parlando come
egli lo vuole, agendo se egli lo permette. Proprio in questo ser-
vizio storico-salvifico la loro libertà crcaturale è del tutto identica

67 Cf. A. Tralttat, pp. n·24; J. DANIÉLOU, op. cit, alla nota 42.
W1NKLHOl'EI,
aulcm angeli sunl; cl cum spttiius sunt, non sunt angeli; cum mii.
61 .. Spiri1us
n:niur, fiuni angeli. Angelus enim olflcii nomc:n est, non natutac• CE11. in Ps
IOJ,1,1,: R 1484). Riferimcnii ad ahrc citazioni dci padri v. presso }. M1ct1L,
'Angelo', in DiT, 1 (11969) 101 s.
RAllNU, B~tracht1mgN1 :i:um ig11ati1111iscbr11 Extnit~11buch,
p.
1111
,o.K. Miinchcn 196,,
GLI ANGELI
778

alla loro obbedienza. Negli avvenimenti di salvezza, che nell'Antico


Testamento sono sempre collegati con la presenza e con l'azione
degli angeli, vengono sempre attestati la parola e l'agire di Dio
stesso apportanti salvezza. 70 Dio soltanto opera redenzione, tuttavia
egli, nella sua benevola condiscendenza, concede spesso ai suoi
angeli di notificare :1gli uomini la salvezza e d'interpretarla loro con
la parola e di renderla presente con un'attività soccorritrice. In
questo senso l'opera salvifica di Dio è già nell'Antico Test.imento
un avvenimento che tiene in tensione cielo e terra, nel quale gli
angeli sono inseriti come testimoni e messaggeri che m<lnifestano
una vera vicinanza di Dio, soccorritrice e redentrice.

b. Cristo e gli angeli

aa. Il fondamentale ordinamento degli angeli a Dio presentato


nel precedente paragrafo è in modo particolare, per natura e grazia
e per mandato storico-salvifico, un ordinamento a Cristo.71
Come «il primogenito di ogni creatura» (Col. r ,I 5) Cristo pree-
sistente non è soltanto immagine intratrinitaria dcl Padre, ma è
nello stesso tempo prototipo increato di ogni creatura, la quale può
aver parte in modo creato alla sua funzione di immagine.:-: Anche
la designazione giovannea dell'uomo-Dio quale «Logos,. (lo. 1) al-
lude alla funzione essenziale della parola di essere un segno. Come
il Padre s'esprime all'interno di Dio in modo definitivo nella sua
parola, cosl anche ogni creatura è chiamata all'esistenza attraverso
tale parola di Dio ed è contrassegnata dalla sua proprietà di segno.
Ciò vale in modo particolare dell'uomo, che è predestinato ad esser
formato secondo l'immagine del Figlio (Rom. 8,29; cf. 1 Cor 15,
49; 2 Cor. 3,18), ma vale anche per gli angeli, che sono parimenti
creati «mediante lui e per lui» (Col. 1, I 6 ). In un modo corrispon-

711 Secondo i padri, agli :tngeli SJ>t."tta una fum.ione di servlZlo ancht- riguardo ai
popoli exrrabiblicr e pagani; cf. per quest<' i riferimenti in J. DANIÉl.l>U, op cri,
alla ro!a -.2.
11 Cl. CH. JouRNET, 'L'univcrs de création ou l'univers antérieur à l'Eglise', in
l\Tho>11 H (19HI -.39--.87 e H (195-.J M.s.
72 Cf. C. v. Ko1tVIN·KKASINSKI, 'En~l - Mensch- Kosmos", in LuM, fa><: 21
( 19,;) IO).
1,LI llNGf.1.1 NF.LL 'OPERA SAI \;JflCA DI DIO

Jemc al loro grado di esseri creati, gli angeli hanno parte .11l'imma
gine dcl Figlio, alla proprietà di segno della parola

Contro qm:sta rnncezionc tradi7.ionale si dirige \X' INKLHOFER: cgl! desi-


dererehbc vcdcrl' gli ang.~li, a motivo soprattutto della l0ro naturJ 'Pi
rituale, la 4w1lc no11 n•no~ce un'ulteriore processione, come forma;i .,d
immagine ddki Spirito san10, e questo ;1nche data la forma delle ),iro
appuriiioni come fuo<:o, calore l' fiamma ( Die \'(! elt der En_e.el. ?- 46 s.;
Trakt11t iiher ,J.. 11 Teu/el, p ·i'
s. ). Egli designa questa opinione come
«l'anima Jdl.1 sua Jisscrra;r.ione, e sua novità» (Die W'dt der En.e.el.
p. r.p; d .. In. notil 16 ). Nonostante le motivazioni portate da A. Win-
klhofer per il suo novum, riteniamo come meglio documentata nella sacra
Scrittura la prccedcntl' dottrina teologica, che ascrive t."Spressamcnte la
funzione d'immagine solo al Logos asarkos e cnsarkos. ~nza dubbio va
data ragione a Winklhofcr, quando egli osserva che la somiglianza della
creazione non può mai essere riferita L"lidusivamente solo al Figlio, poiché
essa, creata dal Dio uno e trino, in fin dei conti poria in sé il sigillu di
tutta la Trinità lcf. Tralaat, p. 24 s l

Oltre alla somiglianza della loro natura, gli angeli sono legati a Cri-
sto attraverso la grazia. Dovunque gli uomini vengono ammessi
nella comunione soprannaturale di vita con Dio, questa vita divina
viene loro partecipata attraverso il Figlio, al quale è concesso di
avere in se stt"!'.SO la vita come il Padre (/o. ~.26; cf. Eph. 1,4-6).
Ma anche la grazia degli angeli va designata come grazia di Cristo,
poiché il Padre sceglie sempre la creatura solo nel Figlio - in lui
ogni creatura sussiste (Co/ t, 17 ), proprio là dove si tratta ddla vera
~ussistenza davanti al volto di Dio.

La dourina sulla grazia di Cristo conferita agli angeli continuamente


c:sposta muovendo dal 1empo dei padri, non si può richiamare ad una
parola esplicita della Scrittura, ma va desunta ben a ragione dalla strul
aura generale economico-salvifica trinitllria (a PlllTt · ptr Filium - in Spi-
ritu) della au1ocomunicaz1one di Dio ad extra. Potrebbe ~pingere in
questa direzione anche il t.:s10 di Col. 1,r,-17 da noi ripet~tamentc
citato, il quale non distingue fra ordine della creazione e ordine dcll.1
salvezza. ma descrive come un tolto il primato di Cristo. Sosunzialmente,
la dottrina sulla grazia di Cristo data agli angeli può esser difficilmente
contestata in modo serio (d. K. R.uiNER, 'Angelologie', in LTK l,j37).
Invece rimane apena fino ad oggi la questione se Cristo abbia meritato
GLI ANGELI

agli angeli la grazia con la sua azione salvifica terrestre (anche se essi
non hanno bisogno di redenzione), o se, a causa della stretta connessione
dell'incarnazione con la redenzione, non sia da prescindere in generale
dall'umanità di Cristo e la grazia giunga agli angeli solo attraverso la
divinità di Cristo (cf. R. HAunsT, in LTK 111, 871 s. v. Engel). Qui
sarebbe da considerare che secondo la rivelazione avvenuta de facto la
divinità di Cristo non va separata dalla sua umanità, né quest'ultima dalla
croce e dalla risurrezione. Cristo in quanto Uomo-Dio glorificato è il
capo di tutta la creazione. Perciò è fondato ammettere che anche gli
angeli ricevano la grazia attraverso l'umanità glorificata di Cristo, senza
che questa nello stesso tempo debba esser redentrice. In particolare la
partecipazione degli angeli alla storia della salvezza del Nuovo Testa-
mento dimostra che gli angeli sono proprio ordinati anche al Figlio di
Dio, fattosi uomo.

La grazia specialissima che lega gli angeli a Cristo, è il dono dello


Spirito santo loro concesso. 73 Come nella vita intradivina il Padre,
quale amore personale, si dona nello Spirito al Figlio, così pure
egli si comunica nel suo Spirito santo agli angeli, eletti nel Figlio.
Come il Figlio si ridona al Padre nello Spirito, così pure ogni dedi-
zione degli angeli a Dio è in definitiva operata e sostenuta dallo
Spirito santo. Lo Spirito stesso di Dio è il legame che unisce angeli
e uomini con il Padre e con il Figlio.

bb. Il collegamento degli angeli con Cristo, il loro ordinamento a


lui come creatore e Signore, si manifesta a noi uom1m soprattutto
nei servigi con cui essi accompagnano in terra l'opera salvifica del
Figlio di Dio.
In Gesù Cristo ogni agire salvifico di Dio ha trovato la sua pie-
nezza escatologica, ogni promessa dell'Antico Testamento è diven-
tata realtà ultima. Dalla figura di Cristo è ormai determinato anche
il servizio degli angeli: nelle azioni salvifiche di Cristo è inserito
il loro agire come messaggeri. Sostanzialmente, fin dal sorgere del

7J «Sed sancti.fica1io, q11ae est extr~ mbs1ant1am i//orum {scii. angclorum), per
fectionem illi.i a!fert pe• communionem Spirttu.<» (BASILIO, De Spiritu Sancta
16,38. R 950). · Dunque In somiglianza degli angeli con lo Spirito sanro va cercata
nell'ambito della grazia e non nella loro natura spiricualc come cale, che se.a in un
rapporto d'immagine con Crisco.
Gli ANGl!LI NF.LL'OPEU SALVIFICA DI DIO

Nuovo Testamento non si ha più bisogno di una mediazione ange-


lica, poiché ora è il Figlio unigenito che rivela il Padre (Io. 1, 18 ),
poiché a lui solo è stato dato ogni potere di dare ai suoi la vita
eterna (lo. 17,2). «Tuttavia gli angeli non possono mancare, perché
appartengono alla gloria celeste del Figlio dell'uomo, e soprattutto
perché rendono visibile il carattere sociale del regno dei cicli, verso
cui il rogmo deve essere trasformato».,. Attraverso il loro servizio
gli angeli fanno sperimentare al Figlio di Dio fattosi uomo, che egli
non è solo, ma che il Padre è con lui (lo. 16,32).75 Per gli apostoli
e i discepoli invece, la parola degli angeli li conferma nella fede
che il regno di Dio si è avvicinato in Gesù Cristo.
Pur con tutta l'importanza che ne viene agli angeli quali servitori
e messaggeri durante il tempo della vita terrena di Gesù, gli evan-
gelisti non fanno mai nascere il pensiero che le azioni di Dio in
Gesù Cristo potrebbero in qualche modo esser rese inutili, data la
parola degli angeli e le loro apparizioni, o essere integrate in esse.
Benché l'incarnazione, secondo la testimonianza della Scrittura, sia
circondata in modo particolare dall'opera degli angeli, essa rimane
tuttavia in modo esclusivo azione dell'auto-espressione di Dio. Gli
angeli sono solo i testimoni attestanti l'epifania dcl Logos nella
carne. Gli angeli sono addirittura esclusi dal mistero della croce,
poiché solo a Dio è dato di spodestare, in modo definitivamente
valido, peccato, morte e satana (d. EusEBJO, Dem. Ev. 10, PG 22,
777 CD). Solo con la risurrezione gli angeli entrano nuovamente in
scena. Essi sono i primi annunziatori della vittoria di Cristo. E tut-
tavia proprio la figura dcl Cristo della pasqua dimostra che egli ora
anche secondo la sua umanità è innalzato al di sopra di tutti gli
angeli (d. 1 Tim. 3,16; Phil. 2,8-10).76
Solo in Gesù Cristo è donata agli uomini la speranza viva della
eredità incorruttibile conservata in ciclo ( 1 Petr. I A). Ma spetta
agli angeli manifestare in questa sua dimensione celeste la sovranità

74 H. U. VON BAITHASAR, 1-lnrlichk~it I, Einsicdeln 1961, p. 649.


75 Cf. H. ScttuER, Die Engel. p. 169.
76 Non si può maggiormente penetrare nel problema se quindi tutti gli uonun1
sliano, nell'ordine della t.rtnia, in una condizione più ekva1a degli uigdi. Affer-
mativamente si pronunci.i.no G. Ku1ZE, op. cit., pp. 148 s., e H. Saiun, Di~
F.11gel. p. 1;5.
GLI ANGP.ll

escatologica di Dio, iniziata con Cristo, ed accompagnare con un


serv1z10 disinteressato l'opera portatrice di salvezza dell'uomo-Dio.

c. Gli angeli e la Chiesa

aa_ La redenzione operata in Cristo viene applicata agli uolillnl


di tutti i tempi nella Chiesa e attraverso la Chiesa. In questa fase
finale ll ...IJa storia della salvezza il servizio degli angeli è, di conse-
gue111.a, ordinato alla Chiesa come ai singoli uomini_
Secondo la testimonianza <ldla Scrittura, Cristo, quale Kyrios
innalzato alla destra del Padre, continua la sua opera di salvezza
sulla terra soprattutto attraverso il suo Spirito santo effuso sulla
Chiesa (lo. 16,5-15; Act. 2,1-4), il quale introduce nella pienezza
della verità (lo. 14,26; Io. 16,13), sostiene l'annuncio della parola
di Dio (Aci. 2,4; 4,8; 5,32; 15,18; 1 Cor. 2,4) e assiste i messag-
geri della fede nelle persecuzioni (Ml_ 10,20; Mc. 13,u ). E tutta-
via gli angeli non sono sollevati dal loro servizio_ Come hanno
servito il Cristo terreno, cosl ora servono anche il Cristo celeste in
favore del suo corpo, la Chiesa (Col. t ,18 ). NeH'obbedteme mbor-
dinazione all'uomo-Dio glorificato e al suo Spirito santo,n il com-
pito storico-salvifico degli angeli, iniziato con l'antica Alleanza. giun-
ge a pienezza nel servizio alla Chiesa. 71
Le difficoltà che nell'uomo moderno si oppongono a questa con-
cezione, ancorata nella Scrittura e unanimemente presentata dai pa-
dri,79 furono già menzionate in connessione con le questioni preli-
minari. Qui si vuol di nuovo accennare al fatto che la nostra asser-
zione sul servizio degli angeli nella Chiesa è un'affermazione di fede.
Come l'alleanza di Dio con noi uom'i'ni, la venuta personale di Dio

T1 Colpisce il fouo rhe negli A11i degli Apouol1 al battesimo dell'eunuco etiope
e dei rrimi ra11ani, imii~/1 e Spirito santo vengano nominati allo stnso modo (cf
8.26 con 8.29.19: 10.1·7 con <0,19.44.47; sarebbero da confron11re anche l.r 1.11
con 1.1~. 1,26 rnn 1.\5). Per la lorn missiont' storico-s1h-ilica rispetto alla Chiesa
~li an11cli s'avvil'inano ancor.i una rnha allo Spirito santo td. sopra nota 71)
73 Per incarico di Cristo anche gli an11eli servono la Chiesa, inserendosi disinte
ressatamenle nc:ll 'opcra dello Spirito santo; essi 1u11av1a non \Ono veri membri
della Chiesa (cf. L CERFAUX. Le Christ dans la thù1/ngie Je sarnt Pau/, Paris r954 .
p. 122; A. WtNKLHOFER. Die Welt der Engel, pp. 77 s.).
79 Riferimenti ai testi dci padri relativi v in J Mtcm., 'Aniielo', in D:T. 1
i;u Al'C.F.U NELL'oPF.RA 5Al.VIFWA DI lllO

in Gesù Cristo, la presen7.a sempre attuale dello Spirito santo pos-


sono esser afferrati solo nella fede soprannaturale. cosl pure l'azione
degli angeli nel 'qui' e nel!' 'oggi' della Chiesa. Il servizio degli
angeli fa parte del grande mistero Ji salvezza per cui Oio stesso,
Cristo e lo Spiriro sono vicini alla Chiesa nel suo cammino verso il
compimemo celeste. Partendo da tali riflessioni non si dovrebbe
dubitare, almeno sostanzialmente, della missione storico-salvifica de-
gli angeli anche riguardo alla Chiesa.
L'accettazione fondamentale dell'opera degli angeli nell'oggi della
Chiesa non significa d'altronde che agli angeli si possano attribuire
tutti i servigi che loro speuavano nell'amica Alleanza. li Nuovo
Testamento non lascia alcun dubbio sul fatto che l'annuncio della
parola di Dio è ormai affidato esclusivamente agli uomini, in modo
speciale agli apostoli e ai loro successori nell'ufficio (cf Act. 10,42;
Mt. 28,18 s.). Una cosa simile vale per l'amministrazione dei sacra-
menti (cf. Mt. 28,195; Io. 20,23). Se gli angeli possono esser presenti
come testimoni anche in questo agire liturgico della Chiesa,111 il loro
vero servizio incomincia là dove parola e sacramento devono attuarsi
nel quotidiano di una vita totalmente donata a Dio. I fedeli sono
infatti chiamati a presentare in offerta a Dio tutta la loro esistenza
corporale (Rom. 12,1), a diventare santi «in tutta la condotta»
( 1 Petr. 1, 1 5 ). 11 Ciò, nella concreta attuazione della vita, vuol dire

(11969), pp. 101 s. Per il Medio Evo si J>UÒ csanùnare TOMMASO D'AQUINO. S. 1b.,
I. 4. 1 u s Ancora al tempo della Rilorrna 11 giorno di s Michele fu celebrato •come
una delle più grandi fnte della China ,·ristiana,.. poiché gli angeli sono servitori
ili Cristo e mumt"nti dd suo [lt>Vcmo• (AgenJt" /. t'll. luth. Kircben und Gemt'llfdnt,
p uo v 411cstioni prdiminari, nota Jo).
liii Molti testi di pn:gh1era Jclla litur11ia parlano della presenza degli angeli (d.
8 NF.UNllE!ISU, op nt . pp. 18-u; E. Pt:TUSON. D11s Bucb "°" den Engdn.
Stdluni unJ lleJeutung Jer he1/11,en fnt.d "" Ku/1111. Miinchcn 21955. pp. 46-52).
Gli angeli acrompagnano l'agire della Chiesa con le loro preghiere; essi sono testi-
moni di ciò che Dio compie am.iverso il serlizio della Chiesa. Noi vorremmo
metterlo energicamente in evidt"nza. E 1utt:1vi1, a nostro avviso. non va supposto
un autentico intervento dt"1tlì ~ngelì nell'amministrazione dei sacramenti e dci sa-
cramentali Id S th. 111. 64,7 I. Più oltre si parlerà della comunione nella lode
di Dio.
Il Se la letteu1ura ar.cetica rcr lun11hi secoli ebbe una preferenza nd designare
411~11 condotta come ·angelica'. ora sempre pi(1 in ltl<Xlo consolante Cristo viene
nuovamente vi~I<' come il modello voluto da · Dio per l'uOllhl Anche le considc-
rnion: J1 E PnusON ~ui monaci .simili ad angeli• (op nt 41 e pauiml oggi
ckvono Cl"rtO venir corrette. A proposito di 4111"Ma tematica riguardante gli inizi
Gl.I ANGELI

conservare la parola e la grazia di Dio, superare le tentazioni del


maligno e decidersi per la causa di Dio e di Cristo (cf. Eph. 6,10-13).
In questo 'spazio' della decisione e della confermazione si dispie-
gano i servigi degli angeli; la loro testimonianza - sottratta alla
nostra espe.rienza e tuttavia reale - diventa una conservazione e
una custodia attiva di ciò che Dio dona alla Chiesa in un'aut.ocomu-
nicazione di grazia.

bb. La Chiesa come tale ha la promessa che essa non può esser
sopraffatta dalla potenza del male (Mt. 16,18), ma al singolo mem-
bro della Chiesa è possibile rifiutarsi alla chiamata divina della gra-
zia, fino al completo no. Croce e risurrezione di Cristo, in cui le
forze demoniache furono fondamentalmente sconfitte, devono es-
sere accettate da ogni singolo uomo con libera decisione. Dio stesso
viene in aiuto con la sua grazia all'uomo posto nella prova, ren-
dendogli cosl possibile la decisione nella libertà personale. Che
Dio invii i suoi angeli non solo a custodia della Chiesa come insie-
me, bensl anche a custodia di ogni singolo uomo in particolare, è
una delle molte attuazioni di questa sua grazia.

Collegandosi con la tradizione tardo-giudaica, anche i padri della Chiesa


si sono pronunciati ripetutamente a favore dell'opinione che tanto alla
Oticsa nel suo insieme quanto alle Chiese particolari, poste sotto i ve-
scovi, sono assegnati angeli come custodi e protettori (cf., ad es., ILARIO,
Tract. super Ps. 129 7. R 895; GIOVANNI DAMASCENO, De fide orth. 2,3,
R.2354). Nel corso del tempo, a dir vero, è diventata ixedominante !'al·
tra concezione, secondo la quale un angelo sta al fianco di ogni singolo
uomo, per proteggerlo contro l'inimicizia del maligno. Anche questa idea
dell'angelo custode, «meglio dell'angelo guida e aiuto• (TWNT 1,85), è
presa dal giudaismo (d. BILLERBECK I [Miinchen 1922) 781-783; lii
[ 1926) 437-439). Essa si richiama tuttavia soprattutto alla parola di
Gesù, secondo cui gli angeli dei piccoli vedono sempre in cielo il volto
del Padre (Mt. 18,10). Gesù con i 'piccoli' intende i poveri ncllo spi-
rito. i discepoli senza importanza, tenuti in scarsa considerazione. cl loro

dcl monachesimo cf. S. Fum:. Angelikos bios. Begri8s111Uliytìsche und begriffsge-


JChichtliche Vntersuchung zum cengelgleichen uhen• im /riihen M0nchtum, CoU.
cBcitrige z. C'.eschichte ~ Alten Monchrums und dcs Benedik1inerordens• 26, Miin-
sr~r 1Q64.
Gl.I ANGF.U ~ELl.'OPF.RA SAL.VIFlCA DI DIO

angeli, contrariamente alla convinzione giudaica seconJo cui solo la classe


più alta degli angeli del trono può vedere il volto di Dio, stanno in inin·
terrotta contemplazione di Dio. Ma essi stessi, i discepoli poveri e mi-
nimi, sono custoditi e protetti presso Dio nel loro essere attraverso tale
contemplazione dei loro angeli ... Nell'angelo ciò che è piccolo e minimo
è aperto a Dio e sta nel suo sguardo» (H. ScllLlER, Dfr I:.'11gcl, p. 172 ).
Non esiste una decisione del magistero straordinario sulla questione de-
gli angeli custodi; invece l'insegnamento ordinario si preoccupa di par·
lare dell'angelo custode particolare di ogni credente, an:t.i di ogni uomo.
Questa concezione può ben venir considerata come concretizt:nzione della
dottrina sulla volontà salvifica universale di Dio a proposito dcl servizio
degli angeli. Di fronte a raie concezione individuale della domina sul-
l'angelo custode, oggi con la sana applicazione dei principi ermeneutici,
bisogna certamente porre alcune riserve. t, cioè assolutamente pen·
sabile che l'asserzione di fede riguardo alla posizione degli uomini
posti sot~o la protezione degli angeli «comprenda ogni uomo, senza
che sia necessario assegnare ad ogni uomo il suo singolo angelo"
(0. SEMMELROTH, 'Schutungel', in LTK ix, :p4; cf. BARTH, KD m/3.
607 s. l.

Il servizio degli angeli al singolo uomo si esplica da un lato nella


preghiera d'intercessione, con cui essi stanno presso Dio per quelli
che loro sono affidati, dall'altro in una custodia diretta, che la loro
presenza garantisce. Soprattutto l'ambito del corporeo nell'uomo
sembra aver panicolarmente bisogno dell'angelo custode.12 Proprio
in quanto essere corporeo l'uomo, «prima della sua decisione per·
sonale è ~posto all'attacco di influenze fatalmente in essa ingeren-
tisi, che provengono da forze naturali e materiali o da altre persone
create».u E spetta infine proprio agli angeli una custodia di tutto
l'uomo dal diabolico nella sua terribile poten1.a (cf. Eph. 6,10-13).14

12 Nella testimonianza dc.-1111 liturgia colpisce il fatto che gli angeli vengono nomi·
nati soprattutto nella pr~iera per il viaggio, nel rito dc.-ll'unzionc: dei malati e nei
testi dc.-lla Co,,,me11J11tio 1111iMae; nell'orazione di Compieta viene implorata la pre-
senza protettrice degli llllgeli (d. in proposito K. R.utNEI, 'Geiatliches Abendgc.
'prich iiber den Schlaf, das Gebet und andere Dinge', in Schrifte11 111, pp. 26pR1
spec. p. 171).
u K. RAHNEI, 'Wiirde und Frciheit dcs Menschen', in Scbrifte11 t. 1, p. 1,4.
M La preghiera di supplica riguardo a questa ampia protezione dqli angeli deve
sempre rivolgersi primariamente a Dio stesso, come avviene anch.: nelle orazioni di
tulle le feste dei santi. Si può, oltre a ciò, giustificare un rivolgersi discreto della
rrqhiera agli an~li. se rimant" conservata la teocentricirà della preghit"l'll (cf_ J WA

w · Mysterium SalutiJ, 11/2


l.01.1 Ap;c;ELI

Procura g101a agli angeli poter servire alla salvezza di coloro che
portano il nome di Cristo.

cc. Il collegamento ben più profondo degli angeli con la Chiesa


lo possiamo veder attuato nella lode, che si canta in cielo come in
terra. La grazia di Dio non viene <lata agli uomini solo perché essa
venga annunciata e vissuta nel mondo ma deve nncora esser ripor·
tata a Dio ncll'aJor.11.ione e nella lode.•' And1e degli angeli si
sarebbe detto troppo poco e non tutto, se si volesse veder
esaurita Lutta la loro esistenza nel servizio quali messaggeri agli
uomm1. Giubilo e adorazione non si possono separare dal loro
stare davanti a Dio e d11lla visione senza velo del suo volto.""
Come la creazione visibile effonde nd proprio essere creato un
giubilo nascosto, così il mondo degli angdi dotato della grazia.
Tuttavia nella lode degli angeli non trovano la loro eco solo la glo-
ria di Dio e la sublimità della sua creazione, ma proprio anche l'av-
venimento salvifico sulla terra: non solo al Dio onnipotente, ma
anche all'agnello, che è stato immolato, vengono tributati onore e
gloria e lode (Apoc. ', 12 ). Il culto di Dio da parte degli angeli in
cielo e il culto di Dio da parte della Chiesa sulla terra hanno il loro
comune centro in Cristo, innalzato alla destra del Padrc.11 Pur con
tutta la distinzione sul modo dell'attuazione, l'adorazione degli an-
geli e la lode della Chiesa formano un'unità inseparabile, che diverrà
manifesta in tutta la sua profondità, quando anche la liturgia della

U"'ER, 'Der Engcl im lebcn dcs modnnen Mmscbt'fl', in Lu.\f. fase. i i (19'7) 1' s.).
La teologia riformala non ruò acconsenrirc; l."Ha conosce: 51 l'intc:n:esionc: dei MDii e:
degli anac:li, ma non la loro in\"OCVionc:.
e a. M. SEEMAM>, HrJif.ttJdvben """ Go1testl1rnsl, pp. IOj,19, s. P. Bnmner
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111969) 102 s.
tr1 Comunque pona ~ spiegala storicamc:nic: e: liruraicammtc: l'i.nscnione del
S611CtlH nrlla prece: c:ucaris1ica. ad opi modo r siJnificativo che la comunione dcUa
k>dc «elc:siak c:d angdica vc:np 1n1imonia1a li dove: nella cc:lc:br1Zionc dell'c:uari-
111• la lode: della Chiesa rrova la sua mauima auuu.iont" ndla ~ di CriKo
croo:ifisw r 11orifiC"810.
BIBLIOGUFIA

Chiesa avrà trovato la sua forma definitiva. La m1ss10ne storico-


salvifica degli angeli nell'antica e nella nuova alleanza avrà un ter-
mine con il ritorno di Cristo e la costituzione definitiva del rc~no cli
Dio - rimarrà la lode comune di Dio, già ora devata da~li an~di
e dagli uomini.
MIC.llAEI Sl'l.MANN

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SEZIONE TERZA

I DEMONI

1! nosu o tempo si occupa in svariati modi del diavolo. 1 Egli è pene-


trato nella !~tteratura e vi svolge un ruolo divertente, ma non sempre
chiaro. 1 Certi scrittori di storia se ne servono per mettere in luce
figure oscure del passato e del presente, e per spiegare avveni-
menti difficilmente comprensibili. Nella credenza popolare e nelle
superstizioni il diavolo trova un'attenzione meravigliosamente favo-
revole. Accanto a ciò per altro si alzano voci che negano del tutto
l'esistenza di satana e ripongono la sua presunta attività nella sfera
d'una fantasia malata o di una concezione mitologica non più accet-
tabile dall'uomo d'oggi. Quando si tratta di rettificare o di esclu-
dere false immaginazioni del diavolo e di tutto il mondo infernale,
allora è la parola della Scrittura su tale argomento l'istanza
suprema.

I. L'esistenza di Satana e dei demoni

Non a torto fu già spesso richiamata l'attl!nzione sul fatto che la


prima e la più fine scaltrezza del diavolo consiste nello sconfessare
se stesso. Dove la sua esistenza sia messa in dubbio o venga inte-
ramente negata, egli trova le migliori premesse per una attività co-
ronata da successo. Perciò, prima di tutte le particolari asserzioni,
sia tenuto ben fermo che la rivelazione innanzitutto non apporta
una spiegazione sull'origine e sulla natura del demonio, sul modo

1 Se in 4ucsi.1 ~ione si parla non di rado dcl diavolo, dcl demonio al singolare,
nelle nosire a.~rzioni è tunavia int=' insieme l'Intero regno dci demoni, poicM
•'• potrnza diabolica è unica e tuttavia forma una pluralità - ma non sappiamo,
in che maniera cs~a sia unità e rluralità• (E. BauHNu, Dogmatilt 11, Zilrich 196o,
p. 157).
J Cf. in proposito A. WJNKUIOFER, Tralttat iiber Jen Te,,/el, Frankfurt a.M. 1961,
pp. 215-iRo; D. 'UtntINGu, 'Der Meiuch und der Tcufcl in heutiger Sicht', in BM
i.,,,.,,,, ,11, '°'·
I PBMONI

delta sua esistenza e attività, bcnsl afferma la sua esistenza in modo


semplice e chiaro e la accetta come ovvia e senza commenti per
motivarla.
Fin dal primo inizio e con crescente sicurc-a...1 essa <tffermJ l'c~i­
"'l"llZll di spiriti maligni.'

a. Le asserzioni dell'Amini Testanu:nto

La sacra Scrittura parla per la prima volta dcl di.wolo nd libro I.li
Giobbe ( 1 ,6-1 2: 2, 1- 7 l. Questo testo comprende un bre\•e. ma 111-
trettanto profondo compendio delle autorevoli dichiarazioni bibli-
che sul demonio. Satana si distingue in maniera inconfondibile dalla
vera corte di Dio. Egli non è semplicemente uno degli angeli vendi·
catori, quali ricorrono frequentemente nell'Amico Testamento.
Da tutto quanto il contesto si può concludere che e~li. nella sua
posizione e nei suoi principi. si stacca dal seguito di Dio e viene
molto insistentemente caratterizzato come nemico dell'uomo. Egli
non è soltanto un angelo dcl male, ma uno spirito che vorrebbe
rovinare gli uomini per allontanarli da Dio.' li diavolo, quindi, nel
testo citato, viene definito in modo del tutto inequivocabile come
l'avversario di ogni umana pietà e timor di Dio. Egli non ha altro

J Cl. K. RAllNF.R, 'Diimonolngie', in I.TK 111 (19,1,11 qH47; W. h11·:M~1T.M, llui1u"v


in "fWNT Il (19Hl 1-20; IP., onmvi1~ in T\t'NT vii (1•1t4l 1,1 164; rn e G. \'
RAD. lluil}o>.o;. m l"WNT 11.;o-8o. F.1. ScH1usE. 'S..1ana', in IJ;"/' \ 1:19(..il J'o-1t4.
}. M1cHL, 'Oiimon', in Bibeltheol. W. 1 (21962116,·172; A. W1NK1.11orlR, op. , it ..
pp. 55·69; 171-186; E. DrrORME, 'La démonologic biblì4uc', in lirimm.111.t' W. l'I
scHf.I, Monpcllirr 196o, pp. _.6-H; E. L4NGTllN. Essentia/1 of Demonolo11v A S1,,,/,
o/ /t'w1sh 11nJ C:hmti11n Doclrine, lt> Or111111 11nd Development, London 19_.8 Il
vocabolo ·~aiana' si fa 1leriv3rc dal \'crbo sin che significa mtacolare, 11ppo111, <11•1w
s111r e serve d1pprima a indicare un n<"micu terreno ( 1 R•·11 11,14.25 l. Lt primo dni·
gnallione di IAldna mmc <l'un esseri: spirituale dcmuniaw si trova in 1 C/.mn 21 .1
'demonio' (ll11i111uv) t, per la sua ori11im:, un ti:rmine 11r,·,·o prof•nn pc.·r hdit·.u,·
divinllil r CS'll'fl wn poteri divini, rhc minacciano l'uomo ,. rnntro i quali ,i cerl'a J1
difendersi con I~ mnMia, con formule magiche e cnn scun~iuri. I.a hihhio ehrnica non
cono111:c uni il1·nnmi11aiione (Olllunc.• per quesli esseri I Sc.°".1ma e n•n essi il Nuovu
Teoumcnto porlano prrvalenlt'lnente dd lln1µòvrnv I 8118Cllivo 'IOstan111·a10 da bui1u11v 1
Per 11 resto \'. "' 'Oiimun'. 'S•ran· e 'Tcufel" i rispc1tivi articoli dd /.TI\. cf. //>id
anche 'AsmoJaios'. r 'lklial'.
• •Il suo vero K'Of'O sta m.-1 dimo'1rarr o'1Tle non au1 .. 111ic1 l;1 111~1à di (;iuhh1.·•
(}I l\411PF.1., IJ1r /),;.,m"r" '"' A/1r•1 l'n1.m11·111. ,\1111shuri: l<;\u. I' ..,~ 1
lSl!>H:O.IA lii SAIASA f Df"l DH\IONI
791

inter1..-sse che 4uello Ji condurre l'uomo alla disperazione e snmo·


larlo così alla rihdlione contro Dio.'
Ma altrct1an1t1 induhhiamcntc qdi apparo: coml' uno .:hl· 't•I sot11•
il potere J1 Dio.
I I suo agire 'i attua in u11;1 Jip1mJcnza Ja Dio Jd 1u110 n•iJl'nh: •
Se Satana potesse riu,cire a l'ondurre l"ul•mo alla ribelli .. 11l· n1111ru
Dio, in l1uesto sarehlx- imrlicito anche un di.spn:zw Jd1"11111 •rl· di
Dio. In qut"sto senso a1Khl· l'11pf'l1sizion'-· a Dio, hcndtl: ~11111 lil'\·e
mente messa in c\·idl'nz;1 nd nostro testo. appMticnl. :1lla 1utura J1
Sa1an:1. Essa non pu(1 n111sisrcrc in nil·m'ahro l hl· ndl'anritl'tit·ir:ì 0

:t Dio.
Un"imponanic allar~amcnto delle asser7.ioni ddl'Antirn ll''lamen-
to circa Satana si tro\';I nd lihro della Sa{'i<''1:.1: .. Sì. Dio al·Ì• l'uo
mo per l'immortali1à; lo foce a imma)!ine Jella 1nopria natur.1. l..1
mone en1rò nd mondo per invidia del dia\•olo: ne fanno t'spl·ril'nz.1
quanti appartcn)!ono a n1s1ui,. tSap. 2.2 \ s. ). I.a pri1m1 frast· Ji 4111..·
sta costatazione esclude che la seconda frase 'i rift"risrn '"In 1111.1
morte corporale. Poich1..: l'essere imperituro \'ieni: mcs .•11 in ,.,.jd,·111a
in modo del tutto inequivocabile come corrispondente alla volontà
divina, la morte corporale può soltanto perdere d'importanza. Essa
diventa come un elemento transitorio nell'esis!l'nzJ di coloro du.:
sono destinati all'immurtali1à. Aderire al demonio invece signilica
morte eterna e perdita Jella vita divina. Anche qui l'accenao è po-
sto in modo del tutto evidente sulla rovina interna a cui il demonio
mira e alla quale s'espone ognuno che si impe~na con lui.
Da questo testo del libro della Sapienza è possibile trarre anche
una convincente spiegazione della tentazione nel Paradiso terrestre.
poiché qui viene implicitameme dichiarato che Satana fu il tentatore
dei primi uomini (cf. Gen. 3,1-5).7 Quando il racconto della tenta-

I ("1 r lh1•;i""· T/,, ...;,,)!.I~ JeJ :t/101 /'eJ/d1'/t'll/t'I. Bonn l•)~O. p. lii llr. il .. t,,
lt•olui:1,1 ,J,./ V 1' . :\lurn·lli:ma. Br.-~i;i }.
6 Gi~ i PuJr: •k·lln l.hie~:i cnmmen1nnd11 il n<"lr" tc,lu h;mnt' iJuu 1h•l.lrr n•n
quale <lljl.j!t:lion·e S:unna an.-,,.1,. l'•nlluriua1iune Jll"r poter molc\larc Giuhl'<·. :'1:011 ,:
può quindi in nessuna m.1111.-r.1 parlar,• ,(i una a11h111<>rna l'<>l•·nt.1 Ol'tile 3 llh•. ,(j un
intli1wnc.lt'11lc: :lV\'\.'rsnl'Ìo ''' l>il' nmil' cli un prim:ipio c,;01irimko in un 1.·1.•1'tP 11111,h'
nin1rapp"'" a Oin
7 Ci Il K~1•r11. ,,,. "' 11 ~.
792 I DEMONI

zione del paradiso terrestre (Gen. 3,r-5) fa menzione ùi un scdut·


tore extraumano. che parla attraverso la bocca Ji lln serpente, que-
sto serpente del paradiso terrestre non può essere interpretato sol-
tanto come il simbolo di una tentazione interiore, e l'intero rac-
conto non può essere svalutato come un mito.R Ambedue le testi·
monianze, quella della Genesi e quella Jella Saph-n:r.a, parlano piut·
tosto di un essere personale, che dall'esterno si presenta agli uoml·
ni come seduttore con bugie e calunnie, per distoglierli d:t Dio.
Però anche la storia della rnduta nel peccato non lascia alcun dub-
bio sul fatto che il seduttore sta sotto il dominio di Dio (Gen.
3.1.p.).
Come dunque si presenta evidente l'insegnamento dell'Antico
Testamento riguardo al demonio, e come, da una parte, non vcn)?1•·
rw attcmutte la sua perfida intenzione, l'invidia, l'astuzia e \,1 ITit'll·
zogna, cosl, d'alrra parte, la sua potenza non viene esagerata
indebitamente. Colpisce inoltre che i profeti non facciano spesso
mcnziom: e.lei diavolo. Ciò ha probabilmente la sua ragione nel tatw
che i profeti si affaticavano in maniera appassionata per una fedt•
in Dio pura e attuata nella pratica, e perciò la loro predicazione era
orientata positivamente alla grandezza e al dominio di Dio.•

Anche una presentazione a mo' di schizzo della concezione veterotesta·


mentaria circa il demonio non può tralasciare la questione se in essa si
trovino anche elementi pagani. Sostanzialmente, a proposito di un con-
fronto tra la concezione di Satana nell'Antico Testamento e quella del
circostante ambiente pagano (soprattutto delle opinioni. del parsismo, al
quale un tempo si voleva ascrivere un assai profondo influsso sul giu·
daismo), si deve• affermare che i si6temi religiosi orientali sentivano il
problema del male morale in maniera molto viva, ma nei loro tentativi
di soluzione sono in tutto e per tutto tributari d'un invincibile dualismo.
Questo però è semplicemente e senza eccezione inconciliabile con la con-

1 Il raccomo mm:bbe esprimersi ndla maniera più universale possibile. A 1ale


fine era panicolanneme indicata l'immagine del serpente con la sua asruzia e malizia,
in quanto la figura era comprensibile all'imera umaniià dell'epoca.
9 Cf. F. ZE.MAll, 'lndoles cdaemonum» in scriptìs prophetarum et acstim•tio cultus
«daemonibus• praes1i1i in luce daemonologiae Orientis Antiqui', in \ID 27 ( 1949)
270-27ì. p1-H~; 28 ( 19~01I8-2!!. 89-97. Per la posizione panicolare del Libro di
Tobia che conosce un demonio dal nome di Asmodc:o (Asmodaiosl, d. J. MICllL,
'Diimon', in llil>rftheof. \ffii•terb11ch 1. 16io s. r 17r.
I .<TSTF.NZA Ili SATANA E on lll'M<INI
793

cezione biblica. Nella rivelazione non può mai essere trovato anche solo
l'accenno ad un principio autonomo opposto a Dio. Già per amore della
pura monoteistica fede in Dio, per la quale l'Antico Testamento rnm-
hatté instancabilmente anrhc contro il suo ambiente, si giunse al rilìuto
di ogni comprensione pagnna dri demoni e alla condanna di ogni mito
dei demoni. «Non c'è nessuna potenza cui l'uomo possa rivolgersi per
qualsiasi ragione, ;1] di fuori dell'unico Dio d'Israele» ( W. fooER STER,
4'ui1u11v, in fWNT 11 ,12 ). Qualsiasi evento sulla terra e in particolare
in Israele vien attrihuitn, nell'ordine supremo, a Dio, e se al riguardo
intervengono istanze intermedie, esse non hanno un potere indipcndenk,
hensl dipendono d~ Jahvé. «Quest'inserimento positivo, assolutament:::
non dualistico, nella corte e nel governo di Dio, costituisce la pecnliarità
della concezione veterotestamentaria circa Satana rispetto alla letteratura
post·Gmonica» G. v. RAD, lìuiBoì.o;, in TWNT r 1 .74).

Pur non tenendo conto del fatto che un influsso esterno, estraneo
sulle opinioni giudaiche, quale in seguito sarebbe penetrato nei do-
rnmenti biblici, non si puù dimostrare in maniera chiara, tuttavia i
punti di vista veterotestamentari e quelli pagani si contraddicono
in punti fondamentali. Ben con diritto si può perciò affermare che
la dottrina dell'Antico Testamento su Satana, come è portata avanti
dal libro di Giobbe fino a quello della St!pien:r.a. è una dottrina uni-
taria, che si può riassumer.! nella sentenza secondo cui il demonio
esiste come essere personale sotto il dominio di Dio e cerca di rovi-
nare in modo nefasto gli uomini, per stimolarli cosl alla ribellione
contro Dio e per istigarli all'allontanamento da lui. E ciò nondi-
meno, l'uomo è in grado, con la potenza di Dio, di Opp<'rre resi-
stenza a Satana e di conservare la fedeltà a Dio.

b. I demoni nella visione dd Nuovo Testamento

Nel Nuovo Testamento ancor meno può esser messa in disr.ussione


l'esistenza del diavolo; tanto spesso se n:· fa menzione e tanto pale-
semente egli si presenta nell'insegnamento e nella vita di Cristo,'0

10 Sulla domina nM1cs1amc:maria circa i demoni cf. la bibli~ril'ia inclicara sopra


nella nota 3 come pure M. Pucu, 'Sa1an', in Bibtlthtol. Worttrbuch 11 (21962)
rooS-1013; B. NoAtK, Satim111 unJ Sottri4. Unttrsuchungtn tur 11toUst1111u11tlicM11
Diimonologit, Kopcnhagcn 1948; P. SAMAIN, 'L'Accusa1ion de Mqic: contrc: le: O.risi
dans lc:s Evangile!!'. in ETL 15 ( 1938) 449·490· Ril(UArdo a Qumr•n d. A. Th.ll'ONT
I l>CMANI
ì94

Mai e in neSsun luogo viene contestata la sua esisten1.a. bensi ess;1


viene dappertutto data come evidente. «Il Nuovo T t•st<1mcn10 sta
nella linea tracciala dall'Antico». 11 Il terrore per i dt"moni Ja pam.:
Jei pagani non può, anche qui, insorgere contro l'innollahik· icd~·
nella potenza e protezione di Dio, che si manifestano nc:ILt pl:n>1•nJ
di Gesù Cristo.
«la riservatezza ben nota del Nuovo Tes1amcnw Ji front,· .1lle
speculazioni sui demoni, trova la sua ragione. da un11 parw. nt"l
fatto che il Nuovo Testamento non riflelle in genl·rale sulle potenze
delle tenebre, cosa che invece fanno gli scritti apocrifi con innt"~ahik
interesse. Ma l'altro motivo è che i demoni hanno perso la Ioni re-
lativa autonomia, che avevano in tutto quanto il tardo giudaismo
Il Nuovo Testamento attesta la vittoria di Cristo ottenuta sugli spi·
riti del male, una vittoria che torna a vantaggio della comunità e· che
la conduce anche attraverso le particolari tentazioni del tt'mpo fj.
nale». 12 Con ciò è data, anche dal punto di vista critico, l'aucuriu:a·
zione ad intendere e spiegare la dottrina neotestamentaria sui demoni
in modo autonomo e come continuazione e ulteriore chiarificazione
della rivelazione veterotestamentaria.

A tal fine è necessario innanzitutto rilevare gli appellativi del diavolo· .:


il suo modo di esistere quali si trovano nel Nuovo Testamento.
In passi assai numerosi il Nuovo Testamento parla di Satana o dell'oppo-
sitore, del diavolo e dcl demonio. Non è possibile scabilire una distin-
zione concreta tra queste designazioni. Nel racconto della tentazion~
l'evangelista Marco usa il termine Satana (Mc. 1 ,13 ), mentre i passi pa-
ralleli par~ano dcl diavolo ( Mt. 4, 1; Le. 4,2 ). L'identificazione viene quin-
di attuata con piena disinvoltura (d. Apoc. i2,9). Più raramente s'incon-
trano i titoli di Belzebub (Mt. 10,25; 12,24.27; Mc. 3,22) e di Belial
( 2 Cor. 6,1 '). Nel Nuovo Testamento il diavolo viene detto inoltrt· il
tentatore (Mt. 4,3; I Thess. 3,5), il nemico (Ml. 13,25.28.39; Le. 10.r9;
Act. 1 po), lo spirito immondo, maligno (Act_ 19,12.15; Eph. 6.12 e
passim), il maligno (r Io. 2,13 s.; 5,19; Mt. 13,19.38; Eph. 6,16), il
grande drago (Apoc. 12,3; 20,2), l'antico serpente (Apoc. r2,3; 1 ~.2).
l'anticrisio ( 1 lo. 4.)), il principe di questo mondo (Io. 12,31; 14.30;

SuMMl'R, 'l.'ins1rue1ion sur !es dcux Espriis daos le ~Manud dc Discipline»'. in RHR
14l(t9,l)5"1,.
Il W FoF.MSTF.R. llni11uiv, in TWNT 11,17.
11 VI! FnFNsn.R. i/11d .. pp. 1R e 20.
1·\ISH"N1.A nl SATANA E DEI DEMOMI
79~

16,11: L· 4.6J. il Jio di questo mondo l2Cor 4.4 e passim, Eph 2.21.
il forll' ;trmato I Mc 3,27 e paralleli>
I mOt!i di manifcs1azionc del diavolo negli scritti neote\tamenrari sono
vari. L1 s11;1 condo11il è dc:scrina in maniera clas~ica nella 1c:mazione dcl
'\ignorc I :\lt. 4· 1·11 l' p.1r.1. Il tipo dd ,li.1IO)!.O rnn Cristo ;tu corizza l'opi-
nione che 11 Jiavolo gli si ~ia prescn1:1w m iormi1 um;ma e che abhia
cercato di influire '11 di lui con il Jis\:<1r-., per \e<lurlo Una nmfc:rma Ji
tale opinione si po1rchhe vedere nclh1 parola di Cristo a Pietro ( Mt r6.
2~: Mc 8.B). Il titolo 'S;1t·:.ia' può essere .tuo senz'ahro .1 un uomo
e ciò rcn{le verosimile il fatto che il 1enta111n: pu(1 prc,entar'i nella fi
gura dì un uomo. Secondo PAOLO S;uana si trasforma in an~clu della
luce ( 2 Cor. 11.r4 ). Eili perla 111t11almt'n!e di un «30J:t:lo di Satan;t•. chl"
lo colpisce con schiaffi affinché c..-gli non insuperbisca ( .z Cor. 12,7 ). 11
diavolo quindi nella concezione di Paolo ha una forma d'angelo che deve
cssel't" simile alla forma umana. Daw d1c Sl"l.·ondo 1 l'etr 5 ,8 la pcnw·
losità del nemico viene inculcata con immagini, 4uesto consente di rap-
presentarsi il diavolo anche nella fig11r;1 d'una bestia. In questo senso
s'intendono anche le espressioni usare altrove, di '<lrago' e di 'ser-
pente'. Ahre forme d'animali non venr,nno attribuite al diavolo.

In generale, nei Vangeli, la maniera di esistere del demonio appare


come senza forma. Il Nuovo Testamento infatti parla soprattutto
della pote11w di Sa1ana Circa essa, come rcahà e attività, si trovano
diversi gruppi di esprt'ssioni. La potenza di Satana si manifesta dap·
prima nella lo11a con Cristo. Al regno di Dio si oppone quello di
Satana. Esso trova la sua diffusione e cerca la sua stahilità nel fatto
che il diavolo s'adopera per portare gli uomini sotto il suo dominio.
Questo avviene in diverse forme di danneggiamento. In modo parti·
colarmcntc chiaro gli scritti neotesta1m:ntari parlano della attività
di Satana nella tentazione al peccato e nella possessione. L'offerta
di Satana a Cristo <li dargli tutti i regni del mondo (Le. 4,6), testi-
monia che egli s'arroga un dominio molto esteso, pretendendo di
essere il principe di questo mondo (/o. 12,31; 14,30; 16,tt). Qui
fa riferimento l'altro detto che lo indica come «il principe dei <le·
moni» (Ml 12,24) e aggiudica a lui un regno che non può essere
discorde: in se stesso (Mt. 1 2,25 s. e parali.). Satana è instancabil·
mentl' attivo, tutta la sua attività è antagonismo a Cristo e perciò
inimkizia verso gli uomini. Egli semina erbaccia in mezzo al grano
IMI q.2~.~H s. e parali.) e ruba dai cuori la parola di Dio (Mt
I DBMONI

13,19 ). Il suo potere è senza dubbio un potere sovrumano. Egli ar-


disce accostarsi agli apostoli come aveva ardito accostarsi al Signore
(Le. 22,31 s.).
Di fronte alla potenza di Satana sta tuttavia la forza ancor mag-
giore di Cristo: «ora il figlio di Dio è apparso per distruggere le
opere del diavolo>> ( r Io. 'i.8). Con una tale parola viene scosso alla
base tutto quanto l'apparente dominio di Satana. Per re<li::1ere i
suoi fratelli, Cristo assunse la stessa loro carne «al fine di ridurre
all'impotenza, mediante la morte, colui che ha il pot~re della morte,
cioè il diavolo, e rendere liberi quelli che per timore della morte
erano soggetti a servitù per tutta la vita» (Hebr. 2,14 s.).
Nel suo figlio fattosi uomo, Dio «spogliò i Principati e le Potestà
e li espose pubblicamente, nel trionfo di Cristo» (Col. 2, 15 ). Perciò
Cristo stesso può dire che il principe di questo mondo è gi& giudi-
cato (lo. 16,n). Secondo la testimonianza della rivelazione è quindi
chiaro, fin dal principio, che nella lotta con le potenze delle tenebre
Cristo è più forte e, alla fine, il vincitore. Quando dunque il Nuovo
Testamento parla di Satana e dei demoni, lo fa in prima linea in
questa grandiosa prospettiva dell'economia della salvezza. Solo in
questo ambito viene trattato il destino e la condotta di ogni singolo
uomo.
La minaccia satanica verso l'uomo credente in Cristo non mira
solo ad una rovina corporale, bensì, molto di più, alla dannazione
eterna. Un tale pericolo non può in alcun modo essere minimizzato.
A tutti perciò è rivolto l'insistente invito alla vigilanza e all'energica
resistenza, all'opzione per Cristo e contro Satana. Cristo è appar.;o
«per togliere i peccati; e in lui non c'è peccato ... chi coml"'!ette p<:e·
cato viene dal diavolo... chiunque è nati) da Dio non commette
peccato» (I Io. 3 ,5-9 ). La Scrittura attesta, senza dubbio, che il pec·
cato è la breccia e la vittoria di Satana, cosicché chiunque vi incorre
si separa da Dio e da Cristo. I credenti sanno che essi sono da Dio,
e che il mondo si trova invece nd potere del maligno (r lo. 5,19).

Il Nuovo Testamento conosce, come già accennatc>, oltre al peccato, an-


che quel dominio del diavolo sull'uomo, che chiama possessione. A pro-
posito di questo intero complesso di questioni si deve rinviare alla di-
ESISTllNZA DI SATANA I!. DEI DF.MONI
797

sputa del Signore, nella quale i farisei gli rinfacciano di essere un inde-
moniato I lo. 8 148-'3 l. L'aver dentro di sé uno spirito maligno, oppure
!"essere indemoniato non significa evidentemente ancora, e non primaria·
mente, la forma certa di manifestazione di una situazione con la quale
oggi colleghiamo quasi esclusivamente quest'espressione. Qualr autcntil'a
possessione è considerata la bestemmia (/o. 8 •.52 s. ), poiché essa indica
un tale inaudito allonrAnamento da Dio che, secondo la concezione di
allora. poteva avvenire solo per istigazione diabolica. Il diavolo è colui
mediante il quale entra in atto «il mistero d'iniquità» ( 2 Thrss. 2 ,7 I. Se
il vocabolo EÌLci{3oÀ.oç si fa derivare da EÌLa(3aÀ.À.ELV che significa ~wnvol­
gere, allora il diavolo è colui che cerca di sconvolgere ogni cosa Questa
forza del disordine può colpire un uomo più nelle realtà dell'1mim:1, e
un altro più nella realtà del corpo. Cattiveria e malattia cadono in fondo
sotto l'identica grande categoria del disordine, sebbene siano qualitati-
vamente differenti. È necessario considerare questo più ampio ~fondo.
prima d'occuparsi del singolo fenomeno della possessione corporale. Essa
è una manifestazione particolarmente drastica del disordine del mondo. a
proposito della quale però non ha minore importanza tutto quanto è ,;tato
detto nella Scrittura a proposito della vittoria di Cristo. Anche gli os-
sessi dei Vangeli, attraverso la guarigione ad essi elargita, diventano
testimoni dell'impotenza del diavolo e della vittoria di Cristo.

Attraverso la fondamentale vittoria di Cristo però non è impedito


che il conflitto si accenda nuovamente e con nuovo impeto alla fine
dci tempi. Il pericolo di questa ultima prova consisterà nel faur.
che «l'uomo dell'iniquità, il figlio della perdizione, colui che si
contrappone e si alza sopra ogni cosa che vien detta Dio» r 2
Thess. 2,3 s.), sta in lega con il demonio. «La sua venuta avverrà
nella forza di Satana con ogni potenza e segni e prodigi menzo-
gneri, e con ogni sorta di empio inganno per quelli che vann11 in
rovina, non avendo accolto l'amore della verità, per essere salvi»
(2 Thess. 2,9 s.). Ma su chi ascolta la voce di Cristo e ne prende le
difese come della verità vivente ( fo. q,6) Satana non ha alcun po-
tere neppure in questo difficilissimo tempo. A quest'ultima minaccia
di pericolo di morte per opera del diavolo, s'oppone la certezza:
«il Si~ore Gesù lo distruggerà con lo spirito della sua bocca. e lo
annienterà con l'apparizione della sua venuta» (2 Thess. 2,8). Tutte
queste testimonianze della Scrittura spostano la decisione circa il
rapporto dell'uomo verso il diavolo nell'intimità personale e lo fanno
I Pl:J'v!ONI

attuare sul piano morale e religioso. _Ciascuno è chiamato, e posto


di fronte alla opzione: Cristo o satana, grazia o peccato, tradimento
l1 fedeltà.

Se si abbraccia con lo sguardo tutto l'annuncio del Nuovo Testa·


mento a proposito del tema demonio-Cristo, satana o uomo, allora
non si può negare che l'esistenza dell'oppositore, nemirn di Dio.
venga dappertutto attestata come un fatto che non può essere messo
iP disrnssione. Satana tenta di portare tutto quanto il mondo sotto
il suo dominio. A proposito dell'uomo però si manifesta in speciak
maniera il suo agire antidivino. Ed egualmente. a proposito del.
l"uomo, si fa ancora più evidente la forza di Cristo che salva, che
protegge e che elargisce vita. La potenza di satana viene frantumata
- da una parte - per mezzo della forza della parola di Dio annun-
ciata. e - dall'altra parre - mediante la fede e l'abbandono del-
l'uomo a questa parola. In nessun luogo, secondo la testimonianza
del Nuovo Testamento, si danno delle tecniche o pratiche misteriose
e disposizioni per la dife!la contro il diavolo. Incantesimo e magia
non hanno posto alcuno nel mondo del Nuovo Testamento. Contro
Satana non c'è altra arma all'infuori della proclamazione di Cristo
l' l'abhirnduno a Dio nella fede e ndl'amore.

2. Dall'angelo al demonio

L'Antico Testamento non aveva posto la domanda circa l'origine


di Satana. All'insegnamento del Nuovo Testamento appartiene inve-
u: la dichiarazione che il demonio e i suoi seguaci sono angeli deca-
ciuti. Certamente questa dottrina viene in parte contestata dalla teo-
logia protestante.'' ma nel deposito della fede cattolica costituisce
una parte integrante da non mettere in dubhio. 16

" U . a m<> d'r•t'.mpio. le .-onsideruioni di I\ BAH'I. /\/> I 19,ol l><><>·~l Z


111/ 1
t" t.22 s. ,:hc dL·vnn es~er cf.n1prese mw-.\'endo l!J L.1 u·rn.IC"nt.a d:
p«l,11:onr di.1!rttic.i
Harth di mcm·r in evi<knza l'i;ppnsizione totak " D1t1 .Id diuvuln ,. dr1 dt·nn•ni. i·
loi:inima. run.n•ia le cons~-gucnzc che nc ric•va - ad <"'«mpi11 le pp. hl 1 " - non
"'"o an<·tubil: per noi. P :\1.T!tAL·s. Dlt" ;:hr111."1chr U' ihrhell Il. liutcrs!oh !1948.
I'· I i~ ,. E Snt•JTF.R. n:~ rb.·ologir· Jcr .\'etlt"•I / ,·1h1'1lt"'l/t'J Stullt:•rt 11')4ì· p. 4; '·
<1 dichiaf3no per la caduta degli an~eli'
'' Pc.:rGi.) r~lal!\':lmente ai temi come •spir:tua!ic~1 pura• <"'CC- po~~uuno TIO\'lart· t1l1t"
799

Nella dottrina della caduta degli angeli, generalmente si era soliti


riferirsi al testo dell'Apocalisse che descrive la lotta di Michele e
dei suoi angeli contro il drago e i suoi angeli ( Apoc. 12 .7-9 ).
Oggi, nell'esegesi del testo, vi è grande concordia nell'asserire che
questa descrizione non riguarda direttamente il passato, bensl il
presente e il futuro imminente, corrispondentemente al pensiero apo-
calittico del Nuovo Testamento, il quale si stacca dal profetismo
veterotestamentario. 15 Il veggente vuole offrire alla comunità dei
suoi lettori uno sguardo sulla storia della Chiesa di Cristo. Ciò non
vuol dire però che questa rivelazione, ordinata alla storia del tempo
e all'evento finale, non avrebbe alcun valore relativamente al pas-
sato. Anche il futuro interpreta il passato e fa riconoscere che la vit-
toria di Cristo ha un effetto antecedente.
Nel giudizio finale, agli spiriti maligni viene sanzionata ad opera
di Cristo la scelta per la quale si sono decisi nella loro prima prova.
Il fatto di una caduta degli angeli viene affermato anche da altre
tc:scimonianze del Nuovo Testamento. Così Gesù dice del diavolo
che è l'omicida fin dall'inizio, il non confermato nella verità, perché
in lui non c'è verità (/o. 8,44). Possesso della verità e caduta da
essa significano pcrtl nel linguaggio giovanneo vita in Dio e allon-
tanamento da lui. Lo stesso pensa PIETRO, quando dice che il
Signore non ha risparmiato neppure gli angeli peccatori, bensì li ha
fatti pn.'<.·ipitare negli abissi tenebrosi dell'inferno per tranenerli in
custodia per il giudizio ( 2 Pelr. 2,4). Anche secondo l'epistola di
Ciuda alcuni degli angeli non hanno conservato la dignità di princi-
pi, e ora vengono custoditi da Dio con catene eterne nell'oscurità
per il gran giorno del giudizio (I udae 6 ). Chi non tratta arbitraria-
mente queste testimonianze, difficilmente potrebbe mettere in dub-
hio il fatto della caduta degli angeli.
All'affermazione e al fatto di un peccato degli angeli e della loro
1irecipi1azione ndl'infcrno, di un mutamento di spiriti ('elesti in

"·.mspnr1<lrn11 tr•llaziom ndl~ precetlc:-n'.<· angelologia e rcstrin~rci qui ~1 pen«Jlo


di Satana e de: ~uoi anjldi.
" Cf A 1':'rKF.'<'IAt'SFR. "Dte Offenbaruj! dc< Johannes". in R.'\l rx t ;19~91 Qf; <
8ou I DEMONI

demoni è affine la questione sulla natµra del peccato e sulla speci-


fica qualità di questo avvenimento. 16
La Scrittura dice ripetutamente che l'inizio di tutti i peccati è la
superbia: «Nel tuo cuore non concepire disprezzo per i tuoi fratelli.
L'orgoglio infatti è causa di rovina e di grande inquietudine»: (Tob.
4, 13 ). E con ancora maggiore determinazione vien assicurato: «Prin-
cipio della superbia è il peccato» (Ecclus 10,13). Secondo Paolo, si
deve far attenzione al pericolo della superbia per non cadere sotto
il giudizio degli angeli ( r Tim. 3,6). Il fatto che gli angeli pecca-
rono per orgoglio e cosl caddero sotto il giudizio, si trova dunque
sufficientemente attestato nella Scrittura. 17 L'orgoglio degli angeli
divenne simile a un'autoidolatria e cosl li condusse alla caduta. Solo
Dio può porre se stesso come ultimo fine. Ora, sia che gli angeli
abbiano cercato in se stessi il loro perfezionamento, sia che l'abbiano
cercato in Dio ma senza la grazia di Dio, in ogni caso essi cercarono
di essere uguali a Dio nella sua indipendenza e sovranità.

Se la rivelazione ci autorizzA all'ipotesi che il peccato degli angeli sia


stato un peccato di superbia, con ciò non ha ancor deuo nulla circa la
difficile questione di come un tale compor1amento sia staio possibile in
creature tanto perfette. KARL BARTU tenta di risolvere la difficolt~ mn
la seguente dichiarazione: cun angelo autentico, normale, non fa ci~
che nella dottrina dcl peccato degli angeli ~ stato attribuito ad una
parte degli angeli (con una oscura fantasticheria metafisica)» ( KD m,
3,623).
Invece bisogna ritenere che precisamente nella caduta d'una parte degli
angeli è all'opera il mysterium iniquitotis (2 Tbess. 2,7) nel significato
stretto del termine. La malizia in generale, e, a più forte ragione, il cam-
biamento degli angeli in potenze delle tenebre, rimarranno sempre un mi-
stero. L'aspetto misterioso d'ogni condotta in contrasto con Dio è tanto
più impenetrabile, quanto più perfetti sono gli esseri che si ribellano a lui.

16 a. in proposito A. W!NKLHOFU, Traktat, pp. 33·H; lD., Vie Welt dt:r E11gd,
Ettal 1961, pp. 97-104; come pure l'articolo esteso di Ptt. DE LA TUN!TÉ, 'Du péché
de Satan et de la desrinée de l'esprit', nel fascicolo Satan di Etude1 CarmHitaines,
Paris 1948, pp. 44-85.
17 L'opinione che il peccato degli angeli sia stato un peccato carnale, ha come
fnodamento un'intetJXelaz.ione errata di testi biblici e aoo è per nulla affatto in
jlrado di addurre per sé una prO\•a scrinuristica veramente valida; d. DIEKAMP-Jiis-
SF.~. 1\.tJth. Dovnatik Il, Miinsler 19,2, p. n. A proposito del peccaro di superbia
d T11MMAsn n'AQi..rtNO, 5. th. 1, q. 63, aa. 2 e J.
llA I.I.' ANC.fl.O Al. DEMONIO

Per rendere possihili b prova e 1:l ribellione peccaminosa contro Dio,


bisogna ammettere negli angeli una situazione precedente al possesso
(impossibile a perdere) dt·lla visione di Dio, tale da consentire ancora una
decisione. Perciò è valida come comune nella teologia quella opinione
secondo cui Dio ha concesso agli angeli nella loro creazione la grazia
soprannaturale della partecipazione alla sua vita, in modo tuttavia che
potesse anrora essere rifiutata una totale dedizione a Dio. Ignoriamo se
Dio abbia messo alla prova gli angeli mediante un proprio comando
proposto come prova. Alcuni teologi adducono motivi che parlano in
favore dell'ipotesi di una prova. (Secondo SUAREZ e SCHEEBEN la prova
dev'esser consistita nel fatto che Dio avrebbe annunciato agli angeli l'in-
carnazione del Logos; cf. R. HAUBST, 'Engel', in LTK m, 871). È so-
stenibile però anche l'opinione che sia stata semplicemente la superbia
degli angeli che ha posto il proprio io a centro di tutto, divenendo cosl
ribellione contro Dio. In ogni caso manca per gli angeli, a differenza di
quanto avvenne nell'uomo, la tentazione dall'esterno.
Se l'angelo pecca, se egli si ribella contro Dio, ciò data la sua pura spi-
ritualità e la più alta perfezione della sua natura, avviene con un'ener-
gia e decisione della volontà molto maggiore che presso l'uomo. Perciò
la prova dell'angelo è una e unica. La ribellione contro Dio ha lasciato
dietro di sé un irrigidimento completo e un indurimento della volontà
die esclude la possibilità d'una conversione. Il fatto e la conoscenza
d'esser rigettati per l'eternità e d'esser incatenati per sempre al male,
rafforzano soltanto questa situazione e la fanno diventare un inimma-
ginabile tormento. Riguardo alle capacità naturali del conoscere, del
volere e dell'operare, possiamo concludere che esse sono rimaste all'an-
gelo caduto, al demonio cioè, anche se oscurate e capovolte riguardo alla
posizione del fine. La conseguenza del peccato degli angeli fu la cacciata
nell'inferno. Al riguardo la parola chiara della rivelazione hon sopporta
alcun dubbio. Nel giudizio finale è detto cl.ontano da me voi maledetti,
nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli• (Mt. 2541).
Questo fuoco è rovina eterna (Mt. 10,28). è perdizione (Mt. 7,13), è
pena eterna (Mt. 2546; Apoc. 20,10). è tenebra, nella q~ale ci sarà
pianto e stridor di denti (Mt.8,12; 1342.50). La teologia ha ripetuta-
mente cercato di descrivere la situazione di riprovazione eterna accen-
nata nelle parole della Scrittura, ma all'immaginazione e 81 linguaggio
umano mancano i mezzi per esprimere anche solo approssimativamente,
cosa dev'esscr la dannazione. Le ricerche della teologia per la compren-
sione della caduta degli angeli, sono solo tentativi di spiegazione insuffi-
cienti.
Occasionalmente affiora sempre di nuovo la domanda circa il numero
degli angeli caduti (d. ad es. AGOSTINO, De civitate Dei, XI, 23; TOM-
MASO D'AQUINO, S. th., 1,63,9). Riteniamo che ogni manipolazione di

~. :\f \ \/r'Tllll'I \iJ//l/H, I i/ J


I DIMONI

numeri sia inopportuna. La questione dell'elezione ~ a tal punto un mi·


stero ra<licalmentc proprio di Dio, che noi non potremo mai raAAiungere
una conoscenza precisa circa un destino concreto. Più giustificata ci sem·
bra la ricerca circa la caduta comune degli angeli. L'allusione al fuoco
preparato per il dinvolo e i suoi nngcli (Mt. 2"J,41). l'ohiezione dei farisei
che Cristo scacciasse 11li spiriti maligni mediante Beelzcbub, il capo dei
diavo!i (Ml. 12,24), e l'espressione uil drago e i suoi anj!eli» (Apoc. 12,7)
fanno pensare nel un co11do1tit·ro suprem0 che gli altri :111gcli hanno se-
izuito nella rnduta. E quindi Tc1mm;1so afferm:1 wn rni:i1ine: «li rieccnto
dcl primo angelo fu oer gli altri causa del peccare, non certo in modo di
coozionc, ma per una specie di suggestione persua~ivaio es th. t,63,8).

L'affermazione della Scrittura che anche il diavolo e i demoni sono


creature di Dio e che come tali furono creati buoni, è confermata
dal magistero straordinario. Il concilio Lateranense IV del I 2 x5 si
vide indotto a stabilire ciò espressamente: <cNoi crediamo ferma·
mente e dichiariamo con cuore sincero .. ., che Dio è l'unica origine
di tutte le cose, il creatore delle realtà visibili e invisibili, spirituali
e corporee... Il demonio però e gli altri spiriti cattivi sono stati
creati buoni per loro natura, ma essi sono diventati cattivi ad opera
di se stessi,. (os 800, NR 171 ). Con ciò è rifiutato ogni dualismo,
che accetta due principi per spiegare il mondo: uno originari.. mente
buono e uno altrettanto originariamente cattivo. D'altra parte però
è da metter in evidenza che nessuna creatura personale - anche se
creata da Dio - è stabilita nel bene già per il suo essere. La ron·
krma nel bene avviene in tutte le creature spirituali, negli angeli
e negli uomini, soltanto per mezzo della grazia e con la cooperazione
- resa possibile per mezzo della grazia - della creatura. Perciò né
angeli né uomini sono esclusi dalla possibilità di decisione in favore
o contro Dio. L'angelo che appartiene totalmente al regno opposto
a Dio, senza sosta ora si affatica a indurre similmente l'uomo - che
ancora sta nella fase di decisione - alla ribellione contrn Dio e
contro Cristo.

3. I demoni e il male nel mondo

Le nostre dissertazioni su Satana sarebbero mcomplere se ci accon·


tentassimo di affermare la sua ribellione contro Dio in un passato
DEMONI E MAI.I' NEL MONM
So~

preistorico e nella storia della salvezza al tempo del Gesù terreno.


Infatti la stor:a della salvezza non ha ancora raggiunto il suo tcr·
mine e il giudizio finale sui demoni ha ancor da venire. Fino al
ritorno di Cristo il mondo rimane ancora il teatro del contlitto tra
il regno di Dio e quello di Satana; alle potenze demoniache - che:
in sé, mediante la vittoria di Cristo sulla croce, sono fondamcnt11I·
mente vinte - rimane ancora possibilità di attività, se pur limitata.
nella tentazione e nella seduzione degli uomini. Allo stesso tempo
però la vittoria di Cristo è vitalmente efficace nella difesa e prote·
zione della sua Chiesa.

a. Tentatore e seduttore

La parola dell'apostolo Pietro I Petr. 5,8, testimonia che è operante


in questo mondo un'attività tentatrice e sedumice da parte del
demonio anche nel tempo della Chiesa. E nella visione dell'apostolo
Paolo, conforme alle vedute tardogiudaiche, secondo la quale le
regioni dell'aria e gli spazi del cielo sono abitati e dominati da po-
tenze demoniache (Eph 2 ,2; 6, 1 2 ), non è essenziale la fissazione
del luogo, bcnsl l'affermazione della possibilità di un ampio e po·
tente influsso della realtà demoniaca nel mondo intero."

Qui possono esser solo abbozzati i preliminari piuttosto speculativi della


nostra asserzione reologico-salvifica. Per poter spiegare più particolar-
mente l'influ550 dcl diavolo sull'uomo, ~ indispensabile chiedersi che
qu-;.lità il diavolo abbia per svolgere queste attività. Delle sue possibi-
lità soprannarurali e morali egli s'~ privato con il peccato; gli restano
quindi le capacità naturali, che egli può impiegare secondo la permissione
divina, per tentare l'uomo. Giammai un essere spirituale creato può
influire sull'uomo alla maniera di Dio, il quale afferra l'intimo della per·
sona dall'interno, lo muove e lo tocca con la sua grazia. Uno spirito
creato può influenzare un altro spirito creato solo mediante l'istruzione o
la persuasione, o anche mediante un influsso sulle tenden1~ !';Cnsibili,
eccitandone gli affetti. Descrivere però esallamente un tale influsso in·
remo. è difficilmente possibile. Circa i processi della vita intima di un
11omo possiamo fare solo asserzioni assai limitate. sopratrutto riguardo

" Rdativamcnt~ ~ questo influsso d. A W1N1tl HOFF.... Traltt11t, pp. 71-10~. 105.
1i>Q: lt:,. D1~ Wrlt der E"t<'l. pp. 10;·11(•
I DEMONI

agli inBussi su di esse esercitati dai demoni. Ordinariamente non ci è


possibile nemmeno analizzare il mutamento di un uomo per l'influsso
di un altro uomo. Quanto più forte il flusso di relazione intercorre da
un uomo a un altro, tanto più difficilmente, in genere, l'avvenimento si
lascia analizzare e giudicare. Un influsso sull'intimo dell'uomo può avve·
nire solo attraverso la fantasia, se, nonostante queste difficoltà, deve
esser tentata unia spiegazione. Le sensazioni che provengono dall'esterno
costituiscono la componente primaria di ogni conoscenza umana, e la
fantasia è quel senso interno che può accogliere l'oggetto esterno e
introdurlo nell'interno dell'uomo. La fantasia dispone di una quantità
<li immagini che si possono collegare l'una con l'altra e tra le quali una
può richiamare l'altra. Dalla conoscenza del senso interno deriva a sua
volta la tendenza sensibile. Nell'ambito della fantasia dunque, alla quale
può giungere un influsso dall'esterno e che costituisce quasi il «punto
d'incontro» tra interno ed esterno, l'uomo accoglie anche gli influssi dcl
diavolo. Però l'influsso esercitato da Satana ha sempre i suoi limiti nella
libertà dell'uomo operata dalla grazia.

Nel suo sforzo di tentare l'uomo il demonio si trova 'in vantaggio'


per il fatto che a lui è già riuscito di sedurre il primo uomo. In
seguito a ciò tutti gli uomini sono gravati della colpa ereditaria e
sono già predisposti a un inBusso ulteriore. C.On ciò è fatta una du-
plice affermazione: in primo luogo, che ogni uomo è esposto alla
tentazione di Satana; in fiecondo luogo, però, che non ogni tenta-
zione è da ricondurre al demonio, poiché essa può affiorare da sola
nell'uomo ferito dal peccato originale. 19 La teologia dunque, da una
parte, ha da attestare la reale possibilità della tentazione; dall'altra
non è in grado di decidere sicuramente se un concreto stimolo al
peccato venga direttamente cd unicamente dal demonio.•
Attraverso la tentazione il dominio dcl diavolo sugli uomini di-
venta particolarmente intensivo e stabile nella ribellione contro Dio
realmente attuata. Non può esserci il più piccolo dubbio che la dot-
trina del vangelo, quando parla dei pericoli mortali insiti nell'incontro

•• •In questo senso il diavolo non è la causa d'ogni peccato, poiché non rutti i
pcccari vengon commessi per istigazione dcl diavolo, bcnsl alcuni per libera autode-
cisione e per corruzione della carne• (S. th. I, q. 114, a. 3).
20 Neanche la psicologia più accurata potrà arrischiare qui costatazioni definitive,
però esiste il pericolo che una psicologia poco erudita ascriva pnxns.i normali e anor·
D1ali dell'anima a in8ussi demoniaci, quando questi non sooo da ammettere n«essa·
riamente.
DEMONI I! MALE Nt..1. M<JNDO

col diavolo, sposta proprio su questi l'accento principale. Il peccato,


in tutte le sue forme e gradi, rappresenta l'occasione propizia per
Satana. Il vangelo incita l'uomo, di fronte a tale pericolo, non ad
un timore per la sua esistenza, ma a stare in guardia di fronte alla
negligenz11 f' alla illusione «per non cadere in balla di Satana, le cui
intenzioni sono ben note» ( 2 Cor. 2 11 ).1

Cosl, al fatto di esser volontariamente incappato nel diavolo da parte


di un uomo mediante il peccato, corrisponde un'altra forma di esser in
balla della sua potenza: quella che noi usiamo chiamare possessione e di
cui abbiamo già parlato a proposito della dottrina neotestamentaria circa
i demoni. Qui vorremmo restringerci al significato più stretto del tcr·
mine e intendere con esso la presa di possesso da parte di Satana del
corpo d'un uomo. Può trattarsi di una forma intensa consistente in un
duraturo disporre del corpo: in essa il diavolo si serve del corpo del-
l'uomo quui come se egli ne fosse l'anima. La possessione può quindi
diventare cosl spinta che Satana 'possieda' la sua vittima senza riserve,
e che per l'attività demoniaca vengano escluse le più elevate potenze
dell'anima umana e perfino la coscienza (obsessio, possessio, i11sessio).
Se però l'impedimento consiste solo in un turbamento parziale della
personalità umana, si parla oggi di un raggiro (circrunsessio). Dcl resto,
vorremmo rinviare, per l'intero complesso delle questioni, alla lettera·
tura specializzata corrispondente. Una prima informazione daMo: K.
RAHNER, 'Besessenheit', in LTK 11(19,8)298-300; J. M1cHL, 'Satana',
in DzT 3 {11969) 2"·266; M. PRAGER, 'Besessenheit', in Bibeltheol.
Vlorterbuch 1(21962)122-126; A. W1NKLHOFER, Die Vlelt Jer E11gel,
pp. 117-119 e 173-181 (v. nota 4,). Solo la medicina speciale può intr•
prendere l'indagine circa la delimitazione della possessione dai fenomeni
'naturali' di malattia, soprattutto nci confronti delle diverse forme di
malattie dello spirito (d., ad es., K. jASPERS, AJ/gemeine Psychopatho-
logie, [Heidelbcrg 7 19,9]). Muovendo dalla rivelazione, si deve nota.re
che malattia e possessione non si dovrebbero porre in vicendevole
opposizione assoluta. Ambedue sono manifestazioni, anche se in punti
diversi, dcl grave disordine introdotto nel mondo dal diavolo e dal pec·
cato. Se un tempo più antico riconosceva nella malattia un turbamento
dcl rapporto con il cosmo, uno sconvolgimento dell'unica vita, e quindi
anche una condotta errata nella relazione con Dio, sentiva però tali di-
fetti in modo estremamente vivo cd era impegnato a valutarli in modo
etico, quindi malattia e possessione non si trovano per nulla tanto lon·
tani. In ambedue i tipi di disordine si danno a conoscere, specialmente
nella situazione quale la indicano i vangeli, la rovina e l'avvilimento degli
uomini, bisognosi di redenzione nella loro tremenda e nuda mise-
ria. Secondo la testimonianza dcl ~uovo Testamento, per la pos-
806 I DE!l.lONI

ria. Secondo la testimoninnzn del Nuovo Testamenro, per la pos-


sessione e per la malattia la guarigione fu imploraca dall'intervento di
Cristo, e ancor oggi nell'esorcismo e nell'unzione degli infermi all'uomo
viene aggiudicata diilla Chiesa la vittoria di Cristo (cf. in proposito nelb
misccllanen s,111111 di Et"des Carmélitaines il saggio <li F. X. MAQll l\RT.
L'exorcish· deva111 le.r m1mif1•.fta1io11S diaboliq11es, Paris r948. pp. 328-
348; inoltre A. RoDl'.WYK, !Jie damo11ische Besessenheit in der Sit·ht des
Rituale Ro111am1111, Aschaffenburg 196 ~ ). Nonostante la marcata costan-
za della possessione tipicamente mucntica (d. T. K OF.sTERkEICH,
Diimonischc Desesst!1th<'il, Lang1msalza I921, p. 5 e i casi ivi elenrnri di
secoli diversi), è tra le cose più difficili lo stabilire senza obiezioni que-
sto dato di fatco. Siccome l'esame della fattispecie prescritto dal rituale
romano (Rii. Romanum, tit. Xli: De exorcizandis obsessi:> a daemonio
[Roma r9~2] 839) esige una certa conoscenza di medicina speciale, non
si può tralasciare un lavoro d'intesa fra medico e pastore d'anime.
Per la teologia è decisiva la questione se ci siano ancora ai nostri giorni
casi di autentica possessione. La risposta dev'esser data con prndenza
Un caso di possessione sembra riscontrabile nelle circostanze della magia
pagana e in dipendenze inspiegabili, quali vengon riferite riperutamenre
dai paesi di missione. ~ certo in ogni caso che la nostra conoscenza cli
molti fatti naturali si è approfondita e che la psicologia e la scienza cirrn
l'uomo, circa le sue potenze del corpo e dell'anima, e anche circa le loro
malattie, si sono cosl svilupp2te che qualche farro che prima sarchbc
stato sicuramente diaj?nosticato come possessione, siamo ora in grado di
spiegarlo e di interpretarlo diversamente_ Accanto all':mtentica pos~s·
sione, che riteniamo possibile, si danno certamente molto pit1 spcsw falsi
fenomeni di possessione. La storia della demonologia conosce 1111;1 serie
d'esempi assai impressionanti riguardo a simili illusioni. Però, se si p11rl11
d'una demonologia apparente, con ciò non si deve semplicemente smi·
nuire l'influsso del diavolo o renderlo insignificante. li fatto che s'incon·
erano tali depravazioni della condotta umana, dev'essere, da ultimo. at·
tribuito appunto alla corruttibilità della natura umana. corrut1ibili1à che
non ha in prima linea il suo fondamento nell'ordine della creazione.
bensì nel peccato_ Essendo però entrato il peccato nel mondo ad opern
dcl diavolo, anche tali depravazioni della personalità um:rna pmsono rive·
lare qualcosa del dominio indiretto del diavolo. Anche se du111.111e nel
singolo caso si deve respingere una possessione in senso teologico stret-
to, il turbamento remoto dell'ordine della natura ad opera dcl diavolo
non viene affatto negato, bensl solo costatato in modo indircllo

Accanto alla tentazione al peccato e al dominio interno sull'uomo


nella attuazione di esso e nella dl•rata della situazione peccaminosa,
DEMONI E MAI.E NEL MONDO

e accanto alla presa di possesso di un corpo umano nella possessione,


la rivelazione attesta a.nwra una terza specie di tentazione diaholica
all<1 ribt:llione contro Dio. consisLcnic ncll'am1a:lionc d'un nrnlc:: lts.1co
o di molestie e deterioramenti dal di fuori. nei modi pii1 svariati <'
nei gradi più diversi. La realtà di tali influssi è testimoniata nella
Scritturn, e il tipo della descrizione autorizza la supposizione che il
diavolo, in quanto creatura appartenente al cosmo, si pu(i servire
di element; creati. Ma anche qui sarà oltremodo difficile, nel caso
singolo, decidere se un avvenimento nel cosmo (ad es. una cata-
strofe naturale) sia spiegabile da se stesso, oppure se si debba ascri-
verlo all'influsso satanico. Anche qui il nostro tempo. grazie al pro·
gresso delle scienze naturali, pensa più realisticamente di quanto
abhiano fatto i nostri predecessori. Tuttavia si deve tener fermo
che Satana e i suoi angeli, in virtù della loro creaturalità, sono inse-
riti nell'insieme del cosmo e sono in grado di esercitare un influsso
deleterio anche sulle creature infraumane, secondo la misura della
permissione divina.
In fin dei conti, in tutto il nostro tema noi tocchiamo la que-
stione del significato storico-salvifico del male nel mondo. 21
Secondo la dottrina della rivelazione, Dio ha creato il mondo e
lo guida al fine ultimo della propria glorificazione per la quale egli
lo ha creato. Nell'insieme dell'evento cosmico, l'attività del demonio
non è certo un'attività costruttrice, bensì distruttrice: non di meno.
essa è del tutto inserita nell'ambito del governo divino del mondo e
con ciò determinata dall'assegnazione di un fine superiore. C'..erra-
mente non è ancora sufficiente questa risposta sommaria, che viene
data molte volte. La teologia ha certo ancora da rispondere al
'perché' più profondo. Qui però si deve rimandare al giudizio che è
decretato da Dio sul mondo già dal primo peccato. Certamente
questo giudizio (e, come suo compimento, il male) è consumato nel
giudizio della croce in Gesù Cristo, e perciò fondamentalmente tol-
to, e tuttavia restano ancora da venire il giudizio finale e la definitiva
redenzione. In questo tempo intermedio dunque pende ancora di

li a. ;., proposito gli studi di Cu. ]OURNET, Le Mal. F.uai thi-ologiqu~. Bruges
1961, ltr. it.: li "'"!e. Horla. Torino\.
808 l OEMll~I

continuo il giudizio di Dio sui singoli. uomini e su tutta l'umanità,


un giudizio che certamente ha per scopo la grazia. In questo gran·
dioso piano divino di salvezza c'è l'opera di Satana, è inserito il male
che da lui deriva come parte dcl giudizio di Dio. Se dunque Dio
non impedisce l'azione di Satana e dci suoi demoni, è in vista della
redenzione finale nell'economia nella quale Dio sa utiliu.are per la
salvezza anche il male.

b. Discernimento degli spiriti

Accanto alle possibilità di influsso demo.1iaco sull'uomo menzionate fin


qui, ci sono, in questo mondo, avvenimenti che l'uomo sente come p11u-
rosi e minacciosi, e ai quali si suole attribuire, in maniera specifica, cnrat·
tere demoniaco. A ciò appartengono i molti fenomeni occulti, avvenimenti
cioè nei quali sono all'opera potenze sconosciute. inafferrabili all'occhio
comune e non ancora spiegabili con i metodi delle scienze naturali e
della psicologia, avvenimenti nei quali non raramente vengono alla luce
anche effct1i del tutto ~orprcndenti (stregoneria p. es., magia, arte divi-
natoria, spiritismo ... ). Questi avvenimenti anche se non provocano danno
alcuno, sono sufficienti a far nascere confusione, inquietudine e paura. A
questi avvenimenti magici cd occulti, l'uomo del sec.-olo ventesimo, che
pur pretende di esser tanto realista, è interessato in maniera sorpren-
dente e in modi vari. Perciò sembra necessario distin~uere. proprio s11
questo campo, forze demoniache e forze naturali le une dalle altre e
precisarle chiaramente.
Che un uomo dotato di forze d.:moniache cagioni un male è possibile,
ma questo si può ammettere soltanto dopo che ogni .altro spiegazione
naturale di un tale evento sia risultata insufficiente. Per molti casi ispie-
gabili per il passato, a noi oggi b parapsicologia oflre un'interpretazione
sufficiente. Se la parapsicologia incomincia a soppiantare denominazioni
qu11li occultismo e spiritismo, questo è un indizio che il trattamento di
queste questioni ha iniziato a elevarsi ;1 livello scientifico. In tali que-
stioni la patapsicologia è interamente dominata dalla consapevolezza che
ancora per lungo tempo non tutte le oscurità saranno chiarite, bensì che
è appena soltanto iniziata !"autentica chiarificazione degli avvenimenti
nominati. La parapsicologia afferma che l'uomo - chi più chi meno, e
qualcuno in modo eminente - , porta in si: potenze nascoste delle quali
non è necessario che egli stesso sia consapevole. (Telepatia, telestesia,
telecinesi. teleplastica) (cf. in proposito: R. T1sc1t:'-iER, Er11.t•bnisse oklwl-
ter Forschung, Stuttgart 19,0; .J. B. RmNt:: · R. TISCJ-INER, Die Rt'ich·
weile des Menschlischt•n Geislt's, Stutt~ort 1950). D'altra parte questi
DEMONI E MALE NEL MON1IO

risultati dell'indagine moderna non sono motivo sufficiente per sottrarre


all'influsso diabolico tutti i fatti occulti. Come è stato ripetutamente
messo in evidenza, è richiesta prudenza di fronte al fenomeno singolo ed
è resa doverosa un'esatta ricerca, la quale veramente non può esser con·
dotta dal solo curatore d'anime. Su tutto il problema cf. anche: 11. BF.N·
OER, 'Parapsychologie', in LTK. VIII ( 196~) 84-90 (bibliogr.).

c. Storia demonizzata

L'uomo si distingue dalle creature non dotate di ragione anche per


il fatto che egli non è posto semplicemente come oggetto nello svol·
gimento dell'evento del mondo e della salvezza, bcnsl gli avveni-
menti diventano 1toria mediante la sua decisione personale coope·
rante. Consapevole di questa sua funzione, egli cerca di ponderare
il valore dell'avvenimento e di cogliere il senso degli eventi. In se·
guito a ciò si collega con la storia come evento e con la storia come
comprensione di questo evento l'indagine su quei fattori, dai quali
l'uomo a sua volta è mosso. Si può a questo proposito parlare di un
influsso magico o morale del diavolo, tanto da esser giustificata la
espressione «storia demonizzata» ?n
Se è determinante per la storia che essa venga forgiata mediante
decisioni umane personali, allora si può parlare di una 'storia de-
monizzata' là dove negli uomini operanti, il male soverchia ed esclu-
de il bene. L'abbandono dell'uomo al male, al peccato per motivo
della sua immanente corruttibilità che gli proviene dal peccato ori-
ginale, è la consueta fonte della storia demonizzata. Come in tutti i
punri decisivi dell'incontro dell'uomo con il diavolo, l'accento prin-
cipale sta - anche qui - sull'aspetto etico e religioso, non su
quello magico. Certamente se si usa l'aggettivo 'magico' del tutto in
senso generale, come caratteristica per un evento nel quale agiscono
fone oscure e sconosciute, allora anche nel mistero del male domina
qualcosa di magico, in quanto che esso rimane a noi incomprensibile
nelle sue ultime profondità naturali.
L'evento però non può essere caratterizzato come magico se con

2l In argomento più particolareggi111mcntc D. ZiiHIINGEI, 'Damonisicrte Gcschich-


te?', in BM 3' (19s8) 7-1'; cf. A. W1N1tLHon1, Tr11ktu, pp. 187-223; ID., Dit Wtlt
der Engtl, p!J. UCH:ZJ.
810 I DEMONI

ciò devono essere diminuiti o sospesi il libero volere e la chiara


responsabilità dell'uomo. Il fatto eh~ propriamente determina il
demonismo storico è che l'uomo, come il diavolo stesso, può disto-
gliere se stesso da Dio e dal bene del tutto consapevolmente e rivo!
gersi con passione accecata e con interiore ostinazione al male.23 Perciò
la storia viene demonizzata in guanto gli uomini operanti cadonu
nella infedeltà a Dio e entrano al servizio del demonio. Che poi ,iì>
::iccada in piccolo o in grande, nel segreto o in pubblico, che dia nel-
l'occhio o rimanga inosservato, è senz'altro meno importante. Ad
ogni modo, accade qui in varia forma e diviene realtà storica l'irru-
zione di Satana nel tempo. 24
L'influsso delle potenze demoniache diventa in particolar modo
efficace là dove gli uomini vengono ridotti a massa. L'uomo sperso-
nalizzato è particolarmente debole di fronte alle seduzioni del demo-
nio. Questo pericolo si manifesta ancora più evidente, se si prende
in considerazione il fenomeno della suggestione di massa. 25 Infatti
essa livella più che mai valore e forza della singola personalità. ini-
bisce o impedisce decisioni personali e tende a togliere la responsa-
bilità del singolo, la funzione della coscienza individuale. Le passioni
che straripano, gli istinti incontrollati, la logica che si blocca fanno
sl che un sollevamento della massa si risolva molto raramente in
bene, e che invece ci sia pericolo molto più frequente che essa possa
diventare uno strumento d'un istinto di potenza egoistica e arbitraria
e di un'azione demoniaca sotto tutte le sue forme. Una demonizzazio-
ne della storia può dunque accadere là, dove nell'idolatria della
forza - sia di una persona sia di una collettività - la persona
umana viene annullata mediante terrore o paura, o per mezzo di pro-
paganda o suggestione, o per tutte queste ragioni insieme e quando
essa viene istigata al male come parte di una massa amorfa.

?.I C:f. 11li s1udi di F. J. Y R1NTELEN, Diimonie des Willens. Eine geister1.eschicbtlkb·
philmopbis<'hr lintnoruch1mf(, Mainz I94ì-
~· li rnncl'l!O di •personalità demoniaca .. variamente applicalo (d., ad es., K. HoLL,
Oh"' Be1.riC 1mJ Bede1111m11. Jno diirnonischen Personlichkeit. Gesammelte Aufsiìtu
:ur l\trchenr.eschichte. Tiibingen 1928) ~ determinalo dalle due voci di riferimenlo
'po1enza' e 'massa'. Siccome l'uhima forma di manifes1a;i;ione sembra più minacciosa
nella sirnazionc auualc, vor~mmo r=ringcrci ad essa soliamo! A proposito del 1crna
'po1enza' cl. R. GtrAllDINI, Dii' Macht. Versuch einer Wegweisung, .Wiirzburg 1951
~· Cf. W. Pi\u., Su11..~rr1im1 Weren 11nd Grund/ormen, Miinchcn 1951.
DEMONI E MALE NEL MONDO 8u

Secondo le testimonianze della rivelazione è data all'uomo un'au-


torità sopra la qeazione e sopra se stesso, affinché egli possa eser-
citare un dominio secondo il piano della creazione di Dio. Per la
seduzione da parte di Satana questo dominio subl un colpo notevole
nel peccato dcl primo uomo. Contro colui che si ribella a Dio si ri-
bellano le potenze della creazione. Il suo dominio non sarà pit1- un
dominio spontaneo ed equilibrato, ma sarà segnato dalla bestemmia
della ribellione. turbato quindi dal diavolo; pieno di pericolo e di
male, si trasforma in fatica e lotta. Ne consegue che la vita umana,
tutta quanta l'esistenza cristiana, è una lotta per il bene e contro
il male; anche la storia, e in ogni caso anche 1a storia della salvezza,
è una lotta del bene contro il male. Il bene è l'edificazione del
regno di Cristo, contrastata dal diavolo. Non si deve dimenticare
che fino alla parusia l'attività del diavolo è insita nella ·storia.
Ma questo non significa ancora la sua demonizzazione. Di una tale
demonizzazione si può parlare solo temporaneamente, quando il be-
ne retrocede quasi del tutto in secòndo piano e il male prende il
predominio violentemente.
L'Apocalisse di Giovanni presenta tutta quanta la storia della
Chiesa come una lotta incessante e a volte furibonda con il diavolo
e il di lui dominio che contrasta il regno di Cristo. In tutto ciò però
appare evidente che circa la vittoria di Cristo - la quale diventerà
manifesta nel suo ritorno nella gloria - non c'è da dubitare; che.
d'altra parte, però, nella lotta degli ultimi tempi l'Anticristo si pre-
senterà come rappresentante del demonio, ancora una volta e con
maggior impeto. 26 Questo ultimo tentativo di demonizzazione della
storia grandiosamente preparato, naufragherà per la po1cn1.a del
Redentore, e naufraga già adesso di giorno in giorno, ad opera di
lui, poiché in Cristo il demonio s'è incontrato con uno più forte,
che lo vince. Per quanto talvolta l'apparenza affermi che il diavolo
è il vincitore in questo mondo, per quanto la storia talvolta si pre·
senti a noi demonizzata al massimo grado, tuttavia l'esito di questa

26Si può omettere una dim1~sione circa i p:milulari della li~ura Jdl'anticristo;
v in proposito R. SatNACKF.NBt•aG·K. RAllNF.R·H. TlicllLF., 'Antic-hrist', in LTK 1
(1957) 634-638. Il l\"uo\·o Testam~nto ne parla con molta insistenza (1 Theu. 2,3; 1
lo. 2,18.22; 4,2 s.; 2 lo 7; Apoc. 11,7; r3; 19,19; d. Mt. 24.24; Mc. n.21 s.I.
812 l DEMONI

lotta significa sconfitta per il demoni,o, il quale viene precipitato


nell'abisso «per tutta l'eternità» (Apoc. 20,10). Per gli uomini di
ogni tempo però vale l'esortazione di sant'AGOSTINO: «Quanto
maggiore si presenta ai nostri occhi la potenza dei demoni, tanto
più fortemente si deve aderire al Mediatore, p<."r mezzo del quale
noi ci eleviamo dall '11mhito piì1 basso a quello piì1 elevflto»."

d. Dife~a profettrice

In Cristo il diavolo ha trovato il suo dominatore, in lui si spezza


la potenza ostentata dai demoni, per opera di Cristo satana nel
giorno della parusia precipiterà nella privazione più completa di
potere. L'uomo riesce perciò a difendersi contro persecuzioni demo·
niache nel modo migliore e più efficace con l'abbandono alla virtù
di Cristo. Il vangelo indica come Cristo abbia cacciato i demoni,
come egli abbia opposto ostacolo alla loro azione di rovina, mediante
comandi espliciti e speciali segni (Mc. 1,2,; Le. 4,34), come egli
abbia dato potere anche ai suoi discepoli perché facessero altrettanto
(Mc. 16,17); ma questo esorcismo sui posseduti, secondo la sua
sentenza e agli occhi degli apostoli, è solo una pane della difesa
contro il diavolo. Molto più importante è difendersi a priori contro
tutti gli assalti, e soprattutto in ogni circostanza mettersi in difesa
contro )'influsso del maligno. Il vegliare, il digiunare, la preghier:i
e l'autodisciplina servono a prevenire.'-' La preghiera ci concede
la vigilanza e una forte fede (I Petr. 5,8; Eph. 6,16). La difesa
contro Satan~ ad opera dei credenti in Cristo avviene quindi in
grande serenità e sicurezza. Una difesa dal male, secondo tutta 1.JUe-
sta documentazione neotestamentaria, non si ha da porre quindi
innanzitutto nei segni e nei mezzi esteriori: essa deve iniziare nel-
l'intimo dell'uomo e contribuire positivamente a sviluppare le
realtà soprannaturali. Si può dire che, in ogni modo. una vita per·
fetta, pe~ché fondata e stabilila nella fede, nella grazia e nella

~· Dr C1vitate Dei. XVIII, 18.


:a ti Siitnore stesso usò il ml'ZZO della preghiera (L:. 22.~1: d. Mt. 16.~1 >. Cuoi
J11che la lirur11ia mnoscc: spesso prCJ1hicrc ~r la prote>rione J.ill"inllusso Jd Ji.i,•ol<•.
ad "· ncll~ collcrta della XVII domenica dopo Pentcros1e. Cf. in proposi1u E v. P~
lfRSDoUF, 'I~ dacmonibus in l.i1urr.ia memoratìs' in A11gelirnm 19 ( t9.p 1 p~- j \!)
Uf.MOli'l E MAI.a NBL MONDO 813

comunione con Cristo, è la migliore difesa contro i demoni, cerchino


t.-ssi di rovinare la nostra vita interiore o quella esteriore. Attuare
incessantemente l'appello della grazia alla santità equivale a posse-
dere una grande ricchezza interiore.
Accanto a questa forma basilare di difesa protettiva stanno le
forme speciali. Da sempre ci sono stati nel mondo una quantità di
mezzi magici di protezione, dai quali il mondo moderno in nessun
modo è rimasto libero, anche se esso non prende sempre sul serio
il diavolo e tali provvedimenti protettivi contro di lui. Di fronte a
tutto ciò sono stati donati alla Chiesa mezzi genuini di difesa, nei
quali si applica la potenza vittor!r..;a di Cristo. Sono i sacramentali
delle consacrazioni, delle benedizioni e dell'esorcismo.

Nell'esorcismo, quale lo applica la Chiesa, è soppressa del tutto ogni ma-


gia. Qui solo l'esempio di Cristo è determinante, il quale comandò con
ordine esplicito al diavolo di ritirarsi (Mc. 1,12; Le. 4,3,) e diede ai
suoi apostoli la promessa e i pieni poteri di fare altrettanto (Mc. 16,17).
I due elementi essenziali dell'esorcismo applicato oggi dalla Chiesa sono
l'invocazione del nome del Signore e il comando al demonio di allonta-
narsi. La formula di preghiera si rivolge a Dio, quella di comando a1
diavolo. L'esecuzione dell'esorcismo autentico è una questione piuttosto
~iuridica, che qui non ha bisogno d'essere sviluppata. Teologicamente
l.'i sembra importante rinviare all'esorcismo che si attua nel rito batte-
simale. A proposito di alcune espressioni assai dure che vi si trovano,
r'sogna tener presente che l'esorcismo era in parte preordinato per veri
~ propri posseduti. Fu dappnma eseguito per gli adulti che avevano
preso parte al culto pagano. Gli idoli però cran ritenuti come demoni e
il loro culto costituiva comunione con il diavolo (cf. 1 Cor. 10,14-22 ).
I catecumeni dovevano quindi esserne liberati. Non si può quindi sulla
base dell'esorcismo banesimale ammettere un'abitazione personale del
diavolo nell'uomo a causa del peccato originale. L'esorcismo battesimale
vuole solo vincere quegli inRussi demoniaci che avrebbero potuto osta-
colare gli effetti dcl bauesimo. È una dichiarazione di guerra contro
tutte le potenze cattive e nemiche, e dev'esser valutato nell'ambito del-
l'intera azione dcl battesimo (cf. per l'intera questione F. J. DOLGER,
Der Exorzismus im al1cbris1lichen Taufrilual, (Paderbom 1909). Del
resto si deve considerare che già il bauesimo come tale, (quello spe-
l"iale in quanto battesimo dei bambini non presenterà più forse, nel
nuovo rito, nessun vero esorcismo [ cf. Cos111uzione sulla liturgia, 67] ),
in quanto è un morire e un risorgere con Cristo (Rom. 6,3· 14 ), è in ogni
c:aso una difc:sa dall'influsso demoniaco.
I DEMONI

Oltre alle parole ad0perate in tali azioni ecclesiastiche, anche l'uso


del segno di croce che vi è congiunto testifica che la lotta contro
Satana e i demoni pu(1 essere condotta dalla Chiesa solo nella po·
ten1.a cli Cristo, la quale !li è Jimostrata sommamente forte nell'im-
potenza Jell'<1v\'enimentu dcl Gol~ota. L'appartenenza a Cristo n1·l-
l'assenso alla fede che si riceve, la partecipazione alla redenzione
nei sacramenti, la fiducia nella potenza vittoriosa della croce rap·
presentano la migliore difesa contro t1111e le persecuzioni diaboliche,
ma anche contro ogni sorta di su1ierstizic.ne e contro ogni tencbrosò
terrore del demonio.

Uno sguardo retrospettivo sull 'insierne delle idee sviluppate in


questa esposizione - la quale poté esser presentata solo in ristretti
lirniti - deve giungere alla conclusione che la dottrina della rive·
!azione e della teologia sul diavolo è in sé una dottrina molto scm·
plice e chiara, certo severa, ma niente affatto futilmente inquietante.
Essa è stata tuttavia presentata e applicata spesso unilateralmente
e confusamente, muovendo dalla natura umana e a causa della mol-
teplice vulnerabilità flsica, psichica e morale dell'uomo; ha condotto
cosl a omissioni, esagerazioni e degenerazioni condizionate dal mo·
nento storico. Benché il nostro tempo abbia sfrondato molte devia-
zioni, tuttavia - da una pane - non se ne è del tutto liberato,
d'altra parte ignora di prendere sul serio questo punto centrale se è,
per la morale e la religione, l'esistenza e l'azione del diavolo. Singoli
fenomeni demoniaci vengono messi in primo piano in modo scon·
veniente e sensazionale, ma la conseguenza religiosa e morale, deri-
vante dal pericolo per la nostra esistenza cristiana da parte di una
comunione di sentimenti col demonio, viene presa troppo poco in
..:onsiderazione. Per difendersi efficacemente e pienamente contro il
demonio, non si tratta di usare solamente qualche mezzo particolare
ma, mediante la fede, di aprirsi alla forza di Cristo. Si tratta, per
ogni membro della Chiesa, di rinunciare risolutamente al diavolo e
ai demoni, come sarà richiesto, più che mai, alla fine dci tempi.

DAMASUS ZAHRINGER
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CAPITOLO DODICESIMO

TEOLOGIA DELLA STORIA UMANA PRIMA DI CRISTO

Tre problemi sono ancora da trattare in questo capitolo conclusivo


della seconda parte: in primo luogo si deve chiarire in una rifles-
'inne fondamentale, in quale senso si possa parlar!: reologicamenrl'
di una necessità di redenzi'one deli'uomo, e di un effetto recroatrivo
della redenzione. Si deve . poi trattare alla luce della rivelazione
distintamente della posizione dell'umanità extrabiblica alla quale ap·
punto appartiene la maggior parte dell'umanità, e poi delle religioni
nell'ambito della storia universale della salvezza; così pure della
storia e dell'ordine della salvezza nell'Antico Testamento.
Con ciò vengono anche messe rn evidenza concreramence, e in
certo qual modo 11 posteriurr, nell'ambito di una i"iflessione trasccn·
dentale sull'essenziale storicità salvifica dell'uomo. quclk lince rh~·
nella prima parte poterono solo essere accennate nella teologia for-
male e fondamentale della storia della salvezza. In tal modo la tema-
tica di questo capitolo conclusivo conduce al fatto centrale della storia
della salvezza, ae·cvcnto-Cristo: esso formerà l'argomento dei
volumi quinto e sesto.
Da questo fatto centrale viene anche la luce decisiva su tutto
quanto in questo capitolo sarà esposto particolareg5iatamente.
SEZIONE PII.IMA

NECESSITA DI REDENZIONE DELL'UOMO


E AZIONE RETROATTIVA DELLA REDENZIONE

1. Necessità di redenzione per l'uomo

a. Posizione del problema oggi

«La religione cristiana è una religione che parte dalla necessità Ji


redenzione del mondo, ed è la religiohe in un mondo che, in ogni
suo movimento, anela alla redenzione». 1 A ciò corrisponde l'impor-
tanM fondamentale che la teologia, fin dal suo inizio, ha confrrih'
ai concetti di privazione e di bisogno della potenza salvifica di Dio.
La parola della rivelazione, affidata all 'intellectus /idei perché la svi-
luppi, ci presenta l'uomo in primo luogo come divenuto debitore
di fronte a Dio, bisognoso di conversione e di salvezza. Nondime
no, con la elaborazione concreta dell'idea teologica veramente fonda-
mentale della necessità di redenzione. non tutto si è risolto nel modo
migliore possibile. Notevoli difficoltà sussistono.
Ecco in primo luogo l'atteggiamento dell'uomo profano d'oggi
di fronte alla vita: il mondo d'oggi, pieno di fiducia nelle proprie
forze, fa vedere che, grazie alla mobilitazione e all'impiego delle
sue proprie energie immanenti, tende verso un perfezionamento
dell'esistenza tale che rende assolutamente superfluo qualsiasi intt'r·
vento da parte di un Dio redentore. Ne danno testimonianza tanto
la generale disposizione fondamentale, impostasi sempre più sul-
1'uomo con l'inizio dell'età della tecnica: il sentimento cioè che la
vita è in evoluzione, che il mondo pu(1 venir organizzato secondo
una sempre maggior srabilità; quanto l'ottimismo dcl progresso
nato da tale clima: impressionato dai suni inauditi successi n~·l
campo tecnico-scientifico. l'uomo si crede arrivato alla situazione di
820 Nl!CESSITA DI l!.EDENZIONE PU L'UOMO

sostituire il tradizionale sistema di sicurezza della fede con altre


sicurezze da lui stesso fabbricate. La ~orte è costretta a dilazionare
molte volte il suo arrivo. Una parte considerevole di quegli incon-
venienti e gravami dell'esistenza umana che imposero ad epoche
passate la convinzione Ji essere prigioniere di una miseria rimedia-
bile solo per intervento di Dio, sono già rimosse ed eliminate. Lo
stesso vuoto interiore non deve più venir riempito assolutamente
con una fede religiosa, anelante alla salvezza. Il culto per il selfre-
spect, cht: ct:rca di tener lontana dal cuore timoroso l'angoscia, gioca
un grande ruolo.
Ciò che tuttavia ricorda effettivamente ancora l'umana miseria,
viene preso unicamente come segno del fatto che l'esistenza porta
appunto ancora le stigmate dcli 'incompiutezza, ed è appena sulla
via per un 'mondo nuovo e bello'. Da due parti questa concezione
riceve una decisiva conferma: da certe forme, molto diffuse, della
psicanalisi (anche C. G. ]UNG vi appartiene), che parlano di un io
'divino e vero' come di un mito di redenzione desacralizzato nel
quale basca solo che l'uomo ritorni per vivere bc:ne, e che cercano
di aiutare ad otcenere una tale integrazione o pers.onalizzazione at-
traverso un'analisi liberatrice degli inibitori complessi di colpa; 2 una
conferma viene similmente dalle note tesi della scienza delle reli-
gioni, secondo cui le religioni di redenzione s'incontrano solo in
quelle culture che sono frutto di sovrapposizione, nelle quali la
situazione disperata di coloro che sono oppressi ridesta l'incalzante
desiderio di liberazione.3
Vi si aggiunge inoltre il fatto che la teologia cattolica ha trattato
6nora veramente da matrigna il tema della necessità di redenzione,
e non è stata ancora in grado di presentarne uno studio completo e
ampio. In considerazione delle tendenze attuali appena descritte,
ciò non può non avere una gravità straordinaria. Respon~abili ·di

z R. HosnE, C. G. Jung und die &ligion, Miinchen 1957, pp. 87-ro.4; G. P. ZA·
OIAllAS, Pryche und Mysterium, Coli. ..Srudien aus dem C. G. Jung·lnslitul•.
Ziirich 195-1-, p. rn ss.; dr. anche P. TrLLICH, S}•stematis<·he Theologie I, S1u111an
11956, p. 300: K. PoPPER, 'Sclbs1befrciung <lurrh das Wisscn', in L. RF.INISot (ed.),
Der Sinn der Ges:-hichte, Miinchcn ?1<)61, pp. 100-116.
l A. Ri:rsrow, Ortsbestimmung der Gegenu,art 1, Ziirich 1~150, p. 129; inohrc A.
Bll!SSF.R, Di<' Religion, Freiburg 1956, p. 104.
NECESSITA DI llEDENZIONF. Pf.K L'UOMO 821

talt! carenza sono: il concetto tradizionale di rivelazione, unilateral-


mente intellettualistico (quando rivelazione si spiega come comunica-
zione di verità divine extratemporali, allora rimane piuttosto in ombra
il fatto che l'esistenza di colui il qùale Jà il consenso della sua
volontà a tali informazioni - le 'tiene per vere' - viene interior-
mente cambiata e deve csserlo); 4 l'adesione ad una visione troppo
soprannaturalistica del peccato originale e del peggioramento da
esso provocto nella condizione umana generale (se dovesse essere
esatta la concezione scolastica ispirata a TOMMASO, secondo la quale
il peccato originale è stato causa sì per l'uomo della perdita della
vita soprannaturale di grazia, ma non ha intaccato direttamente i
suoi doni naturali cioè la sua esistenza come creatura, li ha anzi
lasciati sostanzialmente intatti, la necessità di redenzione non appa-
rirebbe più come una situazione concernente l'intera esistenza del-
l'uomo: la natura che è stata privata della grazia, ma in sé è intatta,
non ha bisogno, come natura strettamente presa, di un autentico
risanamento}; il predominio di una valutazione particolareggiata del
peccato divenuta familiare specialmente nell'ambito della teologia
morale (se il peccato viene visto troppo solamente come un caso
isolato e che si lascia esattamente fissare e contare, minaccia di far
perdere di vista lo stato di turbamento esistentivo che sta alla sua
base, e di far cadere nella dimenticanza il carattere di sintomo indi-
cante la necessità di redenzione); inoltre e soprattutto il sistema di
THEILHARD DE CHARDIN in progressiva affermazione, il quale troppo
trascura gli aspetti di miseria della vira e il mondo peccatore ·e
segnato dalla morte, e che, quanto a rinnovamento, dà più rilievo
all'evoluzione che alla redenzione; 5 da ultimo non si può ignorare
il fatto che è del tutto nella linea della teologia cattolica attuale
studiare l'essere umano principalmente nella sua parte positiva e
degna di stima.

4 Così P. TILLICH. op. nt .• p. 172.


5S'esprime in modo caratteristico per questo F. A. Vuu.ET, ZwiJchen ]a und
Nein. Niimberg, s.cl p. 20 cii cosiddet10 pecçalO originale con le sue conseguenze
è scomparso. li male, quello scoglio insuperabile per ogni fede in Dio, non è
<comparso. Esso è stato 1uttavia interpretato come una necessiti per il cosmo in
evoluzione». ar. L. ScHEFFCZYK, ChriJtliclN Weltfrommigkeit, Essen 1964.
822 'ff.CF.SSITÀ lii KP!l'F'.NZIO!'lr. l'F1l I 0UOMO

Che ciò non avvenga del tutto senza preoccupazioni appare, ad


esempio, nella questione della predicazione missionaria cristiana.
Non dovrebbe l'annunciatore del messaggio di salvezza accertare
innanzi tutto la coscienza di miseria. a volta a volta esistente ( sicu-
ramente) nell'uomo a cui egli sta per rivolgere la parola, per pre-
sentare poi, dopo un'analisi esatta, la salvezza in Cristo?' Se. al
contrario, qua e là si postula già categoricamente un 'accurata ricerca
della alienazione esistentiva da se stesso dell'uomo, quale premessa
per la ricerca di Cristo,7 ciò accade principalmente per l'influsso
della 1.:rescente critica ali' 'irreale ottimismo' del tempo presente.'

b. Terminologia e chiarificazione concettuale

In primo luogo appare importante la costatazione che senz'altro non


può venir identificato il termine necessità con quello di bisogno.
Certamente in varie maniere la necessità si trasforma in un corri-
spondente bisogno. ma non necessariamente. La necessità può esi-
stere senza che il soggetto, al quale essa viene attribuita, si senta
o si sappia bisognoso e senza che sviluppi un desiderio corrispon-
dente (=bisogno). Perciò è senz'altro pensabile che qualcuno op-
ponga resistenza al soddisfacimento della sua necessità, prendendo
nell'intimo una posizione contraria. 9 In proposito si deve certa-
mente ammettere che necessità elementari, di norma, penetrino
nell'ambito soggeuivo dell'esperienza. Ora la struttura formale
'dell'essere nella necessità' rinvia sempre a uno stato di privazione
e di mancanza, a una situazione cioè che non dovrebbe sussistere
e che movendo da sé tende all'eliminazione di se stessa. Con tutto
questo concorda per lo più il fatto che ciò o colui di cui vien atte-
stata la situazione di necessità, non è in grado di superare da solo
e senza aiuto 'dall'esterno' questa sua situazione. Nel nostro <.'Onte-

6 In proposito K. RAHNF.R, 'D11s Chris1entum und der «ocuc Mcnsch•'. in


Schriften V, pp. 1,9.179.
7 T1LL1c11, op. cit., 81.
6 Particolarei:aiato in proposito D. 0Bf.RNDORFl':R, V 011 der Eùm1111keit des Mm·
schen in Jer modernen amerikanisch1·n Gese/lschaft, Freiburg 19:;8, pp. 11.p2J.
9 Cfr. Apoc. 1,17.
Nf.CESSITA DI kEDENZIONE PER L UOMO
0

sto 'necessità' ottiene la sua più esatta specificazione contenuusuca


attraverso il concetto di 'redenzione'. Esso accenna nello stesso tem-
po all'oggetto delle aspirazioni. Se si tiene presente che 'reden·
zione' nel suo significato etimologico indica lo stesso che 'diventar
liberi' da un legame vincolante e costringente, e 'esser liberati' da
una schiavitù, 'rivivere' dopo uno stato di mancanza di libertà.
allora è già fissata l'ampiezza di significato della 'necessità di reden-
zione' nei suoi contorni più generali. ecl è chiara la delimitazione
rispetto ad altre necessità (come per esempio rispetto alla necessità
di ottenere perdono o riconciliazione l.

c. Presentimento umano circa la necessità di redenzione

aa. L'immediata, irriflessa esperienza dell'uomo primitivo. · Già


nell'ambito della coscienza prereligiosa, l'uomo primitivo riconosce
la sua esistenza come misteriosamente disintegrata fin dall'origine,
distrutta, intimamente lacerata, mancante di completezza nella quale
l·gli, malgrado l'incapacità di una decisione definitiva, possa ricono·
scere salvato il suo proprio destino. Non è solo che egli senta la
deprimente incapacità ad organizzare e a porre a disposizione dell'io
personale le predisposizioni della sua natura, tanto quelle fisiolo-
giche quanto quelle psichiche e spirituali; non è solo inoltre il fatto
che molte delle sue doti si oppongano al tentativo di una integra-
zione; ma è soprattutto il confronto con le forze che appaiono pro-
blematiche, demolitrici e cieche che fa difficoltà per l'uomo: cioè con
la inevitabilità della morte, le assurdità della vita quotidiana, l'intrec-
cio di odio· e volontà di annientamento, con le catastrofi di propor-
zioni individuali e generali. Perciò è ovvio che gli uomini di ogni
tempo non siano riusciti mai a liberarsi dalla sensazione di vivere in
un'epoca ammalata e bisognosa di guarigione. 10

bb. L'insegnamento della coscienza religiosa universale. - Ciò che


in qualche modo può esser raggiunto da ogni uomo, acquista nel-
l'ambito della religione una peculiare posizione di valore, e spiega

10 Cfr. P. TrLLICH, Die neue Wirklichkeit, Munchen 196~. p. 99.


Nl\CRSSITÀ Ili K!DRN:tlONF. Pl·:R 1.'UOMO

il fatto che la redenzione e la salvezza rappresentino la parola pri-


maria, da quella implicita a quella aperta, di ogni articolaiione reli-
giosa: chiamata a purificazione, superamento della morte, rinasdta,
rinnovamento, appartengono, in un modo o nell'altro, al vocabo-
lario fondamentale delle religioni. Percii'> sollecita il senso religioso
con massima insistenza la domanda da dove vengano l'autoaliena-
:done e la miseria dell'uomo. Le risposte, nel singolo caso, possono
essere anche molto diverse, ma a tutte è comune la convinzione di
un disastro originale colpevole che si è abbattuto sull'uomo, J 'una
caduta in una schiavitù per sé completamente estranea alla sua
natura.
Questa convinzione si esprime del tutto spontaneamente in de-
terminate figure mitiche, come quella dcl serpente che angustia e
mette paura, del dragone, del Lcviatan o dcl Icone che divorano
la vita, della divinità della morte e della maledizione che allungano
la mano verso l'uomo e cercano di sottoporlo al loro potere che
rende schiavi. Malgrado l'accettazione di un tale destino fondamen·
tale inevitabile e che quasi tocca i prindpi dell'esistenza, e malgrado
l'opinione che una liberazione da tutto ciò sia al di fuori delle umane
possibilità, si ritrova costantemente nella riflessione genuinamente
religiosa anche la convinzione che la riconciliazione delle forze tra
loro contrastanti, il risanamento della realtà, l'annuncio di una nuova
vita sana e intatta possono realizzarsi. L'interpretazione della con-
dizione dell'esistenza umana come una necessità di redenzione in
senso lato, si trova quindi senz'altro nell'ambito di un modo di
pensare ancora prccristiano. 11

cc. La denuncia della necessità di redenzione nel campo deU~


esperienze e nel sentimento vitale dell'uomo moderno. · Contro le
addotte testimonianze della prescientifica esperienza umana, come an·
che della storia delle religioni. viene sollevata recentemente l'obiezione
che esse appartengono al passato: esse si fondano su una conce-

Il Per l'insieme: A. B1uNNU, op. nt. pp. 186.Jo,; S Mow1NCKEL, Rrligiolf 11"'1
K11lt111, Gottingen 19,J, pp. llo-c}o; sopranutto runavia: G. VAN DEI Luuw, Pha-
lfO,,,l'lfolo11it' Jer Rt'li11iolf, Tiibingcn 21956; H. Sc11iia, F.rlon11Ji1vor1lt'll111J1e" ""J
''"t' prycholof(iuht'lf Aspt'ktt'. Ziirich 19,0.
.'iECESSITÀ DI REDENZIONE PER L'UOMO

zione del mondo non sviluppata, o sottosviluppata, su un'intelligenza


non ancora autentica e sul fatto che ancora mancavano scoperte che
rendessero sicura la vita, su dati di fatto quindi, che, in seguito allo
sviluppo immanente del mondo, oggi non s'incontrano più. Perciò
sarebbero venute meno le premesse per collocare nell'ambito della
esperienza soggettiva qualcosa come la necessità di redenzione.
Un tale giudizio testimonia u.ia non piccola restrizione di veduta,
e può giustificare unicamente una visione esteriore delle cose. Im-
portanti indizi fanno pensare che la coscienza di una necessità di sal-
vezza esistente alla base della profonda disintegrazione dell'uomo e
del mondo, in nessun modo è stata soppiantata dal 'miglioramento'
delle condizioni di vita che proviene dal progresso immanente; piut-
tosto essa ha avuto da questo progresso un 'accentuazione sostan-
ziale. Ciò risulta positivamente nttravers? uno spostamento dei con-
tenuti d'esperienza che costituiscono questa coscienza, da una sinto-
matica più periferica, esterna (dalla quale il passato era così pro-
fondamente impressionato e che poteva dominare) verso il centro
più profondo della sofferenza - se non andiamo errati - autenti-
camente esistentivo. Di qui anche le specifiche caratteristiche della
nuova esperienza: la sua minor appariscenza così come la concen-
trazione sull'ambito interno, inconscio, <legli strati profondi del-
l'anima. Un'esame più dettagliato del problema avrà da registrare i
seguenti dati:

1) La presa di coscienza dell'isolamento come miseria umana estre·


ma. Il centro di gravità del mondo della tecnica. visto antropolo~i­
camente, consiste nella pressione di processi funzionali. che passano
sopra all'uomo come identità personale. e souraggono l'csistnnza
umana, mentre la fissano sugli obienivi materiali <lei 'sistema secon-
dario', a se stessa e al prossimo come persona.1 1 Ciò ha inevitabilmente
come conseguenza il fatto che l'uomo si veda in modo crescente
ridotto all'isolamento e che questo gii entri rnntemporaneamente
con rutta la forza neirambiro della sua visuale wme il pericolo fon-
damentale continuamente presente per la sua esistenza 11 .. 10 ritengo

Il A. M11GELER. 'Nach dem Umergang des Ahendlandes". in WuU:' a io I 196, I 1111.


IJ Documentazione in D. 0Bl'-RNDilRFFR, op et/ • p. t 77
Nf.CF.SSITÌ\ nt REDF.NZIONF. PF.R 1.'uoMO

che lutti soffrano Ji una medesima cosa. 11 profondo motivo della


loro sofferenza è la soli tudine». 14
2) La coscienza della /rc1llura Jt!l monJu. Anche nella valuta-
zione dcli 'essere come mondo e nel mondo si manifesta un cambia-
mento repentino. F. KAFKA (Der J>rozess. Das Schloss) e A. HuxLEY
(Neue scbiine We/I) parlano, come già prima II. IIEINE, di un 'lace-
ramento nel mondo'. H. BROCK (Sch!a/wandler) vede il mondo ri-
dotto in uno stato anarchico, e designa questo come un «pauroso
errore di iscriziom·», che solo a11raverso una «nuova iscrizione»
può venir tolto! La vita dell'uomo ~ per lui quindi un esser
proiettato nel grigiore dcll'inlìnito, un esser divorato Jalla ferrea
logicità di una esistenza interamente organizzata. 15 Similmente TH.
WoLFE: «Nudi e soli siam giunti in esilio ... siam giunti nell'inde-
scrivibile e impenetrabile prigione di questa terra dalla quale non si
può evadere».'~ Alla frattura dcl mondo corrisponde l'intima lace-
razione dell'uomo, e ambedue conducono a quello stato di miseria
nel quale l'uomo deve vivere la sua perdizione. 17
3) Il sorgere del sentimento di colpa, dalle profondità. Non si
poteva tralasciare il fatto che nel prolungamento di questa revisione:
della concezione dell'uomo e del mondo (ma contemporaneamente
in uno strano contrasto con la rapida diminuzione della coscienza
etico-teologica di peccato) sia entrata una notevole crescita della
coscienza di una colpa profonda. 11 Progressivamente si parlò di una
intima diabolicità della natura umana, e la sua prigione venne indi-
cata in un male per così dire ipostaticizzato di dimensioni cosmiche. 1•

H T. W01.FF., l.ook Homeward Angel (prefarione).


15 Clr. in proposito P. KuRZ, 'Hermann Brochs ·Schlafwandler»·Trilogie als kriti·
...:hrr Er10sunl(sroman'. in Sdl 91 ( 19661 H s.
16 Cit:ttione in D. 0BFINDÒRFF.R. op. àt . p. 178.
P Cir. T T111Et.1en. Teo!opffhe Frh1I: 11/2. Ttihinl(en ••nK. p. 1519: .Le
i~titwioni prOl(redisco1K•; esse possono r:JMiunl(ere la ~rf·-,ione ~Il" stato dd
ht'nc,.cr<·: !"uomo però rimane sempre lo sresso• Olrre a ciò quakc>sa m proposito
dice ì! latro che !"epoca a1omica lu ponalll C<'n sé un nuc>\'O ìnralzarc ddla coscien-
za .!ella rcahà della mone proprì;1 dcll"t'!iisrenza.
16 Su qut'!'la qu..-stÌ<•nc. esaur!t·n1<.'fllente L &t1EFFCZYK. 'Die Erbs..·huld zwischen
l\11t11rnlismus und E~i>tcr111alismus'. m .\ITZ 1~ ( 19641 19; lo.. 'Adams Siindenfall'.
in Wo\f'.i (1965) 761 ;;;.
19 Dornm<"nlRzinne in D. 0RFRNOOU"FR. np cii. pp 17f. s.: 1lh <.
NF.C:~.S!HTA DI R~:UFNZIONh PER !.'I 'OMO

d. La necessità di redenzione nell'ambito della rivelazione

aa. Asserzione fondamentale circa il rapporto <h•lla nece.uit.i dt


redl'11zio11e con il messar,r,io divino della salvezza. - Ciì1 che· l'uomo
può rintrac<:iare in sé circa il laceramento suo e del ml111do, e in c,111.
nessi1•ne con questo, circa la sua esistenza privata di salvezza nel
campo pre-teologico come anche in quello pre-scientifico, diventa com-
prensibile. con chiarezza e secondo le profondità chiuse alla cono-
scenza naturale, come 'necessità di redenzione' soltanto grazie alla
parola rivelatrice di Dio. Dal punto di vista storico-salvifico, alla
le?.,ge spettava in prima linea il compito di questa manifestazione:
il confronto con essa portò dapprima l'uomo ancor più profonda-
mente alla coscienza della sua situazione di schiavitù e della impos-
sibilità di una via d'uscita, e lo fece divenire sempre più consape-
vole - più ancora che non fosse possibile perfino alla più sottile
analisi della indagine filosofica :!Il - di quanto profondamente egli
fosse prigioniero, ammalato e bisognoso di guarigione. 11
Ciò rende subito attenti su un altro punto: la necessità di reden-
zione in senso teologico non è propriamente né riflessione dell'uomo
su se stesso onenuta mediante la comunicazione della rivelazione. e
neppure conferma data dalla rivelazione su qualche cosa che a causa
della sua portata negativa per sé non ha niente a che fare con la logi-
1..a Jella rivcla1.ionc; essa deve piuttosto venir intesa come elemento
1..·d e\·ento parziale Jcll.1 ri\·cla1.ione appunto come tale. e dc'.1 in
')Uanto questa necessità di redenzione da una parte è come una
immediata manifestazione dell'uomo stesso, dall'altra, in certa mi-
sura, diagnosi concretizzata divina circa l'uomo. così come nell'am-
bito della medicina l'accertamento del quadro clinico non esprime

lii I; '"'''' l"u11inione di K !Asrt;Rs, che solo alla luce dcll'csi•11·n,.a filosolica si
rnn<"'-C nella 1'•<"113 port31A I~ lra11ura ddl'csi.stcn,.a. MaAAiori r~rtico!~ri IO W.
1-01111. <;:.:•1l•c 101J /'r,·1~à1 IJ.i1 1f.1•11"1ç,11.-l•r l'•ohlon J1·• Rc11vonJh111l: vun
" '·""""· c •• n .. 1\citrnjCt" 1ur for.lt·runi: dui•llidl<'r Throlo11ic· sii, (;uicrsloh 19'7.
,, ,,x
. lr Ctr Rm•: - : in pn•;~"iro R Pusn H. s,1.i>p.l1U1g 11nd Er/,,wng. Gouingcn
1960. PI' l<JI'. 1k·r.ni di nu1a and1t· l(h J,-n·nnr IO l!i;o PA 5AN VITTORE. De 11rc<1
mor.ilr. 11.ll, /'/. ,.,.6.6.p Il: 111 llu·r CJ1·/. r,1, PI. 1n.9zs A, .~wc il rapporto
mnnilo ( '.ri,rn i· w1hrr11.11u ,,-..·on.lo quello .ldl'amm.1la10 \•rro.1 il Jlr<•(•rio medico.
NECESSITÀ DI REl.IEN"ZIONE PER L'UOMO

solo una premessa, bensl costituisce già parte integrante del pro-
cesso di guarigione. 22
Quanto intensamente la necessità di redenzione manifesti l'inizio
della salvezza e quindi della grazia, vien confermato non da ultimo
attraverso la mediazione del suo 'prima' e 'dopo'. Nell'affermazione
che uomo e cosmo hanno bisogno di redenzione, è già implicita
l'idea che per queste realtà create lo stato di integrità è una condi-
zione più originaria, metafisicamente 'precedente' alla situazione che
comporta la determinazione di 'necessità di salvczza'. 23 Egualmente
la considerazione delle situazioni bisognose di redenzione dischiude
sul futuro la salvezza non ancora presente, che però si trova già in
via d'attue.zione: il compimento dell'éschaton. Appunto per questo
nella presentazione biblica della necessità di redenzione non è con-
tenuto solo il ricordo dell'integrità di un tempo, bensl anche la spe-
ranza della gloria ventura.

bb. Lu testimonianza della Scrittura. - Sarebbe esagerato affermare


che nell'Antico Testamento la coscienza della necessità di redenzione
abbia avuto una posizione centrale. Ciò che il credente dell'Antico
Testamento esperimentava sulla miseria esistentiva, e di cui voleva
essere liberato, era contrassegnato dall'esperienza storico-salvifica del
popolo schiavo in Egitto e da quella della cattività babilonese (Js.
40-~ ~ ). A questo si aggiunse nel tardo giudaismo la coscienza colletti·
va dell'ordine distrutto per un popolo oppresso continuamente da ne-
mici esterni e interni. 24 Se a questo si aggiunge che· con l'avvento
del regno messianico era attesa la fine di ogni miseria, allora risulta
abbastanza chiaro il senso fondamentale dei relativi sentimenti: il
bisogno di redenzione non tanto in senso esclusivamente religioso,
quanto piuttosto come liberazione del popolo sentita quale enti-
tà politico-religiosa. Prescindendo da questa accentuazione, si af-
ferma appunto nei salmi 25 e nei profeti 16 l'idea di una necessità

:1 Ciò lu cPnkrm.1 dJ l<um 1, 1 !! ss . l;1 <k>C"rmone Jella miseria umana vuol esst:r
intesa come <:>posizione p1it particolareggiata dell'evento della rivelazione.
23 Cl. G SCHEREI. Ab1urdes Dttsem und Smnerfahrung, Essen 1<)61. p. 25.
l• 'Er!t.isun~·. in Hoag RL, 418.
2S Specialmente Ps. 51; 71; IOJ,2 3.4; 147,3.
l6 Soprarruuo Gcremi1. il qu1lc tuttavia comprende la retknziooe piuttosto come
Nf.C:f.SSITÌI Ili REIW.);ZIONE PER L'UOMO

essenzialmente più profonda e più fondamentale, che cioè la lonta-


nanza da Dio e la peccaminosità dell'uomo esigono una riparazìone. 27
Con chiar<:zza inequivocabile, ma senza entrare in riflessioni più
approfondite, i vangeli sinottici mettono in evidenza la condizione di
chiunque entri nell'ambito del nuovo messaggio come una situazione
priva di salvezza e bisognosa di salvezza nel senso più pieno della
parola. Nel richiamo del Battista alla metanoia si annuncia già che
l'uomo non è soltanto sviato nel suo pensiero, ma che egli soggiace
assai più dal profondo del suo essere a una deviazione, a un auten-
tico capovolgimento: ha perciò bisogno di conversione.21 Certamen-
te: solo nel confronto immediato e vitale con il Signore i contorni
più precisi di questa situazione che riguarda senza distinzioni tutti
gli uomini, raggiungono la loro visione esatta: il 'ruolo' fondamen-
tale nel quale l'uomo viene trasferito e posto, appena egli s'incontra
con Cristo, è quello dell'ammalato, la cui situazione richiede suppli-
chevolmente il medico e la guarigione. 29 Non a caso i contemporanei
con i quali Gesù s'incontrava erano proprio ciechi, sordi, muti, po-
veri, segnati da lebbra e da febbri. A proposito di questa costata-
zione due rilievi appaiono importanti: innanzi tutto 'essere ammalati'
nel senso della Scrittura non è una circostanza solo fisiologica e che
tocca unicamente la parte corporale della vita; essa porta sempre in
sé il carattere e il sigillo di un segno, di un sintomo, indica perciò
sempre anche un 'disordine' più profondo, localizzato nello strato
spirituale della persona: peccato, colpa, possessione demoniaca.lii
Perciò I' 'anima' è bisognosa di guarigione altrettanto che il 'corpo'.
Questo esclude che la situazione di malattia dell'uomo possa espe-
rimemare il proprio sollievo attraverso la liberazione dell'anima

fauo interno.
rt Per l'insieme: H. Sol>.•. op. cii., p. ·U s; J. BECIWI, DtU Heil Gottn Htils-
u11d Sii11denhegrifje in den Qumrtmtexun und im Neuen Test•ment, GOuingcn 19~;
R. BuLTMANN, Glttuben und Vasuhen: Gesttmmelu Aufut:e 11, Tiibinaen l1961,
p. 10;.
21 Mc. 1,15; W. G. KiiMMEL, Dtts Bild des Menschen im Neuen Teslttment, C:OU.
·ATAl\'T" 13, Ziirich 1948, p. 9.
Zt Mc. 2,1;: o:Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati•; cf.
UGO DA SAN V1TrORE, De StJCrttmentis I, 8,1, PL 176,30' D-3o6C; A. K11otGASSHU,
ErlOsung u11d Siinde im Neue11 Testttment, Freiburtt 1950. p. 1841.
"'l.f. M1. 1.i1.
NECl!.SSlTA 1>1 llEDENZlONE PE& L°llOMO

<lai corpo. Da che cosa in ultima analisi si debba esser redenti,


lo dice la domanda dd Padrenostro: «Liberaci dal maligno•."
li compimento di questo dc5idcrio tt•mmriscc il ritorno da parte
dell'uomo all'integrità e all'unità con L>io e i:on se stcsso.u D'alcra
partc sarchbe falso crt."(ll·rc che gli ;umnalaii dci van~cli rapprcsen·
tino icnomeni en·czillnali. l' che quindi e~si nlm possano esser trat·
tari in generale come indice attendibile dell•t si111azione umana. Essi
piuttosto stanna in rapprcseman1.a dcll'umanirà nel suu insieme.
Ciò che dal Signorc vien costata!ll a loro ri~uardo è di validità uni·
versale come asser1.ionc c.:irca l'uomo semplicemente .11
Sulla base di questa testimo!lianza e\'an1otd~a la 1t·olof!.ÙI p1mfi1111
sviluppa una visione veramente completa sulla necessità d1 rcdcn·
:.eione dell'essere dell'uomo e del mondo.
Tra tutte le esposizioni di qucsro argomenw merita primaria i:on·
siderazione Gal. 4.~-ì: «Così anche noi, quando eravamo fanciulli.
ci trovavamo in schiavitù sotto gli clementi del mondo. Ma quando
venne la pienezza del tempo, Dio mandC:, il suo ti~lio, nato da donna,
nato sotto la legge, per riscattare quelli sotto la le~e. perché rice-
vessimo l'adozione filiale. Ed essendo li~li. Dio h11 mandato nei
nostri cuori lo Spirito del suo Fi~lio che grida: Abba, Padrl·! Quindi
non sei più schiavo, ma figlio ... ». La rappresentazione dell'uomo non
ancora raggiunto da Cristo come ·fanciullo' non avviene per caso:
la condizione dell'infanzia rinvia per sé a un prcciso elementare stato
di bisogno: a un'esigenza imprescindibile di ~iun~crc cioè al11t pienll
maturità di persona; essa richiede 4uindi il suo superamento. Un
permanere in essa contraddice alle leggi dell'essere uomo. Tutta·
via mentre nell'ambito dell't·sistcnza naturale I' ·inlanzia' è da 1m:11·
dere quale grado di passa~io e mm può esser st:tnplicemente evitalll,
in Paolo espTime qualcosa di inL-quivtx-abilmente e assolutamente
privo di valore: essa non era mai stata prt'vista per l'uomo, è venuta
su di esso c.ome una fatalità, non può quindi pretendere indulgenza
in nessun caso. li motivo è: palese: non è causata da mancato svi-
luppo di buone qualità, bemì dall°t-s!'er l'uom<' caduto sotto il po·

li ln~lC dcli• furm~ <UOMM.·ta, ma "1eno e'dtU: ·libo.-rlll·i <l•I malo:• Mt 6,13.
11 P. T1L1.11.H. Dir nrur Wirlr/rchlr,.t. p. ""·
'' C,lur11f'' 1urr1h' lo -.vu1~ tiinJ1J·1u1uttP il \'an~t·lo di Cicw:anni
"~.n ~SITA DI UDF.NllONF rn 1 'l'OJ\1(1 llp

rere deJ!li denu-nt i Jd mondo ( ntmiria roj: :t.00!1111•). Uni 4ucste


potenze non sono rappre!>entazioni autonome di realtà l·osmichc,
buoncc" per loro narnra (se fossero tali. l'uomo potrebbe ben sperare
di divi:nrarne lui il padrone e di dominarle ncll'ambiw di un mondo
umanizzato l: in esse si esprimono forze in"mc che mirano alla
distruzione assoluta di rutto ciò che è neaw e in tin dt:i conti sono
guidate da un male che è persona." Invero ven~<>no Ja Paolo de-
pre-aate come 'deboli' e 'misere' I .pJ) rutta\"ia o;e l'uomo incorre
nel loro campo d'azione, allora lo afferra una distruttrice a7.ione di
risucchio. una 'schiavitù'. Il contrassegno più tipic,1 sta nella perdita
della capacità di dialogo e del suo presupposto. della libertà Jl<'f lo
=
wiluppo personale ( ma~iore età): l'uomo in h11lìa Jel'li elemc:nr i
cosmici è privato dt"lla possibilità Ji parlare con Dio !di chiamitrl·
'Padre') e di intendersi rnme p11r"1t•r di qut"sto ·w · (·figlio') I m·;1p:1n·
di realizzare l'incontro con Dio. quasi spersonali1.zato, egli vin: •11
adempimento della sua schiavitù (servitù degli idoli, v. 8). in monol••
go. Con tutto questo la necessità di redenzione ra1t1tiunl'e un profilo
'llOlto specificato: essa si presenta nella sua essen1.a come necessità
di dialogo. Ciò consenre in fine all'apostolo di riconoscere l'effetto più
decisivo della redenzione nel fatto che l'uomo possa pronunciare
•Abba, Padre»." li testo presenta ancora un ultimo aspetto: la
necessità di redenzione è 'tempo precedente' o 'tempo intermedio'.
Ciò risulta chiaramente dal concetto della 'pienezza del tempo' (v. 4).
Con ciò si fa chiaro nel contempo il fatto che, solo se si pone a fon-
damento la categoria della storia della salvezza, entra nella giusta luce
la necessità della salvezza riguardo all'uomo.'"
Lo stesso tema trova un'anenzione particolareggiata nella lei·
tera ni Romani in ire passi: il fatto che rutti gli uomini sono pec-
catori e per conse~uenza di questa condizione falliscono già il loro
proprio essere, viene sviluppato in 1. 1 8· ~ .20 con stile immaginifir<'

"' t:ph t.,1J: .Spiri11 ,fel male ,he "11ì1J1111 ndlc rl'11ioni cck,11•.
li Cl. [pii. 1,\: •• •·--~re suor ti1dì ddolll\'I•; al rr11uardo andte Rom. 11,11-1;.
l'esposizione 8ul1o •(liriln di schiavi1ì1 mo~tr• lh<· per uno schia\'O non ''(o Ji•lo111-•
1lcuno con il ptrdront", soluoto invece un r•ppnrm m•tcn1le di ,Jìpen.lenza.
l6 Tu11avi1 IU\l'hc: il e<hlÌ•n•• ra111uuoto da <.1i~1u <' preso ndl'ohbcdit'l\7.1 11 Si-
1111<irc: ~ cunscio dì t'S5C.'r ancora biso11noso ddla rl"denzionc nel St"nso pieno " uhilllO
Vi 1~nn1 r,.,/ \,I'
NECESSITÀ 01 Rf.DF.NZIONE PlèR L'UOMO

ed incisivo, e lo si Jevc considerare mmc presupposto fondamentale


della dortrina de li.i ~alvezza. '7 f, impossibile pensare un canto più
tragico sulla manrnnza di speranza dell'umanità e sulla sua sn•nfi-
nata necessità di salvezza.·~ Nella sintesi di .~,i.~ ciò si esprime rnn
ancora pili lorz;i: « Pl'rchl- tutti hanno peccato e sono privi della
glori.a di Dio». Ll· 1rnt1azioni di 7.5-25 cercano cli esporre la fotti·
specie suddetta piuttosto in direzione della situazione del singolo
uomo non redento. Di nuovo si trova lo stesso tono: l'uomo è ven-
duto al potere del peccato (v. 14), ha perso per la potenza del male
il suo essere soggetto, dalla sua esistenza nasce come frutto naturale
la morte ( v. 5 ).i9 Tuttavia l'apostolo si sforza soprattutto di mostrare:
e provare che l'uomo reso schiavo in tal modo ha pienamente co-
scienza della sua perdizione peccaminosa e della sua spinta al
male e al disordine (esperienza della frattura interiore), tanto che in
lui si forma l'idea di aver necessariamente bisogno di una libera-
zione, ma di non poter contare lui stesso su nulla che possa porger-
gli aiuto; che in fine sulla base di questa esperienza non resta che
il gemito: «0 infelice uomo che io sono! Chi mi libererà da questo
corpo di morte?».-40 Da 8,18-25 appare, a proposito della necessità
di redenzione, come si tratti di un esistenziale dell'intero cosmo,
dunque non solo di un contrassegno del singolo uomo: la creazione
è sottomessa alla nullità e alla schiavitù e giace nel gemito; insieme
con l'uomo geme in attesa della 'gloria'.

e. Comprensione di fede

aa. La problematica per una 'analogia entis'. - Per una più precisa
definizione teologica della necessità di redenzione è d'importanza
decisiva la concezione filosofica del mondo e dell'uomo che vien
presa come appoggio. Non qualsiasi concezione può esser presa in

~ 7 R. BuLTMA:-.."I, Theolo.,ie der Neuen Tesl<1ment.<. Tuhinj!en ~r954. p. 2n .


.~ G . ..:1m.L Die ReliJ1,iomgescbichte unà d<1r Vrchristentum. Dannsiadt 1.;i59.
p. 121: O SEMMHRon1. (;o:: untf .\feruch in Begegnung. Frankfurt 21958. P- 1 H>.
w Cl. Il. THtELICKE. Theologirche Et bi.~ 11/1, Tubinj!ell 219s9. pp. n6o, 16z4 .
.io Rom. 7,24: fin da TERTULLIANO e ORtGENE si è riferito questa sezione a chi
non è n1>1iano: la sua condizione verrebbe descritta nello stile della prima pcrwn.l
e sardme ''Ì<u con l'occhio del cri,1iano.
NECESSITÀ DI REDENZIONE PER L'uo~·o

considerazione. La condizione che devono soddisfare gli sforzi rela-


tivi, viene indicata da ScttELER: «Il mondo deve esser destinato
dal profondo alla redenzione, cioè all'intervento di una forza che non
proviene da esso, bensì da un'esistenza superiore, se l'idea della
redenzione deve sviluppare tutto il suo peso e la sua piena profon-
dità».41 Movendo dalla speciale situazione della teologia cattolica,
bisogna dapprima considerare se e fin a quanto la filosofia greca
possa esser utile alla comprensione del presente oggetto. Grosse
difficoltà stanno contro: l'idea ottimistica della capacità dell'uomo
all'autoperfezionamento, all'elevazione, attuata in una visione razio-
nale, dello spirito al regno dell'essere esistente senza tempo; la con-
cezione, da ciò influenzata, della paideia come di un processo che
conduce l'uomo alla sua pienezza di formazione e di perfezionamento,
verso un tipo ideale che è sempre stato il suo e che da nulla è mai
stato posto in dubbio radicale; non da ultimo la considerazione della
morce come un evento naturale per sé indifferente, che l'uomo (por-
tato dal1a riflessione sul processo normale dei ritmi cosmici) può
elevare all'atto cosciente del «xa.}..Wç O:r.oihn)c;xEw» e così far entrare
rome logico nella struttura del1a vita.'1
Ora, se si prende in considerazione anche il tondamento meta·
fisico che affiora in tutto questo, cioè quella teleologia dell'imma-
nenza assoluta che attribuisce all'essere cosmico la capacità di una
costante crescita positiva in valore, e di una continua evoluzione
verso il più perfetto, e che esclude addirittura, mediante l'interpre-
tai.ione del male come un µl] ov, come il sopraggiungere di una
perturbazione assurda, capace di mlliacciare l'evoluzione, allora è
evidente che una tale struttura del pensiero offre a stento la possi-
bilità di dare un contributo per chiarire la necessità di redenzione.
La questione sembra porsi diversamente con l'interpretazione del-
l'essere. propria del moderno esistenzialismo: essa presenta una con·
cezione dcl mondo che, anche dal punto di vista della fede, non può

" S.:111'1.FR, \·'nm Eu•igp: im Menscben, p. 232: L OE1~G-ll~NHOFF 'O:c Phii<.>


sophi<" unti das Phiinomen dcs BOsen', in K. FoRSTE.R (ed.), Reaiitiir und W trkfich·
~·,·11 Jn R111en, Coli ... Smdien unù Berichtc dcr Ka!110lisdu:n Akad.·mie in Baycrn•
14. Wuròurj? 1965, r ~;--68.
41 Ci R. RPITMA!<'l, Pr.::ic/ounf, und cbriJtlicher Ciauh<': ,\IJr!i11 /l,·1J1•1lJ.1"r :um
SECP.SSM"À DI REl>P.NZIONE PER L'UOMO

più esser designata come neutrale. Essa infatti ammette immediata-


mente un profondo «non essere in ordine» del mondo, un destino
fatale che incombe su quanto esistc, la rovina de li' esistenza umana,
l'essere per la morte." Particolare attenzione pone sul rnrattere con-
traddittorio dell'cssere umano l' richiam;1 nd rnodl' piì1 C'ncrgico
il nulla dcll'esistcnza. La ~rnperta di ljlll'Sll' dimrnsioni negative è
possibile perchC: l'essere è vah11ato fondnnwnrnlnwntl' non da punti
di vista astratti e statid, hensì giù nel suo porsi. nime esistenza.
Solo alla luce dell'esistenza apparc in tutta la sua cstl'nsione l'intima
frattura dcl cosmn. 44 1n tal modo vicnc offerto senza dubbio un con-
siderevole contrihuro alla ric«.'rca tl·ologka circa la nL·rt·ssità di rcdf"n·
zionc.•~ D'altra parte, la pnssibilit:'1 di applicare l'csistenzialismo è
limitata, in quanto esso tendl' a considerare in cil'> che esiste «l'una
perversione fondamt·nralc», non gii1 1.:ome una 'caduta' da una situa-
zione, un tempo preesistente, immune dal decadimento, sana; ma co-
me una determinazione csistenzialc, ontologica e' inseparabile del-
l'esistenza come tale. Così, secondo HEIDEGGER, lo stato di deca-
denza rivela «una struttura ontologica dell'esistenza stessa», e la sua
problematica sta «prima di qualsiasi asserzione circa rnrrm:ionl' e in-
nocenza»."" Infatti se il 'prima' conneto «dell'essere per la morte»
non è «essere per l'essere (salvato)», allora un tale essere non può
nemmeno manifestare nulla che ricordi in qualche modo una neces-
sità di redenzione: l'essere-integro gli è intrinsecamente estraneo e
al di fuori delle sue capacità. Ma il discorso sulla necessità di. reden-
zione ha bisogno, come suo presupposto, proprio del riconoscimento
J1eb=igsten Geburs111g. Piullingen 19)9. pp. 1;p;9; h1. 'Dcr .\knsch 1111<1 S<"in"
Wc!t nach dem Urteil der Bil"JCI', in G/auhen und \ler1uhen 111, Tiihinj!l"n 1962.
pp. I 51-1 56.
" Ci si rappresenti l'analisi dell'esistt:nza di ogni ~1orno .Jr ~I llr1111- ... n in
Sem und Zeli I. Tiibinj!"n •19H. pp 16; ss. 1tr. it .. l:"iu·re r t1••11f•o. l'TET. Torino),
come pure le indicazioni di K. JAi.l'HS circa l'abissal .. ""'cicmza d1 rnlpa dd:'uomo;
al riguardo in sintesi I.. XllEFF<.Z\"K . .-1damJ Siìndm/.il!. l"ll • I'· 768.
AJams Sundt-ni,,J!, cot . p. ;68.
44 In propusi:o le os,,.,n:azion! pcrcinc:ui in \lt' l.w111, C/.i,./oe 1mJ I red:e11,
p.Q!I
•5 Sull'arJ!Omcnto in modo approfondito I.. XllHITZ\'K, op o/ . p i6~.
* M. HFlllL!i<iER, .\àn unJ Zeit, p. t;<J'; 'imi:mt·:-itc: anche _IAsJ>ers: <t..:ondo
'.ui non c'è un inin<• in cui !'uomo sarehh<- ,:~1" .uiwr• senza colpa. dop" :l <JUale
'arebbe dt\'"nuto ;:o!pe,·o!e quando l'uomo n·nn<' JI mo:-i,k>. ~ra i:i~ colr"' "'" \'('_
I OllH. ,,,. ' ' ' · p. <)~
'\I! I• "I I \ 111 10 l'l '/IP"':t 1•11~ I 1·1~~111

ddta n1pan1il di redenzione. 47 li dilemma eh<.: qui si manifesta pttÌl


turta\'ia cs~L'r l'\'itarn se il conCl:tto fondamc.:nta!e t!cll'csistenz1;1l1,1110
si pn·nde JTIO\'l'tldo piuttosto dalla concezione pcrso1;ali.rlic.1. l' Sl' ~i
prcs11pporll' I \·sistcnza come un 'esistenza personale e dial.igic.:a. Ciì1
rcndl· possihill· lo sguardo su quesw d.110 di fanu: csserl' pcr'"'ll•l
11ma1rn non signifìra una grandezza siat ica, gii1 perfetta ,, {'/'/fJI'/ ,.
immune ris1wt10 alla dimcnsionl' dl'.ll'l'ssere storÌl:o. Non ll'llt·ndn
Ctlll(CI dcl SllO stato <llll011Ul110 (Ollll: indt\'iduo ~ ìlo!.Ll'~;11ACll: «Pl'I'·
snnalit:Ì di hase» ), è piuttosto do\'ere dt"ll'uomo di,·enr;1rc a11~i1111111
pt·rsona, svilupparsi progrcssivamcntc.: da «io l'mpirico» a so>:gl't to
pnsonale. /\. qncsw non si arri\'a mediante: un "a1Hog,·ner;1zionl' mo·
nologica (c11sì ad l'S. e
G. Jur..;l;) bensì esclusivamcntc mediante
l'attuazionl· di rdai'li(111e di dialogo, nello scambio di chiamat:1 e di
rispost11.~

Accanto a questo contenuto esistenziale-ontologico c'è ancon1 1111


altro motivo che rcnJe necessario attuare l'incontro per IJ fonn•l·
zione della personalità dell'uomo, il pericolo cioè di un•l Lkcadenza
propriamente personale, la tentazione Llcll'«inconscio nichilismo ddl.1
personalità»." della «volontà scJ!rcta» della pcrson;1 ,111'.1uto-distru ·
zione.v. Do\·e cioè \·ien precJ:isa all'uomo \"a~cesa alti «piClll'Z7J JdJa
persona», egli 4uasi ne1:essari.1mcntc sprofonda nd gorgo .li ljlldh:
tendenze spersonalizzatrici e dist ruttrit'i; egli, in 411c~111 ..:a~ll, non
resta dunque nemmeno al li\'cllo della .. per~onalirà di h,1)\i:» 111 S<.;
incompleta. Ne consq~ue che i' uomo è hisognos.1 dcll'inn1111 h' pn
garantire l'integrità e la pienezza della sua struttura personale. Nel-
l'insieme però 4uesto punto di vista apre la possibilità di una con-

l ! P ~ -: l\• ·n.,...P!"of,!:.:m .lt·~ Erh .. ùndl· i:n mn1.L:rr~L·:ii Il, 11L·!!.. 1 ·1 ( .1


Jhol1t.J 5 I t..)\('1 ;~·fil, don.· ~1 studia 1! rapporh_• 1r..1 t-s..."-·:- !lC..·. . ,·.1:orl' t' t''>Cr d1H·n
taro i'"C."'-':arnrl." • :1d scns..' ,!i I le. :<.!q~~t·1 1 n_,n :.i d.1'. trina .. rì ... 1:.11101 .l,·1 J1<·~1.JIP • '' r
gina'.e: I.. Sow: '' Z\'K. "/' ,~,r p. i<-~
.ui ( >ricntamcn10 ... 1ntetk..-(' ... u qut....,to ar~um{"'OIP i~ B Srof<:Kt.E. ( 1r.1!:.: u1,r1,r 11 1•:rf
1;..iturul'!f Ges(hz,·i-:'"· t1"1d An./\lt' f"lnl's tlJt·u!vg:1. I':'': .4xzn°H. Hom.I c.11: ... s. \ .. "'"·
1961. pp. 222·2lh.
49 V E.\". c; .. ,,~ATil::L. I>1t' l't'riOII um! dfr r;rt'll~t'll dt•r tu;fp1f•\\'1·'10/ot,1t1·/t,·11
Verf"firr:~•u: p,.,,J,·~rm.'c•:,1 c'l'10' u:t·J::.t•::sl ::.e•: 1'•1thrr'['''/'1_.:,:r·. 11\.':llt:!h<.·r~ I 1)"i,,.
p. ql>
"" 11. 1':1•11 .... l>.ll \à,, ,.,,J J.iJ <.:.:<. ~\iinch,·n •<>fn. i' 25S.
Nl!CF.S!llTÌI DI RF.DF.N7.lllN~. l•tR L'UOMO

cczionc oggettiva ddla miseria dell'esi:;tcnza; «l'essere pt•r l;i mnrtc»


non è né assoluto 'prima', né assoluto 'dopo'.
La spiegazion~· della frattura dell'essL~rc conn:pil<I csi~:l·m:i:il111l'llll'
quale un implicito richiamo dell'attuarsi della persona, e il postulato,
richiesto da questo presupposto, della necessità d'incontro, potreb-
bero costituire quindi la migliore analogia per una comprensione della
necessità di redenzione.

bb. Questioni siltematiche circa la necessità di redenzione. - Il


'chi' bisognoso di redenzione, secondo la conce-liane cristiana, è
!'uomo intero, costituito da corpo e da anima, quindi non solo
unn determinata 'parie' di esso. Ciò !-.ii.tnitìrn che il wsmo inLl'·
ro deve essere consideraro anch \·s~o come bisognoso di rcdcn-
zionl·: rnn esso infatti. ~n1zie alla corporeità, l'uomo si trova in
nsmunirn7.i<'nc stabile, insopprimibile.' 1 A ciò non si oppone il fatto
d1e ndl'espo~i;:ionc piì1 partirnlare1o~i1tta si trovino atlu:ntuazioni
panicol.tri: rosi si può :;enz'altro parlare della necessità di l'edenzione
del centro ddla per!\ona lbiblicamentc: 'anima', 'cuore'), in quanto
si tiene presente che il ccmro della pc:rsona sta con gli aspetti peri-
forici in n1pporco di un centro di integrazione e di organizzazione.~i
e che ogni 'ccccs..~o ~i linguaggio', in senso dualistico rimane eduso.
Se perciò si tiene presente la totalità della realtà umnna. allora in
essa troviamo più implicita la risposta c1lla Jomanda drca la Jl/11a-
zio11e J11/la q11aft> è necessario essere redenti. li male infarti da cui
!'i deve es~r redenti, non può in nessun caso identificarsi con que·
Ml' o c.iuelle !\iruazioni create, naturali. Inaccettabili perciò sono per

la romprens1onc cristiana tuni quei tentativi di vedere )'«essere nei


mondo e nella storia .. parLialmcntc o universalmente come la rosa da
rni bis~nerebbe essCt' redenti. Simili posizioni spirituali s'incontra-
;io nella forma più radicale nel buddismo e nelle religioni dcll'A~ia
Orientale r_,~c vedono la necessità di redenzione come un'esigcm:J
di sopprimere l'esistenza come tale, di spegnere l'esistenza che sa-
rehbc, in sé. cattiva e peccaminosa.

11 Cl. Ronr. S,19; A. B11·N.,.U, D1c l<fltvon. Fn:iburg IQjb, 1>. 11111; E A1uN""'·
<:011 1.nd sein ReMll. Hambur11 19j8. rP· 27-1b
u W. DAIM. l'ie/e,,pncholot.tr und f.r(;,.,,,,, W1rn 1qs4. p;> .p ~s. 111 !'i•
NECF.SSIT:0. Ili Rl'DPKl'IOl<F. l'l'M 1. l"OMO

Rispetto al buddismo i sistemi esplicitamente du.ilistici dello


gnosticismo e del plaron:smo presentano una posizione miti~ata.
Secondo essi h1 situazione, da cui è necessario essere redcnri. non t:
costituita dall'essere come mie, bensì dal divenire, dalla storicità e
daila materialità, rigw1rc.lo all't1t)mo: di1l suo essere nnpo. Corri·
spondentemcntc la risposra alla domanda snl 'chi' dell'esser rc:Lknto
si limita a indicare cS<:lusivamentf' lo spirito come tale, che P.on i.:
1m:rnto d'.l yucsic dimensioni materiali. Non srmhra supt•rflu,1 met-
ter in cviJcn1.;1 l'insostenibilità di yuesti1 rnncezione di fronte .il
pensiero nistiano: cc.•ne indica la storia della teologia occidemale.
wntinuamente si era tentato - sono l'impressione speci!llmente
dclla dottrina dell'immortalità dell'anima spirituale e dell'antilcsi
biblica 'carnc-~pirito' - . d'interpretare il prm:c:sso di redem;i,mc
come uno sl"ioidimento dalle catene di ciè1 che è terreno-naturale ..-
materiale, e di introdurre così motivi dualistici nella spiegazione <lelL~
necessità di redenzione. Acutamente C. JASPERS ha mostrato l'in-
sufficien7.a di questa comprensione: il passo al di là del mondo come
atto di una redenzione dal mondo sarebbe un passo nel vuoco: pro-
prio quello che con ciò si dovrebbe raAAiunJ?ere, cioè l'in~resso in
un secondo mondo di oggettività mer11fìi;ica. in cui il soggetto lihc:·
rato dal mondo potrebbe vivere da conrcmpl111ivo, non offre ncssun.1
autentica trascendenza; opera inveCl' unicamcnte una nuova s1x·i.:i,·
di incatenamento al mondo. Perciò se redenzione è data, questa può
essere solo sulla via di iJn ritorno nel mondo e di una trasforma-
zione del mondo dall'interno.n
L'analisi positiva, regolata sui dati della Scrittura, dovrà svilup-
pare gli dementi che costituiscono la necessità di redenzione (quin-
di il 'di chi'l ccn un'attenzione piuttosto cosmico-terrena e preva-
lentemente antropologico-personale. Prendendo in considerazione dap-
prima l'aspetto cosmico-terreno, individua la l'8Usa che rende bi-
sognoso di redenzione il mondo I e anche l'uomo, in quanto egli
mediante la sua corporeità appartiene al mondo), in un «incessan-
te movimento da ciii che è superiore a ciò che è inferiore»," in
una tendenza degradante che si rh•cla come moti\•o originario «di un

" W. LonH. op. cii .. p. 97 s.


'-4 M. So1Fuc1. l'mn l:rritr" ;,., .-\lr11<;J.rq_ ;> Hl
male sempre crescente e di un•I tentazione sempre più fllrte al male
per le nature spirituali»." (;iù I.i vita di ogni giorno rn11scntc di
~corgt'n". secondo I kidcggn, lllll'Sl•l dinamica dcl disCacimt·ntu nel
fono ,k·i discorsi vuol i. de Ila noia. delle ambiguità."' Per ,I As PER s
sono le situazioni limite ddla vira d1c rirnrduno cnergiranw111t• il
movinwllt<l d: de..:;1<lc11z;1.'· I I. KL 1ll\' par:a di una seduzione t' di un
,1morc per il nulla, clic :;i n1anif,·sta nell'essere creato." Se questa

>pinra dn·e trP\'òlre un arrc>lo, ess.1 ha bisngno dell'afflusso di l<lr/.t'


dil'ini:. l' Il<"ff'·''tria b redenzione."'
Secondo L1spe1to ant ropolugico· pcrsorrnle, i I 'di chi· si esprime
nd decadere dell 'uu1110 verso il monologo c.:on Sl' stesso e nell'auto-
alienazionc che m: dcriva.'u Questo 1,11:,0 «\'ok·re essere se stessi».
che la psicologia riconosce nel fenomeno dcll;t lissazione .'' 1 comporta
sempre una perdi ca di forza personale e invorn la «salvezza ad opern
dell'irmmcro» (H. TKiJH).
Benché la c.:ostatazionc della necessità di redenzione non Jic<t si:
la redenzione Ji fatto ac.:cada o no, essa indica peri> per quale via op-
pure at/nivaso cbe cosa vi si arrivi, e quale: sia l'unica rosa attraverso
la 4uak si arriva a una liberazione e a un risanamento. Né è suff i-
ric111c al riguardo 1"1ppi:llu alla propria volontà e intelletw.': né lilll>
portare a una solu:r.it>nc.: un processo di individuazione nel senso di
C. G .. llJNt~. o lln•I co~cil•nza di liberti1 illimitata nello s\'ili1ppo ddl.t
esisten1.;1 tJA!d'l.ll :-. ). I nfoui la ne1:essi1à di redenzione è fondamen-
talmente nece .. sicj Ji inwnt ru Il tu perii che chiama al tlialogo
risananre e lib<:ratore. in tin tk·i conr i non può essere altro che il lll
divino: solo cs>o rnggiunl!l< wrri.;pondememcnte all'irnnwdi.ua
aperturot a Dio dl'llo sp1rir.1 11111ano, nelle sue più intime prufonJità
l'io biso~noso dr rc:den;r.ionc .M

''O;•·"'
"' M 1h 1ron.cE~ ,,.,,, 101.! 1 .. ,: r 1nti ss
~~ \\. l111l!F. ot 1:/ fi ,,.
(• D.;1 .\c":I'; ,,r,J :f..·, r.utc· pp l54·l~.f·
~ \l. ~ 1111.EI. ,.,, :I. f' .?.JO.
I

"' ...\ l\F.' '.'.\D~- .' 1:r l<.c!:.:.:•1•: p 1 .. s


., '" lh1~:. ".. . :· . I'!' lf'..11.
,._. ~ì '.1 J!:l\hl .mr.r.t: rt 'l:rl(J,.111,~· in l\.1C." \"I I li•l~~,J rin
·• J. lh11"1:ER. 'lkJ', in I i'/\ \' l•1C•rJI ~··· J J'll'J'Jfill'e LJUt"Sla comprcn.iom:
t•i:,, ftJm r~· 11:::: .. :.:n::c: i.1 m11"lcrn.1 Jn.1Jn.1 ,lrll't•si,h:n1J
AZIONE'. ANTIUPA'rA VELLA REDENZIONE
8~9

2. L'azione anticipata della redenzione

Se, a proposito dell'uomo e del mondo, si Jeve afiermarl' che essi


sono bisognosi di redenzione, e che questa necessità è loro propria
al modo di un esistenziale. cièi non deve fuorviare e porrnrc all'ac·
cettaziunc che queste realtà create debbano nel senso storico··salvi-
fìco cssen: statt: prive anche Jel piti pico>lo ~olf10 ~lelh1 grazia divina
rìsa1un1e, in quanto l'azione rcdcmrin: in Cristo non era ancora
presente. Piuttosto l'attuazione dell.1 redenzione è incominciata già
con il piano della redenzione. Infatti anchl· se per i tempi prima
della redenzione l'opera della redenzione pu(1 essere. stata 'fut~ro',
per Dio però la redenzione m rapporto a questo 'prima' della re-
denzione era già presente e operante a11iv.1mcn1e.

a. Considerazioni preliminari

Una discussione circa l'agire 'anricipato' Jdla Tedenzione. è ora pos-


sibile solo presupponendo che l'attuazione dcl mistl"ro della reden-
zione sia intesa come processo essem:ialmenll· f/rmm. Così per le
«religioni di redenzione» alle 4uali non imponi allatto una deter-
minazione storica della redenzione. questo tl'ma deve rimanere sem·
pliccmentc senza nmtcnuto. Ci(, per(, maniiesrn la JX'culiarità della
comprensione cristiana. che cioè la redenzione si attui! nella catego-
ria della 'sm:cessione' temporale: nel suo wol~iml'nto essa è con-
trassegnata sostanzialmente da fatti storici. D:1 questo punto di vista,
la redenzione ha necessariamente anche un 'prima·. Per l'esatta
comprensione di llllest'.' aspetto ~ n~rramC'ntl" necessario il met<Xlo
teologico positi\'o. A una trnttazione della redenzione esclusivamente,
o prevalentemente, speculativa e astratta. qul"sto complesso di que-
stioni rimane rm·duso. Tutta\'ia il 'prima' ili rni ci occupiamo non
lo si può f;Hl" din·nrarl" un 'prima' puram.:nte nonnlogico, un tempo
Lhe precede l'atto redentore. Ciil avrebbe come 1:onseguenza una restri·
zionc in)!i11s:iìic11.1: l'a;:io:ie anticip;1t.1 · dt•IL1 rcdcn1ione rait~iun~e­
rcbbe solo quella umanità che è viss111;1 ndl'intervaUo tra la caduta
e l'oper:1 'illirica ~lì Cristo. ln\'en· anrhl· d11;-,.1.Cristo c'è ancora gran
parte dell'umanità ~·hc si i.· trova1.:1 e ~i trova rispetto all'atto reden-
:-IECESSITA Ili HFlll'.NZ!ONt: ~EK L POMll
0

t0re interamente nella condizione del 'prima'; e per questa umanità


perciò vale tutto quello che le testimonianze della rivclazium· stabi·
liscono per l'umanità del 'prima' temporale. Quindi, In dcsignaziom·
'operare prima' si fonda sulla convinzione che le forze della reden-
zione che operano salvezza non sono state applit'fttc di colpo "'lo
con l'azione dcl Cristo storico, né si limitano all'ambito di ciii clw l'
propriamente cristiano, bensl che dall'interno determinano in un
modo implicito, da analizzare pit1 <la vicino, le epoche prc-rrist ianc
e gli ambienti ancora al di fuori dcl cristianesimo, imprimendovi il
loro dinamismo <li grazia.

b. Teologumcni che creano diflkolià

Ed eccoci al discorso, talvolta presentato in modo gcncrit·o, su


«Cristo come centro del tempo». Esso si compiace freqw.,,tl'mcnte
di un certo quadro in bianco e nero, quasi la cesura operata dalla
incarnazione introducesse la divisione tra un tempo precedente, ddle
tenebre, e uno seguente della luce. La possibilità di scorge.e una
illuminazione interna e un incipiente rischiaramento della fase di
oscurità, è con dò resa più o meno impossibile. 64 Alle stesse conse-
guenze conduce la sopravvenuta concezione che il modello dell'atti-
vità salvifica soprannarurale sia quello della grazia come essa è con-
ferita 'ora' dopo Cristo,"~ e che perciò gli atti direttamente concer-
nenti la redenzione datino solranto dopo il parto verginale. Entram-
bi i modi di vedere non negano che il piano di redenzione sia pre-
parato dall'eternità. tuttavia esso prima della sua anuazione appare
loro unicamente come un decreto teorico, che pr.:so da solo non
dispiega ancora forza di irradiazione e di salvezza.
In questo contesto si devono nominare inoltre le spiegazioni <:or-
renti sugli aiuti che erano a disposizione degli uomini prim;1 della
redenzione: una di queste opinioni arriva a sostenere che tutta la
sollecitudine di Dio per l'uomo caduto, fino al momento dell'incar·
nazione. apparteneva solo all'orda na/uralis. e che essa garantiva una

... 1 Die c~schicl:t11heolog1e de; he1!1gen Bo111wenrura, !.hind ..·11


RA r/ISGEJ!,
,.,~ ... p. 6.
112. 11013
8' J BKKfS. 'O..r l'ni,·ersalismus des Heils', in lTZ ;\(r.,.64) 156.
AZIONF AN1"1CIP\TA DF.1.1.A REllE~ZlllNI 8.p

vita che tosse sccondo k leggi ddla morale naturale.:."" Altri S11ppDn-
gono che Dio. dopo il peccato originak-, avrchhc prl·so, mmc prov-
visoria misura di m:cessità, il provvedinll'nt11 straordinario di far
trasferire a 'meriti soprannaturali' lutt<.· le opcl'l' buone 11aturnli che
fossero st<lle auuate dagli uomini foio ali 'avvento del redentore.
Se<:ondo una tcrza spiegazione, saTebbcro csis1 iti sì, nd tempo pre-
ccdcntl' alla redenzione, aiuti soprannaturali di grazia, aiu1i che però
non sarebbero usciti dall'ambito di singole azioni, e che del ixsto
avrebbero avuto solo la funzione di render possibile una migliore
osservanza della morale naturale e una pii:1 sicura conosl·enza del-
1'unico Dio.07 Esaminando le loro premesse si può ricavare da queste
tre teorie un'idea comune: la sostituzione (implicita) del 'prima' e
del 'dopo' della redenzione con la distinzione statica e astratta di
'naturale' e '·soprannaturale'.

c. La testimonianza della rivelazione

aa. lndicazio11i indirette, ma fondammtali. · La i•olontà salvifica


di Dio. In considerazione dei documenti della rivelazione rig94rdanti
il Dio chl' «vuoll' sah·i tutti gli uomini e che vengano tutti a cono·
scenza della verit:Ì»,oe è difficilmente immaginabile che ci pO!\sa es-
sere mai stato un uomo, il quale non fosse mai stato toccato dalla
volontà salvitica di Dio per il semplice fatto di essergli toccato di
vivere nel periodo precedente alla rivelazione di Cristo. Se Dio stesso
ci fa sapere che egli vuole la salvezza di tutti, ciò significa assai più
della manifestazione di un 'intenzione in sé buona, ma per sé non
ancor giunta ad una attuazione concreta: ciò richiama il fatto che
questa volontà, indipendentemente dalla sua origine trascendente, rap-
presenta un esistenziale di grnzia, interno all'uomo, e che si traduce
in un dinami~mo il quale cerca di orientare nel profondo verso la
salvezza il vivo dl'siderio dell'uomo ...

,.... ( Àhl .an, ur.• \\"1 I Il" \X'l'I n I\'' X(JI.


,.y r f\\t;~I" .,,., , :•
'' ' "J .. ,,,._ 2 .•
,~. <'.t l.1 no1101:~· dc:!·." .. ~q ..·:11.J~1..· ..,Ot""Anna:t::;t~c ... \\·di .t:iC'hl· ~1' 1. pp. t 29-I '\\~
I ll!iO ' '
NF.CESSl'fÀ nL K~.Dl!H°/.101''F. l'l'K L't.:uMu

La parola riguarJante la lonf!.anim.ità di Dio. Da questo tema


oltremodo familiare al messaggio dell'Antico e del Nuovo Testa-
mento,70 si può ricavare con sicurezza: il modo di comportarsi tenuto
da Dio nei confronti dell'uomo nello stato di essere non ancora
redento, definito antrupomodiu11nente con 'longanimità' o 'attesa',
accenna ad un dono della grazia esp!icito che dispone alla sakena.
Esso non è propriamente ciò che la considerazione del termine
umano dell'analogia potrebbe far intendere: un sopportare e atten-
dere 'a hrnccia incrociate', un rinunciare a interventi punitori o cor-
rettori. uno star a guardare da lontano. Piuttosto, esso esprime soc-
corso nell'it111orc, e diviene con ciò. prescindendo de ogni possibile
espressione umana, forza nell 'ìnrimo stesso de li 'uomo: «Roncà di
r
Dio, che ·1 è per indurti alla conversione»11 'concime' cosparso
dcntro,n grazia che incita, spinge da 'sotto' e dal 'di dentro'.
I .\innuncio della pienezza dt•t tempi. 11 In vista Jel suo insoppri-
mibile rapporto col tempo e coi tempi, Cristo viene presentato nel
Nuovo Testamento sotto il segno di riconoscimento della 'pienezza'
e dcl 'compime11to'. Se ora si considera che la qualifica 'pienezza dci
tempi' spetta sempre a un momento, che in una visione retrospet-
tiva pu(> rnnsiderarsi come punto d'arrivo di un'evoluzione prece-
dente, continuata ed estendentesi in varie tappe. che dunque è più
conrli1sionc che 'nuova posizione', ne consegue allora per il nostro
contesto: il mistero della redenzione non ha incominciato la sua
attività, per la prima volta nel tempo, con la venuta del Logos nella
carm:; esso cm già all'opera anche nelle fasi precedenti a questa data.
Qui si <leve pensare sia all'ambito biblico dell'antica alleanza, sia
anche all'umanità 'prc' e<l extra-biblica prese insieme. Infatti l'affer-
mazione <li Paolo, sccun<lo la quale nella realtà di Cristo il tempo fu
portato a compimento perché si erano adempiute le Scritture, è
sostenuta non solo dai richiami <lei profeti concernenti la salvezza,
le profezie propriamente dl'ttc, bensì anche dalla testimonianza del

-:'i' l~um i ..~~ ;.2<1; 9.22: 2 l'<'/1· 3,9.


71 ,, fJ ~,, J ,., .

7.' / ./'. I ~,i t.J.


""1 l li -.Plitn intl't prl·:~uu umlt' "lcntn1 dcl tempo)~.
.\FIU1'1 ANlll.ll'.\l"A lll'l I ARI l>l'N/.10:-lf

miw. Jella universak· roscit·nza religiosa Jell'umanità. che attt·nde\•a


b rt·,lenzit111c. 7'

bb. T.'u,lfam.i:;,w11<· ilird/.1 <'d csplicit.1 - Il raccn11/o dclli1 (,'c1!csi


sul jll'ffa/n nrì.e,i11ak I.e ~q:ucnri osserv:wioni giustificano il fatte
eh..: parli dcil'dfic.1.-i;1 Jcll'a11111rc r'-·dcnton: di Dio . .-he s11hi10
,j
t·n~ra in azione diii momcn111 dd pecca:o: anziw110 il !'.i11dizi11 di
conJ.mna sull'uomo di\'l'nlllo colpeYolc non rappresenta solo una
rivelazione Jella 1?ius1 i1.i.1 wndk.11 iva." Per quanto riguarda il sm •
carattere di castig'-1, e!\SU viene prcsemato con una rilevante limita
zionc. Proprio nel punto piÌI importan1c. ciot· nel legame Jell'uomo
con Dio non s'introdun· in nessun modo quel mutamcnro decisivo,
che sarebbe da aspettarsi secondo ccl'astratta determinazione concet-
tuale».;,, Nonostante l'accaJuto, Dio rimane in relazione con l'uomo.
La sua disponibilità al dialogo sembra essere rimasta sostanzialmente
intatta. lnolrrc in modo sorprenJentc la minaccia della morte subi-
tanea non ha corso. «Non è questo un segno per dimostrare che la
grazia misericordiosa di Dio è all'opera anche già nel peccalo ori-
ginale?».77 E poi. come continuazione di questo comportamento di
Dio d1e indica 1:1 sua disposizione alla gra;r.ia, viene la promessa
della donna che schiaccerà il capo al serpente. 78 Come e~sa, al di là
di una consulazionc puramente verbale, fondasse una grazia real-
mente redentrice dell'umanità, si può non da ultimo \'edere nel fatto
che essa fu nuovamente confermata ad Abramo, Isacco e Giacobbe
e assunse una forma più definita presso Mosè e i proCeti.
L'entrata in vi~ore della n:Jcnzione non avviene semplicemente
dopo la sua promulgazione, ma è già inclusa in essa. Qucs1i due mo-
menti non devono esser separati l'uno Jall'ahro. Percii1 non sor-
prende ora più che la prima azione di Adamo dopo il peccato con-
sista nel dare alla sua donna il nome di Eva, madre della vita e

~" :\ 11 KL~11 \S. Dic u'tlS.f(',r~:h!ikl'c' Er!o1:..n~rt '" .:rtunr.. Rc::in 1927. r. \il.
7; (,c•n. {,14-2.J.
7o H. Sctrn1.1 .. K,,11/•ol1H·b1• l>o.~%1/i.(·TI. Padcr! .. .,-r. rs.,n. p 111-
i7 tl. Kt 'M:. Rc,·b1./cr.-ry.,ro1.I!. Ein~il·~tdn t l)'i/. p. 160 ( tr. Il. L1 j!.11H!i_6,·a:1tm(•, Que-
rinrnna. lln";·ia I.
:"- ( 1t 'I Cl~
8.J.1 Nl'.U\SSITÀ DI Rl'lll'SZIONI'. PER t'UOMll

dt·i vi\'cnti. Ciii ri111arrehbc incomprcnsihilc, st• Adamo avesse com-


preso la sentenza di Dio come una cbnclannA st·m:a speram:a. PoichC:
egli scopri in l'SSa una manifestazione della divina 111iserirnrdia, per
411t·s10 egli poti.~ trovan• il wrap..p,io di ~uard~m: il futuro sotto il se-
gno dcliii vi1a. e con ciìi 1111<.·hc della rcdt·nziont• dnl destino di
mort,'. 7" <)LK'~l~l i11tt'q>rctaziu11L· la fece propria già il libro dcll11
Sapù>w:.c1. «Qutsta I la Sapie11z<1] protc~~e il padre dcl mondo. il
primo 1101110, q11ando fu Cl'l';lto solo ~olu; poi lu strappò dalla propria
caduta, dan<.hi~li la forza di dominare ~u tuttt' le wse»."'' Alla ltKt'
di tale confortante 1estillloni:111za teni fa11i della storia ddlc reli-
gioni acquistano ora un signilil'ato che le l'araLLcrizza come 1ipiche
manifestazioni cli una prova d'amore divino dtt' prct:cdc le rt~Jen­
zionc stessa. Così k immagini, rnn le quali ndl'Antku Testamento
viene descritta la tcrrn promessa, cioè mansm·tudinc delle fiere, ci-
bo celeste, !arre, miele, meravigliosa ft:nili1à, eliminazione delle
armi, hanno la loro origine nel mondo miti<:o cxt.ra-isreelitico.~ 1
Sia cht: in t:ssc si scorga un rirnrdo delle origini, sia che si compren-
dano come espressioni dd presentimento che la situazione attuale
non è quella vnl11lil originnrianwntt' da Dio, in ogni caso esse espri-
mono il vivo rimpi:into llcl p:uadiso pt"rduto.s: Una situazione ana·
Ioga si cmtat11 nei rnnfr.mti tldl'atksa tltl pNtawrc della salvezza,
nata da <Jllt."!>lll 11ost;1lgia e propria ,(ella cosci1::-nza rcligio~a ·univer·
sale: il suo svolgillll'llto l'Ssa lo r.-uva nell'idea della nascila sopran-
naturale del Salvawrc e dcl 11·gno di Dio. 11

"' l :t. k '"',oen·a11on: pnrinenr: in 11. Snrt.11., o('. "''. p. 32~ ss.
*' S.11> (O.I 'S.

" \~' E1t llKO~I /!Je,.fo;:,1r ''"' .'1/1,·1: To1.1111rnt• r. l ... i1»ig '1~\9 .. p. 252, nora
~: ·~k"si~srrw.u111ni:' rn flJJJ: RL, ''H·
"! E U.\CCJl!E. P.i) r·< •!u,.~·':r· P:1r.:ll!n /ur .\,·,·/,-,,l..,''1 lirchtt' Jc•1 .\fi·nrcbc,.r. Ti.i
bjngcn iI9'l1. L-.,,..p~:d1:1in . .· .11 pJrohl: ...... nl·ll.1 ~u.i f11t~11.1 't."(olaru.t.....1t.1. (· !ii\·iluppa:a
nel modo pili im '''\''' d.a TI1 \X'nlfl"- u.Ahh:tndt 1na b ,,., r.t <li ("',Jj h~u fatto ._~;,pc.
rÌe;il'.I. pt"r ll'."! 0 :•,pc·~-::."!1/,I mag~hl:t-: l:\1\":I :Ili pat''l'. r111 }'.e!Jn (" :.'l:Ù C3r'' dell3
patria. piìr ,·••hl dt·l!a ••·rra: un !'-•::se. <ul quale J'OAAiano le colonne di questa terra•
l)'nu C111'1 <;,, """'" :l~.:i11. N.,w Ynrk :<J.Jo. r :-~''·
" Ci :\ "R~ " " ' ur .-i: ( ;!, acn-nam.:ntr di e l1. .I• ''1G dru l'ard1c.-tipo di re-
,tt.·ntPrl' k1iC.·.i1ir/_,.til' 11c.·1:·11k."'':1Sl:Ìo l"olkrt1\'0 d~nno a ci\l un non irr~lt"Vanlc.• appo~io:
d R llo~nr:. vr . I! pp ro-2:-': secon.lo Il l'lllfllt:KE. ·11..-,,fn1.1« hr Fthik
11 ' 1. p i61.(• an . . he 1"1dc.1 .:l.h~1,·.i ddranima 'be1Ia' rul1 C''-\.e'r ddlni1a ,·omc una
ft-.:-ma !'t'C'1'l.ari:rJiUtt .. cf..-ll'11nir~ ciri,inaria f' riacqni~1;11:1 rwlf;i rt"th·u .....iont .. _
AZIONF. ANTICIPATA DEI.I.A REDENZIONE

Un approfondimento teologico porrà anzitutto in •·ela:zione le in-


dicazioni della Genesi sugli effetti anteriori della grazia dell11 n·den-
zione con l'ipotesi, oggi quasi rnnrnrdcmcntc accettata, che cioè
lo stato dell'originario legame di grazia con Dio propri1> Jc:ll'11111no
dcl paradiso (i11stitia origi11a!is) non fu così complet;um:nLc 1111nul-
lato, da non rimanerne neppure un resto: scintilla baluginante, ma
non meno per 4ucstu luce autcnLica .....
Non si ha ora certamente una concezione impropria se questo
elemento di grazia, da caratterizzarsi nel giudizio sullt1 dotuina Jc:llo
stato di origine quale 'residuo', lo si spiega, nell'impostare la con-
siderazione globale ddla storia della salveZZ!l e in prospc1tiva dcl
futuro, come prima caparra della restaurazione promessa. L' 'agirt!
prima' della redenzione sarebbe, per conseguenza, identico ali' 'agire
dopo' della iustitia originalis.
Altrettanto decisivo è però tuttavia anche il facto che dopo il
peccato originale l'uomo pur peccatore continua ad esistere. Ci(i
viene normalmente accenato come cosa ovvia e sembra rendere
superfluo ritenere il mistero della redenzione come ragione del (X:'r-
manere dell'uomo nel!' 'essere uomo'. Secondo la concC?.ione rra-
Jizionale, la na1ura umana non fu din:ttamcnre intaccara dal pt.'C-
cato e dalle sue conseguenze. li suo permanere tale è perciò effl·tto
della 'entelccheia' rimasta int:u1a, di ciò che è creato, e della pru-
11identia Dt•i 1wtura"5 lht: in e~!ia si C$primc. Tutta\·ia una val111a-
7jone teologica non po1rà fare a meno <li riconoscere nel provvedi-
mento al quale la Scriuura amibuil'ct! la continuazione dell'esi-
stenza dell'uomo divenuto pccrnwn:, cioè la sospensione della mi·
nacciata morte, il primo irilllO dclla grazia rC'dl·ntrin·. Inoltre l'uo-
mo è debitore alla reck·m:innl' (e non alla sussistenza onrica della !ill3
natura rimasta immune di f rontc al pt't'caro J, se egli nel peccato e
nonostante es.tt.n rimane m·ll'e<:isn:nza e rimane uornou In qUt:sto
senso si dcvi: in1t.·ndne anche l'o.,.servazionc di KAR L BARTli: .. La

.. B Sn,, e lo..! I. I ko!i:,~ .. ~ .. :m l't·:, ... ,1.dt• 1 r: ,\ . ~, :11;'('!: : ,. Pr1 '''!\!Il.li'~, .. ~:..·.. '··
:ur\'cr)JO):C"O' !l~h."h ll~·r (. u.:(,;\.'\ la.rn ·. 1~1 f f/ 7l l I q(1 ~I I\ ' '
"~Il K.t•sc. n(' .r: p 1f•1 .. t.11 1 Ì 1' pt'ù.1:ou· ~1.1 ~hl"·• ..:1.11111mJr<.· .1 ,u,,1,ll: ..·
L nl.'"! ·•11111' , •. 1.... :,1c.·Tt· ... ·nw 1 u11tH• l'.lflc.·ltp.1 Jl:.1 ~rJ1:.1 do.·:l.1 r:,:cn1:t~nt.···
NF~'.HSITA 01 Rfllf.~711"1. Pn 1. '"''"'

cunser\'azione della creatura da parrt' di Dio creatore ~•~nìho1 lht·


Dio l'ha giu<;tihcata».80

cc. li Cristo dagli inizi in poi. - In Cnl. t .26 Paolo descrive il


messaggio della salve7.za come il «mistero naS(."Osto da secoli e da
generazioni», ma che ora è rh·elato ai santi di Dio ..,,
In ciò si tro\·a espressa una duplice realtà: la parola di Dio al-
l'uomo articolata in Cristo ha un 'prima', una preistoria, e ciò al
punto che essa si può alla fine intendere come l'cfieuo Ji ciò che
la precedeva. Essa non risuona dunque per la prima volta con la
nascita storica di Gesì1, e neppure per la prima volta con il peccato
originale. I.a sua datazione risale ancora più indietro: essa trova la
sua origine direttamente già nel mistero della creazione.'' Quindi,
durante la sua preistoria il mistero della salve7.7.a era 'nascosto', non
era ancora j!iunto a piena espressione. Questo non significa certa·
mente che questo mistero in tale situazione di indeterminatezza
fosse qualcosa di morto, di privo di for.t.a propria. Come anehbe po-
tuto altrimenti Paolo affermare con tanta sicurezza che i pagani
sono i «vasi di misericordia» e dire loro che Dio li aveva «disposti
alla gloria» ?'9 Infine, il prologo del vangelo di Ciovanni fa eflica-
cemt·ntc capire che il mistero di Cristo comunica ad ogni uomo sen7.a
eccezione qualcosa mmc un'«ini7.io di figliolanza divina»."°
Tutta l'enorme parte di umanità fuori del popolo santo ed eletto
è dunque inserita nell'amore redentore di Dio, e «fondamentalmente
illuminata dalla luce di Cristo e della sua parola». 91

""I\.. HARTll, /\/) 111i1, Zi11·id1 1•q;, p .pii: mowndo di qui risuha romi•r"n
si bile anche il do\'l're per tt11ti 1tli uomini rwi mnfrnnti della rcli1tionc d<"lld 'rea·
1ionc; d. Sap. r 1. ·TJci.lenlwhhrn11g', in HJ,1~ RI .. 6;2.
51 Similmcn1<· anrhe la l<x·uzionc di /.'r•h. 1,9 drc d"l mist.-ro di C:ri,tn ~".-ri"C'e
dre c'so era n~sco•w tìn dalle <'rigini in Dill, rlll' 1111111 IM ne;110.
llS I I. Kiir.G, op. cit., p. i66: «:-.l!'llR rn·a1ione di fa110 ~ 1ti:ì radical<> m1<1.-ri11,a-
rnentc 11 dc.·cr<"to t'tcrno di sah·l·z1.3,,
llq /.:,o,,:. l),2 ·~: :noltre I<nm 9,1w ((St• il Si~11nrt• nnn e: n\'Cfo.o;.e Lt,c.:iatu un sc:-rnr .... _
'IO A..h.REMIAS, op. 1 il., p. 7.
•I 11 t' \' 13Al.Tl!ASAR. \'rrh:wr <'Jro, Ein'il'clc!n l<t<'O. p. 4·1 <fr. r1. :\l11rr.-llian•,
!'.resn.11; :\. JERF.MIAS, nf> àt, p. 172: "'PTllftUlt<> anrhc 11 RAllNl'R, I'""""'''""
.\fwl•1•1 :•1 ,-.l.ri1t/1,-.f.er Pt"u/1111)(. Ziirirh 111.p. R·t I.
847

d. La J.111ri11a dci padri

Am:ura molto pl·r ll'llll'O si fa strada nella tt•olni:ia cr1st1ana ! 'ide;1


che 'prima dd tempo' fu preparata pl·r gli uomi:ii la speram~a della
vita e ddla ~alvczza in Cristo, e che si ,k·vc proprio a •llll'sto se il
genere umano si è ronsl·n·am nella sua l·sistcnza. In special modo
è stato ArA~Astn chl'. attran·rso la distinzione tra evento della
redenzione e preparazione alla redenzione, ha reso possibile la com-
prensione teolugi<:a del nos: ro assunto: «La grazia portataci dal re-
dentore è apparsa da ultimo ... ; essa era stata pcrèi preparata prima
che noi esistessimo o piuttosto prima della fondazione dcl mondo»."2
In questo contesto si colloca anche la concezione di Agostino sulle
missioni invisibili, le quali, ancor prima della missione visibile del
Figlio, e prima del dono dello Spirito nella pentecoste. sono state
inviare al genere umano." Una speciale concretizzazione, tuttavia, la
coscienza di fede sull'agire in anttxedenza della redenzione la spe-
rimemè> nell'idea della continua educazione del genere umano a Cri-
sto, trovata per primo da IRENEO .. e comr..letata dagli alessandrini.
L'osservazione di CtE:l.1ENTE. che Dio attraverso la filosofia entrò
con i greci in un rapporto paragonabile a quello del patto mosaico,95
mostra chiaramente quanto si fosse: stati disposti a \•edere sotto il
segno dell'economia divina, che tutto governa, anche l'umanità non
favorita dal dono di una religione rivelata.""

c. Note sistematiche

Se si cerca in conclusione una risposta alla domanda su quali siano


stati, dal punto di vista esistenziale, gli cfleui dell'agire in antece-
denza della grazia della redenzione, si dirà, sulla base di 4uanto già
accertato, che sono rnstituiti dal fatto di un'apertura unica della
coscienza umana e dalla ampiezza di tak frnomcno. I·'. questo in du-
pli<:c prospettiva:

Q: :\TA;-.;A.'\IO Contr,1 A,,,,,,,. . Il.;"' 7~. T'<; 26.~11('1 'iif..

•.i Arn1STl:-IO, />1· Tri>11/11lt• 1.~.2n. I'/. .p.'>'I/.


a.i IKl-.NEO, A,fr H.ur. 1v.1x.1~ 'Frli1'11n1:'. in /{:\C.' v1119h6i 114.
9~ C11:M!::NTE !\1.1:.ssA"11lHl\'ll, \'trom I J.0.1
'"°' 'Frlils1111µ', in !\ \( \'I ( 111'1hl 1 ;X
r-,,•,t:t.~SITA 111 HFDF~'-:ZIO'ffi rER L'UOMO

aa. Dove ndl 'amhi to della vita urnana ~i intensifica l'esperienza


della nullità, della disperazione, tlcll'assurdità, dell'nbissale vuoto e
abiezione ddl'csit>Ll'llZa, là scmpH: si dcvc ricono,;ccre nna promessa
di grazia che porta salvezza, anchc Sl' i dtati fenomeni possono ap-
parire :id 1111a prima ri!lcssionc l'llllll'. ,·ondizionati dall'abbandono di
Dio.
Ncll'c~pl·ril·nza di così amare sorti si fonda - secondo Il. ScnELL
--- il «sacramc1:to dcl pagane~imo precri:iliirno». attraverso il quale
esso «plll'll'dpava silcnziosanwnt•' alli! grazia di Dio».°; Un'osser-
vazionl· si111ilt" ln fa I!. T1111-:1.1cK1·:,"" quando dicc che l'csistcntivo
accorgcrsi dell'inquietudine, dt:ll'inskllrczza e dell'angoscia, che so-
no tipici segni di riconoscimcntti della rnmprensionc prcbiblica del-
l'esistenza, in ultima analisi non manift:~:ta l'assenza di Dio, bensì la
sua 1)rescn7..a. E questo è effetto di un;l grazia che già si è avuta,
esprcssio11e di un essere toccati dall'amore as~oluto.

bb. L'intervento della ~razi:1 anteriore alla stessa reden1jone.


nell'ambito dell'cspel'icnza spiri111ak· trova la sua presentazione
nel modo piì1 vivo e convincente in quell'elementare aspirazione
proveniente dal centro della persona, che spinge ogni uomo a sop-
primere la sua sofferenza più profonda, che continuamente lo mi-
naccia, la scissione intima e la solilUdine, mediante il trasferimento
di una forma di esistenza di assoluta bipolarità con un tu a.%oluro."'
Scienza delle religioni, psicologia, filosofo1 e letteratura si sono date
da fare proprio in questi ultimi tempi, per conoscere e manife~tarc
questo fenomeno. Si imparò ~ capir~ 1:hc la sna esistenza non è in
nessun caso riconc.lucibilc ad una rl".17.inne primordiale dell'uomo
ancora inesperto del suo divenire rnnscio di se stesso, ma che qui
piuttosto è messa in discussione una rcalt<l che, pur in tutta la sua
comprensibilità psichica, 100 tutlnvin non si risolve nell'empirico: l':;sa

Q7 IL Sn1F1.r.. 1'.1tl•o!i1·J" Dogm,11il- 111/i, l'nd(•l'l'<•rn 1l'92, pp. 1 s.


''"' ll STOJ-.CJ\:l.L. nc,),/crium 1~t·1·smhdc· cii,, pp. I }l.
'"' 11. \Xlvss. nù· lù'/i·11pn·cho!of../.c:,·h,·u Sd111:',·r1 t•(l11 d,.,, Anfll1rr.c11 bis :;ur Gc.::g,cu·
u•,n·t. (_;(itting,·n 1<161. pp. u6 55.; \'I:. l'n:-11:1. /.lc•r 11nhcw11.<.<!c (;011. \\;'lcn 2 19+"·
p. l)I; \V./. DAl~l. 1!(> cii. p "'+·
a.IO P. K. K1_1Rz. f-lrn1,.1n11 Brr,clJJ '.~'r-l1fi1,l11·,1•1·1l!r"1 '-Trdo.r!fr uis ze;tJ~rili.rrbcr Er/;i-
sun,'.!,.\ rn.'11.rn, :..-lt .. pp. ~~.~.l)S. Pi1rtt·1hh1 ~1; q 1.1i 1t1Hhl· ~-l .;per:lnza nlggilll1ge la sua
A;'IONF. ANTICIPATA DEI.I.A RFOP.!';ZltlNE

si è radicata nelle rnnc.lizioni ontologiche dell'essere persona creata,


e poi, tenuto rnnto liclla situazione storico-concreta dell'uomo, as-
sume proprio la forma di una «speranza di redenzione», di una no-
stalgia della salvezz<l e della nuova vita. Il tentativo di una valoriz-
zazione:: teolngirn dell'universale situazionc di fatto dovrà innan7.i-
tutto inserir~i e acrnrdarsi con la dottrina tramandata del desiderium
naturale in 11i.1·ùmem hcatifict1m, cd inoltre però indicare complemen-
tariamcntc che questa esigenza naturale è fìn dalla sua radice un'esi-
genza della pt•1·so11a, e, considerata dal punto di visla storico-salvi-
fico, un'esigenza di salve'1.Za con im1mmta suprannaturale. Questo
piì:1 da vicino signi!ica che ogni volta che l'uunv>, guidato e spinto
dallo stimolo della sua hrama origina~ia, si apre alla speranza della
redenzione, egli è già inves1i10 nell'intimo dalla realtà redentiva
del Logos incarnalo e in lui il cristianesimo precristiano è divcnuro
realtà."11
Ciò perC:: che accade in tal maniera nell'elargizione nascosta della
grazia, non si fonda su interventi di Dio sporadici e isolati, che
arrivano a nl'Ì dall'esterno, ma piuuosto in un continuo influsso cui
appartengono certi tempi forti, ma che tmtavia non si esaurisce in
questi.

forma specifica: css;1 non è per nulla solo rkerca intorno al fenomeno •tempo,.:
essa s'intende pi1111os10 in ultima analisi <"omc rca-.ione alla esperienza dcl fallo che
l'umanità diferta di integrità ~ <li »rlute.
101 A..h:REMIAS. op cii., p. 16<J.
SEZIONE SECONDA

L'UMANITA 'EXTRABIRLICA'
E LE RELIGIONI DEL MONDO

l. L'umanità extrabiblica

a. Riflessioni preliminari

Anzitutto sembra opportuno, a scanso di equivoci, dis~inguere in


maniera pi\1 esatta il concetto di 'umanità extrabiblica' da quello di
'umanità prcbiblica'. Quest'ultimo viene di solito usato quando si
tratta di indicare in modo più preciso lo spazio di tempo che va da
Adamo <illa vocazione di Abramo. Tuttavia anche di questa rigo-
rosa delimitazione di tempo non si può ritenersi soddisfatti. In
concreto si deve aggiungere all' 'eone' prebiblico l'umanità che si
trova fuori dell'alleanza di Abramo e più tardi fuori di quella israe-
litica, come pure tutti gli uomini che dopo Cristo non si sono mai
incontrati, o che non si incontreranno mai con la rivelazione di Cri·
sto. Già TOMMASO sostiene l'opinione che i pagani dopo l'avvento
di Cristo siano nella stessa situazione che gli ebrei prima di Cristo.'
Se ora si tien conto che, in corrispondenza a questa estensione che
si deve tener presente, \''umanità prebiblica' concerne anche il pre-
sente non solo per i popoli primitivi che storicamente apparten-
gono al passato insieme con le religioni naturali prebibliche in senso
temporale, ma anche per gli uomini dei nostri giorni che per vero
sono storicamente «up to date», ma che non sono raggiunti dal
messaggio della rivelazione e in conseguenza non giungono a nes-
suna conoscenza del suo contenuto, allora, se si vuol essere più esatti
si deve parlare complessivamente di 'umanità exttabihlica'. Ciò non-

1 ToMMASO o'i\Ql'INO. Esposi!. in s. Parili apo.<1. ~pi<!. ,,J Rom. 2.14; m proposito
J. R1rnL, 'Das I Id cks Nichlevanjldisierten nach Bonaventura', in TQ 144 ( 1964·1
276; ID, 'Ràm 2,r.1 ss. und das Heil der Heiden hei Au!(Ustinus und Thomas', in
.\",·f,old</iJ.: ~O (196~) 18<)-}I \.
t:MA:-l!TÀ EXTRABIBLICA F. Rf.J.IGIONI DF.L MONDO

dimeno, per rilevare con certezza il giudizio della rivelazione circa


la situazione storico-salvifica di questa cerchia di umanità, si dovrà
prendere le mosse innanzitutto dai passi nei quali fa Scrittura, con
lo sguardo rivolto al passato, cerca di penetrare i diversi stadi della
umanità che le sta davanti nel tempo, e precisamente l'epoca prima
di Abramo.
L'elaborazione di tutto questo tema può essere di grande ur-
genza e attualità: il cristiano moderno non vuol più pensare che
l'umanità extrabiblica abbia dovuto svilupparsi in un oscuro paga-
nesimo lontano da Dio cui soltanto attraverso una porta di ser-
vizio difficilmente accessibile fosse reso possibile l'accesso alla sal-
vezza. Inoltre, egli non sa che farsene di quella spiegazione acco-
modante di vecchi teologi (Bll.LOT, GUTBERLET) secondo la quale
i pagani adulti sono da giudicare alla stregua di bambini per quanto
riguarda religione e morale: sono cioè incapaci di vera responsabi-
lità propria, capaci solo di uno stato di salvezza che è eguale a quello
dei bambini morti senza battesimo. Consapevole degli indubitabili
valori umani e religiosi del paganesimo, come anche delle insuffi-
cienze della propria religione, colui che ha la fede rivelata respinge
oggi da sé tutto ciò che potrebbe dare all'uomo extrabiblico, per
una considerazione cristiana, il marchio di -cittadino di seconda
classe, e che gli potrebbe assegnare soltanto un'estremamente mo-
desta possibilità di salvezza.

b. La dichiarazione fondamentale della fede rivelata:


la provvidenza salvifica di Djo per l'umanità extrabiblica

aa. I contatti del popolo eletto con i popoli limitrofi pagani, co-
me dimostrazione di misericordia divina verso i popoli pagani. Il
popolo d'Israele eletto da Dio per portare e rappresentare la storia
della rivelazione condusse la sua esistenza non come una riserva, la
quale chiusa da ogni parte ermeticamente. da una 'cortina di ferro'
non abbia permesso alcuna legittima presa di contatto con· i popoli
limitrofi, e che cosl lo abbia condannato a una permanente clau-
sura. La elezione da intendersi nell'accezione comune come segrega-
zione, deve portare alla negazione, gravida di conseguenze, di una
UMANITA EXTRABIBLICA

storia della salvezza universale. La Scrittura stessa c1 insegna che


Israele stava in un rapporto che si può definire, tenendo presente
la sua particolare missione, come veramente troppo ardito, in un in-
contro vitalissimo con i vicini in campo politico e religioso: con
l'Egitto e l'Assiria e perfino con Sodoma (intercessione Ji r\br.1mo
per questa cicrà) esso vive in un'oltremodo profonda comunionl' di
destini.? Questo lo si può considerare stando alla storia profana. ~·o.
me cosa inevitabile; però sotto il punto di vista teologico con-
tiene una dichiarazione di importanza straordinaria, che cioè i paga-
ni non sono esclusi dal decreto di grazia che Dio ha sopra il suo
popolo, ma che anzi, essendone anch'essi oggetto, testimoniano la
universalità della provvidenza salvifica di Dio. Da questa visuale
appare chiaro il perché la religione israelitica, malgrado la sua C9Clu-
sività, è rimasta aperta fin dall'inizio all'ingresso dei vicini popoli
pagani (Rahab e Rut). Non ha poi importanza che, storicamente,
soltanto piccola parte della intera umanità extrabiblica, per il suo
rapporto esterno con il popolo eletto abbia sperimentato questa
benedizione; questo piuttosto è da interpretare secondo i prindpi
della pars pro toto cioè della rappresentanza. E questo tanto più
in quanto già in Abramo tutte le genti della terra furono raggiunte
dalla benedizione di Dio. 1 E cosl nell'umanità non ci sono «ambiti
vuoti quanto alla storia della salvczza». 4
bb. Il consolante messaggio del libro di Giona. E. il merito parti-
colare di H. JUNKER l'aver dimostrato essere il carattere universale
della salvezza divina tema proprio di questo scritto che sembra cosl
sorprendente a un osservatore superficiale.' E. importante a questo
riguardo prima di tutto il fatto che il racconto si sia formato in una
epoca nella quale fanatici nemici dei pagani non potevano ammet-
tere una provvidenza divina di salvezza che riguardasse altri am-

2 Ezech. 16,,, ss.; d. Rom. 11; H. U. v. BALTHASAR, Thenln.,i1· drr l.erchichtr,


Einsiedcln 1959, p. 49.
3 Gen. 12,3; 18: 22,18; 26,4: H~ag BL, 'Hcidenbckehrung', pp. (q2 s.
4 P. ScHOONENBERG, Gol/es werdendt W elt, Limburg 196~, 144 1tr. lt. Il mondn
di Dio in evolu?ione, 'Giornale di 1eologia' zo, Queriniana, Brescia'1. <J. anche Ibidem,
p. q5. v. anche Mvsteri11m Salutis 1/1, pp. 9r-91>; q1 s.: ltl<J.
5 'Die Erforschung der literarischen Arten und ihrc Bcdcu1un11 filr die Au&IC11Ung
der Henìflen Schrift', in TTl. 71 ( 1Q64) 119-144.
UMANl·TÀ EXTRABIBLICA E RELIGIONI DEL MONOO

biti. Piuttosto fanaticamente legati a .un particolarismo che garan-


tisse soltanto gli interessi di Israele, esigevano appassionatamente
la condanna del mondo pagano. Proprio del profeta fu smascherare
senza pietà l'insostenibilità di tale posizione e metterla in ridicolo.
Giona sentl compassione verso 111 pianr<1 di ricino. ma si rifiutava
caparbiamente di concedere che Dio avesse compassione per la gran-
Jl· città di Ninive.
( 'ome il recalcitr.mte Giona, i lcuuri Jd libro devono capire che
nessuno può interpretare i messag~i di condanna sui pagani, contro
la ,1uwrivelazione di Jahvé che si presenta quale Dio che rivolge
11 tul!i senza distinzione la su11 misl·rirnr<lia. Inoltre. dal modo come
Dio tratta Gion11, e in lui lljlnuno che intendesse la salvezza come
riservata a pochi. appare chi11ro c·hl· questa volontà salvifica illimi-
111111 l·he non deve esser imhri1diat<1 da nulla, non rappresenta il
propostco, anrnra int:fncace per il momento. da realizzare soltanto in
un più tardo futuro. ma indil'a 11n presente immediatamente attivo:
vi si dice che Dio Ì' già propizio verso i pagani. E cosl vien negato
apertamente c-he 4uesto ·e~scre propizio' comporti solo un'intru-
sione: dell'umanità extrabiblica nd recinto Jel popolo eletto.

c. La dottrina della rivelazione


suidi 'esist<"nziali' dell'umanità extrabiblica

aa. Le tracce della rovina· crescita dell'ateismo e appro/ondir11


della colpevolezza. Per quanto ciò possa sembrare duro, la sorte della
umanità prima di Abramo trova proprio e immediatamente nella
riflessione biblica la sua interpretazione come tempo del peccato, di
un allontanamento da Dio e di una colpa crescenti. Questa fase che
comincia con la cacciata dell'uomo dal paradiso terrestre va fino a
quel momento della storia in cui Dio, pentitosi di aver creato l'uo-
mo,' fa sì che il mondo formato dal caos delle acque si sommer~a
nuovamente nel caos delle acque.7 Il fatto di Caino, il diluvio. la
torre di Babele presentano un umco conio: il carattere di un im-
pulso alla distruzione.

• Gt>rr 6,6
7 1 Petr 1.6: Il U. v BALTHASA•. TheoJogie tler Gt>schichlt', I'· 11.
UMANITÀ F:l!TKABll\l.ICA

Preludio e prefigurazione: il fatto di Caino. La prima colpa che


la Scrittura riporta dopo la caduta, il fratricidio, come anche gli
avvenimenti a questo immediatamente connessi,' consentono di pe·
netrare profondamente il senso della rovina che ne viene agli uo-
mini: chiaramente la più grande tentazione per l'uomo diventato
peccatore, che ha rotto i rapporti con Dio, è di rompere i rapporci
con il 'fratello', di non riconoscergli la sua individualità, di perse-
guitarlo con odio e di ucciderlo (per quanto poi il sangue del-
}'ucciso gridi al cielo e denunci come la rkerca del fratello perduto
appartenga alle esigenze più profonde dell'umanità). Il racconto bi-
blico è preoccupato anzitutto di mettere in evidenza il fatto che
l'uccisione di Abele va attribuita all'inclinazione al male.' Essa vie·
ne descritta quasi come una potenza personale («è in agguato alla
porta»), la quale tuttavia non appartiene propriamente alla natura
dell'uomo, e pertanto non costituisce una necessità ineluttabile l«ma
s~i tu che lo devi dominare»). Ma appare anche chiaramente 1.:he
questa esigenza si volge quasi irresistibilmente alla morte, all'an-
nientamento della vita. Particolare risalto trova infine il comporta-
mento di Caino dopo la sua azione: l'assassino costruisce una città.
la cinge di mura.'° Ridotto in solitudine, egli cerc11 di mettersi al
sicuro dalla comunità degli uomini e al contempo di acquistare po-
tere su di essi.
L'aspetto negativo del racconto del diluvio. Il tema dell'uomo
che ha rotto i rapporti con Dio e con il prossimo, dell'uomo abban-
donato a se stesso e all'assalto delle passioni, trova la sua continua-
zione nel racconto del diluvio. 11 Circa il suo contenuto storie~
salvifico non c'è dubbio alcuno: un ulteriore sprofondarsi nella r~
vina caratterizza la situazione complessiva dell'umanità: «Jahvé vi-
de che la malvagità dell'uomo era grande sulla terra e che ogni
disegno concepito dal suo cuore non era altro che male tutto il

• e;,.,, ...
9 Circa le racnti indicazioni rillllardo alla do11rin1 vc1cm101amm1aria su •Jncr
hara• vedi 8. Srnu:ur. 'Erb•undigc Bcgierlichkci1 . wci1c~ Erwqungcn zu ih~r
d1colo11ischcn und amhrupologischcn Gcs1ah', in MTZ 14 ( 1963) 240 s.
IO Grrr .pj.
li r;,.., (, R
UMANl1'À EXTRABIBLICA E RELIGIONI DEI. MONDO

giorno». 12 L'uccisione del proprio fratello operata da uno non costi·


tuiva cosl un caso speciale, isolato. Con Caino e come lui l'umanità
intera incappava nei lacci dell'inclinazione al male, che è in agguato.
Sotto la dinamica del male l'umanità si evolse con paurosa coerenza
verso la sua fine e verso la sua radicale distruzione. Con ciò essa di
fronte a Dio ha anche perduto la giustificazione del suo esistere.
Quanto importi alla Scrittura affermare che l'uomo fuori della prov·
vidcnza salvifìéa di Dio a causa della disposizione, che ha fatto irru-
zione in lui, di cedere al male, non è più sostenuto né sopportato
dalla terra, lo mostra il confronto con le analoghe narrazioni babi-
lonesi: queste attribuiscono il tramonto dell'umanità ad opera· delle
acque prevalentemente all'umore e all'arbitrio insondabile degli dèi.u
La costruzione della torre di Babele. Nonostante i1 diluvio uni·
versale, la tendenza dell'uomo alla rqvina non ha segnato nessun
arresto decisivo: è questo il senso della descrizione simbolica della
costruzione della torre. Tenendo conto dei dati di fatto precedenti,
l'intento particolare che questa descrizione si propone non può esser
minimizzato: essa cerca di dimostrare che le tracce della distruzione,
impresse dall'azione di Caino e dal diluvio, minacciavano di sfociare
in un ateismo di dimensioni veramente globali, in una divinizzazione
assoluta di una potenza umana immanente. A questa conclusione
·conducono i particolari costitutivi del racconto: non è la costru·
zione della torre come tale a essere condannata in primo luogo,
.bensl la fondazione della grande città. L'intenzione degli 'ideatori
della città' e dei costruttori mira chiaramente a farsi un nome_
, . ea
dimostrare che <<noi non ci disperdiamo sulla superficie di tutta la
terra».14 Questa istaurazione di un simile centro dell'umanità non è
tuttavia nell'idea di Dio. Essa svela piuttosto la radice di ogni umana
hybris: il no al regno di Dio, il tentativo di portare violentemente
il cielo sulla terra, cioè di dare alle dimensioni e strutture dell'essere
mondano gli attributi del divino e dell'assoluto. 15

11 Gen. 6,5.
IJ H. JUNKER, op. cit.
14 Gen. 114.
1s H. JUNKER, op. cit., pp. 1 l·f-l ~<>·
UMANITÀ F.XTRAlllBLICA

bb. Le tracce della misericordia divina: interventi e 'irmzioni'


della grazia. Accanto al progressivo momento discendente della di-
struzione si muovono, raggiungendolo, superandolo e attraversan-
dolo, dall'ambito vitale dell'umanità extrabiblica gli interventi della
provvidenza salvifica di Dio. Essi fanno capire che Dio non è di-
sposto a lasciarsi strappare di mano l'iniziativa abbandonando cosl
l'uomo alla perdizione assoluta. Dio provvede, d'un tratto, a Caino
divenuto colpevole della morte del fratello. Si deve esprimere sim-
bolicamente che il peccatore, anche se giustamente per sé passibile
di morte, può contare su indulgenza, protezione e assistenza sal-
vifica."
Allo stesso modo il comportamento di Dio nei confronti della
umanità, non di altro meritevole ormai che di distruzione, parla di
grazia e di restaurazione: il pentimento del creatore di aver creato
l'uomo non comporta un giudizio di condanna definitiva, esso piut-
tosto è sotteso da un legame con la creazione, da ultimo irrinuncia-
bile e indistruttibile, dalla volontà di portar avanti la storia della
um~ità nel segno della salvezza. Da questo punto di vista al diluvio
universale spetta il carattere fondamentale di una purificazione. 17
Quanto seriamente Dio abbia pensato di fatto a una rigenerlzione
lo dimostra l'alleam:a con Noè. Essa costituisce come il fonda-
mento permanente di ogni salvezza dell'uomo." Si fravisa il signi-
ficato speciale di questo fatto, se in esso non si vede - come fu
tradizione per lungo tempo all'interno della teologia cattolica - nien-
t'altro che l'instaurazione di una religione 'naturale', la quale non ave-
va ancor niente a che fare con una rivelazione soprannaturale. Gli ele-
menti particolari attestati dalla Scrittura circa il pano di Noè docu-
mentano chiaramente che qui si tratta di un evento di salvezza ge-
nuino, segnato dalla grazia. Il suo fondamento nell'ordine della crea-
zione non vi si oppone in alcun modo. Meritano considerazione,
sotto questo punto di vista, il momento di elezione divina esplicita,
il quale guadagna crescente portata con il progredire del processo

16 Gen. 4,15.
n r Petr. 3,20.
1s H. GRoss, 'Der Universalismus des Heils', in TTZ 73 ( 1964) 148; cf. anche
M.ysterium Salutis 1/1, pp. 190,26~ s.
UMANITÀ F.XTRABIBLICA E RELIGIONI DF.L MONDO

di rivelazione; cosl come la spiegazione che l'alleanza è indirizza l A


alla prosperità particolare del partner e non dev'esser mai annul-
lata.19 Nel suo complesso il patto con Noè appare come abbozzo dei
p11tti con Abramo e Mosè. Quanto esso sia in stretto legame, a
questo proposito, con l'autentica rivelazione storica. appare chiaro
nella figura di Melchisedec: uscendo dalla schiera dei popoli lqi;ati
dal patto di Noè, questo re-sacerdote si fa incontro ad Abramo e gli
impartisce la benedizione. 20 Da ciò si può dedurre che l'alleanza di
Noè rimane conservata anche in vista dell' 'eone' allora allora ini-
;dato, quale possibile fondamento per uomini che vogliano vivere
con Dio; e questo non toglie certamente valore al suo ordina·
mento intrinseco all'agire salvifico storico. Israele e i popoli pagani
hanno così una base comune: essi sono m alleanza con il vero Dio
e sono sotto l'identica volontà s11lvifica di questo Dio. 21
In tale ambito poi anche il discorso sui 'santi pagani' dell'Antirn
Testamento ottiene il suo valore adeguato. 22 Non v'è dubbio che
Dio nel vasto campo dell'umanità extrabiblica abbia gratificato in
modo speciale alcuni giusti con la sua grazia. Set, Henoch. la rcginJ
di Saba, Lot, Giobbe sono descritti come timorati di Dio e a Dio
graditi. benché essi non facessero parte del popolo eletto della
alleanza dei discendenti di Abramo. 21 Su questo si fonda la nota
sentenza teologica che anche i pagani possono con fede genuina-
mente soprannaturale ritenere per vera l'esistenza di Dio e così
essere giustificati. 24 Ora certamente, se l'opinione tradizionale vccle

19 G,·n. 9.8-17.
lii Gen 1.pll ss.
?t Il. G1oss. op. cii .. p. p.
22 J DANIÉl.Ut:, I santi {"lga11i Jrll'Antico Test11me1110. Brescia 196+.
?J M. VERESO, 'Von der Allwirklichkeir dcr Kirche', in TQ q8 ( 1958) '396.
24 Su que5IO argomemo W. BAllTZ, 'Heroische Heiligkcit', in J. RnzrNr.n·ll
f11•s ledd.I. Einsicht 1mJ G/,mbe, Freiburg 1962, p. 329. Ciò doveva sollt>van: J~I
n-,.10 la que:;tione se i giusri e i sanri credenri del mondo pagano ..v.,vano la
rossihilirà d'esser dorari con Joni di sanrità ahimele, fondammtalmenr" idt-nti<'1 d
>.1uelli con cui pol'sono esserlo dopo l'auo salvifico di Cristo: circa il componamenw
incrno dei teoloi:i in qtle!i!O rroòlrma, informa I. BACKES, 'Dc:T Universalismu> J<-,
lleils'. in 7TL i l I 19641 1n·16o. Si deve rin\'iarc anche alla testimonianza dcli~
1raJiz1on..-: d. r C'S. l'opinionr di An~lmo di Canterbury sull' 'Ercfrsio 11b AJ11m'
in Cur ne'" '"'""' 2.16.
UMANITÀ l!XTRABIBl.ICA

nei 'santi pagani' solo casi eccezionali,2.1 e se inoltre ritiene che que·
sti giusti possano essere giustificati come tali solo perché esi;i, nono·
!\!ante avessero conservato gli usi religiosi del loro popolo, sono
giunti in rontatto storico concreto con i patriarchi o con Israele, o
almeno petché si sono fatta propria in qualche maniern la menta-
lità del popolo eletto; 26 se quindi ritiene che tutti gli alrri pagani
prima di Cristo abbiano dovuto la loro giustificazione indiviJuak pu-
ramente alla moralità naturale, allora a tale modo di ve<lere si de-
ve negare l'assenso. Specialmente in considerazione del nl·sso che la
Scrittura mette in rilievo tra il patto di Noè e quello dj Ahramo,
sarà piuttosto necessario considerare i singoli santi nominalmente
citati tra i pagani quali rappresentanti e invieti di comunità più
ampie, dotate della grazia di Dio: in certa misura come loro per-
fetta espressione.
La conferma della Nuova Alleanza: la leue del cuore. Può pas-
sare in secondo piano il problema se le considerazioni di Paolo nel
secondo capitolo della letlera ai Romani sulle possibilità di salvezza
offerte ai pagani in quanto pagani, siano state ispirate dall'idea del-
l'alleanza di Noè e di Melchisedec quale ponte tra la fede nella crea·
zionc e la fede nella redenzione; tuttavia certamente la tesi prin-
cipale, che cioè i pagani «per natura agiscono conforme alla legge•.n
si fonda bulla coscienza di un misterioso 'sincronismo' storico-salvi-
fico dell' 'ordine di natura' e della 'rivelazione storica' (nel senso
dell'Anticu Testamento: di Noè e Abramo). Questo spiega il motivo
per cui ai pagani, che danno la risposta d'obbedienza alla legge inte-
riore, venga riconosciuto l' 'essere giusti' (=l'essere santi). 11 Per
la chiara comprensione di questa realtà, due rilievi ancora appaiono
soprattutto necessari: la 'legge dcl cuore' non viene a coincidere
del tutto con quello che più tardi sotto l'inffusso stoico i;i chiamò
la 'coscienza umana'. Essa, alla pari della legge dci Giudei. giudica
direttamente, e mostra con ciò la sua finalizzazione soprannaturale

:?5 Secondo !I.I. VERFNO. nr (I/ . p. \'} ne \'8 anrihui11 la responsabili1i ad Ap


stino.
llh Cosi L. ELDus. ·[)ic: Taufc dcr Wchrc:li11ion..n'. in f/,(,/ H I r<J(•,I 117.
V Rom. 2,14.
21 #(,,,,, 2.1 \; per ''in..ic:lll<' anchc: Hrl>r. 11.6; F. ScHl'ON. DI.' /'u11i1; trJnrrw1J.mtr
dcJ ,.rft~tullf. P;uj,. l'-JJX. p '\f..
UMANITÀ EXTRAllTBLICA E RF!.IGIONI OH MO);llO
860

fin dalla radice_ e perc10 e anche in grado di tener il posto della


vera e propria legge rivelata. Tuttavia dal punto di vista storico-
.salvifico essa è 'meta-storica': le fa difetto l' 'espressività' tematica.
Da questa particolarità della legge interiore all'umanità extrabiblica,
Paolo prende occasione per una riflessione assai precisa: alla do-
manda poi circa i vantaggi che i Giudei debbano avere sui pagani,
egli risponde: «Molti, sotto ogni aspetto. Anzitutto perché a loro
sono state affidate le parole di Dio». Si riconosce subito che quello
che distingue i Giudei, e conferisce loro di fronte ai pagani una
posizione di privilegio, sta nel fatto che essi hanno sperimentato la
volontà di Dio, la sua legge, come evento concreto, strutturato sto-
ricamente, e che cosl son stati presi in un impegno direttamente
storico.

d. Osservazioni sistematiche

Conforme all'ambito concreto di significato del concetto di «umanità


extrabiblica» i dati di fatto dell'esistenza umana forniti dagli scritti
rivelati in vista delle epoche precedenti l'opera !lalvifica storica di
Dio, non fanno conoscere solo qualcosa di passato, ora non più
riscontrabile, bensl qualcosa di ancora assolutamente presente e
quindi permanentemente valido. Ciò conferisce un'accresciuta ur-
genza allo sforzo per una comprensione di ciò che vi è attestato.

aa. La dimensione della corruzione. La schiavitù della incli-


nazione al male e alla malizia così come lombra che si proietta · su
tutti gli atti della vita umana, appaiono senza dubbio nella Scrittura
come la determinante primaria dell'umanità extrabiblica. Dopo tutto
ciò che vien riferito circa i tratti direttamente storici di questo
destino, è necessario concludere all'attività di un vero e proprio
«esistenziale negativo», di una infezione cioè intrinseca al pagane-
simo e che. dal profondo ·preme per diffondersi. La tematica che se
ne deve ricavare è terribilmente chiara: essa parla di frattura inte-
riore. Ciò significa inaugurazione della discordia come modo della
esistenza, abbandono di una comunione personale, basata sull'amore,
UMANITÀ EXTllABIBLICA 861

ed esplode un no distruttore al tu del fratello e al tu di Dio. La


conseguenza inesorabile di tale interruzione di un'attuazione dialo-
gica dell'esistenza è la relegazione dell' 'essere uomo' in un· mondo
vuoto e quindi nell'isolamento. Da ciò nasce, in modo del tutto
necessario, la tendenza a rifugiarsi in sistemi di sicurezza di propria
costruzione, a ricuperare, mediante dimostrazioni di forza, indivi-
duali e collettive, l' «essere sano», andato perduto a causa dell'ab-
bandono della comunione. Tutto questo riceve la sua espressione
ade~uata nel simbolo della città, circondata nella sua dimensione
orizzontale da mura per tener lontano l'uomo, e che nella dimen-
sione verticale si sforza di togliere valore alla trascendenza di Dio.
Da questo punto di vista è ora comprensibile anche perché mai la
'cupidigia passionale' sia presentata dalla Scrittura come tipico con-
trassegno del pagano. 29

bb. L'opposizione alla grazia divina. Di fronte alla testimonianza


della rivelazione le forze soprannaturali conferite da Dio agli uo-
mini dell'ambito extrabiblico si possono senz'altro interpretare alla
maniera di un dinamismo immanente alla struttura spiritualc-psico-
logica, permanentemente attivo. Se poi questa costante 'irradiazio-
ne' la si vuol chiamare, per distinguerla dall'evento storico della rive-
lazione, 'rivelazione universale',10 nulla vi si oppone, se almeno non
la si determina, sotto l'aspetto formale, come atematica e trascen-
dentale né, considerata nei suoi contenuti concreti, come equiva-
lente alla rivelazione naturale astratta e indifferente alla salvezza.
Riguardo alla componente piuttosto antropologica già O. KARRER
aveva espresso l'opinione che, ogniqualvolta uno segue quella luce
che illumina ogni uomo, egli compie un genuino atto di fede, anche
se non c'è alcuna conoscenza riflessa o alcuna sicura sensazione del-
l'origine divina.31 Di recente è invalso l'uso di chiamare il 'pagano'

29 Non si può dire che all'elaborazione teologica di questa dimensione sia data al
presente partkolarc premura.
JO Cf. K. RAHflEI, 'Das Christentum und die nichtchristlicben Religioneo', in
Schrifun v, pp. t 54 s.; per l'ulteriore spiegazione dei concc11i d. Mysterium S.Uutis
I/I, PP- 91-96.
31 O. KAaau. Das Religiose in Jer Menschheit unJ Jas Chrislt'ntum. Frciburi:
4 1949, I"· 2,2.
86:z UMANITÀ llXTLUIBUCA I. ULJGIONI DBJ. MONDO

«cristiano anonimo». Secondo questa concezione, iniziata da K. RAH·


NER e d'allora in poi sostenuta anche' da altri teologi (anche se con
diversa chiarezza concettuale), in un uomo può nascere, in un'implica-
zione soggettiva non conscia, una fede che, indipendentemente dal
suo incontro con il cristianesimo, gli fa comprendere Dio come il
mistero dcl suo fondamento e che conseguentemente, movendo di
qua, possiede anche un contenuto cristiano, un'intrinseca affinità
con le verità centrali della fede: la Trinità, l'incarnazione, la reden-
zione. In tal modo, anche i pagani possono essere cristiani, anche
se cristiani anonimi e sconosciuti come tali anche a se stessi, e per-
ciò esposti anche al pericolo d'interpretare falsamente se stessi nella
propria coscienza, nonostante la loro realtà cristiana inseparabile da
essi; e tuttavia sempre dotati della possibilità di avere una irriflessa
e preconscia fede cristiana, nonostante una negazione riflessa. Per·
ciò alla volontà salvifica di Dio, cosl come all'offerta della sua gra-
zia, è possibile corrispondere con un sl dell4 fede, anche là dove,
per la nostra esperienza, sembrerebbe esclusa qualsiasi fede. Di
questo è garante da ultimo la struttura spirituale dell'uomo come
tale: in essa è impresso indelebilmente un destino soprannaturale
come fattore ontologico realc.32

32 Secondo A. R()ru, Dit 11r1onymtn Christtn, M.inz 1962, p. 1, ( 1r. i1., I cri-
stitmi 11nonimi, cGiomale di teologi•• 6, Brescia 1967); su ciò K. RAHNEll, op. cit.,
1,, s.; ID .. 'Exiaten1ial, iibem1riirlichcs'. in LTK lii (19,9) IJOI; speciale impor-
tanza spetta intanlo alla tnttazione più recen1e di K. RAHNu, 'Die anonymen Qui.
sten', ;o Scbrifttn VI, pp. ,.,.,,4; rssa precisa più esattamente 1lcuni punti della tesi
primitiva e cerca di ovviare criticamente ai malin1esi; uni buona visione la ofu
K. R1E.SEHHVH.I, 'Der anonyme Christ, n11Ch Karl Rahncr'. in ZKT 86 ( 1964) 286-
JOJ. L'usenionc fondamentale della domina dcl cristiano anonimo vien cosi riassun-
ta da RAHNl!I (op. cit., pp. 761 s.): cOrbcnc, dovendo noi tener presenti assieme
entrambi i principi: la necaaità della fede cristi1n1 e l'universale volontà salvi-
fica dell'amore e dell'onnipo1enu divin1, ci ricoce di farlo unicamente in un modo.
Il modo ~ il squcntc: 1u1ti gli uomini devono sono un ccMo asperto poter appar-
tenere alll Chiesa; e ques11 loto facohà non può venir intesa nel senso d'una pos·
sibilità sohan10 logica cd 151ra11a, bcnsl reale e storicamente concreta. A sua volu,
ciò vuol dire che debbono csistl're vari gradi di apparte~ll2ll alla Cliina. Deb-
bono csisiere in senso 111cendtnte, panendo dall'essere bauczzati, passando alla
piena professione della fede cristiana e al riconoscimento dd governo visibile della
Chiesa. per giunger<' po! sino alla comunione di vita nell'cucarist1a, andando infine
1 sboccare nella san1i1à rcalizura. Non solo. Ma debbono ..sistere anche in senso
discendente, paMendo 1ncora dal fatto esplicito di 1ver riC'l'Vuto il harre•imo. per
UM~NITÀ );XTIABIBLICA

Sarebbe certo esagerato affermare che questa dottrina dell' «esi-


stenza come cristiano anonimo,. da parte dell'uomo extrabiblico sia
già spiegata e accertata sotto ogni aspetto, e che quindi non si po-
trebbero sollevarle contro interrogativi critici. Innanzi tutto non
sarà da tralasciare la questione sul grado di valore spettante pro-
priamente, se si ammette la tesi dibattuta, alla confessione espli-
cita di Cristo. Non è da respingere pienamente il sospetto che, se si
dà un rilievo troppo poco differenziato al cristianesimo anonimo,
l'incarnazione della Parola corra il rischio di venir ridotta nel senso
di HEGEL, a un puro modo di manifestazione del Logos cosmico,
e che cosl, ricevendo essa ormai solo un'importanza accidentale, ci
si possa abbandonare a un docetismo gnostico." Comunque sia, al
presente è da rilevare la tendenza a fermarsi, riguardo al processo di
spiritualizzazione religiosa universale, a un 'essere cristiano' solo im-
plicito e corrispondentemente a valutare meno i fatti storici del mi-
stero di Cristo. Si dovrebbe successivamente indagare se il Nuovo
Testamento si dichiari realmente senza riserve per l'opinione che
un non-cristiano possa raggiungere la salvezza indipendentemente
dall'incontro con il Cristo storico. E questo induce Paolo, ad es.,
il quale aveva pur uno sguardo sensibile alle possibilità positive di
salvCZ7.a dcl paganesimo,,. a far dipendere, in Rom. 11, 11, la sal-
vezza dci pagani, il loro accoglimento nel regno di Dio, da un avve-
nimento storico esterno: dall'indurimento e dalla riprovazione par-

arrivare sino ad un cr1suancs1mo non ulfK"iale. per l'appunlo anonimo. 11 quak


però nono,1an1e 1u110 può o dovrc:bbc penino V<"nir l«i11mcn1e dc•i11na10 col no-
me di cri'1iancsimo, quand'anche ~ non pona o non voglia chiamarsi così. ~ un
fallo che l'uomo rui si rivolge l'alllillo missionario della O.iesa è ancora in ptttt·
dcnza, o almeno porrebbe t"SSne, un uomo che già si muove veno la salvezza. e in
ceni casi l'ha mapri RiÌì ronsquila anche Kl\la venir raggiunto dall'rvanttel!zza
zione della ChiC'Sa. Ma al contempo è ahre11an10 assocb10 che la salvezza da lui
ronsegui10 è- la salvezza procura1aci da Cristo, perché ahr. salvezza non ...,;islc Ora.
se tulio ciò è- ven>. de-ve poter c.-si'1ere non solo un ·1eis11' anonimo. ma an<·hc un
cristiono anonimo • Contro inrerprcuzioni errate RA1tNER lop. nt. p. 769) rich••
ma l'attenzione sul fallo che la domina del •cristiano anonimo» non rappresenta
per nulla un principio enneneu1ico per limitare la doi?matica ttadizionale. Egli
mette putt in rilievo che la 1esi del ccriniano anonimo• sarebbe insegnata ~-onc::rc­
t&menle dalla Co1tituzione sullo Chino, del Voticano Il (n. 16) lnp. <71 .• p. 771).
J3 M. Vnr.NO, Van "" Allwirldichlteit tler Kircbe, cit., p. 398.
l4 Rom 2.11·16.
UMANl'fÀ EXTRABIBLICA E RELIGIONI DEL MONDO

ziale d'Israele: «dalla loro caduta emerse la salvezza dei pagaci,


pc·· farli ingelosire». Si capisce facilmente l'illazione: se Israele non
fosse caduto, la salvezza dei non Giudei sarebbe risultata molto più
problematica.
In ogni caso c'è d'augurarsi che la teoria del cristiano anonimo
venga esaminata meglio che finora alla luce delle asserzioni stesse
della Scrittura; da tale confronto non solo ne sarà arricchita, ma
sarà anche in certo modo precisata. Inoltre si deve considerare più
esattamente la concezione antropologica che le sta alla base: l'asser-
zione che i non-cristiani, precedentemente alla loro decisione espli-
cita, e in certe circostanze anche contro di essa, siano già «cristiani
anonimi» e possano rimanere tali anche se, in determinati casi, pren-
dono delle decisioni contro il cristianesimo 'ufficiale', presuppone
una divisione dell'uomo, della sua libertà e del suo agire, in due
campi, il campo di ciò che è riflesso e quello di ciò che tale non è.
In sé questa dist~n:Dione è pienamente logica. Cosl però, come è
introdotta per es. in ROPER,35 è antropologicamente e psicologi-
camente quanto mai problematica. Come si giungerà, ad es., a una
decisione libera non riflessa per il cristianesimo implicito, e in
·quale rapporto sta questa con la libera decisione riflessa contro il
cristianesimo sperimentabile e presente storicamente? Attraverso la
affermazione che un no esplicito al cristianesimo storico può coc·
sistere con un sl implicito a dei contenuti cristiani, non fa forse
cap0lino un'articolazione della struttura dell'uomo in contrasto con
le conoscenze della psicologia moderna? Infine, la designazione
«credulità implicita» non sembra a questo riguardo qualcosa di esa-
gerato e pieno di pretese? Si può pretendere che l'espressione del
'credere', che i testi della rivelazione riservano esclusivamente alla
cosciente decisione per Dio e per Cristo e che, indipende.a::mente
da questo, generalmente rinvia solo a un fatto personalmente per-
fetto, possa venir applicata a un contenuto il quale nell'ambito del
preconscio e pre-volontario, potrà tutt'al più esser spiegato quale
dinamismo irriflesso? In questo contesto non si può non conside-
rare che la tradizione teologica fa dipendere la salvezza dei nor

J5 A. Rona, op. c11.


UMANITÀ BllnABIIUCA

evangelizzati dal riconoscimento di Dio quale creatore e rimune-


ratore:"
Una riflessione più precisa su queste e su simili questioni non
può che giovare alla fondamentale istanza, che è esatta e da acco-
gliere, della teoria circa il «cristiano anonimo».
Le seguenti considerazioni, volutamente ·presentate in modo sche-
matico, potrebbero servire a un'ulteriore elaborazione chiarificatrice
dell'intera cerchia di problemi e offrire un aiuto per un supera-
mento, almeno parziale, delle questioni affrontate.
Dalla rivelazione viene energicamente presentato il fatto che nel-
l'ambito delle possibilità accessibili a chi non è cristiano c'è un in-
contro '-'OD Cristo in un modo nascosto perfino a chi ne è protago-
nista, e che quindi si deve seriamente fare i calcoli anche con un
'essere cristiano' non catalogabile nella realtà dell'esperienza.31 Inol-
tre, è pensabile che in certi casi, situati in modo particolare, un no
esplicito al cristianesimo concreto e proprio di un determinato mo-
mento o di un'epoca storica, possa coesistere con una cri:;tianità a
sua volta autentica, anche se non conscia del proprio valore e del
proprio significato.
Entrambe le vie verso. un tale «essere cristiano anonimo• sono
certamente attuabili per l'uomo cxtrabiblico con UD unico presup-
posto oltremodo importante: che ci sia UD sl esplicito per la reli-
gione (nel senso ampio e completo della parola). In altri termini:
con un no esplicito alla religione (non: alle religioni), dunque con
una decisione consciamente radicale contro ogni trascendenza e vol-
ta a un'immanenza assolutamente a se stante e in sé pienamente
spiegata, può stare difficilmente un sl implicito a Cristo.
~ necessario ora esporre brevemente quali esigenze minime siano
racchiuse ~ questo postulato espresso positivamente e negativa-
mente. Religione significa una comunicazione interiore, fondata
sulla conoscenza personale, con Dio quale profondità di ogni ge-
nuina esperienza, come colui che è 'in' tutto ciò che esiste e «al di

l6 In seguito a Hebr. ll,6; panicolarqgiatamcntc su questo tema: M. SECltl.U,


'Non-cristiani', DzT 2 ( 21968) 447 ss.
11 Si dovrebbe rinviare Il solenne discorso sul giudizio in Mt. 2"3I·46, ancon
assai poco valorizzato nell'insieme ddla tcologiL

H · My1terium Saluti!, 11/2


866 UMA.'llTÀ EXTL\BIBLICA E llEUGIOHl HL MONDO

lb di esso: di quanto è amore, amicizia, fedeltà, bontà.• Dove que-


sta comunicazione si attua, si attua, considerando la cosa teologica·
mente, qualcosa di più che la sola apertura verso il fondamento per·
sanale, trascendente, del nostro essere: tale fede personale, assunta
dalla finalizzazione soprannaturale, viene mutata nel non cristiano,
in un incontro, precedente la coscienza riflessa, con il Dio della rive·
)azione, il quale si esprime in Cristo.J9
Tenuto conto della costituzione concreta dell'uomo e della sua
inclinazione a restare colpito da ciò che è in primo piano, e a oon·
uapporre l'assolutizzazione dei dati immanenti dell'esistenza alla
apertura e all'accordo per l'autentica trascendenza, normalmente la
decisione richiesta per la configurazione dell'cesserc cristiano an~
nimoi. comporterà l'elemento del distacco e della conversione - in
termini biblici, della 'µrnivmn'.

2. Per una leologill delle religioni

a. Questioni preliminari

La seguente indagine ha come suo oggetto non già la religione in


sé, n~ i sistemi religiosi o la storia universale delle religioni; essa è
unicamente e soltanto interessata alle religioni sorte al di fuori della
rivelazione storica: la posizione di queste nei confronti della reli-
gione biblica deve subire una determinazione e una caratterizza·
zione sotto punti di vista esclusivamente teologici. La necessità di
una tale trattazione, che muova dalla parola di Dio, è oggi sempre
più sentita. Niente di approssimativo! Le religioni con le quali nelle
epoche passate il credente nella rivelazione aveva a che fare al mas-
simo solo marginalmente, e davanti alle quali, considerando la cosa
in modo puramente esterno, egli era assai largamente difeso, si tro-
vano ormai in prossimità immediata, avendo la rivoluzione tecnica
abbreviate le distanze e ristretti gli spazi; esse sono perciò perce-

JI L. Boaos, 'Ocr ankommende Go11', in Orit'ntirruni J9 ( 196j) z.t9; inoltre


C. C1RNE·LIMA, D" pl.'rso""11.' G'411bl.', lnnsbruck 19j9; L. Rtul!HHUBU, op. cii.,
P- JOJ.
J9 Tenendo conto di 1ale considerazione appa~ in modo impressionan1e tulla
l'importanza di Mt. J,,\1-_.6 " di l11e. 1,J7.
PD \lhA TIOLOGIA D&U.E IEUGIONI

pibili ad ognuno nelle loro istanze. Ne deriva particolarmente al cri-


stiano una contestazione di primo piano: la convinzione che gli è
stati inrulcata circa la validità unica e l'esclusività della sua fede

minaccia di vacillare. Egli vede or• il cristianesimo come una possi-
bilità tra le molte e varie che gli sono offerte. Inoltre non gli viene
risparmiata l'esperienza che le altre religioni, man mano che i popoli
assumono una coscienza di sé di fronte al cristianesimo, non persi-
stono più in nessun modo in un contegno passivo, ma al contrario,
divenute attente ai loro propri valori contenutistici, incominciano a
sottoporre la fede cristiana ad un'apena critica e in pane hanno
iniziato perfino l'attacco e un'azione missionaria verso di essa.•
Ora senza dubbio questa situazione è stata presa in considerazione
dalla teologia cristiana (anche se appena nel più recente passato).
Ne sono espressione i numerosi trattati che cercano una colloc:uionc
storico-salvifica e una valutazione delle religioni.41 Essi inclinano,
nell'insieme, verso un modo di concepire fondamentalmente i.rmico,
si mostrano perciò anche impegnati a rioonoscerc alle religioni cxtra-
bibliche una inuinseca prossimità alla rivelazione biblica e ad ag-
giudicare loro la quali6ca di legittima e normale via di salvezza
entro la storia generale dell'umanità.

b. Il postulato teologico fondamentale e le sue implicazioni

La pretesa che il cristianesimo presenta a motivo della sua autocom-


prcnsione e a motivo dcl suo compito verso l'umanità e perciò verso
le religioni dell'umanità, appare audace e addirittura presuntuosa a
un pensatore non credente: il cristianesimo infatti vuole essere con-

40 G. V1cEuoM, Dii' Wc•l1rrli1.im1en 1m An11.rrd au/ Jie Chmtenhrit, Miinc:hcn


'1•n8.
u 011 ~rrc pro1c.i1n1c E. B!iN"l, ltlrrn :u "'""' fhroito1t1c· der Rd11.1m1Jt.t'•chic1'·
''" roll. aAbhanillungen .ter Akademic Jrr W1s11Cnschaflcn und drr Lirt'ra1un• '·
Wiesbadcn 1960; P T1tuctt, 'Dic Fra11c n~ch dcm Unbt'Jin111cn'. in GW 5 cSruu.
""J
11811 1"'6~1. Da r>artt" uttolica: K. foasn:1 1'!<1.1, D11J Ch11rle'1t11111 Ju Wdt•t'
l11.1onr11 ~-oli eStudirn und Bcrichtc der Katholisc:hcn Akadcmir in S.ycm• 27.
Wiirzbu111 196~; K. RAllNU1: ·na. Chris1en1um unJ diC' nich1.-hri1tlichcn Rcligio-
ncn'. in Scbr1fU'I V, l'P· q6-1,8; H. R. SCHU.TIE. Dit' Rrlivo1m1 "'' T,,,._ tln
Tbrolnvr fu. n.. Le rniaiorri co111r ,,.,,,. ""'"' trolo1.w. Morcclliana. Bracia); ID.,
'Rcli11ioni in r>ir ' f 11ci6c>I 10,..1;.
0

868 UMANITÀ EliTRABIBLICA E RELIGIONI DEL Mu,..vu

siderato come l'unica religione previst.a da Dio stesso per tutti gli
uomini, la quale di conseguenza obbliga tutti gli uomini senza ecce-
zione. Da quando c'è Cristo, da quando la Parola di Dio è entrata
nel nostro mondo e, per mezzo della morte e della risurrezione di
Cristo, l'ha unito con Dio, questo Cristo con la sua permanente pre-
senza storica nella comunità di coloro che credono in lui fonda la
religione, la quale con esclusività obbliga l'uomo. Questo significa
che tutte le altre religioni si possono superare teologicamente e che
esse fanno conoscere pienamente il loro oggettivo «essere in sé»
solo dopo, quando cioè siano intese come riferite in senso su:etto
all'evento di Cristo. 42 Ciò deve dunque avere la qualifica di un cri-
terio a priori e di un pre-supposto. Non occorre alcuna discussione
per dimostrare che ciò è attuabile solo partendo dalla fede.
Nell'esigenza di porre come base della considerazione teologica
delle religioni il concetto di una loro possibile relazione a Cristo, a
rigor di termini sono contenute due asserzioni che per la loro impor-
tanza meritano di essere messe espressamente in risalto. Innanzitutto
si nega che le religioni siano tutte egualmente buone o cattive e che
forse possano perfino una buona volta riunirsi in una sintesi supe-
riore. Ciò significa un deciso rifiuto del razionalismo, cominciato con
l'epoca dell'illuminismo, il quale nega recisamente la diversità so-
stanziale del cristianesimo dalle altre religioni e, nella migliore
delle ipotesi, è disposto a concedere che la rivelazione della salvezza
interpreti nel modo più schietto e più puro gli elementi della 'reli-
gione naturale'. 43 Ma d'altra parte, il suddetto postulato nasconde
il riconoscimento che il cristianesimo ha senz'altro il suo posto fra
le religioni, che esso può venir confrontato con esse e che perciò
può anche giustamente pretendere per sé il concetto di religione.

•2 U per l'insieme Mysterium Salut1s 1/ 1, pp. 20~·209~ P T11.1.1c11, l>tt' Frttf.c·


Mch d~m U11bedingte11. cii., 6~-76: Cbristliche Prinupien in Ja &urte1/ung ntcht
christlicbt'r Relig1onen; altretlanto H. FRIES, 'Das Christenlum un<l dic Religiom:n
ckr Wdt', in K FoRSTER, op. cii. p. n: d. in questo senso anche la dich1arazionr
del Vaticano 11 De Ecdesiae habitudine ad religiones non-cbrilltanas \ 1965 I. n J
... fn (·ri .. co eh uommi tro\"anu la p:enczza della vit:i rdigio~a ~pi,•111t11d,,um i·1/J1
religiostt)..
4l R MAILÉ. 'I.a foi chreiienne est-elle une religion?', in Mytbe et fai, Pari~
1~. p HO
PBll UNA TEOLOGIA DELLE RELIGIONI

Questa indicazione va contro la tesi, propugnata da K. BARTH e dalla


teokigia dialettica, della assoluta e incompatibile antitesi che ci
sarebbe tra il cristianesimo e le religioni.
Infatti, se la rivelazione divina indica la soppressione e la radi-
cale liquidazione della religione, se la religione dal canto suo è da
caratterizzarsi come affare dell'uomo ateo, come espressione concreta
della assenza della fede e della disobbedienza a Dio,44 deve essere
vietato alk teologia di padare di un carattere universale del fatto
religioso e di cercare di costruirvi sopra un orientamento verso Cri-
sto delle religioni. Solo un atteggiamento si presenta possibile di
fronte alle religioni: ignorarle del tutto.

c. La testimonianza della rivelazione neotestamentaria

Certamente non era presente all'attenzione riflessa dei primi annun-


ciatori di Cristo quella molteplicità di religioni, a proposito della
quale noi oggi sappiamo che esisteva già agli inizi accanto all'ambito
storico del Nuovo Testamento. Cionondimeno era a loro disposizione
un settore che lasciava sufficiente possibilità per fare delle asser-
zioni fondamentali e valide perennemente sul rapporto ·del mistero
di Cristo con le religioni. Se si considerano ora le rispettive atte-
stazioni nel loro insieme, s'impone immediatamente l'impressione
di una singolare dialettica e ambivalenza: giudizi positivi stanno
accanto a giudizi negativi. Questo ha il suo fondamento non già
nella mancanza di capacità di coordinamento da parte degli autori
neotestamentari, o in una veduta errata, ma piuttosto, _in una mi-
sura non irrilevante, nella cosa stessa: come tale questa dialettica e
ambivalenza è perciò per se stessa insopprimibile e si oppone ad ogni
tentativo di giudizio unilateralmente uniforme: Cristo è nello stesso
tempo il 'sì' e il 'no' alle religioni. Egli è la loro attuazione e il
loro compimento, come pure la loro messa in questione e il loro
giudizio. ~e sono assunte e rimosse in lui e ad opera di lui.

aa. Il sì alle religioni. Esso wene espresso nel modo più chiaro

.. R MARLÉ np cli, pp. }41.S.


UMANITÀ EXTRABIBl.ICA E llELIGIUNI Dl!L MONDO

e inequivocabile nel famoso discorso all'Areopago. 45 La disput11 chl·


è sorta nella più recente esegesi su questo passo, straordinuri11mentc
profondo, può essere tranquillamente omessa nel presente cont~stu.
Non ha alcuna importanza se abbiamo qui davanti a noi Paolo stt:i.so
o soltanto una riflessione, difficilmente databile in maniera esatta,
sul rapporto della fede cristiana con la grecità. A qualsiasi giudizio
possa arrivare la ricerca esegetica riguardo a questo o qud partico-
lare, una cosa rimane al di sopra di ogni dubbio: il çontcnuto pro-
priamente teologico del testo non sopporta alcuna interpretazione
che ne riduca l'importanza, quasi nel senso che all'autore Jd discor-
so sia stata a cuore solo una captatio henevolentiae da non pren-
dersi troppo seriamente, e che egli, grazie a questo motivo, abbia tro-
vato delle osservazioni troppo benevole sul segreto rapporto della
religione greca con il Dio del Signore Gesù Cristo. 46
Qualcosa di gran lunga più essenziale si mette in evidenza: in-
nanzitu0tto l'importanza palesemente simbolica che viene attribuita
al fatto, determinante per l'intero ragionamento, di aver trovato un
luogo di culto dedicato alla «divinità ignota». A ciò rimandano I~
conclusioni assai ampie che l'autore trae da questo stato di cose,
il quale non sembrerebbe talmente di rilievo se lo si considera sotto
l'aspetto religioso-fenomenologico che cioè gli ateniesi fossero okre-
modo religiosi e che 'senza conoscerlo' adorassero già il Dio della
rivelazione di Cristo. Secondo ogni probabilità l'altare riservato
all' 'tiyvwO'-roc; &E6c;' è da prendersi come un accenno simbolico al
fatto che la religiosità greca in una certa autovalutazione critica ha
evitato di fissarsi in modo assoluto alle divinità che erano alla sua
portata, di considerarle semplicemente come la realtà definitiva, e
che piuttosto essa era impegnata a lasciar aperta in modo del tutto
cosciente una prospettiva su un possibile, anche se sconosciuto,
progresso religioso. Dal punto di vista umano ciò doveva neces-
sariamente comportare una fondamentale messa in questione degli
dèi concretamente conosc1ut1, in favore di una trascendenza che
supera ogni cosa. Tuttavia, dal punto di vista cristiano, questo

45 Aci. 17,22-~1.
46 Cos1 nuovameme <li recente:, L ELDERS, op. cii .. p. 1) 1.
PEI UNA TEOLOGIA DELLE llELIGIONI

esplicito allargamento della visuale religiosa non è uno stendere la


mano senza aiuto per toccare una realt.à presumibilmente più ele-
vata, bensl un incontro implicito, ancora nascosto a se stesso, con il
vero Dio divenuto raggiungibile nel messaggio della rivelazione.
Perciò si è potuto dire: «Quello pertanto che voi adorate senza
conoscere io ve lo annuncio». 47 Quanto poco sia discosta o fuori del
quadro ordinario rispetto al concetto fondamentale della teologia
paolina questa valutazione di una determinata religione extrabihlica
formatasi storicamente, lo rendono evidente le riflessioni di 2 Thess.
2,3 s. circa l'apparizione dell'anticristo negli ultimi tempi. Come
«uomo dell'iniquità» e «figlio della perdizione» l'anticristCl si in-
nalzerà «sopra ogni cosa che viene detta Dio, o è o~etto di culto».
T aie ·qualificazione sembra particolarmente degna di nota: essa
bolla il male personificato della fine dei tempi come l'avversario
non solo della religione cristiana, ma di tutte le religioni. In sé
era già corrente per l'Antico Testamento la coscien7.a di una potenza
maligna tendente a sterminare tutti gli dèi della terra.• Ciò non
rende certamente superflua la domanda perché mai colui che se-
condo il Nuovo Testamento «s'tnnalza sopra ogni cosa• aspiri a
qualcosa di più che a una liquidazione della sola fede rivelata. Per-
ché non risparmia le altre religioni e perché non si allea con lon>?
Se l'anticristo, contrariamente, riconosce la necessità di impel(narc
la sua potenza distruttrice contro ogni religione. lo fa solu p~rché
egli vede all'opera nelle religioni extrabibliche, in ultima analisi, la
potenza di quella realtà alla quale innanzitutto ed esclusi\•amente è
diretta ogni sua opposizione, cioè la gloria di Dio pienamente mani-
festata in Cristo. Se non fosse possibile. proprio in ne:Jllun "-"llSO,
incontrare nelle altre religioni il Dio della salvezza, egli potrebbe
tranquillamente smettere di stimarle degne del suo interesse. In
questo contesto acquista una particolare importanza il fatto che
nell'Apocalisse di Giovanni non entrano in scena le religioni pagane
come fossero il grande antagonista del messaggio di Cristo. ~ nella
bestia che esce dall'abisso, nella potenza mondana che deifica se

47 Aci. 17,1~b .
.a Cf. ludith ~.8.
l'MANf?À EXTUBIBLICA E RELIGIONI DEL MO!fDO

stessa, priva di qualsiasi rapporto religioso, che l'anticristianesimo


possiede la sua rappresentazione più o'riginaria.49

bb. li no alle religioni. La rivelazione a proposito delle religioni


dire non solo una parola di consolazione e di conferma, ma anche
una parola di giudizio e di condanna. Esprimere percettibilmente
questo rifiuto del cristianesimo alle religioni appare, oggi, per molti
motivi particolarmente ostico: viviamo in un'epoca, che, come in
molti altri ambiti della vita, cosl anche nel settore religioso si ado-
pera per riconoscere nella maniera di gran lunga in modo più mar-
cato ciò che comunemente ci unisce, che ciò che ci divide, e che
tende a riconoscere il bene anche nel traviamento innegabile e nella
perversione, talvolta fino a ignorare completamente ciò che è di-
struttivo. All'interno della teologia cattolica ciò ha trovato una
espressione caratteristica nello sforzo per il «battesimo delle reli-
gioni del mondo•.'° Tenuto conto di ciò, si darà accresciuta impor-
tanza allo svolgimento dell'aspetto negativo, che s'impone peren-
toriamente movendo dalla Scrittura.
Molto perentorie, anzi dure e inesorabili, suonano le spiegazioni
dell'apostolo Paolo in r Cor. 10,19-22: alla domanda se «la carne
immolata agli idoli è qualche cosa» oppure se «un idolo è qualche
cosa- ai fedeli viene insegnato che «quello che [i pagani] sacrifi-
cano, ai demoni lo sacrificano e non a Dio•. Il carattere apodittico
dell'asserzione non consente attenuamento alcuno, non ammette
perciò alcuna possibilità di credere che gli atti di culto pagani siano
diretti in fondo al vero Dio. Il seguente confronto lo sottolinea:
fra il «calice del Signore• e il «calice dei demoni» non c'è sempli-
cemente alcuna comunicazione, alcun rapporto interno e nulla af-
fatto unisce il cristiano «alla tavola dei demoni». Dello stesso tenore
è il passo di r Cor. 12,2: ai fratelli viene ricordato che nel loro pe-
riodo pre-cristiano («quando eravate pagani») essi si lasciavano
«trasportare verso gli idoli muti secondo l'ispirazione del momento».
Un duplice aspetto appare perciò tipico della religiosità pagana: essa

4!)Apoc. I\.
50 Circ• le più m:cn1i riserve in contrario cf. L. ELDERS, op. t:it., pp. U.f·IJI.
Pt • Ul\14 lf.ot (lGIA DELI f' IF.UCIONI

non consente alcun vero dialogo, poiché il divino che sta di fronte
all'uomo è 'muto', incapace di chiamata e di risposta; inoltre gli è
proprio l'elemento della costrizione: esservi dedito significa essere
divenuto schiavo. Parallelamente si deve tener rnnto che già r rheu.
4,5 spiega l'essere affetto dalla passione e dalla libidine come tipiro
comportamento <.k·i pagani i quali «non conoscono Dio• e che Eph.
2.12 descrive la vita secondo i modi e le abitudini pagane senz'altro
come esistcnzél «senza messia•. «senza speranza e senza Dio•. 51
Infine non si può tralasciare Rom. t, T 8-~2; questo documento non
contiene solo una testimonianza della rivelazione di Dio mediante la
creazione e dell'incapacità dell'uomo di compiere qualche cosa con
una offerta presentata in tal modo. bensl presence anl·he una infor-
mazione fosca sulle attuazioni dell'uomo in campo religioso: senza
dubbio infatti la costatazione: «hanno cambiato la gloria del Dio
incorruttibile con l'immagine e la figura dell'uomo corruttibile, e di
uccelli. di quadrupedi. di rettili• 51 è coniata per determinate forme
di religione, accessibili all'ambito di osservazione deU'apostolo. Ciò
esclude la possibilità di ricondurre il depdt delle religioni rispetto al
cristianesimo, unicamente a un'articolazione della fede in Dio in sé
ancora imperfetta, a un 'non-conoscere-diversamente' per sé supe-
rabile. Le religioni che Paolo ha in vista (i culti misterici) sono per-
versione, 'de-lusioni' fondantesi su uno 'scambio', percorsa dalle
«concupiscenze del loro cuore•." Si potrebbe quasi essere tentati di
arguire, in vista del ccrru(.IÉhm~.Ev» del v. 24, che le religioni segnate
da degenerazione stanno, rispetto alla rivelazione, come la 'prosti-
tuzione' rispetto all'amore coniugale.

d. Valorizzazione dei testi biblici esaminati


aa. Osservazioni /011damentali sul procedimento meJodologico ri·
g11ardo alla palese divergenza nelle affermazioni. Sarebbe assoluta-
me;ue insostenibile voler concludere un tentativo di comprensione
di entrambe le valutazioni talmente divergenti l'una dall'altra, in
11 Al ri1111drdo, anche Phi!, 2.1) dove si rns1a1a, a 1uupn•i10 .lei l'•l!Bni, chc essi
"'"" una i:mcrazionc 1>ervi:rsd " dc11cncre, <' ''P"' 2.1 \.
~ Rom. J,JJ.
~' Rom. 1,14.
UMANITÀ EXTLUlllUCA E llELJCIONI DEL MONDO

modo da ottenere ad ogni costo un dc;nominatore comune e unita-


rio, un giudizio senza contropartita.
Ciò esigerebbe l'attenuazione d'una serie d'asscrzioni nei confronti
dell'altra serie, oppure la sua completa esclusione dalla discussione.
Ma una tale violenta manipolazione lascerebbe semplicemente da
parte la differenziazione e la varia profondità della parola di Dio.
Tuttavia, tenuto conto delle seguenti riflessioni, sembra possibile
un accordo limitato: si dovrà innanzi tutto partire dal fatto che le
as!ierzioni bibliche riportate non rappresentano spiegazioni fonda-
mentali teoretiche riguardo alle religioni come tali; esse piuttosto,
concepite partendo dalla realtà del fatto storico, ad esso pure si ri-
feriscono: sono risposte contingenti a rispettive forme di comporta-
mento religioso tra di loro assolutamente diverse per valore conte-
nutistico, richiedenti una concreta spiegazione attuale. Ciò ha come
conseguenza che esse non possono, separate da questo loro rapporto
con la storia, essere senz'altro generalizzate e ipostaticizzate a dot-
trine sovratemporali.
Ciononostante spetta ad esse un valore vincolante che va oltre la
loro posizione storica, allorquando cioè si traua del giudizio tcolo·
gico sulle forme di religione che in reahà erano ancora sconosciute
all'ambiente immediato del mondo neotestamentario, ma che per
struttura e livello assomigliano a quelle verso le quali era rivolta ori-
ginariamente l'attenzione riflessa degli scritti rivelati. L'applicazione
di questa regola di interpretazione dà ora questo risultato: il 'sl',
da delimitare esattamente, del Nuovo Testamento alla 'religione'
non è globale e non si deve estenderlo senza modificazioni come
rivolto a tutte le religioni non cristiane prese globalmente, con la
medesima intensità e positività. Spiegato partendo dal suo «Siti im
Leben'fi esso si riferiva a quella religione greca che nel segno dell'al-
tare dedicato alla «divinità ignota• manifestava la sua apertura per
una realtà ancora diversa. Della stessa approvazione può pertanto
sentirsi partecipe anche ogni altra religione di qualsiasi epoca che
corrisponda al 'caso tipo' di una volta. che dunque abbia lasciato allo
stesso modo uno 'spazio' imerno per le realtà contenute nel concetto
dell' ««rvwcrtoç i)E6ç». Uguale è la posizione del 'no' biblico alla
'religione': nella sua durezza e mancanza di compromesso esso si
PP.I UNA TIOUJCI.\ UF.1.LF. H.llGIONl

pone innanzitutto contro quelle forme della theologia mythica (nel


senso della tripartizione stoica), che, data la loro depravazione inter-
na cd esterna, al giudizio cristiano non lasciavano intravedere nulla
che indicasse una posizione d'apertura, di ricerca verso il mistero.
Nella loro scia, e perciò anche sono il medesimo giudizio della rive-
lazione, si trovano perciò tutte le religioni, che (e in quanto) fissate
sulla loro autosufficienza hanno perso qualsiasi disponibilità ad
ammettere una critica trascendente.
Riepilogando sarebbe dunque da osservare: la presa di posizione
apparenremcnte contraddittoria della Scrittura nei confronti delle
religioni sembra spiegarsi dal fatto che da una parte ci sono real-
mente religioni vicine al cristianesimo e altre lontane da esso, e che
d'altra parte c'è la rivelazione, la quale non formula mai i suoi
giudizi prescindendo dalle realtà storiche e tiene conto di questa
differenziazione quanto più obiettivamente possibile. Con tutto que-
sto tuttavia il problema come tale non è per nulla completamente
risolto: di esso rimane qualcosa di insoluto e insolubile. Non ci si
può sottrarre all'impressione che tale divergenza delle testimonianze
bibliche rimandi, in ultima analisi, a un'isopprimibile dialenica non
investigabile dalla ragione umana. Ogni religione extra-biblica è con-
trassegnata e dinamicizzata da ambedue le tendenze: dall'esigenza
dcl vero Dio e dal contagio demoniaco, dalla disponibilità alla sal-
vezza e dalla tendc01.a a decadere nel 'nulla'. Ciò non esclude ccr·
tamente, nella presentazione storica concreta, spostamenti del centro
verso l'una o l'altra parte.
bb. T enlalivo di una comprensione di fede. Se si deve innanzi-
tutto tener conto dell'aspetto positivo. aperto, della Scrittura e cer-
care una risposta alla domanda con quale diritto e in quale misura
si debbano aggiudicare alle religioni in generale elementi di un rap-
porto con Dio, vero e significativo per la salvezza, si dovrà prima
di rutto indirizzare lo sguardo su certe indicazioni. finora comuni.
del resto largamente diffuse: secondo esse le 'religioni naturali'
stanno al di fuori di ogni positiva rivelazione della parola e sono
unicamente legate alla cosiddetta 'rivelazione naturale'.~ Al riguardo

54 rn qunro ""1\50. Ira gli altri • .I RIF.111., 0111 H,.i/ """ Nirhll'Nfll,t'ii1il'l'll'n nKb
UMANI'l'À EXTRABIBLICA E RELIGIONI DEL MOl\°l>u

si ritiene evidente che questa 'rivelaziQne naturale' si riduce per in-


tero alla 'conoscenza naturale di Dio'. In linguaggio scolastico, .1
quell'atto di conoscenza razionale discorsiva che mette ogni uomo
nella condi7.ione di rilevare dalle realtà create Dio, quale primo prin-
cipio e autore di tutte le cose.
:i'! facile rilevare la portata di tale spiegazione: ciò che Dio di
propria iniziativa fa uscire da sé in una religione fondata in tal
modo, non supera l'ambito di un aiuto indiretto della evoluzione;
esso consiste esclusivamente nel fatto che egli ha fornito l'uomo di
una ragione atta al pensiero deduttivo e con ciò lo ha posto nella
possibilità di una presa di contatto spirituale con la creazione. 55
In seguito a questa identificazione di 'rivelazione naturale' e di
'conoscenza di Dio naturale (filosofica)' le religioni che non sono
venute a contatto con la rivelazione storica appaiono perciò, in ultima
analisi, come opere chiaramente umane. E~e sono tagliate fuori dal
dono di un rivelarsi di Dio immediato, personale, e per se stesso
causa di salvezza. Ciò è ammesso perfino da un teologo così libero
da pregiudizi filosofici come J. DANIÉLOU: in verità egli vuole rima-
nere assolutamente nella convinzione che nessuno tra i non cristiani
è costretto a rinunciare alla presenza della parola divina; tuttavia,
corrispondentemente alla sua spiega?ione, questa parola accessibile
ai pagani è ricavata di fatto dalla conoscenza razionale indirizzata
verso il divino. Perciò le religioni non-cristiane possono conoscere
di Dio quello, e solo quello, che l'intelletto umano con i suoi soli
mezzi può afferrare: I' 'esterno' di Dio, la sua esistenza e la sua per-
fezione, nella misura in cui si manifestano dal suo operare nel
mondo.51>
~ facile dimostrare come questa concezione ponga radicalmente
in discussione proprio ciò che essa cerca speculativamente di ac-
certare e di fondare: il valore positivo proprio delle religioni al di
fuori del crisrianesimo. Si pensi solo a K. BARTH! La sua conn·-

/lo11a1•••11111ra. <'il. p 1;6; per l'insieme: B. SToF.CKl.L 'Das Offcnbarun11svrrs1and1>i•


111 Jcr c;1auben>un1<·ru·ci~un1< ht:u1c'. in Erbe und '111i1uli. 38 ( 19621 -li\·471\ 111
surium S11/111is 1/1. l'P· 1H ss
!IS Cosi w. Rur.~T. Of1..,1b.111111g. Diisscldort 196o; inuhre li. STOF.C:Kl.F., nr ,,, .
4ns.
!16 _I. nANll01 Oli, Il m111ero della safoezxa delle nazin11i. Rrr<eia ~. 1166. ... '~
i'~~ UNA TEOLOGIA DELLE RELIGIONI 877

zione sulle religioni corrisponde in tutto esattamente all'esposizione


cattolica appena presentata: la religione al di fuori della storia della
salvezza è opera umana. Mentre tuttavia la teologia cattolica tradi-
zionale non trova niente da ridire al riguardo, BARTH ritiene una re-
ligione naturale caratterizzata come una conoscenza di Dio che si
b~a sulla capacità umana, non solo come inutilizzabile e completa-
mente priva di valore, bensì anche come un tentativo particolar-
mente insidioso dell'uomo di giustificarsi di fronte a Dio e con ciò
di mettersi al sicuro. Si ammetterà che contro un siffatto verdetto
ben difficilmente da parte teologica si potrà tirare in campo qual-
cosa di convincente, fin tanto che non si sarà trovata un'altra inter-
pretazione del valore intrinseco delle religioni.
Ora non c'era proprio bisogno di questi accenni per far scorgere
la necessità di una revisione per il concetto di 'religione naturale'.
L'impul.so veramente decisivo, insieme con le asserzioni della più
recente teologia dogmatica sulla dimensione cosmica dell'evento di
Crisco e sulla grazia di Cristo fin dalle origini, lo diedero soprat-
tutto gli accertamenti della moderna scienza delle religioni riguardo
alla struttura dell'esperienza di Dio propria delle religioni. Con il
progredire delle ricerche fu messo in chiaro ciò che segue: non è
lecito interpretare la peculiarità delle religioni extrabibliche di fron-
te alla religione biblica dell'Antico e del Nuovo Testamento basan-
dosi sulla differenziazione teoretico-astratta tra conoscenza naturale
e soprannaturale (in senso tradizionale) di L>io. Poiché è propria
della creazione, sulla base del suo 'essere progettata per Cristo',
una originaria finalizzazione soprannaturale; in ciò che le religioni
pagane rinviate al cosmo offrono di valori umanamente significativi,
c'è all'opera infinitamente di più che non l'intlusso di un 'primo mo
tore'. indifferente di fronte alla salvezza: vi si esprime profonda-
mente vera grazia di Cristo, genuina comunicazione soprannaturale
di salvezza. 57
Fu proprio questa riflessione che spinse già AGOSTINO alla celebre

;; Ciò risulta incquiYocabilmcmc dilla già ciiata Vichi<mm011e Jt'I V 11tic1111t• TI


.; ..... , quanto C4'4'C raccfuudon(I in ~ d1 \'Cf(l e di san;n. I~·
r;·irf.fru11 11on·,·riJ1;u,,t•:
,1, ' ... ,,, ;1lla lure che tmro illumina In l ): in 11m1~»Ìtn K. H \111'1 R, Of' f:t • 1· :1
\! \'rRF""· \',,., dc• !l!i1nrldrcbko1 dcr l\rnhr. l'i1 . p l'Jì
l'MANITÀ EXTllABIBLICA E ll.LIGIONI DEL MONDO

osservazione: «Ciò che ora è chiamato religione cristiana, è sempre


esistito nell'antichità e non fu mai sconosciuto, dall'origine del ge-
nere umano fino a quando Cristo apparve nella carne. Da questo
momento si cominciò a chiamare cristiana la vera religione, che
ora è presente»." Per quanto, movendo di qua, potesse causare
rilevante difficoltà tracciare netta linea di demarcazione tra il
carattere di rivelazione dell'Antica Alleanza e la storia delle reli-
gioni extragiudaiche,~ l'idea della inevitabile convergenza delle re-
ligioni verso Cristo apparve tuttavia di un'importanza di gran lunga
maggiore. Quanto poco nel frattempo sia stato superato questo tipo
di riflessione lo mostra la scoperta, da rilevare dal punto di vista
della storia delle religioni, che cioè da sempre l'uomo potè speri-
mentare nelle religioni non solo l'insufficienza della creatura abban-
donata a se stessa, hensì anche comunicazioni della salvezza come
di un'offerta dall' 'alto'. Basta solo leggere l'indiano Bhagavadgita,
l'induistico Brahmasutra, i testi di preghiera del Buddhismo Amita-
bha o le preghiere di penitenza dell'antico Egitto, per capire con
sufficiente chiarezza che anche nelle religioni lontane dalla Bibbia la
volontà salvifica di Dio si mostra in modo i.mmcdiato.ao Alla tesi
contraria propugnata da E. BRUNNER, che alla fede nella grazia
e misericordia divine si può giungere solo nell'ambito della ri-
velazione storica, si deve contrapporre un deciso rifiuto. E per
quanto riguarda il timore che mediante il riconoscimento di
contenuti soprannaturali nelle religioni si profili la minaccia di
un livellamento della religione propriamente biblica è da notare
che tutte quelle forze apportatrici di grazia e di salvezza operano per
così dire dal sottosuolo; immerse nel profondo strato psichico delle
religioni" esse premono dall'interno verso l'esterno, entrano però
nella storia soltanto attraverso le articolazioni allestite dall'uomo:
in dottrine, preghiere, atti di culto e metodi di educazione. Qui non

~ A.;osnNo. J<ctr 1.11.1. I'/. 12.601. in riferimento .1! Dc rer:1 rcl11;Jul1t' 10,19
PI. q.111; cf. •llKhc Ci I· MENTI·. ALESSANDRINO, Strnn1<1tt1 6,7, PG 9.27<)/2'62.
19 E. BENZ. op. cit . p. 417.
1<1 R. l'ANIKKAR. Christm der llnbekarmle i•n llindumnus, Luzern 1965.
" Cf. il concetto qui \'1·ram1·n1e per1inente di «rivelazione primitiva», in propo·
sito .I. R. GEISl'LMANN, 'Rivdazione', in D~T 1 (l1q6<il 16.p66; I. llEtlSNETZ.
'Urotfenharunl?'. in i:n.; X 11.,6~ I 565 ss.
PE& UNA TEOLOGIA DELLE U:UGIONI

si tratta dunque di storia messa in scena direttamente da Dio stesso


e da lui direttamente retta. Proprio questo costituisce apertamente la
differenza nei confronti della religione biblica e della storia di Dio
con il suo popolo.
Anche un altro punto di vista acquista in questo contesto impor-
tanza e peso: perfino quando non si considera l'aspetto genuinamente
teologico, ma piuttosto si indagano le religioni unicamente per cono-
~L--ere i loro aspetti ontologici esistenziali e gli elementi strutturali,
troviamo rivelazione in senso proprio: come reale auto-manifesta-
zione del divino e come vera e propria chiamata dell'assolutamente
Santo, appartenente al patrimonio essenziale di ogni religione. Ciò
significa che una conoscenza di Dio che si fonda su di essa è 'fede'
nel signific.ato più genuino del termine, cioè risposta, nata da un pre-
liminare divenire coscienti dell'offerta divina. Di fronte ad essa la
conoscenza di Dio possibile alla ragione 6loso6ca deduttiva (cognitio
metaphysica) può esigere solo il grado di fatto susseguente, in nes-
sun caso primario.62
Rimane da considerare infine come si giustifichi ora la pretesa che,
sulla base di quanto si è detto, le religioni accampano. Senza dub·
bio per l'uomo non raggiunto dalla rivelazione salvifica la via delle
religioni è una 'via legittima'. Difficilmente sostenibile tuttavia
potrebbe essere il tentativo di H. R. ScuLETTE, di contrassegnare
questa via legittima anche come «via ordinaria di salvezza» e con·
seguentemente di caratterizzare la via della Chiesa e del cristiane-
simo, percorsa relativamente solo da pochi uomini come «via straor-
dinaria»."'
1 motivi addotti per giustificare un siffatto grave capovolgimento
dell'uso linguistico tradizionale non possono convincere. Proprio se
ci si attiene alla dinamica interna e all' 'entelecheia' delle religioni
cosmiche verso l'amore di Dio manifestato in Cristo come definitiva
lnrma della salvezza, la via aperta da questo stesso Cristo deve ap-

'" I\ Srot t'KI r. ••{' nt I' -l~i; piì1 p.1r1inihir<"1t1:i.1mc1111· '11 q111•\fn prohlcmu:
J. RATZIN<iER, p,., (;/J11hc11.1 1111J dcr e;,,,, Jrr Philo.rnp/!1•11, Miinchcn
(;(Il/ "".\
19Cio; im. 'Heidentum'. in R(,'(;1 Il I 11i2HI 1710 fSc11F1R1·:l.
"' N. R. Sc111.1·r1T, P11· Rc/1vrmc•11 ,,/, Thc·111.1 da l/!c•ol"~;,.. M' ii·8~; in 1l3rti·
t"<'lart• lllllRVIR. 111'· 8~ '·
llM~NllÌI f.XTNAHIRl.ICA I' HEl.l<;IONI Df.L MONDO

parire come la via 'ordinaria'. Cib include anche il riconoscimento


che il compit\J missionario della rivelazione hihlicn si c.-stende non
solo ai pagani come persmw singok ma si nllarga anche alle rcli-
µil.mi come tali. c fK·rc.:iC:i non ì: sempliccmentc attività dcl singolo
missinn.irio. hcnsì di;1ll1µp ufficiale ddl,1 Chiesa."'
A sforzi sostanzialmente pi[1 grnvi si vede esposto l'impegno
di approfondire con maggior precisione le prese di posizione ne.e.a·
tìve della Scrittun1 nei confronti Jelll· rdigioni. Si tratta innanzitutto
di mettere da parte alcune inc1irnzioni chiaramente insufficienti:
così non è vero che il no hihlico sia 11m1ivato Jall'cffo1tivo plurali-
smo delle religioni. Certamente questo fcno1rn:no ì: rnllcj.!alll nrn ele-
menti che attirano su di sé la condanna. ma preso in sé es~11 111111 i:
sufficiente per diventare oggetto delle c.:ondanna. Le religi.ini 111m
bibliche non sono senza valore già per il fa1to che esse presen1.1110
una pluralità. Era la concezione, ispirala dalle categorit' del pensiero
greco. della caduta clall'unità, esprimt.·nrcsi nella plmalità delle rose
singole che qui era causa di disorientamento. Inoltre l 'opposizionc.:
biblica contro le religioni non è neppure determinata dalla conside·
razione c.:he di fronte al cristianesimo. quale religione definitiva c.:
pienamente attuata. tuue le altre forme di religione siano da canll·
tcri7.zare come 'provvisorie'. 'rimaste indietro', 'ancora da svilup·
pare', e che la loro deficienza si concentri nell'incapacità di superare
il naturale e i limiti di una legalità esteriore, come pure nell'inca·
pacità di utilizzare il mondo in servizio cli una vita superiore.65 Inu-
tilizzabile è inline la spiegazione cli K. BARTH Nonostante lo stretto
indirizzo storico-salvifico della sua teolo~ia, il pensiero propria-
mente portante che formula il suo rifiuto delle religioni non è
frutto di un'indagine teologica. ma piuttosto conseguenza coerente
del giudizio riguardante l'analogia entis, del presupposto filosofico
che l'ens /initum non capax est infiniti. La testimonianza della
Scrittura costringe ad ammettere che è proprio delle religioni extra-
b;bliche un positivo pervertimento che non è possibile sanare, e che
manifesta in ultima analisi un intlusso demoniaco. Questo si coglie

"' \I. SECKLER. 'Einc thcologic dcr Rdigioncn', in llrn:hl11nd ~7 ( 196~1 ~90.
•' l ·,,.; l'•rt '11 ..idenrum'. in R(;(;i II I 1<128\ ,- ,,, , ISctll'IBl'I.
PEK UNA Tl!Ol.OGIA DEI.LE RELIGIONI 881

specialmente in quella loro così up1ca insistenza a voler fissare


affrettatamente come trascendenza assoluta certe realtà mondane
create, le quali per sé manifestano a uno sguardo sano la trascen-
denza. Consegnate in tal modo al mysterium iniquitatis, le reli-
gioni contengono nel loro intimo un no alla religione storica rive-
lata.\ Per quanto ora riguarda la progressiva attenuazione di questo
esistenziale negativo sotto gli impulsi della grazia stimolanti alla
salvezza soprannaturale, potrebbe forse tornar utile il seguente ac·
cenno per una prima fondamentale riflessione: gli elementi apriori·
stici del mistero di Cristo, inseriti nelle religioni pagane, malgrado la
loro dinamica propria, sono elementi preliminari che hanno necessa-
riamente bisogno. in corrispondenza ai rapporti nel campo psichico
del singolo uomo, dell'integrazione e della presa di coscienza nella
iittuazione esistenziale. Ora precisamente come, secondo l'esperienza
comune, l'io personale dell'uomo può venir a trovarsi continuamente
in pericolo di reprimere per falsa preoccupazione di sicurezza que-
sto o quel talento d'importanza vitale, il quale esigerebbe di esser
accettato e fatto proprio e di sottoporli ad atrofia, così anche la
grande tentazione delle religioni è di 'soffocare' la 'verità di Dio'
ricevura,"° e di negare ad essa sotto l'azione di risucchio dell'egoi-
stica tendenza alla segregazione, la conveniente integrazione. Il no
alle religioni deve perciò dipendere da un giudizio che accerri fino a
che punto questa funesta inclinazione si sia espressa.
Complessivamente è un'immagine molto contrastante quella che
traccia la rivelazione neotestamentaria a proposito delle religioni
pre- ed extra-cristiane. Esse ci sono presentate chiaramente come ma-
nifestazione di umana impotenza (e ciò non come dichiarazione del-
l'uomo circa se stesso), ma contemporaneamente anche come an-
nuncio della misericordia e della consolazione divina. In qu1mto
giudizio e benedizione esse sono insieme gravame e speranza del-
l'uomo.
BF.RNARD STOF.CKl.E

66 Rom. 1.18.

~6 - M Yfl<'rtum S11/uti1, 11/ 2


882 allLIOGllAFIA

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SEZIONE TEJtZA

STORIA E ORDINE DELLA SALVEZZA


NELL'ANTICO TESTAMENTO

Premesse

In senso lato, tutta la storia dell'umanità può essere chiamata storia


della salvezza, se la si comprende sotto l'aspetto teologico, come
guidata da Dio e indirizzata alla salvezza dell'uomo. Di questo si è
già parlato in un altro contesto.' Tuttavia in questa sezione il con-
cetto deve essere esaminato più strettamente nel senso di 'storia
biblka della salvezza', la quale ha relazione con la storia solo in
quanto quest'ultima si trova nel campo di osservazione della Bibbia
e dalla Bibbia viene interpretata.2
L'esposizione biblica della storia della salvezza si differenzia da
ogni altra forma di narrazione storica per le seguenti caratteristiche:
r. per i fatti storici nei quali Dio stesso incontra gli uomini; 2. per
la tradizione che ci fa conoscere quei fatti; 3. per la spiegazione,
che svela il nesso significante di quei fatti.
1. Non è .cosa ovvia che la Bibbia, la quale è libro religioso, si
interessi soprattutto di fatti storici. La Bibbia infatti viene da un
ambiente che considerava come punto d'incontro fra la divinità e gli
uomini non gli avvenimenti storici, ma il corso della natura. Certa-

I Cf. Mysterium Salutis 1/1 cap. 1.


2 Per la nozione di 'storia della salvezza' nell'esegesi moderna: F. B.w~ntL,
Das alt. Geschehen als heilsg1:scbichtl. Geschehen: Geschichu u. A.T. (Festschr.
A.Alt.) Ti.ibingcn I9H. pp. 13-28; K.G. Sl'ECK, Die Idee der Heilsgeschicbte, ZU-
rich 1959; R. SCHNACKENBURG ·A. DARLAP, 'Heilsgeschichte', in LTK v ( 196o) 148·
156; P. Bi.AsEa-A. DARLAP, 'Storia della salvezza', in DzT 3 (21969) 422-+44;
J.M. Ros1NSON, 'Heilsgeschichte und Lichtungsgcschichte', EvT 22 ( 1962) 113·141;
E.C. RusT, Salvation Hirtory, Richmond 1963; O. CuLLMANN, Heil alr Geschichte,
Ti.ibingen 196:s (tr. it., Il mistero della redeniione nella storia, Il Mulino, Bologna);
H.R. ScHLETTE, Epiphania als Geschichte, Mi.inchen 1966 (1r. it., Epifania come st<>-
ria, Queriniana, Brescia). Oileonomia (Festschr. O. Cullmann a cura di F. C.uusT)
Hamburg 1967.
X86 STORIA E ORDINE DELLA SALVEZZA NELL'A.T.

mente la Bibbia ha riconosciuto Dio anche come Signore e creatore


della natura, tuttavia essa considera la storia come vero teatro dcl·
l'incontro fra lui e gli uomini. 1 Se noi seguiamo la srori;1 della sai·
vczza come la vede la Bibbia, non possiamo prendere il rnncerto di
'fatti storici' in senso troppo stretto. La Bibbia infatti vede Dio chl'
opera non solo negli avvenimenti storici. ma anche nelle persont.
nelle idee e nei movimenti. nel diritto, negli usi. nei coswmi, nelle
istituzioni, e anl·hc nl·~li clfeui di un agire spirituale. poiché nessuna
attività e nessuno sviluppo umano possono sottrarsi al suo intcn•ento.
2. La tradizione, che ci porta a conoscere i fatti della storia della
salvezza, ha ricevuto il suo contenuto e la sua forma in una comu-
nità e attraverso gli organi di una comunità, che avanza la pretesa
di essere il popolo di Dio. Ogni tradizione suppone una comunità e
dci trasmettitori che la tramandano, La trasmissione della storia
moderna è curata dagli storici, i quali stabiliscono i fatti storici
dopo uno studio accurato delle fonti e lasciano per iscrir.to ai po-
steri i risultati di questi studi assieme alle fonti. Però la conoscenza,
che gli autori biblici hanno circa i fatti della storia della salvezza,
non si basa su uno studio critico delle fonti. ma sull'accettazione e
trasmissione dei fatti tramandati, all'interno di quella comunità
alla quale essi autori appartene\·ano. Questa tradizione ha tr~.l\'ato
finalmente una fissazione scritta nei libri sacri che la Chiesa cristiana
ha raccolto nel suQ canone. Tutta\•ia. prima della fissazione definiti\•a,

l A. WEISEll, Gla11be 11nd Ge..-hù·hte 1111 t\T. S1u11t1an ••Hl, ora ndl~ ra««oha
dallo stesso titolo (Gotti~n 1961) pp. 99-tlll; K. G.\l.LIN1 •. 'BihliKhc Sinndcu1un11
dcr Gcschichtc', in EvT 7 (11J48/49l \07-31q; R.11 PFUHF.R. 'Fac1s 1nd l'airh
in Biblìcal History', in JBL 70 ( 1951 I 1-q; J. Ht.Ml'H, ·Glaubc. M)'1hus und
Geschichtc im AT'. in ZAW 65 (19HI 1~167 f.-s1ro110: Bc-rlin 1~n41: 11.W
WoLFF, 'Das Gcschichtsvcrslindnis dcr ah. Prophctic', in faT 20 (196<>) 218·2},,
1'heol. Biicheut 22. Miinchcn 11)6.J, 2!19-307; JA. Stx;c.1N, Ari. Glllllbt'nsu11r.nisu
11nJ grscbichtl Wirklich~eit: TZ 17 ( 1961) 38n9ll: R. RL'IDTOIFF, 'Gcschich1c
und Wort im A.T.', in EvT 22 ( 19j2) 621-6.J9; C.A. KELu:.a, 'L'AT cl la 1hmlo-
Ric Jc l'histoire', in RTP 111/q ( 1963) 124·137; W. PANNENIERG (cd.), O#t'nb11r11n1.
J/s f,fJChtchtr. Goningcn 1 1963 (u. ir., Li rtve!azione "°"'" storta, Dchoniane,
Rolognal: G. FoHR.ER, 'Prophctie und Gcschil'htc'. in Tl.l 8IJ ( 1964) 48qoo:
I Ht:MPF.L, Gc-schichten 11rul Geschichu im AT. Giitersloh 1964; G. KutN, Tbeo-
logte Jr1 Wortes Gol/es 11nd J1e Hypotheu der Unii•asalgt'schtchU, Miinchcn
1<)64; N. WHFINK. Fuiheit und Wiederhol11ng. Z11m Ge<chichls11eruandnis des AT:
C>as S1ef.t'1lu•d am Schilfmur. Frankfurt 1965. pp. 1;4-1q; ftr. il .. AllttJ/ità de/l'Antico
l'r•t.r"'""''" ()ucriniana. Rl'C"<'ia 1.
PRF.MP.SSE

esiste un proce~so di trasnuss1one piuttosto lungo e complicato, solo


in parte scritto e in gran parte orale.• Un lungo periodo di tempo
separava i singoli trasmettitori dai fatti che essi fissavano. Pertanto
essi potevano scegliere solo una parte di essi. L11 scelta stessa avve-
niva secondo punti di vista ben precisi, soprattutto religiosi e sotto·
un angolo visuale determinato, partendo dal quale la persona tra-
smettitrice, o il gruppo di trasmettitori, guardavano i fatti passati.
Così la tradizione biblica partecipa delle caratt::ristiche e anche dei
difetti tipici di ogni tradiiione, soprattutto di quella orientale antica:
Essa è lacunosa, in quanto dove\•a fare una scelta dei fatti, dov·:va
semplificare, abbreviare e in parte anche narrnre in modo contorto
il decorso della storia ('storia arraffata'); essa è i111predsa, perché
durante il processo di trasmissione si formarono vuoti di memoria
che portarono a delle omissioni, a trasposizioni e ad anacronismi.
f: unilaterale, perché i trasmt·ttitori consideravano negli avvenimenti
solo quegli aspetti che erano connessi con i loro inteiessi, preva-
lentemente religiosi. Essa è infine 'tendenziosa',' poiché l'antichità
non conosceva nessuna tradizione storica che non servisse anche a
dei fini ben determinati. Ora però la tradizione biblica, in quanto
tale, è a sua volta un avvenimento storico-salvifico, nel quale s'in-
contrano Dio e l'uomo. Pur con tutta l'umana imperfezione, della
quale la tradizione biblica partecipa come ogni altra forma di tra-
dizione, essa è il risultato dell'azione comune di Dio e dell'uomo e
nella sua definitiva forma canonica è parola di Dio. In quanto tale,

• I. SatAIBElT, 'Das Tradi1ionsproblc:m 1m AT', in lTZ 66 ( 1\1'7) \21·\H: (D.,


·Off~barung, Tradi1ion und Schrih im Pen111cuch', in MTZ 18 ( 19671 f 1; C.
SnJHl.Ml!ELLEI, 'Thc lnlluence of Oral Tradilion upon exc:11nis and 1hc: ~~
ol Scrip1un:', in CBQ I 1q681 1w-t26; G. \'<1 1DESGIEN. 'Or1I Tradi1ion and Wriuen
Li1er•1ure 1mong 1he Hehrews', in Acta Orientali" 11 IKopenhagc:n i9,8/,9l 101-161;
A.11._I. GUNNEWEG. Mundi unJ 1chrdtl. Tr11J11ion der l'Orexi/. l'rophetenbù.-~r.
Go11i11en 1•H9: I. F-'IGNELL. 'Me1hodological Aspccts of OT Srndy·. in v1· Suppi.
VII (leiden 196<>1 11·10; R. GERHARDSSON, 'Miindlich" und sc:hrifllichc Tndi1ion
der Prophe1cn Biicher', in TZ 17 (19611 116-22<1; R.CCtTLLH. 'An Appr09ch 10
1hc Pmblem of Oral Tradi1ion'. in \'T q 111}6~1 1q-125; R.DEVAUX, 'Me1hod
in 1he s1udy nf F.arly Hebre\\' His1ory', in l'he 81ble in Modern Scholarschip 1ed .
.f.P. llVATT) Nash\•illc 196,, 15-29; G.W. Amsni)M. 'Oral and Wriuen Tr•nsmis
sion', in llarv TR 59 ( 111661 69-Sr. Cf. anche Mysft•rHlm S<1/utis 1/1, pp. '-''·H4;
.f72·.f79
5 Il lc:rminc 'tendenzioso· non può essere imcso in nessun caso con un signifi.
calo dispr~ietivo. bm~ì r<«o sipnifica· 'ren<lenrc a un de1ermine10 scopo'.
888 STORIA E ORDINE DELLA Si\LVBZZA NELL'A.T.

essa garantisce la verità storica almeno dei fatti che provano la vo-
lontà salvifica di Dio nei confronti dell'ùomo e la fedeltà di Dio alle
sue promesse; in particolare essa garantisce la verità dell'interpre-
tazione con la quale svela il nesso religioso significante del decorso
della storia.'
3. La spiegazione del nesso significante dei fatti storici deve inse-
gnare all'uomo a comprendere il suo presente e offrirgli un aiuto,
perché possa foggiare consapevolmente il suo futuro. La Bibbia
perciò, interpretando i fatti della storia della salvezza, vuole istruire
l'uomo sulla sua condizione attuale e sulle possibili vie che lo con-
ducono a una meta che lo attende nel futuro. Siccome la Bibbia è
parola di Dio, la spiegazione che essa dà agli avvenimenti della sto-
ria della salvezza è rivelazione divina,7 che insegna all'uomo a capire
il suo attuale rapporto con Dio e gli mostra la meta alla quale Dio
conduce l'umanità. Dio però dà la spiegazione della storia della sal-
vezza mediante uomini che parlano in suo nome e precisamente
nel corso della storia della tradizione biblica mediante le persone
da lui scelte di volta in volta; poi mediante i compilatori e gli au-
tori che ~nno fissato la tradizione biblica nei nostri libri canonici e

6 Cf. O. LoRETZ, Dir Wt1hrbtit dtr Bibel, Frciburg i. Br. 1964; N. loHFua:,
Dir /rrt1,,,ulo111.kr1t: D111 S1ritslitd ""' Sclnl/111ur, Frankfurt tC}6j, PP- 48-llo;
I ScttAHHT, Em/iihr1111i, pp. 66-73; 11>., Dt1s Stlcbb11eb VII' Bibel, pp. 1..S-1)4; Dd
'vt'rbt"''· 11-
l Pl'r la discussione sul caranerc rivelato delle tradizioni uorichc veterotcsi:a-
mc:ntane cf w_ EIO!lODT, 'Offenbfll"llllf. """ Gtscbichte ;,,, AT', in rz. 4 ( 1948)
JJ1-n1; R. HuaMANS, 'C>tfmberuna. Won und Tcxtc', in E11T 19 I 19j9) ')9-116;
R. RF."<DTOIH, '•Offenh.1u11f1• im AT', in TLZ. 81 {1<)6ol 8n838; G. VON R.ui,
/'btoln1,1e dts Af t\'. indice: 'Oflmberu11f1'): W. PANNENllEllG (v. nota 31; W_ ZIM-
MEILI, 'Oflcnbarung im AT', in E11'f u (1962) 1,-31; J.BAH, 'Rcvelation througb
lli>lllry in 1hc OT and Modern Thcolo,iy', in lnterprett1tion 17 (1963) 193-205;
11. I IAAG, O/t'11bt111111t. uJ rrligt01ts Etltbtn ;,,, AT: &li1.ion 1111J Erlebnis !Fcstsch.
Fr X. von lloms1.,1nl Ohcn 1963, PP- 101-119; R. RENDTOIFF, 'Dic: Enu1chung
Jc:r isracli1 Reli11mn als rclip>nS11C1':hich1l. und 1hcolog. Problcm', in TLZ 88
t 1y63I 7U ;46: G. MuscllALEK ·A. GAMPEl, 'Oftcnbarung in Gcschichte', in ZKT
116 11')641 180-196; (j_ Ku.IN, Cv. n<lll 3); H. Gaoss, 'Zur Offcnbarugscntwicklung
im AT'. in Goti 111 Wt'lt !Fcstsc:hr. K. R1hncr t. Frciburg 1964, PP- 407-.µ2 tradotto
in Ormon11 tittw/1 dt/111 trolot.111 I, RO!tll 1966, PP- J;'<}-4031; H.J. STOEBE, 'Oas
\'crhihnis von Oftcnbarung und rcligioscr Aussqc im Ar. in Act.r Tropte.r 21
(1964)400-414; P_ BF.HOIT, 'Ispirazione e rivcluionc'. in Concili11"' (cd. ir l 4(196j)
1~-33; K. RAHNEl-_1. R.vr1tNGF.I, Oltnb11rrmg 11nd Oberlit/er11ng, Freiburg 1965 (tr.
i1., Rfrt'l.iuone e trtJdt:tmll'. Morccllian1, Brescia); .I- ScttARllERT, in MTZ (v. no11 4).
PRllMBSSB

finalmente mediante gli organi ufficiali del popolo di Dio, da lui


stesso fondaco e scelto. Per questo la spiegazione della storia della
salvezza è sempre profezia, se si comprende questa parola, non nel
senso attualmente corrente di 'predizione', ma nel suo significato
originario di 'parlare in nome di Dio'. Anche se la Bibbia chiama
un determinato gruppo di persone nella storia di Israele col nome di
'profeti', quelli cioè che spiegarono ai loro contemporanei con par-
ticolare energia la storia e il presente come offerta di grazia e come
giudizio di Dio e annunciarono il 'giorno di Jahvé' come la meta
della storia, tuttavia tutta la spiegazione biblica della storia della
salvezza è avvenuta in categorie profetiche: a) La Bibbia vede nei
fatti storici una chiamata di Dio e una risposta dell'uomo. Essa fa
sl che sempre di nuovo nella storia Dio notifichi all'uomo la sua
volontà immediatamente o mediante i suoi eletti, e che l'uomo ri-
sponda nell'obbedienza o nella disobbedienza. In tal modo la sto-
ria nell'interpretazione profetica pone l'uomo di fronte a decisioni.
b) La storia significa per l'uomo offerta di grazia o giudizio: in pro-
posito però è caratteristica dell'interpretazione biblica della storia
che anche il giudizio appare ancora come una offerta di grazia da
parte di Dio misericordioso. Cosl tutti gli avvenimenti, le istituzioni
e le situazioni, che Israele sperimenta nel corso della sua storia, sono
per lui ugni nei quali può riconoscere la grazia e fedeltà, oppure
l'ira del suo Dio. e) A seconda che l'uomo sperimenta nei fatti sto-
rici la grazia e la fedeltà di Dio o la sua ira, egli raggiunge salvezza
o rovina. Ogni epoca della storia è un tempo di salvezza o di rovina,
ma anche qui nuovamente la rovina deve destare la nostalgia della
salvezza e deve causare un comportamento corrispondente, cioè la
conversione. Per la visione che Israele aveva della storia della sal-
vezza nel passato, nel presente e nel futuro, è caratteristico il fatto
che sempre la salvezza è, per così dire, solo una caparra, un primo
passo per la salvezza futura, più grande e più beatificante. Mai nella.
storia la salvezza è perfetta, mai Israele trova il suo completo 'ripo-
so', ma deve aspettare una nuova salvezza appena promessa, un
'riposo' che è ancora da concedere.' Infine Israele non deve essere

1 Il vocaholo chraico .i.i/rim di soli10 si traduce con "pace'; significa pri-ò anche
STORIA E ORDINE DELLA SALVEZZA NELL'A.T.

l'unico possessore della salvezza, bensl tutti i popoli un giorno de-


vono esserne partecipi. d) Dio concede la salvezza a Israele e ai po-
poli pagani mediante persone e istituzioni. Il loro apparire, l'adem-
pimento o il mancato adempimento del loro compito, significano
elezione 9 o ripudio. Mai i personaggi importanti della storia d'Israe-
le, o anche lo stesso popolo di Dio sono eletti da lui o riprovati per
se stessi, ma sempre per amore di altri, perché essi devono agevolare
ad altri la salvezza.i0 e) I fatti, le persone, i gruppi e le generazioni
che individuaimentc costituiscono la storia, stanno in un intimo
nesso di solidarietà, non del tutto spiegabile razionalmente; 11 per
questo da ogni decisione morale-religiosa di un singolo o di una
intera comunità derivano benedizione o maledizione come forze sro-
riche che certo non diventano operanti in modo puramente fatali-
stico, ma anche sono attualizzate o per lo meno influenzate dalla vo-
lontà di Dio o dalla rispettiva decisione dell 'uomo. 12 /) Secondo il

benessere, sicure-aa e salute, d. Il. GKoss, Di<' Idi·.- d1·.1 t'Wtit1·11 Ufld t1llJ1.I'"'"'"''"
Wdtfriedt1rs im Alten Orttnl Ufld im AT. Trier 1956, lo., 'Fricde', in Bibdtheo·
/og. Wb .. JS~-390; E. BISER, 'Pace', in Dil 2 ( 219118) 461·467. - Per il concetto
della 'pace' I m'n11biib, i<aTWiauol;): G. \"ON R110, 'Es ist noch cinc Ruhl: \'Orhimden
dem Volkc Gotte5', in Theol. Bucherei 8 !Miinchcn 2 19621101-1o8: J.B. BAUEll.
'Ruhc', llibelthtol. Wb., 1003-1007: O. BAUl'.ISFEISD. in TWST 111, fw~ s.: R.A.
CARLSON, Dauid tbt Cbosefl King. S1ockholm 1y64. pp. 102 s.; J. F1~NKOWSK1, 'Rr-
<juin. bonum promissum populi Dei in VT et in _ludaismo', in \'D ·H (1<]651 124-1..9.
US·l40
• Sull'idc:• dell'elezione: K. GALLING. D1t' Erwiibl11ngslr'1di1tot1efl lsr'1els, Giessen
111 28; W. STAEIK, 'Zum ad. Erwihlungsglaubcn'. in lAW H I 19371 1.36; G.
QutLL-G. ScHaENK, in TIVNT IV, 147-197; F.M. DE LIAGlt.-BtiHL, Missions -
11 nJ F.rwilbl11ngsit'd11T1kt in Alt-lsr'1rl ffestschr. A. Benholell Tiibin~n 19,0, pp.
77 .96; HH RowLEY. Tht Biblica/ Doctrint' o/ Electitm, London 1950; TH. C.
V1tEZEN. Dtt F.ru·iihl11flg lsr'1els nach dt'rtf AT. Ziirich 19n: KL KOCH. 'Die
Geschich1r dc:r Erwahlungsvors1cllung in Israel'. in ZAW 67 (19551 205-266; R.
MARTIN. AC.llAID. 'La significa1ion dc 1'c:1ec1ion d'lsracl', in rz 16 (t<)6o) HJ·J.p;
P. ALTMANN. 'Erwiihlungsd1cologie und Universalismus', in BZAW 92 (Berlin 19641.
JO Più panicol•rqgiawncme in _I. ScHAHEIT, Ht'ilsmillll'T; R. MAKTIN - Arnuo,
lirati ti lrs n1111ons, Neuchàiel 1959.
li Per 11 solidarietà: J. ScHuBERT: Bibtltheol. W b., 1147-1158; ID., Heilsmitlll.'T~
lo .. Solidn11iit; J. DE FIAINE, Ad11m d son Lill.11411.', Brugcs 19s9; L. Ù>PEZ, 'El
mundo soliduio dcl hombrc en el AT', in S1udi11m 5 ( 1965) 217-271. - Solida·
rietà nel 11iudaismo: L. WiiCHTEJl, Gemt'inschaft 11nJ Eimelnl.'T im }iulentum, Ber-
lin 1959 Solidarietà nel NT: A.V. Sni~M. VtttkoTfltt, S1ockholm 194+
Il Su ·\r~rn' e •fluch': _I. Sc11A1BEJlT: Bibtllheol. Wb., lSVJ63; 1032-1040
lcon ulteriore bibliogr.); H. Ctt. BR1orro. The Problem o/ c,,,u in tht' Hebrew
Biblt. Philadelrhia 1q63.
rll'MF.S!IF.

quadro storico della Bibbia, la storia ha avuto un inizio con la crea·


ziom· e troverà la sua /im· e met,z quando, nel giOf'no di Jahvé.''
rispeuivamente. usando termini neotestamentari, al ritorno di Cr1-
sto. il rt•g110 di Dio " raggiunge il suo compimento. Per questo la
storia va incontro a una meia e non si s\•olge su una pianura. ma
lungo una linea nel suo insieme ascendente, anche se ci sono frat·
tonto degli arresti. Perciò storia significa promessa e com pimento. 1'
Proprio perché ogni salvezza e felicità concesse agli uomini nella
scoria sono imperfette e soltanto figura di una salveu.a futura e mag-
giore, la Bibbia insegna a comprendere ogni successo o insuccesso
sperimentati nella storia, come compimento di una promessa, o ri·
spettivamente di una minaccia di Dio, e contemporaneamente anche
come promessa di una felicità futura ancora maggiore, che un tempo
sarà perfino definitiva e completa, o rispettivamente come avverri·
mento di una sciagura ancora peggiore e che un tempo sarà perfino
definitiva.
I teologi caratterizzano la visione biblica della storia della sal-
vezza qui tracciata come tipolog,ica. 16 Già all'interno della tradizione

1• H. Gauss. 'T-.: des I lc:rrn', in 81beltheul. V?b., 1ol!J 1086 lcon la bibliogr.
meno recenu:I: E. KuTs<:H, 'lll!'UKhrcck.:nplaj!e und Tait Jah\l:l!'S in _Tocl 1 und i'.
in rz 111 I 1q6J I ll1-q4~ K.D. Sc11UNCK, 'Strukturlinien in der Entwidtlung drr
Vorstrllung \'UITI «Tait Jahwt'.'S•', in Vl' q 119641 Jl9·BO; P. VuttoEF, Du Do1r.
VtJn n,.. H.-r... !kn llaq 19\6; J. ScHaEINEll, 'Das En<k dcr Tage', in 811"/ 11nd
ùb,.n ~ 119641 1110-194; P.-F.. lANGEVIN, 'Sur l'ori11inr du •Jour de Jahvc; .. ', in
.k Ecci. 111 I 19661 U'l·J;o.
" R. ScHNACKF.Nlll•lt.. (1nll~' Hrrrtcba/t 11nJ Rrich, Freiburg 21961; ID. Bibrl·
throl. Wb. <J66-<}8K: Il. (;1oi;!'> R. Sc:llNACKF.NBUIG, 'Eschatologie', in LTK lii I 19,9 1
loll4-1093; J.H. G11m11ui;, 'Zur Fr1ge drr Eschatologie in drr Verkundiguna drr
Gerichtsprophrten·, in S1•rnsl: Exti. Anbok i4 119,91 5-21; O.Pt.<X;E1. Tbrn
krtJtie 11nd facbatolo11e. Nl!'Ukirchrn 1959 21962; G. FOHUR, 'Dic Struktur drr
ad. Eschatologie', in TLZ 11, ( 196c1) 401-.µo; G.W. BUOWIAN, 'Eschatology and
thr «End of Days .. ', in Jo11rt1tJI of Nea E11S1t'f'n 51111/irs 20 ( 1961) 188-19J;
J. MoLTMANN, 'Exc:gese und F.schatol"llic der Gnchichtr'. in EvT 22 I 1961) 31-66;
H.P. MiiLLEI, 'Zur Frai1r nach der Ursprung der hibl. Eschatologie', in VT 14
119641276-293.
is Cf. J. ScHA111uT. 'Promrssa, in VzT 2 fl19611I ;si-761 {con ultrriore hi·
hliogr.J; F.F. Baucr. Promise 11nd 1-iJ/il,,,,.nt in P11iJ's Prrsm1111ion o/ rr111s: Pm
"'ISt' IUld FiJPJmrnl tft'.'Stsehr. S.H. Hookc, c=d. F.F. Baucr) Edinburgh 1963, pp
Jft-50; CL. WESTEllMANN, 'lbe Way of Promise through thr OT. in Thr or1ind
Christi11n Fllitb (rd. B.W. ANousoNI. London 1964. pp. 200-224; F. HEssE, D111
Al" i:ls B11eb tkr K;,che !Giitenloh 1966) 72-97·
10 Circa Li tipologia L.GoPrEtT. Tyros. Darmstadl 21966; R.BULTMANN, 'Ur·
STOatA E O.DDllt DEll.A SALVEZZA NEU'A..T.

veterotestamentaria, ma soprattutto nel Nuovo Testamento, avve-


nimenti, persone, istituzioni e altri contenuti della tradizione di epo-
che precedenti hanno valore di prefigurazioni, o tracce volute e poste
da Dio; oppure, se si vuole, di ombre di avvenimenti posteriori ap-
portatori di salvezza. Appoggiandosi a Rom. 5,14 e a 1 Cor. 10,6.11,
quegli antichi modelli sono chiamati tipi (nin:o1) e gli avvenimenti
posteriori, appoggiandosi su Hebr. 9,24 e 1 Petr. 3,21, antitipi
(ciniru:w1): certo sarebbe più conveniente per questi ultimi il
termine teleotipi (da 't'ÈÀ.oç = meta), poiché costituiscono il punto
finale, in vista del quale Dio ha posto i precedenti avvenimenti sal-
vifici come un abbozzo provvisorio.17 In virtù dell'unico coerente
piano salvifico di Dio, esiste tra i 'tipi' e gli 'antitipi', rispettiva-
mente 'telcotipi', la relazione dell'1111alogia. L'analogia presuppone
diversità e soiniglianza allo stesso tempo. I due ordini della sal-
vezza, il veterotestamentario e il neotestamentario, si differenziano
non solo quantitativamente, ma anche qualitativamente: le realtà
salvifiche del Nuovo Testamento sono qualcosa di nuovo; perciò
già l'Antico Testamento usa la parola-motivo !Jadal = 'nuovo', e
parla di 'patto nuovo', 'cuore nuovo', 'cantico nuovo' o semplice-
mente di 'novità' che Dio creerà." Il Nuovo Testamento assume

1prun11 und Sinn dcr Typologie 1ls ermeneutischer Methode', TLZ n (1950) 20,-
.J11; J. DANltLOU, S•cr•,,,tt1t11m f11111ri, Paris 19.so; R.C. DENTAN,' 'Typology- lts
Use 1nd Abuse', in An&liC'afl Thtol. Rev. 34/.s ( 19,2) 1n-117; S. AMSLl!ll, 'Pio-
phétie et typoloaie', in RTP 11113 (1953) 139-148; W. ErcHRODT, 'lst typologische
Exegne sachaemùse Exegne', in VT Suppi. 4 (uidcn 19,7) 161-18o; ST. Hu-
MANSKY, Gr11t1tlltgtt1tlt Probltmt biblisC'bn Typologit, Praga 1959 (in =:o); O.
ScHILLING, 'H11 das AT ein Tii~oç-Verstindnis seiner selbst?.' in Ut1ivtrsitas (Fests-
chr. A. Stohr, a curi di L. LENHART) Mainz 196o; P. GRELOT, 'Les figures bibli-
ques', in NRT 94 (11)62) '61·n8; LGoPPELT, 'Apokalyptik und Typologie bei
P1ulus', in TLZ 89 ( 19641 311-344; H. ZIIKU, 'Die kultische Vergegmwilrtigung
in den Psalmen', in BBB 10 (Bonn 1964) 123·13'; R. ScHNACJCENBUllG, 'Zur Ausle-
gung der Heiligen Schrifl in unserer Zeit', in Bibel und Leben ' (1964) 120-236;
K. GALLEY, Allts """ fltlltS Htilsgeschehm bei Pa11l11s, Stuuprt 1965. Anche i
livori di ermeneutica trauano il tema (v. bibliografia 1). a. Mysterium Sal111is
I I I, pp. ,,11.,62.
n P. GRELOT, in NRT 94 (1962) 681 s. - Propriamente si dovrebbe distinguere
tra an1itipi e 1deo1ipi, 1 seconda che la 'prefigurazione' vrterotestamentaria ha in
Cri110 Il sua met1 (p. es. MoK, i re, i sacerdoti), oppure sra in una certa antitesi
1 Cristo (per es. Adamo in Rom.'; il gr1n Hcerdote veterotestamentario in Htbr.
7); d. J. ScHARBERT, Eit1/uhr11t1&, 127 s. e SaC'hbuch, pp. 112 s.
11 ls. 41,9 s.; 43,19; 48,6; Ier. 31,12.31; EuC'b. u,19; 36,29. Circa il motivo 'vec-
chio-nuovo', cf. J. BEHM, in TWNT lii, 4,0-4,6; c.H. NonH, '•1be Fom!Cf Things•
STOllA D'ISllAEU! COME STOllA DELLA liALVl!ZZA

questa parola-motivo ()(mro;) e llilnuncia la 'dottrina nuova' (Mc.


1,27), il «comandamento nuovo• (/o. 13,34), la «nuova alleanza»
(1 Cor. 11,25; 2 Cor. 3,6), la «creatura nuova. (2 Cor. 5,7) e l'«uo-
mo nuovo» (Eph. 2,1:s, 4,24). I due ordini della salvezza sono an-
che simili tra di loro e si riferiscono uno all'altro, mentre il nuovo
porta a compimento ciò che nell'antico era già posto in germe. Per
questa relazione, entrambi i testamenti usano nuovamente una pa-
rola-motivo comune, cioè portare a compimento (ebr. male', greco
11:À.T)pow ). " Nel rapporto di tipo e telcotipo stanno non solo i fatti
salvifici dell'Antico e quelli dcl Nuovo Testamento, ma anche la storia
salvifica dcl Nuovo Testamento e il 'nuovo eone', che comincerà solo
col ritorno di Cristo. Quella realtà celeste è certamente già «diven-
tata visibile nella vita e nel sacrificio di Ciisto... o resa presente
sotto i segni della Chiesa e dci suoi ordinamenti salvifici sacramen-
talio. » Cosl intesa la storia della salvezza è ordinata cristologicamen-
te; Gesù Cristo è il suo centro, giacché egli è la meta della speranza
dell'antico Israele e il garante della certezza della salvezza dcl nuovo
Israele, la Chiesa.:n

1. Storia d'Israele come storia della salveUll

a. Le promesse ai patriarchi

Secondo la storia biblica primitiva, l'umanità, tra la caduta e la chia-


mata di Abramo, non fu completamente abbandon~ta da Dio al suo
destino e non rimase del tutto senza benedizione; 22 tuttavia la male-

and «thc: New Thin11s•, in Studie" ;,, OT prophecy (Fc:stschr. Th. H. Robinson,.
ed. H.H. ROWLEY) Edinbur1h 19,0, pp. IIM16; M. HAllAN, 'Thc: Litc:rary Struc-
turl: and chronological Frame: Work of thc: Prophecies in ls. 40-48, in VT Suppi.
9 (l..eidc:n 1963) u7-1,,; 1pec. 137-141; A. Solooas, 'Lea choses anrérieures et
les chosc:s nouvc:lles d1n1 lc:s oraclc:s deu11!ro·i1Uc:n1', in ETL 40 (1964) 19-47;
K. GALLEY (v. noia 16).
" Sull'c:brairo miii~' e: il greco AQOill1:yu = 'compiere' cf. ]. SclULDl!NllEKGEI, in
Bibdtheol. Wb. 280-188; G. DEu1NG, in TWNT VI, 28)'309; ST. Ht:aMANSKY (v.
nota lti) pp. 84·86.
m P. GRELOT, in NRT 94 (1962) ,66.
21 a. nella bibliografia (1) le opere: citate di S. Amsler, P. Grc:lor e: C. Larchc:r.
ZI Cf.G.,,,, 5.~; 6,8; 9.1>'17.16 s.
STORIA Il ORDINE DELLA SALVEZZA Nl!LL'A.T.

dizione scatenata dal peccato minacciaya di rovinarla senza speran·


za.2.l Con Abramo la Bibbia fa accadere il cambiamento decisivo:
Dio interviene e aiuta la benedizione contro la maledizione, per spez·
zarla. Le più amiche tradizioni raccolte nel Pentateuco segnano in
modo particolarmente chiaro questo punto di cambiamento. 2 ~
La cosiddetta tradizione ;ahvista pone Abramo al centro della
umanità abbandonata alla maledizione in modo apparentemente
privo di salvez:t.a, umanità per la quale vale il giudizio: «Il disegno
del cuore dell'uomo è malvagio fìn dall'adolescenza» ( Gen. 8,21 ).
Con il suo albero genealogico. Abramo è collegato ai semiti, i quali,
mediante la torre di Babele. vollero documentare la loro superbia
che intendeva dar l'assalto al cielo. Qui il narratore gli fa giungere
immediatamente la chiamata di Dio: «Parti dalla tua terra, dalla tua
parentela e dalla casa di tuo padre, verso la terra che io ti mostrerò»
(Gen. 12, 1 ). Con queste parole risuona per la prima volta il tema
della terra verso la quale i chiamati da Dio devono mettersi in
strada. 2s Alla chiamata segue immediatamente la promessa: «lo farò
di te una grande nazione e ti benedirò, farò grande il tuo nome e
sarai una benedizione. Benedirò coloro che ti benediranno e coloro
che ti malediranno maledirò, e in te si diranno benedette tutte le
tribù della terra!» (Gen. r 2 ,2 s. ). Con queste parole viene formulato,
in una maniera insuperabilmente pregnante, il piano salvifico di
Dio: Dio si è scelto un mediatore che egli arricchisce di tale pie-
nezza di benedizione, che tutti gli uomini possono averne parte, in
quanto essi si dichiarano solidali con lui, riconoscendolo come il
benedetto da Dio. Certo viene presentato chiaramente anche l'altro

i.1 Cf. (;c11. 4; 6,1·7: 11,8,


l• Cl. J. ScHARBF.RT, Solidaritiit. p. 171: lo., 1-lctlrmilller, pp. 74-1!1,~oo-~02; H.
JUNKER, • Aufhau umi theol. Hauptinhnlt des Buchcs Gcnesis', in Bibel '""' Ktrcl. •
17 / 19621 ì0·7R. spec. ;o s.; H. GRoss, 'Mo1iv1ronsposi1ion als Form· und Tra&
tionsprinzip im AT', in I:xt'Jl.t'sr und D<1J1.m111ik /rdi1. Il VoKC.RIMLER) Matnz 1962.
p. 135 (tr. it.. beJ1.esi e dog111aticc1. Ed. Paoline, Roma); 1-1.W. WOLFI', 'D~s Ke-
rygma dcs Jahwistcn', in b·T 24 ( 1964) 7n!!, /"beni. ll:ich .. rc•t 22 (Miinchcn 1964'
345-373.
25 Sul tema 'via' e 'peregrinazione': A. Kusc11KE. 'Dir Mcnschenwegc und der
Weg im AT, in Studia Theol 5 (lund 1951) 106-118; r:R. Ni>TsCHFR, Golle.<wege
und Menschc11we11.c i11 dcr Bibcl 1111d 111 Q11mra11, Il/lii 15 (Bonn 1958); A. GROS,
}e suìs la mute, Brugcs 1961; H. GRoss, in Exe/l,c.rr 1111d Dof!.111atik (\-. nnrn 141
pp. 1n-13R; ult~riore hihlicgr presso J. FRA:-lKOWSKI lv notM 8) p 1251
STORIA D'ISltAELI! COME STORIA DELLA SALVBZZA

lato del piano della salvezza: chi non vuole aver cura di alcuna
comunione con quel mediatore, sta sotto la maledizione di Dio. 20
Un terzo tema allaccia lo stesso strato della tradizione con Abra-
mo: la grazia di Dio indebita e la fede del! 'uomo, sono le premesse
per l'alleanza.

Quando Jahvé promise la nascita di un erede a colui che era senza


figli, «egli [Abramo] credette a Jahvé, che glielo calcolò come giustiziu
(Gen. 15,6). Il termine ebraico fdakah. che noi in accordo con i 1.xx
(l11xaiom'.n'TI) siamo soliti tradurre con 'itiustizia', nell'Antico Tes1amen·
to significa propriamente una convinzione e una condotta, che risultano
dall'alleanza.r. Per questo non a caso il narratore 'jahvista' immedia·
tamente a conclusione riferisce la stipulazione dell'alleanza in cui Jahvé
si obbliga a dare la terra alla 'discendenza' di Abramo (Gen. I 5,8-
12.17 s.); al benevolo comportamento di Dio deve corrispondere da
parte dell'uomo la 'giustizia' (fdàkah).
La narrazione 'elohista' della storia della salvezza comincia senz'altro
con Abramo e precisamente con la chiamata consolatrice di Dio rivolta
al patriarca senza figli: «Non temere, Abramo! lo sono il tuo scudo!».
Ad essa poi fa seguito la promessa di una numerosa posterità (Gen. 15,1b
3.5). Questo strato di tradizione non nomina la promessa di benedi-
zione per lutti i popoli, ma solo la promessa della terra e della poste·
rità (Gen. 15,5.13-16; 22,15-19). Questo trasmettitore sottolinea, più
forte di quello 'jahvista', il fatto che la fede di Abramo si manifesta in
un agire corrispondente: Abramo è perfino pronto a restituire a Dio
senza riserve il figlio che gli era nato secondo la promessa (Gen. 22,1-141
Quello strato di tradizione che la critica letteraria attribuisce al cosid-

1lo Su Gen. 12,1 ss. J. HoFTIJZl!R, Die Verheissungen and die drei Erwiiter. Lei
den 1956; ]. SCHARBERT, 'uFluchen» und «Se11ncn• im AT', in Biblica 39 (1958) 1-26
spcc. 2, s.; Io., Solidarietiit, p. 17' s. ID., Heilsmittler, p. 77; H. JUNKER, 'Segen
als heilsgeschichtl. Motivwort im AT', in Sacra Pagina, Bibliotheca ETL 12/n
(Gembloux 19,9) ,4s.,,s; ]. Sc11REINF.R, 'Segen fiir VOlker', in BZ (NF) 6 (19621
1·31, spec. 2-8.
27 C.f. H.W. HEtDLAND, Dic Anrechnung dcs Glaubens zur Gercch1igkei1, in
BWANT iv/18 (Stuttgarl 1938); G. VON RAD, 'Die Anrechnung des Glaubens zur
Gercchtigkcit', in Tl.Z 76 (1951) 129-132, Theo/. Biicherei 8 (Mi.inchen 19,8) 130
i U· - Sulla nozione di 'giustizia' nell'AT e nel NT: FR. NèiTSCHER · P. BLiiSER
Bihelth1·o/. Wb., 4H·473 (con la bibliografia meno recente); E. BEAUCAMP, 'La
justicc dc Yahvé er l'économie dc l'Alliance', in Studii Bib/. Frane. Uber Annu11l
Il ( 1960/61 ), pp. ,.,,; KL. KocH, 'Wesen und Ursprung der «Gemeinschaftstreue»
im Isracl der Koni11siei1', in ZEvE 5 (1961) 72-90; W. MANN, 'Giustizia', in DzT
1 (l1969l 743'7"; A. DONNER, Die Gerechtigkeit nach dem AT, Bonn 1963; J. VFL
1.A, 'La 11iu~1izia forense di Dio', in Ri11ista Bibl. suppi. 1 /Brescia 1964>.
STORIA E ORDINE Dl!LLA SALVEZZA NELL'A.T.

detto codice sacerdotale ( P) mette talmente in risalto l'idea dell'alleanza


di Abramo, che quella del Sinai e tutto l'ordinamento dcll'allt.'anza che
poggia sul fatto del Sinai è soltanto uno sviluppo del patto di Abramo,
adattato alla situazione posteriore, in quanto i discendenti di Abramo
sono divenuti il popolo d'Israele:. Anche qui non si parla della promessa
<li benedizione per i pagani, bensì solo d1.:i discendenti e della terra;
ma, come nuovo momento, sopraggiunge l'istirn1.ione di un SCfl.110 del
patto, cioè della circoncisi~)lle che indica Abramo e i suoi discendenti
come partner del patto con Dio, e contemporancame::nte significa anche
una confessione del partner umano del patto fatta al Dio dell'alleanza
(Gen. 17). 28

Il capitolo xiv del libro della Genesi, il cui inserimento in uno strato
ben determinato della tradizione è cosa discussa, costata ancora un
altro fatto della storia di Abramo, che per la teologia biblica suc-
cessiva è di grande portata, cioè l'incontro tra il patriarca e Melki-
sedek rl quale, contrariamente alla comune abitudine della tradizione
veterotestamentaria, non è inserito in nessun albero genealogico.
Per il fatto che Melkisedek, il re sacerdote di Salem, benedice Abra-
mo e Abramo esercita con lui un culto comune mediante la confes-
sione fatta al «Dio altissimo, creatore del cielo e della terra» (Gen.
i4,17-20), viene stretta fra il popolo di Dio, fondato da Abramo
e il luogo di culto del «Dio Altissimo», nel quale Melkisedek agisce
come sacerdote e re, una relazione che è importante per il successivo
corso della storia della salvezza. 29
Le tre tradizioni principali rilevabili nel libro della Genesi descri-
vono come Dio faccia continuamente operare la benedizione nella
vita dei patriarchi e come confermi continuamente le promesse. Però
non tutti i figli dei depositari della promessa vi partecipano, o, per

2ll Circa la tradiiione di Abramo negli s1rati dcl Penta1~co: J. HoFTIJ7.Ell (v.
nota 26); e.A. KEL!.F.R, 'Gnimlsazliclx:s zur Auslei:ung der A!lt'ahamsiiberlieferung
in der Genesis', in rz 12 ( 1956) .f25·+o: R. Kll.IAN, 'Die vorpriesterlichen Abra-
hamsiiberliefenmgen', in BBB 24 (Bonn 1#1
2' Su Melkisedek, V. HAMP, M.-lch1udt'Cb 11/1 1'yp1w Pro m11ndi 1•it11, Miincben
1960, pp. 7-20 - (C',on la bibliogr. meno rt-cc:ntel; I.. F1s11H, 'Ahraham and llis
Priest-King', in JBL 81 (1962) 264·270; I. lluNT. 'Recrn1 Melkisedek Srud~·', in
The Bible in Current Cath. 'J'houp,hl (eJ. J.L McKUlllt.I Neu• York 1962, pp.
20-33; A.H.J. GuNNEWEG, 'Lcvi1en unti Prit'slc:r'. in l'RLANT 89 (Go11iniien 196:sl
98-108; H. SCHMID, 'Mekhisedek und Ahraham, Zadok urxl David', in Kairm 7
(1965) 148·151.
STORIA D 01Sl\Al!LI! COME STORIA DELLA SALVEZZA

lo meno, non tutti nella stessa maniera: tra i figli di Abramo sca-
dono da eredi della promessa il figlio della schiava, Ismade, e i figli
di Chetura, senza che una loro trasgressione ne sia stata la causa."'
Tra i figli di Isacco, Esaù fa perdere a se stesso l'eredità della pro·
messa, perché disprezza la benedizione paterna (Gen. 25,31-34) e
offende i genitori (Gen. 26,34 s.). Chi non si attiene all'ordinamento
stabilito dall'alleanza con Dio e omette la circoncisione, «è da reci-
dere dal suo popolo» (Gen. 17,14), e cioè da espellere senza indul-
gem~a dalla comunità degli eletti da Dio, anche se, per il sangue, è
un figlio di Abramo. Tutti i figli di Giacobbe sono per vero i capo-
stipiti delle dodici tribù che poi formano il popolo di Dio, ma la
beneJizione di Giacobbe manifesta già che essi non avranno parte
in egual misura alla benedizione e alla promessa. Su Simeone, Levi
e Ruben grava una maledizione, perché hanno oltraggiato il loro
padre: essi saranno privati della loro parte di terra e andranno a
perdet"Si tra altre tribù (Gen. 49,3-7). A Giuda invece è promesso
il dominio regale sui suoi fratelli (Gen. 49,8-12). Benedizione e pro-
messa quindi non operano in maniera magica, bensì vengono attuate
da due fattori: la volontà benevola di Dio e la solidarietà con i pa-
dri nella credenza.
La tradizione jahvista descrive come anche la promessa di bene-
dizione fatta ai patriarchi in favore dei pagani si avvii a compimen-
to: gli stranieri danno valore all'amicizia con i patriarchi e li cono-
scono come i «benedetti da Jahvé» (Gen. 14,18 ss, 26,28 s.) oppure
esperimentano essi stessi la benedizione, perché hanno accolto nella
loro comunità domestica gli eredi della promessa (Gen. 30,27.~o;
39,2-5). Il narratore elohista esprime un pensiero simile, quando
attribuisce all'intercessione di Abramo la forza di espiare i peccati
di Abimelek (Gen. 20,15 ss.).
Mentre il libro della Genesi considera il popolo d'Israele come
la meta, verso la quale Dio ha fissato la sua azione salvifica nei con-
fronti dei patriarchi, gli altri libri del Pentateuco invece, partt'nJo
dal fatto che Israele è diventato un popolo, hanno uno sguardo r-..:'·
trospettivo ai padri, visti come depositari della promessa di una

.11 Cf. Ge,,. 11,12: 1,.1.18.


STOltlA E OltDIHE DELLA SALVEZZA NELL'A.T.

discendenza. Dio ha scelto Israele, no11 perché il popolo si è acqui-


stato dei meriti, ma perché Dio amò i padri e mantiene il giuramento
che ha fatto ad essi.31 In quanto Dio dei padri, Jahvé si interessa
d'Israele (Ex. 3,6.15)
I
e si ricorda della sua «alleanza con Abramo,
Isacco e Giacobbe» (Ex. 2,24; cfr. 6,4). Il pensiero che Dio si ri-
corda deli'alleanza conclusa con i capostipiti di Israele risuona fre-
quentemente nella storia successiva. I patriarchi sono garanti che
Dio non respinge completamente il popolo, anche se infedele (2
Reg. 13 ,2 3 ). Lo scrittore delle Cronache presenta Davide che prega
«il Dio di Abramo, di Isacco e di Israele» (1 Chron. 29,18); e il re
Ezechia, che indirizza un appello alle tribù settentrionali, perché
ritornino ancora al Dio dei patriarchi (2 Chron. 30,6).

Sorprendentemente raro è nei Salmi l'acèenno ai patriarchi. In Ps. 47,ro


l'autore riconosce, pieno di gioia, la sua appanenenza al popolo 'del Dio
di Abramo'; e solo Ps. 105 parfa dell'elezione dci patriarchi (v. 6), della
alleanza stipulata con essi e delle promesse fatte ad Abramo e a Giacobbe
(vv. 9 ss. 42 ). La letteratura didattica esorta alla fedeltà alle buone usanze
introdotte dai patriarchi (Tob. 4,12) alla pazie~za e alla fiducia in Dio nelle

zia/e posteriore celebra l'alleanza di grazia da. parte di Dio e la sua


benevola condotta con Abramo, Isacco, Giacobbe e Giuseppe (Sap. 10,
5-14; Ecclus 44,19-23).

Nei profeti si può costatare un giudizio critico dell'epoca dei pa-


triarchi. Quelli vissuti prima dell'esilio usano i nomi di Giacobbe,
Israele e Efraim. per indicare il loro popolo, nomi cioè che collegano
Israele con i patriarchi. Però non fanno menzione delle promesse
fatte ai patriarchi, della loro elezione, o dell'alleanza conclusa con
essi. Neppure si parla della fedeltà di Jahvé nei confronti dei pa-
triarchi, o della loro fedeltà a Jahvé; al contrario anzi, per Osea già
il patriarca Giacobbe fu un imbroglione e per una donna sacrificò il
prezioso bene della libertà (Os. 12,4.13). Il silenzio della profezia
pre-esilica circa l'alleanza di Abramo è comprensibile. In quel pe·
riodo, in cui il culto era esteriorizzato, Israele poteva avere la ten-

JI Dr. 1,R; 4,37; 7.8.


STORIA D01SUEU! COME STOlllA DJ!LLA SALVEZZA

denza a interpretare le promesse fatte ai padri come un talismano


che opera magicamente e che culla Israele in una sicurezza fatale.
Al contrario, quei graQdi ammonitori dovevano ricordare al loro
popolo le minacce del giudizio di Jahvé e gli obblighi che l'alleanza
del Sinai aveva imposto a Israele. Soltanto durante e dopo l'esilio
quando il popolo precipitò nell'estremo opposto e cominciò a dubi-
tare dell'aiuto di Jahvé, i profeti drizzarono nuovamente lo sguardo
dei loro contemporanei e compagni di sventura verso i patriarchi e
cercarono di destare la fiducia in Dio che resta fedele alle sue pro-
messe fatte ad Abramo. 33
Anche se Melkisedek, il mis~erioso partner di benedizione di
Abramo, oftre che in Gen. 14 è menzionato espressamente soltanto
una volta nell'Antico Testamento, cioè in Pr. 110,4, tuttavia que-
sto collegamento che i due hanno nella storia della salvezza è signi-
ficativo in vista del Nuovo Testamento. Pr. 110,4 fa derivare la
dignità sacerdotale del re davidico-messianico dal fatto che il re di
Sian, di dinastia davidica, è successore legittimo di quel re-sacerdote
di El-eljòn, del «Dio Altissimo», di Salem.JJ In questo contesto sto-
rico-salvifico si dovrà vedere la scelta di Gerusalemme a capitale
sono David (2 Sam. 5,9), il trasferimento dell'arca dell'alleanza sul
monte Sion ( 2 Sam. 6) e l'esercizio delle funzioni sacerdotali da
parte di David e di Salomone.JA
Gli ebrei, al tempo di Gesù, si chiamavano pieni di superbia
«figli» ed «eredi di Abramo». Essi consideravano le promesse fatte
ai patriarchi e l'alleanza conclusa con loro come un pegno della pro-
pria salvezza. In genere però nei patriarchi si vedevano i grandi mo-
delli d'Israele, come pure i fondatori della legge.JS Singolare è l'idea

JZ Is 29,22: .. 1.8 s.; 51,l Anche M1ch 7,10 è ri1c:nu10 oggi come: csilico o post·
c:silico.
n Così l'ebraico 'al Jibriiti malJ:i-fcdck è da in1c:ndcrc: come 'a mo1ivo di Mc:lki-
sc:dek'. I Sct11n11 e i la1ini hanno 1rado110 •secondo l'ordine: di Melkisc:dc:lt»,
dando così un ~hro si1mificam alla frase
j4 2 Sam. 6.1p7•.; 1.ps; 1 Rrg ,,.. 15; 8,1·9; 9 - Circa le: funzioni sacerdo·
tali del re d'lsude v. J. ScHARBF.llT, Hei/smittlC" IH·129,z63-265.
15 Sui patriarchi nella lc:11c:r11ur1 non canonica: J. JEREMIAS, in TWNT 1, 7-9;
B1LLERBECK 111. 186·217: C. ScHMlrl, 'Abraham im Spiitjudc:ntum und im Ulchristc:n·
rum'. in Fesucbr A Schla11er. S1u11gar1 1922, pp. 99-123; R. LE DtAUT, 'la nuit
pascale'. in A1111lerta Ribl. l2 (Roma 196\) q1-2u.
900 STORIA E OllDINll DELLA SALVEZZA NE.U.'A.r

del ak'dat ;i!(Jak cioè del «sacrificio di Isacco»: 36 alcuni circoli di


rabbini farisei ritenevano il sacrificio df Isacco menzionato eia Gen.
22,9 s. talmente meritorio che Dio a causa di esso, avrebbe rimesso
i peccati d'Israele. Ma anche altrove la teologia giudaica sottolinea
i meriti dei patriarchi, che tornano vantaggiosi per Israele già in
questo mondo, e ancor più in quello futuro: per questo la discen-
denza carnale è di imponanza essenziale. Il giudaismo ellenistico
descrive i patriarchi prevalentemente come i modelli della genuina
virtù. L'interpretazione neotestamentaria della storia dei patriarchi
non è unitaria. 37

I Sinollici menzionano i patriarchi perché tra questi e Cristo vedono


uno strello nesso per la storia della salvezza. Già per mezzo dell'albero
genealogico Gesù è collegato a<l Abramo. Isacco e Giacobbe ( Mt. r ,1 ss.;
le. 3,34). Colla sua nascita cominciano a compiersi le promesse fatte
ad Abramo e ai suoi discendenti: ora Dio si ricorda della sua 'miseri-
cordia' data ad Abramo (Le. I,'4), del «giuramento fatto ad Abramo,
nostro padre» (Le. I ,73 ). Gesù stesso sa di essere inviato a portare la
misericordia di Dio ai membri oppressi e peccatori del popolo giudaico,
perché essi sono 'figli', o rispettivamente «figlie di Abramo» (Le. 13,16;
19,9). D'altra parte però i Sinottici cercano anche di prevenire il malin-
teso che la discendenza naturale da Abramo bastasse già a garantire la
salvezza ai Giudei. Già Giovanni Battista mette in guardia da questa
erronea valutazione della discendenza da Abramo IMt. 3,9; Le. ~.8).
Gesù accenna che il «Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe» essendo
«non un Dio di morti, ma di viventi» (Mc. 12,26 e par.) ha concesso
ai patriarchi il regno dei cieli come terra promessa; non lascia sussistere
però nessun dubbio sul fatto che molti 'figli del regno', coloro cioè che
sulla base della promessa fatta ad Abramo, possono aspirare in prima
linea all'eredità dei patriarchi, vengono esclusi, mentre altri «sederanno
a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe» Mt. 8,t 1 s.; Le. q,28 s.ì; allo-
ra a quelli nemmeno il 'loro padre Abramo' potrà più portare aiuto
(Le. 16,22-31 ).
Secondo il V angelo di Giovanni, Gesi1 formula lo stesso pensiero in

3b Cf. H.J. SCHÒl'S, Paulus, Tiibingen 19)9. q . p ,1; R. LE OÉAUT rv. nota '5)
(lp. 111·212 .
nel NT: J. JEREMIAS, in TWNT 1,8; G. RtOfTEI.. 'Dcursches
.Il Sui patriart·hi
Wfaterb. z. NT', in RNT 10 IRegensburg 1962) 4-8, 451 s.; 459; O. Scmu.INC,
Bibdtheol. Wb, 1p7: E. }ACOB, 'Abraham el sa signification pour la foi d1réti.en-
nc', in RllPR 41 (1!161) 148-156.
STORIA D'ISllAELl! COMl! STORIA DELLA SALV~ 901

modo ancora più netto: sono •figli di Abramo' soltanto quelli che
fanno le 'opere di Abramo', che sono cioè solidali coi patriarchi nella
fede e nella vita, mentre quelli che rifiutano Gesù e il suo evangelo,
anche se si gloriano della loro discendenza da Abramo, in realtà hanno
per padre il diavolo (lo. 8,30-44). La promessa fatta ad Abramo (Gen.
12,1 ss. e pdr.) in relazione con la nascita di Isacco (Gen. 17,17; 21,.is.)
ì: rnrnpresa da Giovanni come se Abramo, con la nascita inattesa dd-
l'erede promesso, avesse ouenuto il pegno che pure lui avrebbe visto
la 'discendenza' che porterà il compimento della promessa: a questo si
riferisce la parola di Gesù: «Abramo, vostro Padre, ha esultato, nella
speranza di vedere il mio giorno; lo vide e ne giol• (8,56).
La predicazione della Chies11 delle origini fa appello ai Giudei come a
«figli di Abramo» (Act. 3,25; 13,26}; essi però dovrebbero riconoscere
J"analogi:1 che esiste nell'azione salvifica di Dio nei patriarchi e in Gesù
(Act. 7,2-16): «Il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, il Dio dci
nostri padri ha glorificato il suo servo Gesù• (3,13); la 'discendenza',
nella quale tutte le generazioni saranno benedette (Gen. 22,18; 28,14),
è Gesù, e i Giudei stessi per primi devono ottenere la benedizione per
mezzo di questo Gesù, perché essi sono cfigli [ed eredi]. .. dell'alleanza
che Dio ha stipulato con i... padri, quando disse ad Abramo: - Nella
111:. disn·ndc:nza sarnnno hencdette autte le famiglie della terra. E Dio,
dopo aver risuscitato il suo Servo, l'ha mandato a voi per primi a por-
1,uvi la benedizione, cc.r:vertendo ciascuno dalle prc.prie malvagi1à»
1Act. 3,25 s.).
Pa~·lo considera la storia dei patriarchi da diversi punii di vista. In
Rom. 9 egli è panicolarmente impressionato dalla libertà della elezione
d::.lla grazia cella quale Dio sceglie Abramo, Isacco e Giacobbe senza
loro meriti, mentre ba escluso dalla promessa Ismaele ed Esaù; questo
pensiero ammonisce a riflettere che anche oggi Dio potrebbe scegliere
perfino i pagani e i peccatc.ri. ma potrebbe rifiutare coloro che si appel-
lano ;11la figliolanza da Abramo. In (;a/. J l'aposaolo assume il pensiero
espresso già dal Battista e da Gesù e ci~ che non ~ la discendenza da
Abramo che induce Dio a giustificare un uomo, ma la conformità con
Abramo nella fede, poiché solo •quelli che si mettono dalla parte della
fede sono figli di Abramo• (v. 7). Paolo approfondisce questo pensiero
facendo riferimento a Gen. 12,3 in relazione a Gen. 22,18 (cf. anche
28,14) dove egli interpreta l'espressione 'nella tua discendenza' non in
senso collettivo, ma in senso individuale e vede il compimento nella per-
sona di Gesù: «Ad Abramo e alla sua discendenza furono fntte le pro-
messe ... cioè [a] Cristo» (3,8 s. 16). Al t"Ontrario, in Rom. 4.9-22 Paolo
si interessa meno al rompimento delle promesse in Cristo, quanto piut·
aosto ad Abramo come al 1ipo dell'u"m" !!Ìustificato, senza la lt"gge,
902 STORIA FONDINI!. Dl!Ll.A SALVEZZA NEl.L'A.T.

per me1.zo della fede:•g Paolo ovviamente non vuole negare che Abramo
abbia compiuto anche 'i1pere buone'. se· in 4ueste si vede un agire ispi-
ratn dRlla f~de come in Gt'n. 22. Paolo però non pensa a tali opere,
4uando. parla cli giustificazione senza opere, mu pensa alle 'opere' pre-
scritte dalla legge mosaica che la circoncisione praticata da Abramo
(Gt•n. 17) racchiudeva già antidpatamentc e contencvu in nul·e. Paolo
insiste con forza sul fatto che Abrnmo fu giustificato solo da Dio, sem-
plicemente a musa della sua fede, imcor prima di compiere l'opera
della legge, doè la circoncisione (cf. Ge11. 15,6 contro Gen. 17). Ora,
come Abramo ha ottenuto In giustificazione per mezzo de11:1 fede senza
i riti della legge, cosi tutti JXissono essere giustificati alla stessa maniera
«Mn In promessa è ... sicurn per tulta la discendenza: non soltanto per
quella che è sotto la Legge. ma anche per quella che ha la fede di
Abramo. il 4u11lc è p11drr di tu11i noi» (R11111 .•p6).
Sembra che la lei/era di Giacomo vogliu rettificare Rom. 4 quando mette
in evidenza che Abramo fu giustificato non solo per mezzo della fede,
ma anche 11 causa delle sue 'opere'. E qui l'au1ore rimanda soprattutto
al sacrificio di Isacco, 11! quale fece seguito la promessa ( Gen. 22 ), e
ne trae la conclusione: «vedi come la fede agiva insieme con le sue
opere e che per le opere quella fede fu perfetta» (/ac. 2,21 ss.). L'ap·
parente contrasto con Rom. 4 però si chiarisce, come j!ià si è acce_nnato.
dal fatto che i due autori con l'espressione 'opere' intendono qualcosa
di diverso:w
Finalmcnre la lettera agli Ebrei vede nei p11trinrchi i modelli dclln fede
e Jel111 fiducia in Dio (Hebr. r 1,8·2 2) e nelle promesse fatte da Dio
ad Abramo mediante un giuramento, swrge un tipo Jell'11zione salvifirn
di Dio in Gesù: come Dio si è impegnato mediante un giuramento a
compiere le promesse, e Abramo fece buona prova nelln fiducia paziente.
cosl Dio, mediante l'azione redentrice di Gcsii Cristo, ~i è impegnato
a darci la salvezza promessa; perciò anche iI rristinno, fidandosi di ciò,
può attendere la salvezza ( Ht·hr. 6, 1 ~·20 ). 1.a volon1à salvifica di Dio
si manifesta dunque come egualmcntc de~n11 cli fiducia in Abramo e in
Cristo."°
Lo scrittore della lei/era agli Ebrei stabilisce un'ulteriore relazione tra

JB lJ. W11.CKENS, 'Die Rcchtfcrti11ung Abrnhams na(h Ri>m 4', in Studien ;.


Thcol. Ju 11/1. Ober/ieferungm (cdd. R. Rl'.NDTORPF • Kt. Kornl Ncukirchen 1961,
l'P· 111·1.z;; KL. BORGER, 'Abraham in dcn paulinischcn Hauptbricfen', in MTZ 17
( 1966) 47-89.
l• Su lar. 2,21 ss.: F. MussNER, Der Jalcobusbrief, Freiburg i. Br. 196.h pp.
140· 150.
41> 11. KiisTER, 'Dic Ausle11ung der Abraham - Vcrhcissung in Hebr. 6', in Stu
die't : "/'beo/. ecc. (v. notA lii) pp. 95.109.
STORIA D'ISRAILE COME STORIA DELLA SALVEZZA

Cristo e Mdkisedek. Con i 1.xx (xo:~à ~a.!;w) egli vede il re-sacerdote


di Salem e il re messianico di Gerusalemme collegati non da una suc-
cessione legale, ma da un 'analogia. Il sacerdozio del messia-Cristo è
tale, non '' guisa del sacerdozio ereditario di Levi, ma è un sacerdozio
«sernndo l'online di Mclkiscdck» (Hebr. 5,6.10; 6,20). La dignità sacer-
dotak· di Mclki~l·<lck non è vincolata a un albero genealogico, bensì è
con('cssa da Dio per liber.1 grazia. Abramo, dal fatto che consegnò la
decima al re di Salcm e da lui ricevette la benedizione, riconobbe - e
nella sua qualità di capostipite anche a nome di Levi - il sacerdozio
di Mclkisedck (llc-br. 7,1-10). Ma ora Dio, in analogia a questo, ha
affidato a Gesù, che non appartiene alla tribù di Levi, il sacerdozio
eterno e ha sostituito il s11rerdozio levitico colla nuova economia di
salvezzA (Hcbr. 7,11-28).

b. Esodo e alleanza del Sinai

Tutti gli strati del Pentateuco vedono la storia d'Israele, dall'uscita


dall'Egitto fino alla consegna della terra promessa, in stretta rela-
zione con le promesse di Jahvé ai patriarchi. In Egitto si è adem-
piuta la promessa della discendenza: il 'seme' di Abramo è diven-
tato un grande popolo. 41 Però manca ancora l'adempimento della
promessa della terra; anzi la schiavitù opprimente in Egitto minaccia
perfino l'esistenza del popolo. Allora interviene Dio che salva e
libera Israele dalla schiavitù. Dio opera questo fatto salvifico perché
egli resta fedele alle promesse fatte ad Abramo, Isacco e Giacobbe.
Dio comincia l'opera di salvezza con la chiamala del mediatore,
Mosè, al quale si rivela come il «Dio di Abramo, Isacco e Gia-
cobbe» ;42 egli però soggiunge un altro nome divino, nel quale con-
temporaneamente sta una nuova promessa: ii Dio dei padri è Jahvé
che sempre «sarà presente» per Israele (Ex. 3,14 s.; 6,3). 0 Anche se

•1 Ex. 1,7 (Pl; 1,8s. (}); 1,20 !E); Dr 16,~.


42 Ex. 3,6 (El: Su Mosè nel Pentateuco e sui problemi st~
3,16 (}); 6,3 (PI -
rici della storia di Mosè: H. CAZELLES ·A. GF.L!N, Maise, /'bammr dr /'111/ia,,cr,
Tournai 1955; J. ScHARBERT, Heilsmittler, pp. 81-99, 138·2,o (ron ulteriore bibli~
grafia).
4J Sul nome Jahvé: M. ALLAND, 'Note sur 111 formule Ehych alcr chyh', in
RSR 4' ( 1957) 79-86; R. MAYER, 'Dcr Gottesname Jahwc im Lichrc dcr ncucrcn
ForS<-hung', in BZ (NFI 2 ( 1958) 26-B; R. A1111A, 'The Divine.- NAme Y~hw~h', in
STORIA E ORDINI. DELLA SALVl!ZZA NELL'A.T.

nelle particolarità sono differenti tra loro, tutti gli strati della tra-
dizione presenti nel libro dell'Esodo descrivono l'azione liberatrice
di Jahvé in sostanziale accordo: 44 il faraone, costretto da terribili
'piaghe', deve lasciar partire Israele, anzi gli deve chiedere la bene-
dizione e con ciò riconoscerlo depositario della benedizione (Ex.
r2,32). Al mare dei giunchi, Jahvé deve di nuovo salvare Israele
e intcrvi::nire contro il faraone in modo rovinoso (Ex. 14 t: 15 ).
Ora finalmente il popolo è strappato dalla schiavitù e può mettersi
in viaggio verso la terra promessa.
Il secondo grande fatto salvifico di questa epoca è la stipulazione
d~'ll't1lleanza sul Sinai= Horeb. I vari filoni della tradizione hanno
nuovamente delle divergen:le fra di loro nella descrizione dei parti-
colari, ma nell'ess;;:nziale vanno d'accordo: .Jahvé non ha condotto
Israele immediatamente nella terra promessa, ma lo ha portato dap-
prima su di un monte santo, che una parte della tradizione chiama
Sinai (così J e P), l'altra chiama lforch (E e Dt ). Lì Jahvé offre
a Israele un patto di questo tenore: Jahvé vuole essere Dio e protet-
tore di Israele e Israele deve essere proprietà di Dio e il popolo
da lui scelto fra tutti gli altri popoli.~~ Dio gli impone uno statuto di
alleanza in forma di comandamenti morali. di leggi sociali e di dispo-
sizioni cultuali.46 Il popolo, da parte sua, si impegna all'alleanza
(Ex. 19,8; 24,3). In tutto questo, Mosè funge da mediatore, in
q~anto rappresenta il popolo davanti a Dio e riceve le parole di

JBL 8o I 1961 l 320-328; S. Mow1NCKF.L, 'Thc Name ot ilw Gcxl of Mose', in HUCA
Jl I 1<)6rl 121·13J: F.M. CROS~. 'Yah\l'eh and 1hc c ....1 PI 1he Pamarchs". in HTR
" I 1961 I 1n·259: E.C.B. MACI Al•RIN. 'YH\X'H. 1 h<" < >q,rn oi 1he Tc1r~ramma·
1un', in \'/' 12 11962) -08-463; Il. KosMALA (tre mirnh>. in A11•1up/ of the Swe-
Ji1h Theol 1111/i/ule 2 (1963·1 101·11 L !\:. LotlFINf.. 1n (,n// m Welt, 1•.42<); J.
LtNDBL0:-.1. 'i\:och cinmal die Danunit dcs Jah1>•enameos in 1--x. 1.14', in An. \r.ced
Theotlmt I (19611 .p5; W. voN SonlN. 'Jahu·e «Er is1. Er Erwcisl sich•". in
We/t des Orimlf 1I1#1177-187.
44 e;. A1:zov, D,· {p seruitude "" lerr•iu, Paris 1961; D. DAl'BF. The Exodu.< p,,,_
tem 111 th(' lli/.fr, Londnn 1963; G. FOltRF.ll, 'Ubcrliderum: und Geschich1,· des Ew-
Jus'. in 111.A\f' 91 llkrlin 19641; .I \X'IJflòGAARDS, 'H\X':;'i· md ll'LH. ;\ Twofold
Approach ro 1hc f.xodus', in \.'T 1 S ( 196~) 91-102.
•l Ex. l•),.j ,,,; DI ;.6; 1.j,2. - Su hrade come popolo di Dio: H. W11DU1ERGF.R.
'Jahu·es Ei11en1umwolk'. in AfAN r. 17 (Ziirich 196ol: L S<:HARRERT. 'Vo!k Gnt:c<.
in Bibeflheol. Wb. 114;·1158 (con uherinre bibliografia I.
«- Fx 20.1-1<•: 21 ss.; 3-1.11-26; Dt. 5,1·21.
STORIA D'ISRAEl.F. COME STORU DFl.l.A SALVEZZA

Dio, 47 mette per iscritto il protocollo dell'alleanza 4s e ratifica il


patto con un rito solenne. 49 Secondo la tradizione P, già al momento
de!l'esodo Dio si è preso Israele «come suo popolo ed è diventato
il suo Dio», perché aveva in mente «la sua alleanza stipulata con
Abramo, Isacco e Giacobbe» (Ex. 6,5 ss.). Tutto quello che Jahvé
compie per Israele, dall'uscita dall'Egitto fino alla consegna della
terra promessa, non è altro che la attuazione dell'alleanza con
Abramo.so Il Sinai tuttavia ha un significato speciale per il facto che
ora Dio dà ad Israele un ordinamento cultuale che «rende santm>
il popolo, cioè lo segrega per Jahvé da tutti gli altri popoli ( Lev.
II,44 s.) e se ha peccato gli offre la possibilità dell'espiazione con
l'istituzione del rito sacrificale (Lev. u,44). In tal modo, nel codice
sacerdotale l'intero racconto del Sinai da Ex. 19,1 fino a Num. 10,10
comprende soprattutto le disposizioni di Jahvé per il culto, la costi-
tuzione del sacerdozio, la costruzione del santuario mobile (tenda e
arca), la fabbricazione delle suppellettili sacre e la stesura di un
nuovo ordinamento per l'accampamento.
Il terzo tema fondamentale della riflessione storico-salvifica del
tempo di Mosè è la benevola guida di Dio ~' e la ribellione del popolo
nel deserto. Jahvé, dopo aver stipulato l'alleanza sul Sinai, si ac-
cinge a compiere la sua promessa di una terra, fatta ai patriarchi
(Ex. 33,1; Num. 10,29.32). Durante la pericolosa e difficile pere-
grinazione attraverso il deserto, Jahvé si manifesta come colui che
«è presente» per Israele. Già durante il viaggio verso il Sinai egli
ha dato al popolo un cibo, cioè quaglie e manna, che nutrono Israe-
le, finché raggiunge la meta. 52 Quando il popolo sca per morire di
sete, gli dà dell'acqua da bere." Contro i nemici concede protezione
ifl E". 19; 20,18·21; 24,2 s.; DI. ,,24-28.
41 Ex. 244; 34,27. - Secondo Dt. ,,n Dio stesso lo ha serino e consc11na10 poi
a Mosè.
49 L'alleanza vien suj1g~lla1a, secondo Ex 24, ,.11 m<"<lianic uo sanificio rolle1191u
con l'aspersione dcl ~nguc, sccondo Ex. 2.f.9 ss. invc<.-., mcdiamc un banchcuo sacro.
L'assc11nazion.: a un de1crmina10 filone dcl Pcn1a1cuco è discussa. Sulla forma della
stipulazio~ dd pano \'. ml(lgiori particolari sono 2.a e alla nota 14,.
50 Cf. sopra pp. K91 ss.
~• Sul tema ·c;uitla da parte di Jahn:', v. J. Sc1ntEISF.R, 'Fiihruni: ·Turma ~r Hcil1<-
~cs.:hicluc im AT', in BZ !NF) , I 1961) 2-18.
~Ex. 16,6-1': Num "·iss.; Dt. 8.p6.
~ 1 E'(. 1 i.•·;; Ntmt. 20.8·11; Dt 8,1 '·
STORIA I! ORDINI! Dl!LLA SALVl!ZZA NELL'A.T.

e vittoria. 54 Fa benedire Israele da Balaam (Num. 22 ss.) e cosi la


benedizione fatta ad Abramo in Gen. 12,2, viene ripetuta: «Chi ti
benedice, [Israele], sia benedetto, e chi ti maledice, sia maledetto!»
(Num. 24,9). Tuttavia a causa dell'ingratitudine dcl popolo e della
rottura dell'alleanza, il periodo di peregrinazione nel deserto minac·
eia di diventare un giudizio per il popolo d'Israele. Mentre Jahvé
lascia impunita la mormorazione del popolo durante il viaggio verso
il Sinai, quindi prima della stipulazione dell'alleanza, e risponde por·
gendo aiuto (Ex. 16 ,2 ss. 11 s.; 1 7 ,2) dopo il patto invece considera
la disobbedienza e la rivolta del popolo come una rottura della.
alleanza. La tradizione 'elohista' riferisce, immediatamente dopo la
stipulazione dell'alleanza, un'infame ribellione di Israele: la costru·
zione e l'adorazione del vitello d'oro (Ex. 32). Gli altri strati della
tradizione parlano di ribellioni contro il mediatore o i mediatori
dell'alleanza, stabiliti da Dio, di diffidenza e di disobbedienza nei
confronti di Jahvé,'s di dubbi se Jahvé abbia semplicemente la po-
tenza per portare a compimento le sue promesse; un peccato, questo,
che l'Antico Testamento considera come la più grande offesa di Dio
(Num. 14; Deut. 1,26-45).io Siccome la legge dell'alleanza era stata
sanzionata mediante benedizioni e maledizioni (l.ev. 26; Deul. 28)
Israele non ha nessuna scusa per tale mancanza, e perciò merita il
giudizio. Jahvé prende in considerazione di far cominciare di nuovo
la storia della salvezza come una volta con Abramo, e rispettiva-
mente di restringere la linea ereditaria delle promesse nuovameme
solo a un unico discendente di Abramo, cioè a Mosè, come una volta
con Isacco e Giacobbe: «lo lo distruggerò (questo popolo), ma farò
di te una nazione più grande e più potente di questo popolo».51
La peggiore punizione, il ripudio d'Israele da parte di Dio, viene
allontanata dal popolo grazie al quarto fatto salvifico decisivo, acca-
duto durante la peregrinazione dcl deserto, e cioè grazie all'entrala
in scena di Mosè quale mediatore. Jahvè stesso ha dato ad Israele

-. fa. 17,8-16; Num. 21; Dt. 2,24·},ll.


~· Num. 11,1·9; 16; 17,6-15 .
..,, cr. I. SCHAllBERT, in Biheltheol. W/J., 577 s.
~7 Ex. ·32,10; Num. 14-12; Dt. 9,14 e inoltre J. SCHARBliRT, Solidaritiit, ~P· 147-
14•1. I 7i, IQO. 26;.
STORIA D'ISRAELE COME STORIA DELLA SALVl!ZZA

un mediatore, il quale non ha solamente il compito di trasmettere


la sua parola e di guidare Israele, ma deve pure allontanare la sua ira
dal popolo che ha violato l'alleanza. Anche in questo significativo
tema della storia salvifica si possono notare nuovamente alcune sfu-
mature nei diversi strati del Pentateuco.!111

La tradizione 'jahvista' caratterizza subito Mosè come 'salvatore': Mosè


parla .con Dio degli affari del popolo con una confidenza sorprendente
per l'odierno lettore della Bibbia (Ex. 5,22 ss.; Num. i1,11-15). In ogni
necessità del suo popolo «egli grida a Jahvé» (E\'. 15 1 25; Num. 12,13)
«alza le sue mani» in preghiera (Ex. 17,11) e intercede (hitpalli'l)l 9 per
Israele (Num. II,2; 21,7). Soprattutto però e~li supplica .Jahvé appas-
sionatamente di perdonare il popolo infedele all'alleanza. Non vuole
nemmeno continuare a vivere, se .Jahvé non vuole perdonare: «Ma ora,
se tu perdoni il loro peccato ... E se no, c.ancellami dal libro che hai
scritto!» (Ex. 32,32). In favore dèl suo popolo egli rifiuta l'offerta di
Jahvé, che vuole costituirlo capo di un popolo nuovo e grande, in luogo·
del popolo d'Israele peccatore (Ex. 32,10 ss.; Num. 14,12-19). Finché
Mosè tiene sopra Israele le sue mani protettrici, Jahvé non rigett~rà
il popolo (cf. Ex. 32,10 s.); quando invece abbandona al giudizio certi
cattivi trasgressori, essi sono perduti ( Num. 16, 15.25-32). Solamente al-
cuni egli abbandona all'ira di .Jahvé, e mai l'intero popolo; anche se, a
causa delle colpe più gravi d'hraele, non può evitare totalmente una
grave condanna, ottiene tu11avia che il popolo non venga interamente
rigettato, ma che Ji1hvé gli conceda almeno nella prossima generazione
la terra promessa (Num. 14). L'esposizione 'jahvista' mette talmente in
risalto la funzione di salvatore di Mosè, che accanto ad essa il penti-
mento dei peccatori sembra avere soltanto un ruolo secondario. Va osser-
vato tuttavia che proprio qui, frequentemente e in maniera esplicita,
viene ricordata una condizione necessaria per avere il perdono: coloro
che sono minacciati dal giudizio, devono rivolgersi al mediatore, e
questo atto viene espresso nella richiesta di intercessione; cosl il popolo
si confessa a Mosè come al garante dell.1 salvezza (Num. 11,2; 12,11 s.;
21 ,6 s. ). Perfino il pagano faraone deve riconoscere in Mosè il media-
tore stabilito da Jahvé, e avrebbe potuto ottenere anche la remissione,
se la sua ostinazione non glielo avesse impedito (Ex. 8,4.24; 9,28; 10,16s.).
La tradizione 'clohista' vede in Mosè il mediatore dell'alleanza (Ex. 18,

;g Sulla lil(ura <li Mosè nei div~rsi strali dcl l'cnrutc:urn: J. S<:llARBRRT, Heilsmit-
tler divcl'samcnte G. VON HAD, Tht•o/, 14, pp. 302-308.
81-99;
5• Su hilpc11/t'I '" 'forc una supplica per qualcuno' cf. SH. lt BLANK, Jeremiah, Cin-
cinnati 1961. pp. 216·219.
STORIA I! OIDINE DF.1.1.A SAl.Vl!ZZA NHL'A.T.

19 ss.: 19,3-8; 24,3-11) e il giudice (Ex. 18); però mcpziona anche, a


mala pena, la sua funzione di intercessore.
Nel codice sacerdotale ( P) del Pentateuco, il ruolo di Mosè come inter-
cessore viene ristretto in modo sorprendente. A dire il vero, occasional-
mente, Mosè prega :mco;a da solo Jahvé, perché aiuri il popolo (Ex.
14 ,1 5 ; Num. 27,16 s.). Non appena però si tratta di remissione dci pec-
cati, accanto a lui compare il sacerdote Aronne (N11m. 16.20 ss.); oppure
Aronne deve efietruare un rito liturgico di espinziunc in agp,iunta alla
preghiera di Mosè (Num. 17.10-1 Jl. L'unil·a vulra, in cui una persona
singola «ha rimosso l'ira di Dio dai figli d'Israele e ha fatto l'espiazione
per essi», avvenne non per mezzo di Mosè, m11 per merito dcl sacerdote
Pinehas, discendente di Aronne, quando con un intcrvcnlU deciso appli-
cò la pena di morte a un adoratore degli idoli (N11•11. 2 5 ,7-1 3 ). !;: proprio
questa tradizione che riferisce un peccato comune di Mosè l' di Aronne:
il duhbio nell'aiuto di Dio in occasione elci miracolo cldl'acqu11 della
roccia nel deserto (Num. 20,10 ss. ). Questo peccato resta senza intlusso
per la sorte del popolo; soltanto i colpevoli devono espiarlo: neppure
essi potranno metter piede nella terra promessa. La storia di Mosè:
riferita dall11 tradizione 'jahvista', non sa nulla, a quanto pare, di un
peccato dei due fratelli; quella 'elohista' pnrla solo di complicità nella
colpa per Aronne, quando fu trasgredita l'alleanza con la costruzione
del vitello d'oro (Ex. 32 ,2 1 ). ma lì non dice nulla della sua punizione.
li Deu/t'ronomio, allo stcs~o modo della tradizione J, cono~ce solo Mosè
come mediatore. Dio hn conosciuto costui «faccia a faccia» e non c'è
mai stato in Israele un simile mediatore (Dt. 34,10 ). Anche qui Mosè
è intercessore che 101111 con Dio per il suo popolo e allontana il giu-
dizio divino o, per lo meno, lo mitiga sostanzialmente (Dt. 9,19; 10,10).
Come nella narrazione 'jahvista', egli rifiuta l'offerta di Jahvé di costi·
tuirlo capostipite di un nuovo popolo, dopo il rigetto d'Israele (Dt. 9,
14 ). In seguito alla rottura dell'alleanza per l'adorazione del vitello d'oro
egli include espressamente Aronne nella domanda di remissione (Dt.
9 ,20). L'autore del Deuteronomio motiva la morte di Mosè, prima del
raggiungimento della terra promessa, in maniera del tutto diversa dalla
narrazione P: Mosè stesso non ha commesso peccati, bensl porta l'ira
di Dio per Israele peccatore: «Anche contro di me si è adirato Jahvé,
per causa vostra• (Dt. 1,37; 1,26: 4,21). L'unica volia in cui Mosè do-
manda non per il suo popolo, ma per se stesso, chiedendo di poter
entrare nella terra promessa, riceve un aspro rifiul'O (Dt. 3,23~28).

Al di fuori del Pentateuco la liberazione d'Israele dalla schiavitù


egiziana e il miracolo al mare dei giunchi (chiamato comunemente
secondo i LXX «mar Rosso») sono stimati come le grandi gesta sal-
STORIA D'ISllAEl.I!. COMI! STORIA DELLA SALVEZZA

vifiche operate da Jahvé in favore d'lsraele.eo Lo storico deuterono-


mista, in connessione con avvenimenti decisivi o con situazioni dif-
ficili nella storia successiva d'Israele, ricorda l'aiuto divino speri-
mentato dal popolo all'uscita dall'Egitto e al mare dei giunchi.'1 I
salmi esaltano la rivelazione della potenza di Jahvé nelle piaghe
inflitte all'Egitto, e i prodigi di Dio durante l'esodo.62 La poesia
sapienziale in quei prodigi di Dio vede la divina sapienza all'opera
(Sap. 1 1 ,6-16; 16-19 ). Sono però soprattutto i pro/eti che ricordano
al loro popolo il governo potente e benevolo di Dio in quegli avve-
nimenti. L'epoca dell'esodo, della peregrinazione nel deserto, della
stipulazione dell'alleanza sul Sinai fu il periodo nuziale per Israele,
perché Jahvé ha salvato il popolo dalla più profonda mise1·ia., e lo
ha prescelto a sua sposa (l er. 2 ,2; Ezech. 16 ); per questo è tanto
più riprovevole la condotta posteriore con la trasgressione della
alleanza.
Esodo dall'Egitto, salveu.a presso il mare dei giunchi e guida
benevola di Jahvé nel deserto, sono tipo per ulteriori azioni salvi-
fiche di Dio; come egli ha dato aiuto allora, cosl anche in futuro
assisterà Israele (Mich. 7 ,1 '). Specialmente i profeti del tempo del-
l'esilio alimentano la speranza che Dio, anche adesso come allora,
con potenti segni prodigiosi libererà Israele dalla triste schiavitù,
dal potere del nemico, dalla dispersione dell'esilio;" secondo Osea

60 Sulla tradizione dell'Esodo ndl'An1ico Tnramcmo, al di fuori dcl Pm1a1cuco


H. LuasCZYlt, Dn Aus:MJ 11,,,,./s as Aupt.-n. l..rirzii: 1y6\; .I. WIJNSGAAIDS lv.
nota 44); D. DAUBE. Tbc- E.xoJ111 P11ttr•" '" 1h,- Bil>ll". L<>ndon 1.,6\; 11.8. HuPFMON,
'Tbc Exodus. Sinai and 1hc Crede>'. m C'H(} J7 {1Q6'l 101·11 \
61 los. 2,10; ... JJ; 24,, ss.; lud h.K s. - C<>mc '0..•111rmnum111a si dcsi11n1 oqi
lo sronosciuto aurore dc:ll'opn1 storin dcu1rronomi11ica ,.hc \'a dal Dtutno""'"i" tino
.ti l" libro dti Rt .
.z Ps.18.8-16; 66.6: i7.r7-20: ;8; 81.8.11; 10,.JJ·•1: 1o6,; 12; •1'.111.; 116, 1\s.;
d. J lWVEY, 'la 1ypoic.ir dc l"Exodc daiu In Ps.u~", in Jri,.,,rt•J F.rrlh111stiqu<'J
1, (Monacai
61ler.
196\) \8\-40,.
2,2 s.; A11r 2,10; J,1 1.; Os. 114 ss.
64 ls. ,1,101.; 55.12; I~. 2\,71; E:ech zo.\-1: cf. R.1 V.\N nn .\tnwc, p,.,,,.,
ltuchtroJisits i11 dic prtdiiti11a '"'" DtuttM1t'r111o1. Grnnin11m 1<1H; R.W. ANDF.ISu'<.
"Exodus TypolollY in Sccond luiah', in I m1,./'1 Pmp/.,.11c lfrnto1i<" 1 Fn1schr. I.
Muilcnburg, cdd. R.W ANDUSON · W. llun1M>N) l.omlon l<Jt.2, pp. 177-19'; 'i·.
ZIMMERl.I, 'Dcr anruc Exodu~· in der Verkiindi11un11 dcr hridcn 11rosscn Exil&prn·
pheten, in Theo/. BiJcherei 19 tMiinchcn 19611 1<12-20-1: .I. RtlllNKINsorr, Abm·bl
und s;,,,, J.., F.>Cod11slr11ditin,, ;,, n,.ult'rnjt'111i11· Conc. 2 I t<iMI 71>2.767 (rd. lrd.) -
&TOUA E ORDINE DELLA SALVEZZA NELL'A.T.
910

ed Èzechiele, certamence Jahvé prima li condurrà nel deserto, come


una volta ha condotto Israele nel desèrto, per metterli alla prova e
purificarli.&S
Mosè continua a vivere, nel ricordo del popolo, come l'uomo di
Dio, profeta e condouiero· d'Israele. Egli è il liberatore dall'Egitto,~
il 'servo' di Jahvé,67 il prediletto di Dio (Ecclus {4,23-45,5). Ma egli
passa specialmente come promulgatore della legge, per cui tutte le
leggi vengono fatte risalire a lui e vengono semplicemente riassunte
come eia legge di Mosè». Viene spesso ricordata anche la sua azione
di mediatore che intercede (ler. 15,1; Ps. 99,6 s.). Il salmo 106,23
perciò lo descrive come colui che per il suo popolo «Si è eretto sulla
breccia» e così ha allontanato l'ira divina.°'
Il Nuovo Testamento rimanda spesso ai fatti salvifici del tempo
mosaico, spiega con essi l'azione salvifica di Dio nell'opera reden-
trice di Gesù, oppure li vede nel rapporto promessa-compimento."'

li vangelo di Matteo, negli avvenimenti deU'esodo dall'Egiuo, trova una


prefigurazione dell'azione redenaice di Gesù. Come una volta Dio con-
dusse in Egitto Israele, suo 'figlio primogenito'. e di lì lo fece nuova-
mentl" uscire (cf. Ex. 4,22; Os. 11,1 ), cosl ora Dio ha fatto giungere
il suo Figlio Gesù in Egitto e di là lo ha fatto ritornare in Palestina
(Ml. 2,13 ss. 19s.) Mt. 4,1-11 descrive il digiuno di Gesù di quaranta
giorni, con 111 tentazione annessa, in chiara analogia con la descrizione
del via!lilio di Israele per quaranta anni nel deserto. Come: allora Israele
fu tentato. 1mrhe Gesù è stato tentato; però egli, a differenza di Israele,
ha superato la tentazione. L'evangelista vede soprartuno l'azione rcden·
trice di Gesù sulla croce, prefigurata nella pasqua (Ex. 12) e nella stipu-
lazione dell'alleanza ~ul Sinai, quando Mosè asperse il popolo con il

Sul11 tipolOflia dcl Mare Ros.'I<) d. specialmcmr N. lottFINK, Das S1l'gtJllt'J '""
Scbil/"'""'· Franklurr l'Jft'- PI'· 102-128 .
... F.~tch. w.14-40; Os 1,1b-1s; 12,10.
,.. 11 61,11 s. M1ch tq; Ps 77,21; Sap ro.1ss; Ecclus.u.1 s .
., lm 1.1; Bar 1,10; /Ila/. J ..12: Ps. 105.zb.
"" l:irlll la ti11ura hihlica di Mosè: Afosrs in Jer Schri/t u11J Ohrrlrc·lmn1(
DilsscJdort I 00 I·
"' Pt'r 111 h1111r1 .li MO'i<' e per la tradi~ioll<' dcll'bodo nd giudaismo " ud Nuv•·u
Tcst1mcnto; I. IEU'l.llAS TWNT IV. 852-8;8; (ì. R1ct1Tr.1. De11tJ.-hes Vl'"rtrrh :.11m
ITT. liJ]-644 . . 81!/erb.-ck ,,._ l'indicl'), O XHll l.ISG, Il1bdtheol Wb ll!l2-ft!l4,
G. f.11'l'AlllS, 'llx- Exoc.lus ami A110<:alvptic'. in A \"ti1bhom Faith ( Ft'~1 .... hr \~' A.
lru·in1 Dalla~ 19st" J'P 1;-18; R. LE DÉAUT \V. nota n1 N. FlicLISTU. D1e 11 ..111.
/.rd1·11//"'' dr• p.,.,·/oa Miinchrn 1u61. '" indie~ 'Erlmuns( e 'Mosrs'.
STOllIA n'ISl.AELE COME STOllIA DELLA SALVEZZA

sangue e cosl ratificò il patto con Dio (Ex. 24,6): per questo Gesù
celebra, in connessione con la solennità della Pasqua, l'ultima cena,
che rende già presente in modo sacramentale il sacrificio della croce, e
parla del suo sangue come del «Sangue dell'alleanza. (Mt. 26,26-30).
Luca vede la passione e la croce di Gesù alla luce della narrazione del·
l'esodo. Ciò egli accenna in modo per noi non del tutto chiaro in
Le. 9,28-36, ma, se si osserva più esattamente, questo nesso risalta con
sufficiente sicurezza.1U Durante la trasfigurazione Gesù parla con Mosè
ed Elia del suo ~o&oç, che egli deve 'compiere' ('lt).TJpow) in Gerusalem-
me (Le. 9,31). Qui c'è un gioco di parole che richiama alla memoria
la liberazione di Israele compiuta da Dio nell'esodo, ma la presenta
come ancora bisognosa di completamento, tanto più che . Mosè è uno
dei partecipanti al dialogo. Gesù, quando spiega ai discepoli di Emmaus
il significato della sua morte sulla croce, «cominciando da Mosè•, egli
non può avere davanti agli occhi altro che la liberazione dall'Egitto
(Le. 24,27).
Anche Giovanni vede i prodigi di Dio nel deserto in analogia con le
opere salvifiche di Dio in Gesù Cristo, ma questa analogia si distingue
da Mt. e Le. solo formalmente. L'innalzamento del serpente di bronzo
(Num. 21,8) e la manna (Ex. 16-4.13 s.), ai quali, secondo l'evangelista,
Gesù si richiama, hanno conservato ad Israele solo la vita terrena; l'in-
nalzamento di Gesù (Io. 3,14) e il pane che egli darà, procurano la vita
eterna (Io. 6,27-,0).
Paolo viene a parlare dcl tempo di Mosè in I Cor. 10,1-11. Qui però
egli descrive le gesta salvifiche di Dio e l'ingratitudine del popolo solo
per ammonire i cristiani contro un cattivo comportamento. Ciò facendo,
accenna tuttavia che il passaggio del mare corrisponde al battesimo, la
manna e l'acqua ai doni spirituali che Cristo ci elargisce. Come però
i padri nel deserto, nonoHante questi doni, sono morti e non piacquero
affatto a Dio, cosl potrebbe capitare anche ai cristiani che disprezzano
i doni della grazia divina, che ci furono dati mediante Gesù.
In modo del tutto simile l'autore della lellera agli Ebrei ricorda il giu-
dizio di Dio sul popolo, che nel deserto si manifestò ingrato trasgres-
sore dell'alleanza, per mettere in guardia dal peccato (Hebr. 3,8-11 ).
La ftgura J; Mosè è relativamente unitaria nel Nuovo Testamento. Mosè
qui, come nel giudaismo, è il salvatore dotato di una potenza mira-
colosa e il messaggero di Dio. 71 In particolare poi è colui che trasmette
la legge.n Egli però vale anche come il profeta che ha preannunciato

1U Cf. J. M.\NEK. 'Thc New Exodus in thc Books of Lukc, in NT 2 (19,7) 8-~;
R. LF. DÉAUT (v. noia Hl pp. \16-319; N. FfJGLISTEll (v. nota 69) p. 168.
71 lo. \,14; 6,JJ; Act 7,n·38. .
n Mr • .H: 7,10; 10,\ ss.; /.<. 16.19 ss.; lo. 1,1745: Aci. 7.38; Rom. 10,5.
912 STORIA I! ORDINE DELLA SALVEZZA NELL'A.T.

Cristo e la sua passione, 71 rome pure la risurrezione dei morti (Le. 20,37)
e la conversione <lei pagani (Rom. ro,19; cf. Dt. 32,21). Con la sua fede
e con la fedeltà nel dolore. è diventato un modello per i cristiani (Act.
7 ,17-44; Ht•br. 11,2 3-29 ). i\ sorprendente tuttavia che non si menzioni
il suo compito di intercessore e riconciliatore. Il fatto che Io. 5,45 asse-
gna a Mosè il ruolo di acrnsatore dei giudei infedeli nel giudizio finale,
è connesso Ja un lato col fo1to che Mosè è semplicemente il datore della
legge, dall'altro lato però anche col fatto che il giudaismo contempo·
ranco Ji Gesù altcndcva la sua intercessione nel giudizio divino.
Frequentemente Mosè nel Nuovo Testamento appare come tipo del
messia. Gesi1 stesso si pone di fronte a Mosè come colui che trasmette
la vera e definitiva volontà di Dio, e rispettivamente la nuova legge
(Mc. 10,1-12), e come mediatore della Nuova Alleanza (Mc. 14,24 e par.).
La predicazione cristiana primitiva riferisce Dt. 18,15-18 a Cristo (Act.
3,22 ), e precisamente in quanto messia sofferente che, allo stesso modo
di Mosè mandato da Dio come salvatore, fu dal popolo misconosciuto
e rifiutato (Act. 7,17-44; cf. anche Hebr. 11,26). Paolo, al contrario,
in .2 Cor. 3 vede Mosè non come tipo di Cristo, ma come antitipo per
la comunità cristiana e per i suoi ministri: Mosè doveva velarsi, perché
era «ministro della morte e della condannu; i capi della comunità cri-
stiana però non devono coprirsi, perché essi esercitano il «ministero
dello spirito». Molto sorprendente è la frase che gli israeliti, avvolti
nella nube, nel passaggio del mar Rosso, sarebbero stati «battezzati in
Mosè» (d.~ 'tÒV MwUo-i}v E~'!t"tloìh}o"11v); cosl Mosè sta tome tipo di fron·
te a Cristo, nel quale il cristiano è battezzato ( 1 Cor. 1o,1 s. ). La lettera
agli Ebrei mette in rilievo che il Nuovo Testamento supera di molto il
tipo dell'Antico. Mosè si presenta come servo; Gesù come figlio (Hebr.
3,1-6). Anche la nuova alleanza, rome quella mosaica, deve venir rati-
ficata con l'aspersione del sangue (Hebr. 9.1~ ss).

c. Da Giosuè a Davide

Contrariamente a quanto avviene per il tempo dei patriarchi e di


Mosè, l'esposizione della storia della salvezza durante l'epoca di
Giosuè e dei Giudici si trova in una tradizione relativamente unita-
ria. Si tratta qui del periodo di tempo che gli storici chiamano «Con-
quista della terra da parte d'Israele», ma che propriamente, con una
terminologia teologica, dovrebbe esser chiamato «conferimento della

71 Le. 24.2;-44 ss.; lo •..;~: ~-16: Act. 1.22: ;.,;-: 26.22 s.: 21!.2,.
STOMIA ll ISRAF.l.F C'OMF STORIA OHI.A SAl.VEZ7A
0

terra ad Israele»; Jahvé infatti compie ora la sua promessa di una


terra, fatta ai patriarchi e alla loro «discendenza». Della descrizione
dei fatti salvifici connessi con questa storia siamo debitori al 'deu.
teronomista', 74 il quale ha scritto la storia d'Israele dalla morte di
Mosè fino all'esilio, alla luce del Deuteronomio. Veramente egli,
specialmente nei due libri di Samuele ha elaborato una quantità di
materiale molto antico, di modo che anche qui nel giudizio dei fatti
trovano la loro espressione varie sfumature.
Il conferimento della terra comincia già, .a dir il vero, coll'occu-
paziom: della Transgiordania e la sua distribuzione alle tribù di
Gad, Ruben e una parte di Manasse (Num. 32, Dt. 2). La tradi-
zione «P» del Pentateuco (Num. 27,15-23) e il Deuteronomio
(Deut. 3 t) descrivono ancora la solenne consegna a Giosuè del com-
pito di mediatore dell'alleanza, fatta da Mosè per ordine di Jahvè.
Il Deuteronomio si presenta come una raccolta di discorsi d'addio e
di ultime raccomandazioni di Mosè, ai confini della terra promessa.
nella quale egli personalmente non può metter piede, e alla fine
narra anche la morte del grande uomo di Dio.
Dopo la morte di Mosè e dopo che tutta la generazione, che aveva
trasgredito l'alleanza e che in punizione doveva morire nel deserto
(Num. 14,30-nl. ebbe trovato la morte, l'incarico di introdurre il
popolo nella terra promessa passa a Giosuè ( los. 1 ,2 ).15 Anche la
occupazione della terra è accompagnata da potenti miracoli e gesta
salvifiche di Jahvé (los. ~; 7; 10,12 ss.). Solo davanti alla città di
Ai c'è un rovescio. perché un guerriero ha frodato oggetti votati
all'anatema; Giosuè, come una volta Mosè, deve interporre la sua
intercessione per il popolo ( los. 7 .7 ss.) e pensare alla punizione del
sacrilego ( Ios. 7, t 0-26 l prima che Jahvé riprenda a prestare a Israe-
le il suo braccio potente ( lns. R). li libro di Giosuè presenta la con-
quista della terra :ome 5e tutto il territorio fosse stato espugnato
in un tempo rc1.uivamente breve. sotto la guida geniale e sistema-
tica di Giosuè ( lns. 1-1 2 ). Quasi tmta la seconda metà del lihro <.·

74 Pc.-r (., l"Sprc.-ssiooi 'O.,u1.,rom•mis11' e 'opera storica deu1cronomistica' ,._ noi~ 61.
I '"rmm1 risalgono a M. Noni, ObC"rl1.-IC'runf.SJ1.< Schichte. Studien, Tiibingen 219,;.
0

pp. l·llO.
1' <;u (;iO'iui·· .J. Su108nT. lll'll1mit1kr, pp. rnll-t • l !con ulteriore.- hiblio~ratial
STOMIA E ORDINE DEI.I.A SALVEZZA NELl.'A.T.

dedicata alla distribuzione della terr~ fra le tribù e alla composi·


zione delle liste dei luoghi che circoscrivono i singoli territori di
colonizzazione (los. i3-22). In analogia alla storia di Mosè, anche
il deuteronomista presenta un discorso di commiato del vecchio
Giosuè (los. 23), e il rapporto sull'«assemblea in Sichem» (los. 24)
ci descrive suggestivamente il grand\! capo del popolo come media-
tore dell'alleanza. Egli mette il popolo davanti alla decisione di
servire a Jahvé o agli idoli; ricorda ancora le grandi gesta di Jahvé
in favore d'Israele e con un rinnovamento dell'alleanza sigilla la
dichiarazione del suo popolo di voler mantenere fedeltà a Jahvé. 76
Dopo di che egli muore, senza lasciare un successore di egual valore.
Il libro di Giosuè pone il condottiero davanti agli occhi dei lettori
come la guida che, per incarico di Jahvé, ha introdotto Israele nella
terra promessa, e come il salvatore che ha vinto i nemki e li ha
cacciati davanti a Israele; però riduce di molto il suo !'uolo di inter-
cessore. Il tempo di Giosuè passa per un tempo di grande grazia,
poiché Jahvè, fedele alle sue promesse, ha procurato pace al suo
popolo nella terra che egli aveva promesso ai padri.77
Ma il libro dei Giudici mostra già che la quiete è da intendere
solo relativamente. Il deuteronomista, mentre sulla base della tra-
dizione che aveva tra mano per l'epoca di Giosuè presenta la con-
quista della terra dal punto di vista della fedeltà di Dio alle sue
promesse, nel libro dei Giudici, invece, vede la conquista della
terra sotto l'angolo visuale della infedeltà d'Israele all'alleanza con
Jahvé. Quindi deve ammettere che Israele, per propria colpa, non
trova affatto nel paese una pace indisturbata. «I figli di Israele fe-
cero ciò che è male agli occhi di Jahvé .... abbandonarono Jahvé,
il Dio dei loro padri che li a\•eva fatti uscire dal paese d'Egitto, e
andarono dietro ad altri dèi ... Allora si accese l'ira di Jahvé contro
Israele e li diede in mano ai predoni, ... Dovunque uscivano in cam-
po. la mano di Jahvè era contro di loro a loro danno, come Jahvé

7• Su los. 24 ('asSt"lllblea in Sichem'): J. L 'Hous., 'L'Alliance de Sichem', in RB


69 t 1862) 5-~6.161-184,350-J68 tcon ulteriore bibliogr.); G. 5cHM1TT, Der Lmult11g
1:011 Sichem. Stullgart 1964.
77 fos.1.1Jss.; 2144; 224; 2,.1 - Sul motivo della 'pace' nel Deuteronomista:
RA CAnso~ "' noia 81 pp. 101-10\: J. FRANKOWSKI "" nota lii.
STORIA D'ISRAELE COME STORIA DF.LJ.A SALVEZZA

aveva detto, come Jahvé aveva loro giurato; e furono angustiati


all'estremo. Allora Jahvé fece sorgere dei giudici, che li liberavano
dalle mani di coloro che li spogliavano ... Ma quando il giudice mo-
riva, tornavano a corrompersi più dei loro padri, ... ». Questa è la
conclusione che il deuteronomista trac dalla storia d'Israele, dalla
conquista della terra fino a Samuele.
Israele è appena giunto in possesso della terra con l'aiuto di
Jahvé e nuovamente è scontento di lui come quando, sotto Mosè,
ha mormorato e amoreggiato con le divinità dei pagani. Avrebbe
proprio meritato ancora di essere rigettato, ma Jahvé va dietro al
suo popolo. Come ai tempi di Mosè e di Giosuè, egli manifesta la
sua fedeltà all'alleanza con prodigiose gesta salvifiche, però opera la
sua salvezza ancora per mezzo di uomini che egli sceglie.78
Il deuteronomista ci descrive i Giudici somiglianti a Giosuè co-
me guide del popolo e salvatori dalle angustie dei nemici, mentre
tace quasi completamente di una loro funzione di mediatori reli-
giosi.19 Soltanto il «giudice», «profeta» e «uomo di Dio» Samuele
è ancora una figura di mediatore sul modello di Mosè. Questi è
l'ultimo dci grandi uomini di Dio in Israele che riun(sca m una
sola persona tutti i compiti del mediatore dell'alleanza.111
Egli trasmette ai singoli o a tutto il popolo la volontà di Dio
( r Sam. 3; 8) e in nome di Jahvé si presenta come pfedicatore della

711 IuJ. 1,17; 3,12; 4,1 s.; 6,1 s.


19 ~ i cosiddetti 'piccoli giudici' abbiano esercitato l'ufficio mosaico di 'banditori
della kuc' e di 'mediatori dcll'alkanza', come A. ALT, 'Ahisradit. Rccht', in For-
sch1111gc11 und FortrchrilU 9 I I9HI 217 s.; M. Nont, 'O..s Amt Jcs •Richters lsracls',
in Fcstschr. A. lkrtholct, Tiibingcn 19,0, pp. 40.Hiì; O. B/.CHLI, lsracl und dic
Vrilkcr, Ziirich 1962, p. 10, e altri ammettono, non si ruò provarlo per 14! da lud.
10.1 ·, e: 11,8-1,. Su i Giudici v.]. ScttAltBERT, Hcilsmiltlcr, pp. i 13-116; W R1CH-
TEI, 'Traditionsgeschichtl. Un1ersuchungcn 7.um Richtcrbuch', in BBB 18 (Bonn
196\ ); ID. 'Bcarbcirungcn des ·Reuerbuchcs• in dcr deu1eronomis1ischcn Epoche',
in BRB 21 (Bonn i964I; lo., 'Zu den •Richtem lsraels»', in ZAW 77 1196') 4<>-72;
K.-D. Sc1tMUC1t. 'Dic Rich1cr Jsrads und ihr Amt', .in VT suppi. 1' (uidcn 1966)
l52·162 .
., Sul ruolo di mcdiarorc di Samuele: H. W1LDBF.IGER, 'Samucl und dic Entste-
hung des israclit. Konigtums. in TZ 1 \ ( 19n I +f2·469; A. WE!SF.R, 'Samucls Phi·
listersicg', in ZTK '6 (1959) 2n-272; lo., 'Samuel', in FRLAN1' 81 (Go1tingen
1962); J.L. McKENZIE, 'Tbc Four Samuels', in Bibl. Rrsurrh 7 I 1962) 3-18;
J ScHAltBF.RT. llrilsmittlcr. pp. 116-11Q.
STORI.\ E OHlll:-.lf. 1lEll.,\ SHVF.7.Z,\ :-;r1.1 'A.T

penitenza. 81 In un giro annuale ai diyersi santuari, egli esercita la


funzione di giudice (I Sam. 7,15 ss.), ed è, come Mosè, datore
della legge ( r Sam. 10,25 ). Egli deve legalizzare un'innovazione co-
sì fondamentale nella costituzione dell'alleanza d'Israele quale è la
introduzione della monarchia, e deve accettare la richiesta del popolo
di dargli un re (1 Sam. 8,1-5; 10). Ma egli appare anche come
salvatore dal pericolo del nemico ( r Sam. 7 ). Benché non di discen-
denza levitica, egli compie azioni spiccatamente sacerdotali: offre
sacrifici 82 e consacra i re (r Sam. 10,1; 16,13). In quanto conti-
nuatore dell'ufficio di Mosè, esercita la funzione di intercessore e
mediatore di riconciliazione: viene richiesta la sua intercessione, a
questo scopo offre un sacrificio espiatol'Ìo e col suo «gridare a
Jahvé» ottiene al popolo perdono e aiuto divino ( r Sam. 7,8-14).
Samuele stesso considera come compito suo difendere la causa di
Israele davanti a Jahvé e ritiene un peccato omettere questa inter-
cessione (1 Sam. 12,23). Israele non si fida più di Jahvé, il quale
gli ha promesso il possesso pacifico della terra nel caso di fedeltà
all'alleanza, nemmeno fa affidamento che Jahvé susciterà di volta
in volta salvatori carismatici, bensì cerca garanzia nel campo poli-
tico. Come gli altri popoli, anche Israele vuole un re «che ci farà da
giudice, uscirà alla nostra testa e combatterà le nostre battaglie»
(r Sam. 8,5.20). La tradizione redatta dal deuteronomista è discorde
nel giudizio religioso di questa richiesta e specialmente sull'istitu-
zione della monarchia. Dal punto di vista politico, il popolo aveva
ragione, perché soltanto un forte potere centrale poteva offrirgli
garanzia di fronte alla strapotente pressione dei nemici all'intorno
(Filistei, Ammoniti e Amaleciti) e forte coesione e la necessaria
sicurezza anche all'interno del proprio territorio (dove c'erano an-
cora torti città-stato cananee non espugnate). D'altra parte l'Istitu-
zione della monarchia non era prevista nell'ordinamento dell'allean-
za e nascondeva pericoli di molte specie per la religione 81 e per

BI r Sam. ì·3 s.; 10,18 s.; 12.


12 r Sam. 7,9; 9,12-24; 10.8; 16.~.
13 Sull'ideclogia oricmal~ amica circa il re: K 11. BERKllARDT, 'Das Problem der
altorienial. Konigsideologie im AT', in V1' suppi. 8 ( Leiden 1961 ); J. ScnAllBEl.T.
Heil<mirtlt"r. pp. rr-67. 2H-268 (con hihliogr.l.
STORIA o'ISRAELE çoME STORIA DELl-A SALVEZZA 917

l'intera struttura sociale d'Israele.84 Il deuteronomista risolve il


problema nel modo seguente: presenta Samuele che cede alla pres·
siont" del popolo e unge il primo re dopo essersi consigliato a lungo
con Dio ( / Sam. 8 l e dopo aver insistentemente messo in guardia
il popolo dai pericoli ( / Sam. 8. 1O·1 8: 1 i\.
s,111[. il primo re. è, nonostante alcune riserve, l'eletto di Jahvé
I / Sam. 9 s. l.'5 Mediante l'unzione viene dotato delle forze della
benedizione divina ( / Sam. rn,1 ),80 e cosl è sacrosanto, di modo che
chi lo tocca è colpito da maledizione ( / Sam. 24 16 s.; 26,9 ss.). Suo
compito principale è la salvezza dai nemici, del quale compito Dio
espressamente lo incarica per mezzo del suo profeta Samuele (I Sam.
10,7; 15,1 ss.). In quanto capo dcl popolo e unto di Jahvé, egli si
riconosce come mediatore responsabile della salvezza del popolo
e perciò cerca di stornare da esso, mediante provvedimenti reli-
giosi, l'ira di Jahvé e di procurargli la sua grazia (I Sam. 13,9ss.;
I 4,24-4 5 l. Ma il deuteronomista, e già prima di lui un filone della
tradizione, rifiuta al re l'esercizio delle funzioni sacerdotali, conside-
rando ciò un'esplicita usurpazione di potere (I Sam. 13,13 s.).
D'altra parte anche altrimenti Saul si manifesta indegno della sua
elezione. Egli viene rigettato, perché si appropria di oggetti votati
all'anatem11 e trasgredisce il comando di votare allo sterminio i vinti
( 1 Sam. t 5 ). J ahvé si è già scelto un altro re (I Sam. 16 ). La secon-
da parte del primo libro di Samuele è dedicata alla ascesa di Davide
e al tramonto di Saul ( 1 Sam. t 6- 31 ).
Jahvé, come ha rigettato il primo re, cosl deve pure rigettare
un'importante stirpe sacerdotale, quella di Eli, perché i suoi rappre·

.. D. una pura wmhinazionc di lihcrc: associazioni di clan sone un po' alla volta.
nel cc:mpo dci re:. uno >laco tcudalc e bmono1ico.
•• Su Saul. FM Mll.DFSBF.IGEI. D1c· t'Ordeuuro,,imistisi:be St1ul-Dt1vid-Obmie/~
r1111r. itli.-.1. liihin11cn 1<,>62, cf. ll.L !Sì 11962) 778 s.; K.D. S<:HUNCll:, 'Beniamin',
in RlAll'' llh 1lkrhn 1')6~1 Ilo·• ili: _I. Sc1tAUERT, Heilsmittler, pp. 119-12.l.
'"' W. lif:n11.1N. ·Das Konipcharisma hcn Saul', in ZAW n I 1961) 186-201;
J.A. SoGGIN, ·ch~ri•m~ un.I lnm1u11on un Konigcum Sauls' in ZAW 74 (1962) '""
6,. Il 1c:naa1ivo di E. Ki•rsrn. 'Salhung als Rcchasakt', in BZAW 87 (8c:rlin 1963)
,2-66, di prcscnaarc l'unm>nc sacra dcl re: in Israele: come: un 1cologumeno 11rdivo,
diffic1ln1C:nac: pocrcbhc CSSt'rC" riuscito; cl. R. DE\' AUX, 'le roi d'lsrad', in !.ftlanges
Eug~n<' 1"uurt1nt, Coli. eSmdi e Tesai .. 2~1. voi. 1, Città dcl Va1icano 1964, pp.
t19-13J.
STORIA E ORDINE DELLA SALVEZZA NRLL'A.T

sentanti si sono manifestati indegni della loro elezione ( r Sam. 2 s. ).


In tal modo due istituzioni importanti hanno dato cattiva prova di
sé ancora all'inizio della storia d'Israele; d'altra parte però ad esse
doveva anche spettare un ruolo importante nella storia salvifica di
Israele.
Proprio in questa epoca della conquista della terra e del consoli-
damento d'Israele, un ruolo importante viene svolto da una istitu-
zione salvifica: il santuario centrale e la anfizionia dell'alleanza da
esso condizionata.87 Le singole tribù d'Israele sarebbero state sicu-
ramente sterminate dalla pressione dei popoli vicini, se non si fos-
sero schierate attorno al. simbolo di Jahvé, attorno all'arca della
alleanza,"" la quale, a dir~ il vero, non aveva una dimora fissa, ma
tuttavia simboleggiava l'~mità del popolo e la presenza del suo Dio.
Al tempo di Giosuè J'arca accompagnò il popolo attraverso il Gior-
dano ( Ios. 3 s.) e nella bat~aglia; all'arca venne attribuita la vittoria
(I os. 6 ). Non sappiamo dove avesse la sede durante il periodo dei
Giudici. Al tempo di Samuele essa appare di nuovo. ~ in Silo ( r Sam.
4,4) e i figli di Eli provvedono al servizio sacerdotale attorno ad
essa. Alla sua vista il popolo scoraggiato prende nuova fiducia,
menire i nemici tremano davanti ad essa (r Sam. 4,5-8). Lo scrit-
tore della storia d'Israele tuttavia fa comprendere molto chiara-
mente che l'arca non emana nessuna forza magica e che essa non è
per Israele un talismano che concederebbe la vittoria ad ogni modo.
A causa dei peccati d'Israele e specialmente delle mancanze dei suoi
sacerdoti Jahvé lascia cadere l'arca sacra in potere dei nemici e la-

v Pc:r la nO'lione di 'anfizionia' per la lega delle 12 tribù d'Israele: M. NOTH,


Da< Sv<lem Jer w0/f S1ihnme 1sraels, Stultgan 1930; ID., Geschicbie lsrae/s, SS
7 s.; S. HERMANN, 'Das Werden lsraels', in TLZ 87 (1962) 361-574; H.M. O•·
LINSKY, 'The Tribal System of hrael', in Oriens Anliquu; 1 (1962) 11-;20; B.D
R,\ttTJEN, 'Philistine and Hebrew Amphiktyonies', in ]NES 24 (1965) 100-104; W.
Il. lnrtN, 'Le saoctuaire cen1ral israélite', in RB 72 (1965) 161-184.
" :\!l'epoca d<"i Giudici sembra che I' 'anfiziunia' abbia avu:o solo un'importan7.J
1d..alc:. Puliticamc:ntc. in ogni caso, essa difficilmente appare, bensl a trattare sono
,.,.mprc: ~olo I<· singult· tribU o al massimo piccoli gruppi di rrihì1 ,·icinc; d. R. SMum.
'Jahwc:kric11 und Stilmmebund', in FRL1\NT 84 (Gi.iuingen 1963 ). Anche: se le Ano·
to,ic con le antizionie 11=hc: e italiane sono state spesso esagerJte, ruuavia G. Fu11
KU. 'Al' · •Amrhik1ynnic• und «Bund•?', in TLZ 91 (19661 801-816 va trOf'P''
avanti qnJndo nc:iia ~mfllicemente all'Israele antico un'organizzazione di tipo anfi.
i'hlllll 11
STORIA D'ISRAELE COMF. STORIA DELLA SAJ.VEZZA

scia trionfare i nemici su Israele. Certamente nel corso successivo


della storia, Dio manifesta ai pagani, mediante l'arca, anche la sua
potenza di fronte ai loro idoli (z Sam. 4 s.). Alla fine i filistei devono
restituire a Israele l'arca dell'alleanza; essa trova allora il suo collo-
camento provvisorio in Kiriadearim, finché Davide le assegna una
dimora fissa (2 Sam. 6).
Al di fuori dell'opera storica del deuteronomista, relativamente
rari sono gli accenni all'epoca della conquista della terra promessa e
dei giudici. Per l'insieme della tradizione biblica, semplicemente la
concessione della terra passa come .il grande fatto salvifico di questo
periodo. Questo fatto riempie di riconoscenza il pio Israelita (Ps.
ro5,44); però procura ad Israele una grande responsabilità: sicco-
me la terra di Canaan appartiene propriamente a J ahvé, essa è una
terra santa che non può essere profanata dall'idolatria. Guai però
se Israele non resta fedele a Jahvé! In tal caso Dio annulla la con-
cessione della terra e caccia il popolo dal paese, come prima di lui
aveva scacciato i cananei.89 Jahvé veramente non aveva garantito ad
Israele la terra ad ogni modo, anzi aveva già sancito la legge della
alleanza con una maledizione che minacciava al popolo, trasgressore
del patto, la perdita della terra e la dispersione tra i nemici (Lev.
26,14-39; DI. 28,63-68). Il ricordo dei prodigi di Jahvé sotto
Giosuè dà al popolo, anche nelle tribolazioni successive, nuovo CO·
raggio e rafforza la sua fiducia nell'aiuto di Dio (1 Mach. 2,5_5;
2 Mach. 12,15 ). La letteratura sapienziale tardiva esalta Giosuè, i
giudici e Samuele (Ecclus 46), ma interpreta anche come un segno
della longanimità di Dio la circostanza che i cananei non furono
sterminati d'un tratto: Dio voleva concedere loro l'occasione di
pentirsi (Sap. 12 ). Samuele sopravvive nel ricordo del suo popolo
come intercessore (I er. 15, 1; Ps. 99 ,6 ). Tuttavia singoli fatti di
quel periodo vengono menzionati raramente. Soltanto Geremia ri-
chiama come ammonimento il tramonto dcl santuario di Silo per
render chiaro ai suoi contemporanei che, anche al tempo presente,
Jahvé può abbandonare alla distruzione il magnifico tempio, se il
popolo continua a trasgredire l'alleanza (I er. 7, 1 2 ).

" ler. 2,7 s.s.; 3,1Q s.; F.:erl> 20,28 ~.; Am 2,() 16.
920 STORIA E ORDINE DELLA SALVEZZA SELL'A.T.

Nel Nuovo Testamento troviamo solo pochi accenni al periodo


di Giosuè e dei giudici. Stefano menziona di passaggio Giosuè,
quando richiama il fatto che questi portò con sé, nella terra pro-
messa, la tenda santa, al posto della quale poi Davide doveva edi-
ficare il tempio (Aci. 7 ,4 5 ). Più significativo t.· l'accenno della let-
tera agli Ebrei al «riposo» (xrmi11:111'm:) cht:' Giosuè doveva
procurare a Israele e che finora non è ancora completamente rag-
giunto. Esso è sempre oggetto della promessa. Il «riposare»
(imrn:m1'•F1v) è opera di Dio; i cristiani sono chiamati ad essere
preparati ad esso ( 3,7. 1t.15 .18; 4,1-10 ). In Act. 3 ,24 Pietro anno-
vera Samuele tra i profeti che annunciarono l'opera salvifica di Ge-
sù; secondo Aci. 1 3,20, Paolo enumera tra le azioni salvifiche ope-
rate da Dio in Isr.aele, la vocazione dei giudici e di Samuele. Hebr.
11 ,29-34 fa risalire alln fede nella fedeltà di Dio alle sur.: promesse
sia la distruzione di Gerico e la salvezza di Rahab, sia le azioni
eroiche dei giudici, di Samuele e di Davide.

d. Davide e il periodo dei re

Dell'arco di tempo che va da Davide al tramonto del regno di Giuda


ci sono rimaste conservate all'interno dell'Antico Testamento due
presentazioni storiche: quella del già nominato deuteronomist11 e
quella del cronista.lJO
Entrambe le esposizioni della storia della salveu.a vedono in
David il fondatore di una nuova epoca, che viene caratterizzata dalla
dinastia davidica e da Sion come sede del trono di Jahvé. 9~ Mentre
però il 'deuteronomista' descrive Davide del tutto come un uomo,
il 'cronista' ha fatto di lui un modello ideale del re come lo si

lJO Per le no-Lioni 'cronista' e 'opera >lorica del cronista', per i libri primo e
secondo ddle Crona<·he e primo e secondo di Esdra. cf M. NoTH (v. nota 74) t to-
180; per il 'deuteronomista' v. nota 61 e ì4· Le differenze tra le due opere di
storia le mostra nel modo migliore G. W1LDA, Das Konif,shr/J Jes cbronistischm
Geschicbtswerkes (diss. l, Bonn 1959 (con ulteriore bibliogr. ); cf. anche G.J Bor-
n:awE<.;K, in TQ q6 11956) 402-.05.
•1 Su David d. i manuali di storia d'Israele, inoltre: J. XHARRERT, Heilsmiu/er,
pp. 122.127. 142-141 (con uhc.-riore bibliogr.); H.U. NiiBEL, Dai-is Aufstieg in der
Frube imielll. Geschichtsschreibunf!. <diss.). Bonn 1959: F ~hLDE..~BERGFR lv noi•
RsJ; R.A CAnsoN lv. nnt• 8~
STna111 D ISIAHF C:OMF STOllA Df.1.1.A SAl.Vl'!ZZA
0

921

bramava, ma come tuttavia non esisté mai realmente nel periodo


dei re d'Israele.
Anche Davide, come i grandi uomini di Dio che lo precedettero,
è eleuo da Jahvé ( r Sam. 15,28; 16,12). L'unzione gli conferisce
«lo spirito di Jahvé (r Sam. 16,13). David viene chiamalo a eserci-
tare la funzione di re in favore del popolo ( 2 Sam. 5, 12 ); riceve
l'incarico divino: c<fu pascerai Israele il mio popolo!» I 2 Sam. 5.2 l.
Jahvé si serve di David come di Giosuè, quale strumento per lo
scopo di procurare a Israele un ambiente e pace nella sua tc:rra
(2 Sam. 7,10 s.J. Ancora quando Saul era in vira, il popolo festeg·
giava David condottiero dell'esercito come salvatore ( r Sam. 18,7 ).
Tutte le guerre che da re deve condurre in seguito, sono ritenute co-
me incarico di Jahvé e sotto la sua assistenza, per salvare Israele
dalle angustie ad opera del nemico (2 Sam. 5,17-25; 8,1-14; 10).
Dopo il fallimento della rivolta di Assalonne, il popolo. si pente della
sua ingratitudine e riconosce: «il re ci ha liberati dalle mani dei
nostri nemici» (2Sam. 19,10).
Davide, in quanto mediatore del suo popolo, si riconosce respon-
sabile per il culto. Egli sceglie Gerusalemme come capitale, non
solo per motivi politici, cioè per fare di un luogo (neutrale) tra )("
tribù del nord e del sud la città residenziale,92 ma per una consape-
vole connessione a una rradizione antica che collegava quel luogo
con Abramo e col re-sacerdote Melkisedek ( 2 Sam. 5,6-9 ). Poco
dopo egli dà anche al santuario di Jahvé finora itinerante una dimo-
ra ·fissa sul monte Sion, trasportando lì l'arca dell'alleanza (2 Sam.
6 ). In questa circostanza egli si presenta come sacerdote: indossa
abiti sacerdotali ( 2 Sam. 6, 1 - 1 4 ), offre sacrifici ( 2 Sam. 6, 1 p 7;
anche 24,25) e benedice il popolo (2 Sam. 6,18). Veramente il ero·
nista sembra voler negare a David l'esercizio delle funzioni sacerdo-
tali, poiché nella descrizione del trasporto dell'arca fa offrire i sacri·
fici dai leviti (r Chron. r5,26; 16,1).•i
A differenza dei grandi uomini di Dio vissuti prima di lui, il ruo-
lo di Davide come mediatore dell'alleanza è significativamente ri·

•l C'.osi quasi 1u11c kpresenrazioni sruriche mod<·tn< dell'epoca Ji Da\'id


•! Sul ruolo di David nel trasporlo ddl'arca: I ~c11n1su. Smn. frr111.i/,..,, l.rhu·es
J\,;.,,f.ml:. Miinchen 1q61. JlJl. 1-116.
922 STORIA E ORDINE DELLA SAl.VEZ7.A N'El.L'A.T.

dotto in un punto importante: egli non è presentato né come colui


che dà la legge, né come colui che t~asmette al popolo la volontà
di Dio, e nemmeno una volta egli gode di incontri immediati con
Jahvé.· Anche lui ha bisogno di un mediatore, cioè di un profeta
che gli porti la promessa (2 Sam. 7,5-16), la minaccia (2 Sam. 12,1·
12; 24,12s.) e il perdono, o di un sacerdote al quale deve rivol·
gersi per avere un oracolo."'
La promessa di Natan acquista la massima importanza per tutta
la storia della salvezza del periodo postdavidico (2 Sam. 7). È vero
che Jahvé non vuole che David gli costruisca il tempio progettato,
ma gli promette una dinastia che non solo costruirà il tempio nella
generazione prossima, ma diventerà apportatrice della speranza del-
la salvezza. «E la tua casa e il tuo regno saranno salvi per sempre
davanti a me, e il tuo trono sarà reso stabile in eterno» (2 Sam. 7,16).
Già lo si.:rittore della storia di David, al quale si appoggia il deu-
teronomista, ha visto questa promessa in strettissima connessione con
la salvezza di Israele (cf. 2 Sam. 7,9 ss.). La dinastia diventa cosl
garante della salvezza che deve esser data da Dio, della sicurezza e
della pace ( 1 Reg. 5 ,5) e in Lal modo nel re di stirpe davidica si
manifesta la volontà salvifica di Dio: Jahvé e i re hanno il loro trono
in Sion, loc11lmente vicini l'uno all'altro.~
Nonostante la promessa di Natan, Davide rimane un uomo che
ha l'unka risorsa nella grazia misericordiosa di Jahvé. Già la pro·
mess.i indica che il pericolo dei peccati non sarà bandito una volta
per semprl". ma <'ssa garantisce solo che )ahvé, nonostante il venir

.... \JI!/ } I \.l'J J\ ~'-: d. I .\f1•1J . .2,.CJ-ll .


.. Sull• pr .. mc••• Ji Natan: I.. Rosr, "Dit" Uhcrlielt"runict"n vun Jcr Thrunnach
1< (~,. l>a\'1,1, on BU'' A.l'\T mi6 !Sr1111g~r1 111J6l ~;-74: 11•.. D111 l\frm.. Credo 1mJ
J11Jac· \111d1c·11 .,,,,, AT. Ht"idelbe!-jP. 1965. 1,., 1K1: M. \'AN lllN Busscmc. 'le texre
1k IA pn•rh<'ll< <k i\arhan·. in l:f/. 24 I 1<1~81 15~·\<1~; M Nor11. "1>11viJ und
l>1•d in Il \J"I ~· in i\ldJ11ge1 Brbl c·n f'hu•,,,eur .!e :1 Robc·rt, Pari• l\IH. pp.
I 11 I'" .\I. "'M""· 'I.a rn,pheril" ée "iarhan cl le l'empk'. in RllPR \J I 1<}5J)
41·\ll. I "•llAK8FKT. So/1d1ml.i!. pp 1~1·q7, 111 .. lle1/w1111/er, pp. 12\• .. J'7•:
I' "' 1su1 l>ot" Dm•blÌe YUn (;011cs GnJdt"n°. in Zlk ~K 111~1\11 117·1j\; M.
l'sl\'AI ·~ru,l:o on rhe Bc.;()k of Sanrud 111'. in //PC.-t \4 I 1qt\11 ;r·lh; I S.:HUIS·
1 "· • ,. nc•IJ •1\ 1 pp. '14 101. R.:\. L•Kt.so,., I\' nou lii pp 1ot\ 121'. H GEsF.. 'Dcr
D•rnhbund umi d1e S1unscru:ihlun11.'. in li I\ 1\1 f 1<}6~1 w·if'>; DJ McCorm.
'Il '-dm i anJ rhc Smmure of rhc Deurerooomic Hisrory', in ./BL 84 (196')
111 1 1R .\ \X'r"H. ·T<."mrrlhAukmc umer Da,·id'. in lAW n I 196,) 151·168:
~TOMIA D ISMAt 1.1: COMF Sl'llRIA llEl.l.A SAl.VEZZA
0

meno all'impegno, non rigetterà pit1 completamente la dinastia, co-


me una volta ha respinto Saul (2 Sam. 7,1.+ s.). Lo stesso fonda-
tore della dinastia, quando cade in un peccato gravissimo, speri-
menta questa pazienza del suo Dio che perdona, ma certamente SO·
lo perché egli di venia anche il modello del penitente ( .2 Sam. 1 2 ).
Il cronista passa sotto silenzio il delitto di Davide con Uria ( .2 Sam.
11 ); ma insieme al dcutoronomista espone il racconto di un altro
pt.-ccato e di una punizione di Davide ( .2 S1.1111. 24-; r Chron. 21 ).
Per il fatto l·hc il popolo una volta ha richiesto un re ( 1 Sam. 8) e
lo ha rirnnosciuto liberamente come suo re I 1 S1.1m. 2 ,4-7; 5, 1 ss. ).
divl·nta solidale con lui e perciò partecipa non solo alla benedizione
e salvezza accordate a lui da Jalwé, ma anchl· alla maledizione e al
giudizio da lui provocati. In tal modo lutro il popolo soffre le con-
se~uenze funeste che porta con sé il duplil'e dditto verso Uria, e
prccisamenle i torbidi interni e il contlitto dinascirn; secondo il prin-
cipio della «punizione del sovrano»"' il popolo viene colpito da
malanni quando il re pecca con un censimento del popolo. In questa
circostanza David non deve, come già Mosè, fungere quasi da me·
diatore per il popolo peccatore. ma invece deve confessare la sua
colpa e discolpare il popolo innocente ( 2 Sam. 2.p i').
Sotto Salomone -r. dinastia, regno e religione esperimentano un:1
fioritura che Israele dopo allora non ha più conosciuto. La Bibbia
coni:idera il regno di questo re come un tempo in cui Jahvé ha do-
nato a Israele e al re una grazia speciale e una straordinaria pie-
nezza di benedizione ( r Reg. 5, 5 ). Ali 'interno del regno dominano
ordine e benessere. all'esterno pace. Reli~iosamentc quest'e~a è
rnratterizzata dalla costruzione del tempio. che porta a conclusione

,., !I conn-110 di 'c•siign del capt> I in inglese: ·1u/rr punnhmrnt"l l'ha iotrn
do110 ndia kneratura c"'gctKa e di stona ciel J:n:tn D lJAl'Bt. }ruJrr• rn Biblico/
Lau•. ùunbridgc 1•4;. pp. 1~4-189. Con ciò egli inJi<Ca il lil'-til(•' Jd upo. rispc:t-
uvamemc dcl patt"r /ami/un. attuato m~ia.me 13 dn'lmdZ;onc dc: >uo popok>_ rispet·
11\'am..-nk della l3miitlia In tah l":ISi non >i dovrebbe par~art· Ji un 'casti~ col
i.-1tÌ\'o· I""""'-' 11 popolo. rispettivamente la fom1g!ia. non appare né <COll'lt'. colpe
vnle rn: cum.- ,,,~tigatc>. ( :1 anche J. S<:HARBl'llT, SnlidJ.ritril. lo. lfril>mtlller. >ptt.
PI" is1·25~.
"' Circa l"impomuua Ji Sal,•n10ne per la rdiitii•ne 11'Isrdde: J. Su11t.1Nt R I'" n1>ld
9~); J. ScHARBHT. lleil~milller. l'f'. 127-129; qi-q~; J. ScttONHEl.D . •'i11/om11. Baarn
< ,j I
STOMIA I' OMD!r>E DELLA SALVEZZA NELL'A.T.

il nuovo ordinamento <lei culto dell'alleanza cominciato da Davide.


Il deuteronomista e il cronista descrivono il rapporto di Salomone
con Jahvé come perfino più intimo di quello di Davide. Salomone
è onorato da particolari apparizioni di Dio (1 Reg. 3,4-15; 9,2-9).
Egli ottiene non solo la conferma della promessa di Natan ( r Reg.
9, 3 ss. ), ma gli viene rnnccssa anche una straordinaria sapienza
( / R.t'J!.. 5 ,9- 1 4 ). Ma anche Salomone riceve i suoi privilegi di gra-
zia a favore d'Israele, cosa che la regina di Saba ammirata formula
cosl: «nel suo amore eterno per Israele J ahvé ti ha stabilito re»
( r R.eJ!.. 10,9 ). La coscienza di responsabilità di Salomone e anche
la sua intima amicizia col suo popolo appaiono dalla bella preghiera
deprecatoria in occasione della consacrazione dcl tempio ( 1 Reg.
3,22-5 3 ). Come suo padre, esercita funzioni propriamcnte sacerdo-
tali. Non solo egli costruisce il tempio ( 1 Ref,. 5, 1~-6,38 ), ma an-
chi: lo consacra ( 1 Reg. 8,1-9,9 ), fa sacrifici di propria mano ( 1 Reg.
3,4.15; 9,25) e benedice il popolo ( 1 Reg. 8,14.55). Nemmeno il
cronista si scandalizza per il sacrificio di Salomone. 98
Il cronista scrive in un tempo in cui Israele vive sotto il domi-
nio degli stranieri, e nel culto del tempio, fissato da Salomone, pos-
siede l'ultimo ricordo visibile di quel periodo benedetto. Per que-
sto c::gli idealizza Salomone, mentre il deuteronomista riconosce
proprio in quel periodo di splendore, gli inizi dei malanni che, col
tramonto del regno di Giuda, si sono abbattuti, come un tempo-
rale, sulla sua generazione. Già dopo la consacrazione del tempio,
il ·deuteronomista· fa pronunciare a Jahvé, assieme al rinnovo della
promessa, anche un se-rio ammonimento a Salomone e ai suoi suc-
cessori: «Ma se voi ... vi allontanerete da me,. .. eliminerò Israele
dalla faccia del paese che diedi a loro, rigetterò da me il tempio
che ho consacrato al mio nome; Israele diventerà la favola e lo
zimbello di tutti i popoli. Riguardo a questo tempio, già cosl ec-
. cdso, chiunque vi passerà vicino si stupirà e fischierà; si domande-
ranno: - Perché Jahvé ha agito così con questo paese e con que-
sto tempio? - » ( 1 ReJl.. 9,6-9). Verso la fine del suo regno Salo-
m1mt· diventa un despota: esige dal popolo pesanti tributi e lavori

•• < f .>(/mm. 1.6: 7 ,4: X.1 2 s.


STORIA ll 0 ISRAEl.E COME STORIA DELLA SALVEZZA

forzati e, cosa ancora peggiore, approva con le numerose mogli pa-


gane costumi pagani e perfino l'introduzione di divinità straniere.
Per questo lo storico fa pronunciare a un profeta il giudizio: << [Salo-
mone] mi [Jahvél ha abbandonato. Non ha seguiro le mie vie ...
corr.e aveva fatto Davide suo padre»; come punizione annuncia la
dh•isione del regno poco dopo la morte di Salomone ( 1 Reg.
11,31-39).
Sotto il successore Roboamo inizia il declino della dinastia e Jel
regno. Subito dopo la successione al trono, a causa della intenzione
del nuovo re di continuare il despotismo di suo padre, si arriva
alla defezione delle tribù del nord; da allora ci sono due regni israe-
litici: Israele al nord e Giuda al sud.
Accanto alla benedizione che procede da Davide, comincia ora a
diventare operante nel regno di Giuda la maledizione che deriva
dalla rottura del patto da parte della stirpe davidica, anzi un po'
alla volta la maledizione comincia ad acquistare il sopravvento.99
I discendenti di Davide. anziché mediatori della benedizione, di-
ventano per il loro popolo mediatori di maledizione. Da Roboamo
in poi vale, tranne poche eccezioni (Ezechia, Giosia) il giudizio:
il re, e con lui il popolo, «commise quanto è male agli occhi di
.Jahvé». 100 Ciononostante, il deuteronomista costata spesso che Jahvé,
anche sotto i re empi, «concesse una lampada in Gerusalemme, ...
perché Davide aveva fatto ciò che è giusto agli occhi di Jahvé»; 11"
però i re Manasse e Sedecia colmarono la misura della maledizione
(2 Reg. 21,9ss.) e pertanto nell'anno 587/86 a.C. irruppe il giu-
dizio: regno, dinastia e tempio perirono e il popolo di Giuda andò
in esilio. A dir il vero, il cronista vede in alcuni re, dei quali il
deuteronomista non sa riferire niente di buono, qualche lato posi-
tivo, in modo che il suo giudizio nei particolari riesce più mite
(per es., 2 Chron. B,12 s.); nell'insieme, però, giunge allo stesso ri-

.,., Per il ~iudizio dei re di Giuda e di Israele da parie del deuteronomista e


ciel cronisla J.ScHARBERT. Solidaritiit, pp. 196-200; 204-208; ID., Heilsmittler, pp. 130-
1 H. 146-149.
100 Cosi, oppure similmente . 1 Reg. 1+.22 ss.; 2 Reg. 8,18; r6, 2 s.; 2r, 2 s. 20 ss.;
2~.~2 ..~7;24,9.19.
101 l Reg. I ,,4; 2 Reg. 8,19; cf. 19,34; 20,5 s.: F. AsENSIO, 'El Salmo rp y la
•l.Amf'IRrAi> dt• David'. Cr ~!! (r9~7) ~10-111>.
STORIA 8 ORDINE DELLA SALVEZZA NILL'A.T.

sultato. Veramente il cronista attribuisce la colpa principale della


caduta del regno non a Manasse, ma àll'uhimo re, Sedecia ( 2 Chron.
36,12-16)

Sul regno sellentrionale d'Israele gra\•a fin dall'inizio una maledizione.


~ vero che anche il suo primo re Geroboamo era staro chiamato da
Jahvé e avrebbe anche potuto ouenere per sé e per il 5UO regno una
parre delle promesse fatte a Davide (cf. 1 Reg. 14,8); ma, a causa dello
scisma religioso che egli introduce ron l'erezione di due santuari ille-
gittimi in Bcthel e Dan, si gioca la benedizione: cMa tu non ti sei
comportato come il mio servo David ... , sci andato a fabbricarti altri
dèi e immagini fuse ... Per questo, ecco, io farò piombare la sventura
sulla casa di Geroboamo!• ( 1 Reg. 14 ,8 ss. ). Con rapida successione, una
dinastia sosriruiscc l'altra e per tu1ti i re vale il detto: cHa imitato la
condotta di Geroboamo e ha fatto peccare il mio popolo di Israele•.' 01
Per questo nel 722 a.C. sul popolo e sul regno piomba il giudizio: il
paese diventa una provincia ilssira e le tribù del nord, che una volta
'Si erano ~raccate dalla dinastia di Davide, scompaiono nell'esilio in Assi-
ria, senza lasciare traccia. Il deutcronomista trae la conclusione dalla
storia del regno d'I~raele con le parole: «Gli Israeliti imitarono in tutto
il peccato commesso da Geroboamo; non si ritrassero da esso, finché
Jahvé rimosse Israele dalla sua presem:a, come aveva preannunziato per
mezzo di tutti i suoi servi, i profeti• (2 Reg. 17,22 s.). li cronista non
si occupa del regno dcl nord espressamente, ma al massimo in quanto
j suoi re esercitano un influsso nella ~i1u11zionc del regno di Giuda
al sud.

Pc~ Dio non abbandonò il suo popolo nemmeno al tempo dei


re empi. Egli su~itò nuovamente u6mini che annunziarono al po-
polo non solo il ~iudizio. ma anche la grazia, la volontà salvifica di
fahvé: i pmfeti Movendo da DRvide fino all'ultimo sovrano, sia
~I sud si.i al noni ~; incontrano sempre in tutte e due le grandi
opere: storiche tali uomini di Dio che trasmettono al re o al popolo
la sua volontà. la sua parola sal,-ifica e le sue minacce.' 01 Neanche i

.1'
KU Co•Ì, o 11m1lmcn~. / Rrg 14,1' 1.; ,,,Jli.\o.H: 16,u p9 . s.30; H.H: 'Rri.
10, 11 ; 1 1.z·li.11; 1,.~.1 R 14.18. 17,2. Circa il giudizio Jcl Jeuteronomista •ui re
Jel rr11 no dcl 1wrd: .f. SCllARDEKT, lltilsmilllrr •B·•)6.
101 1 SiZ"' 7,1-17: u.1·J1: 14-11.18; 1 Rei. 11,29·l9: 11.1-10: 14,1·18; 16,1·4: li.I:
18, 19+ 1; w.11·Z'l 194Z. z1.1;·z,.2ss.; .u 1;·1l; 1Rtc 1.11: l·J4·111: 6,8·u us.:
q,7-1n; 11.1•1n: q.n. 1;.11: 1QliQ21-14: Jo.1 u.16n: 21.10-1,; zz.•s·W: d.
STOllA O'ISIAELE COME STOllA Dl!LLA SALVEZZA 927

re empi sono lasciati senza una parola di minaccia che chiama alla
conversione; cosl Dio vuole procurare la salvezza. Della maggior
parte di questi profeti sappiamo appena qualche notizia dai libri
dei Re e dalle Cronache; personalmente, essi non ci hanno traman-
dato nessuna parola per iscriuo. Tra questi si tro\•ano uomini di
importanza straorJinaria, come Natan sotto Davide, Elia cd Eliseo
sotto gli Omridi nel regno del nord. Natan ha esercitato, assieme
al sacerdote Ebiatar, un influsso decisivo su Davide; fu per lui
colui che trasmise la promessa, ma anche il latore della parola di
giudizio e finalmente l'annunciatore del perdono. Egualmente Elia,
Eliseo e gli altri profeti di Jahvé del regno del nord intervennero
negli affari dei re, dovettero anche trasmettere loro la parola di
Jahvé, ma non trovarono ascolto. Tuttavia essi esercitarono un
grande influsso sul popolo. e solo ad essi va il merito se nel regno
d'Israele la fede in Jahvé non scomparve del tutto e almeno rima·
sera «settemila persone che non hanno piegato le loro ginocchia
davanti a Baal» (1 Reg. 19,18).
L'opera dei profeti più antichi 'non-scrittori' fu continuata dagli
uomini i cui nomi stanno nei nostri libri profetici canonici: i cosid-
detti 'profeti scrittori'. Anche questi· furono inviati da Dio non
solo ai re e al popolo di Giuda, ma anche al regno del nord, come
Amos ed Osca. Ed anche Geremia promette alle tribù del nord, già
esiliate in Assiria, il ritorno e una nuova salvezza qualora si con-
vertano (ler. J,I ss.).
I profeti vissuti al tempo dci re fanno critiche molto severe alla
loro opera politica e religiosa,'°' perché questi ce;cano sicurezza nelle
alleanze politiche coi popoli pagani e non raramente in pratiche
cultuali sincretistiche, anziché nella fiducia e nella fedeltà di Jahvé
al suo patto; inoltre i profeti flagellano gli inconvenienti sociali nel

). ScllAllBEllT, Heilsmilller, pp. 138 s.; lo., Dit' Prophtun lmuls bis 700 v. Chr ..
KOln 196,.
""ltr. 2,26; Or. ,,1; 10,1,; 13,9ss. e p11uitn. Dalla 11crminata lcueranua sui
profeti, citiamo: J. LINDBl.OM, Prophuy in A11citnt lsratl, Oxford 1962; Cf.
ScHEDL, Geschichtt des AT, IV. Dos Ztillllttr dtr Propheten, lnnsbruck 196l;
B.VAYTF.1. Mahna und Kiindtr, Salzhur11 196\; J.Sc11AHF.IT (v. noia to\I; lo.
Dit Prophtttn Isra..Js um 600 v. Chr, Koln 196ì. inoltre i rnoconii delle rkcrche
di <; Fn111f'.1. in TR 19-20 (1951/,2) e lii r 196H
STORIA F. OIDINF. DELl.A SALVl!7.7A NFLL'A.T.

popolo,1<15 i quali sono contrari alla legge dell'allean1.a; condannano


pure il culto esteriorizzato. per cui i'esecuzionc dei riti e il numero
degli animali uccisi per il sacrificio si stimano più l·he la disposi-
zione interiore. 1°" Vedono re, sacerdoti e popolo lonrani da Dio e
dall'alleanza, e con appassionaci appelli li chiamano alla convcrsio-
11e.100 Nelle calamità presenti e imminenti i profeti scor~ono già
l'inizio del giudizio che certamente è ancora un ammonimento di
Dio a Israele ed anche un'offerta di grazia. perché Jahvé sta ancora
alle sue promesse, anche se Israele è mancato all'impegno.""
Qualora il popolo disprezzi gli avvenimenti e le ammonizioni e
persista nella rottura dell'alleanza, sorgerà iI giorno di Jahvé, rr11
che, per la parte colpevole del popolo, significa ripudio e sfacelo.
Ma perfino in questo caso i profeti non considerano revocate le
promesse di Jahvé; egli infatti porrà un nuovo inizio, facendo
grazia a un residuo e mettendo di nuovo in vigore per esso benedi-
zioni e promesse. 110

1M lJ. 11,,·24; to,2; ler. 7,9; Am. 2,6 ss.: ~.9 s.; Mich. 3,1·4 e pamm.
10. Is.1,1t-r5; ler. 7,.p5; 11.11; Am ,,21·27. - Per le cririchc dei profe1i al
culto: H.W. HERTZBt:"<;, 'Die Proph<"rischc Kririk am Kulr', in TLZ n 11•nol 21.,-
226; lo .. Bei/rage zur 'l'rud1twnsgeuh1cht•· 11nd lbeo/rJ11.1<· des AT. Gouingen 1.,62,
pp. 81-90; R. RENDTORFF, 'Pricsrt•rlìchc Kul11hculogie un.I prophetisdlC Kultpotc:mik'.
in ru 81 (1956) H9->·H: R.111·.HTSC.:HKt:. 'Die Stellun11 der vornilisch~"ll Schrih-
propheten :mm Kult'. BZAW n I Bcrlin l•IH I; N.\1C'. l'OITEOt:S. ·Actualiz.ation and
1he Prophetic Criticism oi the Cuh', in I r11d1twn u11d .•1111ution IF<-stschr. A. Wci·
ser. edd. E. WiiBTlfWEIN - O. KAISEI) l;i;11i11<"n 1<.J(•\. PI'· 93-105; E. WORTWEIN.
'Kultpolemik oder Kuhbescheid?', Ibid., pp. 11,·1 \1; J. 1'11. HvATT, The Proph<!th
Criticism o/ lsradite Worship, Cineinnati/Oh. 1y6\.
I07 Sull'esigenza di conversione. da pitm· dei pn•lell. E.K. DIETRICH. n,.. llm-
luhr (8e~ehrr1t1g und Busse) '"' 11T 11nd m1 }11dent11"1, Stu11gan 19_36: E. Wi.iK·
THWEJN, 'Busse und Umkehr im AT'. in 'J'WN'f IV, •i7t>-Q85: U.W. WoLFF. 'Ihs
Thema cUmkehr• in der ari. Prophctie', in l.TK _.11 I 1•151) 12.,-qS. Theol Biic''"-
rei 22 f.Miinehen 191>_.1l\<J-150);1.fJCHTSU. 'Dìe l'm~rhrung in dei proph.,md1.:n
Botschaft', in TLZ ;8 ( 1953) 459-466.
119 Sul giudizio come offerta di grazia: Tu. C. V11EnN. Thenlngie. pp. 235 '-:
J ScHAIBEIT, 'Dee Schmerz im AT'. in RBB Il 11\onn l•H11 1953-15;.
ICH a. nota 13
11o Al riguardo sono da cosra1are due sfumamrc: · \,,/,, un residuo'. in h ~.
11 ss.; 10,21 s.; 30.17; E:i:ech. 14.20; Am ~.12; ~.1 ~- 11.1 pure un residuo·, in f,
4,\; 6,13; 11,11s.; Mich.2.12: 4.6s: 5.6s.: foplo 3,11'. !rr. 11.;: Ci. R.o~ VAt'X.
'Le reste d'lsrael d'apr~ les pr.>phè:res·. in f<H .u :1,1111 52(~H9: \'('.F.Mi:LLH.
Vie \'orste/lung vom Rt'f! ,,,, AT 1diss.1 uipzi(t 19N. \'. llERSTRICll'. TU:"I{/
rv.200-21 ~: F. DRF.YFL•s. 'I.a doc1rine du rf"'le rl'l<rlli'I ,·hn J,. prophf.1e l<~ic:. in
STOllA D0 ISIAELI! COMI! STOllA DELLA SALVEZZA

Nonostante la mancanza all'impegno da parte dci re, la speranza


nella salvezza è già cosl strettamente collegata con la promessa di
Natan a David e con la fede nella regalità di Jahvé divenuta palese
in Sion, che anche i profeti, i quali pur si oppongono in maniera
molto critica ai re loro contemporanei e al culto esercitato al loro
tempo nel tempio di Gerusalemme, mettono l'idea del «residuo»
in rapporto con la speranza in un futuro discendente di Dt1Vid, 111
col quale avrà inizio un nuovo tempo di salvezza, e nella glorifica-
zione di Sion iu con la quale si manifesterà il dominio di Dio non
solo su Israele, ma su tutti i popoli. Pur con tutta· la critica alla
monarchia, i profeti preesilici evidentemente non possono immagi-
nare il rinnovamento del popolo e la concessione della pace e della
benedizione nel futuro tempo salvifico senza un «unto• di Jahvé
di discendenza davidica.
Al di fuori delle due grandi opere storiche, la tradizione biblica
del periodo esilico e post-esilico nella sua riflessione sul passato si
interessa specialmente di tre temi riguardanti la storia del periodo
dci re: la promessa a Davide, il venir meno dei re e del popolo
agli impegni, l'opera e l'annuncio dei profeti. La comunità giudaica,
che soffre nell'esilio e sotto il dominio straniero, considera la sua
attuale situazione penosa come la conseguenza dei peccati dei pa-
dri, come il giusto giudizio di Dio sull'Israele del periodo dei re.m
Quando si deplorano le colpe dei padri, dei re, dei sacerdoti e dei
grandi, 114 si fa proprio il giudizio del deuteronomista e del croni-
sta: dopo Davide, re e popolo si sono mostrati indegni della ele·
zione e delle promesse divine e perciò tutto il popolo fu colpito

l<l'f lii ( 111H I 1f.1·1K6; I MuMLl:.N:>TUN, 'Thc Rcst ol 1hc Na1ions·, in fourrsal o/
.\t,,,llrc .\111J1n l ( 11157 I ZH·l 11 ); H. G1mss. 'Rc.n', in Bibeltbeol Wb, 1000-100~.
111 Ccrlamt'ntt' i profcu non •lludono mai direttamente alla profezia di Natan;
rf Am '1.11, /1 •1.1-16; 11.1 9; M1ch ,,1; ler. 17,24 s.; 2j,,, e in proposito: J
S<:HARl!F.n. lle1/1m1ttla. pp 1,111n: 1,t..168
IU lr. l.l·S. 4,5 s.; 16,1-5; M,.-h. 4,1-5; Abd 17; Soph. p.po; ler. }.14-18; ~1.6.
d. inoltrt' /'s 9,u; 48,2; 76,J; 99,2; 110,J; 12,,1; 1p,13-18 e pauim.
m ls. 65,6 s.; Euch., .J,} ss.; Jo,24-n; liJcb. 7,7-q; Mal. },7; Ps. 106,6.0; Ltm.
,,7.16.
11 ' I f.rdr 9,6-15; 1 F.rdr. 1,6s; 9,J.J4·)7; Dan. 9,6-19; Bar. 1,15·3,8; Tob. 3,2.,;
I 11dith 7 ,11! ('.Mn 11 ronfcssion., dci pc=ari dei p.adri: J Sct1AIBERT, 'Unscre Siin·
dcn und dit' Siindt'n un!ICrer Viitcr', in 8Z (NF) 2 ( 195R) 14-26.

59 · .\fv1ta1um ç,,/utr<, 11/1


STORIA I! ORDINE DELLA SALVEZZA NELL'A.T.
930

dalla punizione di Dio, tanto più che Dio nella sua paterna bontà
ha ammonito senza posa per mezzo dei suoi profeti ( 2 Esdr. 9,26.29 ).
Perfino Gesù Sirach, il quale nella sua «lode dei padri» esalta con
tanto entusiasmo il grande passato del suo popolo, può presentare
solo alcuni modelli del periodo dei re: Davide, Ezechia, Giosia e
alcuni profeti ( Ecclus 47-49 ); altrimenti di quel periodo deve scri-
vere: «il loro peccato divenne enorme e si diedero ad ogni male»
(Ecclus 47,24 s.).
Durante l'esilio e nel periodo post-esilico, i pii israeliti nelle
loro preghiere per aver aiuto da Dio non osano appoggiarsi ai me-
riti dei padri, ma possono fare appello unicamente _a Dio, che è
clemente e perdona. Tuttavia la loro speranza, nonostante tutte le
delusioni con i re della dinastia davidica, può aggrapparsi ad un
evento salvifico del periodo dei re, cioè alla promessa fatta a Da-
vide. Ezechiele nell'esilio aspetta, nella fede del futuro compimento
di quella promessa, che Jahvé susciti di nuovo Davide per pascere
il suo popolo (Ezech. 34,23 s.). Il profeta sconosciuto, al quale
dobbiamo la seconda parte del libro di Isaia, annuncia un rinnova-
mento del patto davidico con un'abbondanza di benedizioni ancora
maggiore che nel periodo dello splendore della storia israelitica
(ls. 55,3). Una aggiunta post-esilica al libro di Geremia parla di
un nuovo tempo salvifico, in cui Dio farà sorgere il «germoglio di
giustizia» al quale Natan si è riferito nella sua profezia Uer. H,14-
17 ). In tal modo, per i documenti della rivelazione dell'epoca del-
l'esilio e di quella posteriore, la promessa a Davide vale come uno
dei fatti salvifici passati che determinano in modo decisivo tutta la
storia della salvezza, e sul quale si appoggia la fede nella fedehà
di Dio per l'alleanza. 115
Accanto a Davide, i libri post-esilici dell'A:ntico Testamento men-
zionano due figure del periodo dei re alle quali attribuiscono una
importanza per il presente e perfino per il futuro: i profeti Elia e
Geremia. Quegli ritornerà per salvare il suo popolo dal giudizio
finale di Dio (Mal. 3.23 s.; Ecclus 48,10); questi è colui che con-
tinua a vivere in cielo per intercedere nelle auuali angustie di

m l.f J. Sc:11AIBERT. Hn/s.,,11//l'r. pp. 167-17;. dio. 211-u-1


~TORIA I> ISKAEI F COME STORIA Dl'l.LA SALVEZZA

Israele, è ocl'uomo amame dei fratelli, colui che innalza molte pre-
ghiere per il popolo e per la città santa» (2 Mach. 15,1.1-16).

Anche la lellera/11ra 110'1 cano11ica del giudaismo, gli apocrifi, gli scrnu
rabbinica e i tesri di Qumran, considerano la profezia di Natan a Davide
come il fatto più significativo della storia della salvezza nel periodo dei
re. Su di essa si basa l'a11esa messianica dei giudei. 11" Altrimenti anche
per il giudaismo il tempo dei r.: è il tempo della infedeltà e dell'aposta-
sia, il rempo in cui Israele ha mandato all'aria i continui ammonimenti
dci profeti, findk Dio fece il suo itiudizio sul popolo e sulla dinasti:1.

Il Nuovo Testamento giudica il periodo dei re in modo del tutto


simile. È intesa appunto quell'epoca quando Gesù e la predica-
zione cristiana primitiva tacciano Israele di assassinio dei profeti, di
persecuzione degli uomini di Dio e di disprezzo degli ammonimenti
divini. 111 Il Nuovo Testamento si interessa soprattutto alla pro-
fezia di Natan e alle profezie salvifiche dei profeti, che si sono
adempiute in Gesù Cristo. Questi è colui al quale i profeti hanno
pensato, quando annunciarono la salvezza futura. 111 Questi è il 6glio
di Davide, al quale Natan ha pensato quando ha parlato di un
successore di Davide. il cui trono durerà per sempre.' 19

Il• Circa il messia davidico nel giuJ11ismo: B1llerbeck tv, ;9')-1015 (d. anche
!"indice alla voce 'messia'); O. Cuu.MANN, D1e Chrir1alog1e dei NT. Tubingen
21958, 11.1-117; S. MmrlNKEL. Ile that Camelh. Oxford r959; parecchi contributi
in: L'Altenu du Mtuie. Bruges 1958; E. ÙJHSF., 'Ocr KOnip: aus Davids Gcschlccht',
in Abrt1hanr uurr Valer (Fesrchr. O. Michel I Lciden 1q6~. pp. H7·H'· Sul mes-
si• a Qumran: A.S. VAN DrR \~'ut•nl, D1e 1'feJStt1n11chc·n \'or.1tellunit'n dtr Gemtin·
de 1·on Qumran. Assc.-n 19,7.
lll ,\11.,.12; 2\,\1.\i; .l.c.f.,2\; Act 7.,oss.
11 • Racroha Jdlc: .uscrziom neo1c-1arncn1aric circa 11 compimcntn delle: prolc:ln·
vc1em1~1amen1aric, in G. R11:11TF1. Dt'utsch<'I Wb .... T. Rc11ensbur11 196l, pp
;1K-72,.
11•a. spcc. Mt 1.1-1;, z,,s, I.e 1,\J•.69s.; Act l,29ss; n.22s.; ,,,16, Rum
1,3; 2Tim.2,ll; AP<Y. \,7; ,.~; 21.16 e al r;guardo· O_Ct.•tLMANr< (\'.nota 116 1
pp. 117-137; F. HAH~. "Chris1clogische Hohei1s1i1el". FRLANT 83 <GOuingen 196J I;
O. BETz. 'Die Fragc: oach dem messianischen Bc:wussrsein Jesu'. in NT 6 I 1<)6~
20-~8:
932 STORIA F. ORDINE DELJ,A SALVEZZA NELJ.'A.T.

e. Esilio e comunità· post-esilica

Per il periodo, lungo e, dal punto di vista della storia profana,


certamente ricco di contenuto, che va dal tramonto del regno meri-
dionale di Giuda (587/86 a.C.) fino all'inizio della storia della
Chiesa, la Bibbia non ci ha più dato una descrizione della storia
della salvezza, sintetica e continua. Troviamo ancora solo qualche
sguardo rapido su periodi di tempo ed episodi storici singoli, piut-
tosto brevi e però non connessi tra di loro. Il cronista passa sotto
silenzio i decenni dall'inizio dell'esilio (587/86) fino all'editto di
Ciro, che permette ai giudei esiliati il ritorno in patria (539). Di
questo periodo il deuteronomista menziona soltanto la grazia che
uno degli ultimi dominatori del regno neobabilonese, Evil-Merodac
(circa 561), concede al re prigioniero loachim (2 Reg. 25,27-30). Il
cronista descrive un po' più dettagliatamente la storia dei due de-
cenni dopo il primo ritorno in patria sotto Sesbassar fino alla co-
struzione del tempio, sotto Zorobabel (circa 535-515), omette, nuo-
vamente, più di mezzo secolo e poi tratta minuziosamente il periodo
del nuovo ordinamento della comunità giudaica sotto il sacerdote
Esdra e il luogotenente Nehemia. In proposito però, a causa delle
sue dichiarazioni cronologiche alquanto confuse, il cronista pone
alcuni enigmi tali che gli esegeti e gli storici disputano forte fino
ad oggi per la datazione degli avvenimenti narrati nei due libri di
Esdra. 1lll Dovrebbe trattarsi, con la massima probabilità, dei quattro
decenni dal 460 circa al 420 a.C. In seguito, solo i due libri dei
Maccabei ci informano nuovamente a fondo sulla storia del popolo
giudaico, nel periodo della lotta per la libertà contro i Siri, dal 180
circa fino al 130 a.C. Sugli altri periodi anche le fonti storiche
profane sono q~asi silenziose, sicché rntto il tempo postesilico ap-
partiene per gli studiosi all'epoca più oscura della storia della Pale-
stina e d'Israele.

l2il Per la cronologia dei libri 1 e 2 Esdr.: V. PAVLOVSKY, 'Die Chronologie der
Tiitigkeit Esdras', in Biblica 38 ( 1957) 275-305, 42S-456; H. ScllNElllEI, Die Biichef
Esra rmd Nehemia, Bonn 1959, pp. 8-78; S. MowINCKEL, S11ul1en xu dem Buche
Eira-Neh~mia. 1, Oslo 1964.
STORIA n'ISRAF.I F. COMP STORIA DF.1.1 A SALVEZZA
931

E tuttavia, proprio quest'epoca oscura è stata della massima im-


portanza per la storia del giudaismo e della rivelazione.
Nel tempo dell'eJi/io, il popolo di Jahvé, nel sottomettersi al
giudizio di Dio, ritrovò nuovamente se stesso. Solo allora si co-
minciò a capire i profeti e ad ascoltare il loro messaggio. Tanto gli
esiliati, quanto coloro che rimasero in patria;21 si diedero premura
per la raccolta del patrimonio della tradizione preesilica, e in gran
parte dovremo la fissazione della tradizione veterotestamentaria e
la forma definitiva dei cosiddetti libri preesilici ai circoli di per-
sone che, durante e dopo l'esilio, si curarono della tradizione! 22
Tuttavia il periodo dell'esilio e dopo l'esilio è anche un'epoca
oltremodo creatrice '-.1 punto di vista letterario e religioso: non
solo raccoglie l'antico, ma produce anche del nuovo.
Nell'esilio e durante i primi decenni del ritorno in patria, la
profezia raggiunge un estremo culmine. Ezechiele, gli sconosciuti ai
quali dobbiamo più r.he la metà del libro di Isaia, i profeti Malachia,
Zaccaria e forse anche Gioele consolan~ il popolo scoraggiato e
proclamano la misericordia di Dio. L'attesa messianica viene spiri-
tualizzata. Accanto al davidico apportatore di salvezza, il cosiddetto
Deutero-lsaia (ls. 40-n) e il 'Deutero-Zaccaria' (Zach. 9-14) fanno
sperare il loro popolo in un mediatore sofferente, che per mezzo
della sua passione e della sua morte riconcilierà Dio con Israele, an-
zi perfino con tutta l'umanità e allontanerà il suo giudizio.in n pen-
siero profetico del santo «residuo» dà ai devoti il coraggio di resi-
stere nelle sofferenze e nelle prove del presente che .opprime. 1M
Lo spirito di Dio suscita i cantori e li ispira alla composizione dei

121 Che non soltanto gli Ebrei in esilio, bensl anche quelli rimasti in patria
abbiano sostenuto un signi6cativo movimento religioso, lo ha dimostrato: E. JANH-
SF.H, 'Juda in der failszeit', in FRLANT 69 (Gotringen 1956).
IU Cf. J. ScHUBF.RT, Ei11/iihrung. pp. 25-29 e: Sochbuch zur Bibel, pp. 1:12-117.
m h. p,13-53,u; Zocb. 11,10 s. - La letteratura sul ·servo di Jahv~· è scon6-
nata, cf. ira il usto H. H.u.G, 'Ebed-Jahwe-Forschung 1948-19,8', in BZ (NF) 3
(1959) 174.204; H. Ct.zuus, Bibeltbeol. Wb., 717.721; H. Glloss, in LTK DI, 622-
624. - Su Zocb. 12,10 ss.: P. LAMAllOIE, Zacbarie 1x-x1v (Paris 1961 ). Bibliografia
su entrambi i passi: G. FoHllEll, in TR 28 (1~2) 236-249, 267-273; inoltre: J. 5cHA1-
BERT, Heilmrilller, pp. 178-212, 220-222, 294-300.
114 ls 2.p 3 ss. (certo post-csilico); 6,,8 ss.; Zoch. 8,11 s.; 13,9; 14,2 ss. - Su pro-
feti esili::i e post.ailici: CL. So!EDL, GeJCbicbte des AT, v, lnnsbruck 1964, qui
ulteriore bibliomfia.
934 STORIA E OROINE DELLA SAl.VEZZA NELL'A.T.

canti che si collocano accanto ai salmi del tempo preesilico e trovano


posto nelle raccolte canoniche. 115 I ·maestri sapienziali 126 danno
istruzioni al popolo per la condotta pratica della vita e lo mettono
nella condizione di poter accettare il confronto con la mentalità
dlcnistica che a poco a poco influenzava tutto l'Oriente. La lette-
ratura didattica 127 presenta al popolo i devoti come modelli e mostra
che Dio non abbandona i suoi nemmeno nelle situazioni apparente-
mente disperate (Dan. 1-6; Tob.; Iudith; Esth.).
Verso la fine dcl periodo persiano, la letteratura profetica e di-
dattica trova nell'apocalillica una trasformazione caratteristica per
il giudaismo tardivo; questa si è già preannunciata in alcuni tratti
del libro di lsaia, 118 e raggiunge nel libro di Daniele, specialmente
nella visione del figlio dcll 'uomo (Dan. 7 ), il suo vertice religioso,
per poi degenerare veramente ben presto con gli apocrifi in fanta-
sticherie .e in giuochi letterari. Anche questo genere di letteratura
religiosa ha cooperato a indirizzare lo sguardo dei devoti al tempo
finale, allo stabilimento futuro del regno di Dio e a far sopportare
coraggiosamente le tribolazioni del presente. 129
12s Ceno, tra i S,i/mi, gli inni post-esilici si po>SOno Jilli<ilmcnl<· Ji>1ingm:rc: <la
quelli pre-esilici; cf. però Ps. 89; 1 ~7 e le Lvnent.z;;;ioni.
Ili> Sulla letteramra sapienziale biblica: CL. ScHEDL, Gesrhichu Jrs AT, lii. lnn-
sbruck 1959,_ pp. 457-477; v ( 1964) 217-299; inohre: H.J. K1Aus, 'Die VerkiinJi-
gung der Weisheit', in Bibl. 5tudien 2 (Neukin:hen 1951 ); H. ÙZELLJ::S, 'Bible,
Sagesse, Science', in RSR 48 ( 196o) 40-54; R.E. MUllPHY, 'The Concept of Wisdom
l..iterarure', in The Bible in Current Catholic J'bought (ed. J.L. McKENZIE) New
York 1962, pp. 46-54; parecchi contributi in: I.es Sagesses du Proche-Orien/ An-
c1tn, Paris 1963; W. ZIMMEllLI, 'On und Grenze der Weisheit im Rahmen der atl.
Theolot1ie', in Tbeol. BUt:herei 19 tMiinchen 1963) 300-315; J. F1CHTNU, Gottes
Weisheit, S1uug1m 19')5: _I. CHll. LEBllA:'.I, 'Die Theologie der sparc:n Chokma', in
ZAW i7 (1965) 202-211; W.McKANE, Propbets and \l1 ise Men, London 1965;
R. MuRPllY, 'Die Weisheiisliteratur des AT, in Concilium 1 (1965) 855-862 (ed. ted).
127 CL SCllF.DI., Geschicbu des AT, v, 93-123: 137-185, 369·37.5·
111 Spt.-cialmenle nella cosiddetta apocalissi di Isaia 1s. 24-27.
129 Sull'escatologia apocalittica: O. PLÒGER, Tbeologie und Esch.itologie, Neukir·
chen ?1962; H.H. RowLEY, Tbe Releuance of Apocalyptic, London 196~; D.S. Rus-
SEL. 1'be ,\frthod and Mess.ige o/ ]ewisb Apocalyptic, London 1964; B. F1tosT,
'Apocalyp1ic and llistory', in Tbe Bibel i11 Mml. Sebo/. (11. noia 4) pp. 98-113;
L. HARTMA.NN, Prophecy lnterpreted, Lund 1966; K. KOCH, 'Die Apok~lyp1ik und
ihre Zukunftscr\\'artungen', in Kontexte 3 ( 1966) 51-58. La le11era1ura apocalittica
apocrifa è raccoha in: R.H. CllAUES, The Apocrypba a11d Psctulepi1,r11ph11 ol the
OT, Oxford 1913; P. RISSLEJL. Altiiidiscbes Schri/ttum ausserha/b der Bibel, Aui;s-
burg C2rC)66); E. KAUTZSCH, Die Apokry·phen und Pseudepigraphen dts AT, TU.
hin11c:n '1929.
STORIA u'ISRM:n: (llME Sl'ORIA llf'.1.1.A SAl.VP.ZZA

E stata la Legge però che ha dato fino ad oggi al giudaismo la


impronta più decisiva. 130 Giù durante l'esilio e poi sotto Esdra e
Nehemia la legge, ereditata dal tempo di Mosè e in verità certa-
mente redatta e integrata spesso nel tempo preesilico, venne sotto-
posta a una revisione minuziosa e in parte fu adeguata alle nuove
circostanze. Cosl il Pentateuco ottenne la sua forma odierna. Con
ciò però anche la legge, cresciuta dapprima in una tradizione viva
e continuamente adattata alle nuove situazioni, venne fissata a co-
dice di leggi, il cui testo da allora in avanti fu considerato intangibile.
Dopo Nehemia sorse uno speciale gruppo di maestri della leg-
ge, che vigilava su di essa e, mediante l'interpretazione, cercava
di metterla in accordo con le rispettive situazioni. Al riguardo, di-
venta sempre più costatabile la tendenza, non già ad adeguare me.
diante minuziose interpretazioni le leggi alle circostanze, bensl a
regolamentare, estraniandosi dal mondo, la vita della comunità e
dci suoi singoli membri secondo una legge non più atruale. Le nor-
me applicate dai cosiddetti dottori della legge o rabbini contribui-
rono molto a dare al giudaismo, che viveva sparso in tutto l'Orien-
te, la sua forma e la sua coesione, ma portarono con sé anche il pe-
ricolo del nazionalismo, della segregazione di fronte agli altri po-
poli e della sclerosi religiosa. Le diversità nelle concezioni escato-
logiche, nella spiegazione della legge e nella pratica del culto porta-
rono un po' alla volta a un allentamento e perfino a una rottura
dell'unità religiosa. Specialmente al tempo dei Maccabei e in quello
immediatamente successivo degli Asmonei, cioè movendo dal 150
a.C. circa, si formano sempre più gruppi con tendenze settarie: uno
sviluppo che poi raggiunge il suo punto culminante al tempo di
Gesù. La scoperta dei testi di Qumran ci consente oggi di dare
uno sguardo a queste comunità settarie. Ma perfino il giudaismo
cosiddetto ufficiale o 'ortodosso', che si raccoglieva intorno al tem-
pio e al suo culto, al tempo di Gesù non era più una comunità
omogenea; si suddivideva infatti in molti 'partiti' e gruppi di
interesse} 31
1~ Circa la rnnceziorie della leiu:?e dopo rcsilio e suc<:cssiva alla Bibbia: D. Riiss-
1.ER, GeJe/~ und Geschichfr. :'llc:ukirchen l 1.,t.l
111 Circ-a i gruppi religiosi nel GiU<laismo ~i r.-mpi di (ì.-sù: K. ScHL:BF.RT, Die
sroau. E OU>INf. DELLA SALVEZ7.\ NELL'A.T.

Ma proprio l'irrigidimento del giudaismo ufficiale e il naziona-


lismo pseudomessianico della maggioranza dci giudei palestinesi fu
da Dio incluso nei sooi piani salvifici: da una parte il giudaismo di-
venne il terreno sul quale sorse il nuovo Israele, perché un numero ri-
stretto di giudei devoti restò come «Santo residuo» che poté costi·
tuire il nucleo del «nuovo Israele»; d'altra parte Dio si servl proprio
del rifiuto e della condanna di Gesù da parte del giudaismo ufficiale
per dare alla storia della salvezza il suo centro, mediante la sua
grande azione salvifica, la morte e la risurrezione del messia-Cristo,
e per portare a compimento con la missione ai pagani la promessa
fatra ad Abramo. Paolo però un tempo fariseo e più tardi apostolo
dci gentili, spera che con questo fatto la storia della salve7.Zll per
l'Israele dell'antica alleanza, per il giudaismo, non sia giunta alla
fine, ma che Dio un giorno compirà anche in questo popolo le sue
promesse (Rom. 11 ).

2. u istituzioni salvifiche Jell' Antico T es/amento

A dire il vero, la Bibbia non conosce il concetto di 'storia della


salvezza'; tuttavia narra come Dio in realtà opera la salvezza per
Israele nella Storia anche se spesso, a Causa del rifiuto degli UO·
mini, egli dà luogo alla rovina. Israele ha altrettanto poco diritto
alla salvena quanto altri popoli. 112 Davanti a Dio non può appel·
larsi a nessun merito speciale. Il singolo israelita si riconosce gct·
tato fin dalla nascita in uno stato di lontananza da Dio, che l'An-
tico Test amento considera come peccato. w Se alla Bibbia manca il
concetto di 'peccato originale', l'Antico Testamento può ~redere
alla universalità del peccato e alla lontananza da_ Dio per l'uomo
allo stato dt natura pura, solo se fa risalire allo stesso tempo la

Rn1i10>1 Jrr .,,,,·hb1bl11~hr" /•Jqr11""s· Frcìburg i. Br. 19n. pp. 6'i 97; J BoNs11
YEN. u /11J•""'" 1>4/rsti"i"" "" "'"'PS Jr ]. C., 2 voli., Paris 19\.4/H lalizion"
ridona, 19,01
I.Il a.Dt 9,,; los. J.f.1-4; ls 6,,; Euch. t6..t5·,2; Anr 9·ì
1" G"" l,11; /J. 6,5, Ps. 51,7; 14J,J; lob. 14-4; 15,14u.
!STIT\JllONl S\l \'lFICHF DELL'A.T.
9~7

pcccaminosi1à dell'uomo a un progenitore, come fa pure derivare dai


capostipiti altre si1uazioni e fatti della vita dell'uomo.'-"
Nonostante la lontananza da Dio, che esiste nell'uomo già per il
fatto che è !illa creatura, Dio si piega su Ji lui e gli dona sa/vezuz.
Cer1amente i con;:cni vctcroi..:stam..:nt;iri Ji 'salvezza' ( IàlOm, ir!ia'.
fju'tih I e di 'benedi1.ione' I b•rakàh I hanno di\·er!ii significati. Il loro
contenuto passa da beni Ji fortuna molto 'materiali' (fecondità del·
le donne. degli animali domestici e Jei campi, ricchezza) attraverso
salute, vita lunga sulla 1crra. ai valori spirituali (gloria, sapienza,
onore I fino Ji val\lri ultraterreni (immortalità. risurrezione e comu·
nione d1 vita con Diol; questi ultimi però diventano oggetto della
'iperanza salvifica in un tempo relativamente tardivo. Tuttavia pro-
prio il fatto che Dio dona ·benedizione' e 'salvC"aa', costituisce il
lieto messaggio dell'Antico Testamento per Israele e perfino per i
popoli pagani. In questo contesto, è importante che 'salvezza e 'be-
nedizione', per quanto siano viste in modo terreno, stanno sempre
in stretta relazione con l'amicizia con Dio, con la remissione dei
peccati e con il camminare secondo la volontà di Dio; mentre la ro-
vina, la maledizione e la mone vengono colle~ate altrettanto inti-
mamente con il peccato dell'uomo, con l'ira e il giudizio di Dio.
Questi concetti dell'Antico Testamento, in rappono a quelli corri-
spondenti del Nuovo, sono soltanto concetti a1111/nghi e il loro con-

,_,. L'Antico Tcstamcn10 non diilinguc: chi1ramm1r 1r1 uniVC1Sa1i1à e nedi1arir1à


.lrl peccalo. Per l'An1ico Tes11mcnro come per Paolo in lto,,,. '' a causa del modo
di prnsare grnnlogico, è ovvio che la pcccamino1i1à dell'uomo cosl mmc ahri da1i
di fauo in cui l'uomo i.i vede insrri10. come noi diremmo, 'f•lalmaue' è rftdi·
u1a da un capos1ipi1r, con mi 1u11i i disccnden1i Klf10 solidali; d. J. ScHuBEIT,
SolitLuitit, pp. 76-87, 16<)-1;J; ID., 'hraclil Grtehich1Sschrt'ibung in Budx Gcne.-
.sis', in Bibft "'"' Krrchr 1; 11C)6Jl 66·6Q In Gr11. \ qun10 modo cli priu.are ha
solo uova10 una formulazion.: rartirolarmt'lll't' prqn1n1c; rHo però, quale catqo-
ri. Ji prnsiem ovvia. •la anche dic1ro i paHi apprna cimi (noia I JJ); d. L. LIGIEa,
Pé</N J"A.J11,,, rl ,,.., h.- Ju "'011dr 1. Paris 1Q6o. PI' Jl·H6; W. F.iCJtaODT, T~
logzr dr1 A.T 11. Sh111pr1 •1001 pp J71lJ8;. M DuBAILE, _I.I f'i<hi nriptl
J11,,1 /'F~tlll'f'. Pari• ,,,,8: ~l Po11lacAN, Jm ,,, IM or .'ìoc1oloaical St,.Jy, Ro-
ma 1•»1 Di lmmr a qUC"llÌ l•vor1 qudlo di J Gaoss. E"11tC'h11,,, drr ErbsiitlJrtloa·
,,,.J 1. Miinch.:n '""°· lo •Ì f"JÒ Jrfin1re solo rsumwnm1r suprrfkialr, addirittura
affrru.10 Anchr H lluG. 'K1hli ..:hr Schopfuni11lrhrr und kirddichr Erblùndenle-
hrr'. m S11111a Bibrl S111d11·t1 10 1S1u11pn 1966), di!licilmc:n1e lime in aiuslO
cor110 1 nessi 1r1 la Juurina cri11iana ucl p«caro origin.Je r le Uleniooi bibliche
sul p«ntn.
STUlllA I! ORDINE lllil.l.A SALVEZ~A NELL'A.T

tenuto va inteso in modo tipologico. Salvezza nell'Antico Testa-


mento non è semplicemente la stessa tosa come salvezza nel Nuovo
Testamento, però è un dono dello stesso Dio ed è una conseguenza
della stessa benevola volontà salvifica. Per questo già le istituzioni
salvifiche <lnte da Dio ncll'An1ico Testamento al popolo della
alleanza rivelano la volontà di aiuto, la clemenza che perdona e il
benevolo amore di Dio, anche se non con tale chiarezza come
l'ordine salvifico inaugurato da Gesù Cristo.

a. Alleanza e legge

L'Antico Testamento sa e attesta espressamente che Dio, nell'accor·


dare benedizione e salvezza, non è legato a nessuna istituzione e a
nessun ordin?.mento vincolante. Egli ha benedetto il primo uomo
(Gen. l,28) e già dopo la caduta nel peccato ha accennato alla
vittoria sul male (Gen. 3,15); ha «preso» Enoch (Gen. 5,24), ha
salvato Noè e la sua famiglia (Gen. 6-8) e ha scelto Abramo (Gen.
12,1 ss.) senza aver per questo costituito un «ordinamento salvi-
fico», o senza essersi prima legato a un'istituzione. D'altra parte
l'Antico Testamenw attesta che Dio ha anche creato un ordina-
mento salvifico al quale impegna se stesso e rimanda l'uomo, se
questi vuole farsi partecipe della salvezza: questo ordinamento
salvifico è chiamato alleanza."'

1.1.< Sull'idea dell'alleanza nell'Antico Tc:s1amen10 m 11Cnc:ralc: L'J'K 11, 770-778;


J. ScHILDENBFRGER. in Bibeltbeol. Wb. 150-1,8; J. llASPECKU, 'AJlc:anu', in D:T 1
('1<)69) 40-49 li,•i anche la bibliogr. meno re\'c:llld; AH. Gu11;NE'll'EC, 'Sinaibuml
und Da"idhund'. in \IT 10 ( 1')6<>1 H5·HI; W. ZtMMElLI. 'Sinaibund unJ t\brah~m·
bund', in TZ 16 (196o) 268-28o, Theol. Biicherei 19 IMiinchen 1963) Jo1-21~.
A. jEPSEN, 'Bcrith'. in l'abannunie uttd Heimkehr rFesrschr. \Vi. RuJolph. ed.
A. Kusct1KE) Tiibing<"n 1961. pp. 16o-119; J.L. HOUK, 'L'Alliancc de Sichcm', in
RB 6c}· (1962) '-16.161-184; M.L NEW'MAN. Tbe People o/ the Covr?fUlnt (Nashvil-
lc 1962); R. SMEND, 'Dic Bundesformel'. in I'heo/_ Studie•1 68 IZiirich 1963); N. loll-
nNK, 'Dic Wandlun11 J~ Bumk-sbqrith im Buch Dcuicronomium', in Gott in
We/t 1, 423-444; C.F. WHITLEY, 'UJ\'C~nant and Commandcmc:nt in lsracl', in ]NE.~
22 ( 1963) 37-48; W. E1<:t1RODT, 'Bund unJ Gi:setz', in Gottes Wort u11d Gottes
Uind (Fcs1schr. H.W. llcrtzbt:r11. c:d. Il. Graf Rc:vcmlow) GOttingen 1965, pp.
30-49; R.E. CLEJl.IE.l'òTS, Prophrry .md Co!'t"11411f. London 1965; D.}.McCAum-, 'Dcr
Goll~bund im AT', in .~tultt.<1rl B1h ..l-St11J1e11 t \ (S1u11gar1 1966); J. ScHARBEllT,
'Die ad. Bundaordnung in ihrc:r ahoricntalischcn Umwc:h', in Die religiose und
•b,.,,[ flrdeutung des AT. in ~tudil'n 1111d Brricbte drr K<1th Aludemir in &ryern
ISTITl'i'IONI SAl.\'lFICllE llF.1.1.'A.T.
939

I libri dell'Antico Testamento conoscono parecchie «alleanze»


di Dio con gli uomini. Lo strato di tradizione del Pentateuco, che
oggi generalmente è indicato come codice sacerdotale (Pl, consi-
dera già l'assicurazione che l'umanità conrinuerà a sopravvivere an·
che se veramente avrebbe meritato la morte a ca:usa del peccato,
come una benevola concessione di salvezza da parte di Dio e cosl
collega questo fatto con l'alleanza di Dio con Noè (Gen. 9,r-r7).
Presdndendo dall'uso metaforico del concetto di alleanza l' An-
tico Testamento parla altrimenti di un patto di Dio con i patriar-
chi,1,. con il popolo d'Israele e con determinati organi di questo
popolo (con la dinastia davidica,m con la tribù sacerdotale di Levi 111 )
e finalmente anche di una «nuova alleanza».'·'" In parricolare il con-
cetto di alleanza ha avuto una storia lunga e complicata e ha speri
mentato svnriate trasformazioni. Il patto appare talvolta, secondo
il modello dei «trattati di vassallaggio», come uno statuto che il
Dio sovrano impone al suo popolo, come l'alleanza dcl Sinai. tal-
volta 1: quasi <la equiparare a una promessa unilaterale, designata
spesso come giuramento di Dio, con la quale egli promette qualcosa
all'uomo, senza però stringere con ciò espressamente un patto, co·
me nei più antichi strati della tradizione: sembra essere: il caso di
Abramo e di Davide. Tuttavia si possono ~tahilire alcune caral/r•-
ristiche essenziali del/'al/eam:a.

aa. La stipulazione dell'alleanza ha luogo sc..-condo /orme detc:rtni·

H (Wiirzburg 1965) 1 3-46. Sulla nmionc di J!lean1.a nel GiudJismo J>mt·bib!iw:


Pari~ 1963
A. _IAUBEllT, Li 110/ion d'Alliance J11111 le i11J,11<111.-.
I.IO l..A.SN!JDERS, 'Gcnesis xv. Thc C.<wroanl with Ahraham', in crn Il (111581
161-279; S. G111u. Die rcli1.ionr;:crd:w!i1l. lkd.-11111111. dt'1 i·nmuJJ.ii"·J,,.,,
Bii111lllisu:
J\airos 1 ( 196ol 17-22; A. UQl!OT. 'l.'Alliance I\'("( Ahraham'. in Semtlì<'<J 12 !Paris
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179-189; P.E. TF.STA, 'De foedcrc l'a1riard1.m11n' in S111Jii Bibl. fr<1nà1c. LJbtr
Annuus 15 11<)64/65) 5-7~.
m L. RosT. 'Sinaihund uad Da\·idhunJ'. in 1Ll ;2 ( 1947) 129·1 ~4; 1\.1. St:KINI:.
'David$hund und Sinaibund bei Jc:rcmia', in \'T <1 r um1I 47·5;; 11. GfsF. (v. m>-
ta 95).
118 J.Scl!AllBE.ltT. SoltJ<1riliit, pp.14;s.,22;.2\4>.; lo. ll1•1lu11ìt1l.-r, Jlp.27q.
iw ST. Po1t:BCAN, li pullo nuovo m ls. 40,611, Roma 11nll: R. MARTtN·AC:llUD,
'La Nou\'elle :\lli.ince ;;.,)on J<'r~'mic', in RI'/' I 1961) K1-<11; B.\'\'. As1>f.asm•. 'Thc
Ncv.· Covenam and 1he Old', ia The Ol """ U•mti<1n h1i•li flod. B.W. ANDUSONI,
l.nn,lon 19"4. pp. 225·24,
940 STORIA E ORDINE DELLA SALVEZZA NELL'A.T.

nate e per lo più derivate dal diritto 1,1mano. La più semplice è la


solenne promessa di Dio all'alleato umano, che poi la successiva
tradizione chiama semplicemente giuramento.' 40 Forme più svilup-
pate sono l'esecuzione di certi atti simbolici, come, per es., lo smem-
bramento di animali offerti in sacrificio (Gen. 15,7-21; 141 dr. Ier.
34,r8 s. 142 ), l'aspf ·sione con sangue (Ex. 24,8 143 ), un pasto comuni-
tario (Ex. 24,11 14 ). Talvolta l'Antico Testamento ci descrive la
conclusione dell -Jlleanza addirittura come la formale stipulazione di
un contratto a: i offerta di contratto, contrattazione, ratifica e da
ultimo stesura di un protocollo (Ex. 19 e 24; Ios. 24).1•5

bb. I partners dell'alleanza non hanno gli stessi diritti. Dio rimane
sempre il Signore dell'alleanza. A lui spetta l'iniziativa; egli offre
l'alleanza spontaneamente. La sua concessione è una grazia, il rifiuto
della quale significherebbe colpa.

cc. La mèta dell'alleanza è la costituzione della comunione tra Dio


e l'uomo. L'Antico Testamento designa la relazione formata dalla
alleanza come sal6m. Questo vocabolo ebraico è formato dalla radice
salem che significa «equilibrato, completo, in ordinei.. Il tennine
designa dunque il rapporto equilibrato tra Dio e l'uomo, che non è

140 Di un 'giuramenro' di Dio parlano p. es., 2 Sa1'1. 3,9; Ps. 89 (spesso); qz,11;
nel Nuovo Testamento Le. 1,73; Act. 2,30 e Hebr. 6.q.17. Anche la locuzione 'Jah-
vé ha alzato I.a sua mano' significa nella midizione 'P' (pcssmr). in" .1 Esdr. 9,1, e
in Ezechiele (f>4uim) una promessa giurara.
1•1 a. nota 36.
1cz P.J. HENNJNGEll, "Wrs bedeutet die riruelle Teilung eines Ticres in n-ci Hilf.
ren?', in Biblico 34 ( 1953) 344-n3; M. NOTH, Das atl. Bund1cbl1esse11 im Lchte
einer Mari-Texur, Theol. Biicherci 6 !Miinchen 211)6o) 141-1,4; W. E1u:as. Wt'it
des Orientr Il, Wuppertal 19H. pp. 467 s.; J.F. PnEST, 'OPKIA in the lliad and
Consideration of a Recmr Theory', in ]ourn. o/ Netn" Eastern Studies 2 3 ( 1964 l
48-5,,
l•l N. ftJGLISTER, Die HeilsbedeuJung des Poscho. Miinchen 1963, 84-88 (con
ulteriore bibliografia).
144 N. fUGLISTEll. (v. nora 143) pp. 122-124.
!'S K. BALTZER, Dos Bundes/ormular, Neukirchen 196<>; G.E. MDfDENHALL, 'Rcchr
und Bund in lsrarl und dem Alten Vorderen Orient. in Theol. Studim 64 (ZUrich
196ol; W. MoRAN, "Moses und der Bundcsschluss am Sinai, in Stdl 87 (1961/61)
uo-133; J.D. McCARTHY, Treaty and Covenont, Roma 1!)63; N. l.oHFINK, Das
Hauptgebot, Roma 1!)63; Fa. NO'TsCHEa, 'Bundesfonnular und cAmuschimmel10', in
BZ tNFl 9 (1!)611 181-214.
ISTITUZIONI SAl.VIFICHE DBLL'A.T. 941

turbato da nessuna tensione, la pace, che per l'uomo significa sal-


vezza, perché egli gode ora l'amicizia di Dio. 146

dd. Presupposto per l'alleanza è il reciproco comportamento dei


partners dell'alleanza. La lingua ebraica dispone, per questo com-
portamento, di parecchi termini caratteristici, i quali tutti esprimono
tanto l'atteggiamento interno e la condotta esterna, verso l'uomo,
del divino Signore dell'alleanza, quanto anche l'atteggiamento e la
condotta dell'uomo verso Dio.

Il termine l!esed, 141 tradotto di solito con 'grazia' o 'clemenza', indica


spesso il rivolgersi clemente, precedente l'offerta dell'alleanza, di Dio
all'uomo, cosicché spesso lo si può tradutte con 'grazia'; ma anche allora
il rapporto con l'idea dell'alleanza è evidente, perché essa vi è già intesa.
Quando il vocabolo viene applicato all'uomo, allora intende specialmente
il rapporto interno, conforme all'alleanza, degli uomini accolti nel patto
con Dio, tra di loro, cioè la solidarietà e la reciproca disponibilità ad
aiutarsi dei membri del popolo. Talvolta significa però anche l'intimo
atteggiamento dell'uomo verso il partner divino dell'alleanza e allora
è difficile distinguerlo dagli altri termini, che tosto verranno trattati.
=
Da 'amen 'sicuro, fidato, stabil :' ~ derivato "met che è da tradurre
secondo il rispettivo contesr.:> ron 'fede'. 'fedeltà', 'fiducia' o simili; 141 que-
st'espressione vuol dire u·,e i partners po!SOnO fare affidamento l'uno sul-
l'altro, fidarsi rcciprocam::ntc, possono essere in relazione con 'fedeltà e
fede', senza sottintesi o sospetti. Non solo il Nuovo, ma già l'Antico Testa-
mento, soprattutto il Deuteronomio chiamano il reciproco atteggiamento
interiore dei due partners dell'alleanza, Dio e l'uomo, amore ('ab-bdh)."''

,.. a. nota 8.
1'7 J. SouLDENBEIGEK, Bibtlth~ol. Wb. ,..2.,46 (con uheriore bibliogr.); conuo
il rapporto con l'idea ddl'alleanza si e$prime però A. ,IEPSEN, 'Gnade und Barm-
herzigkeit im AT', in K"D 7 ( 1961) 261-271.
1• J.B.BAUEI, Bibeltheol. Wh. 514-,19 (con uhcriore bibliogr.); ST. Poa~AN.
'La radice 'mn ncll'AT', in RiuBibl 8 ( 1960) 324-n6; 9 (1961) 1n183; J. ALPAIO,
'Fides in terminologia biblica', in Gr .µ ( 1961) 463.,0,; O. ST. V11GULIH, Li '/~tlt'
nella pro/ti:ilf tl'lsm, Milano 1961; O. l.oun, Dit Wohrhm tltr Bib~l. Frciburg
i. Br. 1964, pp. 73-80.
1• Dt. 6,5; 7,8.13; 11,1.13.22 e possim. Vi appu1engono anche le forme derivare
dalle radici b/s = 'aver caro' e rbm = 'amare (come una madre'. Per il conc.-euo
di lllllOre: V. WAINACH, BibtltbeOl. Wb., ìBo-818 (con hibliottr.); C. WIÉNEI, R~
cberr:bts sur l'omour PD"' Dit" "4ns l'AT. Paris 1957; W.L. MoaAN, 'The Ancicnt
Near Eas1crn &clcground of the Love of God in Dr.', in CBQ 2, ( 1963) n·87;
J CoPPENS, 'La docrrine biblique sur l'amour de Di~ <'I du pmchain', in ETL 40
STORIA E ORDINE DELLA SALVl!ZZA NELL'A.T.
942

Un termine particolarmente caratteristico per l'idea veterotestamentaria


di alleanza è ~·dakah tradotto di solito con 'giustizia'. 150 Indica la pro-
prietà che si attribuisce al partner che adempie coscienziosamente ai
doveri sia assunti volontariamente, sia corrispondenti a un rapporto giu-
ridico, e non dà in nessun modo motivo di lamentarsi. L'aggettivo corri-
spondente suona faddik, dunque 'giusto, perfetto'; nel linguaggio giu-
ridico indica un uomo la cui onestà è 'notoria', cioè stabilita inaccepi·
bilmente mediante una sentenza. Davanti a Dio è faddik l'uomo che
ordina conformemente all'alleanza la vita e le aspirazioni; il quale si
comporta verso Dio come lo esige il patto. Dio è faddik in quanto egli
pure si comporta in modo conforme all"alleanza, cioè adempie agli obbli-
ghi assunti volontariamente, ai suoi impegni di salvezza, alle sue pro-
messe. Dio è più faddik dell'uomo; egli infatti rimane fedele alle sue
promesse anche se il pllrtner umano dell'alleanza viene meno e ha ver-
gognosamente infranto l'alleanza. Perciò si può tradurre la !'dàkab di
Jahvé, della quale l'Antico Testamento parla tanto spesso, precisamente
come fedeltà di Dio all'alleanza o alle promcsse. 151 ~ la stessa cosa che
intende Paolo, quando, pieno di riconoscente stupore, loda l'incompren-
sibile OLXCJ.LOCTV'lll] itEoii, la 'giustizia di Dio', la quale cosl non corri-
sponde niente affatto alla giustizia giuridica umana, che spinge a ricom-
pensare. Certamente la 'giustizia divina' non esclude la possibilità del
castigo, anzi, all'occorrenza, comprende il ripudio definitivo, se l'uomo
si dimostra cosl indurito da non voler approfittare delle possibilità di
salvezza offerregli nell'alleanza: Dio infatti rimane fedele eventualmente
anche alle sue minacce di maledizione e di giudizio.

cc. Il comportamento conforme all'alleanza viene descritto pm


particolareggiatamente mediante lo statuto dell'alleanza. Questo con-
tiene la rivelazione della volontà di Dio riguardo all'uomo, che
l'Antico Testamento designa come miif'd! e torah. Non sempre una
legge dell'alleanza è menzionata espressamente in rapporto con la

(1964) 151·199; D.J Mc.'CAITHY, 'Notes un the LO\-e of God', in CBQ 27 (196,)
1+4·147·
I~ Cf. nota 27, innhrt" A ..h:rsEN, '.Jqh im AT'. in Cottt'• u·orl u11d Go1te1 LmJ
cfes1schr. H.:w. Hertsbc:ri:. l-d. H. (.;1A1 R1·.vt:NT1.ow1 Gi.i11ingcn 1965, pp. 78-89;
O. KAISER. 'Dike umi Setfa<Ja'. in .\'L\I ; I 1<1n,1 2,1-2;•
m (',o,i i: da ìmendere Ps. ,1,<>. d S1 1.n>NNFT. 'I.X 111•llliJ Dei in Epistula
ad Romanos'. in \ID 25 119471 1~·1-1· 118·111. 12•,.144. 19\·W\, 2'7·263; lo., 'La
no1ion de jus1ice de Dieu .:n Rom 111. , 1:1 l'i:xéi:hc p.lUliniennc Ju Miserere', in
Sacra pagina Il, Gembloux 1959, pp. ~41· 3)6, E. BuucAMP, 'Jus1icc Jivinc et per·
don", in A la n:nwnlre Je Dieu (Mémorial A. Gclinl Le Puy 1961, pp. 12!)-144;
J. ScHAllllERT. 'Promessa', in D~T 2 (21968) 7,2.761.
ISTITUZIONI SALVIFICHE DELL'l\.T.
943

stipulazione di un patto tra Dio e l'uomo. Ma siccome l'alleanza


stessa stabilisce un 'diritto', in quanto porta ambedue i partners in
un reciproco rapporto giuridico, i concetti di diritto e di legge sono
inclusi nel concetto di alleanza. 152 Il diritto e la legge delineano solo
più concretamente il comportamento risultante dal rapporto fedele
dei partners all'esterno, nella vita pratica di ogn~ giorno. Mentre
l'ebraico miSpii( corrisponde più al nostro concetto di 'diritto', all'in-
tero complesso dei diritti legali e dei doveri dei partners del patto,
torah invece intende l'intero complesso delle esigenze e indicazioni
del Dio dell'alleanza all'uomo che sta sotto il patto, siano esse
formulate espressamente, o risultino semplicemente dalla natura
dell'alleanza. La legge nell'Antico Testamento non è un codice ri-
gido, fissato una volta per sempre, bensl un patrimonio della tradi-
zione, da adattare alle rispettive condizioni e da applicare da parte
degli organi dell'alleanza. La Tara è la 'disposizione' nella quale il
Dio dell'alleanza, attraverso gli organi del patto, i mediatori della
alleanza, manifesta al popolo, come Israele deve sistemare il suo
culto, il suo ordinamento sociale e giuridico all'interno, e le sue
relazioni con altri popoli all'esterno, per essere il suo popolo. Il senso
della legge sta nel rendere Israele un popolo santo, nel conformarlo
degnamente alla comunione con Jahvé, nell'impedire tutte le mi-
nacce per questo suo status conferito dall'alleanza, le quali nascono
dal contat.:o con altri popoli e dalla propria umana insufficienza, e
infine nell'espiare le violazioni dell'alleanza derivanti da tale debo-
lezza. La legge quindi è il dono della cura misericordiosa e dell'amo-
re del Dio dell'alleanza, e l'osservanza della legge è espressione della
fedeltà all'alleanza, dell'abbandono e dell'amore del popolo verso
il suo divino signore dell'alleanza.
Se si considera la legge veterotestamentaria a questa luce, allora
soltanto si capisce che Gesù si dice mandato per dare compimento
alla legge (Mt. 5,17 s.); allora infatti la legge dell'Antico Testamento
appare come tipo della legge del Nuovo, che Geremia (I er. 31) e il
'Deutero-lsaia' (ls. 59,21) hanno già preannunciato, e Gesù e i suoi
discepoli hanno insegnato. Anche il discorso della montagna e le

152 Circa i rapponi della legge con l'idea dell'alleanza W. GuTBROD: TWNT. IV,
I02<.l·IO~o: H. BucuRs. 'Die sozialen Grundid~n Jer ah. Gesctzc unti Einrich·
STOIIA E oaDlNI! DELLA SALVEZZA NllLL'A.T.
944

esigenze dell'etica cnsuana, sopratt~tt.O l'esortazione di Gesù alla


sequela, sono interpretazioni per l'attuazione della fedeltà all'alleanza
del popolo del patto neotestamentario e dci suoi membri, attuazione
che risulta dalla situazione rispettiva. 'Opere' intese in questo senso,
cioè come attuazione della fedeltà all'alleanza, della fede, dell'amore
al Dio del patto, allora non sono solo adempimento di una 'legge',
bensl della 'fede', per cui la greca «'ltWt~~· corrisponde all'ebraica
'•met, la quale comporta pure la fedeltà all'alleanza. In tal modo è
pienamente vera la parola della lettera di Giacomo: « ... la fede agiva
insieme con le sue opere, e ... per le opere quella fede fu perfetta»
(lac. 2,22).
D'altra parte anche la condanna della legge e delle opere da parte
di Paolo, s'accorda con la concezione veterotestamentaria della legge
dell'alleanza, quando egli rifiuta decisamente 'legge' e 'opere' come
mezzo per il raggiungimento della giustificazione (Rom. 2 ss.; 7;
Gal. 3 ss.); egli infatti ha davanti agli occhi la concezione tardo-giu-
daica, specialmente rabbinica della legge, la quale non era più suffi-
cientemente consapevole del legame organico tra l'alleanza e la
legge. Cosl la legge era in pericolo di diventare una raccolta rigida
di prescrizioni, le quali costringevano la vita religiosa in riti este-
riori e che non eran più rispondenti alle esigcnz.e sociali dcHa vita
quotidiana. Ora ci si atteneva sl alla lettera della legge, ma se ne
trascurava il significato. Mediante l'osservanza letterale delle pre-
scrizioni legali si pensava di raggiungere un diritto alla salvezza, e
non ci si poteva capacitare che Dio stesso avrebbe potuto sempli-
cemente togliere certe disposizioni legali superate, soprattutto l'in-
sieme delle prescrizioni riguardanti il rito, per assicurare anche ai
pagani l'ingressO in una nuova allcanza.w Perciò si doveva arrivare

rungcn', in DT 11 ( l'IH I 61-llo; f.. Wun11W1t.1N. "Urr SiM des GcscUJes im AT'.
in ZTK 15 ( 19,81 lH·2;0; R. Hu.Tsa1u. 'Gncu und Eacharologic'. in ZEvE 4
w
(1')6o) .. (>.,6, ZIMMEILI, 'l)u (~IZ 1m Ar. in fLZ s, (~1·4911. llleol.
Biidl<'rl'i 19 (~IUnchcn 1961) l.f<J·l76; lo. Dai \.ewz 1111d die Propheten, GOi·
tinl!Cn 111 6 1, D.N l'Rtf.DM,..NN, 'Thc Lau• gruf thc Prorhcu', in \'T suppL 9 (Lei·
dm 19'>1l l'C>-l6,. e I' Wmnn. 'COYl'lllnt and Commandmcnt in Israd', in
/ot1,.,.,,; o/ Ne"1 E,,11ern Studtt"I. 1l I 1Q61) 17·.f8 L'hn1on: bibliogr. in J. Sat... I·
llEU. 10 LTK 1v. ~,,.s18. 11.c.... zuu.s. in R1be/1heol Wb. ~4-491; P.Bùi.sa.
'Lcuc' in rr.r •9'>8> pp.
l (1 1,8-168
Gma
1'1' la t;O!Kl"lione giud1ica cklla kge. W Gunaoo, in TWNT 1v, 1040-
ioso: J Snl'.\lllD. in LTK I\, 818-!lu tron uhl'rior..- hiblir'tlr ì; J BEr.Hu, Gotte<
ISTITU2:10NI SALVIFICliE Dl!LL' A.T.
945

a un urto tra il giudaismo ufficiale, che si considerava come custode


di questa legge resa unilaterale, e Gesù che si proclamava il rifor-
matore della legge, con pieni poteri divini; si doveva giungere in-
fine alla condanna di Gesù in nome appunto di questa legge.' 54

ff. L'alleanza del Sinai, alla quale è ordinata quella di Abramo e


che è presupposta dall'alleanza di Davide e da quella di Levi, è
sanzionata mediante maledizioni e benedizioni.w La benedizione è
veramente il seguito ovvio dell'alleanza, poiché salvezza e benedi-
zione sono proprio la sua finalità. Ma ancora al popolo d'Israele, a
condizione che rimanga fedele all'alleanza, viene ripetutamente pro-
messa in_ modo esplicito la benedizione. 156 Ma è anche minacciata la
maledizione in caso di infrazione. 157 Il popolo trasgressore dell'al-
leanza non può staccarsi semplicemente dal suo partner, e ritornare
nella condizione cui si trovava prima del patto, nello status dc:i po-
poli pagani. Come una moglie adultera non può ritornare nel pa-
rentado del padre, bensl soggiace alla pena di morte, a meno che lo
sposo non le faccia grazia (dr. Or. 1-3), cosl il trasgressore della
alleanza soggiace alla maledizione che lo perseguita fino a che, o
interviene la morte, o Jahvé gli fa grazia (dr. Leu. 26,28-46; Deut.
4,26-31 ). Le presentazioni della storia da pane dcl dcuteronomista
e del cronista, i profeti, la storia del giudaismo post-csilico e infine
Paolo mostrano che Israele, nonostante l'alleanza ~ rimasto un
«popolo che contraddice», un popolo cdal cuore incirconciso• e
l'ha sempre nuovamente infranta. Perciò la maledizione, nonostante
la ripetuta concessione di grazia, fu più forte della benedizione. Le
tristi esperienze della storia d'Israele fanno sl che Paolo trascuri

/11r<ht ;,,, AT. Roma 196,, pp. 161-181


IW Per la lr• nrl Nuovo Tcs1amcn10: P. BLiiSF.I, m LTK IV 820-8n, r 81b<"l·
thtnl. Wb., 491.,08; K l.ottFINsi;, Sitt.tJ/i"I, pp. 1,1·1n: 0. Kuss, 'Nomos bei
P1ulus', in MTZ 17 ti#l 17J·217.
111 Cl. noia u.
116 Le 11rand1 r111.-cohc della lrQC wno sanz!omll'!." con una benedizione: il codice
dell'alleanza: fa 2 J.lS·H; il codice di un1i1à: uv. J6,J·ll; il Da11eronomio: Dt.
ill,1-q.
1" l..-v. 16,1 J·J9; Dt. ,.,lS·lll; J8,1 s-68. nel coJice del1'1lleanu manca nel 1es10
odierno la sanzionr e.li malrdizione, po1n:bbe però esserci s1111 un 1rmpo. - D.R.
HILLUS. 1°•t11ty C:11"t'l ,,,,J /rt nr Pmrl>ttJ, Roma 1964

t>o 1\h1tn111"' S,1/u/11. 11/ I


STORIA E ORDINE DELLA SALVEZZA NEl.1.'A.T.

quasi del tutto la benedizione che aveya sanzionato la legge veterote-


!>tamentaria dell'alleanza e giu_nga alla convinzione che maledizione e
Antica alleanza addirittura coincidano: coloro che compiono le opere
della legge dell'Anùco Testamento «Stanno sotto la maledizione»
(Gal. 3,10). Secondo Paolo, Gesù ha preso su di sé la morte e ha
così portato a compimento in se stesso la sanzione di maledizione
della legge, per abrogare in tal modo l'antica legge, per riscattarci
«dalla maledizione della Legge ... affinché in lui la benedizione di
Abramo passasse alle genÙ» (Gal. 3,13 s.). Egli contrappone qui la
benedizione di Abramo alla maledizione della legge del Sinai, per-
ché nell'Antico Testamento, in connessione con l'alleanza di Abra-
mo, non sono menzionate sanzioni di maledizione, ma solo promesse
di benedizione. Certamente non si può tralasciare che anche il Nuovo
Testamento conosce la minaccia del giudizio, la quale è in analogia
con le sanzioni di maledizione dell'Antico Testamento.ISI
L'alleanza non è una pura e semplice idea, bensl ha una incarna-
zione nel culto, negli organi dell'alleanza e nel popolo dell'alleanza.

b. Il culto dell'alleanza

Dio opera nel culto la salvezza intesa mediante l'alleanza. In antitesi


con le altre religioni antiche dell'Oriente, l'Antico Testamento è in
un deciso atteggiamento di difesa contro la magia. La salvezza non
si può strappare attraverso persone o riti capaci di disporre del
'mana', bensì Jahvé stesso dona a Israele un ordinamento salvifico,
in cui egli volontariamente lega la sua concessione di salvezza a
determinati simboli, riti e persone; 159 egli però si riserva sempre
anche di poter concedere la sua grazia a chi vuole, al di fuori di
questo ordinamento di salvezza. Certamente nella fede popolare po-
teva trovare adito di quando in quando la concezione magica che po-
teva perfino, occasionalmente, pervertire il culto nel senso che alla sua

t51 Mt. u,u ss.; 2541-46; Mc. 1240 par.; 16,16; 2 Cor. 5,10; 2 Petr. 2,9 e passim;
c;I. Anche Aprx-.
159 Perciò nell'Erodo e fino ai Numeri tutte le leggi del culto vengono messe
in bocca a Jahvé come incarichi a Mosè, p. es. Ex. 40,1; Lev. 1,1; Num . .:i.i. - Nel
Deuteronomio parla sì Mosè, ma con pieni poteri da parte di Jahvé, p. es. 12,r.
ISTITU:tlONI SALVll'ICllE PELl.'A.T.
947

esecuzione, priva della disposizione interna esigua da Jahvé, si at-


tribuiva l'operazione della salve2za. A1lora però Dio mandava i pro-
feti, che si opponevano decisamente a un tale pervertimento del
culto.'"° Qui non è possibile esporre la complicata storia del culto
stesso e ddle idee ad esso collegate. 1• 11 Sono da mettere in risalto
soltanto alcune caratteristiche essenziali dcl culto vetero-testamen-
tario.

aa. Il culto è anamnesi e attualiuaxione della storia della salvez·


za. 162 Già nelle varie tradizioni del libro della Genesi troviamo la
tendenza a far risalire a fatti salvifici dell'epoca dei patriarchi im-
portanti luoghi di culto che è possibile abbiano già servito alia
popolazione cananea come centri della loro religione naturale.w Cc,sl
lsrade già solo attraverso determinati luoghi di culto, attraverso i
loro nomi e i loro particolari monumenti, p. es., una vecchia pianta
o una pietra commemorativa, si sentiva richiamato all'incontro di
Jahvé con i padri, dai quali derivava la sua propria dezione. c:erta-
mente anche i racconti dell'incontro di Abramo con Melkisedek
(Gen. 14,17-20), dell'erezione di un altare ad opera di Davide sul-
l'aia di Orna e dcl trasporto dell'Arca in Sion (2 Sam. 6) hanno lo
scopo di richiamare ai pellegrini giunti a Gerusalemme il fatto che
Jahvé già in passato si è dimostrato nd luogo dove ora sta il tem-
}>io, come il Dio potente e salvatore.*
Inoltre la tradizione cultuale dell'Antico Testamento costata spes-
so espressamente che Dio o gli organi ufficiali dcl popolo della

l!O Cf. nota 106. - G. FOHRER, 'Propherie und Magie', in ZAW 78 ( 1966) 25·.p.
101 Cf. la bibliografia, sotto IV, p. 973.
11>2 L'Antico Testamento usa allo scopo la parola motivo zakar = 'ricordarsi':
J.SYKES, 'The Eucharist as Anamnesis', in Expository Times 71 (1959) 114·118;
H. Gaoss, 'Zur Wurzel zkr', in BZ (NF) 4 (1960) 227-237; E.P. Buia, 'An Appeal
to Remembrance', in lnterpret 15 (1961) 40-47; P.A.H. PEBOER, Gedenken und
Gediichtnis in der Welt des AT, Stuttgart 1962; B.S. CHILDS, Memory and Tradi-
Jion in lsrael, London 1962; W. SCHOTTROFF, Gedenken im Alten Orient und im
AT, Neukirchcn r964; H. ZIRKER, Die kultische Vergegenwiirtigung der \Tergangen-
heit in den Psa/men, in BBB 20 (Bonn 1964).
m Mamre-Hebron: Gen. 11!; 2J. - Bcrsabea: 26,23 ss. - Bete!: 28,10-22; 3~.
9-15 - Mahanaim: 12.1 ~i. - Penucl 12,21·32.
164 2Sam.24,18-24; 1Cbron.21,1~·10; cf. W.Fuss, '2 Sam. 24', in ZAW 74
(1962) 145-164; J. SCHKEINF.R, Sio11.Jerusale111, Miinchen 1961. pp. 19-91.
STOlllA E ORDINE DELLA SALVl!ZZ.\ NEU.' A. T.

alleanza, hanno istituito o disposto determinati giorni nell'anno


appositamente per ricordare gesta salvifiche accadute. Cosl la festa
del pane azzimo e quella di Pasqua ricordano la liberazione di
Israele dalla schiavitù, 16'1 la festa delle settimane (Pentecoste), qua-
le festa delle primizie, la concessione della terra o la stipulazione
dell'alleanza;'"" la festa delle capanne 1" 7 la prodigiosa guida d'Israele
nel deserto ad opera di .Jahvé (Lev. 23,42 s.). Anche dall'epoca
tardiva sentiamo ancora che la comunità celebra nuove feste per
ricordare l'aiuto che il popolo ha sperimentato ad opera di Jahvé
nelle ore oscure della sua storia, come, p. es., la festa di Purim
(Esth. 9,19; 16,21 secondo la numerazione della Volgata) e quella
della dedicazione del tempio nell'epoca dci Maccabei (1 Mach. 4,,9;
2 Mach. 1 o,8 ). Alcune delle antiche solennità, Israele può averle

prese da altri popoli, presso i quali un tempo esse erano forse giorni
in cui si celebravano i riti della fecondità e si onoravano gli dèi
della natura. Israele però ha dato a queste feste un nuovo signifi·
cato, mentre le ha 'istoricizzate' e in esse onorava ora Jahvé, non
solo come distributore dei doni della natura, bensl anche come il
Dio della storia della salvezza.
Il sabato non era solo giorno di riposo, bensì anche un giorno di
festa, in cui Israele di settimana in settimana ripensava le gesta
prodigiose di Jahvé. Certamente a questo proposito la tradizione
non è unitaria. Secondo Dt. ,,14 s. Israele nel sabato deve ricor-
darsi che in Egitto era schiavo, ma che fu liberato ad o~ra di
Jahvé; tuttavia secondo Ex. 20,10 s. e Gen. 2,1 ss. questo giorno
ricorda la creazione del mondo. 161

16'1 Ex. 12 s.; 2~.15; Dt. 16,1-8 - Su Pasqua e azzimi, N. FOGLISTER, Die Hnlsbe-
deutung des Pascha, Munchen 1963; R. LE DÉAUT, La ""il pasca/e. Roma 1963; J. B.
SECAL. The Hebreu· Pauowr. London 1961
1.. Dt. 16.9-12.16; 16.1-11 Verameme 1nche in ques1a festa Israele ricordi 11
liberazione dalla schiavitù B. NoA<:K, ·~ Day of Pemeco.~1 in Jubilees. Qumnn.
and Acta'. in Annua/ of S1uJ11h Theul. lnwtule 1. Lcidcn 1962, pp. 73-9'; M.
Dncoa. 'Das Bundcsfes1 in Qumran und das Pfinp1fes1'. in B1h,./ und ube" 4
I 1963) 18&-204.
167 E. Kt:TSl'.H, Das Herhst!<'•I "' lmul (dis~ I Mamz 195); G W MAcRAE, 'Thc
Meaning and Evoluuon of 1he Fea.'1 of Tabern~cles'. in C/IQ 2l I 196ol 2~1·27b
,.. G. J. Bonuwr.CK. 'Der Sahba1 im AT'. in TQ 114 I 19541 1\.1'14ì. 448-457;
R. NoRTH, 'The Deriva1ion of Sabbai'. in Biblit·.i 16 119'5 I 182-201; E. }ENNI, "Dic
1hcol0jt. lki:rfindung des Sabbat~bci1s im 1\T'. in Thml Studit'n 4(, tZiirich 1q~t.I:
1s·1 nl•7.IONI S.UVIFICllE llFJ.J.'A.T.
949

Le grandi feste annuali come Pasqua, la festa delle settimane e


quella delle capanne. nelle quali Israele confluisce nel luogo cen-
trale di culto. sono il privilegiato Sitz. im Leben per curare la tradi-
zione della storia della salvezza. 169 L'ordinamento della Pasqua pre-
vede l'istruzione dei figli nella storia della salvezza ad opera del
capofamiglia (Ex. 13,8 ). Quando l'israelita porta a1l'altare le pri-
mizie nella festa delle settimane, deve ricapitolare brevemente la
storia della salvezza, dall'elezione di Abramo fino alla concessione
della terra ad Israele, in una formula di confessione fissata dal ri-
tuale e che la scienza esegetica odierna chiama il piccolo credo sto-
rico (Dt. 26,1-10). 170
Ma non solo la storia della salvezza del popolo, bensl anche la
'storia minore della salvezza' del singolo pio israelita ha il suo posto
nell'anamnesi del culto. Perciò nei salmi incontriamo tanto spesso
la promessa che l'orante non si stancherà di magnificare, davanti alla
comunità raccolta per il mlto, le gesta salvatrici di Jahvé da lui
sperimentate. 171
Questo carattere commemorativo del culto veterotestamentario
ha la sua corrispondenza nella celebrazione cultuale neotestamenta-
ria istituita da Gesù. Già i racconti della Cena in Marco (Mc. 14,
22-25) e in Matteo (Ml. 26,26-29) insinuano che Gesù con l'ultima
cena ha istituito una solennità, la quale deve sostenere il ricordo
alla sua morte redentrice. Luca (Le. 22,19) e Paolo (1 Cor. 11,
23 ss.) affermano espressamente che Gesù stesso ha disposto che
ciò che egli ha farro i suoi discepoli lo devono fare di continuo cin

W. EicHRODT, 'llt-r Sahba1 hci llc<ckicl', in Lux tuo v~riras (fcs1schr. H. Junker,
edd. H.Gaoss·F.Mttss:>ffMI Tri~r 1<){11, pp.65·74; N.A BuAlc, A History of tht
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109 Ex. 23,1-1·1;; 1-1.J1; r.,., . 2J4: Dr. 16,16.
no Ha introdnno c.iuc•h• l~rminc nella lcncrarura sp«ializza1a G. YON RAD, Dos
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Mos. Thc Ex,1dn'. Sin.ii :1•1<1 1lw Crnlo', in C/IQ 2;(196,) 101·111: .1 Sc.llRr.INH,
'Lo sviluppo dcl .c:r~dno isrndiu', in Cnnalwm 2 ( l•J/;61 I u-1-17 led. i1.).
lii Cf_ PI. 22,J\ 1X; l(' 11· \~.1H; ... n.10~. ("' r.Hf/tl/
950 STORIA E ORDINE DEI.LA SALVHZiA NELL'A.T.

memoria di me» (dç F~tÌ1v ùvci11vri<nv). Che anche altrimenti nelle


celebrazioni cultuali cristiane delle origiru è celebrato il ricordo delle
gesta storiche salvifiche di Dio, soprattutto della passione e risur-
rezione di Cristo, lo vediamo dalla stretta connessione tra l'annuncio
e la «frazione del pane», sotto le quali espressioni è da comprendere
la celebrazione eucaristica ( cfr. Act. 2,42; 20,7-u ).

bb. Il culto non è solo una celebrazione commemorativa, bensl


anche incontro della comunità cultuale con Dio. Cosl come Jahvé
era apparso ai patriarchi in determinati luoghi, che probabilmente
servirono come centri di culto ai Cananei, e più tardi alle tribù
israelite, e .Jà era entrato in relazione con essl, cosl egli si sceglie rispet·
tivamenre nell'epoca prima di Davide un luogo dove Jahvé «farà
memoria» del suo nome ( 'azkir: Ex. 20,24), e sotto Davide infine
un luogo di culto stabile, Sian, «per mettervi il suo nome» e dove
Israele «davanti a Jahvé, suo Dio, terrà banchetto (sacrificale) e si
rallegrerà» (Dt. 12 ,.5 ss. ). Sebbene di nuovo in modo diverso nei
particolari, tutte le tradizioni del Pentateuco attestano però che
Israele al Sinai-Horeb e in seguito nell'ulteriore peregrinazione nel
deserto aveva un santuario mobile, in cui Jahvé, o il suo nome,
era presente in mezzo al suo popolo, o in modo permanente, o
per lo meno in determinati tempi (cfr. Num. 10,35 s.), cui solo
Mosè, quale mediatore dell'alleanza aveva accesso immediato (nella
«tenda del convegno)> Ex. 33,7-r 1 ), o solo i sacerdoti si potevano
avvicinare (nell'arca, Num. 3,38). 172 Dopo il trasporto dell'arca della

172 I rapporti tra arca dcll'allennza ~ tenda sono discussi nell'indagine odierna:
cl. J. S<:HARBEKT, in L"l'K IX, 107s·1on {con ulteriore bibliogr.), inoltre A. MILLER,
in Ll'K 11, 780; H.·J. KRAUS, Got1esdit·11st in I srael, Munchcn 21962, pp. 149-159;
J. Dus in parecchi ~a1111i: ZAW ì2 (1960) 107-13-1; Tl. •ì (1961) 1·16; 20 (1964)
241-251; VT 13 (191'i3) 126-02; Communio \liator11m (. (Praga 1963) 61-80;
R. RANDEl.LINI, 'l.H Tenda e l'Arca nella tradizione del VT', in Studii Bibl. Frane.
Liber Annuus 13 (1962/1963) t63-189; G.H.DAVIES, 'Thc Ark in the Psalms', in
Promise and l'ulfilnrent [Fcstschr. S.H. l looke, ed. F.F. BRUCE) E<linburgh 1963,
pp. 51·61; J. MAIEK, 'Das altisraelit. Ladcheiligtum', in BZAW 93 (Berlin 1965);
S. LF.llMING. Erwii11.ung1'n :i:ur Ze/t/radition: Gottes Wort und Galles Land (v. nota
150) 110-132. B.A. LEVINE, The Descriptive Tabernacle Texts of the Penlaleuch:
Journ. o/ thi· Am. Dr. Soc. 85 ( 1965) 307·F8; M.H. WouosTRA, The Ark of the
Covc11tml (Philadclphia 1965): J. DI! FRAINE, La royauté de _lahvé dans /es lextes
concernant /'Arche: VT suppi. 15 {Lciden 1966) 134-149; V.W. RABE, The Iden·
tily of the Prir.<t/y Taber11arlr: Journ. o/ Near Eastern Studies 25 (1966) 132-134.
ISTITUZIONI SALVIFICHE Dl!LL'A.T. 951

alleanza (2 Sam. 6), sopra la quale si pensava che Jahvé avesse il


suo trono (1 Sam. 4,4; 2 Sam. 6,2); specialmente però dopo la
costruzione del tempio sotto Salomone, Sian fu considerato come la
::ede del trono e la dimora di Jahvé. 17l
Prender parte al culto nel santuario centrale, significa nell'Antico
Testamento lo stesso che «presentarsi davanti a Jahvé». 174 Jahvé
stesso dispone che tutti gli israeliti adulti devono «presentarsi
davanti a Jahvé» tre volte all'anno. 175 Là egli nel luogo di culto
accoglie la venerazione e i doni del suo popolo. Là egli manifesta
la sua volontà attraverso i banditori e gli espositori della legge,
ma anche nel sacro oracolo libero. Là il popolo o il singolo devoto
gli presenta le sue domande.
Certamente Israele sapeva che in ogni luogo Jahvé lo si può rag-
giungere con la preghiera e che egli dappertutto ascolta il suo po-
polo e il singolo uomo. Il pensiero che non si potesse onorare Jahvé
al di fuori della sua terra, lo incontriamo solo del tutto sporadica-
mente e non sulla bocca dei devoti ( 1 Sam. 26,19 ). Però, secondo
la concezione dell'Antico Testamento, Dio nel culto è vicino in
modo particolare ad Israele e al singolo devoto; perciò qui soprattut·
to ci si attendono esaudimento e benedizione (cf. r Reg. 8), e perciò
qui accanto all'offerta e davanti all'assemblea, il devoto è sollecitato
ad esprimere la riconoscenza per le prove di grazia da lui sperimen-
tate. Nel Nuovo Te~tamento Gesù, a quanto pare, si riallaccia a
questa ideologia veterotestamentaria del culto, quando promette ai
suoi discepoli, che egli sarà in mezzo a loro, ogni qualvolta essi sa
raduneranno (per la preghiera comunitaria) (Ml. 18,19 s.).

cc. Se però Israele vuole realmente ricevere dalle celebrazioni


cultuali «la benedizione da parte di Jahvé e la giustizia da parte di
Dio, suo salvatore» ( Ps. 24,,; cf. Ex. 20,24), allora egli deve essere
'puro'. Perciò l'Antico Testamento ha congiunto con il culto l'idea

17l 1Reg.8,HI; fr 8,18; 18,7; .Lj,23; loel .p7.21; Ps. 9,u; 20,\; 24,7-io; ti,,2
e passim d. J. ScHIEINER, Jinn.Jrorus.Uem (Mi.inchcn 196\ ).
17' Dr. 16,16; Is. 1,12; P.1 42.\; d. Fa. NliTSCllFR, "DJ.! tln/l,estchr c;nl/es schaue11'
11acb bìbl. umJ babylonrsche• Au6assu111. (Wurzburg 1924).
175 Ex. 23,17; 34..z\; Dr 16.16.
STOll.t\ I! OIDIHE DBLLA S.t\LVl!ZZ.t\ Nlll.'A.T.

della purificazione 1» e della espiazione. 111 A questo scopo serve il


culto sacrificale. Per vero ci sono anche sacrifici di ringraziamento, o
sacrifici in connessione con la conclusione dell'alleanza, della dedica-
zione del tempio, e simili. Però la legge cultuale del Pentateuco parla
a preferenza di uccisione e offerta degli animali sacrificali in con-
nessione con riti di espiazione. Nei particolari non ci è chiara la di-
stinzione tra sacrifici per il peccato (~ifal), sacrifici di riparazione
(•aiam ), olocausti (' olah ).'71 In ogni caso, nei sacrifici svolgono sem-
pre un ruolo wspicuo anche certi riti di san~ue, soprattutto l'asper-
gere o lo spalmare con esso l'altare o le persone. 179 Al sangue degli
animali sacrifil"<lli l'Antico Tesramenw attribuisce un 'azione espia·
trice e puriflcatrice. Secondo Ln·. r 7 .1 1 Dio ha proibito in gene·
raie di nurrirsi dd san~ue de~li anim11li, perché rgli ha riservato n
sé il sangue. ma poi a Israele lo «ha donato per l'altare, per conce·
dervi espiazionei..'190 D'altra parte le disposizioni sacrificali della
legge rituale levitica sono messe sulle labbra di Dio, per sottoli-
neare la fede di Israele nel fatto che Jahvé stesso, nel suo amore
provvido e clemente, gli ha dato mediante il culto sacrificale, il
me%20 per purificarsi dalle «contaminazioni• che si oppongono alla
alleanza e la minacciano.
Qui non è il luogo di trattare le idee di peccato, colpa e 'impurità'

Il• CirL·a le l"Oncezioni bibliche della purità: r. HAl,t:K - R. Mnr1: TWNT m .


.p6-.n.i: J.B. BALIE.Il, Bibdtheol. Wb. Q<15-1000 Cron uhcciore bihliografia).
m Sulle concezioni bibliche Ji purificn1onc: L. Mol.\LDI. bpir.Jo~ socriprale
e rtll <'lptdlori 11t'il"c1,,,btl!11U b1b/1ro t' 11dl"A11tiw Te1lu''"'"'" IRoma 1y56l; lo ..
'EspiazioM ncll'AT e nel NT. in Riv&bl 9 119611 1ll~i0..J; 10 11<)611 ~-1;; ST.
LrnNNET, ·De no1ionc cxpiarioni~-. in \ID li f 19591 Hf>·Hl; ,K I •"6o> 65-;5 . .l..Jl-
161; L S11.BOt:11N. Rt!Je,,,pticm 1acrifiòellt' e Momrédl-Tournai 1y61 ); uhcrioce hi-
bliOflratU J.B. BAl.:U. Bihel1heol. Wb. 1o6o-1o62.
17a Ciru i sacrifici Mll ....m1ico Tcsramcn10 LSAR01·11t1N 1,-. noia •7il; H.R1:0.'G-
tist-"<. \c1arli• r /11 tht' Biblt'. London 1y61; L St•AUD. "Sacrin.:c• ... 1 Ri1es sani:lan1s
dan• rA.T:. in Srt<"ll<t."I Eccksrastiqttes 11 t 1..,6\I 1;1-1•1;: l{.J. TllOMPSON, Pmi·
!t."11n· ,mJ 'J.c1<Tt/in- 111 Earl)· I srael ottl•tJo· thc /.,·1·t/1<"J1l I ..:11•. Lcidcn 1..,61: R.
Sur,.1111. Où1 BunJeropfer '" /Jrc1d. Mun1:hcn 1-i6.f; R. 01. \"Al•ll. L.:s raaì.lires
Jc !"A I . Paris 19'>..J-
1"'" Cf. '-"" 1-<J; 12·16; circa i mi di MO!?UC: l SLtruRt.RT. in LTK 11. H8 s. e
B1b..!11t ..ui. U'b .. 111-1 jll lcon uhenore bibhogr.1: :-\. f1"·l ISTFR. l/,.r/1b,.J«11/u11_, Jer
l'as.bu ~lund~n 1'161. PP- n-105; L SAllOVlltlN. "Nctc:sh, san11 ··1 cxpia1ion". in
.\e Ecc/ 18 I 19661 15-..6.
1:00. .J ~:llASllUT. 'Fleisch, Gcis1 une.I SttlC' im Pcmairuch·. in fo1111.. Bilot'I J1u-
J1t."1t ''' 1~1u11gan 1966) 11·75 s.
ISTITU210Nl SALVIFIOI& 11111.1.'4.T.
9H

che stanno dietro a tali riti sacrificali. Ad ogni modo Israele crede,
con essi, di essere posto in una condizione, in cui si può osare di acco-
starsi a Dio. Perciò il singolo ai riti espiatori offerti dalla legge del-
)'alleanza si sottopone dopo mancanze contro la legge dell'alleanza,
ma anche per la presenza di determinati difetti fisici che si inter-
pretano come segno dell'ira divina e quindi come sintomo di una
qualche colpa anche se inconscia.
Siccome i rituali dell'Antico Testamento, come presso di noi, di
solito si restringono alle 'rubriche', dunque alle semplici istruzioni
per l'csccuzione della liturgia e alla presentazione dei testi da reci-
tare, non si possono attendere da essi profonde riflessioni sul signi-
ficato dei riù. Perciò sarebbe errato v.:>ler concludere dalle istru-
zioni rituali di Ex., Lev., e Num., che l'Antico Testamento abbia
compreso in modo magico espiazione e purificazione e che abbia
avuto una concezione del peccato puramente esterna, «materiale...
Il fatto che il culto espiatorio, se si traspongono i nostri concetti
cristiani, in modo analogo, all'Antico Testamento, era solo csegno
sacramentale•, simbolo visibile di un evento interiore operato dalla
grazia, è provato da inni cultuali come Pr. 51,9 e 95,8-II, le cosid-
dette «liturgie d'ingresso», in cui i partecipanti al culto dichiarano
solennemente che vogliono liberarsi anche da trasgressioni morali
che si oppongono all'alleanza di Jahvé,llO e la 'abiura', cioè l'allon-
tanamento dagli idoli, prima di accostarsi a Jahvé per il culto. 111
Presupposto per la concessione del perdono, per l'espiazione della
colpa, che si attendevano dal culto, era dunque la conversione. Non
c'è da meravigliarsi che questo presupposto talora sia caduto in
oblio e quindi il culto sacrificale abbia minacciato di esteriorizzarsi.
Da ciò non è immune del tutto nemmeno la liturgia cristiana.
Precisamente il culto espiatorio tenne desta nel popolo vetero-
testamentario Jell'alleanza la coscienza che l'uomo è continuamente

111D Ps. 1 ~; 2_..1·6; /J. n.1 .. 1; M1cb 6,6 ss.; cf. Kt Kocn, ·Tcmpeleinl1111liruraicn
unJ Drkalogc', 111 Studien ;ur Tbrol. ali. Obt"Tl1../ ..r11n1.rn (ed. R. Rcndcorff • KI.
Knch l Nrukirchcn 19/i 1. l'I'. _. ~-6o.
111 Gr11. Jj,2 ss.; Dt. \2,l j-18; los. 24,14-10; /ud ,,11. r Jam. 7.\ ~s. Sull' '1biura':
A. ALT. '\1('11fah11 '"'" Sichcm n.ach Bethd', in Abh J ll<'rJn · G1·s. u J. llt"TJn ·
l1111ttNI ;u Ri11.>J YI/\ fRitta 19\81 213-lJo; A ALT, 1.:lrmr .ç1hr1fun 1, Miinchcn
l'IH. ;y-Kll; A. WF.l~t:I . .\11,,,uel. Gonin~n 1961, l'I'· 1K 20. \li.
STOlllA E OllDINE DELLA SALVEZZA NELL'A.T.
9H

minacciato dal peccato e che ha bisogno della misericordia del Dio


dell'alleanza, il quale è disposto al pe~dono ( cf. Hebr. 10, 3 ). Gli
stessi sacerdoti si dovevano sottomettere agli usi espiatori ( Lev.
4,1-1 l ,8), e l'intero popolo, specialmente nel giorno della ricon-
ciliazione, prendeva coscienza della sua dipendenza da Dio che per-
dena, quando il gran sacerdote una volta all'anno espiava per se
i.tesso, la comunità presente e il santuario (Lev. 16).
Il Nuovo Testamento non rifiuta recisamente i riti purificatori
veterotestamentari. Maria vi si sottopone dopo la nascita di Gesù
(cf. Le. 2,22 ss. con Lev. 12). Gesù ai lebbrosi guariti dà l'ordine
di presentarsi ai sacerdoti, per cui egli pensa anche ai riti di purifi-
cazione dal peccato prescritti nella legge (cf. Mt. 8,4; Mc. 1 144;
Le. 5,14; 17,14 con Lev. 14), e persino Paolo, che si oppone tanto
decisamente alla continuazione della validità della legge cerimoniale
dell'Antico Testamento, si sottopone alle rispettive prescrizioni ri-
tuali in connessione con un voto di 'nazireato' (cf. Act. 2 1,22-26
con Num. 6).
Alla luce del Nuovo Testamento certamente i sacrilici · per il
peccato e di riparazione e altre 'purificazioni' non portarono il supe-
ramento della colpa che gravava sull'uomo. L'azione di benedizione
che quelle esplicavano grazie all'istituzione divina, non era che una
caparra sulla pienezza di benedizione, sulla potenza espiatrice che
doveva derivare dal sacrificio di Cristo. Soltanto il sangue di Gesù
«&parso per molti», opera la «remissione dei peccati» (Elç tiqmn.v
àµaç.-1.Wv :\ft. 26,28, cf. Mc. 14,24; Le. 22,19 s.; r Cor. 11,24 s.).
Paolo considera ovviamente superati con l'intera legge rituale anche
i riti di espiazione, però non parla espressamente di essi. Invece ad
essi, specialmente ai sacrifici e al rituale del giorno della riconci-
liazione, dedica una piuttosto minuziosa considerazione l'autore
della Lenera agli Ebrei. Costui attribuisce una certa efficacia p~ri·
fìcatrice ai mezzi veterotestamentari di purifical.ione; anzi egli usa
in proposito pernno il verbo 'sancificare' (ay~<it;m1); però il san·
tificare ·opera, secondo. lui, solo una «purificazione della carne•
(-ri)v Ti]ç aapxòç xa~apé-.TJ•a); invece- il sangue di Gesù opera
la purificazione «dalle opere morte» r la capacità di «servire
al Dio viven_te» (e ciò significa qui evidentemente un sen·izio de-
ISTITUZIONI SALVIFICHE DELL'A.T. 955

gno, "del quale non erano capaci i devoti veterotestamentari, nono-


stante i riti espiatori) (Hebr. 9,r3 s.). Il sangue degli animali che
venivano sgozzati a scopo di espiazione nell'Antico Testamento, non
poteva togliere la macchia che il Nuovo Testamento designa come
colpa, bensi i riti della festa della riconciliazione servivano solo «al
ricordo dei peccati» ( avaµVT)O~ç ciµCtp't"LWV ), cioè soltanto rendeva-
no consapf'vole Israele in maniera particolarmente impressionan-
te quanto fortemente avesse bisogno della misericordia di Dio
che perdona (10,2 s.). L'«espiazione» che Dio concedeva, era pro-
priamente solo promessa della remissione che solo il sacrificio espia·
torio di Cristo poteva operare, ad opera del quale «noi siamo stati
santificati... una volta per sempre» (i'rr~a.~tvo~ trrµàv... tq>a;'lta.~
10,10). Perciò i mezzi di purificazione previsti dalla legge dell'antica
alleanza non sono che «l'ombra dei benif.uturi» (10,1).
Ma già l'Antico Testamento sa che al culto, ordinato casistica.
mente nella lt:gge· mosaica, spetta solo un'importanu relativa e le·
gala al tempo, e che mediante il rituale la volontà salvifica di Dio
non si è posta dei vincoli. Perciò la religione veterotestamentaria
poté sopportare relativamente bene il crollo del culto nell'esilio. Si
era già sempre consci che Dio si può onorare anche senza il culto
organizzato e che Dio concede il perdono anche e precisamente in
seguito a pentimento e conversione personale, 112 oppure per la me·
diazione, attuata al di fuori del culto, di un amico di Dio.'" Perciò.
dopo l'esilio, anche uomini di sicura tradizione levitico-sacerdotale,
~sprimono il pensiero che Dio stesso infrangerà le barriere del culto
israelitico e farà che tutti i popoli lo servano, senza legame a un
luogo di culto determinato, abolendo tutte le prescrizioni (Mal. 1 ,I I).
L'autore del quarto canto dcli' 'ebed-Jahvé' annuncia che un servo,
inviato da Dio prenderà finalmente su di sé di fatto il peso dei
peccati degli uomini e li espierà (/s. 53 ). Con la venuta del messia,
sono superati i riti espiatori e soprattutto il culto dell'antica allean-

112 2St1m. 12.1 >: Ps. 51; d. _I. Sc1tARnn. 'Promessa", in DzT 2 12 1968) pp. n2·
;61 con uh~r.nre d.>cumcniazionc e h1hlio11rJtia.
"' Ge11. 20.~·;; Ex \2.iu-1~. l\11m. 12.11·1.1 e spesso. cl. J. ScllARllUT, 'Dic
Fiirhi11e in der Theol des AT'. in ThGI 1 )l' 11(/6o) 321-nS; JB. BAUF.R, in Bibel
theol. Wb. 390-399
STORIA E OIDINE DELLA SALVl!ZZA NELL'A.T

za. Ormai il culto sul monte Garizim per i Samaritani, ma anche il


culto nel tempio di Gerusalemme non hanno più nessun valore, poi-
ché ora il Padre del cielo vuol essere adorato «in Spirito e verità»
(Io. 4,21 -24 ). Ma precisamente Giovanni mostra, con allusioni assai
chiare ai sacrifici espiatori cruenti dell'Antico Testamento, che Cristo
in analogia cun i sacrifici veterotestamentari è morto come «agnello
del sacrificio» e off eno proprio Jal legittimo gran sacerdote lo'(iudaico:
Caifa non presenti che egli appunto.• consegnando Gesù alla morte,
compiva l'ultimo atto sacrificale valido del sacerdozio veterotesta·
mentario e che !'«agnello del sacrificio», da·lui in tal modo offerto,
sigillava la nuova alleanza. 114

c. I mediatori dell'alleanza

Dio si serve di interposte persone umane per far conoscere al suo


partner dell'alleanza, il popolo d'Israele, la sua volontà e per comu·
nicargli i beni salvifici promessi. 115 Il trasmettitore 'elohista' del
Pentateuco fonda l'ufficio di. mediatore sul fatto che il popolo, a
causa della sua debolezza di creatura, non avrebbe potuto sostenere
l'incontro immediato con la tremenda maestà di Dio, e pone in
bocca al popolo stesso il desiderio di uri mediatore: esso si rivolge
a Mosé con la preghiera: «Parla tu con noi, e noi ascolteremo, ma
non ci parli Dio, altrimenti morremo!» (Ex. 20,19). Lo stesso tra-
smettitore descrive esattamente il ruolo di mediatore, quando fa
suggerire da Jetro a Mosè che egli doveva essere «colui che sta
di fronte» (mul), cui Dio parla invece che al popolo e, d'altra
parte, doveva portarne davanti a Dio le questioni (d'barim) (Ex.
18,19 s. ). Il mediatore quindi ha da accogliere le manifestazioni

114 Ha provato qucsra connessione di idee di fo. 1,29.36; 11,51; 18,13 5. e 19,34
con le concezioni vecero1escamen1aric e giudaiche dei sacrifid espiatori M. MIGUENS,
'Sali6 sangre y agua', in Studii Biblici Fr11nciscani l.ibt'r Annu111, 14 ( 1~3/64)
5-31.
llS Sull'idea di mediatore nell'Antico Testamento e nel Nuovo: C. SPtCQ, in Bi·
beltheol. Wb. 869·879; J. ScHARBERT, ibidem 455 s.; ID., HeJimllllt'r, cui in que·
sm paragrafo si rimanda una vo!1a per tulle (con la bibliografia) e D" Menias
im AT und 1m Judentum: Die relig,1rise und theol. Bedtu/11n11. dei AT (v. nota 135),
4;-71!.
ISTITUZIONI SALVIFICHE DELL'A.T.
957

della volontà di Dio e i suoi doni e trasmetterli a Israele; deve


però anche ascoltare le richieste del popolo e presentarle a Dio.
Egli sta a volte al posto del popolo e dalla sua parte, e a volte in
vece di Dib e dalla sua parte. Siccome però egli stesso è un mem-
bro del popolo, possono nascere conflitti da questa sua posizione di
mediatore, se il partner umano del.l'alleanza vien meno e Dio insiste
sulle sanzioni previste dall'alleanza. Egli allora è costretto o ad abl::an-
donare il suo popolo all'ira divina, oppure, a rischio di attirare su di
sé lo sdegno divino, a dichiararsi solidale con il suo popolo e opporsi
all'ira di Dio. L'Antico Testamento gli attribuisce appunto questo
come il compito più difficile, al quale però non può sottrarsi senza
divenire egli stesso colpevole: contro l'ira divina che minaccia, deve
<(riparare la cinta e stare sulla breccia davanti a Dio in favore del
paese sì che questo non vada in rovina» (cf. Ezech. 22,30; 13,,).
Intervenire con intercessione ed espiazioni per il popolo divenuto
colpevole, è quindi il compito più importante dei mediatori di
salvezza: essi devono con ciò 'giustificare' (hi~dik; cf. ls. 53,II;
Dan. 12,3) i peccatori. Accanto alla trasmissione della volontà di-
vina al loro popolo e ai loro connazionali, e, rispettivamente, dell~
richieste degli uomini a Dio, accanto all'intercessione e all'espia-
zione, l'Antico Testamento considera anche la guida saggia e forte
e in special modo la liberazione del popolo dai nemici, quali gesta
salvifiche che Dio opera attraverso i mediatori umani, mediante gli
organi dell'alleanza.
Mentre nei primi tempi d'Israele tutti questi compiti di media-
zione erano riuniti nella persona di un unico uomo. soprattutto in
Mosè, si affermò, dall'epoca dei re, una graduale divisione dell'uf-
ficio di mediatore, una differenziazione, e quindi anche un indeboli-
mento_ Così si possono distinguere parecchi 'uffici' o 'organi', ai
quali era affidata la custodia dell'alleanza tra Jahvé e Israele.

aa. I carismatici degli inizi (Mosè, Giosuè, i Giudici, Samuele)


e i profeti si possono raccogliere ottimamente sotto l'espressione di
«uomini di Dio», desunta dallo stesso Antico Testamento. 116 Questi

116 Cf. Dt. n.1; lo.e 14,6; 1 Sam. 2.27; 9,6 ss.; r Reg. , ,,1 ecc.
STORIA E ORDINE DELLA SALVEZZA NELL'A.T.

sono uomini che Jahvé chiama di volta in volta di mezzo al loro


popolo, talora non senza una loro ostinata resistenza,187 per farne,
avendoli dotati del suo Spirito, dei salvatori di Israele e della sua
alleanza divina, sia nel pericolo ad opera di nemici, sia per allon-
tanare usi pagani. Mentre Giosuè e i Giudici sopravvivono nell'An-
~ico Testamento soprattutto come salvatori del popolo dai pericoli
dei nemici, i profeti sono salvatori delle basi spirituali dell'alleanza,
·della religiom: dell'alleanza, ed attraverso la loro intercessione, an-
che salvatori di Israele dall'ira divina.
Mosè riunisce in una sola persona tutte le funzioni del media-
tore. ~ salvatore dalla schiavitù (Ex. 3,ro) e dal pericolo dei nemici
(Ex. 1 7 ,8-1 ~ ), condottiero potente e tuttavia umile, del suo popolo
(cf. Num. 12.~). Egli trasmette la volontà di Dio (Ex. 24,3) e anche
la eseguisce come legislatore e giudice (Ex. 18). Egli esercita il mi-
nistero sacerdotale (Ex. 24,8). Presenta a Dio le richieste del suo
popolo e non si vergogna di lottare con Dio in un'intercessione
appassionata, talora persino di fargli amari rimproveri con una confi-
denza per noi sorprendente.•• Cosl egli diventa il salvatore del suo
popolo rtal giudizio irato di Jahvé, prendendo persino su di ~.
quale rappresentante, l'ira di Dio - almeno secondo l'attestazione
del Deuteronomio;• cosi egli assume addirittura i tratti di una
figura di redentore. Deut. 34,10 s., riassume lo straordinario ruolo •
di mediatore di Mosè con le parole: ;Non è più sorto in Israele un
profeta simile a Mosè, a cui Jahvé si faceva conoscere (fd4'6) fac-
cia a faccia, per tutti i segni e prodigi che Jahv~ lo mandò a
compiere».
Solo Samuele si avvicina ancora a Mosè, poiché anch'egli è insieme
salvatore, messaggero della volontà di Dio, sacerdote e intercessore ...
Giosuè in vero si presenta ancora direttamente come mediatore di
alleanza nella rinnovazione del patto in Sichem (los. 24), ma per il
rimanente è soprattutto custode della legge dell'alleanza ( 8,30 ss.;
24,26), salvatore dal pericolo dci nemici e condottiero nella terra

111 Ex.4,1.10.13; lrT. 1.4·7: lon. 1.


IA Ex. ,,us.; p,JI s.; n.12·17; N11m 11.11ss. Su Mosèd. sopra pp.9(>6ss.
'" Dt 1:}7; J,26; 4,21 .
.. a. IOPfa pp. QI' SS.
ISTITUZIONI SAl.Vll'ICHE DELL 1A.T, 9.59

promessa. I Giudici fungono similmente da custodi della legge:, ma


già la loro qualità di salvatori difficilmente si rapporta all'intero po-
polo, bensl solo ad alcune: tribù o gruppi di tribù.
Quando il Mosè dcl Deuteronomio annuncia un profeta futuro,
al quale Jahvé porrà sulle: labbra, come a lui. le sue parole, e che
Israele: ascolterà (Deut. 18,15-19), egli ha in ml'ntc la funzione rhe
più tardi svolgono i nebiim, i profeti. Non è più loro compito gui·
dare con energia il popolo e salvarlo dalla potcnz11 Jei nemici - l'er·
tamente, anch'essi occasioni1lmentc intervengono assai decisamente
nella politica, ma solo per appoggiare o per spronare condottieri
politici, 191 - bensl principalmente annunciare la volontà di Jahvé
e richiamare il popolo ai suoi impegni dell'alleanza. Poiché nel-
l'epoca dei re l'alleanza è minacciata dal sincretismo, essi si presen-
tano principalmente per lanciare: degli ammonimenti e per procla-
mare il giudizio. Invece nell'esilio e anche dopo, quando il popolo
minacciava di frantumarsi sotto il giudizio d'ira di Dio, essi sono i
trasmetttori della volontà di salvezza di Dio. Spesso intervengono
presso Jabvé quali intercessori per Israele con ripetuta e ostinata
insistenza. 19J
Verso la fine del tempo veterotestamentario, quando la religio-
ne dc1l'allcanza si irrigidisce sempre più, diventando la religione
della legge, Dio toglie a Israele la profezia (cf. 1 Mach. 9,27). Ma
già prima si era incominciato a temere che Dio avrebbe potuto to-
gliere dcl tutto al suo popolo l'ispirazione profetica, e le epoche
in cui non si poteva rivolgeni ai profeti per sperimentare la volontà
di Jahvé e per ottenere intercessione, erano ritenute come partico-
larmente gravi epoche di miscria.1tJ Confidando nella promessa di
DI. 18,15-19 si aspettava però che Jahvé mandasse nuovi profeti

191 a. /ud. 4 (la profeteua 0.:bora); I &11. I ,Il (in1rrvm10 di Natan nella lolla
per la suansioor ereditaria); 1I,J9"J9 (Ahia di Silo r Gcrobounol; 1Rri9.1-1J
(Elisco r ldm); ls. zo r In. J7,1-11 (intromissione dri profc1i ndlr tnttati~ con
inviati stranieri).
m 1S•m.7,6-9; u,19"2); 1 Rri. 17,zo; Euch 9,8; 11,13; Am. 7.2 s. 5 s. Sebbene
l'intercessione di Geremia sia respinta da Jahvc! (/rr. 7,16; 11,14; 14,n s.; IJ,t), il
profeu non crssa tultavia di in1c1porrr in1rrccs1ionr per il suo popolo: IJ,11; 17,
16; 18,20; 21,J; 27,18; 37.J 1.; 4J,t•4.
w Eucb. 7,26; A .... 8.u; 7.«h. IJ,J s. 74,9; Llm J,9.
q6o STORIA E ORDISE DELLA SALVEZZA NELL'A.T.

( 1 Mach. 4,46; l 4,41) o addirittura celebri profeti del passato (Mal.


3 ,2 3; Ecclus 48, 1 o). Nei giorni di Ge~ù. questa speranza si ravvivò
in modo speciale in connessione con il movimento messianico, poi-
ché si ancndcva un profeta come colui che doveva preparare la via
al messia; in proposito forse ci si richiamava al fauo che anche il
regno veterotestamentario era staw lc::gi11imato Jd un profeta, cioè
da Samuele I 1 Som. 8) e che un profc::ta aveva unto Davide, l'ante-
nato dcl messia ( r Sam. 16, r ~).

bb. I sacerdoti, nei più antichi strati dell.1 tradizione, sono pre-
valentemente trasmettitori della volontà di ()j,, 111nliantl' l'orilrnlo
tirato a sorte. 19' Invece, secondo i testi più antichi e perfino ancora
nel Deuteronomio, non sembra> che il ministero dei sacrifici sia
stato il loro compito principale. Tuttavia essi sono custodi dei san-
tuari e soprintendono all_'esecuzione del l"Ulto ( 1 Sam. r -4 ). Quali
custodi dell'arca dell'alleanz.i. essi sono particolarmente vicini a
Jahvé. La legge cultuale nei libri dell'Esodo, del Levitico e dei
Numeri, attribuisce loro il ministero sacrilil·ale e. in connessione
con questo, il ruolo di mediatori cultuali dell'espiazione. Essi stessi
debbono compiere riti espiatori per i propri peccati,'9S ma i loro
connazionali non possono esser purificati cultualmente senza la loro
collaborazione. 196 È discusso se i sacerdoti abbiano assunto questa
posizione di predominio nel culto già all'epoca dei re. Secondo il
Deuteronomio e altre notizie dell'epoca dei re, sembra che allora
li si abbia conosciuti specialmente quali custodi e interpreti della
legge e come giudici. 191 Ad ogni modo, dopo l'esilio conobbero am-
bedue i ruoli, quello di custodi della legge e quello di mediatori
cultuali, come di eguale importanza; inoltre essi ora devono però
assumere anche compiti politici, il governo della comunità e la rap-
presentanza di essa di fronte a.Ile autorità del potere statale pagano;

194 Anche gli lJrim e Tummin ncll'Efnd sono degli oracoli 1ira1i a sorte dei quali
dispongono solo i sacerdoti: Ex 2!1,30; Num. 27,21; r Sam. 2).9. Per la storia dcl
sacerdozio vctcrotcs1amcntario: A.11.J. GlJNNEW"EG (v. noia 19, con ulteriore biblio-
grafia).
19 5 Lev. 4,3·7; 9,7; 16,6· 1.1.
1% l.rt'.4,31; 5; 12,8; 14,18ss. 29ss. Num.6,11 e spesso.
191Dt.17,8-13; 21,,; 24,K; Jl,<)S.; 2r.hro11. 19.l!.
!STITUZIONl SALVIFICHE DELL'A.T.

anzi, all'epoca dei Maccabei e degli Asmonei, debbono porsi come


principi sopra il popolo divenuto ora nuovamente indipendente,
per breve tempo. Mentre i sacerdoti secondo il rituale levitico
svolgevano propriamente riti espiatori cultuali, di norma solo per
singoli membri della comunità, una volta all'anno il gran sacer-
dote svolge il suo ruolo di mediatore di espiazione per l'intero po-
polo, come è indicato nel rituale del giorno di riconciliazione (Lev.
16). Non ci aspetteremmo di sentire parlare.cosl poco di preghiera
e e di intercessione dei sacerdoti a favore del popolo. Quale fun-
zione di mediaton, al di fuori del rituale di espiazione, viene ancora
messa in risaltò solo la benedizione del popolo (Dt. 10,8; Ecclus 50,
20 s. ), e per questa il rituale prevede anche una formula liturgica
solenne (Num. 6,23-26). ·
Che però ai sacerdoti in certe circostanZc: potesse essere attribuita
anche la salvazione del popolo dal giudizio, lo mostrano i racconti
del decisivo intervento di Aronne e di Pinehas, discendente di
Aronne (Num. 17,10-13; 25,7-13). Così, accanto a Mosè (cf. Ps.
106,23) e ai profeti (Ezech. 22,30), anche i sacerdoti si mettono
«sulla brecciu e «Compiono espiazione per i figli d'Israele» (Ecclus
45,23). In quanto unto,1"" il sacerdote, soprattutto il gran sacerdote,
sta molto vicino a Dio; mediante l'unzione egli è «santo per Jahvé»
(Ex. 28,36; 39,30; Lev. 21,6); d'altra parte egli è anche però rap-
presentante del popolo, anzi l'intera tribù sacerdotale vale addirit-
tura per il riscatto di tutti i primogeniti: Jahvé ha «preso i Leviti
di tra i figli d'Israele in luogo di ogni primogenito ... e i Leviti sa-
ranno miei; poiché ogni primogenito è mio», e -perché Jahvé rispar-
miò i primogeniti di Israele, quando colpì gli Egiziani (Num. 3,12 s.).
Però questa idea della rappresentanza, non ha avuto nell'Antico
Testamento nessun 'altra eco più forte. L'idea di un messia sacerdo-
tale, che sarebbe venuto nel tempo della fine, dalla tribù di Levi,
rispettivamente dalla stirpe di Sadoc, appartiene solo alla lettera-
tura giudaica extra-canonica. 199 Ps. 110,4 non ha niente a che fare
con ciò, bensì deriva dalla primitiva ideologia sul re.

IWI Ex 18,41: 29,7: ,a.~o; 40,13 ss.; Lev. 4,3; Zach. 4,14.
111'1 Es5a si può allarri11rc a lach. ,, s.; cf. K. ScHUBF."RT, 'Der alt. Hintergrund clt"r

l'i1 . Myrterium Salutis, 11/2


STORIA E ORDINE DELLA SALVEZZA NE.LL'A.T.

cc. Il re rappresenta sulla terra prevalentemente la potenza di


dominio, la giustizia e la volontà di redenzione di Jahvé. 200 In quanto
unto,201 egli sta vicino a Dio ed è dotato dello Spirito di Dio. Ma
egli è preso di tra il popolo ed è stato scelto solo in favore del po-
polo, per procurargli pace, sicurezza e benedizione.:w2 Perciò egli è
responsabile per Israele e deve presentarsi pure lui davanti a Jahvé
come rappresentante ( r Reg. 8,22-53). Quindi il re compie un mi·
nistero sacerdotale, mentre offre sacrifici e benedice il popolo. 203
Cosl anche il re deve assumere autentici compiti di mediatore. Egli
dev'essere mediatore di benedizione per . Israele, anzi addirittura
dev'esse11: in terra l'incarnazione della benedizione divina (2 Sam.
23,3 s.; Ps. 21,7). A causa di questo suo ruolo di mediatore di bene-
dizione, egli stesso è divenuto destinatario di una speciale promessa
(2 Sam. 7) e il suo stretto rapporto con Jahvé serve similmente co·
me una alleanza tra Dio e il fondatore della dinastia.zo.i
Di fatto la monarchia non ha adempiuto a lungo andare né nel
regno del Nord Israele, né in quello di Giuda, il ruolo di media-
trice di benedizione. All'opposto, i re son divenuti mediatori di
maledizione, poiché essi hanno infranto l'alleanza con Jahvé e hanno
aperto nella terra l'ingresso al disordine dei pagani. Essi hanno «in-
dotto Israele al peccato» e sono diventati perciò colpevoli della
rovina dei due regni.•
Tuttavia Dio non ha rigettato del tutto la dinastia davidica, bensì
volle rimanere fedele alle sue promesse fatte a Davide. Così egli,
ad opera dei salmisti e dei profeti, fa dirigere la speranza dei devoti
a un futuro 'unto' (masi°~. LXX: XPL0"~6c;), che un giorno farà

Vorstellung von den beidcn Messiassen von Chirbet Qumran', in Jiulaica 12 ( 1956)
24-28; A.S. VAN llER WouDE, Dir meISianiJehen Vnrtdlungen der Gemeinde VOPI
Qumran. Assen 1957, pp. 226-247.
2111 Ps. 2.2.6; 21,6 s.; 72,2; 101; uo,1.
zoi 1Sam.2.w; 12,5; 16,6; 24,7; 26,23; 2Sam. 1,16; Ab<1c 3,13; Ps. 2,2; 89,39;
J 32.10.
202 2Sam. 7,10; 234; r Reg. 10,9; Ps. 21,7.
lOJ 2 Sam. 6,1-1.4; 24.25; r Reg. 3,4.15; 8.14 55; 9,25.
204 Veramente il raJ'JlClrto tra Jahvé e David, all'infuori di 2 Sam. 23,5, viene
desijlnato col 1.. rmine cli alleanza solo in lesti tardi\'i: ler. n.21 s.; Ps. 89,4.29;
Ecclu1 .15.2~.
!O! Cf SOJ'ra l'r 921 "
ISTITl'ZIONI SALVIFICHF. DF.1.1.'A. T

sorgere dalla stirpe di David. Questo messia porta nell'Antico Te-


stamento prevalentemente i tratti dd re, del salvatore, il quale farà
giustizia a Israele e giudicherà i traditori e i nemici del popolo di
Dio. 206 In quanto discendente di David, egli è legittimo successore
del re-sacerdote Melkisedek e quindi anche sacerdote ( Ps. uo,4). 207
In quanto latore di una salvezza piena, egli è pure per lo meno se-
gno di perdono, anche se l'Antico Testamento non gli assegna un
ruolo di espiatore. SP.l.1bene alcuni esegeti vogliano scoprire tratti
regali nel servo di Dio sofferente di Is. 53 e anche in «colui che è
stato trafitto» di Zach. 12,10, tuttavia l'idea di un messia davidico
sofferente e che espia attraverso la sua sofferenza, è estranea tanto
all'Antico Testamento quanto agli scritti non canonici del giudaismo
dei tempi di Gesù.

dd. Il mediatore sofferente svolge un certo ruolo già dal più re-
moto tempo nel piano salvifico di Dio, secondo l'Antico Testa·
mento. Veramente vi è dapprima in primo piano l'idea che Jahvé
permette la sofferenza dei suoi eletti senza che ciò abbia una spe·
ciale importanza salvifica o funzione rappresentativa. Mosè, Gere·
mia e molti altri pii israeliti debbono prendere su di sé dolore, op-
posizioni, disconoscimento e persecuzione, perché gli uomini fanno
opposizione al loro operare e non vogliono riconoscere la loro mis-
sione divina.•
Però i profeti Osca ed Ezechiele devono accettare dalla mano di
Dio la sofferenza, perché essa dev'esser posta a servizio della loro
predicazione. Osea deve sperimentare nel suo matrimonio le più
amare delusioni ( Os. I· 3 ), affinché egli possa indicare cosl in modo
tanto più pressante, quanto sia deluso Jahvé per il tradimento da
parte d'Israele. Ezechiele deve accettare la morte della sposa, che
lo çolpisce oltremodo dolorosamente, perché la sua sventura deve

206 Ps. 2: 72; 110; 132, ls. 9,, s.; /er. 23,, s.; 1>11r11. ,,3 ss.; Zach. 9,9 s.: na rac·
colto i 1esti interpre1a11 come messianici. dell'Antico Tcstammto: P IIE1Ntsc11,
Christus der Erlnsen '"' AT rc:raz 1951 >.
'1IS1 Cf. sopra pp. 896, 902 s. e 921.
liii Maggiori particolari in rr"f'O.'ilo I Sc:Hoanr. Der S,h,,,er:. '"' AT. Bonn
HIH. l.j2·1.o: 159 16.j.
STOllA E ORDINE DEJ.LI SALVl!Z7.A NELL'A.T.

esser segno della sventura che subirà. il popolo infedele (Er.ech.


24,16 ss.).
Però solo movendo dall'esilio, Israele conosce un mediatore
che espia in modo vicario allraverso la so.fferenta. Il misterioso
«servo» dei cosiddetti canti dell'cbcd-Jahvé:!l>J incarna addirittura la
alleanza con Dio, per cui egli può esser detto «alleanza del popolo»
(I s. 42 ,6 ). Egli aprirà gli occhi al suo popolo cieco e libererà i pri-
gionieri (I s. 42 ,7 ); egli restaurerà Israele disperso, sofferente sotto
il giudizio (ls. 49,6). La sua missione però si estende oltre Israele:
egli è luce per i pagani e procura sr.lvezza fino ai confini della terra
(ls. 49,6). Così diventa per i 'molti' mediatore di alJeanza e di sal-
vezza, e lo diventa perché prende su di sé, in rappresentanza, attra-
verso la sua sofferenza, la loro colpa e le tribolazioni che essi hanno
meritato come castigo (ls. 53,4.6.10 ss.). Questo ruolo di mediatore
d'espiazione glielo ha imposto Jahvé (ls. 53,10), dunque la volontà
salvifica di Dio lo ha donato ai peccatori. Coloro, a vantaggio dei
quali va la sua opera espiatrice, riconoscono successivamente la sua
missione, si confessano corresponsabili della sua sofferenza e almeno
ora dichiarano la loro solidarietà con_ lui (ls. 53,1-9).
Con il non meno misterioso «trafitto» 210 di Zach. 12,10 non è
esplicitamente espressa l'idea. dell'espiazione, ma essa risulta con
sufficiente chiarezza dal contesto. Un uomo straordinariamente pio
è stato ucciso, dapprima senza che qualcuno lo abbia compianto,
evidentemente perché lo si è rifiutato e condannato, in modo simile
al «servo» di Is. H· Ma successivamente Jahvé «riverserh lo spi-
rito della compassione e della supplica «sulla casa di David e sugli
abitanti di Gerusalemme», ed allora si farà un grande cordoglio su
«colui che hanno uafitto». La conseguenza di questo cordoglio è che
il giudizio di Dio, già iniziato sui popoli, si arresta a Gerusalemme
e ai suoi abitanti, dunque al residuo d'Israele, e Israele viene sal-
vato. Si porrà spiegare cosl la connessione: Jahvé terrà giudizio
contro l'umanità peccatrice e vi includerà anche Israele. Però a mo-
tivo della sua alleanza con questo popolo, egli dà occasione al resi-

l09 Is. -4.l,1·7; -49.I-9; }OA-9: }2,13-n,12. Sul 'servo di Jahvé' v. noia 113.
110 Cf. noia 12~.
ISTITU7.IONI Sf\LVIPICHI! DRLL'f\.T.

duo d'Israele di confessarsi per un innocente, della morte del quale


il popolo fu corresponsabile, mentre egli lo stimola con la sua
grazia ad un espiatore cordoglio per il morto. Il residuo di lsrade
approfitta di quest'offerta e ora Jahvé, in ''is:;i ,ld meriti dd morto,
ritira il suo giudizio di condanna. In ogni caso anche qui la soffe-
renza t: la morte di un pio sono collq;at~ in iOt'<lo decisivo per il
perdono e la salve27..a con la successiva confessione di lui da parte
dei peccatori.
Forse so:to l'influsso di ambedue queste immagini di un media.
tore sofferente, anche i martiri nel tardo tempo post-esilico, che per
la loro fede in Jahvé sono perseguitati e mettono in gioco la pro-
pria vita, interpretano la loro sofferen1.a e la loro morte da martiri
come sofferenza espiatrice vicaria. Così i giovani nella fornace di
fuoco pregano Dio che voglia a<'Cettare la loro morte come sacri-
ficio d'espiazione per la sua comunità (Dan. 3,39 s.), e i martiri
Maccabei sperano che con la loro i;offeren1.a si arresti l'ira dell'Onni·
potente che è esplosa su tutto il popolo ( 2 Mach. 7 ,37 s. ).
L'idea dei mediatori ha quindi avuto nell'Antico Te!itamenro
uno sviluppo lungo e complicato e ha sperimentato varie forme.
Ma la missione dei mediatori è sempre opera di Dio. La forza di
benedizione che deriva da essi su Israele rispettivamente su singoli
membri di esso, non è un 'mana' magico, bensl è lo 'Spirito' da Dio
i.tesso concesso a loro. ~ interessante osservare che i grandi media-
tori di alleanza delle origini d'Israele e la grande maggioranza dei
profeti fino a Ezechiele sono consci della loro posizione come me-
diatori, cioè come eletti che Dio ha innalzato dal popolo ponen-
doli fra sé e i loro connazionali; e perciò nell'annunciare la vo-
lontà di Dio o nella preghiera non usano la prima persona plurale,
quindi non si uniscono semplicemente in unità con il loro popolo.
Essi distinguono di conseguenza nell'allocuzione al popolo tra 'io'
e 'voi', e, corrispondentemente, nell'intercessione tra 'io' e 'essi',
e 'esso' (il PQpolo). Solo quando l'ufficio di mediatore della allean-
za viene maggionnente differenziato, quando il tempo degli cuo-
mmt di Dio• veramente straordinari è passato, il profeta, il sacer-
dote e il re come ministri officianti si includono con un 'noi' eo-
STOl<lA F. OROINE DF.Ll.A SAl.VF.ZZA NELL 0A.T.

mune nel loro popolo e confessano ora anche le colpe 'nostre'. La


confessione dei peccati in prima persona plurale s'incontra di solito
movendo Ja Geremia. Da questo momento essa è parte integrante
della preghiera ebraica, anche sulle labbra di devoti insigni. 211
Solo con Gesù è presente il mediatore, il 4uale ora consapevol-
mente e con energia distingue nuovamente tra I' 'io' e il 'voi' e si
sa posto tra il Padre e gli uomini. 211 In lui confluiscono tutte le di-
rettrici Ji sviluppo dell'idea della rappresentanza e del mediatore.
Egli è l'unico eminente mediatore di alleanza, che riunisce in sé le
funzioni del custode della legge, del banditore della volontà di Dio,
del capo del suo popolo, del re, dell'intercessore, del sacerdote, del
servo sofferente, del salvatore e dell'espiatore. Di lui confessa il
Nuovo Testamento che egli è il mediatore dell'alleanza 'migliore' e
'nuova' (Hebr. 8.6; 9,15; 12,24), e che «uno solo [èl il mediatore
(dç µEol·n1ç) tra Dio e gli uomini, l'uomo Cristo Gesù, che ha
dato se stesso in riscatto per tutti» (I Tim. 2 ,5 s. ).

d. Il popolo dell'alleanza

Partner dell'alleanza di Jahvé è, per l'Antico Testamento, in prima


linea il popolo d'lsraele. 71 i In favore del popolo d'Israele e in vista
dell'alleanza del Sinai, Dio ha eletto i patriarchi ed ha concluso con
Abramo un patto. Come e quando sia avvenuto che tribù e gruppi,
certo affini sotto l'aspetto sociologico, linguistico, culturale e reli-
gioso, ma tuttavia originariamente indipendenti, si siano riuniti in
modo da formare il popolo storico d'Israele è discusso tra gli storici
e non può esser spiegato completamente. La tradizione della storia
della salvezza però sa che Israele è diventato un popolo in forza di

m Più particolareggiatamente circa l'io e il noi nell'intercessione, in J. ScHAlt·


llEIT, 'Unsc:rc Siinden und die Siinden unserer Viiter' in BZ (NFl 2 ( 1958) 14-26;
lo., 'Die Fiirbitte in der Theol. des AT', in ThGI 50 (196o) 321-338.
ma. Mt. 7,rr.21; 10,37-40; u,25 s. 28; 111,10.14.35; 21,24; Mc. n,25 s.; Le. 22,
19; 24.49; lo. 6,32; 15; 17 e molti altri passi. Soltanto in lo. 4,22 Gesù si i:ldude,
con un 'noi', nd suo popolo, perché qui chiaramente vuole distinguersi. insieme
con il suo popolo, dai non Ebrei.
m Sulla concezi,one del popolo di Dio nell'Antico Testamento v. J. ScHAIJ.BERT,
in Bibdthrol. Wb. 1147-u58 (con ricca documentazione e: bibl1ogra.'ia); ID., Heils-
milllv. pp. 300-3o8.
ISTITUZIONI SALVIFlr.llF. OF.l.L'A.T,

un 'elezione divina e mediante la stipulazione dell'ailcanza sul Sinai-


Horeb; là esso è divt:ntato «popolo di Jahvé».
La mèta di quell'alleanza divina è, in ultima analisi. la s.1lvezza
dei singoli membri di questo popolo. Secondo la it:d<.: lk-11' Antico
Testamento, oggetto immediato dell'agire salvifìrn d1 Din {· il P''
polo, ma il singolo, mediante la sua appartenenza a Israele:, si aspwa
benedizione, vita felice e lunga, la clemenza di Jahvé, in breve, ciò
che l'Antico Testamento chiama 1til0m .114 Il singolo può sperare be-
nedizione, salvezza, l'accesso a Dio, solo attraverso il popolo, dun·
que mediante l'appartenenza a Israele. Popolo e membri formano
un'unità organica. Tutti i membri sono legati l'un l'altro mediante
la solidarietà nel sangue, nel pensiero, nel volere, nei costumi, negli
usi e nel dfritto, soprattutto però nel culto e nella confessione di
Jahvé come Dio dell'alleanza.
AI popolo appartiene di norma colui che discende per il sangue
dai destinatari della promessa, cioè da Abramo, rispettivamente da
Giacobbe-Israele. Ma non chiunque ha già per la discendenza dai
patriarchi parte alla promessa e alla benedizione, e, d'altra parte
anche certuni che non appartengono alla «discendenza di Abramo•
possono diventare eredi della promessa e ricevere la benedizione.
Alla discendenza si devono aggiungere ancora altre caratteristiche
costitutive dell'appartenenza a Israele. Una di esse è la circonci<
sione; essa è segno dell'alleanza, significa confessione di Jahvé e
designa l'appartenere al popolo dell'alleanza (Gen. 17,10-14; Ios.
5,2-9).
Un'ulteriore caratteristica dell'appartenenza a Israele è la parte·
cipazione al culto e l'osservanza delle disposizioni del culto: l'israe-
lita osserva il sabato (Ex. 31,13-17), evita certi cibi (Lev. u; 17,
10-14), celebra con l'intero popolo le grandi solennità annuali m e
osserva le prescrizioni per la purità ( Lev. 12-1' ). Chi non rispetta
questo statuto del culto è 'reciso' dal suo popolo (nikrat). 216 Ma
questi segni esterni devono ancora esser completati con la fedeltà a

21• Ciò indicano sopratruuo le promcs5e di benedizione in uv. 16 e Dt. 18.


21 sEx. 23,r7; 34,23; Dt. 1s,16.
216 Gen. 17,14; Ex. 12,1,.19; 30,33.38; 31.14; Uv. 7,20; 17.4.9.14; 12,3; 13,29;
Num_ 9,13 tra gli altri.
STOlllA E ORDINE DELLA SALVF.ZZA NEl.L'A.T.

Jahvé e alla sua alleanza, che è delineata brevemente e in un modo


vincolante dalla «legge fondamentale;> di Israele, il decalogo (Ex.
20,x-x7; Dt. 5,1-2x) e dal cosiddetto s'ma' (Dt. 6,4 s.). Tutti que-
sti presupposti esterni e interni rendono tuui coloro che li adem-
piono, nel loro insieme un «popolo santo» 11 ; e rendono 'santi' i
singoli membri di qm·sto popolo. 21 ~ Chi rompe l'alleanza con Dio e
compie il male contro il suo ordinamento, nonostante la sua discen-
denza da Abramo ~ un 'figlio di Canalm', del modello di ogni dege-
nerazione ( Dan. 1 ~, 5·6 ).
Siccome Israele non è solo una comunità di sangue, ma anche
una comunità di fede, possono essergli inserite anche delle persone
che non discendono da Abramo, se si fanno circoncidere, accettano
la legge cultuale e confessano la loro fede in Jahvé. 219 Essi sono
ritenuti allora di diritto discendenti di Abramo, sono quindi quasi
figli adottivi dei destinatari della promessa.
Infine Israele nell'Antico Testamento è ritenuto mediatore di
salvezza per i po poli pagani. Già la promessa di Abramo in Gen. r 2,
1 ss. con i suoi paralleli, annuncia che tutti i popoli della terra
possono ottenere benedizione mediante la confessione per Abramo
e la sua 'discendenza'. Jahvé vuole colmare con tale pienezza di
benedizione coloro che accolgono la sua promessa, in modo che
anche degli stranieri desiderino aver parte a quella benedizione. I
destinatari della promessa, Abramo e la sua 'discendenza' - e ciò
non significa nient'altro che il popolo d'Israele - devono quindi
essere un segno tra i popoli della volontà salvifica di Dio, per su-
scitare tra i pagani il desiderio della partecipazione a questa pie
nezza di benedizione. Questa vien loro fatta sperare a condizione
che essi riconoscano i destinatari della promessa come «benedetti
di Jahvé» e che dichiarino la loro solidarietà con questi.
L'Antico Testamento racconta come singole persone o interi
gruppi cerchino e trovino unione con Israele: la folla varia messa
assieme alla rinfusa, che si aggregò al popolo che usciva dall'Egitto
(Ex. 12,38), Hobab (Num. 10,29-32), la famiglia di Rahab (los.

217 E:ic 19,6; Num. 16,3; Dt. 7,6; 14.2; 26,19; .z8,9.
211 a. Ex 19,6; Lev. 1144 s.; 19,3; 20,z6.
m l.f. Num 10.2<,1-12: n!. 2,,8 s.; _l11dith r.po.
ISTITUZIONI SALVIFICHE DELL'A.T

6,25), i Gabaoniti (los. 9). L'arameo Naaman esperimenta l'aiuto


di Jahvé, perché si rivolge a un profeta israelita (2 Reg. 5), Salo-
mone presuppone che dei pagani, che sentono parlare delle gesta
salvifiche di Jahvé per Israele, vengano al tempio in Gerusalemme e
sperimentino la misericordia di Jahvé (r Reg. 8,41 ss.); pcrlìno
il 'cronista' che si mantiene molto riservato rispetto ai pagani, as-
sume dalla sua fonte senza esitazione la preghiera di intercessione
di Salomone per i pagani (2 Chron. 6,32 s.). Ebed-melek il Kushita
è salvato dalla catastrofe di Gerusalemme ad opera di Jahvé, per-
ché si è dichiarato per Geremia (ler. 38,7-13; 39,15-r8). Achior,
l'ammonita, riconosce i prodigi di Jahvé per Israele e perciò viene
accolto nella comunità ebraica. 220
Un'intera serie di parole dei profeti promettono un tale nuovo
conferimento di grazie a Israele ad opera di Jahvé, cosl che i popoli
pagani desidereranno di esser resi partecipi della salvezza di Israele.
Cosl Isaia (2,2 ss.) _e Michea (4,1 ss.) vedono già i pagani pellegri-
nare a schiere verso Sion, per cercare la loro salvezza presso il
«Dio di Giacobbe». Gli stessi due popoli che avevano procurato a
Israele sofferenze tanto amare, gli Egiziani e gli Assiri, uniti a
Israele si convertiranno un giorno a. Jahvé, e riceveranno una tale
abbondanza di benedizione da essere essi stessi quasi 'benedizione'
incarnata (ls. 19,18-25). Geremia vede avvicinarsi l'adempimento
della promessa di Abramo e la applica espressamente a Israele:
«I popoli si feliciteranno in te» (I er. 4,2 ). Un tempo i popoli fa-
ranno a gara nel colmare Gerusalem:ne di ogni cosa preziosa e nel
render omaggio al suo Dio come a re, per sfuggire al giudizio (ls.
60,1-12). In modo assai pregnante e drastico si eprime l'autore di
Zach. 8,23: «In quei giorni dieci uomini di tutte le lingue dei popoli
afferreranno un giudeo per il lemho della veste, l'afferrer:idno di-
cendo: Vogliamo stare con voi, perché abbiamo udito che Dio è con
VOI».
Mentre in tal modo la ristrettezza nazionalistica era già sostan-
zialmente superata, riconoscendo ai pagani, anche se sempre sol-
tanto attraverso la mediazione di Israele, la possibilità di ottenere

220 Judith :s.:s-21; ti,2-21; 14,6--10.


STORIA E ORDINI!: DltLLA SALVF.ZZA Nl!:LL'A.T.
970

la salvezza promessa a Israele e di trovare la misericordia benevola


di Jahvé, l'Antico Testamento testimonia anche, viceversa, la fede
che l'appartenenza al popolo e la discendenza da Abramo non ga-
rantiscono già la salvezza e la demenza di Jahvé. Sohanto un residuo
d'Israele diventa erede delle promesse/21 cioè la parte che, anche
interiormente, corrisponde alle esigenze dell'alleanza, e che è dispo-
sta ad adempiere le esigenze di conversione dei profeti. Questo 're-
~iduo' poteva infine diventare il germe del nuovo popolo dell'allean-
za,212 il cui principio di unità non è più il sangue e la circoncisione,
bensì la fede e la confessione per la 'discendenza' di Abramo, in
vista della quale era stata espr~sa la promessa di Abramo. Paolo
crede certamente, che con la fondazione del nuovo Israele spiri-
tuale, del nuovo popolo di Dio, il quale non conosce più nessuna
differenza tra giudei e non giudei, !'«Israele secondo la carne» non
abbia perso ancora completamente la promessa (Rom. 9 ss.). Un
giorno Dio concederà pure ad esso la salvezza messianica, però solo
se anch'esso come i pagani riconoscerà Gesù come il 'benedetto'
che compie la volontà salvifica di Dio. Paolo protesta che egli non
vuole stancarsi nel magnificare davanti ai giudei i suoi buoni suc-
cessi presso i pagani e l'opera di salvezza di Dio in loro, per cosl
«suscitare la gelosia» nella «mia carne», cioè nei connazionali se-
condo la sua discendenza corporale ... «ed a salvarne alcuni» (per lo
meno) (Rom. u,14).
Già al tempo di Gesù e degli apostoli si sono del resto adem-
piute le predizioni profetiche di un 'residuo'; alcuni infatti 'eletti'
da Israele, si sono uniti già con il messia, e «cosl anche al presente
esiste un residuo, eletto per grazia (À.&i:i.q.LQ. xet't' txÀ.oyi)v xcip~'toç)»,
come al tempo di Elia ci furono 7000 uomtni, che rimasero
fedeli a Dio (Rom. 11,1-15).
L'idea della rappresentanza, che alcuni esegeti pensano di scor-

221 a. nota 110.


222 Sull'idea del popolo di Dio nel Nuovo Tc:sramento: N.A. DAHL, Das Vnlk
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BI BLIOGlllAFL\ 971

gere in Ex. 1 9 ,6 e I s. 6 1 ,1 ,m non è documentabile con sicurezza


in vista del rapporto tra il popolo di Dio e i pagani, né nell'Antico
né nel Nuovo Testamento.m Israele non rappresenta i pagani davanti
a Dio, bensl è segno di Dio tra i pagani, segno che essi devono
riconoscere e al quale si devono unire, se vogliono ottenere essi
stessi salvezza.
JOSEF SCHARBERT

22.Jff. ]UNKU, in rrz 56 (1947) 1()-1,; M. Norn, ADT, in loco.


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INDICI
INDICE ONOMASTICO

tfrllu I t' 11 pari<'

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1\n:1ssimandru, II 185.
Anderson H.W .• TI 909n. 9wn.
Abba C., 11 9oln.
,\hcl:mlo, I 21 3, 2.n. 263, 264. 271; Andrescn C., Il 1;on.
IJ 274, 628, (Ù9, 6 ~I, 61!6. Aniida ila Foligno, I 18 1.
Acacio di Cesarea, I 225. Anselmo, li 564. 680, Ml 1. i7-I·
Anselmo da Canrcrbury '·• l 4;. 2.42.
Aclam A., l 11 rn, I<Jzn, 2ozn; Il
26711, 268n, 269n, z;on, 2; 111, 272n.
241, 25ì· 263, 2f,5, 26'). 459; li
11 .• , 120.
Adler A., II 483.
Adnès P., Il 457n. Ansclmu Ji H,"'dbcrg, 1 2n.
Agosrino, I ·30, 35, 17on, 241, 245, Aniwcilcr A., li 163n.
249, 256, 257, 2,8, 259, 260, 261, Anzenbacher A., li 3qn.
262, 263, 264, 265, 267, 268, 269, Aperribay B., I +02n.
272, 376, 404, 410, 411, 413, 420,
t\rdens Rodolfo, 11 27 4.
449, 499n; Il 98. 9Kn, 106, 110, A1ens A., li 4011.
113, 114. 118, "9· 122, 123, 13on, Ario, I 214, 215, 22J., 237; Il 141.
131, 156, 16on, r62, 163, 165, i70. Aris1ide, U qon. 1 37n, 150.
175, 178, 185, 197_, 207, 23411, 269. Arisio1dc, I 29, 106, 2 io; II 46.
273n, 456 457, 471, 478n, 487n, 507n, 8on, 13jn, 151, 156n, 162, 167n, 185,
544, 54;. 547, 563, 580, 627, 630, 11!6, 247n, 2n. 418, 461.
674, 675, 676, 677, 685, 697, 707, Arremonc, I 2 io.
725, 741, ;68, 769, 771, 773, 774. Asensiu I'., Il 92 5n.
777, 801, 812, 847n, 878n. Atanasio, I •ion, 197, 2o8. 212. 221.
Alano da Lilla, I 265; Il 274n. 22211, 226. 227, 229, 230, 231, 233.
Alberto Magno, 11 163, 4r4n, 565, 770. 236, 237, 239. 246; Il 112, 13011.
Akuino, I 245. 141, 175, 196, 847.
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lI 141. Auer A., II 4i2n, 476n, 4ll_;n, 48811,
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Ams(·hl 11.. li 710. Bay M. de, II 200.
lr->01(:1 n..,.o~~~Tirn

Bayle P., I 25 I. Berl.inger R., Il 98n, 166n.


Balthasar H. U. von, 57, 104n, 183n, Bernadete ].A., Il 164n.
371, 371n, 374n. 403n; II 1010, Bernadot V., I 402n
166n, 168n, 169n, 17on, 183n, 186n, Bernardo di Chiaravalle, I 181, 243,
472n, 487n, 4890, 49on, 492n, 529n, 271; Il 136.
781n, 846n, 853n_. 854n. Bernhardt K.H., II >'16n.
Baltzer K., I 115n, 323n; Il 63n, Bcrnatzick, 11 .po, 429
94on. Bemam G., II 593n.
Barak N.A., Il 949n. Bérulle, I 403.
Barbe! J., I 200. Betz J., I 272n.
Barr J.. II 243n, 25m, 888n. Bctz O., I 157n; Il 931n.
Beyerlin W., I 323n; I I 61n. 917n.
Barrett C.K., I 128n
Beuihene W. van, II 524n.
Barsotti D., Il 1om.
Bickel E., II 245n.
Barch H., 246n.
Bieder W., II 2; m, 268n.
Barrh K., l 29, 34, 116n, 117n, 2t;.
B:enert, II 51 3n, 516n.
279n, 28on, 37on, 380, 389n, 390. 396, Billerbeck P., I qon; Il Stn, 71!4.
397n, 433, 46on, 492; II 90, 9on. Billot L.. I l7<>· 467n: Il 852
9m, 117, 13on, 166n, 177n, 212, 420, Bilz J., I 262.
423, 540, 548, 549, 684, 725n, 729n, Biser E., TI 89m.
73011, 74on, 74<1n, 785, 798n, 800, 845, Blair E.P., II 947n.
846n, 869, 876, 877, 880. Blanchard P., 1 403n.
Barth R., II I 02n. Blank }., I 363n.
Banz W., II 858n. Blank Sh. H., Il 907n.
Basilio, I 197n, 212, 214, 228, 229, 230, Blast'r P., II 8R5n, 89}n, 944n, 945n.
231, 246; II 112, 15on, 164n, 184, Bleeker C., II 25on, 266n.
562, 769, 774, 78on. Bleinkinsopp J.. II 909n.
Basilio Di-Andra, I 226. Bloch E., Il 189n, 248n.
Bauer J. B., II 94m, 9pn, 955n. Blosius L., I 403n.
Bauer W., II Son, 196, 265n, 759, 890n. Blumenberg H .. II 155n, 158n, 271n.
Bauernfeind O., II 89on. B&her O., II 256n.
Bauhofer L., Il I 56n. BOckmann J., Il 484n.
Baumgiiertel F., I 76n; II 885n. Boer P.A.H. de, II 9470.
Baur Fr. Chr., I 252; Il 261. Boezio, I 34, 260, 261, 266, 487n; Il
Beatrice di Nazaret, I 181. 312.
Beaucamp E, II 66n, 895n, 942n. Bogler Tu., II 724n, 746n, 772.
Becher M., li 187n, 25on. Bohme }., I 250; II 141.
Beckcr J., II 829n. BOhner Ph., Il 835n
Becher J.. II 944n. Boismard E., Il 107n, 762.
Behler E., II 162n, 163n. Bomann Th., 32n, I pn, 243n.
Behm J., I 192; II 892n. Bonald, I 35.
Beiley D.S., II 439n. Bonaventura, I 35, 268, 269, 403, 403n,
Bellarmino, II 200. 406; Il 98, 115, 120, 122, 162,
Bender H., Il 809. 1711l, 547, 565.
Benedetto xr. I 406n. Bondi H., II x6on.
Benkarr P., TI 868n. Bonè E., II 229n.
Benoit P., I 124n, 146n, 155n; II Bonnet H .. II 46n.
888n. Bonnetty, I n.
Benz E. II 183n, 189n, 867n, 878n. Bonsirven J.. II 936n.
Bcrg L., II 472n, 473n, 475n. Bordoni M., II r66n.
Bergenthal F., II 129n. Borger K.L., Il 902n.
Bergson H., II 632, 640. Bornkamm G., I 1211l, 124n, 127n;
Berillo di Bostra, I 2 IO. II 158n, 196, 261n, 263n.
INDICE ONOMASTICO

Boros L., II 301, 302n, 607n, 711, 766n, Calvez Y., II 53m.
866n. Calvino, I 248, 249; II 10211, lo8n,
Botte B., I 175n. 116, q8, 548, 683.
Boncrweck G.J., I 144n; II 92on, Campenhauser H. von, Il 269n.
948n. Cantor G., II 164.
Bourassa F .. I 418n, 43on, 435n. C.apreolo, I \79·
Bousset W., I 134n; II 253n, 254n, Ca,11101 A., II 9~9n.
26m. Carlo Magno, I 24;.
Braun H., I I 3on, 254n; ll 262n. Carlson R.A., II 89011, 91411, 92on,
Brekelmans C.H.W., II 949n. 92211.
Brichto Ch. !-!., II 89on. Cartesio (Descartes), 250; II 22,
Brierre-Narbonne J ., Il 43411. 100, 179n.
Bring · R., II 10111. Castellio S., I 249.
Bri11kmann B., Il 753. Catarino, II 68 r.
Brinktrine J., I 94n, 96n, 104n, 467n, Cazelles H., I • 295n, )36n; II 90311.
492n; II 151n, 163n, 184n, 185n. 93311, 934n, 94411.
Brock H., II 826. Cdcstio. II 675.
Brown R. E., II 263n. Cerfaux L., I l 34n, l 39n, 15011, 1 pn.
Bruce F.F., II 89m, 95on. I nn; II 782n.
Brugger W., li 143n, 164n, 186n. Cerinto, I 2 ro.
Brunner A., II 329n, 82011, 824n, 836n, Charles R.H., II 934n.
838n.
Chauchard P., II 183n.
Brunner E., I u7n, 25411, 28on, 34911,
Chavasse A., I 177n.
365n, 36911, 37011, 380, 39211; II Chcnu MD., II 278n.
101, l03n, 104n, n7, 16411, 18111,
Childs B.S., II 94711
19on, 31811, 322, 548, 567, 68411, 72411.
Cicerone, II 174n.
72611, 786n, 789n, 836n, 878.
CiUeruelo L., II 2;m.
Brunner L., II 156n.
Cipriano, I I 79; II 67x.
Buber M., I 312, 32711; Il lOo,
Cirillo di Alessandria, I 246; Il 142n,
loon, 10211, 131, 315, 317.
Buchanan G.W., II 89m. 196, 5620, 672.
Biichel W., II 16on, i6m. Cirillo di Gerusalemme, I 17511, 198n,
Biickers H., II 94411. 231.
Budda, I 26; II 19. Cime-Lima C., II 866n.
Bulgakov S.N., II 117. Clemente Alessandrino, I 198, 207, 208;
Bulst W., Il 87611. II 98, 120, 16on, 175, 196, 269,
Bultmann R., I 112n, 11311, 11411, u6n, 27~ 544, 546, 553, 562, 563, 847, ~78n.
11711, 134n, 13611, 139n, 144n, 147n, Clemente Romano, I 172, 193, 197.
15511, 157n, l58n, 35m, 362n; II Clements R.E., II 938n.
II7, 165, 26on, 26311, 264, 26611, .597. Colombo C., I 38011
598, 72611, 82911, 83211, 834n. Comte A., II 46_~.
Biirger M., II 409. Congar Y., II 475n, 49rn, 493n.
Biirke G., Il 54611. Conrad-Martius H., II 301, 420
Buschan, Il 428, 429. 0-.nzclmann H., II 244n, 26311, 266n.
Bussche H. van Den, II 922n. Coppens J.. II 94m.
Buytendijk, II 424, 427. Corcth E., II r 2111.
Cornelio a Lapide. Il 420.
Costantino, I 222, 226, 236.
c Cox H., II 29rn.
Cramer W., II 28911, 76511.
Caietano, II 199, 200. Cremer H., I 380.
Caird C.B., II 757n. Crisippo, II 17411.
Callahan T.F., II 27311. Crisostomo, I 176; II r75, 184, 456.
Callisto r~ papa, I 220, 221. Cross F.M., II 904n.
INDICE ONOMASTICO

Cullcy R.C., li 887n. Oiekamp E., Il 2llin. ~m


Cullmann O., I 119n, 1 34n, q6n, 1)7n, Oids, Il 1490.
1710; li 166n, 167n, i,8n, i99, r.x ..
lJ1crin11<'t Il 116n.
885n, 931n. l>ic1rich E.K., li LJl!!l1.
Curtius E.R., Il 98n, 146n. Dic1she B.. Il 772, nin.
Cusano N., I 19, 270, 271; Il 990. l>inkler E . Il 1;2n.
116. J>scu<lo Di,m1gi :\cmp~11i11, 46. 261.
162. 266. \;Cl; Il 114. no, 111;,
191!, 766, ,;2.
D Dio11i~ic• l'Al•d, I 1J 1. u1.
Dio11i5io .li A1.,~~11nilri11. 221. 222.
0.Cqué E., Il 844n. Di~ (i., I '~'"
Dahl M.E., 11 26.tn. Dohm11yr M.. 11 1 16.
l>ahl N.A., Il 97on. Doc:kx S.J. I 41711.
Daim W., Il 836n, 838n, K4Kn. DoJd C Il .. I 157.
Dalman G., li 79n, 82n. Dokh Il .. Il 169n. 1!1711.
Dalmau J.M., l 408, 457n, 467n. Oiil11cr L.1. 11 ,61, 811.
Damaso. I i 30. r>om• Il.. Il 111711. 4qn, ~61
Danidc, li 747, 748. l>ontlainl' Il . I ~<>7n
L>anic'lou J., I 96n, 17on; Il 561, Donnely Ph .I.. I -11711.
,62, ;65n, 778n, !15!1n, 876, 892n. Dor11"r I.A . Il 1 17.
Darlap A., I ,2n, 76n. ll5n, 9,n, 96n, lliirrics 11 , I n; 11
1o6n, 1o;n, 325n, 451n, 457n; II llou11las A.I I.. I I 11hn.
qn, 15n, 16n, 27n, ''4"· 168n, 17on, Drc.y I .S.. Il 116
..,n, 48,n, 6,zn, 885n. l)1Tyfu5 F . 11 91Kn .
l)uwin Ch., li 185, 186. Oruzbirki O .. I 403n.
Dautzenbcrg (i .. Il 247n. Dubarle A.. I 11on; li 2,2n, 707n,
D11ub K., l 2,2. 93;n.
Daubc D., li 9040, 909n, 913n. Duchmw li., I .f9911.
Dau12mbcrg G., II 2nn. 1,sn, 2590. Duhcm P.. Il 1 '7
Daverio A., 11 528n. Diinol'I' A.. Il 81nn.
David J., Il 494n, 514n, SJ.2. Duna Scoto, I 269; Il 1fi J, u \,
Davide, li 61. 73. ,66, 580, 768.
Davies G.H., li 9500. Dupom .J., I llJn.
Davies W.D .• I 146n; Il 247n, 2,,n, l>upon1-Sommcr A., Il 79,n.
262n. Durando, 11 770.
De Blic J., Il 165n. Durchrow U., Il 273n.
Deissler A., I 85n, 87n. 31911, 325n, Durr L., Il 94n, 9,n, 2,00.
317n, ;29n, 333n, H 1, 36,n; II
non.
Deissmann A., I 36on. E
Ddahaye K., li 74011, 74\n
Ddror M., 11 948n. Ebcling G., l 124n; II 101, 104n,
Dclling G., li 26on. 8.9\n. 117, 1320.
!)emani A.. Il 476n, 4116n Eboer F., II 100, 31~. 322, 32'.
IX0K>l·ri10. Il 249. !~khan ( Mcister I. I 2 70, 382; tl
llcmp( A.. 11 p7n. 116.
l.)cn1an R.C.. Il 8920. Edwards G., Il 9100.
lkuauer F , 11 p4n, p6n. Efrem, li 1114.
Uhormc P.. li 745n, 79on. Efrén de In Madre de Dill!I, I 4o03n.
l.)ibdius M.. Il 8on. Egencer R., I I 4970.
Didicr J C:.. li 71,n. Egidio Romt1no, Il 163.
()i,limo. I 227n. Ehsc1 S., Il 6R7n.
INDICI. OHOMAsnco

Eibl H., li 267n, 4nn. 199, 100; Il So, 82, 83, 84, 256n,
Eichenscer C.: .. 1 193. 270, 544, '61, 749n.
Eicholz G., Il 26on. Fanana: J. dc:, II 13on, 153n.
EichroJ1 W, I 71, ;2n, 8\, 81n, 8;n. Fankcnzclll·r J, Il 567
118n. 104n; Il 28n, \2n, 6on, 109n, Fiorenza F.. 11 J<,12n, JOJ.
251n, 252n, 251n. 421, 434n, 477n, hschc:r H., I 17on.
478n, 4ll2n, 483n, 489n, 844n, K88n, Flschc:r 1.., Il ll96n.
892n. 937n, 9J8n, 949n. FIRchc:r W.. Il 7900.
Eicksted1 E.V .. Il 427. Fit~ld ThJ .. I 417n.
Eilcrs W., Il 9400. Flacio llhriro, Il ~­
Eislcr R., 11 146n, 1,2n Flechthc:im O , Il 1890.
Eissfcld1 O., 1 324n, 32,n. Flick M.. I 418n, 42711, 4,,n; li
Eldcrs L., Il a,9n, 87on, 872n. 16in, 16,n, ull.
Elisabetta Jcl11 Trinità, I 183, 403. Fliiuc S.. Il 16on.
Enadhardt P., 11 .z78n. Flusxr D., Il 257n.
Engocll l, Il 887n. focrs1cr W , I 1,.sn, 3nn; Il 177n,
Enrico di Gand, I .z69; 11 162. 790", 79JD, j9-JO.
Epifanio di Salamina, I zoo, .zoB, 210, Fohttr G.. I 1nn: li 886n, 891n.
231, 246. 904", 918n, 917n, 9B"·
Eraclionc. I 208. Forestio, I 250.
Eraclito, I 29; II 167n. Forstcr K., II 8n n, 867n, 868n.
Ermno, I 249; Il 682. Fozio, I 247.
Ennr.ckc G., Il 498. Fninc J. dc, 11 4nn. 6+4n, 9,on.
Erodoto, II 17... Fnncis E.K .. Il 469n.
Esser Th., II 163n, 1640. Frank S., li ;8,.n.
Euclide, I 210. Franld \'.E., li 848n.
Eunomio, I 379. Franlrowski J., Il llcJon. ll94n, 914n.
Euripide, I 37. Frccdman D.N. II 9+fD.
Eusebio di Cesarea, I 179n, 18o, 220, Frcnd W,H.C., II 271n.
222, 223, 225, 226; II 1n, 769, Frcundorfer J., II 671n.
781. Fries H.. I ,20, 118n, 272n, ~92n;
Eusebio di Nicomedia, I 221, .z26. Il 168n, 17on, 196, 162n. a,sn. 868n.
Evidcme J., Il 33. Frigncau B.· Julicn, I 40,n.
Frine J. dc, II 890n.
Frohschammcr J., II 163.
p Frost B., II 934n.
Fi.iglister N., I 86n; II 91on, 911n,
Fahrkius, II 189n. 9,.on, 948n, 9,2n.
F1bro C.. II 139n. Fulgenzio, I 241 ; Il 769.
Fucher E.. Il 25on. Fu.u W., Il 947n.
Feier J., 11 '4"·
Feincr J., I 107n, 15in; Il 3on, 228,
212n, 240. G
l'eldcrcr ,J.. II 472n.
Fcs1tq1ière A.. Il 246n. Gabriele di S. Maria Maddalena, I 402n.
Fcuerbach L., I 29, 36; Il 12n, 181, Gadamcr M.G., Il 121n.
114, 46,, 466. Gaetano, I 379.
Feuillet A., I 139n, H40; II 85n. Galeno, I 210; II 1,2,
Fc:uling D.. Il 769, no. Galilei Galilro, Il 1 '7.
Fichmer _I., Il ;6n, 25on, 928n, 93,.n. Galley K .. Il 11<)2n.
f-ìghte. Il q5. Galling K., 11 886n, 8qon.
Filolao, Il 24,n. Gahier I'., I 417, .pH, .flQ, 46;n.
Filone di Alessandria. I ,6, 106, t 42, Calura B., Il 116.
INDICE ONOMASTICO
990

Gampcr A., Il 881111. 11,5. 184. 276, 456.


Garrigou - Ligrnngc:, I 379, 4ozn, 46711. Gre11<'tio Paiamo•. I 179·
Gaudcl A., Il 2911, 67in. Grc:11urio <ii Vak"!lza, I 250.
Gebs1111cl V.E., vo11, li 8un. Grdo1 P.. li 89211, 89}n.
Geck A., li 469n. (it'enzma1111 \X' .. I 1 724 n.
Geiger L.B., Il 1~9n. Gressm~nn Il , J 29611, .11 111; Il ~7.
( ;c:isclmann JK, Il 8; Kn ( ;mhcr O .. 11 94n. '!711-
Gdin A., li 90111. Gnll S.. Il 91911.
Gcnn.1dio di Costaminopoli, II 67 .l (inllmc:1l·r t\., Il 11111._30•)11, 11111.
Gen1ile V., 1 249. l;w11bacl- J.H., Il l!•i11i.
Gerhard J.. Il 54811. (;nm H., I 70, 7r11; Il 4,n, ,4,
Gerhardoso11 R.. J 88711. 66n, 21711. 51 J11, 67111. 711!11. 741, 743,
Gerhoh di Reichersberg, 1 27 2. 74711, 8'711, 85811, lhion, /;9111, 894'1,
Gerke11 A., I 40311, 40611, 46311. '}jil1, 94711, 94911.
Gcrlitz P., I 10611. ( ;ross J., I 937n.
Gerolamo, I 177, 200; Il 7.p, ì74 ( ;rundmann \V/., Il 8111, i69n, 593n,
Gesc Il., li 9u11, 91911. 72711.
Gewicss J.. 1 1 H"· c;uurdini lt. II 101, IOJll, IOln, 10311,
Géza Saj6, Il 16111. 10,n. 11,, 31911, 32711, 479n, 6,o, 81on.
Giamhlico, I 10. (.;uclluy R.. II 16,11, 166n.
Gi'ansenio, Il 201, 171. Gui:genbcrgcr A., li 10911, '1 ,n, 32011,
Gilber10 l'orre1a110, 1 142, 265, 261!, p111.
379, 3111, 382; li 274, ~64. Cu11liclmo di Auver11nc. Il
Gilson E.. Il 27 3n, 174n, 47 '"· '0811. 2ì,
Gioacchino da Fiore, 1 142, 243, 273. (jugliclmo di Auxcmt, I 266.
Gioberti V., I 35. Gu1diclmo di Conches, Il I 14
Giòvanni Damasceno, 2 p. 247. 262; Guglielmo di ()(khRm. l 269
Il 142n, 111411, 761!, 78.4. Guimel F.. I 40211.
(_;iovanni ddla Croce s., I 48, 182, 401. Gui11on .1.. li i; 111
Giovanni di Gcrmalc:mme, I 198. c;u11.lla•h e;' li -1t17.
Giovanni di S. Tommaso, I 379. Gunkel Il. Il 17. 4911, 2t.1.
Giuliano l'Aposta1Q, I 226. Gu11new<'I! A.li I .. 11 S8711. ll•it>n, 91811.
Giustino, I 162, 171, 172, 17.4, 195, 1~;. •16on.
198, 202, 207; 11 111, 13711, I.il. Giinrher A.. 1 251, 154. 171. 182: Il
150, 268, 47'· 671. 117, I JO, I " ' 16\
Gloege G., 11 1osn. 10711, 1 n11. 315, Gutberlct, Il 8,2
72611. Gu1broJ W.. li q-1411, 9;011
Glorieux P , I I 76911. (;iìrt1wm;11111s E, 11 164n. 2f.<•11
Gluerk N , I HOl1.
Goffredo di Fo111ainl'.>, 268.
Gogartcn F.. Il 101, 10111. 12211, 1•811. Il
Goppdt L., Il n5n, 89111, 89211
Giissma1111 E.. 11 49411.
Giissmann W .. 11 10111. H11~i:Il, I 16111; li 4211. 11111. 219n.
Go111:chald H.I . 11 429. 57cm. RR!ln, <>Hn. 111711.
Grahme11n M .. I 409; 11 >7111 llaas 1\ , 11 1 H.
Graf · Reve11tlow 11 , I I 94rn. llan·kd E , 11 1 K6.
Grendera1h Th .. II 1~1 n Hac:dm· Th , 11 12211, 11,
Gregorio Ma~no, 11 ; 51, ;-lii!. 769, 771. ll~<"lld><'ll I' , I I.I 7n, li 2~ ;n. 2t\6n.
77>. 774 lC,, n
Grcirorio di Nazianiio, I 229, 230; Il 11~•·• I' . .i,.,li .po11
112, in. 769. 774. l lar"lc, 11 51 ,n
Gte1?<>ri<' di Nissa. 1 23. no 246: 11 I la~··r r: J> . Il 24<-11. i4811
INDICE ONOMASTICO 99!

Herntrich V., Il 9280.


262n, 93rn. Herrmaoo R.. li Kll!ln.
Haiblc E., I .io3n, 4111 n. Her1zbcrg H.W., Il 921!0.
Halder A., I w6n; Il llesse F., Il ll91n.
322n, 47rn. Hessen J., Il 3211, 1 '2n.
Hamman A., l 17in, 172n, 174n, 176n, ll1ldebrand D.v., Il 4670, 496n.
177n, 179n, 11ton, 18-1; II 47on. llillers D.K., Il 94511.
Hamp V., I 76n, 89n; II 478n, 742, llra11 J .P .. li 2 560, 8870, 9280.
896n. lfodl l.., li :147n.
Haran M., II 893n. llochel A., li 7yn,
Hiiring B., Il 45'0, 467n, 469n, 4780, Hoerzd N., I 34n.
49,0. Holfncr ].. II 465, 4690, 4940, 49,o,
Haring N.M., II 274n. 498n.
Haroat•k A.V., I 188, 189, 231n, 240, Hofmaoo J.Ch.K., Il 117.
2,90; Il 111n, 2,8, 268n. Hofmaon Lin., I 17111.
Harrc:lson W., II 909n. Hofmcier J., I 2640.
Hanm1on L., Il 934n. Hoftijzer ]., Il 895n, 8960.
H1rvey J., II 909n. Holderlin F., I 28.
Haseofuss J., 11 4890. Holl K., Il 8ioo.
Haspec:ker J.. I 1190; II 630, 194Jl, Holleobach, Il 83,.
9380. Holsteio J., 1 17 20.
H1ubs1 R., I 271; 11 768,770,771n, Holsten C., II 2610.
7740, 780, 8o1. Hoh J.G.H., Il 420.
Hauck F., li 5qn, 9,20. Holtzherr G., Il 509.
Hauscr R., Il '°411· Hommcl H., li 780, 179n.
H1vc1 ) .. I 4020. Hommcs ].. li ,240.
Hayes Z., Il 115. 1430, 1610, 16Jn. Honigsheim P., li 4770.
licgel G.W.F., I 29, 30, 251, z,z: li Horst U., I 26"n. o,n.
31, 117, ?20, 123, 1no. 16ln, 18,, I losrie R., li 82on, 8440.
261, 290, 366. 465, 163. Hour J.L. Il 9140, 938n.
Heidcggcr M., Il 12 to, 2o60, 164, 191n, Hubncr J.. II 1830.
31,, 8w, 838n. Huffmon H.B., Il 909n, 9490.
Heidland H.W., Il 89,0. Hulsbosch A., Il 4700, 67on.
Heid1 C., II 737n. llulst A.R., II 2 ,2n.
Hcimingo, Il 731n. Humben P., Il 7on, ,40.
Hcimsocth H., Il 281. Hiinerrnann P., li 1160.
Hcinc M., Il 1010, 116. Hunt I. Il 8960.
Heinisch P., Il 561, 791n, 9630. Husserl E., Il 286, 31 ,.
Heiorich ).B., I 730. Huxlcy A.. II 826.
Heinzmano R.. Il 173n, 2740, 275n.
Heiselbetz )., Il 300, 8780.
Hempel J., Il 280, 8860.
Henptmberg H.E., li 3190, 3230.
Hcogstemberg )., Il 1Ho. lcrsel 8.M.F. van, I 45tn
Hml'IC'Cke E., I 1310. Ignazio di Antiochia, I 18o, 193; Il
Henniog J., Il n6o 268.
Henoioger P.J .. Il 9400. Ignazio di Loyola, I 48, 182, 40\.
Heotschke R., Il 92lln, 9440. Ilario di Poitiers, I 17on, 196, 2o8, u6,
Hermann I., I no. u70, 1,2n, 1na; 230, 237, 246; II II\, 1250.
Il 9180. llduino, II 1,S.
Hermansky St., IJ 8920, 8930. Innocenzo III, Il 4460.
Hcrmcs G .. I ·Hl: Il 130. 1 n. 682, (parr881Ji~ ).. I 403n.
Ippolito Romano. I in. 11n. 197, 200.
"'"
992 INDICE ONOMASTICO

211, 220, 111; II qon. Karsavin L.P., TI 11 7.


Ireneo, I 171, 174, 191, 19,, 196, 207, Kasemaon E .. I 244n, 245n, 2470, 25rn.
20K, 209, 211, 216, 2,H; II 112, 26on. 26211, 2Ci.\n, 26411, 26511, 2660
1 100, 136, 137, 141, qo, non, 164n, Kasper W., I 27\n; Il 1660.
in. 1711 •. 54.5. 546, s52, 671, 768, Kattcnbusch. 1 19 \.
769, 773, 847. Kaupel H .. Il 7900, 79111.
Ireneo di Lion<~, li 190, 268, 269. Kalltzsrh L. l 1 .n411, <n411.
ln\'in H., Il 918n. Ke<:kcrmann. I 24•).
lscrlaod O., Il 47411, 4820. Keller C.A., 11 IUl611, Hq6n.
Isidoro di Pelusio, TI 19K, 457. Kdl11er E., li 1 H<1n.
Keplero, Il 1 li"
Kcrn W., I ;<In, 85n, 9511, 960. 106n.
rn;o, i2 5n, 4s;n; Il I 0211, 1200.
12\n. 1.16n, ''4"· 1860, 191.
J11cob H., 11 nn, 9000. Kiblanski R., Il 27 Jn.
)Acger W., 11 24,n, 24711, 258, 2750. KicrkcgaarJ S., li H +
Jamc:1 A., 1 183n. Kiliao R., li 8960.
Jannscn E., Il 932n. Kinder E., II 6Hn.
,lans A.. T 403, 4030. Kirchgiissner A .. 11 82Qn.
Janscn l3., li 2790, 282n. Ki[tel C., II 74on, 75n. i6l, 83211.
,laspers K., Il 315, 805, 82711, 8340, Klcin G., Il 1oin, 8860, 8811n.
837, 838. Klein .J., I 4030.
Jaubert A., II 939n. Klein L., I 1120.
Jcdin H., II 6870, 697n. Klcincidam E., 11 769n.
Jcnni E., II 6611, 177n, 9480. Kleutgen J., II 151n.
Jcpscn A., II 938n, 94m, 9420. Kliiber F., Il 4800.
Jcrcmi11s ,I .. 1 121n: 11
_1orn, 436, KnackSlcdt J., I 1 ~ '"·
8430, 84411. 8460, !14911, 89911, 90on. Koch K., I n6: II 9511, 1;6n, 8900.
91on. 891n, 9020, 934n, 9nn.
Jet\'ell J., II 268n. Kochlcr, I \ 1.4; Il ,.p.
Joli\'cl R., Il 15m. Kojèvc A., Il I nn.
Jnhnson A.R .. Il 2490. Konrad ,I.I' .. Il 421.
Jonas H.. Il 2660, 27on. Kon1.dmann H., Il 26on.
Joppkh G.. li 2680. Kopf · Wcndling U., Il 74011.
Journcl O... Il 77811, 8o711. Kopsch. Il 416.
Jiingcl E .. I 49211. Kiirncr F., Il 273n.
Jung C.G .. TI 48\. 820, 835. 838. 8440. Korvin · Krasinski C.v., Il nlln.
Junker H .. I 31on; II 4011, 742, 853, Ko!lmnla H., li 904n.
8560, 8940, 89,n. Kosicr H.D., 11 2ì9n, 902n.
Jtissen, II 8oon. Kran• W., Il 249n.
Jus1inus, II 4710. Kraus H.J .. li 9340, 9son.
Kt<'Ck W., Il 167n.
Krcmcr K , li 1 H"·
K Krcmpcl B , li 419.
Krctschmar G .. I c97n, 200, 202n, 20~.
Karlca F.. Il 826. 2170, 2210, 22611, 233n; II 2660.
Kaiser J.H., Il 502n, 942n. KrivodlCinc: R., I 4030.
Kaliba C., Il 12211. Kriiiicr A , Il J 1.4n.
Kamrhaus F., I 3n11. Krons..-dcr F., I 4020.
Kant I., I zrn. 251; II 22, 135, Krui1f Th. dc, I llln.
161. Kuhn H., Il 246n.
Karpp H., Il 26911, 27011. Kuhn J.. I 252n; Il 2~6n.
Karret" O .. I 10711; Il 7~<1. 86rn. Kuhn K.G . 11 2620.
INDICE ONOMASTJCQ 993

Kiimmd F., li 1660. Leroy M.D.. Il 2Jo.


Kiimmd \V.G .. Il 26on, 26in, 262n. Lcrsch. Il ,.24.
ll29n. Ll'ssing G.E., I 251.
Kiing Il .. Il 118. 18211, 489n, 62\n. Lener P. Dc. l '* r7n. 4' R11.
8J,n. 8\R, 84\n, R45n. 846n. 1.•. , '"" B.A.. 11 <1~on.
Kul'7. L.. 11 ;f>in I.-'''" I'. 11 2llin.
Kur, P.. I: 82lm. K4ll'1. l.1;1i:1~ H1>hl F 1\1 .i... Il ll<1nn.
Kul'7.e (;__ Il ~5;11. 7i9- 7C•1 l.1dl1k"f " Th .. 11 Il~.
l\u54·hk<' A. Il 119\n. 94lln. l.i<-,,kt· A . I 4" in.
Kuss O .. I 146n. 1.1lln. 1 ,o. 1 5111, 1 un. !.i~!l'r I. . Il ~n;n.
1 nn. 16,.n. 192n: li 1<16. 26111. l.mdhlom I . Il <Jo4n. 927n.
261n. 44on. 667n, 94_5n. Lindci<ko,i l; .. Il ; 1 n. q8n.
Kutsch F. .. Il 801n. 017n. 922n. 9480. Linneo. Il 1 ll9n.
Linrnn R.. Il .f!O.
b'(>nnl'I S.. Il 159n, ,Kon, s•nn. 666n,
L f191n. 94zn, 9,zn.
L\•s D .• Il H 1n
l.ahonk P.. I 4020. 1.;,.."'<'ni: h \'f. von. TI 2;2n. 2nn.
l.a.-nmann M., Il 196. I.iifrlt'r P.. I 226n.
! .a11rnn11<' .1 M.. Il 7.µ. Llifi;:r•:n I'. Il 119n. 116n, 178n.
l.aknl'T F .. li 2360. Lohff \\' .. Il lh;n. s,4n. 8370, 838n.
Lais !L, Il 1990, no. Lohfink X. Il ~lln. 6\n, 6Jn. 886n,
Larnarche P.. Il 9330. 888n, 904n, 91nn. 9\lln, 94on, 94}n.
Lanczko,,·ski G .. I 72. Ll:ihrcr M.. l 284. \99: Il z32.
Landirraf A.M . 11 6o\n, ;07n. Loh!;C E.. I 1 \.JD. 142n, 148n; II
l.andm1nn M.. Il 189n. 76,n. 9110.
1.anclucci P \... II 161. l.onerg~n B.. I ,.,;-n,
'*'9n, 462n. 46.fn.
Lan11 A., Il 28.in. . 466n, 46;n. 4R;n. 492n, soon.
La111!<'fnc:~·er R., Il 1oon, 1o111. 102n, Loofs Fr.. I 189.
10\D. \I iD, \HD, ~280. loo!; Van Ocr H.. 1 35JO.
I.anj!e\'in P E.. Il llcun. Lopez L.. Il 890n.
Langron E., I I 71100. Lorenz R.. Il z7m.
La1our J., I 340. l.orctz O., Il Rlll!n, 94 in.
Lananzio. II 15011. r 7,. 269, 270. '"'"· _l.R • li 1z1 n. 18on.
l.avallene H. de. I r 11n. 116n. rnn. Luhac.· 11. de. li 9qn, 17 in, 199n, 466n,
La\\'SODJ .. II 26811. 475n, 479n, 48}n, 487n.
Le Bm G.. Il 469n. l.iibbe H . Il I 580.
l.ebram .I \.hr.. TI 914"· Luhsczrk Il.. li 909n.
Lcbreton I.. I 171 n, ,.o:i:. Luciano, I 214.
Lechnez Ò.. 11 r6sn. Locrczio. 11 16;11.
Lecler.:q J. Il 4'>-t"· Liideman n 11.. II z6 in.
Le Déaur R.. Il llqq11, QOOn, 91on, 1_,,,1s.,7\·k J-1 .• I I 6on.
91111, 1;14811. l.uijpc"n \'C. Il z<J in.
l.eeuw G. Van Ocr. Il 824n. l.ur<'ro ,\LI 2411. 249; Il 99. n6,
Leirrand L.. li 6;n. 72n. 71n 1 ;z. 1 \;. q\. i s8. 1 wn. •iR, 182n,
Lehman11 K.. I 11 \D. 11 5n, 1HD. 2; I. ,.,11. ,(,7. Ml. f,qo.
Lehmini S .. Il 9,011
Leibniz, I 2,1; Il 1 \o.
Leist F.. Il 247n. M
Leone Magno. 1 2.u: Il .J4f>11, ,62.
Leone III. I 24,: Il «"" Mc Canhr D.J., Il 6~n, 67n, 9ain,
Leone Xlll. I 2,4 9llln. 9~9n. 94on. 942n.
l.el'<'h<'1" L. Il 164n. Ma<" Gfe!IOr G.H.C.. l lS7·

61 · Mys/eritim Sa/11tir, 11/2


INDICE ONOMASTICO
994

Macholz W., I 2om. Mendenhall G.E.,


Mc. Kane W., 11 934n. 94on.
Mc. Kenzie JL., 11 91,n, 934n. Mensching G., II 489n.
Maclaurin E.C.B., 11 904n. Mcrcatore M., I I 676.
Mac Rae G.W., II 948n. Merleau - Pomy, Il 286.
Mac Williams ) .A., II 2no. Mersch ~ .• II 17on, 682.
Maertens Th., 11 66n. Merwe B.J. Van-Dcr, II 909n.
Maicr Fr.W., I 112n; Il 287n. Metodio, I 208; II 112, 444.
Maicr J., 11 9,00. Metz ].B., I 37, 76n, 85n, 95n, 96n,
Malcbranche, li 179n. 1o6n, 107n, 32,n, 353n, 3740, 3750,
Malinowski, II 428. 457n; II 12n, 158n, 1890, 249n,
Malmbcrg F., l 4140; Il 108n, 275n, 276n, 277n, 278n, 279n 28on,
139n, 18211, 278n, 279n. 283n, 285n, 287n, 288n, 2890, 29on,
Mandrini T., I 403n. 29m, 296n, 2980, 1oon, 303, 637n.
Manck J, li 91 m. Meurers J., II 16on, 16m.
Mann W., II 8950. Michaelis W., I 366; Il 79.
Mann - Tiechler G.V., Il 'orn. Miche! O., II 8m.
Mansi, I 34n, 390, 176n, 23on. Michele Cerulario, I 2.17.
Maostein B., II 527n. Michele Serveto, I 248, 249.
Maquart F.X., II 806. Michl J.. II 724n, 73on, 737n, 746,
Marce! G., II 286, 31,, 321. 748n, 752n, 757n, 762, 765n, 769n,
Marcello di Aocira, I 202n, 22,0, .u7. 777n, 783n, 786n, 79on, 792n, 8o5.
Marchel W., I Son, 8rn, uon, 1390, Mib'llens M., II 956n.
i44n. Mildenhcrger F., H 101n, 917n, 92on.
Marcionc, J 129n, 3,,n, 388. Millcr A.. li 95on.
Marco Aurelio, I ,1; Il Son, 167n. Minon /\., I -1020.
Marcus W., I 2020, 203n. Mirgeler A., Il 82511.
Maréchal J., I 2rn. Mittelstrass J.. li i '7"·
Marheineke Ph.K., I 2,2. Miuerer A.. II 2un.
Maria Dell'Incarnazione, I 183, 403. Mohler JA., I 274, 274n; Il 57on.
Marlé R., Il 868n, 869n. Mohr, Il 428, 4 JO.
1\ilarmion C., I 402n. Melina, I 379.
Marsch W.D., Il 18911. Moltmann J..IT 89111.
Marsilio Da lnghcn, I 269. Monden L., I l' 1n.
Martino, II 274. Montagnes B., I I 98n.
Martin - Achard R.. li 89on, 939n. Moore G.F, Il 254n.
Martino I Papa, I li 240, 245. Moraldi L .. Il 952n.
Manschonc Ch., Il 129n. Moran W.L.. Il 63n, 94on. 94m.
Marx C., I 29; Il 465, 531. Moraor. Il -138.
Marxsen W., I 112n, 124n. Morenier E.. li 314.
Massimo il Confessore, I 245. Mor~cnstern _I., Il 9290.
Mauco J'Acquasparrn, II 162. Mori. Pon1gibaud C. De, I J75n.
Mayer R., Il 903n. Morrow G.R., Il 2-1611.
Mead M., li 428. Molte A., I 376n.
Mecstcrs J.H., Il 949n. Moudrc~enes P., Il 16rn.
Mchlmann J., li 67m. Mouroux J.. Il· 166n, 1;on, 48m.
Mcincrtz M .. I 1,sn. Mowinckcl S.. 1 327n; Il 62n,
McinholJ P., 11 9911. 824n, 90411, 931n, 932n.
Meycr B.J ., 11 97on. Miihlen Il., I 1 r m, 11 in, 115n, 127n.
Meyer R .. Il 9pn. 155n, 156n, 266n, 4170, 418n, 427n,
Mcvcr W.. Il 16611, 255n, 25611, 2un. 448n, 455n, 459n.
Meiantonc, I 249; li 683. M11ilcnbur11 J., II 630.
Meber E.. li 1010. Miill~r M.. TT 12in. q9n, 109n, inn.
INDICE ONOMASTICO

4,7n, 891n, 928n. 196, 199, 200, 201, 208, 219, 225n,
Murphy R.E.. li 934n. 236, 403n; Il 120, 1210, l)O, 165n,
Muschalek G., Il 208, 888n. 167n, 197, 269, 270, 544, 546, 562,
Mussner F., I 363n; Il 78n, 8m, 572, 672, 774, 832n.
.8~n. 86n, 9rn, 107n, I95n, 902n, 949n. Orlinsky H.M., Il 918n .
Ortigues E., II 1010.
Orriz De Urbina I., l 2 J in
N ,Osio Di Cordova, l 223.
Ono Sr., I 273n, 4}5n; Il 17on,
Nebel G .. II i60n. 197n.
Nemesio di Emesa, II 171, 276. Ono W.F., II 245n.
Nesde W., Il 258. Overhagc P., I 318n, 471n; li 38n,
Neuenzeit P., Il 166n. 470, 183n, 186n, 217n. 223n, 28rn,
Neuhiiusler E., I l22n, 1340, 139n. 324fl, 6I3J1.
141n, 142n, 144Jl, 354fl, 3550. Overzier E., Il 415.
Neunheuser B., Il 7320, 783n.
Newman M.L., II 938n.
Nicodemo, I 34. p
Nicolas JH., I 4170.
Nicolò da Cusa, Il 99. Padoin G., II 136n.
Niedermeyer A., II 185n. Paillard J., I u;n.
Ni=l W., Il 1o8n, 1380. Panikkar R., I 107n; Il 8780.
Nietzsche F., I 26. Pannenberg W., II 105n, 166n. 267n,
Nilson M.P., Il 2450. 290n, 2920, 309n. 866n, 888n.
Noach H., II 101n. Paolo Di Samosata, I 210, ·214.
Noack B., II 7930, 9480. Paolo IV, l 250.
Noeto, I 211, 221. Pascal B., I 30; Il 314.
Norden E., Il 78n, Son. Passaglia C.. 1 273.
North C.R., li 32n, 8920, 9480. Pastore di Enna, II 150, lJ5, 19rn.
Norh M.. I 3uo, 315; II 320, 62n, Patfoon A., I 376n.
913n, 915n, 9180, 92on, 922n. Paulus H., II 745n.
Norscher F., Il .i56n, non, 894n, 89sn. Pavlovsky Y., II 932n.
9400, 95rn. Pax E., II 727n.
Novuiano, I 1~ • .io.in, 217, .118, 23.i Pcakc A.S., II 25on.
Niibel H.U., II 92on. Pederscn J., II 25on.
Nuyens F.J.. 11 .inn. Pegis A., II 2nn, 276n.
Pcla,io, II 202, 674.
Peli K., II 765n.
o Pcscb R., I l32n, 136n, 4J,n.
Pccavio, I 218, 273, 402, 406; Il
Obcrndorfcr D .. Il 8220, 8.i,n, 826n. 164'1.
Obcrrhiir F., li 116. Petcrs H.. II so2n.
Odcbcr11 H., Il 910. Petersdorff E.V., Il 812n.
Oeing · Hanholf L.. II 833n. Pererson E.. fl 5.15n. 7830, 71160.
Ocsterrcich T.K., li 806. Pétrcmcnt S.. lI 246n.
Oliveira H. de, II 2l!in. Peursen C.A. van. Il 247n, 248n, 2nn,
Olivi P.G., II 282. 279n, 292n.
Omero, I 27; Il 24,. Pfammauer ) ., I 369.
Onians R.B .. Il 24,n. Pfcilfcr R.H .. Il 886n.
Onorio AuMuscodunensc, 273. Philipon M.. I 402n. 403n.
Onorio Ili, Il 446n. Philippe Th .. Il 152n.
Orbe A .. II 54,n. Philips G., I 402.
Oriacne, l 17on, 172, 176, 1R9, 195. Picard M., Il 1om.
INDICE ONOMASTICO

Pidoux G., Il 2,on. R


Picper J., II 121n, 499n.
Pietro Lombardo, I 26.J, 26,, 268, 409, Rabc: V.W., II 9,on.
4,,n, 4840; Il 115, 16,, 274, 'S47· Rabc:ncck J., Il 1 \on.
565, 683. Rabut O.A., Il 48on.
Pietro di Poiticrs, I 4350. Rad G. von, I 87n, 3orn, 31on, 32on.
Pigsc:. Il 68 t. 348n; II 320, 33n, 48n, 5on, 6on,
Pilgram F., Il 4720, 488n. 61, 62n. 66n, 6711, 690, 72n, 74n, 76n,
Pindaro, I 28; Il 2.u. 77n. 8911, 109n, 145n, 156n, 176n.
Pio IX papa, I 25 \. 19411, 195n, 25on, 2530, 4700, 47'"·
Pio VI papa, I 254n. 477n, 481n, 488n, 489n, 539n, 54on,
Platone, I 22, 26, 28, 47, 56, 1o6: 741n, 742, 790n, 793, 88Mn, 907n, 94911.
II 46, 80, 129, I J5, 147, 151, 1560, Rahncr K., I 11n, .un. 79n, 96n, 1o6o,
1,7, 167n, 24,, 2560, Hl. '"43· 1130, 1150, 1180, 1,50, 2810, 2820,
Plessner H., li 286. 283n, 318n, 362n, 36,n, 371n, 374n,
Ploser O., II 891n, 934n. 38o, 381, 386n, 388n, 39in, 395n,
Plotino, I 29, 10. 47; II 115, 247T1. 401n. 402n, 4030, 409n, 414n, 4160,
4/2, 'S4i· 422n, 436n, 441n, 4480, 451n, 454n,
Policarpo. I 18o. 47'"· 481n, 502; II 120, 17n, 21n,
Poli W .• II 8ron. 24n, 27n, 30, J+n. 38n, 47n, 106n, 118,
Pompona:a.i P., Il .zK.z. 125n, 126n, 153n, 1540, 1820, 183n,
Poppcr K .. I I K20n 186n, 189n, 217n, 223, 225, 227, 231,
Porfirio, I \u. 232. 233, 2.un. 237, 2750, 276, 28m,
Portalié E .. li 1K~n. 284n. 2890, 290, 293, 294n, 295n,
Portcr F C . I I 2 ~411. 297n, 3oon, 301, 312n, 324n, 474n,
Pon,_.ou~ :-.=. \X'. 11 <>ZX11. 572n. 577n. 6o4n, 6o7n, 613n, 623n,
Por::n.mn :\.. I I 4660. 617n, 705n, 71111, 721n, 72,n, 727n,
Poruhtan S1.. I I 937n. 939n, 941n 72811, ;-70, 775n, 77711, 779, 785n,
Pollerie I. c.Jc la, li 6o 1 n. 7900, lk>5, 811n, 822n, 846n, 8610,
Pn11ter M .. Il 7o,1\n. Rn,. 862, 86.Jn, 867n, 877n, 888n.
Prassea, I 21 1. Rahtjcn B.D., 11 9180.
Prat F., I 36o11. Raimondo di S.bunde, II 98.
Prenter R., II 1nn. 179n, 567, 684n, Randdlioi R., II 9,on.
827n. Ratziof!Cr J., I 96n, 1o6n, 118n; Il
Prepostino, li 565. 125n, 171n, 196, 262n, 474n, 4790,
Prestigc G.L., I 37J· 838n, 84on, 858n, 879n, 888n.
Priest J.F., Il 94on. Raubc:r, Il 416.
Proclo, I 261; Il 1 35, 162. Rc:cheis A., Il 765n.
Prockich O., I 14.z.n; li 11on. Red.ing M., II 481n.
Réan<>n T. De, l 2270, 402.
Prudenzio, Il 545.
Reicke B., II ,2n.
Pruemm K., I nn
Reiekc B., II 78n.
Prnmm K., II 2450. Rcinisch L., li 82on.
Pnywara E., I 4on, '4; II Rciser W., II 252n.
Renckens H., I 940; II 270, 38n,
47n. 5on, 91n, 438, 556n.
Rendtorff R., II 7rn, 886n, 888n, 902n,
Q 928n.
Rengsmr( K.H., II 439n
Quell G., I 8on; Il RC"taillcau M., I 402n.
Quanel, II 629. Rey~ns L, I 181n, 403n.
Quiricio, I 241. Rhine JB.. Il 808.
Quisrel G., Il 266n. RitTarclt• da MiJdletown. I 269.
INl•U'f', UNCIM~STU:O 9~7

Rk~ardo da S. Viuorc. I 265, 266, 267, s


268, 269. 48;-o: Il 11 ~­
Richard R.L .. I won. Sabellio. .111, 2u . .z20, 222.
Richtcr li .. Il q1on. •n111. Sahourio L., 11 952n.
RichtC'r VI.. I 4s70; 11 QOOO, 91sn. Sali-.mann G., Il 48on, 481n.
•non. Samain P., 11 7930.
Ki~I .l.. li I-i"'"·
87rn. S1t.1d1c7., Il 412n.
RiL~hn~n 11.. 11 C).in. Sar1tch R., li H 1.
ltu..~nhuhcr J..:.. I! l'lfun. l!f.f.n. Sarin.- J.P .. Il 189. 28<•. 2K;-n. 466. f.40.
Rin~n:11 li.. il <JS.Zn. «>4111.
ltinlclcn F ..J.\'., li lhoo Sassc H .. Il 8m.
Ri"lcr P.. 11 914n. Sayt:r=> D.L .• li 121n.
Rit5':hl A .. I zsz. Samcr G .. li 27~n.
Riner A.M .. I 2:\m. Sl·arhcrt J . Il 2j.5n. 888n, 8'J9n.
Robert A.. I 297n, .. , 7n. H.Jll. s~·hac·tflcr K.. Il 1660.
RoherM da Ml'luo, 264n. ·HSn; Il Schacrc1· R.. 11 2.f7"·
2ì.J. Sc.-ha11zl..' \X'.. 11 .z son.
Robcrro Pullui<. I I z74. S.:hiir 11 , 8.z4n. 829n.
Hobio!On .J.A.T.. I 2,,.0: Il 1,7, Scharhcr1 J .. I 9,11. n9n: Il 2,1n,
2_.8, 26+n. 8~7n. 8880, 89on, 89111. 892n, 8940,
Robin!'<ln H.W .. Il 2'JC'O, 25in, ss,n 8950, 90\n, 90411, 9Q6n. 907n, 913n,
Rock J .. Il .+•7. 91,0. ()1611, 917n, Q.IOn, <)220, 92311,
Rodd C.S., I 1.28n. 9250, 926n, 9270, 9.d111, 929n, 93on,
Rodcwyk A .• Il 8o6. 9'30, 937n, 9180, 939n, 942n, 94411,
Rohdc E., li 24,n. 9jOl1. 9s2n. 9SSl1. r,ntin. 96111. 966n.
Rombxh H .. Il 2460. 1470, 278n, J09n. 97m
Rondct H., I 4020; II 'qo, '16n. SCharl E.. II 26811.
Ropcr A.. I I 86zn, 864. Schauf Il., I 4o6, +17.
RO!l«llino. I 242. 26_3. Schc:Jl Cl .. Il 92711. QBn. 934n.
Rosc:nmilRcr B., li non. Schttlx.'fl ~l.J .. I -4o6: Il .zo2n, -120,
Roscnstock · Huc111\• E., Il won. 47'5"· 682. 8o1.
· R01Cnzwcig F., II 1oon, H ~. Schcfkzyk L., 1 111 n. 1 5,.0, 2720, 274.
Rosmini A., I 2H, J7J, J82, -HO; Il 4o6n; 11 \on, JZO, •>zn, 101n, 103n,
I JO, 2 H. 240. 11111, 11211, 114n, 116n, 117n, 118,
Ross W.O., li 27,n. 12on, 11on, 17on, 17sn. 176n. 1770,
Rosuno P .. II 4IJ9n. 178n. 684n, 821n, 826n. 8J4n, 83.50.
Riisslcr D.. Il 93,n. Schelcr M., I J8411; Il 28,, 286n,
Rost L., Il qun, 939n, 94qn. Jl5, 81911, Kjj, 8\7n. 8380.
Rothc R., Il 11 7, 1 30. Schcll H.. I 371; Il 117, s.un.
Rougit!I' L., II 163. 84411, 848.
Roussclot P.. I 44. S.:hclli1111:. I 2 s 1; li r.p, 16~.
Rowlcy li.li., Il 8<,1on, 8940, 9440. Schdklc ~.l I., 15')11, 161n; li
Rufino, I 19~. 1010.
Kufnl..'r V .. II 4Mn. Schclskv E. II .+Jo.
Ruh K.. I .z;no. Schcnk•· 11 :\I., Il z<o811, .it>911. 27 in.
Rui1 B dt· .\l.u11.·ya. 1 4 •;- S.hcrcr L. Il +2S. 449. -461. 8.i8n.
Hup\.'l'IO di Dl·u1z I 2;-1. 2;2. 27~; Sd1il'F"<= l'.,l I 70, 1M. .pi;ln. 41on,
11 J14, Il~ 45an, -.Hn; Il :-•1<>11.
I{ llSI I. ( . . 11 8~, !l ~.hilùcnbct>:.:r I.. 11 .J;'\11. 7~.J. 762.
H.1..t:-1 .. ...- .-\ .. 11 :-0.!'1:1. !!•1\n. y~""· •i.un.
Ruyshroc:"· G .. 1 11'11, '4"'· ~-h illc:bc:cc lo;. L.. ~;"(li\. li;': 11
Rvbino.ki J. li 7-+'- 1,1211. I 1R.
Russd n S .. JJ Q\4n. Sc:hiUinte O.. Il K1.120. Q<JOl1, q1on.
ÌNDICE ONOMASTICO

Sc:hindlcr A , I · Il 499n. Schundt K.D., Il 8910, 917n.


Schlcgcl F., Il 163. Schurr V.. I 26on.
Schlcicrmachcr F., l 2p. Schii12 C., Il 331.
Schiette H.R., l 96n, io7n; Il Schiitz P., II 1orn.
247n, 274n, 489n, 867n, 879, ss,n. Schwarz Ed., I 208.
Schlicr H., I 86n, 87n, 1un, 116n, Sch1nrz R.. Il 272n.
4J7n; Il 48n, 94n, 168n, 263n, Sch,vegler Th., Il 38n, 438.
266n, 439n. 441n, 724n, 7,1, 7'2n, Sch1a•ci1zcr A.. 11 26on.
7,7n, ;,sn, 762, 763n, ;64n, 77'"· SchwcizCT" E., li 24,n, 247n, 248, 249n,
n6n, 781n, 78,, 7116n, 97on. 2,20, 256n, 257n, 262n, 263n, 264n,
Sdm1aus M., I 16n, 2,9n, 402, 408, 26;n. 268n.
4'9n, 467n; Il 101n, 113n, 1\JD, Scoro Eriugena G.. I 262, \;Il, 379;
13o1n. r un. ,suo, 771n, 776n. Il 114, 116, 198, 68o, ;;o.
Schmid H .. Il 896n. Sccklcr M.. I 123n, 376n. 435n: Il
Schmid .1 .. l 76n, 141n; li 2,90, 118n, 119n, 121n, 124, 12,n, 126,
262n, 944n, 9,2n. 1nn. i66n, 16711, 169n, 1700, 277n.
Sc:hrnidt K.L., Il n7n. 278n, 482n, 86,n, 88on.
Schmidt M .. li 117n. Sccbcrg R.. I 229, 25;0: Il 2670.
Schmid1 W.U., li 42n, 94n, 9,n, 96. Scemano M., Il n2n, 775n, ;86n, 787
97n, io,n, 147n, 148n, 178n, i83n. Segai J .B .. Il 948n.
184n, 187n, 2,on, 211n, 2,2n, 2,3n, Seihd W .. li ,s,.
421. Scifcrt J.L .. Il I'1n.
Schml1h1l1 W.. I 1,on; Il a66n. Sckinc M.. Il 8850, 939n
Schmltt G., Il 914f1. Scllin E., Il 28n.
Schmitz C., 11 8c)9n. Scmmclroth O., I 9,n, 397n: l1
'&:hmuck K.D., Il 91,n. tOIO, 102n, J28n, 78,, Bun.
Schnackenburg R., I n3n, 116n, 1280, Senofonte. JI 1;4.
171n, }470, 3640, 36,, 4,IO; Il Scr1pionc, I 177, 1;8. 2H
263n. 2660, 8110. 88,n, 8910, 8920, Scni111n,es A n., Il 16~. rAln. 184.
9700. 2J6n, 23;n.
Schnciemclcbcr w.. I 13 IO. Scvm5tcr J.. Il 244n.
Schncidcr G., li 910, 9m, 1030. Severo di Antiochil, I 211.
Schneidcr J., I 26,n; Il 932n. Sforz1 P1llavicino, II ,c..,.
Schnicwind J., Il ,9110. Siqmund G., II 2390.
Schocps H.J ., li 9211. Siam di Bnb.ntc, II 162.
Schoncvàd J.• 11 92311. Silvatct B., Il 114.
Sc:hooucnbcrg P., li t66, 1780, 1830, Siewuth G., 1 jj; Il 101n, 139n.
228n, 2370, 71,, 8Hn. Simon M., Il 9z2n.
Schòpl H.J., Il 9000- Simone (Mqo),' 1 147n.
Sdiaon A., Il 6930. Simone da Toumai, II 2740.
Sdiotaoll VI.. Il 9470. Simplicio, II 162.
Scinder C., I 2n. Sincsio di Grcnc, Il rn.
Sdueiner J.• Il 680, 2,10, 2'""' 2,6n, Slniud L, Il 9,2n.
6910, '9:Jn, 90,n, 9210, 922n, 92.Jll, Sjèlbcr1 E., I 142n.·
M7Do 9490. 9,10. Smcnd R., II 918n, 918n.
Sdnak G., II s,on. Smisina T., I 2,0.
SdwML o., Il 4690. Smuldcn P., Il 236n. 23711, 2390, C..,;n.
s..bcrt K.., II 2,7n, 9nn, 961n. 698n.
Si:ha1s B., II 122n. Snijdcn L.A., Il 939n.
Sc:buhe R., I 107, 413, 431n. Sodcn W. von, Il 9040.
Sc:bala H.J., Il xo'°. Sogio JA., Il aa,n, 886n, 917n.
Sddl B., Il 12211. SCihaaen G., I 4JD, 61n, J7,n; n
Sct.k S., II J66n. 101n, 103n
INDICE ONOMASTICO 999

Solovirv W .S., I 23; Il 117. Tcodolfo di Orl~ns, l 24,.


Sommers H., 11 a7an. Teodorcto di Ciro, Il in.
Sozzìni F., I 2,0. Teodoro di Mopsucstia, l 17on, •n.
Spadafora F., II 693n. 1740.
Spacmann R., 11 r29n. T~to, 1 2o11, 210, 220, 221.
Spe111:er H., li "6' Teofilo di Ami11d1ia, I 20.1, 204, Jo8;
Spit"<I C., Il 9 ,6n. Il I }jR, I ,O.
Spinoza, 1 J ,o; Il 179n. Teresa d'Avila 1., I 182.
Splc:11 )., Il 1160, 12.3n, 1 ,8n. Tcr1ulliano, I 11on, 1;-0, 179, 189, 196,
Staab K., Il 159, 772n. 202n, 207, 208. 209. 216, 217, 218,
S111c:rk W .• Il 8900. u,n, 212. 2u. 244, 246, 371; li
Stiihlin G., li '910 141, 142n, ''on, 197. 169, }ltn, 444,
Stamm .I.)., ai '49· , .. ,. 671, 76g, 8320.
Staudccnmaier Pr.A., I 274, li 116. Testa P.E .. Il 9390.
179. Thcilhard dc: Chardin. Il uo, 165, 186.
Staullcr E., 1 11 30, 3620; 11 798n. 1890. 221, us. 610, 821.
Stcck K.G., Il 88,n. Thcunisscn M.. Il 1oon, 10,n, 18711.
Stecnberghm F. van, I 179· 2920, \()CIO, \JJR.
Stcinbiichd Th .. 11 uµi. Thidic:kc: H .. Il 10\n, 4810, 488n, 49'1'•
Stmzcl A.. I 1nn. '01n, ,nt.n, ,o;n. R2~n. K12n, 844n.
Stc:phan Il .. Il 117n. 848.
Stcphen W N.. Il 429. Thic:rry di C.harn~. I 26'; Il 114.
S1ic:r F. 11 7.f'· Thils G .• li 4710, 492n, 49JO.
~toebe H.l. 11 8&8n Thoma .1 .. Il '''"·
Smeckk A.. I nn; Il 617n. 6,2. lbomassio L., I 2n. 4o6; Il 116.
83,n. R4,n. R4Rn. Rffn, R;~n. 8;qn. Thompson RJ. Il 9,211.
881. Thumwald. Il 428, 429.
Swhr A., I 266n. Thiitin11 W., I J48n. u9n.
Sroh A.. I 4o8, "67n; Il ,1,n. Tillich P., I 2,4n; Il 10,n, 614n.
Srns5c:r S.. 11 286n, 288. 8200, 821n, 8220, 823n, 8Jon. 86711.
Stritc:r C. I 409n, 417n, 448n. 868n.
Strathmann H., Il 97on. Tischnc:r R., Il 808.
Strams S. Fr .. I 2,1. Tolomeo, I 2o8.
Srmn A.V .. Il 89on. TommaM> D'Aquino IAquinarc:), I 22.
Stufter J., Il 201n. 16. \7. tll. 4on, 42, 46n, ,4, 26;. 268.
Stuhlmachcr P., Il 26on. 269, 376, t77. 578, }92, l9'· )!)6,
S1uhlmuclkr C, Il 887n. 409, 4n, 4810, 48;n, 488n, 492, 496.
Stuibcr A., I 172n. ,oon; Il 98n, 1000, 1o80, 110, 11,,
S1ummcr F., Il 7490. 118. 12on, 121, 121n, 122, 123, IJ.411.
Suarez. Il ,SJ, 8o T • 12,0, uqn, 1 \1n, 132n, 1 nn. 136.
SulKlnr, I 403n. 1370, 1J9, •on, 111, in. 161. 167.
S)·kes J., Il 94 ;n. 1710. 181n, •h. 198, 199, 200, 21sn.
Swc:izcr F.., I 171n 216n, 2JQ, z7,, JI\, J•4n, J49, JS9·
,a,., 414, 4''·418, '"'"· 461, 462.
467, 471, ,18, ,6,, 584. 6o3, 6oof, 6o6.
T 627. 61z. 68o. 707, 767, 770. 774.
8oon. 8o1, 821, 11, ..
Taylor A.E., Il 1460. Toonics F.. Il 499fl·
Taylor V.. Il 2,90. Tournay R.. I n4n
Taymans D'Eypemon. I 4010 Trcmbla R.. 11 11 '"
T1k1c:, Il , ,6n. Trnmonranr C... I \72n; li 32n, 101n.
Taziano, I 2n2; Il 11 1. nnr • \7n. 102n. 142n, 15on, r,2n, 164n, r7Rn.
no. Trillinj! W., Il 9;00.
1000 INDICI! ONOMASTICO

Trimborn, Il 4.19. Volk H., I 49.in; II 118, 18;n,


Triniu! Ph. dc la, Il 8oon. \z8n, H9. '67, 684n
Troisfontaincs R., Il 6o7n, 64 in. Volkcr W .. I 40Jn.
Triib H., II 8l8. Volz I'.. I 146n.
Triisch J.. l 417n. Vorgrimlcr H.. I 76n, s,n,
Tsn·111 M., li 9.i.in. 1o6n, 107n, Jl)n, ")7n;
Tiichlc H., Il ll11n. 47111. 894n.
Turmt·I _I. Il 76,n, 766n. Vric1.en Th.C: .. ll.ln; H
890n, 928n.
\'nippen J_ Jc. Il '61
u
Ugo da S. Caro, li 565. w
11110 di S. Vinore. I lli4; Il ')8n.
99. 114. l\/n. 274. llJ7n. 8.i9n_ Wa..-hrcr L, Il 8yon
Ulri.:h F. I H; Il 4oì. Wagner li .. li 287n, ;.i rn, ;nn. ;86n.
lllrko di Strnshur110. I .il'ilt. Wallis R., Il 166n.
llnnik w_c_ \'811, n Jf\6n. \':'11hcr T.A .. Il 418.
Unacio. I .1.16. \X'am11eh \' .. I J62n; Il 94'"· 97on.
lhz F .. II 46lln. 4;\n, 1non. '"'"· Wrher O. Il 6,n, ;tn, 165n, 1;4n.
Weier C .. Il 47"11·
V \X'cinfeld M., Il 61n.
Wciscr A.. Il 62n. Kll6n. q1 sn. qun.
Vacani A., (I 766n. 768n. 9Bn.
Va11RRgini C., I 17nn. 17.in, 173n, 178n; Wci~!'C C:hr I I.. 2 '2
Il 471n. Wclch C., I 492n.
Valente. I .1.16. Wcllhauscn. Il 11. \an. \2, 14n.
Valmriniano, Il z6<,. Wrhc 8., I 174n. 4.12n; Il un, 16n.
Valcniino. I 2011; li 141. .i rn. z4n, i~n. 126n, q9n, 291in. ll41n.
Vandcur E.. I "o.in. Wrlty E.. li 467n, 4i2n.
Van Dobschiitz. Il .161. Wc:ndland H.D .. I 1 ,.in_
Vanne;tc A , Il 6117n. Wrmcr M.. I 190, 19on, 191.
Varronc. I 10. \'<'encm1ann F..C. Il 184n. 7-4011, 89rn.
Vaux R. dc. I 11 sn; II l 111, pn. Wrrrn (;., Il 117n.
887n. 917n. <1llln. <1s2n. Wctzrr. Il 84an.
W1~·1cr B.. Il q27n. Whitlcy C F. U 9l8n, 9+411.
Velia J.. Il ""'"· Widcngrcn G., Il 266n, 887n.
Vcrcno M.• Il 8s8n. 11,11n. 86\n, 877n. Wicland W., Il 162n.
Vcrhocf P .. Il 8q111_ Wic.'ner C. Il 94111_
Verpaalm A.P. Il 46ìn. 476n Wijngaards _I.. Il 90-4n, 909n. 949n.
Vern-hucr O.v .. Il 448n \'(likl"nhau~er A., I I nn; li 441n,
Verter A.• TT 1nn . .J7lln. 496n. ì99"·
Viallet r A. Il 112111 \"(1ilamowi11 I I_ \•on. 11 .146n
Via:dom G .. 11 116;-n. \''ikkl"n• IJ. I '''": li 90.in.
Vina:nt H.L., Il 74,n. Wil<la G. Il 92on.
Virf!ilio. I w. Wildherj!l't li , li ""42.l. 904n, 91,n.
Virirulin O .St.. li q.p n \"('ildmann (; . li -1<>. n
Vi~her \X' .. 11 -,n, 110. non. 111n. \"<'ilh~ I. I -J•~n. ~11\n, -ti/n. 4H"-
Vinorc I papa. I 220. \"('illwoll A .. I lh-J
Vimm· di M11rsii:lia. T1 1114. \"('il«>n l{.M , Il ,M~11.
VIA"°' C. _ 1-16n. \"('in11ren <~-- Il ,~n. c,,111 • • 1.in
\'oi:t 11.. Il 1 e.on_ \X'inklh<•kr ,\ . 11 ; 2hu, ;•·~n. ;·tM), ~'"
Viiµtlr ,\, \Hn. H4f1; Il 16611. ~~1n. :--.-~11, ~~(111 ;;--;1, ·7.,, ;·S1J,
4q1n ;-MQn. -l,r·· ~. "'1• \ ""•l, ~:,,o•i
INDICE ONOMASTICO 1001

Wolfc T., Il 826n. Zahn Th., I 3,,n.


Wolff H.W .. I 31 Jn, H.+n: Il 68n. Z&hringcr D., Il 724n, 789n, 1k>9n, 814
znn. 886n. 894n, •128n. Zamora ti., I 2,0.
W<ilker W , Il 2,6n. Zcllirìno Papa, I HO.
\'<'ollas.:h H .. 11 .+94n. Zcller H . 1 171n; Il l46n.
\\'olpson Il.. li 2,1m. /.eman I .. Il 7o,12n.
\1C'oudc A.S. \'an der, ti •Hrn. <1!>111 Ziegler J., Il 4340, 7450.
Woudstra M.11.. I I <1~on. l.immcrli \1C' ., 11 bt\n, \14"· '!;n, 244n,
\1C'unwc:in E., 11 91Kn, '14.+n. 2,3n, 255n, 888n, 909n, 914n, 938n,
\1C1ust P., Il \I). o,l+Jll.
Wyu D .. li 84lln. Zimmcrmann F., Il 420.
Zìmmerm1111n H., 1 11 3n.
z Zirker H., li 892n, ~7n.
Z•ifkovits V., Il ,03n, ,04n.
Zacharias G.P., Il 81on. :IAJmkellcr A., Il ,s,n.
Zahm P., li 220. Zwìnglio, I 249; li 6!12.
INDICE ANALITICO

tiella l e 11 parte

rnn patriarchi, 319 ss.; Il


939.
Adamo (cfr. monogtnirmo, poligenismo), nmura dell'alleanza, II 593, 624 ss.,
11 4n. 559, 661 ss., 669-6n, 677 u., 9o6, 908 s., 914, 917 ss., 94' s.
687 s. JiiMm l"Ome scopo dcll'alieanza, Il
come «capo moralu dcll'umanill, II 940 s.• 967.
682. del Sinai, 1 \U; II 40,61, 904 s.
e Cristo in Paolo, Il 66' s. statu10 dc:ll'alleanza, I 288, 323.
11razia di Adamo, Il 56211., '71 s. stipulazioni dell'alleanza come rioosti·
immortalità di Adamo? II ,so s. suzione dell'unione tra Dio e l'uo-
peccato di Adamo come! fonte dcl mo. Il 488.
peccato originale, 11 696 s. 1eologia dell'alleanza. I JI6.
somiglianza divina di Adamo, Il '46.
Amicizia, II 291, 3161., }24·
AlbiRCSi, Il 16,.
Amore (dr. rtlniont io-tu, uomo comt
Alleanza (cfr. crt11ziont t allt1mia). persona).
di Abramo, Il 61, 8,8, 896, 899, come forma delle virtù morali, Il
905, 946. 59,.
benedizione e maledizione come HD· conoscenza di Dio come conosccoza
zionc dell'alleanza, Il 68. sperimentale dell'amore divino, I 49.
circoncisione come segno dell 'allean· dei nemici, I 125.
za, II 967. differenziazione dell'amore in amore
comunione di alleanza come storia, I per il prossimo e per l'Assoluto, I
316. 21.
concetti della co)ldoua conforme alla esclusione dell'amore ad opera del
alleanza, I 330-341; II 940 s. peccato mor1alc, Il 626 s.
tmtt, I n1; II 941. interpersonale sulla base della comu·
/Jtstd, I 330 s., n2; II 941. ne na1ura umana, I 2,.
(dàk4h, I 336; Il 942. soc:ialc come forma anticipala dcl·
contenuto nozionale dell'alleanza, I l'amore dcl prossimo, II 484 s.
3141. e teolQRil 1rinitaria, I 411, ,oo.
culto dell'alleanza (dr. culto).
forme del patto di alleanza, II 63 s., Amore di Din, I n1-336, J,6, :Jj8,
9\9 s. 369, 399.
formulario dell'alleanza, II 63. alleanza d'amore fra Jahvé e Israele,
Israele come popolo dell'alleanza, Il I H4·
1166 ss. come attribu10 eHenziale spccificamen·
.fahvé, nome di alleanza, I 313. te divino, I 3,6, 362, 365, 388 s .
di Jobvi' come un'unione matrimo- e aurocomunicazionc di Dio, I 47' s.,
niale, I B7· 480 S., 482.
con Noè, I 55: Il 68,857 s., 939. come RCneratorc di comunità, I J6o.
nuova alleanza, II 9~9. come mo1ivo della creazione, II
come ordine della salvezza, 11 1)1 I,
63, 938. Jll'r i pcccaturi. I 120. Hl; Il
obblighi derivanti dall'alleanza, t11 i·
\2.j. cnme ra11inne 111ri111.1 .lrlla condona
INlllet: ANAl.ITICO
1003

di Dio nella storia della salvezza, denominazioni degli anaeli od N.


I 164 S. T.. li nt-
" la O.ina, II 156.
Analogia.
e la parusia, Il n:; s., nR.
analogia en/IS, l 4~; Il in, 370- liturgi• celeste degli angeli, n
380. SSo.
ibl s.
:ma!Oj!ia fidà. ~8(.; Il t H potenze e dominazioni, in Paolo.
conoscenza analc,:ica di Dio, 1 386;
Il n7 ss.
II 294. rappono e-on l'incarnazione e la
di tipo e anritipo. Il 892, 902 i. .• risurrezione cli Cristo, II 7H ss.
910.
rappresentazioni a1111elicbe dell'Apo.
in Tommaso. u; s. calissc. Il 762 ss.
Angeli (dr. 11ngelologi11I. riferimento degli angeli al mistero
apparizioni degli a., li 770. di Cristo in Paolo, II 761.
co~ e wlontà degli angeli llC- servizio di messaggeri, Il n 1 ss.
condo i padri e la scolastica. Il •urordinazione a Cristo, li ni,
77os. 7'9 s.
crcaruralità degli a., li 766. numero Jegli a .. li 77t s.
custodi, li 784 s. ~"'°nalitìi degli a., Il 77 5 s.
e autocomunicaziooe cli Dio, I 47'. prova desii 1., Il 77J s.
esistenza degli a.. li 726, 7 '3 s., e Spirito Santo, 11 78o.
76,. 'Pnitualilì degli •.. Il 765 ss., 769 s.
gerarchia degli a. secondo i padri, Il e storia della sal\'czza (dr. A11ge/1
771 ~- "tll'A. T. t N. T.).
grazia degli a., Il 774. accompagnamento d"!ll'opera Sllvi-
grazia di Cristo, I 47~. 779. fica di Cristo, Il 78o s.
imponanza dell'angclalogia <!cl tardo comunicazione dqli mgeli, II
giudaismo, I 198 ss i75 ss.
momento della creazione dqli 1., li lode degli angeli. II 786.
768s. nrdin1mcnto a CriS!o, 11 778 ss ...
natura degli a.. Il 769. 78t s.
nell'A. T., li 737-no. rapporto con Dio. 11 77' s.
•angelo inu:rprcte•, Il 7-411. rappono con il cosmo, Il 776 s.
1n11cli e mcssal!8cri, II 738 ss., servizio alla Chiesa, Il 782 s., 786.
7·H· 748, no s. servizio ddl'alleanza, li n7 1.
appellativi degli angeli nell'A. T., Angelo di Jahvé, I 82 s., .z911.; Il
Il 7_;8 s., 748 s.
740-745.
Cherubini e Serafini, 11 74' s.
dipendenza da Jahv~. Il 740, 744 s. 1\n11clokgia (dr. anf,tli).
funzione cosmica, Il 750. dichiarazi::ini dcl magistero, Il 766 s.
idea dell'angelo cuslodc nell'A. T .. e antl't'polcgia II 2n, 731.
li 741!. e cristologia I 47'; Il 730 1.
innussi ex1rabiblici, Il 74' ~s. funzione di •garanziu e 'M-lciriva'
lode di Dio come funzione degli an- della rivelazion~. II 727.
i:eli nell'A. T., II 746. importanza • relativa dell'angelologia,
numero degli angeli, li 747. II 729.
unlini de1di angeli ncll'A. T., II in Tommaso d'Aquioo, li 767 s.
749 s. principi ermeneutici, li 7 \o.
svih11>po <ldle raps:"rescntazioni de- prohlc111n11cu odierna, Il 721-729.
t1li an11eli dopo l'esilio, II 746 ~· <lt•mirolo11izzaziune?, li 726.
N. T.: li no-764. morivi della crisi ddla fede m:gli
come mC'ssa1111cri dcl giudizio nel an11eli, 11 7 2 5 s
N T. Il 7/i,. problt'ma1irn della 411t•s1ionc circa
1004 INDICI! ANALmco

la naNra degli angeli, II 733. come cluogo teologico•, 11 11 ss.


problematica delle asserzioni bibli- della prima scolastica, li 273 s.
che circa 11li angeli, Il 728, 7'3 s. della gnosi, Il 266.
questione circa l'incontro esistenzia- di Agostino. Il 271 ss.
le con gli angeli, Il 725 s. di Paolo. Il 26o-26_5.
tcslimonianza della li1urgia, Il 732 s. dualistica nei padri, II 269 s.
tra11az1one storia>salv1fica degli angeli ellenizzazione dell'anlropologia bibli-
Il no-736. ca, II 267 s.
e storia salvifica escatologica, II J+t,
Anima 2.fQ.
cume principio che detennina la- na- necessità di una strunurazionr antro-
tura. Il 224 pologica esistenziale della reologia, II,
come soggettività dell'esse~ uomo, II 13-24.
288 s. somiglianza divina quale tema fonda·
creazione immediata dell'anima da par- mentale dell'antropologia, Il HO ss.
te di Dio, 11 222, 235 s., 239. svoha trascendentale-antropologica nel-
maggiore valutazione dell'anima nel la filosofia, Il 26 s.
pensiero greco, Il 24,, 2ìO- 1eologica e crisrologia, Il 24 ss.
cristologia come suprema ripetizi<>-
momento dell'infusione dell'anima, Il ne dell'anrropologia reologica, II
239. 26 s.
nefeI nell'A. T., II 2,0 s.
nessuno schema a una sola direzio-
origine dell'anima, II 269 s.
ne dcll'anuopologia teologica, par-
per sé forma del corpo secondo il
tendo dalla cristologia, II 26.
concilio di Vienne, II 282.
teologica e protologia, Il 27-30.
psyché nei Sinottici, II 258 s.
rapporto di anima ed escatologia in
Agostino, Il 272 s. Anrropomorfismi.
rappono di «animh, «sostanza» e I 21>3, 302,. 346 s., 390.
«Spirito•, 11 287 s.
subordinazione del corpo all'anima nel Apollinaristi, l 230.

libro della Sapicnu, li 2 '6.


Appropriazioni, 273, 462 s.
unica forma corporis secondo Tomma
rdazione ipostatica propria e relazio·
so d'Aquino. II 271-279.
ne iposrarica di unione, I .p8.
1\ninu, pn.:.:si,ten1.a dell', 11 2;0, 281. n·laiioni non-appropriate delle perso-
ne divine con l'uomo, I 417 s.,
Annientamento di sé, I 350. 42-1 s., 462 s.
Antico Testamento (dr. al/ean%a, Israele, Arianesimo, Il
legge).
t6+
come ·parte dell'unica Sacra Scrittura, anomei, I l2~
I 72. condanna ifa parte del Niceno,
storia della <alvezza veterotestamentaria 223 s.
come preistoria di Cristo, Il 5'1,J s. Jisputa ariAna, I 222-229.
Anticrisco. II 811, 87t. dourin~ di Ario, I 2 t 4 s.
omei. I 2H
'\:r1,1~ l(·~-r~r:~~1·. PIH~1u-..i:.1t1J Z2 5, i·~;
l!ìt:·,1:-.,,i.:c•un . . mo rL·l.Hi·~·t, 1!l'i OJPudo 11 ... i~11ifit•;ttn . . n:crioiogk:o tk:JI,, .:ont1 · ·
! '·' ~. ~ ~ 7" \.l\!., 1.,1·1 lar!:.1m:~1inu, I i;,;.
1Ì1 l'.;1 1...- .In~· 1. 11 :' · 1

l\n:11~p ... ì:·..!it1 !ctr (111fltn'('!/11 rtP1J1;~!1:w


o\i' 1 ,•1on.111 , t''• Vu,, .'c·ul.i;.',t'' ,•. ,, 1\s.11it 4-1tl.
dl'i Padre di Novazi.mo, 217 s .. ~7f'.
INlllCE ANflLITICO IOO:J

Assenza di Dio dal mondo, I 37of s. c·omunicazione del Figlio nello Spi-
riro. I +19·
Ateismo, l 1 .:; .
autocom1Ulic112ionc economica e im-
di metodo e dogmatico, Il 1 '7 s. manente, I 4'2·
e mistica 6losofica, I 29. aut~"Omunicazione di Dio e il suo

.\tti,·ità di Oio .id c•:<t•a. I 462 •. l'lfrno t'r<'~ln. I .+84


A1110rnm1tnir;11innt• l' mistero, I 473.
:\tti\•ità uni\'ersale ed esclusi,·a .ti Dio. •1110<-.mmnirnliol'M.' di Dio implica il
li 179-18~. modo piì1 intimo del creare, Il
I J9
Ano e potenza. li 293. aurocomunka7.lOne di Dio in causa-
r\miburi di Dio (ctr. modi d1 agirt' dr lirà qlt1si formale, I 427; II
• , ... 20ì-
Dio1. 1 279.399.
~lllOCOrn11nin7.ione di Dio in 4uanto
attributi che spettano a Dio per nc.:es-
,;,:; merafi<irn. in Tommaso. 1 377 ~ trina. l "'"'· 461.
'"rrispondcnza e conrinuitii nei du" auromanill'srazione pt•rsonalt:. I 426.
Tt:s1amenti. I J46-352. dul' motli dell'au1ocomunic12ione di
dichiara7.ioni del magi~tcro. 38o s Dio, I .. ;n.
Dio che j!O\'cma secondo t"SÌ~t'n7.r rolleitamcnro solo 111n1veno un de-
mou.li. i 288. creto di Dio?, I 471 s.
distinzione degli amihuti come quc- incamaziorlt' e miuione dello Spi-
>tione della teologia odierna. I 38o. ri10 come mon~n1i dell'unico 1u-
tlistin7.ione degli attributi di Dio in 1ocomunicazione di Dio, I 47z.
Tommaso, I 378 s. duplice mediazione entro l'autocomu·
distinzione fra attributi e modi di nicazionc. I ..z8.
agire di Dio, I 382 ss. ~posizione formale del concerto di
distinzione nellt' per.;one tra attri- aucocomunicazione di Dio, I 472. ·
buti personali " modi di 118irc libc- lihcrrà dell'a111ocom11nicazionc di Dio.
rameme personali, I 282. I .. 71, .fn.
e domina trinitaria, I .. 10. modaliril fondamentali dell'1u1ocomu-
nicazione come l'CritÌI e lrtKKe. I
Autocoscienza. 482 5.
ris1•cgliarsi dell'au1oco8l'Ìen7.a nell'es- •taxis» dcll'autocomunicazione, I 46~.
ser evocato dall'amore, 1 19 s. 4<>4. 4<>!!
Autocomunicazione di Dio, I 4+4 s. Aulodisponibilità (libcrr~)
acceuo alla Trinità attraverso l'asso· dt'lla persona di Dio, 282.
lui• autocomunicazione di Dio, l
6,, 414 s. t\utoprl'>entn7.ionr. formule di, I 30K.
accel razione: detl'autocomunicazione di 111. 324.
Dio, I 427. Autotrnscendl'nza della creatura, Il 1R6.
aspetto fondamentale dc:ll'autocomu· 2H 5., 2 ,s, ,2 3, 330.
nicazionc di Dio, l of7 5·482. della persona, II 323, no.
conoscenza e amore, l 477. delle forme di 1•i1a preuman<'. Il
inizio e fine, l 476. 226 5.
intima unità cl1·111i ~spelli fonda- principio che In rende pmsihile. Il
mentali, l 478-41!2. 225.
offerta e accettazione, I 477. rapporto della causa divina con quel-
storia e trascendenza, I 476. la umana. II 22, ss.
au1ocomunicazione rnnfnrme alla par-
1icolnri1à personale, 1 421.
aurocomunicazionc dcl Padre al Fi· B
glio, l 411, 452 s.
auiocomunicazione reale del Padre e Raalismo e Jahvismo, I 286.
1006 INDICE ANALITICO

Baianismo, II 199 ss., 629, 691. Chiesa


Angeli e Chiesa, II 78:z-787.
Baiiezianismo, II 613.
Chrùfus tolus, II 107,. 138, 167 s.
Battesimo, I 162.
catechesi battesimale, I 194· Ciclo
di Gesù, I 130. idea del cielo nella Scrirrura, II 738.
liturgia battesimale, I 173, ·193 as.
martiiio come battesimo, I 179. Comunione con Dio, I 363.
necessità del battesimo, II 689, 714.
Comunità (cfr. famiglia, prossimo, sto-
sorte dei bambini morti senza batte· la)
simo:
amore come scopo delle comunirà
asserzioni pre-tridencinc dcl masi·
umane, II 493.
stero, li 681 as. auronomia delle società profane, II
opinione di Agostino, II 679.
ul(edorc sviluppo nella scolastica, 493 s.
beni di comunione, II 49:z.
Il 679 ss. e' società, n. 499.
Battesimo, dci bambini, II 671, 689. fraternità, II 476, 492.
ideologie sociali, II 46, s.
Bontà di Dio, I 3-"· inlcrmedic, Il 498·,02.
mistero della Trinità come origine
dell'unità e comunità umana, II
c 471 s.
peccato e comunità, II 486-490.
Caduta, racconto della, in Gen. 3, II prmap10 di sussidiarietà,. II 480,
,oss. 484, 497, ,oo, ,04 s.
pscudo<oo:nmità, li 487.
Carisma, I 91. napporto del singolo con la comu-
operazioni dello Spirito nella Chiesa nità, II 466 ss. 47:z a.
primiriva, I 146, l ,o, 1,9 1., 163. redenzione e comunità, II 490 sa.
ruolo di mediatore dell'uomo per la
Carne (cfr. corpo, corport:ittl, ris11rrnio- comunità di grazia, II 6,6.
nt: della carne). importanza per la promosiooc dei
co~uo biblico, Il 2,1 s., 1'4 s., valori lklla persona, II .5001.
631 s. pericolo dell'egoismo di gruppo, Il
sarx-pneuma in Paolo, li 161 ss. ,02.
sarx-soma in Paolo, II 161 ss. valori della persona e della comu·
e corpo, II 1j7· nità, II 479.
valutazione positiva della carne in
I mic:o, li :z68.
Concupiscenza, II "'4· '63, 636 s.,
Castigo (cfr. conseg11enie del pecc1110) 678 s., 694. 710, sn. 861; 873.
CllStigo del corpo, li 9.2.J. concezione dualistiai errata, II 196 s.
del pecaito ad opera di Dio, II concupiscentìa in Agostino, II :z72.
613-617. essenza della concupiscenza, li 176-
il peccato casi iga se stesso, Il 578.
614 ss. spiegiu;ione della concupiscenza da
il p«ealO genera alrri peccali, II parie di Tommaso d'Aquino, li
615 s. 277.
pene temporali, II 620 '·
Concursus divinus, II 18o, 197 1.,
Causa 225 s., :z37 ss.
rapporln della aiusa divina con la Dio, fondamento uascendentc dell'a·
causa creata, Il 225 s. [:ire creato, Il 22 J.
INDICE ANAUTICO
1007

Confermazione, 177. tradizionalismo, I 35.


Vaticano I, I 39 s.
Conoscenza
e autt>comunicazione di Dio, I 477. Conoscibilità di Dio (cfr. conorcen:11 di
e teologia trinitaria psicologica, Dio).
412, 500. l'Ulloscibilità dcl creatore mediante la
ref/e.Yio rnmpleta, 22. raiiione, secondo il Vaticano 1, Il
1 51.
Conoscenza di Dio (cfr. con01cibilità di conoscibilità di Dio materiale e for·
Dio), I 19·17. male, I 40, '4·
chiamata di Dio nella società uma-
na, I 39. C..onservazione di'! mondo, II 176-179,
concetto di Dio, secondo la filosofia 474·
e la teologia, I 280 ss. Corpo (cfr. C"arnt).
L"Onoscenza concreta di Dio, I 386. biiJiir nell'A. T., II · 2'1 ss.
conoscenza di Dio come conoscenza come condizione originaria dell'uomo,
sperimentale o esistenziale dell'amo- II 289.
re divino, I 49. ' come simbolo reale dell'anima, II
conoscenza di Dio nel N. T., I 144. 276.
conoscenza di Dio per natura, I 33 1 creazione del corpo, II 222, 236 s.
50-57. deprezzamento del corpo nel pensiero
conoscenza naturale di Dio attra· greco, Il 24' ss.
verso il contatto oon le religioni qualità salvifica dcl corpo, II z96.
exmbiblichc, I 11-17. nlutazione nepùva dd rorpo in A-
conoscenza naturale di Dio e eti- ptino, II 11.72.
ca. I n s.
il discorso dell'Areopago, I 52 s. Corpo di Cristo, I 36o.
religione dei padri, I 52.
Corpo e anima, repporto di
Rom. 1, 18-21, I 52. concetto di corpo e anima od tardo
S11p. 13, I 52. giudaismo, II 255 ss.
conoscenza filosofica di Dio, I 28 s., conccuo di corpo e anima nella pri-
51. ma scolasùca, II 273 s.
dialettica dell'idea di Dio nelle reli- concetto dell'uomo nella gnosi, II
gioni e nella filosofia, I 26-32. 266 ss.
Dio di Israele: Assolutezza dell'a- concezione ebraica, II 249"25j.
more, I 31. aspeuo escatologico, li 253.
idea di Dio della fi.loso6a: 11Jno carattere globale, Il 249 s.
usoluto, I 28 s. carne come espressione della crearu-
Unmagine di Dio del mito come rali tà, Il 2,4.
Dio «per me•, I 26 ss. concezione greca, II 244-249.
dal UI umano al ru divino (dr. rel11· materia come causa del male, Il
:1ont io-lu ), I 19·26. 245 s.
di.•tinzione della conoscenza di Dio perfezione chiusa dell'uomo, Il
per natura e pt'l' irrazia, I 33·57· 248 s.
esperienza originaria e differenza fra valutazione maggiore dell'anima, Il
a.<M)luto e relativo, I 38. 245.
interpretazione antropologico-csistenzia- dichiarazioni del magistero.
le dell'idea di Dio, I 254. anima non è pane di Dio, li 281.
ontologismo, I 35. creazione immediata dell'anima e
presa dello Spirito verso lAssoluto, del corpo ad opera di Dio, li
I 36 s. 28} s.
rinvio della creatura a Dio, I 36 s. pluralità delle dimensioni umane,
teoria <kll'idea innata di Dio, I 34 s. Il 284.
1008 INDICE ANALITICO

unicità dell'anima, II 282. Coscienza, Il 478, 492.


uniti di anima e corpo, Il 28o s.
Paolo, II 2~26.'J. Coscienza della coJpevolezza, Il 8z6 s.,
p1reum• - stme - som• - psycbé in 832.
Paolo, Il 262. Coscienza della salvezza, II 70.
Sioonici, II 2,8 ss.
unione: di anima e corpo secondo A· Cosmo (dr. mondo).
gostino, Il 27 J. inserimento del cosmo nella salvezza,
unua dc:ll'uomo secondo Tommaso II 296, 48.'J.
d"Aquino, li 2n ss., 289.
uniaà di corpo e anima come prob~ Cosmogonia, II 43.
ma anrropologico, Il 289-293.
Cosmologia e teologia, II 211 s.
corpo-anima come principi SO&tan-
ziali me1a6sici, II 290, 294. Cre•lio ccmlinu, II 176 ss., 474, 482.
corpo, anima, spirito, materia, Il
292 s. Creazione
corpo come simbolo dell'anima, Il teologia veterotestameDwia cira la
290. creazione.
differenza essenziale fra spirito e asserzioni dei salmi cira la aea-
materia, Il 293. ziooe, Il 72 s., 93 s.
cspericliza della «spiritualità» e biri come designazione dcll'~
della cor;poreiaà nel rapporto opera- ~ di Dio, Il 41 ss., 70,
tivo, II 292. l~S.
uniti di corpo e di anima come pro- bontì della creazione secondo Gns.
blema cteatologico, Il 298-303. 1, Il 41.
apertura alla storia e al futuro, II creazione e allaoza secondo la
302 s. letteratura sapic:mialc, Il n s.
unità dell'uomo dopo la morte, II creazione mediJMe la parola, Il
2991 JOI S. 9311.
visione di Dio e uniti di corpo e fede nella creazione ed esperienza
anima, II 300 s. dell'alleama, Il ,9, 67 s., 71 s.
uniti di corpo e anima come proble- liberti dell'atto divino creatore, Il
ma soteriologico, II 293-298. 127 s.
carattere incarnato della salvezza, Il teologia della creazione del Deutero-
29,. Isaia, II 691.
l'intero uomo sotto minaccia. II attività creatrice dello Spirito, Il
298. 108 ss., 113, 119.
carattere personale della creazione, 11
Coqioreità C)8 Il.
come medium delle relazioni sociali, come creotio conlinu, li 176 11.
II 481 s. comC' momento dell'1utOCOTr.unicazio-
comprensione della corporeità nell'A. nc di Dio, I -'74·
T.. li 2,1 s. ~·ome parlt'\:ipaziom: alla gloria di Dio,
distinzione tra corpo come cosa, cor- li 127·•H·
pu \•iventc, corporeità, II 28.'j, 292. glorid Dri quale fine della C'relZi<>-
e anima spirituale, 11 224. nr, li "-'·
e persona, li 321. glorio obiccti110 e glorio /nrmolis
e relazione con il mondo, Il 297. (1ubiecti1·0 Dei}, Il 136, 138.
in1erpretazionc della corporeità nella 11lori6cazione graduata, Il 1 36.
filosofia contemporanea. II 28' ss. Va1iano 1 circa il fine della crea·
valutazione positiva in Tommaso d'A- zione. II I n I.
quino, II 276 ss. con l'inizio dcl 1cmpo, II I '9"17I.
valutazione posi1iva nel N. T., TI 26,. fondamento filo!IOfiro? II 161 ss.
INDICE ANALITICO 1009

f1mdamen10 s1oric~salvi6co, 11 166 ss. questione della creazione dcl mondo


indizi nella iradizione, Il 16.t ss. •mi1diore-. Il 130.
pro\•a dalle scien7.c naturali? Il rapporto tra creazione-alleanza e n•
16o •. 1ora-grazia, II 19 3, 207 s.
si1tnificato della questione, II 1'9 s. rapporto tra ordine della creazione e
conosct"nza intorno alla creazione e 6- della redenzione, II 4n.
lo..1fi~ exlra·cristiana, Il 1j1 s.
Creazione, ra..-conto della, di Cen. 1 e
ar.itio ex nihilo. Il 144-159.
2. Il 34-50
fondazione biblica, II 146 ss. .liversit~ delle due narrazioni, II
fondazione 1eologica, li 144 ss. H ss., 218 s.
problema del demiurgo, II 146 s. mterpreUlZÌone come eziologia storica,
rifiuto del dualismo e del monismo, Il 18, 217s.
II 155 ss. Gcn. 1. II 38-45, 216 s.
spiegazione dell'•ex nìhilo», II creazione dell'uomo non mediante la
152 55. ('llmla, Il 10' s.
storia dei dogmi, Il 1,0 s. disrosizione a gradini, Il .fO s.
del mondo .ad opera dcl Dio uno e "voluiionc secundo Gcn. 1?, li
trino, Il 1<>6-127, 14' s. 183 •.
domina della creazione e Trinità, importan1.a teologica dello schema
40;. della senimana, Il 39, 66.
e alleanza. rifcrimenm alla storia della sah'CZ-
creazione come fonduncnto ester- za. Il 6,.
no dell'alleanza, alleanza come fon- schema •parola-opera• di Gen. 1,
damento interno della c:reaione, Il
90, I 37 S.
Il 93, 9,
s.
Gm. z, Il 45-,0, 216 s.
motivazione della creazione nell'~ schema della stipulazione dcli'al-
pera della salvezza, Il 40, '9 s., leanza in Gen. z, II 62 ss.
66 s., 90 s. situazione storica dell'epoca, Il 61.
cd evoluzione, Il 183-189. teolo11ia del lavoro secondo il racron·
esclusività del potere creatore di Dio, to della creazione, Il ,14 ss.
II 139·144.
comunicazione della potenza crea- Creazioni~mo. Il :z35 s., 239, 270.
trice a cretturc? Il r43·
dispu1a con la gnosi, Il 140 ss. Cristiani anonimi, Il 861-866.
testimonianza biblica, II 139 s. Cristiano, implicito essere, II 863-866.
fondamento della possibilità della crea-
zione nella possibilità della incar- Cristo, evento di
nazione, Il :z5 s., 12; s. come piena rivelazione di Dio in ~
libertà della creazione da parte di e per noi, I 387.
Dio, II 127 ss. e rivelazione trinitaria, 64s., 96.
amore di Dio come motivo della
crea7.ione. Il I }2 s. Cristologia (dr. Gesù Cristo)
asser•ioni della tradizione e dcl ma- angelica, I 191.
ttistero, 11 1 30 ss. ascendente, I 4'3·
fondazione trinitaria e libertà del· biblica, I 450, 4'3-
la crca:zione, II 118. cosmica del N. T., Il 83 ss.
mediante la parola, Il 82, 93·to6, e antropologia teologica, II 24 ss.
I IO ss. <liscrodeme. I 4H·
metafisica della crea:zione e fede del· e dottrina trinitaria, 4o6 s., 468.
la rivelazione, Il , , . ,01.
ordine della cmizione, Il 213. suhordinazianista, r 3;.
~r Cristo e in Cristo, Il n, n· 1raduzionc d.:lla cristologia ontica in
Rt>. <JO. ro7. n6. 119. una cristolo11ia ontologica, rr :z 1.

<•.f. M1•steri11m S11/11tis, 11/2


IO IO INDICI:: ANALITICO

Culto, li 92 I, 928 1 946 do la Scrittura, II 66'.


come anamnesi della storia della sal- possessione, II 796, 80' s.
•ezza, Il 947. Satana come fattore della storia uma-
celebrazioni cultuali ddl'A. T., Il na, II .53. 7H s., 809 s.
9-17 ss. tentazione diabolica, Il 804 es.
giorni festivi nell'A. T.. II 948 ss.
sabato, 11 66, 177 s., 948. Dc:monolo11ia (dr. angC'lo/ogia)
come centro della creazione umana wnsiderazione s1orico-salvifica dei de-
della cultura, 11 136. moni, Il 7 ~o s.
della Chiesa nello Spirito Santo, I e antropoln11ia, 11 2 1 1,
163. /)es1deri111n naturale, li 199-206.
giudizio nel N. T., dei riti di purifi- come esigenza salvifica personale, 11
cazione dell'A. T., Il 9,4.
849.
purificazione ed espiazione nel culto, dc: Ila creazione, Il .. 83.
Il 952 s. interpretazione del dtsiderium secon-
sacrificale, Il 9,x. do Tomma8o, 11 199,
Sian quale dimora di Jahvé, li 5"1.
Dialogo (dr. rela:iot1t io-tu), Il '95-
Cuore, II 25-1. 295 s., 599. 831, 8H ss., 873.
Diavolo (cfr. demoni).
D Dio (cfr. 1'rinità)
automanifestazione di Dio, I 308.
Demitolo11izzazione, II 18 ss., 44 1 147 1 forme di autoprescntazione, I 308,
726. 313, 324.
come amore e relazione personale, I
Demiurgo, li 568.
47.
Deismo. II 43, 469. come fondllltlento originario di ogni
realtà, I 102 s., Il 14, 114, 293 s.
Demoni dichiarazioni dcl magistero, I 380-
«demone della tecnica,., Il ,26. 383.
difesa dai demoni, II 812 ss. il simbolo Quicumqut, 382.
possessione, II 796, 805 s. il Vaticano 1, I 382.
discernimento degli spiriti, II 808 s. differenza tra rivc:lazione di Dio nel-
esistenza dei demoni, Il 76,, 789- l'A. T., e nel N. T., I 346-3,2,
798. 368 s., 387.
nell'A. T., II 790 55. messaggio di Gesù a proposito del
elementi pagani nella concezione ve· Padre, I 116-127.
terotestarnentaria circa il demonio? coscienza circa Dio dcl Gesù stori-
II 792 s. co, I 118 ss.
Satana e la tentazione nel paradi- Dio come Padre di Gesù, 121 s.
so terrestre, II ,o, 79x. natura di Dio, I 48,.
nel N.T., Il 793-798. personalità di Dio nel mito, I 26 ss
appellativi e modo di esistere, li rivelazione di Dio in Israele in rap-
794. porto all'umanità extra-biblica, I
cadu1a degli angeli secondo il N. T., 98 SS., 104 S.
II 799 s. rivelazione di Dio nell'A. T., (cfr. ot·
potenza di Satana e potenza di Cri- tributi di Dio), I 7' ss., 28,·341.
sto secondo il N. T., II 795 ss. amore di Dio, I 331-336.
potenze: in Paolo, Il 757 s. autonomia cosmica di Jahvé, I 299.
idolatria del potere e demonizzazio- Dio creatore, I 302 s.
ne della storia, Il 506, 810 s. Dio dell'allean~ (cfr. 11/lean:a).
influsso di Sa1ana nei peccati, secon- Dio sopra-re11ionale, I 298.
INlllCF. ANALITICO IOII

Dio vivo, I 302. mancama di principio nel Padre, I


eternità di Dio, I 300 s. 217, 228, 246 s., 448, 452, 46o,
fedeltà di Dio, I 357. 464 s., 469.
giustizia di Dio, l 336-339. assenza di principio nel Padre in
ira di Dio, I 339-341. Novaziano, I u7 s.
misericordia divina, I 335. essenziale mancanza di principio, I
modi di mediazione, I 7i· 470.
nome <li Dio: Jahvé, I 310-3r4. e\•idenza dell'idea deU'innascibilità
personalità di Dio, I 94, l8t, 294. in Bonaventura, I 268.
29/. JO/. Padre come prrhc' Jella Trinirìi,
re~ali!à di .lahvé, I 326, 327, p8, 246.
PSI· Padre come principio aenerante,
santità di Dio, I 305. 462 s
trascendenza di Jahvé, I 303. f'~terni1à di Dio ndl'A. T.. I 78 ss ..
trascendenza e immanenza (cfr- lr11· ·HllS.
scendenza di Dio), I 76 s., 9,, 304. Dio. SC>miglianza dell'uomo a Dio, Il
unicità di Dio, I ii· 268 ss. 272
rivelazione di Dio nel N. T., (cfr. concezione g=a platonica di eilton e
11llrib,,1i di Diol, I 345-369 homoiosir. Il 543-
amore di Dio, I 358, 36t-365, e corporeità, II 268, 481.
368 s. essenza della somiglianza a Dio, Il
caranere particolare della rivelazio- H<>-554-
ne neotestamentaria, I 345 s. carattere dinamico, li 12+
rivelazione di Dio in Luca, I 3'4 s. digni ti personale deIl 'uomo e so-
rivelazione di Dio in Paolo, I 3,,. miglianza divina, Il nr s.
361. non si può pt"rdere, Il 194 s., '52.
rivelazione di Dio negli scrini gio- rinno\'amento ad opera di Crism,
vannei, I 36r-365. Il 553-
rivelazione di Dio nei Sinortici, somiglianza divina narunle e so-
352·3H· prannarurale, Il '42, 553.
rivelazione di Dio nell'Apocalisse, riguarda la totalità dell'uomo, ani-
365-369. ma e corpo, II 268, 5.52.
rivelazione extrabiblica di Dio, I 97 s. uomo come imago Trinit11tis, II
dichiarazioni da inrerpretarsi come 11_1. 123 55.
riierentisi a Dio-Padre, I 103. in1erpre1azione dci riformati, Il
fallo di una convinzione universa- 548 s.
le in rutta l'umanità circa l'esisten· Karl Barth, II 421, 549.
za di Dio, I ro2. Emi! Brunncr, Il 548 s.
rapporto tra rivelazione divina uni· Lurero, II ,..s.
versale e speciale, I 100. nel!' A. T .. Il 45, 421 s., H9 ss.
ricerca di Dio in forl'lle depravate, d'mut e sèli>m, Il '40.
I 104. nel N. T., II .54I s.
somiglianza con Crisro, Il 5.p s.
Dio Padre, I 447 ss. somiglianza naturale e soprannatu-
conoscema di Dio come conoscema rale. II 542.
dcl Padre, I 448 s. nella scolastica, II 547 s.
Dio e Trinità in Agostino, I 256. anima portatrice della somiglian1.a
«Theos» come Padre in Giustino, divina. II .547·
202. persona sociale immagine di Dio, II
"Thc•os» come Padre nel N.T., 328, 4ì6 s.
78; II 106. rapporto tra immagine e somi1dian7.a,
«inf1.enitus» come proprietà del Pa. secondCl i padri, II '42-547.
dre, I 228, 241, 464. cara nere dinamico, li 54 f '·
1012 INDICE AN.umco

carattere di dono, II '46. Eman12ione


l..ogos invisibile come prototipo, II dottrina dell'emanazione. II 294.
270, H+
Ermeneutica
,. ,.
Logos incarnato come prototipo, II

II 272,
principi per la comprensione di assel"·
zioni del magistero, II 692.
,.....
Trinità come protoùpo,
problematica ermeneutica delle afler·
llllUioni protologicbe, II 9, 36.
Dottrina su Dio problemi ~rmeneurici dell'angelologia.
esigenza della teologia odierna, II 729 s., 7H s.
37'·
metafisica teistica e dottrina di Dio,
Eros, I 2,.
I 370-374. Esemplarismo teologico, Il 471.
presso i padri greci, I 372.
trasposizione della domina circa Escatologia, li 27, 253, 298 ss.
Dio in nuove forme di pensiero, I del presente, I 362.
374. di rutto l'uomo, 1I 303.
struttura del iranato cDt Dto uno•, nell'Apocalisse, I 368.
I 376-380. Esilio, Il 92<}-914·
a1tributi che spettano a Dio per
necessità metafisica, I 3n. Esistenza di Dio
distinzione tra i singoli attributi. dimosmizione dell'esistenza di Dio, I
I 379 s. 36 ~-. 377 s.
essenza metafisica di Dio, I 378.
prove dell'esistenza di Dio in Tom·
Esis1enziale soprannaturale, li 206.
300, 841
maso, I 377.
suddivisione degli attributi di Dio, negativo, II 298.
I 378. Esistenzialismo, II 466, 703 ss., 834 ss.
Disescatologizzazione, I I 90. Esistenzialistica, filosofia, II 22.

Divenire, concetto del, di K. Rahner, Espiazione (cfr. culto), I 61;


II 225 s., 237 s., 323. 964.
Dogma Esorcismo, II 813 s.
come spiegazione logica, non antica,
di una realtà, I 444. Essenzialismo, Il 597, 703 ss.
gerarchia dei dogmi, II 17.
Essere (cfr. 11""1ogi11, f>llNJl11)
Donna (cfr. sessualità duplice) contingenza dell'essere singolo, I 23.
creazione della donna, II 48 1., 217. differenza fra essere e essenza, I 22;
II 356-370.
Doxa (cfr. gloria), I 350 S&. essere per la morte, Il 8 34·
essere ontologico della persona, Il
Dualismo, I 50, 141, 154; II 227,
322 ss.
235, 237, 612, 686, 766, 837.
panecipazione all'essere, II 293.
poter essere, I 22.
prospeuh•a dell'essere, I 22.
E
Eternità di Dio, I JOO s., 3' J, 367.
f:conomia, principio di, li 34 ss. 394.
Elc.-zione e ripudio, I 32; Il 890, Eucaristia, I 174 ss., 187 ss., II 949 s.
901, 9(16, 917 s.
elezione di Israele, Il 19j. Evoluzione, II 183-189, _:i28 s., 821
dezione in Cristo, Il 107. e creazione, Il 183·191.
lNDICE AHALl'DCO
IOIJ

problematica filosofica, Il 185 1. Fede, professione di, I 171.


rationes seminales in Aguitino, II
18,. Fetkltà, I 48o.
uomo come mèta dell'evoluzione, Feddtà di Dio, 283, 395, II 920
t8o s. all'alleanza, I nt: II 927, 940 ss.
e doni preccrnacurali, Il 709-711.
e peccato, Il 610. Fenomenologia della persona, II 315.
e pcct'&lo ori11inale, II 70,.
evoluzione cosmica e an1tc1pazione Fideismo. li 1.:;.
esci1ologica deUo Spirico, I 37. Fii:ho IDio Figlio) (dr. Logos), I 450-
problema dell'evoluzione antropologi- 4H
ca, Il 216-229. discinzione deUa Egliolama di Gesù
da quella dct11i alcri uomini, I 4,0.
Evoluzionismo, II 216 Figlio come «redentore assoluto•, I
antropologico radicale, li 465.
concezione evoluzionistica dcl cosmo,
4'' s.
cFcglio immanente», I 4H·
II 221. preesiscenza del Figlio, I 452 s.
del materialismo dialettico, Il 227.
e dogma della creazione, II 220. Fil('lsofia, li 14, 22 s.
interprewione evoluzionistica dd pec· Fine ultimo Csoprannttlurale), Il 571 s.,
oito originale?, Il 70,, 821. 59,.
moderaro, II 220 s., 227.
positiviscico, Il 46,. Fotiniani, 230.
Eziologia Futuro
criterio per distinguere il contenuco e autoromunicuione di Dio, I 476,
delle asserzioni dalla forma, Il 29 s., 479, 481.
217. rappono dell'uomo con il futuro, II
scoria primitiva, Il 27 ss. 303.
mitologica, II 28.
storica, li 28, 38, ,,,.
G
p
Cienerazione, Il 238.
Fami11lia, II 494-498.
beni di comunione della famiglia, 11 Gesù
495 s. storia dell'infanzia di Gesù, Il 753 s.
come modello di solidarietà sociale e
di sussidiarietà, II 497. Gesù Cristo (dr. incarnazione, messia)
mucamento sociologico, II 494, 497. comunione divino-umana, II 311,
rapporto di ptori e figli conforme 327.
consapevolezza del Gesù storico, I
alla creazione, Il 494 ss.
Fede
117, .. ,o.
C.risco COl1l" immagine di Dio, II
come risposta all'aucomanifestazione di 121.
Dio, li 879. Cristo come il sl, I 3,8,
come sottomissione, l 48. Cristo come figlio di David, II 93x.
e aUeanza, I 321 s. Cris10 come logos (dr. Logor), II
e opere, Il 9.µ. 82 s., 107,121.
fi./es implicita, li 861 s. Cris10 come medico, Il 8:19.
fides mori Ma, Il 624. Cristo Logos e cristiano Logos, II
11iustificazione per mezzo della fede, 112.
Il 902. Cris10 come reden1ore usoluto, I
!l<"Ctlfl<lo i Sinc•uici, 1 124 s. 479-
roq INDICE ANALITICO

Cristo come secondo Adamo, II 86, Gloria di Dio, I H9 ss; II 102


91, 55\1. '73· 665s. e creazione, Il 127-144.
Cristo e la crc11Zione, li 77-86, 106 s .. gloria s~ndo Giovanni, I 350 s.
115, 11y, 541 s., 76os. 1iloria secondo Paolo, I 350.
divinità personale del figlio, I 224. vangelo come annuncio della gloria
ebe·d-.Jahvé, I 129; li 964. di Criuo, I no.
c<lunziom: dt"ll'umanitA alla grazia di
Cristo, Il 8.p. (;nosi, 116, 191, 207-209; Il
elezione in Cristo, Il 107. 140 s., 196, 261 s.
Filllio dell'uomo, I 1 H· 142. (;razia (dr. autocomunicazione)
Fi11lio <li Dio, I 1 H• 136 s. attuale:, II ,6,, 170.
aFittlio di Dio» nel mondo ellenisti· caraiteristica della gratuità, II :1.07.
CO, I q/. come autocomunicazione di Dio, II
c;esù wmc autocomunicazione di Dio,
I 11!1. (Ome compimento assoluto della tra·
scendcntalità dell'uomo stesso, II
Gesù come rivelatore dcl Padre, I I43. 18.
imporlanza dd Gesù storico, I I I l s. come incontro immediato con il mi-
rapporto <lei Gesù storico con il m~ro assoluto di Dio, II 17 s.
Cristo della fede, I 117. come par1ecipa7.ione alla vira divina,
separazione icnost ica del Cristo ccle· Il l91 s.
stc dal C.iesù storico, I 1,6. come uhima condizione a priori del-
l\yrio.r, I 1 H· 152. la conescen7.a teologica, II q.
aNatura umana» <li Cristo come ciò di Cristo, I 406.
che accade, tiuando il l..ogos di Dio e Rrazia dello stato originale, II
si esprime «ad extra», I 474. ,62 s .. '71.
Preesistenza di Cristo, II 81, 107. domina della grazia e Triniià, I 406,
ricapitolazione in Cristo della realtà 468 s .. 501.
creata, Il 92. e libenà umana, II 613.
tentazione di Gesù, r 39. e persona, li 328, 626.
esperienza di grazia, Il 20.
Giacobiti. I 243 s.
grazia di Cristo agli angeli, II 779 s.
Giansenismo. II 56<}. grazia (besedi ncll'A. T., II 941.
grazia santilicanre e ùutititJ origifllllis,
Giudizio divino, I 341, 362, 387; Il II 566, 569 s.
92 3, 925, 964. inaeata. I 425; Il 17.
ant?Cli come nunzi ed esecu1ori dei necessità della grazia, II 6:1.7, 681.
giudizi di condanna. II 7+h 763. ossnv2nz1 della legge naturale senza
e grazia. I 319; II 928. gr-..zia?, Il 6JI s.
nuova visione dcl giudizio nella rive- perdita della grazia, II 6:1.4 s.
lazione cristiana, I 36,. redenzione ad opera di Cristo, II
839-849, 862.
Giusiificazionc, I 356. secondo Paolo e Giovanni, II 191 s.
alti dispositivi. II 628 s. iriplice condona di Dio verso di noi
Dio che giustifica, I n6. ncll'nrdine della grazia, I .p4-429.
liberum arbitrium come presupposto
della ttiusiilicazione, II 639 s.
per mezzo della fede, II 90r s.
•ri,,,ul iustus et pecc1110,..,., II 683. I

Giustizia di Dio Idealismo tedesco, II 22 ss., 130, lJ1,


nell'A. T., I 336 ss.; Il 942. 201. 261.

Gloria, I U I. ~<!O. ldnlarria. Il 68 ~ .. ~96. 61 ~- 644, 652.


l~l/IU ANUl'l'll'.(J ro 1 5

llc:morfismo, li 248, 275-279. 329 ss., 3,, ss., .l65 s., 413, 465 s.,
478, 549, 8n. s6o s.
Illuminismo. II 116. assolutezza dell'amore interpc:rsonale?,
Immanenza (cfr. trascendenza), II J,6 I 25 s.
di Dio. I 77, 347, 375; Il t,6, corruzione dc:lla relazione io-tu, nel
I 5!1.
pc:Cl'&IO, 11 326 5,
formule d'immanenia. I 347. diveua profonditÌI della relazione iC>-
lll, Il 120.
lrnn111r1ali1à, II 578 s., 580 s., 7u. fondazione on1olo11ica del r11pporto io-
immortalità dell'anima, Il 268, 283, 1u, Il \23~.
299. indisponibilità dcl rapporto io-1u., II
immortalità naturale " per j!razia, li }18.
299. rapp.>rto io-1u nel matrimonio, Il 41 J,
immortalità nello staio oril!inale secon- .jlO S.
do Scoto, II 566 s., 5!10 s. richiamo e risposta nell'amore, I 19;
Il ll7, 120.
Immutabilità di Dio, I 395 s. superomenro di se stesso verso il tu,
libera autodeterminazione di Dio e: I u.
immutabilità, I 395.
"I nabitazione.. di Dio, I 42 5. Ira <li Dio, I 339. 340, 3571.; II
611.
Incarnazione (dr. Gesù Cristo), I 39,, ira come lì11un dell'assoluta santità di
419 S., 475; II 572, iH Dio. I n8.
come alienazione di Dio stesso, II 2,. e croce. I 186.
e: missione ddJo Spiriro. I 470.
e Trinilà, I 404. Isolamento, II 466, 62,, h,, 836,
s,,.
I 1ll:umprensibilità di Dio.
liii. 06. 441 Israele. Il 36, 65:2 s., 7o6 s.
Israele come mediatore di salvezza.
I n.:rc:dulirì, Il 596. 616.
Il 8QO, 1)68.
I ndulf!ellU. li li20. Israele come popolo dell'alleanza, II
966 ss.
lndurimenm, Il 5911, 6o6. li16, 651. riflessione di lsnele sul proprio pas-
Tnf.,mo. II 624. 679. sato, II '"·
srato duraruro dell 'esscrc eletto, Il
Inizio ( cfr. prololoii•. fllllfl rwitiflllie) 4}. 194 s.
come de1erminaziOllC' stabil<' dell't» storia di Israele come storia salvifica,
mo. II 2;. I 71 s.: Il 891-936.
e aurorumuni"ziont" di Dio. I 476, azioni salvifiche centrali, II 6o s.
478 s. benedizione e promessa, II 890 s.,
il compimenlo sveli il siwiificato del- 9<X> ss.
l'inizio, Il 168 s.. 57 2. redenzione dalla schiavitù e stipu-
lnnascibili1à. I 4-1o8. 41i5. lazione dell'alleanza,II 903 1.

ln1egri1à ldr. cone1<pisun:i1. stillo ori- fustilill oriti""1is (dr. stoto orig,..lel
1,iNlie i. Il 576 s.. 6o4. cc.nccno di iusliJio origi,,11fis negli
libertà dalla concupisa:nza, II '76. scolastici, Il 564 55.
in1eirri1à e 11TI1zia della rc:denzione. II e azione anticipata della redenz.ione,
58i. Il 845.
identificazione della iustilill oriiilulis
lo-tu. relazione (cfr. MOmo come perso- con il somi1tlianza a Dio in Lutero,
,.,,). Il 100. Hl. 291, "6s., 1:20ss. Il ~48.
1016 INDICE ANALITICO

J capacità di parlare dell'uomo, II


~01 H.
Jahvé, (dr. nomr>I. I 310, 313. lin11uaggio in senso biblico, II 3o8.
rapporto tra parola e pensiero, Il
H3 S.
K
Li1ur11ia
1\ahcxf I dr. g/orid di Dio). 3o6. anno liturgico, 177 s.
impomrnza della liturgia per gli an-
K<'rv11ma ( rrologia del), I 117. geli, Il ] 32 S.
li1ur11ia del ciclo, II 764.
prc11hicra lirurgica rivolta al Padre,
L l 176.
struttura triniwia della liturgia,
Lavoro (cfr. lt'rnictl), Il .52 s., ,s2 169-178.
aspc-tti significami della creatività U·
mana, Il 521 s. Lo11os (dr. Gtsù Cristo, ÌnCilr'1tU:iOnt!,
come inserimento di spirito nella ma- parola di D1ol, l 201-20,, 422 ss.,
teria, Il 520. ·UO s.; Il 82 s., to;, 121.
dell'uomo secondo il racconto della Gesù come uomo è rivelazione dcl
creazione, II '14 ss. Logos come salvezza, I 424.
il m111ti&1ero circa il lavoro, II .523 s. identità del Logos economico e im·
significato storico-Ralvifico del creare manente, I 422.
umano, II 530 ss. Lo110.1 endialhl'los-prophorik6s, I 202.
valutazione del lavoro secondo la 209, 452.
Scrittura, II 516 ss. Logos nella fo02ione economica, I
415, 498.
Legge, II 82i, 830 s., 901 s., 9u. Logos presso gli Gnostici, I 207.
agire conlra legem e prae/er /egem, natura umana come simbolo reale del
H 603. Logos, I 423.
comandamento di Dio nel paradiso significato del Logos presso Ario,
terrestre, II 48. 215.
concezione rabbinica della legge, Il solo il Logos si fa uomo, I 501.
944 s. speculazione di Novaziano sul sermo,
del cuore, II 859 ss. I 217.
e alleanza, Il 918-946. speculazione di Tertulliano sul Logos,
e peccato, TI '59 s., 667 ss. [ 216.

Legge naturale, II 469.


Libertà (cfr. volontà) M
concerto biblico, Il 638 s.
e parola, II 343 ss., 346-3,6, 360, Macedonianismo, 227.
364-370.
essere situata della libertà, II 297 s., Maestà di Dio, 366.
655. Maitia. Il 596.
grazia come offerta alla libertà, II
624. Manicheismo, Il 114, 217, 281.
legata, II 630.
libertas, liherum arbitrium e proble- Maria
matica dello stato originale, Il '68. assunzione di Maria in cielo, li 302.

l'uomo come libertà che risponde, II fede di Maria, II 656.


immacolata concezione e peccato
104.
ginale, II 690 s., 695.
Lin11ua (cfr. f"lrolal nel prolocvangelo, Il B·
INDICE ANALITICO 1017

Martirio, I 179 s. Mistero (dr. mistero di Dio), ·I 239.


apertura dell'uomo al mistero, II
Marxismo, Il H 1 s. 470.
Materia (dr. c111ne, corpo), Il 296. comprensione positivistica, li 19.
natura del mistero, I 440.
Materialismo (dialenico), II 46,. Trinità, graiia e incarnaziooe a>me
misteri fondamentali, li 17, .:n.
Matrimonio
carattere personale, li 4'°. Mistero di Dio (dr. mistero), I 36o,
carancrizzazione universale, Il 4u sa. 381, 386 s., 431, 436.
dichiarazioni dcl Vaticano n, li
458 ss.
Mistica, I 18<>184
e mistero Cristo-Chiesa, li 44) s. mistica filosofica e ateismo, I 29.
fini del matrimonio, II 4'4·4j9. Mistica trinitaria, I 243·2H, o402 s.
indissolubilità, II 4'4 s.
secondo l'A. T., li 431-4n. Mito, I i6 s., 112, 293; II 37, 9' s.,
secondo il N. T., II 43,·447. 147 s.. 844.
interpretazione di Paolo, II 4)7·
+µ.
Modalismo, I 204, uo s., 219, 237,
presa di posizione di Gesù, II 43'· 243, i48, 428, 4H• 444·
Modernismo, Il 9, 19 s.
Mediatore di salYC".r:za, II 903·908, 912-
915, 921, 9H. 9,0, 9,6-966 Modi di agire di Dio, I 279".ofOZ·
Cristo come mediatore della nuova continuità storic<>salvific:a, I 283.
allnnia, li 912, 966. e mistero, I 386.
funzione mediatrice dei S1CC1doti, li manifestano il suo essere, I 390.
96o. nell'A. T., 1 HO sa.
Israele come mediatore di salvezza per
i pagani, II 890, 968. Modi distinti di suaistenza, I 391,
mediatore sofferente, Il 963 s. j0.2.
Mosè come mediatore di salvezza, JI idoneità dell'espressione, I 49' 1.
903-908, 956 s. modi di sussistenza o modi di mere?,
profeti come mediatori, li 9,9. I .f92.
Molinismo, Il 613.
Messia
attesa politico-religiosa del ~esaia, II Monachesimo, I 229.
828.
Gesù come Mesaia, I 134, 4,1; Il Monarchianismo, I .109 s., 213, u6 s.,
90. 2.10
Messia nell'A. T .. I 92; II 961 ss. dinamico, I i10.
modalista, I 211.
Metafisica e domina su Dio, }7<>
373 Mondo (dr. cosmo, pecc•to Jel mondo)
interpretazione metafisica circa i li· az10111 peccaminose e situazione quali
beri modi di agire di Dio nella pani costitutive dcl mondo, Il 649.
storia della salvezza, I 38,. casanere •ironico• del mondo, Il 1:u.
come prolungamento dell'uomo, Il
Me1ànoia, Il 642, 829, 866, 928. 102.

Miracolo distania e vicinania di Dio rispetto


miracoli di Gesù come gesti di rivela- al mondo, Il 1,6.
zione. I 353- in evoluzione, Il 188.
nullitl del mondo, Il 190.
Misericordia di Dio, I 335, 340, 3'4; cpenonificazione del mondo•, II
Il 9H· \21.
INDICF. ANUITICO
1018

situazione nel mondo come compito mutamento del concetto di natura, II


escatologico, Il 298. 2oò s., 523.
soppressione del carattere divino dcl rapporto di natura e persona, II
mondo. Il 1 ~;. 624 ss., 6w.
rr.•c1i111d11 natura<' nello <!lito orii?inale
Mondo se~-ondo Al?ostino e Ili scolastica, II
conceziom.- del mondo, ~74; Il
~(>I S<.
n. 211. ~u. ~61, no, iJll.
Natura e grazia lcfr. cle.tidc•rium "'''"·
Monismo. I 104: Il 15' s.
raie. t•sistenziale l
Monogenismo (cfr. Poli[(enismo), Il dercrmin1zione sistemar ica dd r~I'·
219·2n. pono, Il 204·208.
e peccato ori11inale, II 230 s., 697 ss., csisrenziale soprannaturale, II 206.
708·71 5, d1•sid1•rium naturale, II 204 ss.
in Ge11. 2?, II 50. 11iu91ificazione e limiti del mn,ct-
prova biblica?, Il 2 J2. to di «Soprannaturale», II 201i 5S.
prova metafisica in favore del mono· pol<•nlin ohoedientiali.<, I H; Il
genismo, Il 233. 205.
disputa intorno a Baio, II 200 s.
Monoteismo (dr. unicittl di Dinl, I 76 modello a due piani, II 470.
nell'A. T., I 294·298. natura concreta ordinata alla 111razia,
nel N. T., I 346.
Il 624 s.
travisamento pluralista del monotei· natura e 111razia e conosccn7.a di Dio,
smo da parte di Loofs e Werncr, I
I 33·57·
189 s. problematica sullo stato ori11inale nel-
Morale la scolastica e distinzione tra na-
chiusa, II 632, 640. tura e grazia, Il '64 s.
creazione di norme morali come oom- punto di parrcn7.a della distinzione. II
piro dell'uomo, II '97. 196.
padri greci e l11ini, Il 196 ss.
Morte somiglian7.a a Dio e distinzione tra
come separa7.ione dell'1nima dal cor- n1tura e grazia, II 546 s., n2 ~.
po, Il 301. sviluppo del concetto di !QPUnna-
comprensione ve1ero1c:s11mentaria del- turalc, Il 198.
la morie, II zn. 178 s.
d«isione dell'uomo nella motte, II Natura puca, 50; II 199, 'li~.
6o7. 570. 595, 625.
e pecca10, Il '78 s.. 614, '167 ss. Ne/ei, II 250 s.
e peccalo origin1lc, Il 707 s., 710 s.
libertà dall1 necessità della morte, nel Neoplatonismo, I 262, 270 s.; II r q.
paradiso renesrre, II 581. 247.
morie di Crisro e morte dqli uomi-
ni, Il 658. Nome di Dio, I 392 s.
.. seconda morte•. li 616, 623. il nome come au1oespressionc della
person1, I 392 s.
nome di alleanza, I 3I \ s.
N nome di Jahvé, I 310-314, 392.
l'unico e diversi nomi di Dio, I 39\ s.
Natura (dr. irnial rivelazione del nome di Dio, I 391.
come conseitna, Il 300.
concetto di n1rura starico, noo sto-
rico, II 299.
duplice esperienza della natura nel-
o
l'rl""·a mockma. Il 203. Ominizzazionc. n 226, »9.
INDICE ANALITICO 1019

Onnipotenza di Dio, I 366 s.; II 54, Sto, Il 558 SS.


ro7. interpretazione dei riformatori, II
567
Onni1ircsenza e.li Dio, I '96 s. int•-rpreta7.ionc scolastica, li '64 ss.
onnipresenza di Dio in Tommaso, Adamo creato in •S',rdtuitis• o in
}96. «nr1t11rdlib11s»?, 11 564, 568 s.
ordinamento delle rrest'n7.ft li:t'flCra(e rapporto della graiia originale con la
ali• prc•enza spcciulc:, I w6 s. grazia santificante, Il 566.
Onniscil·nzu di Diu idr. sdt'n:it ai Diul. l"ArndiRO rerreMre, 11 H~.
int~q.,rcta~ionc lil·t paradiMl lcrrestrt.•
Ortlu. 1 I ìi. nei padri, Il 561 s.
significalo teoloJliCC> dcl racconlo
Originale, stato (cfr. ezio/n[!.Ìtl, inle[!.rità. sul paradiso terrestre, Il 45 ss.,
1us/1t10 nri!l.in"/i.<. pecc.ito nriJ1.inale. 51.ps.. 556 s.
prololoS!,Ìtl ~ riflessione ez.iologìca sugli inizi,
assenza dc:lla concupiscenz,1 scwndo J18; II 555 s.
Agoslino, Il 56~. staio originale e peccato originale, Il
dichiarazioni del magistero, I I 568 s. 708-715.
dichiarazioni aniipelagianc:, 11 5611. morte e peccato originale, II 7 IO s.
difesa della 11:ratuitil della 11r~zi11 ori- perdita dei Jona prae/ernatu11ili11, li
ginale contro Giansenio, I I 169. 709s., 713s.
men1.ione della giustizia 11ri11inalc al status uiae in Adamo, li 574-
Tridentino, II 568 s. storiciià, II 583 ss.
dono praeurnoturo/ia, Il nK, 5n· traiti del primo uomo, II 583 ss.
58}. ( lrigine. I .f76. .fìll s.
concetto, li 5n.
diverse possihili1ì di inrerr1t1nio-
nc:, Il '7'· p
Jona p1t1rternaturali" l'Omc pcrlc-
zion1menro dell'inrC"riorità l't'l'llOn•· P~111ncsimo. Il 644 s., 652 s., 9681.
le dell'uomo, Il 5ì~·
dona prae/ernaturalio e l!razia '~n Pancn1~smo, Il 155.
tificante, II 565 s., 58~ s. P~nr,.khismo, II 227.
dono della scienza, II 581 s.
libtttà dalla necessi1à della monc. Pentci§m<I, I 104; II In. 165, 652.
li 5j8-581.
impassibilità. II 581. Parapsil'O!ogia, Il 8o8.
inregrità, II 516 ss. Parlare
perdita dei dona prtlrlrrna/1m1/ia. parlare .-osmico divino, I 301.
II 709 s. parlare come designazione fondamen-
domina tradizionale sullo stato ori- tale dcl •rivelare•, I 345,
ginale, Il 228 s.
durata temporale. Il 58.f. Parola
l!razia dello staro oril!inale, Il 558 s., autonomia dell'uomo nella parola, 11
56.. s. Hl· H7 s.
grazia dello stato originale come cte27.ione mcdian1e la parola, I 87;
grazia di Cristo, II 571. Il 82, 93-1o6, 471.
nessuno stato della nantra pura nel- come legge e promessa, II 393-397.
lo staio ori(:inale, Il no. come mediazione di auto-accettazione
rappor10 della grazia originale con i e auto-divenire della libtttà limitata,
dona praeterr."turulia. Il 5!12 s. li H6-356.
in1erpret1zione neotest1men1aria dello come mezzo dell'analogia dell'essere.
~raro ori11inale nel mi<l<'ro di C:ri- Il 170-1llo.
T020 INDICE AN.umco

come mezzo della differenza ontolo- conseguenze in rappono con la ma-


gica dcll'essere rispeuo a ciò che teria, Il :;1:; s.
esiste, li 3:;6-370. esilio come conseguenza del pecca-
divenir conscio di sé dell'uomo me- to, li 929 s.
diante la parola, II 1 oo. incapacità di amare, II 626, 6 31.
ed evoluzione, Il 397 ss. incapacità d'integrazione, Il 633 ss.,
e gioco. Il 377 ss. 6.p.
e ringraziamento, Il 380-387. inclinazione al male, Il ,634 s., 6.fr.
e 5ilenzio, Il 10:;, 342, 346, 402- i!!Olamento, li 625.
407. P<'CCato come auioannientamento, II
e storia, I .u7; II 97 s. 621 s.
e tempo, II 380-402. perdita della grazia santificante, II
genesi della parola, Il 333 ss., 346. 624,
nell'A. T., come nutopresentazione di schiavitù, II 630, 638 ss., 830.
Dio, I 431. contro lo Spirito Santo, II 598, 6o1.
Parola di Dio (cfr. Logor) diminuzio11e della coscienza del pec-
parola di Dio nell'A. T., I 83-88, calo nell'uomo moderno, Il 826.
285. essenza del pc~'Cato, II '93-617.
nspeuo dianoeticu e dinamico, I carattere soprannaturale dcl pecca-
84. to, Il 593 ss., 6ro s.
carattere dialogico della creazione frattura della solidarietà fra gli. uo-
II 98 s., 101 s., t21 s. mini, II 486.
comando, I 8+ mancanza contro il prossimo, Il
creatrice, I 87. 594·
potenza creatrice della parola divi- offesa contro Dio, II 593, 610 •·
na nell'oriente antico, II 94 s. peccato come rifiuto di Cristo, II
profetica, I 8:;. ~98 s., 650 s.
tendenza alla personificazione, perturbazione dell'essere peISona, II
88; II 109. 595 ss.
tradizione teologica, II r n. rottura dell'alleanza, II 593, 624 ss.
e risposta dell'uomo, li 104 s. trasgressione delle norme della sto-
e sapienza, Il 84. ria salvifica, II ,96 s.
rivelazione mediante la parola e a11i- trasgressione delle virtù, II '9' s.
re storico-salvifico, I 28,, 430. trasgressione dell'ordine della crea-
zione, Il 5931., '96s,
Partecipazione, II 29 3. j!radi del peccato, II 6or-6ro
P/lrus!a, li 756. distinzione tra peccato monale e
veniale, II 6o2 ss.
Passioni, II :;96, 6r 5, 634. peccato che conduce alla morte, Il
601.
Patripassianismo, I 2 r 1, 220.
peccato manale, Il 6o4, 6o9 s.,
Peccato (cfr. peccalo del mondo, pecclllo 626.
origintilt') peccato veniale, Il 6o1 s., 6o6,
cataloghi biblici di pecc11ti, Il 6o1 s. 6o9 s.
categorie personali e interpersonali dcl idoneità per un bene limitalo nel pec-
peccato. II 6o7. catore, II 631 s.
come trasgressione libera, II 599- maceria dcl peccalo, I I 6o8 ss.
concc:tto analogico dcl peccato, II assunzione del criterio esterno in
59:;. quello interno, Il 6o8.
conseguenze dcl peccato (dr. castigo} azione esterna come segno della dc-
conflitto, Il 640 s. àsione interna, II (•>8.
conseguenze dc:I peccato nel campo peccati capitali, II 635.
rolitiro. Il 106. rerrari intrmi ed estrmi. Il 599.
INDICE ANALITICO 1021

termini biblici, II '93 s. carauen: religioso-mo111le del p. o.,


valuruione particolareggiata del pec· II 6n
ca10, Il 1121 . condono del p.,o., mediante il bat·
1nimo e permanen: della concupi-
Pecca10 del mondo (dr. {><l'Cfllo twigi- s.cenza, II 69o-
nale, si1u111.ione) conscguenze dcl p. o., in Aduno, Il
crescendo del pcccat", ndla storia, Il 68; s.
6,o s. conscl!ucnze del p. o.. nei disccndcn·
idea biblica dcl mo11do, 11 6.., s. 1i di Adamo, li 688.
responsabili1à pc™>nale e solidarietà, dis1inzione tra p. o., e peccati pcr-
Il 6..6 s. M>nali. Il 69...
rifiuto di Cri110 come punto culmi- e bauesimo dei bambini, II 689.
nante, Il 6,o, 6n. 6n. in1crpre1azionc autentica di Rom.
solidarietà di tutti nel peccato, li s.12?. Il 692 s.
6H. mor1ali1à e concupiscenza come con·
colpevolezza dei pagani, II 6.w s. scguenze del p. o., li 694 s.
col!>'volezza d'Israele, II 6.w. peccato di Adamo come fonte del
.olidarietà nel cutigo, Il 647. p. o., II 696.
universalità dcl peccato ncll'A. T., Il p. o., come Slato intimo, II 693 s.
936 s. trasmissione auraveno la genen-
Peccato originale (cfr. [><CCtllo dtl mon- zione, 11 688, 696.
do, poligenismo, siluavone) unità di origine dcl p.o., Il 688,
nozione del p. o., li 661. 696 s.
distinzione tlll p. o., e peccato per- universalità del peccato originale, li
sonale, Il 686. 69, s.
esistenza del p.o., II 68,. dottrina sul p. o., nella scolutica, Il
asserzioni implicite dcDa Scrittura sul 679 ss.
. ' pcccat.P originale, II 661 ~10. come carema della giustizia origi-
Adamo in Gen. 2 e 3, II 662 s. nari.i in Anselmo di C., li 68o.
conseguenze del p. o. secondo Gen. comprensione del p. o., in Tommaso
3, II 52 s. d'Aquino, II 68o s.
risonanz.c di Gen. 2 e 3 nell'A. T., spiegazione giuridica, II 681.
e nel N.T., Il 664 1. dottrina sul p. o., dei padri, prima
Rom. 5, 12-21, Il 66,, 670. del pelagiancsimo, II 671:~74·
Baio sul peccatO orig., Il 691. cscgcsi di Rom. ,,12, II 673 s.
come un essere-situato, II 701-7o6. influsso dell'Ambrosiastcr, II 673 s.
come bdbitw?, Il 7021. prassi del battesimo degli infanti,
distinzione dal pc:ccato personale, li 671 s.
II 702.
dottrina sul peccato originale dci ri-
essere-situato esistenziale, II 704,
formatori, Il 682 ss.
7 1 3· concl2ione di Calvino, Il 683 s.
interpretazione evoluzionistica?, II
corruzione dell'uomo peccatore se-
705, 821.
condo Lutero, n 683.
cvolunt4rium tx volunl11U Atl4mi•,
critica di Zwingli e dell'umanesimo,
Il 702.
II 682 s.
conoscenza coogeuurale dcl p. o., n p. o.. nella teologia protestante o-
29.
dierna, Il 684, 703 s.
dichiarazioni mqisteriali prctridcnti-
ne, II 68s ss. e peccato dcl mondo, II 7o6-715.
caranere di colpa nel p o., Il 685 s. e procreazione, 11 234 s., 678, 688,
castigo del p o.. II 686 s. 696, 712.
donrina del concilio di Trento, li in Agostino, li 676-679.
2 30 s.. 687-691. esegesi di Rom. ,,12, Il 676 ss.
1022 INDIC:F. ANA!.IT!CO

peccato dell'umanità in Adamo, Il comprensibilità dcl concetto di per·


678. sona quale problema ermeneutico, I
procreazione e p. o., II 678 s. 441.
punizioni del p. o., Il 679. concetto di persona in Tommaso,
universalità dcl peccato originale do· 487; Il 313.
po la caduta, II 6!n s., 71 3 s. concetto di persona secondo Boezio,
e monogenismo, li 230 ss., 713 s. 26os.;II 3LH.
e rifiuto di Cristo, II 71,. concetto odierno di persona a diffe-
v1smne essenzialistica ed esistenzia- renza di quello del magistero, I
listica dcl p. o., Il 703. 489 ss.
visione sopranna1uralis1ica dcl p. o., differenza di «persona» nella cristolo-
II 821. gia e nella dottrina trinitaria, I 418.
distinzione delle persone in Ireneo, I
Pela11iancsimo, II 197, 202, '63, '68, 209.
62; ss., 674 ss. diversità dell'esser-persona delle tre
Penitenza, sacramento della, I 177. ipostasi, I 420.
prassi penitenziale della Chiesa anti· e autocoscienza. I 46t s.
ca, II 602. in Tertulliano, I 216.
nessun 'Tu' all'interno della Trinità,
Pcntatt:urn, li 31 ss. I 462.
non ogni persona divina può diven-
Pentimento di Dio, Il 611. tare uomo, I 419 s.
Perdizione (cfr. ptccato dtl mondo), II personalità di Dio e personalità tri-
824, 830, 834, 86o, 873 nitaria differenziata, I 419 s.
coscienza di perdizione, II 823 as., precisazione del concetto di persona
832 H. nell'undicesimo Sinodo di Toledo, I
dualismo gnostico e problema del 241.
male, li 142. proble11U11ica del conceuo di perso-
male nel mondo e demoni, II Ilo]. na, I n,, 1nn.. 412ss., 488.
solidarietà nella rovina, Il 487, 733, riservatezza di A!l('5tino nei confron·
809 s. ti del concC'lto di persona nella Tri·
storia di perdizione, II 6p s., ni1ì, I 2,9.
7o6 s., 924 ss. sostimibilità del concrtlo di perso-
demoni come momento della storia na. I 44'· 487-496.
di perdizione. Il H. 7H· 809 s. storia dcl conccuo di persona dopo
l'accoglimento nel dogma, I 44' s.
Peric6resi, I 24 1. vantaggi dei •tre modi distinti di SUS·
sistcnza.,. al posto di ctrc penonci.,
Persona (dr. persOllll ntlla TrinilÌI, uo-
I 494
mo come persona)
sviluppo storico del concetto di per· Personalismo, Il 3t4 s.
sona, II 312 ss.
comprensione della persona nella Personalità di Dio,
filosofia più recente. II 311. 297. 107.

Persona (nella Trinità) (dr. modi distin- Pienev.a dcl 1nnpo. Il 8\o, 842.
ti di SllSSÌfltnld), I 4H s., 46r.
come concetto concreto, a diffcrcnza Pietismo. Il 116. 20\.
di • perso""1ilos•, I 488. Platonismo
come •incomm11nicabilis existenlia•. m interpretazione cri5tiana del platoni-
Riccardo da S. Vittore, I 261; Il smo, li •'7·
313. rapponn di rorpn r anillUI, Il 24' s.
come •elatio s11bsistens in Tommuo
d'Aquino. 1 26p. Platnni•mo intr~io. 1 2n2: n I I I
1023

Pneumatologia (cfr. grdZill, spirito, Spi- me persnna), I 49; II 2,J, oo,


rito Santo). J28 s.

Polifiletismo, II 229. Prorologia (cfr. eziologia, iustiti4 urilf:i·


nalis, st11to originale), Il 27-,0, JI'
Poligenismo (dr. monogenismo)
connessione di prorologia, escatologia,
conciliabilità del poligenismo con la
cristok>gia, II 27, 8.:; s.
dottrina del peccato originale, Il
dotrri na generale circa 11& .:reazione
229 ss., 708-71.:;.
come momento della protologia, II
Humani generis circa il poligenismo,
II 231, 697 ss. 30.
possibilità della dottrina dello stato
Paolo v1 e il poligenismo, II '-31 s.
originale movendo dal N.T .. II io.
tendenza delle scienze naturali al po-
ligenismo, II 233. Provvidenza (cfr. consm11nionr)
Tridentino e polijienismo, Il 696 s. causalità di Dio riguardo al male, II
Vaticano 1 e poligenismo, Il 698. 612 s.
Politeismo, esperienza nella storia d'hraele, II
172 s.
Possessione, II 796 s., 80.:; s. provvidenza salvifica universale Ji
Dio, II 8.:;2 s., 877 s.
Potentia oboedientiaiis, I 43, 474; II riguardo all'uomo decaduto, II n,
20~.
488.
Predestin&2ione, I 361, 398. secondo il N. T., 11 173 s.
di Cristo, I l9ll· sviluppo nella teologia cristiana, 11
17JS.
Predicuione. II 2 r.
Psicanalisi, Il 820.
Prqihier•,
Pur11.iorio. fuoco, Il 620.
Preiunri•. niologicunenre, J18.
Presenza di Dio (dr. onniprrunul
R
rivelazione dcli• presenza di Dio me-
di•nte l'111j1elo di Jahvé, Il 742. Rappresentanza. II 477, 488, 8,2, 961
Pri!1C'Ìlli•ni5mo, I 2q, H9: 11 281. espiazione vicari•. I n&.

Pl'OCH'azione, II 236, 281, 414 ss. Redenzione, II 196


come compimento riù pcrfelto della
Profeta, II 926 ss., 9'7 SI. creazione, II 91.
interpretazione biblica della storia del- ordine della redenzione, II 21 J.
la salvezza nelle c•tCROrie profetiche,
II 889. Redenzione: necessità di ~nzinM e
oracolo profetico, I 286. azione re1roa11iva della redenzione
profeti nel N. T .. I 1,9. azione anticipata della redenzione, 11
8)9-849.
Pr~esso. idea del. Il .:;27 ss. difficoltà circa il problema della ne·
in1erpretazione del progresso da par- cessità di redenzione, II 111911.
re di Teilhard de Chardin, Il p8 s. concetto intellenualistico Ji rivela·
zie.ne. Il 821.
Progresso, ottimismo per il, II 819, ottimismo del progresso, Il 819, ht.
821. necessità e bisogno di redenzione, I f
Promessa (e compimento). II 891, 822 s., 8 )6 ss.
900 ss .. 906, 910, 9u, 928 s., 936. presentimento umano circa la nece~·
sità di redenzione, II 81 )-826.
Pro~<imo (cfr. rrl6tiont' in-t•. "°""' ro- c-speTien7JI irriflessa dell'ooino, II b J.
1024 INDICI! o\NALmco

necessità di redenzione del senti· conoscenza namrale di Dio e rcliaio-


mento vii.le dell'uomo moderno, Il nc,- l ,2·n; Il 1168, 8n ss.
824 I. convergenza delle reli11ioni verso Cri-
!14.'IUIC:llo bisognosu di rcdcn7.ionc e sto, Il 877 ss
•i t uazionc: dalla quale è nccetsario cristianesimo e: religioni, Il 867-881.
e>1cr rrdenti, Il 816 1. della famigll~. 11 489.
rapporto tra la ncccuitÌI di reden· rcligion.- del 1mpolo, Il ,.s9.
zione e il messaggio divino di sai· religione supc:riore, 11 ,.s9
Vt7.za, II 827 s
ampia visione di Paolo cimi la ne- Rc:aiduo, Il 918, lJH, 970
c~'SSÌlà di n:Jc:nzione, Il 830 ss. ruponsabilità, Il IOJ, 646_
mnfronto wn C:ri8ro, li 829 s. ricum11cnsa, I nB; 11 2n.
Redenzione, reli11ioni di redenzione:, Il Ripudio, Il 9t7, 918.
820, 8J9.
Risurrezione della carne, I 49 s.; li
Regalità di Dio (dr. rega/itÌI di Jahvé), 2 H. 2"6-168, 296, 524.
I 452 s.; TI J26, 327. J28, p9, Ri5urrc:zionc: di Cristo, li n2 ss.
919, llH· i111port1n1J1 della risurrezione di Gc·
Regno di Dio (cfr. re11.alità di Dio), sì1 per la comprensione della fede
352 s. Histian11 in Dio, I 133-t4,.
futuro dcl Reano nell'Apocalisae, 1enui dell'intronizzazione, I 1H·
365. stare seduto alla destra del Padre.
I t J6.
R~gula /idei, 193.
Rivelazione: (cfr. dutocomunicaziont di
Relazioni (nelln Trinità), I 456-46o, Dio).
482. ronce110 m1clle1tualistico di rivelaio-
compimento della dottrina sulle rela· ne, Il 8.iz.
zioni in Tommaso d'Aquino, I 167. l'Unclusionc: della rivelazione in Gio-
concetto di •relatio•, I 06-46o. vanni, I 1 j9-
distinzione virtuale e reale delle rc:la· c Trinità, 11 41 ~- .po.
zioni in Dio, I 4'7· mediante la parola, I 285 s.
principio della «idenlltt1.< comparala•. nella atoria, I 68.
I 4,8. nell'azione, I 287.
relazione e modo di 1ussistenza, rapporto della rivclaziour ndla Bib-
492. bia con le reh1ioni analnòlichc, I
relazione non formante personl,
46+ t'llppono tn facto e contenuto della
relazioni di origine formanti persona. rivelazione, Il t9 s.
I 464. ·rivelazione naturale•, Il Bn.
relazioni e Persone, 166.
Tt'lazioni in Agostino, I 1,8. Rivelazione, primordiale, originaria, 11
rcluion1 in Boezio, I 261. ,,,, 727.
relazioni opposte, 1 241, J.M, 2'7-
relazioni sussi1enti, I 2 '7.
Re/11,io (come vinùl. Il ,96. s
Rdi11ioni Sabcllianismo. 111 s., no, 243, 2,a,
•1.11ostos 1beo1, li ·870, 874. 428.
ambivalenza delle religioni pagane. 11 economico, I 428.
6,2, 872 5., 88o •. modali51a, I zo8.
come via •legittima• di ulveua, li
879. Sacr11ncmali, I t17; Il 81J.
INDICE ANALITICO 102~

Sacramenti, I 177 s. Semipelagianesimo, Il 197, '68, 627.


Sacrificio Snsualitl, duplice, Il 218
di Cristo, Ii 9.U· antropologia dei se11i, II 441-4,6.
nell'A. T., Il 9'1 s. dati dell'ernologia, Il 428 11.
ermafrodismo, II 41,.
Salvezza (cfr. 11t~ssittl di rtdnmo11t, fattori biologici, Il 41411.
storia dtllo sol11tuo) mito dell'uomo primitivo bi1e11uale,
carattere incarnato della saM:zza, II II 47'·
29,. parità di dignità della donna rispetto
come azione di salvezza, I 136. all'uomo secondo Gt11. :a, II 49.
concetto veterotestamentario clella 1al· problmatica della determinuione dei
veua, li 936 s. tipi, II 409 11.
dei non cristilJli (cfr. rtligioni, umo· psicologia del 1es1I, II 424·4211.
nittl txlrobiblic'o). significato della duplice ICllUllità, Il
e natura trascendentale dell'uomo, II 418-431, 441-447.
14 •. imporianza sianifiance storico-ul·
aspetto trascendentale dell'evento vifica di uomo e donna, Il 447.
concreto, II 1,.
indeduclbilitl dell'evento ulvifico
1i1nificato ceolo,ico clella dupllce

dalla natura dell'uomo, Il


individuai11mo della salvezza, II 466.
1,. sessuallcà, II 441·447.'
tentacivi d'interpretaaione met.s.1-
ca, II ..p81.
mediazione della ulvc:zza, Il 890, somiaJianza a Dio nel reciproco rife-
9'.'· rimen to di uomo e donna secondo
natura sociale della salvezza, Il 483. K. Barth, II 419 u., •'49·
poasibilitl di accogliere la ulvaza
e rcaltl della rivelazione, II u, 16. Simbolo, Il 390.
rapporti tra la ncC"eSSità di mlm- Situaiooe (dr. p«UIO tkl lllOllllo, ptt-
zione e la storicità della salvezza, Il coto ori&ùwk)
b7ss. come elemento d'unione di dcmiaa.i
universalicl della salvezza, li 929, libere, II 649.
968- e csxre-siruato, Il 649.
Sanritl di Dio, I 304, 348, 3,6. essere-situato esistentivo ed esistm-
kllboà, I 3o6. ziale, Il 6,2 s.
manifestata in .:ruco e nel Pneuma, nozione di situazione, II 648 s.
I 349. peccato originale come un esscre-si-
nitidezza di Dio, I 30,. tuato, II 701-]06, 71.2 s.
sancità antica di Dio, I 30,. privazione della pzia come litu1-
zione esistenziale a causa dcl rifiu-
Sapienza to di Cristo, II 6'6.
e parola nel N. T.. II 83 s.
in T cofilo d'Antiochia, I .zo3 s. Situaziooe transitoria, Il .z,7.
nell'A. T., I 88 ss.; II 74 ~s.
tmdenza alla penonifiazione. I
89; Il 74 s. Soddisfazione, I 40, _
S..ienza di Dio, I )97·
conciliabilità della necessità della scien- Solidarietà (cfr. rom1111ittl), Il 476, 4llo,
za e volonrl cli Dio con la libenà 484, "'87. 497, ,04, 89o. 894, <)67
della creazione, II 1.29. nel peccato, II 487, 64,.
pcnooalitl corpontiva, II 4n. 498,
Scienze naturali, II 1,6. 644, 662.
e ~nuopologia, II :zu.
e dottrina rivelata, II zu s., 227. Soccriologia. I 2:u.
,, '.1utcrù;m S.rl:a:r. rt i 1
1026 INDICB ANALITICO

Speranza,' I 391. Figlio, I 245 s., 4,,.


rapporto tra il Signore e lo Spirito,
Spirito (dell'uomo), II 470, 48o s. 153 s.
anima spirituale come forma sostan- storia della teologia e dei dogmi.
ziale, Il 227. argomento soteriologico per l'egua·
anima spirituale e corporeità, II 224. glianza della natura dello Spirito
apertura dello spirito per Dio, I 24 s. Santo, I 237 s.
autosuperamento dello spirito, II 226. distinzione tr11 generazione e spi·
e storia, I 437. razione in Tommaso, I a67.
pneuma in Paolo, II 261 ss. divinità dello Spirito Santo secon·
rualJ nell'A. T., II 251. do il Niceno-Costantinopolitano, I
Spirito di Dio (cfr. Spirito Santo) 230 s.
nell'A. T., I 90 ss. macedonianismo, I a31.
attività creatrice, II 108 s. proprietà dello Spirito Santo se-
nell'A. T., come mediazione dell'auto- condo Gresorio Nazianzeno, I 280.
presentazione, I 441. Spirito Santo In Origcnc, I 219.
nesso fra parola e spirito, I 92. tcolosia dello Spirito Santo nei
personificazione, I 93. Cappadoci, I 2.~o.
Spirito Santo (dr. Spiri10 di Dio), Spiritualità di Dio, 217; II 294.
454 s.
bestemmia contro lo Spirito, I 127. Stato, II ,02- 509
come donato nell'amore, I 242 s. abuso del potere come pericolo del·
come «donum», I 257. lo stato, II 507.
e angeli, II 780. asserzioni bibliche circa lo stRto, II
e creazione, II 133 ss. ,03.
esperienza della realtà dello Spirito autorità dello stato, II 50, s.
Santo nel battesimo, I 196. autorità terrena internazionale, II
fenomeni pneumatici nella Chiesa pri· 508.
mitiva e Trinità, I 145 ss. carattere provvisorio, II 507 s.
Gesù e lo Spirito Santo, I 127-133. in servizio della conservazione dell'or-
cacciata dei demoni mediante lo dine della creazione, II ,o6.
Spirito di Dio, I 128 s. necessità dello stato, II 503.
datazione di Spirito di Gesù, I solidarietà e sussidiarietà nello stato,
131 s. II 504 s.
significato del battesimo nei Sinot- stato terrestre e stato divino, II 'o8 s.
tici, I 129 ss. Storia
immagine giovannea dello Spirito, I come promessa e compimento, II
156-161. 891.
«carattere personale», I 16o s. come teatro dell'incontro di Dio e uo-
criteri di distinzione, I 16o. mo, II 885 s.
titolo di Paraclito, I 157, 192. contesto storico finalizzato, II 482.
ainabitazione» dello Spirito Santo, I e autocomunicazione di Dio, I 476,
237, 265. 479, 482.
•inabitazione,. non appropriata del-
lo Spirito, in Petavio, I 273. Storia della salve22&
in Paolo, I r48-156. angeli come elemento della storia del·
missione dello Spirito e incarnazione, la salvezza, II 7 H·
I 470. e ordine della salve22& dell'A. T., II
narrazione della Pentecoste, I 147 s. 89J·97x.
personalità dello Spirito Santo, e Trinità (economica), I 468, 472.
in Paolo, I 154 s., 192. impostazione cristologica, II 89J s.
nella catechesi bauesimale, I 193 s. parola di Dio come interpre1azione
processione dal Padre e (mediante il) della storia della salvezza, II 888 s.
INDICE ANALl'flCO I027

particolarità della s1oria della salvez- Teofanie, I 202, 218, 256, 29r s., 366
za ncll'A. T., I 71. e an11cli, II 742, 747.
pc:t-CRto come trasgressione 'nncro la
storia della salvt"Zza, Il 596 s. '1\·o~onia, 11 43
presentazione biblica, Il 88,·893. Tcoloflia (dr. un1rupolo11.iu)
storia come avvenimento celeste-ter- 'ornt· 11:ol0Kia della s11lwzza, II t 5 s.
restre, Il ns. dimensione trasce11Jentak· anrropoloMi·
rapporto fra storia della salvezza uni· ca della reolo~rn. 11 11 s.
\'ersale e speciale, I 97 55. indagine cir'a le rnnJizioni ncccs-
Storicità, II 482 s. s.u ie nel soggetto per la cunosccnzn
· dcl destinatario dcll'aurocomunicazio- dcll'og11c1 m reolu11iw, 11 12 s
m: cli Dio, I 476. n<'c~sit~ di un ambito 1r11sr,•nd<'n
tak·, Il Il ·l4.
Subordinazianismo, 204, 213ss.; II rappor10 tra una 1eolog1a rrascen-
I I I. dc:nrolc d prmri e una categoriale a
ariano, I 214, 225. pn.llt'rtori, 11 11s.
degli apologisti, I 201-205. e demitologizzazionc. 11 z 1.
presso Novaziano, I 218. ncsuiva, I 45
presso Origene, I 219. rillessione teologica e prcdkazione, 11
:? I S,
Suicidio, II 622. !eocentricità della teologia 'e dcll'an-
Superamento sostanziale, II 225. uopologia, II 11 ss.
«teologia delle realtà terrestri~. Il
Sussistenza (cfr. modi distinti di sussi- 211 s.
stenza), I 460 s.
sussistere, I 492. Teologia biblica
differenziazione delle - asserzioni oco-
tcstamcncaric:, I 11 3 s.
T predicazione di Gesù come oggetto
Tecnica (cfr. lavoro) della toologia biblica, I 117 s.
come ronquenz• della rivelazione vangeli come testimonianza della fe-
circa la creazione, li I ,6. de post-pasquale. I t t 2 s.
come sublime forma di lavoro, I I Teologia sociale, II -t65.
'24· e sociologia, II 469.
demone della tccniai, II ,26. rappono tra filosofia sociale e teolo-
e arte, Il ,29 s. gia sociale, II 466.470.
Tempo solidarismo, II 467.
concezione ciclica e concezione linea- Teopaschita, disputa, I 26o.
re e.lei tempo, Il 167 s.
cons«utw temporum dell'economia Timore, I 391.
salvifica, Il 167 s.
assunzione del tempo ad opera di Tipologia, II 891, 902, 910 ss.
Cristo, II 168 s. Traducianesimo, II 269, 284.
finitezza del tempo in quanto tem-
po di salvezza, II 170. Tradizione, Il 887.
idea del tempo di Agostino, li
273.
Trasa:ndenza, Il 8n.
come aspcuo della aucocomunicazione
di Dio, I 476, 480.
Tentazione, Il 8o3 ss. e immanenza come tensione della me-
l'<'Oc.licea, I 376. tafisica cristiana creazionista, II
Gen. 1-3 come teodicea. li H· 156.
Teodicea, probkma della, Il 190. e storia, I 437.
1028 INDICE ANALITICO

mistica di un'esperienza della trascen- particolarità della storia sacra del-


denZI, I 477. . !'A. T., I 71.
punto di riferimento assoluto della rivelazione trinitaria nel N. T., I III-
trascendenza, II 14, 166.
dottrina trinitaria bibiica come chia-
Trascendenza di Dio, I 298, 303, 3o6, rificazione della persona e del mes-
347, 373 saggio di Gesù, I 115 s.
assol111a, II 156, 158, 743 ss., 870. fenomeni pneumatici nella Chiesa
e immanenza di Dio, I 76 s., 261, primitiva e Trinità, I 14' ss.
304, 348. formule trinitarie nel N. T., (Mt.
e rappresentazione desii angeli, II 28,19; 2 Cor. 13,13; I Cor. 12'4 ss.),
743-748. I 161.
Tricotomia, II 46. Gesù e lo Spirito Santo, I 127-
133.
Trinità (cfr. autocom1mica:.iont, Dio Pa- il Padre di Gesù, I 121 s., 138-
drt, Logns, modi distinti di sussi- 145.
stem:a, persona nella Trinittl, rtla:.io- immagine giovannea dello Spirito,
ni, Spirito di Dio, Spirito Santo) I 156-161.
accesso alla Trinità attraveno un'au- logion giovanneo (Mt. rr,28 ss.), I
tocomunicazione assoluta, I 6,. 138-145.
analogia della Trinità e duplice ses- premesse metodologiche, I ru-
sualità, II 419-424. u6.
cre11.ione del mondo ad opera di Dio, problema di terminologia, I II5.
uno e trino, II 106. rapporto fra Dio, Cristo e Spirito
esigenza di fede da parte di Gesù e in Paolo, I 148-156.
Trinità, I 123. significato dell'indagine sulla prepa-
esperienza della storia della salvezza razione della rivelazione triniwia, I
in Gesù e dottrina trinitaria, l 430. 6no.
«inabitazione• delle divine persone, I evento di Cristo e rive~e tri-
18<>-184, 237. nitaria, I 6,.
cinesistenza> delle tre persone, I necessilà di uno svolgimento dog-
465. matico, I 69 1.
l..ogos come rivelatore del Dio trino, preparazione della rivelazione tri-
I 422. nitaria e rivelazione divina defini-
missioni, I 257, 268, 430. tivi, I 64 1.
missioni come punto iniziale dclla questione posta esattamente, I 66.
dottrina triniwia, I 438. struttura trinitaria della liturgia, I
preparazione della rivelazione trinita- 16~)-177.
ria fuori della Scrittura, I !)6-107, anafore, I 174 a.
413. dossologie, I 172.
premesse fondamentali, I 97-101. formule di professione di fede, I
preparazione delle religioni oggi, I 171 s.
105 s. interpretazione mnnaria di testi
preparazione nell'ambiente orienta- dell'A. T., I 170.
le-srcco-romano, I 1o6. liturgia battesimale, I 173 s., 193 ss.
questione circa le «triadi., I 104. struttura trinitaria dei sacramenti,
preparazione della rivelazione tnruta- dei sacr1mentali e dell'anno litur-
ria ndl'A. T., I 7()-96, 413, 429. gico, I 177 s.
forme plurali, I 94. trisagio, I 171, 179.
in quale senso c'~ una preparuiooe struttura trinitaria del mondo, Il 116.
ncll'A. T., I 73 s. testimonian2a della Trinità nella vita
ipostasi divine ncll'A. T., I 77. cristiana, I 178-184.
modi di mediazione, I 77, 82. martirio, I 179 s.
INDICI! ANALITICO 1029

misdca mmtaria, 180-184. domina trinitaria in Bon11ventura, · I


Trini1à e devozione, I 180-184, 405. 268 s.
accentuazione dcl concetto dcli' «in-
Trinità come modello dell'uomo, II 113.
nascibilith, I 268.
1225., 136.
pl'Ocessione del Figlio per modum
Trinità come mistero, 64, 111, 238, ""turae, I 268 s.
154, 4 36 s.. 440. relazione cosmica della Trinità, I
;cccntuazione del carattere di mi· 26\).
stero in Tommaso d'Aquino, I 267. dottrina trinitaria psicologica, I 438,
mistero della Trinità come mistero 497-,02
della nostra propria realtà, I 4 36. ditlicohà della speculazione trinita-
ntgazionc dtl mistero in Roscellino, ria psicologica, I 498 s.
I 263. Dio come Spirito con conoscenza
e amore, I 497 s.
Trinità, dottrinM sulla (dr. appropria:r.io·
precessioni come conoscenza e amo-
11i, modi distinti di 1uuis1en:r.a, per· re, I 412.
so"a nella Trinità, rela:r.io11i, Tri,,ittll
concezione trinitaria cconomico-salvifi· dottrina trinitaria psicologica in A-
ca (dr. Trinità immane1111f ed econo· gostinC>, I 2,6.260, 411.
mica). accentuazione.- dell'unità, I 2n.
quat1trnitas, I 4<l8, 4,7.
dichiarazioni dcl Magistero ecclesiasti·
relazioni nella Trinità, I 2.57 s.
CO, ] 439-465.
riservatezza nei confronti d!!l con-
con.cilio di Costantinopoli, I 21015.
cetto di persona, I 258.
controvenim con Ippolito, I uo.
svanire dell'interesse economico-sal-
dichiarazione del Mqistero eccle-
vifico, I 2,7
siastico nell'epoca moderna, I 2,0.
terne, I 258s
dichiarazione del Mqis1cro cede·
un principio delle opml ad txtra,
sia.stico nel medio evo I 242 s
Nicea, I 222-226. '
I 2,6.
Niceno-Costantinopolitano, 2 30 s. eresie anri1rinitarie (cfr. anche aria-
papi romani del 11 e 111 secolo, I nesimo, mod4lismo, ecc.).
220 s. concezione sabelliana della Trini1à,
•Quicumque•, I 239. T 1,0.
Sinodo di Nicea, I 226. influsso della gnosi sincretisiica, I
Sinodo di Toledo 167' d.C.I. I 207.
241. tendenze triteisriche nel subordina-
Vaticano 1, 440.
zianismo, I 213 s.
disiinzione nella Trinità, 220 s.
generazione del Figlio, 22 3.

difficoltà 1erminologica in Atanasio. in Ireneo, I 209.


] 227. in Novaziano, I 217.
distinzione della triade nei Cappa· inierpretazione della generazione in
doci. I 227 s. Tommaso, I 267 s.
disiinziont: reale fra natura e per· {ilìoque, I 24p47.
S<'llC in Gilberto Porretano, I 242. disputa con Fozio, I 247.
dottrina 1rinitaria in Tommaso d'A· formule differenti: ex {ilio, per fi-
quino. I 267. lium, I 246.
compimento della domina delle re· posizione dottrinale diversa, I 244.
laz1oni, I 267 s. sviluppo storico, I 244 s.
person1 come relatio subsistens, I bomoousios, I 211.
268 bomoousios riferito allo Spirito San-
spiegazione della processione come to, I 2J1.
azione immanmtC' della natura spi· bomoousios in Paolo di Samos1ta,
rituale. I 26;. I 210 s.
INDICI! A1'ALITICO

homousia presso gli gnostici, carattere intellettivo della prima pro-


207 s. cessione, I 241.
interpretazione dell' homoousìos ad carattere volitivo della seconda pro-
opera dei Cappadoci, I 228. ccHione, I 241.
interpretazione limitata dell'homoou- distinzione delle processioni e •fi·
sù>J secondo Nicea, I 224 s. lioque», I 247.
hypos/asis, I 223, 46o. diitinzione tra la prima e la secon·
distinzione di hypastasis e ausia da processione in Tonunaso, I 267.
presso i Cappadoci, I 227 s., 231 s. generazione, 1 465.
hypastasis e ausia in Atanasio, I interpretazione delle processioni in
228. Tommaso d'Aquino, I 267 s.
ipostasi: nessun concetto univoco, spirazione, I 465.
I 420. proprietà, I 241, 263 s.
metodo del tratlato della Trinità, I proprietà nozionali, I 464.
4W s., 437 s. prasopon, I 212, 227.
modi Ji esistenza di Dio, tre relativi, rapporto tra dogma trinitario e dog-
concreti, I 461. ma cristologico, I 232-238, 407.
/rapai /es l1yparxcos nei Cappado- realtà essenziali della natura divina, I
ci, I 228 s. 464.
momenti dello sviluppo della storia significato dell'angelologia del tardo
dci dogmi. giudaismo e Trinità, I 198 ss.
indirizzo soteriologico come momen- spiegazione teologica della Trinità.
to, I 235 s. Atanasio, 1 226, 236.
influsso della speculazione gnosti- Atenagora, I 204.
ca del pleroma?, I 19r. Boezio, I 260 s.
momento della celebrazione eucari- Cappadoci, I 227 ss., 257.
stica, I 197 ss. Eckhardt, I 270.
origini nel N. T., I 192. Eriugena, I 262.
significato della liturgia battesima- Giustino, 1 202.
le, I 194 s. Giinthcr, I 2n; II u6 s.
~toria dei dogmi e loro impulso per Ireneo, I 2o8.
il futuro, I 402. Nicola Cusano, I 270_
struttura trinitaria delle norme di nominalismo, I 269.
fede, I 193· Novaziano, I 217.
tesi della discscatologizzazionc di Origc:ne, I 219 s.
Wemer, I 190 s. Pietro Lombardo, I 264 s.
tesi dell'ellenizzazione di Harnack Pseudo-Dionigi, I 161.
e Loofs, I 188 s. Riccardo da S. Vittore, I 266.
neoniccni, I 227. riformatori, I 248 s.
nuove interpretazioni fiJ090fichc della Rosmini, I 2n.
Trinità. I 251·2'5. 'faziano, I 202.
Baur, I Jp. Teofilo di Antiochia, 203, 208.
B<ihmC', I 1 so. Tc.-rrulliano, I 216 s.
DC"scaries. I 2 ,o. s1ru11ura occidentale della teologia tri·
Hqtel. I 1,t; II 123. nitaria, I 2 J9, 244.
Lessini:. I 1,1. •subnstc·111i.Ji1a1es», I 49:1-
Schellini:. I 2,1. sussistcnzc, I 46o.
Schleiennacher. I 2p. tendcn~a politeistica nell'arianesimo, I
Strauss. I 251. 21,
problema1ica del ronceno « Trinitas•. m111a10 sulla Trinità.
I 65 s. concezione trinitaria occidcntale-ago-
pr;1c..-uioni iniradi,•ine. I 141. 2-1 \. stiniana in opposi7.ionc a quella gre·
-164. ca, I .110.
INDICE ANALITICO 1031

divisione dci due" rrattati in san Tom· comuna.nza di natura secondo i Cap.
maso, I 409. padoci, I :u8.
dottrina lriniraria e dottrina dc:!la discre/ae operotioner delle singole
salvez7.a, 41,. persone in Eriugena, I 262.
metodo e struuura dcl trattato «de formale identità di na1ura e per·
Deo lrino», I 402 ss. sana nella Trini1à, I 458.
pericolo dell'isolamento dell'insegna· identità di na1ura in Atanasio, I
mento 1rini1ario dalla cris1olo~ia, I 227.
2,9 s. omnia sunt unum 11bi non obviat
rapporto dci trattati «de Deo uno• relationis oppositio, I 244, 2'J7·
e «de Deo trino.,., I 408-413, 43' s. principio unico delle opere ad ex·
lrattato «de Deo trino» isolato nel- tra, I 2,6.
la dogmauca, 1 407. superaccentu12ione dell'unità della
trias, I 20J, 208. sostanza in Abelardo, I 263 s.
lr!nilà economica cd immanente, unità di natura secondo Nicea, l
7'· 216, 231, 240, 249, 254, 2,6 s., 223.
273, 37'. 414, 426 s., 418, 468, 500: unità del Padre e del Figlio in No-
II 123. vaziano, I 218.
fond12ione della Trinità economica unità e uguaglianza di natura se-
in quella immanen1e, I 48' s. condo il Lateranense (649 ), I 240.
iden1itÌI della Trinilà economica e
immanen1e, I ·414, 416. Triteismo, I 222, 242, 432 s., 446, 496.
incarn12io01e solo dcl l.ol!OS come
presupposto dell'unità della TrinilÌI
economica e immanente, Il 126. u
mancanza di nesso tra la Trinità
Umanità
economica e quella immanente pres-
come comunitì, II 4n·48,.
so i Cappadoci, I 229, 236.
nuova umanità, II 491.
mancanza di richiamo alla Trinità
unirà dell'um1nitì, II ,22.
economica a Nicea, I 224-
minor peso dell'aspcno economico Umani1l extra-biblica (dr. cristiani ano-
salvifico in Tommaso, I 4'3· nimi)
passaggio dalla Trinità economica
allcal\28 divina con Noè, II 8'J7.
alla Trinità immanente, I 483. rapporto della rivelazione di Dio nel-
relazione della Trinità nel processo la Bibbia e fuori di essa, I ,1.,6.
del mondÒ in Eciugcna, I 262. rapporto dell'umanità extra-biblica Ctlf1
rinuncia alla valorizzazione econo- Israele, I 89.
mica in Agostino, I 2,9. 5anti p111ani. li 8}8.
Trinità economica e immanente universalitì della provvidenza salvi6ca
presso Rupcno di Deutz, I 271. divina, Il an. 878.
Trinità economica presso Terrullia-
no, I 216. Unione iposmica, I 389, 416, 419, 01;
Trinità immanente cd economica in
Ireneo, I 209.
JI 2,
JI,
come paradigma per la donrina trini-
una più forte concezione immanen- 11ri1, I 416.
te della Trinità in Novaz.iano, I
217. Uomo fdr. 1111tropoJogi11, romunittl, /lfl}(l-
uguaglianza di natura, I 219, 221. ro, parola, rt1ppor10 corpo.11nim11, so-
unità nella Trinità, I 223, 243. m1zli11nu 11 Dio, ussualittl)
accentuazioM dell'unità di natura Apertura della na1ura spiri1u1le del-
in Callisto 1, I 221. l'uomo, 11 Jo,.
accen1ua7.ione dell'unità nel cQ11i- a1m12ione dell'uomo nella storia, li
crimqut'Y>, I 219. 16.
1032 INDICP. ANALITICO

come ubbozzo» di Gesù Cristo, II come progcrio, Il 633.


come senso del mondo, II 187.
come elemento di connessione Ira come spirito nel mondo, II 347 s.
macro- e microcosmo, II 102, 249. concezione dualistica dell'uomo, Il
471. 244-24!1, 255.
come libero pariner di Dio, II 218. nea1urali1à dell'uomo, II 212.
come persona (cfr. relazione io-tu), li decisione dell'uomo riguardo all'or·
2H, 2~9, ni. dine morale, Il 605 s.
accesso carcnrc alla comprensione decisione 11! momento della morte,
della persona nd pensiero greco, II 606 s.
)09 s. distinzione tra azione buona quoti·
conoscenza di dominio e conoscen- diana e azione buona capitale, II
za d'amore, II 470, 487. 606.
deicrminazione fenomenologica del- dislinzione tra peccato mortale e
la stru11ura della persona, Il 316 s. veniale, II 606.
divenire pcnona in aulotrascenden- divenir conscio di sé da pane dell'uo-
mo mediante la parola, II 100,
za, Il 32 '' HO.
essenza della pcrson~. 11 329 s. H6S., H75·
essere persona altuale e on1ologica, esistenza politica, Il 252.
II 322, 323 s. inter·so1111c1tivi1à, II 46, s.
essere persona e essere nel mondo, mistero dell'uomo, Il ~29.
II 320 s. origine dell'uomo, Il 21,-240.
fonda1.ionc onrologica, II 322 ss. causalità trascendentale di Dio, II
imme<liarczza a Dio della persona, 284.
li 477. creazione dell'anima spirituale umana,
misicro, della persona nel nome, Il Il 143.
318 ss., 330. creazionismo, II 23' s., 239, 270.
parola e persona, II 103 s. e scienze narurali, II 21 J.
peccato come rottura del sisiema di generazionismo, II 2H s.
relazioni personali, II 325 s. preesistenzianismo, II 234, z 3'·
persona come porlatrice di relazio- parti sostanziali dell'uomo, II 46,
ni sociali, II 468. 227 s.

persona come star di fronte al ru, prossimo e amore trinitario, 49,


II 330. 319, 328s.
persona e intercomunicazione, II provenienza dalla terra, Il 224.
331. rapporto con la materia e con il co-
persona è irripetibile, II no. smo, Il 476, 48o, 514 s.
persona non è oggenivabile, II rapporto della conoscenza di se stes-
331. so dell'uomo con la realtà della rive·
persona sociale, II 291, 328, 476 ss. la2ione, Il 11, 20.
presupposti rivelati, Il 310 ss. rivelazione definitiva in Cristo della
rapporto della questione echi ?io con narura dell'uomo. II 99.
la questione cchc cosa?•, II 3o8 s. unità sosta02iale. II 224, 227.
rcdc02ione dell'essere persona, in Unicità di Dio, I 199; II 68, 139-
Cristo, II 328. 144
rela2ione dialogica della creazione, invece dell'unicità immediata, meglio:
come fondamento dell'essere perso- unità mediata di Dio, I 435.
na, II 318 s., 324 s. nell'A. T.. I n.
sviluppo personale, H 83' s., 838. nel N.T ... I 16~.
valori della persona e della comu-
nità, II 468.
come possibilità di un essere diverso V
da Dio, Il 11, 25. Valdesi. I 243.
INUll.I·. AN·\1.1'1 IC'.O
IOj \

Verità, II l2L Vita di Dio, I 341!.


~onet~tlodi verità, 479 s.
come un rivcl~mc far apparire pro· Volontà (cfr. libertà)
pria natura, l 480. actus hominis, 11 600.
e autocomunicazione di Dio, 478, actus h11mani, II 600,
479. libera voloma "lcgatu a causa del
logica e ontologica, II 121. peccato, I I 630.
liber11m arbilri11m, Il 568, '97, 600,
Vestigi" trini/11/tJ, I[ iq, 122, q6. 627 s., 639. 6,4.
dottrina dcl pclagianesimo, Il 674 s.
Vir1ù (teologali), II '9'· gradi dd peccato in rapporto con
la volontà libera, Il 607.
\'i sia beatifica, I 42'; II 199 libertà della volontà sollo il pec-
e Trinità, 1 408. cato, Il 6 38 s., 691.
Visione di Dio, Il 300 s. vol11ntarietas, Il 600, 694, 702.
Volontà salvifica (universale) di Dio, Il
Visioni,
595, 7o6, 841 s., 85} s., 857. 862. 877.
Vita
conceuo teologico della vita ncll'A. T., z
Il '79 s.
vita secondo Giovanni, II 195 s. Zelo di Dio, I 339.
INDICE

CAP. VI • Fondar.ione generale della protologia e dell'antropologia


teologica

SEZIONE PRIMA: Considerazioni fondamentali per l'antropologia e


la protologia nell'ambito della teologia
1. Antropologia come 'luogo teologico' ................... . II

2. Necessità di una strutturazione antropologico-esistenziale della


teologia .......................................... . 13
a. Motiv112ione derivante dalla natura e dall'oggetto della teologia ..... . 14
b. Motivazione apologetica secondo la teologia fondamentale, e motiva-
zione storico-cultura!~ contingente ............................... . 18
3. Conclusioni
a. Antropologia teologica e cristologia ............................... .
b. Antropologia teologica e protologia ...•.................•..........

SEZIONE SECONDA: Esegesi teologica di Gen. I·J

1. Per una critica letteraria e per la storia delle forme di Gen. 1-3 31
2. Diverse forme di esposizione ......................... .
3. Asserzioni teologiche
a. Geti. I nel suo complesso ..................................... .
b. Questioni particolari cira Gen. 1 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
c. La ca1111teris1ica propria di Gen. J • . • • . . . . • • . . . . . . • . . . • . • . . . . • . .
d. La prova del primo uomo in Gtn. 3 ........................... .
Bibliografia

CAP. VII • La creazione quale origine permanente della salver.r.a

SEZIONE PRIMA: L'asserzione biblica fondamentale


1. La creazione quale presupposto dell'alleanza nell'A.T. 59
2. Creazione in Cristo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 77
11. I testi ................................................. ·...... 78
b. Il kerygma, i suoi problemi e la sua ponata . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 83
Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 86
INDICE
IOJ.5

SEZIONE SECONDA: Interpretazione teologica della fede nella crea-


zione

1. Dio crea mecliante la parola . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 93


.2. Il creatore è il Dio uno e trino . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 06
3. Nella libera comunicazione della sua magnificenza d'amore Dio
è creatore da solo .. .. ... .. .. .. .. .. .. .. .. .. . . . .. .. .. .. . 12 7
4. Dio ha tratto il mondo dal nulla . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 144
.5· Dio creò questo mondo come mondo con l'inizio del tempo . . I.59
6. La provvidenza di Dio conserva il mondo nel suo essere e
nel suo operare, in favore dell'uomo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 172

Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 191

SEZIONE TERZA: Creazione e alleanza come problema di natura e


grazia
1. La dottrina biblico-patristica su grazia e natura . . . . . . . . . . . . . . 194
2. La formazione del concetto di 'soprannaturale'·.............. 198
3. La dottrina della natura e la disputa intorno a Baio . . . . . . . . 200

4. Il ripensamento teologico sull'unione di natura e grazia . . . . . . 204


,. Conservazione ed 'eliminazione' del concetto di 'soprannaturale' 206

BibliogTtrfia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 208

CAP. VIII • L'uomo in quanto creatura

SEZIONE PRIMA: L'origine dell'uomo


1. L'origine dell'umanità ................................. . 215
a. Il problema dell'evoluzione antropologica ......................... . 216
b. Il problema del monogenismo ................................. . 229
2. L'origine dei singoli uomini post-adamitici ............... . 234
BibUografia ............................................ .

SEZIONE SECONDA: L'uomo come unità di corpo e di anima


1. Concetto greco e concetto ebraico dell'uomo
a. La concezione greca di anima e corpo ........................... .
b. La concezione dell'uomo per gli ebrei ............. : ............. .
INDICE

2. Il concetto dell'uomo nel N.T.


a. Il mondo giudaico tardivo . . . . . . . . . . . . '. ......................... .
b. I Sinonici ............................................. .
,. Paolo

3. Schizzo di storia della teologia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .


4. Spiegazione teologica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
"· Definizioni della Cl-aiesa . . . . . . .
h Spiegazione sistematica dell'unità <lei corpo e Jdl'anima nell'uomo . .

Dibliografia .......................... · · · · · · · · · .. · · · · · · · ·

SF.7.iONE TERZA; L'uomo come persona


z. L'ambito storico del problema relativo all'uomo come persona
2. Sc.:operta fenomcnologic.:a della struttura della persona
3. Approfondimento tecilogico e omologico della struttura della
persona rilevata nel fenomeno ......................... . 3t8
a. Persona e fede nella creazione ................................. . 3t8
b. Nesso ontologico ............................................. . 322
c. Persona nell'ordine concreto di peccato e grazia ................. . 325
d. Sintesi ....................................................... . _329
Bibliografia . ·, ........................ · ........... · · · · · · · 33 t

SEZIONE QUARTA: L'uomo e la parola

1. La struttura dialettica della genesi della parola ........... .


2. L'infrantii unità di pienezza e povertà all'inizio della parola ..
"· La povertà degenere all'inizio come mutezza e pura futuribilità della
parola ........................................................ .
b. La pienezza degenere all'inizio come puro passato della parola ..... .

3. La parola come mediazione di auto-divenire e auto-accettazione


della libertà limitata ................................. .
11. La luce e le immaitini ......................................... .
b. La luce dell'essere nella forma della parola ....................... .

4. La parola come mezzo della differenza ontologica dell'essere


rispetto a c\ò che esistP. e come compendio dell'auto-attuazione
umana 356
a. La parola nella dialettica di padrone e servo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3 56
b. La ditierenza ontologica e dialogica dell'essere come amore . . . . . . . . . . 36 1
c. TI ·~ar un nome al mondo' come evento della scoperta dcl 'tu' . . . . . . 36 5
!ND!CF. 1037

'. La parola come mezzo dell'analogia dell'essere . . . . . . . . . . . . 37o


a. La decadenza della parola a causa del simbolo infranto di 'unità in
molteplicità'. La dissociazione della lingua unica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 370
b. Parola e gioco ........................ · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · 3 77
6. La parola come simbolo dell'esistenza per cui si deve ricono-
scenza. Parola e tempo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 380
a. La genesi della parola nel ringraziamento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3 80
b. La parola come mezzo di unione tra origine e futuro. Il suo presente
nel ringraziamento ..... , , , ........ , .. , . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 388
c. La parola come legge e promessa ........................ · · · · · · · · 393
d Parola ed evoluzione ............................. · . · .... · · · · · · · · 397

7. Parola e silenzio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 402


Bibliografia 407

SEZIONE QUINTA: Sessualità e matrimonio


I. Prospetto fondamentale 409
2. Aspetti della sessualità 414
a. Fattori biologici ............................................... . 414
b. Il significato della duplice sessualità ............................. . 418
3. Per una visione biblica del matrimonio ................. . 431
a. Antico Tes!Jl~nto
43 1
b. Nuovo Testamento ........................................... . 435
• 4. Per un•antropologia dei sessi ............................ . 448
· ,. Tappe del cammino teologico della dottrina cristiana circa il
matrimonio fino al Vaticano II . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Bibliografia ........................... · .. · · · · · · · · · · · · · · ·

SEZIONE SESTA: L'uomo nella comunità


Questioni preliminari
a. L'ambito della teologia sociale ................................. .
b. Filosofia sociale e teologia sociale ............................... .

1. Comunità nell'ordine della creazione .................... .


a. L'unità della creazione ....................................... .
b. L'umanità come comunità .................................. , .. .

2. La società nella prospettiva dell'ordine della redenzione ..... .


a. Il peccato ............................................ , ....... ,
b. L'opera della redenzione .................................... .
1038 INDICE

3. Le comunità concrete ............... · · · · · · · · · · · · ·.... 494


11. La fami11lia .......................... · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · 494
b. Le comunità intermedie ................ · · · · · · · · · · · · · · · · · · • · · · · · 498
c. Lo stato ............................... · · · · · · · · · · · · · · · · · · · ... • '02
Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 509

SEZIONE SElTIMA: La for.::.1 cre.atrice dell'uomo. Teologia del la-


voro e della tecnica
1. Per lo sviluppo della teologia dcl lavoro ................. . 514
11.Teolo11ia del racconto della creazione ........................... . 514
b. Teologia del lavoro nell'ordinamento di un'economia statica ......... . 516
c. Irrompere di una nuova concezione ............................. . 519
2. Riflessione sistematica '20
a. La n1rura del lavoro ........................................... . 520
b. I momenti nello sviluppo della creatività umana ................. . 521
c. Per una filosofia e una 1eolo11i1 della tecnica ..................... . 524
d. L'idea dcl pro11resso ........................................... . 527
e. L'arte ....................................................... .
'29
/. Significato storico-salvillco del creare umano . . . . . . . ............. . 530
Bibliografia ............. · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · 532

CAP. IX - L'uomo come immagine soprannaturale di Dio e lo staio


originale dell'uomo

SEZIONE PRIMA: La somiglianza divina dell'uomo

I. Fondamenti biblici ................................... 539


11. L'Antico Testamento ......................................... .
'39
b. Il Nuovo Testamento ...................................... .
'41
2. Storia dci dogmi e della teologia .......... 1 ••••.••••••.•
542
11.Patristica ..................................................... .
542
b. La teologia medievale ......................................... . .547
c. La teologia della riforma ....................................... .
'48
3. Esposizione sistematica .............................. 550

SEZIONE SF.CONDA: Lo stato originale


I. Fondamenti biblici ..................................... 55'
11.L'Antico Tes~to ......................................•.....
b. Il Nuovo Testamento ......................................... .
"'
,,s
INDICE
1039

2. Storia dei dogmi e della teologia ....................... .


a. Patristica ..................................................... .
b. La teologia medievale ......................................... .
c. La teologia della riforma ....................................... .

3. Il magistero ... ..... ... . .. .... .. .. ..... .. ... .... .... 568

4. La grazia dello stato originale. Esposizione sistematica ..... . 569


a. Grazia santificante ............................................. . ,569
b. La grazia di Cristo ........................................... . 571
c. 'Starus viae' ................................................. . 574
5. I doni preternaturali ................................. . 57'
a. Significato generale ........................................... . :;n
b. L'integrità ................................................... . 576
c. La libertà dalla necessità deDa morte ........................... . 578
d. Dono della scienza e dell'impassibilità ........................... . ,58I
t. Il rapporto della grazia coi doni del paradiso terrestre ......... , ... . ,s2
6. La storicità dello stato originale ....................... . 583
Bibliografi.a ............................................ . ,a,
CAP. x - L'uomo nel peccalo

SEZIONE PR.IMA: L'essenza del peccato

1. Aspetti del peccato ................................... .


ti.Il peccato come offesa contro Dio e contro la creazione ............. .
b. Il peccato come alterazione del rappono sopranuturale tra Dio e l'uomo
c. Il peccato come trasgressione delle norme fondamentali dtlla ettazione
e della storia della salvezza ................................... .
d. Aspetto interiore ed esteriore dcl peccato ....................... .

2. Gradi del peccato: peccato che conduce a morte, peccato mor-


tale, peccato veniale ................................. . 6ox
ti.Scrittura e storia dcl dogma ................................... . 601
b. I diversi gradi dcl peccato nella loro dipendenza dalla nostra decisione
morale ....................................................... . 60.+
c. I diversi gradi dcl peccato considcr1ti dal punto di vista dell'opcuo 6o8
3. Dio e il pec..ato ..................................... . 610
ti.Il peccato tocca Dio stesso? ................................... . 610
b. ~ Dio causa del peccato? 61z
c. Come punisce Dio il peccato? ................................. . 6n
I040 tNDICF.

SP.7.JONE SECONDA: Le conseguenze del peccato

r. Il peccato stesso come castigo ......................... .


a. Condotta p~ccaminosa e castighi corporali .............. , ...... , ..
b. Pcccu10 in quanto autoannicntamento ......................... , . ,
r. 1l pcx·cato qunlc.- rottura dell'alleanza .... - - ................ , .... .

2. Incapacità d'amare
a. Dichiarazioni del magistero ......... _........................... .
/,_ Peccato, natura e persona ................ , .................. _... .
c. Il bene limitato che rimane possibile . __ ........................ .
d. Incapacità d'integrazione ....................................... .

3. L'indiMzionc! al .male
a. Carne
b. Concupi~ccnza ............. , . , .......... , ...................... .
c. Schiavitù ..... , .............. , ....... , ........................ .
J_ ConAitto ... _........ _..... , , .. , ......................... , .... .

SEZIONE TERZA: Il peccato del mondo

r. Il peccato del mondo e i suoi elementi costitutivi ......... . 643


11. La dottrina della Scrittura ................ - .. , .. , .............. .
643
b. Le azioni e il loro elemento di congiunzione . , ................... . 646
c. Situazione ed essere-situato ................... , , . , , . , .. , .. __ .... . 648
2. Le azioni che appartengono al peccato del mondo ......... . 650
a.La dottrina della Scrittura ..................................... . 650
h. Storia universale di ~izione ............................ _.... . 652
3. L'es.o;ere-situato attraverso le azioni pecc:aminose ........... . 653
a. Essere-situato esistentivo c~istentiel) ed esistenziale (e:ristmt;,,/) ... . 653
b. L'~ituato per il rifiuto di una mediazione di grazia ......... . 6n

SEZIONE QUARTA: Il peccato originale


1. Il peccato originale è contenuto implicitamente nella Scrittura 661
-a. Antico Testamento 662
b Nuovo Testamento 664
2. Lo sviluppo della dottrina sul peccato originale .. _........ . 671
"- Padri peci e latini al di fuori della controversia pelagiana . ______ . _. 671
b li pela,rianC'l'imo ...... _........................................ . 674
e_ Ap:~tino 676
J La srolastica 679
e. Per la n>mprmsione del p«eato orip:inale nella reologia riformata .... 682
INDICI\

3. La dottrina della Chiesa sul peccato originale ............. .


a. Dichiarazioni pre-tridentine ................................•...
b. Il Tridentino e le dichiarazioni post-tridentine ................... .
f'. Condusione

SF.ZJONE QUINTA: Peccato origi:iale e peccAto del mondo


1. Il peccato originale come un essere-situato
1. TI peccato originale, completato dal peccato dcl mondo ..... .
3. Il peccato originale, assunto nel peccato del mondo ....... .
a. Vi sono conseguenze naturali di un primo peccato? ............... .
b. Peccato originale e procreazione ........ : ...................... .
c. Peccaro ori111inalc e mono111C"ni•mo ................. , , ........... , .
BiblioJl,rafia ............................................ .

CAP. Xl - Il mondo degli angeli e dei demoni in quanto è parte-


cipe e ambienfe della storia della salril'zza dell'uomo

SEZIONE PRIMA: Questioni preliminari all'angelologia e alla demo-


nologi~

i. La prohlemiuica .................................... 723


2. Possibilità e senso d'una dottrina sugli angeli e sui demoni .·. 729

SEZIONE si-:coNOA: Gli an~li


1. Gli angeli nella testimonianza della Scrittura ............. . 737
a. Gli angeli nell'A. T. .. ........................................ ..
737
b. Gli angdi secondo il N. T. .. .................................. ..
750
2. Note di storia della teologia ........................... . 764
a.Lo sviluppo della dottrina angelica in genere ..................... .
h Quesrioni partirolari ......................................... .
765
768
3. Gli angeli nell'opera salvifica di Dio ..................... 774
a. L'alleanza di Dio con gli angeli e con gli uormm ................. .
b. Cristo e gli angeli .....................................•...... 77'
c. Gli angeli e la 0-.icsa .........................................•
778
782
Bib/iografi;z ................... _. _...................... .
787
SEZIONE TERZA: I demoni
I. L'esistenza di Satana e dei demoni ......................
INlllCF.

a. Le asserzioni dell'A. T.
b. I <k-moni nella visione del N. T. . .. , ........................... .

2. Dall'angelo al demonio
3. I demoni e il male nel mondo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 802
a. Tentatore e seduttore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 803
b. Discernimento degli spiriti .................................... 808
c. Storia demoniu.ata .. .................. ................. ....... 809
d. Difesa protettrice . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8I 3
BiblioP,rafia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 81 5

CAP. XII - Teologia delta storia umana prima di Cristo

SEZIONE PRIMA: Necessità di redenzione dell'uomo e azione retroat-


tiva della redenzione
r. Necessità di redenzione per l'uomo ..................... . 819
a. Posizione del problema oggi ................................... . 81 C)
b. Terminologia e chiarificazione concettuale ....................... . 822
c. Presentimento umano circa la necessità di redenzione ........... . 823
d. La necessità di redenzione nell'ambito della rive!az;one ........... . 827
e. Comprensione di fede ........................................ . 832
2. L'azione anticipata della redenzione ..................... . 8N
a. Considerazioni preliminari ..................................... . 839
b. Teologumeni che creano difficoltà ............................... . 840
c. La testimonianza della rivelazione ............................. . 841
d. La dottrina dei padri ......................................... . 847
e. Note sistematiche ............................................ . !147

SEZIONE SECONDA: L'umanità 'exrrabiblica' e le religioni del mondo


1. L'umanità extrabiblica
a. Rifles!lioni preliminari .. . . . . . . . .. .. . .. . . . .. .. .. . . .. .. . . . . . . .. . . . 8 51
b. La dichiarazione fondamentale della tede rivelata: la provvidenza salvi-
fica di Dio per l'umanità extrabiblica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8 '5 2
c. La dottrina de Lia rivelazione sugli 'esistenziali' dell'umanità extrabiblica 8 54
d. Osse-rvazioni sistematiche ................................... ... 860

2. 'Per una teologia delle religioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 866


a. Questioni preliminari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 866
b. Il postulato teologico fondamentale e le sue implicazioni . . . . . . . . . . 867
c. La testimonianza della rivelazione neotestamentaria . . . . . . . . . . . . . . . . 869
ti. V~lorina7.ione dei testi hihlici esRminari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 873
8ibliof!.rafia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 88 2
INDICE 1043

SEZIONE TERZA: Storia e ordine della salvezza nell'A. T.


Premesse
1. Storia d'Israele come storia della salvezza
a. Le promesse ai patriarchi ..... ··············· .............. 893
b. Esodo e alleanza del Sinai 903
e D.1 (;iosui: a D.wide 912
d. Davide e il periodo dei re 920
e E.ilio e comunità post-csilicl 932
2. Le istituzioni salvifiche dell'A. T. 936
.i Alleanza e lcgg~ 938
b. Il mito dell'alleanza 946
e I mediatori dell'alleanza 956.
d. Il popolo dell'alleanza 966
Bibliografia ......... · 971

Indie.: onomastico ...


Indice analitico ... 1002

Tndice del volume 1034

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