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Volevo smarcarmi da due metodi. Anzitutto da ciò che si chiama storia della mentalità e anche da ciò che
potrebbe chiamarsi storia delle rappresentazioni. Ciò che ho cercato di fare è una storia del pensiero. Per
pensiero si intende: in primo luogo le forme di un sapere possibile; in secondo luogo le matrici normative di
comportamento per gli individui; e infine dei modi di esistenza virtuale per dei soggetti possibili.

È in questa prospettiva che ho cercato di analizzare la follia. Era, in primo luogo, un tentativo di studiarla
come esperienza all’interno della nostra cultura, come matrice di conoscenze, di tipo medico, ma anche
psichiatrico, psicologico e sociologico. In secondo luogo, emergeva anche come un insieme di norme, legato
anche al comportamento dei medici, del personale psichiatrico… Infine si trattava di studiare la follia come
esperienza. Si trattava di studiare in un primo momento l’asse della formazione dei saperi con le scienze
empiriche del Seicento e del Settecento. Si trattava di spostare l’asse della storia della conoscenza verso
l’analisi dei saperi, delle pratiche discorsive che organizzano e costituiscono l’elemento matriciale di questi
saperi. In un secondo momento In un secondo momento si è trattato di analizzare le matrici normative di
comportamento e qui lo spostamento è consistito nello studio delle tecniche e delle procedure attraverso
le quali ci si avvia a guidare la condotta degli altri: in termini anzitutto di potere, di un potere che si esercita
come un campo di procedure di governo. (Dalla norma  agli esercizi di potere  fino alle procedure di
governabilità). Infine, per terzo, si trattava di analizzare l’asse di costituzione del modo di essere del
soggetto. Mi è sembrato che bisognasse cercare di analizzare le differenti forme attraverso le quali
l’individuo è portato a costituirsi egli stesso come soggetto (esempio della morale sessuale).Questo studio
ci permetterebbe di vedere il problema dei rapporti tra governo di sé e governo degli altri, o almeno di una
certa forma di discorso che avrebbe per oggetto il governo dell’anima del Principe da parte del consigliere,
del filosofo e del pedagogo.

Analizziamo il testo kantiano Was ist Aufklärung?, scritto nel 1784. Questo testo mette in gioco la nozione
di pubblico, di Publikum con la quale Kant intende, innanzi tutto, il rapporto tra scrittore e lettore. In tal
senso l’Aufklärung non è nient’altro che l’esplicitazione tra l’uomo di cultura e il lettore che legge. Nel ‘700
il lettore non passava attraverso l’università, nemmeno attraverso il testo; passava molto attraverso alcune
forme di comunità intellettuali. Queste riviste, che organizzano concretamente il rapporto tra la
competenza e la lettura, sono di conseguenza quelle che corrispondono a questa nozione di pubblico.

A questa stessa domanda, Mendelssohn aveva risposto in quella stessa rivista nel settembre del 1784.
L’importanza di questi due testi risiede nel fatto che sia l’uno sia l’altro stabiliscono molto chiaramente sia
la possibilità e il diritto, sia la necessità di una libertà assoluta. Nel dicembre dello stesso anno, Kant
rivolgeva un elogio a Mendelssohn poiché aveva ben dimostrato come la religione non potesse che avere
un uso privato.

Terza ragione per cui questo testo è interessante; in rapporto al testo di Mendelssohn appena evocato,
sembra che il testo sull’Aufklärung sia assai differente. La questione che appare per la prima volta nei testi
di Kant è la questione del presente. Non è la prima volta che si trovano riferimenti a un presente inteso
come situazione storica determinata che può avere valore per la riflessione filosofica. In questo genere di
riferimenti si tratta sempre di trovare in questo presente un motivo pe runa decisione filosofica. Né in
Cartesio e nemmeno in Leibniz potreste trovare una questione del tipo: cos’è dunque precisamente questo
presente al quale appartengo? La questione riguarda, in primo luogo, la determinazione di un certo
elemento del presente; in secondo luogo, di far vedere in che cosa questo elemento si trovi ad essere il
portatore di un processo che riguarda che riguarda il pensiero. In terzo luogo, di far vedere in che cosa e in
che modo colui che parla in quanto pensatore, faccia parte egli stesso di questo processo. Sembra che si
veda come la filosofia diventi la superficie d’emergenza della propria attualità discorsiva: attualità che essa
interroga come un evento a cui deve attribuire senso. E perciò stesso, il filosofo non può evitare di porre la
questione della sua appartenenza a questo presente. La filosofia come interrogazione, da parte del filosofo,
di questo “noi” al quale appartiene e in rapporto al quale deve situarsi: è questo che caratterizza la filosofia
come discorso della modernità. Tra il XVII e il secolo successivo la questione della modernità si poneva nei
termini di un’autorità da accettare o respingere e nel dualismo antichità/modernità. In questa polarità tra
Antichi e Moderni si poneva la questione della modernità . Con Kant appare e affiora una nuova maniera di
porre a questione della modernità: in un rapporto verticale del discorso con la propria attualità. Il discorso
deve assumersi la propria attualità al fine di trovarvi il suo luogo specifico, per dirne il senso e per
specificare il modo d’azione.

La quarta ragione. Questa interrogazione di Kant sull’Aufklärung non è rimasta localizzata all’interno del
Settecento e diventa visibile un certo modo di filosofare. Attraverso l’800 sarebbe possibile seguire tutta la
traiettoria della filosofia che si interroga sulla propria attualità. La questione del 1784 Kant non la
dimentica, ed è nel 1798 che arriva a darne un seguito. Nel 1798 risponde a “cos’è la Rivoluzione?” La
seconda dissertazione del Conflitto delle facoltà riguarda i rapporti tra la facoltà di filosofia e la facoltà di
diritto. Kant afferma: se si vuole rispondere alla questione “Esiste un progresso costante per il genere
umano?”, bisogna stabilire se vi è la possibilità di un progresso. Una volta stabilito si potrà sapere se c’è una
causa che agisce effettivamente. Non bisognerà seguire la trama teleologica, ma isolare un avvenimento
che avrà il valore di un segno. Segno di che cosa? Segno dell’esistenza di una causa permanente che ha
guidato gli uomini sulla via del progresso. La causa che rende possibile il progresso non ha agito solo in un
determinato momento: essa assicura una tendenza generale dell’essere umano nella sua totalità a
procedere nella direzione del progresso.

Due osservazioni. In primo luogo, Kant fa certamente allusione al dibattito attorno all’esistenza di
progresso, e cioè al rovesciamento degli imperi, tutti i rovesci di fortuna grazie ai quali ciò che era grande
diventa piccolo, e ciò che era piccolo diventa grande. Non è nei grandi avvenimenti che dobbiamo cercare
questo segno, ma in quelli quasi impercettibili. Non si potrebbe dire che la Rivoluzione non sia stato un
evento rumoroso. Ma dice Kant, non è la Rivoluzione in se stessa che produce senso. Ciò che è significativo
è la maniera in cui la Rivoluzione fa spettacolo; è la maniera in cui essa è accolta da spettatori che non vi
partecipano. La Rivoluzione e ciò che si fa nella Rivoluzione non ha importanza. Di più: la Rivoluzione è
qualcosa che non si deve fare. Ciò che è importante è il fatto che tutt’attorno a essa c’è “una partecipazione
d’aspirazioni che rasenta l’entusiasmo”. Ciò che è importante è ciò che accade nella testa di coloro che non
la fanno. Ciò che conta è il loro rapporto con questa Rivoluzione. Ciò che è significativo è l’entusiasmo per
la Rivoluzione. E di che cosa è segno? Del fatto che gli uomini considerano un diritto di tutti darsi la
costituzione politica che si desidera. In secondo luogo è segno che gli uomini cercano di evitare ogni
“guerra d’aggressione”. Significa che la Rivoluzione è ciò che porta a termine il processo dell’Aufklärung.

I segni precursori della nostra epoca ci mostrano che l’uomo raggiungerà questo fine e che i suoi progressi
non saranno più rimessi in discussione. L’Aufklärung è un evento singolare che inaugura la modernità
europea ed ha attraversato interamente il pensiero filosofico, da Kant a oggi.

2.

“Che cosa sono i Lumi?” e la risposta è: i Lumi sono l’uscita dell’uomo da uno stato di minorità il quale è da
imputare a lui stesso. Minorità significa incapacità di servirsi del proprio intelletto senza la direzione di un
altro. Di tale minorità l’uomo stesso è responsabile. Nelle speculazione filosofiche sulla storia la
designazione del momento presente veniva fatta in modi diversi. Ciò che Kant individua come momento
dell’Aufklärung non è né un’appartenenza, né un’imminenza, né un compimento. Kant lo definisce come
Ausgang, come esito, uscita. Questa uscita è l’uscita dell’uomo dal suo stato di minorità. Ora si tratta di
sapere cosa sia quest’uomo e se sia una gente attivo o passivo. Ultima osservazione. Se si guarda l’inizio del
paragrafo si ha l’impressione che Kant indichi qui un movimento di uscita. Ecco che alla fine del paragrafo,
compare tutt’altro tipo di discorso. Non più un discorso che descrive, ma uno che prescrive. Egli afferma
“Sapere aude! Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza. Questo è il motto dell’Illuminismo”.

Cerchiamo di prendere visione delle tre questioni: come questa descrizione può essere al tempo stesso una
prescrizione; che cos’è quest’uomo che deve uscire e in cosa consista tale uscita. Primo, questo stato di
minorità non deve essere confuso con uno stato di impotenza naturale. Non parliamo di uno stato
“infantile” dell’umanità. Secondo, questa nozione di minorità rinvia forse al campo politico-giuridico? Kant
non parla di questo. Se gli uomini sono in tale stato di minorità è perché ad essi manca al capacità o la
volontà di dirigere se stessi e perché degli altri si sono offerti di prenderli sotto la propria guida. Gli stessi
esempi mostrati da Kant dimostrano che non si tratta della privazione di un diritto. “Se ho un libro che
pensa per me , se ho un direttore spirituale che ha coscienza per me, se ho un medico che decide per me
sulla dieta che mi conviene, allora non ho più bisogno di darmi pensiero”. Questi sono esempi dello stato di
minorità. Ma dove si situa lo stato di minorità? Nel modo in cui l’individuo permette che questi tre aspetti
(libro, direttore spirituale e medico) si sostituiscano ad esso stesso. Dietro a questi tre esempi si ritrovano le
tre Critiche. Dunque bisogna leggere l’analisi kantiana dello stato di minorità in funzione di esse.

Possiamo vedere come il lavoro della critica e il processo dell’Aufklärung si completino. Il versante critico e
il versante Aufklärung della questione del Verstand (nostro intelletto; la questione riguarda l’utilizzo di esso
all’interno dei limiti legittimi e in autonomia), sono due necessità, due obblighi. Questo legame tra la critica
e l’Aufklärung è implicito, non formulato.

La minorità da cui l’Aufklärung deve farci uscire si definisce attraverso un rapporto tra l’uso che noi
facciamo della nostra ragione e la direzione degli altri. Governo di sé, governo degli altri: è proprio in
questo rapporto viziato che si caratterizza lo stato di minorità. La pigrizia e la viltà: noi non ci assumiamo la
decisione, la forza e il coraggio di avere con noi stessi quel rapporto di autonomia che ci permetta di
utilizzare la nostra ragione e la nostra morale. Dunque, ciò che l’Aufklärung dovrà realizzare, sarà la
redistribuzione dei rapporti tra governo di sé e governo degli altri. Come si sta realizzando? Kant stabilisce
che gli individui sono incapaci, da soli, di uscire dal loro stato di minorità. Perché sono vili, pigri. Ma ci sono
individui capaci di liberarli grazie alla loro autorità e al loro carisma? Si tratta di persone che con molta
benevolenza si impadroniscono della direzione degli altri, e decidono di assumersi il ruolo di liberatori. Ma
di questa autorità si servono in modo tale che la coscienza si diffonde, trasformandosi dell’affermazione
della volontà di ogni uomo di fare come loro, di pensare autonomamente. Ma questi individui non sono
capaci di far uscire l’uomo dalla minorità, per il fatto che hanno cominciato imponendo agli altri la propria
autorità, in modo tale che questi altri non sopportano la libertà. Di conseguenza si impone la legge di tutte
le rivoluzioni, coloro che la fanno ricadono necessariamente sotto il giogo di coloro che hanno voluto
liberarli.

Lo stato di minorità è caratterizzato dalla costituzione di due coppie indebite e illegittime: la coppia formata
dall’obbedienza e dall’assenza di ragionamento e la coppia di provato e pubblico. Kant ricorre a tre esempi:
gli ufficiali che dicono ai loro soldati “non ragionate, fate esercitazioni”. L’esempio del prete che dice ai
fedeli “non ragionate, ma credete”. L’esempio del funzionario fiscale che dice “non ragionate, ma pagate”.
Nello stato di minorità si ha una parentela tra obbedienza e mancanza di Räsonnieren (=raziocinio). Per
quanto riguarda la seconda coppia, quando Kant distingue privato e pubblico non prende di mira due campi
di attività. Egli attribuisce la caratteristica “privato” non ad un ambito di pratiche, ma a un certo uso delle
nostre facoltà. Chiama “pubblico” una certa maniera di far funzionare e utilizzare le nostre facoltà. Cos’è
l’uso privato delle facoltà? Tale uso si applica alla nostra attività professionale, quando siamo funzionari,
parti delle macchine governative e dobbiamo produrre un uso particolare delle nostre facoltà all’interno
della collettività. E cos’è l’uso pubblico? L’uso che noi facciamo del nostro intelletto nella misura in cui ci
collochiamo in un elemento universale dove possiamo figurare come soggetti universali. In quale momento
ci misuriamo come soggetti universali? Accade quando, in quanto soggetti ragionevoli, ci rivolgiamo
all’insieme degli esseri ragionevoli.

Quando l’obbedienza viene confusa con l’assenza di ragionamento, e quando, in questa confusione tra
l’obbedire e il non-ragionare, viene schiacciato l’uso pubblico del nostro intelletto, ecco che si ha lo stato di
minorità. Si avrà emancipazione allorché sarà ristabilita la corretta articolazione tra queste due coppie.
Nello stato di minorità si obbedisce e non si ragiona. Una volta fuori dalla minorità, ragionamento e
obbedienza vengono scollegati. Si fa valere l’obbedienza nell’uso privato e la libertà totale di ragionamento
nell’uso pubblico. Come potrà realizzarsi questa operazione? Come si realizza l’Ausgang? A queste
domande Kant si accontenta di rispondere che siamo nell’età dell’Aufklärung. In un secondo momento fa
intervenire il re di Prussia, il quale non ha prescritto nulla in materia di religione. È un agente
dell’Aufklärung. Egli ha garantito la pubblica pace e una libertà di dibattito religioso. Si realizza questo
adeguamento fra governo di sé e l’obbedienza all’altro. Federico di Prussia è la figura stessa dell’Aufklärung

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