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Di cosa ci occupiamo?

Questo corso parla di letteratura, impostazione letteraria,


cioè di cose scritte, di testimonianze, da un punto di vista storico principalmente.
Ci occupiamo di una letteratura con una precisa estensione cronologica, dagli 50
del primo secolo fino al quinto secolo. La letteratura cristiana comprende autori e
opere in questi anni appena citati, circa 450 anni circa. Ma prima del 50 d.C.
cosa è successo? È la letteratura che si occupa di Cristo, una letteratura che non
è definita dalla lingua, ma dal soggetto, dai contenuti. Il Cristo deriva da criomai,
che significa ungere. Nel paese del mediterraneo l’unzione indica gli eventi
importanti. In Israele si riteneva che i re potessero e dovessero essere unti. Essere
unto significa essere sia re che anche sacerdote. Il concetto è proprio quello
dell’unzione che sacralizza, che consacra, e proprio Gesù è sacralizzato dal suo
ruolo, ed è reso così anche Messia. Nella tradizione Gesù nasce nell’anno zero,
secondo la tradizione di Dionigi il piccolo, monaco vissuto in Calabria che si
occupava di cronologia, ospitato da Cassiodoro presso Squillace. Il cristianesimo
ha centralizzato i sistemi cronologici, e questa definizione temporale avviene nel
VI secolo. Gesù vive nella parte alta di Israele, centro di vita è Nazareth. Israele si
divide in due parti, la parte nord si chiama Galilea, la parte sud Giudea, con
capitale Gerusalemme. Gesù gravita tra questi posti, e sappiamo dove è morto
sicuramente, ovvero a Gerusalemme. Dove è nato di sicuro non lo sappiamo,
perché non interessava molto agli inizi. Il cristianesimo nasce da un evento: la
sua resurrezione, il fatto che i suoi discepoli dicano che la tomba è vuota, ed è
risorto. Questo è il nucleo essenziale del cristianesimo, la resurrezione di Gesù.
Questo evento veniva annunciato oralmente, mai messo per iscritto all’inizio. E
chi sono i suoi discepoli? Sono quelli che lui ha scelto o che hanno scelto Lui,
quelli che lui ha scelto hanno un ruolo istituzionale, si chiamano apostoli e sono i
12, numero che richiama le tribù di Israele, e questo gruppo intorno a Gesù è il
nuovo Israele. Apostolo da apostello, ovvero inviati ad annunciare, prima il regno
insieme a Gesù, e successivamente la resurrezione di Gesù, e quest’ultimo
annuncio si chiama kerugma in greco. Il kerugma, che viene da gherusso, con
radici gherug, che significa dare un annuncio con la tromba, fa riferimento ad un
uso popolare. Il kerigma è quindi la verità annunciata clamorosamente. Questo
termine ha un equivalente latino, più contenutistico e teologico, ed è euangelium,
che vuol dire buon annuncio, buona notizia, che coinvolge anche noi, ovvero che
in quanto è risorto Cristo, così risorgeremo anche noi. Questo annuncio poi sarà
portato in giro di qua e di là. Con l’anno 50 c’è un uomo, Paolo. (Gesù e Paolo,
due mondi completamente diversi, due contenuti diversi. Nessuno capì Gesù
come fece Paolo, perché Paolo reinterpreta Gesù.) Paolo per annunciare utilizza il
greco così da universalizzare l’annuncio degli apostoli e si sposta fuori da Israele,
come in Grecia, perché Paolo sa parlare tre lingue. La strategia di Paolo è quella
di uscire dalla terra santa e di inserirsi nei popoli greci e romani. Quindi la buona
notizia è la resurrezione, la nascita di Gesù non importa molto raccontarla. Di
Gesù non interessava nulla agli inizi, se non il fatto che è Risorto. Sulla base
dell’annuncio orale si cominciano a scrivere le lettere paoline, come anche i
vangeli. I vangeli non sono la vita di Gesù, sono scritti di natura teologica, non
biografica, e non sono propriamente uguali, e in parte diversi in quello che
dicono. Si è arrivati a selezionare i 4 vangeli grazie alle varie comunità. Ogni
comunità era libera di “pensarla come gli pareva”. I 4 vangeli hanno
caratteristiche comuni, ma anche diverse, per questo le comunità li hanno scelti,
per una questione principalmente teologica. Si parla di gruppi di potere perché
qualitativamente i 4 vangeli si ritengono ispirati. Questa scelta si compie a metà
del II secolo, poi ratificata nei IV e V secoli in Occidente.
Il termine cristiano fu assunto dopo la morte di Gesù da coloro che scapparono
da Israele perché spaventati, e si rifugiarono in Antiochia, ovvero in Siria, odierna
città della Turchia. C’è un signore che si aggiunge alla schiera degli evangelisti,
ovvero Luca di cultura greca, forse medico, che vive ad Antiochia, il quale scrive
gli Atti degli Apostoli, e ci informa che ad Antiochia gli apostoli presero il nome di
cristiani. Quando inizia il cristianesimo? Gesù è un ebreo. Gesù dice tante cose di
sé, si dice che Lui dicesse anche tante cose, ma non sappiamo se le diceva Lui, e
cioè che si dice è quello che si è interpretato di Lui. Gesù era un ebreo, convinto
della religione giusta del rapporto tra Dio e l’uomo, ma è un ebreo “eretico”, cioè
un ebreo che si avvicina ai gruppi minoritari dell’ebraismo che non erano quelli
ufficiali. L’ebraismo aveva tanti gruppi, non era unico. Lo storico Flavio Giuseppe
ci parla dei 4 gruppi dell’ebraismo: i farisei, i sadducei, gli zeloti, e gli esseni, e le
chiama “aireseis” che significa comunemente scuola di pensiero. A questa si
aggiungono altri gruppi molto più piccoli, con idee diverse e in parte coincidenti.
E fra tutti questi, nel giudaismo dell’età di Gesù c’erano dei gruppi che ritenevano
prossima la fine del mondo. Con la fine del mondo ci sarebbe stato un uomo
mondo in cui si sarebbero capovolti i valori e le condizioni dell’uomo. Abbiamo
due posizioni: una con l’idea della felicità data all’uomo poi persa a causa del
peccato e dall’uomo la responsabilità del male; la seconda idea attribuisce la
responsabilità del male non all’uomo quale è vittima, ma a creature angeliche,
secondo una spiegazione metafisica, e la soluzione non può che venire da una
soluzione metafisica, e questione visione si chiama apocalittica. Quindi c’erano
gruppi che pensavano secondo la genesi, e altri gruppi secondo la visione
apocalittica. I gruppi più potenti sono i farisei, i quali spiegavano la legge,
ottenendo un potere politico; i sadducei controllavano il tempio, in opposizione a
questi gruppi c’erano gli apocalittici, con una visione futura. Ad uccidere Gesù
furono i farisei e sadducei. (palese) Come può Gesù essere credibile in questa
missione? Per costruire credibilità bisogna mettere per iscritto la predicazione e i
segni (i miracoli). La domanda sul cristianesimo quando è nato è il più grande
mistero per gli storici. Quando comincia forse intorno agli 80. Sicuramente Luca
ha già coscienza di una nuova religione, successivamente ancora più sicura con
Giovanni. Paolo scrive negli anni 50 e sparisce dalla scena negli anni 60, sotto
l’imperatore Nerone a Roma. Luca e Matteo scrivono negli stessi anni, 70 e 80.
Giovanni nell’anno 100. Nessuno di questi quattro signori è realmente esistito, o
meglio che ci sia una persona precisa a scrivere. Questi quattro nomi indicano
quattro tradizioni collettive, che scelgono il nome di un apostolo, o di un
personaggio vicino agli apostoli. I vangeli nascono anonimi, senza un autore. I
primi scritti cristiani a parte Paolo, sono tutti anonimi, ed è un fenomeno che si
chiama pseudo epigrafia, è quel fenomeno secondo cui gli scritti non hanno un
autore preciso. Luca è vicino al pensiero Paolino. Marco, anni 70, la tradizione
vuole che fosse il segretario di Pietro, quindi pensiero romano petrino.
Gesù personaggio storico, realmente esistito, questa è storia. Altra cosa è il
Cristo, che è una nozione teologica. La nozione di Gesù è una nozione storica,
sulla unzione del Cristo invece si è opinabili. Gesù è stato visto come il Cristo dai
discepoli ed è anche questo un fatto storico, perché è una verità per loro.
Differenze tra cristianesimo iniziale e odierno: la pluralità delle chiese.
Atti 11,26 “Ad Antiòchia per la prima volta i discepoli furono chiamati cristiani.”,
ovvero seguaci del Cristo, ma ciò non significa che è nato il cristianesimo. È
difficile capire il momento in cui il cristianesimo si stacca dal giudaismo, ed è un
periodo dagli anni 30 agli anni 70.
Partiamo dall’ebraismo e dal giudaismo. L’ebraismo in generale è l’insieme delle
dottrine e delle idee della religione di Israele, ed è un termine di insieme. Se
invece ci si riferisce alla fase storica del ritorno dalla cattività babilonese, quando
tornano ricostruiscono il tempio distrutto da Nabucodonosor, è da questo evento
si parla di giudaismo, che va dalla costruzione del secondo tempio, inizi del VI
secolo a.C. in poi. In questo periodo ci sono i 4 gruppi più gli apocalittici.
L’ebraismo ha il suo fondamento in un’idea che viene dalla parola berit, che vuol
dire patto, alleanza, in ebraico, che in greco fu reso con la parola diateke, da
diatitemi, qualcosa che si è imposto attraverso di noi. Berit (alleanza) Con questo
temine si indica il particolare rapporto instaurato da Dio con il Suo popolo.
L’alleanza sulla quale si basa la teologia ebraica, è quella conclusa tra Dio e
Abramo - (Genesi 17:4), riconfermata poi con Isacco e Giacobbe, ma soprattutto
quella stipulata con Mosè e con il popolo d’Israele sul monte Sinai - (Esodo 19 e
segg.). Si tratta di uno scambio di promesse tra Dio (la terra promessa) ed il
popolo d’Israele - (ubbidienza all’unico e vero Dio). Il patto di alleanza che Dio ha
concluso con l’umanità attraverso il popolo prescelto, ovvero Israele. Esiste un
solo Dio, creatore di tutto, e che ha scelto un popolo con il quale ha concluso un
patto. Tutta la storia di Israele è la storia di un’alleanza tra il Creatore e l’uomo.
Ma come tutti i patti, tipo matrimonio, uno dei due viene meno alla fedeltà,
ovvero Israele, e il tradimento è l’idolatria. Questo patto a cui Dio è sempre fedele,
viene trasgredito sempre da Israele. Questa dimensione viene superata con la
scelta, ovvero l’alleanza con Abramo, fondazione del popolo di Israele. Il popolo
ebraico nasce con il patto con Abramo, e con la circoncisione che diventa il segno
dell’alleanza tra Dio e il popolo ebraico. Tutto ciò però non basta per fidarsi di
Dio, ed era pure stato liberato dall’Egitto. Allora Dio da un altro elemento, che è
la Legge, quella data a Mosè. Così mentre Abramo è il capostipite etnico, Mosè è il
capostipite legale. La Legge è quell’insieme di regole che regola la vita dell’uomo.
L’idea fondamentale della Legge è l’idea della purità, a cui si contrappone
l’impurità. L’impurità sta nelle cose, dipende dall’esterno. C’è una situazione nelle
cose che minaccia l’esistenza dell’uomo, dall’esterno verso l’interno, e la Legge
evita e contrasta questa impurità. Così la Legge è la manifestazione concreta
dell’alleanza tra Dio e il popolo di Israele. La Legge è presente in Esodo, Numeri,
Levitico e Deuteronomio. L’idea del patto è tradita sempre dall’uomo,
concretizzata con Abramo, la progenie e la circoncisione, e Mosè, la liberazione e
la Legge. Chiede la circoncisione per dare un segno di appartenenza. È presente
nella Genesi capitolo 17. Il patto che fa con Abramo è per tutta la popolazione,
con una superiorità ebraica. L’universalismo ebraico passa attraverso
l’appartenenza etnica (questione di etnocentrismo), invece nel cristianesimo salta
questa appartenenza etnica. Segno visibile dell’alleanza è la circoncisione.
Arriva un momento in cui il patto vacilla, non solo sulla fedeltà, ma quando le
cose si dicono, quando si parla, e come se il popolo di Israele si ribelli. Alla crisi
dell’ideologia del patto si risponde con la teoria messianica. Questa teoria che
dovrebbe essere iniziata nel tempo della cattività babilonese, VII secolo, e il
ritorno nel VI secolo. C’è uno scombussolamento in Israele e bisogna quindi
ricostruire. Si comincia con l’edilizia, e quindi con il Tempio, e poi con l’ideologia,
e si studia una nuova idea di patto, ovvero la teoria messianica, formulata in età
quindi babilonese, che però viene retrodata ai tempi originari “riscrivendo” i testi
precedenti, come al tempo di re Davide, X secolo a.C. [Mashìach: Consacrato,
unto. All’origine, nell’Antico Testamento, designava i re (gli “Unti dal Signore”) e i
sacerdoti. In seguito, il termine indicò il Messia in senso proprio, la cui
apparizione sarebbe la diretta anticipazione del “mondo a venire”. La traduzione
greca è Christòs, da cui Cristo, “colui che è unto”.] La teoria messianica dice che
un re, che è una condizione indispensabile, instaurerà un regno che non sarà
limitato alla storia, caratterizzato da una nuova giustizia e da un nuovo
“benessere”. Questo re sarà discendente del re Davide, che è il primo dei re di
Israele. Questa è presente nella profezia di Natan, (profeta) nel Secondo libro di
Samuele, cap.7,8 “Ora, dunque, dirai al mio servo Davide: Così dice il Signore
degli eserciti: «Io ti ho preso dal pascolo, mentre seguivi il gregge, perché tu fossi
capo del mio popolo Israele.»”
In tutte le religioni ci sono dei movimenti vari: uno può essere quello del male
presente già prima dell’uomo, una presenza metafisica, e questa idea prende il
nome di apocalittica, chiamati così dal II secolo d.C. Non c’è solo un gruppo
apocalittico, ma tanti con varie visioni. Il gruppo più vicino agli apocalittici sono
gli esseni. Gesù storico ha uno stampo apocalittico. Un gruppo sicuramente
apocalittico è quello del Battista, con il nuovo rito del battesimo, tipico anche
degli esseni. L’ebraismo è una varietà di idee, di dottrine. Un gruppo politico è
quello degli zeloti.
La storia di Israele: prima le tribù nomade, schiavi di Egitto nel XIV secolo a.C.,
portati poi in Palestina, poi i Giudici, e poi nel X secolo a.C. abbiamo
l’unificazione delle tribù, e successivamente i Re, e quindi un regno, con la scelta
di una capitale, Gerusalemme, scelta da Davide, e poi la costruzione del Tempio,
costruito da Salomone figlio di Davide, dove sta Dio. A metà del regno abbiamo i
babilonesi nel VII secolo a.C. Il regno viene diviso in due, nord e sud, Giudea e
Galilea. In età ellenistica passa sotto i successori di Alessandro, i diadochi di
Siria, i Seleucidi, come il re Antioco. siamo nel III e IV secolo a.C. Questo fu un
periodo pessimo per gli ebrei. Comincia una resistenza interna contro i siriani, si
chiama “rivolta dei Maccabei” o “rivolta maccabaica”, III e II secolo. Poi ci fu la
conquista di Pompea, conquista romana, I secolo a.C., Erode divenne un monarca
al soldo dei romani. In questo periodo, quei movimenti degli zeloti, politico
religiosi, sono sia anti edoriani sia antiromani, iniziano a rivoltarsi. Dopo che
Gesù muore, abbiamo due spedizioni punitive: quella di Tito, che distrugge il
Tempio, nel 70 a.C., deportando tutti i tesori presenti. Con la distruzione del
Tempio, muore la religione classica di Israele. La seconda spedizione punitiva è
quella di Adriano, che distrugge la città di Gerusalemme, e per dimostrare la
necessità di cancellare la memoria chiamerà la città Elia Capitolina, nel 132 d.C.
dopo sono rimasti solo piccoli gruppi zeloti che si uccideranno di fronte ai romani,
che ci narrerà poi Giuseppe Flavio nel Bellum Iudaicum.
La teoria messianica nasce al ritorno dalla cattività babilonese, o poco prima
quindi in coincidenza. In questo periodo di ripensa la nozione ebraica di patto. Se
il patto tra Dio e l’umanità nella Genesi, poi con Abramo il patto diventa tra Dio e
un popolo, poi con la teoria messianica prende una nuova forma il patto. La
versione più antica di questo nuovo patto, della “ideologia” profetica, la troviamo
al capitolo 11 del libro di Isaia, “Il Messia re di pace”. Secondo la profezia, si
richiama alla famiglia di Davide, la consacrazione e appartenenza a Dio grazie allo
Spirito, e piacerà a Dio, perché ascolterà e obbedirà a Dio, sarà giusto e opererà
secondo Giustizia, e sotto di Lui accadranno prodigi straordinari. Questi prodigi
sono espressi secondo una figura retorica: “adunaton”. Come riconoscere il
messia? Capitolo 7,10 di Isaia. “10Il Signore parlò ancora ad Acaz: 11«Chiedi per
te un segno dal Signore, tuo Dio, dal profondo degli inferi oppure dall'alto». 12Ma
Acaz rispose: «Non lo chiederò, non voglio tentare il Signore». 13Allora Isaia disse:
«Ascoltate, casa di Davide! Non vi basta stancare gli uomini, perché ora vogliate
stancare anche il mio Dio? 14Pertanto il Signore stesso vi darà un segno. Ecco: la
vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele.” Il termine
“giovane donna” in ebraico, alma bethula, e in greco, neanis partenos, che vuol
dire vergine, ripreso nel capitolo 2 di Luca. I due passi di Isaia e la profezia di
Natan sono le fondamenta della teoria messianica.
I profeti chi sono? Il profetismo è un fenomeno storico, ed entra in gioco dall’esilio
babilonese, Isaia è il più antico, VIII-VII secolo a.C. ed è la coscienza critica del
popolo, aveva il compito di ricordare al popolo che il patto viene tradito. La parola
profeta viene dal greco pro femi, parlo davanti a tutti, parlare chiaro.
Excursus: il primo testamento è un insieme di libri sacri e ispirati per ebrei e
cristiani, gli ebrei la chiamano Bibbia, i cristiani Antico Testamento. I libri della
Bibbia sono 73, dell’antico sono 46 e del nuovo sono 27. Del vecchio si dividono
in libri storici, libri sapienziali poetici e profetici. Il nuovo testamento sono 5 libri
storici, vangeli e atti. Poi i sapienziali in forma di lettere, e sono 13 lettere
attribuite a Paolo, più una lettera, quella degli ebrei, e 7 lettere attribuite ad altri
Apostoli, dette Cattoliche. 1 Apocalisse, tipico profetico.
I vangeli apocrifi, termine che vuol dire “nascosti”, sono meno teologici e più
narrativi, non tutti uguali e simili. Ad esempio, sulla storia della verginità e del
parto ci costruiscono delle storie, come la storia della levatrice e della mano ferma
poi guarita. Anche i vangeli apocrifi parlano della verginità.
… dopo la morte di Gesù, i gruppi che credono in Lui sono diversi, e si
differenziano. Il primo cristianesimo è infatti plurale, con visioni diverse di Gesù
Cristo. Per alcuni gruppi Gesù è divino, è Dio. Per gli ebrei così è possibile che
abbia un corpo? È possibile allora che possa essere morto? Allora viene elaborata
la teoria del “docetismo”, (termine che deriva da “dokeo” ovvero sembrare,
apparire) che credeva che il corpo di Gesù fosse materia astrale, che sembra vera
ma non lo è. Altri credono che il corpo di Gesù fosse vero e che per un tratto della
sua vita fu invaso dal Divino col battesimo ed evase al momento della sua morte.
Quindi apparente o il corpo o la divinità, fatto sta che nessuno credeva ad … e di
questa teoria ne risentono i testi delle lettere di Ignazio di Antiochia e il testo
“Ascensione di Isaia”, tutti testi del primo secolo d.C. e presenti ad Antiochia.
Questione del docetismo per i non docetisti: il corpo di Gesù è un corpo risorto, è
il corpo post resurrezione con tutte le caratteristiche di un corpo ma ha delle
possibilità che gli vengono dalla resurrezione. Il corpo risorto è perfettamente
ortodosso, è nella normale lettura della resurrezione, ovvero che si mantiene il
proprio corpo con delle caratteristiche nuove, mentre per il docetismo il corpo di
Gesù era un corpo apparente. Si aggiunge però che Giovanni stava in luoghi in
cui il docetismo circolava, era presente, nonostante lui non fosse docetista. Gv.
20,19 “19La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le
porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù,
stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». 20Detto questo, mostrò loro le mani e il
fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore.” è utile per la questione del
risorto e del corpo.
Si apre una parentesi riguardo all’uso della parola Giudei, che ci indica
innanzitutto un’altra realtà, ovvero quella dei Giudei, e che è già avvenuta quella
divisione tra giudei e cristiani. Ci fa notare che ci sono i Giudei e dei quali non si
sente parte, e si va così a confermare alla propria identità. Al tempo del vangelo di
Giovanni l’identità cristiana era già formata, e si faceva divisione tra “noi” e “loro”.
Tanakh: Acrostico che indica l’insieme delle tre parti (i 24 libri sacri) della Bibbia
ebraica. Ta.Nà.Kh, è la parola composta dalle iniziali di queste tre parti. La
Bibbia, o Scrittura, (Mikrà) si divide in tre parti principali: il Pentateuco (Torà), i
Profeti (Neviìm), gli Agiografi (Ketuvìm). La Torah è formata da 5 libri e per questo
essa è anche chiamata Pentateuco. Fu scritta da Mosè su ispirazione divina e
contiene le leggi del popolo ebraico e la sua storia fino alla morte di Mosè. I 5 libri
sono: Genesi (Bereshìth); Esodo (Shemòth); Levitico (Vaikrà); Numeri (Bemidbàr);
Deuteronomio (Devarìm).
La Tanakh indica i tre gruppi di libri che per gli ebrei costituiscono la Bibbia,
l’antico testamento per i cristiani. Bibbia non è una parola ebraica, ma greca, da
ta biblia, “i libri”. Gli ebrei non usano il termine bibbia, ma lo prenderanno poi
dal mondo greco verso la fine della loro storia. La Tanakh è l’insieme della Torah,
che è la Legge attribuita a Mosè, che è la prima parte. La seconda parte sono i
Nevim, (finale in “im” vuol dire plurale) e sono i libri dei profeti, con una accezione
più ampia da dare a questa parola. La terza parte sono i Ketuvim, cioè gli scritti.
T N K = tanakh. Si precisa ciò perché quando ci sarà la traduzione, con l’aggiunta
delle vocali, non presenti in ebraico, e i testi saranno detti masoretici. Il testo
biblico originariamente era con la mancanza di vocali, e la traduzione ha portato
poi all’aggiunta delle vocali, con la bibbia masoretica.
Il primo gruppo, torah, Legge, è l’espressione del patto. La Legge è un tutore che
serve all’uomo ormai caduto nel peccato di Adamo, ad arginare gli effetti negativi
del peccato. La Legge è fatta da una serie di prescrizioni di norme che regolano la
vita dell’ebreo in ogni momento, dalla sua nascita alla sua morte. Da questo
punto di vista la religione ebraica è una religione dell’orto prassi, di un retto
agire. La Legge si divide in cinque libri, cinque rotoli, ovvero il Pentateuco, penta
uguale cinque e Teucos ovvero rotoli. I cinque rotoli sono Genesi, Esodo, Levitico,
Numeri e Deuteronomio. Questi libri sono la storia del rapporto dell’uomo con
Dio, e poi con il popolo di Israele. Il primo rapporto con l’umanità presente nel
primo libro, poi con il popolo di Israele dall’Esodo in poi. Sono i libri al centro
della liturgia ebraica. Genesi è l’inizio dell’umanità, Esodo, dal greco exodus, è
uscita dall’Egitto, vicenda storia avvenuta nel XIV secolo a.C. Levitico è
l’istituzione dei sacerdoti dalla tribù di Leviti. Numeri perché è un libro dove si
elencano dei numeri, ad esempio comincia con il censimento del popolo di Israele.
Deuteronomio, significa “libro della seconda legge”, è un libro originariamente
frutto di prediche di espressione di gratitudine del popolo di Israele per Dio, ed è
la seconda legge, detta predicata. Tutti questi libri storici che sono ispirati e
quindi con una visione teologica. E partono da Giosuè fino all’epoca ellenistica.
Seguono poi i Nevim, ovvero i profeti, che si dividono in profeti anteriori e
posteriori. Nella religione ebraica non c’è divisione tra libri storici e profetici,
perché la storia è sempre profezia. Dopo gli anteriori ci sono i libri dedicati a
figure singole. Il secondo gruppo dei posteriori è quello dei gruppi dei profeti veri e
propri per i cristiani e i greci. Questi sono i libri profetici che chiudono l’antico
testamento.
In mezzo a questi ci sono i libri sapienziali e poetici: Giobbe, Salmi, Proverbi,
Ecclesiaste, Cantico dei cantici, Sapienza di Salomone, Ecclesiastico;
costituiscono il terzo gruppo dei Ketuvim. Alcuni di questi libri sono più tardi, di
età ellenistica. I libri scartati dagli ebrei, e inseriti nel canone cristiano, sono detti
deutero-canonici.
Il canone ebraico esclude tutti i libri non scritti in lingue semitiche, come ebraico
e aramaico, che sono cronologicamente più tardi, ed è un canone che insiste sulla
propria identità, che l’ebreo ha più volte rischiato di perdere a causa dei vari
contatti, che hanno generato nuove realtà culturali, un fenomeno detto ibrismo.
Ad esempio, la fusione tra il mondo greco ed ebraico, nel 3 secolo a.C., ha dato
vita ad un nuovo mondo, e una nuova cultura, ad esempio si può notare una
nuova visione dell’uomo, nel rapporto anche con Dio, con nuove domande anche,
un esempio è il libro di Giobbe. Quest’ultimo si interroga sul male, in particolare
per l’uomo giusto. Allo stesso modo anche l’Ecclesiaste. Ed in questo clima che
matura il movimento apocalittico. I movimenti apocalittici pongono la questione
di capire l’origine del male e di trovare una soluzione ad essa. Non nei termini in
cui l’ebraismo storico lo aveva affrontato con la questione adamitica, ma in modo
nuovo, arrivando quindi a vedere il male come una realtà preesistente all’uomo,
prima dell’uomo, che contrasta la stessa azione proposta dal divino. Nascono
allora una serie di piccoli gruppi, diversi tra loro, accumunati tutti dall’idea che
questo mistero sarà svelato, e l’uomo potrà vivere in una realtà tipica del testo di
Isaia in termini spirituali. Questa visione nasce nel periodo di contatto con il
mondo greco.
Il canone è una selezione, un contenitore di testi che per una qualche ragione si
distinguono da altri. La parola canone indica dei testi che qualcuno ha distinto
da altri. Il termine viene dal greco canon che vuol dire canna, una unità di
misura, è l’espressione di una misura. I libri che sono dentro il canone sono detti
ispirati, i libri fuori non sono ispirati. Il canone ebraico è più stretto di quello
cristiano, ovvero di 24, invece quelli cristiani sono 46. Gli ebrei hanno realizzato
un canone preciso quando i cristiani hanno iniziato ad “impadronirsi” dei libri
ebraici. I canoni sono 3: il canone ebraico, il canone cristiano latino, il canone
greco o della bibbia dei 70, che fa riferimento alla traduzione realizzata in
Alessandria di Egitto durante i Tolomei, tra il 3 e il 2 secolo a.C. dall’ebraico al
greco. È in questo luogo, e in questo periodo, la comunità ebraica della diaspora
commissiona una traduzione della Bibbia per mantenere le proprie radici ebraico
religiose. È una traduzione che fu un lungo processo, quasi un secolo. La
traduzione dei 70 aveva anche un canone, che è allargato, perché vengono
compresi i testi scritti anche in greco rifiutati dal canone ebraico. Questi
deuterocanonici sono ritenuti apocrifi dai protestanti, e per i protestanti i nostri
apocrifi sono detti pseudoepigrafi.
Tra l’esilio e il ritorno di Babilonia, VII e VI secolo, si presenta il movimento
profetico, unico nell’ebraismo. Il profetismo non è la profezia del futuro, ma è il
profeta è colui che parla per incarico divino. Se si vuole essere precisi, il profeta è
un interprete della storia reso tale da Dio, a cui Dio da’ gli strumenti per
interpretare la storia. Il profeta ha due aspetti: il raggiungimento e l’incontro con
Dio, e quindi il profeta è un recettore del messaggio divino; il messaggio spesso
comporta delle rinunce nella vita del profeta, rinunce storiche, come il mancato
sposalizio, oppure la sofferenza, (la profezia è un carisma, è un dono) e per di più
l’uccisione. Il profeta ha il compito di richiamare l’attualità e la verità del patto,
dell’alleanza. Se il profeta è chiamato a ciò, vuol dire che il patto è stato
trasgredito, e solitamente soggetto di richiamo è la comunità di Gerusalemme. La
profezia è una grande conferma del patto, lo rafforza, e mettono in discussione
l’uomo che non lo rispetta. La profezia è anche un forte richiamo identitario,
anche perché una parte ebraica se ne va con Babilonia, e un’altra parte si sposa
con le donne dell’uomo e porta alla contaminazione della propria identità. Il
profeta profetizza attraverso la parola, che è altamente simbolica, a denotare che
la sfera di interesse non è razionale, di azione, e giova la sua parola sul registro
del simbolismo, sembra dire una cosa ma ne vuole indicare un’altra, facendo
appello all’irrazionale, all’emozione. È una riscrittura del patto in termini nuovi.
L’apocalittica nasce nel solco del profetismo, quindi il linguaggio apocalittico sarà
irrazionale e simbolico, molto di più di quello profetico, va un passo avanti e
cambia il discorso profetico precedente. L’apocalittica ripensa il patto, lo trova
ingiusto, non acconsente allo schema del patto, e supera la visione angusta di un
patto squilibrato, in cui l’uomo è vittima due volte, prima con Adamo, e poi con sé
stesso. Gli apocalittici adesso protestano, e non confermano il patto come i
profeti, ma tutti e due sono accomunati dallo stesso linguaggio, simbolico,
irrazionale, evocativo. Per gli apocalittici verrà un giorno in cui sarà fatta
giustizia, e l’uomo è vittima, ed è una visione evasiva, e scardina il sistema.
L’apocalittico è una partenza dal basso, e ha una prospettiva nel futuro. Tra il 3 e
l’1 secolo a.C. una serie di gruppi la pensano secondo la visione apocalittica, ma
non avevano il nome che gli diamo noi oggi, ed erano gruppi abbastanza
marginali e piccoli, di cui non ci parla ad esempio Flavio Giuseppe. Noi li
conosciamo in parte grazie ai manoscritti del mar Morto, quando negli anni 40
del ‘900 un pastore trovò dei rotoli in una caverna di qumrann. Tra questi gruppi,
solo il gruppo dei discepoli di Cristo avrà la fortuna. Il nome apocalittici, con il
quale li abbiamo chiamati successivamente, deriva dalla prima parola dell’opera
di Giovanni, Apocalisse, ovvero “rivelazione” termine che deriva dal greco
apokalupsis, che vuol dire “togliere il velo”, vuol dire solo scoprire il mistero.
L’opera di Giovanni, I secolo d.C. dà il nome a questi gruppi, la parola viene
retroproiettata alla fase dei gruppi cosiddetti apocalittici. Anche il gruppo di
Giovanni il battista è un gruppo apocalittico. Anche Gesù ha qualche
caratteristica apocalittica, ma non è apocalittico. Con questi gruppi siamo di
fronte ad un fenomeno particolare: questi gruppi che non vengono mai nominati
in quel tempo, successivamente nominati con quella parola utilizzata da Giovanni
nel ‘900. L’apocalittico è una forma di pensiero, un movimento, e consiste nel
ritenere il male preesistente all’uomo e che l’uomo ne è vittima, che poi sarà vinto
il male e sarà fatta giustizia. In quel periodo è un pensiero eversivo e marginale.
Si data l’inizio dal III secolo, e la prima traccia scritta del II secolo a.C. Con il
nome apocalittico si indicano gruppi storici concreti, i quali professavano in
forma varie un pensiero apocalittico. Con apocalittico ci si riferisce a scritti ed
espressioni di quelle comunità. Gli scritti apocalittici sono rimasti fuori dal
canone, quindi apocrifi, adesso detti scritti “intertestamentari” e ci sono pervenuti
in lingua aramaica, e in traduzioni molto molto più tardi, in lingue particolari,
come quell’etiopica o la siriaca. Scritti in queste lingue perché così non facilmente
consultabili. Un caso è il Pentateuco di Enoc, che è una visione diversa a quella
del Pentateuco biblico, ed esprime un pensiero apocalittico. Enoc è un
personaggio biblico, presente nella genesi, patriarca prediluviano. Sono attribuiti
ad Enoc perché il personaggio è un simbolo di rivelazione, in quanto fosse colui
che passeggiava con Dio e quindi conoscesse tutti i segreti. E poi ci sono tanti
libri altri apocalittici. Ma questo pensiero apocalittico è penetrato anche nella
Bibbia, e lo possiamo ritrovare nel libro di Daniele, un passo in greco aggiunto
successivamente, al capitolo 7 “13Guardando ancora nelle visioni notturne, ecco
venire con le nubi del cielo uno simile a un figlio d'uomo; giunse fino al vegliardo
e fu presentato a lui. 14Gli furono dati potere, gloria e regno; tutti i popoli,
nazioni e lingue lo servivano: il suo potere è un potere eterno, che non finirà mai,
e il suo regno non sarà mai distrutto”. Al capitolo 7 abbiamo una visione, quindi
abbiamo la presenza di un veggente, che riguarda il futuro, e svela il mistero,
perché in questa forma può parlare del presente, parla quindi del presente in
chiave futura, scritti in maniera simbolica. Usa il simbolo e il tempo futuro, in
luogo del presente. (Giovanni, ad esempio, da un’interpretazione del passato e del
presente, in chiave futura, e lo fa utilizzando le categorie degli ebrei.) Elemento
dell’apocalittico sono la presenza del soggetto, e il guardare, che richiama la
visione. “vegliardo si assise” richiama l’eternità nei giorni. C’è un simbolismo di
elementi e colori quindi cromatico, un simbolismo del potere, simbolismo
numerico, simbolismo zoomorfico (tipico orientale, che si usano le bestie per
rappresentare il divino). Al versetto 13 si tratta del Figlio dell’uomo, che è nato
dall’uomo ma non è più uomo. Andiamo al vangelo di Matteo 24,29 “29Subito
dopo la tribolazione di quei giorni, il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua
luce, le stelle cadranno dal cielo e le potenze dei cieli saranno sconvolte. 30Allora
comparirà in cielo il segno del Figlio dell'uomo e allora si batteranno il petto tutte
le tribù della terra, e vedranno il Figlio dell'uomo venire sulle nubi del cielo con
grande potenza e gloria”. Abbiamo una premessa iniziale: i fondamenti cosmici si
esauriranno, e verrà il Figlio dell’uomo. Poi Matteo 25,31 “31Quando il Figlio
dell'uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della
sua gloria.” Poi Apocalisse cap.4,1-3 “1 Poi vidi: ecco, una porta era aperta nel
cielo. La voce, che prima avevo udito parlarmi come una tromba, diceva: «Sali
quassù, ti mostrerò le cose che devono accadere in seguito» 2Subito fui preso
dallo Spirito. Ed ecco, c'era un trono nel cielo, e sul trono Uno stava seduto.
3Colui che stava seduto era simile nell'aspetto a diaspro e cornalina.” Presenza
dell’anziano negli anni, vegliardo. Presenza di simbolismo di pietre preziose,
simbolismo numerico, simbolismo cromatico, simbolismo zoomorfico.
Apocalisse 1 prologo “1Rivelazione di Gesù Cristo, al quale Dio la consegnò per
mostrare ai suoi servi le cose che dovranno accadere tra breve. Ed egli la
manifestò, inviandola per mezzo del suo angelo al suo servo Giovanni, 2 il quale
attesta la parola di Dio e la testimonianza di Gesù Cristo, riferendo ciò che ha
visto.” Il fatto che sia citato Gesù significa che c’è la differenza ormai tra ebrei e
cristiani, ormai c’è stata la divisione precisa. Poi può essere che lo stesso Gesù
rivela, oppure che è lo stesso Gesù l’oggetto della rivelazione. La rivelazione è
sempre di Dio, e la dà affinché sia mostrato ai suoi servi ciò che dovrebbe
accadere. Queste rivelazioni di Giovanni sono già accadute ma vengono rivelate
con una visione nel futuro. Gli eventi precisamente sono “già e non ancora”, già
ne sono successi alcuni e altre ancora no, perché la pienezza dovrà ancora
arrivare. (perché è stata scritta? Secondo il prof. viene scritta per lasciare l’ultima
parola, messaggio nella bottiglia, del gruppo giovanneo che era marginale e
profetico, inizialmente potente, ma che poi è stato sconfitto). Una differenza è che
mentre nel profetismo si ascolta, adesso nell’apocalisse si vede, si ha quindi un
veggente preciso. Una delle caratteristiche è l’idea del tempo vicino, del
compimento dei tempi vicini, che era anche nel messaggio di Gesù. In realtà nei
Vangeli si trovano due concetti: una, nei sinottici, che la fine sarebbe imminente,
ovvero la fine della storia e l’inizio del tempo nuovo; la seconda, in Giovanni,
sembra che Gesù sposti in avanti senza termine questa fine. Il fatto che i tempi
siano ormai alla fine è importante perché rivela la percezione di una fragilità del
presente, dove al centro c’è il senso della crisi, e ciò dà forza ad una parola che
parla di un futuro escatologico, non storico. Quando Gesù predica, esempio delle
beatitudini, queste opposizioni per chi ascoltava erano prossime, vicine. Questo
spiega anche il fatto che intorno a Gesù si compiano dei miracoli, che non sono la
prova del superomismo e neanche la performance magica, ma sono i segni del
suo essere messianico, essere divino, del fatto che Lui può operare in nome del
Padre che lo ha inviato, ma quei segni sono possibili perché ci si avvicina ai tempi
nuovi, e originari. La maggior parte dei miracoli sono guarigioni, e rappresentano
la cancellazione della condanna alla malattia ricevuta col peccato originale. I
tempi che si avvicinano sono i tempi di rigenerazione e riequilibrio esistenziale
dell’umanità. Poi i messianici vedevano questo come un recupero politico, il regno
di Davide, invece per i messianici invece era una rigenerazione dell’umanità
intera. Quindi che i tempi sono vicini è un concetto del primo cristianesimo, di un
compimento imminente. Per gli uomini e le donne che avevano ascoltato Gesù era
una parola vicina, normale. Gesù alla vigilia della sua morte aveva detto che Lui
sarebbe andato e poi ritornato a breve, e questo ritorno viene detto Parusia, da
pareimi, ovvero sono presente. La parusia è il ritorno di Gesù come il ritorno del
Figlio dell’uomo di Daniele con il giudizio universale. La parusia però non avviene,
Gesù non torna (secondo lo schema) e questo fu uno dei primi problemi dei primi
cristiani. E le risposte furono due: una è quella del gruppo giovanneo, che
rassicura, che i tempi sono cambiati, c’è già e si completerà. La seconda risposta
la darà Paolo nelle Lettere ai Tessalonicesi (1Riguardo alla venuta del Signore
nostro Gesù Cristo e al nostro radunarci con lui, vi preghiamo, fratelli, 2di non
lasciarvi troppo presto confondere la mente e allarmare né da ispirazioni né da
discorsi, né da qualche lettera fatta passare come nostra, quasi che il giorno del
Signore sia già presente. - 1Riguardo poi ai tempi e ai momenti, fratelli, non avete
bisogno che ve ne scriva; 2infatti sapete bene che il giorno del Signore verrà come
un ladro di notte.) ovvero che dei tempi ultimi non ci deve interessare, ma che
Gesù è già tra noi, perché laddove c’è una comunità nata nel Suo Nome, e quella
comunità sono le membra di un corpo di cui Cristo è il capo, una visione
ecclesiastica. Queste due sono le soluzioni al problema storico della parusia.
Quando parliamo di tempo, anche in senso religioso, bisogna distinguere diverse
categorie. L’idea giudaico cristiana è che esista il tempo di una storia dell’uomo
che è rettilineo, che inizia per gli ebrei con Abramo, nella visione cristiana ha
inizio con Adamo. Abramo è l’inizio anche del calcolo cronologico ebraico, per i
cristiani poi è Gesù. Questo tempo rettilineo dell’uomo, nella visione ebraico
cristiana, è preceduto da una fase che pur essendo storica, cioè vera, non è
definibile, cronologica, ed è il tempo della protologia, dalla creazione alla caduta
di Adamo, alla prima storia dell’umanità fino ad Abramo. La storia dell’uomo è un
segmento di cui una prima parte è sfocata, ma che è fondamentale. Noi siamo
quello che ci ha consegnato la protologia. Nella visione ebraica, un tempo dopo è
confuso, è una escatologia diversa da quella cristiana, e semplice, basata sulla
storia anche. L’escatologia cristiana è in evoluzione. Sia gli ebrei che i cristiani
che il tempo è la linea retta con la protologia, il tempo, e la escatologia. Il tempo
ha un centro (ideologico), un punto zero, ed è la venuta di Cristo, di Dio che si
incarna. Tutto ciò che avviene prima è qualcosa di mancante, quella dopo è
caratterizzata da una Presenza, ed era anticipato e prefigurato da qualcosa.
Attraverso questa visione Paolo afferma che tutto ciò che c’era prima dello zero
anticipava e prefigurava, e si chiama teoria tipologica. Oltre alla teoria tipologica,
un’altra visione è quella che tutto ritornerà ad essere era all’origine del tempo, ed
è una visione circolare che si innesca in quella rettilinea, e questa idea sarà
esposta poi da Origene, e porta quindi alla distruzione dell’inferno.
Nella comunità dei seguaci di Gesù si hanno i carismi di Cristo. Successivamente
i carismi creano problemi. Dopo la morte di Gesù, agli inizi, gli equilibri restano
positivi, guidati infatti dagli apostoli carismatici, (come precisa Luca negli Atti) ma
poi con Paolo la questione cambia. In primis perché Paolo non era un apostolo,
anzi era inizialmente un persecutore. E con Paolo poi finisce il discorso dei
carismi, nella comunità non contano più. E che fine fanno quelli che sono
carismatici? Vengono emarginati. Con Paolo è prevalsa la linea istituzionale,
rispetto a quella carismatica di Giovanni.
Luca 8. Gesù un derasinè, senza radici, sdradicato. La sua caratteristica è andare
nei suoi villaggi ed utilizzare l’ospitalità della gente, vive dell’accoglienza degli
altri, ed è una missione itinerante, per la maggior parte nella parte nord della
palestina, con capitale Nazaret, città da cui proveniva, da cui deriva il Nazareno.
Qualcuno interpreta il nome come un errore derivante da Nazoreo, ovvero quelli
che non possono avere figli che per avere dei figli si votavano al Signore, con la
caratteristica ad esempio di restare vergine e con i capelli lunghi. Annunciava la
buona novella, il vangelo, del regno, quel regno apocalittico in cui le situazioni si
ribalteranno. L’articolo i a dodici specifica il gruppo, non è un generale. Con la
presenza delle donne, Gesù rivoluziona e rompe la divisione tra maschi e femmine
ben precisa. Gesù ha dietro di sé delle donne, ben precise anche. Quindi il
movimento di Gesù è costituito dal leader carismatico, dagli apostoli e le donne.
Secondo il prof gli spiriti immondi erano al tempo le malattie psichiatriche, che
emarginavano le donne perché ritenute invasate. Tra queste donne si ricordano la
Maddalena, Giovanna, ovvero la moglie dell’amministratore di Erode, e
probabilmente ripudiata per vari motivi, e quindi anche essa emarginate. Le
donne nel gruppo erano coloro che mantenevano, sostenevano, il gruppo di Gesù.
Luca 9. Missione vuol dire mandato. Gesù dona i carismi agli apostoli, ovvero
l’esorcismo e la guarigione. Il motivo, per cui ha dato i carismi, è per offrire i segni
del nuovo tempo, per operare i segni in testimonianza del regno. Era una
missione senza possesso, basata sull’ospitalità, libero. Ci spostiamo su Mt. 10. E
ci soffermiamo sull’elenco degli apostoli. Abbiamo delle tradizioni diverse, essere
messo prima vuol dire essere il più importante. Inviato = apostolo, da apostello =
inviare. Atti 2 pentecoste. Gli apostoli sono visti come Galilei, ma ci sono poi gli
ebrei della diaspora giunti per la pasqua ebraica a Gerusalemme. Atti 1.12-14,
ritroviamo gli undici, le donne e Maria a capo del gruppo, al posto di Gesù. Il
miracolo della glossolalia prodotto dallo Spirito, sono oggetto di un carisma, sono
investiti. Atti si sceglie il 12esimo, sulla base del fatto che doveva essere tra di
loro e con Gesù. Si utilizza il carisma della sorte. Si ritorna ai dodici apostoli. Atti
6. Gli apostoli gestiscono, e sono carismatici, e una vita comunitaria e tutto
comune, ma il numero dei discepoli. Inizia uno scontro interno tra gli ebrei di
palestina e quelli di asia minore, detti ellenisti perché parlavano greco. Il termine
ellenismo viene da questo paso. Il motivo della disputa è il denaro. Qui per la
prima volta c’è una divisione dei compiti, gli apostoli predicano e pregano, e i
diaconi di origine greca al ruolo pratico delle mense.
Vediamo come viveva la comunità. Luca scrive negli 80 con gli Atti, e descrive gli
anni che vanno dal 30 fino al 60. Paolo vive e scrive prima di Luca, con una
visione molto complessa, intorno al 50. Luca probabilmente non visse quegli
anni, ma rielabora materiale originale. Atti 4, 32 ci dice come viveva la comunità
originaria. Il modello economico è il “comunismo”, mettevano in comune i loro
beni. Con i carismi, e i miracoli successivi, questi segni, accreditavano la
testimonianza del Cristo risorto. Se si sceglieva di seguire Gesù, si vendeva tutto
e si distribuiva tutto secondo i vari bisogni. Atti 5. Anania è un esempio di chi
invece non era tanto contento. Atti 5,12 si tratta del potere dei carismi, tutti
questi finalizzati agli annunci.
[Le lettere di Paolo sono delle Epistole inviate alle varie comunità, e sono lette
durante le prime liturgie. L’apocalisse è costituita da gruppi testuali formati sul
numero 7. È come se l’apocalisse affrontasse una visione totalizzante della realtà,
attraverso varie tappe a 7 a 7. Il 7 è la cornice simbolica.]
Paolo, Corinzi (57, 58 d.C.) (comunità greco pagana) 12. Questo capitolo è
successivo ai tempi trattati negli atti. Si tratta dei carismi che sono vari, come
anche i ministeri. Il fatto che si precisano le differenze è perché nelle comunità ci
sono delle divergenze, magari per protagonismo e pretesa. E si precisa la stessa
identità, nessuna superiorità, ma tutti in Cristo. In questo capitolo siamo di
fronte ad una fotografia in cui si rompe la comunità, dove i carismi purtroppo
non aggregano ma disgregano, perché non vengono usati per il bene comune, per
l’edificazione. Vediamo varietà, ovvero poikilia. Il discorso esemplare di Paolo è
frutto dei suoi studi classici e di retorica. Atti 12, 27 Leggiamo l’idea paolina della
comunità, ecclesia. È la varietà che permette la forza alla comunità, ma la via
migliore è la carità.
Epistola a Tito non è paolina, forse inizio 2 secolo. Tito 1,5. Vediamo che è
cambiata la sistemazione della comunità, con l’istituzione dei presbiteri, gli
anziani, con una buona fama, quindi irreprensibile, con una sola moglie, e con
figli credenti. Appare per la prima volta la parola dell’episcopo, ovvero l’episcopato
monarchico, che sostituisce il carismatico, che deve essere con varie
caratteristiche: non arrogante, non collerico, ospitale, amante del bene, ecc. ecc.
che viene eletto. Si è così istituzionalizzata la comunità. Di fronte a questa
situazione, chi non è d’accordo viene emarginato. Dopo un secolo circa la
comunità viene istituzionalizzato. Siamo così alla fine del primo secolo d.C.
Condanna a morte di Gesù, che quadro ci prospettano gli evangelisti, negli anni
30 d.C. MC. 14,43 marco non parla di farisei e sadducei, ma indica l’elitè
sacerdotale. Il bacio è un segno di affiliamento, di riconoscimento del gruppo, non
è affettivo. MC. 14, 53 il sommo sacerdote è dei sadducei, gli scribi coloro che
copiano la legge, e gli anziani sono i maestri. Mc. 14, 56 ragione
dell’imprigionamento di Gesù è il fatto di aver bestemmiato, alludendo ad una
distruzione del Tempio e proclamando la ricostruzione in tre giorni. Nel corso dei
vangeli Gesù fa riferimenti vari al tempio, quando quello storico della distruzione,
avvenuta poi nel 70, e poi invece del proprio corpo che è tempio, poi distrutto
ovvero ucciso e risorto. Questa è una bestemmia per il giudaismo perché si
arrogava meriti e azioni che solo Dio poteva compiere, ovvero distruggere e
ricostruire il Tempio. Così la bestemmia consiste nell’identificazione di Gesù come
Figlio di Dio. Sinedrio è una parola greca che richiama il senato, l’assemblea dei
sacerdoti. La condanna da parte giudaica è la bestemmia sulla unicità di Dio. La
condanna a morte da parte giudaica è quindi la sua proclamazione di Messia e
Figlio di Dio. Mc.15,1 si va da Pilato per la ratifica della condanna a morte. Pilato
non ha problemi religiosi, ma di carattere politico, e quindi era rischioso in
quanto parlava di essere re e quindi di un’insurrezione contro il governo romano.
La scelta di Barabba è sistematica perché vicino agli zeloti. Il fatto che Pilato
scelga Barabba al posto di Gesù era perché per Pilato Gesù fosse un capo popolo
pericoloso che si auto proclamava re. Mt.26,47 identificazione col passo di Marco.
Mc.26,57 identico con marco. Mt.27,11 identico con marco. Lc.22,66 identico.
Lc.23,1 qui di fronte a Pilato, Gesù viene accusato di non pagare le tasse, di
essere il Messia, e di essere re, ma quello che interessa al procuratore è il suo
essere re. E viene continuamente accusato di smuovere il popolo. E allora lo
manda dal vero re del tempo, ovvero Erode. Il problema è chiaro: accusa di
bestemmia, autoproclamandosi Figlio di Dio, rompendo così l’unicità di divina,
ma anche sotto aveva toccato il nucleo del potere sacerdotale, ovvero il denaro
presso il tempio. E poi la seconda accusa è quella di lesà maesta. Una ragione
intro giudaica, e poi romana. Notiamo un’esagerata accusa nei confronti dei
giudei, e quindi le prime e piccole opposizioni nei confronti dei giudei. Il quarto
vangelo è particolare, perché qui abbiamo la sostanziale differenza tra giudei e
cristiani. Gv.18,12 si precisa per bene la differenza e il distacco dai Giudei, di
tutto il popolo, non solo il gruppo di potere religioso. Con Caifa abbiamo una
ragione di opportunismo, e questo significa che per Giovanni è colpa di un popolo
intero per la morte di Gesù. Successivamente vediamo Gesù investito di carica
messianica. Gv.18,28 non entrano per contaminarsi perché i romani sono
considerati impuri. C’è una situazione di doppio diritto, quello degli ebrei, e quello
dei romani, il primo vale poco perché sono sotto i romani, e quindi non gli era
consentito ucciderlo. In Giovanni viene meno la condanna religiosa, ma vede la
situazione come condanna essenzialmente politica. Qui Gesù spiega per la prima
volta il significato del suo regno, ma a Pilato non interessa di questioni religiose
ecc. se non il fatto di essere re, una minaccia quindi per Roma. Gv.19,6 i Giudei
mettono Pilato alle strette, minacciandolo di denunciarlo a Cesare.
Con la morte di Gesù, i discepoli scappano via, e hanno paura. E questa paura
diventerà più grande con l’uccisione di Stefano. Un evento quasi marginale,
occupa il capitolo 7 degli atti, ma dovette essere comunque un fatto forte a livello
emotivo, che riportò in qualche modo la paura di un nuovo crocifisso. L’episodio
di Stefano è difficile da decifrare, e ce ne parla solo Luca. E in quale modo lavora
Luca? Atti, significa le cose fatte, i prodigi, i miracoli, tutto ciò che hanno gli
apostoli, ma non si occupa di tutti e dodici, per questo ci sarà una scrittura
apocrifa riguardo tutti gli altri apostoli. Luca si occupa solo di un apostolo, ovvero
Pietro. Ma a dimostrare che lo Spirito di Dio chiudeva la Chiesa, indipendente
dagli uomini e dalle sue azioni, pone un altro personaggio, che non era apostolo
ma a cui viene dato comunque il prestigio dell’apostolo, ovvero Paolo, quale altro
collaboratore del disegno divino della chiesa. Luca è uno storico, come ad
esempio Tucidide, probabilmente anche uno scienziato, dedotto del suo
linguaggio, e scrive in greco, e per Luca la storia è un progetto di Dio, una storia
divina, secondo una visione provvidenziale, ovvero che accada come desidera Dio.
Luca lavorava secondo un materiale diverso: la tradizione orale dopo Gesù, una
tradizione scritta di diverse provenienze sociali e ideologiche, il pensiero di Luca.
Nel caso di Stefano si intersecano le varie tradizioni e fonti alle quali attinge, ed è
difficile comprendere al meglio il nucleo centrale. La Chiesa la risolve con il primo
martirio, ma non è morto perché perseguitato, di una persecuzione, proprio
perché non era ancora un cristianesimo ben definito, e va letto così all’interno del
giudaismo, giudei contro giudei credenti in Cristo. Luca ha recepito questa
tradizione orale in un modo, e lascia così traccia della verità, e poi ci costruisce
un’interpretazione “ideologica” di Luca con il processo e il discorso di Stefano, e
che ci offre la visione dei cristiani ai tempi di Luca di quello che è successo a
Stefano pochi anni dopo la morte di Gesù, quindi intorno agli anni 30, mentre
Luca scrive intorno all’80. Il processo e il discorso hanno lo scopo di costruire
un’interpretazione cristiana dell’evento, di Gesù, del martirio, e di Stefano. Atti 6,
Stefano è un grande carismatico, ripieno di Spirito Santo. Qui è Luca che ritiene
Stefano come carismatico in modo preciso, lo prepara come un altro Cristo. Atti
6,8 Viene sempre evidenziato il carisma di Stefano. Poi i liberti coloro che si sono
riscattati dai padroni, convertiti all’ebraismo, con una sinagoga privata, e tutti gli
altri citati sono ebrei della diaspora. Siamo al processo, dove notiamo parole
identiche col processo di Gesù. È chiara la costruzione di Luca: c’è Stefano,
carismatico, che va contro la tradizione del giudaismo con i suoi discorsi dentro le
sinagoghe, e dentro questi gruppi ci sono quelli che non sono aperti a questi
discorsi e quindi vogliono giustiziarlo. Il nucleo originario di verità è la presa di
Stefano nel tumulto popolare, e la sua lapidazione. Una prima operazione di Luca
è quella di descrivere Stefano in una persona carismatica, e la seconda è quella di
mettergli in bocca un discorso sull’ebraismo che rispecchia di ideologia più tarda,
la terza operazione, forse non di Luca ma precedente, è l’assimilazione della
figura di Stefano a quella di Gesù. Dagli atti 6,8 in poi capiamo come ragionavano
i primi discepoli di Gesù. Nel discorso di Stefano abbiamo un riassunto della
storia ebrea, con i padri e le varie citazioni bibliche, dalla genesi, dall’esodo, dal
re, da qui capiamo che comunque egli parla da ebreo, precisamente della
diaspora. Atti 7,47 in questa frase c’è una rivelazione, e una contestazione al
culto ebraico che si svolge nel tempio dove gli ebrei pensano che l’Eterno abiti lì
in terra. In questo tempo in cui scrive il tempio era già stato distrutto. C’è una
situazione storica: di fronte alla distruzione del tempio gli ebrei tradizionali si
ritrovano in crisi, in confusione, e di ciò ne “approfittano” i discepoli di Cristo
internamente all’ebraismo con la “teoria” dell’adorazione in spirito e verità. Atti
7,51 leggiamo una distinzione tra discepoli di Cristo, e gli ebrei detti testardi e
pagani, perché resistono alla storia, che non la fa l’uomo ma Dio nella persona
dello Spirito Santo. E precisa che voi, gli ebrei di Gerusalemme, non tutti, hanno
ucciso il Giusto, Gesù. Atti 7,52 c’è una visione cristiana sulla storia ebraica dei
profeti. Infine, la morte di Stefano sotto Luca sarà la visione antenata ai suoi
successivi martiri dal secondo secolo, con le varie citazioni spirituali. In questo
evento compare per la prima volta anche la figura di Saulo di Tarso. Questo
personaggio importantissimo, che opera tra il 50 e il 60, che ci viene presentato
da Luca e dalle lettere stesse attribuite a Paolo, di cui solo 7 sono precisamente
sue, autentiche, nel totale delle 14. Paolo è il personaggio più importante della
storia del primo cristianesimo dopo Gesù.
Con il cristianesimo il termine Pasqua prende un significato diverso da quello
ebraico, si ricorda quindi il passaggio dalla morte alla vita, alla risurrezione, ed il
passaggio nel battesimo dal peccato alla salvezza.
L’ordine dei vangeli non è storico né dottrinale, e Matteo viene posto al primo per
la presenza iniziale della genealogia, collegata con l’AT. Il vangelo di Marco, il più
antico, anni 60 e 70, forse Roma, il più breve. Marco, nome latino e quindi ambito
occidentale, è un personaggio collegato dalla tradizione a Pietro, il suo segretario
e discepolo. Pietro che è l’ala istituzionale del gruppo degli apostoli, quale roccia
della chiesa. Da Marco e dalla fonte dei detti di Gesù, fonte Q (quelle = fonte),
originariamente in aramaico, poi tradotto in greco, derivano i vangeli di Matteo e
Luca, (MT. 70-80 dopo la caduta del Tempio, Antiochia, Siria (odierna Turchia
meridionale) comunità giudeo cristiana. LC.70-80, probabilmente Antiochia
oppure Asia Minore, comunità greca, pagani convertiti al cristianesimo, detti
etnocristiani) ecco che così troviamo parti identiche per i tre vangeli, e per la fonte
Q. Questa è la questione sinottica, e i tre vangeli si dicono sinottici, e possono
essere posti su tre colonne parallele e riscontrare così molte parti uguali, e alcune
diverse. Giovanni, 100, Asia Minore, cultura semitica, e conosce il greco,
riconosce questi vangeli, nonostante sia molto differente.
Escatologia ebraica è primitiva, quella cristiana è la più elaborata.
La scuola di Alessandria è una scuola catechetica filosofica, nata ad opera di
Panteno, prosegue poi con Clemente di Alessandria, e poi Origene. Clemente è un
intellettuale greco che legge il cristianesimo alla luce dell’ebraismo.
Sinagoga è un luogo profano, una casa tipo, dove si leggeva la Parola. Sinagoga
vuol dire ebraismo, chiesa vuol dire cristianesimo.
Come dicono gli Atti, Paolo fa all’isola di Cipro presso un proconsole romano,
dove sta un mago ebreo. La prima rottura tra ebrei e seguaci di Gesù è stata nel
rapporto con i gentili, con i romani.
Paolo è il primo personaggio di cui conosciamo alcune date storiche nel
cristianesimo, e di cui possiamo ricostruire alcune situazione biografiche. Nel
1905 a Delfi, fu trovata copia epigrafica in una pietra di una lettera
dell’imperatore Claudio, con riferimento al proconsolato di Giulio Gallione Anneo,
che è il fratello di Seneca, tra il 51 e il 52. Negli Atti, per parola di Luca, 18.1-
2/18.12 abbiamo una notizia secondo cui Paolo andò a Corinto e la sua presenza
avviene sotto il proconsolato di Gallione, quindi tra gli anni sopracitati. Da qui
sono partiti gli storici per datare tanti eventi della vita di Paolo. Abbiamo una
data certa quindi per quanto riguarda il proconsolato, da cui si datano poi gli
eventi paolini. Qualche anno prima tra il 48 e 49 Paolo era a Gerusalemme, dove
avviene una sorta di concilio di Gerusalemme. Questa però è una definizione
impropria, perché ai tempi paolini non esistevano propriamente i concili, che
invece si svolsero effettivamente poi nel 4 secolo. A questa riunione partecipano
Paolo, Pietro, Giacomo, Giovanni, durante la quale si discusse riguardo
l’evangelizzazione presso i non ebrei. Questi ultimi 3 contro Paolo, che si era
portato dietro un non circonciso, un non puro. Tornando indietro siamo al giorno
in cui viene ucciso Stefano, intorno al 35 – 36, dove era proprio presente Saulo
Paolo, giovane, che aveva il ruolo di mantenere i mantelli di coloro che
lapidavano. Paolo si trovava lì per studiare a Gerusalemme presso un rabbino, lui
che veniva da Tarso, città della Cilicia, regione presente in Asia Minore o Penisola
Anatolica (Turchia). Ci si preparava a creare una classe di rabbini fuori da
Gerusalemme. E Paolo talmente inquadrato nello schema rabbinico, lui preparava
le liste di proscrizione per denunciare gli aderenti ai discepoli di Gesù. Viene a
sapere che molti di quelli aderenti alla nuova fede se ne sono andati fuori da
Gerusalemme in altre città come Antiochia e Damasco, e così si fa fare un
mandato per andare a scovare questi nuovi discepoli e per riportarli prigionieri.
Mentre va a Damasco, secondo la parola di Luca negli Atti, ha avuto una visione,
che lo rende cieco, poi guarito da Anania. Ora Paolo era un personaggio
acculturato, conosceva il latino, il greco e retorica anche, e si avvicina alla visione
più chiusa dell’ebraismo in Gerusalemme. E vive questa visione e questo incontro
con Gesù, come se fosse una malattia, che lo porta a cambiare radicalmente la
sua vita, e diviene grande, pronto ad agire e a viaggiare. Mentre Gesù predicava,
Paolo viaggia e crea comunità, che diviene l’elemento essenziale della predicazione
di Paolo. La prima visione della presenza di Cristo è quella della comunità per
Paolo e poi attraverso la comunione e l’eucaristia. La seconda visione … Paolo
crea un problema, il fatto di non essere propriamente un apostolo, ma è anche un
ex persecutore dei cristiani, e che si arroga il compito di insegnare Cristo,
nonostante non l’avesse incontrato storicamente. Nel caso di Paolo più che
conversione la chiamiamo vocazione di Paolo. Paolo così va in città in cui Gesù
non era mai stato conosciuto, e fa i 3 viaggi missionari, verso nuove terre. Va
innanzitutto ad Antiochia, dove era Pietro, e si mette al servizio degli apostoli, ma
purtroppo c’erano i conflitti di potere. Atti 13 vediamo quindi Barnaba e Paolo
inviati in missione da Antiochia fino a Cipro, dove sono presenti ebrei. Atti 13,15-
16 Sono presenti nella sinagoga gli ebrei, i timorati, e Paolo e Barnaba (ebrei
discepoli di Cristo) (i timorati di Dio, gruppo sociale di origine greca, sono i
proseliti, coloro che seguono l’ebraismo ma non sono stati ancora circoncisi, che
sono anche in buoni rapporti con i romani) Atti 13,26 “a noi” presenta una
rottura, tra loro (ebrei ecc.) e i due lì presenti. In questo discorso si accusano gli
ebrei di Gerusalemme della morte di Gesù. E annuncia il Cristo risorto incontrato
dai suoi primi apostoli e discepoli, come quelli di Emmaus. Nel discorso vediamo
un primo nucleo di pensiero del cristianesimo, con la presenza anche del perdono
dei peccati. Questo discorso riassume in gran parte il pensiero cristiano teologico
paolino. Dopo ciò sul piano teologico il discorso non è contrastante, anzi, ma
viene applaudito dopo l’uscita della sinagoga. Ma il sabato successivo si rivoltano
contro, contraddicendo il discorso di Paolo bestemmiando, per motivi di gelosia,
di potere e di interesse di tipo sociopolitico. Di fronte a questa situazione Paolo va
via, pulisce la polvere sotto le scarpe come si dice in Matteo, e decide di non
annunciare più agli ebrei, i quali erano i primi destinatari, e decide di rivolgersi ai
pagani, e questa è la grande novità. Si rompe così l’unione tra i discepoli di Gesù
e gli ebrei.
La presenza di questo nuovo gruppo di ebrei, seguaci di Gesù, va a toccare un
ordine esistente, e i nuovi danno fastidio ai vecchi perché li intacca su questioni
di potere e di economi, in breve di vantaggi. Lo conferma ad esempio l’evento di
Paolo ad Antiochia presso la sinagoga il primo sabato, e poi quello successivo. Il
termine “genti”, plurale, traduce sostanzialmente i pagani, e quindi Paolo diviene
l’apostolo che predica ai pagani. Di fronte alla situazione positiva di Paolo, i
Giudei provocano una sommossa coinvolgendo le donne e i ceti più elevati per
essere strumentalizzati nei confronti della predicazione di questi primi nuclei
cristiani. Ora possiamo pensare che nella predicazione di Paolo ci siano due fasi,
una prima è quella di una visione di Gesù nuova, che non era quella primaria,
perché non è interessato all’essere messianico, si lo riconosce come Cristo, ma ciò
che lo coinvolge di più, centro del suo nucleo, è la morte e la risurrezione di Gesù,
nel quale la morte diventa elemento salvifico, e l’idea è quella che Gesù morendo
sia stato una sorta di vittima sacrificale, offerta per scontare il riscatto dei peccati
dell’uomo. È una visione/idea che Paolo elabora ma che non era presente
inizialmente. E la morte è letta in chiave di sacrificio, è la vittima offerta che
cancella il debito contratto. Paolo parla con termini romani, se non si fosse
pagato il debito si sarebbe diventato schiavi, un debito che si era preso con il
peccato adamitico, che in parte era compensato dalla torah, dalla legge di Mosè,
ma non si era pienamente salvi, e affinché questo succedesse era necessario
qualcosa di più alto e grande. Atti 13,30 per Paolo Gesù è sempre stato presente
nella storia nelle parole dei profeti, e di cui ne avevano detto anche la morte, e
senza saperlo gli ebrei di Gerusalemme accecati dall’odio uccidono Gesù ma
realizzano le profezie. Attraverso il discorso Paolino l’eternità di Gesù permette di
ottenere l’eternità anche a noi, essere risorti in Cristo. Tutto ciò grazie alla
cancellazione del debito, e quindi alla giustificazione. Termine che deriva da
iustum e facere, ovvero rendere qualcuno giusto, e la giustificazione è il processo
secondo cui qualcuno diventa giusto. Ma il concetto di giustificazione di Paolo è il
ripristino di una condizione che era stata perduta con il peccato di Adamo, per gli
ebrei invece il giusto è colui che rispetta la Legge, e che gli assicura solo una
parte di salvezza, perché rimane la macchia del peccato. Così per Paolo basta solo
aderire alla fede, la salvezza viene dalla fede, e non dalle opere, il credo in Cristo.
Excursus sul subordinazionismo di Gesù sotto al Padre espressa prima da Ario, e
poi da Giustino. Una visione iniziale da parte di Giovanni, che poi ebbe fortuna in
ambiente Alessandrino dove venne fuori Ario, mentre in Asia dominava una
visione monarchiana (monarchianismo) o modalismo. Ario accentua il
subordinazionismo, portando avanti la visione secondo la quale in cui il figlio non
era, che cambia tutto, negando così l’eternità di Cristo, e può tornare al non
essere. La seconda conseguenza di questa visione è quindi il fatto che Gesù è
creato, non generato, negando così la divinità di Gesù. Il concilio di Nicea, 325, e
poi Costantinopoli, 381, si definisce il Credo, e si definisce che Gesù è generato,
non creato, e della stessa natura del Padre, seconda la dottrina del
consunstazialismo.
Il canone nasce a partire intorno al 140-150, e si fanno delle liste di libri
canoniche o no, che circolano tra i credenti, come il canone muratoriano che è
stato trovato nel 700 nella biblioteca di Milano, che pare risalga al 150, e ne
troviamo alcuni presenti nella Bibbia e altri no. Il canone è un processo storico,
che non nasce fissato, che comincia in quel primo periodo e termine nel 4 secolo,
e si chiude il canone che è stato modificato nel corso del tempo. per quanto
riguarda il canone cristiano, nuovo testamento, i libri sono 27, tutti gli altri sono
fuori dal canone e sono detti apocrifi. La necessità di un canone è quella di un
controllo delle idee (BOH), per tenere fuori degli scritti che possono essere
pericolosi.
Con Paolo il cristianesimo non fu sentito come un’eresia dell’ebraismo, anzi
qualcosa di radicalmente diverso dall’ebraismo ormai. Paolo aveva cercato di
cogliere un’unità tra l’ebraismo e Gesù, individuando in Cristo una svolta. Un suo
discepolo ideale, che viene dal Ponto, Turchia, viene a vivere a Roma, come ricco
commerciante e che dona tutto alla comunità di Roma, era uno che veniva
ascoltato. Ad un certo punto questo qui diceva che, poiché Gesù è espressione del
Dio dell’antico testamento, come fa ad essere lo stesso del Nuovo. Questi due Dio
possono essere dello stesso tipo. Così risponde Marcione con un canone stretto
stretto, solo le lettere Paoline e il Vangelo di Luca, in quanto discepolo di Paolo.
Lo scenario tra il 50 e il 150 è quello con la presenza di una comunità paolina che
si stacca dall’ebraismo per quanto riguarda la Legge e il culto, ma si segue
l’ebraismo, come storia e profezia, in quanto annuncio di Gesù Cristo, con una
reinterpretazione dei testi ebraici in funzione di Cristo; di contro e parallelo ci
sono i gruppi di Pietro, e Giovanni, che restano nell’ebraismo, in quanto Gesù era
ebreo, e quindi si resta ebrei, e si segue la Legge; e altra terza posizione più avanti
più radicale è quella di Paolo, nella quale si rompe completamente con l’ebraismo,
come anche con quelli di Pietro (Antiochia), Giacomo Maggiore, punto di
riferimento centrale, (Gerusalemme) e Giovanni (Asia Minore) perché influenzati
dall’ebraismo, questo perché fa una distinzione tra il Dio Giusto dell’antico
testamento, e il Dio Buono del nuovo testamento. Da qui capiamo che il nucleo
principale di discussione è la Legge e il suo attuarsi. Se andiamo a Gv.20,30 è la
prima conclusione, e poi c’è stata un’aggiunta del capitolo 21, con l’evento di
Tiberiade, che ci può confermare una unione tra la comunità di Giovanni e quella
di Pietro, con l’investitura di Pietro che qui avviene con la domanda sull’amore,
mentre in Matteo avviene con una chiamata precisa; e in questo racconto di
Giovanni si aggiunge anche la visione dell’accompagnamento del discepolo amato,
e la visione della comunità di Giovanni che accetta Pietro (comunità) come leader
politico, come anche Giovanni conferma e reclama un suo posto in quanto leader
spirituale, che non può essere contestata. Così Pietro e Giovanni sono insieme,
alleati, e vanno per la stessa direzione, che tendono a darsi forza contro Paolo,
quale outsider politico che non ha mai conosciuto Gesù di persona, che era un
persecutore, che non era un apostolo originario. Conclusione del cap.21 quasi
simile al cap.20. Il capitolo 21 è un’aggiunta che fa comprendere la situazione
“politica” dei gruppi di Pietro e Giovanni. E a questo si aggiunge Giacomo al 21,2
quando viene citato. Nonostante ciò è il gruppo Paolino ad avere più “fortuna” per
vari motivi: 1 liberarsi dall’ebraismo e rivolgersi ai pagani e non credenti; 2
immettersi nel circuito dell’impero romano in tempi brevissimi; 3 capisce che una
volta che Gesù non c’è più va decentralizzato il cuore, non più un punto preciso,
ma l’idea di comunità, quindi tanti luoghi in cui è presente Cristo, e per legarle a
sé quelle da lui create utilizza lo strumento della lettera; [la lettera classica si
divideva in tre parti: i saluti, il corpo della lettera, il congedo. Paolo inserisce in
ogni lettera chi è lui, quale è la sua storia, per farsi conoscere.] Andiamo alla
lettera ai Romani, lettera autentica, con un saluto di 15 versetti. In primis
risponde all’accusa dagli apostoli definendosi come chiamato per essere apostolo,
consacrato ad annunciare Dio. Leggiamo un saluto teologico, lungo, fino a
salutare realmente i romani. Andiamo alla lettera ai Corinzi nella quale conferma
ancora la sua persona e il suo essere apostolo, come fa anche nella seconda
lettera ai Corinzi. Allo stesso modo leggiamo nella lettera ai Galati per quanto
riguarda il saluto. Leggiamo poi Gal. 1,6 notiamo la presenza delle opposizioni,
degli infiltrati, dalle quali tenta di difendersi, perché accusato di essersi staccato
dall’ebraismo, e ha deciso di annunciare ai gentili, ai pagani. A un certo punto
negli anni 40 qualcosa si rompe nella comunità degli apostoli di Gesù. In questo
periodo accade nel 49 il concilio di Gerusalemme, in cui Paolo deve rendere conto
di ciò che dice, rispetto ai superiori, dove si presenta con un non circonciso.
Questo evento viene raccontato negli Atti e nella lettera ai Galati. Il risultato di
questo concilio è la divisione delle sfere di influenza, a Paolo i pagani, ai tre invece
gli ebrei, con una comune attenzione all’elemosina, alla cassa centralizzata.
Il terzo giacomo, detto il Giusto, di cui si parla nei vangeli, come in Mt.13,54 e
Mc.3,31, Lc.6,15 è quello che viene detto fratello (non sappiamo di sangue, ma
forse per il ruolo o la parentela) di Gesù e capo della chiesa di Gerusalemme,
autore di una lettera che fa parte del canone, una tra le sette cattoliche. (nel
canone troviamo 13 lettere attribuite a Paolo, più la lettera agli ebrei, mentre
quelle autentiche di Paolo sono solo 7, le altre 3 sono incerte, altre 3 sicure non
di Paolo perché troppo in avanti. Ci sono poi 7 lettere che sono attribuite a degli
apostoli: Pietro, Giacomo, Giovanni e Giuda, dette cattoliche perché sono per
tutti, da termine greco che vuol dire universale.) Il capitolo 1,25 di Matteo, per
quanto riguarda la nascita, dove per “conoscere” si intende senza avere rapporti
sessuali prima della nascita di Gesù, quindi una nascita con verginità ante
partum, secondo anche la profezia di Isaia riguardo al messia, secondo anche
l’essenza di vero Dio e vero uomo.
Per quanto riguarda l’evento di antiochia e il primo concilio di gerusalemme 49
d.C. abbiamo due riferimenti: atti 11 e lettera ai Galati, una delle lettere
autentiche. Gli apostoli affermano che per prima cosa Paolo non ha conosciuto
Gesù di persona e che non basta solo la fede in Cristo per essere giustificati, ma
bisognano anche le opere, (in visione cristiani) e quindi necessitano anche la
Legge e la circoncisione. Paolo invece nella lettera ai Galati, posteriori ai due
eventi, ha un tono fortemente polemico, è diretto, si legge l’anima ardente e
passionale dell’autore, cosa che invece nei Romani è poco presente, perché è più
riguardo al pensiero. In questa lettera ai Galati, Paolo si trasforma in un
narratore e riporta questi eventi. Galati 1,11 Il vangelo come scritto non esisteva,
ma la predicazione che non è umana, ma è una rivelazione, quindi non da uomo,
ma da Cristo, per rispondere alle accuse degli apostoli di non essere apostolo per
istituzione ma comunque per vocazione da Gesù. Paolo poi parla di Giudaismo in
riferimento a ciò che lui era prima di Gesù, in quanto difensore fanatico della
tradizione dei padri della fede e persecutore, anche se comunque riconosce che è
ancora nel giudaismo, perché legato alla religione dei padri, ma che ora ha
superato la Legge. Questi versetti coincidono con Atti 7 e inizio 8. In successione
Paolo afferma di essere in rapporto personale con Gesù attraverso la mistica, le
stimmate e le visioni, e che è stato chiamato da Cristo, senza mediazione umana,
per annunciarlo presso i pagani, i gentili. Protezione e controllo per Paolo, da
parte degli apostoli, è Barnaba, e poi la presenza di Tito, colui che non era
circonciso, ovvero un impuro per l’ebraismo. Ora per evitare diverse questioni, gli
apostoli dividono le sfere di azione, di influenza: Pietro agli ebrei, Paolo ai pagani.
Successivamente racconta l’evento di Antiochia dove Pietro, pauroso, scappa dal
pranzo tra i pagani convertiti, ma non circoncisi e quindi impuri (Galati 1,11-14)
Segue poi il Vangelo secondo Paolo. Andiamo agli Atti 11. Nei primi versetti si
riassume ciò che è avvenuto nel cap.10 secondo una visione irenista. Letto fino al
versetto 26. Ora Atti 15. È chiara qui la visione ancora apostolica, e poi la
controversia animata con Paolo e Barnaba. Vediamo una differenza tra Paolo nei
Galati perché si afferma di una riunione privata, mentre negli Atti si parla di tutta
la chiesa (Atti 15,4). Il discorso di Pietro è frutto di parole di Paolo. Anche il
discorso di Giacomo continua sulla linea Paolina. Atti 15,24 si ricollega ai Galati
2,12 e Atti 15,1. Atti 15,28 questioni riguardo all’astensione dalla carne
sacrificata, per gli ebrei era importante solo il fumo, poi dal sangue, dagli animali
soffocati (il modo in cui sono stati uccisi), e dalla fornicazione. Ci rendiamo conto
che l’evento di Antiochia negli Atti non viene raccontato, come invece in Paolo, ma
anzi viene messo in bocca a Pietro un discorso Paolino, anticipatorio diciamo.
Notiamo che manca il riferimento anche all’elemosina.
Poiché Gesù ha superato la Legge Mosaica, Marcione si chiede “perché non
eliminare ciò che si rifà all’ebraismo, e quindi eliminare il vecchio testamento?” e
come ha fatto Paolo a conciliare antico e nuovo testamento? Questo avviene
attraverso una nuova interpretazione delle Scritture espressa nelle sue lettere.
Paolo si chiede come si fa a credere a Gesù come Messia se viene eliminata la
parte profetica e di promessa. Per Paolo, secondo la lettura tipologica, fatti e
personaggi dell’antico testamento sono prefigurazioni (anticipazioni o sinonimi o
figure o tipo) fatti e personaggi del nuovo testamento. In chiave escatologica fatti e
personaggi della realtà storica anticipano fatti e personaggi del mondo nuovo.
Paolo costruisce una retta con al centro uno zero, tutto ciò che c’è a sinistra
anticipa e prefigura ciò che c’è a destra. La parola figura o la parola tipo sono
tratte dal lessico della scultura, frutto di un doppio calco, e quindi questo vuol
dire che i fatti e personaggi dell’antico testamento avevano un primo significato
apparente, ma anche un secondo significato profondo che si scopre in e con Gesù
nell’antico testamento. Esempi: Adamo e nuovo Adamo, Davide era re, rosso
vermiglio e Gesù era re, e morto di sangue. Questo processo ermeneutico, detto
anche tipologia, permetteva di salvare la situazione storica letteraria
dell’ebraismo, che anticipava così il nuovo, e rendeva cristiano la Scrittura, dava
continuità all’antico testamento come annuncio in verbis o in factis e poi il nuovo
testamento come compimento. Tutta la storia sacra per Paolo è storia ma è anche
anticipazione di Gesù. Galati 4, 24 Abramo aveva due mogli, Sara, la prima e
Agar, la seconda, che sono le due alleanze; il primo patto, la Legge di Mosè,
presso il Sinai, che è Agar, mentre il secondo patto, la morte di Gesù, del Sion
presso Gerusalemme, che è Sara. Tutto ciò è un prima o un dopo Gesù, e in più
una visione escatologica, ad esempio la Gerusalemme odierna è prefigurazione
della Gerusalemme Celeste. C’è differenza tra tipologia e allegoria, la prima salva
la storicità del fatto e del personaggio, mentre la seconda è una figura retorica
attraverso scrivo una cosa per indicarne un’altra. Romani 5 – 2Corinzi 3 –
1Corinzi 10
Con Paolo il cristianesimo prende il volo e si inserisce nel grande sistema
comunicativo romano, i predicatori escono dalla Palestina e dalla Siria, e
predicano in Grecia come anche a Roma, e predicano presso sinagoghe e luoghi
di incontro ebraico, e questo portò Claudio ad un editto antiebraico, ebrei e
cristiani insieme.
Nel secondo secolo abbiamo un cristianesimo ben formato, con una struttura
episcopale, e la presenza quindi dei vescovi che sono carismatici e istituzionali
insieme. Ci si allontana sempre di più dall’ebraismo, si cambiano le piccole cose,
come il sabato e la domenica, l’uso del pane, c’è quindi un’identità nuova e
cristiana che è sempre più diversa da quella ebraica. Ad esprimere questa novità
è una nuova produzione letteraria, che nasce nel secondo secolo, prima di lingua
greca e poi di lingua latina tra 2 e 3, con un rigurgito tra il 4 il 5 secolo, che si
chiama Apologetica, che significa “in difesa”; quella dei primi tempi è parallela ai
grossi problemi che il cristianesimo aveva in rapporto all’Impero Romano.
L’apologetica teologica continua fino ai giorni d’oggi. L’ultima opera di apologetica
cristiana è il De Civitate Dei di Agostino nel 5 secolo. L’apologetica è una
produzione letteraria cristiana che costruisce una argomentazione difensiva alle
accuse ricevute dai cristiani provenienti da tre fonti: dalla politica, dai filosofi e
dal popolino (gente comune). La politica: imperatori accusavano i cristiani di
venire meno all’osservanza del culto imperiale, adorazione dell’imperatore, e di
non prestare il servizio militare, come obiettori di coscienza. I filosofi accusavano i
cristiani di essere una nuova pratica di religio, di superstizione, e che è
novus/nova quindi privo di radici (senza tradizione storica) quindi inaffidabile, e
poi di essere estranei, strani. I filosofi raccolgono maldicenza nei confronti dei
cristiani e li accusano di una forma di superstizione, e non hanno equilibrio, al
contrario del paganesimo. Il popolino guardava con diffidenza i cristiani, non li
amava, ritenevano che nascondessero qualcosa nei loro riti, li accusavano di
essere incestuosi, di venerare culti strani come quello dell’asino, e di uccidere e
mangiare le carni (eucaristia), che era gente che si distingueva, era allontanata,
chiusa. Contro queste accuse arrivano gli apologeti greci e latini. Queste opere
sono un momento di crescita per il cristianesimo (2 e 3 secolo), opere in cui i
cristiani si confrontano con il mondo circostante, il cristianesimo è un
adolescente ora e si confronta, ha a che fare con il giudizio del mondo. Nel
confronto col mondo due sono gli atteggiamenti: il primo è di rifiuto dalla cultura
greca, dal paganesimo, dalla filosofia, e sono le posizioni della prima apologetica
greca, la più antica, un esempio è Taziano della Siria, molto chiuso, con un
pensiero engratismo, rigidamente chiuso dal punto di vista sessuale, alimentare.
Al contrario, il secondo atteggiamento apologetica ha come nome Giustino, nato
in Palestina, poi insegnante di filosofia a Roma, mostra una nuova apertura, e
importanza per la filosofia, e bisogna ricordare di lui la dottrina del Logos
seminale, e la dottrina dei Furta Grecorum, che tendono a recuperare la sapienza
profana al cristianesimo. Il logos seminale afferma che in tutti gli esseri umani c’è
un frammento, una scintilla di Logos divino, ragione, pensiero, e quindi una
piccola presenza di Cristo. Si chiama così perché è dappertutto. Altra dottrina è
quella dei Furta Grecorum, secondo cui i Greci si sentono filosofi perché hanno
rubato a Mosè, quindi agli ebrei, e di conseguenza ai Cristiani. Nel secondo
secolo, oltre l’apologetica, ricordiamo la gnosi, e le persecuzioni. Nel terzo secolo
ricordiamo la nascita della teologica cristiana con la scuola catechestica di
alessandria con Origene e Clemente, poi inizio di esegesi biblica sistematica con
Origene e il 4 Libro de I Principi, poi gli Hexapla, poi ricordiamo gli sviluppi della
letteratura latina. Tra 2 e 3 secolo prime traduzioni latine della scrittura, e prima
letteratura martiriale. Nel 3 secolo primi sviluppi della agiografia. Tra 3 e 4 secolo
sviluppo dell’ascetismo e del monachesimo. Cessazione delle persecuzioni e
mondanizzazione del cristianesimo. Sviluppi della teologia cristiana, Ario e i suoi
confutatori. Altre eresie trinitarie e cristologiche. Successivamente concili
ecumenici. I grandi Padri, per l’oriente i tre Càppadoci, Atanasio e Giovanni
Crisostomo; per l’occidente Ilario, Ambrogio, Gerolamo e Agostino. 5 secolo:
sviluppi della poesia cristiana, Prudenzio e Paolino di Nola, e sviluppi della
storiografia con Orosio.
La gnosi significa conoscenza. Fino agli anni 40 del secolo scorso conoscevamo la
gnosi per quello che dicevano gli avversari, in particolare Ireneo, autore del
secondo secolo, asiano e vescovo di Lione, e poi Ippolito. In questo periodo nasce
una letteratura di polemica, di attacco, non di difesa, si parla infatti di “contro
ecc.” Negli anni 40 nel Cairo si sono trovati una mare di rotoli di papiro, che
creavano una vera e propria biblioteca gnostica, la biblioteca che aveva qualcuno
possedeva che aderiva alla gnosi. La gnosi è un fenomeno complesso e articolare,
perché è difficile da capire nelle sue ragioni e spiegazioni, perché gli autori
gnostici ricorrono ad un linguaggio simbolico fortemente allegorizzante, è tutto
misterioso, ed è articolato perché non esiste un’unica gnosi, esistono delle scuole
di gnosi, quella che fu a Roma non fu ad Alessandria ad esempio. Gli gnostici in
comune ritengono che la salvezza derivi da una conoscenza, vuol dire quindi
quella conoscenza che mi salva, ma che non posso acquisire, è misteriosa,
esoterica, ereditaria, poi rivelata. Per gli gnostici si salvano solo chi riesce a
conoscere, e l’oggetto di questa conoscenza è la natura divina che è racchiusa
dentro di me, quella fiammella di divino della sostanza divina alla quale
originariamente appartenevo e mi sono distaccato, appartenendo così alla
materia, ma venendo a conoscenza ci si salva. Per gli gnostici poi ci sono esseri in
cui la materia ha cancellato ogni sorta di divinità, e si chiama ilici, dal termine
greco iule che vuol dire materia, e sono quelli che sono dominati dalla materia.
Poi il secondo gruppo è quello degli psichici, da psuche mente, ovvero uomini in
cui la materia non ha completamente cancellato lo spirito divino, ma non sono
neanche liberi di esprimerlo in tutta la sua forza divina, perché è controllata dalla
mente, e si possono salvare o meno. E poi ci sono gli pneumatici, ovvero
interamente di spirito. Un sistema così costruito ci indica il carattere classista,
con schemi fissi, senza cambiamento, e sono condizioni stabilite in qualche modo
da Dio, e sono quindi condizioni predestinate, e sono indebite. La gnosi è una
risposta intellettualistica, razionalistica, deterministica, esoterica e rivelata, a
un’idea di salvezza generalizzata, si salvano solo alcuni già predestinati. A questa
risponde poi Origene che si troverà davanti tanti gnostici. Gli autori cristiani
contro la gnosi affermano che la gnosi è il frutto dell’ellenizzazione acuta del
cristianesimo, invasione di idee filosofiche greche che hanno colto la radice
cristiana del pensiero.
Eusebio scrive “storia della chiesa”, un tentativo in età costantiniana di ripensare
le origini e la storia della chiesa, ovvero del cristianesimo. L’idea che Eusebio ha è
che la chiesa, i cristiani, siano il popolo di Dio, pensiero questo rimarrà per tutto
il medioevo, che poi si articola in altri popoli. Eusebio nel libro 6 della sua opera
di 10 libri parla di un Ippolito a capo di una nuova qualche chiesa, la comunità,
di cui forse ne fu vescovo, ma non ne siamo certi. Lo stesso Eusebio elenca
alcune opere attribuite a questo personaggio di Ippolito: il primo è il computo
pasquale, calendari pasquali. (per fare il calcolo della pasqua nel 6 secolo un
monaco sciita, Dionigi il Piccolo, che era stato ospite in calabria di Cassiodoro, e
fu lui che stabilì il 753 dalla nascita di Roma come l’anno 0 della nascita di
Cristo, con la nuova struttura dell’avanti e dopo Cristo). Ad Ippolito si attribuisce
un’opera sull’Esamerone, un’opera in riferimento alla creazione e quindi alla
genesi; Contro Marcione; Sul Cantico (dei cantici); Su Ezechiele; Sulla Pasqua;
Contro tutte le eresie. Nell’elenco che da Eusebio molte opere di questo
personaggio sono opere esegetiche, ovvero sull’interpretazione delle Scritture, ed
era una pratica recente, da poco pratica, e il primo fu uno gnostico, Eracleone,
ma che si esclude, e si conta come primo Ippolito. Dopo Eusebio abbiamo una
certa testimonianza riguardo ad un certo Ippolito, nel “cronografo del 354”, ovvero
una raccolta di testi vari, di natura cronologica e topografica, realizzata da un
calligrafo. In quest’opera ci sono due parti: il catalogo liberiano (dal papa) e la
depositio martirum, che fanno entrambi cenni ad Ippolito. Nella prima parte si
parla di Ponziano e Ippolito come presbitero deportato in Sardegna nel 235. Nella
seconda parte il 13 agosto di non si sa quale anno Ippolito sarebbe stato sepolto
sulla Tiburtina, e Ponziano nelle Catacombe di Callisto. Apparente l’Ippolito di
queste due parti sarebbe la stessa persona. Non ci viene dato l’anno perché
nell’agiografia e nei calendari due sono le coordinate essenziali, ovvero il giorno
della morte o della depositio, il dies natalis ovvero quando nasce al Cielo, ma non
sapendo ciò diventa importante il giorno dell’inumazione; e poi la seconda
coordinata è il luogo della sepoltura. L’agiografia (scrittura sui santi) ha vari
significati, per noi è una scienza di natura antropologica che si occupa della
santità, dell’idea di santità, dei santi, e del culto dei santi in quanto scienza
storica (e liturgica) e scienza letteraria perché si occupa degli scritti. La terza
fonte riguardo ad Ippolito, ancora romana, è di Damaso, vescovo di Roma, poeta,
4 secolo, che scrive un’epigrafe sulla tomba di Ippolito sulla Tiburtina. Così per
questo Ippolito martire sappiamo varie notizie. Damaso nell’epigrafe ci dice che
era un prete, che coincide con le varie fonti precedenti, ma ci dita che aderì allo
scisma di Novaziano. Lo scisma di Novaziano è datato al 251, ma Ippolito arriva
in Sardegna nel 235. Quindi il catalogo e Damaso sono entrambi fonte romane, si
riferiscono entrambi al martire Ippolito, ma sono incongruenti con le date, e forse
ha ragione il catalogo e di conseguenza andrebbe retrodato dal 251. Il catalogo e
Damaso non parlano di opere ma solo della sua morte, del suo martirio.
Successivamente potrebbero essere nati un circolo di scritti agiografici su
Ippolito. (scisma, viene dal grego skizein skizo, è una divisione istituzionale, è un
divorzio ufficializzato di una persona, di un gruppo, a cui apparteneva prima.
L’eresie, da aeresis, sono un diverso modo di pensarla rispetto alla dottrina
corrente. L’eresie sono di natura ideologica dottrinale, gli scismi sono di natura
istituzionale politica). La quarta fonte è Girolamo, autore che fu per la maggior
parte a Roma, e ci tornò sotto il pontificato di Damaso. Girolamo scrive il “De viris
illutribus”, un catalogo di biografie di uomini illustri, nel nostro caso è il primo
manuale di letteratura cristiana antica, e lo fa contro Porfirio a dimostrare che i
cristiani hanno intelletuali di primo ordine. In questa opera ci sono 150
medaglioni, monografie e biobibliografie dedicate ad autore cristiani a partire
dagli apostoli fino all’ultimo dedicato a sé stesso. In questa opera al capitolo 61
Girolamo riprende Eusebio, e aggiunge alcuni dati, tra cui opere. Eusebio per
primo citava delle opere, Girolamo ne aggiunge altre come commenti biblici ai
libri di Genesi, Esodo, Zaccaria, Isaia, Daniele, Salmi, Apocalisse. E questo è
importante perché uno solo aveva fatto un lavoro enorme sulle Scritture, ovvero
Origene. Poi lo stesso Girolamo in altre opere, come una lettera, parla di un
Ippolito martire, probabilmente attingendo alle fonti romane. Questo può
significare che per Girolamo l’Ippolito autore e quello martire non sono la stessa
persona. Quindi siamo arrivati a vedere secondo le fonti romane un Ippolito
presbitero e martire (per Damaso pentito scismatico) e secondo le altre fonti un
Ippolito scrittore e personaggio importante. Tutte le fonti appartengono al 4
secolo. A un secolo prima risale un’importante testimonianza epigrafica. Nel 1551
viene trovata a Roma una statua mutila nell’area del Verano, zona Tiburtina,
Tombe di Callisto, ed è proprio per questo luogo che il personaggio della statua
viene identificato con Ippolito. Questa statua, che si trova ad una biblioteca
vaticana, raffigura quest’uomo su un trono, dove ci sono delle scritte minute e
fitte, e si tratta di un computo pasquale, che va dal primo anno di Alessandro
Severo, e fu identificato con quello che Eusebio attribuiva ad Ippolito. Sul lato
destro c’è un elenco di titoli di opere, alcune delle quali che coincidono con opere
di Ippolito citate tra Eusebio e Girolamo, e ne sono anche aggiunte come opere
filosofiche. Ora nel 1842 si scopre in una biblioteca un’opera antiereticale in dieci
libri, che però mancava dei primi 3 libri, attribuita ad Origene. Una serie di
ricerche portò a scoprire il primo libro, e nel 1851 l’opera fu pubblicata con il
primo libro aggiunto. Il titolo del libro non c’era, ma nei primi versi l’autore
affermava di aver confutato tutte le eresie, e così il titolo si trae di qua, e viene
pubblicato con il titolo di Enenkos, ovvero il contenuto citato all’inizio dall’autore,
e detto anche Filosofumena. Scartata subito l’attribuzione ad Origene fu fatto il
nome di Ippolito. Nell’enenkos l’autore fa poi riferimento ad altre sue opere, fra
cui una di carattere cronologico che sarebbe le Cronache presente tra i titoli della
statua, e poi un’altra sull’essenza dell’universo. Della prima possediamo il testo
quasi per intero, della seconda soltanto dei frammenti. La scoperta dell’enenkos è
di grande importanza e cambia il quadro generale, perché ci fa scoprire un
personaggio storico che parla di sé all’interno della sua opera, e afferma di essere
legittimamente alla guida della chiesa di Roma, e di essere in assoluta
contrapposizione al vescovo Callisto, eretico e settario, e al predecessore Sefirino.
E questo autore afferma che è seguace della teoria del Logos (rapporto figlio e
padre), e che ha una forte concezione rigorista della comunità cristiana, e non
classista. Possiamo capire, alla luce di questa opera, alcune questioni precedenti:
non sapevamo molto della vita di Ippolito perché questa immagine non era molto
positiva, soprattutto a livello istituzionale, e ciò che lo salva nel ricordo è il
martirio. Nel 1977, un’archeologa, Margherita Guarducci, dimostra che la statua
era una donna. Questa scoperta non tocca nella sostanza però la questione,
perché a noi importa l’elenco delle opere incise di Ippolito. La stessa archeologa
dice che non è nemmeno certo il luogo di ritrovamento della statua, ma anche
questo poco importa. Questa tesi dell’archeologa riapre però la questione di
Ippolito. In realtà due studiosi in Italia si erano occupati di Ippolito, Donini che
aveva scritto nel 1925, e Mazzarino nel Manuale dell’Impero romano del 73.
Questi notano che nelle opere di Ippolito si notano delle affermazioni in
contraddizioni, per esempio: nell’opera su Daniele ci sono affermazioni
antiromane, mentre invece nelle opere presenti sulla statua si notano dei buoni
rapporti invece con le donne dell’impero. A rompere gli indugi è uno studioso
francese, Pierre Noten 1947, e sulla scia di questi studiosi italiani, e quelli che
per loro erano contraddizioni politiche, per il francese erano contraddizioni di
natura dottrinali e cronologiche: dottrinale tra la parte finale dell’enenokos e il
contra noetum, cronologiche tra enekos, il compendio, e l’opera su Daniele. Noten
divide le opere di Ippolito in due gruppi: le opere segnate sulla statua e l’enenkos
che attribuiva a Giosepo, l’altro gruppo tutte attribuite a Ippolito.

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