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a cura di
J. FEINF.R e M. WHRER
QUERINIANA - BRESCIA
LA STORIA DELLA SALVEZZA
PRIMA Dl CRISTO
rnn la cnllahnrazrrine dr
f1t1r/e II
terzo edizione
QUERINIANA - BRESCIA
Titolo originale dell'opera:
MYSTERIUM SALUTIS
Grundriss heilageschichtlicher Dogmatik
Benziger Verlag - Einsiedeln t967
\
8
FuNZ MussNER
Naro nC'f 1916, dr. 1eol., prof~so~e Ji esegesi Jel N.T. alla Scuola Su-
periore di filosofia e rcole>f!ia di Ra1isbona.
JosF.r- PFAMM.HER
No10 nel 19z6, dr. tcol., docente di esegesi del N.T. nd Seminario di<>-
cesano di S1. Lu1i, Chur.
KARL RAllNER S.J.
Na10 nd 1904, doc. di dogma1ica e sloria del dogma all'Universirà di
Miinsrcr.
SARACll RUPERT o.s.s. (Errai)
Na10 nd 1943.
Josv.r Sc:11ARDl!.RT
N:110 nel 1919, dr. 1eol., professore di A.T. e di lingue: biblico-oric:nrali
alla Scuola Superiore di filosofia e reologia di Frisinga.
l.Eo ScHEPPCZYK
Na10 nel 1920, dr. !col., profcs~ore di dogmatica nella Facoltà 1cologica
ddl'Universitì di Monaco.
JosEF FRANZ SCHIERSE
Nato nel 191,, dr. tcol.
Pll!T ScllOONENBERC S.J.
Nato nel 19u, dr. teol., professore di dogmatica alla Facolrì di reol<>-
gia dell'Università di Nimega.
RAPHAEL ScHULTE o.s.B. (Gerlcvc)
Nato nel 192,, dr. tcol., prof. di do1m11ic1 al Sanr'Anselmo in Rom11.
CRISTIAN Sotfrrz o.s.B. CSchweikJberg)
Nato nel 1938, dr. reol., professore di rcoloiti• fonJ1mcn11lc: al Sanr'An·
selmo in Rom1.
MrcHAEL SEEMAN o.s.B.
Nato nel 1934, dr. reol., doc. di OOfl. 1JJ1 Scuol1 Sup. di reologi1 di
Bc:won.
WoLFGANC SErBEL s.J.
Naro nel 1928, dr. reol., pubblicista e collab. di 'Stimmcn der Zcit'.
BEllNHAU> STOCKLE O.S.B.
Naro nel 1927, dr. rc:ol .. professore di filoso61 cristiani alla Facohà di
teologia dcH'Universitì di Sftisburgo.
FEllDINAND ULRJCH
Nato nel 1931, dr. 6Jos., prof. di .6Jos. 1111 Scuola Sup. di pedag. di
Rc:gensburg e: ndl'lst. di 6Jol. della Fac. rcol. ddl'Univ. di Salisburgo.
DAMASUS ÙHRINCER O.S.B.
Nato od 1899, dr. tc:ol., fino al 1965 profcuore di teologia fondamen-
tale nella Facohì di teologia dcll'Univ. di Salisburgo, ab.te: di Bcuron.
tanza salvifica (il che non è identico al fare derivare ogni realtà
importante per la salvezza dalla natura trascendentale).
L'evento storico salvifico che l'uomo incontra nella sua ricerca di
salvezza e in cui questa si attua, non si può derivare dalla possibilità
aprioristica dell'uomo; esso invece è e rimane il faclum insopprimi-
bile e da accettare. Ma ciononostante l'identificazione con l'evento
salvifico stesso è compresa solamente quando essa implica che l'uomo
-
è l'essere che si---.deve attuare necessariamente nella- concretezza
~
J K. RAHNl(R, 'Obcr dcn Bcgrill dcs Gchcimnisses', in St:hrift~fl IV, pp. 82-99.
b. Motivazione apologetica
secondo la teologia fondamentale,
e motivazione storico-culturale contingente
figliolanza divina, sull'abitazione di Dio nel giusto, ecc., non sia una
poesia astratta e una mitologia indimostrabile.
Sia messo in rilievo ancora una volta che questo rivolgimento tra-
scendentale della teologia della grazia ne implica uno simile per tut·
ta la teologia. Specioalmente oggi la stessa cristologia antica (pur in
tutta la sua permanente validità) deve urgentemente venir tradotta in
u!!?__ <:.!:is~ologia omo-logica, cioè in una cristologia tale che, già a
priori e nel primo fondamento della concettualizzazione, interpreti
la natura che viene assunta non come cosa materiale, ma come spiri-
t~lità ·u:ascendentale; in tal modo app~rirebbe che, dà! momentò
che -~a.tura eaesistenza significano presenza e trascendenza, l'unione
della sostanza umana con il Logos dev'essere fondamentalmente
esprimibile nella concettualizzazione di presenza e di trascendenza;
affinché quanto s'intende con unione ipostatica sia liberato in modo
sufficientemente chiaro da un equivoco mitologico.'
Tutta la teologia necessita di questo rivolgimento antropologico
trascendentale, perché tutta la teologia è determinata dalle dottrine,
a loro volta mutuamente condmonantesi, circa la Trinità, la grazia
e l'incarnazione, le quali però hanno oggi biso~o sostanzialme(!te di
uq_fondamento trascendentale.
Contro quanto è stato detto si potrebbe ora obiettare che una si-
mile problematica di natura apologetica trascendentale e un simile
metodo dovrebbero esserci stati da sempre, se fossero realmente
necessari per l'insieme della teologia. Siccome, però, questo di fatto
non è avvenuto, la pretesa di una simile problematica e di un tale
metodo non potrebbe sussistere legittimamente. A ciò si può ri-
spondere in primo luogo che esiste una distinzione molto profonda
tra~__predicazione e la teologia, benché l'annuncio contenga concre-
tamente sem~e già ~~so un momento di riflessione teolo-
gica, e in pratica la teologia non riesca mai a trasferire in maniera
adeguata il messaggio nella riflessione teologica. L'escatologia teolo-
gica odierna, per es., è rimasta impigliat.a ancor quasi per intero in
uno stadio preteologico dell'annuncio; perfino l'ecclesiologia del Vati-
cano 11, presci.ndendo forse da certi tratti riguardanti gli elementi
costituzionali, in gran parte non è ancora giunta ad un certo ordi-
namento sistematico dcl linguaggio biblico metaforico. Non è quindi
del tutto impossibile a priori, che non si abbia ancora per molti aspet-
ti e riguardo a molti temi una teologia realmente scientifica, cioè
una teologia che si formi in una riflessione trascendentale. Perché
questo non dovrebbe essere possibile? Il fatto che nella teologia
in un certo qual modo si costruisca un sistema non è ancora· una
prova che si sia già raggiunto quel grado di concettualizzazione e di
riflessione che deve distinguere la teologia dall'annuncio, se essa
vuole essere qualcosa di di-verso dal semplice annuncio. Questa di-
stinzione di grado c'è però realmente solo dove e nella misura in cui
la teologia si pone trascendentalmente, cioè dove le...p_J:'c;!IDWC-..aprio-
r~_~ish~~r la conoscenza e per l'es~~ieI1Za _q~l singolo QBgetto di
. --·-· -- -··--··-·..---
f~e vengono esplicitamente pensate insieme, e dove di conse-
guenza vengono determinati insieme i concetti teologico-oggettivi.
Si aggiunga che non si vuol affatto sostenere che questo metodo
antropologico-trascendentale sia stato finora assente del tutto dalla
teologia. Non intendo ora dimostrare nei particolari e con esempi
come di fatto qt!esto metodo trascendentale sia sempre all'opera, ad
esempio nel tratuto sulla fede·,--nèila cris-tologia, nella teofOgia fon-
damentale, ecc., anche se con diversa intensità, in un modo metodo-
logicamente non del tutto riflesso, e senza che sia formulato esplici-
tamente come un principio formale.
C'.omunque sia stato considerato l'aspetto storico-concreto, è pe-
rò decisivo il fatto che la situazione attuale esige una simile pro-
blematica 8J1t~~logico-trascendentale ~~tale metodo. La grande,
filosofia occidentale rim~rrà sempre viva e la teologia avrà sempre
da imparare da essa. Ciò però non toglie nulla al fatto che una teo-
logia odierna non possa anzi non debba trascurare l'a~m
p~si_~ne dell'uomo, quale si esprime nella filosofia determinata
dal mu~entOailtropologico-ttascendentale in corso dai tempi di
DESCARTES e di KANT e attraverso l'idealismo tedesco fino alla
odierna filosofia esistenzialista. Tutta questa filosofia, da una part~
STRUTTURAZIONE ANTROPOLOGICO-ESISTENZIALE DELLA UOLOGIA 23
J. Conclusioni
Nei primi tempi il problema dcl rapporto fra questi due trattati
teologici fu appena preso in considerazione.' Si sapeva già che cosa
fosse l' 'uomo', quando ci s'accingeva a dimostrare che Cristo era
vero uomo. Poteva quindi al massimo ancora capiwe che nella
cristologia si considerasse che cosa tale affermazione non includeva
a proposito di Cristo. Partendo di là, si era certi che Cristo è uomo
in 'modo ideale' e quindi esempio per l'uomo e modello ideale per
un'antropologia teologica; un tale modello tuttavia non era visto
come necessario in senso stretto per l'antropologia già abbozzata,
in quanto non ci si rendeva conto che in tale antropologia erano
stati immessi clementi che si potevano co~~aj~ s~l_2~prendendo1f
<l!J,la cristologia. Una gran parte infatti delle affermazioni antropo-
logiche (risurrezione, grazia santificante) sono possibili solo dal
momento che esiste una cristologia. È per lo meno facile non
vederci solo una simultaneità estrinseca, bensl comprendere ogget-
della libera auto-espressione del Logos; nella quale (di fatto) tutta
l'umanità è pensata e voluta come ambiente di questa espressione.
In Cristo dunque l'uomo è radicalmente convalidato e con ciò
assolutamente autorizzato ad ass~mere la sua__i:i_at~ra con tutto ciò
che essa racchiude, perché se essa è- assunta così incondizionata-
mente, così come esiste in realtà, allora Dio stesso viene accolto. In
Cristo dunque la natura dell'uomo è portata definitivamente alla sua
salvsz.z_a a~_soluta _e quivi solamente è ricondo1ta a se __s~essa ed è resa
manifesta per l'uomo; questo è certamente un mistero, a causa del
radicale riferimento al mistero assoluto di Dio. Ma poiché questo
mistero si rivela in Cristo come mistero di vicinanza assoluta e
d'amore, dunque anche quel mistero~~e_ si~rn~n?i è_ ~iy_!!ltato
a~~Jtabile nella sua infinità.
Partendo dunque da Dio e dall'uomo, la cristologia appare come
la più radicale e suprema rip~tizione _gella -~!l!!.<?i>o.l~ia teologica.
Per quanto dunque l'antropologia teologica debba avere davanti a
sé la cristologia come suo criterio, pur tuttavia non è opportuno
tracciare l'antropologia in una sola direzione, partendo dalla cri-
stologia.
A dir il vero noi non inco_ntr_iamo mai l'uom9 al di {u9ri di una
situazioJ!e d'alleanza con la parola di Dio, l'ultimo significato della
quale si pale5a -solàinente nell'uomO.:Dio, in cui l'interpellante e
l'interpellato, la parola proferita e l'ascoltare assoluto diventano una
sola e identica persona; noi c'incontriamo tuttavia con questo ver-
tice insuperabile della storia di quest'alleanza all'interno della tota-
lità della nostra storia, nella quale facciamo l'esperienza dell'uomo e
nella quale dell'uomo conosciamo già qualcosa (e precisamente
anche muovendo da Dio), quando incontriamo Cristo e perciò com-
prendiamo che egli è un uomo. Si giungerebbe perciò ad una rid.u-
zione dell'antropologia teologica se la si volesse trattare esdusiva-
m~J!te part~~-o _~~Il~ sua meta, cioè dalla cristolo.sia, poiché questa
ultima esperienza non annulla la prima.
Rimane pertanto un desiderio a proposito dei due trattati (i quali
per un certo aspetto pos~no e debbono essere visti come due facce
di un'unica realtà), il desiderio cioè che si mostri nella natura del-
l'uomo ornata della grazia e nella sua storia un ambito trascenden·
- -- -·- -- - -·-- - - ~- -
CONCLUSIONI 27
a .•
IJ mo" d'esempio: E. SELLIN, TMoloeie tles Alun TC"sl•m<"nts. (;jp;aJt
r936, pp. 61--93; W. E!OW>DT, TMologi<" tlC"s Alun T<"st""1<"nts, 1., 3, (,\•nmi1•-n
51<)64: alla voce 'Mythus' dell'indice; J. HEMPEL. 'Glaubc, Mythos und Ge5Chichtc
im A.T .• in ZAW 65 (19nl 109-167_
CONCl.USIONI
14 Cf. A. GAUDF.L, 'PL'ché origirel', in DTC x11/1 (1931) 4,9, 46}, 473.
30 ANTIOPOl.OGIA I! PIG'fOl.OGIA
r. Per una critica letteraria e per la storia delle forme di Gen. r-3
9 a.
K. RAHNER, 'Tbcologischcs zum Monogenismus', in Scbrifu,, I, pp. 2H·~4j;
J. in FTH, 24J; là il 'principio di economia' viene appliouo all'opera Jdla
fEINEll,
creazione, qui invece all'c\'cllto della rivelazione.
DIVERSE FORME DI ESPOSIZIONE
IO Cl. B. )ACOB, Dar errte Buch Jer Tbora, Bcrlin 1934, pp. 19-101.
l!U.CESI TEOLOGICA DI GENESI 1-3
J. Asserzioni teologiche
14 Cf. su qucs10 problema: A. AaENS, Drt Pslllmt" '"' Gotttsilimst ilts Altt"
B11,,Jts, Trier 1961, pp. 111-127. Quale imponanza si amibuisse nel periodo poll·
csiliro sacrificio quoridiano. vrtli in 1 Esilr. p-6.
IS a. in proposiro H. }UNKEI, 'Die thcologilche Behandlung der Chaosvontel·
lung in der biblischen SchOpfun~ichte', in M~lo,,its Bibliq11ts rlili&ls '"
l'ho""'"' ilt A. Robtrt, Paris, s.d., pp. 27-37.
AS~ERZIONI TEOLOGICHE
inizio nel primo atto di creazione di Dio esiste il tempo e con esso
la storia. Per quanto le scienze narurali possano spingere ancora
più oltre l'età della terra, in ogni caso l'azione creatrice di Dio è
anteriore e ~gna l'inizio.
L'unione di Dio con la creatura, nata mediante la parola, e in
essa, è data appunto da questa chiara e trasparente parola di Dio.
! l'arco di collegamento, che unisce le due teste di ponte, Dio e la
creatura. Appunto nella chiarificazione e nella più approfondita spie·
gazione di questa parola di Dio si muove l'evoluzione della conce-
zione della creazione sul sentiero della rivelazione dall'Antico Testa-
mento verso il Nuovo Testamento (d. ]o. 1; Col. 1,14-17; Hebr.
1 ,2 ). Con questo dato si tocca inoltre la differenza caratteristica nei
confronti delle dottrine dell'antico oriente sulla formazione del
mondo: secondo la Bibbia non c'è una cosmogonia, che sia contem-
poraneamente anche teogonia. Le creature non derivano da una
necessità qualsiasi imprecisabile, cupa e scura di una massa primor-
diale, la quale in seguito produce perfino gli dèi. In questo modo
quindi è allo stesso tempo evitato il pericolo di qualsiasi fusione
r-anteistica di Dio con il mondo, ma anche all'accettazione di una
emanazione del tutto da Dio viene opposto un catenaccio inamo-
vibile, mediante l'interposta barriera della parola divina creatrice.
Cosl viene contemporaneamente impedito di interpretare anche in
senso deistico il Dio creatore, poiché l'arco della parola va da Dio
fino alla creatura, ma non lascia Dio in una lontananza irraggiun-
gibile, poiché egli la supera nella parola stessa che rivolge alla
crearura.
L'unico. atto creatore non è qualcosa di transitorio come lo è
invece l'agire umano; il suo prodotto, il creato, rimane perché la
parola di Dio è pronunciata costantemente su di esso. Attraverso la
sua parola creatrice, diretta alla creatura, Dio rimane costantemente
rivolto verso il creato, egli è continuamente impegnato per esso.
Anche qui uno sguardo sull'agire salvifico di Dio, che presenta
un'analoga struttura sostanziale, chiarisce forse nel modo migliore
questa proprietà del creato. Cosl come l'elezione di Israele da parte
di Dio, avvenuta una volta, porta il popolo dell'alleanza nello stato
duraturo· dell'essere-eletto (Ex. 19; 24), così l'unico atto creatore
44 ESEGESI TEOLOGICA DI GENESI 1-3
questa sul serpente. Tutti gli ambiti della vita umana, armoniosa-
mente ordinati, sembrano sconvolti da questo fatto.
La natura del peccato originale ha condotto a molti tentativi di
spiegazione. 29 Anche questa questione dipende in realtà dall'ampiez-
za dell'intct prctazionc simbolica data a Gen. 3, più precisamente,
Jall'ipotesi che si tratti solo di immagini di avvenimenti spirituali,
che possono venir facilmente staccati dalle immagini usate.
A mio parere, non si addice al modo di concepire ebraico, che è
molto concreto e che sta molto più vicino alle cose di quanto non
lo faccia il nostro modo di pensare, relegare troppo lontano dai
modi d'espressione figurati, le realtà intese. Con altre parole, il pec·
cato originale, a mio avviso, non è un fatto che si svolge solo nel-
l'anima dell'uomo, ma che riguarda anche il corpo. Si rratta in
esso cioè di un peccato concreto, che ha visco turto l'uomo impe·
gnato in una decisione contro Dio, come l'immagine scelta lo espri·
me in maniera eccellente (v. 6). Anche qui si deve riferirsi al piano
dell'opera salvifica di Dio, che include il corpo.
Con quanta arte sia romposto Gen. 3, risulta in modo splendido
nell'unico movimento in cui sono riferiti in ordine inverso di se-
quenza l'interrogatorio e la sentenza di condanna da parte di Dio
( vv. 8-13; J4· 19 ). Per riguardo all'uomo vengono maledetti il ser-
pente e il terreno (maledizione significa esclusione dal regno della
vita o diminuzione di essa, così come benedizione implica aumento
della forza vitale). La donna viene colpita nell'essenza della sua
maternità. tuttavia rimane la sua propensione all'uomo. Ella tende
all'uomo ed è tuttavia dominata da lui; con ciò è indicato un limi-
te naturale all'uguaglianza dell'uomo e della donna.
La punizione colpisce l'uomo con la fatica nel lavoro: dal labor
probus del paradiso si arriva al labor improbus del mondo postpara-
disiaco odierno. Come la donna viene colpita nella radice più
profonda della sua maternità, cosi l'uomo è raggiunto nel più in-
timo nerbo vitale del suo lavoro: la terra non dà spontaneamente
il prodotto, che d'ora in poi è necessario per il prolungamento della
29 Per i singoli tentativi, cf. i commentari e !<Oprattutto B. REICKE, 'The know-
ledge hidden in the Tree of Paradise', in Journal o/ Semitic Studies 1(19,6)193-201;
là si trova pure: un'~mpia indicazione della bib!iogralia.
ASSERZIONI TF.OLOGICHE
esperienza che il suo Dio è più potente dei re e degli dèi dei popoli
confinanti, allora a poco a poco si faceva sempre più convinto che
la potenza di Dio ha la sua validità non solo nel tempo storico pre-
sente, ma che si può seguire a ritroso fino all'inizio, al momento del-
la creazione. Appunto i tre primi capitoli della Bibbia contengono
cosl le c:siiressioni più dense e forti sulla potenza divina tutto sovra-
stante. 2. Da Gen. 1-3 risulta univocamente che non Dio, ma
l'uomo porta la responsabilità per l'odierna miseria della vita ter·
rena. Il frequente venir meno nella storia all'impegno dcl popolo
eletto rispetto al suo Dio condusse, nella riflessione profetica retro-
spettiva, a ritroso fino alle origini, alla conoscenza di quella caduta
decisiva del primo uomo, sotto le cui conseguenze il genere umano
giace tutt'ora per tutto il tempo del mondo. E cosl questi capitoli
sono anche, e non in ultimo luogo, una teodicea grandiosamente
concepita, offerta dalla rivelazione.
HEINRICH GROSS
BIBLIOGRAFIA
Per la SEZ. 1 cfr. le opere indicate nelle note. Per la SEZ. n dr. parti~
larmente le seguenti:
A. BEA, 'Il problema antropologico in Gen. 1-2. Il trasformismo', in Que-
stioni bibliche alla luce dell'enciclica cDivino alflante Spiritu.,., Ro-
ma 1950.
A.M. DtmAllLE, Le péché origine/ dans l"Ecriture, Paris 19.58 (tr. it. Il
peccato originale nella Scrittura, Ave, Roma).
J. DE FRAINE, La Bible et l'origine de l'homme, Tournai 1961.
H. GUNKEL, Genesis, GOttingen 4 1917.
H. IIAAG, Bibliscbe Schopfungslehre und kirchliche Erbsiindenlehre, Stutt·
gan 1966.
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B. ]ACOB, Das erste Buch der Tara. Genesis, Berlin 1934
H. JUNKER, Das Buch Genesis: Echter Bibel, Wiirzburg 4196,.
P. LENGSFELD, Adam und Christus, Essen 196,.
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des AT 1, Miinchl·n ·11961 (qui cirnio. G. v. RAD 1), p. 37 nota n; cf. sopra H.Gross,
pp. 32 ss.
2 Per es. Ge11. 14,19.22; / R<'ll.· 8,12 (lesto correuo); Ps. 8; 19; 24; 46; 89,11; 104.
3 Deut. 26,,.9. Cf. Ios. 24,16-18.J·15; Ex. 20,2; I Snm. 12,6: Ier. 16,4; 31,2; <»-.
2,17; 11,1; 13,4. Sull'impor1nnza della tradizione dell'Esodo vedi: H. LuasCZYK,
Der Auszug au.r Ji.1o•plen, Lcipl-ÌR 1963
ANTICO TESTAMENTO 61
l'ultima àncora di salvezza d'una fede nella redenzione che stava scom-
parendo? Un segno di promessa sopra il resto di Israele in esilio,
paragonabile al segno d'alleanza dell'arcobaleno sopra il resto soprav-
vissuto al diluvio?
In qualunque modo si possano prendere queste ipotesi Ji moti-
vazione: la fede della creazione è un punto di arrivo piuttosto che
un punto di partenza nell'insieme della fede di Israele in Jahvé, suo
Dio dell'alleanza. L'esperienza della sua storia e specialmente la pro-
va del divario tra promessa e suo compimento sempre difficile, per-
fino annullato, hanno svegliato Israele alla fede fiduciosa in Dio, che
possiede il dominio illimitato, e fin dagli inizi, sui destini dei sin-
goli popoli e delle loro vuote divinità insieme con tutto il mondo
della natura. Se non fosse cosl, come mai Jahvé avrebbe potuto
scegliersi questo popolo fra tutti gli altri e condurlo senza inganno
alla sua salvezza? Egli lo poté: «Perché mia è tutta la terra!».i
Nell'elezione di Israele per l'alleanza sono incluse la regalità di Jahvé
sul mondo e la sua potenza creatrice. La fede nella creazione è un
aspetto intrinseco dell'autocompimetnto della fede dell'alleanza,
della sua autointerpretazione coerente.
Il rapporto fondamentale alleanza-creazione ha trovato la sua
espressione - confermando la discussione generale - fin nella for-
ma del testo, nella struttura e nei tratti particolari delle testimo-
nianze vetero-testamentarie sulla creazione.
In modo speciale il racconto ;ahvistico della creawne è profon-
damente contrassegnato dalla coscienza di fede di Israele nella
alleanza con Jahvé.
• G. E. MENDF.NHALL, [..,w 11nd Coven11nt in lsr11d 11nd the Ancient Ne11r E.st,
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11nd d!!r B1111desKbluss am Sin11i. in SdZ 170(1961/62) 120-133.
ASSl;RZJONE BIBLICA FONDAMENTALE
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nota 95; D. J. McC.AitTHY, 'Thn.-e Covenants in Cicn.-sis', in CBQ 26 I t!}6.f) 179'18y.
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1-1 L LEGHND, 'La ctéacion, triomphe cosmique de Jahvé', in NRT 83 ( 1961)
449-470, 465.
68 ASSERZlONli BIBLICA FONDAMENTALE
15 a. Gen. 22,1; s.; 26,.J; 2;,29. Su Gen. 12,1-3: W. WoLFF, 'Das Kerygma dcs
Jabwisrcn', in fa,f 24 ( 1<)64) 73-98; J. ScHllEINU, 'Scgcn fiir die Vollrer und dic
Verbeissung and die Vater', in BZ (NF) 7 (1962), 1-31.
ANTICO TESTAMENTO
sione particolare nel fatto che Jahvé, il quale esige d'esser onorato dal
suo popolo d'Israele nella più stretta esclusività, assegna agli nitri po·
poli appunto quelle potenze cosmiche e quelle forze della natura
create da lui, come divinità cultuali (Deut. 4,19b; d., la disposizione
inversa di Dl't1/. 4,16-19a rispetto a Gt'11. 1,14-27; inoltre: Deul. 32,8 s.; 16
29; 26; Ps. 29,82; Job 38). Gen. 1, che è stato Jefinito come «inter·
pretazione dossologica del primo comandamento di Ex. 20,2 s ... ,17 sta
in un grandioso contesto di storia della salvezza e della perdizione per
una riflessione fondamentale sulla n;i:ura della religione.
ntl·nt', in rz \ 11'14/ I 4u1·42l,4<>~ '· Cl R. R1.:-;DTllRH (\'. noia 18i 11: anche Jhri
:crmini Ji nca>ittrll' u.a1i 1>cr l'agire swri,·o di Jahvé.
\'Clljtt.111<>
)') Cf. O. WL111 M, Jl1bak,.11.IC" dr·i AT, Tiihmgcn '1~.fll, p. 4;; G. li1'ut~K1x;,
ASSEllZIONE BIBLICA l"ONDAMENTALE
Nel 'poema antichissimo' di Pr. 19,1-7 Dio viene celebrato dal mondo
in una •serie ininterrotta di giorni e notti, dalla creazione fino nel pre-
sente»;22 con la danza dcl sole, che esce come uno sposo, s'interrompe
l'antico inno. E il v. 8, con evidente frattura nello stile, fa seguire un
inno alla legge assai più sobrio: «La legge di Jahvé è perfetta, ristora
l'anima ... » (vv. 8-15). Anche se redazionalmenre tuuo questo può esser
staro aggiunro poco abilmente, l.1 rivelazione mediante le opere rinvia
~1lla rivela:r.ionc mediante la parola. la lode della creazione alla legge
dell 'alleim:r.a.
In Ps. 74, in cui la comunità 11hha11u1a per la devastazione del tempo,
grida a Jahvé per aiuto, il v. 12 sembra richiamarsi alle 'gesta salvifiche'
di .Jahvé nell'esodo, i vv. 16 s. alla sua opera creatrice, mentre il brano
intermedio fa passare, con una ambiguità voluta, l'uno nell'altro, l'evento
fondamentale storico-salvifico e quello dclh1 creazione: «L'esodo, consi-
derato nell'ambito della po1enza cosmica di Dio, acquista una portata
universale; la creazione, vista muovenJo dall'esodo, appare come un
primo in1crvcn10 della gra:r.ia e della potenza dcl Dio dell'allcanza.11
Similmente Ps. 89 vede la dimostrazione decisiva della grazia di Jahvé
nell'alleanza di Davide (vv. 2-5), celebra però in seguito l'onore che
l'universo offre al suo creatore (vv. 6-13), per ritornare (dopo i vv. 14-
19) alle promesse concesse a Davide di potere sovrano, descritto con le
categorie della creazione, con dimensioni cosmiche (vv. 20-38; d. vv.
26.30.37 s.: mare, cielo, sole, luna).
Ps. 103 L'uomo creato dalla polvere è benevolmente eletto per l'allean-
za con Dio; colui che guidò Mosé e il suo popolo, è il re di tutte le
opere dcl cielo e della terra.
Ps. 136 in un ringraziamento litanico per il favore di Jahvé che pertnllne
in eterno celebra innanzitutto le: sue meravigliose opere della creazione
(vv. 4-9), poi i suoi prodigi storici nella liberazione dell'Egitto e nella
introduzione nella nuova terra promessa, centrali per la coscicn:u di
Israele (vv. 10-24); i vv. 25 s. riportano al «Dio dci cieli•, che «pro-
cura il nutrimento per ogni viventc•.24
La creazione, in quanto fondamento ampio e immutabile di tutto l'agire
prodigioso, introduce le gesta salvifiche di Jahvé; gli eventi salvifu:i della
storia d'Israele sono, da parte loro, svolgimento e compimento ddla crea-
zione iniziale, i cui motivi espliciti e pratici essi riprendono, rinnovandoli.
27 Offrono paralleli in proposi10 Ps. 19; 74; 89 ccc.: vedi sopra pp. 64 s.
u W. V1sc111:R, ·n~r I lymnus dcr Wcishci1 in dcl\ Spriichen Salomos 8,22-31', in
EvT u (1962) 301,1-3i6, 316,
29 Secondo \V/. \11~<:111•.M, op. cii., pp. 3111.31,.
ASSF.RZIONE RIRl.ICA l'CINllAMF.NTAl.E
degli inni della sapienza (i passi cui si rinvia sono indicati nel testo):
«Dopo aver parlato :ici tempi •111tichi molte' r;oftc (Sap. 7 ,22) e in
molte maniere ai Padri (Sap 9,1) per mezzo dci prof.:ti, alla fine, in
questi giorni Dio ha parlato a noi per mezzo dcl Figlio, che ha costi-
tuito erede ( Ecclus 24,7 .8.1 2) di tutti: li.: wse, mi.:diante il quale ha
anche creato i mondi. Qui.:sti che ì: lo splendore della sua gloria (Sap. 7,
25 s.), l'immagine della sua sosl:rnw (Sap. 6,21 ), e sostiene ogni cosa
con la potenza della sua parola (S,1p. 7,2 5 ). compiuta la puri!ic.1zione dei
peccati, si è assiso alla di.:stra della maestà nell'alto dci cicli (Ecdur 1,5;
2 4,4).
La novità caratteristica rispetto agli inni alla sapienza è l lebr. 1,3 la
«purificazione dai peccati»! La correzione della speculazione sulla sa-
pienza viene intrapresa da 1 Cor. 1- 3. Ma l.1 si deve anche intendere
nell'esclamazione di gioia di Gesti in Mt. 11,25-30, confrontato con
Ecclus 51,1.2.~-27; 24,19.
2. Creazione in Cristo
'' In 011ni caso non c1 si può esprimere a prup1»ito di tutto l'AT nel modo
slgucmc: o une 'mé11him>in' rl"mplacc: 1~ métaph~iquc• ( L. LEGllAND, op. cii., p.
-16-1 noia .tl I. Piuttosto l'aspetto metastorico nella radicalità e univenali1à, che permea
d movimento 11cnc:ralc <lc:lla ft:Je vc1cro1c:>1amc:n1ari11 della storia e della creazione,
-1 rn.:scma comt· lo >ll"Sso aspc110 mc1atisico. Riprendo un'alfcnnazione di G. WIN
•:REN, 5fhop/ung u11d Gr11·1:, Gottini:cn 196<>, p. 121 noia 71: certo la creazione
riceve luce dall'a/lranu tl'lm1dr; tuttavia ciò che viene illuminato è la c-rea:ionr
dr/ mondo.
34 G. v. RAD, 'Aspck1c ahtcstamcntlichcn Weltverstandnisscs', in EvT 24 ( 196-f) 71.
La mitologia che gioca intorno alla razionalità della le11cra1ura sapienziale, sbiadi-
sce in metafora, in omamcnlo dello sforzo razionale: cf. la loua crcairice di Jah~
contro i mostri dcl caos (lob 3,8; 7,13; 9,13; 26,12; <10,19; similmente nei Salmi e
in Isaia).
ASSUZIONE BIBLICA l'ONDAMl!NTALF.
a. I testi
I Cf. anche Rom. 11,36; Epb. 4,6; Heb•. 2,10. La dimostrazione più parlirolar•·i:·
i:iat.a della provenienza ddl'espressione, valida soprattutto in E. No1DF.N, Atiru11m
The6s, Darmstadt ~1956, pp. 240-250; H7·n4; H. Lic::lmann, in HNT 11, Tiibinll'l'll
41933, a commento di Rom. 11,36; H. HoMMF.L, ScbOp/C'r und Erhaltn, Bcrlin ·~~!>,
pp. !)9-107.
2 A proposito della formula rosmica universale: v. mqgiori partirolari i11 I'.
MusssER, 'Cbristus, das Ali und die Kirche', in ITS 5 (Tric:r r9nl l•n 1 (bibliogr.J·
B. RE1EKE, in TWNT v, 890 s.; E. NoRDEN, Agirostos Tlu6s pp. 240-250.
CREAZIONE IN ClllSTO 79
~ W. BAt•FK. in ll"n 1, v. II·\. L'inno s'esprime nel linguaggio della pietà cosmica
ellenistica; cosl si dice in Ps. ARISTOl'Et.E, De mundo J97b: ix itEoi• .r11ivtn xal
b11ì Oroii iu1lv (WYfon1><rv. Ulteriore materiale in TWNT vn,895; M. DrBELJUS,
in /INT u su Col. t,17. Sembra però che manchino documenti per un collega-
mento con la preposizione t'v.
7 Cosl Marco Aurelio (Ad uipsum rv,23) esalta la natura: lx aoii ita"a, lv
noL nU.vtu, rl; ni .1tiv1u.
A Cf. Ma1111iori particolari in E. NoRDl!N, Agnostos Theos, cit., 348; M. DtBE-
uus, in /IN"/' 12, a commento ili Col. 1,16.
CREAZIONE IN Cl.ISTO 81
9 Cf. sopr11turto O. M1c11EL, Dtr Brit/ an dit Htbratr, GOttingcn 61966, a com·
menro di 1,2 s.
IO Cf. Rom. 4,1) (Abramo, rispc11ivamcn1e la sua discendenza, ~ secondo il
promessa divina «erede del mondo» L in proposito anche Ecclus 44,ll; }ub. 17,3.
11 H. SASSE, in TWNT t, 202·209; F. MussNf.R, 'Christus, das Ali und die Kir·
che', in TTS 5 (Trier 19'5) 24-27.
12 Ulteriore materiale presso BrLLERBECK 111, 673. Anche Filone conosce il pen-
siero che Dio, rispettivamente il suo Logos, sostiene e ordina tutto (testi presso
O. MtCHEL, op. cii., 100, nota 1).
f> M} strr1um Saiu//J,
0 lr/J
ASSERZIONE BIBLICA FONDAMENTALE
u Cosi anche in Mc. t4,62; inoltre G. DAI.MAN, Die Worte ]tru, pp. 164 s.;
W. GauNDMANN, in TWNT n, 291! s.
14 A proposi lo della formulazione cf. anche r Cor. 6,14 ( 61à 'rijç &uvci.iu11>ç
airroj;), l Cor. 134 (lx &uvlii&E11>ç ftoii).
H V. la bibliografia finale.
CREAZIONE IN CRISTO
che ciò nelle dichiarazioni del prologo circa il Logos vien messo in
evidenza con tanta energia (cf. ancora v. 10: «e il mondo fu fatto
per mezzo di lui») ha senza dubbio un significato polemico: in ta1
modo già a priori vien respinto qualsiasi dualismo nella creazione,
quale la professa, -ad es., la gnosi, e vengono esaltate la bonitas e
unitas dell'intera creazione. Esse si fondano proprio nel Logos che
è uguale a Dio. L'asserzione del v. 4 proclama senz'altro il Logos
come fonte di vita («in lui c'era la vita»), riferendosi però proba-
bilmente alla vita 'soprannaturale', d:il momento che il termine swTi
('vita') non significa mai nel vangelo di Giovanni la vita fisica, ter-
rena.16 Il medesimo Logos, «per mezzo del quale» tutto è stato fatto,
porta anche, a rutti coloro che credono in lui, la salvezza, per dirla
con Giovanni: 'vita' e 'luce'. Creatore e redentore del mondo non
si lasciano separare l'uno dall'altro: precisamente questa convin-
zione si mostra continuamente negli inni cristologici 'cosmici' del
Nuovo Testamento.
19 Cf. ma~iori particolari in F. MussNER, Christus, d111 Ali u11d die Kirch~, in
TTS '!Tricr 195' Hi4·6H.
20 Le nos1 re osservazioni sul tc:ma dc:lla .. creazione in Cri110• rappresentano solo
un pro~ramma (frommcntorio), che deve ancor esser sviluppato. L'autore 1pen di
l>Oterlo fare in ~kuni anni.
BIBLIOGRAFIA
J. Creazione in Cristo
Non esiste ancorn una monografia sul tema: 'Creazione in Cristo', ma
soltanto ricerche singole sui testi della cristologia 'cosmica' del N.T. Di
queste presentiamo una selezione.
Per Col. 1,15-20
E. BAMMEL, 'Versuch Col 1,15-20', in ZNW 52(1961)88-95.
W. D. DAVIES, Paul and Rabbinic ]udaism, London 21955, pp. 151·1.n.
H. J. GABATHULER, ]esus Christus. Haupt der Kirche · Haupt der Welt.
Der Christushymnus Colosser 1,15-20 in der theol. Forschung der letz-
Un IJO ]ahre, Coli. «ATh ANT», 45, Ziirich 1965 (Bibl.).
G. HARDER, Paulus und das Gebet, Coll. «Ntl. Forsch.», 10, Giitcrsloh
1936, pp. 46-55.
H. lliGEllMANN, Die Vorstellung vom Schop/ungsmittler im Mllenistischen
Judentum, Coll. «TU», 82, Berlin 1961, pp.88-199.
A. HOCKEL, Christus, der Erstgeborene. Zur Geschichte der Exegese von
Kol 1,15, Diisseldorf 1965.
E. KAsEMANN, Eine urchristliche Tau/liturgie (Festschrift R. Buhmann),
Stuttgart 1949, pp. 133-148.
ST. LY0NNET, 'L'hymne christologique de l'Epitre aux Colossiens et la
fete juive de Nouvel An', in RSR 48 ( 1969) 93-100.
CH. MAssoN, 'L'hymne christologique de l'Epitre aux Colossiens', in
RThPh 36 ( 1948) 138-142.
LliR. MAURER, 'Die Begriindung der Herrschaft Christi iiber die Miichte
nach Kol 1, 15-20, in Wort und Dienst (Jb. der th. Schule Bethel) N.F.
1v(1955)79-93.
]. M. RoBINSON, 'A formai analysis of Colossians 1,15-20', in ]BL 76
(1957) 270-287.
Per il prologo di Giovanni
W. ELTESTER, 'Der Logos und sein Prophet. Fragen zur heutigen Erklii·
rung des joh. Prologs', in Apophoreta (Festschrift E. Haenchen), Berlin
1964, pp. 109-134·
88 BIBLIOGRAFIA
INTERPRETAZIONE TEOLOGICA
DELLA FEDE NELLA CREAZIONE
Dio-Re, che fa giustizia per Israele e per tutti i popoli, con lll sorte
alterna, ma pur sempre presente, di Israele, il popolo dcll'allc:anzll.
La sovranità storica di Jahvé, che si conclude con il ..·ompimento
del mondo, riceve il sigillo della sua sovranità dalla creazione: dcl
mondo. Con K. BARTH si può dire: la creazione è vista ~omc il fon-
damento esterno dell'alleanza, poiché l'alleanza è fondamento interno
della creazione.1 Questo rapporto di fondazione, duplice e orientato
diversamente, viene espresso con il termine dialettico 'presupposto':
la creazione precede l'alleanza, come il suo presupposto esterno e
temporale nel senso comune della parola; l'alleanza, da parte sua. pre-
suppone a se stessa, per la conoscenza di Israele e nella realtà attuata
da Dio, il mondo creato, nel senso originario e più etimologico di
presupposto. Così l'asserzione fondamentale dell'Antico Testamento,
circa il nostro tema, potrebbe essere riassunta nel titolo: 'la crea-
7;ione come presupposto dell'alleanza'.
La tensione tra protologia (creazione dcl mondo) ed escatologia
(compimento del mondo), che Israele prova nell'esperienza della
vita contrassegnata dall'alleanza, è indice di un aspetto soteriologi-
co, ossia salvifico, e indica la salvezza come redenzione. L'attesa
della salvezza è la conseguenza della continua situazione di miseria
dcl popolo di Israele e dell'uomo in questo mondo. Questa spe-
ranza di salvezza si compie radicalmente, e definitivamente, nello
israelita Gesù di Nazareth, che, quale unico figlio di Dio, fattu
uomo, sta proprio come lo uomo per eccellenza, come messia del
mondo. Il Nuovo Testamento confessa Cristo, nel quale si attuò
l'alleanza universale conclusa da Dio con Israele, come il fonda-
mento, il senso e il fine della creazione, di tutto ciò, quindi, che è
non-Dio.• Le lettere di Paolo (1 Cor., Col., Eph.), la lettern a~li
Ebrei, il prologo di Giovanni proclamano la creazione in Cristo.
attraverso di lui e verso di lui ed elaborano la loro cristologia
cosmica, servendosi del patrimonio più antico della fede espressa
dagli inni, in cui la dottrina sapienziale dell'Antico Testamento e la
°
1 Cf. G. ScHNETDEll, op. cit., pp. 6,-90; H. J. Sc1mEPS, 'Restitutio principii as
the Basis of the Nova Lex Jesu', in Journ o/ Bibl. Lit. 66 ( 1947) 453-464.
Il E. ScHILLEBEECKX, in Gott in Welt II, p. 73.
12 Cf. per il tema generale 'Cristo e creazione': L. SCHEFFCZYK, Schop/ung und
Foruhung, Freiburg 1963, pp. 13-23; lo., 'Die «Christogenèse» Teilhard de Char-
dins uncl der k:osmische Christus dei Paulus', in TQ 143 (1963) 136-174. Cosl pu-
re la presentazione ex professo che ne sarà fatta in Mysterium Salutis III, cap. 7, sez.
v11; nel frattempo la nota bibliografica redatta da H. R1EDLINGEK, in Conci/ium
2 ( 1966) '3·62.
DIO CllEA MEDIANTE LA PAIOLA 93
13 Parlano espressamente deila 'parola' creatrice solo Ps. 33,6; Sap. 9,1; Ecclus
39,17; 42,15 (#v ).oymç XllQlou 'tÙ EQya Ò.t•wi•); come pure Ps. 147,15 ss.; 148,8;
]udith 16,16 s.; Ecclus 39,31. Cf. sulla parola creatrice nell'Antico Testamento:
H. SCHLIER, 'Parola', in DzT 2 (21968) 507-518, spec. :;07 ss.; W. Z1MMF.RLI, in
RGG VI (81962) 1809-1812, O. GRETHER, 'Name und Wort Gottes im A.T.', in
BZAW (Gicssen 1934) 135-139; L. DORR, 'Die Wertung des gottlichen Wortcs im
A.T. und im antiken Orient, in MV AG 42,r (Lcip:zig 1938) 38-42.
14 Cf anche Is. 5,14; Deut. 3247; Act. 19,20 ( <1Cosl la parola dcl Signore
cresceva e si ralforlava vigorosamente»); 1 Thess. 2,13; Eph. 6,17; Hebr. 4,12.
15 L. DiiRR, op. cii., p. 34· Cf. per quanto segue: W.H. ScHMIDT, 'Dic s.·hii·
DIO OllA MUllANTE LA PAIOLA 95
i cieli; la parola che, sotto, scuote la terru. 16 Dal regno antico del-
l'Egitto (III sec. a.C.): l'organo di creazione di Ptah è la cbocca,
che diede nome a tutte le cose•. Egli stesso pronuncia «in ogni corpo
t: in ogni bocca» degli esseri viventi, a cominciare dagli dei fino ai
vermi, la sua parola divina»! 17 Un'iscrizione tardiva (ca. 200 a.C.)
esalta i! dio Thot: «tutto quanto esiste, è stato fatto per mezzo delle
sue parole». 18 Un'altra iscrizione, che si avvicina molto a Gen. 1,
dice: «Quanto scaturisce dalla sua bocca, si avvera; e quanto dice,
si attm:». 19 È quindi tanto più sorprendente il fatto che le testimo-
nianze dell'Antico Testamento per la creazione mediante la parola
compaiano di rado e tardi. Questo fatto porta all'ipotesi che la sua
origine vera e propria non sia tanto da ricercare nella mitologia della
natura dell'antico oriente quanto piuttosto nell'esperienza storica
propria di Israele.
Il mito babilonese di Enuma Elis, che, fra le cosmogonie dell'anti-
co oriente, presenta i più stretti paralleli con Gen. 1, non conosce
nessuna creazione del mondo per mezzo della parola.lii D'altra parte
sembra che non esista nessuna relazione concreta e quindi neppure
storica tra Gen. 1 e le testimonianze egiziane esplicite di una crea-
zione mediante la parola.
All'originalità della teologia della creazione mediante la parola
nell'Antico Testamento viene messa in evidenza innanzi tutto dalla
analisi circa la storia delle tradizioni di Gen. 1, che riconosce a
questo testo fondamentale una generale dualità di 'racconti di fatti',
più antichi quanto al tempo, e 'racconti di parole', più tardivi. 21
Questo dualismo è manifesto nel modo più evidente per la quinta opera
della creazione, quella cioè dei corpi celesti.21 La narrazione del fatto
(vv. 16-18) dice: «Dio fece i due luminari maggiori, il luminare grande
per dominare il giorno, e il luminare piccolo per dominare la notte, e le
stelle. E Dio li pose nel firmamento del cielo per far luce sulla terra e
per dominare il giorno e la notte e per separare la luce dalle tenebre».
La narrazione della parola (vv. 14 s.):
«E Dio Jisse: Vi siano luminari nel firmamento del cielo, per separare
il giorno dalla notte, e servano da segni per le ricorrenze, per i giorni
e per gli anni, e servano da luminari nel firmamento del cielo per far
luce sulla terra!».
Ora la narrazione della parola si presenta come stesura suppletiva più
recente, a scopo d'interpretazione e anche di correzione, della redazione
sacerdotale in aggiunta appunto alla relazione del fatto. Prove ne sono:
la posizione di superiorità delle stelle, che potrebbe portare alla loro
venerazione, è sparita; il loro carattere puramente funzionale viene
messo in maggiore evidenza, e il racconto della parola conosce la nuova
funzione per la composizione del calendario, la quale fa parte dell'uf-
ficio dei redattori sacerdoti. Le stelle sono degradate a puri 'luminari',
che non sono la luce, ma solo i suoi portatori; a questo riguardo
W.H. ScHMIDT pensa che nella relazione del fatto al v. 16, come nelle
altre simili enumerazioni (p. es., Ps. 136,7-9; 104,19), originariamente
ci fossero i nomi 'sole' e 'luna'. che nel mondo circostante Israele desi-
gnavano delle divinità (cf. anche faech. 8,16). La relazione della parola
riassume il duplice agire antropomorfico dei vv. 16 s. («Dio fece... e
Dio pose ... ») nell'unica parola creatrice: «Vi siano ... » (v. 14). In favore
della datazione più antica del racconto del fatto depone infine la circo-
stanza che l'Antico Testamento presenta paralleli per la creazione delle
stelle mediante l'opera, mentre accenna soltanto ad unà creazione attra-
verso la parola.23
Z4 I b1J.. p. 170.
25 W. ZIMMEILI, in EvT 22 ( 1962) 25.
16 Cf. Ge11. 6,11-21 con 6.22; 7,1 \·16; ll,16 s .. con 8,18 s.; 17,16-21 con 21,1-4;
17,20 con 2,,12·16, inohrc srecialmc:n1c i racrnn1i delle pia1the Ex. 7,8-11,10; dove
11111avia lOn ~'t:l·czione di Gt•n. 21,1 (e "-"· 9,12?) lddio che dà precetti oon è nel
contempo CJlli srcsso l'csccurorc: (secondo \Y/. 11. ScHM!DT, op. cit., p. 171 nota 2).
17 Js. ;.\; 8,1; le>r. 1,10; Am. i,15; 01. 3,t; ecc. (secondo WR. ScHMIDT, op.
: Ì/., p. 18,).
u O. G1tF.T11f.R, op. cii., p. q9; cf. lbiJ., PP- 103·nI, 12<H39. Secondo W.
Il. Sct1MIDT, op. àt., 176 noia 1, si puù affermare, ccon forte approssimazione,
dic la scuola deutcronomi~t• 11 seguito dei profeti interpreta la storia univer-
sale, e poi lo scriuo sacerdoralc anche la creazione, muovendo dalla parola di
Dio•.
LA FEDE NELLA CRl!AZIONF
contro il libro della rivelazione). UGO DI S11N VITTORE ' 4 parla espressa-
mente dell'opera di Dio come della sua «parola esterna, la Parola dice
dunque la parola, cioè la parola che venne proJotta, Li Parola che la
produsse ... la bella parola, la bellissima Pnrola... la parnln crc;lla quella
non creata, bensl nata ... ». Spedalmcntc Ntc:OLÒ n/\ CusA 14 " si spinge
verso la cristologia generale della p;1rola.
«Noi abbiamo un redentore, che è un mediatore universale, che riem-
pie tutte le cose e che è il primogenito di tutte le creatuLe. Questo
Gesù fa risuonare dall'inizio del mondo nelle sue membra redente
un'unica voce, che a poco a poco si è venuta espandeni'.lo, finché rag-
giunse il più alto accento in Lui stesso nel momento in cui egli rese
il suo spirito. Quest'unica voce annuncia che non esiste nessun'altra
vita al ai fuori della vita nella parola e che il mondo, come venne
fuori dalla parola, così pure viene mantenuto in vita mediante la
parola e attraverso questa viene ricondotto alla sua origine ... Questa
è la grande voce che risuo1111 nel profondo del nostro spirito, voce
che i profeti risvegliano in noi, per incitarci ad adorare l'unico crea-
tore... Dopoché questa grande voce è andata ininterrottamente de-
vandosi attraverso i secoli, fino a Giovanni, la voce di colui che grida
nel deserto .. ., infine ha preso forma umana e al termine di una lunga
serie di modulazioni di insegnamenti e miracoli, che dovevano mo-
strarci che fra tutte le cose terribili doveva essere sceha dall'amore
la più terribile, cioè la morte, questa voce emise un grande grido e
morb.
LUTERO 35 parla in modo incisivo della grammatica divina, nella quale le
parole di Dio sono direttamente le realtà del mondo:
Scd monendum hic etiam illud est: Illa verba 'fiat lux' Dei, non
Moisis verba esse, hoc est, esse res. Deus enim vocat ca, quae non
sunt, ut sint, et loquitur non grammatica vocabula, sed veras et sub-
sistentcs res, ut quod apud nos sonat, id apud Deum res est. Sic
Sol, Luna, Coelum, Terra, Petrus, Paulus, ego, tu etc. sumus vocabula
Dei, imo una syllaba vel !itera comparatione totius creaturae. Nos
ctiam loquimur. ~ed tantum 3rammatice, hoc est, iam creatis rebus
14 De arca No.: morali, cii., cap. 16, PL 176,645 s. Questo capuolo tranM delle
•tre parole»: la parola dell'uomo: la parola di Dio che è l'opera di Dio e la parol.1
di Dio che è Dio stesso
14- NICOLÒ (USANO. Excitatìones 1,3 led. Basel 1~6541 t s.I: secondo H. DF
LUBAC, Catholicisme. Ler aspecu sociaux d., dogme. Paris. •1965, pp. 312-313.
15 WA .p,17,1)-23. Cf. WA 42,37,5"9; 13,17.33 s.; 14,6s.; lj,3-18; 17,18 ..z3;
WA 17,11.191,.4-12; WA ,.,56,12-28 ... ; D. lOFGREN. 'Dic "Thcologie der Scoopfun11
bei Luthcr', in Forschungl"n :cur Kirchen und Dogmenx.eschichte, ro CGOttingen 1'16ol
H-,6: anche P. MEINHOLD, l..utbers Sprachphilosnphie. Bcrlin 1958.
100 I./\ FEDE NEI.I./\ CREAZIONE
J6 Per es. ToMMASU D'AQUINO, De veri/. 4,2: cln divinis mctaphoricc dicitur
prou/ ipsa ctr.i/11111 diutm rn!>11m mani/esltlns De11m»; similmenle I Srnt. 27,2.2.
ocl.2 1J 3; S. tb. l.q.34,a.1: •fig,11r11tive•.
J 7 M. BUllf.M, 'Das Won. das J\esprochen winl' (1!)6o), in U1rrke I, Miinchcn
1962, p. -H7' •non c'è mai stata lingua, che prima non sia stata dialogo; poté
divcman: monolo110, dopo che il dialogo è stato imerrono o :<Oppresso•.
18 M. Bu11F.R, lrb unJ D11 (1921), in Werke I, p. 97.
l 9 Wt'rkc: I. 'Schrihen zur Philosophic', Miinchen 1962; oppure: Das dialo-
fl.tSChe Prinz1p, llc:idelberg ?1965. CL M. TllEUNISSEN, Der Andar_ S111Jim zur
.'io~:idlontnlny,ii: Jer Ge_,,·nu·11rt. Berlin 1\)65, pp. 243-373. Anrccedcntemente, an·
C'hc se con minor influsso: E. R<>SfNSTOCK - HuESSY, Die Spr11che Ji:s Menuhen·
t.1•s1·hle1·h11 ( 1911-1963), Heidclbcrg I 1\)63, II 1964; F. RosEN"~EIG, Dt'r Stern
drr Er/Qs111111. ( 1921 ), Heidelbcrt; ~l9H·
40 Spcciahncntc: ·Das Wort und dic geistigen Realititen' (1921), in Schri/ttn I.
Miinchc:n 11)61. pp. n-342; d. lbid.. pp. 643"9')8. Cf. B. ÙNGEl'>MEYER, Der dttl·
1011.ischt Perrnna/ismus in der evanr.ef1schen u"d kathol.iscbe" Theologie dt'r Ge-
11.cnwart, Padcrhom 1963, pp. 11-1o8. Anche A. Brunner ha posto come base
dei suoi UAAi filosofici l'inrerpersonalità della comunità linguistica, tra l'altro in:
f:rkmnlni1thc-nrie, Koln 1948, Der Stufenbtlll der Welt, Miinchen 1950, Gl11ube
1111,/ Erkc-111111m, Miinchen 1911.
ll!O CRF.A Ml!l>lhNTE LA PAROLA IUI
H Specialmente: Dcr (;/a11be an dc:n dre1einigcn Go/I, .Jena 1926; GltJ11be 11nd
W1,.klìcMt'i1, lena 1921!. O. B. LANGENMEYER, op. cii., pp. 145-192.
u SJKcialrn~·ntc: Der A1tnsch i111 \Vid,·rrpuch (1937), Ziirich lr9.p; Wdhrheit als
/i,•11.e11n11ni: ( 1938), Stutlgert 21963. Cf. B. LANGENMEYER, op. cit., pp. 109-145.
41 Dm W'1'.1e11 dt's Chris1,•111ums, Tiibingen 11963, pp. 10~-n7, 248-250; Wort
und G/,111b,., Ti.ibingcn 21962, pp. 341-34.J-434-436; Luth", Tiibingen 1964, pp.
2 p s.: uomo e mondo sono •eventi di parola.. La parola di Dio è in fin dci
conii Dio nella ~ua solidaric:à con l'uomo.
44 S~i;tlmcnte: \Vt'/t und Perion (1939), Wiirzburg 5196J.
l.ICKF., Theologische Ethik I. Tubingen l1958, pp. 28.j.: cLa persona in quanto
imago Dei è l'esser inu:rpcllato da Dio•. K. Rahner in StZ 177 (1966) 413: cii
dialogo :ra Dio e uomo che l'uomo i· 'sostanzialmenre'•.
M E. BRUNNER, 'Die chrisrliche Ldirc \'On SchOpfung und Erl0sung', in Doi·
matik li, Zurich 1196o, p. ì2. Quando Brunner qui dice: cNon ci ~ facilt
congiungere srruuura e relazione, e: ruuavia è appunto questa la pc:culiarirà del·
l'c:ssc:rc umano, che 11 sui slr111111ra è una relflvone» - un tale accordo non è
né possibile. n~ necessario: la s1ru11ur11 ontologia è piuttosto la conseguenza di
quella relazione fondamentale rosritutiva, creacore<reatura.
62 Cf. G. EnELING, l.11/Mr, Tiibinpen 191S.4. p. 2n: «Persona come essere del-
l'uomo davanti 3 Dio è cos1i1ui1a dall'esser stati raggiunri dalla parola di Dio.
che: guida l'uomo nella •U~ cosdenza e: lo rende: libero•.
DIO CREA MEDIAlft'l! LA PAROLA 105
parte sua - supposto che non abbandoni alla leggera nulla del suo patri-
monio ontolo~ico tradizionale - tenga in molto più conto l'esperienza
interpersonale, che si va man mano riunendo in un sistema. Decisiva e
ddiniiiva diviene l'interpretazione della creazione mediante la parola,
quando si vede che la parola creauice è la parola personificata, cioè l'unico
VERBUllll di tutti i verbo della creazione.
Tillich ninm> 111 (unfusionc nell'uso dcl termine 'parola' in Systematische Theo-
lof,ic• I, ·S1ut1gar1 !1y5(>, pp. 18;-189.
1 /11 ftJ1/llm.1 1·1•1111J!.c·li11111, 20,9, PI. 15.1561: «unus mundus factus est a Patrc
per Filium h 'ìpiritu Sanrto». Similnwnt.:: De vera religione ,,,u3, PL 34,172;
D,· Tri11/1,11" 1.ri.12. /'/. 42,827.
2 K. RAll~FR. "l'hcos im NT', in Scbri/te11 I, pp. 91-167. Anche la filosofia, se rico-
nosce Dio. rininosc.· il Pu1lrc s.:nza principio, anche se certamente non come
Padre, ,·ioi.· c~mc colui che g1·n1·ra il Figlio: lbid., p. 150.
3 ns 1·5.10-21.25.27-30.16 ccc. I simboli più antkhi confessano solo l'onnipo-
. tenza dcl P;1d1·" lfUlllc :tll\'T11x1.11iT<nU. Lo sviluppo della confessione della creazione
si µ-ova appen11 nc:lk tcs1imonianzc dcl secolo IV (1>s 21 s., 40-42. 44.46.51.60.139.
150). Il t.-osiddt.'llu simbolo Tol.:1.rno I (dell'anno 400 o 447?) confessa «l'unico
vero Dio, ·Padre, Fi~lio e Spirito Santo»· come creatore (ns 188).
IL CHATOIB I! IL DIO UNO I! DINO 107
ruach ( =vento, soffio dcl respiro, spirito l con lo Spirito santo. Questo che
si riscontra in AGOSTINO 16 come pure in ToMMAS0, 17 è teologia biblica
troppo libera. Tumrvia in ls. 9,7 Jahvé 'manda' la sua parola: tale verbo
è il terminus technicus per la missione dci profeti e degli angeli da parte di
Jahvé. 11 Nel punto centrale di Ps. I r 9 si legge: «In eterno, o Jahvé,
rimP.rrà la tua parola, stabile come il cielo» (v. 89): tutti i 38 passi della
documentazione dell'Antico Testamento usano il verbo nissab come
predicato specificatamente personale (ad esclusione di un testo alterato).
Qui e specialmente nella letteratura sapienziale (Prov. 1,20-33; 8;
Sap. 7-9; Ecc/us 1,1-8; 24. lob 28,12-28) la parola, rispettivamente la
sapienza di Jahvé, incomincia ad avere autentici tratti personali. _Prov.
8,22-31 annuncia secondo W. V1sCHER" cii più intimo, il più personale
e il più dinamico essere e agire del Signore con la sapienza». La cfiglio-
lctta giocos11» 211 (altra lezione: architetto), con la quale Jahv~ progetta
l'universo, non sembra essere solo una personificazione poetica del pen-
siero espresso in Prov J, 19 senza tale affiato poetico: « J ahvé con la sa-
pienza fissò la terra, creò i cicli con l'intelligenzu.21 Da un lato la
sapienza è creata (Ecc/us 1..i ecc. e di frequente), quindi non semplice-
mente identica a Dio, d'altra parte essa ha predicati divini (Sap. 7,17-30).
In Sap. 7 121; 8,6; 14,2 la sapienza appare come uxv\'t~ artefice; in
13,1 Dio stesso appare come uxv''fTK. Sap. 9,1 identiDca sapienza e
parola, Sophta e Lo11.os. Secondo Ml. 1~.34 unitamente 11 Le. 11,49 è Gesù
eia sapienza di Dio» (cf. anche Mt. 11,16-19; LL 7,11-n e 1 Cor. 1.
24). 22 cTutta una serie di professioni di fede della Chiesa ha ricono-
" De ci11. Dei, 11,33, PL 41,347; De G~si ad liii. l,8, PL .J.4,2,1. Tale in-
terpretazione già in Teofilo (~. nJ: 1,10, PC 6,1o6,. Anche in AmbroP> (Hr-
x«nrmm l,8,19, PL 14,1,0). Già Girolamo (Hmm« fllMSI. ;,. G11, PL 13,9,8)
Afferma criticando a proposito di Ge,,, 1,1: cm11fjs ... sec111ttlll1" sms11m
secundum verbi lranslatio,,em de Christo accipi potesi•.
""'°"
17 S. th., I, q. 74, a. 3, ad 3. Questo passo - mmc già .Agosùno (De Getresi
tUi liii. 1,8) - presenta anche una seconda triade, che va oltre: essa iniapreu la
parola dcl Creatore di Gm. l,3.6.9 ... riferendola al Logos, e la CDmpiacmza per
h bontà del creato di Gen. 1,...10... riferendola allo Spirito santo.
11 Sebbene si riferisca spesso anche a oggcni non personali. Ciò, e quanto si sta
per dire, secondo A. Dl!ISSLER, 'Das Wort Gottes', in An:. f. d. ltalh. Geistl.
73 (1964) '1·H·
19 'Ocr Hymnus der Wcisheit in den Spriichen Salomos 8,22-31', in EoT 22
( 1962) }09-326, }11. Cl. O. PROCKSCll, Theologie Jes AT, Giitcrsloh 1949, pp.
476-48o.
:io In S11p. 18,14 ss., la parola onnipotente di Jahvé l: un cgueniero terribile•:
le immagini si relativizzano e in Cris10 si compie ciò che era inteso figuratamente
(511p. 8,14 s., come canto d'ingresso della messa della domenica tra l'ottava di
Natale).
21 W. V1sCHEa, op. n1., pp. 31' s.
22 Riferimenti di W. VascHu, op. cit., p. 323. Altre lince di mllepmcnto con il
IL Cll!ATOllE t IL DIO VNO E TRINO J li
68 Vedi L. ScHEFFCZYK, op. cii., pp. 99.102 s., IOJ. In Scoto il collegamento della
creazione alle processioni intratrinitarie (II Seni. 1,1 (ed. Quaracchi 2,6-22) e la vi-
sione 'scotistica' dell'incarnazione come fine della creazione sono posti l'uno accan!o
all'altro quali topoi d'una teologia metafisica.
69 W A 9,329,2-14; cf. D. LéiFGREN, Die Theologie der Schopfung bei Luther,
Gottingen 1960, pp. 9 s.
711 «Ergo, si orbem creat, per Filium creai; si creatum regi/, per Filium regit; si
collaprum restaurai, per Filium resta11ra1 .. (Dogma/a, 3,162; secondo L. SCHEFFCZVK,
op. cii., 115 nota 51).
71 L. SCHF.!'FCZYK, op. cii., 129.133.136.143 s. Anche secondo F. X. DIERINGER
( Lcbrb1!ch kath. Dogmatik, Mainz 51865, pp. 218-368) la creazione è predeterminata
••A fondamento e preparazione della redenzione». Similmente più tardi M. J. Scheeben.
12 Die chrislkatholische Theologie nach der Idee vom Reiche Gottes (1800-1804),
lnnsbruck lr844, II, p. 63.
7J Die cbristlirhe Dogmatik III, Freiburg 1848, pp. 7-172.
7 ~ Tbid. p. 3.
75 EnxJ•klopiidìc der theologischen Wi:rsenscha/ten, Mainz 21840, p. 624. Cf. P.
BiiNERMANN, Dii.' lrinilarische A11thropologie bei Frani Anton Staudenmaier, Frei-
burg 1962.
76 Cf. al riguardo J. SPLETT, Die Trinitiitslehre G. W. F. Hegels, Freiburg 196J.
Il. r.REATORE È IL DIO UNO E TRINO
ll7
" De- 111cr11me-ntt:lt: ht:tl1r<·o11on1it-. Antwcrpen 1<n2: ID., Cristo sacra111<'11"1 Jell'itt-
conlro con Dio, Roma ·'l'JI•~: ID. I Jdt'ra111.-11ti punti ,/'iuconlrn con Oiu, cull. cGior-
nale di 1eolo11ia-., J, RreS(·in 11.,67.
Il Per es. 'Erlii5un~s\\'irkld1kcit in <k·r SdKipfunpwirklichkeit', in .\e11du11g und
Gnade-, Jnnsbruck '196,, pr. 1HIK, .\1hn/te11 I, pp. 1<>;i-2n; IV, pp. 103-1n.137-
•n. 275-311.
13 Rtchl/erligu11g. Die /_._.iJ,.. 1\,11/ IJ.lftb.1 1111d eÙI<" kailmli,cbe IJ,-,innulfg, Einsie-
deln 219,9, in particolarl· 12;-150 11r. ii.: 1.., 1.imt1{u.r..im1... Querini•11;1. Brescia).
M Go11 allt:s in 111/~m. c; ..,,,111111d1,· Arr/1,11~.-. Mdin, 19(,1.
as Sreci1lmc:n1e 11 monu11r.1li;1 di si11ri.1 dd ilo11ma .\clwri1111:. 1111.f \ 1 orsehun1,: v.
no11 25. Inoltre: 'Di .. ldw d~1 l.111},ç,1 '''" S<:hàpiun;: unti Erléisun;: in ihrcr thcolo-
gischen Bc:deurung', in '/'Q 1 ~" I I•)"". 1.,. \i''. • Au·hlich· und r .. l~erungen einL·r
Geschichte des Sdmpfun11sdo11ma>. m I<) 1 ~4 I 1 \'64 l 6<J·H9.
"' Cf. E. RA11.u:ux, 'La uéJ1iun. '''""'re dc: la Trinité. :«:!on Saint Thomas', in
R. Thom. 72 ( 1962 l 27- 50: ,\I SFcHn. DJ1 H.:11 it1 ,f<'r G ...<rhicht.-. G«schirh1s1h,·o-
logiJch«1 D..11h.•1 brt 'fh011t.1.• 1·011 1lq111n, Munchc:n 1964, ~p.:cialrncntc 81-1o8.
97 S. tb. 1, q. 32, 1. 1. ad. J. U. I .\1·111 10,1,1· sol.; 4,1,1; S. tb. 1, q. n. a. 3, ad. a.
• s. tb. •• q. 45, •. 6, ad. 2.
IL CREATORE È Il. PIO UNO E TRINO I 19
19 S. th. 1,q. 4:;, a. 6. Cf. I St!nl. 14,1,1: «proceuiones personarum aeurnae sunt
'causa' et 'ratio' toli11s productionis creaturarum». Similmente mohi passi nel com-
mento di Tommaso al primo libro delle sentenze del Lombardo, in particolare alla
distinctio 2 e 3:;. Inoltre: I Seni. prol.; 10,1,1 sol.; 11,1,1; S. th. 1,q. ,_.,a. 3,ad. 2;
45, q. 6, a. 1; 45,7; De poi. 2,5,6; 2,6,2; In De Jiv. nomin. 2,3 (n. 1'8) (0. M.
SECKLER, op. cii., pp. 85 nota 17, 84 nota 15; 90 noti 37). Anche: Malico d'Acqua·
spana (1 Seni. 9,6) afferma: «creationem nectssarto praesupponne generationem
aeternam-..
'IO S. tb. '· q. 37, a. 2, ad. 3. Cf. in particolare I s. .
nt. 14,1,1 ! Inoltre: « .. .dicitur
P11tc-r dicens V ...rbo ve/ Fi/io se et cre11/uram. Et Pat<"r et Filius dicun/11r Jiligentes
Spiri/11 S.mclo ve/ Amore procede11tc· <"I u et nos-. (S. th. 1, q. 37, a. 2). «Deus enim
cn1.noscendo se cognoscit omn"'" a,•,1t1mim• (S. th. 1, q. 34, a. 3; d. lbid. ad 4l·
"""lun/as n11tnq111: su11 ( = Dri) rum , t r:udem actu vult se et 11/ir1 .. (S.c. gentiks
1 .112 ). cEI diàtur Pater per r11111 /tJ<WI! sat'cula, quia genuit e11m operantem saecula»
(In. Ep. ad Hebr., c. i. I. 1 J. el'otcmtir1 generandi et creondi t'JI una et eadem ~
tmtùt• (De por. 2,6). S. tb. 1, q. ~2. a. 1, ad. 3; q. 34, a. 1, ad. 3; S. c. genti/es I. 1v,13;
De pot., 2,3,6. In Ep. 11J Cui. c. 1,1.4.
I20 LA PEDE NELLA CREAZIONE
Tuttavia ciò che della dottrina tradizionale delle idee, con tutta la
necessaria sobrietà speculativa, sembra rimanere valido è la deter-
minazione spirituale di tutte le realtà derivante dalla loro origine
trinitaria; ad essa si richiama per lo meno per molte ragioni, l'o-
d:erna concezione evolutiva del mondo, contro l'estremo dualismo
di materia e spirito. ANSELMO DI CANTERBURY '17 dice di Dio: cUno
dixit similitudinrm suam, et per conscqucns apn:uil omnia, quae polllil• (Htui·
"'"on 1,16 [lhid. "332)).
" ToMMASO, In Dt' di11. no,,,inibus c. 2, 1. 3 n. 1,8; S. 1b. 1,..,3; 27,1 e 1pe990
(d. M. SECttLER, op. cii., p. s,., nota 1,).
a
" s. c. gt'nlilts, I. ... q; I St'nl. 27,2,.1,2, .d. 3 (ed. Mandonnet 1929, I 662).
In Ev. loann1s 1,,.
1m a. 011CENE, Fraf."'· in Pro11., PG 17,153.
101 a. ]. B. I.on, Ontologia, Fn:iburg 1963, pp. 1171. (in pane secondo M.
lh:tDF.GGEa, Kant und das Probltm dtr Mrtaphysilt, Franlr.furt '196,, p. 361.). lnol-
llc J. PtEPF.11, Wahrht'il dtr Dingt, Miinchcn 4 1966; M.-G. GADAMD, Vl•hrhtil
und Mt:thodt•, Tiibingcn Z196,, pp. 39,·404 (cf. p. 4,0: cEssen:, che pub vaiir
compreso, è lingu1•: rst lingw "'""'!); M. MOLLEI, Existrnzphilosophit ;,,, g~i-
11111.m Lt:ben dtr Gegt'nwart, Hcidelbcra '1964, p. 243: cOnnipresenza della puoll
in ogni vocabolo, cioè dell'unico signiliato dell'essere in tuno ciò che esiste•
(cf. pp. 2 3z e 2.14 noia 1 ! ). LI costituzione dcl Vaticano 11 suU1 Oiiesa nel mondo
contemporaneo in data 7.u.1')6' al n. 14 conosce 11 possibilità di «toccare in pro-
fondo 11 verità stcsu delle cose•. Sulil dourina d'insieme cima i trucmdentali """"''
vtrum · bonum: J. B. I.on, op c11., pp. 69·t.f7; E. Conm, Mttaphysill, lnnsbruc:k
2196... pp. 32.5 396.
1.22 LA PEDE NBJ.LA CIEAZIONE
106 Cf. W. KrnN, 'Das Verhiihnis von Erkenntnis und Liebe als philosophischcs
Grundproblem bei Hegel und Thomas von Aquin', in Scholaslik 34 (19,9) 39•H27;
Id., 'Einheit-in-Manningfaltigkeit', in Golf in We// 1, pp. 20ì·239 (tradotto in Oriz-
wnti della teologia 1, Ed. Paoline, Roma).
107 Cf. J. SPLETr, Die Triniliitslehre G. W.F. Hegels, Coli. «Symposion» 20, Frei-
burg 196,.
124 LA FEDE NELLA CllEAZ!ONE
108 Una certa pericolosa possibilità di tale identificazione l'abbiamo vista già in
Giustino, Scoto Eriugena e Thierry di Chames: v. sopra pp. 1II,II3.
109 V. nota 86.
110 I Seni., Prologus.
111 M. SECKLER, op. cit., pp. 83, 86 e spesso; cf. 16o ss.
112 I Seni., Prologus. Su origo: I Sent. 32,r,3.
!Il s. c. g. I. 11, 46.
114 TOMMASO, S. th. 1, q. 93, a. 8: «imtZf,O Dei attenditur in .:mima secundum quod
/ertur ve/ nata est ferri in Deum». Cf. S. th. I, q. 93, a. 4; III, q. 23, a. 3; S. c. g. I. Iv,26,
IL CREATORE È IL DIO UNO I! TRINO 125
9 · i\ll"Jt<"rtUm Salutis.11/2
LA FEDE NELL1' CREAZIONE
Se «Dio in forza del fatto d'amare se stesso, tutto ... ordina a sé•,n
tuttavia «Dio non è il fine ultimo delle cose nel senso che ne possa
trarre qualche vantaggio per lui, ma unicamente nel senso che le
cose ricevono da lui•.n Secondo il concilio Vaticano 1, Dio ha crea-
to il mondo •mediante la sua bontà e potenza infinita non per
aumentare la propria beatitudini: né per acquistarsi la propria per-
fezione, ma per manifestarla attraverso la bontà che egli parte-
" M. SaiMAus, 'K4lboliscb~ Dogm.riJi 11,1, Miincbcn 61962, p. u9 (tt. iL: Dot
m111ic11 c1111olic11, Maricni, Torino).
lii lbiJ.
li TOMMASO, De pot. 9,9.
12 ToMMASO, S. c.g. 3,18.
LA FEDE NELLA CREAZIONE
23 ns 3002. Non è facile vedere come in base a questa asserzione conciliare si possa
stabilire il 'principio': «Il movente dell'azione creatrice di Dio è il suo amore a
se stesso ...» (M. ScHMAUS, op. cit., p. I 18).
24 Ps. 18,1-7; 56; 66 s.; 92; 94 s.; 99; 102-104; zo6; uo; n2 s.; 133-135; I+4·
147.
25 Num. 14,21; ls. 6,3; 40,5; Abac. 2,14; 1 Cbron. x6,8-36; 29,10-19; Dan. 3,57-jlo;
Ecclus 17,7 s.; 42,x6.
26 Vaticano 1 (Ds 3025). Cf. 1 Cor. 7,20.
CREAZIONE COME COMUNICAZIONE D'AMORE
27 Cf. Timeo 29c 3oab; Fedro, 247a. Anche ARISTOTELE, Metaph. A2; 983121.
21 PLOTINO, Enneadi2,9,17; 4,8,6; 5,2,1; ,'4,r; ,,,,u. PROCLO, PPr.98; u2;
131 (da K. KREMER, Parusia (Fsch. J. Hirschberger; Frankfurt 19") p. 2,4 nota
68). Circa la libertà di Dio in Agostino v. J. de Blic in RSR 30(1940) 179 nota 2;
e con enfasi, HEGEL: 8,315; ro,4SJ; 16,397 s.; 18,249 s.; 316 s.; 20,26 (cd. GLOCK·
NEB.).
29 M. SCHMAUS, op. cii., Ili s.; 1,1 55.DS 2719, NR 17!rl83.
LA FEDE NELLA CU!AZIONI!
15 GIUSTINO, Apol. 1,10 (PG 6,340). Inoltre: GIUSTINO, Apol. 11"4 (PG 6o4.'J2):
614 d.vtpWuwv y~ DUil. 41 (PG 6,504): 6là Tn MQ<WtDY. 0. andic:
I C/t,,,, H-4: r~plo 1,6; AalSTIDI!, Apol.. 1,3; ut11m1 Il Diog,,eto, 4,2; TAZIANO,
Or111io 4 (L. SolEFFCZYlt, op. r:il., p. 39, nota 25).
l6 TEOFILO 2,10, PG 6,1o6.f.
J7 UGO DA SAN VITl'OU, Dt 111r:r11,,,m1is cbrislillnu µr;;, libri prioris prol. 3,
PL 176,184; egli prosegue subordinando in modo piuuos10 serrato: cSpirilru quidt"'
propltr Dt""'· r:orpus proplrr spirilu,,,, "'""dus proplrr r:orpus h""'""""'· ul spi·
ritus Dto subir:r:rtlur, spirilui r:orp..s ti r:orpori "'""dus•.
• TOMMASO, S. r:. g. I. 3,n (qui vcnmcnte detto solo dei gradi cosmici inter-
ni all'uomo).
Jt TOMMASO, S. lh. I, q. 65, a. 3, ad 2,2; d. II Sml. 1,2,2; W Seni. 49,1,2,2; S.c.g
I. 2>46; 3,112; Dt aier.20"4 ...
• TOMMASO, li Dt .,,;,,,111.6.
•• a. ToMMAso. s.r:.,.1. , ......
4l Kltintr K111tcbis,,,11s in WA 30 l,247,20 s.; 292,10 s.; 293,1.'J s.
'' IHNl!O, AJ11. hatr 4,14,1, PG 7,1010.
LA PEllE NELLA OEAZIONE
Secondo il Deutero-lsaia (ls. 44,24) Dio dice: «lo sono Jahv~ che ha
creato tutto; bo spiegato i cieli da solo, ho disteso la terra - chi era
con me?». E (ls. 45,5-8): «lo sono Jahvé: non ce n'è altri, fuori di
me non vi è divinità. Ti darò una cintura anche se tu non mi conosci,
affinché sappiano dall'oriente all'occidente che fuori di me non c'è nulla.
Io sono Jahvé: non ce n'è altri. lo ho formato la luce e creato le
tenebre, concedo il benessere e creo la sciagura; io sono Jahvé che
compie tutto questo... lo Jahvé ho creato ciò». «Uno solo è vero
sapiente, temibile assai, assiso sopra il suo trono. Lo stesso Signore ha
creato la sapienza; la contemplò. la misurò; la diffuse in tutte le sue
opere, fra ogni mortale secondo la sua generosità, l'elargl a quanti
l'amano» ( Ecclus 1 ,8-10 ).
!O a. Col. I,16; 2,1,; Eph. 1,21; I Cor. 1,,24; J,8; I Pt:lr. 3,11.
51 li La1crancnsc IV dc:I 1215 (Ds 8oo): •unum 11nw<Ts0rll"' principill,,,, crt•
1or omnium visibilium t:I mvinbtli11m ···"·
CIEAZIONE COME COMUNICAZIONE o' AMOIE
62 WA 23,133,30-134,6.
63 O. Z. H.uES, Th• gener11l doctrine o/ creation in the thirteenth unt11ry
with special Emph11sis on M1111hew o/ Aq11aspart11, Munchen 1964, pp. 74-115. Mo-
tivazioni di TOMMASO in Il Sent. 1,1,3; S. c. g. I. 2,21; De poi. 3.4; S. lh. I, q. 4.1•
a. ,. Circa la cooperazione' creatrice strumentale una trattazione più precisa in
W. BaUGGER, Theo/ogia naturalis, Freiburg 2 1964, p. ~~ti. Il concorso dis('IOSitivo
dei genitori nella creazione dell'anima spirituale utru1na scmhra ruuavill essere (con-
tro Brugger) 'csigitivo' e in verità non solo a seguito di un decreto della volontà
di Dio, bcnsl in forza dell'intimo contesto cosmico evolutivo, voluto cosi da Dio!
LA FEDE NELLA CllF.AZlONE
s Ohre Gen. 1,21. Per bara' nd Deutcn~lsaia vedi sopra p. 70. Cf. H. \V.
ScHMIDT, Die Scbiip/ungescbu:bte de1 P1i~su1schri/l, Coli. cWMANT• 17, Neu-
kirchen-Vluyn 19'i·h pp. 164-167 (bibliogr. 16' n. 1).
6 Cf. W. fOERSTEI., in TWNT Ili, 1022-1027.
7 Ps 74,12-17; 89.10-12; 104,16 (?); ls. 17,1; Am. 9,J; lob 9,13; 26,1 J; 40,29.
I~ l't:llt: Nt:l.LA CKEAZIONE
sistt'.lti (o·n ovx t!; OV't!JJV É1tOL1lCTEV au-.à b &E6c,; altra versione
possibile: dal nulla)».' 2 Nel Nuovo Testamento Paolo conferma
questa dottrina quando della speranza di risurrezione derivante
dalla fede nella creazione di 2 Mach_ 7 .29 fa un argomento fonda-
mentale e pone creazione e compimen!O nell'unico ambito della
storia Jdla salve:a.a. la ft:Jt: Ji Abramo nella promessa si indiriz-
zava a Dio «che dà la vita ai morti e chiama all'essere le cose
che non sono 1'à cvx cv-ra )» (Rom. -\, 1 ì ). Solo colui che crea tutto
dal nulla può far sì che la morce, la quale appare definitiva, sia
mutata in vita. La creazione iniziale è il presupposto della salvezza
definitiva.
Con le due esplicite testimonianze bibliche per la creazione dal
nulla (2 Mach. 7 ,28 e Rom. .p 7) s'accordano in fondo come
significato tutti quei passi che confessano Dio come colui che
crea ogni cosa." Quindi la formula «cielo e terra» " o «cielo,
terra e mare» 15 risuona come concisa enunciazione di tutto ciò
che esiste, chiarita in tale senso mediante l'aggiunta: «e rutto
ciò che c'è in essi».'• Anche la locuzione: «dalla (oppure:
'prima della') fondazione del mondo» 17 presuppone la fede nella
creazione. La creazione dal nulla è, secondo l'asserzione biblica
fondamentale, l'espressione negativa della sommamente pos1uva
gloria di Dio come il Pantocratore: il quale è il potente padrone
di tutta la realtà.
12 Al contrario, 1-.cr inllusso dcl pensiero greco incalzante, Sap. 11,27 fa che la
mano onnipotcnlc ( ! ) tli Dio crei il mondo dalla materia informe (li; ùµoeqiou
~1.,1;). La scconJu lezione di 2 Mach. 7,28 riporterebbe anche questo passo in
una certa vicinan7.a al concetto platonico di materia come µi] liv.
11 1 Crir 8,6; Rom. 11,36; F.ph. 3,9; Col. 1,16; lo. 1,3; Apoc_ 4,1r.
"Gr·11. 1,1; 2,4; 14,19.22 ... ls. 45,12-8; ler. 32,17; P1. 89,12; 121,2; 124-8 ...
Mt. 11,2, (= /.r. to,H); Apoc. 114-13. Act. 17,24 equipara: «il mondo e tulio
cib che contiene• a «ciclo e terra...
1s Ps. 33,6-8; AprJc. 14,7.
I& Ex. :io,11; 2 f:sdr. 9,6; Ps_ 146,6; A«I. 4,24; 14,15; Apoc. 10,6. Cf. Is. 66,2;
/tor 10,12.16; anche lob 9,5-12; 38-.p.
17 Mt. 13,n; 2_,,34; Le. 11,50; Io. 17,24; F.ph. 1,4; Hebr. 4,3; 9,26.
LA FBDE NELLA CREAZIONE
sarebbe finita per 111 µovapxlci 9Eov. La potenza creatrice di Dio di-
venta, come accadde nell'Antico Testamento e nel Nuovo Testamento
il fondamento granitico della preghiera di domanda. GIUSTINO, nelle sue
citazioni bibliche, aggiunge al nome di Dio l'apostofe «colui che tutto
ha creato» o ccolui che ti ha creato• divenuta corrente.19 cln primissimo
luogo: credi che vi è un Dio, che ha creato e compiuto ogni cosa e
che tutto ha fatto essere dal nulla.; in questa proposizione fonda-
mentale del PASTORE DI ERMA,lll appare per la prima volta la formula
'ex nihilo' (bt 'tOÙ µT) OvtOI;); IRENEO 21 e ORIGENE 22 la citano con
insistenza. Tuttavia la convinzione della creazione dal nulla ha avuto diffi-
coltà ad affermarsi. Giustino 2.' per il forte influsso spirituale del pla-
tonismo ritiene che una materia informe stia sotto all'opera dcl Die>-
demiurgo. Ma gli altri apologeti del 11 secolo - ARIS'flDE.2' ATENAGORA,15
TEOFIL0, 26 TAZIANO 27 - s'oppongono all'opinione platonica, none>-
stante il Tohu-wa-bohu di Gcn. 1 ,2. Cosl la creazione di ogni cosa dal
nulla ad opera dell'unico Dio è diventata per il tempo posteriore un
patrimonio di fede riflesso e incontestato, 21 che fu difeso contro ogni
semplificazione filosofica di tipo dualistico o emanatistico e contro la
non ortodossa svalutazione nei riguardi del materiale, del corporale, e
dell'(intra-) mondano, affermantesi con la gnosi. Contro i manicheismi
sempre risorgenti (dei priscilliani, degli origenisti, degli albigesi, dei
valdesi ecc.) si rivolgono pure le dichiarazioni del magistero da Leone
Magno (447) 29 fino ai concili del Mediocvo; 30 il concilio Vaticano I
assume la definizione del concilio Lateranense IV.
1 ~ TEOFILO, Ad Anlol. 2,4 PG 6,1012. Cf. per la dottrina patr1suca della crea-
zione C. TRESMONTANT, La mélaphysique du Christianisme, cii., pp. 89-1 ..9.
•~ Apal. I 16, PG 6,353: su Mt. 19,17, rispettivamente Mc. 12,30.
20 Mand. 1,1, PG 2,913. •
li Ad11. haer, 4,20,2, PG 7,1032.
22 De princ. 2,1,J, PG n,189; In ]oann 32,9, PG 14,783.
23 Apal. 1,10: li; àµooq>ou u1..11ç; Ibid., 19: che Dio ne abbia tratto il mon-
do, Platone l'ha imparato dai profeti, rispettivamente da Mosè !PG 6,H0-4161.).
Paralleli dalla scuola media del platonismo pr-:sso C. ANDRESEN. in ZNW +t ( 1972/
13) 163-165.
24 Apol. 1,4.
25 Lega/io 4, PG 6,897.
l6 Ad A111ol. 2>4.10, PG 6,10,2 s., 1o64 s.
27 Orti/io 1. PG 6,817. \
28 Cf. IRENEO, Adv b.Jer. 2,1,1-5; 2,104, PG 7,709-712.736; TEITULUANO, De
praescr. baer 1 J, PL 2.26; Adv. Hermog. 21, PL 2,26.216 s.: LA'l"l"A!'IZIO, lnst. Ji11.
2,9, PL 6,297.3o6; 0RIGENE, De princ. 2,1,.41., PG 11,185 s.; BASILto, Ho"' H
in Hex 2, PG 29,32 s.; Agostino, per es.: De Gen. c. Man. 1,6,10. PL H,17K.
29 DS 281: • ... nihil omnino cre11111r11r11m est, quod non in exordio sui e:ic nihilo
cret111U11 es/•. - a. DS .po; 4Hi 457 s.; 462 s. Vi alludevano gli antichi simboli DS
1-J; u-61; 64.71; 125; 139 s.; 150; 191. ..
311 DS 790 (12o8): « ... Deum, qui in Trini/ate ... perm11nr11s (!) de nibilo cunc/11
tiO HA TRATTO IL MONDO DAL NULLA 1,5 I
greco dcl 11 secolo dopo Cristo, il medico GALEN0, 411 del resto in un
contesto di proprio nessuna imponanza, ·ha caratterizzato la fondamen·
tale differenza della concezione biblica della creazione, che egli chiama
espressamente «la concezione di Mosé» - e la cosmogonia greca:
secondo l'una Dio crea nella più libera sovranità del suo volere (che è
concepita perfino eccessiva: come se Dio avesse la possibilità di fare
ciò che è impossibile in sé), secondo l'altra invece il demiurgo è le·
gato, nella sua attività, alla materia preesistente. Il tempo presente
ha esaminato su basi più larghe la differenza marcata di veduta fra il
pensiero greco e il pensiero giudeo-cristiano.41 Inquadrato dall'antichità
precristiana che non comprendeva ancora e da certi filosofi moderni 47
rappresentativi della nostra epoca che non comprendono più la metafisica
della creazione dei Padri e degli scolastici appare chiaro-oscuro consi-
derato dal Vaticano l, come uno sforzo di conciliazione di verità cono-
scibili in sé filosoficamente, in realtà conosciute soltanto nella scia della
rivelazione e della fede. L'idea della creazione significa, ad esempio
rispetto alla filosofia aristotelica, «une inspiration toute différente»,
«une véritable révolution».u Sembra che soltanto con l'aiuto della rive-
lazione della volontà amorevole di Dio, dal quale viene ogni realtà,
che dona liberamente l'essere e l'esistenza (e che permette cosl una prima
somiglianza analogica fra il finito e l'infinito malgrado la loro totale diffe-
renza), fosse possibile o almeno che di fatto sia stato possibile superare
una filosofia delle essenze che si era fissata nelle categorie di forma e
materia e di penetrare nelle profondità e nelle ricchezze d'analogia della
metafisica dell'essere che, sola. può elaborare l'idea della creazione e
vedere in essa la sorgente universale e radicale di tutti gli esseri; con ciò.
così sembra. ogni pura filosofia della natura e del conoscere. tanto
ma: •il pensiero di Platone, svolto ulteriormente nei 11UOi propri principi, porta
piunos10 ad una creazione, che: alla sua ncpziooc».
411 Dr 11111 pdrti11trr, 11,14 (90' s I: da C.-M. EosMA 1n lNW J8 (19J9) JJ.
41 TH. BoMANH, D11s hebriiisdw Dr11lm1 im V rTi/rich mit dem iri«hischelf,
Gottingcn 3( 1959); C. Tl!ESMONl'AHT, Biblischrs DrnJ:cn u11d hrllrlfÌschr Obrrliefe·
'""!. DUsscldofi 19,6; Sittlicbr E.xistelf1. bei Jr,, PTophrte" lsr11ns, Frcibura
1962, pp. nS; Dir Vn1111wft drs G'-brlfs, Dauc1dorf 15164; J. HEssEH, Grir-
ctischr oJn biblische Throlot.ir?, Miinchcn l196J.
42 a. R. E.isl.Ell, '11 ortub11ch Ju philosophiscbr11 &irilr li, Bcrlin •1929.
pp. 776 $.
4J TH. PHtLIPPE, in RSPT 23 (1934) 3,a.w,. a. J. Orrcga y Gassct (1933;
Gn WuJ:r, Ili, Siungart 1956): •L'idea della rivelazione come l'idea della cma-
zione rispc1to all'inicro mondo dcl pcnsiao arm> npprcscnta un.a complcia novità»;
_I. Picpcr (Obrr dir pl4Jmrischr11 Mythrlf, Miinchcn 196,, Hl: •Nella trasmis-
sione della sacra tradizione sembra che né Platone ne! alcun 1hro pensatore antico
al di fuori della Tradizione biblica abbia mai 8\'Uto il concetto di creazione io
senso pl'C\.Uo e strcllo•.
PIO HA TIATl'O IL MONDO DAI. NULLA
44 Cf. G. Sòt1NGEN, in Mysteriu"' Slllutis 1/1, pp. ,181., '46. H. ULllCll, in NTZ
u ( 1961) 1o6.
4' Cf. per es. J. DP. FrHANCE, Et" d Aiir tl11u 1" Phllosopbie tle Jlilfl Tbollr.s,
ROll18 l15)6o, pp. 11()-t.fS. Se dunque il cuna:no di creazione fosse da rircncrc tol·
tanto 1cologicamc:111c (rcl•tiv1men1c!) adeguato, ciò non csdudcn:bbc, bmsl inclu-
derebbe che la 5UI strunura fondamcnralc: venga intesa ·esatta' filosoficammte:
questo in posizione critica, rispc110 a M. SECKLD, Das Heil in tler Gescbicbte, cit.,
p. 9J·
46 G. Gt.oEGE. in RGG JV. 148,.
n Hl!HGSTUiBElG, se;,, unti Urspriinilichlteil :un philos. Gn11tlki1mi tln
J.
Schiip/unislehre, Munchcn 19,s. Come ausalirà esemplare, la causalir.à sta nel
punto centralr di una filosofia della partecipazione.
41 a. K. ltumu. Scbriftm IV. p. 303 nota J I: • Tutti i misteri della sa1Vf228
LA FEDE NELLA CREAZIONE
53 C011/ .• 3,6,11,PL 32.688. Cf. De Gen. ad liii. 8,.26, PL J4,391: ..... inttrinr
0111ni re, quia in ipso runt omni.i. et exterior omni re, quia ipre est suprr 01t1tti'1•.
54 L BKUN:O.:l.R, 'Dic duistlichc Lchrc \'on Gon', in Dogm111ik I. Ziirich 3196<>,
p. 211.
55 Cf. O. BAlllloH.R. 'Cre'1tio ex nihilo', in Catb 10 ( r954/nl ro8-ri6; 111: «La
lontananza è la dimcll9Ìone creata della creazione, la \'ÌCÌnanza quella di\'ina•.
S6 G. V. RAD, Scbiip/ungs_,1a11be und Entwick!ungstheone, Stuttgart 19jS, p. n.
'SI TAl.F.TE: A 22 (e<l. Dicls).
58 AKISTOTF.LE: llrQi •p}.()(foqia;: Fr. 18, ed. Ross. 1955; cf. PLATONF.,
Timeo y2b.
11111 llA TKATIO Il. MONIJO llAL Nl'l.LA
tesse (Gen. 1,28). Cosl il mondo, non più esso stesso numinoso,
poteva essere reso dall'uomo oggetto della sua ricerca teorica I! Jd
suo dominio pratico. La fede nella creazione ha affidato il mondo,
come profano mon<lo mondano, al sapere investigatore e alla vo-
lontà plasmatrice dell'uomo."'
.59 Cf. in proposito, olue E. Hello, K. Jaspen, A. Toynbce, P. DPHt:t.t. '-'" ry·
stème du monde li, Paris 1914, pp. 4H. 4o8. A. KoJÈVE, 'Origine chréti~nn.: de
la science moderne', in Sciences et l'enseipement des sciences ' (1964) 3;",41.
"° J. MtTrELSTllASS, Die Reuung der Philfomene, Berlin 1962, pp. 17il-2j8.
61 J- A. T_ RoBIHSON, Dio non è così, FllCllZC 196,.
LA FUIE NELll caEAZJONE
Ouesto è senza dubbio il sommo articolo della fede nel quale possiamo
dire: lo credo in Dio padre, onnipotente creatore dcl cielo e della
terra. E colui che crede ciò sinceramente, questi si uova già un aiuto,
è di nuovo posto nella giustizia e ritorna colà da dove Adamo è ca-
duto. Però pochi sono quelli che giungono cosl avanti, da credere
pienamente che egli è il Dio, che ha creato e fatto ogni cosa. Un tale
uomo infatti deve essere mono ad ogni cosa, al bene e al male, alla
5. Dio crt!Ò questo mondo comi! mondo con inizio nt!l tempo
2 Cf. AGOSTINO, De ci111t11le Dei, 11,6, PL 41,322: cprocul Jubio non est mun-
Jus Jactus i11 lt'ntpore, std cum tempore»; Con/essiones, 11,30, PL 31,816: cn11llum
tr:mpur <'JSe posu sil1e cuatur11». Cosl pure già WMENTE ALESSANP•INO, Strom11111
1.. 16, PG 9,369; e AMBMc11;10, lle.\'.Jc111<:r011, 1,6,20, PL 1.p 11.
l G1us11/ic11111 - nonostante la teoria di Miw I 1 ~8 I delle Jue scale di 1empo,
secondo la quale l'unica e medesima durata di tempo secondo una scala recchiude
un numero di uni1à Ji 1empo. secondo l'altra invece un numero inlini10: un u:n·
auivo quc:s10 che inrnntra non poche riserve anche da parte dell'estrolisica; d.
O. lkckmann ·E. Schiicking, in S. FLiiGGE (ed.I, H11ndb11ch J .., Physill. 1. n.
Bc:rlin 1959. pp. H<>-B/; W. BOcHEL. Die Problem11tik 110n R.1111111 11nJ Zeil.
Coli •N11t11•wru.-•uch.if1 u11J Tht·ologie• 6. Freiburg 1.,6,.. p. ii9. e Hl.. 178 f1966l
'ii· \]Q
' J. ~Il l'MI M~. n.n 1llta d.-s U11il.'c:rrn111s. Meiscnht·im 1954; 11. BoNDI, Comro-
'"K.l', <:..mhridi:c !196o; H. Vc>e.'T, Dic: S1ruk111r .In Ko.<1110.< .ils c;,m:es, Bcrlin
1')(11; \X'. Rlic:1tf.L, Dit· Prohle111<1tik 1·011 Rc1:1111 1111cf làt, eil.; Id., Philnsophist·h<'
l'wbh·111t· J .., Pbysik, Frciburg 1965, Jll>. 6f·73: 111., 'Urknall·Strahlung, Gravita·
1innskollllps, Qudsars, Ent\\'it:klungsgt-s.:hchcn im Uni,·crsum', in SJZ 178 (r966I
3; l·Jlio. • C.:in:a l'indicazione ddl'età Jdl'uni,•crso d., per c:s., ancora P. JorJ.m,
(REAZIClNF. OFT MO\IUO CO' I ll"lili':U1 llt-.1. ITMPO
0
161
sophie, Paris 1!!45. pp. 7.12,16-19,38-40; cf. Die k111bolische Glaubenslehre I, Frci-
burg 1959, p. 4~6. In contrario: J. DE BLIC, in BLE 47 (19-16) 162-170.
36 lbid., pp. 16.18.
37 Precisamente lo sniuo di Tcilhard Les fondemenls et le Fond Je /'ldée de
/'Evolution, composto nel 1926, reso noto solamente nel 1957, da cui cita SEllTIL-
L\NGES (op. cii., p. 18), s'esprime in senso contrario: non solo nelle note (p. 193,
nota 5 [citazione dì Ser1ia~nges] e p. 198, nota ;), ma anche nel testo principale
T. spiega cl'inftni:à Jd tempo decorso» ecc. (p. 191; cioè «per mtto il pensiero
umano.. nella e realtà sperimentabile•) L"Omc rifiuto soitanto d'un cesperimentabile
166 LA FEDE NELLA CREAZIONE
•t PLATONE, Po/jteid 648j-499; Aa.lsTOTEll, EthU:a ad Nic. 64; 10,7; n40 a.;
unb.
42 Eucuro, B 30; Aa1sTOTELE, De genera/ione___ 2,n; Metrora l ,14; Probk-
mata 13,3; d. PlrysU:a 8,S-10 265a 266a. Luc1EZ10, De nat11Ta rerum, 3,945: ceadem
sunl omnia semper-.; 5,n35
., M.uco AuaEI.10, Ad seipsum. 7,1: oMn xmvciv; d. 6,J7-
.. Co51 la polemica anticristiana di Celso (secondo OaxGENE, Conlrt1 Cels11111,
4,65, PG 9,n33).
45 Il Sent., 2, l, 3 ad 2; S. th., I, q. 46, a. 2.
46 Per la già quasi classica distinzione ddla concezione antica ciclica e cnsnana
lineare del tempo e della storia, vedi soprattutto: O. CULLMANN, Cristo e il tempo,
Bologna 31967, PP- 24-30; 34 s.; 59-142; len. anteriore: lbid., 74, nota 3- Contro
W. KucK, Die Zukrmft tles Gekommenen, Miincbcn 1961; M. SEcn.t:a, op. dt.,
e altri (v. CuLLMAHN, op. cii., p. 26 s.). La ciclicità greca attestata come caratteri-
stica si doveva ben spiegarla, mediando e differenziando, quale pl11Ttditil di cicli
oppure, ciò che ha lo stessa signifu:ato, metter in luce attraverso l'equivalenza com-
pleta del punto di partCllZI e di ritorno, l'identità falsa (nel senso ~liano l di
inizio e fine mentre la 'linearità crisùana - gli schemi spaziali qui son sem-
pre difettosi. - non poteva escludere la rappresentazione dcl ciclo singolo COll
l'autentica identità. nella differenza. di inizio e fine. con la fine come compiir.ento
168
: Ps. 16,5.ll; J7,23 ~.; 39 s.; 65,6-q; 66,10-12; ì3.23 s.; 92; 103; 139,6.24;
Cf. ler. 1,5; Ercl. 6,10; lob 14,5; Prov. 204; Ecdus 114.
1.45,10-21.
l R. P.ENTEll 'SchOpfong und Erl0sung', in Dogm11tik I, Gottingen 19,g, p. ;zOI.
LA Pl!DI! NELLA CREAZIONE
r74
In Io. 5,17 (e similmente già in Is. 40,28)21' può forse esser intravvista
una correzione riguardo al riposo sabbatico di Dio, col quale si conclude
il primo racconto della creazione? Il riposo di Dio dopo la creazione del
mondo può forse significare che l'attività creatrice di Dio precede sempre
ogni auto-sviluppo del mondo e dell'uomo, e anche la sua libera attua-
zione della cultura, in tutta calma e infinita superiorità, abbracciandolo
e sostenendolo nel suo riposo divino e per mezzo di esso il quale è
tutt'uno con l'azione creatrice di Dio; cosl che il riposo sabbatico di
Gen. 2,3 diventi appunto l'inaugurazione della creatio continua? 21
17 G. GLOEGI!, in K11D I ( 19n) 3' 001.1 33· con riferimento a K. KocH, Sdq im ·
A.T. (Diss.) Heidclbcrg 19n.
11 Cf. Ps. 91,14; 93,1 s.; 9,,3; 97,1; 98,6; 103,19; 149,2.
19 K. Burn (KD 111/i,10) richiama l'attenzione sul fatto che il termine cctta·
tore• nel Nuovo Testamento s'incontra solo una volta (1 Pttr. 4,19), mentre ordì·
nariamente ~ parafrasato con participi e proposizioni relative, e che quindi si pensa
alla creazione di solito espressamente [?] come a una azione storica di Dio, nel senso
della creaJio contm1111.
20 cDio eterno ~ Jah~~. creatore di tutta la terra; Egli non si stanca m! si af.
fanna ... •.
21 K. B.urn, KD 111/1, ro8.204·2,8. (spec. 249). Ugualmente in modo positivo -
con W. FousTEI, in TWNT, 111,1010 - L. ScHEl'FCZYK, op. cii., 61.; come pure
E. }ENNI, 'Die theol. Begriindung des Sabbatgcbots im A.T.', in Tht()l. St""itn 46,
Zollikon-ZUrich 19,6, p. 28 s., per il quale il sabato della creazione ~ •il rendere pos-
sibile l'alleanza quale meta della storia, coruquente alla creazione, tra Dio e l'uo-
mo•: •Attra'iJ:tSO il riposo, Dio mostra la sua disponibilitl ad entrare in un rap-
porto di comunione ccn l'uomo inteso ((,11\C culmine della creazione... Per mezzo
della benedizione, Dio pone fone vitali in questo giorno•. Forse però non si deve
trarre di nuovo rroppe conseguenze da qu~-s1'unico pasw. l!n'in1crpre1az.ione t'llealo-
logica quasi corri•pondentc di Gen. 2,3 111raverso l Petr. 3.8 (un giorno dinanzi al
Signore è come mille anni) la dà per la prima volta la U-tterd d1 Barnaba'''· PC
2,no s.). Anche Gemente Alessandrino !S1wmald 6.16, PG 9, pp. 363-3i9. spcc. 370),
Agostino !De Gen. ad l.Ju. 4.12, PL 34.304 s.I tra gli altri, scol'llono in G('n. 2,\
il passaggio dall'a11ivi1à creatrice di Dio a quella conserv111ice (v. L. Sc11EFFCZYK,
op. cii., p. 49).
22 P. ScHOONENllEKC, Golles werdende Wc/1, cit., p. 40.
23 W. H. ScHMtDT. D1e Schopfungsgeschichle der Pries/erschrifl, cit., p. 183; dr.
184 s., ma anche 185·19i·
M Or. inoltre L ScHEFFCZYK, op. cii. pp. 2;. 29, 49, 62 no11 26.
25 Adv. haer 4.38, PG 7 ,1105-1109.
26 Per es .• Den Gen. ad liii 4,12,22. l'L ~.304; Con/. 11.13,15, PL 32,815:
comnicre11nt('m et omnilent:nlem•.
11 Con C. TR.ESMONT.\1'7. Li Mé111ph)•Jique du Chm11anisme, eia., p. 221.
li Cfr. L ScHEFFCZYK, op. cii., 98.114 0011 42. Tommaso, per es., riguardo alla
•conserva/io• della creazione: S th_ 1. q 104, a. t; Dc poi 5,t ad 1.
!9 W A 38,373,33 s.
'lii WA 1,563.8. Cf. WA 24,37,21-29.38,15-18.41,26-32; D. LORiaEN. Die Theo-
logie der Jchopfung bei L11ther. Gotringen 196<>. pp. 25 J., 30, 37-45.
PROVVIDENZA DI DIO E CONSERVAZIO:-IE DEL MONDO 179
n Cf. J, B. LoTz, On1olo1.i4, Frdburg 196J, pp. 96-r": •omne ens est opertlli-
vum».
PROVVIDF.NZA. Ili Uln f. CONSRRVo\7.IONF. Dl!I. MONDO 1li1
li Cf. Tommeso: .c,c11,c 11utem ert dare csu• (1 Scfll. 37,1,1) - ude11 omflibus
ut cttusa eumJ1. (S. th, 1, q. 8, 1. 3) - •ctSC est m11gi1 i11tim11"' c11ilibet et qllOll
pro/1111Ji111 01,t11tb<11 incst• (S. th., 1, q. 8, a. 1; d. S. th., 11 q. 10,, a.'; ~ Scflt., 1,1,..;
Dc anima 9) - .ncus nt propria et immetliata r1111111 u11iu1cuiu1que rei et qllOdtmr-
moJo mnx.i; ,,,,;,,,., cu1que quam ip1um sii lfltimum sibi• (De ucr. 8,16 ad 12).
J9 E. P.RUN:-IE~. Dir chmtlicht uhrt "°" ScbOp/ung u11d Erl0su11g, àt., p. 168.
40 w..r.'.:e v11, 2 (cd. Bolinl Analogamente anche J. Oriega y Gassct (Werke m,
S1urtgar1 1956, p. p 1) si lascia condurre dal principio sbrigativo della •ci•mbdla>
(ciò <'he m3ngia uno, non lo può mangiare l'aluo): «Per chi esiste come ~tura.
per costui vi\·erc non significa poter vh-crc indipendentemente, a sé, egoisticamente,
ma solo in dipendenza da Dio e in continua relazione a lui•. In un modo più
profondo. H. Blumcnberg (Dir kop..rnikanischr Wendc, Frankfurt 1')6~. p. 9) vede
l'uomo dei tempi m~i in una •snnprc più ~ta divisione tra le sue possibi-
lità trascendentali di salvezza e la ~ua auto-.alttrmazionc all'interno del mondo•
I82 LA FEDE NELLA CREAZIONE
'' 1. 1 1d 2); •tendere in nibilum non e$I proprie motu$ Mtur11e, ud e$I ip$ÌU$
de/ectrm• (De pot. p ad 16).
~ a. A.·D. Scrtillanges (L'idée de cré11tion, cir.): « ...c'est précisément pan:c que
Dieu donne tout quc la creature peut demeurer, sous son action, autonome et libre,
car il peut lui donncr cela meme• (p. 6o s.). Dio dà alle creature «la plus parfaite
1utonomie existenliellc et fonctionnelle• (p. 59). Sl: «Toutes choses sont de par Dieu,
com~ s'il n'y avair pas de Dieu•.
41 O.Ila leueratu,. già troppo vasta per essere abbracciata rutta quanta indichia-
mo: A.·D. SERTILUNGES, op. dt. pp. x28-14}; Scb0p/ung$g/11ube und Eniwicklung$-
tbeorie. Eine Vortrag$reihe, Stuttgarl x9n; P. UtAUOIAllD, La création évolutive,
P1ris 19n; P. OvERHAGE - K. RA11NE1t, D/1$ Probkm der Hominisation in «Qu!le$t.
disp.• 12/13, Fre'òurg 21963, hibL: pp. 380-399; (!r. it.: Il problema dell'omini:cu-
?ione, Brescia 1969); P. ScHOONF,'iBEIG. Gotte$ werdende \Velt, cit., pp. 9-49: E. BENZ,
Scb0p/ung$g/aube und Endieitalter, Miinchen x965; G. ALTNElt, St:b0.ofung$/!,/aube
und Entwicltlrtng.<gedanlte in der protest11ntùcben Theologie zwùchen Ernst H11ecltel
und Teilb11rd de Ch11rdin, Ziirich 1965, pp. 95 noia 67, 127·136 ulteriore bibl.
specialmente di reologia evangelica); ]. HVBNEI, Theologie und biologùche Entwick-
lungslehre, Miinchen 1966.
f9 Vedi bibl.: p. 186. li. U. v. B.urnASAlt, Wer i1t ein Chrùt, Einsicdeln 3 1966,
p. t09 (l. it.: Chi è il cristiano?, Brescia l1969l: «Si possono spremere i testi quanto
si vuole: ma non ne esce la più piccola goccia di evoluzione».
LA FEDE Nl!LLA CREAZIONE
1'I Dr Grn. aJ litt. 6,10; 9,17,32, PL 34.H6-4o6. Cf. E. PonALIÉ, in DTC t (31923)
2349"23S5·
56 Heuimrron 6,7A3· PL 14,274.
51 A 30 (cd. Diels).
a. [.,,
51 ,ss
rtoriP degli animali 8,1; a 13-b22. Cli. Darwin: cLlnnco e Cuvicr
son stati due miei pe~rini ... , ma essi sono ~mplici scolari di fronte ad Aristotele•
(Thr Llfr .mJ Lrttrrs, ed. F. Dull'IN, London 1887, 111, p. Jj2).
511 Cf. in TOMMASO: S. th. 1. q. 78, a. r ad 3; 91,2; Dr pot. 3,8 ad 16.
611 a. BatHKDINE, op. cit., 2_s, s. (bibl.); rcccrnanente: A. Nn!DHMEYER, HanJ-
buch Jrr spezidlen PastorolmrJhin lii, Wien 19,0, pp. 10,·131; G. SAUSEl·M. Vooo-
PIVEC, in Gott ù1 Welt 11, pp. 850-872.
6l a. il libro ricco di materiale di E. Beuz, op. dt., pp. 1n-205: G. ALTKER, op
cii., pp. 6-,4.
62 DS JSl2-3,19.
63 Contro, p. es., H. E. Hengstcnbcrg, (F.volution ttnJ SC"bOpfung, Miinchen 1~).
19-22-49 e sp~) che ritiene metafisicamente impossibile il passagio da specie 1
specie.
186 LA PF.Da NELLA CREAZIONE
M Cf. W. B1uooER, 'Die ontnlogischc Problematik der Entwicklung und der di1-
lek1ischc M11eri1lismus', in Schol1111ilt, n (1960) J11-341; e in base • questo articolo
VI. KEDI, •Dokurncn1e der Paulu~lschah• 6, Miinchcn 1964, pp. 6.t·n.
15 Cf. K. Rllmer in P. OvUllAGE-K. lùHNP.I, op. cii., pp. 13-go; spec. 64-70.
• K. Japcn lllelte in guardia conno e~ IKlriw Scb•le tlrr pbilosopbircbn
V,.nltrns, Miinchen 11966, p. 18).
~1 Qualora una simile fonnula sinretica non si pttsti troppo f.:ilmenic al malin-
tC50, noi chicdettmmo se li; veduta unitaria di Teilhard non debbe ~ 11119-
veno 11 critica di Baltluisar, dove il suo dmtto ottimismo verrebbe IOtto in questa
crisi cristiana (e, indimwncnte, ristabilito di nuovo). Cf. p. a. H. U. v. BALTHASU,
in Vlort """ Vl11brbeil 1 8 (1963) 339'3,0; 10., D111 G111'%c: ;,. fr•peru, F..imiedeJn
1963, pp. 201 •.• 114 ss .• 137-141. .
• Die uherrsw,,,,J~. Sruttprt 1904, 421.
l'RCl\'\'IDEN7.A PI DIO E CONSf.IVAZIONF. DEI. MONDO
logica conferma che è la maniera di Dio lasciar fare alla creatura ciò che
è in grado di fare con le sue capacità e forze - date da Dio e glorifi-
canti Dio... Non appare forse in modo anche più impressionante tutto
quanto il cosmo assunto nell'azione di Gesù Cristo per la redenzione
del mondo, se 111 progenie umana, dalla quale uscl Gesù come suo capl'.
è strettamente legata, nel modo reale di un'evoluzione universale:, con
rurre le forme Jd momlo e tutti gli c:vcnti Jclla vita!'"' E 1ut1;1V1;1 l
necessario ripeterlo: la questione circa Mmile bioloitica affinnà d'onl(ml",
per 4uantu stia 111 primo piano nell'interesse odierno, appare: come ~c<.:on·
daria per l'uomo m 4mmto uomo le per un'aniropoloitia metafisica teol,,.
gico-filosofica l. Ciò lo pom:bhe ptcsumihilmcntc insegnare: ancht" 111 di-
scussione. reccnrementL' sorlll. sul problem11 di un eventuale poligenismo
dell'unm1 proitcnie umana; perché, se il rapporto genetico m1 uomo e uo·
mo non dovesse aver appunro tanta importanza, allora cerro non avrebbe:
molta importanza nemmeno quello esistente tra uomo e animale. Ci se.•·
no rapporti più stretti e signi6cativi.
69 Cf. li. VoLK, 'Schilpfungsglaube und Entwickluna' in Goti allei i11 llllt11t, Maim
1961, pp. 26-.µ.
111 Cf. H. DoMs, 'Die Stellung dcs Mcnschcn i.m Ko.mos, in H. BEama, H. DoLCH
cd altri, Vom Unbeleb1t11 zum Lebe11Jigen, Stuttgart 19,6, pp. 2,1-173,272. Non dice
anche la costituzione pa11orale eia 0.icsa nel mondo d'ogi• del Vaticano u (n. ,):
•Wal l'umanità compie il pasaaggio da una concezione pili stitica dell'ordine dc:Uc
cose, verso uni concezione più dinamica, mettendo in risalto il conce110 Ji evolu·
zione•?
71 All'uomo 1endono, anche prescindendo dalla teoria evoluzionistica, l'cnenza e il
divenire Jcl mondo intero. Anche se la sioria della natura non fosse un' ..nuopo~•
embrionale• (espressione di H. U. v. Balthuar) nel senso causale genetico, l8rebtx
ugualmente «macroantropulogiu (v. aopra p. 102) nella dimensione profonda della
causalità finale cd esemplan:.
n a. in questo volume il cap. IX acziooe 1; inoltre w.H. ScKMIDT, op. dt.,
pp. 136-1 .....
r88 LA Flòl>F. NF.LLA CREAZIONE
stanno vicini, ai quali egli come padro~e dà il nome (Gen. 2,8 s.,
18-20). Cosi Ps. 8 interpreta il passo di Gen. 1.26-28: «Dio ha
posto l'uomo solo di poco al di sotto delle potenze divine, lo ha
coronato con gloria e dignità; gli ha donato il dominio sull'opera
delle sue mani, sl, gli ha posto tutto sotto i piedi, specialmente
il mondo degli animali nel cielo, sulla terra e nel mare» (cf. Ps.
l 15,16; Hebr. 2,5 ss., applica Ps. 8 a Cristo, che per mezzo del
suo patire ha fondato una comunità straordinaria per i suoi fratelli).
Secondo I ac. I, I 8 l'uomo è la primizia del Pa&e nel regno della
sua creazione. La prima grande teologia ci disse una volta per
tutte n che il mondo fu creato per l'uomo. La scolastica, apparen·
temente sobria al riguardo, ci insegna che nell'uomo le cose del
mondo possano raggiungere se stesse, la loro vera autenticità. 74 Le
nostre precedenti ricerche ci hanno sempre condotto a questo cul-
mine del mondo che si chiama uomo. Il mondo muto, pur sempre
parola di Dio, vuole trovare risposta nell'uomo. 75 Ciò che nel mondo
è come orma del Dio uno e trino, spalanca nell'uomo gli occhi
dell'amore: in quanto imago trinitatis. 16 L'uomo è il punto focale
della glorificazione di Dio attraverso il mondo. 77 Potremmo dire che
anche il concilio degli anni 1962-1965 ci incoraggia a vedere l'uomo
in simile prospettiva.78
Il mondo, in quanto mondo dell'uomo, sta in quel processo di
evoluzione che si chiama storia: creazione in libero divenire. Que-
sto mondo nel modo più chiaro è un mondo che si evolve: mondo
che si protende innanzi impetuosamente con mobilitazioni di po-
poli insospettate, piene di promesse e anche di minacce. L'uomo,
73 Vedi sopra pp. 137 s. Come Giustino anch:: Taziano (Or. adv. Graecor 4. PG
6,814) dice che la formazione dd mondo con il sole e la luna è avvenuta «a nostro
favore• (xoiew iuui>vl.
74 a. Tommaso: crcs nata est animae coniungi et in anima esse» (S. lb., I, q. 78,
a. 1 ); «Creatura corporalis facta est quodammodo proptcr spiri1u1lcm• (S. tb., 1, q.
65, a. i ad 2); coportuìt ad perfecrionem universi esse aliquas n11uras intellectualcs•
(S e .g. I. 246; cf. 2 Seni., 1,2,2; 4 Seni., 49,1,2,2; De ver., 20,..; S. c. g. 1. 3,112)...
In particolare anche S. tb., 1. q. 14, a. 2 ad 1; De ver. 2,2 ad 2; 1Seni.,17,1,5 ad 3.
7' Vedi sopra pp. 102 ss.
76 Vedi sopra PP- 122 ss.
n Vedi sopra pp. 1 34 ss.
n Co11t111zionc dogmatica sulla Chiera, o. 48; Co1tituzione pttrtorole rulltt Cbiera
nd mondo d'oui, n. 12.
rROVVIDl\NZA DI DIO E CONSERVAZIONE DEL MONDO
79 P. Teilhard dc Chardin (Lz vision J11 fNISSI, Paris 19'7) perla nel 19'0 del
cnco.ntropoccntriamo, non più della posizione, ma della direzione nell'evoluzione-.
IO a. Cbristent11m 11ntl M1mcism11S. htult. Gtspriiche tltr P11ul111-Gtstllscb.ft (cd.
E. KELLNEJt, Wicn 1966); K. RAHNER, 'Christlichcr Humaniamus', in Oritntimmg
30 (1966) rr6-1n; J. B. METZ, Vtr11ntwortunr. und Ho8nunr., Mai.nz 1')66; O.
Fuam1E1M, History 11nd Futurolor.y, Mcisenhcim am Gian 1966.
11 J. P. SAll'?llE, L'ltrt ti le nltlflt, Paris 1943, p. ,os (tr. it. L'essere t il nulU,
Mondadori, Milano).
12 Cf. E. BLOCH, 'Das Prinzip Hoffnuns' (1938-1949), 2 voli. in Vitrite '' Frank·
fun 19,9; al riguardo W. D. Muscu, Holtn wor1111f?, Hamburg 1963.
Il P. TEILHAID DF. ÙfAltDIN, Lt1ttr11 11 M11rghtrit11 Teilhad dcl 4.8.1916; d. m.,
Entwurf uNl Ent/tlltunr., Frciburg 1963, p. 139.
14 Cosi già FABllCIUS (r748-18o8), un discepolo di LINNEO, secondo M. LANr>.
MANN, Pbilos. Anthropolor.ie, Bcrlin 21964, p. 146 nota 2. E. BENZ, op. cit., pp. 89"
91,1o6,u,.,162-166,209 s., cf. pp. s, s.) porui prove schiaccianti di E. Diiring, A. R.
Wallace, L. Biichncr, Nietzsche, M.]. Savqc, E. Hacckcl, Sri Aurobindo. Cosi Sa-
vaac nel 1876 dice che eia distanza, che separa le fonnc più evolute dei mammiferi
da quelle meno cvolu1c degli uomini ~ un nulla in confronlo alle divergenze molto
più grandi, che 5Cp1rano qucs1i uoinim inferiori da Danic, Shakespeare e Newton
e da 1ltri geni della nos1ra rlZU• Clb1J p 164).
LII FEDE NELLA ClEAZIONE
personale, della comunità con gli altri):. in Gesù Cristo, in cui Dio
assunse la natura umana, questa è conformala una volta per sem-
pre come insuperabile e divinamente inviolabile. Non c'è nulla di
completame11te nuovo per l'uomo: Cristo è la sua ultima, già cffot-
tiva realtà. Lt: terribili capacità umane di d..:viazionc rispetto ali..:
sue possibilità future e l'esperienza assai reale dt:i mali e: Jdlt: ~olk
renze del tempo presente fanno capire chiaramente che 4uesto mon·
do, nonostante la provvidenza di Dio che governa sopra di esso e in
esso, non è un mondo nel quale all'uomo, o almeno a noi buoni
cristiani, 'non ci possa accadere niente di male'. In esso - prima
della fine - ci può accadere il peggio. 1~ L'abuso della libertà creata,
che 'oggi e fin dall'inizio' porta la responsabilità del male, è possi-
bile a causa delle strutture create del mondo.
Questo mondo viene 'da' Dio: per questo esso è sostanzial·
mente buono, 1111 ordinato, stabile, fidato, pianificabile. E questo mondo
è 'dal' nulla: per questo esso è anche portato al nulla, caduco,
contraddittorio, imprevedibile, ribelle, pericoloso, tentatore ... Che le
oscure possibilità della cre11zione diventino realtà nella propor·
zione che hanno attualmente e lo diventino per mezzo di lui stes-
so: è questo per l'uomo un grosso e inquietante problema. Pro-
blema. che può essere risolto solo per mezzo del redentore. Attra-
verso il mistero della croce e della risurrezione.17 Proprio il pro-
blema della teodicea, che apparentemente si oppone alla fede nel-
la pron·idenza che conserva il mondo nel suo essere e agire
e l"he Il' perfeziona per mezzo della libenÌI dell'uomo, rinvia con
forza più che tel'rica all'opera della provvidenza, della con-
servazione del mondo e della guida della storia da parte di Dio
Padre: l'incarnazione redentrice del suo Figlio per la santa comu-
nità di spirito degli uomini nella sua Chiesa. IRENEO 01 LIONE
portò la teologia storico-sa!vifica della creazione alla pregnanza di
questa formula: egli chiama Gesù «colui che redime la sua stessa
15 Cf. E. B1uNNE1, Die cbristliche Lehre von Scb0pf11ng 11nd Erléisung, cir , p. 173.
• V. sopra p. 122.
• 17 Di questo argomento si parlerà nel con1es10 cristologico dcl volume 111 di
quest'opera (vu cap., 4 sezione).
BIBLIOGllAFIA
11 Adv htter ;.22,~, PG 7.9c;R: "':'Ò :Ot.ov ~ì~tif1'!UJ. cn7''ç1ll·, - suu,,., pla1n1J salvaru
... a. F.ph. 2,10: xnollinr; Èv XQ10T1p "11)C10i•; PASTORE DI EllMA, V/I. 2,4, PG
1,399 s. l, a propo:;im delJ',.F.cclesi.1 Dei: omnium priT'la creata est ... et propter il/am
mundus creatus est•.
BIBLIOGRAFIA
Oltre alle opere citate nelle note che vanno da p. 89 fino a p. 190 (spe·
cialmente pp. 91 n. 6; 94 n. 13; 100 n. 40; II5 n. 66; u6 n. 68; u8
n. 82; 122 n. 104; 139 n. 46; 152 n. 41; 158 n. 63; 160 n. 4; 163
n. 20; 165 n. }5; 166 n. 40; 168 n. 48):
CREAZIONE E ALLEANZA
COME PROBLEMA DI NATIJRA E GRAZIA
• G. v RAD. op_ cit. 222, 179 s_; 1. 11, Munchc:n 21961. pp. i54 '-
Cal!AZIONE E ALl.LUl7.A
• Sulla dottrina della gratuità dello stato originale e della 1CJ1Diali•0211 con Dio
come pure sulla «natura• in essa 1ncs111a d. aip. IX.
7 E. PltznrAllA, 'Der Grundsatz cGn1ia non destruit, seil supponit et perfidt ne-
turam•', in Schol4nilt 17 ( 1942) 182 s. _
• ST. Orro, '.Naturu uod cdispositio-. Un1ersuch11111 zwn N1twbegrif und zur
Denkform Tenullilns', in N1bS1 n/19, Miincben 19'c1.
Clt.EAZJONE E ALLEANZA
La nozione di una 'pura natura' non appare che nel secolo XVI,
quasi come consc~ucnza Jclla disputa con il baianismo. Anche dalla
teologin Ji san Tommaso si ricava che Dio avrebbe potuto negare
all'uomo l'immortalità, l'integrità e cosl anche la visione della sua
propria essenza. Ma solo all'inizio del secolo XIV si trova la dot-
rrina secondo la quale fondamentalmente l'uomo sarc:bbe potuto
venir creato da Dio senza la destinazione al fine soprannaturale
della visione di Dio. Presso il CAIET ANO questa dottrina della reale
possibilità di una pura natura acquista maggior chiarezza e prende
ora un posto centrale nella suu teologia. I risultati delle indagini
più recenti su questo tema tendono n indicare il profondo radica-
mento dell'idea di una pura natura nella migliore alta scolastica. 9
Nondimeno non si potrà trascurare che gli ac<.:cnti sono posti in
modo assai diverso in Tommaso e nella teologia tomistica poste-
riore. Fra l'altro, ne è testimone la sua dottrina dcl desiderio natu-
rale della visione di Dio (che il CA I ETANO nega!). I tentativi di
accordare questa dottrina di san Tommaso con la sua teologia dei
doni soprannaturali attestata altrove, sono assai diversi. 10 S'adatta
nel modo migliore alla sua antropologia dinamica la concezione
che. nel pensiero di Tommaso, si tratti di un vero desiderio del-
l'uomo per la visione immediata di Dio, che proviene dal patri-
monio creato della natura umana e che è dato inscindibiimente con
essa, cosicché l'esistenza umana non sarebbe priva di senso anche
senza la soddisfazione di questo desiderio (anche se non raggiunge-
rebbe così il suo pieno significato).
La concessione della visione immediata di Dio resta dunque per
TOMMASO un dono gratuito di Dio e, in questo senso, sopranna-
turale, che l'uomo non può raggiungere da sé, però un dono che
Non si può negare che con la fine del Medioevo e con l'inizio
dell'epoca moderna la natura dell'uomo nel pensiero teologico sia
divenuta sempre più indipendente, anche se ciò si può difficilmente
esprimere concettualmente in modo esatto.
Quando il CAIF.TANO afferma che i doni della grazia «non sono
dovuti alla natura» (indebita naturae) non è più la stessa cosa
che con ciò intendeva TOMMASO. Si deve considerare il campo di
rappresentazione e di comprensione dei due autori, che non en-
tra per nulla nella definizione del concetto. Il tempo moder-
no che inizia, incomincia a pensare muovendo dalla natura del-
1'uomo.
Questa mutazione di prospettiva ha avuto conseguenze straor-
dinariamente rilevanti per la dottrina circa natura e grazia.
Questo sviluppo è rilevabile nella scuola di Lovanio della pri·
ma metà del secolo XVI. In una deduzione, dapprima pienamente
legittima e necessaria, dall'essenza della grazia si arriva ad un
concetto di natura secondo il quale la natura, come natura ancora
'pura' dalla grazia, è presupposto ontologicamente necessario della
grazia. La scelta del termine 'puro' (natura pura) è significativa:
la mancanza della grazia lascerebbe la natura né aumentata né dimi-
nuita (così BELLARMINO). Muovendo da questo punto è semplice-
mente un passo logico assegnare a questa natura anche un fine natu-
rale, reso senza valore in forza dell'elevazione soprannaturale (Caie-
tano: «impossibile per accidens» ).
Nella stessa Lovanio verso la metà del secolo xvi sorse un movi-
mento di riforma, sostenuto soprattutto da M1CHEL DE BAY (Baius)
(morto nel 1589). Richiamandosi ai padri (ad Agostino soprattutco)
Baio cercò d'indicare che la grazia significa il compimento più pro-
fondo della natura e la sua perdita nel peccato originale una vera
decadenza per l'uomo. Ciò però può avvenire, cosl egli concludeva,
solo se la grazia è dovuta alla natura e non, invece, indebita nel
DOTTRINA DELLA NATURA Pl.llA E DISPUTA SU BAIO 20I
11 Il Vaticano 1 con le sue asserzioni sulla necessità, sul motivo, sull'oggc:no e sulla
conosttnza della rivelazione ha prc:sc:n1a10 indirettamente una dottrina sull'ordine so-
prannaturale; cf. os 3004, 3005, 3016. 3028, 3oo8. Il termine supernlll1mJis, appli-
202 CREAZlllNI' r .Ul.EAXZA
Però con la condanna di Baio non era ancor stata data una ri-
sposta completa alla difficile questione della teologia, tanto più
t:he ora la scuola di Lovanio e altri tc<'logi si dichiaravano per una
dottrina antibaiana circa la grazia.
Il concetto mcdicv:1le di supcmattiralis voleva metter in rilievG
la superiorità di Dio (nella i:rcazionc) e ndla santificazione. Di sot-
tomano per natura umana s'intese lluella ,·he presa propriamente
e· in senso stre11u non ha bisogno ddla comunicazione di Dio. Il
rnpernaturale prese il significato di superadditum. Questi teologi
volevano, come i baianisti e i giansenisti, dar risalto alla grazia e
superare un latente pcl:igirmesimo. I primi lo facevano con il pre-
sentare la grazia come indebita (e solo mci tamente la presuppone·
vano come necessaria): quindi aveva torto PELAGIO, poiché all'uo-
mo è essenzialmente necessario pitt di quello che ha 'per natura', cioè
la grazia soprannaturale. Gli altri giudicavano come pelagiana con-
cepire una natura che veniva presentata come sempre più perfe-
zionata e autonoma; poiché la grazia era stata tanto elevata sopra
la natura. In realtà la grnzia appartiene ali 'insieme e alla perfe-
zione della natura. Le due parti si tacciavano reciprocamente di
pelagianesimo.
L:evoluzione s'avviava sempre più chiaramente e universalmente
verso quella concezione che recentemente è stata chiamata 'estrinseci-
smo della grazia'. i rappresentami dell'altra concezione (soprattutto
della cosiddetta scuola agostiniana più recente) si persero più o meno
nella grande corrente che sfociò nella neoscolastica. Cosl fu detto
che ci sarebbero cdue ordini della nostra attività spirituale, fonda-
mentalmente differenti e sovrapposti,. .. i quali non hanno nulla in
comune». 12 «Infatti se la natura umana non rappresenta qualcosa
di concluso e finito in sé, ma si atrofizza piuttosto senza la gra-
zia nella sua realtà naturale, allora la grazia è un àebitum e cessa
cato per la pritna volta dal ma~istero ecclesiastico nel I ~67 contro Baio, trova qui
applicazione alla rivelazione e alla sua conoscenza.
IZ M. J. SoiEEDEW, Natur und GMJle, Freiburg i. Br. 31941, p. 9. Però si trovano
inoltre in Schccben asserzioni che comprendono la natura come esigenza profonda
della grszia, cf. Handbuch der k11tbolische11 DogmaJik, tt. m e IV, in Gesammellt
Schri/ten, v (edit. J. Hofer), Frciburg i. Br. 31961. pp.444(S171).
OOTTRINA DEI I.A NATURA rllRA F. DISPUTA SU BAIO 203
11 J. STUFUI, 'Dic: zwci WL-gc dcr ncucrcn lbeologie', in ZKT 50(1926) 329.
CREAZIONE E ALLEANZA
Il fatto che questa esigenza è data da Dio cosl come l'uomo nell'in-
sieme è creato e 'dato' (ma non 'si' è dato), non basta per farla appa-
rire come opera dell'amore di Dio, libero nel modo più completo. Que-
st'amore infatti si deve indirizzare a un partner e rispetto a questi
deve ancora esser libero. La grazia dell'auto-offerta di Dio non po-
trebbe più venir sperimentata come prodigio di un dono d'amore di
Dio rispetto a un partner, qualora coincidesse radicalmente con la costi-
ruzione di questo partner.
GEORG MUSCHALEK
BIBLIOGRAFIA
2 Se oggi occasionalmente si parla di una 'teologia delle reahà tcrl'l:Stri', con c:ib
non s'intende quasi una ontologia teologica della realtà del mondo .:he drcmdt
l'uomo, bensl una rincssione teologica 1ul aignilicato e il giusto modo dell'attività
e dcll'atteuiamento dell'uomo di fronte alla realtà di que1tu mondo, che cali deve
plumarc (p. e. teologia dcl lavoro, della t~ii.."I, ~·.:.1.
> K. BARTH, KD 111, 2, Zollkon Z19,9 1 p. 11.
L'UOMO IH QUAHTO C&L\Tt.'llA 213
L'ORIGINE DELL'UOMO
I. L'origine dell'umanità
che sarà esposta nel capitolo rx, come la questione del primo peccato
e conseguentemente dcl peccato origin.ale ereditario, da quello de-
rivante, di cui tratta il capitolo x. Ora nel contesto di questo capi-
tob si deve prender in esam~ solo il problema della essenza naturale
creaturale dell'uomo. Si vedrà veramente che in tale questione le
principali difficoltà derivano dalle asserzioni che si dovranno fare a
proposito dello stato primitivo e del peccato originale.
Le esposizioni che seguono si concentrano sui due principali pro-
blemi che sono in discussione fin dal secolo XIX e sui quali nella
teologia cattolica non si è raggiunta ancora unità alcuna: il problema
dell'evoluzione antropologica e del monogenismo.
dell'uomo da esseri viventi preumani. Parve anche che per tale inter-
pretazione della Scrittura ci si potesse richiamare alla universale
tradizione giudaica e cristiana. Un argomento continuamente addotto
contro l'ammissione della tesi dell'evoluzionismo lo forniva la de-
scrizione biblica della creazione della prima donna (Gen. 2 ,2 I s. ),
che nel Nuovo Testamento riceve ad opera di Paolo una speciale
conferma ( / Cor. 11,8-1 2 ): anche se si volesse concedere che la
sacra Scrittura non vuole istruirci sulla materia dalla quale venne
formato l'uomo, si dovrebbe tuttavia tener fermo che la prima donna
è di origine diversa da quella del primo uomo. È chiaro che una tale
restrizione dell'evoluzione dell'uomo è inconciliabile con la teoria
sull'origine della spec:e.
Non si tratta qui di scrivere la storia dell'esegesi cattolica di Gen. 2
negli ultimi cent'anni. Al nostro scopo è sufficiente determinare bre-
vemente quella interpretazione del testo che oggi, grazie alle recenti
indagini esegetiche, si è largamente imposta nella teologia cattolica.
anche se essa non si può designare come sententia communis.
Come è stato già spiegato sommariamente nel capitolo VI di que-
sto volume, le affermazioni del primo capitolo del Genesi si devono
intendere nel senso di una etiologia storica, 5 in quanto Israele è
giunto alla conoscenza delle affermazioni circa la creazione attraverso
una riflessione di fede sulle premesse storico-salvifiche della sua esi-
stenza presente accanto alle sue esperienze dell'operare salvifico di
Dio nella storia dell'alleanza. Alla luce di questo principio erme-
neutico è possibile anche nella nostra questione distinguere più
esattamente tra contenuto dell'affermazione e modo dell'afferma-
zione. Contenuto dell'affermazione può essere solo quello che lo
scrittore nella parola che Dio allora gli rivolgeva, poteva ricono-
scere come parola di Dio circa l'inizio dell'umanità; tutto il resto
appartiene al modo di concretizzare )'esposizione da parte dell'agio-
grafo.
12 La posizione Jc:ll<> scicnzia10 odierno la definisce molto bene. E. BoNi, 'Un siècle
J'Anihrol""l~i<" préhisiori4uc. Compa1ibili1é 011 incomparibilité scientilique du mo-
nogénismc?', in NR'f 9~ (11162) pp 622·6~1; 709-734; ID., Devenir de l'homme,
Rmxell<"• 1~2
L'ORIGINE DELL'UOMO
dottrina del peccato originale parla più volte cli Adamo come capostipite
dell'umanità, dal quale per generazione il peccato passò a tutti gli uomini
( os 1511-1514 ). Soprattutto sulla base di queste affermazioni del conci-
lio molti teologi hanno qualificato il monogenismo come de fide divina et
catholica, o anche come implicitamente definito, ma a torto, come oggi
viene ammesso da un num.:ro sempre crescente di teologi. Cf. per il
problema: K. RAIINER, 'Theologisches zum Monogenismus', in Schriften,
t, pp. 253-345. Anche se i padri dcl concilio tridentino in accor-
do con la concezione dd mondo che si aveva allora, pensarono si-
curamente in modo monogenistico, da ciò non deriva per nulla affatto
che questa idea sia stata definita insieme con quella. In favore di
ciò sta pure il fatto che il magistero odierno, nella sua presa di po-
sizione a favore del monogenismo, non si richiama affatto ad una
definizione, già avvenuta, del concilio tridentino. Per l'interpretazione
delle affermazioni del tridentino cf. anche cap. x sezione 4,3 b.c., do-
ve sono menzionati anche il canone citato per il concilio Vatica-
no I e il testo dell'enciclica Humani generis (DS 3897). L'afferma-
zione dell'enciclica Humani generis rappresenta senza dubbio finora la più
importante presa di posizione del magistero nella questione del polige-
nismo. (Precedentemente v'era una condanna ad opera del concilio pro-
vinciale di Colonia del 1860 ed una notificazione del decreto della
commissione biblica del 1909, secondo cui l'unità del genere umano, che
senza dubbio viene intesa in senso monogenistico, fa parie del conte-
nuto storico di Gen. 2-3 ). Mentre l'enciclica lascia libera la discussione
dell'evoluzionismo moderato, per quanto riguarda l'accetta7.ione dcl po-
ligenismo non viene concessa uguale libertà, pur esprimendosi l'enciclica,
a dir il vero, molto cautamente: «poiché non è affatto evidente come
una simile opinione possa conciliarsi con ciò che insegnano le fonti
della verità rivelata e la dichiarazione del magistero a proposito del
peccato originale». Anche qui appare evidente che il problema dell11
conciliabilità del poligenismo con il dogma si decide nella dottrina del
peccato originale oppure nella interpretazione teologica di questa dot·
trina. Il testo dell'enciclica non esclude apoditticamente che una tale
prova possa mai essere portata. Il concilio Vaticano n non ha preso aJ.
cuna posizione sul problema del poligenismo, dal momento che il corri-
spondente schema della commissione teologica preparatoria non fu ac-
colto nell'elenco delle questioni da trattare. Anche il discorso che Pao-
io v1 tenne nell'estate 1966 ad un gruppo di teologi sul tema 'Il dogma
del peccato originale e le moderne scienze naturali' non va più in là
dell'enciclica di Pio Xli. Di nuovo nel contesto del peccato originale il
papa afferma: .. ~ evidente perciò che anche le spiegazioni che del pec-
cato originale danno alcuni autori moderni, sembrano inconciliabili con
la genuina dottrina cattolica. Essi partono dal presupposto, ancora non
L'ORIGINE l>F.LL'UOMO
minimo, è qu1lific110 qual~ donriru 1rologicammte sicura. Cf. DS 361 s .. 685, 1440,
JOl 5. '"96 a F LAkl'>FI. 'Krcati:tnismus'. in LTK VI, 597 s.
• ToMMASo o'AQ\JINO, con il quale :I aeazioni•mo s'impose ddini1ivamcn1~. trii·
I l il problema Jdl'ori111ne Jdl'anima degli uomini pos1adami1ici nel contesto drl
'IJO 1r111110 sul •"ORcono delle crca1urc alu conservazione e: al aovcmo dc:I mondo:
S tb I, 118,J, rf anchi, Dr 1mim11 z,116.
11 P. SMULDHS, Tbralngie unti Evvlution. Versuch iibrr Tei/bad dr Clurdin,
Eum 19'1) PP· 94 1. llr ir., Borb. Torino) con ciuzionc: di A D. SunLI.AHGEs,
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DOPO ADAMO
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Sc11WEIZEI, ncilµa, op. Cli .• 1029: cSc il mondo vien rapp=cntato, in a<SnZioni
spontan~. ad immagine dell'uomo, nella riflessione filosofica invece l'uomo vien
interpretalo muovendo dal cosmo•. Sul 'cosmocentrismo' greco (come forma di pen-
siero) d. J.R. MF.Tl, Chmtlich~ Anthropoientrik, Munchcn 1')62 (tr. it., Antropo-
centrismo cristi11no, Boria, Torino).
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dans l'Ancien Testament', in C. Bl.l!EltU, op. cii., pp. 155-165; W. ScHMmT, 'An-
thropologische Begriffe im Ahen Teswnent', in EvT 24 (1964) 387: cln ogni caso
è poco sensato chiedersi se l'Antico Testamento abbia dell'uomo una concezione
dicotomica ('anima' e 'carne') o tricotomica ('anima', 'spirito' e 'carne'). Ciò ha il
suo fondamento DCI fitto che non 1i distingue nettamente aa l'organo e la sua
funziODC o tra la pene del corpo, che l'uomo ha, e il modo di essere e di com-
portani, nel quale l'uomo vive•.
JO J.H. BECKD, Het Begrip Ntftsi in htt Oude Ttstame111, Amsterdam 1942,
p. n7; d. però D. LYs, Nèphish, Histoirt de l'Amt tl1111s lii RJW/tltio11 d'lsrael ""
1ei11 des Rtlieunu proche-orientales, Paris 19,9, pp. 116-n9. Seooodo lui il te:rmine
ii trovi 7'7 volte: il sostanùvo, 7"1 volte; il verbo 3 volte. EBJi indica anche la
frequenza del termine secondo i diveni testi, le tradizioni e le epoche.
11 E. fASCHEl, Stele oder Lebe11?, Beslin 1959, si lamenti che le aaduzioni mo-
derne usino vi11 al posto di anima per rendere ia tedesco il termine nefei. Cf.
pero 11 risposti di W. SolANZE, 'Rezen1ion zu E. Fascher, Seele oder Lehen?', in
TLZ 86 ( 1~I) 662-664; ]. FtOfTNll, 'Seele oder Leben in der Bibel?', io TZ 17
( 1 ~1) 3oy318. Fichtncr esamina i passi più importanti, per dimostrare la conve-
nienza del termine vi11. EBJi noti che Martin Lutero ha tradotto nd& con uùma
cinquanta volte nel 152.J, ma nel 1541 solo 23 volte.
» L. DOn, Hebr. nefd, alUt 11apiJ1u = GulllCl, Kehlc:, io ZAW 43 (1925) 262-
269. Non s'iocooua però questo significato nei lesti più antichi, bensl solo alcune
volte, muovendo da Isaia.
CONCETTO GRECO ED EBRAICO DELL'UOMO
ll W. E101110DT, Tbeologie des Alte" Teslame,.ls 2f3, Gottingen 4196,, pp. 87-
93. Eichrodt indica (op. cii. 88) •quanio sia gravido di conseguenze per la com-
prensione della psicologia dell'Antko Testamento il tradurre inconsideratamente
"efd con anima. Il termine indica iManzitutto e p~ di ogni cosa la vita e ... la
vita legata a un corpo. Perciò la "efel cessa d'esistere con la monc ... Si può perciò
addiriuura affermare che la "e/d m11ore ... • (a. N11m. 23,10; liul. 16,30).
lC W. 5cHMIDT, op. cit., pp. 377-381 .
.I! D. LYS, RllOCb, Le so118le do"s l'ancien Teslamenl, Paris 1962, p. 334.
36 W. BIEDEI, :nori'.'l'(l im Alten Testamene und Spiitjudcorum', in TWNT VI
( 19,9) 3'7·37}. spec. 3'7·J6o. ·
l7 W. 5cHMIDT, op. Cli., 382 S.
• ]. ScHMIDT, 'Anthropologie' (biblische), in LTK 1 (19n) ~-6o6.
39 ]. ScHAIBERT, Fleiscb, Geisl 11nd Sede im Pen1ate11ch, cStuttprtcr Bibcl Stu-
dicn• 19 CS1u11gar1 1966) 80. a. per 'r11ofl nel Codice sacerdotale: ]. ScHu:na:a,
'Geis1begabung in der Gemeindc von Qumran', in BZ 11 (196,) 16!r171.
40 H.W.Ro&INSON, op. Cli, 12s.; cf. le riserve di J.BAH, op. cii., 41-44.
11 Ge,.. 2,21; lob 2,,. Cf. E. KiisEMANH, Leib, pp. 1-14; W. SoiMIDT, op. cii.:
252 L'UNITÀ DELL'UOMO
cQuanto anche la 'carne' sia considerata non coine materia inerte preesistente, bensì
come realtà vitalmente attiva, si fa notare in modo fortissimo . nel fatto che essa
come 'mano' o 'piede' può designare il sesso (uv. 15,2.7. ad es.)•.
42 \V! faCHRODT, op. cii., 96.
41 Cf. Ps. ,6,, con :;6,12; ler. 17,,; lob 3.p;; 10,4.
44 Ps 119; 120; Prov. 4,22 e passim; cf. lor. I0,28 ss. eon ls. 40,5 s. e lorl 3,1:
qui si manifesta la couispondcnza di 'carne' e 'anima'.
ts W. RE1si::1, 'Die Verwandtschaftsformel in Gn 2,2)', in TZ 16 (r!j6o) 1-4;
A.M. DueAJtu:, Li cot1ceplion dt' /'homme Jans l'A.T., cSacra Paginn t (Pasis
1959) 522-536, spcc. 529"H2-
* E Sc:HwEIZER, 1..l"iblic/Jkeil, 8.
47 Cf. W. Sc1111.11DT, op. cii., p. ~82, nota 26; anche la bibliografia indicata sopra
nella noia 45.
"" A.R. Hut:;T, •.. Kol basar.• in der pricsterlischen Fluterzihlung', in OTS 12 ( 1958)
28-68. L'idea Ji debolezza e di caducità, che nell'Antico Tesllimento è spesso col-
legata con la cune, verrà discus,;a particolareggiatamente più avanti.
• Cf J.B. METZ, 'Politische thcologie', in Neues Forum 14 (1957) 13-17, il quale
mene in evidenza l'aspeuo poliliro circa la 'carnalità' nell'A.T.
CONCETTO GRECO ED EBRAICO DELL'UOMO 2.53
in quanto tale, ma nel cuore cioè nella «parte più intima dell'uo-
mo».52 Il cuore non è per gli ebrei soltanto un organo del corpo, ma
anche il centro che determina la presa di posizione di fronte alla
parola di Dio e la decisione di fronte alla volontà divina. 53 Il fatto
che il comportamento religioso e morale dell'uomo scaturisca dal
cuore mette in risalto il concetto unitario dell'uomo che l'ebreo ha
anche nella sua concezione del peccato.
Anche negli scritti tardivi dell'Antico Testamento, nei quali affiora
uno spiccato pessimismo etico, specialmente nella considerazione
della concupiscenza, questa non viene mai messa in connessione col
corpo, ma col cuore, simbolo dell'unità dell'uomo e della volontà
libera.54
cc. 'Carne' come espressione della crea·euralità del mondo uma-
no. - Se la 'carne' non è fonte di peccato (nel senso di 'parte
inferiore' dell'uomo), la parola 'carne' e specialmente 'ogni carne'
vengono usate per esprimere il rapporto fra l'intera umanità e Dio.
Il mondo non è per l'ebreo un organismo armonioso e perfetto, un
'corpo di Dio', ma sta di fronte a Dio nella sua caducità e creatu-
ralità. Questo aspetto della concezione veterotestamentaria del
mondo è il frutto di una certa evoluzione nell'ambito delle tradizioni
bibliche. Con la parola carne e con la formula di parentela la tradi-
zione più antica ']' esprime innanzitutto la comunione e il vincolo
fra tutti gli uomini. Più tardi nel Deuteronomio la locuzione ltol·
baiar viene applicata agli uomini, in quanto essi stanno di fronte al
Dio eterno come creature caduche. Quando invece 'P' usa questa
formula per la prima volta, è per far esprimere da parte di Dio la to-
tale corruzione morale dell'uomo. Tuttavia questo uso in 'P' non può
implicare una distinzione dualistica fra componenti corporee e non-
52 G.F. MooltE, Judaism in the First centuries o/ tbe Christian Era I, ClUcago
2927, pp. 486-489.
51 J. Soil.EINER, "Pers<>nlichc Entschcidung vor Gott nach biblischcm Zeugnis',
in Bibd und l.eben 6(1965) 112-115.
54 W. Boussn, op. àt .. 402-405. La dottrina circa l'inclinazione cattiva si lascia ri-
condurre a Ecclus 21,11; 27,31 ccc. Soltanto in Bar. 1,22 è la sensualità l'origine
della corru11ibili1à. Cf. F.C. PollTER, "Tbc Ycçcr Ha-n. A Study in thc Jcwish
Dcxtrinc of Sin', in B1blica/ and Semitic Studies, New Jork 1901. pp. 93-156.
CONCETTO DELL'UOMO NF.L N.T. 255
55 J. ScmuErr, op. cii., pp. 47-81 ~ di pererc diverso. Egli affmna: cSolo 'P'
e il redattore di Gt11. 6,1-4 rifleuono sul nppono reciproco delle componenti cor·
ponli e non rorponli dell'uomo•. Ciò però non si poo ricavare dalla connessione
della peccaminosità con l'espressione 'ogni camc'.
56 W. ZIMMERLI, 'Vcrhcissung und Erfiillung', in E11T u ( 19,1) 34-,9; H.W.
WoLFF, 'Das GcschichtsVcmindnis dcr a111cs1amcntlichcn Prophctic', in EllT (10)
(1900) 218-235.
57 R. MEYu., HellmiJtiJches ;,. der r11bbi11ischen Antbropologit. RAbbi11ische Vor-
sttllung l/OM Wuden des Mtnschen, Siungan 1957; L GorPELT, Cbristtntum und
Judentum im usttn und iwtitm Jabrbu11dtrt, Gutersloh 19'4: W D. DAVIES,
Cbristill11 Orit.inr and Judaism, London 1962.
51 G. DAUTZENBDG, op. cii., pp. 4' s.
L'UNITÀ DELL'UOMO
59 Il «Signore degli spiriti di ogni carne• (Num. 16,22; 27,16) vien tradotto nei
Se111nta con «Signore degli spiriti e di ogni carne•.
IO 1,4 accostamento senza valutazione; 8,19 s. priorità dell'anima; 9,15 contatti
con PLATONE, frdont 81c. L'opposizione ua anima e corpo viene praticamente
inrcsa come impedimento per l'attività. spirituale del pensare.
61 Cf. E. SctlWEIZEI, Htlltnistischt Komponente, pp. 246-250; W. WoUtEJ.,
Fortscbritt und Volltndung bei Philo von Aleundritn, Leipzig 1938, pp. 239-241;
H. WoLFSON, Philo, Cambridge Mass. 21948. Il pensiero non sistematico di Filone
non consente che lo si comprenda univocamente come filosofo e.I.lenisti. cCame
non è l'uomo condannalo da Dio, nella sua totalità, come nell'Antico Testamento,
bensl la sua condizione fisica, che è freno al volo dell'anima•. E. ScmvE1ZE11, aiilp.a,
op. cii., 122.
61 R. MEYEI, aliJt,l.a in TWNT vu (1~4) 193: O. BOCHEI!, Der iohannische D111J-
lism11s im Z11sammt11hong dts 11achbiblische11 ]11dent11ms (Giitcrs.loh 1~5) 55: «A
motivo dcl.la stretta connessione tra l'antropologia di Qumrin con quella veterote-
stamentaria 1nche nei testi di Qumrin non si trova in nessun punto un muato
dualismo Ji corpo e anima o di carne e spirito». Il contrario era stato allesmato
prima da G. K. KuHN, :ttlQ<laµO~-lilMlom-aciel; im Neoen Testament und die
damit zusamml'nhangenJcn Vorstdlungcn', in ZTK 49 (1952) 2<><>-222. 'Carne', se-
condo lui, (op. cii., 216), in Paolo e nei testi delle sene è «ambito del potere e
dcll'12ione di quanto è contro Dio, dcl peccato». Quest'opinione ha suscitato oppo-
sizioni: F. Nl)TSCllFR, Zum lbeolo~ischen Terminologie der Qumran-TexU, «BBB»
10 (Bonn 19,6) 85 s.; J. Sc11u1NF.R, Geislbtgabung, pp. 161-18o; J.P. HYATT, ·~
Vicw of Man in rhe Qumran eHodayot•'. in /liTJ 2 (1955/56) 276-284; D. FLUS·
CONCETTO DELI.'UOMO NEI. N.'r. 2.57
SEK, 'Thc Dualism of Flesh and Spirit in 1hc Dcad Scii Scrolls and ilie NT', in
T11rbil 27 ( 19n/58) 5o6.540.
61 E. ScmntZEI, arivt;, in TWNT v11 (1964) 118-121. La concezione ebraica del-
l'uomo persiste, come mosira lo sviluppo della dolrrina nella risurrezione. a. K.
ScmiBEIT, 'Dic Enrwicklung der Auferstchungslchrc von der nachexiliscben bis
zur friihrabbinischen Zcit', in BZ 6 (1962) 177-2r4.
"'R. MEYn, aéot;, op. cit., 11.p18.
65 K. ScHuBEJtT, op. cii., pp. 177-214.
17 · M,·11emm1Sa/u1i1,11/1
b. I sinottici
66 Cf. G. DAUTZENBUG, op_ cit., pp. ,1-168. L'unica eccezione, secoodo lui, è
costituita da Mt. I0,28, che si allaccia all'1.11trop0logia rabbinica. a. però o. CVLL-
MAHN, Uruterblichkeit der Seele oder AM/erstehung der Tote1f1, Berlin 1962, p. 69,
nota 18.
67 a) Mc. 8,35 par Mt. 16,z' par Le. 9,24; in Mt. 10,39 par Le. 17,33 par (cf. Le.
1.µ6; 21,19) e in Io. 12,z5; b) Mc. 8,36 s. par Mt. 16,16 (l..c. 9,z5). A proposito
della questione dcl nesso tra i due logia d. G. DAUTZl!NBl!llG, op. cii., pp. 68-82.
61 a., pc1 es., il testo dcl commento alla Bibbia dclla Hcrder Die Hei/ige Schrift
fiir dtU uben erlclirt.
69 A. VON li.uNACH, DtU Wesen des Christent11ms, Stuttgart 4 1904, pp. 43 s.; lii.,
uhrbuch thr Dogmengeschicbte I ( 41909) (Darmstadt I~) So: cil pensiero dcl
valore incalcolabile, che ogni singola llllima ha in sé ......
lii W. }AEGEI, Paideill. Die Form11ng des Griecbischen Me1fSCM1f o, Berlin 1944.
pp. 81i-9o (u. it. Paideill. Lr /onnlrliotfe dell'uomo gruo, La Nuova Italia, Fucnze).
71 W. NESTLE, Griecbische We/t11nschaM11ng ;,, ihrer Betk11t111fg fiir die Gegen-
W4Tt, Sruttga" 1946, p. 241.
CONCETTO DELL'UOMO NEL N.'I'.
c. Paolo
75 W.G. KOMMEL, Dai Bild des Menscben im Neuen Testament, «TANT» 13 (ZU.
rich 1948) 17 s; E. ScHwEIZER, irnùµa TWNT v1 (1959) l94·
70 H. KONZELMANN, Heutige Probleme, pp. 241-2,2; E. K:\sEMANN, Zur Tbema
der urcbmtl1chen Apokalyptik: E:cegetùche Versuche und Besinnungen li, GOuin·
gen 1964, l2j·131; P. STUllLMAC:HER, GeTechtigkeit Gottes bei P11ulus, .,FRLAN'f.,
87 (GOttinp 21966) 2o6 s. nota 2. E. Kiisemann e il discepolo Stuhlmacher criti-
uno il tentativo di Bultmann <l'interpretare Paolo, muo\•endo dall'anuopologia.
Vedi più avanti l'importanza di tale discussione per la comprensione di C2rll<: e
di corpo.
77 W.G. KiiMMEL, op cit., p. 20 s.
li Cf. A. ScHWtolTZER, Geschichte der pt1ulinisch~n forscbung, Tiibi.ngen 219n;
R. B1•LTMANN, 'Zur Geschichte der Paulusforschung', in TR I ( 1929) 26-j9; lu.,
in TR 6 ( •9H) 229-2~6: ID., in TR 8 (19J6) 1-22; G. DELLING, 'Zum neueren Pau·
lusventin<lnis', in NovTest 4 (191i<>} 9:;-121.
79 G. E1u1HoLZ, ProleY,omena i:u emer Theo!ogie des Paulus im UmTiss: Tradi·
tio11 u11d /,11eTpret111ion S11:Ji,·n wm Neu<"" Testome"I und ~"' Herme11eutik .
•rn. ~9 (l\.liinchen 196,1 161-189.
CONCETTO DF.1.1.'UOMO Nll N T 261
• P11uJ11s, der Apostel }es11 Chrisli (S1u1111ar1 1845; 21866/67); lo. Vorle111111en
uberntl. Thrologie, 1864, p. 14J. •L'idea fondamentale dcll'anuopololia dell'apo-
stolo» è «che atiQ1; è il corpo matcrialn.
11 Der Aposld P11iJ11s, Hallc 1926-1928.
12 Zum EV11ngdi11"' des P11ulus u11d des Pelrus, Rostock 1868, pp. 36, 447; H. 0
LliDEMANN, Die A111hropolo11e drs Aposlels P11iJu1 1111d ihrr SteU1111g in11rrbdlb iei·
nrr Heilslehrr nach dc" 11irr H1111p1brie/en d11r1e11eU1, IGe1 1872; W. BoussET, op.
Cli., p. 405.
ll Die Wirk1111ge" de1 Geisles n.cb der popularr11 AnsclM111111g der 11postolischen
Zeil ""d dcr l.ehu des Apostels P11ulus, Gottingcn 1888.
14 G. BoaN1'AMM, 'Paulus', in RGG (l1966) 179.
IS aiiiµa: 1 Cor. 1 J,J; 9,27; Ro,,,. 6,12; Phil. 14; "'1JXii: 2 Cor. 1,z3; 12,15; I Tbe:rs.
2,15; nvE\,.a: 1 Cor. 16.1R; 2 Cor. 2,13; G.t. 6,18, acio~: 2 Cor. 7,z; Rom. 6,
19; d. G. BoaNKAMM, op. cii., p. 1791. per altri passi di riferimento. W.G. KiiM-
MEL osserva: «l'csposi7.ionc dell'antropologia paolina è csucmamente difficile per
il fa!to che per la dcscriiione dell'essere umano Paolo usa una serie di termini
anuopologici, che non YCf180n delimitati rcciproouncnte e per il fatto che la ter-
minologia in genere non è accurata ... Op. cii., 20-21.
L'l•NITÌI Dt:LL'uoMu
intermedio, tempo della fede e della speranza, non della visione ... Cf. E. Kii.SEMANN,
'Gottesdienst im Alltag der Wclt'. in Exegelischc Versuche, II, p. 200: spirituale
in Paolo non significa «in nessun caso pura interiorilà e norma etica. Infatti l'evento
escatologico consiste precisamente nel fatto che Dio ha incominciato a riconquistare
a st! il mondo che pur gli appartiene».
97 Cf. J,A.T. RoBtNSON, The Body, .. SBT» , (London 1952); M.E. DAHL, The
Resurreclion o/ the Body, .. SBT,. 36 (London 1962).
91 E. K:\s•:MANN, 'Anliegen und Eigenart der paulinischen Abendmahlslehre', in
Exegelische Versuche I, p. 32.
99 R. BuLTMANN, Theologie Jes Neuen Teslaments, Tiibingen •1961, pp. 193-202.
1ro E. GOTrGEMANNS, Der leidende Aposll'I und sein He". Studien zur paulini·
schen Chrislo/01,ie, «FRLANT,. 90 (Gottingen 1966) 208; d. F. Neugebauer, 'Die
hermencutischen Voraussetzungcn Rudolf Bultmanns in ihrem Verhii.ltnis zur Paulini·
schen Thcolo11ic', in K11D ' ( 19,9) 289-30,.
101 E. ScHWETZlll, Ltiblirhkeit, p. 10.
mz E. KXsriMANN, Anliegen, cit. p. H.
SCHIZZO DI STOUA DELLA TEOLOGIA
112 Cf. E. HAU!CllEN, 'l>u Buch Baruch. Ein Bcitrag zum Problcmc der christli·
chcn Gnosis', in ZTK 'o ( 19n) u3-1,8; Io., Die Botscba/1 des Tbom111-E1111nx.elium,
• TMalogiscbe Bibliuthe/I: Toprl111,,nn• 6 (Bctlin 1961) J9·7.f·
IU a. R. SEEBERG, uhrbuch dtr Dogmengtschit:htt 1, Darmsiadt 619,,, pp. 356-
ns.
114 11. E11L, Die Grundlogen der abmdliindischen Phtlosophit, Bonn 1934; .E.
SctnrF.1ZE11, alilpa, op. cii. 1090.
111 W. PANNEHBl!IG, 'Dic Aufnahmc des philosophischcn Goncsbegrilles ab dug-
marischcs Problcm dcr frilhchrisdichcn Thcologic', in ZKG 70 (1959) 1-45.
116 A. ADAM, uhrbuch des Dogmengescbichtt I. Dit Ztil Jer alttn Kird1t. Gii-
tcnloh 111n. pp. 1311-141.
L'UNITA DELL'UOMO
111 A. APAM, 1-~hrbu,·h. pp. zn s.26o-264, 279-281. Cf. H. SoMMEl.S, 'La gnose
11111us1inienne, sens e1 vall'ur de la doctrinc de l'image', in REA 7 (1961) 1-Ij; ID ..
'lmai:c dc Dicu, Lcs o;oun.·cs dc l'cxégèsc augustinienne', in REA 7 (1~1) 105-125.
119 R. Sc11wAaz, 'Dic lcib-seclische Existenz bei Aurelius Augustinus', in Ph/ 6~
(19nl nz-n1.
1«1 W. v l..ot:WF.Nlat, Autustin, «Siebenstern• 56 (Miinchcn 1~5) 150.
1•1 A. ADAM, D•s Fortwirlun, pp. 4 s.
142 F.. D1NKl.F.1, Die Anthmpologie Augustins, «FKGG. 4 (Stuttgan 19,4) 115-11;;
W. V loEWF.NICll, Of' Cli , p 8o
141 A APAM, 1-~hrbuch, r 267.
SCHIZZO DI STORIA DELLA TEOLOGIA 273
und S11mmenlil"al11r von Anselm von I..a6n bis Wilhelm von Auxerre, Miinstcr
1966, p. 248. «Non è stato Tommaso d'Aquino colui che per primo ha traccialo
una nuova antropologia - per quanto egli abbia sviluppato ulteriormente i sinj!Oli
problemi - , il processo dcl superamento dcl neoplatonismo nell'antropologia ri11lc
piuttosto alla prima scolastica e si manifesta nd confronto tra Gilberto e Ugo».
L'opposto è sostenuto da H.R. ScHLETTE, Die Nichtigkeit der Welt. Der philom-
phische Horizonl des Hugo von St. Viktor, Miinchcn 1961, p. 4': «L'antropologia
di Ugo di san Vittore, come tutta l'antropologia della prima scolastica, è sostanzial-
mente l'antropologia dell'agostinismo neoplatonico... a. E. G1LSON, op. clt., pp. 191-
203. Cf. anche la presa di posizione di Schiette rispetto a Heinzmann in MTZ 17
( 1966) 143·14,.
149 R. HEINZMANN, op. cit., pp. 75-117; H.R. ScHLETTl!., Das 11nterschiedliche
P.ersonverstii11dnis in theologischen Denken Hugos und Richards von St. Vilttor in
«Mitteilungen dcs Grabmann-Instiruts der Universitat Miinchen», (fase. 3): Miscel-
lanea. Martin Grabmann Gedenltblatt, Miinchcn 19,9, pp. ,,.72.
1io R. HEINZMANN, op cit., pp. 1'·57; N.M. HAIUNG, 'Spl'llchlogischc Voraussct·
zungen zum Verstiindnis der Christologic Gilbcrts von Poiliers', in Schol4stilt. 32
(19'7) 373"398.
151 R. HEINZMANN, op. cit., pp. n8-146.
SCHIZZO DI STORIA DELLA TEOLOGIA 27')
I.O K. RAHNU, 'Zur Theologie dcs Symbols', in Scbri/WI IV, p. 30'; d. 111., Gti11
i11 Welt, pp. 32,·331.326: «Secondo 11 concezione tomista l'uomo non oonst1 di
'corpo' e di 'anirna', bensl di anima e di materia prima, la separ12ione delle quali
è essenzialmente: 'meta-fisica'».
••• J.B. Mnz, 'Zur Meraphysik dcr menschlichen Lc:iblichkeit', in Arzt unJ
Cbrist 4 ( 19,8) 78-84.
161 J.B. Mnz, 'Secle', in LTK IX (r964) '70S.
16l A. Pf.GIS, At the Ori&i11s, pp. ro s.
164 III St11t. ,.3.2. Cf. II Seni. r7.2,2; De Spiritualib"s Cr11al"ris 2; D11 A11im11 r;
De U11itat11 l11t11llect"s I, n; Ill,76.78.
165 II 1 Se111. 31.24(; cf. De V erit. lo,8,,.
SCHIZZO liTOllCO·TEOLOMOt 277
il corpo sarebbe come una mano recisa dal corpo;* essa non solo
ncm sarebbe persona,1' 1 ma non potrebbe semplicemente venir al-
l'essere,* poiché il corpo è la condizione dell'esistenza dell'anima.
Il corpo secondo Tommaso non è il carcere od ostacolo o puro stru·
mento dell'anima.'"' L'unione fra corpo e anima è necessaria per la
i.alvezza dell'anima e l:a corporeità è una fonte di bene e non la con-
seguenza di una colpa. 1111 Lo spirito dell'uomo è strutturato in mo-
do tale che solo tramite il suo corpo (conversio ad phantasma) l'uo-
mo può trovare la verità e amare il bene. In questo contesto si trova
la profonda spiegazione della concupiscenza da parte di Tommaso:
essa non è l'opposizione della sensibilità contro lo spirito, ma la
spontaneità di tutto l'uomo verso gli oggetti propri della sua real-
tà, poiché «Sensibilità non è in alcun modo ciò che si oppone
senza dialettica all'autocompletamento dello spirito umano; anzi.
tutto essa non è per nulla una forza a sé stante precedente o ac-
canto allo spirito, la quale solo a scapito della realtà dello spi-
rito sarebbe da mettere 'in accordo' con esso; essa deve piuttosto
venir compresa in un solo atto insieme con la costituzione ontolo-
gica dello spirito dell'uomo. Lo spirito pone, per essere realmente
spirito umano, la sensibilità o, più esattamente (per mettere in ri-
salto questo porre come risultato ontologico cfr. S. tb. 1,77, 6),
egli pone la sensibilità come sua propria realtb.m
In ter%o luogo la concezione globale dell'uomo in Tommaso si
mostra da~ fatto che nella corporeità 'nasce' la dimensione sociale e
storica dell'uomo. Poiché l'uomo è persona solo attraverso il corpo,
non vive solo in una storia prodotta dal gioco di una libertà spiri-
tuale assoluta,' 72 ma «egli nel suo esistere corporeo concreto, è pur
* S. th. I, 1. n. 2.
161 III Stlft. ,,3,2.
161 C. Gt,,I. n, 68; J,, Bott, dt y,;,,, .pc.
1"9 S. th. ], q. 89, a. 1c.; I, 76, 5c.; C. Gtnl. li, 68; Dt V trii. l9,1c.; III Qaotllib.
9 (21).
no S. th., I, 89, 1c.; Tommaso combauc l'in1erprctazionc origenista della :orponliù:
S. tb., I, 47, zc.; I, q. 62, a. 2; C. Ge,,t. 11, ""b; Dt Poi. 3,16; De 1111im11 7. Tommaso
11gomcn11: Come la materia ~ data per la forma lpropttr formtmrl. con il mrpo ~
dato per il bene: dell'anima lpropttr mtli11s ,,,,;m11t).
171 J.B. MRTZ, 'Concupiscenza', in D:T 1 ( 31969) 292.
m M. SKCKLEll, Das Heil ;,, dtr Gw:hichlt!. GtsC'hichlstheologischt.o Dt,,kt11 btl
Thomas "'°" Aq11i,,, Miinchcn 1964, p. 114.
L'UNl1'A DELL'UOMO
173 J.B. Mnz, 'Corporeità', in DzT 1 (119691 u6 s.; d. ID., 'Mitscin', in LTK VII
( 11)62) 492 s.
17' M.D. CHF.Nu, 'Situation humaine, Corporalité e1 Tcmporalite, in L'homm~ et
1011 J~slin. •Actcs du )"' Congrès lntcmational de Philosophie médiévale•, Paris
19,9, PP· 47 s.; d. P. E.~EUl.UDT, Do Mensc:b und s~i11e Zulttm/t. Per la que-
stione della concezione dell'uomo secondo Tommaso d'Aquino: H. RoMBAat (cd.).
Di~ fr•i~ 114ch Jem Mnmben, Miinchen 11)66, pp. 1'1·37-4·
,.,, F. MALMIEIC, Ein uchaan en éin Gusl, U1rcch1 1958, .M. SECKLEI, op. cit.,
pp. 240-2,1.
11' ]. B. MET'l, Cbrist/1ebr Anlbropozr11triJi, cit., Miinchen 11}62.
SCHIZZO DI STORIA DELLA TEOLOGIA 279
177 F. MALMUIG, op. cit., pp. 1§19-219 e anche pp. 1!9-101. Per il liFificato ec-
clesiale è impanante la seguente osservuione di H. D. KosTU, Eltltle~ i1ll
Werdm, Paderbom 1940, p. '7: cln Agostino la realtl messa in rilievo odl'espres-
sione crorpo di CrislO• non è la corporeitl, bcnsl proprio l'incorporeit1 della Olle-
.... In appendice a tale citazione Malmberg (op. cii), scrive: - Scoprirano la
stessa riduzione in san Tomamo... ; ancbe in lui riteniamo di cogliae qll8kma del
deprezzamento di quanto è 'materiale', della 'materia'; anche in lui sentiamo rroppo
ilo mancanza d'una correzione dcl cdualismo grm>• mediante il cmonismo biblico•. -
Le nostre prcscniazioni mostrano solo uno 1pos1amen10 d'acccn10. Contro Malmbcrg
.meniamo che Tommaso ba effe1tivamcn1e anuaio una c:orrczione dcl «dualismo»
gn:co mediante il cmonismo» biblico.
m J. B. Mrrz, 'Scclc', op. cit., ni 1.
11' B. ]ANSL'I, 'Dic Dclini1ion do Kunzils von Vicnnc:', in ZbT .B (1908) 2'9-
Jo6, •J.U·4ll7.
1• 0. C. A. VAN PEUISEN, op. Cli., per 11 storia dcl problema nell'epoca mo-
c:kma.
L'UNITÀ DELL'UOMO
4. S piega:zione teo~ogica
"' J. B. METz, 'Sede', op. cit., s72. Le asserzioni di Giovanni XXII e di Bencdc:no
Xli in relazione alla condizione dell'anima dopo la morte vcrr1nnu spiegau: più
1v1nti.
L'UNITA DELl. 0 UONO
to'. 192 Con ciò viene affermata un'opposizione non tra corpo e anima ma
fra corporalità animata ossia anima vitale da una parte e persona spiri-
tuale dall'altra. 193 Secondo H. PLESSNER l'uomo da una parte si rico-
nosce come corpo vivo (Leib), in quanto si sperimenta come centro del-
l'ambito della vita e dall'altra parte si riconosce come corpo (Korper),
quindi come cosa tra le cose del mondo. 'Corpo vivo' e 'corpo' vengono
intesi da lui come doppio punto di vista dell'uomo che ha il punto
di unione nell' 'io' non oggettivabile dell'uomo. 194 Ci sarebbe da chie-
dersi se questa netta divisione fra 'io' e 'corpo vivo' (Leib) non
corra il pericolo di sopraffare il carattere di totalità dell'uomo e ren-
dere il 'corpo vivo' ( Leib) un oggetto come altri oggetti (o come il
corpo). Tenendo conto di questo pericolo G. MARCEL distingue tra 'es-
sere' e 'avere'. Cosl 'corpo' come 'anima' non esprimono qualche cosa
che l'uomo 'ha', ma piuttosto dò che egli 'è'.
Questo nesso tra soggettività e corporeità dell'uomo non viene inteso
da MARCF.L in modo monistico, come una semplice identità, quasi come se
l'uomo fosse 'solo' corpo, ma viene considerato come mistero che rappre·
senta l'esistenza d' 'incarnazione' dell'uomo nel mondo e tra gli uomini. 195
Questo concetto di globalità umana del corpo viene approfondito con il
tentativo di precisare più da vicino il carattere interumano del corpo e
l'origine dell'esperienza uman.i della corporeità. Questo tentativo effet-
tuato soprattutto da SARTRE e MERLEAU-PONTY deve venir visto come
reazione alla posizione di HussERL. Mentre per Husserl la coscienza
dell'unità fra corpo e anima è una presenza di vitalità e soggettività ori-
ginaria internamente data all'uomo, questa coscienza secondo Sartre vie-
ne fondata attraverso l'incontro tra gli uomini. Secondo Husserl l'uomo
esperimenta il 'corpo animato' ( Leib) dell'altro dapprima come semplice
'corpo' (Korper) o una \:osa' che poi solo attraverso un processo di ap-
percezione 'analogizzante' o 'assimilante' viene esperimentato come corpo
animato 'simile al mio' .196 Sartre invece afferma che l'uomo sperimenta
192 M. ScHELER, Der form11/ismus in der Ethik und die m11tt'riale W ertethik,
Bern 4 1 '>54. pp. 408·.132.
193 S. STRASSF.R, Het Zielsbegrip in de methaphysiche ew empirische Psychologie,
Lovain 19,0, traduzione tedesca, Seele und Beseeltes, Wien 1955, pp. 38-45.
194 H. PLESSNER, Die Stufen des Organischen und der Mensch, Berlin 1928;
Id. Die Einheit der Sinne, Bonn 1922, pp. 281-283.
195 G. MARCEL, journal métaphysique, Paris 1927, pp. 265-3or.305.325.329; Id.
Eire et Avoir, Paris 193'· p. 22, (tr. it., Essere e avere, Morcelliana, Brescia); Io.,
Du re/us à l'ilrvocatinn, Paris 1940, pp. 19-54; Io., Le mystère de l'étre, Paris
1951, pp. 91-I18 (tr. it., li "'istero dell'essere, Boria, Torino).
196 E. HussERL, Carttsianische Meditationen und Pariser Vortrage (cd. S. STIAS·
SER), «Husserlianaio 1, Den Haag 1948. Cr. la quinta meditazione: Ideen :i:u einer
rcinen Phiinomenologie und phiinomenologischen Philosophie; Io., Phanomenolo-
gische Unterrnchungen zur Konstitution, «Husserliana,. IV, Den Haag 1952. Cf. M.
SPIF.GAZIONE TEOLOGICA
THEUNISSEN, Der Andere. Studien zur Sozialontologie der Gegenwart, Berlin I96,,
pp. 1-155; H. WAGNER, 'Kritische Betrachtungen zu Husseds Nachlass', in Philo-
sophische Rundschau l ( I933/ 4) 1·22.
197 J. P. SARTRE, L'étre et le néant (Paris 1943) 36,-427 (tr. it., L'essere e il
nulla, MondRdori, Milano). Cf. W. MAIER, Das Problem der Leiblichkeit bei Jean-
Paul Sartre und Ma11,ice Merlet111-Ponly, «Forschungen zur Padagogik und Anthro-
polo11ic» 7 (Tiibingcn 1964) I-20.
199 Cf. M. T11wNISSEN, op. cit., pp. 187-2~0.
199 I: Théorie des ensemb/es pratiques, Paris 1960. Cf. M. THEUNISSF.N, op. cit.,
pp. 230-240.
zoo W. MAIER, op. cit., pp. 21·101. Per il significato teologico dell'aspetto 'poli·
tico' della corporali1à e per la sua fondazione interumana cf. J. B. MET'l, 'Verant·
wor1un11 dcr Hotlnung', in StdZ 177 (1966) 451·462.
288 L'UNITÀ DELL'UOMO
come due cose rabberciate insieme, '!la sono due principii sostan-
ziali dell'unico essere umano, separabili soltanto metafisicamente.
L'anima quindi non è una parte invisibile dell'uomo, come se fosse
uno spirito nascosto e prigioniero nel corpo e la sua realtà fosse
diversa da quella dcl corpo. Piuttosto l'anima è reale nel suo es-
sere-fuori-di·sé come realtà che dà forma, cioè come corpo.
Lo spirito dell'uomo si completa come anima ed è per sé nel
suo essere-fuori-di-sé come corpo. 206 Ugualmente il corpo per il suo
carattere. umano globale, non è «un semplice manichino, un segno
dell'autentico essere dell'uomo che starebbe dietro ... , [piuttosto] nel
corpo [è) presente la 'profondità dell'essere uomo' e vi permane
attraverso l'individualità spirituale dell'uomo». 207
Questa unità globale dell'uomo non deve però venir intesa come
unicità senza riconoscere la pluralità delle dimensioni dell'essenza
umana. Da questo punto di vista le considerazioni di KARL RAHNER,
con la loro analisi ontologica sulla natura del simbolo, che si ri-
fanno al concetto di alienazione di HEGEL, sono un valido tentativo
di pensare questa pluralità nell'unità e questa unità nella pluralità.
Rahner scrive: « ... ciò che noi chiamiamo corpo non è altro che l'attua-
lità dell'anima stessa in questo 'altro' che è la 'materia prima', l'autoat-
tuata alterità dell'anima stessa, quindi la sua espressione, il suo sim-
bolo ... » 8 in altri termini: la pluralità, o non-identità, di anima e
di corpo consiste proprio nell'unità di 'spirito' e 'materia' nell'uomo.
206 K. RAHNER, Horer des Wortes, Miinchen 219n, pp. 47·88 (tr. it., Uditori tkU•
PllTOl4, Boria, Torino).
1111 J. B. METZ, Caro cardo salutis 105.
D K. RAHHEa, Zur Theologie des Symbols, cit., p. 305. Cf. anche i!EGEL, l..agi/r,
pane I, cPhiJ. Bibl.» 56, pp. 104 ss. Rahner usa questo principio per la unio hypos111-
tic11, in Schriften I, p. 182: cDi qui si vede facilmente che solo una Persona divina
può possedere come propria una libertà da essa distinta, senza che questa cessi d'es-
sere veramente aùe anche di fronte a lei che la possiede ... Infatti solo di Dio si può
in genere pensare che possa egli stesso costituire ciò che lo differenzia da se stesso. E.
attributo della sua divinità come aùe e del suo pote~ creatore la capacità di costituire
per se stesso e mediante un ptQprio atto come tale un essere che da una parte sia
radicalmente dipendente, perché totalmeme costituito, e dall'altra goda, per essere
costituito dal Dio uno e unico, una reale autonomia come realtà e una verità pro-
pria ... ,.. La questione che nasce in riferimento a questa cita2ione, cioè fin a che punto
si è autorizzati ad applicare questo principio alla relazione corpo-anima, purtroppo qui
non può essere trattata. Cf. anche la critica di W. PANNENBERG, GrutUh:.iig~ d~r Chri·
stologie, Giltersloh, 1964, p. 3 30.
SPIEGAZIONE TEOLOGICA
2U H. Cox, The Secul11r City !New York 1196') 38.,9. 2.p-270 (tr. it. La citt4
secolare, Vallecchi, Firenze). il quale sembra collegarsi per il contenuto con W.
PANNENllEl.G, 'Person', in RGG v (1961) 234, mostra che: la sua comprensione della
relazione io-tu come di una relazione attuata tramite una comune rclazionc di
cose, è impanante per il problema di Dio e per l'escatologia. a. F. F1011ENZA,
'Das saziale Evangeliwn und die sikularisierte Stadt', in StJZ xn (1966) 38J-388.
2tl M. fu1DEGGEK, Sein und Zeil, Tiibingen 101963, p. 120 (tr. it. Essere e tempo,
UTET, Torino).
2W Cf. H. THEUNISSEN, op. cit., pp. 230'240. 483-,07.
m C. A. VAN PEuasEN, op. cit., pp. 1o8 s
SPlllGAZIONF. TEOLOGICA 293
non è una parte di Dio e non solo perché, in quanto spirito che ha
il ruolo di forma, non è uno spirito 'puro', separato dalla materia,
bensl perché Dio è la sua origine assoluta, trascendente e in quanto
tale egli si può chiamare 'spirito' solo per viam negationis et emi-
nentiae.217 Qui appunto va ricordata la definizione del concilio Late·
ranense 1v, secondo la quale si può pensare una somiglianza fra
creatore e creatura solo se insieme ed essa viene pensata una disso-
miglianza ancor maggiore. 21 ~ Dal fotto che la fede cristiana confe~:,a
Dio come creatore di tutta la realtà, creatore di 'spirito e materia',
deriva inoltre che «la caratterizzazione di Dio come spirito è da
intendere solo in modo molto analogico e può avvenire propria-
mente solo prendendo contemporaneamente anche nella materia il
punto di partenza per la conoscenza di Dio per viam negationis et
eminentiae». 219 Se tuttavia questa definizione vale per 'spirito e ma-
teria' si avvera soprattutto per la spiritualità e la corporeità del-
l'uomo, poiché questi non sono esseri, ma principii metafisici del-
l'unico essere umano.
Perciò l'anima o l' 'elemento spirituale' dell'uomo non è per nulla
più vicino o più simile a Dio dell'elemento 'corporale'. Dio come
origine creante sta nello stesso immediato rapporto trascendente e
immanente tanto con la 'corporeità' quanto con la 'spiritualità'
dell'uomo. m
In conseguenza di ciò è da rigettare anche quella concezione
dell'uomo che è implicita nella dottrina neoplatonica dell'emana-
zione secondo la quale un essere è tanto più vicino a Dio quanto più
alto è il suo grado ontologico. Per rigettare questa concezione antro-
pologica il teologo può rifarsi non solo ·alla sua confessione di Dio
come creatore trascendente di tutta la realtà (come sopra), ma an·
che alla sua professione di fede che la salvezza dell'uomo avviene
nella rivelazione della grazia di Dio in Gesù Cristo. Questa afferma-
217 K. RAHNER. ·me Einheit von Geisc und Materie im chrisclichen GlaubcnsverJo
timdnis', in Schriften Vt, pp. 188 s.
lii DS 8o6: •qui11 inter cre11/orem et creaturam· non potesi similitudo notari,
quin inter eos m11ior sii dissimilitudo nota11Ja ...
m K. RAHNEll, Die Einbeit von Geist und ,\f111erie, ci1. p. 189.
220 K. RAllSER, flominis111ion, cit., pp. 4j·90.
SPIF.GAZIONI! TEOLOGICA
ni Cf. K. RAHHEI, 'O~r das Vcrhiihnis von Natur und Gnadc', in Schn/1'11 I.
PP- 323·}46; lo, 'Zum theologischcn Bcgriff dcr Konkupiszenz', in Schri/t~n I, pp.
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L'UNITÀ DELL'UOMO
m J. B. M TZ, e.o C4"dn sal..tis, cit., pp. 97 s.; d. B. Wl!LTE, A•4 J" Sp11r
tlts EW1J'"· 'rcibur8 196,, PI• 8J·lll.
SPIEGAZIONE TEOLOGICA
297
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lllUOGllAFIA 303
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SEZIONE TERZA
bene secondo Feuerbach I' 'interazione' tra questi due poli non
superi i confini della concreta unione sensitivo-vitale. 12
Da ultimo, in questo modo, tale comprensione dialogica dd-
l'essere persona venne integrata ed approfondita attraverso i risul-
· ati ed il metodo della fenomenologia (G. HussERL, M. SCHELER),
uime pure attraverso l'apertura sul mondo dell'esperienza biblica.
11,·I modo in cui inizialmente fu abbozzato (F. RosENZWEIG, F. E11
NER, M. BuBER, TH. lIAECKER, P. WusT, R. GUARDINI) e viene
arricchita in maniera decisiva dagli stimoli derivanti dalla filosofia
esistenziale e dall'esistenzialismo (G. MARCEL, K. ]ASPERS, M. lb.1-
DEGGER). Cosl il personalismo segna oggi un movimento, che passa
per molti settori del pensiero umano ed il cui significato program-
matico per la teologia è formulato nèl modo seguente da G. GLOE-
GE: «Non possiamo, non vogliamo e non dobbiamo più tornare in-
dietro dal personalismo teologico. Ciò non significa un impegno per
una determinata forma di personalismo, bensì un impegno per il
pensiero personale in genere».u
In questa professione di personalismt) si riconosce in pari tempo
che non c'è affatto un personalismo come tale, ma sempre solo di-
verse forme o modi d'una stessa corrente di pensiero.
Per decidere su come sia da intendere persona, non bisogna anzi-
tutto dare una spiegazione teoretica dell'esperienza, bensl osservare
e descrivere il fenomeno stesso. Dopo questo abbozzo storico del
concetto di persona, tenteremo d'elaborare dunque una fenomeno-
logia della persona. i cui risultati riesamineremo e spiegheremo nel-
(' ambito della teologia.
Il a. A. GUGGENBUGU. op nt .. 641 •
APPROFONDIMENTO TEOLOGICO F. ONTOLOGICO 321
b. Fondamento .ontologico
Nella nostra indagine fin qui condotta alla scoperta di ciò che per-
sona significa ed è per l'uomo, abbiamo considerato gli aspetti po-
sitivi del fenomeno personale e i valori di cui essi, nella loro mag-
gioranza, sono portatori. Di proposito escluderemmo il male di cui è
sempre impregnata la vita concreta.
Questo procedimento era legittimo in quanto potemmo con esso
meglio vedere la strutturazione dell'essere e la crescita della persona.
Tuttavia, come si dovrà mostrare in seguito, la nostra esistenza con-
creta si realizza (o piuttosto, spesso, si deteriora) in un mondo a
pezzi, peccatore; in questo contesto la persona si distrugge e si per-
verte, senza però essere mai completamente annullata.
L'essere ontologico e l'essere morale veramente non sono da
separare; l'uno e l'altro si devono vedere continuamente nell'iden-
tico impegno di diventare ciò che devono essere.
Ora, per vedere come nell'ordine concreto l'uomo è impedito a
diventare persona, come la sua persona è sempre già in qualche
modo offuscata e ritardata, come gli riesca a stento di attuare
il vero 'io', che si sa sempre riferito al 'tu', dobbiamo riBcttcrc
sul fenomeno dcl peccato. Cosl saranno allora messe in luce an-
che le altre implicazioni teologiche, senza le quali non possiamo
intendere l'essere-persona, poiché se anche la considerazione che
muoveva dalla creazione era un procedimento necessario dal punto
di vista dcl metodo, tuttavia tale esame non renderebbe piena-
mente giustizia al fenomeno suindicato cd alla sua intera realtà
teologica, a rischio di rimettere in questione tutto quanto ha sot-
tolineato di fondamentale e di strutturale dell'essere persona.
326 L'UOMO COME PERSONA
d. Sintesi
Persona dice l'essere più intimo di ogni uomo, il suo io, in quanto
si può comprenderlo solo in un rapporto reciproco al tu. 14 Questo
rapporto è essenzialmente dialogico, poiché vive di chiamata e ri-
sposta; esso è dono che si riceve e dono che si dà, poiché si fonda
su un dono gratuito, che diventa per noi un impegno da concretizzare
" Cf. •imilmenre A. BauNNER. La P~rsonn~ lncarnh·, Pari• 1947, p. 226: «rela-
1ion •11bs1anridle ou encore subs1ance rapporrfr•-
330 L \JoMO COME PllSONA
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BIBUOGL\PJA
L'UOMO .E LA PAROLA
stesso, ancora una volta come quel risultato che esso g1a e stato;
apparirebbe come un aborto privo di vita, il quale era già di per
sé un cadavere; la paro.!.!...infatti.~o.~ sarebbe generata dalla po.~~a
vital~__Q.dlQ spi,rito, e in tal modo non conferirebbe a chi parla la
libera auto-espressione. La parola (come questo inizio isolato rispet-
to alla sua m~iazione attraverso la libertà) non avrebbe negato
proprio la sua origine in chi parla, e avrebbe con ciò distrutto se
stessa in quanto è ciò che si proferisce?
Se essa rim1l11ess~ in tal modo ancorata a se stessa, colui che parla
non potrebbe più c~~~care se stesso ed espriinere se stesso nella
parola. pçrché questa lo velerebbe. Essa avrebbe distrutto la po-
tenza m:Lsuo stesso cr~tore mu~_Q~J~_nel)_l!_p~~.P.ria mag~ccnza,
l'avrebbe riferita a sé, posponendola a se stessa e rifiutando il ser-
vizio a colui che parla. Essa rimarrebbe sola in sé stessa e perde-
rebbe io___tal modo la sua utilità. Parlerebbe 'da se stessa', senza
essere aperta su colui che parla. In questa par~__Q!!Ì!!di nulla più
potrebbe_ venir detto. Dal momento che pensa se stessa, non offre
via libera per una sempre maggiore verità della realtà che vuol
risplendere in essa, sicché viene espresso contemporaneamente 'tutto
e nulla'. Cosl l'uomo e il mondo sarebbero condannati alla mutezza
----···--- ·--·-··--·-·--
nell',!!_~1~~~- A~~it_!yl~__d~ __ qu~t~_.P1l~la; essa ajatti n~~~rebbe
co~ l'~.o. Mi sé chiuso, da un parlare solo passato, sfuggente
nello stesso discorso e mai presente. Essi dovrebbero perdersi nella
struttura 6.!_s~ ~i_ ~l!~ __te~.~~!1t~ .. ç~c: ...U_ doIJ!L~e~bbc_.~~ll'esterno,
come una super-parola, da una sponda opposta e lontana. In essa
Slll'Cbbc già tutto detto, s~nza che l'uomo e il mondo potessero
esprimersi in se stessi. Ma d'altra parte_ questa ~la~--~~te
non avrebbe allontanati l'uomo e il mondo l'un l'altro, non li avreb-
be sempre più legati a se stessa? E in tale modo non avrebbe oscu-
~. Ja. hm: _d~!:LV.c::rità, in forza della quale tutti e due si appar-
tengono inscindibilmente, anche se tuttavia essa, in quanto parola,
non sembra esprimere nient'altro se non che l'uomo, co_n~ndo,
è /!!_e!s.o. .. l_'(lltro._, disti11to_ da !'!__stesso? Ma questo altro però, in
quanto conosciuto, non si realizza forse completamente in lui, e
appunto per questo si manifesta a lui stesso come la realtà?
L'UOMO E LA PAROLA
lenzio è: per la par~ la sua _utile trasparenza verso colui che parla,
dal quale essa esce, presso di cui e nel quale essa sempre è gÌà
stata, perché egli_~tesS() è nella Raro)!! -~ in essa egli si manifesta
rnmL~E!8_i11_~ -~~e._atrit:e. E poiché la pai~~--nelfiniiio-•~ra'-così,
c:ssa rende libero colui che parla, nella sua auto-asserzione e non
impedisc~- Ìa spo~ta~~icl-del suo discorso. Per qy_esto essa _SJ~~a_ è
in quanto parola 'testimonianza'. Nella ricchezza della sua propria
figura:-~~~- ~i . appÒggia-3··5-e· stessa contro colui che parla. Con ciò
essa avrebbe rinunciato all'obbedienza del silenzio e negato alla
sua origine l'auto-comunicazione. Essa è 'ricca' solo attraverso la
sua usAt.a ..daLsil_e_oii9__,_nel quale è stata ~~~pita,· -ge~erata. Altri-
menti colui che parla sarebbe svilito ad una semplice funzione della
parola. Questa lo avrebbe legato impotente a sé e con ciò stesso
avrebbe ~essa.to_d_'es~I!!.. JJna parola. Con ciò rimarrebbe solo an-
cora il precipitare se~for41-_ dç_U_a__p~Qla ne!~__mutezza; quella
forma di mrrogalo della vera povertà, attraverso la quale la pa-
rola _tenta di ..rende.r_.libera la spontaneità creatrice di colui c;;he
parla in quanto essa quasi vien meno di fronte a lui e svanisce
nell'altro, senza in fondo dl'!sistere dal suo segreto dominio sull'ori-
gine. Di questo abbiamo parlato poco fa; ora vogliamo approfon-
dire ancora, nella sua dimensione ontologica, l'ambito di quanto
abbiamo già detto.
Abbiamo visto che l'uomo, come spirito finito, nel mondo, è
sem~ già presso la parola. Egli si possiede e in ciò consiste la
ricche~-=dcìia-capacità di disporre di sé. Egli giunge alla parola del
tu e del mondo~ poiché gi~ ·all'Inizio del suo cammino era in essa.
L'altro, nel quale egli si imb;tte e che inco~t~a·,- non lo assai~ ~~l
mezzo di una immediatezza senza parola. Esso lo interpella piutto-
sto Ìà, dove egli si è già guadagnato ~-;, rarporto con sé, dove nella
libero!_! è diventato un altro_ per se -~; perciò proprio così può
essere colto e provocato dall'altro in ciò che r:gli stesso è come li-
bertà. Poiché egli nella parola è presso di sé, può sempre in libertà
esse~~ a volta a volta presso );altro ~a sé, e aprirsi a lui nell'ascolto.
E viceversa, poiché la sua intelligenza è= cusì formata, tutto ciò che
a lui arriva, non è mai, già anticipatamente, nuda lleterminazionc e
fat~lità, che viene d~ll'esterno~bensì nell'ambito della parola è ~eÌ
L'UOMO E LA PAROLA
lità ad essa consegnata senza riserve, del mondo che appare. E poi-
ché le viene attribuita la signoria risvegliante su tutto ciò che ap-
pare, è la luce in grado di intendere e di far sl eh~ si lll.QStri «cç>~ne
tale» ciò che in essa appari::? Non deprime. essa, mediante la pro-
pria ricchezza, l'apparizione in maniera violenta? Non ripete essa
nel Jllondo che le si svel;i, solo la ricchezza _della sua propria es-
senza, in modo che nell'apparizjone non si.dà in_ nessuoiLman.lera
l'essenza delle cose, l' 'altro' non si apre alla luce, bensl la luce
nel su~_ rifrangersi_ ritro~l!__s9lt!!1-tO 2e stes~a? Poiché, cosl si po-
trebbe dire, il non-essere dell'apparizione non ammetterebbe nes-
su~t~~ concJl1sione_ al di.là della_luce. Ma non è cosl! La luce
non soff99L~_QQ.i;t_violenta c_iò che diventa manifesto nella ~tenza
della sua_chiamata r~svegliante. Al contrario, essa libera quest'altro
'non-es.is.tente_'.__deH~_~rizi<:>Il_e d~a notte della sua ~tCZZ!_yerso
la proprietà...della_ S_l,!!!_ e_~s_e_!}_!a. Cosl la foce entra senza riserve nel-
l'altro come autorizzazione dell'apparire e tuttavia si trattiene com-
pletame!ili: _<;lli~Qn_~~-9!!~_5j_O altro da sé. Essa è nello stesso tem-
po risvegliante la vita e rispettosamente riservata. Un dominio
'senza confini', che pure 'senza limiti' può ritrarsi in se stesso
ed essere 'cHsinteressato' a favore del mondo che appare. La luce,
nell'illuminazione dei feno111eni,_!12n !_ien~ ~!la fi_sso a sé,_ ma la-
scia che il mondo si presenti in tutta la sua varietà di colori e va-
ria pienezza; anzi, nell'incalcolabile molteplicità di ciò che appare
si sigilla proprio la liberante 'povertà' della pienezza della luce
che crea spazio, cui non interessa se stessa, bensl «il giungere-a-sé»
di ciò che da essa riceve ed è partecipe della sua potenza. La luce
'cgj_qma' (cfr. la radice bha: parlare, che originalmente vuol dire:
risuonare, risplendere, portare all'apparizione) facendo essere, e ~ta
ce'__ nello stesso momento, proprio là, dove 'parla', poiché nell~_ SIJ.a
ricchezza le i~po.r'tilT'autorizzante dotazione dell'altro, e il suo domi-
nio è un servire.
L'occhio però è atto a questa luce, cioè è capace di questa luce
nella fo!ma di illuminazione ris"'.egliante e di lasciarsi mostra.re
di cig çhe apQare, dunque nella differenza di spontaneità sensibile
e ricettività. L'occhio vede e in ciò stesso è potenza rischiarante del
mondo che appare; ma un vedere, che 'fa apparire' e che perciò
I.A PUOI.A COMF. MF.DIAZIONE DELLA LIBERTÀ LIMITATA
zialmente però esso si svela anche n.ella sua ricchezza che non ha
fuori di sé alcuna alterità che la limiti. Perciò la differenza tra es-
sere e sostanza materiale, la distinzione di potenza e di atto, è
'meno' sufficiente all'evento dell'amore che si fa finito che la diffe-
renza ontologica dell'essere nei riguardi della sua sussistenza finita.
Partendo da questa, l'inizio viene sperimentato meno oggettiva-
mente, più liberamente che nella limitazione dell'atto di essere
mediante la potenza. Il non-tenere-per-sé del dono rispetto alla sua
alterità diviene dunque più esprimibile nella misura in cui giunge
a sé la for-1.a di percezione ad esso presupposta come realmente
distinta, cioè la libertà del servo precedentemente estraniato da se
stesso (sottomesso ancora all'alterità del mondo sottratto e alla
schiacciante potenza del signore tirannico) riesce a erompere. Poiché
solo cosl egli testimonia che il signore, poiché si possiede in ma-
niera assoluta, rende libera autoritativamente (augere= accrescere!)
l'esistenza di chi gli obbedisce, verso l'adempimento dell'autoasser-
zione che gli spetta. Il libero parlare del servo liberato manifesta
la signoria della parola del Signore proprio nell'alienazione della
sua forma di servo. Perciò la ricchezza dell'essere come amore nasce
tanto più radicalmente, quanto più profondamente l'essere scende
sotto di sé, quanto più in modo liberato la profondità di accogli-
mento della sua venuta è donata antecedente a se stessa ma par-
tendo da esso. Con ciò stesso il non-tener-per-sé dell'essere arriva
alla crisi estrema là dove esso non si dà e non si 'sottomette' solo
ai fondamenti di possibilità di ciò che esiste, i quali lo ricevono e
lo limitano (qui la sua pienezza non arriverebbe a un accomoda-
mento proprio senza riserve), non solo all'essere-in-sé, non auten-
tico e oggettivo, della sostanza finita, bensl alla alterità 'personale'
della libertà finita. Questa attraverso la povertà del suo tacere, che
viene fuori dalla ricchezza ricevuta del suo parlare, può manifestare
ultimamente, nell'obbedienza, sia il dominio sia anche il servizio
dell'essere. Qui soltanto naufraga ogni oggettivazione precedente-
mente ancora 'possibile', dell'inizio rispetto alla sua 'vana' alterità.
Se però la libertà, capace dell'essere, diventa conscia della sua
potenza attraverso il sussistere di questa riduzione al finito, allora
comprende se stessa precisamente non per mezzo di un'alterità
LA rAROLA COME MEZZO DELl.A DIFFF.RF.NZA ONTOLOGICA
tu, che egli stesso è uno che percepisce, è cioè già in se stesso
libertà finita in ascolto.
Nella parola del dialogo non si può dunque ripartire sul tu e
sull'io azione e ricezione, senza soggiacere di nuovo alla dialettica
Ji p!_drone e schiavo. Con ciò stesso, nel pronunciare la par9la, l'io
si riferisce in tale maniern al tu, che egli nell'unità di autodivenire
attraverso auto-accoglimento, presuppone a se stesso questo come
un uditore, che ascolta pcrch_ç parlg. Lo stesso vale anche viceversa.
Nell'ambito dunque <li io e tu, viene rispettivamente posta e pre-
supposta come tale (~nità personale di atto e _di___E_oten~a, _d! far
essere e di lasciar libero. Perciò qui n~n __solo l'ente è !ihr_!_fosa
ri~p.etto all'essere, bensl l'intera difierrnia ontologica, il mistero
creato di magnificenza e di p~vertà dell'essere, la forma fondamen-
tale di soggettività finita dell'io è posta e presupposta come la sog-
geµività cl.!!llAllro. E come l'essere non si può conservare dentro
i suoi fondamenti di possibilità, bensl dovette rendersi finito attra-
vers~~ .I_e~e ~iv~J.il~ degli siwi, cosl più che mai l'alterità perso-
nale del tu per l'io non-~. !1'-1~!. ~~~P.Ecer:n_ente espressione del mede-
s~m_9. È piuttosto testimonianza della pienezza dell'essere, affidata
incondizi~~mente all'io, cioè pegno della poveri~ dell'inizio. "B
una prova vivente del fatto che l'io dispone di se stesso solo attra-
verso l'aver ricevuto l'essere come amore. Qui l'io è chiamato come
uomo nella sua totalità e si deve impegnare come tale nella sua
totalità. Mentre a chi parla interessa il tu che ascolta, egli an-
nuncia che l'inizio sacrificato, dal quale viene il suo parlare, lo in-
tende come parlante rendendolo realmente libero.
L'uomo non può disporre né della differenza ontologica, né di
quella ..~!i~lo~_a, perché è Dio che le tiene aperte ...L'uomo i~ompe
vers~I tu solo là dove Dio preceden/emt·n/e ha riconosciuto che
non~ b~ono per lui essere 'solo' (cfr. Gen.-;,18 ss.). Egli non p~ò.
partendo da se stesso, porre quest'altro; altrimenti, come succede
nel pec~t~;-egli ·avrèb& co~~~ differ~nza personak_ rispetto
a!._~. dall'inizio dell'essere eh~ egli pretende prendere in possesso
contro la sua riduzione al finito. Dio gli rende manifesti i suoi 'limi-
ti'; soltanto sullo sfondo clell'anoluto stesso l'essçre, come imma-
gine Cièrffiedcsi~o. -~n _può sta~-a-sé quasi un secondo Dio, bensì
LA l'AROLA COME MEZZO IJ~LLA lllfH'.RENlA ONTOLOGICA
sottratto, a dire senza presupposti la. su11 parola e con ciò 'a far-
essere' se stesso e ogni altra cosa. A questa 'ricchezza' del suo par-
lare è però propria inoltre la parvenza della 'povertà', poiché egli
cade continuamente sotto lo strapotere dell'altro. cioè si sfugge
nella mutezza del suo ascoltare (che non pcn:epi~cc nulla!). Certo
questa dipendenza, simulata come 'alienazion..:', ì.: ancora una volta
'povera', equivoca. Siccome cioè essa nasce dalla clecadenw impo-
tente del dominio nell'cssrre univoco, l'uomo sa anche che egli pub
superare per forza propria questa dipendenza dall'altro, cioè la può
tl'gliere movendo dal centro di potere univoco perdurante sullo
sfondo.
Ma come nell'analogia dell'essere sono supernte entrambe le
perversioni della pura univocità ed equivocità, ogni somiglianza con
l'origine è resa povera attraverso il più profondo abisso della sem-
pre maggiore dissomiglianza, è conservato il mistero dell'unità nella
molteplicità dell'essere, e persiste l'inizio attraverso l'apertura del
suo dominio 'mediante' il servizio, cosl si concreta questo vero ac-
comodamento della differenza ontologica nella parola. Attraverso
ogni parola pronunciata si simboleggia personalmente nell'ambito
di io e di tu la sana o corrotta attuazione dell'analogia dell'essere.
La parola (espressamente o nascostamente) indica sempre se la ri-
flessione attraverso la fuga nell'equilibrio dell'essere 'univoco', fat-
tosi trasparente concettualmente e quindi 'inequivocabile', si sia
sottratta alla povertà dell'amore alienato, cioè alla materia ('cor~
poreità') come campo del suo non fissarsi-in-sé, e al tu come la per-
sonale alterità del suo ascoltare che si abbanduna; oppure se essa,
amando, abbia attuato il suo essere se stessa positivamente ine-
quivocabile, 'superante' ogni alterità movendo dal principio, me-
diante il suo finito essere-nel-mondo e nell'esistenza per l'altro.
Nella parola l'analogia dell'essere ottiene una forma storica. Qui
essa si dispiega come il significato originario del dialogo di io e di
tu, nella mediazione di 'riflessione e amore', mediante l'incarnazio1x
dello spirito. Nella parola l'evento ontologico di 'unità nella molte-
plicità' ha raggiunto il suo libero simbolo. In C'ssa perciò la riduzione
dell'essere al finito si svela anche come gioco.
I.A PAROl.A COME MEZZO llEl.L ANAl.<XilA llf.1.1.'ESSF.RE
0
377
b. Parola e gioco
In ogni gioco arriva alla sua esistcnia concreta una legge formulabile
'inequivocabilmente' detta 'regola', attraverso la sua mediazione
incakolabile_s impreveJibile a priori nel campo plqralisdco dei
fenomeni materiali, degli atti individuali di attuazione, e nelle rela-
;doni storiche di quelli che fannn la 'regola'. Da una parte il gioco
non è reale nella forma della pura 'li.Qfa, sebbene qbesta entri -nel
gioco· come grandezza -·costituente. D'altra parte il suo influsso nel-
l'ambi!Q dcl mondo è J>!>ssibile s~ltanto se la dimension.~ del suo
apparire rispetto alia legge 'univoca', che viene attuata nel gioco
reale e si presenta in modo concretamente visibile, è in sé indeter-
min_!lta. Verso questa indeterminatezz_! deve ess~re _'!_~ta la legge,
nell'inte~ei~~- della s~a realizzazione. Non si può anticipare l'impre-
vedibile come risultato del gioco attuato. Non c'è, movendo dalla
legge 'conosciuta', alcu__!l_a__d~d~~ione conce!fual~dell__! fQrm~ storico-
concreta dell'attuazione del gioco. Ciò che si deve fare nel parti.co-
lare, m;dT~t~~i I~ regola diventa concretamente esistente e entra
nell'esistenza comunicata, non si può sviluppare a priori riflessiva-
mente come imperativo universale. In termini di ontologia: ciò
che esiste è indeterminato nella sua molteplicità rispetto alla sua
unità di essenza e di essere che si manifesta in lui. Se questa verità
non si accetta, allora non si può svolgere nessun gioco. La indeter-
minata molteplicità nell'agire della regola è allora revocata nella
legge conosciuta e determinata fuori dalla sua astratta universalità.
Perciò in questo caso la regola ripete solo se stessa e la riflessione
della legge non va oltre questa. L'atto mediatore dell'alienazione
della parola nell'attuazione storica sarebbe assorbita nel puro s11pere
della regola universale, il valore sarebbe stato sublimato ad una
funzione della riflessione; il mistero dell'amore.! è logicizzato. La
legge unica in sé avrebbe con ciò rifiutato la propria 'incarnazione'
nell'indeterminat<'z.r.a dell'apparire concreto. Infatti questa, nella
sua pluralità materiale e storica, è avviso dcl fatto che la profon-
clità creata dell't.'sscre è data ;n modo pl11rali.rtico solo nella molte-
plice alterità delle forme degli esseri materiali e della loro appari·
zione, rneJiamc c·ssa e con cssa. Nella indeterminatez;.a dcl gioco si
L'UOMO E LA PAROLA
del tu, poiché essa stessa non è nata dalla gratitudine. Colui eh-e
parla strumentalizza colui che ascolta e contemporaneamente ricade
impotente da questi su se stesso. Egli diviene cosl lo schiavo di
colui che credeva di dominare con la sua parola. Questa non ha più
la sua misura nel tu, vuole solo se stessa e plasma su di sé lo spa-
zio del percepire, la potenzialità dell'ascolto. Se d'altra parte la
parola deriva dalla ricettività muta, non nasce dal ringraziamento.
L'ascolto passivo non accoglie niente poiché esso è in funzione
dello strafare dell' 'altro'. Se questi si fosse realmente espresso,
allora colui che ascolta sarebbe risvegliato attraverso l'autocomuni-
cazione del tu, al suo parlare reso libero. In questo modo l'impo-
tente accettazione del silenzio sterile e corrotto della schiavitù si
tramuta repentinamente in una presa verso la parola negata. Nella
parola intesa come 'concetto', l'uomo si assicura del suo potere
sull'altro, il quale precedentemente lo aveva alienato da se stesso.
Ma anche questa parola non è sentita come ringraziamento, per-
ché in fondo non appartiene a colui che la possiede. Essa non era
nata come frutto dell'autorealizzazione di colui che conosce, la cui
alienazione ascoltante nell'altro si era svelata non come radice
della propria maturante autodeterminazione, ma come il destino
della sua mancanza di parola. L'ascoltare non era stato per lui un
pegno della sua automanifestazione attraverso la parola liberamente
prodotta, bensl una sorda sottomissione rispetto a una parola del
tu, il quale si presentava solo determinante, senza lasciarsi da
parte sua determinare mediatamente dall'accoglimento dell'io.
Ma se la parola è immagine interiore della riduzione dell'essere
al finito, rivelazione della sua magnificenza attraverso la povertà
della sua umiliazione alienata, la forma unificante dell'unità di po-
tere e servizio, nata dunque ad opera dell'azione e dell'accogli-
mento, allora essa si rivela anche come simbolo dell'esistenza per
cui si è riconoscenti. Essa è perciò fin dalla sua essenza più origi-
naria 'glorificazione e lode' in cui si fondono rutte le altre forme
del parlare e del linguaggio. Pertanto fin dall'inizio non è mai 'una'
parola, ma è piuttosto mediata e dischiusa nella pluralità di un pe-
riodare, poiché è simbolo dell' 'unità nella molteplicità' e vive della
differenza d'amore dell'essere. La parola è il compendio della glori·
!.'UOMO E !.A PAKtll.,\
sura tale, che a lui si rendono disponibili la vetta più alta e l'abis-
so più profondo, sia nella forma dell'univocità logicizzata dell'essere,
sia nella molteplicità dell'ente materiale dissociato nella contiguità.
Entrambi i poli si capovolgono tuttavia necessariamente l'uno nel-
l'altro. Infatti la povertà dell'ascoltare, quand'è pervertita (come
alienazione attraverso l'altro), implicava la hybris dell' 'essere nel-
l'inizio' preso in possesso concettualmente; e questa 'ricchezza',
che ascoltava solo se stessa, era contemporaneamente impotente
sprofondare della libertà sotto il potere dell'altro. La dialettica del
dominio attraverso il servizio si ripresenta pervertita in questa
forma diabolica.
L'apparenza del farsi fruttuoso erompe dal basso poiché l'inizio
tramite la sua oggettivazione è caduto violentemente nello spazio
del mondo, e la sua impotenza è trasformata nella dinamica di una
'trascendenza immanente' del finito come finito, che ha raggiunto
la sua ricchezza assoluta. Ora finalmente 'parla' quello che per
l'addietro era stato 'il Dio assente'. Ma la sua parola che si abbassa
è solo la proiezione di una libertà che arbitrariamente porta sulla
terra il suo essere se stessa per l'addietro 'sottrattole'.
E questo 'movimento' coincide con lo sprofondare di colui, che
ha cessato di comunicare liberamente la sua parola eterna. L'uomo
è debitore a se stesso del dono della stessa parola; la terra, con
un processo evolutivo, può trarre tutto da se stessa; e quello che
prima era schiavo può porsi come nuovo padrone sul trono del
mondo. Non perché il Signore stesso avrebbe per amore assunto la
figura di schiavo, non perc~é la pienezza dell'essere come dono
proprio attraverso la sua povertà avrebbe reso possibile questo
fruttificare dal basso verso l'alto; non perché Dio per mezzo del
dono 'ha creato' dall'alto il fruttificare dal basso (cfr. Is. 4,,8),
bensl perché l'uomo 'afferra' la parola dell'essere fin dall'inizio in
modo tale che, sulla base della logicizzazione della stessa, egli
diventa con ciò partecipe della assoluta 'sicurezza' di non aver
'niente' dietro di sé, di quello che egli non avrebbe davanti a sé
come pienezza prodotta da se stesso, come dominio di se stesso pre-
cedentemente nullo, ora però divenuto ricco nel processo storico!
A questo punto, nella parola ogni ringraziamento è distrutto. La
25 - Mvsterium Salutis, 11/2
L'UOMO E LA PAROLA
parola è di nuovo spezzata nel puro passato (tutto era già stato
detto nell'origine, quando l'essere è 'stato' sottratto), e nel futuro
puramente a venire (tutto verrà alla parola solo tramite l'uomo,
poiché ciò che è passato è 'nulla'); quindi nella pienezza apparente
e nella povertà apparente. Poiché la libertà dell'essere come amore
non rende libero il vero futuro della parola, essa ba già reso passato
ciò che si produce attraverso l'oggettivazione dell'inizio. Solo la
caduta di questo dominio nella pluralità equivoca, materiale e sto-
rica, quindi l'impotente 'caduta' verso il basso della potenza (che
non dà 'nulla', perché essa ha già assorbito in sé precedentemente
la sua possibilità di essere accolta e di essere ascoltata) suggerisce
all'uomo che egli ha ancora tutto davanti a sé. In verità tutto il
futuro della sua auto-asserzione è già passato, come anche l'essere
sovressenziale è già stato logicizzato oggettivamente e consegnato
alle forme sostanziali degli enti materiali. Al di fuori del ringrazia-
mento il fruttificare della terra distrugge se stesso.
Tutto ciò si concreta fatalmente nell'ambho personale del lin-
guaggio. Come può colui che ascolta svelarsi in se stesso e uscire
dal suo nascondimento come uno che parla, quando io dico solo
«me stesso», posto che egli può divenire «partecipe» della mia
parola solo per il fatto che io mi 'perdo' in lui? Quando nel parlare
io non m'interesso dell'autoasserzione del tu? Quando dunque la
mia parola non è sottoposta precedentemente al giudizio del suo
silenzio accogliente? L'impotenza del tiranno non porta mai lo
schiavo alla vera potenza!
L'autentica attuazione della riduzione al finito dell'essere come
amore non si lascia sostituire mediante l'inerme caduta dell'inizio
nell'alterità dei suoi fondamenti di possibilità. Infatti questa 'ca-
duta' è solo il rovescio della povertà dell'amore rifiutata radical-
mente. Il mio parlare è genuino solo quando la parola viene donata
al tu in modo tale, che egli, in forza della mia parola, giunge alla
rispettiva originalità del suo parlare in modo che il tu custodisce e
si fa garante della mia parola, diventando a sua volta, proprio da
tale accoglimento, uno che parla liberamente. Se la parola non
prende su di sé questo distacco liberatore dell'amore, se tiene occu-
pato dall'esterno il tu attraverso il suo soffocante 'presente', senza
LA PAROLA COME SIMBOLO DELL'ESISTENZA
se stesso. Perciò colui che parla nega un suo essere stato prece-
dentemente accolto in colui che ascolta ed è perciò costretto a costi-
tuire sempre nuovamente il suo presente di fronte al tu. Il suo
futuro nella parola di fronte al tu non è superato da questa con
la percezione, in modo che l'io, nel suo carattere futuro per il tu,
non 'arriva' a se stesso partendo da questo. Il tu che ascolta non
è per lui autorizzazione del suo parlare. Per essere manifesto, co-
me uno che è capace della parola, egli deve quindi parlare conti-
nuamente. Non può mettere in salvo il suo discorso nel silenzio,
per testimoniare cosl il reale sacrificio della sua parola all'altro.
Se egli però, parlando e quindi giungendo all'altro, fosse per
lui 'futuro' e non fosse sempre colui che viene ascoltato dal tu,
se la sua parola non fosse 'stata' nel tu come in uno che è arri-
vato al linguaggio, egli non potrebbe mai essergli futuro. Solo
attraverso un misconoscimento di questa verità si può dire che
allora a colui che parla non resterebbe più nulla da dire e che
verrebbe soppresso ogni futuro di io e tu. Questo si potrebbe asse-
rire solo se si fosse scambiato l' 'essere stato' dell'essere futuro
con l'assorbimento nei suoi fondamenti di possibilità che lo accol-
gono, e non si vedesse più che solo il fatto antecedente della sua
riduzione al finito, cioè la libertà liberata dell'altro, garantisce la
sovresscnziale pienezza dell'essere nell'inizio, cioè la ricchezza del
mio proprio parlare. E, viceversa, solo quando colui che percepisce
«crede• veramente che ha già ricevuto, cioè che è uno che parla,
solo allora il suo ascoltare può aprirsi alla parola futura.
Perciò nel dialogo la parola riunisce in sé tutto il mistero della
temporalità ontologica. In essa io e tu portano a compimento que-
sto tempo nella sua figura, sana o degenere. Se la parola quindi co-
mincia nell'inizio fisso in se stesso dell'essere puramente futuro,
essa rimane da una parte estranea al tu; e d'altra parte si dissolve
nell'altro (sulla base di questa sua provenienza oggettivata). Essa
vien meno in lui come la parola già 'passata', nel tu è solo 'stata'.
Ma il tu, al quale perciò sfugge via cosl il futuro della parola ac-
colta, assolutizza se stesso nella propria parola, perché si è già
raggiunto nell'elemento della parola. L'io è perciò per lui qualcosa
di passato proprio là dove egli, parlando, si costituisce di fronte
L'UO~IO E LA PAllOLA
392
393
finito) pone dalla propria ricchezza ciò che è stato, in modo che già
'era' in esso, a motivo Jclla sua povertà, cosl esso è perciò in realtà
proprio il 'dopo' e il 'non ancora' non disponibile, che abbraccia
tutto il passato eJ erompe nel mistero. «Io ha annunciato il passato
da tempo; esso proviene dalla mia bocca, io l'ho fatto udire. Al-
l'istante io l'ho adempiuto ed esso si è verificato» (Is. 48,3). «lo
te lo annunciai da tempo, prima che avvenisse, te lo feci conoscere,
perché non dicessi: - li mio idolo ha fatto ciò, la mia starua e il
mio simulacro lo hanno ordinato» (ls. 48,5 ). Così parla Dio.
L'uomo quindi non si può riferire alla parola passata, come se
egli l'avesse già compresa come passato. Il futuro gliela rende 'per-
cepibile', da un accogliere gli è attribuito e affidato ciò che egli crede
di abbracciare con lo sguardo. Non si tratta di un patrimonio fisso
che si è sviluppato per forza propria, bensì di qualcosa 'attuato im-
provvisamente'; non mai una realtà che 'perdura' univoca, una
realtà 'esistente, chiusa in se stessa' e separabile rispetto al suo
futuro, bensl sottratta al bando della alterità materiale, al risuc-
chio della 'legge naturale' fissa in sé. Presupposta oggettiva-
mente, vien fissata in modo cosmocentrico solo allora quando l'uo-
mo fa che la parola sia talmente passata mediante la presa in pos-
sesso concettuale del futuro sopraessenziale dell'essere, cosicché
nell'ami-Dio dell'ipostasi dell'essere eretta da lui, egli adora l'op-
zione per se stesso. Allora perb il futuro della parola è per lui solo
passato ripetuto in modo privo di vita. Egli non può più far morire
nel silenzio la sua parola. Essa resta per lui la 'stessa realtà' in una
identità sterile, cosicché in essa la libertà non si può più superare,
non può 'diventare di più'. Il dialogo è ammutolito e gli uomini
si logorano reciprocamente in un discorso infruttuoso.
d. Parola ed evoluzione
7. Parola e silenzio
L'inizio delle nostre parole è l' 'unica' parola dell'essere, che nel-
l'attuazione della riduzione al finito, si svela come I' 'unica' povertà,
che può rendere libera la molteplicità delle parole umane senza per-
dersi in esse. Altrimenti essa non ci interpellerebbe, cioè non po-
trebbe venir percepita, perché 'verrebbe' solo in forza dell'impo-
tenza della sua origine e perciò non darebbe più nulla! Il nostro
parlare quindi ncn riuscirebbe ad uscire dalla fatticità dissodata,
molteplice delle parole finite, già passate. La differenza ontologica,
nel processo di questa assolutizzata riduzione al finito del principio,
verrebbe consolidata e racchiusa in maniera positivistica nel patri-
monio linguistico. Perciò colui che parla non sarebbe nemmeno ora
nella possibilità di denominare la realtà movendo dalla sua radice
sopra essenziale dell'essere. A causa della morte del silenzio è di-
ventato incapace di dire in modo creativo le parole, cosicché esse si
introducano in ciò che nominano. Ciò sarebbe possibile solo se egli
fosse corrispondente all'essere che è la realtà più intima ad ogni
realtà. La parlata resta quindi esterna a colui che parla e a ciò che
vien detto. Perciò anche le cose non possono più ritenere il loro
nome. L'uomo che decreta la parola dall'esterno, ha davanti a sé
un mondo senza nomi. Questo 'sostituisce' per lui, nella sua OSCU·
rità ancora intatta, la profondità del silenzio, cui esso si è negato.
Siccome il suo dire e indicare (radice dic) non eccita il mondo a dire
e indicare se stesso, soggetto e oggetto si separano l'uno dall'altro.
Le parole vengono irrigidite nella semplice funzione di segno, nella
quale tutto ciò che è significante sembra imprigionato nel significato
del parlare. Il futuro di questa parola 'passata' può esser solo l'ano-
nimato del mondo non ancora oggettivato concettualmente senza
riserve, ma sempre ormai deciso.
L'altro aspetto del silenzio mancato si manifesta nel fatto che
PAHOl.A t SILENZIO
tinuam'"ènte con quesl 'incapacità, quasi. deve 'osare' il 'di più' delle
sue parole, rispetto al silenzio, per poter sperimentare il silenzio
come la parola autentica, unica, reale. Soltanto nel dire le sue pa-
role egli prende sul serio il silenzio. Ciò che a lui sembra essere di
mt:no della lingua, gli diventa nel parlare ciò che è sempre di più.
C,osì le parole, nella loro varh:tà dissociata, sono 'più ricche' del
,;ilcnzio (in senso positivo); più silenziose del silenzio, se questo vien
preso per sé. Il pJro farsi muto dentro la parola dell'essere al di là
del suo servizio alienato demro la povertà del parlare finito, e il
puro parlare finito al di là della pienezza dcl silenzio che· dischiude
tutte le parole, si sprofonda nella assenza di linguaggio. Dove l'uo-
mo presuppone a se stesso in maniera riccttivn la parola, senza gene-
rarla creativamente, fa andar in rovin:i la ricchciia del silenzio,
l'autentica parola dell'essere neJla casualità della parola finita sem-
pre già antecedentemente detta. Dove egli produce la parola, senza
ascoltare e senza essere prima da essa determinP~o. sacrifica la
povertà del silenzio aJla potenza mal compresa dell'autentica p&roJa
dell'essere, con la quale egli si identifica. In ambedue i casi la parola
non è più un dono di cui si è riconoscenti. Se la parola è solo posta,
una tesi nominalistica dell'inteUetto, allora essa non si sottomette
più al tu che ascolta. Così dall'esterno costringe l'altro sotto di sé.
Essa si è fatta interamente univoca e ha perduto la positiva pluri-
valenza sopra-essenziale, l'ambito profondo del silenzio che ammuto-
lisce dentro l'abisso dell'essere. Perciò non può rendere libera al-
cuna risposta, perché essa non si vuole realmente comunicare. La
perdita della sua autentica piurivalenza, fondata nel silenzio, ha
distrutto il dialogo. Nella misura però in cui l'uomo scioglie la pa·
rola come forma conosciuta dell'essere da questa sua radice, la
parola non ha proprio più in sé l'incontestabile carattere di 'legge'
e perde in questa 'univocità' pre-cisa (re-dsa) la sua vera univocità
positiva, fondata nella luce sopra-essenziale dell'essere. Essa diventa
plurivalente in senso negativo, cosl che lascia io e tu soli pur in
tutta la apparente dinamica del 'dialogo', che si è corrotto in chiac-
chiera (che può certo essere 'attuale' ma non efficace). Essa costringe
ambedue nel qualunquismo del parlare e dell'udire e 'sostituisce'
in tal maniera la vera plurivalenza del silenzio che nella parola dcl-
PAJlOLA E SILENZIO
quando la tua parola onnipotente, dal cielo, dal tuo trono regale,
balzò come un guerriero terribile in mezzo a quella terra di stermi-
nio, portando, quale spada aguzza, il tuo ordine inesorabile. Ferma-
tasi, riempl tutto di morte» (Sap. 18,14-16). «Toccava il cielo e
camminava sulla terra» (l'eterna personale parola dell'essere della
analog)«· t•ntis, la parola delle parole, il silenzio di tutte le parole!).
La parola adeguata in modo personale all'essere, in quanto essere,
riempie tutto cosl che ancora una volta in modo insuperabile rende
libero al parlare finito l'ambito inesprimibile dell'essere e perciò fa
giungere a sé ogni parlare, che appena ora incomincia a diventare
reale, mediante un abissale silenzio. Il Logos stesso è la povertà
del silenzio assolutamente obbediente, perché è la parola della po-
tenza del Padre che parla nello Spirito dell'amore. Proprio là dove
l'uomo ascolta nella fede il Logos dell'essere, personale, che non
tenne alla sua gloria come a una rapina, bensì fu obbediente fino
alla morte di croce, l'ambito del suo ascoltare finito è compiuto per
lui in modo non 'logicizzato', bensì fatto povero dentro un estremo
silenzio. Perciò egli può nuovamente rientrare nel fondo dd suo
parlare, nella parola personale dell'essere, solo cosl che egli non
identifica la sua parola con questa parola nell'inizio, poiché l'eterna
Parola, amando nell'assoluta obbedienza, ammutolisce entrando nella
sua origine, che parla in essa amando. Essa non dice se stessa, bensì
ciò che colui che parla le ha affidato da dire. Più profonda è la
povertà del percepire creato, più indisponibile è l'essere come amore
in nessun altra parte che là dove questo mistero della consostanzialità
di parola e silenzio si dona al parlare finito attraverso lo spirito del-
l'amore di Padre e Figlio.
Qui vien meno ogni discorso filosofico circa la 'parola dell'essere',
dell'alienarsi, del donarsi, limitarsi dell'essere, discorso che, sorgen-
do dal 'pensiero naturale', sarà continuamente assalito dalla tenta-
zione diabolica di una spersonalizzazione, cioè di una sostanzializ-
zazione (sit 11enia verbo.') dcli 'inizio. Quando parliamo filosoficamente
in tal modo, abbiamo già sempre mentito. Parliamo allora da noi
stessi della 'parola personale dell'essere', senza per questo lasciarci
rendere poveri nella fede. 'Al di là' della fede allora il linguaggio
della fede diventa un linguaggio umano in rovina. Facciamo ciò,
BIBLIOGRAFIA
come se noi potessimo per forza nostra dire ciò che solo Dio può
dare. Tuttavia 'dobbiamo' parlare cosl! Infatti Egli ha rinchiuso
tutto nella disobbedienza, per aver poi misericordia per tutti!
Cosl, attraverso lui, ci diventa salvezza ciò che v'è di più opposto al-
la salvezza. Cosl riesce più facile il cessare di parlare proprio là dove
si crede di non aver ancor detto nulla di 'essenziale', di non poterlo
dire, o di non doverlo ancora dire, data la limitatezza dello spazio.
FERDINAND ULJlICH
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BIBLIOGllAPIA
SESSUALITÀ E MATRIMONIO
1. Prospetto fondamentale
Per la posizione dei due sessi nella società umana e per la loro
accentuazione psico-spirituale saranno e rimarranno normative due
differenze biologiche:
Prima: lo sviluppo di una nuova vita umana avviene dalla fecon-
dazione lino alla nascita per nove mesi nel corpo della madre. Se-
gue biologicnmcntl', scrnndn il corso naturale, un lungo periodo di
allattamento. Tutto ciò logora l'organismo femminile, lega la donna
in lnrgn misura alla casa, ma anche molto vitalmente e personal-
mente ai bambini, e richiede con ciò anche sul piano psico-spiri-
tuale uno speciale adattamento per il servizio immediato al bam-
bino. La relazione della donna verso il suo bambino è perciò, tanto
per l'aspetto fisico quanto per qudlo psichico e spirituale, più im-
mediata cd elementare di quella tk·ll'uomo.
Seconda: il tempo della capacità generativa è molto pm limitato
nella donna che nell'uomo. Durante questo periodo vitale essa è
sottoposta ai periodi di maturazione, in media di 28 giorni ciascuno,
di un ovulo e della sua emissione dal follicolo. Essa ne risente
psichicamente e fisicamente. Nell'uomo non si riscontra nulla di ciò.
Sarebbe sorprendente e strano, se queste due diversità non fossero
alla radice delle normali proprietà del modo di essere dell'uomo e
della donna.
Ma ancor più immediato che verso il bambino è l'attrazione
reciproca, sia nell'uomo sia nella donna, tanto psichico-spirituale
quanto fisico dell'uno verso l'altro. Ciò è espresso da Gen. 2,24 e
3,16. In questo nature.le ordinamento è fondata la possibilità del
matrimonio. La narrazione jahvistica della creazione esprime questo
in Gen. 2,20 nel fatto che fra tutti gli animali non se ne trovava
uno dlc 1xitessc esser d'siu10 e che fosse capace di star di fronte ad
Adamo: lo riconosce solo nella donna creata dalla sua costola ( v. 2 3),
ossa delle sue: osi.;J, carne della sua carne, qualche cosa quindi di se
stesso. E al v. 24 si dice: «È per questo che l'uomo abbandona suo
padre e sua madre e si unisce alla sua donna, e i due diventano una
sola carne».
La comunione di vita di un uomo e di una donna, giuridicamen-
te indissolubile, che: abbraccia tutta la vita compresa quella sessuale,
costituisce il matrimonio. Si può sostenere èome teologicamente cer-
412 SESSUALITÀ E MATRIMONIO
a. Fattori biologici
• Per es. nei pla1elmin1i, nei nematclminti, nei cirripedi, nelle limneidi (Schnecke);
nel regno vegciale l'autogamia è diffusa nelle alghe, nei fonghi, nelle piante con
fiori cleistogami (impollinazione prima dell'apcr1ura Jd bocciolo).
ASPETTI DELLA SESSUAl.ITÌI
da Dio e rivolta 11 lui, che nel mistero della sua intima recirculatio (nel-
l'esodo e nel ritorno <lei Figlio ,,1 Padre. nello Spirito santo) «è relationis
oppositio ... , opposizione della relazione che è Padre, Figlio e Spirito».
J. G. H. HoLT (Autonomie dt•s Gt•schlechtliche11) offre uno spunto trop-
po limitato, ma forse suscettibile di sviluppo, seguendo HEDWIG CoNRAD·
MARTIUS. Per il momento però suscita in me delle riserve, sia dal punto
di vista metafisico, quanto da quello biologico. Ci si può riferire inoltre
a ScHEEBF.N (Dogmatik n/3 n. 37') il quale intende la creaiione del
primi uomini come analogia della processione dcl Figlio e dello Spirito
santo (cf. anche: Misteri del cristianesimo, Brescia 1960, pp. 184 ss.).
Egli ebbe un precursore in CORNELIO A LAPIDE (In Gen. 2,22). L'idea
che la creazione dell'uomo e della donna ebbe come modello le processioni
del Figlio e dello Spirito santo, è profondamente sviluppata da F. ZIM·
MERMANN (Die beiden Geschlechter, pp. 46-~6). Questi non sono altro
che tentativi speculativi fondati più o meno strettamente su dati dogma-
tici e scritturistici.
asserire anche KARL BARTll: « ... tutto quello che si deve dire in ge-
nerale di questa (relazione tra uomo-donna), vale anche in particolare
per il matrimonio: meglio vale prima di tutto e fondamentalmente
per il matrimonio. Ciò che vale: per il matrimonio in particolare dà
in ogni caso la norma per tutto ciò che si deve dire in genere dell'in-
contro tra uomo e donna (KD 111/ 4,203).
lo sono pienamente convinto che il singolo è immagine di Dio,
che la donna lo è come l'uomo. Sono inoltre dcl parere che la so-
cialità umana, e il relativo comandamento dell'amore ad essa con-
nesso, riguarda una parte della somiglianza con Dio che per s6 non
ha niente a che fare con la duplice sessualità, ma che con essa può
tuttavia aver a che fare attraverso la sessualità di uno o più uomini
che s'incontrano. L'uomo ha bisogno del suo prossimo, la persona
umana di altre persone umane: nella prima infanzia per il fatto che
non può mantenersi da sola, e più tardi per ragioni di ripartizioni di
lavoro, essa si mantiene e si sviluppa più facilmente in comunione
sociale; infine, per il suo sviluppo come persona dal punto di vista
fisico e mentale non può fare a meno di partners umani.
Supposto che Dio avesse creato solo un uomo e fosse entrato con
lui in alleanza attraverso una rivelazione immediata, quest'uomo,
grazie a questo rapporto, potrebbe comportarsi sia spiritualmente,
sulla base cioè della conoscenza e dell'amore di Dio, sia per rapporto
alla natura non spirituale, come dominatore ad immagine di Dio, ma
la sua immagine di Dio, che implica anche la capacità di amare, non
avrebbe alcun oggetto adeguato. Non lo sono le creature materiali
e non lo sarebbe nemmeno Dio, perché non lo si può arricdtlrc
mediante nessun amore e venerazione.
Solo la presenza di più uomini rende possibile il dono o l'oHcrta
a un'altra creatura fatta ad immagine di Dio di qualcosa per conser-
varne o arricchirne la vita, per il fatto che gli uomini sono bisognosi
sia fisicamente sia spiritualmente. Questa capacità di donare quakosa
al proprio simile, di poterlo arricchire, è una rispondenza analoga
all'attività di Dio che crea o che arricchisce. E non appena ci sono
più uomini, i quali mai sono completamente uguali l'un l'altro, sor-
gerà cultura umana. Per il fatto poi che ci sono due sessi, le possi-
bilità culturali vengono ancora fortemente aumentate.
SF.SSUALITÀ E MATRIMONIO
mentre nella donna esso può essere .molto debole» (p. 283), per
ragioni in parte di disposizione, in parte di educazione, di svt-
luppo e di esperienze. Ripetiamo che non esiste ancora una psico-
logia dei sessi su hasc universale. Certamente è possibile, purché
si proceda criticamente, scoprire dalla raccolta ddle note caratteri·
stiche la struttura essenziale dei sessi.~ Ma è decisamente sbagliato
minimizzare, oppure trascurare le enormi differenze nd compor·
'amento dci sessi, quali ci son indicate dalla etnologia. Per esem-
pio, non si può passar sopra facilmente al materiale interessante
raccolto da M. MEAD sul lavoro campestre, e tanto meno alla
istituzionalizzazione del ruolo attribuito ai sessi nelle grandi e
antiche culture. Perciò è bene ricordare ancora alcuni dci risul-
tati delle ricerche etnologiche, la cui importanza deve far ri-
flettere.
'- G. SaiE1E1. EM ;,,, Horna111 tl~s Sri111, Essen 19f>J, p. :131, nota 11.
ASPETTI Df..LLA SESSUAUTA
a poco fa. presso molte tribù degli altipiani intorno all'Himalaya, nel
l'India anteriore, nell'India meridionale, a Ccylon, nel Borneo e nelle
regioni agricole della Cina (cf. ancora BERNATZICX III, p. 444 s., l'arti-
colo sulla poliandria, dove si dice: cNonostante i molti divieti, si pote-
vano cosmare fino al presente numerosi casi di poliandria nell'India
meridionale ... all'interno tli Ccylon, come pure nel Tibet. Senza dubbio
una volta cr:i molto più diffusa.. Seguono dl.-gli esempi). Situazioni più
o meno matriarcali, s::n1.a csisten7.il di poliandria, sono però pii1 frequenti
di quelle poliandr!rhe.
Bcrnatzick riferisce dal Sudan (Avatime) di una regina assistita da pani·
colari donne capitribù. Le donne, sia in famiglia sia nella vita pubblica,
erano tenute in grande considerazione, tanto che i capitribù non pote-
vano prendere certe decisioni senza il consenso dell'assemblea delle
donne. Lo stesso autore riferisce (p. ·U4) dei Rotu, presso i quali ancor
oggi sono riconoscibili perlomeno tracce di un antico ordinamento
matriarcale: che la prima donna dcl re veniva onorata come cmadn: dcl
regno• e la donna Rotsc veniva considerata ampiamente alla pari del-
l'uomo. Viceversa nell'Islam, che pennette: una poligamia limitata, la
donna non è tenuta in grande considc:ra7.ione. Secondo H. L. GoTr-
ESCHALK (Fa. Kt>NIG [cd.], Chris111s 11nJ Jk Rtligionen dtr ErJe m,
19,1, pp. '2 s.), l'uomo può semplicemente mandar via la donna senza
indicare i motivi, mentre per la donna è molto difficile: prendere l'ini-
ziativa di separarsi e la sua deposizione in tribunale vale solo la metà
di quella dell'uomo. Secondo BuSCHAN 11, pp. 168 s., la posizione della
donna nell'India è veramente bassa: •L'indù vede in lei solo una crea-
tura inferiore... e, per ogni riguardo, essa è la sua schiava e cosl pure
quella della suocera ... (Le bambine alla loro nascita vengono salutate:
con una maledizione e un tempo venivano uccise in massa) ... L'antica
legge dcl Manu scrive ... che una brava donna deve onorare come un
dio anche un uomo riprovevole:•. Come possono tali relazioni non svuo-
tare profondamente la coscienza della donna della sua dignità e come
può non avvenire che dci notabili abbiano più di cento concubine
(d. TIUMBORN, Die inJianischtn Hochltulturtn dts Alten America, Bcr-
lin 1963, p. 19) oppure che le donne vengano date come paaa (lo., op.
cii., p. 126)?
Accenniamo ora al caso di due occupazioni maschili svolte da donne.
THURNWALD parla (Il, 5.J-56) di guardie dcl corpo femminili presso i
signorotti della Cin:i, dell'India e dcl Dahomcy e fa qualche ulteriore
accenno a donne dci tempi primitivi abili nella guerra. Un'altra occu-
pazione generalmente riservata all'uomo Cd. il prospetto presso W. N.
STEPHENS, The Family in cross-cu/turtJ/ Pt>rspectivt, New York 1963,
P- 282) è la caccia. Ma THURNWALD scrive (Dit mtnuhlicht Gtullscha/t
r, Berlin 1931, p. 42) che presso gli esquimesi alcune delle ragazze più
S1':SSU/\l,IT;.. I'. MA1'KIMllNl<1
giovani si danno anche alla caccia dcl caribi1 e delle: foche, e che tutta
la comunità prenderebbe parte allc ba1tÙ1e al caribù. E. Sc1mLSKl (So
zioluy,ie der Sexualitat, Hamburg 2 196"5 riferisl·c, riprendendo R. L1NT0N.
che presso i Tasmani le donne raggiungon() a nuoto le rupi dove ~tanml
le foche, si avvicinano ad t:sse e le uccidono l'on le mazze, che dànno la
caccia anche all'opossum, e che inoltre si arrampicano su grandi alberi.
Certo grandi prestazioni di caccia, davvero pericolose!
a. Antico Testamento
creazione (v. 28), come, secondo il v .. 22, aveva pure benedetto gli
animali acquatici e gli uccelli, affidando loro un compito analogo.
Forse in ceni testi riguardanti i patriarchi, il tempo di Mosè e
dei Giudici, si possono notare delle tracce di matriarcato (per es.
Gen. 24,28; Lev. 19,3; /ud. 8,19), mentre più tardi l'uomo è sen-
z'altro privilegiato nei confronti della donna.
Secondo Gen. 2,18.20.24 il matrimonio è istituito come mono-
gamico per il superamento della solitlllline e per il conseguimento
di un aiuto simile all'uomo. Ma più tardi si trova la poligamia, co-
me è già narrato nel caso di Lamech (Gen. 4,19) e frequentemente
nella storia dei patriarchi. Solo i benestanti potevano concedersi il
lusso di avere più di due donne, e Dt. 17,17 vede nell'avere nume-
rose mogli, come nell'avere molte ricchezze, il pericolo che il cuore
si allontani da Dio. Secondo l'Antico Testamento, già due donne
possono difficilmente possedere in modo eguale il cuore del loro
marito, cf. Giacobbe con Lia e Rachele (Gen. 29 ss.), Eleana con
Anna e Peninna ( 1 Sam. 1 ). Che questo accadesse di frequente lo
indica il fatto delle disposizioni legali per la successione in Dt.
21,15 ss.
Il matrimonio per il popolo di Dio, come per tutto l'Oriente, è
ordinato alla conservazione e al bene della stirpe. La sterilità della
donna è considerata disonore, disgrazia e castigo di Dio. 11 matri·
monio viene stipulato dai capifamiglia. Ma succede anche che sia
l'uomo a scegliere (per esempio Giacobbe), oppure che la sposa
venga interpellata (Gen. 24,58, cf. 24,5 .8 ), oppure che il desiderio
del cuore della ragazza venga preso in considerazione dal padre
(1 Sam. 18,20). In qualche caso viene riferito come l'amore s'in-
stauri in un secondo tempo, dopo lo sposalizio (per es. Gen. 24,67 ),
oppure come venga preparato psicologicamente (Tob. 6,19). in qual·
che caso si parla anche della sua forza e invincibilità (Cant. 8,6 s.).
Sembra perciò che Israele fosse consapevole dell'intimo valore insito
nel profondo amore matrimoniale; ciò spiega la progrediente
consuetudine del matrimonio monogamico, la quale sembra sia
stata dominante ai tempi di Gesù, come pure le considerazioni
nei libri sapienziali sulle donne di malaffare, sulla gioia dell'amore
e sulla lode delle spose perfette (per es. Prov. 5, 1 8; 3r,1q-31 ;
PER UNA vrs1n1'"F. 111111.IC:A DF.L MATlttMnl\:10
4H
Ecclus 26; 36,2 3-31; negativamente Ecci. 7 ,26 ss. ). L'immagine del·
l'amore di Jahvé per il suo popolo infedele che si esprime attraverso
l'amore matrimoniale sarebbe incomprensibile senza l'alta stima del
medesimo. Bisogna certamente tener presente tuttavia che all'uomo
israelita era permesso dare alla donna il libello di ripudio, con la
possibilità per ambedue gli sposi di contrarre un nuovo matrimonio.
(A Elefantina anche le donne giudaiche potevano dare il libello di
ripudio). I matrimoni riusciti bene erano tenuti in grande onore,
ma i matrimoni non riusciti potevano essere sciolti.
:B da tener presente la grande importanza che si dava alla verginità
della donna prima del matrimonio. Chi commetteva adulterio veniva
punito con la lapidazione: Lev. 20,10 (d. il decalogo: il sesto co-
mandamento si trova tra l'assassinio e il furto). Per altro, l'uomo
godeva di una relativa "libertà nelle relazioni con le ·donne nubili e
con le scllliave; solo non era permessa la violenza. Per il bene della
stirpe, nell'epoca antica era consuetudine di sposarsi tra parenti, ma
in seguito questa consuetudine fu limitata (tuttavia rimaneva il
levirato). Ci stupisce in particolare l'usanza di generar figli unendosi
alla schiava della moglie. Questi venivano considerati figli legittimi
dell'uomo e della padrona della ragazza. Cf. pt.r es. Abramo (Gen. 16,
2 ss. ); Giacobbe ( Gen. 30 ,3 ss.; 9 ss. ). Quindi rispetto al diritto natu-
rale e al sesto comandamento nell'Antico Testamento i problemi a
a proposito di matrimonio non sono soltanto i casi di poliga-
mia, il libello di ripudio e gli atti sessuali incompiuti.7 Forse aiuta
a capire il fatto che il rapporto di Jahvé con il suo popolo, nella
maggior parte degli scritti profetici, veniva descritto come un rap-
porto di ·sposa o di matrimonio, e perciò ogni defezione da Jahvé,
particolarmente nei casi d'idolatria, veniva descritta come adulterio
7 E interessante il fatto che TOMMASO, Exposit. in Gtn. in cap. 16, nei suoi
tentativi di dimostrare la disptnsabilitas della poligamia, la mette in relazione al
significato del matrimonin di Cristo con la Chiesa: «Sic per p/ures uxorts et con
cubinas Si[l.1ti.ficatur, quod praeter unam principa/em tcclesiam sunl aliat sec. quid
Deo coniunctae, lii synagoga in quantum caeremonia/is, et plures congregationu
errantium vel peccantium, in quantum habent a/iquid vtri ti boni ... •. Più avanti:
«Tertia causa est ad mystice d1·si11.nandum, quod caro dehet servire spiritui, et ac·
tiva vita con/emplalivae, et syna[l.oga eccltsiae, et congrega/io schismatica ve/ ille-
giiima seu carnalis verae co/umbae: et quod quidquid in bis boni est, subderivatur
ab uxore principali».
(d. Os. 1,2 ss.; 3,1 ss.; ler. 2; 3; q_,21-27; 31; faech. 16,23; ls.
Hi 62).'
Il servirsi dcl matrimonio per rendere comprensibile il rapporto
di Dio con il suo popolo presuppone una grande stima del matri-
monio unico' e indissolubile, ma anche dell'amore coniugale pro-
fondo, ricco di valori sul piano morale, che supera di gran lunga il
semplice eros sensibile (d. Tob. 6,19; 8,6 s.). Era certamente molto
significativo il divieto esplicito della fornicazione cultuale e l'uso
del compenso delle meretrici per scopi di culto (DI. 23,18 s.). Vice-
versa la fedeltà, l'amore, la misericordia, la premura di Jahvé come
fidanzato e come sposo del suo popolo, eran molto adatti per favorire
una comprensione eticamente e psicologicamente approfondita del
rapporto coniugale. g probabile che solo per il lento sviluppo di
questa intelligenza approfondita, l'ordinamento dcl diritto matri
moniale e deUa sessualità sia potuto andar oltre i punti di vista
della conservazione della stirpe e del popolo quali idee determi-
nanti per la vita sessuale. g da notare che al tempo di Gesù e degli
apostoli il pensiero che Jahvé è lo sposo del popolo e che ogni di-
sobbedienza alla sua volontà costituisce adulterio, era accettato
apertamente da tutti (cf. Mt. 12,39; 16,4; Mc. 8,38; lac. 4,4, forse
anche Io. 8,7). La guida del singolo al matrimonio nei.l'Antico Te-
stamento è vista più volte come guida da parte di Dio. Il sesto
comandamento (del decalogo) è legge di Dio. In Prov. 2,17 c'è un
accenno aL «patto del suo Dio»; Ezech. 16,8 dice a Dio che egli
all'inizio dell'alleanza ha fatto un giuramento al popolo che fa pen-
sare ad una promessa con giuramento fatta all'inizio del matrimonio.
I a. J. ZrEGLEI, D~ LUIH Gollel IHi de11 ProplHI~, Munster i.W. 1930, inol-
tre W. EicmtoDT. Theolo1.ie tle1 AT.. 619,9, 7 IV. Si deve tener presente che P1.
4,, secondo la traduzione del rispettivo Targum, fu inierpretato del Re Messia e
secondo Bertholet solo per tal motivo fu ronservaro. Similmente per il C.111ico
ilei c•nlici si dcve rinviare all'interpretazione messianica dello sposo nel rispettivo
T argum e nel Midras Sbir ha-Shirim Rabba. Secondo Buddc il Ui111U:o u1 ca-
lici deve il suo Kroglimento come rotolo pesqu.ale alla sua interpretazione nel sen-
so del rapporto Jahvé-popolo (E. KAUTZSCH, Die Hl. Schri/1 deJ A.T., Tubingcn
•t92~. pp. 168 e ~90). a. J. BatElllE-NAllONNE, UJ prop!Ntiu melJÌlllfÌqllel
d11ru /11 lilln•l11u iui1Je, Paris 19n. pp. 22 s.
'A proposito di Ier. 3,6ss. (le due spose) d. Jer. 2,2s.; per futtb. 2~ (Ohola
e Oholibal d. 1°111XC11no all'origine unitaria di Eucb. 2J.2; la caduta nell'idolatria
di ambedue i rqni rimane la rottura dell'unico, originale matrimonio con Jahvè.
PER UNA VISJO)l,'E BIJILIC.t\ DP.L MATlllMONIO 435
Movendo da qui, può ben essere compreso nel modo più immediato
il fatto che, secondo Mal. 2,14-16, Dio è presentato come testimonio
contro l'uomo che infedele si è separato dalla donna della sua gio·
vinezza. Tuttavia la stipulazione del matrimonio e il ma~-imonio
stesso non appaiono in sé come affare sacrale.
Il matrimonio con stranieri e il matrimonio con i pagani non
sono ancora proibiti al tempo dei patriarchi. ma solo più tardi per
motivi religiosi (DI. 7, spec. v. 3 s. 6).
b. Nuovo Testamento
" u q1JC1tionc, come debb. esvre spiqiato l'inci!IO Mt. ,.\J ftnorx-rò; >.Oymi
IQIQ'lllaç opputt 19,9 llfr i.xl~ non ci può occupare •1ui. A:Khc ~~li protestanti
arnmrlluno CM r. imf'O'•ihil·· dle." ~.. poua ancnu.nr r .....1u11' J:\'1r10 di diYOrzio;
d. TW1'iT 1,6.f8, noia l.f; 1v.;41. nota n.
SESSUALITÀ I! MATRIMONIO
Certe difficoltà sono collegate con quei testi dei vangeli nei quali Gesù
si serve delle parabole delle nozze, come pure dell'espressione 'sposo'
senza tuttavia parlare della sposa; oppure dove Giovanni Battista si qua-
lifica come amico dello sposo. Questi passi sono Mt. 9,14-17 e par., Mt.
22,1-14; Mt. 25,1-13~ Mc. 2,19 s.; lo. 3,29 s. Alcuni esegeti pensano
dfe gli uditori di Gesù a stento avrebbero potuto capire che con l'im-
magine dello sposo veniva indicato in messia. (J. ]EREMIAS in TWNT IV,
pp. 1094 ss.; ID., Le parabole di Gesù, Brescia 1967, p. 60). Per questo è
bene richiamarsi alla rappresentazione del rapporto di Jahvé con Israele
come di un rapporto sponsale o coniugale. Inoltre ci si deve richiamare
specialmente a ciò che è stato detto a proposito di Ps. 45 e del Cantico
dei cantici (nota 8). Per questo non è errato ammettere che i giudei
11 TWl\'T m,616.
PE!t UNA VISIONE BIBLICA DEL MATRIMONIO
437
19 Sia detto di passajlgio riguardo a Gt,,. 2,21 s.: ogni cellula germinale ~ di
fatto una parte autonoma dell'uomo o della donna, toh1 da essi. Solo anraveno
queste pm11 dt!i I.""' lori nasce un nuovo uomo, non da un atto procreai ivo nd
senso ari.ioteliro-scolastico.
PER UNA VISIONI! lllllLICA Dl:L MATllMONIO
443
lD Cf. ancora r.111 6.1.,; f.pb 1,2J; 2,10.13.1 p.; Col. 1,18·22; 2,9-11.19; J,p.911.;
f.pb. 4,3 s.; Ro1'1 ll,9; G11/ ~.6; Epb. ~.11-16; / Cor. 12,J·l4.19 I Diversità dci doni
e delle operazioni dell'unico Spiri10, che ;, lo Spiri10 di Cristo e che riunisce in
un unico corpo tutti i crcdcn1i, u s.).
SESSUALIT~ E MATRIMONIO
444
21 a. WNF.. I rp. 167, PL , ... 120-4; INNOCEHZO Ili e 0No110 lii, in CJC fontes,
lrd. GASPAHI) 111, Roma 19l,, pp 1 '8 s.; l..F.ost lii, An-.anum Ji11irur dcl 10-l-188o,
riprcu da Pio Xl nella C4lt1 wnn.,bii Jcl JI 12.19}0, rd HcrJcr, n. 83. Per le
concezioni pa1ris1ichc riguardo allo 1posalizio del Logos con la natura umana cf.
RAC. 11,,,7 s.
PEI UNA VISIONE BIBLICA DEL MATUMONJO
447
in un unico bambino. Per questo, più ba,mbini, anzi molti, sono per
un matrimonio una naturale manifestazione della sua ricchezza on-
tologica. E se la comunità umana viene avvantaggiata dalla forza
dell'amore ordinato proveniente necessariamente da ogni buon ma-
trimonio, essa tuttavia viene avvantaggiata soprattutto dai bambini
ben educati, provenienti da un buon matrimonio. Essi sono un
bonum eminens per la società. Poiché il matrimonio ha un signi-
ficato fondamentale anche per i compiti naturali della vita della
persona umana e della società, è comprensibile che esso debba esser
considerato anche come istituzione esigita dalla natura umana
astraendo dal sigillo sacramentale. Tralasciamo di trattare la que-
stione dal punto di vista del diritto canonico.
Certamente il motivo ultimo e più profondo per l'assoluta indis-
solubilità di ogni matrimonio cristiano consumato è la ratio sacra-
menti. Come motivo ultimo ·decisivo si era soliti addurre finora il
bonum prolis, un forte argomento tanto nel caso in cui si discute
con coloro che non riconoscono la sacramentalità dcl matrimonio,
quanto anche per il problema dell'indissolubilità del matrimonio
dei non-battezzati. Bisognerebbe tuttavia domandarsi se riguardo al-
1'unità e all'indissolubilità del matrimonio dei non-battezzati, non
sia da dar rilievo maggiore al riferimento ~ al rapporto di simbolo
dell'unione di Cristo con la Chiesa o dell'incarnazione, delle quali,
almeno in modo sommario, dal paradiso terrestre, ogni matrimonio
è riflesso e immagine.
Il matrimonio ha i suoi fini immanenti, ma esso non è, anche
quando non è sacramento, un puro consorzio esterno che si basa
su di un patto o su una disposizione giuridica sovrapersonale; e
nemmeno è solo in funzione dei bambini. Il matrimonio è sempre
un totale, reciproco mettersi a disposizione di due persone, sessual-
mente diverse, in vista di una comunione vitale fino alla morte,
legato dal diritto reciproco all'atto di unione che attua totalmente
la loro mutua relazione. Ciò non significa solo che, per una consi-
derazione generale, la procrea/io et educatio prolis è, come tale,
fine immanente del matrimonio, ma anche che «l'intima formazione
reciproca degli sposi, il perseverante impegno di andare insi<-me
alla perfezione» (DS H07) ~ pure un fine- immanente dd m11tri-
PP.11 UN'ANTllOPOl.ClG!A DF.I SF.S~I
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hh,1~r.1fi.1: 'rlu.::.:t ·. ·.·1·1 uL1.1~ .1 ... ;'11·11: ,;·e 1: :::l' ...dl j'L'f ~tu-llv ).llCiolr~icn.
'SESSUALITÀ E MATRIMONIO
:ZS Spingono piutlosto in questa prima direzione i testi in R 319 s., 505, 1249,
1253 cf. anche Jakobus von Batnii (BKV, Schriften der syrischen Dichter, 347-350)
piuttosto nella seconda, R 67, 86, II9, 1094, 1176, 1322.
16 De bono coniugali, R 1640, 1642.
27 Tuttavia nel De nuptiis et concupiscentia si 1rova già riferimento a Eph.
5,25: R 1867 ss.
EVOLUZIONI; TEOLOGICA l>ELLA DOTTRINA DEL MATRIMONIO
:11 R 1640.
:zt R 1868.
lO Cf. per lo sviluppo del problema dall'antichità fino all'alta scolastica sopra1-
rutto M. Mih.I.E1., Die Lebre du bi. Allgustinus "°" der Paradiesesehe und ibre
Auswirkung in der Sexuale1hik des 12. und IJ. Jllhrbunderts bis Tbom11S "°"
Aquin, Regensburg 195-f, inoltre P. ADNÈS, Le Mariage, Tournai 1963, p. 59 nota
1. (tr. it., Il matrimonio, Desclée, Roma).
li AAS 43 (1951) 850.
SESSUA!.!TÀ F. MATRIMONIO
sione del dono reciproco, che, secondo ·le parole della Scrittura,
effettua l'unione, in una carne sola. Ciò è molto più dell'unione di
due germi, la quale si può effettuare anche artificialmente, vale a
dire senza l'azione naturale dei coniugi. L'atto coniugale, ordinato
e voluto dalla natura, è una cooperazione personale alla quale gli
sposi, nel contrarre il matrimonio, si scambiano il diritto». La ca-
ratterizzazione dell'atto matrimoniale che qui è data e motivata
come «espressione del dono reciproco», conferisce all'atto un . senso
e un valore proprio, anche quando si pone erroneamente nell'atto
stesso l'unione dei germi, nel senso della commixtzo seminum am-
e
messa un tempo, soprattutto nei casi in cui già in antecedenza è
impossibile una procreatio prolis secondo natura. Questo specifico
senso e valore sono l'espressione concreta, attuata nella ca.-ne, del
dono personale che era stato attuato in modo puramente spirituale
nello scambio del consenso, e sua rinnovata conferma. Senza il ri·
ferimento a questa espressione nella carne, non sarebbe compren·
sibile il nesso simbolico con il rapporto Cristo-Chida, nel quale sono
significativi il dono di Cristo nella morte çorporale e nell'eucaristia.
Anche Pio XII dice in un contesto simile, che il matrimonio in quan
to istituzione della natura ha come fine primario e più intrinseco
quello di suscitare ed educare nuove vite. Potrebbe essere chiaro
che il rapporto significante del matrimonio e dell'atto matrimoniale
con il sacramentum Christi et Ecclesiae sta prima e al di sopra del
fine del matrimonio in quanto istituzione naturale.
Il Vaticano II nella Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mon·
Jo contemporaneo ha fatto, nella sessione pubblica del 7 dicem-
bre 1965 (II ,I) delle dichiarazioni molto chiare e assai importanti
per la teologia del matrimonio. Alcune vengono citate testualmente,
altre vengono riassunte. Riguardo allo scambio del consenso viene
detto (n. 48): «L'intima comunità di vita e di amore coniugale ... è
stabilita dal patto coniugale, vale a dire dall'irrevocabile consenso
personale. E cosl, è dall'atto umano col quale i coniugi mutuamente
si dànno e si ricevono, che nasce, anche davanti alla società, l'isti·
tuto del matrimon.io che ha stabilità per ordinamento divino... Per
sua indole natl!rale, l'istituto stesso del matrimonio e l'amore co·
niugale sono ordinati alla procreazione e alla educazione della prole
liVlll.UZIONE TEOLOGICA OF.LLA DOTTRINA DEI. MATRIMONIO
459
DOMS
BIBLIOGRAFIA
Questioni preliminari
valore a~soluto. Per Dio non c'è quindi posto .1kuno, pnichc qdi rl·11-
derebbe relativa la relazione interumana assoluta.
A favore dell'importnnza llcllc relazioni interumanc parla la psirnlogi.1.
Essa mostra come la person11 sia condizionata persino nella sua coscienza
e nel suo comportamento religioso dal rapporto tra genitori-figli; come
lo svolgere una 'parte' sociale orienti decisamente la condotta umana;
come particolarmente le opere umane siano per lo più opere di gruppo,
improntate dallo 'stile di vita' (dinamico) di una comunità.'
Anche nella teologia si possono e si devono prendere seriamente queste
cognizioni. L'assolutizzazione e la divinizzazione della coscienza sociale
in FEUERBACll, riportate dal marxismo sul piano materialistico, rappre-
sentano al contrario un ulteriore sviluppo 'reazionario' dell'idealismo in-
dividualistico, il quale certamente ancor oggi mostra la sua forza, ad es.
nell'esistenzialismo di un SARTRE. Per lui esistere significa essere un indi·
viduo assoluto, anche se mancato. Già l'esistenza dcl prossimo mi rende
oggetto per lui. Cosl la 'comunità' o I' 'umanità' minacciano il singolo.
«L'enfer, c'est Ics autreu. 2
1 L'uomo con la nascita viene immesso nel 'grembo materno sociale' della fa-
miglia quasi come 'pano prematuro'. Cf. A. PoRTMANN, 'Die Entschcidungcn dcs
m1cn Lcbcnsjahrcs', in Hochlontl 49 (19,2) 11-21.
2 V. RiiFNEa, 'Ocr Pcnonalismus', in Marol :wiscMn Anspr11eh antl V"onl-
wort11ng, Diisscldorf 1964, pp. 407-409, 417.
> H. DE LuBAc. CotholiC"isme. us 1uputs socioux du dot1.me, Paris 1918. PI'
,,6.273.
l}l!ESTIONI PRELIMINhKI
9 Cf. la raccolta di tes1i presi da Tommaso d'Aquino, in A. F. Utz, op. cii. So-
no celebri sopra11u1to i seguenti passi: «Bonum commune multorum melius et
divinius est quam bonum uni11s» (S. th. 11-11, q., 31, a. 4, ad 2); IHl, q. 47, a. 10,
ad 2; «Pars ordinati" ad to/l/m ul imper/ec/um ad perfectum• (S. th. IMI, q. 64,
a. 2 c.); «Homo non ordinalur ad communilalem politicdm secu11dum se tolum»
(S. th. 1-11, q. 21, a. 4, ad 31.
10 Costimzione paslorale G1111dium et Spes, n. 26.
11 Ibidem, n. 25.
QUESTIONI Pl.E.LIMlHAll
mento dell'ambito della libertà dei singoli. Forse che anche nella
natura le parti di un tutto non son~> sviluppate tanto più differen-
ziatamente e sicuramente, quanto più unita e integrata è la strut-
tura del_ tutto? 36 _
"' S«ondo Tcilhar<I tic: Cliardin la concentrazione sempre più spinta di clcmemi
sempre più complessi pon~ ad ul\ll unità di vita sempre più sorprendente Quini<>
più Jilfcrcnzialc le pari.i. lanto mauiorc l'unitiì. Cf. O. A. R~BUT, Grsp.riicbl ,,,;,
fr 1/h<1rd 1/r Ch<1rJ111 (hc1hurg i.Br. 1961 I 2~ s. -43·79 s., (1r. 11., Morcelhana, Bre-
scia I; G. SALZMANN, 'D1e •Personalisicrung~ hci TcilharJ dc Cliardin', in Alb.
,\l,irr. Bloilltr 10 (196\) ;07·ì21; H. DF. l.UBA<., op. cii. pp. 289-311.
l7 I'. K1ù1t.a. Gr1111Jlu11.c·11 J.-r btb Grn·llschll/tslclJrc, Osnabruck 11)6<>, pp. 1,0 s.
COMUNITÀ NELL'ORDINE DELLl\ CREAZIONB
a. Il peccato
65 Dt ci11. Dti 10,6 CSEL 40,1,4,4; 4,6,6-&l; Y. U!NGu, Jlllo"s porn ""t tbéo-
logit d11 14ic.t, Paris 1964, pp. 200-204 e passim.
66 G. THILS, Ttologilt dtUt rtllltò tt"t"t, Alba ZrC)68, p. ro6.
494 L'UOMO NELLA COMUKITÀ
3. · Le comunità concrete
a. La famiglia
10 Cf. Le. 3,38: « ... qui ftul Se1h, qui futl Addm, qui fui/ Dei».
71 H. TlllELICKE, 'fbeo/ !!:bik li 2, Tiibingcn 195K, p. \H.
72 B. HARING, Ehc in dit'Jcr l.t•i/, Salzhurg 1940, pp. 166-169; J. lloHNER, Ebe
und Familie, Miins1cr 1965, pp. 60-87. Cf. sopra nota 68.
L'UOMO NELLA COMUNITA
76 Cf. R. &ENTER, 'Dic Vcrfiigung dcs mcnschcn iibcr scinen Lcib im Lichte des
Totalilii1sprinzip, in MTZ 16 ( i96') 167-178.
L'UOMO NELLA C:OMIJNITA
b. Le comunità intermedie
tutti i compici per il bene della umanità vengano assolti dal gruppo
sociale più adatto allo scopo.
Considerato teologicamente, il bene comune comprende anche le
premesse per lo sviluppo conveniente della sfngola persona. Il sin-
golo deve stare nell'insieme come persona. Come egli è chiamato
per nome da Dio, cosl egli non deve scomparire nella società come
puro numero nell'anonimato di una realtà colleuiva. Questo peri-
colo c'è quando una società attua superstrutture totalitarie e assorbt
le strutture vicine alla persona che sono proprie delle società inter-
medie. Soltanto in queste generalmente la persona può farsi ascol-
tare. Se la parola deve giungere troppo lontano e su un piano imper-
sonale, essa perde l'accento e il calore umani: IO perderebbe ogni
risonanza personale. Anche l'amore perde di molto il suo carattere
umano, se lo si vuole sviluppare in un giro di persone non più domi-
nabile. L'attenzione ai valori della persona richiede che l'amore uma-
no venga dimostrato nell'ordine dato dalla vicinanza delle persone,
cioè ai parenti prossimi, ai colleghi di lavoro, e soprattutto ai 'più
prossimi' del momento. E quando una comunità può essere formata
più umanamente portando i partecipanti ad una libera paritetica
comunicazione, bisogna cercar di attuarla. Ciò è possibile alla società
totale soltanto mediante le società intermedie. Cene grandi organiz-
zazioni e 1st1tuzioni possono lavorare in modo relativamente 'im-
personale' conforme alla loro peculiarità, però soltanto nell'ambito
dei servizi, che non devono divenire fine a se stessi, ma debbono
rimanere subordinati ai valori personali della comunione. Altrimenti
esiste il pericolo che dei 'funzionari' 'amministrino' gli individui
atomizzati, 'materialmente' invece che umanamente, e che la tiran-
nia di un apparato tecnico domini su quella relazione umana e vitale
d'amore, che sola può portare le persone alla libertà.
Non si possono, dunque, ignorare gli enti intermedi della società.11
c. Lo stato
11 li. l'Enws lt' ahril. 'S1"1'. in Sri. vii (•1.,62) 520 ,1q; .I. H. KA1sn, 'S1aa1'
khrr-·. in ~ti. \•111•,,,b21 ~ll96nt> 1h1hl l
LE COMUNl'l'A UlNCRF'l'F
" \'. z~11 KO\"ll'S. v.. , .\/JJ/11.rJ.inlce n.i.·h P.i11(uJ In Riim 13,1·7, \Vien 19').J;
I I T11111.11 1;r. 11•1·0/ E//nk 11 2. Tiibini:cn 1•1,8.
"' Il hrt«r.111<:,im" fJ Jcm·.1r<· l"a111ori1il d..11" ~tale• dAll"ulli<-io di padre. Cf. II_
T111t I u ... , "" j" f'I' \\,.' .\-
L'l'OMO NELLA COMUNITÀ
1111 A. Allf.R, op. c11 .. p. 267; H. THlF.l.lCKE, Theol. l:thik Il 2, Tiibingen ••J58.
H COMt•NITA CONCllF.TI.
BIBLIOGRAFIA
L'uomo, quale essere cosciente, partendo dalla sua natura è teso era
due poli, che egli non può interamente raggiungere e integrare, com<;>
non può svincolarsene e dai quali non può separare, strappare, ta-
gliare il suo compimento vitale ed esistenziale. Essi sono: verso il
basso la materia, verso l'alco Dio.
Dio è l'ambito infinito del suo essere che l'uomo non può mai
raggiungere e fondere completamente in sé, e che tuttavia non può
né negare né rinnegare: sempre per l'uomo rimane una trascendenza
verso l'alto.
La materia è quell'elemento che egli non può risolvere intera-
mente in spirito e che non può dominare pienamente né col pen-
siero, né con la volontà. L'uomo rimane sempre legato a un ele-
mento che non è completamente lui stesso e che sostiene e reprime
nello stesso tempo il suo spirito, lo nutre con sempre nuove im-
pressioni e lo impedisce nel suo slancio verso l'alto, gli conferisce
forza e tuttavia appesantisce la sua volontà, lo potenzia e contem-
poraneamente lo limita. La materia, che gli appartiene, gli fa per-
cepire che egli non è pienamente se stesso, che egli non esiste da se
stesso e non può abbracciare tutta la sua esistenza, che egli non è
solo potenza, ma anche impotenza, che egli non è un essere assoluto,
ma contingente, vulnerabile, non creatore, ma creatura. Egli trae
origine da profondità che non può scandagliare.'
H - M.1•s/cr111111Suiuti<,11/2
LA 1·uaZA CMf.ATKICE PF.l.L UOMO
0
valere anche pc:r ~hri problemi, nei quali l'evoluzione storica ha un grande ruolo.
Cf. J. DAYID, 'Theolugic dcr irdischc:n Wirklichkciten', in FTh S49·~67.
sv1u1r1~111H.l.A n:Ol.OGIA UEI. 1.AVOHO
gare la terra» e deve avere il dominio sugli uccelli del cielo e i pesci
dell'acqua e su tutti gli animali che si muovono sopra la terra
(Gen. r ,28).
Il rapporto dell'uomo con la materia, con il mondo materiale e i
suoi beni non è, secondo il sempre sorprendentemente geniale rac-
conto della creazione, né puramente reale statico, né pura neces-
sità e uso, bensì un rapporto dinamico di 'prendere in servizio',
di coltivare. di dominare. Il racconto accentua in tutto il contesto
il fatto che, sia l'associazione e la comunione di vita tra uomo e
donna, sia anche il mandato e la sovranità sul mondo materiale
hanno qualche rapporto di somiglianza con il Creatore e con I' 'ali-
to' di Dio.
Questo essenziale, positivo e dinamico rapporto fondamentale
dell'uomo con il mondo materiale non è però rimasto inalterato, se-
condo la testimonianza della Genesi stessa. Questa perturbazione
non deriva tuttavia dalla materia, non dalla associazione tra uomo
e mondo materiale, ma dallo spirito, dallo spirito dell'uomo, che
volle «diventare come Dio» (Gen. 3,5), e da un'oscura, inaffer-
rabile forza spirituale. la cui essenza. la teologia, fino ad oggi non è
stata in grado di spiegare esattamente. La caduta in peccato è sl
descriua in modo profondamente significante con l'immagine del
mangiare un frutto materiale (Gen. ~.6), però l'intima esse117.a è il
tentativo dell\:mancipazione da Dio, la disobbedienza, l'innalzarsi
al di sopra dcl creatore, che è l'assoluta fonte originaria dell'essere,
è il tentativo cioè «di essere come Dio».
Conforme a ciò è il castigo: esso si ripercuote nell'ambito mate-
riale (Gen. 3,16-19). ma la sostanza è l'alterazione del rapporto con
l'Assoluto, che causa anche la.perdita della giusta relazione, da domi-
natore, nei confronti del 'visibile', del limitato, dcl contingente:
«Spine e cardi farà spuntare ... Con il sudore della tua faccia man-
gerai pane» (Gen. 3. T 8 s. ). Tuttavia anche questo strappo nella
esistenza umana, che non trae origine dalla natura, ma da motivi più
profondi, non rimane, nello stesso resoconto biblico, senza una pro-
messa (Gen. 3,15), il cui adempimento alla fine non viene da penti-
mento e da sforzo dell'uomo, bensl da una dimostrazione di grazia
da parte di Dio, il creatore, misericordioso e redentore.
LA FORZA CREATRICE DELL'UOMO
dd. Pur nella gioia per lo splendore, per l'oro, per le pietre prc·
I.A FllRU CREATRICI' Jll'U.'llOMO
;dose, per le vesti costose e per gli µngucnti pregiati, che venivano
ammirati specialmente nel tempio e nei re, e nei quali veniva rico-
nosciuto anche un potenziamento Jdla vita, la Scrittura tuttavia
non nascondeva per l'uomo Ja H d11zio11e dcl uare maggior impor-
0
tanza allo splendore: csicrno invt'Ct' che: .1lla aescita interiore. Risul·
tava chiaro non solo il l'l'ricolo per il 'riu:o' di opprimcrc per nipi-
digia il povero, ma anche quello di so!Tocnn: tra 'spini e triboli' le
proprie pili alte aspirazioni (la. 9,22; Pr. 52,9; Prov. 11,28 t'
pauim).
L'esortazione continuamente ripetuta, di elargire elemosine (Deut.
15,rt; Prov. 3,27 s.) era intesa non solo come aiuto per i
poveri, bensì altrettanto come aiuto per la liberazione del ricco
dalla schiaviti1 dci beni materiali e per la spiritualizzazione deg!i
stessi. Nella coscienza dell'uomo entrava in modo pratico, attra-
verso l'elemosina elargita generosamente, l'origine di questi beni
come derivanti non solo dall'abile operosità umana, bensì soprat-
tuuo dalla mano e dalla benedizione di Dio creatore, e la deter-
minazione della finalità degli stessi, di essere, cioè, mezzo per la
attuazione dell'umanità, ma anche per la testimonianza di gratitu·
dine nei confronti del creatore.
Capacità creati\'a, invenzione, attività artistica non ebbero in-
vece nell'amico Israele e fin nel Nuovo Testamento un significa-
to positivo. Esse eran(J, se pur semplicemente esistevano, trop-
po collegate col paganesimo, col culto Jegli Jèi, con la prcpo1cnz.1
e gli atti di violenza dei popoli ci\·ilizzati finitimi, per poter essere:
riconosciute nel loro valore positivo. Solo ciò che direttamente po-
teva servire al culto di Dio, in primo luogo poesia e canto, aveva
un significato positivo. Perfino in / Cor. 10,31 troviamo ancora
questo passo: «Sia dunijue che mangiate, sia che beviate, o qual-
siasi cosa facciate, fate tutto per la gloria di Dio». Non si parla del
lavoro professionale! Cosl pure in Col. 3,16 s.; Eph. 5,19; 1 Cor.
14,26.
La situazione non era molto diversa nel Medio Evo. Lo stesso san
TOMMASO vede nel lavoro solo un quadruplice scopo: appresta·
mento dci beni necessari per la vita, rimedio contro l'ozio, freno
della concupiscenza, possibilità di fare elemosina (S. tb., I-II, q.,
SVILUl'l'U 111'.l.I.,\ TFOLOGIA lll'I. 1.AVORO
2. - Riflessione sistematica
La natura del lavoro umano, nel corso della storia, nella quale si
sviluppano sia il lavoro stesso sia la riflessione sopra di esso, si
svela sempre più come nient'altro che un inserimento di spirito
nella materia. Attraverso questo inserirsi lo spirito stesso si svi-
luppa. mentre dispiega sempre più coscientemente le sue forze del
conoscere, del volere, del progettare, del riuscire. Si sviluppa però
anche la materia, che attraverso questa impregnazione di spirito
non diviene solo qualificantemente idonea all'impiego per l'uomo,
ma anche sempre più spiritualizzata, umanizzata, ingegnosamente
sviluppata nelle sue possibilità, inserita nell'ambito umano e per
questo anche più simile allo spirito. Quanto più la materia
oppone resistenza allo spirito, tanto più lo provoca: essa limita
sl la volontà dell'uomo attraverso le sue leggi, ma la sprona
anche ad un sempre maggior impiego e sviluppo della sua capacità.
Una macchina da scrivere, per es., oppure un cervello elettronico
(computer) non può evidentemente essere costruito senza questa
attenzione alle leggi proprie della materia, la quale, ad opera
della forza dello spirito che riconosce e costruisce, è certamente
sempre più ricondotta dalla sua casuale forma esterna al suo
nucleo sostanziale e quindi viene resa disponibile a sempre mag-
gior possibilità; macchina da scrivere e computer utilizzano a
fondo le possibilità interne della materia - essi indicano però al
tempo stesso qualcosa, che supera semplicemente questa legge
interna della materia e che si colloca più vicino allo spirito razio-
nale che alle leggi proprie della materia. Analogamente del
resto il linguaggio dell'uomo o una sinfonia non si attuano
senza onde sonore, ma sono infinitamente di più, qualcosa di
veramente nuovo, di più affine allo spirito di ciò che noi chiamiamo
materia.
In questa lotta per la penetrazione e la trasformazione della ma-
teria lo spirito stesso si sviluppa; esso si libera dall'arbitrio ed ac-
quista al tempo stesso un incremento di libertà e di consapevo-
1111'1.~SSION~ SIS'l'l~MATICA
521
bb. Egli non lavora solo per sé, ma anche per i suoi: egli si as-
sume attive responsabilità per l'esistenza e per lo sviluppo di altri
uomini a lui affidati: dimostrazione della attiva solidarietà in uno
strettissimo ambito in cui può vivere e vive un'esperienza personale
e che ha acceuato.
LA FOl1.A CltEATUCE DELL'UOMO
cc. Egli non lavora solo per altri, ma anche assieme con altri.
La comunità di lavoro è una nuova forma e un nuovo modo di spe-
rimentare la socialità: ordine, associazione e subordinazione si svi-
luppano. Si dispiega il campo per l'organiz1.azione, direzione e au-
torità, pratica e concentrazione del potere; per la garanzia Jelht giu
stizia, della fedeltà, dell'onestà, della sicurezza, dell'interesse per
gli altri.
L'uomo vale più per quello che ·~· che per quello che 'ha'. Pa-
rimenti tutto ciò che gli uomini compiono allo scopo <li conseguire
una maggiore giustizia, una più estesa fraternità e un online più
umano nei rapporti sociali, ha più valore dei progressi in campo
tecnico. Questi, infarti, inssono fornire, per così dire, la materia al-
la promozione umana, ma da soli non valgono in nessun mo<lo ad
cficttuarlai. (Ga11dium et Spes, 35 ).
Ql1indi l'insieme dcl progresso <."Steriore e la costrm:ione di una
cultura oggettiva vengono di nuovo reinseriti nella crescita ~et·
tiva dell'uomo stesso. Ma questo è tutto? Le opere della cultura
oggettiva hanno solo il valore di far progredire lo sviluppo sog·
gettivo dell'umanità, oppure hanno un valore in se stesse?
r.-..
5 Ci. F. Dl!SSAUEK, Strl'tl ,,,,, 11il' h11ik, Frankfurt 1958; J. IIOMMF.S, Dl'r Ern1
tln Trcb111k. Frciburg , 9 ,,; VI. VAN BENTHEM, D~ E1bo1 J~r Ttcbniscb~n Arb~il
'""' tln Trcbnik. ~ 1966.
alFLESSIUNE ~ISTEMATICA
°
1 Cf. soprattutto le seguenti opere: Il fenomeno umano (Milano 1968), L'am-
biente divino (Milano 1968); L'Avenir de l'homme (Paris 19,9).
RIFLESSIONE SISTEMATICA
e. L'arte
dal puro pensiero razionale, essa si. sottrae anche facilmente al con-
trollo razionale e può perciò, a causa della scissione introdotta dal
peccato originale nell'uomo, cadere in mano alla licenziosità e al
'demone'.
L'intima affinità tra lavoro, tecnica e arte, non si manifesta solo
nel fatto che la ijngua parla del 'lavoro' e dell' 'opera' dell'artista,
bensl anche nel fatto che il lavoro manuale, non appena ha supe-
rato la sua fase elementare, cela in sé sempre anche elementi arti-
stici, e che In tecnica moderna da parte sua si orienta da pure forme
d'utilità a forme artistiche nel costruire strade, nel fabbricare ponti,
edifici, macchine (automobili, macchine da scrivere, ed elettrodo-
mestici). Si parla di 'bellezza della tecnica'. Il più forte elemento di
congiunzione tra arte e tecnica è dato dall'architettura, la quale,
quando è compresa bene, dovrebbe per sé servire sia all'uso pratico,
sia alla bellezza.
Arte e tecnica si assomigliano anche nel fatto che entrambe in·
nanzitutto imitano la natura, ma giungono alla maturità e alla piena
conoscenza di se stesse quando, ad imitazione non già delle creature
ma del creatore, vogliono creare qualcosa di nuovo. In questo con·
siste il loro vertice, come anche la loro tentazione ali' 'hybris'. 12
12 Per ["insieme che qui vien sfiorato solo brcvcmcnlc cf. le OSICl'Vazioni di H.U.
v Balthasar in Myst~"''"' Sal11tis 1/2. pp. 170-292.
Kll'L~SSIONE SISTEMATICA
Il Cf. Y. CAL\'F.Z, Karl Marx, D•rstt'l/11ni 11nd Km1Je seints Dtnletns, Olten
1964 (1r. il K11rl Marx, Boria, Torino).
BIBLIOGRAPIA
con il Dio assoluto, eterno, che chiama, che domina sovrano e che
dona la grazia. Certamente l'uomo ha il diritto, e perfino il dovere,
di diminuire per sé e per gli altri questa fatica. Questo è autentico
progresso. Ma non arriverà mai alla fine.
Se il lavoro viene compiuto per amore del prossimo, come esige
la Scrittura (e come è continuamente messo in rilievo nella Costi tu·
zione pastorale), allora esso purifica, eleva e santifica sia l'uomo che
lavora e distribuisce, sia 4uellu che riceve. Il lavoro libera anche le
forze stesse dell'uomo, ma in una visione cristiana ultimamente
orientata verso mete che sono più alte di quanto possano esserlo
tutti i successi visibili. Dal dominio e dalla prigionia del caduco
l'uomo deve essere liberato ed elevato a una vicinanza e a una so-
miglianza a Dio, che supera ogni umano com-prendere.
Anche la creazione della comunità e dell'unità dell'umanità non
ha, in ultima analisi, senso in se stessa, ma nel legame con Cristo,
nell'amore e nella grazia di Dio, nella partecipazione alla vita divina
e all'amore dell'altissima Trinità. Questa partecipazione però non
è raggiungibile dall'uomo con le sue forze neppure nelle sue lotte,
nelle sue opere e nel progresso più grandi: essa deve essergli donata
da Dio. Così ogni attività umana è relativizzata. Tuttavia essa non
perde il suo valore e la sua efficacia pieni, bensi ne riceve una pie-
nezza, che supera veramente le forze e possibilità dell'uomo e può
essere donato solo da Dio.
JACOB DAVID
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BIBLIOCIAl'IA
'34
I Anzitutto, quindi non t-sclusivamente, poiché per motivi pratici nelle diverse
questioni erano tenuti presenti anche punti di vista dell'ordine della redenzione.
SEZIONE PRIMA
r. Fondamenti biblici
a. L'Antico Teslamento
Ciò risulta dal concetto <li d''mut (somiglianza) altre volte, o in altro
contesto, usato come sinonimo di sNem (immagine) (Gen. 5,1.3; 9,6),
rispetto al quale ha un significato attenuante che intende sottolineare
come l'uomo è simile a Dio, ma non è uguale a lui. Il Salmo 8,6, il più
importante commento veterotestamentario a Gen. r ,26 s., svolge una
perifrasi dei due concetti cons..:rvan<lo lo stesso significato. «Eppure lo
=
hai reso di poco inferiore a Dio ( d'mt1I), l'hai coronato di gloria e
magnificenza ( =relem)»: l'uomo è affine al mondo divino degli angeli
e delle potenze. Perciò anche il plurale «Facciamo ... » non è da inten-
Llcre in senso irinitario e rnrm· un inviro di Dio a se stesso, bensi come
un consigliarsi da parte <li Dio con la sua corte celeste, il mondo degli
angeli (come i Reg. 22,r9-22; lob 1,6; 2,1; Ps. 97,7.9; /r. 6,1-3).
2 TH. C. Va1EZEN, Theologi~ Jes /\T ;,, Gru11J4iig1·n. Ncukir,hcn 19,6. p. 190.
l lbid., 177.
4 G. \'. RAD. op. cii. 1, p. '''-
FONDAMENTI BIBLICI 54 1
b. Il Nuovo Testamento
a. Patristica
L'idea che l'uomo sia formalo secondo un modello concrc10, come i va-
si e gli at1re1.zi di un'opera manuale. è: 1tiì larttamcnlc Jillusa nell'am-
biente oricn1ale an1ico. Negli 11mbicn1i religiosi essa si era introdona
attraverso la concezione: tecnica dcl demiurgo di PLATONE, arrivando si-
no ai Padri, dove è visibile ancora nelle metafore prese dal mondo della
pittura e della scultura. (Dio come 'pictor' e 'sculptor' imaginis).
Platone vede l'in1ero mondo visibile come immagine dcl mondo in·
visibile delle idee. Il mondo delle idee non è per se stesso di nalura
divina, ma 1uttavia suuiste indipendcn1emenre cd è separato completa·
mente dal mondo delle loro immagini. Esso non è né causa efficiente
~ origine delle cose visibili, ma solo il modello secondo il quale esse
si sono formate. Esiste dunque solo la relazione tra prototipo e imma-
gine (solo dimostrativa e non partecipante), tra esempio e imitazione.
La separazione platonica tra prototipo e immagine viene però abban·
donata quando si introduce l'idea dell'emanazione. In questo caso il
modello diventa allo stesso tempo origine. La copia panecipa della se>
scanza del prototipo cd è ad esso legata attraverso i passaggi Ouidi di
una serie discendente di emanazioni. Siccome essa possiede sostanziai.
mente lo stesso modo di essere (che occasionalmente diventa sostan·
ziale identità), l'antitesi sensim sine sens" è abolita. Nelle forme più
elevate di questa concezione la copia stessa diventa invisibile e perciò
è cercata non più nel mondo visibile (che per Platone valeva solo come
immagine) bensì nel centro spirituale dell'uomo. Dal scmplice riferi-
mento di Platone cua finisce per diventare una manifestazione del-
l'idea. Una tale teoria si trova nelle religioni misteriche, negli scritti
ermetici, ndla stoa e soprat1ut10 nella gnosi. Nella gnosi troviamo l'uso
più largo della concezione delle immagini nel smso di un'emanazione
di molteplici serie di iconi dcl Dio altissimo, al quale la vera immagine,
l'cuomo interiore•, è in ultima analisi identica. Nella filosofia di PLO-
TINO, vertice dell'antica speculazione sulle immagini, soltanto l'anima
è la vera immagine di Dio, nella quale si specchia la sapienza divina.
Essa è decaduta dal regno dell'intelligibile e deve ritornare all'origi·
nario stato di unione con Dio attraverso l'homoiosis (un concetto chiave
di ogni 6loso6a derivante da Platone).
lA teologia rabbinico-1arJogiud11ic11 si C'lnscrva quasi immune da ta·
li speculazioni; la somiglianza è intesa da essa come· esigenza di vita
secondo la legge, nella quale si vede l'espressione perfetta della somi·
gliama divina.
LA SOMIGl.IANZA DIVINA DELL'UOMO
'44
Tra tutte le correnti, quella che ha· avuto maggiore influsso è stata
la dottrina di FILONE, che per la prima volta parla di una somiglianza
dell'uomo (in quanto XU't'Etx6vrx oppure dwv Elx6~) mediata attraver-
so il Logos invisibile in quanto esso è FÌluov) cosl che l'uomo appare come
immagine dcl Logos e non più, come nella stoa, immagine del cosmo. Il
vero essere dell'uomo, e perciò unico portatore della somiglianza, è an-
che per F11.0NE solo l'anima ~piritualc.
rationalis mens) nell'unità della sua natura e nella trinità delle po-
tenze dell'anima mens - voluntas - amor, oppure memoria - intelli-
gentia - voluntas. Quest'interpretazione è una delle concezioni ori-
ginali introdotte da AGOSTINO e rimane predominante attraverso
tutto il Medioevo.
li· ,\(vflr•r111•11~ulufff,11I1
LA SOMIGLIANZA DfVINA DELL'UOMO
0 G. BOak~:. 'Des Origenes Lchrc vom Urstand des Mcnschen', in ZK1' 72 ( 111,ol u.
STORIA DEI DOGMI I! Dl!LLA TBOUIGIA
!147
b. La teologia medievale
Nella teologia riformata più recente, si sono distinti per il loro inse-
gnamento circa la somi~dianza sopranutto EMIL BRUNNER e KARL
BARTH. Emil Brunner (Der Mensch ;,,, Widerspruch CBerEn i937); Dog-
matik II (Zurich 1950, 53-93 l ahbo1.za la natura dell'uomo paxtendo
dal rapporto con Dio, che consiste nella relazione io-tu di parola e
risposta_
Poiché Dio vuole comunicarsi a un partner, che risponda alla chiamata
del suo amore con il suo amore di corrispondenza, egli vuole l'uomo
come essere libero, responsabile. La somi,:lianza divina è dunque una
3. Es posizione sisternatica
LO STATO ORIGINALE
1. Fo11dame111i biblici
a. L'Antico Testamento
gnore del monJo visihilc, «di poco inferiore a Dio» e «con il dominio
~ulle opere dclll' tue mani» (Ps. 8,6 s.ì. Se la teologia patristica e
medievale dell'immagine attribuiva per lo più la somiglianza divi-
na solo all'anima, cosl, pur dietro tutto il disprezzo platonizzante
della corporeità, si devono scorgere le intenzioni pit1 profonde che
volevano dar evidenza allo spirito quale elemento detcrminante
della personalità umana.
La somiglianza divina riguarda la totalità umana di corpo e di
anima. Essa comprende il corpo nella misura in rni anche in esso
si fa visibile la dignità della persona umana. Poiché il corpo non è
recipiente di un'anima a lui in fondo estranea, bensl l'incarnazione
dello spirito e in quanto è specificatamente corpo umano, che lo
spirito si forma come manifestazione di se stesso, anch'esso è,
in certo senso, creato «secondo l'immagine della somiglianza con
Dio». Lo spirito umano è essenzialmente spirito in un corpo. Per-
ciò l'opinione di IRENEO secondo cui proprio la corporeità distin-
gue l'uomo dagli angeli e che la somiglianza non vale da ultimo
a proposito di essa, ha un profondo significato giì1 in questa ma-
niera di riflessione, che pensa muovendo dall'essere naturale del-
l'uomo.
Da quanto detto segue necessariamente che la somiglianza divina
nel suo nocciolo non può venir distrutta o andar perduta a causa
della colpa. Essa non è una qualità che potrebbe mancare senza
pregiudizio dell'integrità essenziale dell'uomo, bensì è il centro
determinante dell'essere umano stesso. Con la sua perdita sarebbe
distrutta anche la spiritualità personale, che con essa coincide. Per-
ciò la somiglianza divina espressa in Gen. 1 ,26 s. rimane anche
dopo il peccato, anche se mediante la colpa è stata indirizzata a un
bene ad essa estraneo e perciò è sconvolta nella sua determinazione.
Come rapporto con Dio però essa rimane quale dovere che non si
può perdere e sempre vincolante.
Le asserzioni della teologia paolina circa il primato assoluto di
Cristo anche nella somiglianza divina e circa il rinnovamento della
immagine originaria, gli accenni dei Padri al Logos incarnato come
al modello del primo uomo e la dottrina circa lo stato originario
indicano che l'uomo fin dall'inizio. antecedentemente a qualsiasi
F.SrOSIZIONE SISTF.MATICA
diso, invece che a questo, servono alla descrizione del tempo futuro
di benedizione, nel quale Israele spèra come frutto della sua feJelr.'1
alla legge. Una menzione e!lplicita della ~razia dello s1a10 originale
la troviamo solo in Sap. 2,24 dove viene messa in rilievo la desti-
1
b. Il Nuovo Testamento
La vera portata del racconto sullo stato originale non era espressa-
mente presente né all'auiorc di Ge11. 2, né al popolo d'Israele. Essa
viene svelata solo nel Nuovo Testamento attraverso la rivelazio-
ne della parola di Cristo e appare qui come l'inizio gratuito della
&toria della salvezza, che trova in Cristo il suo compimento. Come
tutti i temi dcl Nuovo Testamento, anche le asserzioni sullo stato
originale e sul peccato stanno esclusivamente a servizio del miste·
ro di Cris10. Esse devono spiegare la realtà di Cristo e rendere
visibile la sua immensa importanza salvifica. Esse devono mo-
strare che egli vince le conseguenze del peccato e restaura la purezza
iniziale. Come la gravità dcl peccato può essere misurata solo dalla
i:r.mdezza del suo atto redentore. così solo il suo dono della grazia
rivela la vera essenza dell'origine volma da Dio. Anche il Nuovo
Testamento raggiunge lo stato originale soprattutto mediante una
riflessione eziologica e lo riconosce come parte del mistero di Cri-
sto. Perciò a priori non si deve coniare sulla possibilità di raggiun-
l'llNDAMENTJ lllBLICJ
Il S. LYONNET, 'Tu Il<" con\·01tcru pu' IRom. VII 71, in N~ot~1tt1llf~t1t1<i1 ' ' P11trr
J/I•"" (F"51schrih O. Cullmann I. l..-1dcn 1961; ivi uhcriorc b1bliogr.
LO STATO UKIGIHAl..E
a. Patristica
dunque opera della sua propria volon.tà. Esso gli portò la perdita
dell'adiutorium e contemporaneamente della rectitudo.
b. La teologia medievale
J. Il magiste,ro
L'antica opinione che Adamo sia staco creato solo 'in naturalibus' (la
iustitia originalis nel senso della prima scolastica) non però 'in gratuitis'
(la sanctitas) trovò ancora numerosi sostenitori al concilio di Trento
LA GRAZIA DELLO STATO ORIGINALE
a. Grazia santificante
b. La grazia di Cristo
c. 'Status viae'
5. I doni preternaturali
a. Significato generale
b. L'integrità
17 · AIVH<'TI""' Safotir.11/2
LO STATO ORIGINALE
gerai, dovrai morire»; «con il sudore della tua faccia mangerai pane
f:inché tornerai nel suolo perché da esso sei stato tratto, perché pol-
vere tu sei e alla polvere tornerai!» (2,17; 3,19). Per il redattore
jahvista il primo uomo dunque si trovavo davanti alla scelta tra la
sua propria volontà, contraria a quella di Dio, che doveva recargli b
morte, e l'obbedienza al comando di Dio, che gli prometteva in
cambio la vita. Che l'uomo ora debba morire, che la morte irrompJ
su di lui con tale amarezza, ciò per lo jahvista è connesso con il
reccato nello stesso modo della fatica del lavoro, delle spine e dci
triboli, dei dolori del parto e del turbato rapporto dci sessi.
Per una romprensione più particolare di queste affermazioni si
deve ancora riflettere su quanto segue: per la fede d'Israele l'aspetto
amaro e distruttore della morte non consisteva propriamente n;~~i
morte corporale, ma nel fatto che il defunto è escluso da Israele, ia·
comunità di salvezza, e dal suo culto, anzi nel fatto che Dio stesso
lo abbandona (ls. 38,18; Ps. 88,6.12; Ps. 6,6; ecc.). Si considera
dunque la morte come realtà primariamente religiosa, davanti a cui
perde d'importanza la fine terrena della vita. «C..ome il concetto di
vita non comprende solo la vita corporea, ma anche tutto ciò che il
giusto ottiene in ricompensa della sua virtù, al primo posto l'ami-
cizia di Dio, cosi il concetto di morte comprende tutto il male che
capita all'uomo come castigo dei peccati, in primo luogo la perdita
dell'amicizia di Dio». 21 La stessa cosa risulta da Sap. 2,2 3 s., dovi!
per la 'morte', che «entrò nel mondo per invidia del diavolo .. è in·
tesa inequivocabilmente la lontananza da Dio, non la morte corpo-
iale; poiché soffrono questa morte solo coloro «che appartengono a
lui (al diavolo)», mentre i 'giusti' «riposano nella mano di Dio».
'Vita' e 'morte' sono inoltre concetti centrali della teologia ebraica
dell'alleanza. Il popolo sta di fronte alla scelta tra vita e morte (Deul.
30,15-20) senza che per questo si debba trarre conclusioni sul
possesso attuale d'un'immortalità. La vita è promessa piuttosto CO·
me ricompensa dell'obbedienza, mentre la disobbedienza alla pa-
rola di Dio porta con sé la morte (b:ech. 3,18-21; 14,13-23; 18;
20,u.13.21; Abac. 2,4; Bar. 4,1). La posizione d'Israele corrispon-
LO STATO ORIGINALE
anche per il primo uomo il fatto che egli possedeva le normali potenze
spirituali umane. Anche la decisione religiosa, a cui Adamo era chia-
mato, non presuppone alcuna esplicita conoscenza dci sinRoli contenuti
di fede nel senso di un11 conoscenza estesa della fede. Né la pouibilità
della dt'cisione stessa, né la sua profondità ed t'fficacia salvifica Jipcn-
Jono dalla misura dd sapert'. Pt"rciò non c'è bi50Rno di supporre una
rivelazione:' sopr11nn11turale con parole, accolta coscientemente:, nd sen-
so d'un ammaestramento divino di Adamo.
La decisione religiosa è possibile ovunque l'uomo accetta la sua esisten·
za nella liherrà e si riconosce posto davanti a Dio nella responsabilità del
bene e del male. Per la spiegazione del dogma dello stato originario
è sufficiente in senso stretto l'esperienza di quei contenuti di conoscen·
za che noi desiRniamo comunemente come raggiungibili attraverso la
'conoscenza naturale di Dio'.
Su di una vera esenzione dal dolore del primo uomo il racconto dcl
Genesi non contiene nulla. Mette in evidenza perfino il dovere dcl la-
voro. I castighi, cui appaniene anche la fatica della vita del lavoro,
non significano un'alterazione della natura o delle forze fisiche dell'uo-
mo, ma vogliono indicare una mutata posizione dell'uomo riguardo ai
fatti della vita, che sono dati con la realtà terrena come tale. La prescr·
vazione dal dolore in senso proprio non si lascia conciliare col mondo
a noi noto.
Con ScoTo e molti altri si può vedere nella grazia la causa ultima
dei doni del paradiso terrestre. L'opinione contraria, che è difesa
ad es., da SUAREZ e che sostiene che i doni preternaturali vi sono
stati uniti solo in base ad un decreto divino e solo per il tempo
dello stato originale, dunque non in base ad un intimo nesso, si fon-
da sul fatto che in Cristo fu restituita solo la grazia santificante,
non perè> quei doni. Questo presupposto si può contestare. Anche
la grazia della redenzione non è attuata pienamente prima che l'uomo
abbia raggiunto la beata libertà dei figli di Dio ( = integrità) nella
trasfigurazione della vita eterna ( = immortalità). Integrità e im-
mortalità sono semplicemente conseguenze connaturali della grazia
della redenzione e non sono congiunte ad essa solo esternameme.
Esse appartengono alla sua manifestazione perfetta. La differenza tra
STOtlCITA DEl.1.0 STATO ORIGINALE
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BIBLIOGRAFIA
Nella sua rivelazione Dio ci dice chi egli voglia essere per noi e
che cosa noi siamo e possiamo essere per lui. La nostra relazione
col Dio della nostra salvezza è l'unità concreta di diversi momenti
che in questi capitoli verranno analizzaci successivamente. Nel no-
stro rappono di creature con il Creatore e di giustificati con il Dio
dell'Alleanza è incluso il fatto che l'uomo si trovi in un atteggia-
mento di risposta di fronte a Dio: nella fede, se si accetta, o nel
peccato se si rifiuta. E al riguardo la parola rivelatrice di Dio fa
presente a noi tutti e ad ogni singolo che il peccato ha ottenuto
potere con noi e sopra di noi in modo che noi abbiamo bisogno
della giustificazione di Dio in Cristo anche come redenzione. «La
Scrittura invece ha rinserrato ogni cosa sotto il peccato, perché ve-
nisse data la promessa in virtù della fede in Gesù Cristo a quelli
che credono» (Gal. 3,22).
Nell'Antico Testamento i profeti e gli agiografi, i 'primi profeti',
formano la coscienza d'Israele ed essi scorgono il peccato in seno
al popolo di Dio. ISAIA inizia la sua predicazione con una dura
requisitoria: «Guai, gente peccatrice, popolo carico di iniquità!
Progenie di scellerati, figli corrotti!» (Is. 1 ,4). A GEREMIA, il pro-
feta della rovina di Giuda, dice Jahvé: «Percorrete le vie di Geru-
salemme, osservate bene e informatevi, cercate nelle piazze se tro-
vare un uomo, uno che operi giustamente e ricerchi la fedeltà e io
le perdonerò... Ahimé, anche questi hanno rotto il giogo, hanno
spezzato i legami!» (]er. 5,1.5). Che i popoli pagani siano immersi
nel peccato, specialmente per la loro idolatria, è un assioma per i
profeti, ma non costituisce mai un motivo per esaltare Israele al di
sopra di loro: «Grande fu l'iniquità della figlia del mio popolo,
maggiore del peccato di Sodoma» (Lam. 4,6; Ezech. 16,46 s.). Que-
sto peccato non si estende però solo sui contemporanei di coloro
INTllODUZIONE
«]ahvé, tuo Dio». Questo rende palese che la creazione con il suo
ordine è stata assunta nell'alleanza di grazia con Dio. Perciò anche
· l'uomo concreto che pecca è elevato alla vita di grazia o almeno
è fatto per essa. L'uomo al quale è donata la vita di grazia può
peccare nel rifiutare tale vita: con l'apostasia, con l'indurimento di
cuore e con una cosciente opposizione all'invito di Dio per una più
intima comunione di vita con lui. Ma anche quando pecca nell'am-
bito delle relazioni interumane, va a toccare assai profondamente
il dialogo tra Dio che dona la sua grazia e l'uomo giustificato; per-
ciò egli con una tale colpa può giocarsi la vita della grazia.
! evidente che ciò non è possibile soltanto entro la Chiesa di
Cristo, ma ovunque Dio doni la sua grazia. Data l'universale volontà
salvifica di Dio, la grazia vien offerta, in qualche maniera, a cia-
scun uomo; in ogni caso, ogni uomo è elevato all'ordine della gra-
zia e destinato a un fine soprannaturale. Perciò il peccato, nel no-
stro mondo, ha sempre un carattere soprannaturale; anche se, per il
suo contenuto, può esser chiamato naturale, è tuttavia soprannatu-
rale come risposta (negativa) a una elevazione soprannaturale.
Se anche in questo ambito si vuol fare della riflessione circa la
creazione, non reale ma solo possibile, senza fine soprannaturale,
cioè circa la natura pura, allora si può parlare di peccato soltanto
per analogia: in tal caso è un 'no' a Dio, solo in quanto può esser
chiamato dialogo il rapporto puramente naturale tra Creatore e
creatura.
Difatti però i peccati commessi direttamente contro Dio che giu-
stifica, si oppongono alle virtù teologiche; alla fede, alla speranza
e alla carità. Ora la carità, l'unico amore, a Dio e al prossimo è an-
che l'anima, la 'forma' delle virtù morali che riguardano immeclia-
tamente le nostre relazioni intramondane. Assieme alla carità lo
sono anche le altre virtù teologali perché la carità trova la sua luce
nella fede e la sua forza nella speranza (come pure, viceversa, fede
e speranza, nella loro pienezza, vivono della carità). Fede, speranza
e carità, queste tre assieme sono presenti come anima nelle virtù
morali. Sl, esse non possono esser presenti altrimenti che incarnate
e precisamente incarnate nelle virtù morali, se comprendiamo tra
queste anche la virtù dell'adorazione di Dio, la religio' che ha per
ESSENZA OEL PECCATO
4,17-19; 5,3-5; Col. 3,5-u; 1 Tim. r,9 s.; 2 Tim. 3,r-5; Tit. 3,3;
1 Petr. 4,3; 2 Petr. 2,12-22; Iudae 10-16; Apoc. 21,27; 22,15). I
peccati enumerati in questi cataloghi esprimono un certo modo di
vivere e un atteggiamento stabile, ma non contengono ancora im-
mediatamente il peccato dell'indurimento, l'livoµC11. 1
Con questo peccato che da Giovanni vien chiamato anche «pec-
cato che conduce a morte» (1 Io. 5,16), i peccati enumerati sono
delimitati verso l'alto. C'è una delimitazione verso il basso? per
gli agiografi dei libri del Nuovo Testamento esistono anche peccati
più lievi? Effettivamente si possono riscontrare degli indizi in
proposito. Le parole del Padre nostro: «e rimetti a noi i nostri de-
biti» ( Mt. 6, 12; Le. 1 1 ,4) sono la preghiera per una grazia che vale
per ogni giorno, come il pane quotidiano e preparano cosl il con-
cetto di «peccati quotidiani, veniali». Ciò vale anche per l'espressio-
ne di Giacomo: «In effetti, tutti manchiamo in molte cose» (lac.
3,2 ). Oltre a questi testi, la tradizione ha fatto ricorso a una espres-
sione misteriosa di san Paolo ( 1 Cpr. 3, 10-1 '); egli parla ivi di
clegno, 6eno, paglia. con cui altri hanno costruito sul fondamento
della sua predicazione circa Cristo. Qui si parla sl direttamente di
una predicazione di qualità inferiore da parte di questi altri, ma il
fatto che mentre la loro opera vien bruciata nel giorno del giudizio,
queste persone stesse csi potranno salvare, ma come attraverso il
fuoco• indica dei peccati per i quali non si sarà condannati, ma dai
quali si verrà purificati. L'opposizione ai cataloghi dei peccati per
i quali ci è stata predetta la condanna da parte di Dio, lascia a
buona ragione intravedere in questo testo un abbozw della dot-
trina dei peccati veniali. In tal modo nel Nuovo Testamento quei
peccati che oggi chiamiamo 'peccati mortali' e 'peccati veniali' sono
in un certo senso già accennati od loro particolare carattere e come
da lontano contrapposti l'un l'altro.
~ persuasione comune della Chiesa che per peccati gravi è ne-
cessaria la penitenza sacramentale, mentre per i peccati veniali si
può esser perdonati mediante esercizi privati di penitenza come pre-
ghiera, digiuno cd elemosine. Entro questa norma 6ssa, varia molto
fortemente la concezione su quali siano questi peccati mortali. Fino
al secolo sesto il tempo penitenziale della Chiesa diventa sempre
più lungo, e quasi senza eccezione era concesso soltanto una volta
nella vita del cristiano; in seguito divença più frequente, meno pub-
blico, per quanto inizialmente non meno severo. Parallelo a questo
corre il fatto che all'inizio la penitenza veniva praticata per peccati
che erano considerati come estremamente gravi, anzitutto per i tre
peccati classici: apostasia, omicidio e adulterio; più tardi però an-
che per altri peccati gravi, tratti dai cataloghi biblici, specialmente
per i peccati contro i dicci comandamenti. Anche per questi peccati
si ritiene. necessaria la penitenza e la riconciliazione sacramentale
perché anche essi escludono dal Regno di Dio (1 Cor. 6,9 s.), men-
tre gli altri peccati non implicano questa esclusione. La moderna
distinzione tra peccati mortali e peccati veniali, che aveva le sue
radici nella Scrittura, ottiene in tal modo il suo pieno valore nella
prassi della Chiesa. Anche il magistero la riconosce. Il concilio di
Cartagine del 418, ispirato da Agostino e approvato da papa Zosi-
mo. e tanto imporrante nella Chiesa per il riconoscimento del peccato
GRADI DEL PECCATil
5 Cosi il Ca1t•,·his1110 tednrn (§ ~1 s.), quello belga (domanda 212 e 216), quello
olandese del 1910 (domandu 284 ~ i87) e dcl 1948 (domanda 381 e 384).
6 K. RAHNEK, 'Zurn 1hcologischcn Bcgriff dcr Kunkupiszenz', in Schriflen I, pp. 377·
414, specialmente p. 401.
GRADI DEL PECCATO
7 Cosl oggi specialmente K. RAHNu, 5ull4 teologid dell.i morte, Bn:teia i!)66,
pp. 36-43; R_ TROISFONTAINES, «]e ne me,,rs piU•, Paris i96o, pp. 109-1,1; L_ Bo-
ROS, Mysterium mortis, Olten 1962 (tr. it., Queriniana, Brescia).
608 l::SSl::NZA OH PECCATO
;. Dio e il peccato
«fu fatto peccato» ( 2 Cor. 5 ,2 I). Ora. però «risuscitato dai morti,
non muore più, la morte non ha più potere su di lui» (Rom. 6,9),
e, conseguentemente, per lui non sono più possibili né dolori, né
tristezza, né angoscia. La tesi addotta a motivazione della devozione
riparatrice al Cuore di Gesù che peccati commessi oggi hanno rat-
tristato Cristo durante il periodo della sua vita terrena, deve esser
riesaminata criticamente nella cristologia.
Per quello che riguarda l'influsso causale di Dio nei confronti delle
nostre azioni peccaminose, la Scrittura indica due aspetti del miste-
ro. Essa annuncia le azioni di Dio e spesso tralascia di nominare le
cause create; questo uso porta alla conseguenza che il peccato sia
presentato talvolta come voluto e operato assolutamente da Dio.
Jahvé indurisce il cuore del Faraone (Ex. 4,21; 7,3; 9,12; 10,1.20;
27; u ,10; 14,8) e Jahvé fa fare a David il censimento per il quale
più tardi lo punirà ( 2 Sam. 24,1 ). Paolo ha presente il primo fatto
quando a proposito di Dio scrive: «egli indurisce chi vuole»
(Rom. 9,18).
Nell'Antico Testamento si fa però strada anche un'altra idea:
l'idea della trascendenza di Dio sugli avvenimenti del mondo.
Spesso questa idea si esprime per ·il fatto che si attribuisce la pa-
rola o l'azione di Dio nella nostra storia ali' 'angelo di Jabvé' o al-
la sua schiera celeste; in questa presentazione la tentazione è attri-
buita a (o a un) 'Satana'. Con chiare1..za particolare, è espressa tale
opinione, la conoscenza cioè della distanza tra Dio e il male, nella
lettera di Giacomo: <cNessuno quando è tentato dica: Sono ten·
tato da Dio; perché Dio non può esser tentato dal male, né tenta
alcuno. Ciascuno è tentato dalla propria concupiscenza che lo attrae
e lo seduce» (Tac. l ,J3 s.). Più tardi la Chiesa ha dichiarato con-
tro il dualismo degli albigesi che Dio ha creato tutto buono e solu
il peccato ha reso cattivo il demonio (os 800).
Già la Scrittura ci insegna che possiamo vedere una causalità di
Dio rispetto al male solo nell'ambito della causalità trascendentale
mediante la quale il Creatore sostiene di continuo il mondo intero,
UIO E IL PECCATO 613
parte di Dio, cioè la morte che ora bisogna considerare come mer·
cede o stipendio di questo padrone (Rom. 6,2 3 ). f:. significativo tra
il resto che non solo il peccato contro Dio provochi altri peccati,
peccati contro il prossimo, ma che ci si possa trovare anche di
fronte al rapporto inverso. Quest'ultimo pensiero è tolto dal van·
gelo di san Giovanni: «E il giudizio è questo: è venuta la luce
nel mondo, ma gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce,
perché le loro opere erano malvage. Chiunque infatti fa il male,
odia la luce e non viene alla luce perché le sue opere non vengano
riprovate» (I o. 3, 1 9 s. ). Per questa incredulità nei confronti della
luce l'uomo «è già giudicato perch~ non ha creduto nel nome del
figlio unigenito di Dio» (/o. 3,18), egli «morirà nei suoi peccati»
(lo. 8,24 ), il suo peccato «rimane» (lo. 9,41 ). Si mostra qui nuova-
mente la «violazione della legge» l'indurimento definitivo. li pec-
cato produce infine questa violazione della legge; peccato nella sua
piena accezione è questa violazione della legge: "'1 iiµaQtiu Èatlv
Ti à:voµla ( 1 lo. 3 ,4 ). In tal modo il castigo dei peccati non è sol-
tanto la «seconda morte», ma anche il peccato stesso «che conduce
a morte» (1 Io. ,,16 s.).
Nella Scrittura l'idea che Dio punisce il peccato è almeno com-
pletata dall'idea che il peccato è punizione a se stesso. Possiamo
addirittura affermare che questa ultima concezione corregge la pri-
ma, perché sembra più di tutte accordarsi con l'immagine comples-
siva di Dio, indicataci dalla fede e dalla ragione (in adesione alla
Scrittura stessa). Si evita qui l'influsso e l'intervento mediante i
quali Dio si inserirebbe nelle cause intramond1ne, e ciò soddisfa di
più anche per l'aspetto metafisico e teologico-speculativo. Molto più
significativo nel complesso della rivelazione è il fatto che in questa
concezione si evitano gli aspetti dubbi della punizione dell'uomo
ed entra in primo piano l'immagine del Dio dell'amore. La pena
non è da intendere come una prestazione per riparare un'ingiusti-
zia. Ancor meno, oltrepassando questa restaurazione ed entrando
m:ll'ambito pubblico, può divenire vendetta della società (ciò che
i: già st1ua cosl spesso~ soprattutto in tempi e presso popoli ancora
barbari). Se la pena umana vuol avere il suo significato, deve spie-
gare chiaramente al delinquente e alla società che cosa è stato il
010 E tL rrn:no
delitto e operare cosl nel singolo e nella societi1 una catarsi. Anche
la pena giuridica perciò, se ha un senso, non sarà applicata arbitra-
riatnente, senza una qualche riscontrabile relazione al delitto, ma
sarà un'evidente conseguenza dcl delitto: poiché ci si è posti al di
fuori della società, si vien ora anche estromessi da essa. Se ciò vale
già all'interno di una società umana qui in terra, quanto più deve
aver valore nella comunione con Dio, che permane in eterno. In
questo senso la pena non è più intesa come un'espressione incom-
pleta di ciò che è stato commesso, ma è il peccato stesso. Solo di
fronte al proprio peccato viene a trovarsi il peccatore, non di
fronte alla vendetta di Dio. Da Dio e dalla definitiva comunione
di amore in cui Dio sarà tutto in tutti, il peccatore sarà tenuto lon-
tano unicamente dalla sua propria malizia. Dio è un Dio di vita
e di amore e a tutti vuol comunicare questi doni; questo amore re-
sta rivolto anche all'uomo peccatore, ma per il suo indurimento
diverrà un fuoco consumatore.
Non c'è bisogno perciò che in questo capitolo la pena dcl pec-
cato venga trauata ulteriormente come un tema speciale. Nella se-
zione seguente si parlerà delle conseguenze del peccato; verrà allora
motivato più da vicino anche il coincidere di peccato e pena.
SEZIONE SECONDA
le pene temporali, che sono tolte col perdono dei peccati o che
rimangono perché il peccato stesso non è ancora perdonato? Con i
peccati mortali ci si gioca la vita della grazia, ma Dio la ridona in
Cristo, quando l'uomo abbandona il suo comportamento peccami-
noso; che significa ora che egli ha ancor da scontare castighi tem-
porali? Anche qui va applicata l'identificazione del castigo e del
comportamento peccaminoso. I castighi temporali significano al-
lora che il nostro comportamento non è ancor del tutto giustifi-
cato, che con la buona disposizione fondamentale e con la corri-
spondente vita di grazia, sono rimasti ancor dei comportamenti
periferici sbagliati. Il purgatorio ne è la punizione risolutiva, pur
potendo essi venir tolti già nella nostra vita terrena. E l'indulgen-
za è una benedizione della nostra purificazione, nella forma invec-
chiata e quindi oggigiorno difficilmente comprensibile, del condono
di una penitenza esteriore.
Il castigo dunque nel suo senso più profondo non resta esteriore
al peccato, ma coincide con esso. Sta però di fronte all'uomo, in
quanto questi non può esser identificato con il suo peccato, lo tiene
prigioniero e lo porta \'erso la morte. Ma non è sufficiente accertan·
quesro in generale e non ci si può certamente fermare a delle im
magini. Ovviamente può, tra l'altro, far parte del contenuto della
azione peccaminosa il fatto che si arrechi danno ai beni, alla salute
e alla vita altrui o dello stesso peccatore: c'è ben un peccato d'as-
sassinio e così via. Mediante tutti questi peccati del mondo è stato
arrecato molto danno alla vita umana; sembra perfino che la razza
umana possa estinguersi mediante i propri peccati. Ma questo non
è il 'danno più profondo che consegue al peccato.
Oltretutto, attraverso azioni peccaminose vengono attuati anche dei
valori mentre attraverso un agire virtuoso è possibile arrecare danno.
Ma innanzitutto: tutto questo danno deriva dal contenuto di deter-
minati peccati, non dalla più profonda essenza di qualsiasi peccato.
Ora si manifesta anche da questa stessa essenza che il peccato causa
necessariamente per noi la rovina? E se sì, fin dove si arriva? Co-
622 CONSEGUENZE DEL PECCATO
' Nel sensazionale capitolo che Hans Ki:ing dedica all'imponanu cosmica di Cristo
come Rcdcn1ore !H. KiiHG, Lii giustifoctnione, Brescia 1969, pp. 16o ss.) passa un po'
iroppo rapidamente dalla morte come corucguenza del peccalo all'anniemamcnto; in
proposito è probabilmeme sono l'influsso di Kart Barth e forse anche di quegli au-
tori scolas1ici che accettano abbastanza superficialmente la possibili1à assoluta di una
11nnihildtio. Se è grazie alla destinazione al Redentore futuro che l'uomo pccca1ore è
rimasto ancora in vita e con1inua ad esser uomo, ciò avviene perché qucs1a des1ina·
zione coincide con la stessa creazione (concreta) e non perché essa, in quamo grazia
(soprannaturale) sos1ituirebbe l'essere: proprio (na1urale) della crca1ura. Cf. RAllNEl,
'Fragen der Kontrovcrsthcologie iiber die Rcch1fcrtigung', in Schri/ten IV, pp. 237·271,
spccialrncn1e p. 269.
CO:-!Sf.GUEH7.E DEL PECCATO
40 - Muteriu"1Sufoti<.11/2
C'.ONSl!GUENZE DEL Pl!.CCAl'O
2. Incapacità d'amare
non veniamo meno per via» (os 39~). In egual modo sono doni
di Dio pure !'«obbedienza alla volontà divina» (os 393) e «l'amore
per Dio» (os 395). Questi concetti rimangono vivi nella Chiesa.
Ancora nel secolo Xli il sinodo provinciale di Sens condanna la
tesi di Anf.LARDO «che la nostra libertà di scelta (liberum arbi-
trium) sia capace da sé di qualcosa di buono» (os 72 5 ). Del resto
gli stessi concetti si trovano ancora sempre vivi nelle preghiere
della Chi~sa, soprattutto nelle orazioni delle domeniche dopo
pentecoste e possono esser riassunti in una confessione della colletta
della prima domenica: «Senza di te la debolezza umana non può
nulla». Ciò è, come le asserzioni precedenti, l'eco delle parole di
Cristo: «Senza di me non potete far nulla» (Io. I 5 ,5 ).
A questa confessione fondamentale e sempre valida la Chiesa ha
aggiunto tre serie di asserzioni dottrinali complementari. La prima
serie tratta delle grazie non ancor giustificanti, ma che tuttavia
dispongono alla giustificazione. Il concilio ecumenico di Trento di-
stingue molto chiaramente lo stato di grazia nell'uomo giustificato
da quelle grazie che vengon concesse per porre gli atti di fede, di
speranza e di pentimento verso la giustificazione, atti che non sono
per nulla falsi o peccaminosi, bensì, al contrario, sono salutari e
dispongono positivamente alla grazia santificante, senza tuttavia me-
ritarla (os 1525 s., 1557). Ne deriva il rigetto del principio baiano
e giansenistico dei due stati che si pretendono i soli possibili per
l'uomo, quello dell'amore (caritas) e quello della concupiscenza
(cupiditas) (os 1930), che vengono opposti l'un l'altro sempre allo
stesso modo esclusivo come «amore per Dio» e «amore per se
stesso e per il mondo» ( os 2 307, 2444 ), mentre è del tutto trascu-
rata la possibilità di una posizione intermedia, cioè gli atti descritti
dal Tridentino. che dispongono alla grazia santificante e all'amotf"
perfetto.
Così è fatta una seconda serie di asserzioni: non sono peccato
tutte le azioni poste da un peccatore (ns 1940, 2302, 2309, 2459),
cioè poste da un uomo prima della sua giustificazione (ns 1949,
2428), oppure non per caritas (os 2 3 r 1) o per virtù (ns r 216).
Neanche tutte le azioni degli infedeli sono peccato ( os 192 5, 2 308 ).
Queste azioni non peccaminose del peccatore posson esser gli atti
INCAPACll'À ll AMAKI·.
0
Qual è ora questo bene limitato, che l'uomo peccatore può ancora
scegliere e attuare? Ci sono certi comportamenti morali, che si at·
ruano in un campo limitato, pèr esempio l'amore all'interno di una
famiglia, di un clan, di una tribù, oppure ancora: la fedeltà alla pa-
tria o per un partito; l'onestà e la castità appunto all'interno di que-
sti confini, ecc. Nel senso luterano si dovrebbe qui _parlare di una
iustitia civilis, che si contrappone alla iustitia spiritualis. Conside-
rati in sé, questi- comportamenti e atti, son da dirsi buoni e certa·
mente non sono peccati; perciò fu condannata la tesi di BAIO, secondo
la quale tutti gli atti posti in stato di peccato sarebbero sempre nuova-
CONSEGUENZE DEL PECCATO
d. Incapacità d'integrazione
3. L'inclinazione al male
mento (Mt. 27,3-5). Ma fin tanto che non segue nessuna conversione
interiore ad opera della grazia, l'egoismo che era alla base della pri-
ma azione continuerà a tener prigioniero l'uomo e a cercarsi altre
vie oppure a irrigidirsi in ostinazione e disperazione. Le azioni ester-
ne, i sentimenti, i pensieri concomitanti partecipano della mutevo-
lezza del nostro contatto corporale con il mondo, ma la condotta
partecipa dell'immortalità della persona spirituale e tanto più, quantCl
più profondamente essa è radicata. Questa condotta cattiva si me-
scola in vario modo con l'incapacità al bene. Perciò nell'uomo in
quanto è peccatore, c'è uno stimolo peccaminoso e un'inclinazione
peccaminosa sia a causa dcl persistere della condotta, che si manife.
stò nell'azione peccaminosa antecedente, sia anche per In mancante
integrazione, quella da ultimo del fatto che le diverse capacità, ten·
denze, istinti, passioni cercano il loro parziale appagamento anche
nella società umana a prezzo del valore totale della pcr·sona umana.
Le inclinazioni bisognose d'ordine diventano 'passioni disordinate',
in quanto esse o vengono travolte da una condotta peccaminosa op·
pure, per la mancanza di amore, non possono trovare integrazio·
ne alcuna. Qui «la concupiscenza concepisce e genera il peccato»
(Iac. 1,15).
Questa considerazione ci pone davanti agli occhi la serietà del fat-
to che c'è quella condotta cattiva. Si ricordino quelle asserzioni della
Scrittura secondo le quali Dio dà al peccatore il suo proprio induri-
mento e così il peccato si punisce da sé, diventando fonte di nuovi
lNClll'<.t,L!ONE AL MALE
a. Carne
b. Concupiscenza
c. Schiavitìi
d. Conflitto
12 J.-P SARTRF., L'Etrt t:I lt' Nf,,111, Paris 7 1943. Cf. R. TaOISFONTAINES, Lt Choix
de J.-P Sartre, Paris 2194,.
CONSEGUENZE DEL PECCATO
del mondo' .
do' sta sotto il giudizio, perché esso non accetta il Figlio e lo odia
(Io. 12,3 r; 15, 1 8 s.; 16,8-II ). A questo 'mondo' Gesi1 non si ma·
nifesta (lo. 14,19-22) per esso nemmeno prega (lo. 17,9) certo non
per mancanza di amore ma perché questo mondo non è aperto a
ricevere questa rivelazione, questa preghiera (cf. 1 Io. 5 .1 6 ), «per-
ché tutto quello che è nel mondo: la concupiscenza della carne, la
concupiscenza degli occhi e la superbia della vita, non viene dal Pa-
dre, ma dal mondo». ( r Io. 2,16 ). «Tutto il mondo si trova nel
male» o «dipende dal maligno» ( r Io. 5, 19 h Nel Nuovo Testamento
si trova una preferenza per l'uso del termine a11i:xp-.l1X al singolare
'Il peccato' è padrone nel mondo, cosl dice Paolo (Rom. 5, q ); Gio-
vanni parla perciò de «il peccato del mondo» (I o. 1,29 ).
D'altra parte appare il tema del dominio 'del peccato' nel 'mon-
do'. Paolo all'inizio della sua lettera ai Romani attesta ampiamente
che Dio, senza considerazione di pt:rsone, ai giudei come ai gre-
ci, a ciascuno darà, secondo le sue opere, vira eterna o ira. tri-
bolazione o gloria (Rom. 2,6-u ), ma poi quando viene a parlare J;
Adamo, mostra come «per la disobbedienza di uno solo, tutti sono
stati resi peccatori,. (Rom. 5,19). Queste due linee corrono una ac-
canto all'altra in tutta la Scrittura. Ciò rende almeno probabile che
anche la solidarietà sia qualcosa di più della somma dei peccati indi-
viduali, senza alcun nesso interno. D'altra parte però essa non viene
costituita dal fatto che la colpa di uno passa semplicemente nell'al-
tro; ciò sarebbe contro il principio della responsabilità personale.
Deve quindi esistere al di fuori dei peccati delle singole persone un
elemento di congiunzione per cui i peccati di uno siano collegati con
quelli dell'altro, i peccati del padre con quelli dei suoi figli.
Questo elemento di congiunzione può essere la punizione, cioè le
conseguenze che da se stesse seguono ai peccati. Si deve però esclu-
derne il comportamento peccaminoso stesso, che per il peccatore è
il maggior castigo, poiché esso è ugualmente non trasferibile come
l'azione stessa. Ma l'isolamento, la costatazione di trovarsi dalla par-
te opposta di quelli contro cui si è peccato, la rovina della salute
spirituale e fisica, l'insicurezza e l'angoscia, tutto ciò può passare dal
peccatore ad altri che a lui sono stati affidati o che a lui sono legati.
Così il popolo di Dio diviso in due regni sopporta la punizione per
la politica di Salomone. Così pure esiste il proverbio: «I figli adul-
terini non giungeranno a maturità, la discendenza di un'unione ille-
PECCATO DEL MONDO
c. Situazione ed essere-situato
norme e dei valori. Ciò accade già tramite ogni cattivo esempio,
che ci impedisce una testimonianza dì vita per il bene e si sosti-
tuisce ad esso, ma che nel medesimo tempo è anche un appello al
male e perciò un'occasione alla caduta, una 'pietra d'inciampo' uno
11Xciv811À.o'll. L'appello al male diventa più forre nella misura in cui
esso è accoppiato con la pressione sociale. L'oscuramento delle nor-
me e dei valori diventa tanto più esiziale, quanto più uno è co-
stretto ad aflid11rsi alla testimonianza dell'ahro. ci11è 4u11nio piì•
ognuno abbisogna di educazione morale.
Per un bambino, che nei suoi genitori non hil visto altro che ii
furto, sarà veramente difficile non rubare. Si può anche arrivare
addiriuura fino al punto, che al bambino non sia accessibile fin dalla
sua infanzia il valore della lcahà, in quanto, cioè, nc:ll'ambienie in
cui il bambino inizia la sua esistenza, manca assolitltJmenle 4uesw
, alore. Questa uhima situazione non la cara11erizzi11mo mmc situa-
zione esistentiva (existentiel), cioè essa non è una situazione, che
troviamo nella nostra esistenza e alla quale noi stessi diamo signi-
ficato, ma la chiamiamo situazione esistenziale (existentUd), cioè
una situazione che precede il nostro esistere e lo tiene circoscritto.
Esaminiamo ciò che l'essere-situato attraverso una simile situazione
esistenziale significhi per la nostra libertà.
Se il caso citato per uhimo è reale, il h11mbino non può ttiunjlerc
alla leahà, e questo non-potere è qui inreso in senso 11ssoluro. An-
cora una volta sia messo in rilievo che con ciò la libertà non cessa
per nulla di esistere, poiché solo un settore determinato è tolto al
suo raggio d'azione ed è precluso ad essa. Non risuha diffidle aff~
mare qualcosa di analogo circa il nostro potere di rnnoSt·c:re. Que-
sto è sempre presente nell'uomo e rimane sempre aperto 11d ogni
realtà (•anima est quodammodo omnia»). D'altr11 p11rtc peri> non
ci si può formare in nessun modo un concerro di u1111 n:altà che
non abbiamo visto o di cui non abbiamo !ot'.J1tiro parlar.:. in breve,
di una realtà \.'he non sia stata desunta dal mondo, 1rami1t: i nostri
organi sensoriali: chi in qualche modo non ha m11i il\'Ulll notizia
degli orsi bi.. nchi. non può formarsi alcun rnncerm di ~..,.,~i; l·ii1 tul-
tavia non si~nifica che in tal modo gli venga neg.ua la \.'ilp1ll'1tà di
conoscenz11. I.o stt>sso valt" per la nosrra lihcra volontà. Pure per
L'ESSERE SITUATO
Solo chi prende sul serio in tal modo il peccato del rifiuto di
Cristo può giudicare tutta la sovrabbondanza delle offerte di grazia
da parte cli Dio, che appunto attraverso la morte stessa di Cristo e
la sua risurrezione ci ha redento da questa situazione. A Dio nulla
è impossibile. Il Padre volle darci ancora il proprio Figlio, anche
quando noi lo uccidevamo, e il Figlio è rimasto fedele all'ordine del
Padre e a noi. Per questo il Padre, e con lui il Figlio stesso, fecero
di questa morte un passaggio a una «vita per Dio» (Rom. 6,10),
che è presente per noi, in un modo più elevato. Il Cristo glorificato
ci è ora vicino come redentore con il suo spirito al di là del con-
fine della morte.
Paolo ha visto la conseguenza che da ciò derivava: il battesimo
per entrare in comunione con il Signore significa ora un uscire dal
mondo peccatore, un passare con lui, attraverso la morte, per cam-
minare d'ora in poi nella novità della sua vita di risorto (Rom. 6,3.
11 ); è un morire insieme con lui e perciò anche un risorgere in-
sieme con lui (Col. 3,1).
L'intera creazione si può dunque ritrovare in Dio solo nella mi-
sura in cui noi attraverso la partecipazione alla morte in croce di
Cristo diventiamo partecipi della sua resurrezione. Come Abramo
dovette abbandonare il paese degli idoli, cosl il cristiano deve mo-
rire al mondo nella sua totalità; la sua terra promessa sta nel cielo
nuovo e sulla nuova terra. Per quanto egli sia già ora partecipe alla
costruzione di questo nuovo mondo, tuttavia la figura del mondo
d'oggi è ancor passeggera, il tempo è accorciato e i valori attuali
non sono valori definitivi ( 1 Cor. 7.29-31). La morte dal momenw
della morte di Cristo mette in risalto piuttosto ciò che rende la no-
stra esistenzl\ terrena un'inanità; la morte ci rapisce non solo il
senso del nostro lavoro (come viene espresso nel libro dei Proverbi),
ma essa ci ha anche rapito colui nel quale l'uomo e il suo prossimo
potevano incontrarsi nell'amore e nel quale il mondo così «sussiste»
(Col. l,17). La morte è diventata inoltre la grande separazione;
la dipartita biologica dal mondo dei viventi in nessun modo viene
piL1 superata ora con una continua ascesa al «Dio tutto in tutti»
( / Cor. 15 1 28), ma, all'opposto, viene inasprita perché noi ci at-
L'ESSERE SITUATO
IL PECCATO ORIGINALE
a. Antico Testamento
Gen. 3 pu(> valere come sintesi di tutto ciò che nelle precedenti
riflessioni è stato raccolto dalla Scrittura circa la natura del pec-
cato. Quantunque vi si parli anche di un comandamento, di una
legge e perfino di una sanzione - motivo per cui Paolo parla di una
«trasgressione» di Adamo (Rom. 5,14) - tuttavia il peccato vi è
inteso in prima linea come un allontanamento personale da Dio.
Esso comincia con l'abbandono della fiducia in Dio e prosegue non
'olo come disobbedienza, ma anche come tentau"vo <li impasse:.·
~.arsi con la propria forza di ciò che è riservato a Dio e di farsi simili
a lui. Gli uomini distruggono la rdazione personale rnn il loro mag-
giore benefattore e perciò non è da meravigliarsi se questi diventa
subito per essi straniero e terribile. Qui si trova descritto in un
1·acconto popolare il momento più profondo di ogni peccato e del
peccato di ogni singolo.
È quest'ultimo anche l'intento del compositore o intende rife-
rirsi a persone determinate? r peccatori qui nominati sono: colui
che in ebraico viene chiamato ha' adam, e «la sua donna», la yuale
solo dopo il peccato riceve il nome Eva (Gen. 3,20: 'awwa' = vita).
Si tratta qui 'dell'uomo' o di una persona concreta di nome Adamo?
Le antiche traduzioni parlano di 'Adamo'. L'esegesi attuale al ri-
guardo è della opinione c~e ha' adam - con )'articolo quindi -
non sia un nome proprio e che in tutta la narrazione di Gen. 2 e 3
si debba sempre leggere l'articolo davanti ad adam. Ecco perché le
traduzioni più recenti interpretano il personaggio principale unani-
memente con 'l'uomo'. Ci troviamo qui di fronte alla figura lette-
raria della 'personalità corporativa'. Il personaggio principale rap-
presenta l'intero genere umano, viene però descritto contempora-
neamente come il capostipite dell'umanità, poiché prima di lui «non
vi era akun uomo» (Gen 2,5) e la sua donna è «la madre di tutti
i viventi» (Gen. 3 ,20 ). Anche lo stato in cui cade questo perso-
~F.I. I.A SCRITTURA
b. Nuovo Testamento
11 S LvoNNT.T, 'Le sens de iq-"1(> en Rom. 5-12 et 1'.-xr11~ d'"' P~r<"S 11recs', in Bi-
blica \6 ( t9nl 416-45i; lo.: 'Le péché origine! et l'exr!lèse de Rom. ,,n· 14'. in RSR
.µI lQ\6) 6\·84. Tra gli eseJ?Cti modem! L. Cerfaux f f.,. Chmt J.ini [.,; 1héolo11.ie Je
111mt P.zul, Paris 1951, p. 178J vuole però riierirc i•1 '•i• ad AdJmn l" r..-nd..-rlo no,
con /11 q1<0, ma con ..a causa di colui per il quale•. (.luesto riferimemo ad •Adamo•,
che è separato da 1hç'q1 da alcuni altri sostanrÌ\•i, non sembra grammaticalmente tanto
accenabile. Concretamente tanto J'~i di Cerfaux Quanro Quella che dipende dal-
J'in quo della Volgara rappresenta un cm..-euo bibla:u. J condizione ,hc s'interpreti
poi cAdamo• come una •persona rnr(lOrati\·a-. A nosrni parere nulla dice la Scrit-
rura circa qualcosa come un'•inclusione ontologica• dell'umanità di Adamo.
N• 11.A SCRITTURA
" L'opiniunr che :uivn; fiµn1,1tuv di Rom j,12 si riferisca ai peccali P<'fsonah ,.
dilna anchto con en~r11i1 d1 O Kuss. Du Romerbrtr/ 1 !Regcnsburg 1c";l. p. 1\1
ltr. i1.: l..cller.1 111 Rum11ni 1, Morcelliana. Brescia). Noi rimandiamo anche 1ll'excuru1s
biblico-1eologico Slinde ""'' T od, Erhtod und Erbsiinde presso Kuss, op. cit , pp. 141·
174.
668 PJ!.CCATO ORIGINALE
21 Sicuramen1e ques1a ttaduzionc laiina è siata in1esa per mol1i secoli in un signi·
6ca10 che Paolo non in1endcva, ma bisogna vedere se questo è il signi6ca10 origi·
nario dell'in quo della Volgata. Queste parole non devono necessariamente esllCtt
intcrprelate come pronome relativo, quindi nel significato di 'nel quale' o 'in cui'.
Esse possono anche csxre una congiunzione, una abbreviazione di 'in co quod', con
un si11nificato di 'sotto la quale circostanza' e perfino di 'dove'; l'ultimo si avvicina al
significato di 'a condizione che', che :ioi abbiamo attribuito all'lq:'41. Una prova
che !'in q1'o di Rom. ,,12 si può intendere anche in questo modo, può ronsis1cre
nel fatto che diversi altri autori lasciano sussistere l'i11 quo in citazioni abbreviate,
anche se non c'è il sostantivo a sé stante cui il pronome relativo possa riferirsi. Tut·
iavia in quo non fu inteso in questo senso per molto tempo; esso fu presto intcr-
prelato come pronome relativo, che si rifctiscc ad 'Adamo': •Adamo, in cui tutti
hanno peccate»>.
4} - Mysterium .'ìalu:ir.. 11/2
PECCATO ORIGINALE
b. Il pelagianesimo
Secondo questo, Paolo nel quinto capitolo col suo confronto tra
Adamo e Cristo ci mostra che «noi, che seguendo questo Adamo
(sequentes Adam) ci siamo allontanati da Dio, siamo di nuovo con
Dio riconciliati attraverso Cristo» (op. cit., 45). Il peccato dei di-
scendenti di Adamo non è poi nient'altro di più che l'imitazione di
un modello. Riferendosi alle parole: «il peccato è entrato nel mon-
do» Pelagio osserva: «attraverso l'esempio o il modello» (exemplo
vel forma). Si comprende da sé che con la proposizione «tutti pec-
carono» sono intesi i peccati personali. Mentre i padri greci spesso
non intendono «i molti» del versetto 19 come «tutti», Pelagio in-
comincia ancora dal versetto 12 a fare eccezioni: Abramo, Isacco
e Giacobbe non sono morti. Secondo la sua opinione, Paolo parla
qui solo generalizzando. Perciò egli può affermare: «Come il pec-
cato, quando esso ancora non c'era, è venuto per mezzo di Adamo,
cosl anche la giustizia, quando essa non era rimasta quasi (paene)
in nessuno, è stata richiamata attraverso Cristo» (ibid.). Che la gra-
zia venga in maggior pienezza che il peccato, Pelagio lo spiega nel
modo seguente: «Adamo non ha trovato molta giustizia da pot~r
distruggere con il suo esempio; ma Cristo ha cancellato con la sua
grazia ii peccato di molti e Adamo died~ solamente l'esempio di un
peccato (solam formam fecit delicti), ma Cristo ha perdonato gratui-
tamente il peccato. ,,,me anche offerto un esempio (exemplum) di
giustizia» (op. cit., ·t:(>· E ancora, riferendosi al versetto 19: «Co-
me, per l'esempio (exemplo) della disobbedienza di Adamo, molti
hanno peccato, così anche per l'obbedienza di Cristo molti sono giu-
stificati (op. cit., 48). '
Le conclusioni che questa posizione racchiude sono espresse più
chiaramente dal suo seguace spirituale CELESTIO. Questi fu accu-
sato a causa di sei tesi tolte dai suoi scritti che possiamo conside-
rare come la formulazione dçl pelagianesimo classico. AGOSTINO
le riproduce due volte nelle sue opere (Dç gestis Pelagii XI, 23, PL
44,333 s.; De peccato originali XI 12, PL 44,390), entrambe le
volte nella stessa forma. Esse, tradotte nel discorso diretto, suo-
c. Agostino
d. La scolastica
25 f;: significativo a tale proposito il fatto che alcune enciclopedie protestanti non
ci1ano il peccato originale sotto un vocabolo particolare. Cosi RE ( 3• ristrmpa del
1896), EKL (1956) e RGG (31957).
26 Così tra gli altri P. ALTHAUS, Die christllche Wahrheit. Lehrbuch der Do1.matile,
(Giitersloh 31952) 367·3n; E. BRUNNF.R, 'Die christliche Lehre von Schopfun~ und
Erlèisung', in Dogmatik u, Ziirich r950, pp. u6-125; R. PRENTER, 'Schi.ipfung und
Erléisung', in Dogmatik 1, Gotting 1960, pp. 237-244; P. TILLICH, Sy·stemulis<·he
Theologie 11, Stuttgart 1958, pp. 35-52. Da parte cattolica questa teologia protcstanie
del peccato originale fu prescn1ato da H. VoLK, Emi! Brunners Lehre von dem Sundtr,
Miinster 1950, pp. 40-43; 96-138; e l.. ScHEFFCZYK, 'Die Erhschuld zwischen Natu-
ralismus und Existentialismus', in MTZ 15 ( 1964) 17-57, specialmente 31-44.
DOTTIUNA DELLA OllESA 68~
a. Dichiarazioni pretridentine
c. Conclusione
is Vedi la discussione ira I'. SPADAFORA. 'Rom 5.12: esegesi e riflessi dogmarici', in
Dn·ìmtas ~ ( 1960) 1lll)-29H ~ S. LvoNNET. 'I.e: péché origincl cn Rom. 5,12. L'Exégèsc
des Pères Grecs ..-1 (l.,. &.'crc:is d11 C.oncilc dc Trente'. in Biblica . .p ( 1Q6o) 12~-U5
PECCATO OIUGIN.\LE
JI a. P. SMULDEIS, Theologie und EllOl11tion, p. 2,0, nota 228: cFu già espressa
l'opinione che il monogenismo sia dottrina di fede e proprio in bue .U'autoriù dci
vescovi che paneciparono al concilio Vaticano primo. Fu infatti proposto di definire
che '1u110 il acnerc umano discende dall'unico Adamo' (Mansi n,236) e dci ses-
santa VC"SCOVi che si pronunciarono su ques10 pro~uo nessuno sollevò obiezioni con-
tro questa parie dello schema. Una prova impressionante per la convin2ionc dci ve-
scovi. Una considerazione più accurata però fa dubitare. I vescovi avevano l'intcn-
nonc di in)Cgn.uc che l'umanità ~ una, di fronte ad una 5Clllcma per la quale i
negri o gli indiani non erano considerati come autentici uomini, nostri simili: cii
1tt20 dogma. che ••iene proclamato, è l'unità dcl genere umano• (212; d. anche DS
212 3). 1n modo dd 1u1to OV\'io cui espressero questa domina con la formula del-
l'unico progenitore. Forse una discussione portala più avanti avrebbe dininto tra la
dottrina e qun10 modo di presentarla.
DOlTRINA DELLA ClllESA
denti, il che corrisponde alla visione di. san Paolo e dei padri greci.
Il peccato originaie del bambino diviene meglio comprensibile qua-
le caso limite dello stato di peccato. che esiste nell'adulto non bat-
tezzato e che produce effetti posteriori nel battezzato. L'influsso di
Adamo viene fatto passare ad altri tramite i peccati successivi e,
nel contempo, viene diflerenziaw, il che si dimostra appunto nella
vita successiva dei discendenti. In questo modo la caduta di Adamo
e il peccato originale, col quale l'uomo viene a quesro mondo, per-
dono già molto di quello strano sapore mitico che la trattazione
isolata della teologia classica ha dato loro 'involontariamente.
razione della grazia in noi non vengono a loro volta ristabiliti. A ciò
si può rispondere o affermando che la natura umana stessa sia stata
data ai primi uomini in un modo d'essere intrinsecamente diverso,
oppure che i doni preternaturali ci verrebbero restituiti, ma solo
nel compimento finale. In ambedue i casi gli uomini primi storica-
mente vengono resi figure di una grandezza sovrumana, escatolo-
gica, contro di che si oppone energicamente la nostra odierna conce-
zione dell'uomo e del mondo. Alcuni particolari della figura clas-
sica del primo uomo si appoggiano su una simile concezione non
evoluzionistica riguardo all'inizio della nostra schiatta, ed anche su
di una falsa esegesi, per es. per ciò che riguarda la scienza straordi-
naria, che viene attribuita ad Adamo. Simili particolari si possono
tranquillamente lasciar cadere, e ciò accade anche perfino in quei
teologi che pur rimangono fedeli alla dottrina classica dcl peccato
originale.
:E. pure possibile spiegare l'esenzione della concupiscenza (immu-
nitas a concupiscentia, integritas) prima della caduta nel peccato e
la presenza della concupiscenza dal momento del peccato originale,
in modo tale che si ammetta un cambiamento non nel rapporto tra
anima e corpo, ma nel rapporto della libertà umana con il mondo:
da una parte uno stato dell'integrazione nell'amore o della sua po&·
sibilità, dall'altra parte una bramosia non integrata per la mancanza
di amore. •
Se si procede cosl nella dottrina del peccato originale, allora non
v'è in questo punto differenza alcuna con ciò che fu già indicato
come implicazione dell'essere-situato tramite il peccato del mondo.
Se si potesse ora spiegare il rapporto dell'uomo con la morte allo
stesso modo, allora il peccato originale e il peccato del mondo con-
corderebbero anche in questo punto. Ma ciò è poi possibile? Ap-
punto in considerazione della morte si ha l'impressione come 5e
non solo la teologia classica, ma anche il Magistero ci costringessero
ad attribuire al peccato di Adamo un'inffuenza più profonda che al
peccato del mondo. Si tratta qui soprattutto del primo canone del
concilio di Canagine. Siamo noi perciò costretti a considerare l'im-
mortalità prima della caduta come una assenza della morte biologica,
in modo che la mortalità apparterrebbe alla nostra costituzione bio-
PECCATO OltTr.INALE ASSUNTO NEL PtCCATO DH MOMlO 711
' 1 Testi, tra il resto, presso J.·C. DIDIER, 'Un cas t)'piquc dc Jc.'vdop!'<'mcnt du
dogmc. A propos Ju bapréme dc-; cnfants', in Mi/a,,f.eJ de wmco rdiR q ( 1952)
IC)l·214.
l6 Per le dichiarazioni dcl mai:i~1nn cf. in qucslo volume anche il capitolo 8, SC·
ziunc 1. pp.215s.
BIBLIOGllAFIA
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BIBLIOGRAnA
1 Tutte le rispettive dissertazioni di data più recente vengono a parlare dei presenti
problemi. Tratta soprattutto questioni di tipo generico J. \'(I AC;NF.R, 'Der En11cl im
Leben des modernen Menschen', in LuM 21 (1957)7·17. Per il ripensamento teo-
lcgico attuale cf. K. RAHNER_. 'An11elolo11i~', in IJI\. 1I1<151 J 5 n·538; lo., 'Viim<>
nologie' in l.TK nr( 1959) '-Il· '-17·
QUESTIONI PRELIMINARI
ALL'ANGELOLOGIA E ALLA DEMONOLOGIA
r. La problematica
Uno sguardo alla prassi ecclesiastica odierna ancora valida può far
apparire infondata la difficoltà or ora accennata. Fino ad oggi in-
fatti la Chiesa nei suoi testi di preghiera parla tranquillamente
degli angeli, cdebra feste proprie degli angeli, unisce ogni giorno
nella celebrazione eucaristica la sua lode con l'acclamazione ado-
rante delle schiere celesti, proclama nella sua azione liturgica la sacra
Scrittura, la quale tratta tanto frequentemente dei messaggeri di
Dio. Sembra che, quanto agli angeli, tutto sia in perfetto ordine,
ora come prima.
Con una tale asserzione ci s'abbandonerebbe però a un'illusione.
Appare ora sempre più che nella vita dei fedeli adulti del nostro
tempo - nonostante il movimento liturgico - la conoscenza ri-
guardo all'esistenza e al potere degli angeli minaccia di scomparire.
Nella coscienza dell'uomo moderno hanno preso posto una certa
sobrietà e riservatezza riguardo agli angeli e alla loro natura. Di tale
atteggiamento si possono indicare motivi del tipo più vario. Dap-
prima sono da nominare i progressi della ricerca scientifica, i quali
hanno condotto alla scomparsa della concezione arcaica del mondo,
dove ogni fonte aveva la sua ninfa, ogni tempesta e ogni vento il
loro spirito, e ci si immaginava che astri e costellazioni fossero
mossi da esseri sopraterrestri. Vi si aggiunge la razionalizzazione
del pensiero che sempre più si propaga ed anche lo svuotamento
della figura angelica nella fantasia degli artisti, incominciando dal
rinascimento e dal barocco. Il fatto che incomincia a profilarsi
un cambiamento e che gli angeli ritrovano un posto nell'arte e
ANGELOLOGIA I! DEMOHoLOCIA
nella letteratura/ non può che essere di utilità alle premure della
Chiesa volte a contenere il depcrime~to della fede.
Le cause della presente crisi della fede sono ampiamente intrec-
ciate tra di loro e presentano un quadro complesso, il cui sviluppo
risale parecchi secoli addietro. Vi si è aggiunto in tempo più recente
lo sforzo dell'umanità, il quale impegna tutte le energie, di spingersi
fino ai confini della materia, fino all'ultima oscurità dell'universo.
Allora in varia maniera non rimane né spazio, né tempo né energia
per l'esperienza del mondo di Dio e del mondo intermedio degli
angeli. Il cristiano può anche rimaner consapevole che le realtà
appartenenti all'ambito della fede non si possono dimostrare con
esperimenti e che esse sono sottratte al dominio delle scienze pro-
fane,J ma ad ogni modo la sua fede in Dio e anche la fede negli
angeli sono contestate da tali ricerche.
La fede contestata si manterrebbe salda più facilmente se non le
mancasse nello stesso tempo l'incontro con gli angeli, vissuto con-
cretamente. Si rinvia di nuovo sempre all'esperienza esistenziale,
mancante al1'uomo d'oggi, del mondo df'gli angeli.4 L'esistenza e
l'attività di Satana oggi si lasciano piuttosto sperimentare o per lo
meno presentire, in un tempo in cui il male, il brutale, l'inumano
hanno ottenuto una legittimità pubblica come mai prima d'ora, in
un tempo in cui la psi<.:ologia del profondo insegna che non si pos·
sono eliminare o rende-re innocue delle rcahà per il semplice fatto
che, per motivi razionalistici, esse vengono dichiarate inesistenti.
Ma assai fa difetto l'esperienza degli angeli buoni.
J Cf. W Gai !1>7.MANN, 'Die Gl-slah Jr:s Engels in der modernen Li1en1ur', in
L11M Ja ( •9'71111 \7; D. Zii1111NGn. "Di:r Mensch und der Teufel in heu1iaer
S1cht", in B.\f J') I 19n) 285-305; 111. BoGLE•, 'Der Engcl in der modernen Kunst',
i" f.111\1 21t''>Sii110-121.
l Cl ..1. Murn, 'Anl'Clo'. in D:T, 1 ( 1 1')69) 1o6.
• • rcr 1tiu1lizi mncrcri si !lente oiq:i for1e111cntc la mancanza delle autentiche npe-
ricn7e c:sisrC"n1.iAI;. <H. Sou.n1.. Dir Fn11.~ ll••<h rl~m Nr111:11 T~Jt""urrt, Frcibura
i. Br. 1yt.,., 1t.1 I. ·Ancora un rer~o ;1s~110. ccnamcnic il più importante di luni,
\":c.-nc in 'l"t"'1i1M1c: in sen<o negativo. OJcni cr1S1iano crc.knte ha, secondo la rnll·
moniar1'a h1hhca. un 'esrcrien1_,, f""r>onalc. un inronno re;ak e srahile cnn Gesù Cristo
e con Dio, che •Il rave"'° Cristo tra11a rnn rKll. Ma chi ali 1u11i quc•ti credenti po-
nl'hlx :tlttour.. di ~1·ere una cono••:.,n1.;1 pcr5<>nalc Jdl'es1>tt'.nza degli angeli?... Non
nlft"rmiamo e~ la ri"l'""'a a 4ues1a Jumandd dehha l'SSl.'Tc: 'Nessuno'' ma S01tc:-
n••nw1 che 1onn unA J!fl>S"3 cccezinnc n>lom eh" possono rispondere 1n senso posi
""''" (E. l\•tiNl'll 1, 1>1111.m•tlilt 11. Zum:h 196o, PV· q6 s.).
P~Olll.fMATICA
a A. W1NUHOFE1t, Die Welr Jer Engel, E111I 1961, p. 144, nm• 2. Cf. lo., 1"roktar
~-ber den Teu/el, Frankfurt a.M. 1961, pp. 8-14; E. BRUNNE~. Dog11111tik Il, pp. 147·
149, 160 s.
9 Si vuol rinviare all'esposizioni spesso ci111e di R. 8111.TM~NN: ·Ad opera della
ronos~nia delle forze e delle le11gi della natura è finita la f....:le negli spiriti e nei
demoni• rNcucs Tc-stamen1 und Mychologic' in KerYf.'"" 11nJ Mvrhm 1, Hamburg
119 5-1, p. 17'; «Non si pos,;ono adoperare luce clc11rica e radio, non si può ncorrere
in ca.•n di malania ai moderni mezzi medicinali e clinici e nello stesso tempo ere
Jcrt• JI mondo dei:li spiriti e dci miracoli dcl Nuovo Tes1amcn10• Ubul .. p. 18 I. Ancht'
,~ rt: i:rurpi 1lclla ·"louvelle Tht:Ologic• scmhrano aver mrs'o 1n 4ucs1ionc la rcalrà
pc:r ...inalc Jq:li angeli; contro la loro 01>inionc si riv<>lsc sopranuno la en«idica
11,,,,,.,,,, )'.e1tair t DS \891 ).
tu Cl G. (;1.on;t:. 'Engcl' (dOJ?matisch), in R<.;G 111'1.,~Kl461!s.
PRODLEMATlCA
parola rivelatrice divina e che possa essere solo cosÌ». 11 Come dimo-
stra la storia delle religioni, all'epoca biblica tutte le religioni e filo-
sofie del bacino mediterraneo e dell'oril·ntc conoscono esseri inter-
mediari di qualche tipo fra dèi e uomini. 12
La pre:;enza dì tali rappresentazioni ::mgc:liche al di fuori della
religione rivelata condusse <li quando in quando (unitamente ad
altre riflessioni) ali 'accettazione <li una cosl detta 'rivelazione origi-
naria'. Una tale visione sembra oggi esser posta in questione. Pur
ammettendo una rivelazione originaria, ci sarebbe poi sempre an-
cora da chiedersi per quale motivo essa potè mantenersi cosl a lun-
go, all'interno e all'esterno della speciale storia della rivelazione.
È molto più accettabile che la conoscenza' dell'umanità circa l'esi-
stenza di potenze spirituali buone e cattive, sia stata raggiunta
grazie ad una propria forza di conoscenza e ad un'interpretazione del
mondo, un sapere, che per questo potè venir tramandato, perché
poté sempre formarsi di nuovo. Comunque si cerchi una spie-
gazione, gli influssi di rappresentazioni angeliche extrabibliche sono
assolutamente possibili e molto probabili nell'Antico e nel Nuovo
Testamento. Ciò nonostante, alla rivelazione vera e propria della
parola e dell'agire divino va attribuita come per il passato un'impor-
tanza essenziale. Così le è propria in primo luogo una funzione di
'garanzia', cioè la rivelazione da Dio non significa in ogni caso sem-
pre un nuovo aumento della verità salvifica, bensì in alcuni casi
solo la conferma, vincolante nella fede, dell'esistenza di ciò che da
sempre è stato sperimentato e riconosciuto. L'esperienza di potenze
spirituali buone e cattive di tipo personale ottiene, attraverso la
rivelazione tenuta ferma nella Scrittura, l'autentico significato sal-
vifico e la sua delimitazione critica. Anche questa funzione 'selet-
tiva' ultimamente nominata non può essere trascurata. La dottrina
extrabiblica circa gli angeli e i demoni viene liberata da elementi
che sono inconciliabili con la rivelazione, inconciliabili con l'unicità
n Cf. K. RAllNF.R, 'An11l"lologie' cii:, pp. H4·5}6; ID., 'Daemonologie' cit., p. 14j
Tu1uvia il giudizio espresso da Barih in KD mf3, pp. 52;; s., sulle «pisce sba·
gliate• Jclla patristica, della scolastica e dell'intera angelologia è troppo negativo ~
dcv'csscr corrcuo.
DOTTRINA SUGLI ANGELI E SUI DEMONI 729
vizio del Dio ddl'allcanza, che si rivela in Cristo, con la loro obbe-
dienza volontar;a; l:: potenze demoniache con la loro ribellione.
Ambedue scn•<Jno dcl tutto secondo la volontà di colui che, come
Signore della storia, vuole stabilire ddìnitivamcntc la sua sovramca
universale nel suo Figlio fatto uomo. Gli angeli e i demoni sono
ordinati all'1m.ica storia soprannaturale della salvezza, che parte da
Cristo e a Cristo wnduce. La Jiml!nsione storico salvifica dell'an·
gelologia va dunque vista fondamentalmcntc determinata in modo
cristologico. L'angelologia non è, come I'antropolo1-1ia, una conse-
guenza interna della cristologia, ma ne è in verirà epilogo e aggiunta
integrante, chiarificatrice, che spiega il discorso teologico sul! 'agir;:
di Dio in Gesti Cristo. Muovendo dalla Gistologia dunque l'angelo.
logia riceve la sua giustificazione, il suo indirizzo assertivo, la sua
ampia motivazione. Da quc~:to risultano anche deduzioni per la
natura degli angeli come tali: s.: l'assoluta auto-asser.t.ione di Dio
nell'esteriori7.zazione della st:a parola è fondamento della creazione,
allora di e5sa va fatto calcolo anche nella dottrina circa la creazione
degli angdi. Se Dio si rivolge alle creature personali con amore solo
nel suo Figlio, allora anche la grazia degli angeli va determinata
quale grazia di Cristo. Se l'auto-rivelazione di Dio per amore del
Figlio è essenzialmente parola che chiama e che interpella, l'esi-
stenza dell'angelo andrà intesa come orientata per sua natura alla
risposta, al dialogo e alla lod~. In breve: anche gli angeli trovano
il loro più alto compimenco in Cristo, sia nell'ordine della natura
come nell'ordine della grazia.
In quanto gli angeli sono il mondo personale associato alla parola
espressa dal Padre, la cui alienazione nell'essere genuino dell'uomo
serve alla salvezza degli uomini, la dottrina degli angeli è anche un
momento dell'antropologia teologica: all'uomo viene manifestata
una parte del mondo associato e circostante per la decisione della
sua fc:dc. D'altra parte possono forse venir legittimamente assunti
dall'antropologia cristiana nell'angelologia alcuni principi della dot-
trina della grazia e l'idea dell'alleanza. 17
1' I nostr: rifrrmn·n1i ,:ri,to1oi::n l' .antropoh•J!lli 11'1l'~!li.I m c-\•1dC'nia 1l('r l',1ni:-·
Jr,fof.tJ hanno n\•\iallll"llll' l.1 lorv \•ahdi1il pc:r t.1 ckmnnnlo!?"'· na1urulmrn!r rnn cara1
Ili I\! id1<.' "l'l'"'ll'.
732 ANGELOLOGIA E DEMONOLOGIA
1& Dà una rappresen1azione moho esauricnlc e che 1ien conio di lutti i lesti che
vengono in queslione B. Nt:m111rnsE11. 'Ocr EnRCI im Zcugnis dcr Li1urgie', in ALW
'IJ1/1 ( 1959) .p7; in par1icolare per la cd.-brazione cucaris1ica cf O. HEIMING, "Ocr
Engel in dcr Li1urgie'. in L11M, H. l i ( 19'7) 38·,,.
19Gv. Cali. (1947)1 98/4, p .f9l·
PQTTl.INA SUGLI A.'IGtiLI E SUI DEMONI
733
e non può ><>r11crc l'imprc"ionc quasi che il regno, <hc il Figlio viene " fondare
e che egli certamente incarna nella sua totalità, sia un luogo solitari<> ddl'Assoluu.,
che sarebhc poi popol;11u per div<·ntar comunità, da tutti i risorti <ht: sc:iniiranno
Cristo; piu1tosto <lll<"sto 1110110 presso Dio, a cui vengono portati i reJenti in terra,
è fin da princirio 'la rittà dcl Din vivente, la Gerusalcmm<' celesu:' cun le .uc
'innumerevoli schiere di an11cli, con l'assemblea festosa dei primogeniti' \H~br.
Il,22 s.)» (ll1·rr/1Chk,•i1 I, Eimicd,.ln 1961, pp. 469 s.).
IH}'M'~INA ~UGLI ANr.f.1.1 F. SUI DEMONI 735
da una schiavitù che non è spiegata solo con la colpa umana, perché
ha fondamento nella malizia diabolica. Questo avvenimento di Cri·
sto conduce alla piena libertà dei figli di Dio, perché, subordinati al
Figlio, anche gli angeli sono al servizio di coloro che devono conse·
guire la salvezza ( Hebr. 1 ,14 ). Questo devono rendere chiaro )'an·
gelologia e la demonologia.
SF.ZlONE SECONDA
GLI ANGELI
pre, si deve tener conto della conrezione fisica che del mondo ave-
vano gli antichi: nella rappresentazi~ne dcl 'sopra' e del 'sotto',
che ne deriva, si rispecchia, ad ogni modo, per la persona religiosa
di quel tempo, il rapporto Dio-creatura. E questo non come se il
cielo - che ci si rappresenta ulteriormente strutturato - si idcnti·
ficasse con Dio: esso è, come l'uomo e tutte le cose visibili, l'opera
delle mani di Dio (Ps. 102,26) è creazione fatta mediante la parola
del Signore, mediante il soffio della sua bocca (Ps. 33,6). Il cielo
inteso dalla parola della Scrittura non è da identificarsi con Dio;
non è neppur pienamente identificabile con il firmamento degli
astri, che si inarca sopra la terra, perché l'espressione biblica com·
prende coscientemente il mondo delle «realtà celesti» (Zach. 14,,;
Ps. 30,1), degli spiriti, sui quali Dio esercita la sua sovranità. Cosl
è più esatto parlare non di un 'luogo', ma di un 'regno dei cicli'.
In questa realtà cosmica-sopracosmica anche il mondo degli angeli
in senso inclusivo è il cielo, 'più vicino' a Dio che la terra; è, insie-
me a Dio, ciò che 'sta di fronte' all'uomo terrestre. Dal cielo Dio
elargisce i suoi benefici, manda minacce e castighi, invia la sua parola
(cf. Ex. 16,4; 2 Reg. 1,10; Sap. 18,1,). Operando così Dio dal cielo,
anche il regno dei cieli stesso partecipa a questa opera; Dio fa par-
tecipare anche gli angeli a questo avvenimento celeste-terrestre ordi-
nato, strutturato e multiforme. Dio si serve di loro come di suoi
'messaggeri'.
essa identifica l'«angelo di Jahvé» con Jahvé. Alcuni Padri della Chiesa
volevano identificare !'«angelo di J11hvé» piuttosto con il Logos (teoria
del Logos). B. Stein, che hn fatto una ricerca soprattutto sui testi dcl
libro dell'Esodo, giunge a questo risultato: «L'angelo dell'esodo non è
dunque un anKclo crcnto, mn lo stesso Onnipresente, che è operante e
presente di preferenza in un luogo speciale .. ('Der E11gel dt•s A11szugs'.
in Biblica 19 [ 1938] 307 ). A questa teoria va obiettato che i testi poste·
riori vedono inequivocabilmente nell'«angclo di Jahvé» un messo divino
creato. Con ciò la rappresentazione degli angeli non offrirebbe uno svi-
luppo continuo, bensl una netta frattura nel passaggio da Dio alla crea-
tura, e questo avrebbe bisogno di una nuova spiegazione. Se si deve
narrare una reale teofania, perché allora Dio non rimane continuamente
il solo ad agire e il solo a parlare? Per quale motivo gli scrittori biblici
introducono in aggiunta ancora un angelo come colui che appare? Po-
trebbe trattarsi solo di posteriori correzioni del testo.
Questo parere viene portato avanti dalla teoria dell'interpolazione (detta
anche teoria dell'interpretazione). Essa vede nell'«angelo di Jahvé• il
risultato d'una riflessione e d'una speculazione teologica posteriore. Con
la progressiva conoscenza dell'assoluta trascendenza di Dio, la quale non
consente più rapporti immediati e diretti con Dio, si sarebbe giunti a
mutamenti nei racconti originari delle teofanie. In questo senso si pro-
nuncia fra gli altri J.M. LAGRANGE ('L'angc de Jahwé', in RB I2 [ 1903)
212-225) e G. v. RAD (TheoloRit: des A/1e11 Teslam1•n/s l=Ein/ubrung
in die evangelische Theologie 1, Miinchen 1957· pp. 284-286). Vi si op-
pongono V. HAMP ('Engel Jahwes', in LTK Ili [l959) 879), il quale
ritiene una tale interpolazione come «indimostrabile e difficilmente vero-
simile», e H. G1oss (Der EnRei im Allen Terlament, p. 34 s.). Di fatto
tali interpolazioni sembrano 5tabilite incoerentemente, come mostrano le
aggiunte dei LXX e Ex. 4,24 e a luJ. 6,14.16. La •riflessione teologica•,
sicuramente supposta a ragione, va ascritta, secondo H. GRO!'S (op. di.,
p. 35 ), piuttosto al primo racrnglitore delle antiche tradizioni e non a.
pensatori posteriori. Evidentemente, per mantenere l'originalità dei rac-
conti, egli ha congiunto gli strati differenti della tradizione, non senza
una suturazione. Perciò anche l'•angelo di Jahvé• appartiene molto
probabilmente al patrimonio intatto della tradizione.
La discussione riguardo ai tentativi esposti per una spiegazione, non è
ancora chiusa. Cosl si può ancora ritenere che mediante l'•angclo di
Lihvé• s'intcndòl un vero angelo creato. L'idel della rappresentanza
·deve sl·nza duhbio venir svilurpara Il. JuNKF.R dii indicazioni preziose
in quesra direzione del suo commenro a Gen. 18-19, in EB 1(19H)76s.
dove egli fu l'ahro spiega così la sua ipotesi J..Ila ri111·la:ione: •L'angelo
di Jahvé non 1mnuncia il messaAAio di Jahvé pensato assente. ma di Jahvé
Nt::LL.\ Sl:RITTUU
743
r.onunato solo un an~lo (cf. per es. Ex. 4.i4; lob 20,1'; Ps. 8,6). In lob 1,1\ •fi·
l'li di Dio• è sostituito con •angeli•, così pure il •dèi• in Ps. 97,7 e 138,1. Ripcr·
cussioni nel Nuovo Tes1amen10 v. in Le. 12,ll s. e 15,10, dove parimcn1i si potrc:bix,
intendere Dio stesso.
t? S«ondo D.m. ;,10 sono •mille migliaia• quelli che servono Dio. Con CÌÌl
!"agiografo ragl'iunge valori limite dd si't"""' numerico ehrain>-aramaico, oltre Il'
decine di migliaia: il valore numcnle wsì espres"> vale come impenubilmcnte
grande (cf. 11. GROss. n,., Fn~..J. p. ,si. Anche se gli angeli vcniono preferihil-
mcnte pensati come la coric Ji J),,,, 1u11avia il loru \C'rvizio piì1 elevato, l'CS<'('U·
z1onc Jclla liturgia celcs1c, \'ic.-n<· nnmina10 ndl'An1in1 Testaml'nto solo raramc:ntl'.
per il semplice motivo dte i primi documenti c.lclla rivelazione non devono allon-
tanare troppo Jal temd propri<!, 1'J11nnc cioè ,dlvilÌ<"A di Dio riguudo agli uomini
LI.I ANLt.1.1
di Jahvé, che solo regna. Come suoi J:Qessi essi vengono presso gli
uomini (r Chron. 21,18; Tob. 3,17; Dan. 14,33), li proteggono
(Dan. 3.49; 6,23; 2 Mach. 11,6) e fanno spt:rimentare il loro aiuto
B J. M1c11L, "Engcl". in RAC V, 201rz39, enuncia 269 nomi pur non volendo la
N!oLl.A SC.lllTTl'llA
749
anf'di dimostrano che i messi di Dio sono partecipi della storia della
salvezza non solo come insieme, ma anche come esseri singoli, e
ciò proprio in quel modo speciale indicato dal significato dei loro
differenti nomi (Michele =
chi è come Dio?; Gabriele l'uomo di =
di Dio; Raffaele =.Dio salva). Però le asserzioni della Scrittura ver-
rebbero senza du~bio forzate, se si volesse derivare troppo da tali
nomi circa l'individualità degli angcli.' 4
I singoli angeli vengono riuniti in gruppi. L'angelo Raffaele, fC·
condo Tob. 12,15, si dà da ricoi\oscere come «uno dei sette an-
geli che stanno presenti e che entrano al cospetto della gloria del
Signore»; Michele è «uno dei primi capi» (Don. 10,13; 12,1 ). La
numerazione non è senza dubbio unitaria; cosl non si parla solo di
St"tte (Tob. 12,15; grllen. 20,2-7; aethHen 81,5; 90,21), ma an-
che di sci (ae1hHe11 20, 1) o di quattro (aetbHen 9,1; 40,2-10)
principi degli angdi, o arcangeli." Inoltre vengono numerati sette
(TestLev 3,2-8) o dieci (aethHen 61 ,10; slavHen 20,1) ordini di
angeli.
Tuno qut:sto conferma ancora una volta che gli angeli nel tardo
giudaismo acquistano una grande importanza... Il loro compito
,.,ml" !t·~opc.·rte lh.·i mJTR~~ritti tld \1.1r ~k•r1l'. Cf in propo~ltn ~UTSCllER, 'Gc-ist
unJ Gei,1cr in dcn Texien rnn t)umran', in M<'l11nf.t"J bib/1q11e1 en /'ho1111eur d'A
/~,,ber!. Paris 19)/. pp. 105 11 ~
St.LLA SCRITTURA
bb. Allorché Dio si fece uomo in Cristo, con lui anche gli an-
geli sono entrati di nuovo nell'ambito dell'uomo. Tuttavia quanto
ai sinottici, dà subito nell'occhio che essi concentrano i loro. rac·
conti circa l'attivi"tà degli angeli interamente nel mistero dell'incar·
nazione e nell'avvenimento pasquale: il servizio angelico si restrin-
ge ai due fatti salvifici nei quali Dio agisce elargendo la vita al suo
unto. Gli angeli hanno o da annunciare ciò che sta per accadere, o
de testimoniare ciò che è avvenuto, ma giammai entrano in scena
là, dove Gesù stesso annuncia in parole ed opere il regno di Dio
e lo porta vicino agli uomini. La loro luce viene qui «superata come
quella di una candela dal sole meridiano» (K. Barth). In nessun
luogo la funzione degli angeli è maggiormente di servizio che là
dove essi disinteressatamente passano in seconda linea, dopo che
quanto da essi era stato annunciato (Le. 1,32 s.; cf. Mt. 1,21) è
diventato realtà presente (Le. 7, r 6 ).
In connessione con il mistero dell'incarnazione i vangeli parlano
del servizio degli angeli sia per un fatto che deve ancora accad~re,
sia per un fatto che è già avvenuto. Nell'annuncio a Zaccaria (Le.
1,5-20) e a Maria (Le. 1,26-38) l'angelo ha da annunciare l'avveni-
mento che sta per accadere; nell'annuncio ai pastori (Le. 2,9-15), da
render noto ciò che è accaduto. Come già accennato, è la parola che
rende l'angelo un angelo.
Proprio qui s1 presentano tuttavia per l'esegeta non poche difficoltà ri·
guardo al genere letterario dei testi, poiché si deve escludere una testi-
monianza oculare cd auricolare degli evangelisti. Sicuramente gli evange-
listi anche nella storia dell'infanzia non volevano raccontare alcuna leg-
genda, ma narrare in modo essenziale fatti storici. Ma ciò vale senza restri-
zioni, per tutti e interi i racconti? ~ significativa per la situazione pre-
sente della ricerca esegetica l'affermazione di B. BRINKMANN: cFm dove
la presentazione della storia dell'infanzia voglia riprodurre solo fatti
storici o voglia esser soltanto un rivestimento letterario, pur supponendo
l'ispirazione, ben difficilmente si può affermare con sicurezza; non ha
però nessuna importanza per il lettore credente• ('Die Glauhwilrdigkeit
dcr Evangelien als hermeneutisches Problem', in ZK.T 87 (1965] 92).
Soprattutto l'importanza data da noi al discorso dell'angelo, fa pensare, a
causa dell'evidente parallelismo con !'«angelo interprete» (v. sopra) in-
trodotto nel tardo giudaismo, ad un rivestimento put~ente linguistico
(anche in riferimento all'avvenimento pasquale!). Brinkmann .(op. cit.,
48 • Mystmum Salutis, 11/2
GLI ANGELI
7H
93) accenna perfino come ipotesi alla possibilità che, per esempio, i pa-
stori abbiano ricevuta la notizia della nascita di Gesti senza l'intervento
del!' angelo.
Invece J. Sc:HILDENBERGER rimanda decisamente al fatto che anche il
messaggio dell'angelo, come esso suona nell'annuncio a Maria. appartiene
ai fatti storici della storia della salvezza: «Nel racconto dell'annunciazione
dell'arcangelo Gabriele a Maria (Le. 1 ,26-3 !I) l'evangelista vuole inse-
gnare sicuramente, autoritativamente, che Cristo fu concepito in modo
verginale da Maria per un prodigio divino. Alla storia della salvezza
però appartiene non solo la actio Dt•i, l'azione di Dio, ma anche la
reactio hominis, il comportamento dell'uomo. Dio non ha semplicemente
operato il prodigio in Maria a sua insaputa e senza il suo sl. Dio dovette
manifestarle dunque il suo piano. Il racconto dice anche questo, e l'evan-
gelista lo vuole insegnare in modo autoritativo, poiché egli ha da dare
un'esatta presentazione storiro-salvifica dell'incarnazione dcl Fi1dio di
Dio. La narrazione però dice ancora più esattamente in che modo Dio
fece pervenire il messaggio a Maria: non direttamente attraverso una
ispirazione divina, ma mediante un angelo ... A mio avviso non si darebbe
valore al testo, se si volesse spiegare l'invio dell'angelo Gabriele a Maria
soltanto come forma letteraria, che affermi scmplicemcnrc che Dio h:i
reso noto il suo piano alla vergine santa, in qrn1lsiasi modo poi ciò si sia
attuato» ('Der Wcg dcs Wortes Gottcs in dic Wdt', in Die Bihel i11
Deutffhland [ edd. J. ScHll.DENllF.RGER e altri] Stuttg:irt 1966. p. 80)
A questa sentenza ci si può a1tenere saldamente con tutta la precedente
tradizione della Chiesa, fin tan10 che l'interpretazione contraria del testo
non è inequivocabilmen1e dimostrata come valida e non è approvata dal
magistero.
11 \'a o.sen·aro che an<h: questo apparire di altri angeli vale per i pa11or1, come
precisa espressamente il ,. . 1 ~ Le solite rappr~ntazioni natalizie con gli angeli
presso la manj!iawia non si 1•ossono richiamare al noslro tt"SIO. Cerco anche il Dio
fauo.<i uomo era circondato Jar suoi an~li. tunavia senza che questi dov~ro farsi
'isibili o udibili.
NELLA SCRITTURA
755
1~ l racconri non '°"!'I n1.11 n1enwn1e ~en1.a <litleren1•· rr~uardo alla descrizione
,!ell'apparizione .rr"a Id .\f/ 18.2 nin Mr 1<.,,; /_.· z~ ..J: In. 10.12\. in ri(eri
mento al luoj!O Id. Ml 21!.-1 e I,· z4.4 (nn Mc 16.1 .- In 20.11 s 1 e alle dnnne.
cui vien fana r.'l"P·tr"'nnr •d lo 20.1 . .\11 211.1 .\le 1t._1. L· 24.101.
2b ln nessuno Jet qua11ro \•ani:eli la tnmha RJl<'rta r vuol3 comr tale conduce a
questa profes.<ione di lrdt-: <'"a è un \Cl{nO . .i,.. ha hi'<•)!tt<• dell'inrerpret!lZione. la
quale vien da1a Ò•11li ~nJ!r-li lJ11i n110\'.1111.-n1t· """ fanl11a atfarro 1., .-omrorensione
de! tesli il \'C'drn•1 ~1,, uni.t h'fnlil lr-1trr1tr11t
GLI ANGELI
• Oltre alla leuerarura adaou• sopra alla nota 17 d. G. KullZE, Der Errge/s-
111111 Te11/elsgl1111be des Apostr/s Poul11s, Frciburg i. Br. 191'; H. Sc11L1E1, Mikhtt
11nd GnHlttn im Neuerr Test11mtnl, in Coli. cQuaestioncs disp.• 3, Frciburg i. B1.
11963; ID., Mikhtt 11nd GelDlllttn nach dm1 Nt11en Ttst11mtnt; ID., Btsinrr11ng 1111/
dllS New Ttsl""'ent, 146-1,9; K. L. SolMIDT, 'Die Naiur und Geistlaihe im pauli·
nischen &kmnen und Glaubc:n', in Eronos-Jahrbuch 14 (19461 87·143; C.8. YllUl,
Principtdlties 11nd Powtrs. A S111dy o/ Paulint Thtology, London 19,6.
l9 Le cpotenu e dominazioni• (àexal xal l~ouoicu I vengono nominate nei seguen-
ti passi: Rom. 8,J8, 1 Cor. 1,,.t4; Eph. 1,2os.; 2,2; po; 6,12; Col. 1,16; 2,10; 2,1,.
I nomi come 1nli sono già noti nell'Antico T~i.memo e nella letteratura tardo-giu-
daica e apocrifa (cl. ]. M1c11L, 'Miichte un<l Gewahen', in B1belthtolof/.. Vlorterb11ch
Il, 819·!121 ). Gli autori nominati nelle note 17 e 28 non risolvono allauo unanime-
mente la nostra questione.
lG Cosl H. ScHLIER, Dic Engel nach dcm Neuen Testamtnt, p. 162, nota ';
questi quallro testi prcs~ntano secondo lui per io meno un carattere «neutro•.
31 Paolo riguardo agli angcl; parla fra l'altro di: lhrvci1m; (virt11tts, potenze:
1 Cor. 1,,24; Eph. 1,u); xue1cl'tT1ttç (dominotiones, dominazioni: Eph. 1121_; Col.
r,16); OQ6vo1 (throni, troni: Col. 1,16). Come J. MICHL, 'Engel', in LTK III, 866
dimostra, le stesse denominazioni si trovano già nel tardo-giudaismo.
GLI ANGEU
ll Non >i può fan: qui un'c:scgcs1 Jc:uag!1dU Jc: >Jngoli 1es11 a caus.i Jd luru
11randc numero; vanno quindi consulrati i commcnti compctenll. A noi inreress•
soltanto mcner in ""idenza gli as;>eni pii1 importanti d.-11·,...scrt" <" ddl'op.-urr cl,·
11li an~h
" lf S< 111 !FM Dit· 1::.•1~d p 1t>d. Of't.il 21:. \·orrebbe m questo pa"\.1.1 int:-ndert9
•ollo 4yytÌ.o~ polcnze ca11iv<", in considerazione della legge delle opere. u\ata
m~lamcntt· nel pncaro < pronxam.- al peccaw A nosrr<' d"""" 1 1es11 parallcli
dA noi 1m·mwn.ri tense-mono Ji pt.·mar.: an.-hc 1J "-n1tcl1 huon1 LJc:l rrslo 11manr
.1f11t·rt~ l.1 qu(.~ll(lll·t' 'C t'apos1c11(l .tcn'l>:.a t..1ut--src.: conn:z1,1n: in nl11(tc' nnn r1tlC"sSt•
NF.1.1 A SCRITTURA
7.59
Non sembra fino ;1d o~gi univocamente chiarita fra gli esegeti la que-
stione fino a c:hc punto Paolo faccia proprie in Gal. 4.~.9 e Col. 2.8.20
conce~ inni COllll'lllporancc. e che cosa egli stesso intenda per orn1)'.fÌn
'toii XOO'ftO\J. l:'tOLXELo'J put'i cioè significare molte cose: in primo luogo i
fnnd:1nw111i ini1.i;di Ji umi scienza. poi le pani integranti originarie e le
materie pri1m· dl·I l'Osm,n: p<1rimcnti si possono intendere c:on questo ter·
mine le ros1cllazioni. orpure .rnche esseri spirirnali c:he sono posti soprn
la crcazinnc ( d, Bt\111.. w. (,'nC'Ch1srh-deut.1c hn W iirterbui-h u1 J,,n Schrif-
/en J,.,,. N1·111·11 'f'1·.1t11111cnf\'. 8erlin '1958, p. 152,J. Un confronto critico
fra i tl'sti nominali dclll· lettere paolin~ ci fa p::n"tre. st'rondo K. STt\t\B,
«ad l"·'-t:l'i ~p111111.1li pn~onali. piuttosto c:hc: •I dementi m;ucriali .. IDie
Gef.lllj!,<'IH<'h.i.il 1hn..1,· Exkurs: 'Dit· Wt•ltt:lcmt'nt<''. in RNT VII I' 19'i9]
901. e; Kl'lli'r im· ... .-c ririt'n~· n•rfl• .hc: il -iitnifi,...... dt a''tO~ xri:ov =- e~-ere
spiri111.il ... ,;;1 •t;llll nello ,,,:n 1wl lt'llll'" posi-m·o1n1.1mt·111.1rit1 i op. ,·it ..
I~ 1 I. C~<1:1 )!r:tmlc proh;1hi!iti1 l' f'l'rl'I~> tl.1 'llflp<'rrt• t lw 1';1011• intt'ntlil
sempliteme11tt' lt- .. m.11,·rit· prrnw .i,! m.1.1d1•·" .. dll' n:ni:<1m• ronsidcratc:
SCltlO r11.111 d1 \'hl;I t:ti1<1r:-li:.:11"i" 11/.1;/ 1\71 . . . le 11•1'/t' ;"trnlu~khe.
cLi cui l·i ..,, ut.k·\'a .i.,.1t·rmin:111 pt·r clt'slln•"• 10 KAMRl.11. Nc·1ws l't·sta·
me•11 Miin~ht'l '' ''H· r 5_p, Tl• •I.I .I (,,,/ .j.\ l. p,, .. :.. \'11<'1 Jirc çhc chi
sta m:ll:t ft'de in ( ·r:'1". i· !,:,<'LII",(., 'i"'''I<" .I l':·11.l. .. 11:· n.1111r.1li. t'c•smil'he
~·ppuh: ''-. .in.etti il pe-ra!r-ic:ro '-lui l"'!iprC'SSO 1..·oml· iauu sloricu. S-."(·ondu (,,,,/ 1,K
h1olo nuc:ne ad 011ni modo porstbtlt' dw: gli an11d1 P'"'~no ponarl' agh uomini
rivelazioni divine (cf_ Act lì.2} s.).
" l\onos1an1" 10110, Paolo ha un conc::euo 8$~Ì elevato degli 1111teli. 1 Cor. 1),I
>embra .opporre che gli angeli siano in possnso di doni spirituali, corrispondenti
alla !!'"""lalia Cf G Kt·•~F. "P Cli Jl r 1.
GLI ANGELI
ee. Con simili parole anche nella lettera agli Ebrei viene descrit-
ta la superiorità di Cristo sugli angeli 35 - una prova in più del
come questa lettera, anche nella sua dottrina sugli· angeli, stia vicina
al mondo del pensiero di Paolo. I destinatari sembrano porre la
legge veterotestamentaria, mediata dagli angeli, e gli angeli stessi,
al di sopra di Cristo e del suo vangelo. L'autore vorrebbe loro
mostrare che Cristo, proprio in quanto Figlio di Dio (Hebr. 1 1 21) 1
è diventato «tanto superiore agli angeli quanto più eccelso del loro
è il nome che ha ereditato» ( 1.4 ). Di nuovo Cristo viene designato
come «splendore della gloriai. di Dio ( 1,3a), come il creatore dei
mondi ( 1 ,2c ), Colui che sostiene tutto con la sua potente parola
(1 1 3b); egli viene annunciato come il reJentore del mondo (1,3c),
che siede alla destra della maestà di Dio nel cielo ( 1 ,3d), costituito
crede di tutte le cose ( 1,2b ). Mentre agli angeli spetta solamente
una posizione di servizio ( r ,7 .14 ),36 Cristo è dominatore, re e Dic>
sopra ogni creatura ( 1 18 s. ). Certamente Cristo nel suo abbassa.
mento nell'incarnazione e nella morte di croce era posto sotto gli
angeli (2,7.9; cf. Ps. 8,6 LXX), simile in tutto ai suoi fratelli
(2 17.11 s.); ma ora egli è coronato di gloria e onore (2,7b.9), è
1
nire la redenzione degli uomm1 e ogni scrv1z10 per 1.1 loro salvezza
giungeranno a compimento, e così la celeste (;erusalcmme unirà
uomini e angeli in festosa assemblea per sempre davanti a Dio e a
Gesù Crisro (12,22-24).
ff. Pit1 spesso che negli scnttJ neotcst;1rnc111ari llnorn 1ra11ati. j.Zli
angeli vengono menzionaci nell'ApocalisH·.';
pra i quattro venti (7,1 s.), sopra il fuorn ( 14,18) e sopra l'acqua
( 16, 5 ); altri inoltre prot~gono da dl·te-rioramento terra e mare e i
loro fruui (7,2; cf. 9,15). I Chembini e i Serafini, noti dall'Antico
Testamento, sono unici insieme in un gruppo di lJllllllro «esseri vi·
venti», che attorniano il 1rn1111 di Dio (4.6 8; 5,(>.!l; 19,4). II.
Schlier vorrebbe \'edere in lnro non solo anµl•li che si dislin~11nni1 in
modo generico, ma altrcsì angdi rhe on:upano un pos10 spel·iale
nella creazione."
Per il resco, le rappresentazioni angeliche dell'Apocalisse stanno
assolutamente nella linea delle solite espressioni neotestamentarie.
f: evidente che nell'attesa del ritorno del Signore gli angeli ven~ono
visti specialmenrr nella loro rdazione rnn la storia finale. Sono es·
si che, in quanto messaggeri privilegiati Ji Dio, annunciano l'avve-
nimento tÌJ'\ale del ~iudizio sullit terra e sulle sue potenze con voce
forte e con segni (cf. Apoc 10.1; q.6; 18.1.2zl. con~iunti alla
parola consol11ntc e ammonir ril'l' dd «vanJ!do t'lernon ( 14.6 l.
Gli nn~di addidttura c111san" que!-la s1oria linall· auraverso la
lnrn pan>lil ... Ciò che an·iem: in .:i11<·~10 tt·•npl• ,wrin1, che ~ rcmpo
di giudizio, acladc 111 risposta ad una provoctllonc angelica»."' Gli
;10geli sono perciò <rnche "ministri e attori dell'avvenimento fina
le» (H. St.-hlier l: al suClno ddl:t !Clro t mm ha ~i rin~rsa rovina su w
vina (Apoc. ~.9; 10.7; 11,1;1. a loro :;ono consegnate le coppe con
l'ira di Dio (Apnc. 15,7; 16,1). essi hanno potere di incatenare Sa-
tana e di gettarlo nell'abisso ( Apoc. 20,1-3 ). Ma Dio stesso rimane
sempre Signore della storia e giudice del tempo del mondo. Questa
dipendenza essenziale e fondamenrnle degli an~li da Dio anche
nell'Apocalisse non è dimenticata in nessun posto.
La speciale subordinazione degli angeli a Crisro è particolar-
mente evidente. Ciò che i sinottici raccontano semplicemente come
un fatto, ciò che Paolo cerca di sviluppare e d'approfondire nel
contesto della sua cristologia, nell'Apocalisse viene designato in vi-
sioni che descrivono la liturgia cdeste (Apoc. 5). Qui l'agnello uc-
ciso, che sta davanti al trono di Dio ( 5 ,6 l. è immagine del Cristo
" Cf :\ \' ALAl''T. · AnKélolOJti<" dan~ l"F-1tliS<' la1ine <ll"Pu1• le tempes d~ Pètre•
ju5<1u'il 5ain1 Thoma•. in nrc I I 1~>1) 12211297_ (V ·Ange I
.. Oi pii1, 'u 4ucs10 arjlolTIC'Tlto nd segu<"mt· par~rafo b
" a. J TUIMF.l., 'l.'an1télolottic dt'pUIS lr laux Denys l'Ariop3gi1e·. in Rewr
J'h111oir~•-N Jr li1tér11/urr rr/1g1ruu 4 I 189<11 21~ 238. 289-309. 41.J·4H. Hi·~62
M~1oti par1icolat' •ullo !>SC'Udo-l>ioni11i nd ""l!ll<"nte paragrafo b
NOTE DI STOl.IA DELLA TEOLOGIA
b. Questioni particolari
48 T rJetat 19.
49 D. FEULING, Katholische GlaMhenslehre, Sab.burg 19,0, p. 207.
511 P. G1.0KIEUX, Autour de la spintualiti! des anges. Dossier scr1pt"'airt ti (M·
tristique, Coli. .Monumtnta Christiana Sdecta• ~. Toumai 19,9, offre una cata·
logazionc dei più imr<manti Inti pairisrici sull'arg~nto. Alcuni di questi 1n1i
SI rifanno a un 'inrerprctazione riscontrabile già nel lardo giudaismo, ma ogi
messa in evidenza come non esatta, riguardo a Gen. 6,2.4; cf. A. WtNKLHOFEl,
Die We/1 der Engd. Etra! 1961, p. 146, noia 6, e J. MICHL, 'Angelo', in D:T,
I (31969) 97. V. anche la nota 36
s1 Cf. i testi in P. GLOlllEUX, op. cit., pp. 41-48.
5? Cf. per ques10 E. KLEINF.IDAM, Dor Prohlem dtr hylomrwphen Z1munmtnset-
zung der geistigtn Suhstan:en '"' / J. Jahrhundtrt, hehiindelt bis Thomas llOn
Aquin, Breslau 1930.
mare che essi, già per la loro natura spirituale, sono dotati di un'am-
pia conoscenza di se stessi e di ogni cosa creata, come pure di una
volontà interamente sicura del fatto suo. Gli scolastici hanno ben-
sl tentato d'interpretare più da vicino il tipo e il modo della cono-
scenza angelica 53 e dell'autodecisione che ne deriva, ma noi, uomini
legati alla terra, non possiamo farci in definitiva alcuna immagine
del come gli angeli, quali puri spiriti, siano capaci di conoscere e di
volere. Noi possiamo solo intuire che alle loro facoltà spirituali de-
vono spettare intensità ed attualità che superano i limiti della co-
noscenza e della volontà umana. Come gli uomini, anche gli angeli
hanno il loro più alto destino nel conoscere Dio (GREGORIO MAGNO,
Moralia 4,3,8; R 1307). Ovviamente se questa conoscenza fosse
soltanto una conoscenza mediata cd analogica, il Dio uno e trino
non si sarebbe rivelato anche agli angeli. Poiché invece ciò avven-
ne, «l'intelletto degli angeli è sottomesso in puro amore alla PAROLA
di Dio• (AGOSTI.NO, De gen. ad litt. 4,,2,49, R 196r). Anche questa
visione resa possibile dalla grazia non esaurirà tuttavia la profon·
dità del mistero di Dio - gli angeli rimangono nei limiti della crea·
ruralità.
!-1 Secondo la dottrina tomistica, gli angeli conoscono 1u110, grazie a imm1111n1
infuse (spt"cies impmud; d. R. HAUBST, in LTK III, 870 (v. 'Enael'). A. Wu>1KL·
HOFER, sviluppando vorrebbe ammellcte per gli angeli cun1 conoacenza cre11u-
ralmen1e condizionala, acquisita lllrAv~r8o unA percezione spirituale• (Die W tlt
der Enge/, p. 148, noli 8).
~ Tutti i padri e i teologi sono d'accordo che il nuffltro degli anj!eli superi I.i
possibilità di valutazione umana, f'OÌChé le informazioni della Scrillura non oflronu
indizi sufficienti allo scopo [cf. M. ScHMAUS, Dogmatica cattolica, Torino 21966
t I, p. 620]. Non vi è akun parere unanime quando viene messo in relazione
il numero degli angeli con le gerarchie dcl mondo an11elico in seguilo menzionate.
t supcdluo ocruparsi qui di questa qucs1ionc, poiché non vi si può IOSlmctt una
ipotesi teologica sensata.
GLI ANGELI
772
56 La diversa intensità del dono di grazia (non si dovrebbe mai parlare della
diversa «qualità» de!l'amocomunicazione di Dio concessa nell'amore~), come: pure
del diverso corredo di doni di narura, costituiscono )"unicità", la irripetibile perso·
nalità di ogni singolo angelo (d. S. tb., I. to8,4): •dis1inc1io ergo ordinum in
angelis est non solum secundum dona gratuita. sed etiam sccunclum dona nam-
ralia .. ). A nostro parere però, la personalità non richiede fra gli angeli I' 'unicità
di specie' di ogni angelo, come suppone A. W1NKUtOFER, Die Wdt der Engd,
p. 151, nota u).
-;i B. DIETSC!IE. op. dt. 619.
58 Gli angeli de facto - secondo la 1estimonianz.a della rivelazione - sono
ordinali alla grazia e alla felicità; tuuavia la grazia non va considerata come cJc.
men lo L-sscnzial~ della nalura angelica {DS 3891 ).
774 GLI ANGELI
" La rivelazione non spiega più da vicino in che rosa sia con'1sUta la prova
degli angeli; Suarez e Schcebcn la ve<ki'lo in connessione con il mistero dcll'iocar·
nazione di Cristo (R. J-IAUllST, in :..rK III, 871, [v. 'Engel']).
1iO ~ teologica~nte sicuro che gli angeli, già prima della decisione _ come i
primi uomini -, erano s1a1i elevati alla vira di grazia; la questione Qllindi suona
più precisamente: se al dono di grazia sia precn!uto uno stato di na~a pura (cf.
R lliuasT, /bid)
GLI ANGELI NELL'OPERA SALVIFICA DI DIO
775
61 Già fra le que<tioni preliminari fu fatto notare per illusione che, oltre alle
asserzioni della Scrittura riguardanti direttamente gli angeli, si possono r.rasferirc
al mondo anttclico - osservando la necessaria riservatezza - anche ceni dati del·
l'ordine salvifi,o in genere (la nozione dell'alleanza, la struttura sociale della sal-
vezza t'CC.) e Jcll'anirorologia teologica (personalità, libertà).
62 Per le n01:ioni scgucnii: allcan21-personalità·liber1à d. M. SEEMANN, Heilsge·
srbt'hl'n 1111d (joru1dtt'11St. Die uhre Peter Brunners in lt111holischer Sicht, in Coil.
~Konfcssion.kunJlirhc: und kontrovenihcologischc: Studien• 16, Padcrbom 1966,
pp. l<>·JJ, 114, u9 s; K. RAHSER, 'Wiirdc und Freihci1 dcs Menschen', in Schrifren
li, pp. 24j·277; lu., 'Thcologie der Freihcit', in Schrifren Vl, pp. 211·237.
"-' A. W1sK1.HOFER, "i'rak1111. p. 19. Se nella Scrinura gli angeli appaiono tuttavia
come , esseri personali e nello stesso tempo impenonali• (H. Sc:Huu, Die Engel,
I' •('l '. '-!"''''" ,1n1<·:1,· per _11 tatto d1c c»1. 4uah c:sscri riferiti totalmente a Dio.
'.romp.11onn wmplct3mcnre dietro ali~ loro missione, ciò che non è possibile quando
e un uomo l"•tl" .11ulurn.·1.a si me'."\sa,u;t10.
GLI ANGELI
67 Cf. A. Tralttat, pp. n·24; J. DANIÉLOU, op. cit, alla nota 42.
W1NKLHOl'EI,
aulcm angeli sunl; cl cum spttiius sunt, non sunt angeli; cum mii.
61 .. Spiri1us
n:niur, fiuni angeli. Angelus enim olflcii nomc:n est, non natutac• CE11. in Ps
IOJ,1,1,: R 1484). Riferimcnii ad ahrc citazioni dci padri v. presso }. M1ct1L,
'Angelo', in DiT, 1 (11969) 101 s.
RAllNU, B~tracht1mgN1 :i:um ig11ati1111iscbr11 Extnit~11buch,
p.
1111
,o.K. Miinchcn 196,,
GLI ANGELI
778
711 Secondo i padri, agli :tngeli SJ>t."tta una fum.ione di servlZlo ancht- riguardo ai
popoli exrrabiblicr e pagani; cf. per quest<' i riferimenti in J. DANIÉl.l>U, op cri,
alla ro!a -.2.
11 Cl. CH. JouRNET, 'L'univcrs de création ou l'univers antérieur à l'Eglise', in
l\Tho>11 H (19HI -.39--.87 e H (195-.J M.s.
72 Cf. C. v. Ko1tVIN·KKASINSKI, 'En~l - Mensch- Kosmos", in LuM, fa><: 21
( 19,;) IO).
1,LI llNGf.1.1 NF.LL 'OPERA SAI \;JflCA DI DIO
Jemc al loro grado di esseri creati, gli angeli hanno parte .11l'imma
gine dcl Figlio, alla proprietà di segno della parola
Oltre alla somiglianza della loro natura, gli angeli sono legati a Cri-
sto attraverso la grazia. Dovunque gli uomini vengono ammessi
nella comunione soprannaturale di vita con Dio, questa vita divina
viene loro partecipata attraverso il Figlio, al quale è concesso di
avere in se stt"!'.SO la vita come il Padre (/o. ~.26; cf. Eph. 1,4-6).
Ma anche la grazia degli angeli va designata come grazia di Cristo,
poiché il Padre sceglie sempre la creatura solo nel Figlio - in lui
ogni creatura sussiste (Co/ t, 17 ), proprio là dove si tratta ddla vera
~ussistenza davanti al volto di Dio.
agli angeli la grazia con la sua azione salvifica terrestre (anche se essi
non hanno bisogno di redenzione), o se, a causa della stretta connessione
dell'incarnazione con la redenzione, non sia da prescindere in generale
dall'umanità di Cristo e la grazia giunga agli angeli solo attraverso la
divinità di Cristo (cf. R. HAunsT, in LTK 111, 871 s. v. Engel). Qui
sarebbe da considerare che secondo la rivelazione avvenuta de facto la
divinità di Cristo non va separata dalla sua umanità, né quest'ultima dalla
croce e dalla risurrezione. Cristo in quanto Uomo-Dio glorificato è il
capo di tutta la creazione. Perciò è fondato ammettere che anche gli
angeli ricevano la grazia attraverso l'umanità glorificata di Cristo, senza
che questa nello stesso tempo debba esser redentrice. In particolare la
partecipazione degli angeli alla storia della salvezza del Nuovo Testa-
mento dimostra che gli angeli sono proprio ordinati anche al Figlio di
Dio, fattosi uomo.
7J «Sed sancti.fica1io, q11ae est extr~ mbs1ant1am i//orum {scii. angclorum), per
fectionem illi.i a!fert pe• communionem Spirttu.<» (BASILIO, De Spiritu Sancta
16,38. R 950). · Dunque In somiglianza degli angeli con lo Spirito sanro va cercata
nell'ambito della grazia e non nella loro natura spiricualc come cale, che se.a in un
rapporto d'immagine con Crisco.
Gli ANGl!LI NF.LL'OPEU SALVIFICA DI DIO
T1 Colpisce il fouo rhe negli A11i degli Apouol1 al battesimo dell'eunuco etiope
e dei rrimi ra11ani, imii~/1 e Spirito santo vengano nominati allo stnso modo (cf
8.26 con 8.29.19: 10.1·7 con <0,19.44.47; sarebbero da confron11re anche l.r 1.11
con 1.1~. 1,26 rnn 1.\5). Per la lorn missiont' storico-s1h-ilica rispetto alla Chiesa
~li an11cli s'avvil'inano ancor.i una rnha allo Spirito santo td. sopra nota 71)
73 Per incarico di Cristo anche gli an11eli servono la Chiesa, inserendosi disinte
ressatamenle nc:ll 'opcra dello Spirito santo; essi 1u11av1a non \Ono veri membri
della Chiesa (cf. L CERFAUX. Le Christ dans la thù1/ngie Je sarnt Pau/, Paris r954 .
p. 122; A. WtNKLHOFER. Die Welt der Engel, pp. 77 s.).
79 Riferimenti ai testi dci padri relativi v in J Mtcm., 'Aniielo', in D:T. 1
i;u Al'C.F.U NELL'oPF.RA 5Al.VIFWA DI lllO
(11969), pp. 101 s. Per il Medio Evo si J>UÒ csanùnare TOMMASO D'AQUINO. S. 1b.,
I. 4. 1 u s Ancora al tempo della Rilorrna 11 giorno di s Michele fu celebrato •come
una delle più grandi fnte della China ,·ristiana,.. poiché gli angeli sono servitori
ili Cristo e mumt"nti dd suo [lt>Vcmo• (AgenJt" /. t'll. luth. Kircben und Gemt'llfdnt,
p uo v 411cstioni prdiminari, nota Jo).
liii Molti testi di pn:gh1era Jclla litur11ia parlano della presenza degli angeli (d.
8 NF.UNllE!ISU, op nt . pp. 18-u; E. Pt:TUSON. D11s Bucb "°" den Engdn.
Stdluni unJ lleJeutung Jer he1/11,en fnt.d "" Ku/1111. Miinchcn 21955. pp. 46-52).
Gli angeli acrompagnano l'agire della Chiesa con le loro preghiere; essi sono testi-
moni di ciò che Dio compie am.iverso il serlizio della Chiesa. Noi vorremmo
metterlo energicamente in evidt"nza. E 1utt:1vi1, a nostro avviso. non va supposto
un autentico intervento dt"1tlì ~ngelì nell'amministrazione dei sacramenti e dci sa-
cramentali Id S th. 111. 64,7 I. Più oltre si parlerà della comunione nella lode
di Dio.
Il Se la letteu1ura ar.cetica rcr lun11hi secoli ebbe una preferenza nd designare
411~11 condotta come ·angelica'. ora sempre pi(1 in ltl<Xlo consolante Cristo viene
nuovamente vi~I<' come il modello voluto da · Dio per l'uOllhl Anche le considc-
rnion: J1 E PnusON ~ui monaci .simili ad angeli• (op nt 41 e pauiml oggi
ckvono Cl"rtO venir corrette. A proposito di 4111"Ma tematica riguardante gli inizi
Gl.I ANGELI
bb. La Chiesa come tale ha la promessa che essa non può esser
sopraffatta dalla potenza del male (Mt. 16,18), ma al singolo mem-
bro della Chiesa è possibile rifiutarsi alla chiamata divina della gra-
zia, fino al completo no. Croce e risurrezione di Cristo, in cui le
forze demoniache furono fondamentalmente sconfitte, devono es-
sere accettate da ogni singolo uomo con libera decisione. Dio stesso
viene in aiuto con la sua grazia all'uomo posto nella prova, ren-
dendogli cosl possibile la decisione nella libertà personale. Che
Dio invii i suoi angeli non solo a custodia della Chiesa come insie-
me, bensl anche a custodia di ogni singolo uomo in particolare, è
una delle molte attuazioni di questa sua grazia.
12 Nella testimonianza dc.-1111 liturgia colpisce il fatto che gli angeli vengono nomi·
nati soprattutto nella pr~iera per il viaggio, nel rito dc.-ll'unzionc: dei malati e nei
testi dc.-lla Co,,,me11J11tio 1111iMae; nell'orazione di Compieta viene implorata la pre-
senza protettrice degli llllgeli (d. in proposito K. R.utNEI, 'Geiatliches Abendgc.
'prich iiber den Schlaf, das Gebet und andere Dinge', in Schrifte11 111, pp. 26pR1
spec. p. 171).
u K. RAHNEI, 'Wiirde und Frciheit dcs Menschen', in Scbrifte11 t. 1, p. 1,4.
M La preghiera di supplica riguardo a questa ampia protezione dqli angeli deve
sempre rivolgersi primariamente a Dio stesso, come avviene anch.: nelle orazioni di
tulle le feste dei santi. Si può, oltre a ciò, giustificare un rivolgersi discreto della
rrqhiera agli an~li. se rimant" conservata la teocentricirà della preghit"l'll (cf_ J WA
Procura g101a agli angeli poter servire alla salvezza di coloro che
portano il nome di Cristo.
U"'ER, 'Der Engcl im lebcn dcs modnnen Mmscbt'fl', in Lu.\f. fase. i i (19'7) 1' s.).
La teologia riformala non ruò acconsenrirc; l."Ha conosce: 51 l'intc:n:esionc: dei MDii e:
degli anac:li, ma non la loro in\"OCVionc:.
e a. M. SEEMAM>, HrJif.ttJdvben """ Go1testl1rnsl, pp. IOj,19, s. P. Bnmner
.kscri\•c i modi d..lla lode: ttclesialc: di Dio lcan10 dei salmi, inno, acclamazione).
181UNNEI, 'Zur Lchre ,-on Gou"5dic:nst drr in Nuncn Jc:su vc:nammdtc:n Gcmeindc', in
ln111riw 1 [19,,.J 201-~07). Per la comprensione della cc:lcbnzionc eucaristica come
lode: d. M. SUMANN, op. nt., pp 16c>16'
• O. Il. Sotuu, Dir Enirl, p. 166, E. PnusON. op Cli. p. 6o; P. B1UNNU,
o' cii, pp. 169-171. Rifcrimm1i a tnli dci pe.lri in J M101L, 'An,do', in DzT, 1
111969) 102 s.
tr1 Comunque pona ~ spiegala storicamc:nic: e: liruraicammtc: l'i.nscnione del
S611CtlH nrlla prece: c:ucaris1ica. ad opi modo r siJnificativo che la comunione dcUa
k>dc «elc:siak c:d angdica vc:np 1n1imonia1a li dove: nella cc:lc:br1Zionc dell'c:uari-
111• la lode: della Chiesa rrova la sua mauima auuu.iont" ndla ~ di CriKo
croo:ifisw r 11orifiC"810.
BIBLIOGUFIA
RIBLIOGRAFI A
I DEMONI
1 Se in 4ucsi.1 ~ione si parla non di rado dcl diavolo, dcl demonio al singolare,
nelle nosire a.~rzioni è tunavia int=' insieme l'Intero regno dci demoni, poicM
•'• potrnza diabolica è unica e tuttavia forma una pluralità - ma non sappiamo,
in che maniera cs~a sia unità e rluralità• (E. BauHNu, Dogmatilt 11, Zilrich 196o,
p. 157).
J Cf. in proposito A. WJNKUIOFER, Tralttat iiber Jen Te,,/el, Frankfurt a.M. 1961,
pp. 215-iRo; D. 'UtntINGu, 'Der Meiuch und der Tcufcl in heutiger Sicht', in BM
i.,,,.,,,, ,11, '°'·
I PBMONI
La sacra Scrittura parla per la prima volta dcl di.wolo nd libro I.li
Giobbe ( 1 ,6-1 2: 2, 1- 7 l. Questo testo comprende un bre\•e. ma 111-
trettanto profondo compendio delle autorevoli dichiarazioni bibli-
che sul demonio. Satana si distingue in maniera inconfondibile dalla
vera corte di Dio. Egli non è semplicemente uno degli angeli vendi·
catori, quali ricorrono frequentemente nell'Amico Testamento.
Da tutto quanto il contesto si può concludere che e~li. nella sua
posizione e nei suoi principi. si stacca dal seguito di Dio e viene
molto insistentemente caratterizzato come nemico dell'uomo. Egli
non è soltanto un angelo dcl male, ma uno spirito che vorrebbe
rovinare gli uomini per allontanarli da Dio.' li diavolo, quindi, nel
testo citato, viene definito in modo del tutto inequivocabile come
l'avversario di ogni umana pietà e timor di Dio. Egli non ha altro
:t Dio.
Un"imponanic allar~amcnto delle asser7.ioni ddl'Antirn ll''lamen-
to circa Satana si tro\';I nd lihro della Sa{'i<''1:.1: .. Sì. Dio al·Ì• l'uo
mo per l'immortali1à; lo foce a imma)!ine Jella 1nopria natur.1. l..1
mone en1rò nd mondo per invidia del dia\•olo: ne fanno t'spl·ril'nz.1
quanti appartcn)!ono a n1s1ui,. tSap. 2.2 \ s. ). I.a pri1m1 frast· Ji 4111..·
sta costatazione esclude che la seconda frase 'i rift"risrn '"In 1111.1
morte corporale. Poich1..: l'essere imperituro \'ieni: mcs .•11 in ,.,.jd,·111a
in modo del tutto inequivocabile come corrispondente alla volontà
divina, la morte corporale può soltanto perdere d'importanza. Essa
diventa come un elemento transitorio nell'esis!l'nzJ di coloro du.:
sono destinati all'immurtali1à. Aderire al demonio invece signilica
morte eterna e perdita Jella vita divina. Anche qui l'accenao è po-
sto in modo del tutto evidente sulla rovina interna a cui il demonio
mira e alla quale s'espone ognuno che si impe~na con lui.
Da questo testo del libro della Sapienza è possibile trarre anche
una convincente spiegazione della tentazione nel Paradiso terrestre.
poiché qui viene implicitameme dichiarato che Satana fu il tentatore
dei primi uomini (cf. Gen. 3,1-5).7 Quando il racconto della tenta-
I ("1 r lh1•;i""· T/,, ...;,,)!.I~ JeJ :t/101 /'eJ/d1'/t'll/t'I. Bonn l•)~O. p. lii llr. il .. t,,
lt•olui:1,1 ,J,./ V 1' . :\lurn·lli:ma. Br.-~i;i }.
6 Gi~ i PuJr: •k·lln l.hie~:i cnmmen1nnd11 il n<"lr" tc,lu h;mnt' iJuu 1h•l.lrr n•n
quale <lljl.j!t:lion·e S:unna an.-,,.1,. l'•nlluriua1iune Jll"r poter molc\larc Giuhl'<·. :'1:011 ,:
può quindi in nessuna m.1111.-r.1 parlar,• ,(i una a11h111<>rna l'<>l•·nt.1 Ol'tile 3 llh•. ,(j un
intli1wnc.lt'11lc: :lV\'\.'rsnl'Ìo ''' l>il' nmil' cli un prim:ipio c,;01irimko in un 1.·1.•1'tP 11111,h'
nin1rapp"'" a Oin
7 Ci Il K~1•r11. ,,,. "' 11 ~.
792 I DEMONI
cezione biblica. Nella rivelazione non può mai essere trovato anche solo
l'accenno ad un principio autonomo opposto a Dio. Già per amore della
pura monoteistica fede in Dio, per la quale l'Antico Testamento rnm-
hatté instancabilmente anrhc contro il suo ambiente, si giunse al rilìuto
di ogni comprensione pagnna dri demoni e alla condanna di ogni mito
dei demoni. «Non c'è nessuna potenza cui l'uomo possa rivolgersi per
qualsiasi ragione, ;1] di fuori dell'unico Dio d'Israele» ( W. fooER STER,
4'ui1u11v, in fWNT 11 ,12 ). Qualsiasi evento sulla terra e in particolare
in Israele vien attrihuitn, nell'ordine supremo, a Dio, e se al riguardo
intervengono istanze intermedie, esse non hanno un potere indipcndenk,
hensl dipendono d~ Jahvé. «Quest'inserimento positivo, assolutament:::
non dualistico, nella corte e nel governo di Dio, costituisce la pecnliarità
della concezione veterotestamentaria circa Satana rispetto alla letteratura
post·Gmonica» G. v. RAD, lìuiBoì.o;, in TWNT r 1 .74).
Pur non tenendo conto del fatto che un influsso esterno, estraneo
sulle opinioni giudaiche, quale in seguito sarebbe penetrato nei do-
rnmenti biblici, non si puù dimostrare in maniera chiara, tuttavia i
punti di vista veterotestamentari e quelli pagani si contraddicono
in punti fondamentali. Ben con diritto si può perciò affermare che
la dottrina dell'Antico Testamento su Satana, come è portata avanti
dal libro di Giobbe fino a quello della St!pien:r.a. è una dottrina uni-
taria, che si può riassumer.! nella sentenza secondo cui il demonio
esiste come essere personale sotto il dominio di Dio e cerca di rovi-
nare in modo nefasto gli uomini, per stimolarli cosl alla ribellione
contro Dio e per istigarli all'allontanamento da lui. E ciò nondi-
meno, l'uomo è in grado, con la potenza di Dio, di Opp<'rre resi-
stenza a Satana e di conservare la fedeltà a Dio.
SuMMl'R, 'l.'ins1rue1ion sur !es dcux Espriis daos le ~Manud dc Discipline»'. in RHR
14l(t9,l)5"1,.
Il W FoF.MSTF.R. llni11uiv, in TWNT 11,17.
11 VI! FnFNsn.R. i/11d .. pp. 1R e 20.
1·\ISH"N1.A nl SATANA E DEI DEMOMI
79~
16,11: L· 4.6J. il Jio di questo mondo l2Cor 4.4 e passim, Eph 2.21.
il forll' ;trmato I Mc 3,27 e paralleli>
I mOt!i di manifcs1azionc del diavolo negli scritti neote\tamenrari sono
vari. L1 s11;1 condo11il è dc:scrina in maniera clas~ica nella 1c:mazione dcl
'\ignorc I :\lt. 4· 1·11 l' p.1r.1. Il tipo dd ,li.1IO)!.O rnn Cristo ;tu corizza l'opi-
nione che 11 Jiavolo gli si ~ia prescn1:1w m iormi1 um;ma e che abhia
cercato di influire '11 di lui con il Jis\:<1r-., per \e<lurlo Una nmfc:rma Ji
tale opinione si po1rchhe vedere nclh1 parola di Cristo a Pietro ( Mt r6.
2~: Mc 8.B). Il titolo 'S;1t·:.ia' può essere .tuo senz'ahro .1 un uomo
e ciò rcn{le verosimile il fatto che il 1enta111n: pu(1 prc,entar'i nella fi
gura dì un uomo. Secondo PAOLO S;uana si trasforma in an~clu della
luce ( 2 Cor. 11.r4 ). Eili perla 111t11almt'n!e di un «30J:t:lo di Satan;t•. chl"
lo colpisce con schiaffi affinché c..-gli non insuperbisca ( .z Cor. 12,7 ). 11
diavolo quindi nella concezione di Paolo ha una forma d'angelo che deve
cssel't" simile alla forma umana. Daw d1c Sl"l.·ondo 1 l'etr 5 ,8 la pcnw·
losità del nemico viene inculcata con immagini, 4uesto consente di rap-
presentarsi il diavolo anche nella fig11r;1 d'una bestia. In questo senso
s'intendono anche le espressioni usare altrove, di '<lrago' e di 'ser-
pente'. Ahre forme d'animali non venr,nno attribuite al diavolo.
sputa del Signore, nella quale i farisei gli rinfacciano di essere un inde-
moniato I lo. 8 148-'3 l. L'aver dentro di sé uno spirito maligno, oppure
!"essere indemoniato non significa evidentemente ancora, e non primaria·
mente, la forma certa di manifestazione di una situazione con la quale
oggi colleghiamo quasi esclusivamente quest'espressione. Qualr autcntil'a
possessione è considerata la bestemmia (/o. 8 •.52 s. ), poiché essa indica
un tale inaudito allonrAnamento da Dio che, secondo la concezione di
allora. poteva avvenire solo per istigazione diabolica. Il diavolo è colui
mediante il quale entra in atto «il mistero d'iniquità» ( 2 Thrss. 2 ,7 I. Se
il vocabolo EÌLci{3oÀ.oç si fa derivare da EÌLa(3aÀ.À.ELV che significa ~wnvol
gere, allora il diavolo è colui che cerca di sconvolgere ogni cosa Questa
forza del disordine può colpire un uomo più nelle realtà dell'1mim:1, e
un altro più nella realtà del corpo. Cattiveria e malattia cadono in fondo
sotto l'identica grande categoria del disordine, sebbene siano qualitati-
vamente differenti. È necessario considerare questo più ampio ~fondo.
prima d'occuparsi del singolo fenomeno della possessione corporale. Essa
è una manifestazione particolarmente drastica del disordine del mondo. a
proposito della quale però non ha minore importanza tutto quanto è ,;tato
detto nella Scrittura a proposito della vittoria di Cristo. Anche gli os-
sessi dei Vangeli, attraverso la guarigione ad essi elargita, diventano
testimoni dell'impotenza del diavolo e della vittoria di Cristo.
2. Dall'angelo al demonio
16 a. in proposito A. W!NKLHOFU, Traktat, pp. 33·H; lD., Vie Welt dt:r E11gd,
Ettal 1961, pp. 97-104; come pure l'articolo esteso di Ptt. DE LA TUN!TÉ, 'Du péché
de Satan et de la desrinée de l'esprit', nel fascicolo Satan di Etude1 CarmHitaines,
Paris 1948, pp. 44-85.
17 L'opinione che il peccato degli angeli sia stato un peccato carnale, ha come
fnodamento un'intetJXelaz.ione errata di testi biblici e aoo è per nulla affatto in
jlrado di addurre per sé una prO\•a scrinuristica veramente valida; d. DIEKAMP-Jiis-
SF.~. 1\.tJth. Dovnatik Il, Miinsler 19,2, p. n. A proposito del peccaro di superbia
d T11MMAsn n'AQi..rtNO, 5. th. 1, q. 63, aa. 2 e J.
llA I.I.' ANC.fl.O Al. DEMONIO
a. Tentatore e seduttore
" Rdativamcnt~ ~ questo influsso d. A W1N1tl HOFF.... Traltt11t, pp. 71-10~. 105.
1i>Q: lt:,. D1~ Wrlt der E"t<'l. pp. 10;·11(•
I DEMONI
•• •In questo senso il diavolo non è la causa d'ogni peccato, poiché non rutti i
pcccari vengon commessi per istigazione dcl diavolo, bcnsl alcuni per libera autode-
cisione e per corruzione della carne• (S. th. I, q. 114, a. 3).
20 Neanche la psicologia più accurata potrà arrischiare qui costatazioni definitive,
però esiste il pericolo che una psicologia poco erudita ascriva pnxns.i normali e anor·
D1ali dell'anima a in8ussi demoniaci, quando questi non sooo da ammettere n«essa·
riamente.
DEMONI I! MALE Nt..1. M<JNDO
li a. ;., proposito gli studi di Cu. ]OURNET, Le Mal. F.uai thi-ologiqu~. Bruges
1961, ltr. it.: li "'"!e. Horla. Torino\.
808 l OEMll~I
c. Storia demonizzata
?.I C:f. 11li s1udi di F. J. Y R1NTELEN, Diimonie des Willens. Eine geister1.eschicbtlkb·
philmopbis<'hr lintnoruch1mf(, Mainz I94ì-
~· li rnncl'l!O di •personalità demoniaca .. variamente applicalo (d., ad es., K. HoLL,
Oh"' Be1.riC 1mJ Bede1111m11. Jno diirnonischen Personlichkeit. Gesammelte Aufsiìtu
:ur l\trchenr.eschichte. Tiibingen 1928) ~ determinalo dalle due voci di riferimenlo
'po1enza' e 'massa'. Siccome l'uhima forma di manifes1a;i;ione sembra più minacciosa
nella sirnazionc auualc, vor~mmo r=ringcrci ad essa soliamo! A proposito del 1crna
'po1enza' cl. R. GtrAllDINI, Dii' Macht. Versuch einer Wegweisung, .Wiirzburg 1951
~· Cf. W. Pi\u., Su11..~rr1im1 Weren 11nd Grund/ormen, Miinchcn 1951.
DEMONI E MALE NEL MONDO 8u
26Si può omettere una dim1~sione circa i p:milulari della li~ura Jdl'anticristo;
v in proposito R. SatNACKF.NBt•aG·K. RAllNF.R·H. TlicllLF., 'Antic-hrist', in LTK 1
(1957) 634-638. Il l\"uo\·o Testam~nto ne parla con molta insistenza (1 Theu. 2,3; 1
lo. 2,18.22; 4,2 s.; 2 lo 7; Apoc. 11,7; r3; 19,19; d. Mt. 24.24; Mc. n.21 s.I.
812 l DEMONI
d. Dife~a profettrice
DAMASUS ZAHRINGER
illBL•OC.RAI IA
RlBLIOGRAFIA
z R. HosnE, C. G. Jung und die &ligion, Miinchen 1957, pp. 87-ro.4; G. P. ZA·
OIAllAS, Pryche und Mysterium, Coli. ..Srudien aus dem C. G. Jung·lnslitul•.
Ziirich 195-1-, p. rn ss.; dr. anche P. TrLLICH, S}•stematis<·he Theologie I, S1u111an
11956, p. 300: K. PoPPER, 'Sclbs1befrciung <lurrh das Wisscn', in L. RF.INISot (ed.),
Der Sinn der Ges:-hichte, Miinchcn ?1<)61, pp. 100-116.
l A. Ri:rsrow, Ortsbestimmung der Gegenu,art 1, Ziirich 1~150, p. 129; inohrc A.
Bll!SSF.R, Di<' Religion, Freiburg 1956, p. 104.
NECESSITA DI llEDENZIONF. Pf.K L'UOMO 821
Il Per l'insieme: A. B1uNNU, op. nt. pp. 186.Jo,; S Mow1NCKEL, Rrligiolf 11"'1
K11lt111, Gottingen 19,J, pp. llo-c}o; sopranutto runavia: G. VAN DEI Luuw, Pha-
lfO,,,l'lfolo11it' Jer Rt'li11iolf, Tiibingcn 21956; H. Sc11iia, F.rlon11Ji1vor1lt'll111J1e" ""J
''"t' prycholof(iuht'lf Aspt'ktt'. Ziirich 19,0.
.'iECESSITÀ DI REDENZIONE PER L'UOMO
lii I; '"'''' l"u11inione di K !Asrt;Rs, che solo alla luce dcll'csi•11·n,.a filosolica si
rnn<"'-C nella 1'•<"113 port31A I~ lra11ura ddl'csi.stcn,.a. MaAAiori r~rtico!~ri IO W.
1-01111. <;:.:•1l•c 101J /'r,·1~à1 IJ.i1 1f.1•11"1ç,11.-l•r l'•ohlon J1·• Rc11vonJh111l: vun
" '·""""· c •• n .. 1\citrnjCt" 1ur for.lt·runi: dui•llidl<'r Throlo11ic· sii, (;uicrsloh 19'7.
,, ,,x
. lr Ctr Rm•: - : in pn•;~"iro R Pusn H. s,1.i>p.l1U1g 11nd Er/,,wng. Gouingcn
1960. PI' l<JI'. 1k·r.ni di nu1a and1t· l(h J,-n·nnr IO l!i;o PA 5AN VITTORE. De 11rc<1
mor.ilr. 11.ll, /'/. ,.,.6.6.p Il: 111 llu·r CJ1·/. r,1, PI. 1n.9zs A, .~wc il rapporto
mnnilo ( '.ri,rn i· w1hrr11.11u ,,-..·on.lo quello .ldl'amm.1la10 \•rro.1 il Jlr<•(•rio medico.
NECESSITÀ DI REl.IEN"ZIONE PER L'UOMO
solo una premessa, bensl costituisce già parte integrante del pro-
cesso di guarigione. 22
Quanto intensamente la necessità di redenzione manifesti l'inizio
della salvezza e quindi della grazia, vien confermato non da ultimo
attraverso la mediazione del suo 'prima' e 'dopo'. Nell'affermazione
che uomo e cosmo hanno bisogno di redenzione, è già implicita
l'idea che per queste realtà create lo stato di integrità è una condi-
zione più originaria, metafisicamente 'precedente' alla situazione che
comporta la determinazione di 'necessità di salvczza'. 23 Egualmente
la considerazione delle situazioni bisognose di redenzione dischiude
sul futuro la salvezza non ancora presente, che però si trova già in
via d'attue.zione: il compimento dell'éschaton. Appunto per questo
nella presentazione biblica della necessità di redenzione non è con-
tenuto solo il ricordo dell'integrità di un tempo, bensl anche la spe-
ranza della gloria ventura.
:1 Ciò lu cPnkrm.1 dJ l<um 1, 1 !! ss . l;1 <k>C"rmone Jella miseria umana vuol esst:r
intesa come <:>posizione p1it particolareggiata dell'evento della rivelazione.
23 Cl. G SCHEREI. Ab1urdes Dttsem und Smnerfahrung, Essen 1<)61. p. 25.
l• 'Er!t.isun~·. in Hoag RL, 418.
2S Specialmente Ps. 51; 71; IOJ,2 3.4; 147,3.
l6 Soprarruuo Gcremi1. il qu1lc tuttavia comprende la retknziooe piuttosto come
Nf.C:f.SSITÌI Ili REIW.);ZIONE PER L'UOMO
fauo interno.
rt Per l'insieme: H. Sol>.•. op. cii., p. ·U s; J. BECIWI, DtU Heil Gottn Htils-
u11d Sii11denhegrifje in den Qumrtmtexun und im Neuen Test•ment, GOuingcn 19~;
R. BuLTMANN, Glttuben und Vasuhen: Gesttmmelu Aufut:e 11, Tiibinaen l1961,
p. 10;.
21 Mc. 1,15; W. G. KiiMMEL, Dtts Bild des Menschen im Neuen Teslttment, C:OU.
·ATAl\'T" 13, Ziirich 1948, p. 9.
Zt Mc. 2,1;: o:Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati•; cf.
UGO DA SAN V1TrORE, De StJCrttmentis I, 8,1, PL 176,30' D-3o6C; A. K11otGASSHU,
ErlOsung u11d Siinde im Neue11 Testttment, Freiburtt 1950. p. 1841.
"'l.f. M1. 1.i1.
NECl!.SSlTA 1>1 llEDENZlONE PE& L°llOMO
li ln~lC dcli• furm~ <UOMM.·ta, ma "1eno e'dtU: ·libo.-rlll·i <l•I malo:• Mt 6,13.
11 P. T1L1.11.H. Dir nrur Wirlr/rchlr,.t. p. ""·
'' C,lur11f'' 1urr1h' lo -.vu1~ tiinJ1J·1u1uttP il \'an~t·lo di Cicw:anni
"~.n ~SITA DI UDF.NllONF rn 1 'l'OJ\1(1 llp
"' t:ph t.,1J: .Spiri11 ,fel male ,he "11ì1J1111 ndlc rl'11ioni cck,11•.
li Cl. [pii. 1,\: •• •·--~re suor ti1dì ddolll\'I•; al rr11uardo andte Rom. 11,11-1;.
l'esposizione 8ul1o •(liriln di schiavi1ì1 mo~tr• lh<· per uno schia\'O non ''(o Ji•lo111-•
1lcuno con il ptrdront", soluoto invece un r•ppnrm m•tcn1le di ,Jìpen.lenza.
l6 Tu11avi1 IU\l'hc: il e<hlÌ•n•• ra111uuoto da <.1i~1u <' preso ndl'ohbcdit'l\7.1 11 Si-
1111<irc: ~ cunscio dì t'S5C.'r ancora biso11noso ddla rl"denzionc nel St"nso pieno " uhilllO
Vi 1~nn1 r,.,/ \,I'
NECESSITÀ 01 Rf.DF.NZIONE PlèR L'UOMO
e. Comprensione di fede
aa. La problematica per una 'analogia entis'. - Per una più precisa
definizione teologica della necessità di redenzione è d'importanza
decisiva la concezione filosofica del mondo e dell'uomo che vien
presa come appoggio. Non qualsiasi concezione può esser presa in
11 Cl. Ronr. S,19; A. B11·N.,.U, D1c l<fltvon. Fn:iburg IQjb, 1>. 11111; E A1uN""'·
<:011 1.nd sein ReMll. Hambur11 19j8. rP· 27-1b
u W. DAIM. l'ie/e,,pncholot.tr und f.r(;,.,,,,, W1rn 1qs4. p;> .p ~s. 111 !'i•
NECF.SSIT:0. Ili Rl'DPKl'IOl<F. l'l'M 1. l"OMO
''O;•·"'
"' M 1h 1ron.cE~ ,,.,,, 101.! 1 .. ,: r 1nti ss
~~ \\. l111l!F. ot 1:/ fi ,,.
(• D.;1 .\c":I'; ,,r,J :f..·, r.utc· pp l54·l~.f·
~ \l. ~ 1111.EI. ,.,, :I. f' .?.JO.
I
a. Considerazioni preliminari
vita che tosse sccondo k leggi ddla morale naturale.:."" Altri S11ppDn-
gono che Dio. dopo il peccato originak-, avrchhc prl·so, mmc prov-
visoria misura di m:cessità, il provvedinll'nt11 straordinario di far
trasferire a 'meriti soprannaturali' lutt<.· le opcl'l' buone 11aturnli che
fossero st<lle auuate dagli uomini foio ali 'avvento del redentore.
Se<:ondo una tcrza spiegazione, saTebbcro csis1 iti sì, nd tempo pre-
ccdcntl' alla redenzione, aiuti soprannaturali di grazia, aiu1i che però
non sarebbero usciti dall'ambito di singole azioni, e che del ixsto
avrebbero avuto solo la funzione di render possibile una migliore
osservanza della morale naturale e una pii:1 sicura conosl·enza del-
1'unico Dio.07 Esaminando le loro premesse si può ricavare da queste
tre teorie un'idea comune: la sostituzione (implicita) del 'prima' e
del 'dopo' della redenzione con la distinzione statica e astratta di
'naturale' e '·soprannaturale'.
~" :\ 11 KL~11 \S. Dic u'tlS.f(',r~:h!ikl'c' Er!o1:..n~rt '" .:rtunr.. Rc::in 1927. r. \il.
7; (,c•n. {,14-2.J.
7o H. Sctrn1.1 .. K,,11/•ol1H·b1• l>o.~%1/i.(·TI. Padcr! .. .,-r. rs.,n. p 111-
i7 tl. Kt 'M:. Rc,·b1./cr.-ry.,ro1.I!. Ein~il·~tdn t l)'i/. p. 160 ( tr. Il. L1 j!.11H!i_6,·a:1tm(•, Que-
rinrnna. lln";·ia I.
:"- ( 1t 'I Cl~
8.J.1 Nl'.U\SSITÀ DI Rl'lll'SZIONI'. PER t'UOMll
"' l :t. k '"',oen·a11on: pnrinenr: in 11. Snrt.11., o('. "''. p. 32~ ss.
*' S.11> (O.I 'S.
" \~' E1t llKO~I /!Je,.fo;:,1r ''"' .'1/1,·1: To1.1111rnt• r. l ... i1»ig '1~\9 .. p. 252, nora
~: ·~k"si~srrw.u111ni:' rn flJJJ: RL, ''H·
"! E U.\CCJl!E. P.i) r·< •!u,.~·':r· P:1r.:ll!n /ur .\,·,·/,-,,l..,''1 lirchtt' Jc•1 .\fi·nrcbc,.r. Ti.i
bjngcn iI9'l1. L-.,,..p~:d1:1in . .· .11 pJrohl: ...... nl·ll.1 ~u.i f11t~11.1 't."(olaru.t.....1t.1. (· !ii\·iluppa:a
nel modo pili im '''\''' d.a TI1 \X'nlfl"- u.Ahh:tndt 1na b ,,., r.t <li ("',Jj h~u fatto ._~;,pc.
rÌe;il'.I. pt"r ll'."! 0 :•,pc·~-::."!1/,I mag~hl:t-: l:\1\":I :Ili pat''l'. r111 }'.e!Jn (" :.'l:Ù C3r'' dell3
patria. piìr ,·••hl dt·l!a ••·rra: un !'-•::se. <ul quale J'OAAiano le colonne di questa terra•
l)'nu C111'1 <;,, """'" :l~.:i11. N.,w Ynrk :<J.Jo. r :-~''·
" Ci :\ "R~ " " ' ur .-i: ( ;!, acn-nam.:ntr di e l1. .I• ''1G dru l'ard1c.-tipo di re-
,tt.·ntPrl' k1iC.·.i1ir/_,.til' 11c.·1:·11k."'':1Sl:Ìo l"olkrt1\'0 d~nno a ci\l un non irr~lt"Vanlc.• appo~io:
d R llo~nr:. vr . I! pp ro-2:-': secon.lo Il l'lllfllt:KE. ·11..-,,fn1.1« hr Fthik
11 ' 1. p i61.(• an . . he 1"1dc.1 .:l.h~1,·.i ddranima 'be1Ia' rul1 C''-\.e'r ddlni1a ,·omc una
ft-.:-ma !'t'C'1'l.ari:rJiUtt .. cf..-ll'11nir~ ciri,inaria f' riacqni~1;11:1 rwlf;i rt"th·u .....iont .. _
AZIONF. ANTICIPATA DEI.I.A REDENZIONE
.. B Sn,, e lo..! I. I ko!i:,~ .. ~ .. :m l't·:, ... ,1.dt• 1 r: ,\ . ~, :11;'('!: : ,. Pr1 '''!\!Il.li'~, .. ~:..·.. '··
:ur\'cr)JO):C"O' !l~h."h ll~·r (. u.:(,;\.'\ la.rn ·. 1~1 f f/ 7l l I q(1 ~I I\ ' '
"~Il K.t•sc. n(' .r: p 1f•1 .. t.11 1 Ì 1' pt'ù.1:ou· ~1.1 ~hl"·• ..:1.11111mJr<.· .1 ,u,,1,ll: ..·
L nl.'"! ·•11111' , •. 1.... :,1c.·Tt· ... ·nw 1 u11tH• l'.lflc.·ltp.1 Jl:.1 ~rJ1:.1 do.·:l.1 r:,:cn1:t~nt.···
NF~'.HSITA 01 Rfllf.~711"1. Pn 1. '"''"'
""I\.. HARTll, /\/) 111i1, Zi11·id1 1•q;, p .pii: mowndo di qui risuha romi•r"n
si bile anche il do\'l're per tt11ti 1tli uomini rwi mnfrnnti della rcli1tionc d<"lld 'rea·
1ionc; d. Sap. r 1. ·TJci.lenlwhhrn11g', in HJ,1~ RI .. 6;2.
51 Similmcn1<· anrhe la l<x·uzionc di /.'r•h. 1,9 drc d"l mist.-ro di C:ri,tn ~".-ri"C'e
dre c'so era n~sco•w tìn dalle <'rigini in Dill, rlll' 1111111 IM ne;110.
llS I I. Kiir.G, op. cit., p. i66: «:-.l!'llR rn·a1ione di fa110 ~ 1ti:ì radical<> m1<1.-ri11,a-
rnentc 11 dc.·cr<"to t'tcrno di sah·l·z1.3,,
llq /.:,o,,:. l),2 ·~: :noltre I<nm 9,1w ((St• il Si~11nrt• nnn e: n\'Cfo.o;.e Lt,c.:iatu un sc:-rnr .... _
'IO A..h.REMIAS, op. 1 il., p. 7.
•I 11 t' \' 13Al.Tl!ASAR. \'rrh:wr <'Jro, Ein'il'clc!n l<t<'O. p. 4·1 <fr. r1. :\l11rr.-llian•,
!'.resn.11; :\. JERF.MIAS, nf> àt, p. 172: "'PTllftUlt<> anrhc 11 RAllNl'R, I'""""'''""
.\fwl•1•1 :•1 ,-.l.ri1t/1,-.f.er Pt"u/1111)(. Ziirirh 111.p. R·t I.
847
c. Note sistematiche
forma specifica: css;1 non è per nulla solo rkerca intorno al fenomeno •tempo,.:
essa s'intende pi1111os10 in ultima analisi <"omc rca-.ione alla esperienza dcl fallo che
l'umanità diferta di integrità ~ <li »rlute.
101 A..h:REMIAS. op cii., p. 16<J.
SEZIONE SECONDA
L'UMANITA 'EXTRABIRLICA'
E LE RELIGIONI DEL MONDO
l. L'umanità extrabiblica
a. Riflessioni preliminari
1 ToMMASO o'i\Ql'INO. Esposi!. in s. Parili apo.<1. ~pi<!. ,,J Rom. 2.14; m proposito
J. R1rnL, 'Das I Id cks Nichlevanjldisierten nach Bonaventura', in TQ 144 ( 1964·1
276; ID, 'Ràm 2,r.1 ss. und das Heil der Heiden hei Au!(Ustinus und Thomas', in
.\",·f,old</iJ.: ~O (196~) 18<)-}I \.
t:MA:-l!TÀ EXTRABIBLICA F. Rf.J.IGIONI DF.L MONDO
aa. I contatti del popolo eletto con i popoli limitrofi pagani, co-
me dimostrazione di misericordia divina verso i popoli pagani. Il
popolo d'Israele eletto da Dio per portare e rappresentare la storia
della rivelazione condusse la sua esistenza non come una riserva, la
quale chiusa da ogni parte ermeticamente. da una 'cortina di ferro'
non abbia permesso alcuna legittima presa di contatto con· i popoli
limitrofi, e che cosl lo abbia condannato a una permanente clau-
sura. La elezione da intendersi nell'accezione comune come segrega-
zione, deve portare alla negazione, gravida di conseguenze, di una
UMANITA EXTRABIBLICA
• Gt>rr 6,6
7 1 Petr 1.6: Il U. v BALTHASA•. TheoJogie tler Gt>schichlt', I'· 11.
UMANITÀ F:l!TKABll\l.ICA
• e;,.,, ...
9 Circa le racnti indicazioni rillllardo alla do11rin1 vc1cm101amm1aria su •Jncr
hara• vedi 8. Srnu:ur. 'Erb•undigc Bcgierlichkci1 . wci1c~ Erwqungcn zu ih~r
d1colo11ischcn und amhrupologischcn Gcs1ah', in MTZ 14 ( 1963) 240 s.
IO Grrr .pj.
li r;,.., (, R
UMANl1'À EXTRABIBLICA E RELIGIONI DEI. MONDO
11 Gen. 6,5.
IJ H. JUNKER, op. cit.
14 Gen. 114.
1s H. JUNKER, op. cit., pp. 1 l·f-l ~<>·
UMANITÀ F.XTRAlllBLICA
16 Gen. 4,15.
n r Petr. 3,20.
1s H. GRoss, 'Der Universalismus des Heils', in TTZ 73 ( 1964) 148; cf. anche
M.ysterium Salutis 1/1, pp. 190,26~ s.
UMANITÀ F.XTRABIBLICA E RELIGIONI DF.L MONDO
19 G,·n. 9.8-17.
lii Gen 1.pll ss.
?t Il. G1oss. op. cii .. p. p.
22 J DANIÉl.Ut:, I santi {"lga11i Jrll'Antico Test11me1110. Brescia 196+.
?J M. VERESO, 'Von der Allwirklichkeir dcr Kirche', in TQ q8 ( 1958) '396.
24 Su que5IO argomemo W. BAllTZ, 'Heroische Heiligkcit', in J. RnzrNr.n·ll
f11•s ledd.I. Einsicht 1mJ G/,mbe, Freiburg 1962, p. 329. Ciò doveva sollt>van: J~I
n-,.10 la que:;tione se i giusri e i sanri credenri del mondo pagano ..v.,vano la
rossihilirà d'esser dorari con Joni di sanrità ahimele, fondammtalmenr" idt-nti<'1 d
>.1uelli con cui pol'sono esserlo dopo l'auo salvifico di Cristo: circa il componamenw
incrno dei teoloi:i in qtle!i!O rroòlrma, informa I. BACKES, 'Dc:T Universalismu> J<-,
lleils'. in 7TL i l I 19641 1n·16o. Si deve rin\'iarc anche alla testimonianza dcli~
1raJiz1on..-: d. r C'S. l'opinionr di An~lmo di Canterbury sull' 'Ercfrsio 11b AJ11m'
in Cur ne'" '"'""' 2.16.
UMANITÀ l!XTRABIBl.ICA
nei 'santi pagani' solo casi eccezionali,2.1 e se inoltre ritiene che que·
sti giusti possano essere giustificati come tali solo perché esi;i, nono·
!\!ante avessero conservato gli usi religiosi del loro popolo, sono
giunti in rontatto storico concreto con i patriarchi o con Israele, o
almeno petché si sono fatta propria in qualche maniern la menta-
lità del popolo eletto; 26 se quindi ritiene che tutti gli alrri pagani
prima di Cristo abbiano dovuto la loro giustificazione indiviJuak pu-
ramente alla moralità naturale, allora a tale modo di ve<lere si de-
ve negare l'assenso. Specialmente in considerazione del nl·sso che la
Scrittura mette in rilievo tra il patto di Noè e quello dj Ahramo,
sarà piuttosto necessario considerare i singoli santi nominalmente
citati tra i pagani quali rappresentanti e invieti di comunità più
ampie, dotate della grazia di Dio: in certa misura come loro per-
fetta espressione.
La conferma della Nuova Alleanza: la leue del cuore. Può pas-
sare in secondo piano il problema se le considerazioni di Paolo nel
secondo capitolo della letlera ai Romani sulle possibilità di salvezza
offerte ai pagani in quanto pagani, siano state ispirate dall'idea del-
l'alleanza di Noè e di Melchisedec quale ponte tra la fede nella crea·
zionc e la fede nella redenzione; tuttavia certamente la tesi prin-
cipale, che cioè i pagani «per natura agiscono conforme alla legge•.n
si fonda bulla coscienza di un misterioso 'sincronismo' storico-salvi-
fico dell' 'ordine di natura' e della 'rivelazione storica' (nel senso
dell'Anticu Testamento: di Noè e Abramo). Questo spiega il motivo
per cui ai pagani, che danno la risposta d'obbedienza alla legge inte-
riore, venga riconosciuto l' 'essere giusti' (=l'essere santi). 11 Per
la chiara comprensione di questa realtà, due rilievi ancora appaiono
soprattutto necessari: la 'legge dcl cuore' non viene a coincidere
del tutto con quello che più tardi sotto l'inffusso stoico i;i chiamò
la 'coscienza umana'. Essa, alla pari della legge dci Giudei. giudica
direttamente, e mostra con ciò la sua finalizzazione soprannaturale
d. Osservazioni sistematiche
29 Non si può dire che all'elaborazione teologica di questa dimensione sia data al
presente partkolarc premura.
JO Cf. K. RAHflEI, 'Das Christentum und die nichtchristlicben Religioneo', in
Schrifun v, pp. t 54 s.; per l'ulteriore spiegazione dei concc11i d. Mysterium S.Uutis
I/I, PP- 91-96.
31 O. KAaau. Das Religiose in Jer Menschheit unJ Jas Chrislt'ntum. Frciburi:
4 1949, I"· 2,2.
86:z UMANITÀ llXTLUIBUCA I. ULJGIONI DBJ. MONDO
32 Secondo A. R()ru, Dit 11r1onymtn Christtn, M.inz 1962, p. 1, ( 1r. i1., I cri-
stitmi 11nonimi, cGiomale di teologi•• 6, Brescia 1967); su ciò K. RAHNEll, op. cit.,
1,, s.; ID .. 'Exiaten1ial, iibem1riirlichcs'. in LTK lii (19,9) IJOI; speciale impor-
tanza spetta intanlo alla tnttazione più recen1e di K. RAHNu, 'Die anonymen Qui.
sten', ;o Scbrifttn VI, pp. ,.,.,,4; rssa precisa più esattamente 1lcuni punti della tesi
primitiva e cerca di ovviare criticamente ai malin1esi; uni buona visione la ofu
K. R1E.SEHHVH.I, 'Der anonyme Christ, n11Ch Karl Rahncr'. in ZKT 86 ( 1964) 286-
JOJ. L'usenionc fondamentale della domina dcl cristiano anonimo vien cosi riassun-
ta da RAHNl!I (op. cit., pp. 761 s.): cOrbcnc, dovendo noi tener presenti assieme
entrambi i principi: la necaaità della fede cristi1n1 e l'universale volontà salvi-
fica dell'amore e dell'onnipo1enu divin1, ci ricoce di farlo unicamente in un modo.
Il modo ~ il squcntc: 1u1ti gli uomini devono sono un ccMo asperto poter appar-
tenere alll Chiesa; e ques11 loto facohà non può venir intesa nel senso d'una pos·
sibilità sohan10 logica cd 151ra11a, bcnsl reale e storicamente concreta. A sua volu,
ciò vuol dire che debbono csistl're vari gradi di apparte~ll2ll alla Cliina. Deb-
bono csisiere in senso 111cendtnte, panendo dall'essere bauczzati, passando alla
piena professione della fede cristiana e al riconoscimento dd governo visibile della
Chiesa. per giunger<' po! sino alla comunione di vita nell'cucarist1a, andando infine
1 sboccare nella san1i1à rcalizura. Non solo. Ma debbono ..sistere anche in senso
discendente, paMendo 1ncora dal fatto esplicito di 1ver riC'l'Vuto il harre•imo. per
UM~NITÀ );XTIABIBLICA
a. Questioni preliminari
siderato come l'unica religione previst.a da Dio stesso per tutti gli
uomini, la quale di conseguenza obbliga tutti gli uomini senza ecce-
zione. Da quando c'è Cristo, da quando la Parola di Dio è entrata
nel nostro mondo e, per mezzo della morte e della risurrezione di
Cristo, l'ha unito con Dio, questo Cristo con la sua permanente pre-
senza storica nella comunità di coloro che credono in lui fonda la
religione, la quale con esclusività obbliga l'uomo. Questo significa
che tutte le altre religioni si possono superare teologicamente e che
esse fanno conoscere pienamente il loro oggettivo «essere in sé»
solo dopo, quando cioè siano intese come riferite in senso su:etto
all'evento di Cristo. 42 Ciò deve dunque avere la qualifica di un cri-
terio a priori e di un pre-supposto. Non occorre alcuna discussione
per dimostrare che ciò è attuabile solo partendo dalla fede.
Nell'esigenza di porre come base della considerazione teologica
delle religioni il concetto di una loro possibile relazione a Cristo, a
rigor di termini sono contenute due asserzioni che per la loro impor-
tanza meritano di essere messe espressamente in risalto. Innanzitutto
si nega che le religioni siano tutte egualmente buone o cattive e che
forse possano perfino una buona volta riunirsi in una sintesi supe-
riore. Ciò significa un deciso rifiuto del razionalismo, cominciato con
l'epoca dell'illuminismo, il quale nega recisamente la diversità so-
stanziale del cristianesimo dalle altre religioni e, nella migliore
delle ipotesi, è disposto a concedere che la rivelazione della salvezza
interpreti nel modo più schietto e più puro gli elementi della 'reli-
gione naturale'. 43 Ma d'altra parte, il suddetto postulato nasconde
il riconoscimento che il cristianesimo ha senz'altro il suo posto fra
le religioni, che esso può venir confrontato con esse e che perciò
può anche giustamente pretendere per sé il concetto di religione.
aa. Il sì alle religioni. Esso wene espresso nel modo più chiaro
45 Aci. 17,22-~1.
46 Cos1 nuovameme <li recente:, L ELDERS, op. cii .. p. 1) 1.
PEI UNA TEOLOGIA DELLE llELIGIONI
47 Aci. 17,1~b .
.a Cf. ludith ~.8.
l'MANf?À EXTUBIBLICA E RELIGIONI DEL MO!fDO
4!)Apoc. I\.
50 Circ• le più m:cn1i riserve in contrario cf. L. ELDERS, op. t:it., pp. U.f·IJI.
Pt • Ul\14 lf.ot (lGIA DELI f' IF.UCIONI
non consente alcun vero dialogo, poiché il divino che sta di fronte
all'uomo è 'muto', incapace di chiamata e di risposta; inoltre gli è
proprio l'elemento della costrizione: esservi dedito significa essere
divenuto schiavo. Parallelamente si deve tener rnnto che già r rheu.
4,5 spiega l'essere affetto dalla passione e dalla libidine come tipiro
comportamento <.k·i pagani i quali «non conoscono Dio• e che Eph.
2.12 descrive la vita secondo i modi e le abitudini pagane senz'altro
come esistcnzél «senza messia•. «senza speranza e senza Dio•. 51
Infine non si può tralasciare Rom. t, T 8-~2; questo documento non
contiene solo una testimonianza della rivelazione di Dio mediante la
creazione e dell'incapacità dell'uomo di compiere qualche cosa con
una offerta presentata in tal modo. bensl presence anl·he una infor-
mazione fosca sulle attuazioni dell'uomo in campo religioso: senza
dubbio infatti la costatazione: «hanno cambiato la gloria del Dio
incorruttibile con l'immagine e la figura dell'uomo corruttibile, e di
uccelli. di quadrupedi. di rettili• 51 è coniata per determinate forme
di religione, accessibili all'ambito di osservazione deU'apostolo. Ciò
esclude la possibilità di ricondurre il depdt delle religioni rispetto al
cristianesimo, unicamente a un'articolazione della fede in Dio in sé
ancora imperfetta, a un 'non-conoscere-diversamente' per sé supe-
rabile. Le religioni che Paolo ha in vista (i culti misterici) sono per-
versione, 'de-lusioni' fondantesi su uno 'scambio', percorsa dalle
«concupiscenze del loro cuore•." Si potrebbe quasi essere tentati di
arguire, in vista del ccrru(.IÉhm~.Ev» del v. 24, che le religioni segnate
da degenerazione stanno, rispetto alla rivelazione, come la 'prosti-
tuzione' rispetto all'amore coniugale.
54 rn qunro ""1\50. Ira gli altri • .I RIF.111., 0111 H,.i/ """ Nirhll'Nfll,t'ii1il'l'll'n nKb
UMANI'l'À EXTRABIBLICA E RELIGIONI DEL MOl\°l>u
~ A.;osnNo. J<ctr 1.11.1. I'/. 12.601. in riferimento .1! Dc rer:1 rcl11;Jul1t' 10,19
PI. q.111; cf. •llKhc Ci I· MENTI·. ALESSANDRINO, Strnn1<1tt1 6,7, PG 9.27<)/2'62.
19 E. BENZ. op. cit . p. 417.
1<1 R. l'ANIKKAR. Christm der llnbekarmle i•n llindumnus, Luzern 1965.
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l'r•t.r"'""''" ()ucriniana. Rl'C"<'ia 1.
PRF.MP.SSE
essa garantisce la verità storica almeno dei fatti che provano la vo-
lontà salvifica di Dio nei confronti dell'ùomo e la fedeltà di Dio alle
sue promesse; in particolare essa garantisce la verità dell'interpre-
tazione con la quale svela il nesso religioso significante del decorso
della storia.'
3. La spiegazione del nesso significante dei fatti storici deve inse-
gnare all'uomo a comprendere il suo presente e offrirgli un aiuto,
perché possa foggiare consapevolmente il suo futuro. La Bibbia
perciò, interpretando i fatti della storia della salvezza, vuole istruire
l'uomo sulla sua condizione attuale e sulle possibili vie che lo con-
ducono a una meta che lo attende nel futuro. Siccome la Bibbia è
parola di Dio, la spiegazione che essa dà agli avvenimenti della sto-
ria della salvezza è rivelazione divina,7 che insegna all'uomo a capire
il suo attuale rapporto con Dio e gli mostra la meta alla quale Dio
conduce l'umanità. Dio però dà la spiegazione della storia della sal-
vezza mediante uomini che parlano in suo nome e precisamente
nel corso della storia della tradizione biblica mediante le persone
da lui scelte di volta in volta; poi mediante i compilatori e gli au-
tori che ~nno fissato la tradizione biblica nei nostri libri canonici e
6 Cf. O. LoRETZ, Dir Wt1hrbtit dtr Bibel, Frciburg i. Br. 1964; N. loHFua:,
Dir /rrt1,,,ulo111.kr1t: D111 S1ritslitd ""' Sclnl/111ur, Frankfurt tC}6j, PP- 48-llo;
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'vt'rbt"''· 11-
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PRllMBSSB
1 Il vocaholo chraico .i.i/rim di soli10 si traduce con "pace'; significa pri-ò anche
STORIA E ORDINE DELLA SALVEZZA NELL'A.T.
benessere, sicure-aa e salute, d. Il. GKoss, Di<' Idi·.- d1·.1 t'Wtit1·11 Ufld t1llJ1.I'"'"'"''"
Wdtfriedt1rs im Alten Orttnl Ufld im AT. Trier 1956, lo., 'Fricde', in Bibdtheo·
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ed. H.H. ROWLEY) Edinbur1h 19,0, pp. IIM16; M. HAllAN, 'Thc: Litc:rary Struc-
turl: and chronological Frame: Work of thc: Prophecies in ls. 40-48, in VT Suppi.
9 (l..eidc:n 1963) u7-1,,; 1pec. 137-141; A. Solooas, 'Lea choses anrérieures et
les chosc:s nouvc:lles d1n1 lc:s oraclc:s deu11!ro·i1Uc:n1', in ETL 40 (1964) 19-47;
K. GALLEY (v. noia 16).
" Sull'c:brairo miii~' e: il greco AQOill1:yu = 'compiere' cf. ]. SclULDl!NllEKGEI, in
Bibdtheol. Wb. 280-188; G. DEu1NG, in TWNT VI, 28)'309; ST. Ht:aMANSKY (v.
nota lti) pp. 84·86.
m P. GRELOT, in NRT 94 (1962) ,66.
21 a. nella bibliografia (1) le opere: citate di S. Amsler, P. Grc:lor e: C. Larchc:r.
ZI Cf.G.,,,, 5.~; 6,8; 9.1>'17.16 s.
STORIA Il ORDINE DELLA SALVEZZA Nl!LL'A.T.
lato del piano della salvezza: chi non vuole aver cura di alcuna
comunione con quel mediatore, sta sotto la maledizione di Dio. 20
Un terzo tema allaccia lo stesso strato della tradizione con Abra-
mo: la grazia di Dio indebita e la fede del! 'uomo, sono le premesse
per l'alleanza.
1lo Su Gen. 12,1 ss. J. HoFTIJZl!R, Die Verheissungen and die drei Erwiiter. Lei
den 1956; ]. SCHARBERT, 'uFluchen» und «Se11ncn• im AT', in Biblica 39 (1958) 1-26
spcc. 2, s.; Io., Solidarietiit, p. 17' s. ID., Heilsmittler, p. 77; H. JUNKER, 'Segen
als heilsgeschichtl. Motivwort im AT', in Sacra Pagina, Bibliotheca ETL 12/n
(Gembloux 19,9) ,4s.,,s; ]. Sc11REINF.R, 'Segen fiir VOlker', in BZ (NF) 6 (19621
1·31, spec. 2-8.
27 C.f. H.W. HEtDLAND, Dic Anrechnung dcs Glaubens zur Gercch1igkei1, in
BWANT iv/18 (Stuttgarl 1938); G. VON RAD, 'Die Anrechnung des Glaubens zur
Gercchtigkcit', in Tl.Z 76 (1951) 129-132, Theo/. Biicherei 8 (Mi.inchen 19,8) 130
i U· - Sulla nozione di 'giustizia' nell'AT e nel NT: FR. NèiTSCHER · P. BLiiSER
Bihelth1·o/. Wb., 4H·473 (con la bibliografia meno recente); E. BEAUCAMP, 'La
justicc dc Yahvé er l'économie dc l'Alliance', in Studii Bib/. Frane. Uber Annu11l
Il ( 1960/61 ), pp. ,.,,; KL. KocH, 'Wesen und Ursprung der «Gemeinschaftstreue»
im Isracl der Koni11siei1', in ZEvE 5 (1961) 72-90; W. MANN, 'Giustizia', in DzT
1 (l1969l 743'7"; A. DONNER, Die Gerechtigkeit nach dem AT, Bonn 1963; J. VFL
1.A, 'La 11iu~1izia forense di Dio', in Ri11ista Bibl. suppi. 1 /Brescia 1964>.
STORIA E ORDINE Dl!LLA SALVEZZA NELL'A.T.
Il capitolo xiv del libro della Genesi, il cui inserimento in uno strato
ben determinato della tradizione è cosa discussa, costata ancora un
altro fatto della storia di Abramo, che per la teologia biblica suc-
cessiva è di grande portata, cioè l'incontro tra il patriarca e Melki-
sedek rl quale, contrariamente alla comune abitudine della tradizione
veterotestamentaria, non è inserito in nessun albero genealogico.
Per il fatto che Melkisedek, il re sacerdote di Salem, benedice Abra-
mo e Abramo esercita con lui un culto comune mediante la confes-
sione fatta al «Dio altissimo, creatore del cielo e della terra» (Gen.
i4,17-20), viene stretta fra il popolo di Dio, fondato da Abramo
e il luogo di culto del «Dio Altissimo», nel quale Melkisedek agisce
come sacerdote e re, una relazione che è importante per il successivo
corso della storia della salvezza. 29
Le tre tradizioni principali rilevabili nel libro della Genesi descri-
vono come Dio faccia continuamente operare la benedizione nella
vita dei patriarchi e come confermi continuamente le promesse. Però
non tutti i figli dei depositari della promessa vi partecipano, o, per
2ll Circa la tradiiione di Abramo negli s1rati dcl Penta1~co: J. HoFTIJ7.Ell (v.
nota 26); e.A. KEL!.F.R, 'Gnimlsazliclx:s zur Auslei:ung der A!lt'ahamsiiberlieferung
in der Genesis', in rz 12 ( 1956) .f25·+o: R. Kll.IAN, 'Die vorpriesterlichen Abra-
hamsiiberliefenmgen', in BBB 24 (Bonn 1#1
2' Su Melkisedek, V. HAMP, M.-lch1udt'Cb 11/1 1'yp1w Pro m11ndi 1•it11, Miincben
1960, pp. 7-20 - (C',on la bibliogr. meno rt-cc:ntel; I.. F1s11H, 'Ahraham and llis
Priest-King', in JBL 81 (1962) 264·270; I. lluNT. 'Recrn1 Melkisedek Srud~·', in
The Bible in Current Cath. 'J'houp,hl (eJ. J.L McKUlllt.I Neu• York 1962, pp.
20-33; A.H.J. GuNNEWEG, 'Lcvi1en unti Prit'slc:r'. in l'RLANT 89 (Go11iniien 196:sl
98-108; H. SCHMID, 'Mekhisedek und Ahraham, Zadok urxl David', in Kairm 7
(1965) 148·151.
STORIA D 01Sl\Al!LI! COME STORIA DELLA SALVEZZA
lo meno, non tutti nella stessa maniera: tra i figli di Abramo sca-
dono da eredi della promessa il figlio della schiava, Ismade, e i figli
di Chetura, senza che una loro trasgressione ne sia stata la causa."'
Tra i figli di Isacco, Esaù fa perdere a se stesso l'eredità della pro·
messa, perché disprezza la benedizione paterna (Gen. 25,31-34) e
offende i genitori (Gen. 26,34 s.). Chi non si attiene all'ordinamento
stabilito dall'alleanza con Dio e omette la circoncisione, «è da reci-
dere dal suo popolo» (Gen. 17,14), e cioè da espellere senza indul-
gem~a dalla comunità degli eletti da Dio, anche se, per il sangue, è
un figlio di Abramo. Tutti i figli di Giacobbe sono per vero i capo-
stipiti delle dodici tribù che poi formano il popolo di Dio, ma la
beneJizione di Giacobbe manifesta già che essi non avranno parte
in egual misura alla benedizione e alla promessa. Su Simeone, Levi
e Ruben grava una maledizione, perché hanno oltraggiato il loro
padre: essi saranno privati della loro parte di terra e andranno a
perdet"Si tra altre tribù (Gen. 49,3-7). A Giuda invece è promesso
il dominio regale sui suoi fratelli (Gen. 49,8-12). Benedizione e pro-
messa quindi non operano in maniera magica, bensì vengono attuate
da due fattori: la volontà benevola di Dio e la solidarietà con i pa-
dri nella credenza.
La tradizione jahvista descrive come anche la promessa di bene-
dizione fatta ai patriarchi in favore dei pagani si avvii a compimen-
to: gli stranieri danno valore all'amicizia con i patriarchi e li cono-
scono come i «benedetti da Jahvé» (Gen. 14,18 ss, 26,28 s.) oppure
esperimentano essi stessi la benedizione, perché hanno accolto nella
loro comunità domestica gli eredi della promessa (Gen. 30,27.~o;
39,2-5). Il narratore elohista esprime un pensiero simile, quando
attribuisce all'intercessione di Abramo la forza di espiare i peccati
di Abimelek (Gen. 20,15 ss.).
Mentre il libro della Genesi considera il popolo d'Israele come
la meta, verso la quale Dio ha fissato la sua azione salvifica nei con-
fronti dei patriarchi, gli altri libri del Pentateuco invece, partt'nJo
dal fatto che Israele è diventato un popolo, hanno uno sguardo r-..:'·
trospettivo ai padri, visti come depositari della promessa di una
JZ Is 29,22: .. 1.8 s.; 51,l Anche M1ch 7,10 è ri1c:nu10 oggi come: csilico o post·
c:silico.
n Così l'ebraico 'al Jibriiti malJ:i-fcdck è da in1c:ndcrc: come 'a mo1ivo di Mc:lki-
sc:dek'. I Sct11n11 e i la1ini hanno 1rado110 •secondo l'ordine: di Melkisc:dc:lt»,
dando così un ~hro si1mificam alla frase
j4 2 Sam. 6.1p7•.; 1.ps; 1 Rrg ,,.. 15; 8,1·9; 9 - Circa le: funzioni sacerdo·
tali del re d'lsude v. J. ScHARBF.llT, Hei/smittlC" IH·129,z63-265.
15 Sui patriarchi nella lc:11c:r11ur1 non canonica: J. JEREMIAS, in TWNT 1, 7-9;
B1LLERBECK 111. 186·217: C. ScHMlrl, 'Abraham im Spiitjudc:ntum und im Ulchristc:n·
rum'. in Fesucbr A Schla11er. S1u11gar1 1922, pp. 99-123; R. LE DtAUT, 'la nuit
pascale'. in A1111lerta Ribl. l2 (Roma 196\) q1-2u.
900 STORIA E OllDINll DELLA SALVEZZA NE.U.'A.r
3b Cf. H.J. SCHÒl'S, Paulus, Tiibingen 19)9. q . p ,1; R. LE OÉAUT rv. nota '5)
(lp. 111·212 .
nel NT: J. JEREMIAS, in TWNT 1,8; G. RtOfTEI.. 'Dcursches
.Il Sui patriart·hi
Wfaterb. z. NT', in RNT 10 IRegensburg 1962) 4-8, 451 s.; 459; O. Scmu.INC,
Bibdtheol. Wb, 1p7: E. }ACOB, 'Abraham el sa signification pour la foi d1réti.en-
nc', in RllPR 41 (1!161) 148-156.
STORIA D'ISllAELl! COMl! STORIA DELLA SALV~ 901
modo ancora più netto: sono •figli di Abramo' soltanto quelli che
fanno le 'opere di Abramo', che sono cioè solidali coi patriarchi nella
fede e nella vita, mentre quelli che rifiutano Gesù e il suo evangelo,
anche se si gloriano della loro discendenza da Abramo, in realtà hanno
per padre il diavolo (lo. 8,30-44). La promessa fatta ad Abramo (Gen.
12,1 ss. e pdr.) in relazione con la nascita di Isacco (Gen. 17,17; 21,.is.)
ì: rnrnpresa da Giovanni come se Abramo, con la nascita inattesa dd-
l'erede promesso, avesse ouenuto il pegno che pure lui avrebbe visto
la 'discendenza' che porterà il compimento della promessa: a questo si
riferisce la parola di Gesù: «Abramo, vostro Padre, ha esultato, nella
speranza di vedere il mio giorno; lo vide e ne giol• (8,56).
La predicazione della Chies11 delle origini fa appello ai Giudei come a
«figli di Abramo» (Act. 3,25; 13,26}; essi però dovrebbero riconoscere
J"analogi:1 che esiste nell'azione salvifica di Dio nei patriarchi e in Gesù
(Act. 7,2-16): «Il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, il Dio dci
nostri padri ha glorificato il suo servo Gesù• (3,13); la 'discendenza',
nella quale tutte le generazioni saranno benedette (Gen. 22,18; 28,14),
è Gesù, e i Giudei stessi per primi devono ottenere la benedizione per
mezzo di questo Gesù, perché essi sono cfigli [ed eredi]. .. dell'alleanza
che Dio ha stipulato con i... padri, quando disse ad Abramo: - Nella
111:. disn·ndc:nza sarnnno hencdette autte le famiglie della terra. E Dio,
dopo aver risuscitato il suo Servo, l'ha mandato a voi per primi a por-
1,uvi la benedizione, cc.r:vertendo ciascuno dalle prc.prie malvagi1à»
1Act. 3,25 s.).
Pa~·lo considera la storia dei patriarchi da diversi punii di vista. In
Rom. 9 egli è panicolarmente impressionato dalla libertà della elezione
d::.lla grazia cella quale Dio sceglie Abramo, Isacco e Giacobbe senza
loro meriti, mentre ba escluso dalla promessa Ismaele ed Esaù; questo
pensiero ammonisce a riflettere che anche oggi Dio potrebbe scegliere
perfino i pagani e i peccatc.ri. ma potrebbe rifiutare coloro che si appel-
lano ;11la figliolanza da Abramo. In (;a/. J l'aposaolo assume il pensiero
espresso già dal Battista e da Gesù e ci~ che non ~ la discendenza da
Abramo che induce Dio a giustificare un uomo, ma la conformità con
Abramo nella fede, poiché solo •quelli che si mettono dalla parte della
fede sono figli di Abramo• (v. 7). Paolo approfondisce questo pensiero
facendo riferimento a Gen. 12,3 in relazione a Gen. 22,18 (cf. anche
28,14) dove egli interpreta l'espressione 'nella tua discendenza' non in
senso collettivo, ma in senso individuale e vede il compimento nella per-
sona di Gesù: «Ad Abramo e alla sua discendenza furono fntte le pro-
messe ... cioè [a] Cristo» (3,8 s. 16). Al t"Ontrario, in Rom. 4.9-22 Paolo
si interessa meno al rompimento delle promesse in Cristo, quanto piut·
aosto ad Abramo come al 1ipo dell'u"m" !!Ìustificato, senza la lt"gge,
902 STORIA FONDINI!. Dl!Ll.A SALVEZZA NEl.L'A.T.
per me1.zo della fede:•g Paolo ovviamente non vuole negare che Abramo
abbia compiuto anche 'i1pere buone'. se· in 4ueste si vede un agire ispi-
ratn dRlla f~de come in Gt'n. 22. Paolo però non pensa a tali opere,
4uando. parla cli giustificazione senza opere, mu pensa alle 'opere' pre-
scritte dalla legge mosaica che la circoncisione praticata da Abramo
(Gt•n. 17) racchiudeva già antidpatamentc e contencvu in nul·e. Paolo
insiste con forza sul fatto che Abrnmo fu giustificato solo da Dio, sem-
plicemente a musa della sua fede, imcor prima di compiere l'opera
della legge, doè la circoncisione (cf. Ge11. 15,6 contro Gen. 17). Ora,
come Abramo ha ottenuto In giustificazione per mezzo de11:1 fede senza
i riti della legge, cosi tutti JXissono essere giustificati alla stessa maniera
«Mn In promessa è ... sicurn per tulta la discendenza: non soltanto per
quella che è sotto la Legge. ma anche per quella che ha la fede di
Abramo. il 4u11lc è p11drr di tu11i noi» (R11111 .•p6).
Sembra che la lei/era di Giacomo vogliu rettificare Rom. 4 quando mette
in evidenza che Abramo fu giustificato non solo per mezzo della fede,
ma anche 11 causa delle sue 'opere'. E qui l'au1ore rimanda soprattutto
al sacrificio di Isacco, 11! quale fece seguito la promessa ( Gen. 22 ), e
ne trae la conclusione: «vedi come la fede agiva insieme con le sue
opere e che per le opere quella fede fu perfetta» (/ac. 2,21 ss.). L'ap·
parente contrasto con Rom. 4 però si chiarisce, come j!ià si è acce_nnato.
dal fatto che i due autori con l'espressione 'opere' intendono qualcosa
di diverso:w
Finalmcnre la lettera agli Ebrei vede nei p11trinrchi i modelli dclln fede
e Jel111 fiducia in Dio (Hebr. r 1,8·2 2) e nelle promesse fatte da Dio
ad Abramo mediante un giuramento, swrge un tipo Jell'11zione salvifirn
di Dio in Gesù: come Dio si è impegnato mediante un giuramento a
compiere le promesse, e Abramo fece buona prova nelln fiducia paziente.
cosl Dio, mediante l'azione redentrice di Gcsii Cristo, ~i è impegnato
a darci la salvezza promessa; perciò anche iI rristinno, fidandosi di ciò,
può attendere la salvezza ( Ht·hr. 6, 1 ~·20 ). 1.a volon1à salvifica di Dio
si manifesta dunque come egualmcntc de~n11 cli fiducia in Abramo e in
Cristo."°
Lo scrittore della lei/era agli Ebrei stabilisce un'ulteriore relazione tra
nelle particolarità sono differenti tra loro, tutti gli strati della tra-
dizione presenti nel libro dell'Esodo descrivono l'azione liberatrice
di Jahvé in sostanziale accordo: 44 il faraone, costretto da terribili
'piaghe', deve lasciar partire Israele, anzi gli deve chiedere la bene-
dizione e con ciò riconoscerlo depositario della benedizione (Ex.
r2,32). Al mare dei giunchi, Jahvé deve di nuovo salvare Israele
e intcrvi::nire contro il faraone in modo rovinoso (Ex. 14 t: 15 ).
Ora finalmente il popolo è strappato dalla schiavitù e può mettersi
in viaggio verso la terra promessa.
Il secondo grande fatto salvifico di questa epoca è la stipulazione
d~'ll't1lleanza sul Sinai= Horeb. I vari filoni della tradizione hanno
nuovamente delle divergen:le fra di loro nella descrizione dei parti-
colari, ma nell'ess;;:nziale vanno d'accordo: .Jahvé non ha condotto
Israele immediatamente nella terra promessa, ma lo ha portato dap-
prima su di un monte santo, che una parte della tradizione chiama
Sinai (così J e P), l'altra chiama lforch (E e Dt ). Lì Jahvé offre
a Israele un patto di questo tenore: Jahvé vuole essere Dio e protet-
tore di Israele e Israele deve essere proprietà di Dio e il popolo
da lui scelto fra tutti gli altri popoli.~~ Dio gli impone uno statuto di
alleanza in forma di comandamenti morali. di leggi sociali e di dispo-
sizioni cultuali.46 Il popolo, da parte sua, si impegna all'alleanza
(Ex. 19,8; 24,3). In tutto questo, Mosè funge da mediatore, in
q~anto rappresenta il popolo davanti a Dio e riceve le parole di
JBL 8o I 1961 l 320-328; S. Mow1NCKF.L, 'Thc Name ot ilw Gcxl of Mose', in HUCA
Jl I 1<)6rl 121·13J: F.M. CROS~. 'Yah\l'eh and 1hc c ....1 PI 1he Pamarchs". in HTR
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'Jahu·es Ei11en1umwolk'. in AfAN r. 17 (Ziirich 196ol: L S<:HARRERT. 'Vo!k Gnt:c<.
in Bibeflheol. Wb. 114;·1158 (con uherinre bibliografia I.
«- Fx 20.1-1<•: 21 ss.; 3-1.11-26; Dt. 5,1·21.
STORIA D'ISRAEl.F. COME STORU DFl.l.A SALVEZZA
;g Sulla lil(ura <li Mosè nei div~rsi strali dcl l'cnrutc:urn: J. S<:llARBRRT, Heilsmit-
tler divcl'samcnte G. VON HAD, Tht•o/, 14, pp. 302-308.
81-99;
5• Su hilpc11/t'I '" 'forc una supplica per qualcuno' cf. SH. lt BLANK, Jeremiah, Cin-
cinnati 1961. pp. 216·219.
STORIA I! OIDINE DF.1.1.A SAl.Vl!ZZA NHL'A.T.
Sul11 tipolOflia dcl Mare Ros.'I<) d. specialmcmr N. lottFINK, Das S1l'gtJllt'J '""
Scbil/"'""'· Franklurr l'Jft'- PI'· 102-128 .
... F.~tch. w.14-40; Os 1,1b-1s; 12,10.
,.. 11 61,11 s. M1ch tq; Ps 77,21; Sap ro.1ss; Ecclus.u.1 s .
., lm 1.1; Bar 1,10; /Ila/. J ..12: Ps. 105.zb.
"" l:irlll la ti11ura hihlica di Mosè: Afosrs in Jer Schri/t u11J Ohrrlrc·lmn1(
DilsscJdort I 00 I·
"' Pt'r 111 h1111r1 .li MO'i<' e per la tradi~ioll<' dcll'bodo nd giudaismo " ud Nuv•·u
Tcst1mcnto; I. IEU'l.llAS TWNT IV. 852-8;8; (ì. R1ct1Tr.1. De11tJ.-hes Vl'"rtrrh :.11m
ITT. liJ]-644 . . 81!/erb.-ck ,,._ l'indicl'), O XHll l.ISG, Il1bdtheol Wb ll!l2-ft!l4,
G. f.11'l'AlllS, 'llx- Exoc.lus ami A110<:alvptic'. in A \"ti1bhom Faith ( Ft'~1 .... hr \~' A.
lru·in1 Dalla~ 19st" J'P 1;-18; R. LE DÉAUT \V. nota n1 N. FlicLISTU. D1e 11 ..111.
/.rd1·11//"'' dr• p.,.,·/oa Miinchrn 1u61. '" indie~ 'Erlmuns( e 'Mosrs'.
STOllIA n'ISl.AELE COME STOllIA DELLA SALVEZZA
sangue e cosl ratificò il patto con Dio (Ex. 24,6): per questo Gesù
celebra, in connessione con la solennità della Pasqua, l'ultima cena,
che rende già presente in modo sacramentale il sacrificio della croce, e
parla del suo sangue come del «Sangue dell'alleanza. (Mt. 26,26-30).
Luca vede la passione e la croce di Gesù alla luce della narrazione del·
l'esodo. Ciò egli accenna in modo per noi non del tutto chiaro in
Le. 9,28-36, ma, se si osserva più esattamente, questo nesso risalta con
sufficiente sicurezza.1U Durante la trasfigurazione Gesù parla con Mosè
ed Elia del suo ~o&oç, che egli deve 'compiere' ('lt).TJpow) in Gerusalem-
me (Le. 9,31). Qui c'è un gioco di parole che richiama alla memoria
la liberazione di Israele compiuta da Dio nell'esodo, ma la presenta
come ancora bisognosa di completamento, tanto più che . Mosè è uno
dei partecipanti al dialogo. Gesù, quando spiega ai discepoli di Emmaus
il significato della sua morte sulla croce, «cominciando da Mosè•, egli
non può avere davanti agli occhi altro che la liberazione dall'Egitto
(Le. 24,27).
Anche Giovanni vede i prodigi di Dio nel deserto in analogia con le
opere salvifiche di Dio in Gesù Cristo, ma questa analogia si distingue
da Mt. e Le. solo formalmente. L'innalzamento del serpente di bronzo
(Num. 21,8) e la manna (Ex. 16-4.13 s.), ai quali, secondo l'evangelista,
Gesù si richiama, hanno conservato ad Israele solo la vita terrena; l'in-
nalzamento di Gesù (Io. 3,14) e il pane che egli darà, procurano la vita
eterna (Io. 6,27-,0).
Paolo viene a parlare dcl tempo di Mosè in I Cor. 10,1-11. Qui però
egli descrive le gesta salvifiche di Dio e l'ingratitudine del popolo solo
per ammonire i cristiani contro un cattivo comportamento. Ciò facendo,
accenna tuttavia che il passaggio del mare corrisponde al battesimo, la
manna e l'acqua ai doni spirituali che Cristo ci elargisce. Come però
i padri nel deserto, nonoHante questi doni, sono morti e non piacquero
affatto a Dio, cosl potrebbe capitare anche ai cristiani che disprezzano
i doni della grazia divina, che ci furono dati mediante Gesù.
In modo del tutto simile l'autore della lellera agli Ebrei ricorda il giu-
dizio di Dio sul popolo, che nel deserto si manifestò ingrato trasgres-
sore dell'alleanza, per mettere in guardia dal peccato (Hebr. 3,8-11 ).
La ftgura J; Mosè è relativamente unitaria nel Nuovo Testamento. Mosè
qui, come nel giudaismo, è il salvatore dotato di una potenza mira-
colosa e il messaggero di Dio. 71 In particolare poi è colui che trasmette
la legge.n Egli però vale anche come il profeta che ha preannunciato
1U Cf. J. M.\NEK. 'Thc New Exodus in thc Books of Lukc, in NT 2 (19,7) 8-~;
R. LF. DÉAUT (v. noia Hl pp. \16-319; N. FfJGLISTEll (v. nota 69) p. 168.
71 lo. \,14; 6,JJ; Act 7,n·38. .
n Mr • .H: 7,10; 10,\ ss.; /.<. 16.19 ss.; lo. 1,1745: Aci. 7.38; Rom. 10,5.
912 STORIA I! ORDINE DELLA SALVEZZA NELL'A.T.
Cristo e la sua passione, 71 rome pure la risurrezione dei morti (Le. 20,37)
e la conversione <lei pagani (Rom. ro,19; cf. Dt. 32,21). Con la sua fede
e con la fedeltà nel dolore. è diventato un modello per i cristiani (Act.
7 ,17-44; Ht•br. 11,2 3-29 ). i\ sorprendente tuttavia che non si menzioni
il suo compito di intercessore e riconciliatore. Il fatto che Io. 5,45 asse-
gna a Mosè il ruolo di acrnsatore dei giudei infedeli nel giudizio finale,
è connesso Ja un lato col fo1to che Mosè è semplicemente il datore della
legge, dall'altro lato però anche col fatto che il giudaismo contempo·
ranco Ji Gesù altcndcva la sua intercessione nel giudizio divino.
Frequentemente Mosè nel Nuovo Testamento appare come tipo del
messia. Gesi1 stesso si pone di fronte a Mosè come colui che trasmette
la vera e definitiva volontà di Dio, e rispettivamente la nuova legge
(Mc. 10,1-12), e come mediatore della Nuova Alleanza (Mc. 14,24 e par.).
La predicazione cristiana primitiva riferisce Dt. 18,15-18 a Cristo (Act.
3,22 ), e precisamente in quanto messia sofferente che, allo stesso modo
di Mosè mandato da Dio come salvatore, fu dal popolo misconosciuto
e rifiutato (Act. 7,17-44; cf. anche Hebr. 11,26). Paolo, al contrario,
in .2 Cor. 3 vede Mosè non come tipo di Cristo, ma come antitipo per
la comunità cristiana e per i suoi ministri: Mosè doveva velarsi, perché
era «ministro della morte e della condannu; i capi della comunità cri-
stiana però non devono coprirsi, perché essi esercitano il «ministero
dello spirito». Molto sorprendente è la frase che gli israeliti, avvolti
nella nube, nel passaggio del mar Rosso, sarebbero stati «battezzati in
Mosè» (d.~ 'tÒV MwUo-i}v E~'!t"tloìh}o"11v); cosl Mosè sta tome tipo di fron·
te a Cristo, nel quale il cristiano è battezzato ( 1 Cor. 1o,1 s. ). La lettera
agli Ebrei mette in rilievo che il Nuovo Testamento supera di molto il
tipo dell'Antico. Mosè si presenta come servo; Gesù come figlio (Hebr.
3,1-6). Anche la nuova alleanza, rome quella mosaica, deve venir rati-
ficata con l'aspersione del sangue (Hebr. 9.1~ ss).
c. Da Giosuè a Davide
71 Le. 24.2;-44 ss.; lo •..;~: ~-16: Act. 1.22: ;.,;-: 26.22 s.: 21!.2,.
STOMIA ll ISRAF.l.F C'OMF STORIA OHI.A SAl.VEZ7A
0
74 Pc.-r (., l"Sprc.-ssiooi 'O.,u1.,rom•mis11' e 'opera storica deu1cronomistica' ,._ noi~ 61.
I '"rmm1 risalgono a M. Noni, ObC"rl1.-IC'runf.SJ1.< Schichte. Studien, Tiibingen 219,;.
0
pp. l·llO.
1' <;u (;iO'iui·· .J. Su108nT. lll'll1mit1kr, pp. rnll-t • l !con ulteriore.- hiblio~ratial
STOMIA E ORDINE DEI.I.A SALVEZZA NELl.'A.T.
.. D. una pura wmhinazionc di lihcrc: associazioni di clan sone un po' alla volta.
nel cc:mpo dci re:. uno >laco tcudalc e bmono1ico.
•• Su Saul. FM Mll.DFSBF.IGEI. D1c· t'Ordeuuro,,imistisi:be St1ul-Dt1vid-Obmie/~
r1111r. itli.-.1. liihin11cn 1<,>62, cf. ll.L !Sì 11962) 778 s.; K.D. S<:HUNCll:, 'Beniamin',
in RlAll'' llh 1lkrhn 1')6~1 Ilo·• ili: _I. Sc1tAUERT, Heilsmittler, pp. 119-12.l.
'"' W. lif:n11.1N. ·Das Konipcharisma hcn Saul', in ZAW n I 1961) 186-201;
J.A. SoGGIN, ·ch~ri•m~ un.I lnm1u11on un Konigcum Sauls' in ZAW 74 (1962) '""
6,. Il 1c:naa1ivo di E. Ki•rsrn. 'Salhung als Rcchasakt', in BZAW 87 (8c:rlin 1963)
,2-66, di prcscnaarc l'unm>nc sacra dcl re: in Israele: come: un 1cologumeno 11rdivo,
diffic1ln1C:nac: pocrcbhc CSSt'rC" riuscito; cl. R. DE\' AUX, 'le roi d'lsrad', in !.ftlanges
Eug~n<' 1"uurt1nt, Coli. eSmdi e Tesai .. 2~1. voi. 1, Città dcl Va1icano 1964, pp.
t19-13J.
STORIA E ORDINE DELLA SALVEZZA NRLL'A.T
" ler. 2,7 s.s.; 3,1Q s.; F.:erl> 20,28 ~.; Am 2,() 16.
920 STORIA E ORDINE DELLA SALVEZZA SELL'A.T.
lJO Per le no-Lioni 'cronista' e 'opera >lorica del cronista', per i libri primo e
secondo ddle Crona<·he e primo e secondo di Esdra. cf M. NoTH (v. nota 74) t to-
180; per il 'deuteronomista' v. nota 61 e ì4· Le differenze tra le due opere di
storia le mostra nel modo migliore G. W1LDA, Das Konif,shr/J Jes cbronistischm
Geschicbtswerkes (diss. l, Bonn 1959 (con ulteriore bibliogr. ); cf. anche G.J Bor-
n:awE<.;K, in TQ q6 11956) 402-.05.
•1 Su David d. i manuali di storia d'Israele, inoltre: J. XHARRERT, Heilsmiu/er,
pp. 122.127. 142-141 (con uhc.-riore bibliogr.); H.U. NiiBEL, Dai-is Aufstieg in der
Frube imielll. Geschichtsschreibunf!. <diss.). Bonn 1959: F ~hLDE..~BERGFR lv noi•
RsJ; R.A CAnsoN lv. nnt• 8~
STna111 D ISIAHF C:OMF STOllA Df.1.1.A SAl.Vl'!ZZA
0
921
,., !I conn-110 di 'c•siign del capt> I in inglese: ·1u/rr punnhmrnt"l l'ha iotrn
do110 ndia kneratura c"'gctKa e di stona ciel J:n:tn D lJAl'Bt. }ruJrr• rn Biblico/
Lau•. ùunbridgc 1•4;. pp. 1~4-189. Con ciò egli inJi<Ca il lil'-til(•' Jd upo. rispc:t-
uvamemc dcl patt"r /ami/un. attuato m~ia.me 13 dn'lmdZ;onc dc: >uo popok>_ rispet·
11\'am..-nk della l3miitlia In tah l":ISi non >i dovrebbe par~art· Ji un 'casti~ col
i.-1tÌ\'o· I""""'-' 11 popolo. rispettivamente la fom1g!ia. non appare né <COll'lt'. colpe
vnle rn: cum.- ,,,~tigatc>. ( :1 anche J. S<:HARBl'llT, SnlidJ.ritril. lo. lfril>mtlller. >ptt.
PI" is1·25~.
"' Circa l"impomuua Ji Sal,•n10ne per la rdiitii•ne 11'Isrdde: J. Su11t.1Nt R I'" n1>ld
9~); J. ScHARBHT. lleil~milller. l'f'. 127-129; qi-q~; J. ScttONHEl.D . •'i11/om11. Baarn
< ,j I
STOMIA I' OMD!r>E DELLA SALVEZZA NELL'A.T.
.1'
KU Co•Ì, o 11m1lmcn~. / Rrg 14,1' 1.; ,,,Jli.\o.H: 16,u p9 . s.30; H.H: 'Rri.
10, 11 ; 1 1.z·li.11; 1,.~.1 R 14.18. 17,2. Circa il giudizio Jcl Jeuteronomista •ui re
Jel rr11 no dcl 1wrd: .f. SCllARDEKT, lltilsmilllrr •B·•)6.
101 1 SiZ"' 7,1-17: u.1·J1: 14-11.18; 1 Rei. 11,29·l9: 11.1-10: 14,1·18; 16,1·4: li.I:
18, 19+ 1; w.11·Z'l 194Z. z1.1;·z,.2ss.; .u 1;·1l; 1Rtc 1.11: l·J4·111: 6,8·u us.:
q,7-1n; 11.1•1n: q.n. 1;.11: 1QliQ21-14: Jo.1 u.16n: 21.10-1,; zz.•s·W: d.
STOllA O'ISIAELE COME STOllA Dl!LLA SALVEZZA 927
re empi sono lasciati senza una parola di minaccia che chiama alla
conversione; cosl Dio vuole procurare la salvezza. Della maggior
parte di questi profeti sappiamo appena qualche notizia dai libri
dei Re e dalle Cronache; personalmente, essi non ci hanno traman-
dato nessuna parola per iscriuo. Tra questi si tro\•ano uomini di
importanza straorJinaria, come Natan sotto Davide, Elia cd Eliseo
sotto gli Omridi nel regno del nord. Natan ha esercitato, assieme
al sacerdote Ebiatar, un influsso decisivo su Davide; fu per lui
colui che trasmise la promessa, ma anche il latore della parola di
giudizio e finalmente l'annunciatore del perdono. Egualmente Elia,
Eliseo e gli altri profeti di Jahvé del regno del nord intervennero
negli affari dei re, dovettero anche trasmettere loro la parola di
Jahvé, ma non trovarono ascolto. Tuttavia essi esercitarono un
grande influsso sul popolo. e solo ad essi va il merito se nel regno
d'Israele la fede in Jahvé non scomparve del tutto e almeno rima·
sera «settemila persone che non hanno piegato le loro ginocchia
davanti a Baal» (1 Reg. 19,18).
L'opera dei profeti più antichi 'non-scrittori' fu continuata dagli
uomini i cui nomi stanno nei nostri libri profetici canonici: i cosid-
detti 'profeti scrittori'. Anche questi· furono inviati da Dio non
solo ai re e al popolo di Giuda, ma anche al regno del nord, come
Amos ed Osca. Ed anche Geremia promette alle tribù del nord, già
esiliate in Assiria, il ritorno e una nuova salvezza qualora si con-
vertano (ler. J,I ss.).
I profeti vissuti al tempo dci re fanno critiche molto severe alla
loro opera politica e religiosa,'°' perché questi ce;cano sicurezza nelle
alleanze politiche coi popoli pagani e non raramente in pratiche
cultuali sincretistiche, anziché nella fiducia e nella fedeltà di Jahvé
al suo patto; inoltre i profeti flagellano gli inconvenienti sociali nel
). ScllAllBEllT, Heilsmilller, pp. 138 s.; lo., Dit' Prophtun lmuls bis 700 v. Chr ..
KOln 196,.
""ltr. 2,26; Or. ,,1; 10,1,; 13,9ss. e p11uitn. Dalla 11crminata lcueranua sui
profeti, citiamo: J. LINDBl.OM, Prophuy in A11citnt lsratl, Oxford 1962; Cf.
ScHEDL, Geschichtt des AT, IV. Dos Ztillllttr dtr Propheten, lnnsbruck 196l;
B.VAYTF.1. Mahna und Kiindtr, Salzhur11 196\; J.Sc11AHF.IT (v. noia to\I; lo.
Dit Prophtttn Isra..Js um 600 v. Chr, Koln 196ì. inoltre i rnoconii delle rkcrche
di <; Fn111f'.1. in TR 19-20 (1951/,2) e lii r 196H
STORIA F. OIDINF. DELl.A SALVl!7.7A NFLL'A.T.
1M lJ. 11,,·24; to,2; ler. 7,9; Am. 2,6 ss.: ~.9 s.; Mich. 3,1·4 e pamm.
10. Is.1,1t-r5; ler. 7,.p5; 11.11; Am ,,21·27. - Per le cririchc dei profe1i al
culto: H.W. HERTZBt:"<;, 'Die Proph<"rischc Kririk am Kulr', in TLZ n 11•nol 21.,-
226; lo .. Bei/rage zur 'l'rud1twnsgeuh1cht•· 11nd lbeo/rJ11.1<· des AT. Gouingen 1.,62,
pp. 81-90; R. RENDTORFF, 'Pricsrt•rlìchc Kul11hculogie un.I prophetisdlC Kultpotc:mik'.
in ru 81 (1956) H9->·H: R.111·.HTSC.:HKt:. 'Die Stellun11 der vornilisch~"ll Schrih-
propheten :mm Kult'. BZAW n I Bcrlin l•IH I; N.\1C'. l'OITEOt:S. ·Actualiz.ation and
1he Prophetic Criticism oi the Cuh', in I r11d1twn u11d .•1111ution IF<-stschr. A. Wci·
ser. edd. E. WiiBTlfWEIN - O. KAISEI) l;i;11i11<"n 1<.J(•\. PI'· 93-105; E. WORTWEIN.
'Kultpolemik oder Kuhbescheid?', Ibid., pp. 11,·1 \1; J. 1'11. HvATT, The Proph<!th
Criticism o/ lsradite Worship, Cineinnati/Oh. 1y6\.
I07 Sull'esigenza di conversione. da pitm· dei pn•lell. E.K. DIETRICH. n,.. llm-
luhr (8e~ehrr1t1g und Busse) '"' 11T 11nd m1 }11dent11"1, Stu11gan 19_36: E. Wi.iK·
THWEJN, 'Busse und Umkehr im AT'. in 'J'WN'f IV, •i7t>-Q85: U.W. WoLFF. 'Ihs
Thema cUmkehr• in der ari. Prophctie', in l.TK _.11 I 1•151) 12.,-qS. Theol Biic''"-
rei 22 f.Miinehen 191>_.1l\<J-150);1.fJCHTSU. 'Dìe l'm~rhrung in dei proph.,md1.:n
Botschaft', in TLZ ;8 ( 1953) 459-466.
119 Sul giudizio come offerta di grazia: Tu. C. V11EnN. Thenlngie. pp. 235 '-:
J ScHAIBEIT, 'Dee Schmerz im AT'. in RBB Il 11\onn l•H11 1953-15;.
ICH a. nota 13
11o Al riguardo sono da cosra1are due sfumamrc: · \,,/,, un residuo'. in h ~.
11 ss.; 10,21 s.; 30.17; E:i:ech. 14.20; Am ~.12; ~.1 ~- 11.1 pure un residuo·, in f,
4,\; 6,13; 11,11s.; Mich.2.12: 4.6s: 5.6s.: foplo 3,11'. !rr. 11.;: Ci. R.o~ VAt'X.
'Le reste d'lsrael d'apr~ les pr.>phè:res·. in f<H .u :1,1111 52(~H9: \'('.F.Mi:LLH.
Vie \'orste/lung vom Rt'f! ,,,, AT 1diss.1 uipzi(t 19N. \'. llERSTRICll'. TU:"I{/
rv.200-21 ~: F. DRF.YFL•s. 'I.a doc1rine du rf"'le rl'l<rlli'I ,·hn J,. prophf.1e l<~ic:. in
STOllA D0 ISIAELI! COMI! STOllA DELLA SALVEZZA
l<l'f lii ( 111H I 1f.1·1K6; I MuMLl:.N:>TUN, 'Thc Rcst ol 1hc Na1ions·, in fourrsal o/
.\t,,,llrc .\111J1n l ( 11157 I ZH·l 11 ); H. G1mss. 'Rc.n', in Bibeltbeol Wb, 1000-100~.
111 Ccrlamt'ntt' i profcu non •lludono mai direttamente alla profezia di Natan;
rf Am '1.11, /1 •1.1-16; 11.1 9; M1ch ,,1; ler. 17,24 s.; 2j,,, e in proposito: J
S<:HARl!F.n. lle1/1m1ttla. pp 1,111n: 1,t..168
IU lr. l.l·S. 4,5 s.; 16,1-5; M,.-h. 4,1-5; Abd 17; Soph. p.po; ler. }.14-18; ~1.6.
d. inoltrt' /'s 9,u; 48,2; 76,J; 99,2; 110,J; 12,,1; 1p,13-18 e pauim.
m ls. 65,6 s.; Euch., .J,} ss.; Jo,24-n; liJcb. 7,7-q; Mal. },7; Ps. 106,6.0; Ltm.
,,7.16.
11 ' I f.rdr 9,6-15; 1 F.rdr. 1,6s; 9,J.J4·)7; Dan. 9,6-19; Bar. 1,15·3,8; Tob. 3,2.,;
I 11dith 7 ,11! ('.Mn 11 ronfcssion., dci pc=ari dei p.adri: J Sct1AIBERT, 'Unscre Siin·
dcn und dit' Siindt'n un!ICrer Viitcr', in 8Z (NF) 2 ( 195R) 14-26.
dalla punizione di Dio, tanto più che Dio nella sua paterna bontà
ha ammonito senza posa per mezzo dei suoi profeti ( 2 Esdr. 9,26.29 ).
Perfino Gesù Sirach, il quale nella sua «lode dei padri» esalta con
tanto entusiasmo il grande passato del suo popolo, può presentare
solo alcuni modelli del periodo dei re: Davide, Ezechia, Giosia e
alcuni profeti ( Ecclus 47-49 ); altrimenti di quel periodo deve scri-
vere: «il loro peccato divenne enorme e si diedero ad ogni male»
(Ecclus 47,24 s.).
Durante l'esilio e nel periodo post-esilico, i pii israeliti nelle
loro preghiere per aver aiuto da Dio non osano appoggiarsi ai me-
riti dei padri, ma possono fare appello unicamente _a Dio, che è
clemente e perdona. Tuttavia la loro speranza, nonostante tutte le
delusioni con i re della dinastia davidica, può aggrapparsi ad un
evento salvifico del periodo dei re, cioè alla promessa fatta a Da-
vide. Ezechiele nell'esilio aspetta, nella fede del futuro compimento
di quella promessa, che Jahvé susciti di nuovo Davide per pascere
il suo popolo (Ezech. 34,23 s.). Il profeta sconosciuto, al quale
dobbiamo la seconda parte del libro di Isaia, annuncia un rinnova-
mento del patto davidico con un'abbondanza di benedizioni ancora
maggiore che nel periodo dello splendore della storia israelitica
(ls. 55,3). Una aggiunta post-esilica al libro di Geremia parla di
un nuovo tempo salvifico, in cui Dio farà sorgere il «germoglio di
giustizia» al quale Natan si è riferito nella sua profezia Uer. H,14-
17 ). In tal modo, per i documenti della rivelazione dell'epoca del-
l'esilio e di quella posteriore, la promessa a Davide vale come uno
dei fatti salvifici passati che determinano in modo decisivo tutta la
storia della salvezza, e sul quale si appoggia la fede nella fedehà
di Dio per l'alleanza. 115
Accanto a Davide, i libri post-esilici dell'A:ntico Testamento men-
zionano due figure del periodo dei re alle quali attribuiscono una
importanza per il presente e perfino per il futuro: i profeti Elia e
Geremia. Quegli ritornerà per salvare il suo popolo dal giudizio
finale di Dio (Mal. 3.23 s.; Ecclus 48,10); questi è colui che con-
tinua a vivere in cielo per intercedere nelle auuali angustie di
Israele, è ocl'uomo amame dei fratelli, colui che innalza molte pre-
ghiere per il popolo e per la città santa» (2 Mach. 15,1.1-16).
Anche la lellera/11ra 110'1 cano11ica del giudaismo, gli apocrifi, gli scrnu
rabbinica e i tesri di Qumran, considerano la profezia di Natan a Davide
come il fatto più significativo della storia della salvezza nel periodo dei
re. Su di essa si basa l'a11esa messianica dei giudei. 11" Altrimenti anche
per il giudaismo il tempo dei r.: è il tempo della infedeltà e dell'aposta-
sia, il rempo in cui Israele ha mandato all'aria i continui ammonimenti
dci profeti, findk Dio fece il suo itiudizio sul popolo e sulla dinasti:1.
Il• Circa il messia davidico nel giuJ11ismo: B1llerbeck tv, ;9')-1015 (d. anche
!"indice alla voce 'messia'); O. Cuu.MANN, D1e Chrir1alog1e dei NT. Tubingen
21958, 11.1-117; S. MmrlNKEL. Ile that Camelh. Oxford r959; parecchi contributi
in: L'Altenu du Mtuie. Bruges 1958; E. ÙJHSF., 'Ocr KOnip: aus Davids Gcschlccht',
in Abrt1hanr uurr Valer (Fesrchr. O. Michel I Lciden 1q6~. pp. H7·H'· Sul mes-
si• a Qumran: A.S. VAN DrR \~'ut•nl, D1e 1'feJStt1n11chc·n \'or.1tellunit'n dtr Gemtin·
de 1·on Qumran. Assc.-n 19,7.
lll ,\11.,.12; 2\,\1.\i; .l.c.f.,2\; Act 7.,oss.
11 • Racroha Jdlc: .uscrziom neo1c-1arncn1aric circa 11 compimcntn delle: prolc:ln·
vc1em1~1amen1aric, in G. R11:11TF1. Dt'utsch<'I Wb .... T. Rc11ensbur11 196l, pp
;1K-72,.
11•a. spcc. Mt 1.1-1;, z,,s, I.e 1,\J•.69s.; Act l,29ss; n.22s.; ,,,16, Rum
1,3; 2Tim.2,ll; AP<Y. \,7; ,.~; 21.16 e al r;guardo· O_Ct.•tLMANr< (\'.nota 116 1
pp. 117-137; F. HAH~. "Chris1clogische Hohei1s1i1el". FRLANT 83 <GOuingen 196J I;
O. BETz. 'Die Fragc: oach dem messianischen Bc:wussrsein Jesu'. in NT 6 I 1<)6~
20-~8:
932 STORIA F. ORDINE DELJ,A SALVEZZA NELJ.'A.T.
l2il Per la cronologia dei libri 1 e 2 Esdr.: V. PAVLOVSKY, 'Die Chronologie der
Tiitigkeit Esdras', in Biblica 38 ( 1957) 275-305, 42S-456; H. ScllNElllEI, Die Biichef
Esra rmd Nehemia, Bonn 1959, pp. 8-78; S. MowINCKEL, S11ul1en xu dem Buche
Eira-Neh~mia. 1, Oslo 1964.
STORIA n'ISRAF.I F. COMP STORIA DF.1.1 A SALVEZZA
931
121 Che non soltanto gli Ebrei in esilio, bensl anche quelli rimasti in patria
abbiano sostenuto un signi6cativo movimento religioso, lo ha dimostrato: E. JANH-
SF.H, 'Juda in der failszeit', in FRLANT 69 (Gotringen 1956).
IU Cf. J. ScHUBF.RT, Ei11/iihrung. pp. 25-29 e: Sochbuch zur Bibel, pp. 1:12-117.
m h. p,13-53,u; Zocb. 11,10 s. - La letteratura sul ·servo di Jahv~· è scon6-
nata, cf. ira il usto H. H.u.G, 'Ebed-Jahwe-Forschung 1948-19,8', in BZ (NF) 3
(1959) 174.204; H. Ct.zuus, Bibeltbeol. Wb., 717.721; H. Glloss, in LTK DI, 622-
624. - Su Zocb. 12,10 ss.: P. LAMAllOIE, Zacbarie 1x-x1v (Paris 1961 ). Bibliografia
su entrambi i passi: G. FoHllEll, in TR 28 (1~2) 236-249, 267-273; inoltre: J. 5cHA1-
BERT, Heilmrilller, pp. 178-212, 220-222, 294-300.
114 ls 2.p 3 ss. (certo post-csilico); 6,,8 ss.; Zoch. 8,11 s.; 13,9; 14,2 ss. - Su pro-
feti esili::i e post.ailici: CL. So!EDL, GeJCbicbte des AT, v, lnnsbruck 1964, qui
ulteriore bibliomfia.
934 STORIA E OROINE DELLA SAl.VEZZA NELL'A.T.
Rn1i10>1 Jrr .,,,,·hb1bl11~hr" /•Jqr11""s· Frcìburg i. Br. 19n. pp. 6'i 97; J BoNs11
YEN. u /11J•""'" 1>4/rsti"i"" "" "'"'PS Jr ]. C., 2 voli., Paris 19\.4/H lalizion"
ridona, 19,01
I.Il a.Dt 9,,; los. J.f.1-4; ls 6,,; Euch. t6..t5·,2; Anr 9·ì
1" G"" l,11; /J. 6,5, Ps. 51,7; 14J,J; lob. 14-4; 15,14u.
!STIT\JllONl S\l \'lFICHF DELL'A.T.
9~7
a. Alleanza e legge
bb. I partners dell'alleanza non hanno gli stessi diritti. Dio rimane
sempre il Signore dell'alleanza. A lui spetta l'iniziativa; egli offre
l'alleanza spontaneamente. La sua concessione è una grazia, il rifiuto
della quale significherebbe colpa.
140 Di un 'giuramenro' di Dio parlano p. es., 2 Sa1'1. 3,9; Ps. 89 (spesso); qz,11;
nel Nuovo Testamento Le. 1,73; Act. 2,30 e Hebr. 6.q.17. Anche la locuzione 'Jah-
vé ha alzato I.a sua mano' significa nella midizione 'P' (pcssmr). in" .1 Esdr. 9,1, e
in Ezechiele (f>4uim) una promessa giurara.
1•1 a. nota 36.
1cz P.J. HENNJNGEll, "Wrs bedeutet die riruelle Teilung eines Ticres in n-ci Hilf.
ren?', in Biblico 34 ( 1953) 344-n3; M. NOTH, Das atl. Bund1cbl1esse11 im Lchte
einer Mari-Texur, Theol. Biicherci 6 !Miinchen 211)6o) 141-1,4; W. E1u:as. Wt'it
des Orientr Il, Wuppertal 19H. pp. 467 s.; J.F. PnEST, 'OPKIA in the lliad and
Consideration of a Recmr Theory', in ]ourn. o/ Netn" Eastern Studies 2 3 ( 1964 l
48-5,,
l•l N. ftJGLISTER, Die HeilsbedeuJung des Poscho. Miinchen 1963, 84-88 (con
ulteriore bibliografia).
144 N. fUGLISTEll. (v. nora 143) pp. 122-124.
!'S K. BALTZER, Dos Bundes/ormular, Neukirchen 196<>; G.E. MDfDENHALL, 'Rcchr
und Bund in lsrarl und dem Alten Vorderen Orient. in Theol. Studim 64 (ZUrich
196ol; W. MoRAN, "Moses und der Bundcsschluss am Sinai, in Stdl 87 (1961/61)
uo-133; J.D. McCARTHY, Treaty and Covenont, Roma 1!)63; N. l.oHFINK, Das
Hauptgebot, Roma 1!)63; Fa. NO'TsCHEa, 'Bundesfonnular und cAmuschimmel10', in
BZ tNFl 9 (1!)611 181-214.
ISTITUZIONI SAl.VIFICHE DBLL'A.T. 941
,.. a. nota 8.
1'7 J. SouLDENBEIGEK, Bibtlth~ol. Wb. ,..2.,46 (con uheriore bibliogr.); conuo
il rapporto con l'idea ddl'alleanza si e$prime però A. ,IEPSEN, 'Gnade und Barm-
herzigkeit im AT', in K"D 7 ( 1961) 261-271.
1• J.B.BAUEI, Bibeltheol. Wh. 514-,19 (con uhcriore bibliogr.); ST. Poa~AN.
'La radice 'mn ncll'AT', in RiuBibl 8 ( 1960) 324-n6; 9 (1961) 1n183; J. ALPAIO,
'Fides in terminologia biblica', in Gr .µ ( 1961) 463.,0,; O. ST. V11GULIH, Li '/~tlt'
nella pro/ti:ilf tl'lsm, Milano 1961; O. l.oun, Dit Wohrhm tltr Bib~l. Frciburg
i. Br. 1964, pp. 73-80.
1• Dt. 6,5; 7,8.13; 11,1.13.22 e possim. Vi appu1engono anche le forme derivare
dalle radici b/s = 'aver caro' e rbm = 'amare (come una madre'. Per il conc.-euo
di lllllOre: V. WAINACH, BibtltbeOl. Wb., ìBo-818 (con hibliottr.); C. WIÉNEI, R~
cberr:bts sur l'omour PD"' Dit" "4ns l'AT. Paris 1957; W.L. MoaAN, 'The Ancicnt
Near Eas1crn &clcground of the Love of God in Dr.', in CBQ 2, ( 1963) n·87;
J CoPPENS, 'La docrrine biblique sur l'amour de Di~ <'I du pmchain', in ETL 40
STORIA E ORDINE DELLA SALVl!ZZA NELL'A.T.
942
(1964) 151·199; D.J Mc.'CAITHY, 'Notes un the LO\-e of God', in CBQ 27 (196,)
1+4·147·
I~ Cf. nota 27, innhrt" A ..h:rsEN, '.Jqh im AT'. in Cottt'• u·orl u11d Go1te1 LmJ
cfes1schr. H.:w. Hertsbc:ri:. l-d. H. (.;1A1 R1·.vt:NT1.ow1 Gi.i11ingcn 1965, pp. 78-89;
O. KAISER. 'Dike umi Setfa<Ja'. in .\'L\I ; I 1<1n,1 2,1-2;•
m (',o,i i: da ìmendere Ps. ,1,<>. d S1 1.n>NNFT. 'I.X 111•llliJ Dei in Epistula
ad Romanos'. in \ID 25 119471 1~·1-1· 118·111. 12•,.144. 19\·W\, 2'7·263; lo., 'La
no1ion de jus1ice de Dieu .:n Rom 111. , 1:1 l'i:xéi:hc p.lUliniennc Ju Miserere', in
Sacra pagina Il, Gembloux 1959, pp. ~41· 3)6, E. BuucAMP, 'Jus1icc Jivinc et per·
don", in A la n:nwnlre Je Dieu (Mémorial A. Gclinl Le Puy 1961, pp. 12!)-144;
J. ScHAllllERT. 'Promessa', in D~T 2 (21968) 7,2.761.
ISTITUZIONI SALVIFICHE DELL'l\.T.
943
152 Circa i rapponi della legge con l'idea dell'alleanza W. GuTBROD: TWNT. IV,
I02<.l·IO~o: H. BucuRs. 'Die sozialen Grundid~n Jer ah. Gesctzc unti Einrich·
STOIIA E oaDlNI! DELLA SALVEZZA NllLL'A.T.
944
rungcn', in DT 11 ( l'IH I 61-llo; f.. Wun11W1t.1N. "Urr SiM des GcscUJes im AT'.
in ZTK 15 ( 19,81 lH·2;0; R. Hu.Tsa1u. 'Gncu und Eacharologic'. in ZEvE 4
w
(1')6o) .. (>.,6, ZIMMEILI, 'l)u (~IZ 1m Ar. in fLZ s, (~1·4911. llleol.
Biidl<'rl'i 19 (~IUnchcn 1961) l.f<J·l76; lo. Dai \.ewz 1111d die Propheten, GOi·
tinl!Cn 111 6 1, D.N l'Rtf.DM,..NN, 'Thc Lau• gruf thc Prorhcu', in \'T suppL 9 (Lei·
dm 19'>1l l'C>-l6,. e I' Wmnn. 'COYl'lllnt and Commandmcnt in Israd', in
/ot1,.,.,,; o/ Ne"1 E,,11ern Studtt"I. 1l I 1Q61) 17·.f8 L'hn1on: bibliogr. in J. Sat... I·
llEU. 10 LTK 1v. ~,,.s18. 11.c.... zuu.s. in R1be/1heol Wb. ~4-491; P.Bùi.sa.
'Lcuc' in rr.r •9'>8> pp.
l (1 1,8-168
Gma
1'1' la t;O!Kl"lione giud1ica cklla kge. W Gunaoo, in TWNT 1v, 1040-
ioso: J Snl'.\lllD. in LTK I\, 818-!lu tron uhl'rior..- hiblir'tlr ì; J BEr.Hu, Gotte<
ISTITU2:10NI SALVIFICliE Dl!LL' A.T.
945
b. Il culto dell'alleanza
t51 Mt. u,u ss.; 2541-46; Mc. 1240 par.; 16,16; 2 Cor. 5,10; 2 Petr. 2,9 e passim;
c;I. Anche Aprx-.
159 Perciò nell'Erodo e fino ai Numeri tutte le leggi del culto vengono messe
in bocca a Jahvé come incarichi a Mosè, p. es. Ex. 40,1; Lev. 1,1; Num . .:i.i. - Nel
Deuteronomio parla sì Mosè, ma con pieni poteri da parte di Jahvé, p. es. 12,r.
ISTITU:tlONI SALVll'ICllE PELl.'A.T.
947
l!O Cf. nota 106. - G. FOHRER, 'Propherie und Magie', in ZAW 78 ( 1966) 25·.p.
101 Cf. la bibliografia, sotto IV, p. 973.
11>2 L'Antico Testamento usa allo scopo la parola motivo zakar = 'ricordarsi':
J.SYKES, 'The Eucharist as Anamnesis', in Expository Times 71 (1959) 114·118;
H. Gaoss, 'Zur Wurzel zkr', in BZ (NF) 4 (1960) 227-237; E.P. Buia, 'An Appeal
to Remembrance', in lnterpret 15 (1961) 40-47; P.A.H. PEBOER, Gedenken und
Gediichtnis in der Welt des AT, Stuttgart 1962; B.S. CHILDS, Memory and Tradi-
Jion in lsrael, London 1962; W. SCHOTTROFF, Gedenken im Alten Orient und im
AT, Neukirchcn r964; H. ZIRKER, Die kultische Vergegenwiirtigung der \Tergangen-
heit in den Psa/men, in BBB 20 (Bonn 1964).
m Mamre-Hebron: Gen. 11!; 2J. - Bcrsabea: 26,23 ss. - Bete!: 28,10-22; 3~.
9-15 - Mahanaim: 12.1 ~i. - Penucl 12,21·32.
164 2Sam.24,18-24; 1Cbron.21,1~·10; cf. W.Fuss, '2 Sam. 24', in ZAW 74
(1962) 145-164; J. SCHKEINF.R, Sio11.Jerusale111, Miinchen 1961. pp. 19-91.
STOlllA E ORDINE DELLA SALVl!ZZ.\ NEU.' A. T.
prese da altri popoli, presso i quali un tempo esse erano forse giorni
in cui si celebravano i riti della fecondità e si onoravano gli dèi
della natura. Israele però ha dato a queste feste un nuovo signifi·
cato, mentre le ha 'istoricizzate' e in esse onorava ora Jahvé, non
solo come distributore dei doni della natura, bensl anche come il
Dio della storia della salvezza.
Il sabato non era solo giorno di riposo, bensì anche un giorno di
festa, in cui Israele di settimana in settimana ripensava le gesta
prodigiose di Jahvé. Certamente a questo proposito la tradizione
non è unitaria. Secondo Dt. ,,14 s. Israele nel sabato deve ricor-
darsi che in Egitto era schiavo, ma che fu liberato ad o~ra di
Jahvé; tuttavia secondo Ex. 20,10 s. e Gen. 2,1 ss. questo giorno
ricorda la creazione del mondo. 161
16'1 Ex. 12 s.; 2~.15; Dt. 16,1-8 - Su Pasqua e azzimi, N. FOGLISTER, Die Hnlsbe-
deutung des Pascha, Munchen 1963; R. LE DÉAUT, La ""il pasca/e. Roma 1963; J. B.
SECAL. The Hebreu· Pauowr. London 1961
1.. Dt. 16.9-12.16; 16.1-11 Verameme 1nche in ques1a festa Israele ricordi 11
liberazione dalla schiavitù B. NoA<:K, ·~ Day of Pemeco.~1 in Jubilees. Qumnn.
and Acta'. in Annua/ of S1uJ11h Theul. lnwtule 1. Lcidcn 1962, pp. 73-9'; M.
Dncoa. 'Das Bundcsfes1 in Qumran und das Pfinp1fes1'. in B1h,./ und ube" 4
I 1963) 18&-204.
167 E. Kt:TSl'.H, Das Herhst!<'•I "' lmul (dis~ I Mamz 195); G W MAcRAE, 'Thc
Meaning and Evoluuon of 1he Fea.'1 of Tabern~cles'. in C/IQ 2l I 196ol 2~1·27b
,.. G. J. Bonuwr.CK. 'Der Sahba1 im AT'. in TQ 114 I 19541 1\.1'14ì. 448-457;
R. NoRTH, 'The Deriva1ion of Sabbai'. in Biblit·.i 16 119'5 I 182-201; E. }ENNI, "Dic
1hcol0jt. lki:rfindung des Sabbat~bci1s im 1\T'. in Thml Studit'n 4(, tZiirich 1q~t.I:
1s·1 nl•7.IONI S.UVIFICllE llFJ.J.'A.T.
949
W. EicHRODT, 'llt-r Sahba1 hci llc<ckicl', in Lux tuo v~riras (fcs1schr. H. Junker,
edd. H.Gaoss·F.Mttss:>ffMI Tri~r 1<){11, pp.65·74; N.A BuAlc, A History of tht
Sobbarh. New York 1~~; J.11. :\h:l'STEKS, Op Zotlt n1111r de ooriprong van Je Sob-
b111, Assen 1966
109 Ex. 23,1-1·1;; 1-1.J1; r.,., . 2J4: Dr. 16,16.
no Ha introdnno c.iuc•h• l~rminc nella lcncrarura sp«ializza1a G. YON RAD, Dos
formgeschicht/_ Prnhlrm J1·1 1lrx111r11rh, S1u1111m 1•nll. Thtol. Biicherti 8 (Miin·
chcn 1962) 9- 100; d C: H.W. BuKF.l.MANS, 1-lt't 'hiitomche Crtdo' vim Jsriitl:
T1idschr. voor rb~ol '"'" l'1•111il. Univ. Gre11orianad Roma 196l: J.N.M. W1JN·
GURDS, The l'orm11/,,. ni ,,,,. /),·11tc·ronomi1: Creed. Tilburg 196}; L. RosT. Das
ideine Credo unJ ,,,,J,.,,..1111Jfr11 zum 1IJ', llcidclhcrit 196,. pp. 11·2,: 11.B. llUFF·
Mos. Thc Ex,1dn'. Sin.ii :1•1<1 1lw Crnlo', in C/IQ 2;(196,) 101·111: .1 Sc.llRr.INH,
'Lo sviluppo dcl .c:r~dno isrndiu', in Cnnalwm 2 ( l•J/;61 I u-1-17 led. i1.).
lii Cf_ PI. 22,J\ 1X; l(' 11· \~.1H; ... n.10~. ("' r.Hf/tl/
950 STORIA E ORDINE DEI.LA SALVHZiA NELL'A.T.
172 I rapporti tra arca dcll'allennza ~ tenda sono discussi nell'indagine odierna:
cl. J. S<:HARBEKT, in L"l'K IX, 107s·1on {con ulteriore bibliogr.), inoltre A. MILLER,
in Ll'K 11, 780; H.·J. KRAUS, Got1esdit·11st in I srael, Munchcn 21962, pp. 149-159;
J. Dus in parecchi ~a1111i: ZAW ì2 (1960) 107-13-1; Tl. •ì (1961) 1·16; 20 (1964)
241-251; VT 13 (191'i3) 126-02; Communio \liator11m (. (Praga 1963) 61-80;
R. RANDEl.LINI, 'l.H Tenda e l'Arca nella tradizione del VT', in Studii Bibl. Frane.
Liber Annuus 13 (1962/1963) t63-189; G.H.DAVIES, 'Thc Ark in the Psalms', in
Promise and l'ulfilnrent [Fcstschr. S.H. l looke, ed. F.F. BRUCE) E<linburgh 1963,
pp. 51·61; J. MAIEK, 'Das altisraelit. Ladcheiligtum', in BZAW 93 (Berlin 1965);
S. LF.llMING. Erwii11.ung1'n :i:ur Ze/t/radition: Gottes Wort und Galles Land (v. nota
150) 110-132. B.A. LEVINE, The Descriptive Tabernacle Texts of the Penlaleuch:
Journ. o/ thi· Am. Dr. Soc. 85 ( 1965) 307·F8; M.H. WouosTRA, The Ark of the
Covc11tml (Philadclphia 1965): J. DI! FRAINE, La royauté de _lahvé dans /es lextes
concernant /'Arche: VT suppi. 15 {Lciden 1966) 134-149; V.W. RABE, The Iden·
tily of the Prir.<t/y Taber11arlr: Journ. o/ Near Eastern Studies 25 (1966) 132-134.
ISTITUZIONI SALVIFICHE Dl!LL'A.T. 951
17l 1Reg.8,HI; fr 8,18; 18,7; .Lj,23; loel .p7.21; Ps. 9,u; 20,\; 24,7-io; ti,,2
e passim d. J. ScHIEINER, Jinn.Jrorus.Uem (Mi.inchcn 196\ ).
17' Dr. 16,16; Is. 1,12; P.1 42.\; d. Fa. NliTSCllFR, "DJ.! tln/l,estchr c;nl/es schaue11'
11acb bìbl. umJ babylonrsche• Au6assu111. (Wurzburg 1924).
175 Ex. 23,17; 34..z\; Dr 16.16.
STOll.t\ I! OIDIHE DBLLA S.t\LVl!ZZ.t\ Nlll.'A.T.
che stanno dietro a tali riti sacrificali. Ad ogni modo Israele crede,
con essi, di essere posto in una condizione, in cui si può osare di acco-
starsi a Dio. Perciò il singolo ai riti espiatori offerti dalla legge del-
)'alleanza si sottopone dopo mancanze contro la legge dell'alleanza,
ma anche per la presenza di determinati difetti fisici che si inter-
pretano come segno dell'ira divina e quindi come sintomo di una
qualche colpa anche se inconscia.
Siccome i rituali dell'Antico Testamento, come presso di noi, di
solito si restringono alle 'rubriche', dunque alle semplici istruzioni
per l'csccuzione della liturgia e alla presentazione dei testi da reci-
tare, non si possono attendere da essi profonde riflessioni sul signi-
ficato dei riù. Perciò sarebbe errato v.:>ler concludere dalle istru-
zioni rituali di Ex., Lev., e Num., che l'Antico Testamento abbia
compreso in modo magico espiazione e purificazione e che abbia
avuto una concezione del peccato puramente esterna, «materiale...
Il fatto che il culto espiatorio, se si traspongono i nostri concetti
cristiani, in modo analogo, all'Antico Testamento, era solo csegno
sacramentale•, simbolo visibile di un evento interiore operato dalla
grazia, è provato da inni cultuali come Pr. 51,9 e 95,8-II, le cosid-
dette «liturgie d'ingresso», in cui i partecipanti al culto dichiarano
solennemente che vogliono liberarsi anche da trasgressioni morali
che si oppongono all'alleanza di Jahvé,llO e la 'abiura', cioè l'allon-
tanamento dagli idoli, prima di accostarsi a Jahvé per il culto. 111
Presupposto per la concessione del perdono, per l'espiazione della
colpa, che si attendevano dal culto, era dunque la conversione. Non
c'è da meravigliarsi che questo presupposto talora sia caduto in
oblio e quindi il culto sacrificale abbia minacciato di esteriorizzarsi.
Da ciò non è immune del tutto nemmeno la liturgia cristiana.
Precisamente il culto espiatorio tenne desta nel popolo vetero-
testamentario Jell'alleanza la coscienza che l'uomo è continuamente
111D Ps. 1 ~; 2_..1·6; /J. n.1 .. 1; M1cb 6,6 ss.; cf. Kt Kocn, ·Tcmpeleinl1111liruraicn
unJ Drkalogc', 111 Studien ;ur Tbrol. ali. Obt"Tl1../ ..r11n1.rn (ed. R. Rcndcorff • KI.
Knch l Nrukirchcn 19/i 1. l'I'. _. ~-6o.
111 Gr11. Jj,2 ss.; Dt. \2,l j-18; los. 24,14-10; /ud ,,11. r Jam. 7.\ ~s. Sull' '1biura':
A. ALT. '\1('11fah11 '"'" Sichcm n.ach Bethd', in Abh J ll<'rJn · G1·s. u J. llt"TJn ·
l1111ttNI ;u Ri11.>J YI/\ fRitta 19\81 213-lJo; A ALT, 1.:lrmr .ç1hr1fun 1, Miinchcn
l'IH. ;y-Kll; A. WF.l~t:I . .\11,,,uel. Gonin~n 1961, l'I'· 1K 20. \li.
STOlllA E OllDINE DELLA SALVEZZA NELL'A.T.
9H
112 2St1m. 12.1 >: Ps. 51; d. _I. Sc1tARnn. 'Promessa", in DzT 2 12 1968) pp. n2·
;61 con uh~r.nre d.>cumcniazionc e h1hlio11rJtia.
"' Ge11. 20.~·;; Ex \2.iu-1~. l\11m. 12.11·1.1 e spesso. cl. J. ScllARllUT, 'Dic
Fiirhi11e in der Theol des AT'. in ThGI 1 )l' 11(/6o) 321-nS; JB. BAUF.R, in Bibel
theol. Wb. 390-399
STORIA E OIDINE DELLA SALVl!ZZA NELL'A.T
c. I mediatori dell'alleanza
114 Ha provato qucsra connessione di idee di fo. 1,29.36; 11,51; 18,13 5. e 19,34
con le concezioni vecero1escamen1aric e giudaiche dei sacrifid espiatori M. MIGUENS,
'Sali6 sangre y agua', in Studii Biblici Fr11nciscani l.ibt'r Annu111, 14 ( 1~3/64)
5-31.
llS Sull'idea di mediatore nell'Antico Testamento e nel Nuovo: C. SPtCQ, in Bi·
beltheol. Wb. 869·879; J. ScHARBERT, ibidem 455 s.; ID., HeJimllllt'r, cui in que·
sm paragrafo si rimanda una vo!1a per tulle (con la bibliografia) e D" Menias
im AT und 1m Judentum: Die relig,1rise und theol. Bedtu/11n11. dei AT (v. nota 135),
4;-71!.
ISTITUZIONI SALVIFICHE DELL'A.T.
957
116 Cf. Dt. n.1; lo.e 14,6; 1 Sam. 2.27; 9,6 ss.; r Reg. , ,,1 ecc.
STORIA E ORDINE DELLA SALVEZZA NELL'A.T.
191 a. /ud. 4 (la profeteua 0.:bora); I &11. I ,Il (in1rrvm10 di Natan nella lolla
per la suansioor ereditaria); 1I,J9"J9 (Ahia di Silo r Gcrobounol; 1Rri9.1-1J
(Elisco r ldm); ls. zo r In. J7,1-11 (intromissione dri profc1i ndlr tnttati~ con
inviati stranieri).
m 1S•m.7,6-9; u,19"2); 1 Rri. 17,zo; Euch 9,8; 11,13; Am. 7.2 s. 5 s. Sebbene
l'intercessione di Geremia sia respinta da Jahvc! (/rr. 7,16; 11,14; 14,n s.; IJ,t), il
profeu non crssa tultavia di in1c1porrr in1rrccs1ionr per il suo popolo: IJ,11; 17,
16; 18,20; 21,J; 27,18; 37.J 1.; 4J,t•4.
w Eucb. 7,26; A .... 8.u; 7.«h. IJ,J s. 74,9; Llm J,9.
q6o STORIA E ORDISE DELLA SALVEZZA NELL'A.T.
bb. I sacerdoti, nei più antichi strati dell.1 tradizione, sono pre-
valentemente trasmettitori della volontà di ()j,, 111nliantl' l'orilrnlo
tirato a sorte. 19' Invece, secondo i testi più antichi e perfino ancora
nel Deuteronomio, non sembra> che il ministero dei sacrifici sia
stato il loro compito principale. Tuttavia essi sono custodi dei san-
tuari e soprintendono all_'esecuzione del l"Ulto ( 1 Sam. r -4 ). Quali
custodi dell'arca dell'alleanz.i. essi sono particolarmente vicini a
Jahvé. La legge cultuale nei libri dell'Esodo, del Levitico e dei
Numeri, attribuisce loro il ministero sacrilil·ale e. in connessione
con questo, il ruolo di mediatori cultuali dell'espiazione. Essi stessi
debbono compiere riti espiatori per i propri peccati,'9S ma i loro
connazionali non possono esser purificati cultualmente senza la loro
collaborazione. 196 È discusso se i sacerdoti abbiano assunto questa
posizione di predominio nel culto già all'epoca dei re. Secondo il
Deuteronomio e altre notizie dell'epoca dei re, sembra che allora
li si abbia conosciuti specialmente quali custodi e interpreti della
legge e come giudici. 191 Ad ogni modo, dopo l'esilio conobbero am-
bedue i ruoli, quello di custodi della legge e quello di mediatori
cultuali, come di eguale importanza; inoltre essi ora devono però
assumere anche compiti politici, il governo della comunità e la rap-
presentanza di essa di fronte a.Ile autorità del potere statale pagano;
194 Anche gli lJrim e Tummin ncll'Efnd sono degli oracoli 1ira1i a sorte dei quali
dispongono solo i sacerdoti: Ex 2!1,30; Num. 27,21; r Sam. 2).9. Per la storia dcl
sacerdozio vctcrotcs1amcntario: A.11.J. GlJNNEW"EG (v. noia 19, con ulteriore biblio-
grafia).
19 5 Lev. 4,3·7; 9,7; 16,6· 1.1.
1% l.rt'.4,31; 5; 12,8; 14,18ss. 29ss. Num.6,11 e spesso.
191Dt.17,8-13; 21,,; 24,K; Jl,<)S.; 2r.hro11. 19.l!.
!STITUZIONl SALVIFICHE DELL'A.T.
IWI Ex 18,41: 29,7: ,a.~o; 40,13 ss.; Lev. 4,3; Zach. 4,14.
111'1 Es5a si può allarri11rc a lach. ,, s.; cf. K. ScHUBF."RT, 'Der alt. Hintergrund clt"r
Vorstellung von den beidcn Messiassen von Chirbet Qumran', in Jiulaica 12 ( 1956)
24-28; A.S. VAN llER WouDE, Dir meISianiJehen Vnrtdlungen der Gemeinde VOPI
Qumran. Assen 1957, pp. 226-247.
2111 Ps. 2.2.6; 21,6 s.; 72,2; 101; uo,1.
zoi 1Sam.2.w; 12,5; 16,6; 24,7; 26,23; 2Sam. 1,16; Ab<1c 3,13; Ps. 2,2; 89,39;
J 32.10.
202 2Sam. 7,10; 234; r Reg. 10,9; Ps. 21,7.
lOJ 2 Sam. 6,1-1.4; 24.25; r Reg. 3,4.15; 8.14 55; 9,25.
204 Veramente il raJ'JlClrto tra Jahvé e David, all'infuori di 2 Sam. 23,5, viene
desijlnato col 1.. rmine cli alleanza solo in lesti tardi\'i: ler. n.21 s.; Ps. 89,4.29;
Ecclu1 .15.2~.
!O! Cf SOJ'ra l'r 921 "
ISTITl'ZIONI SALVIFICHF. DF.1.1.'A. T
dd. Il mediatore sofferente svolge un certo ruolo già dal più re-
moto tempo nel piano salvifico di Dio, secondo l'Antico Testa·
mento. Veramente vi è dapprima in primo piano l'idea che Jahvé
permette la sofferenza dei suoi eletti senza che ciò abbia una spe·
ciale importanza salvifica o funzione rappresentativa. Mosè, Gere·
mia e molti altri pii israeliti debbono prendere su di sé dolore, op-
posizioni, disconoscimento e persecuzione, perché gli uomini fanno
opposizione al loro operare e non vogliono riconoscere la loro mis-
sione divina.•
Però i profeti Osca ed Ezechiele devono accettare dalla mano di
Dio la sofferenza, perché essa dev'esser posta a servizio della loro
predicazione. Osea deve sperimentare nel suo matrimonio le più
amare delusioni ( Os. I· 3 ), affinché egli possa indicare cosl in modo
tanto più pressante, quanto sia deluso Jahvé per il tradimento da
parte d'Israele. Ezechiele deve accettare la morte della sposa, che
lo çolpisce oltremodo dolorosamente, perché la sua sventura deve
206 Ps. 2: 72; 110; 132, ls. 9,, s.; /er. 23,, s.; 1>11r11. ,,3 ss.; Zach. 9,9 s.: na rac·
colto i 1esti interpre1a11 come messianici. dell'Antico Tcstammto: P IIE1Ntsc11,
Christus der Erlnsen '"' AT rc:raz 1951 >.
'1IS1 Cf. sopra pp. 896, 902 s. e 921.
liii Maggiori particolari in rr"f'O.'ilo I Sc:Hoanr. Der S,h,,,er:. '"' AT. Bonn
HIH. l.j2·1.o: 159 16.j.
STOllA E ORDINE DEJ.LI SALVl!Z7.A NELL'A.T.
l09 Is. -4.l,1·7; -49.I-9; }OA-9: }2,13-n,12. Sul 'servo di Jahvé' v. noia 113.
110 Cf. noia 12~.
ISTITU7.IONI Sf\LVIPICHI! DRLL'f\.T.
d. Il popolo dell'alleanza
217 E:ic 19,6; Num. 16,3; Dt. 7,6; 14.2; 26,19; .z8,9.
211 a. Ex 19,6; Lev. 1144 s.; 19,3; 20,z6.
m l.f. Num 10.2<,1-12: n!. 2,,8 s.; _l11dith r.po.
ISTITUZIONI SALVIFICHE DELL'A.T
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ATA Aluestamentliche Abhandlungen, begonncn von J. Nikel, hrsg. von
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ATANT Abhandlungen zur Theologic des Ahen und Neuen Testaments, Ba-
sel-Ziirich 1942 ss.
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viazione: Rahncr Schriften).
BET Beitrrige zur Evangelischen Theologie, Miinchen 193.5 ss.
BGE Beitriige zur Geschichtc der ncutestamentlichen Exegcse, Tiibingen
19'5 ss.
BGPhMA Beitrlige zur Geschichte der Philosophie (dal n. 27 [ 1928-30]: und
Theologie) dcs Mittelalters, hrsg. von M. Grabmann, Miinstcr 1891 ss.
BHK Biblia hcbraica,7 ed. R. Kittel, Stuttgart 1951.
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BK Biblischer Kommentar. Ahcs Tcstament, hrsg. von M. Noth, Neu-
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BKV Bibliothek der Kirchenviiter, hrsg. von F. X. Reithmayr, fortges. von
V. Thalhofer, 79 Bde, Kempten 1869-1888.
BKV2 Bibliothek der Kirchenviiter, hrsg. von O. Bardenhewer, Th. Scher-
mann (dal voi. 35, da J. Zellinger u. C. Meyman) 8~Bde, Kempten
r9rx ss. 2•
BLE Bulletin de Littératurc Ecclésiastique, Toulousc 1899 ss.
BM Bencdektinische Monatsschrift, Beuron 1919 ss.
BSLK Die Bekenntnisschriften der cvangclisch-lutherischen Kirche 3, hrsg.
von Deutschen Evangelischen Kirchcnausschluss, GOttingen 1956.
ABBREVIAZIONI
Boros L., II 301, 302n, 607n, 711, 766n, Calvez Y., II 53m.
866n. Calvino, I 248, 249; II 10211, lo8n,
Botte B., I 175n. 116, q8, 548, 683.
Boncrweck G.J., I 144n; II 92on, Campenhauser H. von, Il 269n.
948n. Cantor G., II 164.
Bourassa F .. I 418n, 43on, 435n. C.apreolo, I \79·
Bousset W., I 134n; II 253n, 254n, Ca,11101 A., II 9~9n.
26m. Carlo Magno, I 24;.
Braun H., I I 3on, 254n; ll 262n. Carlson R.A., II 89011, 91411, 92on,
Brekelmans C.H.W., II 949n. 92211.
Brichto Ch. !-!., II 89on. Cartesio (Descartes), 250; II 22,
Brierre-Narbonne J ., Il 43411. 100, 179n.
Bring · R., II 10111. Castellio S., I 249.
Bri11kmann B., Il 753. Catarino, II 68 r.
Brinktrine J., I 94n, 96n, 104n, 467n, Cazelles H., I • 295n, )36n; II 90311.
492n; II 151n, 163n, 184n, 185n. 93311, 934n, 94411.
Brock H., II 826. Cdcstio. II 675.
Brown R. E., II 263n. Cerfaux L., I l 34n, l 39n, 15011, 1 pn.
Bruce F.F., II 89m, 95on. I nn; II 782n.
Brugger W., li 143n, 164n, 186n. Cerinto, I 2 ro.
Brunner A., II 329n, 82011, 824n, 836n, Charles R.H., II 934n.
838n.
Chauchard P., II 183n.
Brunner E., I u7n, 25411, 28on, 34911,
Chavasse A., I 177n.
365n, 36911, 37011, 380, 39211; II Chcnu MD., II 278n.
101, l03n, 104n, n7, 16411, 18111,
Childs B.S., II 94711
19on, 31811, 322, 548, 567, 68411, 72411.
Cicerone, II 174n.
72611, 786n, 789n, 836n, 878.
CiUeruelo L., II 2;m.
Brunner L., II 156n.
Cipriano, I I 79; II 67x.
Buber M., I 312, 32711; Il lOo,
Cirillo di Alessandria, I 246; Il 142n,
loon, 10211, 131, 315, 317.
Buchanan G.W., II 89m. 196, 5620, 672.
Biichel W., II 16on, i6m. Cirillo di Gerusalemme, I 17511, 198n,
Biickers H., II 94411. 231.
Budda, I 26; II 19. Cime-Lima C., II 866n.
Bulgakov S.N., II 117. Clemente Alessandrino, I 198, 207, 208;
Bulst W., Il 87611. II 98, 120, 16on, 175, 196, 269,
Bultmann R., I 112n, 11311, 11411, u6n, 27~ 544, 546, 553, 562, 563, 847, ~78n.
11711, 134n, 13611, 139n, 144n, 147n, Clemente Romano, I 172, 193, 197.
15511, 157n, l58n, 35m, 362n; II Clements R.E., II 938n.
II7, 165, 26on, 26311, 264, 26611, .597. Colombo C., I 38011
598, 72611, 82911, 83211, 834n. Comte A., II 46_~.
Biirger M., II 409. Congar Y., II 475n, 49rn, 493n.
Biirke G., Il 54611. Conrad-Martius H., II 301, 420
Buschan, Il 428, 429. 0-.nzclmann H., II 244n, 26311, 266n.
Bussche H. van Den, II 922n. Coppens J.. II 94m.
Buytendijk, II 424, 427. Corcth E., II r 2111.
Cornelio a Lapide. Il 420.
Costantino, I 222, 226, 236.
c Cox H., II 29rn.
Cramer W., II 28911, 76511.
Caietano, II 199, 200. Cremer H., I 380.
Caird C.B., II 757n. Crisippo, II 17411.
Callahan T.F., II 27311. Crisostomo, I 176; II r75, 184, 456.
Callisto r~ papa, I 220, 221. Cross F.M., II 904n.
INDICE ONOMASTICO
Eibl H., li 267n, 4nn. 199, 100; Il So, 82, 83, 84, 256n,
Eichenscer C.: .. 1 193. 270, 544, '61, 749n.
Eicholz G., Il 26on. Fanana: J. dc:, II 13on, 153n.
EichroJ1 W, I 71, ;2n, 8\, 81n, 8;n. Fankcnzclll·r J, Il 567
118n. 104n; Il 28n, \2n, 6on, 109n, Fiorenza F.. 11 J<,12n, JOJ.
251n, 252n, 251n. 421, 434n, 477n, hschc:r H., I 17on.
478n, 4ll2n, 483n, 489n, 844n, K88n, Flschc:r 1.., Il ll96n.
892n. 937n, 9J8n, 949n. FIRchc:r W.. Il 7900.
Eicksted1 E.V .. Il 427. Fit~ld ThJ .. I 417n.
Eilcrs W., Il 9400. Flacio llhriro, Il ~
Eislcr R., 11 146n, 1,2n Flechthc:im O , Il 1890.
Eissfcld1 O., 1 324n, 32,n. Flick M.. I 418n, 42711, 4,,n; li
Eldcrs L., Il a,9n, 87on, 872n. 16in, 16,n, ull.
Elisabetta Jcl11 Trinità, I 183, 403. Fliiuc S.. Il 16on.
Enadhardt P., 11 .z78n. Flusxr D., Il 257n.
Engocll l, Il 887n. focrs1cr W , I 1,.sn, 3nn; Il 177n,
Enrico di Gand, I .z69; 11 162. 790", 79JD, j9-JO.
Epifanio di Salamina, I zoo, .zoB, 210, Fohttr G.. I 1nn: li 886n, 891n.
231, 246. 904", 918n, 917n, 9B"·
Eraclionc. I 208. Forestio, I 250.
Eraclito, I 29; II 167n. Forstcr K., II 8n n, 867n, 868n.
Ermno, I 249; Il 682. Fozio, I 247.
Ennr.ckc G., Il 498. Fninc J. dc, 11 4nn. 6+4n, 9,on.
Erodoto, II 17... Fnncis E.K .. Il 469n.
Esser Th., II 163n, 1640. Frank S., li ;8,.n.
Euclide, I 210. Franld \'.E., li 848n.
Eunomio, I 379. Franlrowski J., Il llcJon. ll94n, 914n.
Euripide, I 37. Frccdman D.N. II 9+fD.
Eusebio di Cesarea, I 179n, 18o, 220, Frcnd W,H.C., II 271n.
222, 223, 225, 226; II 1n, 769, Frcundorfer J., II 671n.
781. Fries H.. I ,20, 118n, 272n, ~92n;
Eusebio di Nicomedia, I 221, .z26. Il 168n, 17on, 196, 162n. a,sn. 868n.
Evidcme J., Il 33. Frigncau B.· Julicn, I 40,n.
Frine J. dc, II 890n.
Frohschammcr J., II 163.
p Frost B., II 934n.
Fi.iglister N., I 86n; II 91on, 911n,
Fahrkius, II 189n. 9,.on, 948n, 9,2n.
F1bro C.. II 139n. Fulgenzio, I 241 ; Il 769.
Fucher E.. Il 25on. Fu.u W., Il 947n.
Feier J., 11 '4"·
Feincr J., I 107n, 15in; Il 3on, 228,
212n, 240. G
l'eldcrcr ,J.. II 472n.
Fcs1tq1ière A.. Il 246n. Gabriele di S. Maria Maddalena, I 402n.
Fcuerbach L., I 29, 36; Il 12n, 181, Gadamcr M.G., Il 121n.
114, 46,, 466. Gaetano, I 379.
Feuillet A., I 139n, H40; II 85n. Galeno, I 210; II 1,2,
Fc:uling D.. Il 769, no. Galilei Galilro, Il 1 '7.
Fichmer _I., Il ;6n, 25on, 928n, 93,.n. Galley K .. Il 11<)2n.
f-ìghte. Il q5. Galling K., 11 886n, 8qon.
Filolao, Il 24,n. Gahier I'., I 417, .pH, .flQ, 46;n.
Filone di Alessandria. I ,6, 106, t 42, Calura B., Il 116.
INDICE ONOMASTICO
990
4,7n, 891n, 928n. 196, 199, 200, 201, 208, 219, 225n,
Murphy R.E.. li 934n. 236, 403n; Il 120, 1210, l)O, 165n,
Muschalek G., Il 208, 888n. 167n, 197, 269, 270, 544, 546, 562,
Mussner F., I 363n; Il 78n, 8m, 572, 672, 774, 832n.
.8~n. 86n, 9rn, 107n, I95n, 902n, 949n. Orlinsky H.M., Il 918n .
Ortigues E., II 1010.
Orriz De Urbina I., l 2 J in
N ,Osio Di Cordova, l 223.
Ono Sr., I 273n, 4}5n; Il 17on,
Nebel G .. II i60n. 197n.
Nemesio di Emesa, II 171, 276. Ono W.F., II 245n.
Nesde W., Il 258. Overhagc P., I 318n, 471n; li 38n,
Neuenzeit P., Il 166n. 470, 183n, 186n, 217n. 223n, 28rn,
Neuhiiusler E., I l22n, 1340, 139n. 324fl, 6I3J1.
141n, 142n, 144Jl, 354fl, 3550. Overzier E., Il 415.
Neunheuser B., Il 7320, 783n.
Newman M.L., II 938n.
Nicodemo, I 34. p
Nicolas JH., I 4170.
Nicolò da Cusa, Il 99. Padoin G., II 136n.
Niedermeyer A., II 185n. Paillard J., I u;n.
Ni=l W., Il 1o8n, 1380. Panikkar R., I 107n; Il 8780.
Nietzsche F., I 26. Pannenberg W., II 105n, 166n. 267n,
Nilson M.P., Il 2450. 290n, 2920, 309n. 866n, 888n.
Noach H., II 101n. Paolo Di Samosata, I 210, ·214.
Noack B., II 7930, 9480. Paolo IV, l 250.
Noeto, I 211, 221. Pascal B., I 30; Il 314.
Norden E., Il 78n, Son. Passaglia C.. 1 273.
North C.R., li 32n, 8920, 9480. Pastore di Enna, II 150, lJ5, 19rn.
Norh M.. I 3uo, 315; II 320, 62n, Patfoon A., I 376n.
913n, 915n, 9180, 92on, 922n. Paulus H., II 745n.
Norscher F., Il .i56n, non, 894n, 89sn. Pavlovsky Y., II 932n.
9400, 95rn. Pax E., II 727n.
Novuiano, I 1~ • .io.in, 217, .118, 23.i Pcakc A.S., II 25on.
Niibel H.U., II 92on. Pederscn J., II 25on.
Nuyens F.J.. 11 .inn. Pegis A., II 2nn, 276n.
Pcla,io, II 202, 674.
Peli K., II 765n.
o Pcscb R., I l32n, 136n, 4J,n.
Pccavio, I 218, 273, 402, 406; Il
Obcrndorfcr D .. Il 8220, 8.i,n, 826n. 164'1.
Obcrrhiir F., li 116. Petcrs H.. II so2n.
Odcbcr11 H., Il 910. Petersdorff E.V., Il 812n.
Oeing · Hanholf L.. II 833n. Pererson E.. fl 5.15n. 7830, 71160.
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Onorio Ili, Il 446n. Philippe Th .. Il 152n.
Orbe A .. II 54,n. Philips G., I 402.
Oriacne, l 17on, 172, 176, 1R9, 195. Picard M., Il 1om.
INDICE ONOMASTICO
tiella l e 11 parte
Assenza di Dio dal mondo, I 37of s. c·omunicazione del Figlio nello Spi-
riro. I +19·
Ateismo, l 1 .:; .
autocom1Ulic112ionc economica e im-
di metodo e dogmatico, Il 1 '7 s. manente, I 4'2·
e mistica 6losofica, I 29. aut~"Omunicazione di Dio e il suo
II 272,
principi per la comprensione di assel"·
zioni del magistero, II 692.
,.....
Trinità come protoùpo,
problematica ermeneutica delle afler·
llllUioni protologicbe, II 9, 36.
Dottrina su Dio problemi ~rmeneurici dell'angelologia.
esigenza della teologia odierna, II 729 s., 7H s.
37'·
metafisica teistica e dottrina di Dio,
Eros, I 2,.
I 370-374. Esemplarismo teologico, Il 471.
presso i padri greci, I 372.
trasposizione della domina circa Escatologia, li 27, 253, 298 ss.
Dio in nuove forme di pensiero, I del presente, I 362.
374. di rutto l'uomo, 1I 303.
struttura del iranato cDt Dto uno•, nell'Apocalisse, I 368.
I 376-380. Esilio, Il 92<}-914·
a1tributi che spettano a Dio per
necessità metafisica, I 3n. Esistenza di Dio
distinzione tra i singoli attributi. dimosmizione dell'esistenza di Dio, I
I 379 s. 36 ~-. 377 s.
essenza metafisica di Dio, I 378.
prove dell'esistenza di Dio in Tom·
Esis1enziale soprannaturale, li 206.
300, 841
maso, I 377.
suddivisione degli attributi di Dio, negativo, II 298.
I 378. Esistenzialismo, II 466, 703 ss., 834 ss.
Disescatologizzazione, I I 90. Esistenzialistica, filosofia, II 22.
llc:morfismo, li 248, 275-279. 329 ss., 3,, ss., .l65 s., 413, 465 s.,
478, 549, 8n. s6o s.
Illuminismo. II 116. assolutezza dell'amore interpc:rsonale?,
Immanenza (cfr. trascendenza), II J,6 I 25 s.
di Dio. I 77, 347, 375; Il t,6, corruzione dc:lla relazione io-tu, nel
I 5!1.
pc:Cl'&IO, 11 326 5,
formule d'immanenia. I 347. diveua profonditÌI della relazione iC>-
lll, Il 120.
lrnn111r1ali1à, II 578 s., 580 s., 7u. fondazione on1olo11ica del r11pporto io-
immortalità dell'anima, Il 268, 283, 1u, Il \23~.
299. indisponibilità dcl rapporto io-1u., II
immortalità naturale " per j!razia, li }18.
299. rapp.>rto io-1u nel matrimonio, Il 41 J,
immortalità nello staio oril!inale secon- .jlO S.
do Scoto, II 566 s., 5!10 s. richiamo e risposta nell'amore, I 19;
Il ll7, 120.
Immutabilità di Dio, I 395 s. superomenro di se stesso verso il tu,
libera autodeterminazione di Dio e: I u.
immutabilità, I 395.
"I nabitazione.. di Dio, I 42 5. Ira <li Dio, I 339. 340, 3571.; II
611.
Incarnazione (dr. Gesù Cristo), I 39,, ira come lì11un dell'assoluta santità di
419 S., 475; II 572, iH Dio. I n8.
come alienazione di Dio stesso, II 2,. e croce. I 186.
e: missione ddJo Spiriro. I 470.
e Trinilà, I 404. Isolamento, II 466, 62,, h,, 836,
s,,.
I 1ll:umprensibilità di Dio.
liii. 06. 441 Israele. Il 36, 65:2 s., 7o6 s.
Israele come mediatore di salvezza.
I n.:rc:dulirì, Il 596. 616.
Il 8QO, 1)68.
I ndulf!ellU. li li20. Israele come popolo dell'alleanza, II
966 ss.
lndurimenm, Il 5911, 6o6. li16, 651. riflessione di lsnele sul proprio pas-
Tnf.,mo. II 624. 679. sato, II '"·
srato duraruro dell 'esscrc eletto, Il
Inizio ( cfr. prololoii•. fllllfl rwitiflllie) 4}. 194 s.
come de1erminaziOllC' stabil<' dell't» storia di Israele come storia salvifica,
mo. II 2;. I 71 s.: Il 891-936.
e aurorumuni"ziont" di Dio. I 476, azioni salvifiche centrali, II 6o s.
478 s. benedizione e promessa, II 890 s.,
il compimenlo sveli il siwiificato del- 9<X> ss.
l'inizio, Il 168 s.. 57 2. redenzione dalla schiavitù e stipu-
lnnascibili1à. I 4-1o8. 41i5. lazione dell'alleanza,II 903 1.
ln1egri1à ldr. cone1<pisun:i1. stillo ori- fustilill oriti""1is (dr. stoto orig,..lel
1,iNlie i. Il 576 s.. 6o4. cc.nccno di iusliJio origi,,11fis negli
libertà dalla concupisa:nza, II '76. scolastici, Il 564 55.
in1eirri1à e 11TI1zia della rc:denzione. II e azione anticipata della redenz.ione,
58i. Il 845.
identificazione della iustilill oriiilulis
lo-tu. relazione (cfr. MOmo come perso- con il somi1tlianza a Dio in Lutero,
,.,,). Il 100. Hl. 291, "6s., 1:20ss. Il ~48.
1016 INDICE ANALITICO
Persona (nella Trinità) (dr. modi distin- Pienev.a dcl 1nnpo. Il 8\o, 842.
ti di SllSSÌfltnld), I 4H s., 46r.
come concetto concreto, a diffcrcnza Pietismo. Il 116. 20\.
di • perso""1ilos•, I 488. Platonismo
come •incomm11nicabilis existenlia•. m interpretazione cri5tiana del platoni-
Riccardo da S. Vittore, I 261; Il smo, li •'7·
313. rapponn di rorpn r anillUI, Il 24' s.
come •elatio s11bsistens in Tommuo
d'Aquino. 1 26p. Platnni•mo intr~io. 1 2n2: n I I I
1023
particolarità della s1oria della salvez- Teofanie, I 202, 218, 256, 29r s., 366
za ncll'A. T., I 71. e an11cli, II 742, 747.
pc:t-CRto come trasgressione 'nncro la
storia della salvt"Zza, Il 596 s. '1\·o~onia, 11 43
presentazione biblica, Il 88,·893. Tcoloflia (dr. un1rupolo11.iu)
storia come avvenimento celeste-ter- 'ornt· 11:ol0Kia della s11lwzza, II t 5 s.
restre, Il ns. dimensione trasce11Jentak· anrropoloMi·
rapporto fra storia della salvezza uni· ca della reolo~rn. 11 11 s.
\'ersale e speciale, I 97 55. indagine cir'a le rnnJizioni ncccs-
Storicità, II 482 s. s.u ie nel soggetto per la cunosccnzn
· dcl destinatario dcll'aurocomunicazio- dcll'og11c1 m reolu11iw, 11 12 s
m: cli Dio, I 476. n<'c~sit~ di un ambito 1r11sr,•nd<'n
tak·, Il Il ·l4.
Subordinazianismo, 204, 213ss.; II rappor10 tra una 1eolog1a rrascen-
I I I. dc:nrolc d prmri e una categoriale a
ariano, I 214, 225. pn.llt'rtori, 11 11s.
degli apologisti, I 201-205. e demitologizzazionc. 11 z 1.
presso Novaziano, I 218. ncsuiva, I 45
presso Origene, I 219. rillessione teologica e prcdkazione, 11
:? I S,
Suicidio, II 622. !eocentricità della teologia 'e dcll'an-
Superamento sostanziale, II 225. uopologia, II 11 ss.
«teologia delle realtà terrestri~. Il
Sussistenza (cfr. modi distinti di sussi- 211 s.
stenza), I 460 s.
sussistere, I 492. Teologia biblica
differenziazione delle - asserzioni oco-
tcstamcncaric:, I 11 3 s.
T predicazione di Gesù come oggetto
Tecnica (cfr. lavoro) della toologia biblica, I 117 s.
come ronquenz• della rivelazione vangeli come testimonianza della fe-
circa la creazione, li I ,6. de post-pasquale. I t t 2 s.
come sublime forma di lavoro, I I Teologia sociale, II -t65.
'24· e sociologia, II 469.
demone della tccniai, II ,26. rappono tra filosofia sociale e teolo-
e arte, Il ,29 s. gia sociale, II 466.470.
Tempo solidarismo, II 467.
concezione ciclica e concezione linea- Teopaschita, disputa, I 26o.
re e.lei tempo, Il 167 s.
cons«utw temporum dell'economia Timore, I 391.
salvifica, Il 167 s.
assunzione del tempo ad opera di Tipologia, II 891, 902, 910 ss.
Cristo, II 168 s. Traducianesimo, II 269, 284.
finitezza del tempo in quanto tem-
po di salvezza, II 170. Tradizione, Il 887.
idea del tempo di Agostino, li
273.
Trasa:ndenza, Il 8n.
come aspcuo della aucocomunicazione
di Dio, I 476, 480.
Tentazione, Il 8o3 ss. e immanenza come tensione della me-
l'<'Oc.licea, I 376. tafisica cristiana creazionista, II
Gen. 1-3 come teodicea. li H· 156.
Teodicea, probkma della, Il 190. e storia, I 437.
1028 INDICE ANALITICO
divisione dci due" rrattati in san Tom· comuna.nza di natura secondo i Cap.
maso, I 409. padoci, I :u8.
dottrina lriniraria e dottrina dc:!la discre/ae operotioner delle singole
salvez7.a, 41,. persone in Eriugena, I 262.
metodo e struuura dcl trattato «de formale identità di na1ura e per·
Deo lrino», I 402 ss. sana nella Trini1à, I 458.
pericolo dell'isolamento dell'insegna· identità di na1ura in Atanasio, I
mento 1rini1ario dalla cris1olo~ia, I 227.
2,9 s. omnia sunt unum 11bi non obviat
rapporto dci trattati «de Deo uno• relationis oppositio, I 244, 2'J7·
e «de Deo trino.,., I 408-413, 43' s. principio unico delle opere ad ex·
lrattato «de Deo trino» isolato nel- tra, I 2,6.
la dogmauca, 1 407. superaccentu12ione dell'unità della
trias, I 20J, 208. sostanza in Abelardo, I 263 s.
lr!nilà economica cd immanente, unità di natura secondo Nicea, l
7'· 216, 231, 240, 249, 254, 2,6 s., 223.
273, 37'. 414, 426 s., 418, 468, 500: unità del Padre e del Figlio in No-
II 123. vaziano, I 218.
fond12ione della Trinità economica unità e uguaglianza di natura se-
in quella immanen1e, I 48' s. condo il Lateranense (649 ), I 240.
iden1itÌI della Trinilà economica e
immanen1e, I ·414, 416. Triteismo, I 222, 242, 432 s., 446, 496.
incarn12io01e solo dcl l.ol!OS come
presupposto dell'unità della TrinilÌI
economica e immanente, Il 126. u
mancanza di nesso tra la Trinità
Umanità
economica e quella immanente pres-
come comunitì, II 4n·48,.
so i Cappadoci, I 229, 236.
nuova umanità, II 491.
mancanza di richiamo alla Trinità
unirà dell'um1nitì, II ,22.
economica a Nicea, I 224-
minor peso dell'aspcno economico Umani1l extra-biblica (dr. cristiani ano-
salvifico in Tommaso, I 4'3· nimi)
passaggio dalla Trinità economica
allcal\28 divina con Noè, II 8'J7.
alla Trinità immanente, I 483. rapporto della rivelazione di Dio nel-
relazione della Trinità nel processo la Bibbia e fuori di essa, I ,1.,6.
del mondÒ in Eciugcna, I 262. rapporto dell'umanità extra-biblica Ctlf1
rinuncia alla valorizzazione econo- Israele, I 89.
mica in Agostino, I 2,9. 5anti p111ani. li 8}8.
Trinità economica e immanente universalitì della provvidenza salvi6ca
presso Rupcno di Deutz, I 271. divina, Il an. 878.
Trinità economica presso Terrullia-
no, I 216. Unione iposmica, I 389, 416, 419, 01;
Trinità immanente cd economica in
Ireneo, I 209.
JI 2,
JI,
come paradigma per la donrina trini-
una più forte concezione immanen- 11ri1, I 416.
te della Trinità in Novaz.iano, I
217. Uomo fdr. 1111tropoJogi11, romunittl, /lfl}(l-
uguaglianza di natura, I 219, 221. ro, parola, rt1ppor10 corpo.11nim11, so-
unità nella Trinità, I 223, 243. m1zli11nu 11 Dio, ussualittl)
accentuazioM dell'unità di natura Apertura della na1ura spiri1u1le del-
in Callisto 1, I 221. l'uomo, 11 Jo,.
accen1ua7.ione dell'unità nel cQ11i- a1m12ione dell'uomo nella storia, li
crimqut'Y>, I 219. 16.
1032 INDICP. ANALITICO
1. Per una critica letteraria e per la storia delle forme di Gen. 1-3 31
2. Diverse forme di esposizione ......................... .
3. Asserzioni teologiche
a. Geti. I nel suo complesso ..................................... .
b. Questioni particolari cira Gen. 1 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
c. La ca1111teris1ica propria di Gen. J • . • • . . . . • • . . . . . . • . . . • . • . . . . • . .
d. La prova del primo uomo in Gtn. 3 ........................... .
Bibliografia
Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 191
BibliogTtrfia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 208
Dibliografia .......................... · · · · · · · · · .. · · · · · · · ·
3. Il magistero ... ..... ... . .. .... .. .. ..... .. ... .... .... 568
2. Incapacità d'amare
a. Dichiarazioni del magistero ......... _........................... .
/,_ Peccato, natura e persona ................ , .................. _... .
c. Il bene limitato che rimane possibile . __ ........................ .
d. Incapacità d'integrazione ....................................... .
3. L'indiMzionc! al .male
a. Carne
b. Concupi~ccnza ............. , . , .......... , ...................... .
c. Schiavitù ..... , .............. , ....... , ........................ .
J_ ConAitto ... _........ _..... , , .. , ......................... , .... .
a. Le asserzioni dell'A. T.
b. I <k-moni nella visione del N. T. . .. , ........................... .
2. Dall'angelo al demonio
3. I demoni e il male nel mondo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 802
a. Tentatore e seduttore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 803
b. Discernimento degli spiriti .................................... 808
c. Storia demoniu.ata .. .................. ................. ....... 809
d. Difesa protettrice . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8I 3
BiblioP,rafia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 81 5