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2015, 79-136
Gaetano Lettieri
Tolomeo e Origene: divorzio/lettera e sizigia/Spirito
«E ciò che Dio ha unito, l’uomo non separi (ὃ οὖν ὁ θεὸς συνέζευξεν,
ἄνθρωπος μὴ χωριζέτω)» 1
«La conoscenza dell’uno e dell’altro» (Ἡ ἀμφοτέρων τούτων <γνῶσις>)» 2
1
Mt 19, 6.
2
Tolomeo, Epistola a Flora, in Epiph., Pan. 33, 3-7, in particolare 3, 8. Edizione del testo
greco e traduzione italiana qui utilizzate sono quelle di M. Simonetti, Testi gnostici in
lingua greca e latina, Milano-Verona 1993, 267-285; Simonetti ripropone sostanzialmente
l’edizione del testo di K. Holl in Epiphanius, Ancoratus und Panarion (GCS 25), Berlin 1915.
3
Cfr. Jr 31, 31-34 ed Ez 36, 22-29. La dialettica profetica tra Legge e Spirito può,
quindi, riassumere quella tensione tra «teologia del patto» e «teologia della promessa»
– distinzione storiografica comunque esposta al rischio della retroproiezione
dell’interpretazione paolina delle fondamentali categorie culturali giudaiche, in
particolare veterotestamentarie –, che anima l’intera storia e l’intero pensiero teologico
di Israele: chiaramente, il riferimento è a P. Sacchi, Storia del secondo Tempio. Israele tra VI
sec. a.C. e I secolo d.C., Torino 1994, passim.
4
Cfr. Gal 3, 13-14, con la citazione di Dt 21, 23.
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Cfr. Gal 3, 28-29; 1 Cor 12, 12-14.
8
Cfr. Jo 1, 9-13; 8, 13-59.
9
Cfr. Jo 12, 31; 14, 30; 16, 11.
10
Cfr. 1 Jo 3, 8-10, in part. 9: «Chiunque è nato da Dio (πᾶς ὁ γεγεννημένος ἐκ τοῦ
θεοῦ) non commette peccato, perché un germe divino abita in lui (σπέρμα αὐτοῦ ἐν
αὐτῷ μένει) e non può peccare perché è nato da Dio»; 4, 6; 5, 1-4 e 18-20; Jo 1, 13: «[Coloro
che credono nel suo Nome], non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo,
ma da Dio sono stati generati (ἐκ θεοῦ ἐγεννήθησαν)»; 8, 47; 10, 25-38.
11
Cfr. i figli del diavolo in Jo 8, 42-47; 1 Jo 3, 8; 5, 19; e ancora Jo 15, 18-19; 17, 14.
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12
Cfr. Jr 3, 1-20; Ez 23, 1-49; Apc 12; 17.
13
Cfr. Os 1-3; il riscatto di Gerusalemme-Sposa in Is 54, 1-17; quindi Apc 21; Jo 4.
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La salvifica gnosi cristiana finalmente svela – nella novità del Figlio che
dona lo Spirito e redime la «Donna» prostituitasi – l’intimo, trinitario segre-
to relazionale di Dio come eterno, precosmico ‘mito speculativo’ d’amore.
Se in Cristo, Dio si rivela Padre di un Figlio che è uomo, il segreto profondo
di Dio è segnato da una storia teogonica (di cui il dramma della rivelazione
storica diviene figura) caratterizzata dall’assunzione dello scandalo ‘pati-
co’ dell’umanità in Dio stesso: dono dell’essere-ad-immagine, desiderio
14
«Nel loro proposito di spiegare le Scritture ambigue (ambiguas) – che sono ambigue
non perché si riferiscono a un altro Dio (ambiguas autem non quasi ad alterum Dei), ma
perché si riferiscono alle economie di Dio (sed quasi ad dispositiones Dei) – hanno inventato
un altro Dio alterum Deum fabricaverunt» (Iren., Haer. II 10, 1); i primi due libri dell’opera
di Ireneo sono utilizzati e citati nell’edizione Irénée de Lyon, Contre les hérésies, I-II, éd.
A. Rousseau (SC 264), Paris 1979; e nella traduzione Ireneo di Lione, Contro le eresie
e altri scritti, a cura di E. Bellini, Milano 1979, 1997(2). Come insuperate introduzioni
alla definizione delle ermeneutiche scritturistiche marcionita e gnostica, in particolare
in riferimento al rapporto tra Cristo e la sua eventuale profezia nell’AT, cfr. A. Orbe,
Cristología gnóstica. Introducción a la soteriología de los siglos II y III, Madrid 1976, I, 54-100, in
part. 56-62; M. Simonetti, Lettera e/o allegoria. Un contributo alla storia dell’esegesi patristica,
Roma 1985, 29-37. Cfr., inoltre, E. Norelli, La funzione di Paolo nel pensiero di Marcione,
«Rivista biblica italiana» 34 (1986), 543-597; W.A. Löhr, Die Auslegung des Gesetzes bei
Markion, den Gnostikern und den Manichäern, in Stimuli. Exegese und ihre Hermeneutik in
Antike und Christentum, hrsg. von G. Schöllgen, C. Scholten, Münster 1996, 77-95.
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Cfr. Iren., Haer. I 1, 1, sulle prime due tetradi, o prima ogdoade, tolomeane, articolate
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Cfr. G. Lettieri, Il νοῦς mistico. Il superamento origeniano dello gnosticismo nel «Commento
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Cfr. G. Lettieri, Il frutto nascosto. Ontologia delle Scritture e Sophia cifrata nell’Epistola a
Flora di Tolomeo gnostico, c.d.s. L’esempio del divorzio, come vedremo, svelerà la peculiare
allegoria spirituale ontologico-pleromatica e non meramente storico-morale di Tolomeo; per
l’identificazione del principio generale, mi limito qui a due sole citazioni: «C’è poi la
parte simbolica [della Legge], posta a immagine delle realtà spirituali e superiori (τὸ
δέ ἐστι μέρος αὐτοῦ τυπικόν, τὸ κατ’ εἰκόνα τῶν πνευματικῶν καὶ διαφερόντων
κείμενον)» (EpFl 5, 8). «Una parte è allegorica (ἀλληγορεῖται) e viene trasferita e
cambiata dal significato corporale a quello spirituale (ἐπὶ τὸ πνευματικόν), parte
simbolica (τὸ συμβολικὸν) legiferata a immagine delle realtà superiori (τὸ κατ’ εἰκόνα
τῶν διαφερόντων)» (6, 4). Gli stessi Ireneo e (Ps.-)Ippolito ci testimoniano chiaramente
il metodo allegorico-ontologico, simbolico-pleromatico di Tolomeo: cfr. infra, nota 45.
Sull’irrazionale eccezione dell’allegoria valentiniana rispetto alla misura della tipologia
cattolica, cfr. Iren., Haer. IV 19, 1-3.
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Cfr. Orig., Princ. III 5, 4; Comm. Jo. XIX 149-150.
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G. Lettieri, Origene interprete del Cantico dei cantici. La risoluzione mistica della metafisica
valentiniana, in Origene maestro di vita spirituale, a cura di L.F. Pizzolato, M. Rizzi, Milano
2001, 141-186.
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«Juan hablaba de Unigénito de Dios, del Logos, de la Vida, Luz etc.: elementos
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Cfr. H. Jonas, Gnosis und spätantiker Geist, I: Die mythologische Gnosis. Mit einer
24
Einleitung «Zur Geschichte und Methodologie der Forschung», Göttingen 1934, 1988(4);
e II: Von der Mythologie zur mystischen Philosophie, Göttingen 1954, 19934, tr. it. Gnosi
e spirito tardoantico, Milano 2010, 829-833; 862-869, ove il progresso demitizzante dai
valentiniani ad Origene è caratterizzato, in modo non convincente, come «mistero del
nesso e del passaggio tra la gnosi mitologica del II secolo e quella mistico-filosofica
del III e del IV» (869). Mi pare che la grande trattazione del confronto di Origene con
lo gnosticismo proposta da A. Le Boulluec, La notion d’hérésie dans la littérature grecque.
IIe-IIIe siècles. Tome 2: Clément d’Alexandrie et Origène, Paris 1985, 439-545 trascuri questo
nesso, sottovalutando l’intima affinità strutturale tra i due divergenti sistemi teologici.
Eccellente, in tal senso, il volume di H. Strutwolf, Gnosis als System. Zur Rezeption der
valentinianischen Gnosis bei Origenes, Göttingen 1993.
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Cfr. Orbe, En los albores cit., 13-83, in part. 52-63, ove si specifica l’approdo cristologico
del «tutto» generato/creato dal Logos, oggetto della traslazione allegorica valentiniana,
che rinvia dalla creazione demiurgica (il mondo come tutto, persino nella sua realtà
ilica e diabolica) e dalla rivelazione veterotestamentaria al suo trascendente esemplare
pleromatico (la molteplicità degli eoni come tutto), che si concentra nella stessa ipostasi
di Gesù/Salvatore/Frutto comune, «Tutto» del pleroma.
26
Convertito alla e dalla rivelazione del Salvatore, mediatagli dal Cristo psichico
suo figlio, il Demiurgo verrà salvato ed escatologicamente collocato, come «amico dello
Sposo» (Exc. Thdt. 65,1), in prossimità, ma comunque al di fuori del pleroma/camera
nuziale della sizigia, come sua eterna e comunque divisa immagine esteriore: cfr. Iren.,
Haer. I 7, 1; 7, 4-5; (Ps.-)Hippol. VI 36, 2; Exc. Thdt. 63, 1-65, 2.
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Sul rapporto tra ermeneutica e mistica nel valentinismo, cfr. G. Gaeta, Scrittura
e tradizione secondo i valentiniani, in Valentino, Tolomeo, Eracleone, Teodoto, La passione di
Sophia. Ermeneutica gnostica dei valentiniani, Genova 1997, 9-30.
28
Ireneo stesso riconosce, seppure polemicamente, al di sotto del mito gnostico
l’intima struttura cristologica: «Quando si dimostra che il Logos, l’Unigenito, la Vita, la
Luce, il Salvatore, Cristo e il Figlio di Dio sono uno e il medesimo e che questo stesso si è
fatto carne per noi, è crollata la costruzione dell’Ogdoade. Ora, una volta caduta questa,
è caduto tutto il sistema» (Iren., Haer. I 9,3). Ritengo che, per il suo stesso raffinatissimo
razionalismo, lo stesso Tolomeo ricapitolasse le differenti figure degli eoni nell’unico
«Tutto» cristologico. «Tal multiplicación [de Principios=degli eoni] es más aparente que
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real» (Orbe, En los albores cit., 143); «El Pleroma dramatiza, antes del tiempo, lo que con el
tiempo se cumplirá en la persona del Salvador, y en la Iglesia terrena» (Orbe, La teología
del Espíritu santo cit., 130-131). Insomma, l’indicazione di Tertulliano mi pare se non
fuorviante, comunque ambigua: «Tolomeo distinse i nomi e i numeri degli eoni col farne
delle sostanze personali determinate però fuori di Dio [Padre] (in personales substantias,
sed extra Deum determinatas), mentre Valentino le aveva rinchiuse nel complesso della
divinità stessa, come se fossero suoi sentimenti e affetti e moti (in ipsa summa divinitatis ut
sensus et affectus et motus incluserat)» (Tert., Adv. Valent. 4, 2). La proliferazione tolomeana
di eoni, apparentemente prova di sfrenata irrazionalità mitopoietica, dovrebbe essere
piuttosto desostanzializzata e interpretata come allegoria pneumatica della vita trinitaria
(prima tetrade) e della sua incarnazione nell’uomo spirituale (=seconda tetrade, rispetto
alla quale Sophia si rivela come Chiesa/Sposa decaduta).
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Non è un caso, allora, che la metafora elettiva della gnosi mistica sia
quella erotica e che il testo prediletto dell’ermeneutica cristiana sia il Can-
tico dei cantici (in Origene e Gregorio, ma più nascostamente negli stessi
testi valentiniani) 29. Al punto che, paradossalmente, la metaforica del mito
gnostico e della mistica origeniana (desiderio, spasmi, unioni, estasi, semi,
generazione di frutti) pare essere più significativa dello stesso platoniz-
zato ontologico senso identitario cui rinvia (la Verità ontologica nella cui
identità l’intelletto-logos è tolto), proprio in quanto ri-vela la Verità come
Spirito, come umano mistero relazionale dell’amore, sicché essendo Perso-
na, la comprensione dell’Assoluto non può che presentarsi come maschera
di un Volto che sempre si nasconde, come lettera dello Spirito, appunto
come desiderio e ricerca di un’ulteriorità inesauribile di pienezza (sizigia)
che nel desiderio sempre si rivela come sottratta (divorzio). In tal senso,
la metafora erotica testimonia di un irriducibile residuo giudaizzante ope-
rante nell’ormai dominante ellenizzazione della rivelazione: l’homoousia
logico-gnostica è relativizzata, rifratta, differita. Se la natura divina (tolo-
meana e origeniana) è simul implicata nella storia preesistente del corpo
mistico decaduto, eppure immunizzata, eccedente rispetto a essa, rimane
comunque – persino nello gnosticismo eretico – l’irriducibile differenza
giudaica tra Creatore e creatura, sicché il mistero cristiano dell’intimità nu-
ziale, cioè della mistica unità tra divino e umano, è restituito comunque nei
termini della dialettica tra forza maschile e debolezza femminile (la carne
che è una con il Capo-Logos, quindi la sizigia del Deus patiens), incompa-
tibile quest’ultima con il concetto greco di divinità impassibile. Sicché se
da una parte l’origeniana demitologizzazione dell’homoousia tra Logos e
logoi rende del tutto evidente la giudaica resistenza alla risoluzione gno-
stico-ontologica del femminile nel maschile, d’altra parte corre il rischio di
esteriorizzare rispetto a Dio stesso il pathos dell’umanità peccatrice, che lo
gnosticismo assolutizzava nel paradosso del mito pleromatico, cioè dell’abis-
29
Cfr. G. Lettieri, Il corpo di Dio. La mistica erotica del Cantico dei cantici dal Vangelo di
Giovanni ad Agostino, in Il Cantico dei Cantici nel Medioevo, a cura di R.E. Guglielmetti,
Firenze 2008, 3-90, in part. 26-50.
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Cfr. Orig., Comm. Ct., Prologus, 57: «Bisogna abbandonare la vanità delle vanità e
affrettarsi alle realtà eterne e perpetue (ad aeterna et perpetua) […] Colui che si applicherà
alla Sapienza (qui sapientiae studet) […] tenderà alle realtà invisibili ed eterne (tendet ad
invisibilia et aeterna), che sono insegnate nel Cantico dei cantici con concetti senza dubbio
spirituali, ma tenuti nascosti dietro immagini di linguaggio amoroso (quae spiritalibus
quidem sensibus, sed adopertis amorum quibusdam figuris docentur in Cantico canticorum».
Il testo della tr. latina di Rufino è citato nell’edizione di W.A. Baehrens Commentarium
in Canticum canticorum (GCS 33), Leipzig 1925; e nella paginazione e nella tr. it. di M.
Simonetti, Commento al Cantico dei cantici, Roma 1976.
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«Gli eretici, i quali pronunciano iniquità contro l’Eccelso e con la loro empietà
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dividono l’unità della divinità (dividunt unitatem deitatis) e separano la legge dai vangeli
(legem ab evangeliis separant) […], non vi intendono [negli oracoli divini] nulla di spirituale
(nihil spiritale), nulla che sia degno di Dio; direi che presso di loro trova posto la sola
lettera che uccide (solam apud eos locum, quae occidit, habere litteram dixerim)» (Orig.,
Comm. Rm. II 14, 916d-917a). Il testo della tr. latina di Rufino è citato nell’edizione e nella
paginazione della PG XIV e nella tr. it. di F. Cocchini, Commento alla lettera ai Romani, 1-2,
Genova 1985-1986.
32
Cfr. la citazione di Jo 1,3 in EpFl 3, 6. «In effetti gli iniziatori dell’esegesi patristica nel
senso tecnico del termine erano stati i valentiniani Tolomeo e Eracleone» (M. Simonetti,
La Sacra Scrittura [2000], quindi in Origene esegeta e la sua tradizione, Brescia 2004, 13-28,
in part. 15).
33
Per una lettura sistematica della lettera, interpretata in intima connessione con la
Grande notizia tolomeana di Ireneo, rimando a Lettieri, Il Frutto nascosto cit.
34
«Tali avvenimenti non sono espressi apertamente (φανερῶς) perché non tutti
sono in grado di accogliere (χωρεῖν) la loro gnosi, ma sono rivelati in forma coperta
(μυσθηριωδῶς) dal Salvatore per parabole (διὰ παραβολῶν) a coloro che li possono
comprendere» (Iren., Haer. I 3, 1); cfr. Exc. Thdt. 66: «Il Salvatore ha insegnato agli
apostoli dapprima per figure e misteri (τὰ μὲν πρῶτα τυπικῶς καὶ μυστικῶς), quindi
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per parabole ed enigmi (τὰ δὲ ὕστερα παραβολικῶς καὶ ᾐνιγμένως), in terzo luogo
chiaramente e apertamente da solo a soli (τὰ δὲ τρίτα σαφῶς καὶ γυμνῶς κατὰ μόνας)».
EpFl comunicherebbe nei primi due sensi qui indicati; il terzo pare essere un semplice,
silenzioso, elettivo raptus mistico-intellettuale, non comunicabile, radicalmente unitivo.
35
Concordo pienamente con quest’affermazione di Sagnard, purtroppo non
accompagnata da un’analisi sistematica della relazione tra i due testi: «La connexion
frappante entre cette Lettre authentique de Ptolémée et la Grande Notice ou le
Commentaire sur le Prologue de S. Jean. Les termes sont identiques: la pensée est la
même. Et c’est un véritable trait de lumière, pour qui s’est familiarisé avec l’exposé
d’Irénée. On a trop dit que cette Lettre disait fort peu de chose, ce qui est vrai en quelque
façon, puisqu’elle n’est qu’un début d’initiation. Mais on n’a pas vu que ce ‘peu de chose’
renfermait l’essentiel et les principes fondamentaux de la gnose de Ptolémée […] Cette
analyse détaillée est la véritable épreuve du témoignage d’Irénée sur les Valentiniens»
(F.H.M. Sagnard, La gnose valentinienne cit., 478-479); cfr. 103; 126. In tal senso, cfr. Orbe,
En los albores cit., 57.
36
Cfr. soprattutto Ch. Markschies, New Research on Ptolemaeus Gnosticus, «Zeitschrift für
antikes Christentum» 4 (2000), 225-254, che nega la natura gnostica di EpFl, affermando
che vi si affermerebbe l’identificazione tra il Salvatore e il Demiurgo; pertanto, la Grande
Notizia di Ireneo sarebbe da attribuire niente affatto a Tolomeo – che, per Markschies,
condividerebbe con lo stesso Valentino l’identità di filosofo cristiano e niente affatto di
gnostico in senso proprio! –, ma a ignoti discepoli, che ne avrebbero corrotto le dottrine
cristiano-platoniche in mitizzante gnosi dualistica. Già W.A. Löhr, La doctrine de Dieu dans
la Lettre à Flora de Ptolémée, «Revue d’histoire et de philosophie religieuses» 75 (1995),
177-191, aveva in parte anticipato la tesi di Markschies, avendo sostanzialmente ridotto
le tracce del sistema pleromatico valentiniano in EpFl (cfr., in part., 182; 184; 189-191),
per privilegiare il confronto con i modelli teologici medio- e persino neo-platonici (cfr.,
in part., 184-189). Lo stesso E. Norelli, Le Décalogue dans la Lettre de Ptolémée à Flora, in
Le décalogue au miroir des Pères, éds. R. Gounelle, J.-M. Prieur, Strasbourg 2008, 107-176,
recepisce le indicazioni di Marckschies, rimuovendo di fatto gli elementi gnostici di
EpFl, non a caso ‘spiegata’ soprattutto a partire da testi filoniani! Contro la prospettiva
di Markschies, seppure non sufficientemente approfondita, risulta del tutto convincente
la restituzione della natura gnostica del testo proposta da E. Thomassen, The Spiritual
Seed. The Church of the ’Valentinians’, Leiden-Boston 2006, 119-129; e da H. Schmid, Ist der
Soter in Ptolemäus’ Epistula ad Floram der Demiurg? Zu einer These von Christoph Markschies,
«Zeitschrift für antikes Christentum» 15 (2011), 249-271, in part. 250-256. Ancora preziosi
il commento in chiave gnostica di G. Quispel, Ptolémée. Lettre à Flora, Paris 1949; e di M.
Simonetti, Testi gnostici cit., 476-479.
37
G. Quispel, Lettre à Flora, cit., 18-20, si è soltanto avvicinato a individuare questa
corrispondenza. L’espressione introduttiva che Tolomeo utilizza prima di elencare la
prima tripartizione è molto più densa di quanto non appaia a prima vista, cifrando uno
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slittamento allegorico, considerando che logoi è nome degli eoni pleromatici (immagini
del Logos) per i valentiniani: «Le parole del Salvatore ci insegnano (οἱ τοῦ σωτῆρος λόγοι
διδάσκουσιν ἡμᾶς) che essa [la Legge] si divide in tre parti (τριχῇ τοῦτον διαιρεῖσθαι)»
(Ptol., EpFl 4, 1). Cfr. Iren., Haer. I 2, 5-6: il gratuito «insegnare» della sizigia Cristo-Spirito
Santo consente, dopo il peccato di Sophia, la redenzione/formazione di tutto il pleroma
alla conoscenza della sizigia archetipica; in seguito a questa didaskalia, gli eoni diventano
tutti uguali, «tutti logoi» (cf. Exc. Thdt. 25, 1). Ritengo pertanto che l’affermazione di EpFl
4, 1 segnali in codice il carattere allegorico della tripartizione proposta, immagine degli
stessi misteri pleromatici. Analoga interpretazione allegorica rintraccio in EpFl 7, 9, ove
nella conclusione della lettera si legge significativamente: «Confermiamo tutti i logoi
(πάντας τοὺς λόγους) con l’insegnamento del nostro Salvatore (τῇ τοῦ σωτῆρος ἡμῶν
διδασκαλίᾳ)». Cfr. un terzo esempio analogo in EpFl 4, 3, segnalato infra, nota 66.
38
Cfr. Ptol., EpFl 4, 1-14.
39
Ptol., EpFl 7, 7 definisce esplicitamente il Demiurgo come «immagine del migliore
(τοῦ κρείττονός ἐστιν εἰκών)», quindi del Dio sommo e buono; ma cfr. anche Iren., Haer.
I 5, 2-5, ove il Demiurgo, che crede di essere l’unico Dio, è in realtà immagine del Padre
buono e, creando, produce un cosmo che è immagine del pleroma. Il Demiurgo è definito
«immagine del Padre (εἰκόνα τοῦ Πατρὸς)» anche nei valentiniani (ma trasmessici
da Clemente alessandrino) Exc. Thdt. 47, 2; cfr. 47, 3. Per la più ovvia identificazione
simbolica di Mosè con il Demiurgo (in tutta EpFl Mosè è interpretato come strumento
del Demiurgo), cfr. Heracl., Comm. Jo., fr. XLVIII, in Orig., Comm. Jo. 20, 358-362. Che gli
anziani introducano, con le loro tradizioni, un elemento corruttivo della Legge pura e
giusta del Demiurgo, quindi qualcosa d’ingiusto, ingannevole, pervertito, maligno è
chiaramente affermato in EpFl 4, 11-13; l’iniquità e l’ipocrisia degli anziani legislatori
(sottolineate apertamente da Gesù, che cita Is 29, 13 in Mt 15, 3-9, citato in EpFl 4, 13) è
riassunta nell’affermazione che essi hanno il cuore lontano da Dio; rivelativo lo stesso
esempio portato da Gesù, quindi da Tolomeo: consentire di sottrarre il dovuto al padre
e alla madre con la scusa di dovere portare un’offerta al Tempio. Si noti, inoltre, che il
verbo συμπλέκω è utilizzato sia a) per indicare «che sono mescolate (συμπεπλεγμέναι)
con la Legge [giusta e pura del Demiurgo] anche alcune tradizioni degli anziani», sia b)
per indicare la corruzione ingiusta della Legge giusta: «la legislazione mescolata con il
male e con l’ingiustizia (ὁ [νόμος] συμπεπλεγμένος τῷ χείρονι καὶ τῇ ἀδικίᾳ), che il
Salvatore ha abrogato perché estranea alla sua natura» (5,1); evidentemente, gli anziani
mescolano male e ingiustizia (realtà ilica!) alla legislazione demiurgica.
40
Cfr. Ptol., EpFl 5, 1-6, 6.
41
Per una inequivocabile affermazione delle tre nature valentiniane, cfr. Ptol., EpFl
7, 1-8.
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TOLOMEO E ORIGENE: DIVORZIO/LETTERA E SIZIGIA/SPIRITO 97
42
Ptol., EpFl 7, 7; cfr. Exc. Thdt. 47, 1-3: «Così [redimendo Sophia, formata secondo
la gnosi, «avendo separato (ἀποστήσας)» da lei le sue passioni] il Salvatore diventa il
primo Demiurgo universale (Πρῶτος μὲν οὖν Δημιουργὸς ὁ Σωτὴρ γίνεται καθολικός)
[…] E dapprima Sophia emette, immagine del Padre di tutti, un dio (πρῶτον πάντων
προβάλλεται εἰκόνα τοῦ Πατρὸς Θεόν), per mezzo del quale ha fatto il cielo e la
terra […] Questo, essendo immagine del Padre, diventa padre (εἰκὼν Πατρὸς πατὴρ
γίνεται)».
43
«Si tenga presente che il linguaggio dei valentiniani, di cui un esempio emblematico
è la Lettera di Tolomeo a Flora, presenta una duttilità tale da poter essere inteso a diversi
livelli, a seconda del grado di iniziazione degli ascoltatori» (E. Prinzivalli, M. Simonetti,
La teologia degli antichi cristiani [secoli I-V], Brescia 2012, 240).
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98 GAETANO LETTIERI
«il tipico e il simbolico (τὸ τυπικὸν καὶ συμβολικὸν), legiferata a immagine delle
realtà spirituali ed eccedenti (τὸ κατ’ εἰκόνα τῶν πνευματικῶν καὶ διαφερόντων
νομοθετηθέν)» (Ptol., EpFl 5, 2); cfr. 5, 8 e 6, 4-5 (ove si afferma che la componente
tipologica della Legge pura demiurgica «è allegorica (ἀλληγορεῖται)». «Così essi si
esprimono sul loro pleroma e sulla creazione di tutte le cose, sforzandosi di adattare
ciò che è bene detto a ciò che da essi è malamente escogitato. E non solo cercano di
trarre dimostrazioni dagli scritti evangelici e apostolici, stravolgendo le interpretazioni
e manipolando alla leggera le spiegazioni, ma anche dalla legge e dai profeti, quasi che
siano lì espressi molti simbolismi e allegorie (ἅτε πολλῶν παραβολῶν καὶ ἀλληγοριῶν
εἰρημένων) e molti punti possano essere tirati a più sensi con l’interpretazione (καὶ
εἰς πολλὰ ἕλκεσθαι δυναμένων τὸ ἀμφίβολον διὰ τῆς ἐξηγήσεως)» (Iren., Haer. I
3, 6). I valentiniani «chiamano in causa Mosè e i profeti, sostenendo che parlerebbero
allegoricamente dei modelli degli eoni (κατηγοροῦσι Μωσέως καὶ τῶν προφητῶν,
φάσκοντες ἀλ<λ>ηγορικῶς αὐτοὺς τὰ μέτρα τῶν αἰώνων λέγειν)» ([Ps.]Hippol., Haer.
VI 55, 2). Cfr. supra, nota 39 e infra, nota 61.
46
Sul Demiurgo come ignaro (fino alla venuta del Salvatore) strumento, mosso da
Sophia e dal Salvatore, rivelativo di realtà pleromatiche eccedenti, a lui ignote, che
inconsapevolmente replica nella sua creazione/legislazione, cfr. Iren., Haer. I 5, 1; 7,
3-4; 17, 1-18, 3; II 16, 1; 24, 3; IV 35, 1-3; e II 7, 1: «Pertanto dicono che all’insaputa del
Demiurgo, il Salvatore ha onorato il pleroma nella creazione avvenuta per mezzo della
Madre, emettendo similitudini e immagini delle cose che sono in alto». D’altra parte, il
Demiurgo, nel suo essere Medietà, è anche ’immagine’ del peggiore, impulso verso il male.
Egli manifesta, pertanto, «duplice potenza (διττὴ δύναμις)» (Ptol., EpFl 7 ,7), ma in senso
duplice: egli è simul psichico-ilico (doppio appunto) et immagine della natura pneumatica.
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TOLOMEO E ORIGENE: DIVORZIO/LETTERA E SIZIGIA/SPIRITO 99
47
Cfr. Ptol., EpFl 6, 6, ove Paolo fa riferimento alla Legge pura, cioè a «la parte non
mescolata col male, dicendo: ’La legge è santa e il suo precetto santo e giusto e buono’
(Rm 7, 12)»; chiaramente, la bontà della Legge pura demiurgica non può che essere
relativa, imperfetta; essa infatti dev’essere perfezionata dal Salvatore. Essa è invece
«santa» soltanto in quanto simbolo del pleroma precedente.
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100 GAETANO LETTIERI
48
Cfr. Quispel, Lettre à Flora cit.: «Les valentiniens avaient une conception romantique
du mariage qui était considéré comme un reflet de la polarité divine… Pour une faute de
mémoire Tolomeo a introduit ce mot qu’il aimait dans le texte sacré. C’est de l’abondance
de cœur que la bouche parle» (82). Ovviamente la penna di Tolomeo non è affatto mossa
dal suo cuore, ma dal suo nous, che lo spinge a disseminare tracce esoteriche all’interno
del testo protrettico.
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TOLOMEO E ORIGENE: DIVORZIO/LETTERA E SIZIGIA/SPIRITO 101
evangelico del termine συζυγία fosse una contro- o meglio una meta-inter-
polazione, volta a suggerire anche letterariamente una forzatura ecceden-
te, lo sdoppiarsi allegorico del senso, quindi il rinvio al piano ontologico
della sizigia pleromatico-cristologica. Lo stesso riferimento gesuano «al
principio (ἀπʾἀρχῆς)» (Mt 19, 6 in EpFl 4, 4), che precede e governa l’in-
terpolazione della sizigia, seppure qui lasciato privo di approfondimento,
non poteva non comunicare, agli iniziati, la necessità di allegorizzare la
questione del divorzio come riferimento all’assoluto mistero protologico
del pleroma (appunto la dialettica principio/sizigia), di cui il puro coman-
damento demiurgico non può che offrire un’immagine inconsapevole e on-
tologicamente inferiore. Ricordo, in proposito, che nella GrNot tolomeana,
il Padre-Abisso era definito «Pre-Principio (Προαρχή)» 49, o anche «Sen-
za-Principio (ἀναρχός)» 50, in sizigia con la sua «Ennoia, Grazia, Silenzio»,
mentre «Principio (Ἀρχή)» era il nome, dedotto dall’esegesi del Prologo
giovanneo, proprio del Figlio Unigenito/Nous 51, in sizigia con la Verità;
nel Principio-Verità, la stessa sizigia Logos-Vita si radicava. Ora, proprio
nella conclusione di EpFl, Tolomeo dichiara che la conoscenza teologica
suprema consiste nel riuscire a spiegare come l’intera realtà derivi «da un
solo principio (ἀπὸ μιᾶς ἀρχῆς) di tutte le cose […] semplice, ingenerato,
incorruttibile e buono (τῆς ἀγεννήτου καὶ ἀφθάρτου καὶ άγαθῆς)» (7,
8); nella sua complessa e qui taciuta articolazione di Padre-Figlio e sizigia
Maschio-Femmina, comunque è affermata con forza la necessità gnostica
di risalire al fondamento pleromatico della realtà, l’unica autentica ragione
capace di rendere intellegibile la complessa relazione dialettica tra rive-
49
Cfr. Iren., Haer. I 1, 1.
50
Cfr. ibidem I 2, 1.
51
Cfr. ibidem I 8, 5: «Poiché parla della prima generazione (περὶ πρώτης γενέσεως),
bene fa iniziare l’insegnamento (τὴν διδασκαλίαν) dal principio (ἀπὸ τῆς ἀρχῆς) […]
Prima distingue i tre, Dio, il Principio e il Logos, e poi li unisce […] Per tutti gli eoni dopo
di lui il Logos è stato causa di formazione e generazione. ‘E ciò che è stato fatto in lui
è vita’ (Jo 1, 4). Qui [Giovanni] ha manifestato anche la sizigia»; ovviamente, la prima
generazione ne presuppone una seconda, quella delle nature inferiori (psichica e ilica),
cui si riferisce EpFl 7, 9. Sul rapporto tra principio e sizigia, cfr. Haer. I 1, 1; Exc. Thdt. 6, 1-4.
Notevole la variante, che rivela una singolare corrispondenza con EpFl 7, 8, attestataci
da (Ps.)Hippol., Haer. VI 29, 2-3: a) il Padre vi è definito «senza sposa (ἄζυγος)» e b) è
identificato con lo stesso Principio: «Infatti per loro il principio di tutte le cose (ἀρχὴ
τῶν πάντων) è la monade ingenerata (μονὰς ἀγέννητος), incorruttibile (ἄφθαρτος),
inconcepibile generatrice e causa della generazione di tutte le cose divenute (πάντων τῆς
γενέσεως αἰτία τῶν γενομένων): questa monade essi chiamano Padre»; d’altra parte,
anche ibidem VI 29, 6 il termine principio è riferito alla diade dell’Unigenito: «Il Padre […]
emise e generò Intelletto e Verità, cioè la diade che diventò signora e principio (ἀρχήν)
e madre di tutti gli eoni». D’altra parte anche GrNot segnala il dividersi della scuola
tolomeana sulla dimensione androgina del Padre: cfr. Iren., Haer. I 2, 4.
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102 GAETANO LETTIERI
52
Cfr. Ptol., EpFl 7, 8-9.
53
Giustamente Norelli, Le Décalogue cit., 144-145, mette in rilievo come la legge di
Dio che vieta il divorzio potrebbe identificarsi con un elemento della Legge pura, il VI
comandamento mosaico, il οὐ μοιχεύσεις di Ex 20, 13 e Dt 5, 18, sec. LXX, anche se poi
preferisce fare cadere l’ipotesi, in quanto essa complicherebbe le – per me da Norelli
troppo rigidamente interpretate come parti della Legge incomunicabili – distinzioni
di Tolomeo tra Legge pura e impura, non modificabile e modificabile, in quanto si
ammetterebbe la possibilità – da parte di Mosè – di correggere un comandamento di Dio.
Cfr. l’interpretazione allegorica del οὐ μοιχεύσεις proposta da Clem. Al., Strom. VI 16,
146, 3: il comandamento impone il divieto di abbandonare la moglie (σύζυγος) legittima
(la gnosi autentica della chiesa) per unirsi con opinioni illegittime, false, idolatriche
e di prostituzione (le gnosi eretiche). Ricordo che lo stesso Clem. Al., Strom. III 1, 1,
1, afferma: «Valentino e i suoi seguaci dedussero dalle originarie emanazioni divine
l’esistenza dei connubii; e perciò accettano il matrimonio». Lo stesso matrimonio terreno
è quindi immagine di quello pleromatico. Possiamo ammettere che proprio Tolomeo
dimenticasse la sua dottrina della sizigia mistica, mentre s’impegnava a sottolineare il
carattere impuro della legge giudaica che consente il divorzio, contraddicendo la legge
pura demiurgica, quando questa stessa era per il valentiniano immagine – come vedremo
meglio infra – delle realtà spirituali/pleromatiche?
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TOLOMEO E ORIGENE: DIVORZIO/LETTERA E SIZIGIA/SPIRITO 103
54
Cfr. Ptol., EpFl 7, 8-10.
55
Iren., Haer I 6, 4.
56
Ibidem I 7, 1.
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104 GAETANO LETTIERI
57
Ibidem e I 2, 5. Ma a livello ancor più primordiale, in riferimento alla prima sizigia
della seconda tetrade tolomeana, si afferma del Logos (archetipo del Redentore/Frutto)
e della Vita (archetipo di Sophia, madre dei frutti spirituali): «’Tutto è stato fatto per
suo mezzo e senza di lui nulla è stato fatto’ (Jo 1, 3), infatti per tutti gli eoni dopo di lui
il Logos è stato causa di formazione e di generazione (μορφῆς καὶ γενέσεως). E ‘ciò
che è stato fatto in lui è vita’ (Jo 1, 4): qui [Giovanni] ha manifestato anche la sizigia
(καὶ συζυγίαν ἐμήνυσεν): infatti ha detto che tutte le cose sono state fatte per suo
mezzo e invece la vita in lui […] Sta infatti insieme con lui e per suo mezzo porta frutti
(καρποφορεῖ)» (Iren., Haer. I 8, 5).
58
(Ps.-)Hippol., Haer. VI 36, 4.
59
Lo stesso Sagnard non ha minimamente sospettato il lavorio allegorico nascosto al
di sotto della lettera esegetica relativa alla questione del divorzio: «Le développement,
solidement appuyé sur l’Évangile, se déroule de façon très littéraire» (Sagnard, La gnose
valentinienne cit., 458).
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TOLOMEO E ORIGENE: DIVORZIO/LETTERA E SIZIGIA/SPIRITO 105
60
«Fu la Madre causa (αἰτία) per lui di questa creazione» (Iren., Haer. I 5, 3); cfr.
7, 3-4, ove non soltanto si afferma che il Demiurgo ignora «la causa» del suo amore
privilegiato per alcune anime da lui create, eppure elette e mosse dalla Madre e dal
Salvatore; ma si ammette esplicitamente che il Demiurgo, «in quanto ignora le realtà a
lui superiori (τὰ ὑπὲρ αὐτόν)», è scosso da alcune rivelazioni pronunciate dagli uomini
spirituali, che pure «disprezza, riportandole a questa o a quella causa (ἄλλοτε ἄλλην
αἰτίαν νομίσαντα) o allo spirito profetico, che ha anche lui il proprio impulso (ἔχον καὶ
αὐτὸ ἰδίαν τινὰ κίνησιν), o all’uomo, o a una mistione degli elementi peggiori»; con una
notevole corrispondenza con l’espressione di EpFl sopra citata relativa alla «sua propria
ennoia» di Mosè, è qui affermato esplicitamente che quello che è rivelato/legiferato da
una creatura del Demiurgo, seppure pare dipendere da un impulso proprio e inferiore
(persino contaminato con la realtà ilica) delle realtà psichiche, in realtà è rivelativo
dell’eccedente piano pneumatico, dipendendo da una causa (la sizigia Salvatore-Sophia)
e da una rivelazione che trascende la capacità conoscitiva dello stesso Demiurgo.
61
Iren., Haer. I 5, 1; cfr. 5, 3; 7, 3: «il Demiurgo, pur ignorandone la Causa (μὴ εἰδότος
τὴν αἰτίαν)», rivela verità trascendenti tramite anime abitate dal «seme, che è di natura
superiore; molte cose sulla realtà superiore ha detto anche la Madre, ma anche per mezzo
del Demiurgo e delle anime nate da lui». Che Mosè stesso possa (inconsapevolmente!)
rivelare eventi del mito mistico del pleroma e di Sophia è esplicitamente affermato: «Che
Achamoth, venuto a lei il Salvatore, per reverenza si coprì il viso, è rivelato da Mosè,
che pose il velo sul suo volto (cfr. 1 Cor 3, 13 ed Ex 34, 34)» (I 8, 2). La Madre è Causa
occulta, quindi profonda ragione logica (finalizzata alla rivelazione del pleroma e alla
redenzione dell’eletto seme logico) dell’agire del Demiurgo: «In tutto [il Demiurgo] così
ignorava le forme ideali di ciò che faceva (αὐτῶν τὰς ἰδέας ὧν ἐποίει) e anche l’esistenza
della Madre e credeva di essere lui solo tutto. Invece fu la Madre causa per lui di questa
creazione (αἰτίαν δʾ αὐτῷ γεγονέναι τὴν Μητέρα), che lo volle così guidare affinché
fosse capo e principio della propria sostanza, signore di ogni attività» (Haer., I 5, 3). Cfr.
supra, note 39 e 45.
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106 GAETANO LETTIERI
62
Cfr. ibidem I 1, 1.
63
Cfr. ibidem I 6, 1, ove la natura psichica diviene a partire dalla sua πρόσκλισις,
essendo l’elemento psichico l’unico «αὐτεξούσιον».
64
Ibidem I 6, 1.
65
Cfr. il fondamentale excursus sulla duplice potenza di consolidamento (ἑδραστική)
e divisione (μεριστική) propria di Croce/Horos, ibidem I 3, 5: «In quanto consolida e
rafforza (ἑδράζει καὶ στηρίζει) è Croce, in quanto divide e separa (μερίζει καὶ διορίζει)
è Limite».
66
Cfr. ibidem I 2, 6; Exc. Thdt. 25, 1; e supra, nota 37.
67
Cfr. Ptol., EpFl 3, 6.
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TOLOMEO E ORIGENE: DIVORZIO/LETTERA E SIZIGIA/SPIRITO 107
della scissione, alla necessità del divorzio ontologico, di cui il rimanere im-
prigionati nella lettera del comandamento morale («Non divorziare») è se-
gno. Al contrario, la natura spirituale non può non leggere allegoricamente
l’archetipica, ’comandata’ origine dell’indissolubile sizigia come proprio
eletto destino, attinto dopo la caduta del peccato, il divorzio obbligato di
Sophia e la redenzione del Salvatore 68.
Il dato impressionante – eppure talmente cifrato, da non essere mai sta-
to evidenziato dalla ricerca critica – è che nella trattazione della legge sulla
συζυγία (dalla cui corruzione deriva la necessità del «ripudiare la donna
(τὸ ἀπολύειν τὴν γυναῖκα)»), tutti i termini utilizzati nell’EpFl corrispon-
dono a termini-chiave utilizzati da GrNot per sottolineare il vero e proprio
ripudio (ἀποστάσιον) della Sophia peccatrice, separatasi dal suo partner
di sizigia Teletós ed espulsa al di fuori del suo pleroma; la passione ’infede-
le’ di Sophia è il suo disordinato desiderio amoroso (στοργή) 69 nutrito nei
confronti del Padre, che viene separato ed espulso dall’eone Croce-Limite.
La Sophia extrapleromatica è, appunto, l’espulsa Intenzione (Ἐνθύμησις)-
Passione (Πάθος) di Sophia. L’ἀπολύειν prende il posto dell’ἀναλύειν o
dell’ἀναλύεσθαι: lo sciogliere il legame 70, il ripudiare impedisce il dissol-
versi 71, l’essere annientato. Pertanto, la Sophia ripudiata è l’ipostatizza-
zione dell’«essere del tutto debole (ἐξασθενῆσαι)» 72 del trentesimo eone,
l’alienazione della sua costitutiva «debolezza (ἀσθένεια)» 73, «il frutto de-
bole e femminile (καρπὸς ἀσθενῆς καὶ θῆλυς)» 74 cacciato dal pleroma
nel kenoma. Ora, EpFl 4, 6 specifica che Mosè ha dovuto correggere la
Legge demiurgica proprio «per necessità a causa della debolezza di coloro
68
Cfr. Exc. Thdt. 32, 1: «Nel pleroma, essendoci unità, ogni Eone ha il suo pleroma, la
sizigia. Infatti – essi dicono – tutte le realtà che procedono dalla sizigia sono pleromi (ὅσα
ἐκ συζυγίας προέρχεται πληρώματά ἐστιν) e invece tutto ciò che procede dal singolo
immagini (ὅσα δὲ ἀπὸ ἑνός, εἰκόνες)». Cfr. EpFl 6, 5, che riferendosi alla ‘componente’
allegorica della Legge afferma: «Le immagini e i simboli, che rappresentavano altre
realtà, andarono bene finché non fu presente la verità. Ma una volta presente la
verità (παρούσης δὲ τῆς ἀληθείας), bisogna fare ciò che appartiene alla verità, non
all’immagine»; ove, chiaramente, è qui ipotizzato il passaggio gnostico dall’immagine
psichica alla Verità pneumatica, cioè dal mondo (dalla regio dissimilitudinis del divorzio)
alla sizigia pleromatica.
69
Cfr. Iren, Haer. I 2, 2.
70
Cfr. l’evangelico «ripudiare la moglie (τὸ άπολύειν τὴν γυναῖκα)», in EpFl 4, 4.
71
«In ultimo [Sophia] sarebbe stata assorbita e disciolta (ἀναλελύσθαι) nell’universale
sostanza» (Iren. Haer. I 2,2).
72
Iren., Haer. I 2, 3.
73
Cfr. Exc. Thdt. 67, 1, ove «la debolezza (ἠ ἀσθένεια)» è la stessa «emissione della
Donna che è in alto (ἡ ἀπὸ τῆς ἄνω γυναικὸς προβολή)», cioè di Sophia, quindi è la
‘carne’ spirituale destinata ad essere assunta redentivamente dal Salvatore.
74
Iren., Haer. I 2, 4.
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108 GAETANO LETTIERI
75
Cfr. Ptol., EpFl 4, 7-9; in part.: «Così di sua iniziativa ha dato loro la legge del
divorzio, affinché, se non potessero osservare la prima legge [quella della sizigia],
osservassero almeno questa e non si volgessero all’ingiustizia e alla malvagità, da cui
sarebbe loro sopraggiunta completa rovina» (4, 9).
76
Iren., Haer. I 4, 1; significativamente, in I 6, 1, la natura ilica è definita quella «che per
necessità è destinata alla distruzione (κατὰ ἀνάγκην ἀπόλλυσθαι)».
77
Cfr. Exc. Thdt. 68: «Finché eravamo figli della sola Donna, come di un’unione
vergognosa, imperfetti infanti stolti deboli informi, emessi come aborti, eravamo figli
della Donna. Ma una volta formati dal Salvatore, siamo diventati figli dell’Uomo e della
camera nuziale»; cfr. ibidem 69.
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TOLOMEO E ORIGENE: DIVORZIO/LETTERA E SIZIGIA/SPIRITO 109
78
Cfr. Iren., Haer. I 2, 2; 2, 4; 3, 3; 3, 4.
79
Cfr. Iren., Haer. I 5, 4.
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110 GAETANO LETTIERI
80
Cfr. ibidem I 6, 1.
81
«L’eone andò soggetto ad una passione che gli procurava dissolvimento e
rovina (passionem dissolutionis et perditionis), così che lui stesso che pativa rischiava
addirittura di essere distrutto (ita ut pereclitaretur ipse qui patiebatur et corrumpi)»
(ibidem II 20, 3).
82
«La dozzina (Sophia è appunto l’ultimo eone della dodecade) […] la denominano
passione (πάθος). Per questo, essendo avvenuto l’errore del dodicesimo numero […]
dicono c’è stato l’allontanamento (τὴν ἀπόστασιν) dalla dozzina. Allo stesso modo –
vaticinano – a causa dell’allontanamento dalla dozzina (ἀπὸ τῆς δωδεκάδος ἀπόστασιν),
una sola potenza è perita (ἀπολωλέναι) e questa è la donna che perse (ἀπόλεσας) la
dracma e accese la lucerna e la trovò» (ibidem I 16, 1); cfr. I 6, 4; I 16, 2; II 20, 1-2. «Intanto
Sophia, che stava fuori del pleroma […], cadde in preda a gran timore di andare in rovina
(ἀπολεῖται)» ([Ps.]Hippol., Haer. VI 32, 2).
83
Sophia, «l’unica delle potenze ad allontanarsi e a decadere (ὧν μίαν ἀποστᾶσαν
καὶ ὑστερήσαν), ha prodotto tutto il resto della realtà» (Iren., Haer. I 11, 1).
84
Cfr. ibidem I 11, 2.
85
Cfr. Heracl., Fr. XVIII, in Orig., Comm. Jo. 13, 11: «Ritiene che il marito della Samaritana
cui si riferisce il Salvatore sia il pleroma della donna», in particolare «il suo compagno
di sizigia nel pleroma (τὸν ἀπὸ τοῦ πληρώματος σύζυγον)»; la donna, simbolo della
natura spirituale decaduta, viveva pertanto alienata in «tutta la malvagità materiale
(ἡ ὑλικὴ πᾶσα κακία)», simboleggiata dagli sposi illegittimi con i quali conviveva,
«prostituendosi (πορνεύουσα)». Cfr. anche Heracl., Fr. XXIII, in Orig., Comm. Jo. 13, 20:
«Eracleone dice che era andato perduto (ἀπολωλέναι) nella profonda materia dell’errore
(ἐν τῇ βαθείᾳ ὕλῃ τῆς πλάνης) l’elemento congenere (τὸ οἰκεῖον) al Padre […] Della
natura spirituale andata perduta (περὶ τῆς ἀπολωλυίας πνευματικῆς φύσεως) […],
(dicono che ha patito) rovina (ἀπώλεια)».
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TOLOMEO E ORIGENE: DIVORZIO/LETTERA E SIZIGIA/SPIRITO 111
86
«Bisogna che essi in ogni modo si prendano cura del mistero della sizigia (τὸ τῆς
συζυγίας μυστήριον). E di questo persuadono gli stolti dicendo così : ‘Chi essendo del
mondo non ama una donna sì da possederla, non proviene dalla verità e non andrà alla
verità’» (Iren., Haer. I 6, 4). «I seguaci di Valentino dedussero dalle originarie emanazioni
divine (ἐκ τῶν θείων προβολῶν) l’esistenza dei connubii (τὰς συζυγίας). E perciò
accettano il matrimonio (εὐαρεστοῦνται γάμῳ)» (Clem. Al., Strom. III 1, 1, 1); cf. III 4,
29, 3. «Per onorare i loro connubi superni, è prescritto presso di loro di meditare e di
celebrare sempre il sacramento dell’unione con la compagna (comiti), cioè con la femmina
(foeminae); altrimenti sarà degenere ed illegittimo aspirante alla verità (degenerem nec
legitimum veritatis) colui che, vivendo nel mondo, non abbia amato una donna e non si
sia congiunto ad essa» (Tert., Adv. Valent. 30, 3).
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112 GAETANO LETTIERI
87
«Infatti (i tolomeani) affermano che tutte queste cose (passione e redenzione di
Gesù e i suoi insegnamenti) sono immagini di quelle realtà superiori (πάντα γὰρ ταῦτα
τύπους ἐκείνων εἶναι λέγουσι)» (Iren., Haer. I 7, 2).
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TOLOMEO E ORIGENE: DIVORZIO/LETTERA E SIZIGIA/SPIRITO 113
88
Molto interessante è l’interpretazione allegorica del comandamento proposta da
Clem. Al., Strom. VI 16, 146, 1-2, ove il padre è senza alcuna esitazione identificato con
il Padre del tutto e la madre con «la divina gnosi e sapienza»; questo dimostra che una
lettura allegorica dei comandamenti mosaici, in particolare quello dell’onore dovuto
ai genitori, è presente persino in ambito cattolico (qui in polemica con interpretazioni
allegoriche gnostiche?). Cfr. in proposito l’interessante saggio di A. Le Boulluec, «Honore
ton père et ta mère» (Ex 20,12; Dt 5,16), in Gounelle, Prieur (éds.), Le décalogue au miroir
des Pères cit., 261-292, in part. 271-272; nel saggio non si fa comunque alcun accenno
a un’interpretazione allegorico-pleromatica del comandamento in EpFl. Ritengo che
Orig., Comm. Mt. 14, 16, analizzato infra, presupponga proprio un’interpretazione del
comandamento mosaico analoga a quella clementina, nel momento in cui dichiara
non rivolto all’uomo a immagine, ma soltanto all’uomo terreno sessualmente diviso, il
comandamento ‘psichico’ che impone a uomo e donna di abbandonare padre e madre.
89
Iren., Haer. I 8, 4.
90
«È della natura del Bene generare e produrre cose simili e consustanziali a sé (τοῦ
ἀγαθοῦ φύσιν ἔχοντος τὰ ὅμοια ἑαυτῷ καὶ ὁμοούσια γεννᾶν τε καὶ προφέρειν)»
(EpFl 7, 8).
91
Cfr. Iren., Haer. I 1, 1: «Dicono che nelle altezze invisibili e incomprensibili c’è un
Eone perfetto Preesistente: lo chiamano anche Preprincipio e Prepadre e Abisso. Era
invisibile e incomprensibile, eterno e ingenerato e stava in grande tranquillità e solitudine
nei tempi infiniti. Stava insieme con lui anche il Pensiero, che chiamano anche Grazia e
Silenzio (Ἔννοιαν ἥν δὴ καὶ Χάριν καὶ Σιγὴν ὀνομάζουσι)». Cfr. I 8, 6.
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114 GAETANO LETTIERI
Il Figlio […] ha abrogato questa parte della Legge, pur riconoscendo che
essa era di Dio; infatti in altri punti riconosce la vecchia economia (τῇ
παλαιᾷ αἱρέσει), là dove dice: «Il Dio che ha detto […] Chi maledice suo
padre e sua madre, muoia» (Ex 21, 17, cit. in Mt 15, 4)» (EpFl 5, 7).
Il brano è esso stesso tripartito (nel senso del degradare dal senso spi-
rituale, tramite quello psichico, a quello ilico), presentandosi come scatola
cinese di citazioni: a) Gesù riconosce la vecchia economia, citando b) l’atto
demiurgico di Dio che, per imporre l’onore del padre e della madre, c)
comanda però l’omicidio! Il passo conclude l’argomentazione con la quale
Tolomeo rivela la contraddittoria mescolanza di bene e male nella legi-
slazione del Demiurgo, il quale – certo per volere contenere giustamente
il male – arriva non soltanto a comandare: «Non uccidere», ma anche a
ordinare punitivamente di uccidere chi abbia ucciso il prossimo, quindi
cadendo nella spirale del male che vuole impedire 92. Come può allora il
comandamento dell’uccidere, contraddittoriamente affermato dal Demiur-
92
Cfr. Ptol., EpFl 5, 4-7.
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TOLOMEO E ORIGENE: DIVORZIO/LETTERA E SIZIGIA/SPIRITO 115
go e comunque «estraneo alla natura e alla bontà del Padre di tutto» (5, 5),
essere poi replicato dal Figlio? Se Tolomeo afferma che il Salvatore abroga
la Legge mescolata al male, seppure prescritta dal Demiurgo, abbiamo
qui un clamoroso caso di defectus litterae, di contraddizione rivelativa, che
soltanto l’allegoria può sciogliere. Il Salvatore, infatti, non può eviden-
temente riaffermare litteraliter un comandamento omicida prescritto dal
Demiurgo; questo, infatti, provocherebbe l’irruzione esiziale della contrad-
dizione nell’ambito della tripartizione dell’interpretazione gesuana della
Legge, corrompendo la stessa rivelazione spirituale del Salvatore con il
male ilico. L’unica via di uscita è l’interpretazione allegorica della puni-
zione di morte riconosciuta dal Salvatore: essa è evidentemente traslata,
riferita alla primordiale legge ontologica rivelata dalla caduta di Sophia dal
pleroma, espulsa nel kenoma per non avere onorato la sizigia archetipica
del Padre e della Madre, avendo voluto conoscere direttamente il Padre,
senza la mediazione della Madre-Grazia. In tal senso, «l’antica economia
(αἵρεσις)», cui fa riferimento Tolomeo, non può certo essere quella impu-
ra e mescolata al male, che abroga; né quella letterale del comandamento
puro, che si rivela scivolare inesorabilmente nella prescrizione dell’ingiu-
stizia, violando contraddittoriamente il comandamento puro che vieta l’o-
micidio per fare osservare penalmente il comandamento puro di onorare
il padre e la madre. «L’antica economia (ἡ παλαιὰ αἵρεσις)» è, piuttosto,
quella primordiale del pleroma ἀπ᾿ἀρχῆς, cui rimanda allegoricamente
la Legge demiurgica, in sé abrogata dal Salvatore in quanto produttrice
di male, eppure simul da lui riconosciuta soltanto come simbolo rivelativo
del dramma di peccato, caduta e morte avvenuto nelle realtà spirituali,
pleromatiche.
Trattenendoci in questa sede da un’interpretazione sistematica di
EpFl 93, si può finalmente comprendere perché Gesù il Salvatore fosse dai
tolomeani definito «Sommo Sacerdote» 94, a partire dall’Epistola agli Ebrei:
nella sua componente più significativa, la rivelazione psichica della Legge
(dal decalogo alle prescrizioni liturgiche del Tempio) ispirata al Demiurgo
dalla sizigia Salvatore-Sophia, è allegoria non soltanto della nuova etica
spirituale cristiana, ma soprattutto dell’eccedente pleroma spirituale, del
mito fondativo della sizigia e del mistero mistico della redenzione, ap-
93
Rimando a Lettieri, Il Frutto nascosto cit., ove l’intera EpFl è interpretata come
sistematica allegoria cifrata del mito pleromatico.
94
Cfr. (Ps.-)Hippol., Haer. VI 32, 1-2. Sul tema fondamentale di Cristo Sommo sacerdote
nei testi gnostici, cfr. la magistrale trattazione di Orbe, Cristología gnóstica cit., II, 353-393;
su Tolomeo, cfr. in part. 358-366.
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116 GAETANO LETTIERI
Questi concetti, o mia sorella Flora […], per il futuro ti saranno di gran-
de vantaggio se, come terra bella e buona che ha ricevuto semi fecondi
(ἐάν γε ὡς καλὴ γῆ καὶ ἀγαθή γονίμων σπερμάτων τυχοῦσα), farai
apparire il frutto che per loro mezzo si ricava (τὸν δι᾿αὐτῶν καρπὸν
ἀναδείξῃς) (EpFl 7, 9-10).
95
Sull’interpretazione allegorica e ‘spirituale’ della Legge, in particolare sulla liturgia
del Tempio, cfr. Ptol., EpFl 5, 8-14.
96
Il Frutto, quindi, è l’oggetto/soggetto allegorico nascostamente e sistematicamente
rivelato dalla creazione e dalla Legge demiurgica, suo malgrado: «Trattando del Salvatore
e dicendo che tutte le cose fuori del pleroma sono state formate per suo mezzo (πάντα
τὰ ἐκτὸς τοῦ πληρώματος διʾαὐτοῦ μεμορφῶσθαι), (essi dichiarano che Giovanni)
afferma che egli è frutto di tutto il pleroma (καρπὸν εἶναί φησιν αὐτὸν παντὸς τοῦ
πληρώματος)» (Iren., Haer. I 8, 6).
97
Per la definizione di Sophia come «Terra (Γῆ)», cfr. Iren., Haer. I 5, 3; come «Terra
buona (Γῆ ἀγαθή)», cfr. (Ps.-)Hippol., Haer. VI 30, 9; sulla fondamentalissima definizione
di Gesù Salvatore come «Frutto (Καρπός), cfr. Iren., Haer. I 2, 6; I 8, 6; (Ps.-)Hippol., Haer.
VI 32, 1-2 e 4-5; si noti che, in 32, 2, si sottolinea come altro nome del Salvatore/Frutto,
generato come «Tutto» redentore riassuntivo del pleroma redento, sia quello di «Sommo
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TOLOMEO E ORIGENE: DIVORZIO/LETTERA E SIZIGIA/SPIRITO 117
9. Sposare Legge e Spirito: il progresso tra le due economie nella polemica antiva-
lentiniana di Origene
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118 GAETANO LETTIERI
a mio parere non del tutto convincentemente, da Le Boulluec, La notion d’hérésie cit., 2,
497-500. Per una valutazione di quest’esempio altamente significativo della polemica
antivalentiniana di Origene, quindi della cristologia e della mistica origeniana della
sizigia, rimando a G. Lettieri, Reductio ad unum. Dialettica cristologica e retractatio dello
gnosticismo valentiniano nel Commento a Matteo di Origene, in Il Commento a Matteo di
Origene, a cura di T. Piscitelli, Brescia 2011, 237-287, in part. 279-284. Il testo di Comm.
Mt. è qui utilizzato nell’edizione di E. Klostermann, E. Benz, Die Matthäuserklarung. 1. Die
griechisch erhaltenen Tomoi (GCS 38), Leipzig 1935; e nella traduzione di R. Scognamiglio,
Commento al vangelo di Matteo, 1-3, Roma 1998-2001.
99
Orig., Comm. Mt. 17, 34; cfr. 17, 35; e Princ. IV 2, 2: «Tutte le descrizioni che parlano
delle nozze, della generazione dei figli, delle guerre e di altre storie che circolano tra la
gente devono essere assunte come forme e figure di realtà nascoste e divine (formae ac
figurae credendae sunt latentium sacrarumque rerum)».
100
Orig., Comm. Mt. 17, 34.
101
Ibidem 17, 33.
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TOLOMEO E ORIGENE: DIVORZIO/LETTERA E SIZIGIA/SPIRITO 119
Il figlio del re (cfr. Mt 22, 2) alla resurrezione celebrerà nozze, che tra-
scendono qualunque matrimonio che occhio vide e orecchio udì e ascese
in cuore di uomo (cfr. 1 Cor 2, 9). E saranno quelle nozze eccelse, divine,
spirituali in parole misteriose (ἔσται ὁ σεμνὸς καὶ θεῖος ἐκεῖνος καὶ
πνευματικὸς γάμος ἐν ἀρρήτοις ῥήμασιν) che non è consentito a uomo
di proferire […] [Forse] alla resurrezione dei morti soltanto lo Sposo
celebra le nozze, avendo abolito ogni matrimonio (καταργήσας πάντα
γάμον), non già nozze dove i due saranno una carne sola (Mt 19, 5), ma
nozze in cui la cosa principale (κυριώτερον) da dire è che lo Sposo e la
Sposa sono un solo spirito (ἔν πνεῦμα) (1 Cor 6, 17)? 103
102
«Se poi si sarà fratelli, ma non secondo la carne e si sarà padre e figlio in modo
diverso dalle realtà della generazione, non più attraverso una donna né tramite le
parti invereconde del corpo, ma in analogia all’essere il Salvatore Figlio di Dio (ἀλλὰ
ἀνάλογον τῷ καὶ τὸν σωτῆρα υἱὸν εἶναι τοῦ θεοῦ), cerchi di capirlo chi può ricercare
cose tanto grandi, avendo accolto in sé lo Spirito che ‘scruta ogni cosa, anche le profondità
di Dio’ (1 Cor 2, 10)» (ibidem 17, 33); cfr. 17, 30; Princ. II 6, 3-6.
103
Orig., Comm. Mt. 17, 33; cfr. 17, 21.
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120 GAETANO LETTIERI
sa al cognato (levir, in latino), nel caso che il marito fosse morto e quello
coabitasse con lui, e b) qualora il fratello del marito non avesse voluto
accettare il matrimonio prescritto dalla Legge – dando figli alla vedova
e assicurando un figlio, quindi la discendenza al fratello –, sanciva sue
pubbliche umiliazioni (la cognata respinta gli sputa in faccia, lo priva di
un calzare, determina così la definizione della famiglia del cognato come
«famiglia dello scalzato»). Origene nota programmaticamente che, nell’e-
segesi di questo contesto, è necessario «invocare colui che dice: ’Parlerò di
enigmi dal principio (φθέγξομαι προβλήματα ἀπ᾿ἀρχῆς)’ (Ps 77, 2)» (17,
31), alludendo quindi alla profondità pleromatica cui le vicende nuziali
allegorizzate cifratamente rinviano.
Polemizzando con gli gnostici, che evidentemente prendevano spun-
to dal passo paolino per giustificare il loro ripudio della Legge, Origene
interpreta il testo a partire da Rm 7, 1-6, ove Paolo paragona il passaggio
dal a) regime della Legge/lettera a b) quello di Cristo/Spirito al passaggio
di una donna dal a) primo marito che muore a b) un nuovo marito, sen-
za che ella commetta adulterio, essendo ormai divenuta libera dal primo
matrimonio. Se i due fratelli della norma del levirato divengono simboli
della rivelazione della Legge e della rivelazione di Cristo, quindi della
lettera e dello Spirito (ove dialettica storico-salvifica, dialettica ontologi-
ca e dialettica ermeneutica si sovrappongono), la donna è interpretata da
Origene come l’anima, chiamata a passare dalla prima alla seconda, in
un progresso di approfondimento religioso e intellettuale, all’interno del
quale le due economie non sono affatto opposte, ma pedagogicamente
connesse come stadi, livelli, gradi di un unico processo, sicché il vangelo
stesso non potrebbe essere accolto senza la precedente formazione a opera
della Legge 104. Significativamente, il valentiniano è invece identificato con
il cognato che si rifiuta di prendere come propria moglie la vedova di suo
fratello, respingendo pertanto la Legge o Antico Testamento e, con esso,
la natura psichica (impersonificata dall’anima (ψυχή), appunto, non am-
messa nell’intimità generatrice di frutti dell’eretico pleroma pneumatico!),
104
«La donna è l’anima, sposata in un primo momento con la lettera della Legge, senza
averne figli; sposata in un secondo momento con la Legge spirituale, producendone
frutto e avendone un figlio, non si è mai allontanata, per il figlio che ha generato, dall’alta
stima che ha verso la Legge della lettera, morta per lei. E forse ogni anima destinata a
essere beata, moglie in senso figurato, si sposa in assoluto per la prima volta con la lettera
della Legge quando si trova ai (primi) passi introduttivi, ma col progredire della donna,
cioè dell’anima, questa Legge muore, perché quella possa realizzare un matrimonio
più santo e fecondo di figli» (ibidem 17, 31). Si noti l’interpretazione sacrificale, quindi
cristologica, della Legge, che muore per far rinascere la creatura spirituale in una
dimensione trascendente di intimità con Dio, che l’abilita a fruire del frutto della filialità.
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TOLOMEO E ORIGENE: DIVORZIO/LETTERA E SIZIGIA/SPIRITO 121
lasciando che ella divenga «sposa di uno straniero», di «un marito che non
sia vicino» (17, 32) – quindi non dello Sposo che le garantirebbe sizigia e
frutti spirituali, ma del Demiurgo o del Cristo psichico, se non del Demo-
nio – e rimanga al di fuori della città 105. Del tutto esplicito è il riferimento
agli eretici dualistici, indicati simbolicamente dal cognato «scalzato», cioè
condannato perché rompe il suo rapporto di intimità con il fratello morto
e con sua moglie, negando l’Antico Testamento, quindi risultando privo
del «sandalo» di Dio (l’AT), pur avendo il «sandalo» di Cristo (il NT), ma
degradato di gloria e di onore, proprio perché separato dal Padre creatore
e rivelatore dell’antica economia 106. Esplicita la polemica origeniana con-
tro l’escatologia valentiniana, che negava alle creature psichiche, ontolo-
gicamente irriducibili ai semi spirituali, l’accesso all’interno del pleroma
e le nozze della sizigia, lasciandole al di fuori della pienezza d’amore e di
beatitudine pneumatici 107.
La punizione prescritta dal Deuteronomio diviene, pertanto, allegoria
della condanna teologica dei valentiniani, che non vogliono riconoscere
l’intima parentela, quindi la progressione pedagogica tra Legge e grazia,
AT e NT, che significativamente Origene definisce «la Legge spirituale
(ὁ πνευματικὸς νόμος)» (17, 31), rendendolo appunto onto-logicamente
omogeneo, congenere alla rivelazione antica e comunque inscritto all’in-
105
«E vedi bene, se puoi intendere che dopo la morte dell’interpretazione letterale
ci sia un’altra interpretazione del tutto erronea della Legge (ἄλλη ἐκδοχὴ τοῦ νόμου
διημαρτημένη), non spirituale e non ineccepibile. Solo che, benché errata, ha la sua genesi
da ciò che è scritto nella Legge, non volendo ‘suscitare il nome di suo fratello’ (Dt 25, 7) e
onorare il nome della Legge. Ma tale interpretazione non vuole prendere (παραλαβεῖν)
la moglie di suo fratello, l’anima (ψυχήν), e neppure fruttificare (καρποφορῆσαι) nel
rendere gloria al nome del fratello morto. Per questo la donna [nell’interpretazione
cattolica del passo] non resta in basso (οὐ κάτω ἕστηκεν), lei pronta ad onorare il suo
primo marito, ma ‘sale (ἀναβαίνει) alla porta’ (Dt 25, 7) […] La moglie non va sposa
fuori (ἔξω), come ritengono coloro che provengono dalle eresie (ὡς οἴονται οἱ ἀπὸ
τῶν αἰρέσεων). E neppure si sposa con ‘un marito che non sia vicino’ (οὐδὲ ‘ἀνδρὶ μὴ
ἐγγίζοντι’ (Dt 25, 5)» (Orig., Comm. Mt. 17, 32). La logica gnostica è appunto quella del
divorzio, della divisione, della scissione priva di dinamismo dialettico; i valentiniani non
comprendono che divini non si è, ma si diventa, progredendo, chiamati incessantemente
dall’amore del Figlio a crescere nell’amore.
106
«Ora, chi è colui che non intende ‘prendere in moglie la cognata’ (Dt 25, 7), se
non l’insegnamento che si trova nelle eresie? Questo non intende accogliere l’anima
che rese onore al primo marito e la memoria del primo marito […], sì che anche se fosse
calzato quanto al nome di Cristo, sarebbe scalzo quanto a quello di Dio e per questo
porta il nome di Cristo senza gloria e senza verità […] Quindi chiunque si trovi nelle
eresie, specie in quelle che dissociano la divinità e separano la Legge dal Vangelo (πᾶς
οὖν ὁ ἐν αἱρέσεσι, μάλιστα ταῖς διακοπτούσαις τὴν θεότητα καὶ τὸν νόμον ἀπὸ τοῦ
εὐαγγελίου χωριζούσαις), andando in giro, è errante ‘casa dello scalzato’ (Dt 25, 10): gli
si sputa in faccia e gli si toglie uno dei sandali» (Orig., Comm. Mt. 17, 32).
107
Sull’escatologia tolomeana e valentiniana, cfr. Iren., Haer. I 7, 1 e 5; Exc. Thdt. 63-65.
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122 GAETANO LETTIERI
108
Orig., Comm. Mt. 17, 31; cfr. 32.
109
Cfr. Orig., Comm. Rm. VI 7, 1069b-1076b.
110
«Anche i profeti e quanti sapienti vi fossero allora nel popolo di Dio sono
stati coscienti che la Legge è spirituale, nonostante si siano mostrati custodi anche
dell’osservanza carnale a causa della moltitudine […] Molti nel primo popolo avanzavano
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TOLOMEO E ORIGENE: DIVORZIO/LETTERA E SIZIGIA/SPIRITO 123
della rivelazione la conoscenza della legge eterna della divinità del Logos
e dell’intimo appartenergli dell’intera umanità, sicché Spirito e Legge si
identificano nella loro profonda rivelazione intellegibile, a differenza di
quanto affermano i dualisti 111: «Infatti il fratello della legge della lettera
sembra essere il fratello della legge dello Spirito» 112, ove comunque lettera
e Spirito sono tolti come momenti progressivi nell’identità della Legge
intellegibile – la Verità eterna rivelata dal Logos – della partecipazione
mistica della totalità delle creature pneumatiche al Figlio.
Il XVII libro di Comm. Mt., nell’accumulazione di sensi spirituali sempre
più profondi della norma del levirato, avanza proprio in questa prospetti-
va una «terza spiegazione» (17, 32) allegorica, evidente retractatio di quella
valentiniana. Origene, rovesciando le interpretazioni precedenti, propone,
infatti, che la donna che passa da un marito morto al fratello possa non più
essere identificata con la singola anima – «la Legge è detta marito dell’ani-
ma che è la moglie» (17, 32) –, ma, addirittura, con la stessa Sophia divina,
con una straordinaria assolutizzazione della natura spirituale della donna,
degradata dagli eretici a natura psichica espulsa dal mistero divino!
nella conoscenza spirituale e vedevano la gloria del Verbo di Dio» (Orig., Comm. Rm. VI
7, 1071b).
111
I cristiani sono, pertanto, chiamati a «servire la Legge di Dio in novità di spirito,
affinché cioè per dono dello Spirito cogliamo il significato spirituale da tutto ciò che in
essa si trova scritto […] So invero che alcuni, intendendo in modo errato la novità dello
Spirito, l’hanno interpretata in maniera tale da affermare che lo Spirito è nuovo, quasi che
fosse uno che prima non c’era e non era conosciuto dagli antichi (novitatem sane Spiritus
scio quosdam male intelligentes illuc traxisse, ut dicerent novum esse Spiritum tamquam qui ante
non fuerit nec veteribus innotuerit). E non sanno di bestemmiare così in modo gravissimo.
Infatti il medesimo Spirito sta nella Legge, il medesimo nel vangelo (ipse enim Spiritus est
in lege, ipse in evangelio), il medesimo sta sempre con il Padre e con il Figlio e sempre è ed
era e sarà, così come il Padre e il Figlio» (Orig., Comm. Rm. VI 7, 1076a-b).
112
Orig., Comm. Rm. VI 7, 1074a.
113
Orig., Comm. Mt. 17, 32.
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124 GAETANO LETTIERI
114
Ibidem.
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TOLOMEO E ORIGENE: DIVORZIO/LETTERA E SIZIGIA/SPIRITO 125
115
Cfr. Lettieri, Il νοῦς mistico cit., 212-235.
116
Orig., Comm. Mt. 14, 23. Cfr., in prop., i brani di EpFl citati supra, nota 19.
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126 GAETANO LETTIERI
Colui che in principio, essendo di condizione divina (Phil 2, 6), creò colui
che è ad immagine (ὁ κτίσας γε ἀπ᾿ἀρχῆς τὸν κατ᾿εἰκόνα) e fece lui
maschio e la chiesa femmina, ad entrambi fece dono dell’unità secondo
l’immagine (ἕν τὸ κατ᾿εἰκόνα). Per amore della chiesa l’uomo, cioè il
Signore, lasciò il Padre (presso cui si trovava «essendo di condizione
divina») e lasciò anche la Madre, essendo egli stesso figlio della Gerusa-
lemme di lassù e si unì a sua moglie, precipitata quaggiù (ἐκολλήθη τῇ
117
«Forse l’anima di Gesù, nella sua condizione di perfezione, dimorava in Dio e nel
pleroma (τάχα γὰρ ἡ μὲν τοῦ Ἰησοῦ ψυχὴ ἐν τῇ ἑαυτῆς τυγχάνουσα τελειότητι ἐν θεῷ
καὶ τῷ πληρώματι ἦν)» (Comm. Jo. 20, 162). Probabilmente, la predilezione che Origene
riserva al termine femminile anima, per designare la componente umana (=l’intelletto di
Gesù) con la quale il Logos si unisce indissolubilmente dal principio sino all’incarnazione
redentiva, dipende dalla dominante immagine della sizigia sponsale. Sull’indivisibile
unione tra l’anima di Cristo e il Logos divino, sancita dalla citazione di Mt 19, 6: «Non
separi l’uomo ciò che Dio ha unito», cfr. Orig., Comm. Rm. I 5, 850b. Anche nel grande
excursus cristologico di Princ. II 6, 1-7, si afferma che l’anima di Cristo forma con il
Logos un’unica carne e un solo Spirito, affermandone l’indissolubile unione nuziale,
evidenziata tramite la citazione di Mt 19, 5-6 (cfr. in part. II 6, 4); cfr. Cels. VI 47. La stessa
incarnazione pare perfezionare l’intimità assoluta tra Logos-Dio e Uomo Gesù: «Noi
affermiamo ancora che il suo (di Cristo) corpo mortale e l’anima umana che vi risiede
hanno acquistato la massima eccellenza non soltanto per la comunione, ma anche per
l’unione e la fusione con lui, e che partecipando alla sua divinità si sono trasformati
in Dio» (Cels. 3, 41). «Dopo l’incarnazione l’anima e il corpo di Gesù sono diventate
assolutamente una cosa sola con il Verbo di Dio» (2, 9); cfr. 63; 79.
118
Per un’approfondita interpretazione della complessa teoria origeniana della sizigia,
in confronto con quella valentiniana, cfr. J. Rius-Camps, El dinamismo trinitario en la
divinización de los seres racionales según Orígenes, Roma 1970, 170-179.
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«Gerusalemme di lassù è madre di Paolo e dei suoi simili» (Comm. Mt. 14, 13).
«Paolo dice che questa Gerusalemme celeste è madre sua e di tutti i credenti […] Come
figli della madre della sposa, cioè figli della Gerusalemme celeste, possiamo considerare
gli apostoli di Cristo […] Se infatti madre delle anime è la Gerusalemme celeste
(animarum mater Hierusalem caelestis) e d’altra parte gli angeli sono definiti celesti, non ci
sarà alcunché di contrastante se costoro che, come lei, sono celesti, siano detti figli di tale
madre. Sembrerà infatti del tutto logico e conveniente che coloro il cui solo Padre è Dio,
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abbiano per sola madre Gerusalemme (ut quibus unus est Deus pater una sit et Hierusalem
mater)» (Orig., Comm. Ct. II 1, 6, 130-131 e 134).
120
Eracleone definisce il pleroma «Gerusalemme»: cfr. il frammento XIII, citato in
Orig., Comm. Jo. 10, 33. Secondo la testimonianza sui valentiniani di (Ps.-)Hippol., Haer.
VI 32, 9, «Gerusalemme celeste» è la definizione della stessa Ogdoade, interpretata come
pleroma di Sophia ove entreranno gli gnostici; in Iren., Haer. I 5, 3, Tolomeo definisce
«Gerusalemme» e «Spirito Santo» la Sophia extrapleromatica, immagine del pleroma
della Sophia non caduta.
121
Sullo Spirito Santo come Madre di Gesù, cfr. Comm. Jo. 2, 87. Pure confessato come
ipostasi divina, lo Spirito Santo è collocato da Origene al margine della realtà creaturale,
tant’è che ibidem 2, 73-76 si afferma che «lo Spirito Santo è stato fatto (ἐγένετο)» dal
Logos; è il Figlio, infatti, a donargli la stessa ipostasi, come il potere di santificazione e
divinizzazione delle creature intellettuali che, suo tramite, partecipano nel Logos di Dio
Padre.
122
«Non credere che io parli di sposa e di chiesa soltanto a partire dalla venuta del
Salvatore nella carne, bensì ne parlo dall’inizio del genere umano e della stessa creazione
del mondo, anzi per risalire più in alto (altius) all’origine di questo mistero sotto la guida
di Paolo, addirittura prima della creazione del mondo (ante etiam constitutionem mundi).
Infatti Paolo dice: ‘Come ci ha scelto in Cristo prima della creazione del mondo, affinché
fossimo santi e immacolati al suo sospetto, predestinandoci nell’amore all’adozione di
figli’ (Eph 1, 4-5). E nei Salmi è scritto: ‘Ricordati, Signore, del tuo popolo, che hai riunito
dall’inizio’ (Ps 73, 2). Infatti i primi fondamenti della formazione della chiesa sono stati
stabiliti subito, all’inizio (prima fundamenta congregationis ecclesiae statim ab initio sunt
posita)» (Orig., Comm. Ct. II 1, 11-12, 165). «All’inizio (in initio) a tutti si riferivano le
parole: ‘Io ho detto: Siete dèi e tutti figli dell’altissimo’ (Ps 81, 6; cfr. Jo 10, 34). Ma poi
è intervenuta la differenza (sed differentia intercessit)» (Comm. Ct. III 2, 3, 195). «Eri bella
sin dall’inizio (pulchra eras ex initio)» (ibidem II 1, 8, 145). Cfr. Princ. I 6, 2; II 9, 5-7; IV 2, 7.
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123
Orig., Comm. Mt. 14, 16.
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130 GAETANO LETTIERI
conobbe Eva, sua moglie») in Orig., Comm. Jo. 19, 22-25; in part.: «Chi si unisce al
Signore conosca il Signore in modo superiore a questo [l’unione tra uomo e meretrice]
e santamente […] Interpretiamo così il conoscere come un mescolarsi e un unirsi […] Il
Signore conosce quelli che sono i suoi, in quanto si è mescolato con essi e ha comunicato
loro la propria divinità». Sulla sizigia Sposo-Sposa come trascendente la differenza
sessuale maschile-femminile, a partire da Gal 3, 28, cfr. Comm. Ct. III 2, 6, 215.
125
«’Ciò che Dio congiunse, l’uomo non separi’. Ma a coloro che sono superiori ai
farisei si potrebbe dire: ‘Che niente separi quel che Dio congiunse’, né principato, né
potestà (cfr. Col 1, 16). Infatti Dio che li ha congiunti è più forte di tutti gli esseri che si
possono nominare» (Orig., Comm. Mt. 14, 17).
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126
«E non ti meravigliare se una volta è risultata corriva a queste colpe costei che
viene riunita dalla dispersione dei pagani ed è presentata a Cristo come sposa. Ricordati
che ‘per prima’ ‘la donna è stata sedotta e si è resa colpevole di trasgressione’ (1 Tm
2, 14)» (Orig., Comm. Ct. II 1, 6, 132-133); cfr. II 1, 10, 163. Sulla donna come traditrice,
quindi prostituta, decaduta dalla primordiale intimità con il pleroma, quindi dalla sizigia
cristica, cfr. i frammenti di Eracleone cit. supra, nota 85.
127
Orig., Comm. Mt. 14, 17 e 19.
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132 GAETANO LETTIERI
128
Ricordo che Origene, ibidem 14, 18-20 e 22 utilizza come sinonimi ἀποστάσιον e
ἀποστασία.
129
«Anche l’apostolo dice che la Legge ha l’ombra dei beni futuri e ricorda che tutto
ciò che è stato scritto sulle feste, i sabati, i digiuni è l’ombra dei beni futuri – a proposito,
cioè, dei precetti che venivano osservati secondo la lettera – e come affermi che tutto
l’antico culto è immagine e ombra delle realtà celesti (omnem veterum culturam exemplar
et umbram pronuntiet esse celestium; cfr. Hbr 10, 2; Col 2, 16; Hbr 8, 5)» (Orig., Comm.
Ct. III 2, 3, 197). «Cosa ancor più meravigliosa per mezzo della Legge scritta vengono
preannunciati i precetti della verità e tutti questi argomenti sono esposti in modo da
essere tra loro connessi con abilità veramente degna della Sapienza di Dio» (Princ. IV 2,
8). «Non si deve credere, infatti, che i fatti storici siano tipo di altri fatti storici e le cose
corporee di altre cose corporee, ma che le cose corporee siano tipo di realtà spirituali; i
fatti storici di realtà intellegibili» (Comm. Jo. 10, 110).
130
Cfr. Orig., Comm. Rm. VI 7, 1073a-b e 1076a-b, cit. supra, nota 111, mettendone
in rilievo la prospettiva antivalentiniana. Sulla dimensione non solo storica, ma anche
celeste della passione redentiva di Cristo (si pensi alla redenzione valentiniana della
prima Sophia da parte di Horos/Croce e di Cristo), cfr. la nota affermazione di Princ.
IV 3, 13: «Se poi uno spinge la ricerca fino alla passione di Cristo, sembrerà temerario
se la cercherà nei luoghi celesti. Ma dato che ci sono nei cieli gli spiriti della malvagità,
come non ci vergogniamo di proclamare che il Signore è stato crocifisso qui per operare
la distruzione degli spiriti che ha distrutto con la sua passione, così non avremo timore
di ammettere anche lassù qualcosa di simile pure in seguito finché avverrà la fine del
mondo».
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TOLOMEO E ORIGENE: DIVORZIO/LETTERA E SIZIGIA/SPIRITO 133
131
«’La salvezza viene dai giudei’ (Jo 4, 22) […] Interpretando secondo il senso
spirituale, [Eracleone] spiega che la salvezza è dai giudei, poiché questi, secondo lui,
sono immagini di quelli che stanno nel pleroma (εἰκόνες οὗτοι τῶν ἐν τῷ πληρώματι
αὐτῷ εἶναι νομίζονται)» (Orig., Comm. Jo. 13, 115). Cfr. la straordinaria, temeraria
esegesi di Rm 11, 16-25 in Exc. Thdt. 56,4-5-57, ove Israele è identificato con il seme
spirituale, mentre l’oleastro delle genti chiamate nell’alleanza diviene immagine della
natura psichica convertita dalla schiavitù alla libertà, quindi redenta, ma, proprio perché
di altra natura, incapace di partecipare dell’intima unione con il divino.
132
Cfr. Orig., Comm. Rm. VIII 9, 1184c-1187c; 11, 1196b-c, ove – in riferimento a Israele,
e al suo passare dalla cecità alla luce nel momento in cui tutta «la pienezza delle nazioni»
sarà entrata – ricorre la citazione di Os 2, 7: «Tornerò al mio primo marito, perché stavo
meglio prima che ora»; sulla reintegrazione escatologica di Israele indurito, immagine
di tutti gli spirituali decaduti e reietti, cfr. Comm. Rm. VIII 13, 1199c. In Comm. Jo. 13, 391-
392, Origene interpreta il figlio del dignitario regio (per Eracleone simbolo del Demiurgo,
quindi degli israeliti psichici, governati dalla littera occidens: cfr. 13, 416; 420-426) come
Israele (cfr. 13, 402), che Cristo «alla fine salverà, allorché sarà entrato il pleroma delle
genti». Infine, cfr. ovviamente, Princ. III 5, 7-6, 9.
133
Cfr. Orig., Comm. Rm. VIII 11, 1191b-1192b.
134
Orig., Comm. Mt. 14, 17.
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134 GAETANO LETTIERI
135
Cfr. Comm. Ct. Prol., 66: «Allorché avremo progredito e saremo arrivati al punto di
unirci alla chiesa dei primogeniti), ch’è in cielo (ut ecclesiae primitivorum quae in caelis est
sociemur; cfr. Hbr 12, 23) e di conoscere […] che la Gerusalemme celeste è la nostra madre
celeste, allora per noi Cristo diventa anche Ecclesiaste e di lui si dice che regna non solo
in Israele, ma anche in Gerusalemme. Allorché poi si arriverà alla perfezione di tutto (ad
perfectionem omnium) e si unirà a lui la sposa perfetta (sponsa perfecta), cioè ogni creatura
razionale […] pacificate tutte le creature e sottomessele al Padre, allorché ormai Dio sarà
tutto in tutti, egli sarà detto soltanto Salomone, cioè soltanto pacifico».
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11. Conclusione
136
Anche l’origeniana interpretazione individualizzante della sizigia apocatastatica
Cristo/Sposo-Chiesa/Sposa, come angelo di Cristo/seme spirituale, dipende dalla
dialettica valentiniana Sophia/femminili semi spirituali-Salvatore/maschili angeli di
Cristo (cfr. Iren., Haer. I 4, 5; 5, 6; 7, 1; Exc. Thdt. 21, 1-3; 35, 1-36, 2): «Ma qualcuno si
porrà il quesito: si può dire, in senso figurato, che la moglie è l’anima umana e il marito
è l’angelo che la custodisce e la regge – verso cui si volge il desiderio di lei, mentre lui
la domina (cfr. Gn 3, 16) –, sì che, in base a ciò, ciascun angelo convive regolarmente
con l’anima degna della protezione di un angelo divino? [...] Dobbiamo pertanto fare
attenzione a che non si trovi in noi una ‘cosa vergognosa’ (Dt 24, 1) e non troviamo
grazia agli occhi del marito, cioè del Cristo, ovvero dell’angelo stabilito su di noi. Se
infatti non facciamo attenzione, forse anche noi riceviamo il libello del ripudio e allora
o saremo privi del nostro protettore o andremo da un altro marito – ma questo non lo
ritengo auspicabile, per così dire – per accogliere le nozze di un angelo con la nostra
anima» (Comm. Mt. 14, 21).
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136 GAETANO LETTIERI
137
Sia nella creazione, che nella Scrittura, «la Sapienza divina ci istruisce sulle realtà
invisibili a partire da quelle visibili e dalle realtà terrene ci trasporta (transferat) alle realtà
celesti […] Tutte le cose manifeste (omnia quae in manifesto sunt) rinviano a cose che sono
nascoste (ad aliqua referuntur quae in occulto sunt)» (Orig., Comm. Ct. III 2, 9, 235).
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Orig., Comm. Ct. III 2, 9-10, 247.
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