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Francesco Consiglioi

L’amore alchemico. Il gioco dell’affinità creatrice.1

1. Introduzione. Alchimia: un universo di affinità e simpatie.

Il concetto di amore risulta un tratto fondamentale e assolutamente peculiare del


vocabolario alchemico. Sono basicamente due i sensi in cui viene sviluppato questo
concetto: a) il concetto di amore inteso come affinità, come legame profondo e
reciproco tra due nature, un intenso legame magico che si cerca di scoprire, indovinare
per mezzo di un processo chimico-rituale; b) L’amore inteso come unione produttiva,
accoppiamento tra sostanze, che risulta nella produzione di una natura nuova e più pura.
Teoria e prassi incanalate in una omogenea concezione della natura. Da qui l’interesse
per gli “accoppiamenti chimici”, con l’intento di ricostruire la rete di relazioni magiche
tra gli elementi, la rete delle affinità. L’amore tra due sostanze, l’affinità che le lega è un
requisito previo indispensabile all’accoppiamento alchemico. Esso è già definito dagli
alchimisti in termini antropomorfici, quasi come se fosse un sentimento reale, una vera
e propria passione amorosa. E difatti, nella prospettiva ilozoistica tipica dell’alchimia, la
materia è viva, ogni cosa ha un’anima e ogni anima ha passioni. Un amore, pertanto,
intensamente sensibile (per un lato allegorico e per l’altro materiale) che è la base
dell’interpretazione alchemica del mondo. Ciò traspare ampiamente dal vocabolario
utilizzato, profondamente legato con l’universo semantico dell’unione amorosa,
particolarmente con metafore relazionate con il piano della coniunctio sessuale. Perciò,
amore è l’affinità e l’accoppiamento chimico, ma anche il desiderio amoroso che sente
l’alchimista unendosi al processo creatore della natura, ricreando a livello microcosmico
la realtà del macrocosmo: egli stesso è affine alla natura e partecipa attivamente
dell’affinità creatrice in cui risiede il principio vitale cosmico.
Il pensiero alchemico ci appare oggi estremamente composito e naturalmente elaborato,
tuttavia è frutto di una lenta e paziente elaborazione concettuale, esito di un attento
labor limae. I concetti, i simboli su cui si regge, l’immensa tela che tiene unito questo

1
Pubblicato in La teoría de las pasiones y de las virtudes. De la Filosofía Antigua al Humanismo
Escolástico Ibérico, Edições Húmus, Porto, 2013; pp. 139-156.
amalgama altrimenti indefinibile, vien fuori da un continuo processo evolutivo le cui
radici affondano nelle nebbie dei primordi del pensiero occidentale e della cultura
mediterranea e, come vedremo a breve, questa storia inizia tra l’Egitto e l’Egeo.

1.1 Le influenze del pensiero greco sull’alchimia.

Attorno al VII – VI sec. a.C. il Mediterraneo orientale rifulge di un'intensa attività


intellettuale, inquadrata dagli studiosi posteriori sotto l’etichetta di “scuola ionica”. Le
personalità più influenti (Talete, Anassimandro, Anassimene, Eraclito e tutta la scuola
milesia ed efesina), orientarono la loro speculazione su temi d'ordine naturalistico.
Infatti, l'oggetto principe delle loro indagini era l'origine del mondo e la sua struttura, il
suo funzionamento.
Sebbene differissero per alcuni aspetti formali, le dottrine dei filosofi ionici
condividevano un medesimo sostrato culturale e un'uguale tensione di fondo a spiegare
l'idea del divenire. Esso, manifestazione tangibile della contingenza degli enti
individuali, fornisce il fomite per meditare sul rapporto tra ciò che esiste e gli uomini
singoli.
Poiché il divenire implica il cambiamento, ovvero una variazione chiara e netta tra
prima e poi, dev'esserci un ordine, un qualcosa che dia continuità e coerenza
all'esistente, rispetto al quale si segna con evidenza il mutamento, il quale si verifica per
via di una variazione nelle condizioni di base che, abitualmente, regolano l'ordine
suddetto. E poiché l'ordine è concepito come il frutto dell'azione continua di una
ragnatela di forze che permea e lega l'universo2 rendendolo Kòsmos, deve esistere un
qualche dissidio interno e congenito a quelle forze che le spinge ad una lotta eterna e
ciclica. La lotta che rigenera l'universo dalle sue ceneri e, come un'araba fenice, lo fa
rinascere di volta in volta, rendendolo nuovo nel continuo reiterarsi delle medesime
forme. Ecco quindi il senso dei mondi infiniti che nascono e rinascono in un susseguirsi
sine requie di generazione e corruzione, lo Sfero empedocleo, trionfo d'amore,
altrettanto deleterio nella sua omogeneità del dominio dell'odio (le due forze che si

2
Si intende qua la dottrina dell'ilozoismo, la concezione secondo la quale, la materia costituente
l'universo dell'essere risulta animata, pregna di una forza vitale che la vivifica e la dirige. Essa è tipica dei
sistemi presocratici di filosofia della natura e, in seguito, sarà ripresa dai filosofi rinascimentali Telesio,
Bruno e Campanella, i quali spiegavano il movimento della materia, della massa corporea, con l'impulso
trasmesso dal contrasto tra i primigeni elementi opposti di caldo e freddo.
fronteggiano da sempre dando origine alla generazione e corruzione perpetua nel loro
duello, gioco d'amore e morte); e poi Eraclito e la forza di Pòlemos, la guerra che tutto
divora, distrugge e riforma. La differenza tra il prima e il poi anche in Anassimandro
costituisce e regola l'essere del mondo poiché, come ci tramanda Teofrasto, la
generazione avviene «col distaccarsi dei contrari nel corso dell'eterno movimento»3.
Bisogna dunque notare, in primo luogo, come alle teorie presocratiche sia sotteso il
concetto della natura pensata come un processo unitario, ed è indicativo di ciò il fatto
che si sia sviluppata l’idea di una sostanza unica, come sostrato ontologico ultimo,
costituente basilare dell’essere nel suo insieme. A questo primo concetto, se ne affianca
un secondo: quello del conflitto degli opposti che, seppure nella loro congenita
condizione di eterna belligeranza, sono tenuti sinteticamente assieme dall’unitarietà del
processo del divenire. In ultimo, bisogna considerare una terza componente del pensiero
presocratico: quella che individua alla base della struttura dell’essere numerosi
componenti elementari dalla cui variegata composizione si origina il cosmo. È il caso
specifico di pitagorici e atomisti; per i primi il fondamento è il numero, mentre per i
secondi sono elementi minimi chiamati atomi.
Un elemento ulteriore la cui influenza risulta decisiva nello sviluppo dell’idea
alchemica del mondo, è quello della cosmologia stoica: l'universo stoico è una totalità
interamente materiale, composta da due principi che sono la hyle (o materia passiva) e il
pneuma (o materia attiva). La parte passiva è penetrata e vivificata dall'elemento attivo
che si connota come una forza, un soffio che trasmette energia cinetica al Tutto.
Quest'energia cinetica è la causa del cambiamento, del divenire, ed è diretta da una
prònoia, la provvidenza che orchestra per il meglio i moti della materia.
Il concetto di forza vitale, animatrice di una altrimenti inerte materia, risulta basilare in
tutto il pensiero alchemico, il quale, a questo punto, si presenta come un'indefessa
ricerca del principio attivo e del suo possibile dominio da parte dell'uomo. E, in effetti,
dominare il principio vitale significa ergersi a demiurgo dell'esistente, cercando, con
procedimenti artificiali, di ripercorrere i passi che furono del Creatore. Significa cercare
di comprendere la struttura del mondo, di cogliere il segreto del divenire e, cogliendolo,
imbrigliarlo e averne potere: è questa la ricerca alchemica dell'eterno.
Nello stesso periodo in cui nasce e si sviluppa la tradizione alchemica (influenzata dal
contesto culturale del naturalismo ionico), col suo fondatore dai contorni a dir poco

3
A. LAMI (a cura di), I Presocratici, Milano, BUR 1991, p. 131.
fumosi, Bolo di Mende, nella area ellenistica germinano una serie di risposte alternative
a quella che è la dimensione esistenziale del singolo uomo, in un mondo ormai
trasformato e alterato nella sua struttura tipica dalla società post-alessandrina. E sulla
scia dello stoicismo, il neoplatonismo riprende la concezione organicistica della materia
come un insieme omogeneo, sebbene la releghi all'ultimo grado di una scala
emanatistica che dall'Uno, eccelso e trascendente, giunge fino alla vile hyle. Mentre
contro l'ordine materiale rigidamente ordinato e ineludibile, si ergerà ribelle lo
gnosticismo, in cerca di salvezza dalla morte del divenire con la via della fuga dal
mondo-prigione. Elementi, questi, di cui tali correnti sono in gran parte debitrici ai culti
misterici del mondo ellenico arcaico, primi tra tutti i misteri orfici in cui gli iniziati
tentano, seguendo una strada ascetica, di trovare la catarsi dell'anima dagli elementi
materici, bassi e nocivi.
Al contrario, la tradizione alchemica, preso atto di questo bagaglio culturale
preesistente, tenta di avvicinare l'idea neoplatonica dei vari livelli dell'Essere e l'idea
stoica di una psyché materiale, legando il tutto in un sistema di intensa compenetrazione
tra anima e corpo, entrambi principi materiali. E, come dice Jack Lindsay, «Essa
costantemente considerava tutti gli elementi più solidi e specifici come permeati e tenuti
insieme nella trama infinita delle tensioni del pneuma»4. D’altra parte basta citare la
Tabula Smaragdina per rendersi conto di quanto sia centrale nella visione alchemica la
ciclicità e l’unità dell’universo; non esistono dimensioni o differenze e tutte le
molteplici prospettive si fondono in un’unica realtà:

«È vero, senza falsità, certo e sicurissimo.


Ciò che è sotto è come ciò che è sopra, e ciò che è sopra è come ciò che è sotto, per realizzare le
meraviglie dell’Unica Cosa.
E come tutte le cose derivarono da una sola cosa, per mediazione di una cosa sola, così tutte le
cose nacquero da questa unica cosa, per adattamento.
Suo padre è il Sole, sua madre è la Luna. Il Vento la recò nel suo grembo, sua nutrice è la Terra». 5

1.2 Un mondo di qualità.

4
J. LINDSAY, The origins of alchemy in graeco-roman Egypt, London, Muller Ltd, 1970; trad. it. Le
origini dell’alchimia nell’Egitto Greco-romano, Roma, Edizioni Mediterranee, 1984, pag. 35.
5
Id., p. 194.
Come nota bene Lindsay, ciò che conta prevalentemente nello studio naturalistico antico
è l’analisi delle qualità piuttosto che delle quantità6. Queste ultime, anzi, seppure non
sono del tutto trascurate, assumono un significato totalmente simbolico e di certo non
possono inquadrarsi in un sistema di pensiero analogo a quello post-galileiano, scenario
in cui le quantità diverranno legittimamente i veri caratteri di cui si compone l’alfabeto
del mondo. È sufficiente pensare, qua, al principio di aggregazione atomica sviluppato
da Democrito, il simile attrae il simile:

«Tutti gli animali si raggruppano insieme a quelli della loro specie: le colombe con le colombe e le
gru con le gru. Lo stesso avviene con gli oggetti inanimati, come si può osservare con i grani
scossi nel crivello o con i ciottoli su di una spiaggia. Il movimento circolare del crivello dispone i
granelli in gruppi distinti, le lenticchie con le lenticchie, l’orzo con l’orzo, il frumento con il
frumento; e il movimento delle onde fa rotolare tutte le pietre allungate in un posto, tutti i ciottoli
tondi in un altro, dimostrando che la somiglianza delle cose tende ad attrarle le une alle altre»7.

Come si vede in questo frammento di Democrito, le qualità sensibili sono ritenute la


causa definitivamente esplicativa della natura degli oggetti, dei loro movimenti. Il
simile nella forma è simile nella natura. C’è una concezione quasi simpatica della
natura, in cui i sassi simili stanno vicini come accade con gli animali che appartengono
alla medesima specie e che si incontrano in sintonia. Il principio di aggregazione di
Democrito è un chiaro esempio di principio di affinità, dato che il simile è affine al
simile e per questa ragione si attraggono reciprocamente.
Già dall’età arcaica è presente, poi, un’accurata attenzione ai cambiamenti qualitativi
che avvengono in natura. Si pensa che le qualità sensibili degli oggetti siano
intrinsecamente legate alla loro natura intima8. Un cambiamento di colore indica un
radicale cambiamento strutturale di quell’oggetto; ed è facile, evidentemente,
individuare l’analogia osservativa con la maturazione della frutta: il passaggio dal verde

6
«Gli antichi erano dunque soprattutto interessati alle qualità, ciò che era simile o dissimile in vari
oggetti. Le quantità, come il peso, sembravano irrilevanti. In termini cosmici, essi consideravano la
fusione o la separazione di sostanze o elementi con aspetti qualitativi come il calore o la freddezza,
l’umidità o la secchezza, oppure, quando si trattava di atomi, le somiglianze o le differenze di forza.
Dunque i concetti di pesantezza o leggerezza erano sussidiari, invocati solo accidentalmente nel
descrivere il simile attratto dal simile o il dissimile respinto dal dissimile», Id., p. 17.
7
Id., p. 16.
8
«Fin dall’inizio, per gli alchimisti, il colore aveva un significato pratico e doveva rivelare la natura
interiore del metallo e i suoi cambiamenti. Il colore era considerato come una forma di attività e quindi
come spirito o pneuma, che poteva essere rimosso da una sostanza e infuso in un’altra. “Uno pneuma
colorante dà la sua tinta ai metalli”. Il colore delle piante era il loro pneuma». Id., p. 124.
acerbo della mela al rosso del frutto ormai pronto ad essere colto e mangiato. Si pensa
che il sapore, il gusto del frutto, sia un necessario correlato del colore, ragion per cui
modificare il colore vuol dire modificare tutti gli altri connotati intrinseci del frutto
(ovviamente, non esiste ancora una concezione del principio di causa/effetto che vada al
di là di un semplice legame simbolico tra una data “causa” e un determinato “effetto”).
Non per nulla i primi riti trasformativi alchemici sono tutti legati al mondo vegetale,
soprattutto nell’area iranica e mesopotamica, ma anche in ambito greco; in effetti non
sono rare tra le metafore usate dagli alchimisti quelle di piante che cambiano colore con
lo sviluppo e, di conseguenza anche le proprie qualità intrinseche: alcune piante hanno il
dono di donare (o togliere) la vita; tra di esse vi è il melograno. Il suo frutto rosso
sanguigno è visto come magicamente connesso con la natura del sangue e quindi con la
vita (o con la morte)9.
Il legame col mondo vegetale si può ritrovare tra l’altro in una delle possibili etimologie
del nome dell’arte alchemica: chēmeia o chymia, l’opera del metallurgista o fonditore, è
una parola che condivide la propria origine con chymos, che è il termine greco che
indica la linfa vegetale10. Fondamentalmente, il processo della maturazione vegetale, ma
soprattutto la preparazione di bevande legate al processo di fermentazione
(particolarmente il vino), e il processo metallurgico della fonditura sono accomunati
dall’idea di trasformazione delle qualità sensibili, cui si collega una supposta
trasformazione intima degli elementi chiamati in causa. Non stupisce allora che questi
due processi siano a loro volta affiancati al processo digestivo: anch’esso, in effetti,
produce un amalgama in cui si verifica un mutamento delle qualità sensibili degli
elementi coinvolti. Del resto ciò che conta maggiormente è l’idea di trasformazione
radicale delle nature implicate nel processo di assimilazione reciproca.
Ancora, è centrale l’elemento del fuoco. È questo, d’altra parte, che col calore fonde i
metalli nell’amalgama, ma è anche grazie ad esso che avviene la cottura. E si può
aggiungere che la natura trasformante del fuoco si richiama sicuramente al pensiero
dell'efesino Eraclito, ma più ancora ai culti primigeni dell'olocausto consumato dal
fuoco, che simboleggiava la consumazione sacramentale dello stesso offerente, il quale
moriva alla carne per rinascere allo spirito, ormai purificato11. Poiché il martire è nel

9
Id., pp. 89-95.
10
Id., p. 87.
11
A tale proposito consultare il capitolo “Sostituzioni”, da C. GROTTANELLI, Il sacrificio, Bari, Laterza
1999.
fuoco «non come un corpo che viene arso [per essere distrutto], ma quale un pane che
viene cotto o come oro e argento che vengono purificati nella fornace»12.
Il pane, d’altro canto, è forse il simbolo più usato per la raffigurazione allegorica del
corpo dell’uomo: il pane è corpo che dà la vita in quanto è l’amalgama dei quattro
elementi del cosmo, il grano prodotto dalla terra, l’acqua aggiunta alla farina, l’aria
necessaria alla lievitazione e, infine, il fuoco che con la cottura stabilizza l’amalgama e
lo completa.
Il fuoco consente quindi la trasformazione rituale degli elementi coinvolti nel miscuglio,
che si fondono seguendo le linee tensionali delle affinità che li legano fino a
raggiungere uno stadio ultimo di stabilità.

1.3 Trasformazioni e accoppiamenti.

«Generalmente i passi della trasformazione cominciavano con una terra o un qualche solido
identificabile o una lega o un metallo base come il piombo, la tetrasomia (piombo, stagno, rame,
ferro), o “metallo di magnesia”. L’operatore cercava d’imporre su questi corpi le qualità della
liquidità (acqua) o fusibilità e brillantezza (aria, fuoco). Il metallo o materiale spesso doveva
essere prima ridotto in un “corpo”: una degenerazione che poteva essere prodotta fondendolo
insieme a zolfo. Questo passo veniva detto annerimento, melanōsis. Quindi veniva la sbiancatura,
leukōsis: spesso una fusione con il “fermento” o “seme d’argento”, in cui venivano usati
ingredienti come l’arsenico o il mercurio. […] Il terzo passaggio era la produzione di una tinta
violetta o purpurea, iōsis. Il fermento violetto trasformava a poco a poco l’oro in uno ios di oro,
che era la tintura permanente, la quale, se gettata sull’oro, ne produceva dell’altro».13

Quello illustrato quassù da Lindsay è il procedimento generale per la produzione


dell’amalgama, il “corpo” sottoposto poi alle necessarie operazioni di purificazione per
l’ottenimento dell’oro.
Se è vero, dunque, che è possibile rintracciare una “corrente materiale” all’interno
dell’alchimia, quella cioè cui si attribuisce un interesse strettamente materiale per la
manipolazione delle sostanze e la fabbricazione dell’oro, ancor più bisogna sottolineare
che tutto il filone alchemico, tra il II e il III secolo d. C. è oggetto di spietate
persecuzioni da parte delle autorità romane in tutto il Mediterraneo. Il motivo è
semplice: l’Impero stava avvitandosi in una forte spirale inflazionistica e i falsari che

12
Da LINDSAY, op. cit., p. 75.
13
Id., p. 124.
immettevano sul mercato denaro contraffatto rischiavano di aggravare ulteriormente la
situazione. All’epoca, i ricettari alchemici erano facilmente accostati ai manuali per
tecniche di fusione dell’oro contraffatto, così non si andava troppo per il sottile nella
distinzione tra falsari e alchimisti; il semplice possedere un libro diveniva reato punibile
in certi casi con la morte. Una vittima eccellente della caccia ai “maghi” è dopotutto lo
stesso Apuleio, coinvolto in un processo per stregoneria.
Tuttavia, l’obiettivo principale della trasformazione alchemica, a dispetto dei timori
imperiali, non era certo la creazione di oro materiale da smerciare in moneta, piuttosto
quella di un oro simbolico. Si tratta di comprendere materialmente il principio vitale che
anima il cosmo e l’uomo. È il caso, per esempio, di Zosimo, che sviluppa l’arte
alchemica all’interno di un contesto religioso permeato dalla sacralità gnostica14. L’oro,
d’altra parte, nella simbologia alchemica rappresenta la materia pura, redenta dal fuoco
e sublimata. L’amalgama e il suo processo trasformativo sono null’altro che lo specchio
rituale dell’anima e della sua graduale purificazione15. La stessa pietra filosofale che si
otterrebbe, chiamata anche Uovo filosofico, è un concetto: l’uovo è simbolo dell’unità
del Tutto, nonché principio della vita. Esso è il microcosmo che riflette tutte le qualità
del macrocosmo16. Il ruolo dell’alchimista consiste nel creare un amalgama in cui
fondere gli elementi del mondo, i sette metalli che simboleggiano le sfere planetarie,
tramite l’aggiunta di un elemento dinamico quale lo zolfo o il mercurio, chiamato anche
acqua di vita o argento vivo. Il piombo fuso, di colore nero, rappresentava il caos
primordiale da cui si è generato il mondo; da questo primo gradino l’alchimista, in
quanto demiurgo, aveva il compito di giungere allo stadio supremo della materia,
appunto l’oro17. Il movimento di ascesa poteva essere ottenuto introducendo l’elemento
dinamico suddetto: esso poteva reagire con gli elementi del miscuglio in quanto era in
possesso di qualità affini sia con le sostanze inferiori che con quelle superiori.

14
«Le opere di Zosimo che ci sono pervenute sono per la maggior parte scritte in greco, ma non mancano
testi in siriaco ed altri di cui conosciamo solo un originale arabo o latino il cui rapporto con la sua
effettiva produzione e stato indagato solo in parte. I più importanti studi recenti mettono tuttavia
sufficientemente a fuoco che l'elemento innovativo contenuto nel suo modo di fare alchimia è lo sfondo
religioso gnostico, che sviluppa l’elemento sacrale del sapere trasmutatorio». Da M. PEREIRA, Arcana
sapienza. L’alchimia dalle origini a Jung, Roma, Carocci 2001, p. 52.
15
Infatti, bisogna notare che «in realtà, assistiamo nel processo [di trasformazione dell’amalgama] a un
antichissimo schema di mutamenti misterici». LINDSAY, op. cit., p. 124.
16
Id., p. 270.
17
«Così la nerezza della condizione liquida esprimeva soprattutto il conseguimento di un livello
primitivo, di uno stato di caos. Dopo aver prodotto il caos, l’alchimista si trovava nella posizione di
svolgere il ruolo di demiurgo e di spingere la materia a salire lungo la scala gerarchica, con l’oro al
sommo gradino». Id., p. 128.
L’alchimista doveva ritrovare la rete di affinità su cui si reggeva l’universo, le simpatie
che collegavano i vari elementi18. Secondo la formula triadica dell’alchimista Ostane,
questo processo poietico rituale comportava tre stadi: a) il miscuglio originario; b)
introduzione del fattore dinamico; c) stabilizzazione del miscuglio ad un livello
superiore.
In una ricetta per produrre l’argento dal ferro si illustra così il processo: «ammorbidirai
il ferro aggiungendo magnesia o una quantità eguale di zolfo e una piccola quantità di
pietra magnetica; poiché il magnete ha affinità col ferro»19 o ancora «lo zolfo mischiato
con lo zolfo rende solforose le tinte metalliche, dal momento che lo zolfo e i metalli
hanno grande affinità fra loro»20. Come si vede, sono centrali le affinità che legano gli
elementi, indispensabili per il funzionamento dell’operazione.
La fusione degli elementi è in più testi descritta come un matrimonio21, come un unione
carnale tra coniugi: infatti, le due sostanze agenti l’una sull’altra sono definite non a
caso maschio e femmina. Essi si avviluppano nell’affinità catalizzata del processo
poietico. Anche il lessico dei testi è intensamente carnale: ricorre frequentemente il
termine “dominio” per descrivere l’accoppiamento tumultuoso delle sostanze, il loro
reciproco avvilupparsi e assimilarsi fino a raggiungere la stabilità, la natura di livello
superiore, il Figlio del connubio.
Un brano interessante sul tema della coniunctio oppositorum si può rintracciare anche
nell’Epistola del sole alla luna crescente, di Ibn Umayl:

«Disse la luna al sole: “Tu hai bisogno di me come il gallo della gallina, ed io ho bisogno della tua
operazione, o sole [...]. Io sono la luna crescente, fredda e umida, e tu, o sole, sei caldo e secco; ma
quando ci saremo congiunti potremo permanere in uno stato di temperanza in cui non vi sia niente
se non ciò che, essendo leggero, ha in sé il suo pesante, e saremo chiamati e davvero saremo la
sposa e il suo sposo” [...]. Rispose il sole: “Se farai questo senza farmi del male, o luna, e il mio
corpo ritornerà com’era, ti darò una nuova virtù di penetrazione [...]. Beati coloro che meditano

18
«La dissoluzione dei metalli nella loro “materia prima” permette di imitare i processi di separazione e
unione dei loro componenti ultimi, riproducendo una dinamica materiale naturale che la filosofia sia
platonica che aristotelica considerano logicamente necessaria, ma empiricamente inattingibile.» PEREIRA,
op. cit., p. 60.
19
LINDSAY, op. cit., p. 129.
20
Id., p. 130.
21
Cfr. id., pp. 129-130 («L’idea della fusione come un accoppiamento o matrimonio di sostanze con
un’affinità magica era già presente. Per la fabbricazione dell’argento: “Prendere quattro once di rame
biancastro, cioè oricalco, fonderlo, e gettarvi dentro a poco a poco un’oncia di stagno precedentemente
purificato, scuotendolo dal di sotto con la mano in modo che le sostanze possano sposarsi insieme”»).
sulle mie parole, perché la mia dignità non sarà loro negata, ed il leone infermo non s’indebolirà
nella carne”»22.

1.4 Il femminile nell’arte alchemica: donne e simboli.

L’arte alchemica, come già si è sottolineato nel paragrafo 1.1, ha ricevuto fin dalle
origini un forte contributo culturale dai culti misterici dell’area egea, mutuando
ampiamente il contenuto di archetipi. Tra questi, è rimarchevole la presenza del
femminile, di tutto ciò che ruota attorno alla donna e alla riproduzione. Il culto della
Madre generatrice ha risapute origini preistoriche, ma giunge a forme raffinate presso
Minoici e Micenei. I rituali incentrati attorno alla riproduzione e le cerimonie a sfondo
sessuale erano tipiche nei misteri eleusini e kabirici. Ancora, ampie tracce di tutto ciò
risultano presenti in vari manoscritti alchemici che affiancano il processo d’iniziazione
ad un rituale di accoppiamento. È interessante vedere come si possa individuare questo
contenuto proprio all’origine del sapere alchemico. È il caso particolarmente di un testo:
Iside la Profetessa a suo figlio Horo. Lo scritto presenta, in forma di epistola, dei
precetti alchemici che Iside ha appreso tramite iniziazione e ai quali sta iniziando a sua
volta Horo, suo figlio. La storia offre un antefatto nel quale si spiega come abbia fatto
Iside ad entrare in possesso del sapere alchemico: esso è stato ottenuto dall’angelo
Amnael, che si era invaghito di lei, in cambio di un rapporto carnale.

«Bene, quando stavo per partire, uno dei profeti o angeli che dimorano nel primo firmamento mi
vide […]. Egli avanzò verso di me e desiderò unirsi a me nel rapporto d’amore. [Egli stava per fare
ciò che voleva] ma io mi rifiutai di cedere. Gli chiesi prima che mi spiegasse la preparazione
dell’oro e dell’argento. Ma egli mi rispose che non gli era permesso esporre tali argomenti, perché
questo mistero andava oltre ogni descrizione. [Ma il giorno seguente sarebbe venuto da me un
angelo suo superiore, Amnael, e sarebbe stato abbastanza potente da rispondere alla mia
domanda.] Il giorno dopo, avendo fatto ritorno da me, Amnael fu colto dal desiderio di me e
[incapace di contenere la sua impazienza] egli si affrettò a raggiungere la meta per cui era venuto.
Ma io deliberatamente feci finta di nulla [e non lo interrogai su queste cose]. Egli, però, non smise
di cercare di convincermi e di invitarmi al rapporto, ma io gli impedii di prendermi. Trionfai sulla
sua passione finché egli non fu pronto a mostrarmi il segno sul suo capo e a rivelarmi,
generosamente e senza nascondermi nulla, i misteri tanto cercati»23.

22
PEREIRA, op. cit., p. 104.
23
LINDSAY, op. cit., pp. 203-204.
Il prezzo dell’unione carnale come controparte del sapere alchemico è un motivo che
ricorre anche in un apocrifo biblico, il Libro di Enoch. Al suo interno si racconta che
una legione di angeli, avendo visto la bellezza di alcune delle “figlie degli uomini”, si
invaghì di esse e volle scendere giù dal cielo per unirvisi e procreare:

«Ed accadde che aumentarono i figli degli uomini, [che] in quei tempi nacquero, ad essi, ragazze
belle di aspetto. E gli angeli, figli del cielo, le videro, se ne innamorarono, e dissero fra loro:
“Venite, scegliamoci delle donne fra i figli degli uomini e generiamoci dei figli”. […] E si presero,
per loro, le mogli ed ognuno se ne scelse una e cominciarono a recarsi da loro. E si unirono con
loro ed insegnarono ad esse incantesimi e magie e mostraron loro il taglio di piante e radici. Ed
esse rimasero incinte e generarono giganti la cui statura, per ognuno, era di tremila cubiti. […] E
Azazel insegnò agli uomini[…] il cambiamento del mondo. E vi fu grande scelleratezza e molto
fornicare. E caddero nell’errore e tutti i loro modi di vivere si corruppero»24.

La nascita di osceni giganti, ibridi mostruosi, sottolinea la natura terribile dell’unione e


dell’origine del sapere alchemico, sacrilego e superbo. Un coacervo di passioni
intensamente umane che si intrecciano a fondo ne è all’origine.
Se la figura di Iside ha connotati piuttosto immaginifici e attinenti palesemente al
registro del leggendario, Maria l’Ebrea rappresenta invece la più antica figura storica
nell’alchimia femminile. A lei si debbono diverse innovazioni nella costruzione di
alambicchi e nel raffinamento delle tecniche di distillazione. Ciò che forse è più
interessante per noi, nel suo pensiero, è ancora una volta l’affermazione pratica
dell’unità del Tutto, delle affinità tra le sostanze e delle amorose fusioni della materia;
poi la messa a punto di un apparato tecnico per la conseguente realizzazione alchemica
di tali concetti. Difatti, come sottolinea Lindsay:

«Possiamo dire che essa sviluppò la concezione proposta da Ermete della relazione fra
microcosmo e macrocosmo e le diede una base più dinamica e concreta, legando il sistema del
sopra-sotto con i processi reali dell’alchimia in modo diretto. Non possiamo dimostrare che essa
elaborò anche l’analogia dell’accoppiamento e della nascita del fanciullo come espressione della
formula triadica; ma è del tutto possibile che ciò sia avvenuto […]. [E ancora,] sarebbe proprio in
carattere con lei l’impiego della metafora sessuale per la fusione delle sostanze»25.

24
P. SACCHI (a cura di), Apocrifi dell’Antico Testamento, Torino, UTET 2006, vol. 1, pp. 472-474.
25
LINDSAY, op. cit., p. 258.
La terza occorrenza di figura femminile è quella di una certa Cleopatra di non chiara
identificazione (taluni la identificano con la regina d’Egitto, altri come una personalità
vicina alla scuola di Maria l’Ebrea)26. I legami con la scuola di Maria sono evidenti,
particolarmente nell’accettazione del già comune assioma ermetico “Uno il Tutto”. È
autrice di un Dialogo in cui sviluppa temi che ci interessano particolarmente. In effetti,
parla così: «E guardate, nel mezzo della montagna, sotto il maschio giace la compagna
con cui egli è unito e da cui trae piacere; poiché la natura gode della natura, e senza di
essa non vi è alcuna unione»27. Qua è chiarissimo il motivo erotico, la presenza del
connubio tra sostanze che si palesa come un rapporto profondamente carnale e sensuale.
E di nuovo ritornano questi temi nel brano che segue:

«Guardate come la natura corrisponde con la natura, e quando raccogliete insieme tutte le cose in
egual misura, allora le nature conquistano le nature e si deliziano a vicenda.
Vedete, o sapienti, e comprendete. Osservate l’adempimento dell’arte nell’unione della sposa e
dello sposo e nel loro divenire una cosa sola»28.

“Trarre piacere”, “godere”, “deliziare” denotano una natura ampiamente passionale nel
rapporto di coniunctio alchemica tra le sostanze. Il Fuoco si presenta poi come causa
efficiente ed elemento catalizzatore nell’unione delle sostanze:

«E il corpo e l’anima e lo spirito erano tutti uniti nell’amore ed erano divenuti una cosa sola: nella
cui unità è nascosto il mistero. Nella loro unione il mistero si è realizzato, la sua dimora si è
sigillata e si è costruito un monumento colmo di luce e divinità.
Infatti il Fuoco li ha unificati e trasformati, e dalla cavità del suo Ventre essi sono generati,
esattamente come dal Ventre delle Acque e dall’Aria che li nutre. […] Poiché il Ventre del Fuoco
li ha fatti nascere ed essi si sono rivestiti con esso di gloria. Questo li ha portati ad una singola
unità. La loro somiglianza è stata perfezionata nel corpo e nell’anima, nell’anima e nello spirito, ed
essi sono divenuti una cosa sola»29.

In ultimo, dopo aver in più punti sottolineato il rapporto amoroso nei termini di affinità
cosmica e unità dell’Essere e nei termini di accoppiamento tra sostanze, è doveroso

26
Id., p. 263.
27
Id., p. 266. È interessante, qua, il confronto con un estratto dalla lettera di Iside a Horo che citavamo
sopra e che dice: «Poiché una natura gode di un’altra natura, e una natura conquista un’altra natura» (Id.,
p. 204). Si tratta dunque di un motivo topico, molto ben sedimentato nella tradizione alchemica.
28
Id., p. 266.
29
Id., pp. 268-269.
rimarcare con qualche altro breve estratto il desiderio amoroso dello stesso alchimista,
mentre si accosta al momento poietico, demiurgico: «I filosofi contemplano la loro bella
opera, proprio come una madre amorosa fa con il bambino che ha generato, e quindi
essi cercano come possano nutrirla, esattamente come fa la madre con l’infante»30. E
poi ancora: «sia il corpo metallico sia l’alchimista soffrono e gioiscono nel processo.
Non solo le sostanze si accoppiano nell’alambicco, ma anche l’alchimista in egual
tempo si congiunge con la natura»31. Difatti «egli deve realizzare l’unità dell’uomo e
della natura, non come idea generale ma mediante una concentrazione della sua intera
mente, del suo corpo e del suo spirito nell’opera che sta compiendo, così da sentirsi
veramente disintegrare, separare e rimettere insieme, rinato in una nuova forma»32.

2. Due esempi letterari.

Finora abbiamo offerto un quadro introduttivo, rintracciando una serie di brani in cui si
citano legami carnali tra le sostanze. L’accoppiamento tra gli elementi all’interno
dell’amalgama, come si è visto, tenta di ricostruire la rete di affinità e tensioni magiche
che unisce i singoli elementi del mondo in un tutto omogeneo. D’altra parte, gli
alchimisti ritenevano che il mondo si basasse sulla fondamentale polarità
maschio/femmina, posta all’origine del Tutto, e che tentavano di ricostruire secondo un
principio di complementarietà armonica nel miscuglio metallico: Apollo e Diana, il Sole
e la Luna, rappresentano le due facce gemelle della medesima natura androgina della
vita che trova in Ermete il suo simbolo33. Il rito di fusione che li porta al connubio
celebra questo mistero, il segreto dell’essere del cosmo. Dice, a questo proposito,
Arturo Schwarz: «L’unione dei due principi cosmici di maschile e femminile – un tema
universale – è dunque visto come l’origine del processo cosmogonico e quindi
dell’universo»34. La separazione delle due componenti dell’essere, il maschile e il
femminile, sfocia in un opposizione tra i contrari, destinata a conciliarsi nel momento
sacrale della coniunctio oppositorum, che ricostruisce l’unitarietà del sistema-mondo e

30
Id., p. 266.
31
Id., p. 302.
32
Id., p. 162.
33
Già nell’antica religione egizia era presente un forte elemento di ermafroditismo: il dio creatore
includeva infatti in sé entrambi i sessi. Tracce di ciò si riscontrano anche nella tradizione greca. (Cfr. id.,
p. 290.)
34
A. SCHWARZ, Kabbalah and Alchemy. An Essay on Common Archetypes, trad. it. Cabbalà e Alchimia.
Saggi sugli archetipi comuni, Milano, Garzanti 2004, p. 46.
l’ordine cosmico che la caratterizza. Il sapere alchemico tenta, intuitivamente, di
cogliere questa realtà attraverso la sua ricostruzione rituale35. Ma vediamo meglio tutto
ciò, analizzando nello specifico uno dei classici della letteratura alchemica: il Mutus
Liber.

2.1 Un libro muto.

Il Mutus Liber36, Libro Muto, è un classico dell’alchimia che si compone di sole


immagini. Quindici stampe nelle quali è rappresentato per intero il procedimento
dell’opera alchemica. L’autore sembra sia un non ben definito Altus, il cui nome
compare nel frontespizio.
Nella prima tavola, quella del frontespizio, è raffigurato il sogno di Giacobbe che dorme
(verosimilmente il novizio) poggiando la testa su di una pietra usata a mo’ di guanciale.
Una scala, i cui dodici pioli rappresentano i dodici stadi del processo alchemico, collega
il cielo e la terra, l’Alto e il Basso, secondo il principio della Tabula Smaragdina. Poi,
nella parte alta della seconda tavola, si può facilmente individuare il vaso alchemico
retto da due angeli: esso contiene Nettuno, sotto la cui egida sono raffigurati Apollo e
Diana, il Sole e la Luna. I due principi, il maschile e il femminile, dovranno unirsi
all’interno dell’acqua di trasmutazione (Nettuno) per dare origine al Mercurio dei
filosofi: l’androgino. Nella parte bassa vediamo l’attuazione pratica dell’allegoria
suddetta, mentre all’alchimista si affianca la figura della soror mystica, la compagna che
lo assiste in tutte le fasi dell’Opus. Ancora una volta una rappresentazione dei due
principi cardine della trasmutazione.
Anche la quarta tavola risulta interessante per il nostro argomento: la raccolta della
rugiada avviene sotto lo sguardo di Sole e Luna, mentre un ventaglio di raggi che si

35
«Ciò che nell’atto rituale colpisce particolarmente è il darsi di una ierofania, ovvero di una
manifestazione del sacro durante la liturgia che comunica la sua natura in maniera presentativa: è il sacro
che si rivela direttamente al credente durante il rito.
È un concetto che sa di illuminazione, un po’ come se portasse l’esperienza mistica (che è propria del
singolo) a tutta la comunità. In questo modo il rito media l’esperienza del soprannaturale, trasferendolo ai
membri del gruppo. Il rito si configura per l’uomo come l’imitazione del modello divino e costituisce la
ripetizione sacrale di uno scenario iniziale. Infatti ogni iniziazione implica una riattualizzazione
dell’evento primordiale e atemporale della creazione». Da F. CONSIGLIO, «La conoscenza sottile: mito
misterico e apprensione intuitiva», p. 58, in V. LUSINI – M. SQUILLACCIOTTI (eds.), Arlian. Laboratorio
di arti e linguaggi in antropologia, (21 ottobre 2011), URL =
http://arlian.media.unisi.it/DOCUMENTI/La_conoscenza_sottile.pdf .
36
ALTUS (Jacob Saulat) , Mutus Liber, La Rochelle, Pierre Savouret 1677, in e-rara, URL =
http://www.e-rara.ch/doi/10.3931/e-rara-4322 .
dipartono dall’alto fino a toccare la terra simboleggiano il principio cosmico necessario
al compimento dell’opera, rimarcando una volta di più lo stretto legame tra Alto e Basso
che attraversa tutto il testo.
Le tavole da cinque a sette ritraggono i vari stadi della fermentazione, mentre l’ottava ci
riguarda già più da vicino: ritroviamo due angeli che reggono l’Uovo filosofico, nel
quale si realizza una prima apparizione di Mercurio che si erge su della terra scura
(nigredo) e ai suoi piedi si trovano ancora una volta il Sole e la Luna, principi dalla cui
unione nasce «poiché essi sono nutriti nel fuoco e l’embrione cresce a poco a poco
alimentato nel grembo della madre; e quando giunge il mese stabilito, non è possibile
ostacolarne la nascita»37. Altre tavole rappresentano ulteriori passaggi di fermentazione
nel vaso alchemico, finché nell’undicesima incontriamo una seconda manifestazione di
Mercurio, stavolta eretto su di una terra luminosa (albedo). Ancora un'altra tavola che
richiama la quarta rappresentando l’influsso cosmico ed una seguente che rappresenta
una terza serie di passaggi trasmutativi. Nella quattordicesima il matrimonio si è
compiuto, il connubio ha dato i suoi frutti: il Mercurio dei filosofi fa bella mostra di sé
in un’ampolla. Nella quindicesima ed ultima tavola, un uomo che viene incoronato
d’alloro da una coppia di angeli suggerisce l’immagine dell’iniziato che ha ormai colto
il mistero e sovrasta la coppia uomo/donna legati in chiasmo rispettivamente con Luna e
Sole a simboleggiarne la riconciliazione, una volta di più attestata dal loro tenersi per
mano38.

2.2 Il Rosario dei filosofi.

Se il Mutus Liber si presenta in sole immagini, il Rosarium Philosophorum39 si offre


invece come una ricca antologia polifonica che raccoglie un insieme molto vario di
sentenze di alchimisti, reali o leggendari. Le loro citazioni si snocciolano gradualmente,
come i grani di un rosario durante una preghiera. Nel loro insieme, offrono una
ricostruzione dei passaggi della trasmutazione alchemica. Nondimeno, si tratta di un
volume ricco di metafore e immagini letterarie strettamente attinenti al dominio

37
LINDSAY, op. cit., pp. 264-265.
38
«Il gesto con cui la soror mystica e il suo sposo si tengono affettuosamente per mano è segno della loro
unione carnale», come sottolinea Arturo Schwarz (SCHWARZ, op. cit., p. 107).
39
Anonimo, Rosarium Philosophorum, Frankfurt am Main, Cyriacus Jacob 1550, URL = http://www.e-
rara.ch/doi/10.3931/e-rara-10570, trad. it. a cura di Eleonora CARTA, in Esonet.org. La Tradizione
Iniziatica tra Oriente e Occidente, URL = http://www.esonet.org/ebooks-alchimia/rosarium-
philosophorum-ita .
semantico del desiderio amoroso e della copula. Sono esemplificative alcune frasi come
«la Materia desidera naturalmente la Forma, come la donna fa con l’uomo»40 o «Il
Nostro Mercurio è convertito in ogni natura, o nature, con le quali esso sarà unito o
accoppiato»41, ma anche «Il nostro Mercurio non proviene da corpi sciolti, non per
mezzo della comune liquefazione ma solo con quella che dura fino a che l’uomo e la
moglie siano associati e uniti nel vero matrimonio»42.
Un’intera sezione porta il titolo di “Congiunzione o copula” e raccoglie frammenti fra i
più congrui e notevoli del trattato:

«O Luna, per mezzo del mio abbraccio e dolci baci


Diventi bellissima, forte e potente come io sono.
O Sole, tu devi essere preferito davanti a tutte le luci
Ma ancora tu hai bisogno di me, come il gallo della gallina»43.

E ancora:

«Unisci perciò tuo figlio Gabrick, il prediletto tra i tuoi figli, con sua sorella Beya, che è una
giusta, dolce e tenera damigella. Gabrick è l’uomo e Beya la donna, che gli dona tutta se stessa.
[…] Unisci pertanto il nostro fermento alla sua dolce sorella e loro concepiranno un figlio tra loro,
che non sarà simile ai suoi genitori. E malgrado Gabrick sia più caro a Beya, non vi è generazione
senza Gabrick, perché l’unione di Gabrick e Beya è attualmente morta. Per cui Beya ascende su
Gabrick e lo riceve nel suo grembo poiché niente può essere visto di lui. E lei abbraccia Gabrick
con un amore talmente grande che lei ha concesso a lui interamente la sua natura e lo ha diviso in
parti inseparabili»44.

Come si vede, si esprime così con la metafora di uno sposalizio e di un accoppiamento


la filiazione delle due componenti, maschio e femmina, in quello che sarà poi
l’androgino, il quale «non sarà simile ai suoi genitori». Ancora oltre, è notevole il
seguente frammento:

«Il concepimento cambia il sangue, che prima era come il latte


Le cose pallide divengono nere, il rosso diffonde lo splendore delle cose.

40
Id., p. 2.
41
Id., p. 14.
42
Id., p. 17.
43
Id., p. 20.
44
Ibid.
La donna bianca, se sarà maritata all’uomo rosso,
quanto prima si abbracceranno, ed abbracciandosi si uniranno.
Per mezzo loro si dissolvono e per mezzo loro si riuniscono insieme
Perché loro che erano due, siano fatti come fosse un corpo solo»45.

E dice Morieno: « La nostra Pietra è una confezione del magistero stesso ed assomiglia
alla creazione dell’uomo, poiché la prima cosa è la Copula, la seconda è la Concezione,
la terza la Gravidanza, la quarta la Crescita, e a quinta il Nutrimento»46. E poi un ultimo
frammento di rara intensità:

«Sono Luna, che aumenta l’umido e il freddo, e tu sei Sole, caldo e umido […]. Quando ci saremo
uniti in equità di stato in una dimora che non è fatta altrimenti che di fuoco leggero, avendo in sé il
grande calore del quale saremo svuotati, saremo come una donna che vuole il frutto del suo
aumento, ed il Sole e io stessa quando saremo congiunti, saremo svuotati nella pancia della casa
essendo chiusa, io con parole suadenti ti prenderò l’anima, se tu porterai via la mia bellezza e
forma avvenente, gioiremo e saremo esaltati nella gioia dello spirito […], e di te e me vi sarà una
commistione fatta di vino e acqua dolce […]. Quando entreremo nella casa dell’amore, il mio
corpo sarà coagulato ed io sarò vuota»47.

3. Conclusione. Mysterium coniunctionis.

En to pan, Uno il Tutto. Era questo il principio del nostro percorso, che ci ha condotto
lungo alcuni dei sentieri perduti dell’alchimia. Il mondo egeo, la cultura greca e più
tardi ellenistica, parte da lì: l’unitarietà della realtà del mondo, l’Alto è come il Basso e
non esistono differenze o dimensioni. L’origine di questo tutto risiede nell’unione di
maschio e femmina, i due opposti che si cercano e s’inseguono e, quando si
raggiungono, figliano l’ermafrodito, il simbolo della loro unione nella reciproca
differenza. Esso rappresenta la Pietra filosofale, l’Uovo filosofico, infine, l’en to pan.
Dice Zosimo «Unisci il maschio e la femmina e troverai ciò di cui vai in cerca»48, la
chiave di volta dell’universo, la sua realtà recondita: l’ermafrodito Ermete.
In questo modo l’universo alchemico si costituisce, dunque, come Kòsmos,
ripercorrendo le linee tensionali delle affinità che legano gli elementi in una sottile e

45
Id., p. 21.
46
Id., p. 25.
47
Id., pp. 67-68.
48
SCHWARZ, op. cit., p. 99.
fitta ragnatela di rimandi simbolici, la quale ha nell’androgino il suo centro.
L’assimilazione tra le due sostanze, maschio e femmina, è espressa nei termini di uno
sposalizio mistico, quasi ad esprimere la similitudine tra riproduzione carnale ed eterna
generazione del mondo, che nel corso dell’eterno divenire si ricostruisce senza posa
sulle sue stesse macerie, ritornando infinitamente in realtà ogni volta nuove. Risiede qua
il segreto, nella pienezza della vita eternamente rigenerantesi di tale cosmo organico.
L’alchimista, ricorrendo alle sue arti, celebra il rito di quest’accoppiamento sempiterno;
e nel rito viene assorbito, illuminato e trasformato, reso artefice del mondo accanto alla
natura di cui è figlio e di cui diviene compagno e sposo nell’atto demiurgico, ovvero il
mysterium coniunctionis, l’amore alchemico, il gioco dell’affinità creatrice.

i
Francesco Consiglio è studente magistrale iscritto al corso di studi specialistici in filosofia, presso il
Dipartimento A.L.E.F. – Area di Filosofia, dell’Università degli studi di Parma.
Risiede in C/DA Pagliaforio, 10 – 89017 San Giorgio Morgeto (RC) – Italia.
Indirizzo e-mail: drosofilo@hotmail.it .

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