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L’acqua è il principio di tutte le cose perché è in tutto e senza di lei non c’è niente.

L’acqua è senza forma, perciò può assumere tutte le forme: il divenire perciò si
spiega con le trasformazioni dell’elemento originario, costitutivo di tutta la realtà.

TALETE

Per Talete dì Mileto (626 a.C -548 ca) il principio (archè) di tutte le cose è l’acqua.
Secondo Aristotele, Talete ricavò forse questa convinzione constatando che il
nutrimento di tutte le cose è umido; che il caldo stesso vive dell’elemento umido;
che i semi di tutte le cose hanno natura umida e che l’acqua è il principio naturale
delle cose umide.

Talete sostenne anche – continua Aristotele – che la terra poggia sull’acqua.


Quest’ultima quindi, stando sotto, fonda e sorregge tutte le cose. E’ probabile che
Talete sia giunto alla conclusione che l’acqua è il principio della natura sulla base di
prove elementari: senza acqua non c’è vita; dunque all’acqua, quell’acqua concreta
che beviamo e che è nutrimento per la natura, sono riconducibili tutte le cose.
Con ogni probabilità Talete era mosso anche da considerazioni di ordine pratico:
aveva studiato gli effetti delle piene del Nilo ed era influenzato sia dalla tradizione
marinara degli abitanti di Mileto, sia dalle culture fluviali egiziane e mesopotamiche
che lo spingevano a vedere nell’acqua l’elemento indispensabile per la sopravvivenza
dell’uomo. Di lui non ci è giunto alcuno scritto e tutto ciò
che sappiamo intorno alla sua ricerca e alla sua fama di sapiente (sophos) è
contenuto in poco più di un paio di aneddoti riferiti da Platone e Aristotele.
Sappiamo per certo che nel 585 a. C., utilizzando forse le osservazioni e i calcoli
degli astronomi caldei, predisse un’eclissi di sole.

ANASSIMANDRO

L’archè non può essere uno dei contrari, perché la contrarietà e l’opposizione
nascono con il mondo e perché da una cosa finita non può venire l’infinito. I contrari
nascono con il distacco dall’infinito, ove è la verità, cioè che tutto è uno. Nel finito
le cose sono quindi nella non verità e nell’ingiustizia e ciecamente combattono se
stesse nell’altro. Forse fu Anassimandro (611-10 – 547 a.C.) e non
Talete a usare per primo la parola archè nel suo libro Sulla natura di cui
conserviamo un frammento. Amico e discepolo del matematico, scopritore
dell’inclinazione dello zodiaco e dello gnomone – un orologio solare che realizzò a
Sparta -, primo cartografo della terra, dei mari e del cielo – conoscenze legate alla
città marinara e dedita ai commerci in cui visse -, ipotizzò che le prime forme di
vita avessero preso forma in un ambiente umido.
Anassimandro riprese e sviluppò il problema del principio delle cose posto da Talete,
giungendo tuttavia a una soluzione diversa da quella del maestro.
Per lui l’arché non è né l’acqua, né un altro dei cosiddetti elementi fondamentali
(aria, terra, fuoco). Nessuno di questi
elementi può essere posto come principio di tutte le cose; tra di essi infatti vi è
reciproca opposizione: essi non possono quindi derivare l’uno dall’altro (l’opposizione
non è originaria, emerge con il venire al mondo). Inoltre, sono tutte cose finite,
limitate, determinate. Al contrario, per Anassimandro, l’archè deve
essere infinita e illimitata, per poter essere in grado di dare origine a tutte le cose.
Il principio di tutte le cose deve quindi essere qualcosa di diverso dagli elementi,
qualcosa di non limitato, di non finito. Anassimandro lo definisce àpeiron che
significa sia “infinito”, sia “indefinito”. L‘àpeiron non è un
elemento e non si identifica con nessuna cosa particolare. È una natura infinita, una
sostanza primordiale e indeterminata, da cui ha origine l’intero universo:
dall’àpeiron tutte le cose nascono e in esso di nuovo si dissolvono.
La realtà viene a essere costituita in questo modo, per Anassimandro, da un
dualismo fondamentale che oppone l’infinito (àpeiron) e il finito (i contrari).
Il mondo concreto della nostra esperienza è formato infatti, per il filosofo, da un
insieme di elementi contrari che tendono a sopraffarsi l’un l’altro, commettendo
così una reciproca “ingiustizia’’ (per esempio il giorno caccia la notte, da cui sarà poi
dissolto a sua volta, secondo un movimento ciclico perpetuo; così l’alternarsi delle
stagioni, del caldo e del freddo ecc.).
Per Anassimandro l’àpeiron è in movimento. Tale movimento è eterno e di natura
vorticosa. A partire da esso, per separazione dall’infinito originario, vengono
generati i contrari fondamentali, il caldo e il freddo, i quali a loro volta generano
tutte le cose. Secondo questa teoria, il nostro
sarebbe solo uno degli infiniti mondi esistenti, i quali compiono il loro ciclo vitale,
fino a dissolversi nell’àpeiron originario, da cui erano nati. Per ciascuno dei mondi, il
tempo della vita e della morte è determinato da una legge cosmica che regola il
divenire del tutto.

Come si vede, nel frammento il termine àpeiron non compare. Esso ci è giunto infatti
indirettamente, attraverso le testimonianze posteriori, in primo luogo quelle di
Aristotele e di Simplicio.

rane

Isolati e separati lottiamo e dimentichiamo di essere la stessa realtà. Di fronte alla


crudezza del clima queste due rane sembrano invece intuirlo

ANASSIMENE

Come l’anima nostra che è aria, ci tiene insieme, così il soffio e l’aria abbracciano
tutto il mondo. La filosofia di
Anassimene (VI sec.), l’ultimo rappresentante della scuola di Mileto, è strettamente
legata a quella dei suoi predecessori. Sulla base delle speculazioni di Talete e
Anassimandro, Anassimene si chiede in cosa consista, effettivamente questo
principio, l’identità delle cose molteplici, cioè l’archè.
Come ha mostrato Anassimandro, rispetto a Talete, l’archè non può essere qualcosa
di limitato, una cosa determinata; ma allo stesso tempo, deve essere possibile dire
cos’è e indicare come sia in grado, pur essendo l’origine, di divenire tutte le cose.
Per questi motivi, principio di tutte le cose è per Anassimene l’aria, sostanza
sempre mobile, infinitamente estesa e capace di espandersi ovunque.
Anassimene è il primo a porsi il problema della causa– ciò che Aristotele chiamerà
causa efficiente – che trasforma l’archè in tutte le cose esistenti, estendendo il
suo concetto di archè oltre l’idea di causa materiale. Ciò che spinge l’àpeiron a
determinarsi sono i principi di rarefazione e condensazione a cui l’aria è soggetta.
Nell’unico frammento della sua opera giunto fino a noi, egli concepisce l’universo
come un grande organismo vivente che respira l’aria in cui è immerso. Il soffio vitale
(pneuma) è il principio vivificatore che anima il mondo.
L’aria — dice Anassimene – è il segno della presenza in noi di un’anima (psychè).
Nell’uomo agisce dunque lo stesso principio che governa le cose del mondo; tutto è
aria: essa sorregge la terra, muove gli elementi del cosmo, anima il mondo e gli
uomini.

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