RIVOLUZIONE RUSSA
L'invio di contadini al fronte aveva causato una grave mancanza di
beni di prima necessità. Per questo motivo nel febbraio del 1917
scoppiò a Pietrogrado una rivolta molto violenta che si estese fino a
Mosca. Lo zar proclamò lo stadio d’assedio, ma le truppe invece di
combattere i rivoltosi si unirono a quest’ultimi. Il 27 febbraio gli
scioperanti si impadronirono della capitale. Dopo lo sciopero
nacquero due centri di potere, d'un lato il governo provvisorio
guidato da Georjiy L’vov, il quale vuole continuare la guerra a fianco
dell’intesa e contemporaneamente spera in una occidentalizzazione
della Russia. Dall'altro lato troviamo i soviet (organizzazione politica
creata per la conquista e la gestione del potere da parte della classe
operai) di Pietrogrado guidato dai menscevichi e dai social-
rivoluzionari. Nonostante il ripudio che i menscevichi e i social-
rivoluzionari avevano per la guerra appoggiarono L’vov. Intanto lo zar
Nicola ll fu costretto ad abdicare in favore del fratello, convinto che la
sua dinastia i Romanov fosse amata dal popolo.
Nel mentre Lenin, leader dei bolscevichi, tornato in Russia dopo un
viaggio attraverso l’Europa in guerra, diffuse un documento in dieci
punti, le tesi di aprile, in cui si poneva il problema della presa del
potere. Il primo obbiettivo era quello di conquistare la maggioranza
nei soviet e proporre un programma provvisorio in cui veniva chiesta
la pace immediata, l’abolizione della proprietà privata e il passaggio
di tutti i poteri ai soviet, in quanto una repubblica parlamentare
tipicamente occidentale non era adatta ad una rivoluzione
comunista. Questo programma riuscì a portare molti consensi al
Partito bolscevico, tuttavia si allontanò ulteriormente dagli altri
gruppi socialisti e dal governo provvisorio. Il primo tentativo di
ribellione al governo fallì e molti leader bolscevichi furono arrestati o
costretti a fuggire. Intanto il governo provvisorio era presieduto dal
socialrivoluzionario Kerenskij. Il secondo tentativo di colpo di Stato
promosso dal capo dell’esercito Kornilov neppure ebbe successo, ma
questa vicenda rafforzò i bolscevichi in quanto conquistarono la
maggioranza nei soviet di Pietrogrado e di Mosca.
I bolscevichi decisero di rovesciare il governo con forza durante il
mese di novembre (ottobre per il calendario russo) con
un’insurrezione organizzata da Trotskij eletto in settembre
presidente del soviet di Pietrogrado. La mattina del 7 novembre
(notte del 24 ottobre per il calendario russo) i bolscevichi
circondarono il palazzo d’ inverno, dimora degli zar prima e del
governo provvisorio poi, in un assalto che diventerà simbolo della
rivoluzione russa. Mentre il governo era prossimo alla caduta, si
riuniva a Pietrogrado il congresso panrusso dei Soviet, che approvò
due decreti proposti da Lenin. Il primo faceva appello ai popoli dei
paesi belligeranti per una pace giusta e senza annessioni e indennità.
Il secondo riguardava la proprietà terriera che venne abolita
immediatamente e senza indennizzi agli ex proprietari. Il nuovo
governo rivoluzionario, composto da Bolscevichi e con Lenin
presidente, coadiuvato da Trotzkij e Stalin, prese il nome di Consiglio
dei commissari del popolo.
Questa rapida prese del potere da parte dei bolscevichi causò
proteste da parte dei menscevichi, dei cadetti e dei
socialrivoluzionari che però non organizzarono manifestazioni di
aperto sabotaggio, ma aspettarono sperando nella convocazione
dell’Assemblea costituente. I risultati delle elezioni furono pessimi
per i bolscevichi che non volendo rinunciare al potere appena
acquisito sciolsero l’assemblea costituente per intervento dei militari
bolscevichi. Inoltre Lenin pensava che questo tipo di organo
governativo fosse ascrivibile ad una democrazia borghese, pertanto
non conciliabile con una rivoluzione comunista. Con scioglimento
dell’assemblea costituente si instaurò una dittatura di partito.
Saliti al potere i bolscevichi a causa dei loro pochi iscritti al partito
trovarono difficile amministrare un paese immenso e dovevano
anche affrontare i problemi ereditati dal vecchio regime. Questo
portò a un grande fenomeno di emigrazione politica da parte degli
strati sociali più elevati, oltre un milione di esodi volontari tra il 1918
e il 1926.
Per quanto riguardava la guerra i bolscevichi speravano in una pace
equa senza annessioni e senza indennità, ma il governo fu costretto a
trattare con le altre forze europee in una condizione di grave
inferiorità. La pace con la Germania, conclusa con il durissimo
trattato di Brest-litovsk del 1918, portò l’opposizione dei
socialrivoluzionari che abbandonarono i bolscevichi, ormai
completamente isolati. Conseguenza di ciò è la formazione di
movimenti antibolscevichi formati da nobili, ex ufficiali zaristi,
democratici e kulaki, i quali schierano un proprio esercito, chiamato
armate bianche. Ad esse si contrapposero le armate rosse
capeggiate da Trotzkij. Tuttavia l’Europa che, intanto stava seguendo
con apprensione le vicende russe, guarda con ostilità lo
schieramento bolscevico, quindi decide di appoggiare militarmente
le armate bianche a partire dall’estate del 1919. Nel frattempo il
governo rivoluzionario si dimostrava sempre più autoritario, con la
creazione di una polizia politica, la Ceka e con l’istituzione del
tribunale rivoluzionario centrale. Nel giugno del 1918 vennero messi
fuori legge tutti i partiti d’ opposizione e fu reintrodotta la pena di
morte. La guerra civile tra armate rosse e bianche si protrasse fino
alla primavera del 1920, quando l’armata bianca fu debellata. Fu una
guerra terribile, in quanto coinvolse particolarmente anche i civili,
infatti l’armata rossa necessitava di approvvigionamenti, i quali
venivano requisiti forzatamente dagli agricoltori. Tale fenomeno,
conosciuto come “comunismo di guerra” condusse il paese in una
grave crisi economica e provocò rivolte e scioperi.
Lenin quindi capisce le gravi conseguenze del comunismo di guerra e
inaugura in modo lungimirante nel 1921 la NEP (nuova politica
economica). I suoi punti cardine erano la stimolazione della
produzione agricola, la concessione ai contadini di poter vendere il
loro surplus produttivo dopo aver pagato allo Stato una tassa fissa
(ciò avvantaggiò molto i kulaki), fu concesso alle piccole-medio
imprese una gestione capitalistica, fu diffusa la nazionalizzazione
delle banche, che rimasero tuttavia sempre nelle mani dello Stato.
NASCITA DELL’URSS
Nel dicembre 1922 nasce l’Unione delle repubbliche socialiste
sovietiche, acronimo URSS. Il potere era formalmente affidato al
Congresso dei soviet dell’Unione, anche se in realtà risiedeva nelle
mani del Partito comunista, l’unico partito di cui era ammessa
l’esistenza per la costituzione. Infatti, era il partito comunista a
dirigere le azioni del governo, a controllare la polizia e a proporre i
candidati alle elezioni dei soviet. Lo scopo prefissato dai bolscevichi
fu quello di trasformare il paese anche nel contesto sociale.
Innanzitutto nell’URSS fu intrapresa una lotta per la scristianizzazione
della società condotta con molta durezza: vennero confiscati i beni
ecclesiastici, vennero chiuse le chiese e furono arrestati i capi
religiosi. La Chiesa ortodossa non fu in grado di opporre resistenza e
fu quindi già dal 1925 sconfitta e limitata a piccolissimi spazi concessi
loro dal regime comunista. Altre novità furono il riconoscimento
unicamente del matrimonio civile, la semplificazione delle procedure
d’aborto e la proclamazione di un’assoluta parità dei sessi.
Importante fu anche la lotta all’analfabetismo, combattuta
estendendo l’obbligo scolastico fino ai 15 anni, e l’istruzione
comunista, che privilegiava l’insegnamento di materie tecniche
piuttosto che umanistiche e naturalmente imponeva lo studio della
dottrina marxista.
FASCISMO
Nel 1921 si registra la nascita del PNF (Partito Nazionale Fascista). Il
movimento san sepolcro (dalla poesia “san sepolcro”), o movimento
dei fasci di combattimento si trasforma in un vero e proprio partito.
Queste formazioni politiche saranno protagoniste di atti di violenza,
in particolare le spedizioni punitive, che colpirono tutti coloro che
rappresentavano il mondo del lavoro con il consenso delle forze
dell’ordine e della classe dirigente. La violenza sarà un elemento che
accomunerà entrambi i partiti e non pagheranno mai per le azioni
commesse. In quello stesso anno Giolitti è in difficoltà perché si trova
di fronte ad una maggioranza parlamentare rivoltosa, dunque egli
preferiva ritornare alle urne per avere la maggioranza. Fa ricorso ai
blocchi nazionali, ossia liste governative dove si trovano nazionalistici
e candidati fascisti del PNF. Egli riesce a vincere le elezioni, ma si
trova dinanzi ad una maggioranza eterogenea e inoltre viene
consentito a 35 fascisti di presenziare in parlamento, tra cui
Mussolini. Data l'eterogeneità della maggioranza parlamentare,
Giolitti comprende che doveva lasciare la responsabilità
dell’esecutivo. Gli succederà Bonomi che darà vita ad un governo
breve, dato che anche lui fu costretto a rassegnare le dimissioni.
Segue il governo Facta, quando si registra una svolta autoritaria,
infatti la violenza fascista si fa sempre più incalzante. Nel 1922 la
sinistra risponde alla violenza fascista proclamando uno sciopero
generale. I fascisti fecero di tutto per far fallire lo sciopero e inoltre
sempre più ceti cominciarono a guardare con interesse alla
formazione politica di Mussolini. Il 28 ottobre 1922 si verifica la
marcia su Roma, a cui però Mussolini non partecipò inizialmente in
prima persona, infatti nel caso non avesse avuto successo aveva in
mente di scappare in Svizzera. Nella notte tra il 27 e il 28 Facta ha
avuto un colloquio col re Vittorio Emanuele III, dove ha presentato le
dimissioni, che però non vennero accettate. Non venne proclamato
nessuno stato di assedio, ma intorno alla mezzanotte Facta venne
svegliato da due sotto segretari che gli riferirono che le colonne dei
fascisti erano in marcia per Roma. In seguito venne convocato il
consiglio dei ministri d’urgenza per procedere alla stesura della bozza
per lo stato d’emergenza, successivamente Facta si recò dal sovrano,
il quale avrebbe dovuto firmare lo stato d’assedio il giorno seguente,
ma quando glielo presentò si rifiutò di firmarlo. Vittorio Emanuele si
è reso responsabile di questa decisione. Aveva avuto contatti con il
generale Badoglio, che gli aveva assicurato la solidità dell’esercito.
Probabilmente non firmerà il decreto per paura di essere
detronizzato. La marcia su Roma fu un trionfo e così il re affidò
l’incarico di formare il nuovo ministero a Mussolini, che il 30 ottobre
assume la responsabilità dell’esecutivo, non per la sua forza ma per
la debolezza dei suoi avversari. Questo primo governo Mussolini non
è costituito solo da fascisti, ci sono anche 2 ministri popolari, è
ancora un governo di coalizione. Nel 1922
Mussolini ebbe il suo primo discorso dinanzi al Parlamento, il
cosiddetto discorso del Bivacco, in cui si coglie l’antiparlamentarismo
del Duce. Giunto al potere Mussolini smantella la politica riformista
di Giolitti che aveva varato dei provvedimenti fiscali che colpivano i
ceti borghesi, poiché il ceto industriale e il ceto borghese sono i suoi
più grandi sostenitori. Viene varata nel 1923 una nuova legge
elettorale, legge Acerbo, che si basava su tali principi: La lista che
avrebbe ottenuto la maggioranza relativa con la percentuale del 25%
avrebbe costituito i 2/3 dei seggi in Parlamento. Legge a favore della
lista di Mussolini, “Listone” in cui vi erano esponenti del partito
nazifascista e anche esponenti del liberalismo di destra. Nel 1924 si
tennero le elezioni in condizioni molto favorevoli per Mussolini, ma
in un clima di intimidazione e di violenza “le camicie nere” (così
venivano definiti i fascisti), compivano una serie di illiceità. Mussolini
vince le elezioni e gli squadristi diedero vita ad una serie di spedizioni
punitive. Nel maggio del 1924 un deputato del partito socialista
unitario, Giacomo Matteotti dà vita ad un vero e proprio J’accuse, un
discorso molto chiaro e accorato, si scaglia contro Mussolini, chiede
che le elezioni vadano invalidate. Dopo questo discorso alcuni suoi
compagni di partito lo sentono affermare: “Ed ora potete prepararmi
l’orazione funebre”, parole che furono profetiche. Dopo pochi giorni
viene rapito e il suo corpo dopo settimane viene trovato senza vita. È
un periodo molto difficile per Mussolini in quanto si trova di fronte
ad una opinione pubblica indignata. Non si sa ancora se Mussolini sia
stato il mandante reale ma fu sicuramente il mandante morale di
tutte le spedizioni punitive che erano state commesse. Le opposizioni
diedero vita alla secessione Aventiniana che consisteva nel non
partecipare ai lavori parlamentari fino a quando il capo del governo
sarebbe stato Mussolini. Uno dei grandi poeti dell’Aventino è stato il
liberale Giovanni Amendola, scrittore, accademico e ministro. Nel
dicembre del 1924 Giovanni Amendola sul suo giornale “Il Mondo”
pubblica il memoriale di Cesare Rossi. In questo memoriale chiama in
causa Mussolini.
Il 3 gennaio del 1925 Mussolini tiene un discorso alla Camera, ha
inizio il regime vero e proprio. Giovanni Amendola subirà varie
aggressioni, in particolare nel 1926 riportò dei traumi violentissimi
che lo portarono alla morte (in Francia, in quanto dovette lasciare il
paese). Dopo il discorso di Mussolini del 3 gennaio, ha inizio il regime
vero e proprio, vengono colpiti i partiti dell’opposizione, vengono
aggrediti tutti gli antifascisti. Molti intellettuali antifascisti lasciarono
l’Italia, molti si rifugiarono in Francia, anche lo stesso Giovanni
Amendola, Turati e Salvemini, ha così inizio la fascistizzazione della
società italiana. In primis c’è un rafforzamento dell’esecutivo, a
totale discapito del legislativo che pressa per la trasformazione del
nome, non si parla più di presidente del Consiglio ma di capo del
Governo. Nel 1928 il Gran Consiglio del Fascismo, un organo del PNF,
aveva come obiettivo formulare i punti programmatici del partito
stesso e comincia a configurarsi come un organo costituzionale.
L’iscrizione al PNF diventa obbligatoria, vengono liquidati tutti i
partiti e rimane il partito unico. La fascistizzazione della società
passa per un controllo asfissiante sia sulla scuola sia dei mass media
e dei mezzi di propaganda. A differenza della tirannia che distrugge
ogni forma di libertà il regime totalitario di massa è molto più
sofisticato e pericoloso, vuole manipolare le coscienze al fine di
poterle controllare, invade il privato e si basa sul consenso. In
relazione al controllo sulla società fu creato un ministero, il
MINCULPOP (Ministero della cultura popolare) controllava la stampa
e i mass media, funzione di censura, propaganda attua ad esaltare il
regime fascista facendo un uso spregiudicato dei mass media. La
grande protagonista della propaganda fascista fu la radio, insieme
anche al cinema. Un altro obiettivo di politica interna fu il
ravvicinamento con la Chiesa cattolica, tra le questioni più gravi che
lo Stato dovette affrontare vi è anche la questione romana, i rapporti
tra la chiesa e i liberali furono mitigati. Ma un riconoscimento
formale tra la chiesa e lo stato non vi era mai stato, nel 1929
Mussolini dà vita ai Patti Lateranensi con i quali veniva ricomposta la
frattura tra Stato e Chiesa, un successo politico per Mussolini come
immagine. I vantaggi maggiori li trasse la Chiesa cattolica: il
matrimonio concordatario (il matrimonio ha effetti civili) e
l’insegnamento della religione cattolica. Nel 1929 si tennero le
elezioni politiche, furono un plebiscito per Mussolini, c’era una sola
lista ottenne perciò il 98% dei suffragi.
Alla fine degli anni 20’ il consenso per Mussolini è reale, riesce a
radicare la sua immagine nella società. Tutti gli oppositori sono stati
ridotti al silenzio. Il totalitarismo di Mussolini viene considerato un
totalitarismo imperfetto, il regime fascista vede la sopravvivenza di
altri enti: l’istituzione monarchica e la Chiesa. Mentre sia in Unione
Sovietica che nella Germania di Hitler non vi è alcun potere al di fuori
dello stato nazista e del PICUS.
Per quanto riguarda la politica estera si devono considerare 2 fasi:
agli inizi degli anni 20’ Mussolini assume una posizione vicina
all’Inghilterra e alla Francia improntata su uno spirito di
collaborazione e pacificazione. Guarda con interesse alla politica di
pacificazione che si coglie dopo la fine della Prima Guerra Mondiale,
il cosiddetto Patto di Lacarno che impegnava i paesi europei a
risolvere eventuali controversie in modo diplomatico. Si affermerà
“lo spirito di Lacarno”, volontà di pacificazione. La situazione però
non era così idilliaca e lo spirito di Lacarno ne pressò l’inadeguatezza.
Nel 1933 Hitler diventerà poi capo indiscusso della Germania. Se da
una parte Mussolini guardava con interesse a questo nuovo modello
di Stato, sarà però preoccupato di fronte a questo dinamismo. Hitler
vuole dar vita ad una politica estremamente aggressiva, guardava
con ostilità ai trattati di Versailles, che erano stati un vero e proprio
diktat per la Germania. Mussolini era molto preoccupato per questo
dinamismo. Nel 1934 Hitler tenta un colpo di mano ai danni
dell’Austria (la Schluss, l’annessione dell’Austria). Tale annessione
però non riesce (successivamente Hitler ritenterà e nel 1938 ci
riuscirà). Mussolini stringe un'alleanza con le democrazie occidentali
della Francia e dell’Inghilterra, con lo scopo di preservare l’Austria
dalle mire espansionistiche tedesche, il loro rapporto di consolida e si
uniscono nel fronte di Stresa. Nel 1935-36 si assiste ad una vera e
propria svolta sulla politica estera di Mussolini; si registra l’impresa
etiopica. Il regime perseguiva logiche nazionalistiche o
colonialistiche, voleva cancellare l’onta di Adua. Mussolini diede vita
a questa impresa in Africa, fu complessa ma nel 1936 l’Etiopia venne
conquistata. L’impresa etiopica suscitò le proteste della Società delle
Nazioni (organismo nato dopo la Prima Guerra Mondiale); votò le
sanzioni economiche per l’Italia. Si frantumano così i rapporti di
cordialità tra Italia, Francia e Inghilterra. Dopo questa impresa l’Italia
si avvicina alla Germania. Nel 1936 si firma l’Asse Roma-Berlino,
trattato tra Italia di Mussolini e la Germania di Hitler. Nel 1939 di
forma il Patto d’Acciaio che consolida il rapporto tra Italia e
Germania. Ciò avrà delle ripercussioni anche sulla politica interna.
Nel 1938 l’Italia fascista si rende protagonista di una delle azioni più
turpi: furono varate le leggi raziali che ricalcavano le leggi di
Norimberga, proclamavano l’antisemitismo, leggi discriminatorie nei
confronti della comunità ebraica. La comunità ebraica era ben
inserita all’interno dell’Italia per cui tali leggi non furono viste di
buon occhio dagli italiani, furono una diretta conseguenza
dell’alleanza tra Germania e Italia.
Per quanto riguarda la politica economica si registrano 2 fasi: dal
1922 al 1925 si registra una fase liberista mentre nel 1925 si registra
una fase dirigista in campo economico. A gestire le finanze sarà De
Stefani, noto esponente della scuola liberale (nel 1925 ci sarà una
svolta, Volpi gestirà le finanze e non più De Stefani). Si cerca di
ridurre l’intervento dello Stato nelle questioni economiche, di
favorire la libertà d’impresa e il libero svolgimento del mercato. Si
registra un alleggerimento della pressione fiscale e una congiuntura
internazionale favorevole. L’Italia si avvantaggia di questa prosperità.
La politica liberista ad un certo punto determina una svalutazione
della lira. L’Italia avrebbe vissuto un periodo di crisi e per questo dà
vita alla svolta dirigista: si ha un cambio al vertice che segna un
passaggio. La fase protezionistica ha come suo obiettivo specifico
questa 90. L’obiettivo di Mussolini era stabilire il cambio con la
sterlina a 90 lire, drastica rivalutazione della lira. Tale obiettivo fu
raggiunto ma da una parte ciò avvantaggiò i settori industriali ma
altri settori produttivi furono danneggiati. L’altro settore guardato
con interesse da Mussolini fu il settore agricolo: voleva
implementare la produzione cerealicola attraverso la celeberrima
battaglia del grano, politica nota proposta dal regime che
implementava la produzione per assicurare una sorta di
autosufficienza economica, consisteva nell’ampliamento massiccio
delle superfici coltivabili (bonifica dell’Agro-Pontino). Bisognava
bonificare e strappare all’incolto vasti terreni. La produzione ebbe un
aumento esponenziale, ciò però determinò una diminuzione di
pascoli che mise in crisi l’allevamento. Da una parte ci fu un
potenziamento ma dall’altra vi fu una contrazione. Nel 1929 si
abbatte una crisi sull’economia statunitense: la crisi di Wall Street,
estesa a livello internazionale. Anche l’Italia in seguito alla crisi del
1929 dovette dar vita a delle contromosse. L’intervento dello Stato
nelle condizioni economiche diverse diventò sempre più massiccio. Si
accentua la figura dello Stato imprenditore, interviene nelle
questioni economiche. Lo stato diede vita ad una politica di lavori
pubblici in modo da incrementare il mercato. Si coglie in maniera
sempre più incisiva il dirigismo dello Stato. Vengono creati degli
istituti che avevano il compito di supportare le imprese in difficoltà
(IRI). Alla fine degli anni ’30 dopo il 1936 a seguito delle sanzioni
economiche subite a causa della guerra Etiopica l’Italia accentua il
carattere autarchico della sua economia (autosufficienza economica).
CRISI DEL ‘29
Dopo la Grande Guerra gli USA conoscono un periodo di grande
espansione economica. Tale situazione idilliaca si verificherà in
entrambi i dopoguerra. Inoltre manterranno intatta la loro potenza
industriale, oltre che a potenziare l’economia degli altri paesi
europei, le cui economie erano molto più fragili in virtù della crisi
bellica. Dal 1925 al 1928 si nota in America una grande circolazione
monetaria, la produzione industriale provoca l’affermazione e la
circolazione di grossi capitali. Inoltre l’incredibile liquidità ingenera
anche una febbre speculativa. Non vi è però solo l’affermazione di un
capitalismo industriale, ma anche una tendenza all’investimento, in
qualsiasi ambito, infatti sia i capitalisti che i proletari e i medi
investitori, investono il loro denaro in attività speculative come per
esempio la borsa e i titoli azionari. Ad un certo punto la produzione
incontrollabile di merci ha generato degli squilibri, in quanto ne
consegue una contrazione della domanda dei beni. Le merci dunque
restano invendute nei magazzini, e pertanto si assiste ad una crisi di
sovrapproduzione. Tale crisi fa sì che si crei un gap sempre più forte
tra la reale situazione industriale e i titoli azionari. La febbre
speculativa determina la bolla speculativa, pertanto si procede alla
vendita dei titoli azionari. Si giunge così al 24 ottobre 1929, giorno
noto come il “giovedì nero”, quando si registra il famoso “crollo
della borsa di Wall Street”. Tale crisi fu molto più devastante di
quella del ’73, perché partì dall’America, ovvero la potenza più
dirompente al mondo, la quale, dagli anni ’20, aveva lasciato il
mercato in totale libertà.