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INTRODUZIONE AI

“PADRI APOSTOLICI”

1. I Padri Apostolici
Sotto questa denominazione, convenzionale presso i cattolici, si è soliti
designare un gruppo di autori e scritti cristiani che costituiscono la diretta
continuazione dell’opera degli apostoli. La loro eccezionale importanza
risiede nel fatto che essi offrono un quadro autentico e immediato della vita
delle comunità cristiane a cavallo tra I e II secolo. Per autorevolezza
vengono immediatamente dopo i Vangeli e gli altri scritti canonici del Nuovo
Testamento. La lingua in cui sono pervenuti gli scritti dei Padri Apostolici è il
greco.

2. Clemente Romano: informazioni biografiche


Egli è l’autore di una lettera che la comunità cristiana di Roma inviò a quella
di Corinto. Fu vescovo di Roma – terzo successore di Pietro, dopo Lino e
Anacleto – dal 92 fino alla fine del secolo. Ireneo di Lione, nel II secolo,
riferisce che egli «aveva visto gli apostoli e si era incontrato con loro e aveva
ancora nelle orecchie la risonanza della loro predicazione» (Confutazione di
tutte le eresie 3,3,3) e Origene, nel III secolo, lo ricorda quale «discepolo
degli apostoli» (I princìpi 2,3,6).

3. La Lettera ai Corinzi di Clemente Romano


Quest’opera, che è generalmente considerata il più antico scritto patristico,
costituisce un intervento autorevole della Chiesa di Roma negli affari interni
della Chiesa di Corinto, dove una ribellione di giovani ha deposto
arbitrariamente gli anziani della comunità. Clemente richiama al
ravvedimento e alla penitenza: occorre restaurare l’autorità della gerarchia,
perché essa costituisce il fondamento e la garanzia della pace tra i membri
che formano la Chiesa, vero Corpo di Cristo.

4. La cosiddetta Seconda lettera ai Corinzi attribuita a Clemente


Romano
Questo scritto è stato tramandato sotto il nome di Clemente Romano, ma in
realtà non è suo. Si tratta della più antica omelia cristiana che ci rimanga: si
presenta come una esortazione all’esercizio della castità, rivolta ai
neoconvertiti, nel quadro di una liturgia di iniziazione battesimale.

5. Ignazio di Antiochia: informazioni biografiche


Egli fu il terzo vescovo di Antiochia di Siria; secondo quanto riferiscono
Giovanni Crisostomo (Omelia su sant’Ignazio, in PG 50,588) e Girolamo
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(Traduzione del Chronicon di Eusebio, ad ann. Abr. 2116), conobbe ed ebbe
relazioni con gli apostoli. Nei primi anni del II secolo, sulla via che dalla Siria
lo conduceva a Roma per subire colà il martirio, nelle singole città in cui
sostò incontrò amici ed estimatori. Per raggiungere anche chi non poteva
incontrare personalmente, inviò delle lettere, nelle quali incoraggiava a
perseverare nella fede e che perciò assumono il significato di un testamento
spirituale. Sono sette quelle che ci rimangono e sono riconosciute
autentiche: Lettera alla Chiesa di Roma, Lettera alla Chiesa di Smirne,
Lettera alla Chiesa di Efeso, Lettera alla Chiesa di Tralli, Lettera alla Chiesa
di Magnesia, Lettera alla Chiesa di Filadelfia; Lettera al vescovo Policarpo.

6. I temi maggiormente sviluppati nelle lettere di Ignazio


Le lettere, complessivamente considerate, affrontano in special modo tre
temi. Il primo, che si trova diffuso un po’ in tutte le lettere, concerne il
basilare e insostituibile RUOLO DEL VESCOVO, segno dell’unità della Chiesa
locale e promotore della santità dei suoi membri: ci viene dunque offerta la
prima riflessione organica sull’episcopato. Il secondo tema (centrale nella
Lettera alla Chiesa di Smirne) è rappresentato dalla LOTTA AL DOCETISMO,
eresia che seminava dubbi sulla realtà dell’incarnazione di Cristo,
affermando che essa era soltanto apparente: Ignazio offre in risposta una
difesa solenne e appassionata dell’umanità di Cristo, della verità della croce
e della redenzione a essa collegata. Il terzo tema (sviluppato specie nella
Lettera alla Chiesa di Roma) è quello della ESALTAZIONE DEL MARTIRIO,
unitamente a una riflessione teologica su di esso: Ignazio ribadisce che solo
attraverso la «testimonianza suprema» si diviene a pieno titolo «discepoli» e
«imitatori» del Signore, offrendo se stessi come «frumento di Dio».

7. Policarpo di Smirne: informazioni biografiche


Vescovo di quella città, godette di grande venerazione nella Chiesa primitiva
per essere stato discepolo degli apostoli (notizia confermata da svariate
fonti, fra cui, nel II secolo, Ireneo di Lione, Confutazione di tutte le eresie
3,3,4), per il suo grande zelo e per il suo eroico martirio. Nacque attorno al
69 da genitori cristiani di agiate condizioni economiche. Intorno all’anno 100
ricevette l’ordinazione episcopale, forse per nomina dell’apostolo Giovanni.
Verso la fine del 154 si recò a Roma per discutere con papa Aniceto (154-
156) di diverse questioni ecclesiastiche, in particolare della data per la
celebrazione della Pasqua, fissata in Asia il 14 di Nisan (secondo l’uso
quartodecimano) e invece a Roma sempre la domenica successiva. I due
non trovarono un accordo, ma rimasero in comunione e si separarono in
pace: Aniceto non riuscì a convincere Policarpo a non osservare l’uso
quartodecimano, che questi aveva osservato con Giovanni, apostolo del
Signore; né Policarpo riuscì a convincere Aniceto a osservarlo, poiché
quest’ultimo diceva che occorreva mantenere la consuetudine dei presbiteri

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suoi predecessori. Possediamo uno splendido resoconto del suo martirio,
avvenuto a Smirne nel 155.

8. La Lettera ai Filippesi di Policarpo


Questo scritto, giuntoci in forma incompleta, forse è il risultato della fusione
di due testi. Policarpo interviene da pastore della Chiesa per esortare i
cristiani della città di Filippi a perseverare nella fede. L’opera è importante
anche come documento storico, in quanto lascia trasparire la profonda fede
dei primi cristiani e il loro desiderio di assimilarsi a Cristo, pur in mezzo a
difficoltà, persecuzioni e cattivi esempi.

9. Notizie e scritti rimasti di Pàpia di Gerapoli


Fu vescovo di Gerapoli, nella Frigia minore, regione della attuale Turchia.
Secondo quanto riferisce, nel II secolo, Ireneo di Lione (Confutazione di tutte
le eresie 5,33,4), Pàpia ascoltò la predicazione dell’apostolo Giovanni e fu
amico di Policarpo. Scrisse una vasta opera, l’Esegesi dei discorsi del
Signore, di cui ci rimangono solo frammenti sporadici riportati da Ireneo di
Lione e Eusebio di Cesarea. Quest’opera è per noi importante soprattutto
perché informa sull’esistenza di una primitiva redazione in lingua ebraica del
Vangelo secondo Matteo e costituisce la migliore attestazione della
canonicità del Vangelo secondo Marco.

10. L’importanza della cosiddetta Lettera di Barnaba


Lo scritto, che non può essere attribuito al Barnaba compagno di Paolo,
risale alla prima metà del II secolo. Fu verosimilmente composto in ambiente
egiziano, forse da un maestro di estrazione giudaica. Sotto la forma
esteriore di una lettera, si nasconde un breve trattato, o anche una lunga
omelia, che ha finalità sia apologetiche che catechetiche. Il tema centrale
affrontato è il corretto modo di leggere le Scritture. L’autore rimprovera agli
Ebrei di non sapere cogliere il senso spirituale dei testi sacri. Ad esso si
perviene unicamente attraverso il ricorso appropriato all’esegesi allegorica,
la sola che ricerchi quei sensi nascosti delle parole, che lo Spirito del resto
rivela esclusivamente al credente. Ne consegue che essi non riescono a
intendere correttamente le profezie dell’AT relative alla venuta del Messia.
Condivide con la Didaché la ‘catechesi delle due vie’.

11. Notizie su Il Pastore e su Erma, che ne è l’autore


Si tratta di un’opera complessa, decisamente di difficile interpretazione,
anche a motivo del genere letterario apocalittico che l’autore ha seguito nel
comporla. Godette di stima grandissima e di eccezionale notorietà nei primi
tre secoli del cristianesimo, al punto da essere addirittura considerata
ispirata da qualche Padre della Chiesa. Poi, però, l’Oriente cominciò a
guardarla con diffidenza, facendo osservare che non era stata composta né
da un profeta né da un apostolo, e alla fine del IV secolo Girolamo ci attesta
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che malgrado essa fosse ancora letta pubblicamente in alcune Chiese
greche, era tuttavia quasi totalmente sconosciuta presso la Chiesa latina.
Del suo autore, Erma, si sa che era fratello di papa Pio (140-154).

12. Il Pastore di Erma


L’opera ci offre uno spaccato dei problemi in cui si dibatteva la Chiesa di
Roma intorno alla metà del II secolo: che atteggiamento occorre assumere
nei confronti di quei cristiani che, dopo avere ricevuto la remissione dei
peccati nel sacramento del battesimo, nuovamente commettono una colpa
grave? Bisogna percorrere la via del rigore, ossia non concedere loro alcuna
occasione di pentimento, ritenendoli ormai destinati alla dannazione eterna?
O viceversa, mostrarsi misericordiosi, offrendo loro un’altra possibilità?
Erma, che si presenta come portavoce della rivelazione comunicatagli
dall’angelo della penitenza, dichiara che per coloro che hanno peccato dopo
il battesimo esiste un’ultima possibilità di fare penitenza prima della fine del
mondo ormai prossima.

13. Il giudizio degli studiosi sulla Didaché


L’opera, nota anche col nome di Dottrina dei dodici apostoli e riscoperta nel
1873 dopo che dal XII secolo non se ne avevano più notizie, godette di
grande notorietà nell’antichità cristiana. Le opinioni degli studiosi ancora
oggigiorno oscillano notevolmente: quanto al valore dello scritto, si va dalla
più grande stima a un apprezzamento modesto; quanto all’epoca di
composizione, si va da chi la ritiene degli anni 50-70 del I secolo a chi pensa
che essa risalga solo alla metà del II secolo; quanto al luogo di
composizione, si va dalla Palestina alla Siria (per taluni, precisamente
Antiochia). Generalmente si reputa che l’autore sia un cristiano proveniente
dal giudaismo. Al di là dei giudizi degli studiosi, questo scritto presenta tratti
di grande antichità e impressiona per le sorprendenti informazioni che
trasmette, in campo spirituale, liturgico, canonico ed ecclesiologico.

14. Il contenuto della Didaché


L’opera si presenta divisa in tre parti e si conclude con un invito di
intonazione escatologica a vegliare in attesa della parusia. La prima parte
presenta una ISTRUZIONE MORALE, sotto forma di ‘catechesi delle due vie’,
quella della vita e quella della morte. La seconda parte propone ISTRUZIONI
LITURGICHE su battesimo, digiuno, preghiera ed eucaristia. La terza parte
fornisce ISTRUZIONI DISCIPLINARI riguardanti la condotta da tenere nei
confronti di alcune figure ministeriali della Chiesa e indicazioni sulla
celebrazione eucaristica domenicale, la confessione dei peccati, la gerarchia
locale, la correzione fraterna, la condotta di vita cristiana.

15. La nozione di ‘Tradizione’ presso i Padri Apostolici

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I Padri Apostolici si collocano cronologicamente in un tempo in cui la
Tradizione viva e orale della Chiesa non rivaleggia con alcun canone delle
Scritture ispirate del Nuovo Testamento. Clemente Romano richiama la
«gloriosa e veneranda norma della nostra tradizione» (Lettera ai Corinzi
7,2), Ignazio la identifica con l’insegnamento del vescovo (Lettera alla
Chiesa di Tralli 6,1 e 7,1), Ireneo di Lione, nel II secolo, dichiara che essa
sarebbe stata di per sé sufficiente, «qualora gli Apostoli non ci avessero
lasciata nessuna scrittura» (Confutazione di tutte le eresie 3,4,2).

16. La vita ecclesiale nei Padri Apostolici


Questi scritti mettono in evidenza due fronti aperti dalla predicazione
cristiana, uno esterno e uno interno. Proprie del fronte esterno sono: a) le
difficoltà che derivano dal mondo giudaico, a quest’epoca ancora molto
attivo e critico nei confronti dell’esperienza cristiana (Lettera di Barnaba): la
polemica col giudaismo contribuirà in maniera determinante ad affinare gli
strumenti dell’interpretazioni delle Scritture; b) le difficoltà poste dal potere
politico romano (Ignazio e Policarpo): il cristianesimo, mentre tiene desta la
coscienza dell’alterità del Regno di Dio, fa i conti con la tradizione politica e
culturale dell’antichità classica greca e romana. Proprie del fronte interno
sono: a) le controversie con le eresie, che stimoleranno l’elaborazione di un
pensiero teologico sempre più raffinato e consapevole delle insondabili
profondità del dato rivelato (Ignazio); b) le questioni disciplinari, in materia di
ruoli gerarchici (Clemente Romano e la Didaché), di penitenza (Il Pastore di
Erma), di liturgia e disciplina (la Didaché), che finiranno col dare alla Chiesa
un’organizzazione interna più precisa, stabile e strutturata.

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