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LA CRISI DEL 73

Negli ultimi trent’anni del XIX secolo l’economia subì delle


trasformazioni di una profondità e portata tali da portare gli storici
ad utilizzare il termine “seconda rivoluzione industriale”, un processo
economico e produttivo che cambiò i rapporti tra i settori di
produzione e i poteri statali, trasformò l’economia e le gerarchie
mondiali della potenza industriale. Questa nuova fase ebbe inizio con
la crisi di sovrapproduzione scoppiata nel 1873. La causa di questa
crisi risale a qualche anno prima: con la fine della guerra franco-
prussiana la Francia fu costretta a versare ingenti capitali nel mercato
europeo, dovendo pagare i debiti di guerra. Tutta questa quantità di
denaro portò ad una spirale inflazionistica e al crollo dei prezzi per
vari anni, venendo chiamata così “grande depressione”. La caduta
dei prezzi non si trattò di un sintomo di crisi, ma di un prodotto delle
trasformazioni organizzative e delle innovazioni tecnologiche che
permisero di ridurre i costi della produzione.

LA SECONDA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE


I processi di cambiamento dell’economia passarono anche attraverso
l’azione delle banche. Gli istituti finanziari potevano garantire
costanti flussi di denaro necessari alla crescita dei colossi industriali, i
cui capitali non erano sufficienti per poter ricostruire gli investimenti
iniziali. Si creò un rapporto di compenetrazione tra imprese e
banche, con la dipendenza dell’industria nei confronti della banca e
con i capitalisti che sedevano più spesso nei consigli di
amministrazione. Questo fenomeno prese il nome di capitalismo
finanziario. Parallelamente i governi europei a causa della crisi
intervennero in maniera diretta nell’economia statale, inasprendo le
tariffe doganali al fine di proteggere l’economia interna. La politica
protezionista fu seguita da quasi tutti i paesi europei. Infatti il settore
economico più minacciato dalle importazioni era quello agricolo.
Nonostante i progressi tecnici come i sistemi di rotazione
perfezionati, l’uso dei concimi chimici, l’impiego di mietitrici e
trebbiatrici a trazione animale e l’introduzione di nuove colture come
la barbabietola, le zone di produzione avanzata si trovavano
unicamente nei paesi nordici, in alcune aree della Francia e nell’Italia
settentrionale, con la zona mediterranea e orientale rimaste indietro.
Negli Stati Uniti invece si diffuse la “nuova agricoltura”: la
disponibilità di terre ricche e l’adozione di tecniche avanzate permise
anche ai più piccoli proprietari terrieri di sfruttare al meglio le terre.
Grazie al trasporto a vapore il surplus produttivo dei prodotti agricoli
americani raggiungere l’Europa a prezzi competitivi e convenienti.
Ciò portò in rovina le aziende agricole fuori dalle città. Alla base della
seconda rivoluzione industriale vi furono i progressi realizzati dalle
scienze fisiche e chimiche, come ad esempio la telegrafia senza fili di
Marconi e i raggi X di Röntgen. Nel corso degli anni il legame che si
creò tra scienza e industria fu sempre più forte: le conquiste
scientifiche vennero applicate sempre di più alla produzione in larga
scala. Scienziati di grande prestigio misero i loro studi a disposizione
delle industrie, tanto da diventare contitolari di imprese: Edison,
Siemens, Bayer, Bell. Vi fu la nascita di nuove industrie come quella
chimica, quella elettrica e quella metallurgica. Importante fu l’uso di
un nuovo materiale quale l’acciaio, che ebbe un impiego in tantissimi
settori: fu usato per le rotaie al posto del ferro, negli utensili
domestici, nelle corazzate navali e nell’edilizia con il cemento
armato. Altra industria importante fu quella alimentare: grazie alla
sterilizzazione, alla conservazione e all’inscatolamento finalmente si
riuscì ad andare oltre l’incubo delle carestie. Anche la medicina subì
un’evoluzione profonda: vennero diffuse pratiche igieniste, si
sviluppò la microscopia ottica e grazie ai progressi della chimica si
fecero passi avanti nella farmacologia.
LE SOCIETA’ DI MASSA
Il termine massa è inteso come un insieme di individui. A prima
impressione sembra che la massa sia divisa in classe operaia e in
classe borghese. Ma a loro volta, in questi ceti, cogliamo delle
differenze. Infatti, nel ceto operaio distinguiamo la manodopera
qualificata che era ben retribuita e all’interno di essa vi era una
maggiore alfabetizzazione, e poi troviamo la manodopera generica.
Queste differenze le cogliamo anche nella classe borghese; è
necessario fare una distinzione tra bassa, media e alta borghesia. Gli
studiosi posero l’attenzione sul ceto medio. Il ceto medio veniva
considerato apolide: dal punto di vista economico è molto più vicino
al ceto operaio, mentre per l’ideologia è assimilabile all’alta
borghesia. Il ceto medio non aveva un’autonoma rappresentanza
politica, questo vuoto di potere era stato colmato da partiti che
hanno manipolato questa classe sociale, capaci di far pendere l’ago
della bilancia dalla parte delle forze progressive o conservatrici. La
società di massa ha inaugurato una fase di democratizzazione.
LA SINISTRA AL GOVERNO
Il 18 marzo del 1876 la Destra in una discussione alla camera di un
progetto governativo per la cessione delle ferrovie allo stato si
presentò divisa, questo processo venne messo in minoranza e il
governo Minghetti presentò le dimissioni. Ed è qui che si viene a
creare la cosiddetta “Rivoluzione Parlamentare” ossia una svolta,
perché pochi giorni dopo il re chiamò a formare il nuovo governo
Agostino Depretis, che era il leader della sinistra. Egli avanzò un
programma riformatore che prevedeva l’aumento della scuola
dell’obbligo fino a 9 anni, fu ampliato il suffragio universale
(potevano votare tutti i maschi dai 21 anni in poi dimostrando di
essere alfabetizzati). Con la legge Coppino del 1877 veniva ribadito
l’obbligo di frequenza scolastica fino ai 9 anni e si introdussero delle
sanzioni per i genitori inadempienti. Tuttavia l’alto tasso di povertà
non permise la piena attuazione della legge. Le prime elezioni dopo
l’emanazione di questa legge videro il primo deputato socialista alla
camera, Costa. Dopo questa riforma elettorale del 1882 Depretis,
preoccupato dal rafforzamento dell’estrema sinistra, strinse un
accordo con Minghetti, leader della destra. Questo processo di
alleanza con l’opposizione prende il nome di trasformismo, il
trasformismo prevedeva la costituzione di maggioranze apposite,
eliminando le ali estreme e facendo un unico grande centro, i
cattolici non parteciperanno alla vita politica, questo rendeva
possibile avere un governo più solido e una maggioranza
parlamentare.
CRISPI
Dopo la morte di Depretis, nel 1887, la carica di presidente del
Consiglio passò a Crispi, personalità di rilievo che poteva risultare
simpatico sia a destra che a sinistra, egli ebbe un’evoluzione
riformista, anche sulla base del governo di Bismark.
La politica di Crispi però, venne messa in minoranza in quanto troppo
costosa per il bilancio statale. Nel 1892, dopo un breve governo di
Antonio Rudinì, la presidenza del consiglio passò alla testa del
Governo Giovanni Giolitti che si presentava con un programma
molto ampio. L’esperienza di Giolitti terminò presto perchè fu
travolto da uno scandalo, ossia lo scandalo della Banca Romana che
era stata al centro di finanziamenti illeciti, Giolitti era molto amico
del proprietario della Banca e fu costretto a dimettersi. A sostituirlo
fu Crispi, che affrontò una situazione sociale complicata, dovendo
tentare di soffocare rivolte sia al nord sia al sud. Crispi aveva tentato
di giocare la carta della conquista coloniale ai danni dell’Etiopia, ma
ne uscimmo super sconfitti dalla battaglia di Adua, Crispi dopo
questa sconfitta fu costretto a dimettersi, e dopo ciò inizia un
periodo difficile per l’Italia.
CRISI DI FINE SECOLO
Quando Rudinì salì al potere dopo Crispi, tentò di ricomporre un
fronte comune contro socialisti, repubblicani e clericali. Il primo
campanello d’allarme di questa crisi, fu quando nel 1897, un
esponente della destra, Sidney Sonnino scrisse un articolo intitolato
“Torniamo allo Statuto”. Questo articolo auspicava il ritorno dello
statuto di Carlo Alberto, che prevedeva che i ministri fossero
responsabili davanti al Re ma non davanti al parlamento. Il secondo
campanello d’allarme fu quando nel 1898, a Milano, ci fu un rincaro
del prezzo del pane (provocato da un cattivo raccolto) e ciò
diede vita ad una serie di rivolte popolari. Di Rudinì, affidò la
questione al generale Bava Beccaris, il quale fece uso dell’artiglieria
contro la folla, provocando molti morti e altrettanto feriti. Una volta
riportato l’ordine nel paese, lo scontro si trasferì nelle aule
Parlamentari, Rudinì voleva dare una base legislativa all’azione
repressiva che si era verificata in precedenza, ma questo suo
progetto cadde e fu costretto a dimettersi. Questo tentativo fu
ripreso dal suo successore Luigi Pelloux, Pelloux cercò di far
approvare dal Parlamento delle leggi liberticide, a questo punto i
gruppi di opposizione risposero mettendo in pratica la tattica
dell’ostruzionismo parlamentare. Pelloux allora provò a raggirare
questo ostruzionismo e tentò di attivare delle procedure
chiaramente incostituzionali. La cassazione, bloccò queste
procedure, Pelloux tentò le elezioni ma poi perse e fu costretto a
dimettersi e a scappare. Accettando le dimissioni di Pelloux, il re
Umberto I prese atto del fallimento di quella politica repressiva di cui
lui era uno dei maggiori sostenitori. A Pelloux gli succedette il
senatore Giuseppe Saracco, che era un moderato. Un mese dopo
l’insediamento al potere di Saracco, un anarchico di nome Gaetano
Bresci, voleva vendicare le vittime di Milano e fece un attentato ad
Umberto I. Gli succedette Vittorio Emanuele III che fu un pessimo
sovrano, ma affidò l’incarico di formare un nuovo governo a
Giuseppe Zanardelli, che affidò il ministero degli interni a Giuseppe
Giolitti. Questo Ministero che durò circa 3 anni mise in atto alcune
riforme importanti, che limitavano il lavoro minorile e femminile nell’
industria, si migliorarono le assicurazioni per la vecchiaia e per gli
infortuni di lavoro. Fu costituito un Consiglio superiore del lavoro e si
tenne una linea di neutralità per quanto riguarda le manifestazioni
operaie, almeno finchè non sfociavano nella violenza.
GIOLITTI
Dopo le dimissioni di Zanardelli, Giolitti prese il suo posto e cercò di
portare avanti l’esperimento liberal progressista del predecessore,
ma per poter varare le leggi, aveva bisogno di un interlocutore
privilegiato, ossia Filippo Turati, leader del partito socialista
riformista che però rifiutò l’offerta in quanto aveva paura di non
essere seguito dal suo partito. Giolitti finisce per guidare un governo
di centro con appoggi di gruppi conservatori che limitarono in parte
le sue riforme, ad esempio la riforma fiscale costretta a cadere. Pose
le sue attenzioni sulla questione meridionale con delle leggi speciali
per la Basilicata e per Napoli, lo scopo era quello di modernizzare
l’agricoltura e nel caso specifico di Napoli lo sviluppo industriale
attraverso una serie di agevolazioni fiscali ed edilizie, lo stesso valse
per la Calabria e le altre isole. Un altro importante progetto fu quello
della stabilizzazione delle ferrovie che erano ancora affidate alla
gestione di compagnie private, questo progetto fu respinto sia dalla
destra che dalla sinistra. Giolitti, come dinanzi ad ogni difficoltà si
dimise, per poi ritornare in seguito. Gli successe Alessandro Fortis
che restò al governo per poco tempo ma statalizzò le ferrovie, anche
il successore di Fortis, Sonnino, rimase al governo per poco tempo e
nel 1906 tornò Giolitti che riduce il tasso di interesse versato dallo
Stato ai possessori di titoli. Dopo un periodo di governo con a capo
Luzzatti, Giolitti torna nel 1911 con un programma estremamente
orientato a sinistra, il cui punto più importante era quello di
estendere il diritto di voto a tutti i cittadini maschi trentenni, a
prescindere dalla loro classe sociale, invece i ragazzi dai 21 anni in giù
dovevano dimostrare di essere alfabetizzati. Dal momento che Turati
rifiutò la carica di interlocutore privilegiato, Giolitti aveva bisogno di
un nuovo interlocutore, ossia il mondo cattolico. Se durante il papato
di Leone XII l’azione politica dei cristiani fu in qualche modo tollerata,
durante quello di Pio X fu duramente osteggiata, Giolitti era convinto
di poter contare anche sul mondo cattolico. Il dialogo con i cattolici
divenne indispensabile quando si verificarono degli estremismi sia
sindacali che imprenditoriali. A luglio del 1912 si registra un
congresso tenuto a Reggio Emilia, durante questo congresso vi è una
rivolta in cui prevale la maggioranza massimalista e nacque il Partito
socialista riformista italiano. Uno dei protagonisti di questa rivolta fu
proprio Benito Mussolini. A novembre del 1913, durante le elezioni,
Giolitti fece un’alleanza con Gentiloni, ossia il presidente dell’unione
letterale cattolica. Venne siglato un accordo ossia il Patto Gentiloni,
che non è un accordo tra Stato e Chiesa bensì un patto elettorale:
Gentiloni si impegnava a far votare Giolitti dai cattolici e a sua volta
Giolitti si impegnava a non far varare le leggi che una volta
modificate, potessero dare fastidio alla curia. Giolitti vinse le elezioni
e lasciò la responsabilità ad Antonio Salandra. In questo periodo si
registrano alcune tensioni sociali a causa di manifestazioni
antimilitariste, nel corso di queste manifestazioni vi sono tumulti con
le forze dell’ordine. Le forze sindacali danno vita a rivolte che durano
una settimana, la cosiddetta. Soprattutto nelle Marche ed in Emilia
Romagna vi furono assalti ad edifici pubblici, atti vandalici contro le
linee telegrafiche. Con l’inizio della Grande Guerra ci fu la fine
definitiva dell’era Giolittiana. Giolitti fino al 1914 mantiene il suo
posto, è uno degli elementi che ha dominato in Italia, ma è tanto
importante quanto complesso e disorientante. Quella esercitata da
Giolitti fu una dittatura parlamentare, molto simile per certi versi a
quella di Depretis. Giolitti si impegnò al costante sviluppo della
borghesia industriale e del proletariato organizzato e cercò di far
entrare nel governo gruppi e movimenti liberali ritenuti fino a poco
tempo prima dei nemici delle istituzioni. Per controllare il
parlamento Giolitti arriva addirittura ad abbandonare la guida del
governo per poi riprenderla in momenti più opportuni. Questo
controllo era possibile grazie al trasformismo e ad un intervento
costante nel Mezzogiorno per le competizioni elettorali. Fu accusato
da socialisti e cattolici democratici di essere colpevole di corruzione
all’ interno di questi movimenti e dai meridionalisti, in particolare da
Gaetano Salvemini. Il suo giudizio verso di lui fu molto tagliente, egli
affermava che Giolitti potrebbe addirittura essere inserito all’interno
del dispotismo illuminato, fu soprannominato “Ministro della
Malavita” che favoriva le industrie del nord e ostacolava lo sviluppo
del mezzogiorno imponendo molte tasse su prodotti come olio e
grano, questo giudizio fu attenuato quando tornò in Italia dopo
l’esilio. Palmiro Togliatti dice che Giolitti è riuscito a cogliere gli
aspetti più propri della società industriale, ha scoperto la possibilità
di aprire un tavolo di trattativa tra capitali e lavoro senza interpellare
lo stato, questo principio viene chiamato principio della
concertazione.

PRIMA GUERRA MONDIALE


Il 28 giugno 1914 l’Europa è divisa in due alleanze la triplice intesa
(Francia, Regno Unito e Russia), la triplice alleanza (Germania,
Austria, Italia).
A Sarajevo, un giovane bosniaco, Gavrilo Princip, uccise a Sarajevo
con due colpi di pistola l’erede al trono d’ Austria, l’arciduca
Francesco Ferdinando, e sua moglie. Princip probabilmente lavorava
per la mano nera, un’organizzazione terroristica bosniaca che
desiderava l’indipendenza dalla Serbia. L’Austria accusò il governo
serbo di aver organizzato l’attentato e impose loro un ultimatum con
condizioni estremamente umilianti. Il principe Serbo, Alessandro l ,
non poteva rispettare l’ultimatum, il 23 luglio si presenta
all’ambasciata Russa (a Belgrado) per chiedere l’aiuto
dell'imperatore russo (Nicola ll), quest’ultimo dichiara che nessuno
stato con un minimo di dignità avrebbe potuto accettare l’ultimatum.
Dopo aver mobilitato l’esercito, la Serbia accetta solo in parte
l’ultimatum, di risposta l’Austria mobilita l’esercito e lo stesso fa
Nicol ll, che dichiara che la Russia non può restare neutrale. Il 28
luglio l’Austria dichiara guerra alla Serbia, la sera stessa la Russia
mobilita l’esercito contro l’Austria. Il 1° agosto la Germania dichiara
guerra alla Russia, innescando così il meccanismo della triplice
alleanza che trascinava in guerra Gran Bretagna e Francia. L'Italia
intanto sfruttando che l’alleanza fosse solo a scopo difensivo zi
mantenne neutrale.
Circondata da Russia e Francia, la Germania decise di mettere in atto
un piano elaborato nel 1905, ossia il piano Schlieffen. Questo piano
consisteva nel penetrare attraverso il Belgio, per attaccare i francesi
alle spalle e vincere velocemente lo scontro. Tuttavia la resistenza
Belga è tenace e blocca l’avanzata tedesca per i giorni necessari ai
britanni per mandare una forza di spedizione in iuto dei francesi.
Dopo la vittoria dell’esercito tedesco contro il Belgio, infligge pesanti
sconfitte all’esercito britannico, che insieme ai francesi si stabiliscono
sulla linea del fronte, scavando trincee e difendendosi, i tedeschi
fecero lo stesso ed ha così inizio la guerra di posizione.
La guerra assunse ben presto dimensioni planetarie, nell’ agosto del
1914 il Giappone dichiarò guerra alla Germania per impadronirsi dei
possedimenti tedeschi in estremo oriente, la Turchia interviene a
favore degli Imperi centrali. Il 26 aprile 1915 viene firmato il patto di
Londra, che prevedeva l’entrata in guerra dell’Italia entro un mese, al
fianco della triplice intesa.

L’ INTERVENTO DELL’ ITALIA


Il governo di Antonio Salandra dichiarò dopo lo scoppio della guerra
la neutralità dell’Italia. Questa decisione fu giustificata dal carattere
difensivo della Triplice Alleanza, infatti non era stata l’Austria a
subire un attacco, e questa decisione fu condivisa da tutte le
principali forze politiche. Però stava cominciando a diffondersi
l’ipotesi di una guerra contro l’Austria in modo da riconquistare
Trento e Trieste. Tra gli interventisti vi furono i partiti della sinistra
democratica: repubblicani, radicali e socialriformisti, associazioni
irredentiste. Dalla parte opposta dello spettro politiche vi furono i
nazionalisti che desideravano l’affermazione dell’Italia come grande
potenza imperialista. Anche gruppi di liberal conservatori iniziarono
ad aderire a questa causa anche se con molta prudenza e gradualità.
L’ala più consistente dello schieramento liberale, con a capo Giolitti,
era però schierata su una linea neutralista poiché sostenevano che
l’Italia non era preparata ad affrontare una guerra ed erano convinti
di ottenere alcuni territori come compenso per la neutralità. Oltre ai
liberali anche il mondo cattolico non voleva andare contro l’Austria
cattolica. A differenza della maggior parte dei parti socialisti europei,
il Psi decise di mantenere una posizione contraria alla guerra, mentre
Benito Mussolini direttore dell’Avanti si schierò a favore della guerra.
Per questo fu espulso dal partito e fondò un nuovo quotidiano, Il
popolo dell’Italia. L’ esito di questo scontro tra neutralisti e
interventisti fu deciso dal capo del governo, il ministro degli Esteri e
del re che allacciarono rapporti segreti con l’Intesa, pur continuando
a trattare con gli Imperi centrali sperando di ottenere dei territori in
cambio della neutralità. Il 26 aprile 1915 fu deciso di accettare le
proposte dell’intesa firmando il patto di Londra con Francia,
Inghilterra e Russia. Con la vittoria l’Italia avrebbe ottenuto il
trentino, il Sud Tirolo, la Venezia Giulia, l’intera penisola istriana e
una parte della Dalmazia. Il 20 maggio 1915 la camera approvò, con
voto contrario dei socialisti, le concessioni dei pieni poteri al governo
in modo da non aprire una crisi istituzionale sconfessando il sovrano.
Il 23 maggio l’Italia dichiara guerra all’ Austria.
Il 21 febbraio 1916 ha inizio la battaglia di Verdun, la più lunga e
sanguinosa di tutta la guerra. Il piano dei tedeschi era quello di far
confluire il maggior numero di francesi in difesa della città per poi
bombardare. Lo scopo della Germania era quindi quello di far
perdere il maggior numero di soldati ai francesi, l’intento non era
quindi quello di conquistare la città. Il 29 agosto finisce la battaglia di
Verdun, i francesi riuscirono a difendere la città, ma entrambi gli
schieramenti subirono perdite enormi (circa 350.000 vittime per
entrambi gli schieramenti).
Nel 1917 la rivoluzione russa altera lo sviluppo della prima guerra
mondiale, all'inizio di marzo vi è uno sciopero generale degli operai
di Pietrogrado, sciopero che si trasforma in una manifestazione
contro il regime zarista. A causa di questo sciopero lo zar fu costretto
ad abdicare poiché i soldati si rifiutavano ti prendere iniziative contro
la folla inerme.
Un mese dopo gli stati uniti entrano in guerra contro la Germania a
causa della guerra sottomarina di quest’ ultima che non colpiva solo
navi militari ma anche mercantili di paesi neutri, e questo aveva
causato la morte di alcuni cittadini americani. L’ intervento
statunitense si rivelò successivamente decisivo sia sul piano
economico che militare, sostituendo la Russia nell’ Intesa.
Con il crollo del regime zarista anche l’esercito arrivò a disgregarsi,
molti reparti rifiutavano gli ordini degli ufficiali e elessero organi di
autogestione. Inoltre molti soldati abbandonarono il fronte per
tronare nei propri villaggi per partecipare alla spartizione delle terre
dei signori. Gli ammutinamenti non erano presenti solo in Russia, ma
iniziarono a diffondersi anche in altri paesi. Primo tra questi la
Francia, con un ammutinamento di più di 40000 uomini, domato con
una durissima repressione. Anche in Germania e in Austria si
susseguirono una serie di scioperi. L’ anno più difficile per l’Italia fu il
1917, sull’ Isonzo una serie di offensive ordinate da Cadorno
portarono guadagni troppo modesti per i pesanti costi umani, i
soldati protestavano sempre di più ed erano frequenti gesti di
insubordinazione. Il 24 ottobre 1917 presso Caporetto un’armata
austriaca con l’appoggio tedesco riuscì ad attaccare e sfondare le
linee italiane. Gli attaccanti misero in atto la tattica dell’infiltrazione,
che consisteva nel penetrare rapidamente nel territorio nemico
sfruttando l’effetto sorpresa per mettere in crisi l’avversario. Questa
tattica si rivelò efficace e la maggior parte delle truppe italiane
dovette abbandonare la posizione tenuta dall’ inizio della guerra.
Solo dopo 2 settimane si riuscì a conquistare una nuova linea
difensiva del Piave.
Nella notte tra il 6 e 7 novembre del 1917 i bolscevichi presero il
potere in Russia e il governo di Lenin decise di porre fine alla guerra
dichiarando una pace senza annessioni e senza indennità firmando
subito l’armistizio con gli imperi centrali. La Russia per ottenere
questa pace dovette cedere circa ¼ dei territori dell’Impero russo.
Nel 1918 il presidente americano Wilson presentò un programma di
pace in 14 punti. Questi prevedevano l’abolizione della diplomazia
segreta, la libertà di navigazione, la riduzione agli armamenti, la
piena reintegrazione del Belgio, Serbia e Romania, l’Alsazia Lorena
alla Francia e la rettifica dei confini italiani. Inoltre il presidente degli
USA propose l’istituzione di un organismo internazionale, la Società
delle nazioni. L’
inizio del 1918 vedeva ancora i due schieramenti in una situazione di
equilibrio sul piano militare. Nel giugno del 1918 l’esercito tedesco
era di nuovo sulla Marna e Parigi era minacciata dai cannoni
tedeschi. Sempre in questo mese gli austriaci attaccarono le forze sul
Piave ma vennero respinti dopo una settimana. Nel mese di luglio
iniziò la controffensiva dell’intesa che giovava dell’appoggio degli
Stati Uniti e ad agosto i tedeschi subirono la prima grave sconfitta sul
fronte occidentale nella battaglia di Amiens. Mentre la Germania
cercava un compromesso per la fine della guerra i suoi alleati
crollavano uno dietro l'altro. Inizialmente la Bulgaria, dopo l’Impero
Turco e infine l’Austria Ungheria sconfitta sul campo nella battaglia di
vittorio veneto. Gli austriaci firmarono l’armistizio con l’Italia. Nel 28
giugno del 1919 venne firmato il trattato a Versailles, che si poteva
considerare come un vero e proprio Diktat. La Germania dal punto di
vista territoriale doveva cedere l’Alsazia-Lorena alla Francia, l’Alta
Slesia e la Posnania alla Polonia, oltre a cedere le sue colonie alla
Francia, Gran Bretagna e Giappone. Inoltre la Germania doveva
impegnarsi a rifondere ai vincitori i danni subiti a causa del conflitto
in quanto era responsabile della guerra. Fu costretta a abolire il
servizio di leva, rinunciare alla marina di guerra e ridurre il numero di
soldati per l’esercito. Anche l’Austria subì gravi perdite dalla guerra,
infatti si trova ridotta ad un territorio di appena 85k Km2. Dal crollo
dell’Austria si vennero a creare nuove nazioni, i polacchi della Galizia
si unirono alla Polonia, i boemi e slovacchi nella Repubblica di
Cecoslovacchia e gli slavi del sud si unirono a Serbia e Montenegro
per dar vita alla Jugoslavia. Inoltre le potenze dell’Intesa favorivano
la creazione della Finlandia, Estonia, Lettonia e Lituania in modo da
indebolire la Russia. Il rispetto di questi trattati doveva essere
controllato dalla Società delle Nazioni come previsto da Wilson, ma
questo nuovo organismo già nato minato da profonde contraddizioni
venne a sgretolarsi quando nel 1920 il Senato statunitense respinse
l’adesione a questo organismo.

RIVOLUZIONE RUSSA
L'invio di contadini al fronte aveva causato una grave mancanza di
beni di prima necessità. Per questo motivo nel febbraio del 1917
scoppiò a Pietrogrado una rivolta molto violenta che si estese fino a
Mosca. Lo zar proclamò lo stadio d’assedio, ma le truppe invece di
combattere i rivoltosi si unirono a quest’ultimi. Il 27 febbraio gli
scioperanti si impadronirono della capitale. Dopo lo sciopero
nacquero due centri di potere, d'un lato il governo provvisorio
guidato da Georjiy L’vov, il quale vuole continuare la guerra a fianco
dell’intesa e contemporaneamente spera in una occidentalizzazione
della Russia. Dall'altro lato troviamo i soviet (organizzazione politica
creata per la conquista e la gestione del potere da parte della classe
operai) di Pietrogrado guidato dai menscevichi e dai social-
rivoluzionari. Nonostante il ripudio che i menscevichi e i social-
rivoluzionari avevano per la guerra appoggiarono L’vov. Intanto lo zar
Nicola ll fu costretto ad abdicare in favore del fratello, convinto che la
sua dinastia i Romanov fosse amata dal popolo.
Nel mentre Lenin, leader dei bolscevichi, tornato in Russia dopo un
viaggio attraverso l’Europa in guerra, diffuse un documento in dieci
punti, le tesi di aprile, in cui si poneva il problema della presa del
potere. Il primo obbiettivo era quello di conquistare la maggioranza
nei soviet e proporre un programma provvisorio in cui veniva chiesta
la pace immediata, l’abolizione della proprietà privata e il passaggio
di tutti i poteri ai soviet, in quanto una repubblica parlamentare
tipicamente occidentale non era adatta ad una rivoluzione
comunista. Questo programma riuscì a portare molti consensi al
Partito bolscevico, tuttavia si allontanò ulteriormente dagli altri
gruppi socialisti e dal governo provvisorio. Il primo tentativo di
ribellione al governo fallì e molti leader bolscevichi furono arrestati o
costretti a fuggire. Intanto il governo provvisorio era presieduto dal
socialrivoluzionario Kerenskij. Il secondo tentativo di colpo di Stato
promosso dal capo dell’esercito Kornilov neppure ebbe successo, ma
questa vicenda rafforzò i bolscevichi in quanto conquistarono la
maggioranza nei soviet di Pietrogrado e di Mosca.
I bolscevichi decisero di rovesciare il governo con forza durante il
mese di novembre (ottobre per il calendario russo) con
un’insurrezione organizzata da Trotskij eletto in settembre
presidente del soviet di Pietrogrado. La mattina del 7 novembre
(notte del 24 ottobre per il calendario russo) i bolscevichi
circondarono il palazzo d’ inverno, dimora degli zar prima e del
governo provvisorio poi, in un assalto che diventerà simbolo della
rivoluzione russa. Mentre il governo era prossimo alla caduta, si
riuniva a Pietrogrado il congresso panrusso dei Soviet, che approvò
due decreti proposti da Lenin. Il primo faceva appello ai popoli dei
paesi belligeranti per una pace giusta e senza annessioni e indennità.
Il secondo riguardava la proprietà terriera che venne abolita
immediatamente e senza indennizzi agli ex proprietari. Il nuovo
governo rivoluzionario, composto da Bolscevichi e con Lenin
presidente, coadiuvato da Trotzkij e Stalin, prese il nome di Consiglio
dei commissari del popolo.
Questa rapida prese del potere da parte dei bolscevichi causò
proteste da parte dei menscevichi, dei cadetti e dei
socialrivoluzionari che però non organizzarono manifestazioni di
aperto sabotaggio, ma aspettarono sperando nella convocazione
dell’Assemblea costituente. I risultati delle elezioni furono pessimi
per i bolscevichi che non volendo rinunciare al potere appena
acquisito sciolsero l’assemblea costituente per intervento dei militari
bolscevichi. Inoltre Lenin pensava che questo tipo di organo
governativo fosse ascrivibile ad una democrazia borghese, pertanto
non conciliabile con una rivoluzione comunista. Con scioglimento
dell’assemblea costituente si instaurò una dittatura di partito.
Saliti al potere i bolscevichi a causa dei loro pochi iscritti al partito
trovarono difficile amministrare un paese immenso e dovevano
anche affrontare i problemi ereditati dal vecchio regime. Questo
portò a un grande fenomeno di emigrazione politica da parte degli
strati sociali più elevati, oltre un milione di esodi volontari tra il 1918
e il 1926.
Per quanto riguardava la guerra i bolscevichi speravano in una pace
equa senza annessioni e senza indennità, ma il governo fu costretto a
trattare con le altre forze europee in una condizione di grave
inferiorità. La pace con la Germania, conclusa con il durissimo
trattato di Brest-litovsk del 1918, portò l’opposizione dei
socialrivoluzionari che abbandonarono i bolscevichi, ormai
completamente isolati. Conseguenza di ciò è la formazione di
movimenti antibolscevichi formati da nobili, ex ufficiali zaristi,
democratici e kulaki, i quali schierano un proprio esercito, chiamato
armate bianche. Ad esse si contrapposero le armate rosse
capeggiate da Trotzkij. Tuttavia l’Europa che, intanto stava seguendo
con apprensione le vicende russe, guarda con ostilità lo
schieramento bolscevico, quindi decide di appoggiare militarmente
le armate bianche a partire dall’estate del 1919. Nel frattempo il
governo rivoluzionario si dimostrava sempre più autoritario, con la
creazione di una polizia politica, la Ceka e con l’istituzione del
tribunale rivoluzionario centrale. Nel giugno del 1918 vennero messi
fuori legge tutti i partiti d’ opposizione e fu reintrodotta la pena di
morte. La guerra civile tra armate rosse e bianche si protrasse fino
alla primavera del 1920, quando l’armata bianca fu debellata. Fu una
guerra terribile, in quanto coinvolse particolarmente anche i civili,
infatti l’armata rossa necessitava di approvvigionamenti, i quali
venivano requisiti forzatamente dagli agricoltori. Tale fenomeno,
conosciuto come “comunismo di guerra” condusse il paese in una
grave crisi economica e provocò rivolte e scioperi.
Lenin quindi capisce le gravi conseguenze del comunismo di guerra e
inaugura in modo lungimirante nel 1921 la NEP (nuova politica
economica). I suoi punti cardine erano la stimolazione della
produzione agricola, la concessione ai contadini di poter vendere il
loro surplus produttivo dopo aver pagato allo Stato una tassa fissa
(ciò avvantaggiò molto i kulaki), fu concesso alle piccole-medio
imprese una gestione capitalistica, fu diffusa la nazionalizzazione
delle banche, che rimasero tuttavia sempre nelle mani dello Stato.

NASCITA DELL’URSS
Nel dicembre 1922 nasce l’Unione delle repubbliche socialiste
sovietiche, acronimo URSS. Il potere era formalmente affidato al
Congresso dei soviet dell’Unione, anche se in realtà risiedeva nelle
mani del Partito comunista, l’unico partito di cui era ammessa
l’esistenza per la costituzione. Infatti, era il partito comunista a
dirigere le azioni del governo, a controllare la polizia e a proporre i
candidati alle elezioni dei soviet. Lo scopo prefissato dai bolscevichi
fu quello di trasformare il paese anche nel contesto sociale.
Innanzitutto nell’URSS fu intrapresa una lotta per la scristianizzazione
della società condotta con molta durezza: vennero confiscati i beni
ecclesiastici, vennero chiuse le chiese e furono arrestati i capi
religiosi. La Chiesa ortodossa non fu in grado di opporre resistenza e
fu quindi già dal 1925 sconfitta e limitata a piccolissimi spazi concessi
loro dal regime comunista. Altre novità furono il riconoscimento
unicamente del matrimonio civile, la semplificazione delle procedure
d’aborto e la proclamazione di un’assoluta parità dei sessi.
Importante fu anche la lotta all’analfabetismo, combattuta
estendendo l’obbligo scolastico fino ai 15 anni, e l’istruzione
comunista, che privilegiava l’insegnamento di materie tecniche
piuttosto che umanistiche e naturalmente imponeva lo studio della
dottrina marxista.

PASSAGGIO DA LENIN A STALIN


Nell’aprile del 1922 Stalin viene nominato segretario generale del
Partito comunista dell’URSS. Poche settimane dopo Lenin viene
colpito da un ictus, che di lì a meno di un anno lo avrebbe condotto
alla morte. Finché fu lucido, il leader bolscevico impedì sempre grazie
alla sua autorità ogni tipo di scontro e contrasto nel gruppo
dirigente. Tuttavia, con l’ascesa di Stalin le cose cambiarono.
Innanzitutto ci furono dissidi interni tra Stalin e Trotzkij, uno dei capi
bolscevichi più popolari e autorevoli dopo Lenin, anche se spesso
isolato rispetto agli altri. Trotzkij non condivideva l’idea di una
burocratizzazione della società e riteneva che l’Unione sovietica
dovesse accelerare i suoi ritmi di industrializzazione per rimettersi al
pari. Al contrario, Stalin, che già aveva inteso l’impossibilità di una
rivoluzione internazionale che era alla base della rivoluzione
comunista, sentenziò che il socialismo in un solo paese era possibile
e l’Urss aveva in sé forze sufficienti per contrastare il mondo
capitalista. Ciò richiamò anche un forte afflato patriottico. Pertanto
Trotzki fu emarginato sempre maggiormente dal progetto politico.
Trotzkij fu deportato e poi espulso dall’Urss. Infine fu ucciso nel 1940
nella sua dimora in Messico da agenti segreti sovietici.
PRIMO DOPOGUERRA IN ITALIA
Dopo la prima guerra mondiale in Europa iniziarono a crearsi nuovi
regimi politici. Lo stato liberale italiano era fragile perché dopo la
prima guerra mondiale ci furono tantissimi morti, feriti e mutilati.
Inoltre la situazione economico-sociale era in crisi, sebbene la guerra
non avesse toccatole città. È possibile individuare in questo periodo il
biennio rosso (1919–1921) caratterizzato da una forte crisi, durante il
quale si arrivò anche all’occupazione delle fabbriche tanto che si
pensava che si stesse andando a creare una rivoluzione del
proletariato. Il 4 novembre del 1918 l’Italia firmò l’armistizio
festeggiando per la vittoria, anche se aveva più l’aspetto di un paese
sconfitto. L’Italia, facente parte dei vincitori, aspirava a diventare una
grande potenza. Il 18 gennaio 1919 vennero iniziate le trattative a
Parigi per gli accordi di pace. In questa situazione si iniziarono vedere
le prime crepe dello Stato liberale italiano: la diplomazia italiana
infatti fallì nelle trattative di Parigi nella sistemazione territoriale dei
confini (mito della vittoria mutilata). Inoltre tutto ciò era
accompagnato dalla crisi. Si chiedeva sia Fiume che la Dalmazia,
entrando in questo senso in contraddizione interna. Gabriele
D’Annunzio faceva da intermediario: nel settembre 1919 infatti
organizzò l’impresa di Fiume. Ciò costituì un passaggio importante
perché anticipò il fascismo. Il governo ebbe la possibilità di fermare
D’Annunzio ma non lo fece perché pensava di poterci guadagnare se
l’impresa fosse andata a buon fine. Questo mostrò agli italiani che lo
Stato liberale era debole e incapace. La crisi economico-sociale era
problematica in vari settori, come agricoltura, industria e finanza. Il
paese era ancora basato sul settore agricolo e con la guerra ciò era
stato fortemente abbandonato a causa della guerra dato che molti
contadini furono mandati al fronte a combattere. Inoltre il settore
industriale nascente fu quello che ne risentì maggiormente perché
nell’immediato fu subito convertito per la produzione bellica. A
guerra finita però la produzione maggiorata non era più necessaria
anche perché non c’erano più le commesse statali e dunque ci fu una
crisi di sovrapproduzione; venero colpiti principalmente gli operai
aumentando così la disoccupazione iniziata già con l’introduzione
della catena di montaggio. Infine il settore finanziario fu colpito da
una svalutazione della moneta seguita dall’inflazione. La guerra era
costosa e lo Stato si era dovuto indebitare, in particolare con le
banche. Ciò colpì i più poveri perché aumentarono i prezzi dei beni,
ma allo stesso tempo colpì il ceto medio che aveva risparmiato e/o
investito nella guerra (frustrazione del ceto medio che poi troverà
rappresentanza nel Fascismo). Ci fu quindi uno scontro sociale tra i
lavoratori e i proprietari dei mezzi di produzione perché i reduci di
guerra si sentivano traditi. D’altra parte gli operai durante la guerra
erano costretti a grandi sforzi e sacrifici. La guerra aumentò il divario
tra ricchi e poveri.
Pertanto in Italia, Francia e Gran Bretagna aumentarono
notevolmente gli iscritti ai sindacati. C’erano dunque rivendicazioni di
tipo economiche e politiche: aumento dei salari, giornata lavorativa
di 8 ore, forme di rappresentanza all’interno dei consigli delle
fabbriche (come i Soviet russi) e autogestione degli impianti. Dalle
proteste contro il carovita e gli scioperi si arrivò all’occupazione
(anche armata) delle fabbriche nel settembre 1920. Agli scioperi si
contrastavano le serrate, ovvero la decisione di chiusura da parte dei
datori di lavoro provocando un danno agli operai. In questo periodo,
i datori di lavoro si aspettavano di avere piena autonomia in modo da
superare il periodo della guerra. In quegli anni, Giolitti era tornato al
governo per il suo ultimo mandato, proponendo una mediazione
politica, che avrebbe diviso radicali e moderati. In questo senso
voleva promuovere i consigli di fabbrica, in modo da ridurre la
tensione sociale. I datori di lavoro dovettero accettare questa
mediazione sebbene considerassero Giolitti e il suo sistema deboli.
Serrati era leader dei massimalisti, e si opponeva a Turati, capo dei
riformisti: all’interno del congresso socialista il primo aveva la
maggioranza. Però il soggetto rivoluzionario era esterno rispetto al
partito, e non era riuscito a creare le basi del consenso. Inoltre gli
operai non si erano coordinati con il movimento contadino anche a
causa delle differenze geografiche dato che le industrie erano
presenti soltanto al nord, mentre il centro-sud era ancora basato sui
latifondi. Con la fine della guerra, si aspettava una riforma agraria, in
modo da dare le terre incolte promesse ai soldati-contadini. Nelle
campagne del nord si chiedeva un aumento salariale, un controllo
delle liste di collegamento e l’imponibile di manodopera, ovvero una
percentuale di lavoratori che doveva sempre essere assunta durante
l’anno; si volevano avvantaggiare i padri di famiglia in modo che
comunque la società non entrasse in crisi. Anche in questo caso però
si arrivò agli scioperi e all’occupazione delle terre. Ciò comportò la
richiesta allo Stato di ristabilire l’ordine pubblico da parte dei ricchi
proprietari terrieri. Si giunse così agli squadristi fascisti. Il ceto medio
si sentiva migliore del proletariato ma schiacciato dall’alta borghesia.
Quest’ultima era la classe dirigente, mentre il proletariato aveva
rappresentanza politica nel partito socialista ma anche una
rappresentanza sindacale; il ceto medio invece non aveva nessun
tipo di rappresentanza. Essi si sentivano pertanto traditi dallo Stato,
per la svalutazione della moneta, ma anche perché loro avevano
sottoscritto i prestiti di guerra. La paura era quindi di peggiorare le
proprie condizioni economiche-sociali.
Sia in Italia che in Germania dunque si notò la debolezza del nuovo
stato liberale. Lo Stato infatti non riuscì a gestire gli scontri sociali tra
capitale e lavoro, e tra proprietari terrieri e braccianti; a ciò si unì la
crisi economico-finanziaria e la frustrazione del ceto medio. La nuova
riforma elettorale portò ad un sistema proporzionale, che divideva lo
stato in circoscrizioni, nelle quali potevano essere eletti più deputati
in un modo più ponderato. Il 23 marzo1919 in piazza San Sepolcro a
Milano, Mussolini fondò il movimento dei fasci di combattimento,
presentando il programma. Non era un partito perché l’idea eradi
tipo nazionale: i partiti dividevano la nazione. Il nome si riferiva ai
fasci siciliani degli ultimi anni dell’Ottocento. Inizialmente Mussolini
aveva pochi sostenitori tra cui i nazionalisti, gli arditi ed ex-
combattenti. Col tempo però si consolidò fino a diventare il fulcro
della scena politica italiana. Nel gennaio1921 all’interno del partito
socialista italiano ci fu una scissione dolorosa tra massimalisti e
riformisti. Nacque così dopo il congresso di Livorno, il partito
comunista italiano. Inoltre nel 1922 dal partito comunista si staccò la
corrente riformista di Turati che creò il partito socialista unitario di
cui sarà segretario Giacomo Matteotti. La sinistra era pertanto divisa
al suo interno e ciò facilitò il successo dei fascisti. Nelle prime
elezioni, si affermarono i due partiti di massa più importanti: il
partito socialista ancora unito e il partito popolare. Essi però non
dialogavano tra di loro, perché in opposizione. In quegli anni non
c’era una stabilità né una continuità sul piano politico tanto che si
successero diversi leader principalmente liberali (Nitti, Giolitti,
Bonomi, Fatta). Bonomi riuscì più di altri a contenere la violenza
squadrista tanto che si arrivò ad un tentativo di pacificazione tra
socialisti e fascisti, promosso anche dallo stesso Mussolini. Lui infatti
aveva capito che era necessario stabilizzare i risultati economici e
rassicurare il ceto medio.

FASCISMO
Nel 1921 si registra la nascita del PNF (Partito Nazionale Fascista). Il
movimento san sepolcro (dalla poesia “san sepolcro”), o movimento
dei fasci di combattimento si trasforma in un vero e proprio partito.
Queste formazioni politiche saranno protagoniste di atti di violenza,
in particolare le spedizioni punitive, che colpirono tutti coloro che
rappresentavano il mondo del lavoro con il consenso delle forze
dell’ordine e della classe dirigente. La violenza sarà un elemento che
accomunerà entrambi i partiti e non pagheranno mai per le azioni
commesse. In quello stesso anno Giolitti è in difficoltà perché si trova
di fronte ad una maggioranza parlamentare rivoltosa, dunque egli
preferiva ritornare alle urne per avere la maggioranza. Fa ricorso ai
blocchi nazionali, ossia liste governative dove si trovano nazionalistici
e candidati fascisti del PNF. Egli riesce a vincere le elezioni, ma si
trova dinanzi ad una maggioranza eterogenea e inoltre viene
consentito a 35 fascisti di presenziare in parlamento, tra cui
Mussolini. Data l'eterogeneità della maggioranza parlamentare,
Giolitti comprende che doveva lasciare la responsabilità
dell’esecutivo. Gli succederà Bonomi che darà vita ad un governo
breve, dato che anche lui fu costretto a rassegnare le dimissioni.
Segue il governo Facta, quando si registra una svolta autoritaria,
infatti la violenza fascista si fa sempre più incalzante. Nel 1922 la
sinistra risponde alla violenza fascista proclamando uno sciopero
generale. I fascisti fecero di tutto per far fallire lo sciopero e inoltre
sempre più ceti cominciarono a guardare con interesse alla
formazione politica di Mussolini. Il 28 ottobre 1922 si verifica la
marcia su Roma, a cui però Mussolini non partecipò inizialmente in
prima persona, infatti nel caso non avesse avuto successo aveva in
mente di scappare in Svizzera. Nella notte tra il 27 e il 28 Facta ha
avuto un colloquio col re Vittorio Emanuele III, dove ha presentato le
dimissioni, che però non vennero accettate. Non venne proclamato
nessuno stato di assedio, ma intorno alla mezzanotte Facta venne
svegliato da due sotto segretari che gli riferirono che le colonne dei
fascisti erano in marcia per Roma. In seguito venne convocato il
consiglio dei ministri d’urgenza per procedere alla stesura della bozza
per lo stato d’emergenza, successivamente Facta si recò dal sovrano,
il quale avrebbe dovuto firmare lo stato d’assedio il giorno seguente,
ma quando glielo presentò si rifiutò di firmarlo. Vittorio Emanuele si
è reso responsabile di questa decisione. Aveva avuto contatti con il
generale Badoglio, che gli aveva assicurato la solidità dell’esercito.
Probabilmente non firmerà il decreto per paura di essere
detronizzato. La marcia su Roma fu un trionfo e così il re affidò
l’incarico di formare il nuovo ministero a Mussolini, che il 30 ottobre
assume la responsabilità dell’esecutivo, non per la sua forza ma per
la debolezza dei suoi avversari. Questo primo governo Mussolini non
è costituito solo da fascisti, ci sono anche 2 ministri popolari, è
ancora un governo di coalizione. Nel 1922
Mussolini ebbe il suo primo discorso dinanzi al Parlamento, il
cosiddetto discorso del Bivacco, in cui si coglie l’antiparlamentarismo
del Duce. Giunto al potere Mussolini smantella la politica riformista
di Giolitti che aveva varato dei provvedimenti fiscali che colpivano i
ceti borghesi, poiché il ceto industriale e il ceto borghese sono i suoi
più grandi sostenitori. Viene varata nel 1923 una nuova legge
elettorale, legge Acerbo, che si basava su tali principi: La lista che
avrebbe ottenuto la maggioranza relativa con la percentuale del 25%
avrebbe costituito i 2/3 dei seggi in Parlamento. Legge a favore della
lista di Mussolini, “Listone” in cui vi erano esponenti del partito
nazifascista e anche esponenti del liberalismo di destra. Nel 1924 si
tennero le elezioni in condizioni molto favorevoli per Mussolini, ma
in un clima di intimidazione e di violenza “le camicie nere” (così
venivano definiti i fascisti), compivano una serie di illiceità. Mussolini
vince le elezioni e gli squadristi diedero vita ad una serie di spedizioni
punitive. Nel maggio del 1924 un deputato del partito socialista
unitario, Giacomo Matteotti dà vita ad un vero e proprio J’accuse, un
discorso molto chiaro e accorato, si scaglia contro Mussolini, chiede
che le elezioni vadano invalidate. Dopo questo discorso alcuni suoi
compagni di partito lo sentono affermare: “Ed ora potete prepararmi
l’orazione funebre”, parole che furono profetiche. Dopo pochi giorni
viene rapito e il suo corpo dopo settimane viene trovato senza vita. È
un periodo molto difficile per Mussolini in quanto si trova di fronte
ad una opinione pubblica indignata. Non si sa ancora se Mussolini sia
stato il mandante reale ma fu sicuramente il mandante morale di
tutte le spedizioni punitive che erano state commesse. Le opposizioni
diedero vita alla secessione Aventiniana che consisteva nel non
partecipare ai lavori parlamentari fino a quando il capo del governo
sarebbe stato Mussolini. Uno dei grandi poeti dell’Aventino è stato il
liberale Giovanni Amendola, scrittore, accademico e ministro. Nel
dicembre del 1924 Giovanni Amendola sul suo giornale “Il Mondo”
pubblica il memoriale di Cesare Rossi. In questo memoriale chiama in
causa Mussolini.
Il 3 gennaio del 1925 Mussolini tiene un discorso alla Camera, ha
inizio il regime vero e proprio. Giovanni Amendola subirà varie
aggressioni, in particolare nel 1926 riportò dei traumi violentissimi
che lo portarono alla morte (in Francia, in quanto dovette lasciare il
paese). Dopo il discorso di Mussolini del 3 gennaio, ha inizio il regime
vero e proprio, vengono colpiti i partiti dell’opposizione, vengono
aggrediti tutti gli antifascisti. Molti intellettuali antifascisti lasciarono
l’Italia, molti si rifugiarono in Francia, anche lo stesso Giovanni
Amendola, Turati e Salvemini, ha così inizio la fascistizzazione della
società italiana. In primis c’è un rafforzamento dell’esecutivo, a
totale discapito del legislativo che pressa per la trasformazione del
nome, non si parla più di presidente del Consiglio ma di capo del
Governo. Nel 1928 il Gran Consiglio del Fascismo, un organo del PNF,
aveva come obiettivo formulare i punti programmatici del partito
stesso e comincia a configurarsi come un organo costituzionale.
L’iscrizione al PNF diventa obbligatoria, vengono liquidati tutti i
partiti e rimane il partito unico. La fascistizzazione della società
passa per un controllo asfissiante sia sulla scuola sia dei mass media
e dei mezzi di propaganda. A differenza della tirannia che distrugge
ogni forma di libertà il regime totalitario di massa è molto più
sofisticato e pericoloso, vuole manipolare le coscienze al fine di
poterle controllare, invade il privato e si basa sul consenso. In
relazione al controllo sulla società fu creato un ministero, il
MINCULPOP (Ministero della cultura popolare) controllava la stampa
e i mass media, funzione di censura, propaganda attua ad esaltare il
regime fascista facendo un uso spregiudicato dei mass media. La
grande protagonista della propaganda fascista fu la radio, insieme
anche al cinema. Un altro obiettivo di politica interna fu il
ravvicinamento con la Chiesa cattolica, tra le questioni più gravi che
lo Stato dovette affrontare vi è anche la questione romana, i rapporti
tra la chiesa e i liberali furono mitigati. Ma un riconoscimento
formale tra la chiesa e lo stato non vi era mai stato, nel 1929
Mussolini dà vita ai Patti Lateranensi con i quali veniva ricomposta la
frattura tra Stato e Chiesa, un successo politico per Mussolini come
immagine. I vantaggi maggiori li trasse la Chiesa cattolica: il
matrimonio concordatario (il matrimonio ha effetti civili) e
l’insegnamento della religione cattolica. Nel 1929 si tennero le
elezioni politiche, furono un plebiscito per Mussolini, c’era una sola
lista ottenne perciò il 98% dei suffragi.
Alla fine degli anni 20’ il consenso per Mussolini è reale, riesce a
radicare la sua immagine nella società. Tutti gli oppositori sono stati
ridotti al silenzio. Il totalitarismo di Mussolini viene considerato un
totalitarismo imperfetto, il regime fascista vede la sopravvivenza di
altri enti: l’istituzione monarchica e la Chiesa. Mentre sia in Unione
Sovietica che nella Germania di Hitler non vi è alcun potere al di fuori
dello stato nazista e del PICUS.
Per quanto riguarda la politica estera si devono considerare 2 fasi:
agli inizi degli anni 20’ Mussolini assume una posizione vicina
all’Inghilterra e alla Francia improntata su uno spirito di
collaborazione e pacificazione. Guarda con interesse alla politica di
pacificazione che si coglie dopo la fine della Prima Guerra Mondiale,
il cosiddetto Patto di Lacarno che impegnava i paesi europei a
risolvere eventuali controversie in modo diplomatico. Si affermerà
“lo spirito di Lacarno”, volontà di pacificazione. La situazione però
non era così idilliaca e lo spirito di Lacarno ne pressò l’inadeguatezza.
Nel 1933 Hitler diventerà poi capo indiscusso della Germania. Se da
una parte Mussolini guardava con interesse a questo nuovo modello
di Stato, sarà però preoccupato di fronte a questo dinamismo. Hitler
vuole dar vita ad una politica estremamente aggressiva, guardava
con ostilità ai trattati di Versailles, che erano stati un vero e proprio
diktat per la Germania. Mussolini era molto preoccupato per questo
dinamismo. Nel 1934 Hitler tenta un colpo di mano ai danni
dell’Austria (la Schluss, l’annessione dell’Austria). Tale annessione
però non riesce (successivamente Hitler ritenterà e nel 1938 ci
riuscirà). Mussolini stringe un'alleanza con le democrazie occidentali
della Francia e dell’Inghilterra, con lo scopo di preservare l’Austria
dalle mire espansionistiche tedesche, il loro rapporto di consolida e si
uniscono nel fronte di Stresa. Nel 1935-36 si assiste ad una vera e
propria svolta sulla politica estera di Mussolini; si registra l’impresa
etiopica. Il regime perseguiva logiche nazionalistiche o
colonialistiche, voleva cancellare l’onta di Adua. Mussolini diede vita
a questa impresa in Africa, fu complessa ma nel 1936 l’Etiopia venne
conquistata. L’impresa etiopica suscitò le proteste della Società delle
Nazioni (organismo nato dopo la Prima Guerra Mondiale); votò le
sanzioni economiche per l’Italia. Si frantumano così i rapporti di
cordialità tra Italia, Francia e Inghilterra. Dopo questa impresa l’Italia
si avvicina alla Germania. Nel 1936 si firma l’Asse Roma-Berlino,
trattato tra Italia di Mussolini e la Germania di Hitler. Nel 1939 di
forma il Patto d’Acciaio che consolida il rapporto tra Italia e
Germania. Ciò avrà delle ripercussioni anche sulla politica interna.
Nel 1938 l’Italia fascista si rende protagonista di una delle azioni più
turpi: furono varate le leggi raziali che ricalcavano le leggi di
Norimberga, proclamavano l’antisemitismo, leggi discriminatorie nei
confronti della comunità ebraica. La comunità ebraica era ben
inserita all’interno dell’Italia per cui tali leggi non furono viste di
buon occhio dagli italiani, furono una diretta conseguenza
dell’alleanza tra Germania e Italia.
Per quanto riguarda la politica economica si registrano 2 fasi: dal
1922 al 1925 si registra una fase liberista mentre nel 1925 si registra
una fase dirigista in campo economico. A gestire le finanze sarà De
Stefani, noto esponente della scuola liberale (nel 1925 ci sarà una
svolta, Volpi gestirà le finanze e non più De Stefani). Si cerca di
ridurre l’intervento dello Stato nelle questioni economiche, di
favorire la libertà d’impresa e il libero svolgimento del mercato. Si
registra un alleggerimento della pressione fiscale e una congiuntura
internazionale favorevole. L’Italia si avvantaggia di questa prosperità.
La politica liberista ad un certo punto determina una svalutazione
della lira. L’Italia avrebbe vissuto un periodo di crisi e per questo dà
vita alla svolta dirigista: si ha un cambio al vertice che segna un
passaggio. La fase protezionistica ha come suo obiettivo specifico
questa 90. L’obiettivo di Mussolini era stabilire il cambio con la
sterlina a 90 lire, drastica rivalutazione della lira. Tale obiettivo fu
raggiunto ma da una parte ciò avvantaggiò i settori industriali ma
altri settori produttivi furono danneggiati. L’altro settore guardato
con interesse da Mussolini fu il settore agricolo: voleva
implementare la produzione cerealicola attraverso la celeberrima
battaglia del grano, politica nota proposta dal regime che
implementava la produzione per assicurare una sorta di
autosufficienza economica, consisteva nell’ampliamento massiccio
delle superfici coltivabili (bonifica dell’Agro-Pontino). Bisognava
bonificare e strappare all’incolto vasti terreni. La produzione ebbe un
aumento esponenziale, ciò però determinò una diminuzione di
pascoli che mise in crisi l’allevamento. Da una parte ci fu un
potenziamento ma dall’altra vi fu una contrazione. Nel 1929 si
abbatte una crisi sull’economia statunitense: la crisi di Wall Street,
estesa a livello internazionale. Anche l’Italia in seguito alla crisi del
1929 dovette dar vita a delle contromosse. L’intervento dello Stato
nelle condizioni economiche diverse diventò sempre più massiccio. Si
accentua la figura dello Stato imprenditore, interviene nelle
questioni economiche. Lo stato diede vita ad una politica di lavori
pubblici in modo da incrementare il mercato. Si coglie in maniera
sempre più incisiva il dirigismo dello Stato. Vengono creati degli
istituti che avevano il compito di supportare le imprese in difficoltà
(IRI). Alla fine degli anni ’30 dopo il 1936 a seguito delle sanzioni
economiche subite a causa della guerra Etiopica l’Italia accentua il
carattere autarchico della sua economia (autosufficienza economica).
CRISI DEL ‘29
Dopo la Grande Guerra gli USA conoscono un periodo di grande
espansione economica. Tale situazione idilliaca si verificherà in
entrambi i dopoguerra. Inoltre manterranno intatta la loro potenza
industriale, oltre che a potenziare l’economia degli altri paesi
europei, le cui economie erano molto più fragili in virtù della crisi
bellica. Dal 1925 al 1928 si nota in America una grande circolazione
monetaria, la produzione industriale provoca l’affermazione e la
circolazione di grossi capitali. Inoltre l’incredibile liquidità ingenera
anche una febbre speculativa. Non vi è però solo l’affermazione di un
capitalismo industriale, ma anche una tendenza all’investimento, in
qualsiasi ambito, infatti sia i capitalisti che i proletari e i medi
investitori, investono il loro denaro in attività speculative come per
esempio la borsa e i titoli azionari. Ad un certo punto la produzione
incontrollabile di merci ha generato degli squilibri, in quanto ne
consegue una contrazione della domanda dei beni. Le merci dunque
restano invendute nei magazzini, e pertanto si assiste ad una crisi di
sovrapproduzione. Tale crisi fa sì che si crei un gap sempre più forte
tra la reale situazione industriale e i titoli azionari. La febbre
speculativa determina la bolla speculativa, pertanto si procede alla
vendita dei titoli azionari. Si giunge così al 24 ottobre 1929, giorno
noto come il “giovedì nero”, quando si registra il famoso “crollo
della borsa di Wall Street”. Tale crisi fu molto più devastante di
quella del ’73, perché partì dall’America, ovvero la potenza più
dirompente al mondo, la quale, dagli anni ’20, aveva lasciato il
mercato in totale libertà.

DOPOGUERRA IN GERMANIA E NAZISMO


La situazione economica tedesca fu molto simile a quella italiana nel
primo dopoguerra, e a ciò si unirono la sconfitta e il trattato di Parigi.
Proprio per questo sia in Italia che in Germania lo stato liberale
appena creato fu sostituito da un governo autoritario. Il 9 novembre
del 1918 venne proclamata la repubblica dopo la fuga di Guglielmo II.
L’11 novembre venne infatti firmato l’armistizio con la Francia. Non
tutti però erano contenti della fine del secondo reich e della
creazione della repubblica. Iniziò così un periodo complicato per la
nuova Germania a causa della sconfitta.
Il partito più organizzato era l’SPD, a cui si affiancava lo Zendrum
(cattolici del centro), e infine una destra divisa in moderati/liberali e
ultraconservatori/reazionari (formazioni paramilitari). In questa
situazione la formazione paramilitare più strutturata che agì anche
col governo a tendenza socialdemocratica, era il Freikobs (simili alle
squadre fasciste prima di essere istituzionalizzate dal duce);
utilizzarle però fu un problema per la situazione. D’altra parte non
era presente un’unica sinistra, perché oltre all’SPD, c’era il partito
socialdemocratico indipendente (USPD), che chiedeva la
nazionalizzazione delle terre e delle grandi industrie. Ancora più a
sinistra c’era la Lega di Spartaco, guidata da Rosa Luxenburg e Karl
Liebknecht. Nel dicembre 1918 la Lega divenne il partito comunista
(KGB). L’SPD si candidò per diventare il mezzo di transizione tra
prima e dopo, e per far ciò doveva avere il sostegno dell’apparato
burocratico, dell’esercito e di banche e industrie. Promosse quindi un
compromesso: il partito si faceva garante di una situazione stabile
che non prevedeva una rivoluzione, ed 'altra parte chiedevano il
riconoscimento e l’appoggio alle istituzioni repubblicane, e nuove
riforme per migliorare la società. Facendo così il partito si isolò dal
resto della sinistra, sebbene si formò una coalizione, tra SPD, cattolici
del centro e liberal-democratici. Era necessario eleggere
un’assemblea costituente per elaborare la nuova costituzione; le
elezioni si svolsero nel gennaio 1919. La Lega si accorse dunque che il
loro progetto era ormai impossibile, tanto che nei primi dell’anno
scoppiarono dei disordini, in particolare a Berlino, che vennero
repressi violentemente dai Freikobs per ordine del ministro degli
interni. I leader della Lega rimasero uccisi. Questo passaggio fu come
una conferma della fragilità della repubblica. Venne repressa anche
una repubblica di ispirazione sovietica in Baviera, e molte altre
persone vennero uccise con degli attentati organizzati
principalmente dalla destra. Le elezioni si svolsero in un clima di
terrore e sangue, e l’SPD ne uscì come partito di maggioranza
relativa. I costituenti si spostarono a Weimar (città più sicura e
tranquilla), per scrivere il testo della costituzione democratica che
sanciva la formazione di una repubblica federale divisa il 17 lander
(stati regionali). Il potere legislativo fu affidato al parlamento
(Reichstag) eletto a suffragio universale maschile e femminile con un
mandato di 4 anni. Era affiancato da un’altra assemblea
(Reichstracht) in cui erano rappresentati i vari stati. Il potere
esecutivo era affidato al governo guidato dal primo
ministro(cancelliere), scelto dal Presidente della repubblica
(quest’ultimo rimaneva in carica 7 anni), il quale poteva intervenire
in decreti di emergenza per supportare l’operato del governo.
Skeideman fu il primo cancelliere e il presidente fu Erber, entrambi
liberal-democratici. Nel 1923 i tedeschi saltarono il pagamento di
una rata delle indennità di guerra, e pertanto francesi e belgi
occuparono militarmente il bacino della Ruhar, e ciò costituì un
grande danno economico per la Germania. In questa situazione fu
importante la figura di Streseman, un liberale di destra che aveva
capito l’importanza di andare avanti e recuperare i rapporti con i
governi europei tra i quali i vincitori, per riaccreditarsi soprattutto
con la Francia. Per questo promosse un accordo diplomatico che
portò al trattato di Locarno, con cui la Germania riconosceva alla
Francia le storiche regioni di Alsazia e Lorena; per questo nel 1926 la
Germania fu ammessa nella Società delle nazioni. Sul piano
economico finanziario, gli USA aiutarono la Germania con il piano
DAWS, in cui ricchi imprenditori americani scommessero sulla ripresa
tedesca. Nel 1929 però con il crollo di Wall Street per la Germania fu
la catastrofe, perché nel momento in cui i capitali americani vennero
ritirati, ci fu il fallimento delle banche tedesche, con esiti drammatici
(nel ‘32 ci furono circa 6 milioni di disoccupati). Hitler era un giovane
di origini austriache con un forte senso di appartenenza alla
Germania, che sin da subitosi trasferì a Monaco dopo un’infanzia
complicata. Partecipò alla Prima guerra mondiale, in cui maturò un
atteggiamento sempre più critico nei confronti dell’ambiente
austriaco considerato contaminato e impoverito culturalmente. Nel
1923 con Ludendorf organizzò un colpo di stato, che però fallì e
quindi fu condannato a 5 anni, anche se scontò soltanto pochi mesi
durante i quali scrisse il Mein kampf, in cui esponeva il suo pensiero.
Il partito nazional-socialista al quale Hitler aderì, sembrava essere
una contraddizione in termini, dato che nazionalismo e socialismo
sono due partiti in contrasto tra di loro per alcuni punti di vista. Per
nazional-socialismo, Hitler intendeva una politica che mirasse a
raccogliere i consensi tra le classi più basse della popolazione,
facendo capire loro che erano sotto la protezione della patria.
Queste fasce più deboli della società erano fino a quel momento
rappresentate dal partito social-democratico, per cui era necessario
per Hitler togliere consensi a quest’ultimo, in modo da accrescere il
proprio potere. Nel 1928 il partito aveva pochi consensi, circa il 3%
dei voti, ma dal 1930 iniziò un periodo positivo per il partito fino ad
arrivare al 38% dei consensi. Quell’anno fu importante per l’azione
politica di Hitler, perché la Germania stava iniziando a subire le
conseguenze del crollo della borsa di Wall Street, e molti tedeschi
erano fortemente preoccupati per l’incombente crisi.
Hitler approfittò di questa situazione per diffondere le sue idee anti
bolsceviche e anti liberali, volte alla valorizzazione e all’esaltazione
culturale, politica del popolo tedesco. Nel 1932 la carica di
presidente della repubblica si liberò dopo il mandato dei sette anni
del predecessore, e Hitler si candidò insieme a Hindenburg.
Quest’ultimo vinse, ma per Hitler non fu una vera e propria sconfitta,
dato che acquisì notorietà, ricevendo anche un discreto supporto da
parte degli elettori. In quegli anni si susseguirono governi liberali, che
però si mostrarono insufficienti perché non riuscirono a far
riprendere la nazione dal dopoguerra. Così Hindenburg non avendo
altre possibilità, dovette nominare Hitler cancelliere. Nel febbraio
dell’anno seguente, scoppiò un incendio nel parlamento, e ad essere
accusato fu un militante comunista che si trovava nelle vicinanze al
momento dello scoppio. Hitler pertanto decise di sospendere
l’assemblea parlamentare, annunciando nuove elezioni per il marzo
1933. Vinse il partito nazional-socialista con una maggioranza di
elettori del 44%. Con questo nuovo supporto, Hitler propose una
riforma che sospendeva le garanzie costituzionali conferendo a lui
pieni poteri; la maggioranza dei parlamentari votò a favore. La
minoranza che si era opposta compì un “suicidio politico”, perché gli
oppositori vennero immediatamente allontanati dall’assemblea. Così
Hitler diede il via alla propaganda nazista in tutto il territorio
nazionale, ricoprendo i luoghi sia pubblici che privati con i simboli del
partito (come la svastica): tutta l’amministrazione pubblica doveva
essere nazista e quindi affidabile. Furono particolari i rapporti con la
Chiesa; infatti dato che quest’ultima aveva da sempre influenzato le
coscienze, anch’essa doveva essere sottoposta ad un attento
controllo. Molti degli oppositori politici di Hitler, tra cui protestanti e
cattolici, vennero deportati in prigioni o campi di concentramento.
Come in Italia, tra Chiesa cattolica e Stato tedesco nazista si firmò un
concordato: per ottenere garanzie in campo religioso, la Chiesa
doveva legittimare l’esistenza del governo. Nel marzo 1933 venne
costituito il primo campo di “rieducazione” a Dachau, in cui vennero
imprigionati gli oppositori politici come comunisti, social-democratici
e tutti coloro che erano considerati ribelli. Nel maggio 1933 venne
organizzato, in tutte le città, il rogo dei libri che presentavano
contenuti comunisti o ebrei. Alla morte di Hindenburg non ci furono
nuove elezioni, perché Hitler si impossessò della carica, divenendo
sia presidente della repubblica che del governo, oltre che capo delle
forze armate; il suo potere assoluto venne racchiuso nel termine
Fuhrer. Iniziò pertanto il terzo Reich, caratterizzato dalla totale
inosservanza della costituzione. Quando nel 1934 Hitler si era
liberato degli oppositori politici, si era anche concentrato anche sui
vertici della SA. Fu ovviamente un regime totalitario che quindi
distruggeva violentemente il dissenso e costruiva il consenso con
l’unione di vita pubblica e privata, anche e soprattutto attraverso la
propaganda. La politica economica eradi tipo dirigistico, in cui il
controllo dello Stato era fortemente presente. Le industrie private
avevano una sorta di accordo con le industrie statali, fornendo per
esempio materie prime. Il vero vantaggio era la totale assenza di
conflittualità sociale. Per quanto riguarda l’organizzazione sociale, si
seguì la linea adottata dal partito fascista. Era presente una violenza
repressiva maggiore di quella italiana, perché i nazisti si liberarono
velocemente dell’opposizione politica. La repressione era forte anche
in campo sociale: infatti si volevano eliminare tutte le figure che
contaminavano e indebolivano la comunità del popolo tedesco.
Dunque si iniziò con la sterilizzazione forzata di queste categorie
considerate non accettabili; in un secondo momento si regolarono
anche i matrimoni (legge del 1935). Nel 1939 si arrivò all’espressione
più crudele e difficile da accettare anche per gli stessi tedeschi,
ovvero la soppressione di disabili di tutte le età. Con l’operazione T-4,
si decise l’eliminazione forzata e violenta di questa categoria.
Inoltre ci fu un accanimento contro gli omosessuali, che venivano
arrestati e portati in campi di concentramento, in cui l’obiettivo era
quello di “curare” e/o rieducare in modo violento. Infine ci fu il
processo di repressione contro ebrei e zingari. I primi venivano già
discriminati dal 1933, con l’allontanamento dalla vita pubblica,
sociale e lavorativa. Nel 1935 vennero firmate le leggi di Norimberga,
di carattere razziale che definivano la cittadinanza, garantita dalle
origini; si perdevano pertanto i diritti civili sanciti dalla legge. La
seconda legge di Norimberga vigilava sui matrimoni e sulle relazioni;
si contaminava la razza e dunque riguardavano tutta la comunità
tedesca. Una situazione drammatica si ebbe ai primi di novembre del
1938; a Parigi un ebreo aveva ucciso un tedesco per protestare
contro le leggi di Norimberga. Venne organizzato quindi un pogrom,
ovvero una spedizione di origine primitiva contro diverse comunità
ebree tedesche; nella notte tra il 10 e l’11 novembre 1938 (notte dei
cristalli), molti tedeschi di strussero violentemente sinagoghe e
negozi ebrei; molti vennero uccisi o feriti, mentre altri arrestati. La
comunità ebraica venne costretta a pagare i danni subiti; inoltre
durante questa notte ci furono molti stupri, e i colpevoli vennero
arrestati per aver contaminato la razza. L’idea iniziale era quella di
costringere gli ebrei ad andarsene; dopo che l’idea di deportarli in
Madasgar fallì, nel gennaio 1942 si decise di deportare nei campi
tutti gli ebrei d’Europa.

SECONDA GUERRA MONDIALE


Possiamo riconoscere le radici della Seconda Guerra Mondiale nei
problemi lasciati dalla Prima Guerra Mondiale, dal fallimento della
Società delle Nazioni, dalle conseguenze della crisi del ’29 e dalle
differenze dei sistemi politici e ideologici dei Paesi europei. Le
condizioni che portarono alla guerra maturarono nel triennio 1936-
1939, periodo in cui Hitler attuò i principi della sua politica estera: la
liquidazione del trattato di Versailles dando inizio al riarmo della
Germania, la riunificazione sotto il Reich di tutti i tedeschi d’Europa e
la conquista dello “spazio vitale” tedesco. Nel 1936, viste le affinità
ideologiche tra fascismo e nazismo si venne a creare un’intesa
denominata “asse Roma-Berlino” e il suo primo atto fu il sostegno a
Franco nella guerra civile spagnola; successivamente la Germania
strinse con il Giappone il patto anti-Comintern che andrà a
configurare l’asse Roma-Berlino-Tokyo quando aderì anche l’Italia.
Dopo l’annessione dell’Austria, Hitler pretese l’annessione dei
Sudeti, una regione della Cecoslovacchia abitata principalmente da
tedeschi, quindi fu convocata la conferenza di Monaco fra Italia,
Germania, Francia e Gran Bretagna, durante la quale Mussolini
dichiarava ad Hitler il suo appoggio e la Francia e la Gran Bretagna
accettarono l’annessione con la promessa da parte di Hitler di
garantire l’indipendenza del resto del Paese; in realtà nel 1939
approfittando dei contrasti tra la componente boema e quella
slovacca Hitler entrò a Praga ponendo fine all’esistenza della
Cecoslovacchia come Stato autonomo. A questo punto Francia e
Gran Bretagna assicurarono la loro protezione alla Polonia, territorio
verso il quale si stava indirizzando Hitler. Consapevole dello squilibrio
che si stava creando nell’Asse in favore di Berlino, Mussolini decise di
occupare l’Albania nel 1939 e allo stesso tempo decise di
formalizzare l’alleanza con la Germania firmando il patto d’acciaio il
quale impegnava i due Paesi ad appoggiarsi militarmente in caso di
conflitto. Nel frattempo nel 1939 Germania e Unione Sovietica
firmarono un patto decennale di non aggressione al quale era legato
un protocollo segreto che definiva le rispettive zone di influenza
nell’Europa orientale. Il 1° settembre 1939 Hitler invase la Polonia
scatenando la reazione di Francia e Gran Bretagna che dichiararono
guerra alla Germania. La strategia militare di quest’ultima era basata
sulla guerra-lampo, colpendo cioè le linee nemiche con
bombardamenti aerei e sfondando queste linee con i carri armati.
Questa strategia si rivelò vincente, infatti il 27 settembre i tedeschi
entrarono a Varsavia, spartendo la Polonia con i sovietici che
invadevano il Paese da oriente. Nel 1940 i tedeschi occuparono in
breve tempo la Danimarca, la Norvegia, i Paesi Bassi e il Belgio per
poi attaccare la Francia; nello stesso anno venne firmato l’armistizio
franco-tedesco: i tre quinti del territorio francese rimase sotto il
controllo militare tedesco e nel sud del Paese si formò un governo
filofascista. A questo punto Hitler cercò di indurre alla pace la Gran
Bretagna ma incontrò il rifiuto del primo ministro inglese Churchill.
Dopo numerosi bombardamenti da parte della Germania e dopo una
lunga resistenza da parte della Gran Bretagna prevalse quest’ultima
anche grazie all’utilizzo del radar. L’Italia entrò in guerra nel 1940
attaccando la Francia sul fronte orientale utilizzando la strategia di
una guerra parallela a quella tedesca che risultò però fallimentare.
Ad ottobre dello stesso anno l’Italia attaccò la Grecia senza avvertire
la Germania, ma la resistenza della Gracia evidenziò le criticità
dell’esercito italiano finché non intervenne la Germania nel 1941
invadendo la Iugoslavia riuscendo così ad occupare la Grecia e porla
sotto l’amministrazione italo-tedesca. Così facendo la Germania
ottenne anche il controllo della Romania, dell’Ungheria e della
Bulgaria. L’entrata in guerra della Germania aprì due fronti della
guerra: il Mediterraneo e il fronte africano. Sul fronte Mediterraneo
l’Italia cercò invano di resistere alla Gran Bretagna, mentre sul fronte
africano le offensive nella Somalia e in Egitto furono bloccate dagli
inglesi. Sul fronte egiziano la situazione si riequilibrò solo con l’arrivo
delle truppe tedesche. Nel 1941 poi l’attacco all’Unione Sovietica da
parte della Germania e l’ingresso degli Stati Uniti nel conflitto
segnarono una svolta decisiva. L’avanzata tedesca nell’Unione
Sovietica portò all’occupazione delle repubbliche baltiche, della
Bielorussia e dell’Ucraina; quest’avanzata però si fermò lungo una
linea che partiva dalla Crimea, passava vicino a Mosca e giungeva
fino a Leningrado. L’Unione Sovietica non riuscì a reggere questi
combattimenti ma continuò comunque la resistenza infatti a
dicembre una controffensiva sovietica fece retrocedere i tedeschi,
finché l’inverno russo non congelò per alcuni mesi i combattimenti
finché i tedeschi non furono costretti alla ritirata. A dicembre del
1941 il Giappone attaccò una flotta statunitense così il giorno
seguente gli Stati Uniti e la Gran Bretagna dichiararono guerra al
Giappone e Italia e Germania dichiararono guerra agli Stati Uniti. Nel
frattempo gli Stati Uniti intervennero in Africa settentrionale e gli
italo-tedeschi dovettero retrocedere finché non si trovarono tra due
fuochi con lo sbarco anglo- americano in Marocco e Algeria.
Dall’Africa settentrionale gli Alleati portarono la guerra in Europa con
lo sbarco in Sicilia il quale fece esplodere la crisi del regime fascista. Il
25 luglio 1943 il Gran consiglio del fascismo votò la destituzione di
Mussolini che venne arrestato e l’8 settembre 1943, il governo
italiano annunciò l’armistizio con gli anglo-americani. Mentre
l’esercito italiano era allo sbaraglio, i tedeschi liberarono Mussolini
che venne condotto a Nord del Paese, vi fondò la Repubblica sociale
italiana con capitale Salò. Dopo l’annuncio dell’armistizio Vittorio
Emanuele III e Badoglio fuggirono a Brindisi e questo portò ad una
divisione del Paese in due parti: nella parte meridionale controllata
dagli Alleati venne ricostruito il Regno del Sud e nella parte centro-
settentrionale sorgeva la Repubblica sociale italiana in gran parte
controllata dai tedeschi, ma nonostante ciò nel maggio 1944 si
registrò uno sciopero generale nelle imprese e il tentativo di istituire
la leva militare fallì spronando così le formazioni partigiane. I
sovietici e gli anglo-americani, divenuti alleati, decisero l’apertura di
un secondo fronte in Europa, così il 6 giungo 1944 iniziò lo sbarco in
Normandia che portò alla liberazione del Belgio e di quasi tutta la
Francia. Sul fronte orientale l’Armata rossa avanzò fino ai territori
occupati dalla Germania e Ungheria, Romania e Bulgaria firmarono
l’armistizio con i sovietici e i tedeschi dovettero lasciare la Grecia,
occupata dagli inglesi. Tuttavia Hitler non accettando la sconfitta
ordinò una mobilitazione totale e questo permise di arrestare per
qualche mese l’avanzata degli Alleati. Nel 1945 si giunse agli atti finali
della guerra: gli anglo-americani da una parte e i sovietici dall’altra
arrivarono in Germania. Il 28 aprile Mussolini fu catturato e fucilato e
il 30 aprile Hitler si tolse la vita, così l’8 maggio la Germania firmò la
resa senza condizioni. Nonostante la guerra fosse finita in Europa,
essa continuava in oriente dove dopo una serie di conquiste da parte
del Giappone, il conflitto finì in favore degli Stati Uniti. Questi
approfittarono anche dell’impego della bomba atomica, lanciata su
Hiroshima e Nagasaki. Possiamo definire la Seconda Guerra Mondiale
come una guerra barbarica; il saccheggio e lo sterminio
caratterizzarono il dominio nazista, per non parlare del genocidio
ebraico che trova le sue radici oltre nei numerosi antecedenti storici
anche nell’ideologia nazista di “purificazione” razziale. Inizialmente
Hitler mirava ad utilizzare gli ebrei come ostaggi per dissuadere gli
Stati Uniti dall’entrare in guerra, una volta che questi ultimi presero
parte al conflitto mondiale iniziò il vero e proprio sterminio:
inizialmente fu valutato il sistema applicato in Russia con il quale gli
ebrei venivano uccisi sull’orlo di fosse che lor stessi erano stati
costretti a scavare, ma poi venne ritenuto troppo lento. A questo
punto si iniziò ad usare la tecnica delle gassazioni, dapprima queste
esecuzioni avvenivano su autocarri in cui venivano ammassate 50-60
persone per volta uccidendole con i gas di scarico del motore, poi si
passò alle camere a gas costruite nei lager. Il trasferimento nei campi
di sterminio iniziò nei primi mesi del 1942. Dal punto di vista politico
ricordiamo la nascita dei movimenti di resistenza. In Italia la
Resistenza venne divisa da tre tipi di conflitto: una guerra patriottica
(condotta per la liberazione del Paese), una guerra civile (che oppose
partigiani e fasciasti della Repubblica di Salò) e una guerra di classe
(che legava l’obiettivo della lotta contro il nazifascismo alla
rivoluzione sociale) anche se nell’insieme la Resistenza riuscì a
conservare un carattere unitario legato all’obiettivo della liberazione
del Paese e a metà del 1944 le formazioni partigiane si diedero un
comando militare unificato, il Corpo volontari della libertà. Nel
frattempo gli Alleati volevano evitare che la guerriglia partigiana
assumesse eccessiva importanza, assistiamo così alla crisi
dell’autunno 1944 quando il capo delle forze anglo-americane ordinò
ai partigiani di rimanere sulla difensiva escludendo offensive sino alla
primavera. I rapporti con gli Alleati si andarono man mano
recuperando grazie ai protocolli di Roma, un accordo con il quale
venne ufficialmente riconosciuto il Comitato di Liberazione Nazionale
Alta Italia come delegato del governo italiano. Così mentre le forze
alleate avanzavano nella pianura padana dopo aver sfondato la linea
gotica, le forze partigiane accelerarono la disfatta dei tedeschi
liberando Genova, Torino e Milano. La data ufficiale della liberazione
dell’Italia è il 25 aprile 1945, per la quale si stima siano caduti
40.000/50.000 combattenti.
ITALIA REPUBBLICANA

L’Italia dalla seconda guerra mondiale esce come una nazione


sconfitta, non solo come definizione dagli altri stati ma anche al
proprio interno, infatti l’inflazione aveva assunto ritmi paurosi, gli
approvvigionamenti alimentari scarseggiavano e la fame la mancanza
di alloggi e la disoccupazione contribuivano a rendere precaria la
situazione. Nelle regioni del nord= lotte sociale, centro= contadini e
braccianti occupavano latifondi, sud =la minaccia più grave era
rappresentata dal contrabbando e alla borsa nera. In Sicilia si
assisteva frequentemente al fenomeno della mafia che condizionava
anche il movimento indipendentista. Esso venne subito affrontato
dal governo ma molti suoi aderenti si diedero al banditismo. Partiti di
massa: partito socialista, Psiup, guidato da Nenni era diviso ancora in
due tendenze, riformiste e rivoluzionarie. Partito comunista: traeva
forza dalla lotta antifascista. Partito nuovo di Togliatti, dopo la svolta
di Salerno, voleva inserirsi nelle istituzioni mantenendo il suo legame
con l’Urss. Altri partiti: Democrazia Cristiana: di Alcide de Gasperi,
ispirata al PPI di don Sturzo (avversione alle lotte di classe, difesa
della proprietà, cauta apertura alle riforme), era appoggiata dalla
Chiesa. Partiti di classe: Partito liberale, sostenuto dall’industria e
proprietari terrieri. Partito repubblicano e Partito d’azione erano
privi di una base di massa. Movimento qualunquista: notevoli
consensi, diffidenza politica. Quando si dovette scegliere il capo del
governo dopo le dimissioni di Bonomi, i partiti si accordarono per
Parri, partigiano, esponente del Partito d’azione. Egli mise come
ordine del giorno il problema dell’epurazione e annunciò
provvedimenti in termini di tasse per le imprese. Le forze moderate
allora gli tolsero la fiducia e la DC riuscì a imporre la candidatura di
De Gasperi. L’epurazione venne rallentata e Togliatti come ministro
della Giustizia varò una larga amnistia. Il governo fissò il 2 giugno
1946 un’elezione dell’Assemblea costituente e fu concesso per la
prima volta anche il diritto di voto alle donne. In quello stesso giorno
votarono anche con un referendum per la monarchia o la repubblica.
Il tentativo di Vittorio Emanuele III di abdicare a favore del figlio
Umberto II non bastò a far prevalere i voti a favore della monarchia
infatti vinse la repubblica e il 13 giugno Umberto II partì in esilio in
Portogallo. Per quanto riguarda l’assemblea costituente la DC si
affermò come primo partito con il 31 % dei voti, poi i socialisti con il
20 %, poi i comunisti con il 19%, poi Unione democratica nazionale
ecc. Il Sud aveva dato una forte maggioranza alla monarchia e la
sinistra era nettamente maggiore nel Nord.
Il primo presidente provvisorio della Repubblica fu De Nicola.
I socialisti si divisero in due schieramenti, il primo di Nenni,
mantenne i suoi caratteri rivoluzionari, mentre il secondo di Saragat,
chiamato Partita socialista dei lavoratori italiani (Psli) poi Partito
socialdemocratico italiano (Psdi) si batteva per allentare i legami con
i comunisti. L’Assemblea Costituente approvò la Costituzione ed
entrò in vigore il 1 ° gennaio 48. La Costituzione dava vita a un
sistema parlamentare col governo responsabile di fronte alle due
Camere (camera dei deputati- senato della Repubblica), entrambe
dovevano scegliere il presidente della repubblica, con un mandato di
7 anni, poi ci fu l’istituzione della Corte costituzionale e dei
referendum abrogativi e delle regioni.
Legge elettorale proporzionale.
Articolo 7 venne molto discusso tra le forze politiche in quanto
trattava i rapporti della Chiesa e prevedeva che si tenessero buoni
quelli stipulati nel 29. Alle elezioni politiche del 18 aprile 48 i partiti si
presentarono in due schieramenti contrapposti, quello di
opposizione vedeva comunisti e socialisti uniti sotto l’insegna del
Fronte popolare, e quello governativo guidato dalla DC e partiti laici
minori. La Dc giovò dell’aiuto della chiesa e degli Stati Uniti, infatti
vinse di molto. Luglio 48 uno studente di destra attentò alla vita di
Togliatti. In tutte le città comparvero barricate e imprese occupate
(in quanto lui socialista). La componente cattolica diede vita alla Cisl
e i repubblicani Uil. La formazione del nuovo governo De Gasperi,
con il ministro del Bilancio Einaudi ottenne i suoi risultati: riduzione
inflazione, stabilità monetaria, risanamento bilancio statale, lira
recuperò potere d’acquisto. Con la conclusione del trattato di pace
del 47 a Parigi l’Italia era considerata a tutti gli effetti come una
nazione sconfitta, doveva dunque pagare riparazioni agli stati che
aveva attaccato e ridurre le forze armate. Mantenne l’Alto Adige, ma
si impegnò con gli accordi De Gasperi- Grubel a concedere ampie
autonomie linguistiche e amministrative alla provincia di Bolzano. I
problemi giunsero invece con la città di Trieste, che fu definito
territorio libero di Trieste e fu diviso in Zona A occupata dagli alleati e
Zona B dagli Jugoslavi. Nell’ottobre 54 si giunse alla spartizione che
sanciva la zona B agli jugoslavi mentre la A agli italiani. Ma solo nel
novembre 75 con il trattato di Osimo le due parti si riconoscevano
reciprocamente la sovranità sui territori in questione.

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