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È semplicemente ovvio che noi godiamo della libertà. Molti filosofi e studiosi hanno dato voce a tale
intuizione, tra cui Cartesio. Per la maggior parte dei filosofi però, le cose stanno diversamente. A molti è
parso che l’idea di libertà sia messa a repentaglio dal cieco determinismo delle leggi naturali. Il problema
consiste nello spiegare come fanno gli uomini a sfuggirvi, come testimonia la Critica della ragion pura di
Kant. Da una parte abbiamo l’intuizione della nostra libertà, dall’altra ciò che sappiamo ci porta a pensare
che non vi sia posto per essa. “La più controversa delle questioni metafisiche” la definisce Hume.
La libertà ha molte facce. Libertà dai vincoli, da costrizioni esterne. Non siamo liberi se minacciati dalle
armi, oppure ipnotizzati, o ancora se affetti da malattie mentali. In questi casi parliamo di libertà intesa in
senso negativo. Se la intendiamo in senso positivo intendiamo che ognuno è arbitro del proprio destino e
per questo porta la responsabilità delle proprie scelte.
Il dibattito contemporaneo si sviluppa attorno la relazione tra gli esseri umani e la legalità naturale. La
libertà è conditio sine qua non del nesso concettuale tra responsabilità e libertà, di assoluta centralità
filosofica. Tale discussione coinvolge anche altre discipline filosofiche. Sullo sfondo c’è anche il carattere
originariamente filosoficamente teologico della discussione sul libero arbitrio.
Molti filosofi e non hanno espresso il loro scetticismo in merito alle tante energie “sprecate” per questo
argomento. Moritz Schlick è tra i più espliciti. Lo stesso afferma Dewey. Tuttavia come mostrò Kant,
investigare il concetto di libero arbitrio è assolutamente legittimato.
In cosa consiste il sentimento di libertà che noi tutti sentiamo? Perché un’azione sia libera occorre che
all’agente si presenti una molteplicità di possibili corsi d’azione alternativi. La possibilità di fare altrimenti è
la prima condizione della libertà. Una scelta sulla base del lancio di una moneta non è libero, ma casuale. È
necessario che l’agente controlli le azioni che compie, o ancora che tali azioni siano l’effetto di una catena
causale in cui i desideri, le credenze e le intenzioni dell’agente giocano un ruolo fondamentale. La loro
autodeterminazione è la seconda condizione di possibilità della libertà. Prese congiuntamente esse ne
costituiscono le condizioni sufficienti.
“Determinismo” = ogni evento è determinato dal verificarsi di condizioni sufficienti per il suo accadere. Dal
modo in cui tali condizioni vengono interpretate, derivano forme diverse di determinismo. Determinismo
teologico: gli eventi e le azioni sono determinate dalle proprietà di Dio. Indeterminismo: semplice
negazione del determinismo. Determinismo logico: gli eventi futuri sono già determinati, non perché vi
sono cause che li determinano, ma perché gli enunciati che li descrivono sono atemporalmente veri o falsi.
Fatalismo: antica concezione secondo cui alcuni eventi accadranno ineluttabilmente. Abbiamo delle
concezioni anche causali. Determinismo causale: ogni evento e di una certa classe F è causalmente
determinato. Un evento e si dice causalmente determinato quando esso è causato da altri eventi che ne
sono cause sufficienti. DA QUI SE PARLIAMO DI DETERMINISMO, PARLIAMO DI QUELLO CAUSALE. Da un
punto di vista empirico può essere falso, perché esistono eventi che sono causati indeterministicamente. A
noi interessa il determinismo in senso ontologico, non empirico. La differenza tra determinismo causale e
determinismo logico è che nel primo gli eventi non sono necessari, ma necessitati. Esistono poi forme di
determinismo causale locale e forme di determinismo causale universale. Alla prima appartengono forme di
determinismo limitate a particolari classi di fenomeni.
La forma più importante del tipo universale è determinismo scientifico universale: esso concerne tutti i
fenomeni, e restringe i futuri possibili a uno solo. Afferma che lo stato del mondo in un certo istante,
congiunta con la proposizione che specifica tutte le leggi di natura, implica la descrizione dello stato del
mondo in ogni istante successivo. Chiaramente questa teoria non implica che gli esseri umani siano in grado
di formulare una teoria deterministica che permetta di prevedere gli eventi futuri. Implica piuttosto che
nulla sfugge al determinismo della legalità naturale.
Abbiamo una pluralità di punti di vista, divisi in due gruppi fondamentali. Un primo gruppo declina la
questione della libertà nel senso dell’analisi logico-concettuale: queste domande riguardano la
connotazione del concetto di libertà, la sua coerenza e i nessi con altri concetti. Altre domande concernono
le modalità empiriche della libertà.
1 LIBERTÀ E INDETERMINISMO
La prima famiglia è l’incompatibilismo libertario, o meglio il libertarismo. La tesi è che la libertà è possibile
solo in un contesto indeterministico. Si divide in tre gruppi:
a. Indeterminismo radicale
b. Indeterminismo causale
c. Agent causation
1.
La libertà non può che radicarsi nell’indeterminismo. Pierce afferma che l’eccezionalità della mente
dipende dalla “pura spontaneità” con la quale nell’universo si producono scostamenti indeterministici nei
processi mentali. La mancanza di determinazione è condizione necessaria della libertà. James afferma che
in un mondo indeterministico il futuro non è già definito come lo è in un mondo deterministico. Le scelte e
le azioni degli individui possono assumere valore morale.
2-3-4-5-6.
Si basa sulla possibilità di fare altrimenti. È qui e ora che l’agente può compiere una scelta diversa da quella
che poi di fatto compirà. Quattro sono i problemi fondamentali cui i libertari devono rispondere:
7-8-9-10.
2 LIBERTÀ E DETERMINISMO
Molti hanno ipotizzato che il punto debole del libertarismo sia il suo presupposto fondamentale. Al
contrario il compatibilismo si fonda sull’idea che il determinismo non impedisce affatto la libertà. Pregio di
tale concezione è il tentativo di dare conto della libertà nel quadro della visione scientifica del mondo.
2.
Il compito del compatibilismo è quello di dimostrare che determinismo causale e libertà non sono
inconciliabili. Si rischia di snaturare la nozione di libertà, critica mossa di frequente. La definizione di libertà
offerta dalla tradizione compatibilistica è quella secondo la quale la libertà equivale alla possibilità di agire
senza impedimenti o costrizioni. È libero colui che non è impedito nell’agire né vi è costretto. Quando non
lo siamo allora possiamo liberamente compiere le azioni che vogliamo. Tutto ciò che serve è che le nostre
azioni derivino dalla nostra volontà. Così definita la libertà non è affatto in contraddizione con il
determinismo. Un’azione è libera in quanto determinata dalla libertà. La volontà medesima è a sua volta
determinata da fattori come le esperienze passate, l’istruzione e così via. I compatibilisti classici
aggiungevano due tesi; che il determinismo è condizione necessaria della libertà e che il determinismo è
vero. In questa prospettiva siamo liberi proprio perché siamo determinati. I contemporanei aggiungono che
tale processo è deterministico in quanto, essendo macroscopico, è immune dall’indeterminismo
quantistico. Inoltre i contemporanei non menziona il ruolo della volontà nei processi decisionali.
3.
Secondo i compatibilisti un agente è libero in quanto compie le azioni che vuole o desidera compiere. La
volontà dell’agente è interamente determinata. Un agente può volere solo quello che vuole. Per i critici è
assurdo pensare che le condizioni di libertà discendano dalla volontà dell’agente, ma che ad essa non si
applichino. La libertà richiede che la volontà si autodetermini, invece di essere eterodeterminata da
condizioni e eventi esterni. Scrive Popper: «Il determinismo fisico è un incubo perché asserisce che il mondo
intero è un enorme meccanismo e che noi nulla siamo se non piccoli ingranaggi o, al massimo, piccoli sotto-
meccanismi». La libertà dei libertari è incompatibile con il determinismo scientifico. Ma per i compatibilisti
una volontà che si autodetermina sfugge per definizione alle leggi di natura e diventa una misteriosa
eccezione all’ordine del mondo. I compatibilisti portano vari argomenti a sostegno. Harry Frankfurt porta
“l’analisi gerarchica”, un’analisi della struttura motivazionale degli agenti. Essi sono in grado di formare
“desideri di secondo ordine” e che la formazione di questa struttura sarebbe autodeterminata e
risolverebbe la situazione. Eppure rimane il problema che non sembra lasciare spazio a scelte
genuinamente dipendenti dall’agente.
4.
Una diversa strategia in favore del compatibilismo riprende e sviluppa un’intuizione di Hume. L’idea è che
sia sufficiente offrire una corretta analisi della nozione di necessità implicata nel determinismo causale
delle leggi di natura. La causazione deterministica non ha a che vedere con situazioni come la coercizione
violenta, l’ipnosi o le malattie mentali. Queste comportano effettivamente la negazione della libertà, ma ciò
accade perché le azioni non discendono veramente dalla volontà dell’agente. Quattro sono le “confusioni”
che portano a confondere gli effetti della causazione deterministica con i casi di coercizione secondo
Davidson:
- La prima sta nella tendenza di antropomorfizzare le leggi di natura, quasi che fossero agenti
malvagi. Ma non sono agenti, non hanno volontà.
- In secondo luogo, le ubbie che circondano il determinismo causale derivano dalle metafisiche di
matrice religiosa. Il determinismo ha natura diversa, è una tesi empirica.
- In terzo luogo, c’è una confusione tra necessitazione causale e necessità logica. Gli eventi non
accadono di necessità, ma condizionatamente, e dunque il loro accadere è necessitato, non
necessario.
- Quarto, accade che le leggi di natura vengano assimilate a quelle giuridiche. Le leggi di natura non
costringono gli agenti ad agire, ma si limitano a rappresentare l’immutabile regolarità di
successione dei fenomeni.
La domanda sta nel capire se, una volta noti questi punti, la questione del rapporto tra libertà e
determinismo possa dirsi risolta.
5.
Negli ultimi anni contro il compatibilismo sono stati sviluppati nuovi argomenti. Ogni concezione della
libertà deve dare conto di due condizioni fondamentali: la possibilità d’azione alternativa e
l’autodeterminazione delle azioni dell’agente. Ma come può il compatibilismo dare conto della seconda? I
primi compatibilisti abbozzano un ingegnoso tentativo, la cosiddetta analisi condizionale della nozione di
poter fare altrimenti. Il punto è la tesi secondo la quale il concetto di libertà andrebbe interpretato in
termini ipotetici o controfattuali. La libertà è il potere di agire in accordo con la propria volontà, ovvero che
se la nostra volontà fosse diversa anche le scelte e le azioni sarebbero diverse. Moore afferma che l’analisi
condizionale tende a fornire le condizioni necessarie e sufficienti affinché un agente possa correttamente
attribuirsi la possibilità di fare altrimenti. Tale lettura permette di incorporare l’intuizione compatibilistica.
Un guidatore che ad un bivio gira a sinistra, se lo avesse desiderato avrebbe girato a destra. L’agente era, si,
determinato a girare a sinistra, ma in senso condizionale avrebbe potuto fare altrimenti.
Queste analisi si prestano a varie obiezioni. Si oppongono due intuizioni diverse: secondo i compatibilisti, la
nozione di possibilità ha un senso condizionale. Per gli incompatibilisti invece X che fa Y avrebbe potuto fare
Z non in senso condizionale, ma categoricamente, qui e ora. Abbiamo, in ogni caso, due tipi di obiezione.
Per il primo tipo l’analisi condizionale non riesce ad esprimere condizioni necessarie della possibilità di fare
altrimenti. Per il secondo tale analisi non riesce a dare condizioni sufficienti:
1. Abbiamo due enunciati. Primo, “l’agente A avrebbe potuto fare altrimenti”. Secondo, “Se l’agente A
avesse deciso di fare altrimenti, avrebbe fatto altrimenti”. Giulia pratica il salto in alto e supera
sempre i due metri. Alle olimpiadi non ce la fa. Avrebbe potuto fare altrimenti? Si, perché in
passato l’ha fatto (1 è vero). Tuttavia anche in questa occasione aveva deciso di saltare i due metri
e non ce l’ha fatta, quindi 2 è falso. Perciò la sua verità non è condizione necessaria della verità di 1.
2. Abbiamo gli stessi due enunciati. Un amante di architettura visita la Tour Eiffel e gli viene proposto
di accedere alla sommità. Nulla impedirebbe a X di salire fin su se così decidesse, quindi 2 è vero.
Tuttavia soffre di vertigini e rifiuta. Dunque X non avrebbe potuto decidere diversamente e ciò
mostra che 1 è falso.
Non solo per i limiti dell’analisi condizionale il compatibilismo è sotto attacco. C’è un’altra ragione per
rifiutare questa concezione, il consequence Argument.
7.
3 LIBERTÀ E SCETTICISMO
1.
Per fornire un quadro si può ricorrere alla categoria di “scienza straordinaria” proposta da Kuhn. I periodo
di scienza straordinaria si verificano quando una teoria scientifica entra in crisi e perde l’attrattiva. Nello
stesso tempo però nessuna delle alternative riesce a guadagnare consensi. Il risultato è un’impasse teorica.
Il compatibilismo, teoria un tempo predominante, ha perso buona parte del credito ed è entrata in crisi. Il
libertarismo non riesce a trovare tanti consensi. Kuhn discute anche una terza conclusione nei periodi di
straordinarietà. Quando non si intravede nessuna soluzione. Molti filosofi infatti, si dichiarano oggi scettici
rispetto alla possibilità che i paradigmi tradizionali recuperino plausibilità. Peter van Inwagen afferma che,
in ragione dei nostri limiti, nessun uomo potrà mai risolvere il mistero della libertà. Egli cita Colin McGinn il
quale scrive che “il libero arbitrio è un mistero e in ciò consiste la sua possibilità”. L’idea di McGinn è che
quando un agente desidera mangiare, crede che sul tavolo vi sia una mela, intende prendere quella mela ed
effettivamente compie l’azione di afferrare il frutto e addentarlo, abbiamo una causazione mentale. È
spiegabile? No, perché essa è irriducibile alla causalità fisica. McGinn ha ragione a ritenere che l’insolubilità
del problema dipenda dal fatto che questo problema viene oggi affrontato con strumenti adatti a capire
l’ambito del naturale, ma non quello dell’agire umano.
2.
I sopracitati sostengono che la questione del libero arbitrio è, almeno per noi, irresolubile. Nondimeno
l’intuizione della libertà è condizione ineliminabile dei giudizi morali. Tale intuizione è però in
contraddizione con tutti gli argomenti presentati, e sembra che il libero arbitrio sia impossibile. Ma sembra
anche che esista, quindi è come se l’impossibile esistesse.
Altri autori, ancor più radicalmente, sostengono uno scetticismo metafisico. Secondo questi, non è tanto
che non possiamo provare di essere liberi, ma semplicemente che non lo siamo. È errato pensare che lo
scetticismo (epistemico o metafisico che sia) sia una posizione filosoficamente inedita. Abbiamo diversi
autori nella storia. In tempi più recenti, una delle più nitide manifestazioni di scetticismo metafisico è
offerta da Einstein. Le concezioni scettiche contemporanee si distinguono da quelle classiche anche rispetto
all’ispirazione di fondo. Molti contemporanei ricorrono a analisi concettuali volte a dimostrare
l’impossibilità della libertà, indipendentemente dal fatto che il mondo sia deterministico o indeterministico.
Se la libertà è impossibile, allora essa è mera illusione. L’intuizione della libertà produce una credenza che è
meramente falsa. Questa è una posizione difesa da Strawson, il quale sostiene che le credenze concernenti
la nostra presunta libertà sono semplicemente false. Egli contesta la tesi chiamata “oggettivistica” secondo
la quale l’essere liberi non presupporrebbe l’esperienza della libertà. L’esperienza soggettiva di libertà è
condizione essenziale, ma non ne è sufficiente. La nostra intuizione riconosce anche una componente
oggettiva, quella della libertà nel mondo, chiaramente impossibile.
3.
Lo scetticismo è l’esito più coerente di un modo oggi comune di impostare la questione della libertà. Che il
mondo sia deterministico o indeterministico, non sembra che gli agenti abbiano il potere di optare per uno
dei corsi d’azione alternativi. Arriviamo alla conclusione che la libertà è impossibile. Ma possiamo tentare
nuove vie?
4 LIBERTÀ E RESPONSABILITÀ
Molti si interessano alla libertà perché ritengono che sia essenziale per la definizione della responabilità.
Occorre chiedersi se la libertà sia precondizione della responsabilità.
1.
Ci sentiamo responsabili per le scelte, le azioni, i pensieri… parimenti riteniamo responsabili gli altri per
tutto quello che fanno e dicono. Condizioni di costrizione, patologiche o vincoli di vario genere sono
circostanze per le quali gli agenti sono esonerati dall’attribuzione di responsabilità. Una questione appare di
complessa risoluzione: la giustificazione della concezione di responsabilità. Le nostre attribuzioni di
responsabilità presuppongono che l’agente avrebbe potuto evitare di compiere un’azione e che l’abbia
compiuta deliberatamente. Sembra intuitivo inferire allora che la responsabilità presuppone la libertà. Ma
come abbiamo visto la libertà costituisce un problema filosofico. Allora anche la responsabilità ha
un’analoga problematica. L’enigma della responsabilità è conseguenza di quella della libertà: se le nostre
azioni sono inevitabili (determinismo) non è ragionevole ritenere che ne siamo responsabili. Se, invece,
sono casuali, non avremmo potuto evitarle e non siamo responsabili nemmeno in questo caso.
Molti sono gli autori che hanno mosso contro l’idea di responsabilità. Richard Double o Strawson sono fra
questi. Due sono le opzioni percorribili per chi voglia salvare l’idea di responsabilità. Si potrebbe tentare di
mostrare l’indipendenza concettuale della responsabilità dalla libertà, oppure smontare l’argomento
principe degli scettici, ovvero che la libertà è impossibile. Parleremo solo del primo.
2.
3.
La responsabilità morale è giustificata? Due sembrano essere le condizioni fondamentali. Primo, che
l’agente abbia agito consapevolmente. Secondo, che non sia stato costretto. La costrizione è per noi più
interessante. I fattori coercitivi, in quanto fanno sì che l’agente non possa comportarsi diversamente, sono
considerate valide ragioni per esonerare l’agente dalla responsabilità morale. Nel caso del determinismo,
esso sarebbe incompatibile, oltre che con la libertà, anche con la responsabilità morale. Se determinati gli
esseri umani non sono liberi e nemmeno responsabili. Per molti autori, che partono da questa base, non
siamo responsabili delle nostre azioni. Le pene si giustificano per la loro utilità sociale. La nozione di
responsabilità viene definita in termini pragmatici: un agente è moralmente e penalmente responsabile
solo se indirizzandogli giudizi morali o comminandogli pene si possono ottenere conseguenze sul piano
pratico.
4.
La concezione utilitaristica è stata oggetto di energici attacchi, il più autorevole dei quali sviluppato nel
1962 da Strawson. Secondo lui il concetto di responsabilità è inscindibile dagli “atteggiamenti reattivi” e dai
sentimenti morali mediante i quali rispondiamo ai comportamenti degli altri. Contro gli utilitaristi obietta
che l’interpretazione della responsabilità in termini consequenzialistici non è in grado di cogliere la natura
dei giudizi di responsabilità. Contesta il pessimismo dei fautori della concezione tradizionale della
responsabilità in quanto ricerca un’impossibile giustificazione esterna ai sentimenti morali reattivi, laddove
sono tali sentimenti che esprimono la responsabilità stessa; noi non possiamo smettere di considerare i
nostri simili responsabili, nemmeno nel caso in cui avessimo prove del determinismo. La nozione di
responsabilità si esprime nelle dinamiche sociali e non dipende affatto da un giudizio intellettuale. In essa
non c’è nulla oltre alle nostre pratiche. Quando tali atteggiamenti originano transizioni in cui siamo
personalmente coinvolti, Strawson parla di “atteggiamenti reattivi non distaccati”. Mentre quando
reagiamo al modo in cui gli altri si pongono verso un terzo, assumiamo un “atteggiamento disinteressato”.
Il primo ha connotazioni psicologiche, il secondo coincide con il punto di vista etico. C’è un terzo tipo di
atteggiamento, quello “autoreferente” associato al modo cui reagiamo al nostro stesso comportamento.
Le situazioni in cui i normali atteggiamenti reattivi sono sospesi, e gli agenti scusati per le loro azioni,
appartengono a due categorie. Primo, vi sono circostanze in cui la sospensione è limitata: quando l’agente
non aveva l’intenzione di compiere un’azione, o non ne conosceva gli effetti, pur venendo scusato continua
a essere considerato responsabile. Secondo, la sospensione generale: tale sospensione può essere
temporale o permanente. Secondo i libertari una dimostrazione del determinismo causale varrebbe da
scusante universale e perpetua. In tale condizione sarebbe razionale abbandonare ogni illusione di libertà,
rinunciando alle attribuzioni di responsabilità. Per Strawson sarebbe errato.
5.
Secondo Russel, Strawson sviluppa due diverse strategie per dimostrare che la responsabilità è compatibile
con il determinismo: la strategia razionalistica e la strategia naturalistica. Esse coesistono, ma secondo De
Caro la razionalistica è subalterna a quella naturalistica. Iniziamo dalla razionalistica. Secondo i libertari, se
si provasse il determinismo, sarebbe razionale abbandonare i normali atteggiamenti reattivi e dovremmo
assumere l’atteggiamento che usiamo nei confronti dei portatori di determinate patologie. Secondo
Strawson invece afferma che dovremmo continuare a guardare gli altri e noi stessi come agenti. Muove
altre critiche. Quale sarebbe il vantaggio nell’abbandonare le nostre consuete modalità di interazione
sociale e valutazione morale? Comporterebbe un’enorme svalutazione delle nostre vite. La razionalità ci
imporrebbe di mantenere il sistema. Secondo De Caro questo argomento non è convincente, tale
concezione contraddice il perseguimento della verità. La razionalistica non è convincente, ma il fulcro è
dato dall’altra.
Secondo la tesi naturalistica è un fatto che noi non potremmo mai abbandonare il sistema dei sentimenti
morali. Tale passo sarebbe per noi impossibile. La rete dei sentimenti morali è essenziale per la vita sociale.
Se un giorno divenissimo consapevoli di essere causalmente determinati, ciò sarebbe ininfluente sul piano
pratico. Nemmeno questa strategia si dimostra adeguata per De Caro. Se anche dimostrassimo di non poter
abbandonare tali atteggiamenti reattivi, la forza di una tale conclusione sarebbe meramente descrittiva.
Anche se l’autore avesse ragione, scrive De Caro, resterebbe il fatto che tale coinvolgimento non sarebbe
più razionale. Tuttavia la strategia naturalistica presenta anche difficoltà interne. Essa si basa su
un’intuizione che non è affatto condivisa: secondo alcuni le conseguenze dell’accertamento della verità del
determinismo sarebbero diametralmente opposte. Berlin afferma che se un giorno scoprissi che il mio
vicino è un robot controllato da uno scienziato, cambierei il mio atteggiamento verso di lui. Non sarebbe
naturale, ma nemmeno intuitivo, continuare a considerarlo responsabile delle sue azioni.
La verità è che le nostre intuizioni non sono chiare a sufficienza e non possiamo fondarci su di esse per
capire che cosa faremmo di fatto se scoprissimo la verità del determinismo.
6.
Secondo Chisholm la possibilità di fare altrimenti è condizione necessaria della responsabilità morale.
Frankfurt mostra che le cose non sono così semplici. La tesi di Chisholm è la seguente «Una persona è
moralmente responsabile per ciò che ha fatto solo se poteva fare altrimenti». Frankfurt vuole dimostrare che è
falsa, e porta alcuni esempi. Immaginiamo che X debba decidere se rubare un portafoglio. Dopo un breve
processo deliberativo, X decide di rubarlo. È certamente un’azione biasimevole, ma Frankfurt è convinto
che una corretta attribuzione della responsabilità morale non dipende da un’implicita attribuzione della
possibilità di fare altrimenti. Immaginiamo che uno scienziato controlli X con un macchinario, ma solo
quando il soggetto compie un’azione non gradita dallo scienziato. Nel caso del portafoglio lo scienziato
vuole che X lo rubi, ma X decide di rubarlo autonomamente e lo scienziato non ha bisogno di intervenire. La
scelta è tutta di X, ma in ogni caso non aveva scelta. Se avesse deciso di non rubarlo, lo scienziato
gliel’avrebbe fatto rubare. Egli, pur essendo responsabile, non avrebbe potuto fare altrimenti. Secondo
Frankfurt dunque, un agente può essere ritenuto responsabile di un’azione-scelta anche nel caso in cui egli
non possa fare altrimenti, purché tale scelta-azione dipenda da una sua autonoma decisione.
Il punto è che i fattori coercitivi che inducono l’agente ad agire sono le uniche cause di quell’azione: ad
esempio non accade che un agente che compie una certa azione perché ipnotizzato, la compia anche
perché aveva un autonomo desiderio in tal senso. Nell’esempio sopra, la volontà dell’agente è ragion
sufficiente della sua azione, e ciò anche se non avrebbe potuto fare altrimenti. In sostanza, una persona
non è moralmente responsabile per ciò che ha fatto, se l’ha fatto soltanto perché non avrebbe potuto fare
altrimenti. L’unico aspetto rilevante è se la volontà dell’agente sia parte integrante dell’azione o no. Anche
in un ipotetico determinismo avremmo ragione di considerarci responsabili per le scelte e le azioni in cui la
nostra volontà funge da ragion sufficiente.
7.
Se Frankfurt avesse ragione la nozione di responsabilità morale sarebbe al riparo dai problemi della libertà.
Ma secondo De Caro non è nel giusto. Il suo argomento sembra viziato da una petitio principii. In base a
cosa affermiamo che, nell’esempio sopra, X è responsabile? In questo caso sembra che la responsabilità di
X sia presupposta, non determinata.