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Auctores Nostri, 15.

2015, 79-136

Gaetano Lettieri
Tolomeo e Origene: divorzio/lettera e sizigia/Spirito

«E ciò che Dio ha unito, l’uomo non separi (ὃ οὖν ὁ θεὸς συνέζευξεν,
ἄνθρωπος μὴ χωριζέτω)» 1
«La conoscenza dell’uno e dell’altro» (Ἡ ἀμφοτέρων τούτων <γνῶσις>)» 2

1. Dualismi economico-rivelativi e dualismo gnostico

Il confronto con lo gnosticismo, in particolare valentiniano, ha impe-


gnato Origene in una polemica eresiologica talmente radicale, da segnare
in profondità la definizione stessa del proprio pensiero teologico e misti-
co. Questo si costituisce scaturendo da una matrice sapienziale cristiana,
condivisa con gli gnostici, che riconfigura tramite l’ontologia platonica
la radicalizzazione paolina della dialettica profetica 3 tra antica (Legge) e
nuova economia (Spirito). Paolo, infatti, aveva sottoposto a una lacerante
torsione questa tensione economico-rivelativa, restituendola come trasla-
zione dalla schiavitù della Legge alla filiale libertà interiore dello Spirito
(cfr. Gal 4, 3-9), radicata nell’evento apocalittico, religiosamente catastro-
fico della morte/resurrezione di Gesù, il Cristo crocifisso come maledetto
dalla Legge e riportato in vita dalla potenza dello Spirito 4: Cristo risorto

1
  Mt 19, 6.
2
  Tolomeo, Epistola a Flora, in Epiph., Pan. 33, 3-7, in particolare 3, 8. Edizione del testo
greco e traduzione italiana qui utilizzate sono quelle di M. Simonetti, Testi gnostici in
lingua greca e latina, Milano-Verona 1993, 267-285; Simonetti ripropone sostanzialmente
l’edizione del testo di K. Holl in Epiphanius, Ancoratus und Panarion (GCS 25), Berlin 1915.
3
  Cfr. Jr 31, 31-34 ed Ez 36, 22-29. La dialettica profetica tra Legge e Spirito può,
quindi, riassumere quella tensione tra «teologia del patto» e «teologia della promessa»
– distinzione storiografica comunque esposta al rischio della retroproiezione
dell’interpretazione paolina delle fondamentali categorie culturali giudaiche, in
particolare veterotestamentarie –, che anima l’intera storia e l’intero pensiero teologico
di Israele: chiaramente, il riferimento è a P. Sacchi, Storia del secondo Tempio. Israele tra VI
sec. a.C. e I secolo d.C., Torino 1994, passim.
4
  Cfr. Gal 3, 13-14, con la citazione di Dt 21, 23.

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diviene l’Immagine escatologica del Padre, la nuova rivelazione della Glo-


ria di Dio, il quale, nella partecipazione carismatica al Figlio-Spirito datore
di vita (Spiritus vivificans), disdice la Legge (littera occidens) – e il Tempio
che la custodisce nel Sancta sanctorum – come teofanica rivelazione giusti-
ficante 5. L’elezione esclusiva di Israele viene quindi tolta nella chiamata
universale delle genti alla salvezza, sicché gli eletti divengono (tempora-
neamente) induriti/reietti, perché i reietti divengano eletti, in una vera
e propria catastrofe storico-salvifica, comunque orientata alla redenzione
universale 6: Dio rinchiude tutti nella condanna/reiezione, per usare a tutti
misericordia/elezione (cfr. Rm 11, 32), riunificando in Cristo ogni scissione
sociale (libero-schiavo), teologico-politica (giudeo-greco), di genere (ma-
schio-femmina) 7. Questa rivoluzione rivelativa – che proclama a ebrei e
gentili la nuova eredità/filialità carismatica attingibile nello Spirito (cfr.
Eph 3, 11-22) – è apocalitticamente radicalizzata da Giovanni, che connet-
te alla fede nella divinità di Cristo crocifisso («nuovissimo» ed eversivo
mistero della rivelazione, misconosciuto dai «giudei» 8) l’opposizione tra
legge e grazia/verità (cfr. Jo 1, 16-17), riconfigurata come opposizione tra
luce e tenebra, Logos divino rivelatore/donatore dell’intimità con il Padre
e demoniaco Arconte di questo mondo 9, ristretta salvezza dell’eletto seme
divino di filialità 10 e universale abbandono dell’umanità terrena alla sua
violenta e impura empietà 11.
Fondativa risulta, pertanto, nella tradizione protocristiana, l’emersione
di tradizionali categorie teologiche ‘dualistiche’, affioranti nella tradizione
profetica, ma strutturali nella tradizione apocalittica giudaica: in questa,
l’opposizione storica tra Israele/Jahvé e potenze pagane/idoli si trasforma
in antitesi tra Dio e angeli decaduti, che, corrompendo la creazione di Dio
(attraverso un originario ‘peccato’ sessualmente caratterizzato, che confon-
de gli ordini ontologici angelico e umano), imprigionano Israele/Giudea
(spose elette di Dio) in una strutturale perversione religiosa e morale, rap-
presentata simbolicamente dalla metafora apocalittica della donna-sposa

  Cfr. 2 Cor 3, 6-4, 6; Rm 2, 25-29; 7, 6; 8, 2; Phil 3, 3-11.


5

  Cfr. Rm 9-11; Eph 2, 11-22.


6

7
  Cfr. Gal 3, 28-29; 1 Cor 12, 12-14.
8
  Cfr. Jo 1, 9-13; 8, 13-59.
9
  Cfr. Jo 12, 31; 14, 30; 16, 11.
10
  Cfr. 1 Jo 3, 8-10, in part. 9: «Chiunque è nato da Dio (πᾶς ὁ γεγεννημένος ἐκ τοῦ
θεοῦ) non commette peccato, perché un germe divino abita in lui (σπέρμα αὐτοῦ ἐν
αὐτῷ μένει) e non può peccare perché è nato da Dio»; 4, 6; 5, 1-4 e 18-20; Jo 1, 13: «[Coloro
che credono nel suo Nome], non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo,
ma da Dio sono stati generati (ἐκ θεοῦ ἐγεννήθησαν)»; 8, 47; 10, 25-38.
11
  Cfr. i figli del diavolo in Jo 8, 42-47; 1 Jo 3, 8; 5, 19; e ancora Jo 15, 18-19; 17, 14.

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insidiata, quindi prostituitasi con la bestia demoniaca (gli arconti angelici


e politici terreni), che la degrada sino all’annullamento 12. Comunque Dio,
tramite il suo redentore apocalittico, tornerà a redimere e sposare la sua
donna prostituitasi 13, che – anche in seguito all’ ’apostasia’ storica di Israe-
le, il cui potere religioso rifiuta il riconoscimento della messianicità di Gesù
– diviene rapidamente in ambito protocristiano simbolo dell’intera uma-
nità. La metafora sponsale torna nella deuteropaolina Epistola agli Efesini,
nella quale è proclamato il «grande mistero» della chiesa/carne convertita
dal paganesimo, riconciliata con la parte credente di Israele, purificata dal
peccato e resa immacolata da Cristo/Capo, con il quale si unisce in un
unico corpo (cfr. 5, 25-32).
Già questi superficiali accenni alla simbologia dualistica apocalittica,
alla metafora sponsale dell’elezione del popolo eletto e alla dialettica eco-
nomico-rivelativa tra vecchia e nuova alleanza, che conduce – nella tragica
mediazione di Gesù Cristo morto-risorto, quindi confessato come dio in-
carnato da Giovanni – il giudaismo al di fuori di se stesso, mostrano come
quello del matrimonio/divorzio non sia affatto tema meramente morale,
legale, né semplicemente ‘spirituale’, ma profondissimo (l’intimo!) tema
teologico, che investe simbolicamente la questione massima della scissio-
ne/riunificazione storica dell’economia di redenzione: la tensione/oppo-
sizione tra littera e Spiritus, schiavitù/indurimento degli israeliti e libertà/
elezione dei figli (i cristiani spirituali), carne di prostituzione e sponsale
carne assunta/redenta. Sicché il divorzio/ripudio (a causa della corruzio-
ne della sposa in prostituta) diviene simbolo della dimensione alienante/
divisiva della littera (dell’AT e della sua economia imperativa, legalistica e
materiale), mentre il matrimonio (la conversione della ‘prostituta’ in sposa)
diviene simbolo della dimensione riconciliativa/unitiva dello Spiritus (del
NT e della sua cristica economia donativa, interiorizzante, immateriale).
Forzando sino alla lacerazione la torsione paolina tra lettera e Spirito,
la cui differenza è giudicata tale (da Marcione, come dagli gnostici) da non
poter dipendere da un unico dio, e assolutizzando l’affermazione giovan-
nea dell’esistenza di «un altro dio» (il Figlio) presso il Padre, i valentinia-
ni irrigidiscono e ‘naturalizzano’ la διόρθωσις, la correzione o retractatio
economica: lo scarto littera/Spiritus viene riconfigurato tramite un duali-
smo ontoteologico (natura pneumatica e natura psichico-ilica dipendenti
rispettivamente dal Dio di grazia rivelato da Cristo e dal Dio creatore ve-
terotestamentario), che pensa nei termini greci dell’essere divino (seppure

12
  Cfr. Jr 3, 1-20; Ez 23, 1-49; Apc 12; 17.
13
  Cfr. Os 1-3; il riscatto di Gerusalemme-Sposa in Is 54, 1-17; quindi Apc 21; Jo 4.

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a due diversi livelli) e del ‘luogo’ ontologico (pleromatico o cosmologico)


il taglio storico-economico aperto dalla rivelazione del Dio crocifisso 14. In
quest’onto-topologia della rivelazione, l’ulteriorità/novità storica diviene
ulteriorità/trascendenza ‘meta-fisica’ che disdice l’ordine teocosmologico
visibile e la sua Legge, sicché l’ultimo rivelato (il Dio che storicamente
manifesta il suo Figlio nello Spirito) diviene primordiale, nascosto, onto-
logico mistero assoluto del pleroma trinitario di Dio. In questa prospettiva
ibrida, che ellenizza il dualismo apocalittico del Messia crocifisso dalla
Legge dell’Arconte di questo mondo, la differenza tra matrimonio e divor-
zio verrà a significare l’irriducibilità ontologica della nuova alla vecchia
economia: lo spirituale, platonizzato in immateriale sostanza intellettuale,
è la ‘soprannaturale’ partecipazione unitiva alla trascendente realtà divina;
lo psichico, platonizzato in sostanza immateriale capace di sussistere anche
senza dipendere dalla materia inferiore e terrena (coica), è la natura inter-
media di un’anima, comunque apocalitticamente incapace di innalzarsi a
nous, alla dimensione divina e unitiva della sostanza pneumatica.

2. Il mito valentiniano della sizigia

La salvifica gnosi cristiana finalmente svela – nella novità del Figlio che
dona lo Spirito e redime la «Donna» prostituitasi – l’intimo, trinitario segre-
to relazionale di Dio come eterno, precosmico ‘mito speculativo’ d’amore.
Se in Cristo, Dio si rivela Padre di un Figlio che è uomo, il segreto profondo
di Dio è segnato da una storia teogonica (di cui il dramma della rivelazione
storica diviene figura) caratterizzata dall’assunzione dello scandalo ‘pati-
co’ dell’umanità in Dio stesso: dono dell’essere-ad-immagine, desiderio

14
  «Nel loro proposito di spiegare le Scritture ambigue (ambiguas) – che sono ambigue
non perché si riferiscono a un altro Dio (ambiguas autem non quasi ad alterum Dei), ma
perché si riferiscono alle economie di Dio (sed quasi ad dispositiones Dei) – hanno inventato
un altro Dio alterum Deum fabricaverunt» (Iren., Haer. II 10, 1); i primi due libri dell’opera
di Ireneo sono utilizzati e citati nell’edizione Irénée de Lyon, Contre les hérésies, I-II, éd.
A. Rousseau (SC 264), Paris 1979; e nella traduzione Ireneo di Lione, Contro le eresie
e altri scritti, a cura di E. Bellini, Milano 1979, 1997(2). Come insuperate introduzioni
alla definizione delle ermeneutiche scritturistiche marcionita e gnostica, in particolare
in riferimento al rapporto tra Cristo e la sua eventuale profezia nell’AT, cfr. A. Orbe,
Cristología gnóstica. Introducción a la soteriología de los siglos II y III, Madrid 1976, I, 54-100, in
part. 56-62; M. Simonetti, Lettera e/o allegoria. Un contributo alla storia dell’esegesi patristica,
Roma 1985, 29-37. Cfr., inoltre, E. Norelli, La funzione di Paolo nel pensiero di Marcione,
«Rivista biblica italiana» 34 (1986), 543-597; W.A. Löhr, Die Auslegung des Gesetzes bei
Markion, den Gnostikern und den Manichäern, in Stimuli. Exegese und ihre Hermeneutik in
Antike und Christentum, hrsg. von G. Schöllgen, C. Scholten, Münster 1996, 77-95.

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d’amore, instabilità, peccato, caduta, morte, grazia, redenzione, riconcilia-


zione divengono realtà/eoni divini. Il mito gnostico è, insomma, la prima
assolutizzazione ontologica della rivelazione: la retroproiezione del keryg-
ma salvifico nel cuore dell’essere primordiale di Dio, l’apocalittica manife-
stazione del segreto cristologico (e femminile, kenotico!) del Deus patiens 15,
irriducibile al ‘potente’ e ‘idiota’ Arconte giudaico, creatore e signore del
mondo, disumano perché incapace di passione, debolezza, misericordia,
assoluta donazione di sé sino alla fusione mistica nello Spirito. L’Arconte/
Demiurgo è il dio della Legge e della natura psichico-ilica, quindi di un’u-
manità separata e subordinata al suo creatore, che la giudica, la punisce,
la aliena nel suo stesso volerla governare con giustizia. Il Dio dello Spirito
(Madre che rivela il mistero dell’assoluto come relazione d’amore nella
quale il Padre è sprofondato) è, invece, il trascendente Dio di grazia, che
assumendo in Cristo l’uomo Gesù come Figlio generato eternamente nel
cuore del pleroma divino, fa fiorire e fruttificare in sé la chiesa spirituale,
la ‘carne’ spirituale di Cristo (Sophia, l’emissione dello Spirito, il fluire
passionale dell’alterità della vita in Dio). Sophia-«carne» è l’umanità di-
vina generata dal Padre, figlia/sposa eletta, perduta, patiens, prostituitasi,
«morta», ma redenta e riunificata in sizigia dal Figlio Salvatore. Se il Dio
del VT è il Dio del divorzio, il Dio del NT è il Dio delle nozze indissolubili
con l’umanità, prima, attraverso, oltre qualsiasi tradimento e caduta!
Il mistero della redenzione della Sposa rivelato dal Figlio determina,
quindi, l’articolazione del pleroma valentiniano – in particolare nella va-
riante di Tolomeo, attestataci dalla cosiddetta Grande Notizia (d’ora in poi
GrNot), con la quale Ireneo apre l’Adversus haereses 16 – in sizigie, in ipostasi
androgine: si pensi alla prima ogdoade (descritta in I 8, 5-6, a partire da
un’arditissima esegesi del Prologo giovanneo), articolata in a) Padre/Abis-
so-Madre/Silenzio/Grazia, b) Intelletto/Unigenito-Verità, c) Logos-Vita,
d) Uomo-Chiesa. Come conferma un parallelo con la teologia trinitaria di
Origene – anch’essa dedotta dall’esegesi del prologo giovanneo nei primi
due libri del Commentario a Giovanni, ma non ignara di questo modello

  G. Lettieri, Deus patiens. L’essenza cristologica dello gnosticismo, Roma 1996.


15

  Cfr. Iren., Haer. I 1, 1, sulle prime due tetradi, o prima ogdoade, tolomeane, articolate
16

in sizigie; e I 8, 4-5, sull’esegesi corrispondente del Prologo giovanneo; cfr. anche


i valentiniani (riportatici da Clemente d’Alessandria) Excerpta ex Theodoto 6, 1-4. Per
un’insuperata interpretazione dell’ogdoade tolomeana, cfr. A. Orbe, La teología del Espíritu
santo, in Estudios valentinianos IV, Roma 1966, 121-174. La cosiddetta GrNot ireneana (Haer.
I 1, 1-8, 6), i frammenti di Eracleone, come gli Excerpta ex Theodoto e la notizia dello
(Ps.-)Ippolito sui valentiniani, sono qui citati nell’edizione e nella traduzione italiana di
Simonetti, Testi gnostici cit.

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valentiniano 17 –, l’ogdoade tolomeana rifrange nell’apparentemente ir-


razionale profusione mitologica di eoni (amplificata sino all’ultimo eone
patiens) le due ‘nuove’ articolazioni teologiche attivate dalla rivelazione
di Gesù redentore divino: Trinità e incarnazione, testimoni dell’entrata in
crisi del monoteismo giudaico e della cristica contaminazione dell’asso-
lutezza separata di Dio con la storia carnale dell’umanità. Pertanto, nella
prima ogdoade sono contratti a) il dinamismo trinitario nel quale il Figlio
(Intelletto) è generato dal Padre grazie allo Spirito femminile (la Madre);
e b) il dinamismo dell’incarnazione, con il quale il Figlio (Logos), dive-
nendo Uomo, si apre all’alterità della sua Sposa, la Vita/carne femminile
in Dio, che è la Chiesa dell’umanità eletta, la cui divina, ma drammatica
instabilità è personificata da Sophia (denominazione cristologica in 1 Cor
1, 24 e compagna del Padre nella creazione del mondo in Prv 8): l’ultimo,
il trentesimo eone del pleroma, nel quale appunto gli eoni rappresentano,
procedenti dal Padre/Abisso tramite la Madre/Spirito di Grazia, le molte-
plici epinoiai del Dio-Uomo, del Figlio/Chiesa. Sophia – «la carne mistica
di Cristo», il suo corpo spirituale disseminato e riassunto 18 – è l’eone che
simboleggia l’introduzione dell’umanità peccatrice in Dio: Eva pleroma-
tica, Sophia pecca e cade dall’Eden trinitario, sdoppiandosi (la Sophia ex-
trapleromatica è la personificazione della passione espulsa di Sophia), ge-
nerando a) abortivamente il Demiurgo creatore del mondo e dell’Adamo
ilico-psichici, ma b), convertita dal e al Salvatore, anche il seme spirituale
di elezione, che ella rappresenta in sé e che tramite l’Adamo spirituale vie-
ne a visitare il prodotto inferiore demiurgico, in attesa della redenzione di
Cristo-Sposo e del ritorno, con Sophia, nel pleroma delle sizigie. Rispetto
all’ontologica nuova alleanza della Trinità filiale – che incarna nell’uma-
nità (Vita/Eva/Chiesa/Sophia) eletta, caduta, redenta, sposata l’eterno
amore di Dio –, la vecchia alleanza del Dio giudaico, creatore e legislatore,
è comunque interpretata da Tolomeo come figura degradata, immagine
imperfetta, ma gnosticamente trasparente, delle stesse vicende del plero-

  Cfr. G. Lettieri, Il νοῦς mistico. Il superamento origeniano dello gnosticismo nel «Commento
17

a Giovanni», in Il Commento a Giovanni di Origene: il testo e i suoi contesti, a cura di E.


Prinzivalli, Villa Verucchio 2005, 177-275.
18
  Cfr. Exc. Thdt. 1, 1-2: «’Padre’, disse Gesù, ‘rimetto nelle tue mani il mio spirito
(τὸ πνεῦμά μου)’ (Lc 23, 46). L’elemento carnale (σαρκίον) che Sophia ha emesso per
il Logos, cioè il seme spirituale, avendolo rivestito il Salvatore è disceso. Perciò nella
passione rimette Sophia al Padre per riceverla dal Padre»; Exc. Thdt. 26, 1: «La parte
visibile di Gesù era Sophia e la Chiesa dei semi superiori, che egli rivestì per mezzo
dell’elemento carnale (διὰ τοῦ σαρκίου), come dice Teodoto; invece la parte invisibile
è il Nome, che è il Figlio Unigenito»; Exc. Thdt. 17, 1: «Gesù e la Chiesa sono, secondo i
valentiniani, mescolanza (κρᾶσις) completa e potente dei corpi».

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ma divino 19. La Legge, come l’intera creazione del Demiurgo, è infatti una


traccia della gnosi dello Spirito, che soltanto l’eletta natura pneumatica
illuminata da Cristo è in grado di decifrare. Proprio in questa prospettiva
è, allora, da interpretare la raffinatissima, cifrata – nascosta, eppure simul
del tutto trasparente allo gnostico nel quale lo Spirito si manifesta – ese-
gesi tolomeana del divorzio.

3. La demitizzazione origeniana del mito gnostico: la fluidificazione mistica


dell’ontoteologia dualistica

Origene condivide l’interpretazione gnostica dello scarto tra littera e


Spiritus, platonicamente restituiti come economie rivelative connesse a
due diversi piani dell’essere, uno divino-pleromatico, puramente logico,
gnosticamente fusionale, l’altro cosmico, materiale luogo di alienazione
(il mondo sensibile è soltanto una seconda creazione, effetto di caduta,
καταβολή)  20. L’eletto seme divino è, per Origene, creato come ’carne’
intima al Logos, come sua intima Vita divinizzata, eppure libera di non
corrispondere all’atto creativo che la chiama ad essere Spirito. A causa
della sua libera scelta, il seme spirituale è in massima parte disperso, psi-
chicamente degradato, appesantito e imprigionato dal rapporto con la
materia sensibile, che gli è del tutto estranea, fino a cadere prigioniero
del coico Maligno (intelletto che più di ogni altro si è ribellato a Dio). Il
Logos, comunque, non soltanto visita la realtà estranea del mondo per
portarvi la redenzione ai logoi ‘divini’ decaduti, ma la crea per ordinare
e contenere la passione negativa, il materializzarsi della libertà alienata
degli esseri razionali, punendoli eppure educandoli attraverso il peso del
corpo, quindi disponendoli attraverso diversi ordini ontologici, progres-

19
  Cfr. G. Lettieri, Il frutto nascosto. Ontologia delle Scritture e Sophia cifrata nell’Epistola a
Flora di Tolomeo gnostico, c.d.s. L’esempio del divorzio, come vedremo, svelerà la peculiare
allegoria spirituale ontologico-pleromatica e non meramente storico-morale di Tolomeo; per
l’identificazione del principio generale, mi limito qui a due sole citazioni: «C’è poi la
parte simbolica [della Legge], posta a immagine delle realtà spirituali e superiori (τὸ
δέ ἐστι μέρος αὐτοῦ τυπικόν, τὸ κατ’ εἰκόνα τῶν πνευματικῶν καὶ διαφερόντων
κείμενον)» (EpFl 5, 8). «Una parte è allegorica (ἀλληγορεῖται) e viene trasferita e
cambiata dal significato corporale a quello spirituale (ἐπὶ τὸ πνευματικόν), parte
simbolica (τὸ συμβολικὸν) legiferata a immagine delle realtà superiori (τὸ κατ’ εἰκόνα
τῶν διαφερόντων)» (6, 4). Gli stessi Ireneo e (Ps.-)Ippolito ci testimoniano chiaramente
il metodo allegorico-ontologico, simbolico-pleromatico di Tolomeo: cfr. infra, nota 45.
Sull’irrazionale eccezione dell’allegoria valentiniana rispetto alla misura della tipologia
cattolica, cfr. Iren., Haer. IV 19, 1-3.
20
  Cfr. Orig., Princ. III 5, 4; Comm. Jo. XIX 149-150.

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sivi stadi di pedagogia e conversione razionale. Sposa del Logos – che il


Redentore visita e riunisce misticamente a sé, reintroducendola nel plero-
ma –, la natura umana è, però, contro i valentiniani, universalmente eletta,
tutta originariamente logica, quindi sempre irriducibilmente ’gnostica’ in
potenza, sicché soltanto i diversi gradi di perfezione spirituale/gravità
del distacco dal Logos, quindi di velocità nella corsa del desiderio con-
vertito, determinano provvisoriamente differenze qualitative tra uomini
pneumatici, psichici, ilici. Questo significa che Origene ripensa tutte le
opposizioni rivelative paolino-giovannee e la loro ontologizzazione va-
lentiniana come dualismo di livelli di perfezione spirituale aperti al libero
dinamismo degli intelletti – che, dopo essere decaduti dall’intimità ‘edeni-
ca’ con il Logos, collocati a differenti livelli ontologici, si convertono tutti
progressivamente nella multiforme mediazione di Cristo, ritornando nel
suo Intelletto/seno mistico –. Il ritorno universale è promosso dall’unico
Dio tramite il misericordioso farsi tutto a tutti del Figlio-Logos creatore/
redentore 21. Contro il dualismo ontoteologico gnostico, la realtà creata è
tutta progressivamente reintegrata in Cristo redentore che, incarnandosi,
diviene immanente ad ogni livello di perfezione/alienazione dell’essere:
lettera e Spirito, creazione materiale e redenzione spirituale, economia im-
perativa della Legge ed economia donativa dello Spirito, disseminazione
colpevole e mistica riunificazione, caduta e apocatastasi, divorzio e sizigia
sono le articolazioni dialettiche di un unico universale dramma amoroso,
che descrive l’amore di Dio per la sua Sposa creata, diversamente aliena-
tasi, eppure tutta redenta nell’universale mediazione salvifica del Figlio
creatore/redentore.
Comunque, malgrado questa fondamentale differenza antidualistica,
sia per i valentiniani che per Origene il segreto profondo di Dio è quello
giovanneo dell’incarnazione nell’uomo del Logos-Dio preesistente; pro-
tologicamente anticipata, l’incarnazione rivela l’origine e il destino intra-
divini dell’umanità eletta (in modo ristrettivo per gli gnostici, universale
per Origene), chiamata a riappropriarsi della propria identità pneumatica
di partner amorosa di Dio. Per Origene, l’opposizione tra lettera e Spirito
diviene, pertanto, l’opposizione tra due piani dell’essere (irriducibili per
i valentiniani, progressivamente traslato l’uno nell’altro per Origene) me-
diati dal Figlio – creatore di entrambi, datore della Legge come mezzo di
formazione pedagogica e anagogica, partecipato luogo pleromatico della

21
  G. Lettieri, Origene interprete del Cantico dei cantici. La risoluzione mistica della metafisica
valentiniana, in Origene maestro di vita spirituale, a cura di L.F. Pizzolato, M. Rizzi, Milano
2001, 141-186.

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fruizione spirituale archetipica ed escatologica –: Legge e grazia sono, così,


ontologicamente non soltanto connessi, ma gnoseologicamente progressi-
vi, dunque i luoghi rivelati attraverso i quali l’universalità degli intelletti
universalmente progredisce 22.
Rispetto a questa prospettiva sapienziale, a quest’abissale mistica gno-
stico-speculativa, la ‘semplice’ tradizione di fede protocattolica – come la
sua etica religiosa fortemente condizionata dal modello legale giudaico
– risulta in Origene comunque secondaria e, seppure riconosciuta, supe-
rata come ‘provvisoria’. Per quanto razionalmente economica nella sua
sobrietà monoteistica, la storica rivelazione salvifica è comunque conver-
tita in traccia di una sapienza elettiva nascosta, riattinta come esito della
liquidazione del debito gnostico, tolto in un più profondo guadagno di
verità speculativa. Questo significa che la connessione e lo scarto tra la
fede semplice dei cristiani comuni e la gnosi del cristiano perfetto con-
tinua a caratterizzare l’interpretazione origeniana della rivelazione, così
come quella del testo sacro, in tensione metaforica tra un livello immediato
d’insegnamento morale, etico, religioso e un livello sempre più abissale di
conoscenza del radicarsi della creatura nell’eterno mistero relazionale di
Dio, cristologicamente interpretato: lo Spirito divinizzatore delle creature
rivela la relazione d’amore tra il Padre e il Figlio, sicché il monoteismo ri-
sulta amorosamente, passionalmente complicato, in quanto il radicarsi del
Figlio-Uomo nell’eternità del Padre comporta l’introduzione della contin-
genza, del rischio, della differenza della storia dei logoi-Sposa nel pleroma
beato della trascendenza 23.
E questo malgrado Origene e i valentiniani combinino in maniera in-
crociata le due fondamentali – concordate seppure, per certi aspetti, diver-
genti – eredità protocristiane, quella ‘catastrofica/elettiva apocatastatica’
paolina e quella ‘unitiva/elettiva ristretta’ giovannea: se, in Origene, la
modalità teo­logica giovannea (che afferma l’intimità degli eletti nel Cri-
sto-Logos divinizzato) ha un esito paolino (la paradossale rivelazione di
Dio è finalizzata alla redenzione universale), in Tolomeo la modalità teolo-
gica paolina (la radicale, catastrofica antitesi tra lettera e Spirito, che disdi-
ce la Legge come modalità mortale/ormai morta di relazione a Dio) finisce

  Cfr., ad esempio, Orig., Princ. I 1, 2-4; Cels. 6, 70; 7, 20-21.


22

  «Juan hablaba de Unigénito de Dios, del Logos, de la Vida, Luz etc.: elementos
23

que arrancaban de la generación divina, e introducían en el ámbito de la Divinidad


un miembro – el Hijo – que muy bien podía ser el comienzo de un anillo de elementos
intermedios entre el Theos Agnostos y los hombres» (A. Orbe, En los albores de la exegesis
iohannea (Ioh 1,3), in Estudios valentinianos, 2, Roma 1955, 341).

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per avere un esito giovanneo (l’elezione è ristretta, costituendo un’apoca-


littica differenza tra seme divino e creature ilico-psichiche).

4. Ermeneutica della rivelazione: la Verità cifrata

Il confronto tra Tolomeo e Origene sulla questione sizigia/divorzio è


segno di una concordia discors, al punto da potere essere esso stesso indica-
to come sizigia/divorzio. Permane una profonda omogeneità nei presup-
posti teorici: appunto, la rivelazione storico-salvifica, fondata sulla dia-
lettica littera/Spiritus, è la traccia di una gnosi speculativa platonizzante,
imperniata sul precosmico, eterno dinamismo dialettico del Logos-Sposa/
carne. Quest’omogeneità permane, seppure nell’opposizione di due sue
varianti in conflitto, continuando comunque ad attestare un’impressio-
nante corrispondenza di presupposti ontologico-sapienziali 24, di struttura
argomentativa, di forzature e snodi esegetici, tali da imporre come inelu-
dibile la questione (se non la prova) dell’eventuale dipendenza diretta del
più grande teologo protocattolico dal grande maestro gnostico. Pertanto,
l’interpretazione delle parole gesuane sul divorzio sono in entrambi i casi
paragonabili alla punta di un iceberg, quello della gnosi cristiana – eretica
o cattolica che sia –, per la quale le vicende bibliche non sono soltanto
rivelatrici di un mistero storico-rivelativo, né tanto meno di un insegna-
mento morale, bensì sono il segno di un eccedente mistero nascosto nella
scaturigine dell’essere, di verità ontologiche e metafisiche assolute, anzi
del divenire di Dio in sé e fuori di sé ab aeterno; sicché l’atto ermeneutico
di un testo dato si fa carico di indicare l’eccedenza inesauribile dell’evento
della Persona (il pleroma valentiniano e origeniano rivela la relazione eter-
na nella quale il Dio personale diviene comunione di persone: Figlio/figli
nello Spirito), sempre altra rispetto a qualsiasi realtà storica e mondana,
quindi rispetto all’immediata comprensione dell’uomo.

  Cfr. H. Jonas, Gnosis und spätantiker Geist, I: Die mythologische Gnosis. Mit einer
24

Einleitung «Zur Geschichte und Methodologie der Forschung», Göttingen 1934, 1988(4);
e II: Von der Mythologie zur mystischen Philosophie, Göttingen 1954, 19934, tr. it. Gnosi
e spirito tardoantico, Milano 2010, 829-833; 862-869, ove il progresso demitizzante dai
valentiniani ad Origene è caratterizzato, in modo non convincente, come «mistero del
nesso e del passaggio tra la gnosi mitologica del II secolo e quella mistico-filosofica
del III e del IV» (869). Mi pare che la grande trattazione del confronto di Origene con
lo gnosticismo proposta da A. Le Boulluec, La notion d’hérésie dans la littérature grecque.
IIe-IIIe siècles. Tome 2: Clément d’Alexandrie et Origène, Paris 1985, 439-545 trascuri questo
nesso, sottovalutando l’intima affinità strutturale tra i due divergenti sistemi teologici.
Eccellente, in tal senso, il volume di H. Strutwolf, Gnosis als System. Zur Rezeption der
valentinianischen Gnosis bei Origenes, Göttingen 1993.

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TOLOMEO E ORIGENE: DIVORZIO/LETTERA E SIZIGIA/SPIRITO 89

Emerge qui l’irriducibile propensione cristiano-platonica – eretica e


protocattolica alessandrina (cfr. gli Stromati di Clemente) – di restituire il
mistero redentivo come enigma, metafora, ri-velazione, di cui la chiave è
umanamente se non indisponibile, certo nascosta. L’eccedenza apocalittica
(appunto, rivelativa) escatologico-carismatica (il mistero redentivo di Dio
viene alla fine, come dono elettivo, sottratto alla presa degli empi) è qui
restituita come sdoppiarsi (ontologico e definitivo per gli gnostici, peda-
gogico e provvisorio per Clemente e Origene), sottrarsi, ripiegarsi, cifrarsi
della Verità assoluta, nell’atto stesso della sua rivelazione.
Probante è il confronto con il marcionismo: Marcione oppone radical-
mente AT e NT a partire da un’interpretazione rigidamente letteralista del
primo, di cui si sottolinea la ‘violenta’ logica demiurgica di assoggettamen-
to delle creature, irriducibile all’anarchica, liberante rivelazione di grazia
del secondo. Al contrario, valentinismo e protocattolicesimo alessandrino
condividono un’interpretazione allegorica dell’AT, assunto come imma-
gine (parziale, per Tolomeo; totale, per Origene) della stessa rivelazione
spirituale di Cristo 25. Nell’Epistola a Flora (= EpFl), Tolomeo può così inter-
pretare l’AT come rivelazione del Demiurgo, comunque eterodiretto dalla
sizigia Salvatore/Sophia, che inseriscono tracce di rivelazione spirituale
nel corpo della rivelazione psichico-ilica; Origene, invece, considera ubi-
qua la rivelazione pneumatica nascosta sotto la scorza psichica dell’AT,
rivelato da Cristo stesso come pedagogico strumento di educazione dell’in-
telletto – decaduto nella materialità e divenuto anima – alla conoscenza
progressiva della propria identità pneumatica di figlio nel Figlio, che sol-
tanto il NT rivela perfettamente.
Questa diversa, eppure convergente lettura allegorica dell’AT, per i va-
lentiniani è funzionale alla conversione degli psichici (e dello stesso De-
miurgo, che può quindi inverare consapevolmente nell’eschaton la sua
funzione ermeneutica di metafora dell’eccedenza pleromatica) 26 al vero
Dio e degli spirituali/Sophia all’attingimento dell’escatologica intimità

25
  Cfr. Orbe, En los albores cit., 13-83, in part. 52-63, ove si specifica l’approdo cristologico
del «tutto» generato/creato dal Logos, oggetto della traslazione allegorica valentiniana,
che rinvia dalla creazione demiurgica (il mondo come tutto, persino nella sua realtà
ilica e diabolica) e dalla rivelazione veterotestamentaria al suo trascendente esemplare
pleromatico (la molteplicità degli eoni come tutto), che si concentra nella stessa ipostasi
di Gesù/Salvatore/Frutto comune, «Tutto» del pleroma.
26
  Convertito alla e dalla rivelazione del Salvatore, mediatagli dal Cristo psichico
suo figlio, il Demiurgo verrà salvato ed escatologicamente collocato, come «amico dello
Sposo» (Exc. Thdt. 65,1), in prossimità, ma comunque al di fuori del pleroma/camera
nuziale della sizigia, come sua eterna e comunque divisa immagine esteriore: cfr. Iren.,
Haer. I 7, 1; 7, 4-5; (Ps.-)Hippol. VI 36, 2; Exc. Thdt. 63, 1-65, 2.

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con Cristo nel pleroma 27; per Origene, alla progressiva spiritualizzazio-


ne delle anime, quindi alla ridentificazione universale degli intelletti nel-
la loro identità ‘divina’ (creata) più profonda. Comunque, la salvezza si
identifica con la capacità di attingere nell’immagine psichica/sensibile lo
‘spirituale’, l’intimità mistica di figli/spose con il Figlio/Sposo; la gnosi è
nient’altro che il riconoscimento dello Spirito (Cristo-Sophia) nella lettera
(la Legge scritturistica e l’essere cosmico), del divino (la logica della filialità
spirituale) nell’umano (la ‘carne’ Sposa alienata dal suo Sposo), del mistico
(unitivo) nel religioso (inevitabilmente divisivo, gerarchico). Si compren-
de, pertanto, quanto siano intimamente connesse ontologia mistica ed er-
meneutica cristiana: questa presuppone la fede nel ri-velarsi della Parola
divina nel testo scritto, il nascondersi dello Spirito vivente/eccedente nella
lettera (prima giudaica, poi proto-cattolica), l’ulteriorità del Senso rispetto
alla legge religiosa attraverso il quale esso si comunica, fa segno di sé come
‘altro’: sicché la gnosi (quella eretica, come quella cattolica alessandrina
di Clemente e Origene) è, più che un contenuto oggettivo, la conoscenza
eminentemente spirituale di questo scarto, appunto della non coincidenza
tra Spirito e lettera/Legge, Verità e segno, evento e sistema religioso, dono
e dovere, anarchia dell’amore e ordine ontoteologico, unione mistico-intel-
lettuale (sizigia logica divino-umana) e alienazione storica (divorzio del sé
‘libero’ rispetto al suo Fondamento).
Se quindi l’ermeneutica scaturisce dal differire dello Spirito rispetto a
qualsiasi evidente lettera ’religiosa’, essa non può non riconoscere il dif-
ferire del Senso, il suo ritrarsi dalla disponibilità immediata. La gnosi va-
lentiniana preserva questo ritrarsi dello Spirito tramite l’esoterica cifratura
della gnosi salvifica: in tal senso, non soltanto EpFl risulta essere il capola-
voro ermeneutico-mistico gnostico, ma lo stesso barocco mito pleromatico
di GrN parrebbe suggerire un’allegorizzazione ulteriore, capace di ridurre,
all’interno della dialettica Logos-sarx rivelata personalmente da Gesù, la
molteplicità degli eoni in figure del dramma d’amore tra Sophia e il suo
Sposo  28. Se comunque la gnosi valentiniana culmina nell’affermazione

27
  Sul rapporto tra ermeneutica e mistica nel valentinismo, cfr. G. Gaeta, Scrittura
e tradizione secondo i valentiniani, in Valentino, Tolomeo, Eracleone, Teodoto, La passione di
Sophia. Ermeneutica gnostica dei valentiniani, Genova 1997, 9-30.
28
  Ireneo stesso riconosce, seppure polemicamente, al di sotto del mito gnostico
l’intima struttura cristologica: «Quando si dimostra che il Logos, l’Unigenito, la Vita, la
Luce, il Salvatore, Cristo e il Figlio di Dio sono uno e il medesimo e che questo stesso si è
fatto carne per noi, è crollata la costruzione dell’Ogdoade. Ora, una volta caduta questa,
è caduto tutto il sistema» (Iren., Haer. I 9,3). Ritengo che, per il suo stesso raffinatissimo
razionalismo, lo stesso Tolomeo ricapitolasse le differenti figure degli eoni nell’unico
«Tutto» cristologico. «Tal multiplicación [de Principios=degli eoni] es más aparente que

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della fruizione di un’elettiva homoousia pneumatica, la ‘gnosi’ origeniana


– nel suo tematizzare un’ermeneutica di fatto inesauribile, l’universalità
dell’elezione nuziale, il rischio sempre immanente del tradimento nella
relazione d’amore tra Dio e la sua mistica «carne» umana – si rivela più
autenticamente spirituale di quella valentiniana, proprio perché si sfor-
za di rimanere fedele alla dimensione sempre ulteriore che la sporgenza
dell’evento della ri-velazione conserva rispetto all’appropriazione umana.
La Sposa del Cantico è in questo esemplare, considerato come sempre «ella
cerchi l’assente e talvolta egli torni a lei (illa […] requirat absentem sed et ipse
interdum redeat ad eam)» (Orig., Comm. Ct. III 2, 9-10, 242). D’altra parte, la
dottrina dello Spirito origeniana pare conservare, nella sua stessa sizigia
apocatastatica, un ultimo residuo gnostico-identitario, sicché il vero com-
pimento ontoteologico della processualità ermeneutica origeniana sarà la
dottrina nissena dell’epektasis come progresso ri-velativo infinito, nel quale
la nozione platonica di Verità ontologica viene definitivamente escatologiz-
zata, pensata come Spirito (cfr. Jo 4, 24) sempre a-venire, in quanto fruita
unicamente come Persona inesauribile, evento teofanico sempre sfuggente,
quindi soltanto sfiorato, esteriormente congetturato dalla finitezza dell’in-
telletto creaturale, chiamato a cercarlo ulteriormente a partire da una sem-
pre ‘provvisoria’ sua visita. In Gregorio di Nissa, il mistero dell’unione
mistica (la sizigia) sarà quindi sempre minato dal dolore dell’allontana-
mento (il ‘divorzio’) e questo sarà sempre convertito nella protensione che
culmina nel riattinto contatto amoroso; così come ermeneuticamente ogni
comprensione autentica di Dio (in Spirito e Verità) è sempre confessione
della propria inadeguatezza (l’essere morta littera) rispetto all’ulteriorità
differita del Senso inesauribile, eppure teofanicamente donato e all’infinito
sempre donantesi. La dialettica gregoriana tra teologia catafatica (l’estatico
contatto conoscitivo-mistico dell’intelligenza visitata dalla manifestazione
‘ontologica’ dello Sposo) e teologia apofatica (l’eccedenza infinita/tenebro-
sa dello Sposo venuto e veniente soltanto come inafferrabile) riconfigura

real» (Orbe, En los albores cit., 143); «El Pleroma dramatiza, antes del tiempo, lo que con el
tiempo se cumplirá en la persona del Salvador, y en la Iglesia terrena» (Orbe, La teología
del Espíritu santo cit., 130-131). Insomma, l’indicazione di Tertulliano mi pare se non
fuorviante, comunque ambigua: «Tolomeo distinse i nomi e i numeri degli eoni col farne
delle sostanze personali determinate però fuori di Dio [Padre] (in personales substantias,
sed extra Deum determinatas), mentre Valentino le aveva rinchiuse nel complesso della
divinità stessa, come se fossero suoi sentimenti e affetti e moti (in ipsa summa divinitatis ut
sensus et affectus et motus incluserat)» (Tert., Adv. Valent. 4, 2). La proliferazione tolomeana
di eoni, apparentemente prova di sfrenata irrazionalità mitopoietica, dovrebbe essere
piuttosto desostanzializzata e interpretata come allegoria pneumatica della vita trinitaria
(prima tetrade) e della sua incarnazione nell’uomo spirituale (=seconda tetrade, rispetto
alla quale Sophia si rivela come Chiesa/Sposa decaduta).

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misticamente l’annodarsi della dialettica lettera/Spirito, morte/resurre-


zione, assenza/presenza, rischio della chiusura divisiva (divorzio della
lettera) e protensione nello Spirito verso un incontro amoroso (sizigia) mai
circoscrivibile in nuovo possesso, lettera, idolo.

5. Ermeneutica ed erotica: il divorzio della lettera e la sizigia dello Spirito

Non è un caso, allora, che la metafora elettiva della gnosi mistica sia
quella erotica e che il testo prediletto dell’ermeneutica cristiana sia il Can-
tico dei cantici (in Origene e Gregorio, ma più nascostamente negli stessi
testi valentiniani) 29. Al punto che, paradossalmente, la metaforica del mito
gnostico e della mistica origeniana (desiderio, spasmi, unioni, estasi, semi,
generazione di frutti) pare essere più significativa dello stesso platoniz-
zato ontologico senso identitario cui rinvia (la Verità ontologica nella cui
identità l’intelletto-logos è tolto), proprio in quanto ri-vela la Verità come
Spirito, come umano mistero relazionale dell’amore, sicché essendo Perso-
na, la comprensione dell’Assoluto non può che presentarsi come maschera
di un Volto che sempre si nasconde, come lettera dello Spirito, appunto
come desiderio e ricerca di un’ulteriorità inesauribile di pienezza (sizigia)
che nel desiderio sempre si rivela come sottratta (divorzio). In tal senso,
la metafora erotica testimonia di un irriducibile residuo giudaizzante ope-
rante nell’ormai dominante ellenizzazione della rivelazione: l’homoousia
logico-gnostica è relativizzata, rifratta, differita. Se la natura divina (tolo-
meana e origeniana) è simul implicata nella storia preesistente del corpo
mistico decaduto, eppure immunizzata, eccedente rispetto a essa, rimane
comunque – persino nello gnosticismo eretico – l’irriducibile differenza
giudaica tra Creatore e creatura, sicché il mistero cristiano dell’intimità nu-
ziale, cioè della mistica unità tra divino e umano, è restituito comunque nei
termini della dialettica tra forza maschile e debolezza femminile (la carne
che è una con il Capo-Logos, quindi la sizigia del Deus patiens), incompa-
tibile quest’ultima con il concetto greco di divinità impassibile. Sicché se
da una parte l’origeniana demitologizzazione dell’homoousia tra Logos e
logoi rende del tutto evidente la giudaica resistenza alla risoluzione gno-
stico-ontologica del femminile nel maschile, d’altra parte corre il rischio di
esteriorizzare rispetto a Dio stesso il pathos dell’umanità peccatrice, che lo
gnosticismo assolutizzava nel paradosso del mito pleromatico, cioè dell’abis-

29
  Cfr. G. Lettieri, Il corpo di Dio. La mistica erotica del Cantico dei cantici dal Vangelo di
Giovanni ad Agostino, in Il Cantico dei Cantici nel Medioevo, a cura di R.E. Guglielmetti,
Firenze 2008, 3-90, in part. 26-50.

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so speculativo comunque segnato dagli eoni/«persone», maschere o figure


patientes dell’amore tra Dio e l’umanità in Cristo. Nel sistema speculativo
gnostico, il mito sarebbe, insomma, la traccia dell’irriducibilità del deside-
rio alla dialettica logica che assorbe la relazione nella legge dell’identità
dialettica del pensiero; sicché, sia in Origene che in Tolomeo, comunque
la dimensione personale/desiderante carnalizza come relazione amorosa
l’assoluto speculativo: la dialettica pitagorico-platonica (maschile-femmi-
nile come immagine di finito-infinito, uno-diade, forma-materia, identità-
differenza, etc.) non può essere assunta nella sua assoluta purezza, ma
dev’essere contaminata/rappresentata tramite un irriducibile dramma
erotico.
Ricapitolando, approfondire la questione del divorzio a partire dall’e-
segesi di Mt 19, 3-9 sarà capace di rivelare, nel sistema teologico tolomea-
no come in quello origeniano, cifrata l’intima connessione tra protologia,
mistero dell’immanenza dei logoi nel Logos, dottrina del peccato come
caduta, redenzione come reintegrazione pleromatica, enoptica escato-
logica  30. Se le intime articolazioni della ‘gnosi’ origeniana s’illuminano
soltanto rilevando prossimità e distacco, ‘sizigia e divorzio’ rispetto alla
gnosi valentiniana, questa relazione sarà sempre caratterizzata da una dia-
lettica speculativa tra lettera e Spirito, legge della subordinazione e gnosi
dell’intimità mistica; in Tolomeo, come in Origene, la lettera/Legge rivela
il divorzio tra umanità e divinità, lo Spirito rivela il nascosto mistero della
sizigia, che eternamente coniuga in Cristo il Figlio e la sua carne ‘mortale’.
Per Tolomeo, la prospettiva psichica cattolica rimane ancora prigioniera
della confusione tra Legge e vangelo d’amore, che essa torna a restituire
come lettera, come variante dell’AT, senza essere capace di attingervi l’ec-
cedente libertà dei figli/spose nello Spirito; la gnosi è invece il passaggio
dal divorzio psichico alla sizigia pneumatica. Per Origene, al contrario, è la
prospettiva gnostica a essere, paradossalmente, letteralistica affermazione
di divorzio, proprio in quanto separa onto-teologicamente la creazione
dalla redenzione, lo psichico(-ilico) dallo spirituale 31; pertanto, essa non

30
  Cfr. Orig., Comm. Ct., Prologus, 57: «Bisogna abbandonare la vanità delle vanità e
affrettarsi alle realtà eterne e perpetue (ad aeterna et perpetua) […] Colui che si applicherà
alla Sapienza (qui sapientiae studet) […] tenderà alle realtà invisibili ed eterne (tendet ad
invisibilia et aeterna), che sono insegnate nel Cantico dei cantici con concetti senza dubbio
spirituali, ma tenuti nascosti dietro immagini di linguaggio amoroso (quae spiritalibus
quidem sensibus, sed adopertis amorum quibusdam figuris docentur in Cantico canticorum».
Il testo della tr. latina di Rufino è citato nell’edizione di W.A. Baehrens Commentarium
in Canticum canticorum (GCS 33), Leipzig 1925; e nella paginazione e nella tr. it. di M.
Simonetti, Commento al Cantico dei cantici, Roma 1976.
31
  «Gli eretici, i quali pronunciano iniquità contro l’Eccelso e con la loro empietà

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riconosce la fluidificazione nello Spirito delle differenze ontologiche, che


il cattolico restituisce come proiezioni del desiderio amoroso, attraverso
le quali la sizigia Sposo-Sposa rivela il paradossale mistero di congiungi-
mento universale tra eternità di Dio e contingenza di un’umanità creata,
eppure sin dal principio intimamente assunta come ’carne’ di Cristo tutta
riscattata e redenta.

6. EpFl: le tripartizioni della Legge e la tripartizione valentiniana delle nature

Riportata integralmente nel Panarion di Epifano di Salamina, EpFl è


un testo capitale nella storia del cristianesimo, essendo il primo trattato
cristiano a noi pervenuto dedicato all’ermeneutica della Scrittura, allora
sostanzialmente identificata con l’AT, ma qui per la prima volta ritrattata
a partire da citazioni di testi che, già in Ireneo, verranno a formare il ca-
none neotestamentario: oltre a numerose citazioni dalle lettere paoline e
dal Vangelo di Matteo, vi ricorre la prima citazione cristiana del Vangelo di
Giovanni come scrittura ispirata 32. Pur ritenendo che l’EpFl ancora nascon-
da gelosamente gran parte dei suoi misteri, proverò qui a gettarvi uno
sguardo, guardando attraverso uno dei tanti strettissimi spiragli sul se-
greto esoterico intenzionalmente lasciati aperti da Tolomeo all’interno del
suo scritto essoterico, che, malgrado la sua apparente chiusura rispetto alla
gnosi pleromatica, la rivela cifrata agli eletti 33. Interpreto insomma la lette-
ra come raffinatissima ‘ri-velazione’ criptica dei misteri abissali del dram-
ma pleromatico tolomeano 34, trasmessoci ‘decodificato’ e ‘aperto’ (ma fino

dividono l’unità della divinità (dividunt unitatem deitatis) e separano la legge dai vangeli
(legem ab evangeliis separant) […], non vi intendono [negli oracoli divini] nulla di spirituale
(nihil spiritale), nulla che sia degno di Dio; direi che presso di loro trova posto la sola
lettera che uccide (solam apud eos locum, quae occidit, habere litteram dixerim)» (Orig.,
Comm. Rm. II 14, 916d-917a). Il testo della tr. latina di Rufino è citato nell’edizione e nella
paginazione della PG XIV e nella tr. it. di F. Cocchini, Commento alla lettera ai Romani, 1-2,
Genova 1985-1986.
32
  Cfr. la citazione di Jo 1,3 in EpFl 3, 6. «In effetti gli iniziatori dell’esegesi patristica nel
senso tecnico del termine erano stati i valentiniani Tolomeo e Eracleone» (M. Simonetti,
La Sacra Scrittura [2000], quindi in Origene esegeta e la sua tradizione, Brescia 2004, 13-28,
in part. 15).
33
  Per una lettura sistematica della lettera, interpretata in intima connessione con la
Grande notizia tolomeana di Ireneo, rimando a Lettieri, Il Frutto nascosto cit.
34
  «Tali avvenimenti non sono espressi apertamente (φανερῶς) perché non tutti
sono in grado di accogliere (χωρεῖν) la loro gnosi, ma sono rivelati in forma coperta
(μυσθηριωδῶς) dal Salvatore per parabole (διὰ παραβολῶν) a coloro che li possono
comprendere» (Iren., Haer. I 3, 1); cfr. Exc. Thdt. 66: «Il Salvatore ha insegnato agli
apostoli dapprima per figure e misteri (τὰ μὲν πρῶτα τυπικῶς καὶ μυστικῶς), quindi

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a che punto?) dalla cosiddetta «Grande Notizia» di Ireneo in Haer. I 1, 1-8,


6 35. Pertanto, ritengo che EpFl presupponga sistematicamente – malgrado
il recente infittirsi di strampalate interpretazioni volte a minimizzarne e
persino a negarne l’ispirazione gnostica 36 – il mito valentiniano di Sophia
(pure mai citata in EpFl) e la dottrina delle tre nature pneumatica, psichica,
ilica, comunque inequivocabilmente affermata in EpFl 7, 2-8.
Non mi pare sia stato sufficientemente notato che le due essoteriche
tripartizioni della Legge veterotestamentaria propostevi corrispondono
all’esoterica 37 tripartizione delle nature valentiniane: 1) i tre soggetti ‘ri-

per parabole ed enigmi (τὰ δὲ ὕστερα παραβολικῶς καὶ ᾐνιγμένως), in terzo luogo
chiaramente e apertamente da solo a soli (τὰ δὲ τρίτα σαφῶς καὶ γυμνῶς κατὰ μόνας)».
EpFl comunicherebbe nei primi due sensi qui indicati; il terzo pare essere un semplice,
silenzioso, elettivo raptus mistico-intellettuale, non comunicabile, radicalmente unitivo.
35
  Concordo pienamente con quest’affermazione di Sagnard, purtroppo non
accompagnata da un’analisi sistematica della relazione tra i due testi: «La connexion
frappante entre cette Lettre authentique de Ptolémée et la Grande Notice ou le
Commentaire sur le Prologue de S. Jean. Les termes sont identiques: la pensée est la
même. Et c’est un véritable trait de lumière, pour qui s’est familiarisé avec l’exposé
d’Irénée. On a trop dit que cette Lettre disait fort peu de chose, ce qui est vrai en quelque
façon, puisqu’elle n’est qu’un début d’initiation. Mais on n’a pas vu que ce ‘peu de chose’
renfermait l’essentiel et les principes fondamentaux de la gnose de Ptolémée […] Cette
analyse détaillée est la véritable épreuve du témoignage d’Irénée sur les Valentiniens»
(F.H.M. Sagnard, La gnose valentinienne cit., 478-479); cfr. 103; 126. In tal senso, cfr. Orbe,
En los albores cit., 57.
36
  Cfr. soprattutto Ch. Markschies, New Research on Ptolemaeus Gnosticus, «Zeitschrift für
antikes Christentum» 4 (2000), 225-254, che nega la natura gnostica di EpFl, affermando
che vi si affermerebbe l’identificazione tra il Salvatore e il Demiurgo; pertanto, la Grande
Notizia di Ireneo sarebbe da attribuire niente affatto a Tolomeo – che, per Markschies,
condividerebbe con lo stesso Valentino l’identità di filosofo cristiano e niente affatto di
gnostico in senso proprio! –, ma a ignoti discepoli, che ne avrebbero corrotto le dottrine
cristiano-platoniche in mitizzante gnosi dualistica. Già W.A. Löhr, La doctrine de Dieu dans
la Lettre à Flora de Ptolémée, «Revue d’histoire et de philosophie religieuses» 75 (1995),
177-191, aveva in parte anticipato la tesi di Markschies, avendo sostanzialmente ridotto
le tracce del sistema pleromatico valentiniano in EpFl (cfr., in part., 182; 184; 189-191),
per privilegiare il confronto con i modelli teologici medio- e persino neo-platonici (cfr.,
in part., 184-189). Lo stesso E. Norelli, Le Décalogue dans la Lettre de Ptolémée à Flora, in
Le décalogue au miroir des Pères, éds. R. Gounelle, J.-M. Prieur, Strasbourg 2008, 107-176,
recepisce le indicazioni di Marckschies, rimuovendo di fatto gli elementi gnostici di
EpFl, non a caso ‘spiegata’ soprattutto a partire da testi filoniani! Contro la prospettiva
di Markschies, seppure non sufficientemente approfondita, risulta del tutto convincente
la restituzione della natura gnostica del testo proposta da E. Thomassen, The Spiritual
Seed. The Church of the ’Valentinians’, Leiden-Boston 2006, 119-129; e da H. Schmid, Ist der
Soter in Ptolemäus’ Epistula ad Floram der Demiurg? Zu einer These von Christoph Markschies,
«Zeitschrift für antikes Christentum» 15 (2011), 249-271, in part. 250-256. Ancora preziosi
il commento in chiave gnostica di G. Quispel, Ptolémée. Lettre à Flora, Paris 1949; e di M.
Simonetti, Testi gnostici cit., 476-479.
37
  G. Quispel, Lettre à Flora, cit., 18-20, si è soltanto avvicinato a individuare questa
corrispondenza. L’espressione introduttiva che Tolomeo utilizza prima di elencare la
prima tripartizione è molto più densa di quanto non appaia a prima vista, cifrando uno

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velatori’ della Legge – a) Demiurgo, b) Mosè, c) anziani 38, interpretabili


come allegoria a) del Dio trascendente, b) del Demiurgo e c) del diavolo 39
–, così come 2) le tre ‘parti’ o meglio ‘componenti’ che Tolomeo distingue
nella Legge specificatamente «divina» – a) componente allegorica delle
realtà trascendenti e spirituali (che GrNot dichiara direttamente ispirata
dalla sizigia Salvatore-Sophia); b) componente pura (il decalogo rivelato
dal Demiurgo!), ma imperfetta, perfezionata dal Salvatore; c) componente
ingiusta e mista, abrogata dal Salvatore 40 –, corrispondono infatti alla 3)
tripartizione tra natura spirituale (perfetta nella sua eccedenza), natura
psichica (convertibile, perfezionabile) e natura ilica (malvagia, destinata
all’annientamento) 41.

slittamento allegorico, considerando che logoi è nome degli eoni pleromatici (immagini
del Logos) per i valentiniani: «Le parole del Salvatore ci insegnano (οἱ τοῦ σωτῆρος λόγοι
διδάσκουσιν ἡμᾶς) che essa [la Legge] si divide in tre parti (τριχῇ τοῦτον διαιρεῖσθαι)»
(Ptol., EpFl 4, 1). Cfr. Iren., Haer. I 2, 5-6: il gratuito «insegnare» della sizigia Cristo-Spirito
Santo consente, dopo il peccato di Sophia, la redenzione/formazione di tutto il pleroma
alla conoscenza della sizigia archetipica; in seguito a questa didaskalia, gli eoni diventano
tutti uguali, «tutti logoi» (cf. Exc. Thdt. 25, 1). Ritengo pertanto che l’affermazione di EpFl
4, 1 segnali in codice il carattere allegorico della tripartizione proposta, immagine degli
stessi misteri pleromatici. Analoga interpretazione allegorica rintraccio in EpFl 7, 9, ove
nella conclusione della lettera si legge significativamente: «Confermiamo tutti i logoi
(πάντας τοὺς λόγους) con l’insegnamento del nostro Salvatore (τῇ τοῦ σωτῆρος ἡμῶν
διδασκαλίᾳ)». Cfr. un terzo esempio analogo in EpFl 4, 3, segnalato infra, nota 66.
38
  Cfr. Ptol., EpFl 4, 1-14.
39
  Ptol., EpFl 7, 7 definisce esplicitamente il Demiurgo come «immagine del migliore
(τοῦ κρείττονός ἐστιν εἰκών)», quindi del Dio sommo e buono; ma cfr. anche Iren., Haer.
I 5, 2-5, ove il Demiurgo, che crede di essere l’unico Dio, è in realtà immagine del Padre
buono e, creando, produce un cosmo che è immagine del pleroma. Il Demiurgo è definito
«immagine del Padre (εἰκόνα τοῦ Πατρὸς)» anche nei valentiniani (ma trasmessici
da Clemente alessandrino) Exc. Thdt. 47, 2; cfr. 47, 3. Per la più ovvia identificazione
simbolica di Mosè con il Demiurgo (in tutta EpFl Mosè è interpretato come strumento
del Demiurgo), cfr. Heracl., Comm. Jo., fr. XLVIII, in Orig., Comm. Jo. 20, 358-362. Che gli
anziani introducano, con le loro tradizioni, un elemento corruttivo della Legge pura e
giusta del Demiurgo, quindi qualcosa d’ingiusto, ingannevole, pervertito, maligno è
chiaramente affermato in EpFl 4, 11-13; l’iniquità e l’ipocrisia degli anziani legislatori
(sottolineate apertamente da Gesù, che cita Is 29, 13 in Mt 15, 3-9, citato in EpFl 4, 13) è
riassunta nell’affermazione che essi hanno il cuore lontano da Dio; rivelativo lo stesso
esempio portato da Gesù, quindi da Tolomeo: consentire di sottrarre il dovuto al padre
e alla madre con la scusa di dovere portare un’offerta al Tempio. Si noti, inoltre, che il
verbo συμπλέκω è utilizzato sia a) per indicare «che sono mescolate (συμπεπλεγμέναι)
con la Legge [giusta e pura del Demiurgo] anche alcune tradizioni degli anziani», sia b)
per indicare la corruzione ingiusta della Legge giusta: «la legislazione mescolata con il
male e con l’ingiustizia (ὁ [νόμος] συμπεπλεγμένος τῷ χείρονι καὶ τῇ ἀδικίᾳ), che il
Salvatore ha abrogato perché estranea alla sua natura» (5,1); evidentemente, gli anziani
mescolano male e ingiustizia (realtà ilica!) alla legislazione demiurgica.
40
  Cfr. Ptol., EpFl 5, 1-6, 6.
41
  Per una inequivocabile affermazione delle tre nature valentiniane, cfr. Ptol., EpFl
7, 1-8.

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TOLOMEO E ORIGENE: DIVORZIO/LETTERA E SIZIGIA/SPIRITO 97

Se 1) l’ambiguo termine «Dio» suggerisce immediatamente la corri-


spondenza simbolica tra la Legge rivelata dal dio-Demiurgo e la ‘compo-
nente’ spirituale della Legge (in quanto è il Dio pleromatico che in realtà
ne ispira la verità nascosta), mentre 3) gli anziani, meri corruttori della
Legge, si prestano assai bene a simboleggiare la ‘componente’ maligna
della Legge, ispirata dal Diavolo e abrogata dal Demiurgo, potrebbe inve-
ce apparire forzata 2) la corrispondenza simbolica qui suggerita tra Leg-
ge pura/psichica e Mosè, piuttosto che tra essa e il Demiurgo. In realtà,
Mosè – che proprio per contenere l’insorgenza del male, degrada la Leg-
ge di ’Dio’ – rappresenta perfettamente la natura della Legge «psichica»,
strutturalmente mediana e imperfetta, persino se giusta e relativamente
«buona», quindi sempre costretta a fronteggiare l’emergenza del male,
che pure irrompe a corromperla. Essendo il dio-Demiurgo «Immagine del
Migliore (αὐτὸς τοῦ κρείττονός ἐστιν εἰκών)» 42 e al tempo stesso «Me-
diano-Medietà (μέσος-Μεσότης)» (EpFl 7, 4), 2) tutto quello che è oggetto
della sua rivelazione slitta, scivola dalla sua dimensione pura/propria 43;
o 1) convertito (d)allo spirituale, rivelandosi immagine allegorica del ple-
roma; 3) o, viceversa, attratto verso il peggiore, a causa della ‘proprietà’
letterale della sua differenza rispetto al perfetto, rivelando, quindi, dell’im-
magine, la componente degradata della contraffazione, contaminata con
l’ingiustizιa e il male. Questo significa che la tripartizione della Legge è
da assumere non rigidamente: le parti (legge pura demiurgica et legge
allegorica) non si escludono come estrinseche e irriducibili differenze ma-
teriali o ‘letterali’, ma sono piuttosto prospettive o piani del testo che si
possono sovrapporre, scivolando l’uno nell’altro; come vedremo (in par-
ticolare in riferimento al comandamento: «Onora il padre e la madre»),
lo stesso decalogo, pure definito in EpFl 5, 3 come quella ‘componente’
pura della legge che il Salvatore è venuto a perfezionare, è ‘allegorizzato’,
rivelandosi simul come ‘luogo’ simbolico, allegorico-spirituale, rivelatore
de «il perfetto (τὸ τέλειον)» (EpFl 5, 1), del quale pure il decalogo in sé è

42
  Ptol., EpFl 7, 7; cfr. Exc. Thdt. 47, 1-3: «Così [redimendo Sophia, formata secondo
la gnosi, «avendo separato (ἀποστήσας)» da lei le sue passioni] il Salvatore diventa il
primo Demiurgo universale (Πρῶτος μὲν οὖν Δημιουργὸς ὁ Σωτὴρ γίνεται καθολικός)
[…] E dapprima Sophia emette, immagine del Padre di tutti, un dio (πρῶτον πάντων
προβάλλεται εἰκόνα τοῦ Πατρὸς Θεόν), per mezzo del quale ha fatto il cielo e la
terra […] Questo, essendo immagine del Padre, diventa padre (εἰκὼν Πατρὸς πατὴρ
γίνεται)».
43
  «Si tenga presente che il linguaggio dei valentiniani, di cui un esempio emblematico
è la Lettera di Tolomeo a Flora, presenta una duttilità tale da poter essere inteso a diversi
livelli, a seconda del grado di iniziazione degli ascoltatori» (E. Prinzivalli, M. Simonetti,
La teologia degli antichi cristiani [secoli I-V], Brescia 2012, 240).

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98 GAETANO LETTIERI

dichiarato sprovvisto; analogamente, il comandamento puro del sabato è


apertamente allegorizzato, come esempio di componente tipico/spirituale
della Legge pura, in EpFl 5, 12.
Insomma, certo Tolomeo attribuisce la rivelazione dell’AT alla divinità
intermedia del Demiurgo 44, non al Dio trascendente Padre del Salvatore,
ponendosi all’interno di una condivisa prospettiva dualistica che dichiara
la natura imperfetta della Legge giusta, che comunque rivela in essa per-
sino una mescolanza con il male. L’originalità della prospettiva tolomeana
è, però, quella di introdurre (contro marcioniti e gnostici radicali, quali i
carpocraziani) un’interpretazione sistematicamente allegorica, che consen-
ta di riconoscere, all’interno della dimensione relativamente imperfetta e
ambigua della Legge, una nascosta rivelazione dell’eccedenza del Pleroma
e del dramma amoroso della sizigia Sophia-Salvatore 45. Infatti, come con-
ferma la GrNot, inconsapevolmente il Demiurgo psichico è mosso, nella
sua potenza di governo provvidenziale della sua creazione, dalla trascen-
dente ispirazione pneumatica della sizigia Salvatore-Sophia 46. Ricorrendo
a una metafora, Tolomeo afferma la natura «grigia» (psichica) della Legge,
nella quale comunque convivono natura «nera» (ilica) e natura «bianca»
(pneumatica); soltanto l’eletto è però in grado di riconoscere e liberare il

  Cfr. Ptol., EpFl 3, 4; 7, 2-7.


44

  Tolomeo afferma apertamente l’esistenza nella Legge pura del Demiurgo de


45

«il tipico e il simbolico (τὸ τυπικὸν καὶ συμβολικὸν), legiferata a immagine delle
realtà spirituali ed eccedenti (τὸ κατ’ εἰκόνα τῶν πνευματικῶν καὶ διαφερόντων
νομοθετηθέν)» (Ptol., EpFl 5, 2); cfr. 5, 8 e 6, 4-5 (ove si afferma che la componente
tipologica della Legge pura demiurgica «è allegorica (ἀλληγορεῖται)». «Così essi si
esprimono sul loro pleroma e sulla creazione di tutte le cose, sforzandosi di adattare
ciò che è bene detto a ciò che da essi è malamente escogitato. E non solo cercano di
trarre dimostrazioni dagli scritti evangelici e apostolici, stravolgendo le interpretazioni
e manipolando alla leggera le spiegazioni, ma anche dalla legge e dai profeti, quasi che
siano lì espressi molti simbolismi e allegorie (ἅτε πολλῶν παραβολῶν καὶ ἀλληγοριῶν
εἰρημένων) e molti punti possano essere tirati a più sensi con l’interpretazione (καὶ
εἰς πολλὰ ἕλκεσθαι δυναμένων τὸ ἀμφίβολον διὰ τῆς ἐξηγήσεως)» (Iren., Haer. I
3, 6). I valentiniani «chiamano in causa Mosè e i profeti, sostenendo che parlerebbero
allegoricamente dei modelli degli eoni (κατηγοροῦσι Μωσέως καὶ τῶν προφητῶν,
φάσκοντες ἀλ<λ>ηγορικῶς αὐτοὺς τὰ μέτρα τῶν αἰώνων λέγειν)» ([Ps.]Hippol., Haer.
VI 55, 2). Cfr. supra, nota 39 e infra, nota 61.
46
  Sul Demiurgo come ignaro (fino alla venuta del Salvatore) strumento, mosso da
Sophia e dal Salvatore, rivelativo di realtà pleromatiche eccedenti, a lui ignote, che
inconsapevolmente replica nella sua creazione/legislazione, cfr. Iren., Haer. I 5, 1; 7,
3-4; 17, 1-18, 3; II 16, 1; 24, 3; IV 35, 1-3; e II 7, 1: «Pertanto dicono che all’insaputa del
Demiurgo, il Salvatore ha onorato il pleroma nella creazione avvenuta per mezzo della
Madre, emettendo similitudini e immagini delle cose che sono in alto». D’altra parte, il
Demiurgo, nel suo essere Medietà, è anche ’immagine’ del peggiore, impulso verso il male.
Egli manifesta, pertanto, «duplice potenza (διττὴ δύναμις)» (Ptol., EpFl 7 ,7), ma in senso
duplice: egli è simul psichico-ilico (doppio appunto) et immagine della natura pneumatica.

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TOLOMEO E ORIGENE: DIVORZIO/LETTERA E SIZIGIA/SPIRITO 99

«bianco» nascosto nel «grigio» della rivelazione veterotestamentaria; in


assenza del Salvatore (il rivelatore di Luce) e della natura eletta capace di
esserne illuminata, la Legge è condannata a un’inesorabile contraddizione,
in quanto simul è da una parte psichicamente finalizzata (nel suo essere
comunque immagine del «bianco» della Luce) all’affermazione dell’ordine
morale, costruito su un’idea di (relativa) giustizia teologica e di conteni-
mento imperativo del male 47; d’altra parte è risucchiata dal male che essa
vieta e che pure le è immanente, insidiandola, rivelando pertanto la na-
tura mista, ambigua, «grigia», appunto, della Legge, nella quale si annida
all’interno degli stessi comandamenti divini – che pure «tendono» al bene
e lo comandano – logica di potenza, dominio, giudizio, violenza, esclusio-
ne, annientamento, contraddizione. D’altra parte, il Demiurgo (immagine
del Dio supremo) e la sua Legge (rivelazione del pleroma spirituale) sono
paradossali allegorie della storia dello pneumatico: ombra della crisi, della
passione, della caduta e della morte (insomma: del divorzio) di Sophia,
espulsa dal pleroma, processo di alienazione che non a caso, nel mito gno-
stico, ha generato la natura intermedia del Demiurgo e, infine, quella de-
gradata della natura ilica.
Pertanto, la doppia tripartizione della Legge è strutturale rivelazione
della mito-logia pleromatica, cioè del processo degradante – che solo il
Salvatore svela ed è in grado di convertire – a) dalla pienezza pneumatica
del divino (il «bianco» rivelato dal Demiurgo, che il Salvatore rivela come
allegoria delle realtà superiori), b) tramite il divorzio di Sophia e la genesi
del Demiurgo e della realtà psichica (il «grigio», l’innovazione di Mosè che
degrada la Legge «pura» di Dio, adattandola alla sopravvenuta necessità
del male, dal quale solo il Salvatore è in grado di liberare, perfezionando
i comandamenti morali dell’AT), c) per giungere alla degradazione della
genesi della realtà ilica, di quella ingiustizia maligna impersonata dal Dia-
volo (il «nero» della Legge pervertita dagli anziani, che il Salvatore abroga
per sempre).
Ricapitolando: se l’interpretazione tolomeana della Legge culmina
nell’identificazione della sua componente allegorica, le stesse tripartizio-
ni della Legge, dipendenti dalla superiore provvidenza rivelativo-cari-
smatica della sizigia Salvatore-Sophia, non possono non avere intenzione
allegorica: Tolomeo non si limita cioè a descrivere la Legge in sé, ma ne

47
  Cfr. Ptol., EpFl 6, 6, ove Paolo fa riferimento alla Legge pura, cioè a «la parte non
mescolata col male, dicendo: ’La legge è santa e il suo precetto santo e giusto e buono’
(Rm 7, 12)»; chiaramente, la bontà della Legge pura demiurgica non può che essere
relativa, imperfetta; essa infatti dev’essere perfezionata dal Salvatore. Essa è invece
«santa» soltanto in quanto simbolo del pleroma precedente.

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100 GAETANO LETTIERI

indica – allegoricamente e cifratamente – la possibilità di eccedente ‘al-


terazione’, il suo essere immagine di altro, la translatio ‘gnostica’ come
esito del suo interno differire. Quando, in EpFl 4, 4-13, egli discute il caso
della deformazione umana (di Mosè prima, degli anziani poi) della Legge
di Dio, porta due esempi: quello del divorzio, citando Mt 19, 6-8; quindi
quello del pervertimento del comandamento del decalogo: «Onora il pa-
dre e la madre», di cui Gesù tratta in Mt 15, 3-9. Vedremo come essi siano
perfetti esempi di interpretazione «grigia» della Legge, simul allegorica,
pneumatico-pleromatica et psichica, limitata, quindi ilicamente degradata,
provando come la componente allegorica della Legge sconfini nell’altera-
zione pneumatica dello stesso comandamento demiurgico proprio della
Legge pura.

7. L’interpretazione ambigua del divieto gesuano del divorzio in EpFl

A proposito dell’esempio del divorzio, Quispel – purtroppo ignorato


in proposito da Löhr, Markschies, Thomassen, Norelli – ha il merito di
sottolineare una clamorosa anomalia, mettendo in rilievo come Mt 19, 8
e 6, citato da Tolomeo, risulti interpolato [di seguito, l’interpolazione tra
parentesi quadre]: «Per la vostra durezza Mosè vi ha permesso di ripudiare
vostra moglie, ma all’inizio non era così. [Infatti Dio ha congiunto questa
congiunzione (συνέζευξε ταύτην τὴν συζυγίαν); e] ciò che il Signore ha
congiunto (συνέζευξεν), l’uomo non separi (μὴ χωριζέτω)» (EpFl 4, 4).
Tolomeo inserisce, pertanto, il termine συζυγία tramite una ripetizione
pleonastica, per di più in sé stessa pleonastica, delle parole di Gesù. Pur-
troppo Quispel sottovaluta gravemente l’interpolazione, riducendola a
mero lapsus tolomeano, sicché la citazione di un termine-chiave del mito
valentiniano (che governa l’intera impalcatura dell’Ogdoade, quindi del
pleroma e del mistero cristologico della caduta e della redenzione) è bana-
lizzata come mera bizzarria letteraria e fatta dipendere da un tic mnemo-
nico, per di più romanticamente interpretato 48. Inoltre, Quispel non rileva
che l’interpolazione ‘accade’ proprio mentre il testo sta stigmatizzando
la deformazione della Legge demiurgica da parte di Mosè e degli anziani
rabbini: quasi che l’inserzione – apparentemente del tutto inutile – nel testo

48
  Cfr. Quispel, Lettre à Flora cit.: «Les valentiniens avaient une conception romantique
du mariage qui était considéré comme un reflet de la polarité divine… Pour une faute de
mémoire Tolomeo a introduit ce mot qu’il aimait dans le texte sacré. C’est de l’abondance
de cœur que la bouche parle» (82). Ovviamente la penna di Tolomeo non è affatto mossa
dal suo cuore, ma dal suo nous, che lo spinge a disseminare tracce esoteriche all’interno
del testo protrettico.

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TOLOMEO E ORIGENE: DIVORZIO/LETTERA E SIZIGIA/SPIRITO 101

evangelico del termine συζυγία fosse una contro- o meglio una meta-inter-
polazione, volta a suggerire anche letterariamente una forzatura ecceden-
te, lo sdoppiarsi allegorico del senso, quindi il rinvio al piano ontologico
della sizigia pleromatico-cristologica. Lo stesso riferimento gesuano «al
principio (ἀπʾἀρχῆς)» (Mt 19, 6 in EpFl 4, 4), che precede e governa l’in-
terpolazione della sizigia, seppure qui lasciato privo di approfondimento,
non poteva non comunicare, agli iniziati, la necessità di allegorizzare la
questione del divorzio come riferimento all’assoluto mistero protologico
del pleroma (appunto la dialettica principio/sizigia), di cui il puro coman-
damento demiurgico non può che offrire un’immagine inconsapevole e on-
tologicamente inferiore. Ricordo, in proposito, che nella GrNot tolomeana,
il Padre-Abisso era definito «Pre-Principio (Προαρχή)» 49, o anche «Sen-
za-Principio (ἀναρχός)» 50, in sizigia con la sua «Ennoia, Grazia, Silenzio»,
mentre «Principio (Ἀρχή)» era il nome, dedotto dall’esegesi del Prologo
giovanneo, proprio del Figlio Unigenito/Nous 51, in sizigia con la Verità;
nel Principio-Verità, la stessa sizigia Logos-Vita si radicava. Ora, proprio
nella conclusione di EpFl, Tolomeo dichiara che la conoscenza teologica
suprema consiste nel riuscire a spiegare come l’intera realtà derivi «da un
solo principio (ἀπὸ μιᾶς ἀρχῆς) di tutte le cose […] semplice, ingenerato,
incorruttibile e buono (τῆς ἀγεννήτου καὶ ἀφθάρτου καὶ άγαθῆς)» (7,
8); nella sua complessa e qui taciuta articolazione di Padre-Figlio e sizigia
Maschio-Femmina, comunque è affermata con forza la necessità gnostica
di risalire al fondamento pleromatico della realtà, l’unica autentica ragione
capace di rendere intellegibile la complessa relazione dialettica tra rive-

49
  Cfr. Iren., Haer. I 1, 1.
50
  Cfr. ibidem I 2, 1.
51
  Cfr. ibidem I 8, 5: «Poiché parla della prima generazione (περὶ πρώτης γενέσεως),
bene fa iniziare l’insegnamento (τὴν διδασκαλίαν) dal principio (ἀπὸ τῆς ἀρχῆς) […]
Prima distingue i tre, Dio, il Principio e il Logos, e poi li unisce […] Per tutti gli eoni dopo
di lui il Logos è stato causa di formazione e generazione. ‘E ciò che è stato fatto in lui
è vita’ (Jo 1, 4). Qui [Giovanni] ha manifestato anche la sizigia»; ovviamente, la prima
generazione ne presuppone una seconda, quella delle nature inferiori (psichica e ilica),
cui si riferisce EpFl 7, 9. Sul rapporto tra principio e sizigia, cfr. Haer. I 1, 1; Exc. Thdt. 6, 1-4.
Notevole la variante, che rivela una singolare corrispondenza con EpFl 7, 8, attestataci
da (Ps.)Hippol., Haer. VI 29, 2-3: a) il Padre vi è definito «senza sposa (ἄζυγος)» e b) è
identificato con lo stesso Principio: «Infatti per loro il principio di tutte le cose (ἀρχὴ
τῶν πάντων) è la monade ingenerata (μονὰς ἀγέννητος), incorruttibile (ἄφθαρτος),
inconcepibile generatrice e causa della generazione di tutte le cose divenute (πάντων τῆς
γενέσεως αἰτία τῶν γενομένων): questa monade essi chiamano Padre»; d’altra parte,
anche ibidem VI 29, 6 il termine principio è riferito alla diade dell’Unigenito: «Il Padre […]
emise e generò Intelletto e Verità, cioè la diade che diventò signora e principio (ἀρχήν)
e madre di tutti gli eoni». D’altra parte anche GrNot segnala il dividersi della scuola
tolomeana sulla dimensione androgina del Padre: cfr. Iren., Haer. I 2, 4.

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102 GAETANO LETTIERI

lazione demiurgica della Legge e rivelazione pneumatica del Salvatore,


quindi – nel nostro caso – la tensione tra ἀρχή e γέννησις (EpFl 7, 9),
tra sizigia archetipica (e sua generazione consustanziale) riaffermata dal
Salvatore e legge divisiva del divorzio (dunque il misterioso derivare di
nature differenti, non consustanziali dall’unico Principio) 52.
Insomma, l’interpolazione di Tolomeo al passo matteano non dipende
affatto da un ‘romantico’ lapsus di memoria, ma ubbidisce a una consa-
pevole, marcata intenzione di allusione all’archetipico (‘iper-romantico’!),
pneumatico mistero dell’indissolubile sizigia archetipica, eppure del suo
drammatico scindersi nel suo consustanziale generare. Per di più, il rife-
rimento a «un’altra sizigia» – eterna, pleromatica, dischiusa «in spirito»
come intimo segreto della lettera del testo gesuano – è l’unica possibile
interpretazione del passo tolomeano, che lo renda coerente con la triparti-
zione della Legge appena teorizzata in EpFl. Infatti, se Cristo – ribadendo
l’originario divieto del divorzio – si limitasse a condannare e correggere
l’integrazione mosaica, soltanto per restaurare, a livello morale, un co-
mandamento demiurgico  53, egli si costringerebbe a riaffermarlo, senza
perfezionarlo in alcun modo; il che è assolutamente escluso da Tolomeo,
per il quale il comandamento demiurgico o è perfezionato, o è abrogato o è
allegorizzato. Pertanto, nella prospettiva di EpFl, Gesù a) non dichiarando
affatto di abrogare il divieto del divorzio come rivelazione demiurgica «dal
principio», b) né prospettandone alcun perfezionamento di tipo morale, c)
riaffermando identico l’originario divieto del divorzio, cioè l’archetipica
legge della sizigia, non può che rivelarla come verità allegorica. Negare in

52
  Cfr. Ptol., EpFl 7, 8-9.
53
  Giustamente Norelli, Le Décalogue cit., 144-145, mette in rilievo come la legge di
Dio che vieta il divorzio potrebbe identificarsi con un elemento della Legge pura, il VI
comandamento mosaico, il οὐ μοιχεύσεις di Ex 20, 13 e Dt 5, 18, sec. LXX, anche se poi
preferisce fare cadere l’ipotesi, in quanto essa complicherebbe le – per me da Norelli
troppo rigidamente interpretate come parti della Legge incomunicabili – distinzioni
di Tolomeo tra Legge pura e impura, non modificabile e modificabile, in quanto si
ammetterebbe la possibilità – da parte di Mosè – di correggere un comandamento di Dio.
Cfr. l’interpretazione allegorica del οὐ μοιχεύσεις proposta da Clem. Al., Strom. VI 16,
146, 3: il comandamento impone il divieto di abbandonare la moglie (σύζυγος) legittima
(la gnosi autentica della chiesa) per unirsi con opinioni illegittime, false, idolatriche
e di prostituzione (le gnosi eretiche). Ricordo che lo stesso Clem. Al., Strom. III 1, 1,
1, afferma: «Valentino e i suoi seguaci dedussero dalle originarie emanazioni divine
l’esistenza dei connubii; e perciò accettano il matrimonio». Lo stesso matrimonio terreno
è quindi immagine di quello pleromatico. Possiamo ammettere che proprio Tolomeo
dimenticasse la sua dottrina della sizigia mistica, mentre s’impegnava a sottolineare il
carattere impuro della legge giudaica che consente il divorzio, contraddicendo la legge
pura demiurgica, quando questa stessa era per il valentiniano immagine – come vedremo
meglio infra ­– delle realtà spirituali/pleromatiche?

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TOLOMEO E ORIGENE: DIVORZIO/LETTERA E SIZIGIA/SPIRITO 103

questo contesto allegoria e scarto allegorico di senso/rivelazione rispetto


alla lettera della Legge significherebbe, pertanto, contraddire la triparti-
zione tolomeana del comandamento puro del Demiurgo, introducendo un
quartum quid del tutto assente e teologicamente insensato per Tolomeo.
Soltanto l’allegoria, l’interpretazione simbolica è quindi in grado di risa-
lire, in un contesto evangelico di retractatio della binata legge mosaica,
all’eccedenza della μία ἀρχή e γέννησις, quei principi originari la cui co-
noscenza, in chiusura della lettera, Tolomeo promette di rivelare a Flora,
se ella – come vedremo – si rivelerà come «terra buona» 54, cioè dotata di
natura spirituale, quindi capace di fare scaturire il «frutto» dai semi già
trasmessile da Tolomeo nella lettera, riportando quindi la totalità dell’im-
magine all’unico archetipo spirituale del Dio buono.
Ireneo stesso è testimone dell’assoluta centralità catechetico-rivelativa
della sizigia nelle comunità tolomeane, quando ricorda come l’intera gnosi
della redenzione fosse appunto riassunta nel «mistero della sizigia (τὸ τῆς
συζυγίας μυστήριον)», in quanto «la grazia» riservata al seme d’elezio-
ne, con il quale i tolomeani si identificavano, «essi la posseggono come
cosa propria discesa dall’alto dall’indicibile e innominabile sizigia (αὐτοὺς
δὲ ἰδιόκτητον ἄνωθεν ἀπὸ τῆς ἀρρήτου καὶ ἀνονομάστου συζυγίας
κατεληλυθυῖαν ἔχειν τὴν χάριν)» 55. Pertanto, nel mito di GrNot, la stes-
sa redenzione escatologica può riassumersi nella celebrazione delle nozze
escatologiche della sizigia Salvatore/Sophia:

Allorché tutto il seme avrà raggiunto la perfezione, dicono che la loro


Madre Achamoth si trasferirà dal luogo della regione intermedia, en-
trerà nel pleroma e prenderà come suo sposo il Salvatore, colui che è
nato da tutti gli eoni [il Frutto comune del pleroma], perché si faccia
sizigia del Salvatore e di Sophia Achamoth (ἵνα συζυγία γένηται τοῦ
Σωτῆρος καὶ τῆς Σοφίας τῆς Ἀχαμώθ). Questi sono lo Sposo e la Spo-
sa, camera nuziale è tutto il pleroma. Gli spirituali, spogliatisi delle loro
anime e diventati spiriti intellegibili (πνεύματα νοερά), senza essere
impediti e visti entreranno nel pleroma e saranno dati come spose agli
angeli del Salvatore 56.

Appunto, per Tolomeo, la gnosi ontologico-elettiva s’identifica con la


sizigia, quindi con la conoscenza dell’eterna ‘ragione’ dell’incarnazione,
del farsi corpo di Dio, dell’amore per l’altro da sé come verità eterna, già

54
  Cfr. Ptol., EpFl 7, 8-10.
55
  Iren., Haer I 6, 4.
56
  Ibidem I 7, 1.

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104 GAETANO LETTIERI

manifestata nel mistero della relazione abissale tra Padre(Abisso)/Madre​


(Silenzio, Grazia). Infatti, anche all’interno del pleroma la sizigia s’identifi-
ca con la stessa gnosi suprema: dopo il peccato di Sophia e la sua espulsio-
ne dal pleroma, la sizigia pleromaticamente redentiva Cristo/Spirito Santo
– emanata dall’Unigenito per donare finalmente all’intero pleroma l’or-
dinata e redentiva conoscenza della gnosi pleromatica – «insegnò loro [a
tutti gli eoni] la natura della sizigia (τὸν μὲν γὰρ Χριστὸν διδάξαι αὐτοὺς
συζυγίας φύσιν)» 57. Se la sizigia è la stessa legge dell’incarnazione eterna
e nuziale del maschio-Logos nella femmina-Carne, soggetto rivelatore e
oggetto rivelato si identificano. Così, in GrNot I 3, 4, la definizione del
«Salvatore che deriva da tutti gli eoni [come] il Tutto (τὸ πᾶν)», quindi di
Gesù/Frutto come ipostatica incarnazione del mistero della redenzione e
della rivelazione, è spiegata tramite la citazione di Lc 2, 23 (che cita Ex 13,
15): «Ogni essere maschile che apre la vulva», interpretata come allusiva al
mistero redentivo della sizigia, cioè all’utero dell’intenzione di Sophia ca-
duta in preda alla passione, prima divisa/«espulsa al di fuori del pleroma
(ἐξορισθείση ἐκτὸς τοῦ πληρώματος)», poi aperto, visitato e redento dal-
la luce del Salvatore/Frutto, capace di formarla secondo la gnosi; Salvatore
definito, dall’Elenchos, «Frutto comune del pleroma compagno di sizigia
della Sophia esteriore (ὁ κοινὸς τοῦ πληρώματος Καρπὸς ἰσόζυγος τῆς
ἔξω Σοφίας)» 58.
Tenendo presenti questi riferimenti, a un’attenta analisi che sappia co-
glierne il costante movimento allegorico, la lettera dell’EpFl si ‘spiritualizza’
trovando un piano ulteriore di coerenza, pullulando di una serie di rimandi
sistematicamente connessi al mito pleromatico di GrNot 59. Persino espres-
sioni apparentemente del tutto generiche, se forzate allegoricamente (ma
proprio questa forzatura è la radicale prospettiva gnostica che le dischiude
oltre il mero significato letterale), rinviano alla gnosi pleromatica. Si pensi a

57
  Ibidem e I 2, 5. Ma a livello ancor più primordiale, in riferimento alla prima sizigia
della seconda tetrade tolomeana, si afferma del Logos (archetipo del Redentore/Frutto)
e della Vita (archetipo di Sophia, madre dei frutti spirituali): «’Tutto è stato fatto per
suo mezzo e senza di lui nulla è stato fatto’ (Jo 1, 3), infatti per tutti gli eoni dopo di lui
il Logos è stato causa di formazione e di generazione (μορφῆς καὶ γενέσεως). E ‘ciò
che è stato fatto in lui è vita’ (Jo 1, 4): qui [Giovanni] ha manifestato anche la sizigia
(καὶ συζυγίαν ἐμήνυσεν): infatti ha detto che tutte le cose sono state fatte per suo
mezzo e invece la vita in lui […] Sta infatti insieme con lui e per suo mezzo porta frutti
(καρποφορεῖ)» (Iren., Haer. I 8, 5).
58
  (Ps.-)Hippol., Haer. VI 36, 4.
59
  Lo stesso Sagnard non ha minimamente sospettato il lavorio allegorico nascosto al
di sotto della lettera esegetica relativa alla questione del divorzio: «Le développement,
solidement appuyé sur l’Évangile, se déroule de façon très littéraire» (Sagnard, La gnose
valentinienne cit., 458).

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TOLOMEO E ORIGENE: DIVORZIO/LETTERA E SIZIGIA/SPIRITO 105

un inciso, apparentemente del tutto neutro, ma in effetti assai ambiguo, che


introduce la disamina di quella parte della Legge che presenta inserzioni
mosaiche, corruzioni ‘obbligate’ del comandamento divino, di cui il divorzio
è esempio: «[…] non in quanto per suo mezzo legiferava Dio, ma in quanto
spinto dal suo proprio pensiero (ἀπὸ τῆς ἰδίας ἐννοίας), anche Mosè ha
stabilito alcuni precetti» (4, 2). Ritengo che questa stessa espressione possa
avere anche un’interpretazione allegorica: nel suo operare ‘in aggiunta’ al
comandamento di Dio (cioè del Demiurgo), Mosè dice non soltanto qual-
cosa di depotenziato e in sostanza corrotto, ma simul qualcosa di eccedente
rispetto alla rivelazione demiurgica, proprio perché cifrata allegoria delle
vicende degli eoni pleromatici (nel caso specifico, del peccato e della sepa-
razione di Sophia). Mosè diviene così immagine del Demiurgo nascosta-
mente mosso dalla sua autentica ‘propria’ Ennoia e Causa (αἰτία), che è la
Madre Sophia 60; caratteristica fondamentale del Creatore è, infatti, quella
di essere eterodiretto, di non detenere l’autentica intelligenza del proprio
stesso agire: «il Demiurgo non si accorgeva di essere mosso dalla Madre
(λεληθότως κινούμενον ὑπὸ τῆς Μητρός)» 61. E che Ennoia sia termine
decisivo per Tolomeo, in quanto, per eccellenza, il nome della Madre (in par-

60
  «Fu la Madre causa (αἰτία) per lui di questa creazione» (Iren., Haer. I 5, 3); cfr.
7, 3-4, ove non soltanto si afferma che il Demiurgo ignora «la causa» del suo amore
privilegiato per alcune anime da lui create, eppure elette e mosse dalla Madre e dal
Salvatore; ma si ammette esplicitamente che il Demiurgo, «in quanto ignora le realtà a
lui superiori (τὰ ὑπὲρ αὐτόν)», è scosso da alcune rivelazioni pronunciate dagli uomini
spirituali, che pure «disprezza, riportandole a questa o a quella causa (ἄλλοτε ἄλλην
αἰτίαν νομίσαντα) o allo spirito profetico, che ha anche lui il proprio impulso (ἔχον καὶ
αὐτὸ ἰδίαν τινὰ κίνησιν), o all’uomo, o a una mistione degli elementi peggiori»; con una
notevole corrispondenza con l’espressione di EpFl sopra citata relativa alla «sua propria
ennoia» di Mosè, è qui affermato esplicitamente che quello che è rivelato/legiferato da
una creatura del Demiurgo, seppure pare dipendere da un impulso proprio e inferiore
(persino contaminato con la realtà ilica) delle realtà psichiche, in realtà è rivelativo
dell’eccedente piano pneumatico, dipendendo da una causa (la sizigia Salvatore-Sophia)
e da una rivelazione che trascende la capacità conoscitiva dello stesso Demiurgo.
61
  Iren., Haer. I 5, 1; cfr. 5, 3; 7, 3: «il Demiurgo, pur ignorandone la Causa (μὴ εἰδότος
τὴν αἰτίαν)», rivela verità trascendenti tramite anime abitate dal «seme, che è di natura
superiore; molte cose sulla realtà superiore ha detto anche la Madre, ma anche per mezzo
del Demiurgo e delle anime nate da lui». Che Mosè stesso possa (inconsapevolmente!)
rivelare eventi del mito mistico del pleroma e di Sophia è esplicitamente affermato: «Che
Achamoth, venuto a lei il Salvatore, per reverenza si coprì il viso, è rivelato da Mosè,
che pose il velo sul suo volto (cfr. 1 Cor 3, 13 ed Ex 34, 34)» (I 8, 2). La Madre è Causa
occulta, quindi profonda ragione logica (finalizzata alla rivelazione del pleroma e alla
redenzione dell’eletto seme logico) dell’agire del Demiurgo: «In tutto [il Demiurgo] così
ignorava le forme ideali di ciò che faceva (αὐτῶν τὰς ἰδέας ὧν ἐποίει) e anche l’esistenza
della Madre e credeva di essere lui solo tutto. Invece fu la Madre causa per lui di questa
creazione (αἰτίαν δʾ αὐτῷ γεγονέναι τὴν Μητέρα), che lo volle così guidare affinché
fosse capo e principio della propria sostanza, signore di ogni attività» (Haer., I 5, 3). Cfr.
supra, note 39 e 45.

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106 GAETANO LETTIERI

ticolare di Silenzio-Grazia compagna di sizigia del Padre-Abisso), dunque


applicabile alla stessa Sophia, è confermato da GrNot 62. Lo stesso ambiguo
riferimento all’azione correttiva di Mosè, che integra la Legge di Dio «non
per sua spontanea intenzione, ma per necessità (οὐ κατὰ προαίρεσιν, ἀλλὰ
κατὰ ἀνάγκην)» (EpFl 4, 6), si rivela assai più pregnante della sua lettera,
in quanto allusivo alla dottrina delle nature, considerato che il Demiurgo
crea una natura psichica, l’unica dotata di libero arbitrio 63, e una natura
ilica, che viene dichiarata «essere per necessità destinata alla distruzione
(κατὰ ἀνάγκην ἀπόλλυσθαι)» 64. Ma l’identità allegoricamente mobile e
stratificata di Mosè, immagine del Demiurgo-Immagine, nel suo introdurre
il divorzio – quindi «legiferando in maniera opposta a Dio (ἀντινομοθετῶν
τῷ θεῷ)» (EpFl 4, 10) che dichiarava indivisibile la sizigia –, può persino es-
sere innalzata sino all’identità con Horos stesso, la Croce di Cristo che forma
e redime Sophia, guarendola dalle sue passioni, dividendo ed espellendo
fuori del pleroma il suo peccato 65. Persino l’esortazione a Flora, che intro-
duce l’esempio del divorzio – «apprendi ora come con i ’logoi’ del Salvatore
si rivela che la cosa sta così (ἐκ τῶν τοῦ σωτῆρος δείκνυται λόγων μάθοις
ἂν ἤδη)» (EpFl 4, 3) –, mi pare essere un chiaro segnale metaforico in codice
che invita a leggere, al di sotto della lettera esegetica del comandamento
mosaico, la gnosi degli eventi pleromatici, considerando che logoi è deno-
minazione tecnica valentiniana degli eoni pleromatici 66.
Allora, tornando più direttamente a indagare la questione del divorzio
trattata in EpFl 4, 4-10, essa si rivela intenzionalmente ambigua, a due
livelli sovrapposti di comunicazione, uno (psichico, morale) dichiarato,
l’altro (pneumatico, pleromatico) cifrato. Risulta evidente come la natura
inferiore, psichico-ilica sia cieca 67 al cospetto della nascosta struttura di
rinvio allegorico che il Salvatore rivela operante all’interno degli stessi
comandamenti demiurgici. Appunto, la σκληροκαρδία di coloro che non
posseggono il cuore di ’carne’ (intimamente permeato dallo Spirito che
rivela la libertà dei figli), ma soltanto un cuore duro (perché soggiogato
all’estrinseco comando letterale della Legge), deve rassegnarsi al destino

62
  Cfr. ibidem I 1, 1.
63
  Cfr. ibidem I 6, 1, ove la natura psichica diviene a partire dalla sua πρόσκλισις,
essendo l’elemento psichico l’unico «αὐτεξούσιον».
64
  Ibidem I 6, 1.
65
  Cfr. il fondamentale excursus sulla duplice potenza di consolidamento (ἑδραστική)
e divisione (μεριστική) propria di Croce/Horos, ibidem I 3, 5: «In quanto consolida e
rafforza (ἑδράζει καὶ στηρίζει) è Croce, in quanto divide e separa (μερίζει καὶ διορίζει)
è Limite».
66
  Cfr. ibidem I 2, 6; Exc. Thdt. 25, 1; e supra, nota 37.
67
  Cfr. Ptol., EpFl 3, 6.

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TOLOMEO E ORIGENE: DIVORZIO/LETTERA E SIZIGIA/SPIRITO 107

della scissione, alla necessità del divorzio ontologico, di cui il rimanere im-
prigionati nella lettera del comandamento morale («Non divorziare») è se-
gno. Al contrario, la natura spirituale non può non leggere allegoricamente
l’archetipica, ’comandata’ origine dell’indissolubile sizigia come proprio
eletto destino, attinto dopo la caduta del peccato, il divorzio obbligato di
Sophia e la redenzione del Salvatore 68.
Il dato impressionante – eppure talmente cifrato, da non essere mai sta-
to evidenziato dalla ricerca critica – è che nella trattazione della legge sulla
συζυγία (dalla cui corruzione deriva la necessità del «ripudiare la donna
(τὸ ἀπολύειν τὴν γυναῖκα)»), tutti i termini utilizzati nell’EpFl corrispon-
dono a termini-chiave utilizzati da GrNot per sottolineare il vero e proprio
ripudio (ἀποστάσιον) della Sophia peccatrice, separatasi dal suo partner
di sizigia Teletós ed espulsa al di fuori del suo pleroma; la passione ’infede-
le’ di Sophia è il suo disordinato desiderio amoroso (στοργή) 69 nutrito nei
confronti del Padre, che viene separato ed espulso dall’eone Croce-Limite.
La Sophia extrapleromatica è, appunto, l’espulsa Intenzione (Ἐνθύμησις)-
Passione (Πάθος) di Sophia. L’ἀπολύειν prende il posto dell’ἀναλύειν o
dell’ἀναλύεσθαι: lo sciogliere il legame 70, il ripudiare impedisce il dissol-
versi 71, l’essere annientato. Pertanto, la Sophia ripudiata è l’ipostatizza-
zione dell’«essere del tutto debole (ἐξασθενῆσαι)» 72 del trentesimo eone,
l’alienazione della sua costitutiva «debolezza (ἀσθένεια)» 73, «il frutto de-
bole e femminile (καρπὸς ἀσθενῆς καὶ θῆλυς)» 74 cacciato dal pleroma
nel kenoma. Ora, EpFl 4, 6 specifica che Mosè ha dovuto correggere la
Legge demiurgica proprio «per necessità a causa della debolezza di coloro

68
  Cfr. Exc. Thdt. 32, 1: «Nel pleroma, essendoci unità, ogni Eone ha il suo pleroma, la
sizigia. Infatti – essi dicono – tutte le realtà che procedono dalla sizigia sono pleromi (ὅσα
ἐκ συζυγίας προέρχεται πληρώματά ἐστιν) e invece tutto ciò che procede dal singolo
immagini (ὅσα δὲ ἀπὸ ἑνός, εἰκόνες)». Cfr. EpFl 6, 5, che riferendosi alla ‘componente’
allegorica della Legge afferma: «Le immagini e i simboli, che rappresentavano altre
realtà, andarono bene finché non fu presente la verità. Ma una volta presente la
verità (παρούσης δὲ τῆς ἀληθείας), bisogna fare ciò che appartiene alla verità, non
all’immagine»; ove, chiaramente, è qui ipotizzato il passaggio gnostico dall’immagine
psichica alla Verità pneumatica, cioè dal mondo (dalla regio dissimilitudinis del divorzio)
alla sizigia pleromatica.
69
  Cfr. Iren, Haer. I 2, 2.
70
  Cfr. l’evangelico «ripudiare la moglie (τὸ άπολύειν τὴν γυναῖκα)», in EpFl 4, 4.
71
  «In ultimo [Sophia] sarebbe stata assorbita e disciolta (ἀναλελύσθαι) nell’universale
sostanza» (Iren. Haer. I 2,2).
72
  Iren., Haer. I 2, 3.
73
  Cfr. Exc. Thdt. 67, 1, ove «la debolezza (ἠ ἀσθένεια)» è la stessa «emissione della
Donna che è in alto (ἡ ἀπὸ τῆς ἄνω γυναικὸς προβολή)», cioè di Sophia, quindi è la
‘carne’ spirituale destinata ad essere assunta redentivamente dal Salvatore.
74
  Iren., Haer. I 2, 4.

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cui si rivolgeva la Legge (διὰ τὴν τῶν νενομοθετημένων ἀσθένειαν)».


La debolezza e l’irrompere del peccato nella sizigia umana giustifica, per
evitare la totale distruzione ’morale’ degli sposi 75, la concessione mosaica
del divorzio. Analogamente, equiparata a informe aborto, «Debolezza»/
Sophia viene «spinta dalla necessità nei luoghi dell’ombra e del vuoto (ἐν
σκιᾶς καὶ κενώματος τόποις ἐκβεβράσθαι κατὰ ἀνάγκην)» 76, sicché sa-
rebbe precipitata nella definitiva distruzione, se non fosse stata trattenuta
e formata da Cristo redentore, che assume ai confini del pleroma il ruolo
separatore e formatore di Limite, divenendo archetipo dell’escatologico
compagno di sizigia di Sophia Achamoth, Gesù/Salvatore/Frutto. Pure
miticamente rifratto in una pluralità di eoni/funzioni/atti redentori ai di-
versi livelli dell’essere, il ruolo di Gesù Croce/Salvatore è pertanto a) quel-
lo ’mosaico’ di «dividere (χωρίζειν)», separare, a causa della sopraggiunta
necessità del suo peccato, la «Donna (γυνή)» divina dal πάθος della sua
debolezza, espulsa dal pleroma e personificatasi in Sophia-Achamoth; b)
quello ’gesuano’ di redimere «il frutto debole e femminile» dal peccato,
visitando la Donna ripudiata al di fuori del pleroma, riconciliandola con
sé in sizigia e riportandola all’interno della camera nuziale della mistica
intimità di Dio 77. La dialettica veterotestamentaria sizigia/divorzio, nel
suo stesso destino di alterazione, è quindi allegoria della redenzione keno-
tica di Cristo, tramite la Croce e il ricostituirsi della sizigia Frutto-Sophia.
Un ulteriore parallelo tra i due testi tolomeani risulta evidente. Il ter-
mine χωρίζειν assume una particolare pregnanza in EpFl, ricorrendo per
ben tre volte, certo non casualmente: in 4, 4 all’interno della citazione mat-
teana, per indicare il divieto divino e gesuano del divorzio, quindi due
volte – con insistenza sospetta, perché superflua, quindi semanticamente
allusiva – in 4, 5, per indicare la concessione mosaica del divorzio, che
permette quindi che «la sizigia sia divisa (χωρίζεσθαι τοῦτο τὸ ζεῦγος)»,
cioè che «la donna sia separata (χωρίζεσθαι γυναῖκα)». Come si è detto, il
verbo χωρίζειν torna più volte come termine tecnico in GrNot, a designare
la divisione del peccato/intenzione di Sophia dall’eone peccatore Sophia,

75
  Cfr. Ptol., EpFl 4, 7-9; in part.: «Così di sua iniziativa ha dato loro la legge del
divorzio, affinché, se non potessero osservare la prima legge [quella della sizigia],
osservassero almeno questa e non si volgessero all’ingiustizia e alla malvagità, da cui
sarebbe loro sopraggiunta completa rovina» (4, 9).
76
  Iren., Haer. I 4, 1; significativamente, in I 6, 1, la natura ilica è definita quella «che per
necessità è destinata alla distruzione (κατὰ ἀνάγκην ἀπόλλυσθαι)».
77
  Cfr. Exc. Thdt. 68: «Finché eravamo figli della sola Donna, come di un’unione
vergognosa, imperfetti infanti stolti deboli informi, emessi come aborti, eravamo figli
della Donna. Ma una volta formati dal Salvatore, siamo diventati figli dell’Uomo e della
camera nuziale»; cfr. ibidem 69.

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TOLOMEO E ORIGENE: DIVORZIO/LETTERA E SIZIGIA/SPIRITO 109

redento e salvato tramite la sua crocifissione ad opera di Horos/Croce 78.


In Haer. I 2, 4, si legge della separazione dell’eone Sophia dal suo peccato,
«essendo stata l’intenzione di Sophia con la sopraggiunta passione separa-
ta da lei (χωρισθείσης τῆς ἐνθυμήσεως ἀπ᾿ αὐτῆς σὺν τῷ ἐπιγενομένῳ
πάθει)»; così, in I 3, 3, si definisce Horos/Croce come «la potenza del Figlio
che guarì Sophia [dal peccato di apostasia!] e separò da lei la passione (τὸ
πάθος ἐχώρισεν ἀπ᾿ αὐτῆς)». Ancora, in I 4, 5, Sophia-Achamoth, visi-
tata dal Salvatore, Frutto comune del pleroma e portatore di frutti (=gli
angeli spirituali), è finalmente formata secondo la gnosi; il Redentore, così,
la «guarisce dalle passioni, dividendole (χωρίσαντα) da lei», originando
così le originariamente informi sostanze psichica ed ilica, che egli appunto
«separa (χωρίσει)» da Sophia. Infine, in Exc. Thdt. 42, 1, si legge che «la
Croce è segno del Limite nel pleroma; infatti divide (χωρίζει) gli infedeli
dai fedeli, come quello il mondo dal pleroma». La sistematicità con la quale
il verbo χωρίζειν è utilizzato in accezione tecnica, sempre per segnalare
la separazione della patica, colpevole debolezza della Donna dalla sigizia,
rivela quanto esso sia teologicamente significativo all’interno del mito del-
le origini gnostico.
Inoltre, il divorzio (ἀποστάσιον) mosaico è concesso per evitare che gli
sposi, incapaci ormai di coabitare, producano male maggiore, «rischiando
di volgersi di qui a maggiore ingiustizia e da questa alla perdizione (πλέον
εἰς άδικίαν καὶ ἐκ ταύτης εἰς ἀπώλειαν) […] e non si volgessero all’ingiu-
stizia e alla malvagità, da cui sarebbe sopraggiunta loro completa rovina
(μὴ εἰς ἀδικίας καὶ κακίας ἐκτραπῶσι, δι᾿ ὧν ἀπώλεια αὐτοῖς ἔμελλεν
τελειοτάτη ἐπακολουθήσειν)» (EpFl 7 e 9). Analogamente, GrNot sottoli-
nea come la divisione della passione colpevole da Sophia è operata da Ho-
ros per evitare il suo precipare nella ἀπώλεια: «Tale la disgrazia dell’eone
caduto in preda della passione (τοῦ πεπονθότος αἰῶνος) e per poco non
andato in rovina (μετὰ μικρὸν ἀπολωλότος)» (I 3, 1). Sophia viene comun-
que salvata soltanto espellendo la sua perversa intenzione passionale, che,
personificata, patisce ripudio, apostasia e appunto rovina; all’ἀδικία e alla
κακία di EpFl corrisponde «l’essere sviato (παρατραπέντα), la temerarietà
(τόλμα)» (I 2, 2) dell’eone Sophia, «l’imperfezione (τὸ ἀτελές)» (I 2, 3)
della sua ingiusta intenzione passionale, dalla quale comunque ha origine
la πονηρία 79 demoniaca e l’ultima ἀπώλεια, l’annientamento finale de «l’i-
lico… per necessità destinato alla distruzione (τὸ ὑλικόν ... κατὰ ἀνάγκην

78
  Cfr. Iren., Haer. I 2, 2; 2, 4; 3, 3; 3, 4.
79
  Cfr. Iren., Haer. I 5, 4.

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110 GAETANO LETTIERI

ἀπόλλυσθαι)» 80. Ed è proprio il termine ἀποστασία, «tradimento», signi-


ficativamente riferito in I 3, 3 al tradimento di Giuda dodicesimo apostolo,
a caratterizzare la colpa e insieme la necessità di alienazione della passio-
ne, che ha introdotto il rischio della distruzione nel pleroma 81. Inoltre, in I
16, 1, la passione peccaminosa di Sophia è definita ἀπόστασις 82. Ricordo
che già Valentino, secondo Ireneo, avrebbe definito «apostata» Sophia 83,
seguito non soltanto da Tolomeo, ma anche dal suo discepolo Secundo 84.
Insomma, il divorzio concesso agli psichici da Mosè è immagine del
divorzio della passione colpevole di Sophia dal pleroma; l’uno e l’altro
contesto giustificano la necessità dell’ἀποστάσιον (divorzio) dovuta alla
colpa dell’ἀποστασία (tradimento). Non a caso, il passo matteano pro-
segue ammettendo il divorzio soltanto in caso di «prostituzione/forni-
cazione (πορνεία)» della donna; e proprio questo è il caso della Sophia
valentiniana. Interessantissima, in proposito, l’esegesi che Eracleone pro-
pone della Samaritana, simbolo della natura spirituale decaduta, quindi
di Sophia stessa: se il marito legittimo della Donna è identificato con il suo
«πλήρωμα», in particolare con il suo σύζυγος abbandonato, il suo vivere
alienata nella materia coincide con il suo «πορνεύειν» 85. Sophia è insomma
colpevole di avere desiderato l’unione illegittima con il Padre, peccando

80
  Cfr. ibidem I 6, 1.
81
  «L’eone andò soggetto ad una passione che gli procurava dissolvimento e
rovina (passionem dissolutionis et perditionis), così che lui stesso che pativa rischiava
addirittura di essere distrutto (ita ut pereclitaretur ipse qui patiebatur et corrumpi)»
(ibidem II 20, 3).
82
  «La dozzina (Sophia è appunto l’ultimo eone della dodecade) […] la denominano
passione (πάθος). Per questo, essendo avvenuto l’errore del dodicesimo numero […]
dicono c’è stato l’allontanamento (τὴν ἀπόστασιν) dalla dozzina. Allo stesso modo –
vaticinano – a causa dell’allontanamento dalla dozzina (ἀπὸ τῆς δωδεκάδος ἀπόστασιν),
una sola potenza è perita (ἀπολωλέναι) e questa è la donna che perse (ἀπόλεσας) la
dracma e accese la lucerna e la trovò» (ibidem I 16, 1); cfr. I 6, 4; I 16, 2; II 20, 1-2. «Intanto
Sophia, che stava fuori del pleroma […], cadde in preda a gran timore di andare in rovina
(ἀπολεῖται)» ([Ps.]Hippol., Haer. VI 32, 2).
83
  Sophia, «l’unica delle potenze ad allontanarsi e a decadere (ὧν μίαν ἀποστᾶσαν
καὶ ὑστερήσαν), ha prodotto tutto il resto della realtà» (Iren., Haer. I 11, 1).
84
  Cfr. ibidem I 11, 2.
85
  Cfr. Heracl., Fr. XVIII, in Orig., Comm. Jo. 13, 11: «Ritiene che il marito della Samaritana
cui si riferisce il Salvatore sia il pleroma della donna», in particolare «il suo compagno
di sizigia nel pleroma (τὸν ἀπὸ τοῦ πληρώματος σύζυγον)»; la donna, simbolo della
natura spirituale decaduta, viveva pertanto alienata in «tutta la malvagità materiale
(ἡ ὑλικὴ πᾶσα κακία)», simboleggiata dagli sposi illegittimi con i quali conviveva,
«prostituendosi (πορνεύουσα)». Cfr. anche Heracl., Fr. XXIII, in Orig., Comm. Jo. 13, 20:
«Eracleone dice che era andato perduto (ἀπολωλέναι) nella profonda materia dell’errore
(ἐν τῇ βαθείᾳ ὕλῃ τῆς πλάνης) l’elemento congenere (τὸ οἰκεῖον) al Padre […] Della
natura spirituale andata perduta (περὶ τῆς ἀπολωλυίας πνευματικῆς φύσεως) […],
(dicono che ha patito) rovina (ἀπώλεια)».

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TOLOMEO E ORIGENE: DIVORZIO/LETTERA E SIZIGIA/SPIRITO 111

quindi di «tradimento (ἀποστασία)», rompendo la sizigia indissolubile,


quindi giustamente ripudiata dal suo partner Teletós, espulsa dal pleroma.
Soltanto la rivelazione del Salvatore può garantirle il perdono, la redenzio-
ne e la reintegrazione nuziale nel pleroma.
Obiettare che quest’allegorizzazione pleromatica dell’ermeneutica to-
lomeana del passo matteano sul divorzio – in effetti incredibilmente mai
proposta dagli studi su EpFl! – sia forzata, fuori luogo, significherebbe di
fatto affermare che il ‘buon’ Tolomeo – in un’opera comunque protrettica,
che comunque si conclude con una spregiudicata teoria delle tre nature ‘di-
vine’, pure dipendenti da un unico principio buono – si autocensurerebbe,
volendo trattare soltanto di comandamenti morali, di etica familiare e ses-
suale, non anche e soprattutto delle profondità ontologiche del pleroma divi-
no e del suo dramma fondativo. Il pur polemico accordo eresiologico sulla
centralità della sizigia nella prassi sacramentale valentiniana è probante
nel confutare quest’ipotesi meramente letteralista, univocamente psichica,
morale, demiurgica di EpFl: Ireneo, Tertulliano, Clemente, sono unanimi
nel sottolineare – in Valentino, Tolomeo, Marco – l’ossessione simbolica
che gli eretici manifestavano nei confronti del matrimonio o comunque
dell’unione sessuale (mistica, piuttosto che quella carnale stigmatizzata
polemicamente dagli eresiologi; si pensi allo stesso sacramento valenti-
niano della camera nuziale); qualsiasi connubio terreno era interpretato
come sacramento, allegoria, conoscenza e fruizione iniziatica dell’eterna
sizigia pleromatica 86.
Il parallelismo concettuale e terminologico tra EpFl e GrNot è, insom-
ma, impressionante, nel suo imperniarsi sull’espulsione della Donna dalla
sizigia nel principio a causa dell’irrompere della debolezza del peccato che
porterebbe a malvagità e distruzione secondo necessità, se non intervenisse
l’atto del dividere, il ripudio di colei che i valentiniani definivano apostata.
Risulta pertanto impossibile immaginare che, trattando del divieto del di-
vorzio della sizigia (se non in caso di porneia) chiamato in causa da Gesù,

86
  «Bisogna che essi in ogni modo si prendano cura del mistero della sizigia (τὸ τῆς
συζυγίας μυστήριον). E di questo persuadono gli stolti dicendo così : ‘Chi essendo del
mondo non ama una donna sì da possederla, non proviene dalla verità e non andrà alla
verità’» (Iren., Haer. I 6, 4). «I seguaci di Valentino dedussero dalle originarie emanazioni
divine (ἐκ τῶν θείων προβολῶν) l’esistenza dei connubii (τὰς συζυγίας). E perciò
accettano il matrimonio (εὐαρεστοῦνται γάμῳ)» (Clem. Al., Strom. III 1, 1, 1); cf. III 4,
29, 3. «Per onorare i loro connubi superni, è prescritto presso di loro di meditare e di
celebrare sempre il sacramento dell’unione con la compagna (comiti), cioè con la femmina
(foeminae); altrimenti sarà degenere ed illegittimo aspirante alla verità (degenerem nec
legitimum veritatis) colui che, vivendo nel mondo, non abbia amato una donna e non si
sia congiunto ad essa» (Tert., Adv. Valent. 30, 3).

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112 GAETANO LETTIERI

in EpFl Tolomeo non proponesse un riferimento mistico trasparente (per


gli iniziati, non certo per gli psichici o per gli studiosi moderni!) alla sigi-
zia pleromatica e al dramma di passione, apostasia/divorzio di Sophia,
pure infine riconciliata con il pleroma dal Salvatore. Ora, tornando alle
tripartizioni tolomeane della Legge, il comandamento demiurgico relativo
all’indissolubilità della sizigia, che Gesù pare riaffermare, non può che ap-
partenere alla componente pura della Legge; eppure, Tolomeo non afferma
mai che il Salvatore lo perfezioni, né che il Salvatore lo abroghi. D’altra
parte, il semplice conservativo ‘restaurare’ il comandamento demiurgi-
co da parte del Salvatore è per Tolomeo impossibile. L’unica possibilità
gesuana di retractatio della legge pura sull’indissolubilità della sizigia è,
allora, allegorica. Analogamente, l’integrazione mosaica al comandamento
puro parrebbe scivolare verso la componente mista, contaminata con il
male, che vedremo di seguito rappresentata dal corruttivo comandamento
degli anziani. Eppure, mai Tolomeo afferma che Gesù abroghi il divorzio,
sottolineando piuttosto la sua necessità per contenere il male. Anche in
questo caso, l’unica possibilità di retractatio gesuana del comandamento
del divorzio (non perfezionato, né abrogato) è quella allegorica. Insomma,
il mito pleromatico attestatoci da GrNot è la suprema realtà allegorizzata
dal comandamento demiurgico della sizigia e dall’integrazione mosaica
del divorzio trattati in EpFl. Questa connessione risulta talmente evidente
e coerente, da spingere a chiedersi se la stessa configurazione del mito di
Sophia non dipendesse «ἀπ᾿ἀρχῆς» proprio da un’esegesi del passo mat-
teano sul divorzio: caso eminente di esemplarismo inverso, ove genetica-
mente sarebbe proprio il dato rivelato a produrre l’articolazione del mito,
pure indicato come ontologicamente fondativo e per questo replicato nella
rivelazione storica 87.

8. «Onora il padre e la madre» e «muoia» chi li maledice: la contraddizione della


Legge in EpFl

Diviene a questo punto più semplice comprendere la natura simbo-


lico-pneumatica, quindi allegorica del pleroma, dell’esempio portato da
Tolomeo in EpFl 4, 11-14, subito dopo l’excursus su sizigia e divorzio, per
dimostrare, a partire da Mt 15, 4-9, la corruzione della Legge demiurgi-

87
  «Infatti (i tolomeani) affermano che tutte queste cose (passione e redenzione di
Gesù e i suoi insegnamenti) sono immagini di quelle realtà superiori (πάντα γὰρ ταῦτα
τύπους ἐκείνων εἶναι λέγουσι)» (Iren., Haer. I 7, 2).

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TOLOMEO E ORIGENE: DIVORZIO/LETTERA E SIZIGIA/SPIRITO 113

ca da parte degli anziani: il comandamento divino «Onora tuo padre e


tua madre», che gli anziani contraddicono introducendo il korban, cioè
ammettendo la consacrazione puramente formale di un bene a Dio e al
Tempio, che sollevava dal dovere di attribuire tutto il dovuto ai propri
genitori. Ritengo infatti che Tolomeo scelga quest’esempio proprio perché
immediatamente allegorizzabile 88 e riferibile alla legge della sizigia, che
sin dal primo connubio Pre-Padre/Pre-Principio/Abisso-Madre/Silenzio/
Grazia rivela il fondamento androgino del pleroma. D’altra parte la stessa
GrNot sottolinea il centro pleromatico dell’ermeneutica tolomeana: «Pao-
lo ha anche complessivamente indicato le sizigie all’interno del pleroma.
Infatti della vita della sizigia ha scritto: ‘Questo è un grande mistero: dico
riguardo a Cristo e alla chiesa’ (Eph 5, 32)» 89. Onorare il padre e la madre
è, quindi, figura dell’adorazione dovuta a Padre e Madre eterni, che la
totalità degli eoni e degli eletti replicano in quanto figli consustanziali,
partecipi, nel Figlio, della Grazia della Madre nella profondità del Padre
buono 90. Come dicevamo, la gnosi della sizigia – storicamente presenti-
ficata dal matrimonio/connubio d’amore e inconsapevolmente prescrit-
ta come oggetto di venerazione nel comandamento demiurgico – è dono
elettivo, fruizione di un’unione finalmente indissolubile, perché redenta,
quindi sacramento del pleroma purificato e pacificato nel mistero escato-
logico delle nozze Salvatore-Sophia. Appunto Χάρις è il nome tolomeano
della Madre assoluta, della sposa di Abisso 91: nella sizigia primordiale, si

88
  Molto interessante è l’interpretazione allegorica del comandamento proposta da
Clem. Al., Strom. VI 16, 146, 1-2, ove il padre è senza alcuna esitazione identificato con
il Padre del tutto e la madre con «la divina gnosi e sapienza»; questo dimostra che una
lettura allegorica dei comandamenti mosaici, in particolare quello dell’onore dovuto
ai genitori, è presente persino in ambito cattolico (qui in polemica con interpretazioni
allegoriche gnostiche?). Cfr. in proposito l’interessante saggio di A. Le Boulluec, «Honore
ton père et ta mère» (Ex 20,12; Dt 5,16), in Gounelle, Prieur (éds.), Le décalogue au miroir
des Pères cit., 261-292, in part. 271-272; nel saggio non si fa comunque alcun accenno
a un’interpretazione allegorico-pleromatica del comandamento in EpFl. Ritengo che
Orig., Comm. Mt. 14, 16, analizzato infra, presupponga proprio un’interpretazione del
comandamento mosaico analoga a quella clementina, nel momento in cui dichiara
non rivolto all’uomo a immagine, ma soltanto all’uomo terreno sessualmente diviso, il
comandamento ‘psichico’ che impone a uomo e donna di abbandonare padre e madre.
89
  Iren., Haer. I 8, 4.
90
  «È della natura del Bene generare e produrre cose simili e consustanziali a sé (τοῦ
ἀγαθοῦ φύσιν ἔχοντος τὰ ὅμοια ἑαυτῷ καὶ ὁμοούσια γεννᾶν τε καὶ προφέρειν)»
(EpFl 7, 8).
91
  Cfr. Iren., Haer. I 1, 1: «Dicono che nelle altezze invisibili e incomprensibili c’è un
Eone perfetto Preesistente: lo chiamano anche Preprincipio e Prepadre e Abisso. Era
invisibile e incomprensibile, eterno e ingenerato e stava in grande tranquillità e solitudine
nei tempi infiniti. Stava insieme con lui anche il Pensiero, che chiamano anche Grazia e
Silenzio (Ἔννοιαν ἥν δὴ καὶ Χάριν καὶ Σιγὴν ὀνομάζουσι)». Cfr. I 8, 6.

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114 GAETANO LETTIERI

rivela così il mistero unitivo d’amore radicato nel principio (ἀπ᾿ἀρχῆς),


prescritto come fondamento della vita spirituale a tutti gli eletti. Negare
la valenza allegorico-pleromatica del comandamento puro «Onora il pa-
dre e la madre» significherebbe ammettere che Tolomeo si dissociasse da
se stesso, pensasse cioè schizofrenicamente secondo modalità puramente
psichiche, rimuovendo qualsiasi intenzione intellettuale e rivelativa nei
confronti della verità pneumatica, della quale – al contrario – egli vuole
appunto gettare i semi, capaci di germogliare nell’intelligenza eletta. La
negazione dell’amore del Padre e della Madre è, piuttosto, segno di natura
assolutamente malvagia, ingannevole, ilica, come conferma il riferimento
all’Avversario in EpFl 7, 5-7: «La sostanza dell’Avversario è corruzione e
tenebra (ἡ οὐσία φθορά τε καὶ σκότος), infatti egli è materiale (ὑλικός) e
diviso in più parti (πολυσχιδής)» (7); proprio lo scindersi materiale e cor-
ruttivo della Legge demiurgica prova il riferimento ilico e malvagio agli
anziani, che, contraddicendo la psichica Legge demiurgica, si pongono in
antitesi allo stesso fondamento abissale fusionale del pleroma pneumatico,
che quella Legge pure ‘rappresentava’.
Ma che il riferimento al «p/Padre» e alla «m/Madre» non possa che
essere allegorico è confermato dalla impressionante sentenza di morte che
Gesù stesso pare decretare, citando l’Esodo, contro coloro che maledicono
i propri genitori:

Il Figlio […] ha abrogato questa parte della Legge, pur riconoscendo che
essa era di Dio; infatti in altri punti riconosce la vecchia economia (τῇ
παλαιᾷ αἱρέσει), là dove dice: «Il Dio che ha detto […] Chi maledice suo
padre e sua madre, muoia» (Ex 21, 17, cit. in Mt 15, 4)» (EpFl 5, 7).

Il brano è esso stesso tripartito (nel senso del degradare dal senso spi-
rituale, tramite quello psichico, a quello ilico), presentandosi come scatola
cinese di citazioni: a) Gesù riconosce la vecchia economia, citando b) l’atto
demiurgico di Dio che, per imporre l’onore del padre e della madre, c)
comanda però l’omicidio! Il passo conclude l’argomentazione con la quale
Tolomeo rivela la contraddittoria mescolanza di bene e male nella legi-
slazione del Demiurgo, il quale – certo per volere contenere giustamente
il male – arriva non soltanto a comandare: «Non uccidere», ma anche a
ordinare punitivamente di uccidere chi abbia ucciso il prossimo, quindi
cadendo nella spirale del male che vuole impedire 92. Come può allora il
comandamento dell’uccidere, contraddittoriamente affermato dal Demiur-

92
  Cfr. Ptol., EpFl 5, 4-7.

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TOLOMEO E ORIGENE: DIVORZIO/LETTERA E SIZIGIA/SPIRITO 115

go e comunque «estraneo alla natura e alla bontà del Padre di tutto» (5, 5),
essere poi replicato dal Figlio? Se Tolomeo afferma che il Salvatore abroga
la Legge mescolata al male, seppure prescritta dal Demiurgo, abbiamo
qui un clamoroso caso di defectus litterae, di contraddizione rivelativa, che
soltanto l’allegoria può sciogliere. Il Salvatore, infatti, non può eviden-
temente riaffermare litteraliter un comandamento omicida prescritto dal
Demiurgo; questo, infatti, provocherebbe l’irruzione esiziale della contrad-
dizione nell’ambito della tripartizione dell’interpretazione gesuana della
Legge, corrompendo la stessa rivelazione spirituale del Salvatore con il
male ilico. L’unica via di uscita è l’interpretazione allegorica della puni-
zione di morte riconosciuta dal Salvatore: essa è evidentemente traslata,
riferita alla primordiale legge ontologica rivelata dalla caduta di Sophia dal
pleroma, espulsa nel kenoma per non avere onorato la sizigia archetipica
del Padre e della Madre, avendo voluto conoscere direttamente il Padre,
senza la mediazione della Madre-Grazia. In tal senso, «l’antica economia
(αἵρεσις)», cui fa riferimento Tolomeo, non può certo essere quella impu-
ra e mescolata al male, che abroga; né quella letterale del comandamento
puro, che si rivela scivolare inesorabilmente nella prescrizione dell’ingiu-
stizia, violando contraddittoriamente il comandamento puro che vieta l’o-
micidio per fare osservare penalmente il comandamento puro di onorare
il padre e la madre. «L’antica economia (ἡ παλαιὰ αἵρεσις)» è, piuttosto,
quella primordiale del pleroma ἀπ᾿ἀρχῆς, cui rimanda allegoricamente
la Legge demiurgica, in sé abrogata dal Salvatore in quanto produttrice
di male, eppure simul da lui riconosciuta soltanto come simbolo rivelativo
del dramma di peccato, caduta e morte avvenuto nelle realtà spirituali,
pleromatiche.
Trattenendoci in questa sede da un’interpretazione sistematica di
EpFl 93, si può finalmente comprendere perché Gesù il Salvatore fosse dai
tolomeani definito «Sommo Sacerdote» 94, a partire dall’Epistola agli Ebrei:
nella sua componente più significativa, la rivelazione psichica della Legge
(dal decalogo alle prescrizioni liturgiche del Tempio) ispirata al Demiurgo
dalla sizigia Salvatore-Sophia, è allegoria non soltanto della nuova etica
spirituale cristiana, ma soprattutto dell’eccedente pleroma spirituale, del
mito fondativo della sizigia e del mistero mistico della redenzione, ap-

93
  Rimando a Lettieri, Il Frutto nascosto cit., ove l’intera EpFl è interpretata come
sistematica allegoria cifrata del mito pleromatico.
94
  Cfr. (Ps.-)Hippol., Haer. VI 32, 1-2. Sul tema fondamentale di Cristo Sommo sacerdote
nei testi gnostici, cfr. la magistrale trattazione di Orbe, Cristología gnóstica cit., II, 353-393;
su Tolomeo, cfr. in part. 358-366.

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punto culminante nella riunificazione sponsale tra il Salvatore e Sophia 95.


Il «Sommo Sacerdote» ’allegorico’ è, allora, riconosciuto come identico al
«Frutto (Καρπός) comune del pleroma», appunto Gesù Salvatore/Sposo
di Sophia. GrNot di Ireneo (Haer. I 2,6) descrive l’eucaristica generazione
del Salvatore di Sophia extrapleromatica, successiva al sacrificio/crocifis-
sione/espulsione del peccato di Sophia e alla redenzione/formazione gno-
stica dell’intero pleroma. Insomma, Gesù/Salvatore/Frutto eucaristico del
pleroma è la verità allegorica del culto psichico comandato dal Demiurgo.
Ricordo che καρπός  96 è l’ultimo sostantivo di EpFl, di cui la simbolica
destinataria Flora era chiamata, a partire dai semi donatile da Tolomeo, a
manifestarsi come eventuale terra rivelatrice (cfr. EpFl 7, 10), quindi come
potenziale figura di Sophia, dispensatrice di semi (spirituali), così come la
lubrica dèa romana Flora. Flora stessa, allora, è presumibilmente un’alle-
goria, la rivelazione nascosta dell’eccedenza mistica pneumatica rispetto
alla realtà psichica, il fiore (oltre all’anima della singola interlocutrice reale
o simbolica, il corpo psichico della grande chiesa romana?) chiamato a
produrre frutto (a generare figli spirituali, gli gnostici)!

Questi concetti, o mia sorella Flora […], per il futuro ti saranno di gran-
de vantaggio se, come terra bella e buona che ha ricevuto semi fecondi
(ἐάν γε ὡς καλὴ γῆ καὶ ἀγαθή γονίμων σπερμάτων τυχοῦσα), farai
apparire il frutto che per loro mezzo si ricava (τὸν δι᾿αὐτῶν καρπὸν
ἀναδείξῃς) (EpFl 7, 9-10).

La chiusura della lettera non può, insomma, che portare al culmine la


sua sistematica allegoria cifrata: essa introduce, infatti, un enigmatico rife-
rimento alla sizigia Sophia/Terra-Salvatore/Frutto, la coppia decisiva del
mito della caduta (divorzio) e della redenzione (ricostituzione della sizigia
nel principio) attestatoci da GrNot 97. Soltanto l’interpretazione allegorica,

95
  Sull’interpretazione allegorica e ‘spirituale’ della Legge, in particolare sulla liturgia
del Tempio, cfr. Ptol., EpFl 5, 8-14.
96
  Il Frutto, quindi, è l’oggetto/soggetto allegorico nascostamente e sistematicamente
rivelato dalla creazione e dalla Legge demiurgica, suo malgrado: «Trattando del Salvatore
e dicendo che tutte le cose fuori del pleroma sono state formate per suo mezzo (πάντα
τὰ ἐκτὸς τοῦ πληρώματος διʾαὐτοῦ μεμορφῶσθαι), (essi dichiarano che Giovanni)
afferma che egli è frutto di tutto il pleroma (καρπὸν εἶναί φησιν αὐτὸν παντὸς τοῦ
πληρώματος)» (Iren., Haer. I 8, 6).
97
  Per la definizione di Sophia come «Terra (Γῆ)», cfr. Iren., Haer. I 5, 3; come «Terra
buona (Γῆ ἀγαθή)», cfr. (Ps.-)Hippol., Haer. VI 30, 9; sulla fondamentalissima definizione
di Gesù Salvatore come «Frutto (Καρπός), cfr. Iren., Haer. I 2, 6; I 8, 6; (Ps.-)Hippol., Haer.
VI 32, 1-2 e 4-5; si noti che, in 32, 2, si sottolinea come altro nome del Salvatore/Frutto,
generato come «Tutto» redentore riassuntivo del pleroma redento, sia quello di «Sommo

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TOLOMEO E ORIGENE: DIVORZIO/LETTERA E SIZIGIA/SPIRITO 117

spirituale, consente il superamento del divorzio, quindi il riscatto e la con-


versione (relativi) del Demiurgo, rivelandone l’economia come dispiegata
allegoria sistematica del pleroma e del mito della sizigia protologica Pa-
dre-Madre e della sizigia cristologica Frutto-Sophia; soltanto lo Spirito è
in grado di riconoscere e incorporare alla sizigia. Chi, al contrario, rimane
chiuso nella prospettiva psichica del comandamento e della subordinazio-
ne estrinseca dell’uomo a Dio – quindi alla littera occidens della rivelazio-
ne demiurgica, incapace di rinviare a altro da sé, perciò condannata alla
corruzione maligna – non potrà che assolutizzare il divorzio del senso,
rimanendo inchiodato a un’alienazione ‘religiosa’, incompatibile con la
libertà mistica rivelata del Figlio e dei figli del Dio buono. Per questi, sarà
impossibile riconoscere il movimento cristologico di passione, caduta e
redenzione della filialità come eternamente inscritto nella dialettica ple-
romatica del Dio-Uomo, Logos assoluto di cui l’umanità spirituale è da
sempre carne amata, Sposa caduta, riscattata, riconciliata. Se la ‘religione’
(l’antica alleanza della lettera) è psichica, perché introduce divisione e di-
vorzio tra Dio (Sposo) e uomo (Sposa), la ‘mistica’ pleromatica (la nuova
alleanza dello Spirito) è pneumatica, perché toglie divisione e divorzio,
riaffermando in Cristo il mistero del congiungimento eterno della sizigia:
Salvatore di Sophia, Frutto della Terra.

9. Sposare Legge e Spirito: il progresso tra le due economie nella polemica antiva-
lentiniana di Origene

L’intima affinità e il faticoso, eppure profondo scarto di Origene nei


confronti dell’eresia valentiniana risultano clamorosamente evidenti se si
confronta l’interpretazione tolomeana della sizigia e del divorzio con alcu-
ni testi origeniani che trattano del mistero delle nozze «al principio», del
divorzio tra Cristo e la sua Sposa peccatrice, infine della riconciliazione del
Logos con la Sposa prostituitasi e redenta. D’altra parte, all’interno di un
fondamentale excursus su questioni ‘matrimoniali’, in riferimento a Mt 22,
22-23 di cui è proposta una spericolata esegesi allegorica nel Commento al
vangelo di Matteo 98, Origene afferma:

Sacerdote», a conferma che l’intera rivelazione della Legge è interpretata da Tolomeo


come rivelazione nascosta del pleroma, del dramma del divorzio di Sophia dal suo Sposo,
della redenzione/ricostituzione della sizigia eterna. Su questo tema capitale tolomeano
della sizigia Sophia-Salvatore/Frutto, nel quale si riassume l’intera EpFl, come l’intero
mistero di redenzione attestatoci da GrNot, rimando a Lettieri, Il Frutto nascosto cit.
98
  Cfr. Comm. Mt. 17, 29-36. La trattazione antivalentiniana del levirato è stata analizzata,

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118 GAETANO LETTIERI

Vi sono migliaia di testi della Legge su uomo e donna (περὶ γυναικὸς


καὶ ἀνδρὸς) – come il libello del ripudio e il caso delle due donne sposate
con un solo marito, l’una amata, l’altra odiata, o quello della prigioniera
di guerra sposata da colui che l’ha amata –: ciascuno di questi testi non
ha il suo senso nobile e divino, se non se ne trova la vera interpretazione
tropologica (ὧν ἕκαστος τὸ σεμνὸν καὶ θεῖον ἔχει ἐν τῇ εὑρισκομένῃ
ἀληθινῇ τροπολογίᾳ). Se uno, pertanto, applicandosi alla lettura della
Legge e passando in rassegna i testi su nozze di donne e uomini (τὰ περὶ
γάμων γυναικῶν καὶ ἀνδρῶν), pensa che non vi si trovi indicato niente
di più che il loro significato letterale (ὑπὸ τοῦ γράμματος), è in errore,
non conoscendo né le Scritture, né la potenza di Dio (Mt 22, 29) 99.

Se quindi, in consapevole prossimità con i valentiniani, Origene sottopo-


ne i numerosissimi testi ‘nuziali’ vetero- e neotestamentari a una sistematica
interpretazione allegorica, radicale perché capace di svelarli come tracce
delle realtà più profonde e divine, quindi dei misteri archetipici ed escatolo-
gici – culminanti nelle «nozze del Salvatore che avverranno nell’eone futuro
(ὁ γάμος τοῦ σωτῆρος ἐσόμενος ἐν τῷ μέλλοντι αἰῶνι)» 100 –, dall’altra si
differenzia dagli gnostici pretendendo di fornire un’interpretazione auten-
ticamente razionale, demitologizzata delle speculazioni su eoni e sizigie
immaginarie:

Ma bada che, nell’udire tali cose, tu non incorra nell’errore di accogliere


miti su eoni maschili e femminili (τὴν περὶ τῶν αἰώνων μυθοποιίαν,
ἀρρένων καὶ θηλειῶν), conformemente a quelli che si inventano «sizi-
gie» (κατὰ τοὺς ἀναπλάσαντας τὰς συζυγίας) per nulla indicate dalle
sacre Scritture 101.

Carattere fondamentale della retractatio origeniana della teologia mi-

a mio parere non del tutto convincentemente, da Le Boulluec, La notion d’hérésie cit., 2,
497-500. Per una valutazione di quest’esempio altamente significativo della polemica
antivalentiniana di Origene, quindi della cristologia e della mistica origeniana della
sizigia, rimando a G. Lettieri, Reductio ad unum. Dialettica cristologica e retractatio dello
gnosticismo valentiniano nel Commento a Matteo di Origene, in Il Commento a Matteo di
Origene, a cura di T. Piscitelli, Brescia 2011, 237-287, in part. 279-284. Il testo di Comm.
Mt. è qui utilizzato nell’edizione di E. Klostermann, E. Benz, Die Matthäuserklarung. 1. Die
griechisch erhaltenen Tomoi (GCS 38), Leipzig 1935; e nella traduzione di R. Scognamiglio,
Commento al vangelo di Matteo, 1-3, Roma 1998-2001.
99
  Orig., Comm. Mt. 17, 34; cfr. 17, 35; e Princ. IV 2, 2: «Tutte le descrizioni che parlano
delle nozze, della generazione dei figli, delle guerre e di altre storie che circolano tra la
gente devono essere assunte come forme e figure di realtà nascoste e divine (formae ac
figurae credendae sunt latentium sacrarumque rerum)».
100
  Orig., Comm. Mt. 17, 34.
101
  Ibidem 17, 33.

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stico-speculativa valentiniana è, pertanto, quello di demitizzarne l’artico-


lazione mitica (d’altra parte, ci si chiedeva se gli stessi valentiniani non la
concepissero come ulteriore allegoria pneumatica e metafora cristologica),
semplificandola, riportando la metafora nuziale ai due soggetti relazionali
fondamentali: il Logos divino creatore e l’unica natura spirituale creata,
che – al culmine del processo redentivo – sarà universalmente chiamata
ad unirsi con lo Sposo in nozze che trascendono del tutto il matrimonio
umano (carnale), nell’essere fruizione di quell’intimità assoluta nello Spi-
rito con Dio e in Dio che non ammette più differenza, caduta, divorzio,
superando la condizione di marito e moglie, padre-madre e figli carnali
(lo spunto è Mt 22, 30, ove Gesù risponde ai sadducei che lo tentano che,
escatologicamente, non ci sarà più differenza sessuale, ma si sarà «come
angeli nel cielo»), sussistendo soltanto la relazione tra Padre e filialità spi-
rituale, perfettamente riunificata nel Salvatore 102.

Il figlio del re (cfr. Mt 22, 2) alla resurrezione celebrerà nozze, che tra-
scendono qualunque matrimonio che occhio vide e orecchio udì e ascese
in cuore di uomo (cfr. 1 Cor 2, 9). E saranno quelle nozze eccelse, divine,
spirituali in parole misteriose (ἔσται ὁ σεμνὸς καὶ θεῖος ἐκεῖνος καὶ
πνευματικὸς γάμος ἐν ἀρρήτοις ῥήμασιν) che non è consentito a uomo
di proferire […] [Forse] alla resurrezione dei morti soltanto lo Sposo
celebra le nozze, avendo abolito ogni matrimonio (καταργήσας πάντα
γάμον), non già nozze dove i due saranno una carne sola (Mt 19, 5), ma
nozze in cui la cosa principale (κυριώτερον) da dire è che lo Sposo e la
Sposa sono un solo spirito (ἔν πνεῦμα) (1 Cor 6, 17)? 103

Rispetto alle prospettive nuziali escatologiche, ove si passerà dalle si-


zigie terrene (i molteplici matrimoni) all’unica, eterna sizigia cristologica
(l’unione spirituale e divina tra lo Sposo-Cristo e la Sposa-Umanità uni-
versale redenta), è di grande interesse l’esplicita polemica antivalentiniana
che caratterizza Comm. Mt. 17, 30-32, ove è appunto proposta l’esegesi di
Mt 22, 23-33 (di chi sarà sposa la donna che passa in moglie a sette fratelli,
morti uno dopo l’altro) in riferimento a Dt 25, 5-10, ove viene proclamata
la legge del levirato. Questa a) prescriveva che una donna andasse in spo-

102
  «Se poi si sarà fratelli, ma non secondo la carne e si sarà padre e figlio in modo
diverso dalle realtà della generazione, non più attraverso una donna né tramite le
parti invereconde del corpo, ma in analogia all’essere il Salvatore Figlio di Dio (ἀλλὰ
ἀνάλογον τῷ καὶ τὸν σωτῆρα υἱὸν εἶναι τοῦ θεοῦ), cerchi di capirlo chi può ricercare
cose tanto grandi, avendo accolto in sé lo Spirito che ‘scruta ogni cosa, anche le profondità
di Dio’ (1 Cor 2, 10)» (ibidem 17, 33); cfr. 17, 30; Princ. II 6, 3-6.
103
  Orig., Comm. Mt. 17, 33; cfr. 17, 21.

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120 GAETANO LETTIERI

sa al cognato (levir, in latino), nel caso che il marito fosse morto e quello
coabitasse con lui, e b) qualora il fratello del marito non avesse voluto
accettare il matrimonio prescritto dalla Legge – dando figli alla vedova
e assicurando un figlio, quindi la discendenza al fratello –, sanciva sue
pubbliche umiliazioni (la cognata respinta gli sputa in faccia, lo priva di
un calzare, determina così la definizione della famiglia del cognato come
«famiglia dello scalzato»). Origene nota programmaticamente che, nell’e-
segesi di questo contesto, è necessario «invocare colui che dice: ’Parlerò di
enigmi dal principio (φθέγξομαι προβλήματα ἀπ᾿ἀρχῆς)’ (Ps 77, 2)» (17,
31), alludendo quindi alla profondità pleromatica cui le vicende nuziali
allegorizzate cifratamente rinviano.
Polemizzando con gli gnostici, che evidentemente prendevano spun-
to dal passo paolino per giustificare il loro ripudio della Legge, Origene
interpreta il testo a partire da Rm 7, 1-6, ove Paolo paragona il passaggio
dal a) regime della Legge/lettera a b) quello di Cristo/Spirito al passaggio
di una donna dal a) primo marito che muore a b) un nuovo marito, sen-
za che ella commetta adulterio, essendo ormai divenuta libera dal primo
matrimonio. Se i due fratelli della norma del levirato divengono simboli
della rivelazione della Legge e della rivelazione di Cristo, quindi della
lettera e dello Spirito (ove dialettica storico-salvifica, dialettica ontologi-
ca e dialettica ermeneutica si sovrappongono), la donna è interpretata da
Origene come l’anima, chiamata a passare dalla prima alla seconda, in
un progresso di approfondimento religioso e intellettuale, all’interno del
quale le due economie non sono affatto opposte, ma pedagogicamente
connesse come stadi, livelli, gradi di un unico processo, sicché il vangelo
stesso non potrebbe essere accolto senza la precedente formazione a opera
della Legge 104. Significativamente, il valentiniano è invece identificato con
il cognato che si rifiuta di prendere come propria moglie la vedova di suo
fratello, respingendo pertanto la Legge o Antico Testamento e, con esso,
la natura psichica (impersonificata dall’anima (ψυχή), appunto, non am-
messa nell’intimità generatrice di frutti dell’eretico pleroma pneumatico!),

104
  «La donna è l’anima, sposata in un primo momento con la lettera della Legge, senza
averne figli; sposata in un secondo momento con la Legge spirituale, producendone
frutto e avendone un figlio, non si è mai allontanata, per il figlio che ha generato, dall’alta
stima che ha verso la Legge della lettera, morta per lei. E forse ogni anima destinata a
essere beata, moglie in senso figurato, si sposa in assoluto per la prima volta con la lettera
della Legge quando si trova ai (primi) passi introduttivi, ma col progredire della donna,
cioè dell’anima, questa Legge muore, perché quella possa realizzare un matrimonio
più santo e fecondo di figli» (ibidem 17, 31). Si noti l’interpretazione sacrificale, quindi
cristologica, della Legge, che muore per far rinascere la creatura spirituale in una
dimensione trascendente di intimità con Dio, che l’abilita a fruire del frutto della filialità.

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TOLOMEO E ORIGENE: DIVORZIO/LETTERA E SIZIGIA/SPIRITO 121

lasciando che ella divenga «sposa di uno straniero», di «un marito che non
sia vicino» (17, 32) – quindi non dello Sposo che le garantirebbe sizigia e
frutti spirituali, ma del Demiurgo o del Cristo psichico, se non del Demo-
nio – e rimanga al di fuori della città 105. Del tutto esplicito è il riferimento
agli eretici dualistici, indicati simbolicamente dal cognato «scalzato», cioè
condannato perché rompe il suo rapporto di intimità con il fratello morto
e con sua moglie, negando l’Antico Testamento, quindi risultando privo
del «sandalo» di Dio (l’AT), pur avendo il «sandalo» di Cristo (il NT), ma
degradato di gloria e di onore, proprio perché separato dal Padre creatore
e rivelatore dell’antica economia 106. Esplicita la polemica origeniana con-
tro l’escatologia valentiniana, che negava alle creature psichiche, ontolo-
gicamente irriducibili ai semi spirituali, l’accesso all’interno del pleroma
e le nozze della sizigia, lasciandole al di fuori della pienezza d’amore e di
beatitudine pneumatici 107.
La punizione prescritta dal Deuteronomio diviene, pertanto, allegoria
della condanna teologica dei valentiniani, che non vogliono riconoscere
l’intima parentela, quindi la progressione pedagogica tra Legge e grazia,
AT e NT, che significativamente Origene definisce «la Legge spirituale
(ὁ πνευματικὸς νόμος)» (17, 31), rendendolo appunto onto-logicamente
omogeneo, congenere alla rivelazione antica e comunque inscritto all’in-

105
  «E vedi bene, se puoi intendere che dopo la morte dell’interpretazione letterale
ci sia un’altra interpretazione del tutto erronea della Legge (ἄλλη ἐκδοχὴ τοῦ νόμου
διημαρτημένη), non spirituale e non ineccepibile. Solo che, benché errata, ha la sua genesi
da ciò che è scritto nella Legge, non volendo ‘suscitare il nome di suo fratello’ (Dt 25, 7) e
onorare il nome della Legge. Ma tale interpretazione non vuole prendere (παραλαβεῖν)
la moglie di suo fratello, l’anima (ψυχήν), e neppure fruttificare (καρποφορῆσαι) nel
rendere gloria al nome del fratello morto. Per questo la donna [nell’interpretazione
cattolica del passo] non resta in basso (οὐ κάτω ἕστηκεν), lei pronta ad onorare il suo
primo marito, ma ‘sale (ἀναβαίνει) alla porta’ (Dt 25, 7) […] La moglie non va sposa
fuori (ἔξω), come ritengono coloro che provengono dalle eresie (ὡς οἴονται οἱ ἀπὸ
τῶν αἰρέσεων). E neppure si sposa con ‘un marito che non sia vicino’ (οὐδὲ ‘ἀνδρὶ μὴ
ἐγγίζοντι’ (Dt 25, 5)» (Orig., Comm. Mt. 17, 32). La logica gnostica è appunto quella del
divorzio, della divisione, della scissione priva di dinamismo dialettico; i valentiniani non
comprendono che divini non si è, ma si diventa, progredendo, chiamati incessantemente
dall’amore del Figlio a crescere nell’amore.
106
  «Ora, chi è colui che non intende ‘prendere in moglie la cognata’ (Dt 25, 7), se
non l’insegnamento che si trova nelle eresie? Questo non intende accogliere l’anima
che rese onore al primo marito e la memoria del primo marito […], sì che anche se fosse
calzato quanto al nome di Cristo, sarebbe scalzo quanto a quello di Dio e per questo
porta il nome di Cristo senza gloria e senza verità […] Quindi chiunque si trovi nelle
eresie, specie in quelle che dissociano la divinità e separano la Legge dal Vangelo (πᾶς
οὖν ὁ ἐν αἱρέσεσι, μάλιστα ταῖς διακοπτούσαις τὴν θεότητα καὶ τὸν νόμον ἀπὸ τοῦ
εὐαγγελίου χωριζούσαις), andando in giro, è errante ‘casa dello scalzato’ (Dt 25, 10): gli
si sputa in faccia e gli si toglie uno dei sandali» (Orig., Comm. Mt. 17, 32).
107
  Sull’escatologia tolomeana e valentiniana, cfr. Iren., Haer. I 7, 1 e 5; Exc. Thdt. 63-65.

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122 GAETANO LETTIERI

terno di un unico processo divino di formazione logica (quindi cristica!)


dell’intelligenza: «Fratelli nati dalla stessa madre che è l’intelligenza sono
le due Leggi (ἀδελφοὶ δὴ δύο καί ἀπὸ μιᾶς μητρὸς διανοίας γεννώμενοι
οἱ δύο νόμοι), ’che abitano insieme’» 108. I due fratelli sono, pertanto, figu-
re progressive (epinoiai, potremmo definirle) dell’unico Cristo metaforico.
Ove è da ribadire l’evidente razionalizzazione e legalizzazione origenia-
na dell’economia salvifica, quindi appunto l’omogeneizzazione di quello
scarto radicale che Paolo annunciava come misericordiosa torsione salvifi-
ca dell’unico Dio che, in Cristo, affermava la fine dell’economia della litte-
ra occidens e l’universale donazione dell’economia dello Spiritus vivificans;
scarto tra logica della prestazione e logica del dono che gli gnostici onto-
logizzavano, traducendolo in dualismo teologico e differenza di nature
creata/elettiva, ibrido frutto dell’incrocio tra eredità paolina e prima onto-
logizzazione platonica. In tal senso, possiamo persino azzardar la tesi che –
seppure fedele, a differenza degli gnostici, al rigoroso monoteismo paolino
– l’interpretazione origeniana dello scarto tra lettera e Spirito possa essere
definita come ontologizzazione (platonizzante) radicale, mentre quella va-
lentiana come ontologizzazione (platonizzante) moderata, in quanto anco-
ra segnata dall’eccedenza straordinaria, escatologica, assolutamente nuova
dell’evento del dono (seppure ontologizzato in seme pneumatico) rispetto
a quello della legge imperativa (imposta alle creature psichiche). Infatti,
se per Origene le differenze rivelative sono stadi progressivi di interioriz-
zazione dottrinale e logica, per i valentiniani le differenze rivelative sono
livelli ontologici reciprocamente irriducibili, che soltanto il Dono ‘ontolo-
gico’ di Dio può consentire, ai pochi spirituali, di attraversare, abilitandoli
alla stessa lettura allegorica, metaforica appunto, dell’AT.
Assai significativa, pertanto, l’interpretazione di Rm 7, 1-6 proposta nel
Commentario alla lettera ai Romani 109, ove Origene sottolinea, in prospettiva
antignostica e antimarcionita, che lettera/Legge e Spirito cattolicamente
si compenetrano, sono appunto fratelli, nell’essere momenti di un unico
processo dialettico di perfezionamento logico e spirituale (allegoria del
passaggio dell’unica sposa dal primo al secondo marito), provvidenzial-
mente rivelato come dovere di divinizzazione alla libertà delle creature.
Pertanto, anche l’AT conosce pienamente Cristo, quindi la dimensione spi-
rituale della Legge 110; infatti, lo stesso Spirito di Cristo rivela come cuore

108
  Orig., Comm. Mt. 17, 31; cfr. 32.
109
  Cfr. Orig., Comm. Rm. VI 7, 1069b-1076b.
110
  «Anche i profeti e quanti sapienti vi fossero allora nel popolo di Dio sono
stati coscienti che la Legge è spirituale, nonostante si siano mostrati custodi anche
dell’osservanza carnale a causa della moltitudine […] Molti nel primo popolo avanzavano

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della rivelazione la conoscenza della legge eterna della divinità del Logos
e dell’intimo appartenergli dell’intera umanità, sicché Spirito e Legge si
identificano nella loro profonda rivelazione intellegibile, a differenza di
quanto affermano i dualisti 111: «Infatti il fratello della legge della lettera
sembra essere il fratello della legge dello Spirito» 112, ove comunque lettera
e Spirito sono tolti come momenti progressivi nell’identità della Legge
intellegibile – la Verità eterna rivelata dal Logos – della partecipazione
mistica della totalità delle creature pneumatiche al Figlio.
Il XVII libro di Comm. Mt., nell’accumulazione di sensi spirituali sempre
più profondi della norma del levirato, avanza proprio in questa prospetti-
va una «terza spiegazione» (17, 32) allegorica, evidente retractatio di quella
valentiniana. Origene, rovesciando le interpretazioni precedenti, propone,
infatti, che la donna che passa da un marito morto al fratello possa non più
essere identificata con la singola anima – «la Legge è detta marito dell’ani-
ma che è la moglie» (17, 32) –, ma, addirittura, con la stessa Sophia divina,
con una straordinaria assolutizzazione della natura spirituale della donna,
degradata dagli eretici a natura psichica espulsa dal mistero divino!

La donna è detta essere la Sapienza (γυνὴ μὲν ἡ σοφία εἴρηται), in base


alle parole: Questa ho cercato fin dalla giovinezza di prendermela come sposa
(Sap 8, 2), colei che si deve amare, secondo Salomone che dice: Amala e ve-
glierà su di te (Prv 4, 6). Marito di costei è il sapiente. Se dunque il sapiente,
che da lei non ha avuto figli, cesserà di vivere, il fratello che abiterà con
lui e troverà riposo nelle sue stesse parole, si dia pensiero delle stesse
parole, affinché nasca dalla Sapienza lo splendore che farà in modo di
procurare frutto (τὸν καρπόν) a colui che avrà cessato di vivere insieme
con lei. Ma se il fratello superstite non intendesse prendersi cura delle
parole, la Sapienza lo disonorerà, togliendogli metà della sua calzatura.
Questo tale, infatti, non sarà del tutto calzato e neanche del tutto scalzo 113.

nella conoscenza spirituale e vedevano la gloria del Verbo di Dio» (Orig., Comm. Rm. VI
7, 1071b).
111
  I cristiani sono, pertanto, chiamati a «servire la Legge di Dio in novità di spirito,
affinché cioè per dono dello Spirito cogliamo il significato spirituale da tutto ciò che in
essa si trova scritto […] So invero che alcuni, intendendo in modo errato la novità dello
Spirito, l’hanno interpretata in maniera tale da affermare che lo Spirito è nuovo, quasi che
fosse uno che prima non c’era e non era conosciuto dagli antichi (novitatem sane Spiritus
scio quosdam male intelligentes illuc traxisse, ut dicerent novum esse Spiritum tamquam qui ante
non fuerit nec veteribus innotuerit). E non sanno di bestemmiare così in modo gravissimo.
Infatti il medesimo Spirito sta nella Legge, il medesimo nel vangelo (ipse enim Spiritus est
in lege, ipse in evangelio), il medesimo sta sempre con il Padre e con il Figlio e sempre è ed
era e sarà, così come il Padre e il Figlio» (Orig., Comm. Rm. VI 7, 1076a-b).
112
  Orig., Comm. Rm. VI 7, 1074a.
113
  Orig., Comm. Mt. 17, 32.

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124 GAETANO LETTIERI

Evidente l’ironia antivalentiniana: il nome stesso di Sophia è sottratto ai


valentiniani, valorizzato come epinoia superiore del Figlio indeclinabile; il
sapiente dualista è scalzato e scacciato come psichico, uomo della lettera,
incapace di progredire nell’amore della Sapienza, che chiede di essere più
profondamente conosciuta e amata; la pretesa valentiniana di identificarsi
con il seme di Sophia formato dal Karpós, quindi capace di portare frutti, è
denunciata come sterile vanità, che bestemmia la sizigia Salvatore/Sophia.
Sophia è, infatti, la stessa rivelazione della Legge, quindi la Verità asso-
luta, in cui l’Unigenito si rivela pienamente e apertamente (ma si ricordi,
nella prima tetrade tolomeana, la sizigia Unigenito/Intelletto-Verità). Gli
gnostici sono ciechi, incapaci d’interpretazione allegorico-sapienziale della
potenzialità spirituale della Legge, dalla quale essi non riescono a partorire
la verità cristologica, quel «frutto/Frutto», il Salvatore Sposo di Sophia
che era il cuore rivelato, illuminante, identificante della loro gnosi mistica.

La donna confuta (ἐλέγχει) quell’uomo che non intende portare il frutto


di tale insegnamento (καρποφορῆσαι τὸν τοιόνδε λόγον) […] Ogni
anima sputa in faccia ad un insegnamento che non genera prole e non
produce frutto (τῷ οὐ τεκνοποιοῦντι οὐδὲ καρποφοροῦντι λόγῳ) e
per mezzo della contestazione lo «scalza» nei punti in cui è in fallo e
prendendo la parola dirà: «Così sarà fatto all’uomo che non edifica la fa-
miglia di suo fratello» […] Quindi, chiunque si trovi nelle eresie, specie
in quelle che dissociano la divinità (ταῖς διακοπτούσαις τὴν θεότητα)
e separano (χωριζούσαις) la Legge dal Vangelo, andando in giro […],
gli si sputa in faccia e gli si toglie uno dei sandali 114.

Lo gnostico è, pertanto, proprio colui che «si rifiuta dall’essere divinizza-


to dal portare frutti (οὐ βουληθέντι θεοποιηθῆναι ἐκ τοῦ καρποφορῆσαι)»
(17, 32), ove il frutto dello Spirito divinizzante viene fatto dipendere non
più dal possesso di una natura eletta e separata, ma dal volere e sapere
meritorio di cui ogni creatura è e sarà capace. Anima (capace di divenire
pienamente sapiente, quindi spirituale) e Legge (che da esteriore, psichica,
storica, giudaica diviene essa stessa interiore, pneumatica, eterna, plero-
matica) sono essi stessi organo e luogo rivelativo di Cristo-Sophia, quindi
dimensioni soltanto provvisoriamente divise della relazione con Dio, in
realtà progressivamente capaci di attingere l’intima unione della sizigia
pneumatica (Figlio-Sophia/Gerusalemme celeste/carne spirituale), già in
essa ricongiunti nella prospettiva del progresso e dell’allegorico toglimen-
to della Legge nella gnosi universale dello Spirito della filialità.

114
  Ibidem.

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10. Origene e il dramma della sizigia cristologica: nozze, tradimento/divorzio,


riconciliazione

Risulta pertanto del massimo interesse passare, finalmente, all’esegesi


origeniana della quaestio sul divorzio di Mt 19, 6-9, approfondita in Comm.
Mt. 14, 16-25. In Origene ritroviamo tutti i temi-chiave e persino gli stessi
termini tecnici (certo dettati dal testo evangelico) dell’esegesi ‘gnostica’ di
Tolomeo, così come analoga è la continua sovrapposizione tra prospetti-
va pleromatico-spirituale (mistero del pleroma, della caduta primordiale
e della redenzione) e prospettiva psichico-morale (unità del matrimonio,
concessione del divorzio, ragioni e condizioni della sua liceità, contrasto
tra liceità del ripudio stabilito dalla Legge e indissolubilità del matrimo-
nio sancito da Dio): la collocazione protologica della sizigia sin «dal prin-
cipio» ontoteologico, quindi l’interpretazione abissale, pleromatica della
sizigia, la concentrazione delle sorti dell’umanità eletta nella Donna equi-
voca, Sposa/Prostituta, l’interpretazione della divisione/divorzio come
atti necessari, divinamente concessi per porre rimedio alla debolezza della
Donna e alla sua caduta nel male, quindi per impedire il compiersi della
sua ingiustizia nella distruzione, infine la dialettica Sposo redentore-Sposa
redenta, culminante, ancora, nella metafora del frutto.
In primo luogo, Origene – che eredita dai valentiniani, anche tramite
Clemente, l’interpretazione di ἀρχή come l’Unigenito, l’unico Figlio-Nous
del Padre, nel quale lo stesso Logos generatore/rivelatore sussiste come
epinoia rivelativa 115 – ci offre apertamente un’allegorizzazione ontologica
dell’espressione gesuana «All’inizio però non era così (ἀπ᾿ἀρχῆς δὲ οὐ
γέγονεν οὕτως)» (Mt 19, 8); forzatura pleromatica, che lo stesso Tolomeo
non aveva apertamente operato nel contesto del divieto del divorzio! Cer-
to, l’espressione tornava alla fine di EpFl (cfr. 7, 8-9), gettando una luce
chiarissima sulla sua prima ricorrenza nel testo, ma soprattutto chiamando
in causa tutta la sua potenza archetipica (differenziando principio e genesi
delle congeneri realtà superiori dalla genesis delle realtà degradate, divor-
ziate/espulse dal pleroma). Analogamente, per Origene, l’inizio è quello
assoluto del pleroma archetipico, del suo concentrarsi nell’ἀρχή di ciò che
«era anteriore e superiore (τὸ δὲ προηγούμενον καὶ διαφέρον) alla Legge
scritta a motivo della durezza dei cuori»  116. Il riferimento non soltanto
all’anteriorità, ma alla stessa trascendenza della sizigia da non dividere
non può che rinviare all’originaria, pleromatica intima unione tra Logos

115
  Cfr. Lettieri, Il νοῦς mistico cit., 212-235.
116
  Orig., Comm. Mt. 14, 23. Cfr., in prop., i brani di EpFl citati supra, nota 19.

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126 GAETANO LETTIERI

e logoi, Dio e uomini-divini, quindi uomo divino e universale chiesa cele-


ste, poi decaduta. Notevolissime si rivelano le affinità con l’ogdoade tolo-
meana: Origene, infatti, afferma l’esistenza della sizigia Uomo-Chiesa (la
quarta sizigia tolomeana), radicando l’Uomo del Logos nel Principio (l’U-
nigenito, per Tolomeo come per Origene) presso il Padre, sicché il soggetto
stesso dell’incarnazione è il Figlio, Logos e simul Uomo-Gesù 117 (l’unico
intelletto preesistente privo di peccato), che discendono e passano dalla
Madre/Gerusalemme/Sposa/Spirito/Chiesa (la tolomeana e origeniana
Vita che è fatta nel Logos e che sussiste in lui come luogo ontologico della
Gerusalemme celeste degli intelletti spirituali e divinizzati), per incarnarsi
nella Chiesa-Sposa decaduta (corrispondente alla Sophia extrapleromati-
ca valentiniana, di cui l’eone Chiesa è figura nell’ogdoade), sicché que-
sta torna ad essere un’unica cosa in sizigia con il Logos-Uomo 118. Ecco il
densissimo passo origeniano, complicato dalla cristologica communicatio
idiomatum, quindi dal continuo slittare dal Logos Salvatore al suo ormai
inseparabile Uomo assunto:

Colui che in principio, essendo di condizione divina (Phil 2, 6), creò colui
che è ad immagine (ὁ κτίσας γε ἀπ᾿ἀρχῆς τὸν κατ᾿εἰκόνα) e fece lui
maschio e la chiesa femmina, ad entrambi fece dono dell’unità secondo
l’immagine (ἕν τὸ κατ᾿εἰκόνα). Per amore della chiesa l’uomo, cioè il
Signore, lasciò il Padre (presso cui si trovava «essendo di condizione
divina») e lasciò anche la Madre, essendo egli stesso figlio della Gerusa-
lemme di lassù e si unì a sua moglie, precipitata quaggiù (ἐκολλήθη τῇ

117
  «Forse l’anima di Gesù, nella sua condizione di perfezione, dimorava in Dio e nel
pleroma (τάχα γὰρ ἡ μὲν τοῦ Ἰησοῦ ψυχὴ ἐν τῇ ἑαυτῆς τυγχάνουσα τελειότητι ἐν θεῷ
καὶ τῷ πληρώματι ἦν)» (Comm. Jo. 20, 162). Probabilmente, la predilezione che Origene
riserva al termine femminile anima, per designare la componente umana (=l’intelletto di
Gesù) con la quale il Logos si unisce indissolubilmente dal principio sino all’incarnazione
redentiva, dipende dalla dominante immagine della sizigia sponsale. Sull’indivisibile
unione tra l’anima di Cristo e il Logos divino, sancita dalla citazione di Mt 19, 6: «Non
separi l’uomo ciò che Dio ha unito», cfr. Orig., Comm. Rm. I 5, 850b. Anche nel grande
excursus cristologico di Princ. II 6, 1-7, si afferma che l’anima di Cristo forma con il
Logos un’unica carne e un solo Spirito, affermandone l’indissolubile unione nuziale,
evidenziata tramite la citazione di Mt 19, 5-6 (cfr. in part. II 6, 4); cfr. Cels. VI 47. La stessa
incarnazione pare perfezionare l’intimità assoluta tra Logos-Dio e Uomo Gesù: «Noi
affermiamo ancora che il suo (di Cristo) corpo mortale e l’anima umana che vi risiede
hanno acquistato la massima eccellenza non soltanto per la comunione, ma anche per
l’unione e la fusione con lui, e che partecipando alla sua divinità si sono trasformati
in Dio» (Cels. 3, 41). «Dopo l’incarnazione l’anima e il corpo di Gesù sono diventate
assolutamente una cosa sola con il Verbo di Dio» (2, 9); cfr. 63; 79.
118
  Per un’approfondita interpretazione della complessa teoria origeniana della sizigia,
in confronto con quella valentiniana, cfr. J. Rius-Camps, El dinamismo trinitario en la
divinización de los seres racionales según Orígenes, Roma 1970, 170-179.

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TOLOMEO E ORIGENE: DIVORZIO/LETTERA E SIZIGIA/SPIRITO 127

ἐνταῦθα καταπεσούσῃ γυναικὶ αὐτοῦ), e i due sono diventati quaggiù


una carne sola. Per amore di lei, anch’egli [l’uomo Gesù] divenne carne,
allorché Il Verbo si incarnò e abitò in mezzo a noi (Jo 1, 14). E non sono certo
più due, ma ora sono una sola carne, giacché alla donna viene detto: Voi
poi siete corpo di Cristo e sue membra, ciascuno per sua parte (1 Cor 12, 27); e
fu proprio Dio a congiungere (συνέζευξεν) questi che non sono più due,
ma sono diventati una sola carne, ordinando che l’uomo non separi la
chiesa dal Signore (μὴ χωρίζῃ τὴν ἐκκλησίαν ἀπὸ τοῦ κυρίου) (Orig.,
Comm. Mt. 14, 17).

Analogamente al modello valentiniano, il cattolico Origene pare co-


munque moltiplicare i livelli di sizigia, pensando non soltanto quello tra
Logos creatore e Gerusalemme celeste/Vita dello Spirito, ma anche quello
tra l’Uomo Gesù e la Chiesa decaduta, cioè l’intelletto creato a immagine,
maschile perché partecipe della redenzione della sua «Donna» decaduta.
L’Uomo Gesù si svuota della sua condizione divina (il fruire nello Spirito
dell’assoluta unità pleromatica con il Figlio-Dio), abbandona quindi la Ge-
rusalemme celeste dello Spirito, discendendo insieme con il Logos-Salvato-
re, tornando insieme con lui ad essere (progressivamente) un’unica carne
inseparabile con la sua compagna di sizigia, peccatrice, decaduta/divor-
ziata, ma niente affatto abbandonata. Rispetto al modello valentiniano, le
fondamentali novità origeniane sono: 1) quella di interpretare come realtà
create Vita, Uomo e Chiesa, seppure radicate nella trascendente, eterna
creatività del Figlio-Logos – datore di Spirito alla Vita (creata) in lui come
sua eterna carne logica – che è nel Principio-Unigenito (definito Sophia da
Origene, anche contro i valentiniani); 2) nella semplificazione metaforica,
che fluidifica nella dinamica e dialettica identità dell’unico Figlio che si
manifesta in diverse epinoiai quelli che parrebbero, in Tolomeo, eoni per-
sonalmente distinti (Unigenito, Logos, Cristo, Salvatore/Frutto), quindi
diversi (seppure tutti maschili-divini) soggetti illuminatori/redentivi.
Comunque, Origene allegorizza le affermazioni matteane su sizigia
e divorzio, riferendole alle supreme realtà della redenzione spirituale,
che comunque presuppone la preesistenza (e l’indefettibilità) di una Ma-
dre-Sposa celeste (Origene la definisce «Gerusalemme di lassù»  119, così

119
  «Gerusalemme di lassù è madre di Paolo e dei suoi simili» (Comm. Mt. 14, 13).
«Paolo dice che questa Gerusalemme celeste è madre sua e di tutti i credenti […] Come
figli della madre della sposa, cioè figli della Gerusalemme celeste, possiamo considerare
gli apostoli di Cristo […] Se infatti madre delle anime è la Gerusalemme celeste
(animarum mater Hierusalem caelestis) e d’altra parte gli angeli sono definiti celesti, non ci
sarà alcunché di contrastante se costoro che, come lei, sono celesti, siano detti figli di tale
madre. Sembrerà infatti del tutto logico e conveniente che coloro il cui solo Padre è Dio,

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128 GAETANO LETTIERI

come i valentiani 120), identificabile con lo Spirito Santo 121. Pertanto, anche


per Origene (si pensi alla sua esegesi del Cantico dei cantici), quando il Gesù
matteano parla di sizigia e divorzio, egli non si limita a indicare una realtà
spirituale storico-redentiva (l’unica carne tra il Cristo redentore e la chiesa
redenta), ma presuppone sempre un rinvio esemplare – come cifratamente
aveva indicato Tolomeo – ai fundamenta, alla sizigia primordiale che pre-
cede la stessa creazione del mondo materiale e la realtà (provvisoriamen-
te) divisa delle nature decadute 122. Chiarissimo, in proposito, un passo di
Comm. Mt., dove le affermazioni gesuane su matrimonio e divorzio ven-
gono riferite a una doppia dimensione ontologica delle creature, quella
originaria ad immagine (la primordiale perfezione della sizigia eterna ma-
schio-femmina) e quella storica, degradata (in quanto separatasi dalla sizigia
celeste Padre-Madre/Gerusalemme celeste), propria della seconda crea-
zione (nella quale la creatura, perdendo la sua configurazione puramente
razionale, è rivestita di materia e sessualmente individuata), eppure già
inscritta in una dinamica redentiva (la sizigia ‘carnale’ uomo-donna come
figura delle indissolubili nozze redentive tra Cristo e l’umanità).

Il passo in cui è detto Maschio e femmina li creò (in Mt 19, 4) si riferisce

abbiano per sola madre Gerusalemme (ut quibus unus est Deus pater una sit et Hierusalem
mater)» (Orig., Comm. Ct. II 1, 6, 130-131 e 134).
120
  Eracleone definisce il pleroma «Gerusalemme»: cfr. il frammento XIII, citato in
Orig., Comm. Jo. 10, 33. Secondo la testimonianza sui valentiniani di (Ps.-)Hippol., Haer.
VI 32, 9, «Gerusalemme celeste» è la definizione della stessa Ogdoade, interpretata come
pleroma di Sophia ove entreranno gli gnostici; in Iren., Haer. I 5, 3, Tolomeo definisce
«Gerusalemme» e «Spirito Santo» la Sophia extrapleromatica, immagine del pleroma
della Sophia non caduta.
121
  Sullo Spirito Santo come Madre di Gesù, cfr. Comm. Jo. 2, 87. Pure confessato come
ipostasi divina, lo Spirito Santo è collocato da Origene al margine della realtà creaturale,
tant’è che ibidem 2, 73-76 si afferma che «lo Spirito Santo è stato fatto (ἐγένετο)» dal
Logos; è il Figlio, infatti, a donargli la stessa ipostasi, come il potere di santificazione e
divinizzazione delle creature intellettuali che, suo tramite, partecipano nel Logos di Dio
Padre.
122
  «Non credere che io parli di sposa e di chiesa soltanto a partire dalla venuta del
Salvatore nella carne, bensì ne parlo dall’inizio del genere umano e della stessa creazione
del mondo, anzi per risalire più in alto (altius) all’origine di questo mistero sotto la guida
di Paolo, addirittura prima della creazione del mondo (ante etiam constitutionem mundi).
Infatti Paolo dice: ‘Come ci ha scelto in Cristo prima della creazione del mondo, affinché
fossimo santi e immacolati al suo sospetto, predestinandoci nell’amore all’adozione di
figli’ (Eph 1, 4-5). E nei Salmi è scritto: ‘Ricordati, Signore, del tuo popolo, che hai riunito
dall’inizio’ (Ps 73, 2). Infatti i primi fondamenti della formazione della chiesa sono stati
stabiliti subito, all’inizio (prima fundamenta congregationis ecclesiae statim ab initio sunt
posita)» (Orig., Comm. Ct. II 1, 11-12, 165). «All’inizio (in initio) a tutti si riferivano le
parole: ‘Io ho detto: Siete dèi e tutti figli dell’altissimo’ (Ps 81, 6; cfr. Jo 10, 34). Ma poi
è intervenuta la differenza (sed differentia intercessit)» (Comm. Ct. III 2, 3, 195). «Eri bella
sin dall’inizio (pulchra eras ex initio)» (ibidem II 1, 8, 145). Cfr. Princ. I 6, 2; II 9, 5-7; IV 2, 7.

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TOLOMEO E ORIGENE: DIVORZIO/LETTERA E SIZIGIA/SPIRITO 129

alle realtà relative all’uomo secondo l’immagine (περὶ τῶν κατ᾿εἰκόνα


ἐστίν); quello invece in cui è detto per questo l’uomo abbandonerà suo padre
e sua madre (Gn 2, 24 in Mt 19, 5), etc., non è relativo alle realtà dell’uomo
secondo l’immagine. In un momento successivo, Dio plasmò l’uomo,
prendendo del fango dalla terra (Gn 2, 7). Intanto considera attentamente:
nel caso della creazione secondo l’immagine non è stato detto «uomo»
e «donna» (ἀνὴρ καὶ γυνή), bensì «maschio e femmina» (ἀλλὰ ἄρρεν
καὶ θῆλυ) […] Non è «donna» e neanche «uomo» in alcun caso «ad im-
magine», ma quelli che sono superiori (sono detti) «maschio» e quelli
inferiori «femmina» (οἱ μὲν διαφέροντες ἄρρεν οἱ δὲ δεύτεροι θῆλυ).
Ma anche se l’uomo abbandona suo padre e sua madre, si unisce non
alla «femmina», bensì alla sua «donna» e i due diventano, essendo nella
carne uomo e donna, una carne sola. In seguito il Salvatore, descriven-
do ciò che deve esserci tra i due, congiunti da Dio in maniera degna
dell’unione realizzata da Lui (ἐν τοῖς ὑπὸ θεοῦ συνεζευγμένοις ἀξίως
τοῦ συνεζεῦχθαι ὑπὸ θεοῦ), aggiunge: Così che non sono più due (Mt
19, 6). E appunto lì dove c’è concordia, accordo e armonia (ὁμόνοια
καὶ συμφωνία καὶ ἁρμονία) dell’uomo con la donna e della donna con
l’uomo, l’uno che comanda e l’altra che ubbidisce, secondo le parole
egli ti dominerà (Gn 3, 16), veramente si può dire di tali persone che non
sono più due […] Dunque il Salvatore diede ordine che l’uomo non se-
pari ciò che Dio ha congiunto, l’uomo invece vuole separare ciò che Dio
ha congiunto (ἄνθρωπος δὲ χωρίζειν βούλεται ὃ ὁ θεὸς συνέζευξεν),
quando si allontana (ὅτε ἀποστάς) dalla sana fede 123.

Se la gerarchia maschile-femminile, riconosciuta anche a livello dell’uo-


mo ad immagine, qualifica la sizigia primordiale ed escatologica come
asimmetrica relazione tra componente maschile redentiva/formativa e
componente femminile redenta/formata (e questo vale sia per la sizigia
origeniana Figlio-Gerusalemme celeste/Spirito Santo che per le sizigie va-
lentiniane Logos-Vita, Uomo-Chiesa o Salvatore/Frutto-Sophia), d’altra
parte (come in Tolomeo!) il tema dell’apostasia rivela come il divorzio sia
assunto come allegoria della divisione indebita di una sizigia pleromatica:
malgrado in Origene sia unico il soggetto rivelativo dell’AT e del NT, co-
munque come in Tolomeo, il Salvatore, pronunciandosi sul divorzio mosai-
co, vuole indicare soltanto provvisoriamente, appunto allegoricamente una
prassi etico-matrimoniale – sensata soltanto a livello ontologico inferiore,
psichico, separato dalla dimensione profonda dell’imago Dei –, mirando
in realtà a rivelare le realtà eccedenti, ‘gnostiche’, il mistero abissale del
precosmico pleroma nuziale, dell’«uno (ἕν)» pneumatico del Logos-fat-

123
  Orig., Comm. Mt. 14, 16.

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130 GAETANO LETTIERI

to-carne, dell’uomo ad immagine (la Sposa) dell’Immagine (lo Sposo), che


gli intelletti decaduti, divenuti anime sessuate nel loro rapporto con la
corporeità inferiore, hanno dimenticato. Per questo, forzando con tutta
evidenza il testo evangelico, Origene – se non più valentiniano del va-
lentiniano, certo più esplicito di Tolomeo! – riferisce la citazione di Gn 2,
24 – ove è prescritto che uomo e donna abbandonino padre e madre – non
all’uomo ad immagine (prima creazione intellegibile, pneumatica), ma
all’uomo plasmato, quindi ormai decaduto (seconda creazione sensibile,
psichico-ilica); questo perché l’Uomo-ad-immagine, la carne del Logos,
non può essere tale se non superando la differenza (sessuata, psichico-i-
lica), quindi unendosi, nel Figlio e con la Madre, al Padre eterno, unione
che nella preesistenza soltanto l’intelletto di Gesù è stato in grado di volere
e realizzare perfettamente, ma che escatologicamente vedrà l’universale
apocatastasi della sizigia Uomo-Donna, Cristo-Chiesa tornare nell’Unige-
nito/Principio presso il Dio Padre e la Gerusalemme Madre/Spirito Santo.
Questo significa realizzare allegoricamente l’unione sessuale nella piena,
divinizzante unione di intelletti e Logos nello Spirito 124. Rispetto alla fon-
dazione e apocatastasi divinizzanti, all’unione nello stesso Assoluto della
sizigia amorosa tra Logos e Uomo-Chiesa, la logica divisiva delle malvage
potenze cosmiche, come lo stesso incidente primordiale della caduta delle
intelligenze, in ultima analisi non possono nulla 125, in quanto è nella prov-
videnza amorosa di Dio stesso che la Donna è in sizigia con il Figlio, sic-
ché la stessa Gerusalemme celeste – anche ‘ristretta’ alla singolare intimità
nello Spirito dell’intelletto di Gesù con il Logos – è in effetti indeclinabile
e appunto escatologicamente ricostituita in tutto il suo pleroma.
Proseguendo la sua esegesi del passo matteano sul divorzio, Origene
pare poi abbandonare la sua ‘gnostica’ allegoria pleromatica, rivelandosi
assai attento anche alla dimensione storico-rivelativa dello scindersi pao-
lino tra lettera e Spirito, quindi tra Israele che rimane legato all’osservanza
esteriore della Legge e la chiesa dei gentili, nella quale progressivamente

  Cfr. la straordinaria interpretazione mistico-intellettuale di Gn 2, 23 e 4, 1 («Adamo


124

conobbe Eva, sua moglie») in Orig., Comm. Jo. 19, 22-25; in part.: «Chi si unisce al
Signore conosca il Signore in modo superiore a questo [l’unione tra uomo e meretrice]
e santamente […] Interpretiamo così il conoscere come un mescolarsi e un unirsi […] Il
Signore conosce quelli che sono i suoi, in quanto si è mescolato con essi e ha comunicato
loro la propria divinità». Sulla sizigia Sposo-Sposa come trascendente la differenza
sessuale maschile-femminile, a partire da Gal 3, 28, cfr. Comm. Ct. III 2, 6, 215.
125
  «’Ciò che Dio congiunse, l’uomo non separi’. Ma a coloro che sono superiori ai
farisei si potrebbe dire: ‘Che niente separi quel che Dio congiunse’, né principato, né
potestà (cfr. Col 1, 16). Infatti Dio che li ha congiunti è più forte di tutti gli esseri che si
possono nominare» (Orig., Comm. Mt. 14, 17).

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TOLOMEO E ORIGENE: DIVORZIO/LETTERA E SIZIGIA/SPIRITO 131

l’intera umanità si converte alla fede in Cristo. Origene prospetta, pertan-


to, un’altra allegoria, che comunque replica (e come vedremo riafferma)
l’universale vicenda pleromatica dell’apostasia della «femmina» creatura-
le, che abbandona il suo legittimo Sposo, rompendo la sizigia. L’allegoria
sizigia-divorzio viene infatti riferita allo storico indurimento di Israele,
un tempo Sposa di Cristo nella Legge (in funzione antivalentiniana), ma
ormai prostituitasi con il demonio. Ne è derivato il giusto, seppure tem-
poraneo ripudio dell’adultera da parte del Figlio, da lei misconosciuto
e crocifisso. La prostituzione universale della ’femmina-sposa’ decadu-
ta 126 (appunto distaccatasi dall’«uomo» Gesù e dalla Gerusalemme celeste
pleromatica) è qui rappresentata tramite l’apostasia storica dello stesso
popolo eletto.

Ma giacché l’Apostolo applica le parole: E i due saranno una sola carne


a Cristo e alla chiesa (Eph 5, 25), dobbiamo dire che Cristo non per
altra ragione ha rimandato la prima moglie, la Sinagoga del passato
(chiamiamola così) – attenendosi alla parola: L’uomo non separi ciò che
Dio ha congiunto –, se non quando la prima moglie si mise a fornicare
(ἐπόρνευσεν), indotta in adulterio (μοιχευθεῖσα) dal Maligno e assie-
me a lui ordì trame contro il marito e lo fece mettere in croce nel dire:
Togli tale uomo dalla terra (Lc 23, 18) e Crocifiggilo, crocifiggilo! (Mt 27, 22).
Fu dunque lei ad allontanarsi (ἐκείνη ἑαυτὴν ἀπέστησε) più che il ma-
rito a mandarla via e ripudiarla (μᾶλλον ἢ ὁ ἀνὴρ αὐτὴν ἀπέστειλεν
ἀπολύσας) […] Segno che lei ha ricevuto il libello del ripudio è il fatto
che Gerusalemme è stata distrutta, insieme con quello che loro chiama-
vano «santuario» e a tutti gli altri presunti riti religiosi ivi celebrati, con
l’altare degli olocausti e tutto quanto il culto celebrato presso di esso.
Segno del libello del ripudio è il fatto che non possano più celebrare le
loro feste neanche secondo la lettera […] Orbene la prima moglie, quella
che non aveva trovato grazia davanti al marito, per essersi trovato in lei
qualche cosa vergognosa, uscì Dalla casa del marito ed essendo andata via
è diventata moglie di un altro marito (Dt 24, 1-2), al quale si è sottomessa,
che si debba vedere in quel marito (che in senso figurato è il diavolo) il
brigante Barabba ovvero qualche potenza malvagia 127.

126
  «E non ti meravigliare se una volta è risultata corriva a queste colpe costei che
viene riunita dalla dispersione dei pagani ed è presentata a Cristo come sposa. Ricordati
che ‘per prima’ ‘la donna è stata sedotta e si è resa colpevole di trasgressione’ (1 Tm
2, 14)» (Orig., Comm. Ct. II 1, 6, 132-133); cfr. II 1, 10, 163. Sulla donna come traditrice,
quindi prostituta, decaduta dalla primordiale intimità con il pleroma, quindi dalla sizigia
cristica, cfr. i frammenti di Eracleone cit. supra, nota 85.
127
  Orig., Comm. Mt. 14, 17 e 19.

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132 GAETANO LETTIERI

Anche in questo brano, assonanze e dissonanze rispetto al modello va-


lentiniano risultano evidenti. Sia Tolomeo che Origene ammettono (con Mt
19, 9) il divorzio «in caso di prostituzione (ἐπὶ πορνείᾳ)», quindi di adul-
terio della donna, che viene comunque ripudiata per avere ella stessa apo-
statato tramite la peccaminosa negazione dell’ordine divino 128. Peculiare
di Origene è l’attualizzazione storica della prostituzione della donna come
apostasia di Israele, spinta sino alla crocifissione del Redentore. Certo, l’in-
sistenza sulla distruzione dell’Israele terreno e del suo Tempio – comunque
funzionale al passaggio delle intelligenze dalla lettera giudaica alla sua ve-
rità logico-spirituale 129, identificata in Cristo stesso come Sommo Sacerdote
del pleroma trascendente 130 – testimonia della dimensione storica dell’e-
segesi origeniana; comunque, essa viene sospesa per introdurre la specu-
lazione sulla sizigia «dal principio», sopra commentata, ove si afferma la
provvidenziale negazione di un’interpretazione meramente letterale della
Legge giudaica e dei suoi culti cerimoniali. Seppure esemplata attraverso
la sua immagine storica, viene qui indicata la legge di translatio dal se-
gno alla realtà assoluta, quindi dalla lettera della Legge (il comandamento
esteriore, psichico, divisivo) alla Legge dello Spirito (la ricostituzione del
pleroma nella quale l’umanità divinizzata riattinge la sizigia primordia-
le, nella quale la Legge del divorzio è tolta apocatasticamente). Analoga-
mente a quanto affermato da Tolomeo, è quindi il pleroma la verità del

128
  Ricordo che Origene, ibidem 14, 18-20 e 22 utilizza come sinonimi ἀποστάσιον e
ἀποστασία.
129
  «Anche l’apostolo dice che la Legge ha l’ombra dei beni futuri e ricorda che tutto
ciò che è stato scritto sulle feste, i sabati, i digiuni è l’ombra dei beni futuri – a proposito,
cioè, dei precetti che venivano osservati secondo la lettera – e come affermi che tutto
l’antico culto è immagine e ombra delle realtà celesti (omnem veterum culturam exemplar
et umbram pronuntiet esse celestium; cfr. Hbr 10, 2; Col 2, 16; Hbr 8, 5)» (Orig., Comm.
Ct. III 2, 3, 197). «Cosa ancor più meravigliosa per mezzo della Legge scritta vengono
preannunciati i precetti della verità e tutti questi argomenti sono esposti in modo da
essere tra loro connessi con abilità veramente degna della Sapienza di Dio» (Princ. IV 2,
8). «Non si deve credere, infatti, che i fatti storici siano tipo di altri fatti storici e le cose
corporee di altre cose corporee, ma che le cose corporee siano tipo di realtà spirituali; i
fatti storici di realtà intellegibili» (Comm. Jo. 10, 110).
130
  Cfr. Orig., Comm. Rm. VI 7, 1073a-b e 1076a-b, cit. supra, nota 111, mettendone
in rilievo la prospettiva antivalentiniana. Sulla dimensione non solo storica, ma anche
celeste della passione redentiva di Cristo (si pensi alla redenzione valentiniana della
prima Sophia da parte di Horos/Croce e di Cristo), cfr. la nota affermazione di Princ.
IV 3, 13: «Se poi uno spinge la ricerca fino alla passione di Cristo, sembrerà temerario
se la cercherà nei luoghi celesti. Ma dato che ci sono nei cieli gli spiriti della malvagità,
come non ci vergogniamo di proclamare che il Signore è stato crocifisso qui per operare
la distruzione degli spiriti che ha distrutto con la sua passione, così non avremo timore
di ammettere anche lassù qualcosa di simile pure in seguito finché avverrà la fine del
mondo».

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TOLOMEO E ORIGENE: DIVORZIO/LETTERA E SIZIGIA/SPIRITO 133

culto esteriore giudaico; è il segreto archetipico della sizigia il cuore della


rivelazione, che il divorzio storico pare contraddire e celare. Ma è proprio
l’ermeneutica allegorica – che toglie/distrugge storicamente la realtà lette-
rale del Tempio, provvidenzialmente annientato, per rinviare nello Spirito
all’eccedenza della sizigia protologica ed escatologica Logos-logoi (=Chie-
sa) – che si fa garante della conversione della Donna prostituitasi, sicché il
divorzio di Israele è soltanto temporaneo, seppure necessario per contene-
re il peccato e avviare la conversione della Donna. La corrispondenza con
Tolomeo è evidente e diviene ancora più stringente se si considera che, per
i valentiniani, Israele allegoricamente traslato diviene immagine degli eoni
pleromatici e dell’eletto seme pneumatico di Sophia 131. Corrispondenza
confermata dall’interpretazione origeniana di Rm 11, 12, ove il paolino
«pleroma» degli ebrei (compimento della salvezza universale), comunque
escatologicamente successivo ai loro temporanei «caduta (παράπτωμα)»
e «fallimento (ἥττημα)», viene a designare il compimento dell’apocata-
stasi universale dello spirituale, appunto il suo tornare al «primo mari-
to», reintegrato nel pleroma della sizigia preesistente, convertendosi da
una caduta comunque definita «sbaglio», quindi non irreparabile 132; con
evidente differenza rispetto all’apocatastasi elettivamente ristretta dei va-
lentiniani, con i quali Origene polemizza apertamente 133. Pur riconosciuto
nel suo peculiare destino storico di indurimento, accecamento, ripudio,
Israele è allora identificabile con la pienezza dell’eletta e pneumatica uma-
nità preesistente, con la Sposa protologica, la «Donna precipitata quaggiù
(ἡ ἐνταῦθα καταπεσούση γυνή)» 134, comunque richiamata e redenta dal

131
  «’La salvezza viene dai giudei’ (Jo 4, 22) […] Interpretando secondo il senso
spirituale, [Eracleone] spiega che la salvezza è dai giudei, poiché questi, secondo lui,
sono immagini di quelli che stanno nel pleroma (εἰκόνες οὗτοι τῶν ἐν τῷ πληρώματι
αὐτῷ εἶναι νομίζονται)» (Orig., Comm. Jo. 13, 115). Cfr. la straordinaria, temeraria
esegesi di Rm 11, 16-25 in Exc. Thdt. 56,4-5-57, ove Israele è identificato con il seme
spirituale, mentre l’oleastro delle genti chiamate nell’alleanza diviene immagine della
natura psichica convertita dalla schiavitù alla libertà, quindi redenta, ma, proprio perché
di altra natura, incapace di partecipare dell’intima unione con il divino.
132
  Cfr. Orig., Comm. Rm. VIII 9, 1184c-1187c; 11, 1196b-c, ove – in riferimento a Israele,
e al suo passare dalla cecità alla luce nel momento in cui tutta «la pienezza delle nazioni»
sarà entrata – ricorre la citazione di Os 2, 7: «Tornerò al mio primo marito, perché stavo
meglio prima che ora»; sulla reintegrazione escatologica di Israele indurito, immagine
di tutti gli spirituali decaduti e reietti, cfr. Comm. Rm. VIII 13, 1199c. In Comm. Jo. 13, 391-
392, Origene interpreta il figlio del dignitario regio (per Eracleone simbolo del Demiurgo,
quindi degli israeliti psichici, governati dalla littera occidens: cfr. 13, 416; 420-426) come
Israele (cfr. 13, 402), che Cristo «alla fine salverà, allorché sarà entrato il pleroma delle
genti». Infine, cfr. ovviamente, Princ. III 5, 7-6, 9.
133
  Cfr. Orig., Comm. Rm. VIII 11, 1191b-1192b.
134
  Orig., Comm. Mt. 14, 17.

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134 GAETANO LETTIERI

Salvatore, tornata infine a essere l’universale, escatologica, pacificata sposa


del Figlio nello Spirito-Madre 135.
Qualunque cosa accada alla donna […], la Scrittura dice: il primo marito
che l’aveva rinviata, non potrà riprenderla per moglie, dopo che è stata
contaminata. Sarebbe abominio, dice, agli occhi del Signore tuo Dio (Dt 24,
3). Ma questo parrà non essere in accordo con le parole: Quando tutte
le nazioni saranno entrate, allora tutto Israele sarà salvato (Rm 11, 25-26).
Considera se in proposito si possa asserire che, se si salverà, si salverà
soprattutto perché il suo primo marito ritornerà e la riprenderà perché
diventi sua moglie, pur essendosi disonorata. Pertanto il sacerdote non
prenderà certo in Moglie né una prostituta né una divorziata (Lv 21, 14),
ma ad un altro (in quanto inferiore ad un sacerdote) non viene proibito
di contrarre una simile unione. Tuttavia, se cercassi il termine prostituta
riguardo alla chiamata delle nazioni, potresti riferirti al testo. Prenditi in
moglie una prostituta e abbi con lei figli di prostituzione (Os 1, 2), etc. Come
infatti I sacerdoti nel tempio infrangono il Sabato, eppure sono senza colpa (Mt
12, 15), così è senza colpa colui che avendo rimandato la moglie di prima,
al momento opportuno prende in moglie una prostituta, avendo compiu-
to ciò secondo l’ordine di Colui il quale (quando fu necessario e finché ce
ne fu bisogno) disse: Non prenda in moglie una prostituta, ma poi, quando
ciò fu opportuno, disse: Prenditi in moglie una prostituta. Come infatti Il
Figlio dell’uomo è Signore del sabato (Mt 12, 8) e non schiavo del sabato come
il popolo, così colui che ha dato la legge è padrone Fino al momento di un
ordine migliore (μέχρι καιροῦ διορθώσεως έπικείμενα) (Hbr 9, 10) e dopo
la via di prima e il cuore di prima, di dare Una via nuova e Un cuore nuovo
(cfr. Jr 32, 39 ss.) In un giorno accettevole e in un giorno della salvezza (Is 49,
8) (Orig., Comm. Mt. 14, 20).

Notevolissima è la torsione ermeneutica origeniana, che riesce a connet-


tere nell’affermazione del progresso rivelativo e pedagogico testi biblici di-
vergenti sulla illeggittimità o meno di sposare una prostituta; e, si badi, quasi
esclusivamente tramite la citazione di brani veterotestamentari, a testimo-
nianza che giudaica rimane la scaturigine della logica della sizigia tra Dio e
il suo popolo eletto. Come Tolomeo, Origene interpreta la necessità del divor-

135
  Cfr. Comm. Ct. Prol., 66: «Allorché avremo progredito e saremo arrivati al punto di
unirci alla chiesa dei primogeniti), ch’è in cielo (ut ecclesiae primitivorum quae in caelis est
sociemur; cfr. Hbr 12, 23) e di conoscere […] che la Gerusalemme celeste è la nostra madre
celeste, allora per noi Cristo diventa anche Ecclesiaste e di lui si dice che regna non solo
in Israele, ma anche in Gerusalemme. Allorché poi si arriverà alla perfezione di tutto (ad
perfectionem omnium) e si unirà a lui la sposa perfetta (sponsa perfecta), cioè ogni creatura
razionale […] pacificate tutte le creature e sottomessele al Padre, allorché ormai Dio sarà
tutto in tutti, egli sarà detto soltanto Salomone, cioè soltanto pacifico».

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TOLOMEO E ORIGENE: DIVORZIO/LETTERA E SIZIGIA/SPIRITO 135

zio come necessità di contenimento del peccato, punizione espiativa, discesa


redentiva di Gesù Cristo sino alla Donna prostituitasi, infine ricostituzione
della protologica identità pleromatica; a differenza di Tolomeo, la prostituta
è creatura non consustanziale al suo Sposo-creatore, l’apocatastasi non sarà
limitata all’eletto seme pneumatico di Sophia, ma accoglierà, spiritualmente
perfezionate, tutte le creature psichiche e iliche. Nella reintegrazione uni-
versale – anche la prostituta Israele, che diviene simbolo dell’intera umanità
eletta/caduta, sarà salvata –, nell’unico Spirito vivificante tutte le ‘nature’
sono traslate, tolte e interpretate come provvisori gradi e qualità di deside-
rio delle creature razionali, come del divino progresso rivelativo dall’AT al
NT. La nuova alleanza è, allora, il ritorno dalla divisione del divorzio alla
sizigia archetipica; dall’ordine storico nel quale il peccato è manifestato,
punito, espiato, all’ordine eterno (protologico ed escatologico) dello Spirito
come intima, inalienabile identità; dalla subordinazione religiosa veterote-
stamentaria all’intimità mistica neotestamentaria, che Gesù rivela riattinta,
nel superamento (progressivamente universale) della durezza del cuore ili-
co-psichico. In questo senso, il dualismo ontoteologico valentiniano è tolto
in un dualismo di ordini progressivi, che la creatura razionale è chiamata a
percorrere nel suo progresso anagogico. Il Nuovo Testamento si rivela come
annuncio dell’eccedenza escatologica della misericordia universale, che Dio
ha il potere di concedere all’umanità prostituitasi/ripudiata, comunque ca-
pace di accogliere un cuore nuovo e di tornare Sposa nell’eterna sizigia (uni-
versale e individuale) 136 di Cristo e della sua carne.

11. Conclusione

Nel loro condividere la violenta torsione dell’Antico Testamento giu-


daico non soltanto in tipo del Nuovo Testamento storico, ma soprattutto

136
  Anche l’origeniana interpretazione individualizzante della sizigia apocatastatica
Cristo/Sposo-Chiesa/Sposa, come angelo di Cristo/seme spirituale, dipende dalla
dialettica valentiniana Sophia/femminili semi spirituali-Salvatore/maschili angeli di
Cristo (cfr. Iren., Haer. I 4, 5; 5, 6; 7, 1; Exc. Thdt. 21, 1-3; 35, 1-36, 2): «Ma qualcuno si
porrà il quesito: si può dire, in senso figurato, che la moglie è l’anima umana e il marito
è l’angelo che la custodisce e la regge – verso cui si volge il desiderio di lei, mentre lui
la domina (cfr. Gn 3, 16) –, sì che, in base a ciò, ciascun angelo convive regolarmente
con l’anima degna della protezione di un angelo divino? [...] Dobbiamo pertanto fare
attenzione a che non si trovi in noi una ‘cosa vergognosa’ (Dt 24, 1) e non troviamo
grazia agli occhi del marito, cioè del Cristo, ovvero dell’angelo stabilito su di noi. Se
infatti non facciamo attenzione, forse anche noi riceviamo il libello del ripudio e allora
o saremo privi del nostro protettore o andremo da un altro marito – ma questo non lo
ritengo auspicabile, per così dire – per accogliere le nozze di un angelo con la nostra
anima» (Comm. Mt. 14, 21).

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136 GAETANO LETTIERI

in allegoria pneumatica di un’arcana gnosi mistico-ontologica 137, Tolomeo


e Origene si rivelano in sizigia; nel concepire il rapporto tra Legge e Spiri-
to rispettivamente come dualisticamente irriducibile o monoteisticamente
fluidificato, essi divorziano. Nell’indicare nella dimensione nuziale mistica,
protologica ed escatologica, il cuore spirituale del vangelo dell’Unigenito,
che annuncia sin dal principio la trinitaria, eucaristica partecipazione della
Sposa/Carne umana allo Sposo divino, essi sono in sizigia; nell’interpretare
quest’eccedenza dell’intimità pneumatica della sizigia rispetto al divorzio
della storica subordinazione religiosa rispettivamente come elettivamente
ristretta o universale, Tolomeo e Origene divorziano. Ontologia, ermeneuti-
ca, mistica si rivelano comunque, in entrambi, inseparabilmente connessi: la
sizigia pleromatica Sposo divino/Sposa umana pneumatica (consustanziale
per Tolomeo, creaturale per Origene) viene concepita come nucleo mistico
dell’eccedenza del Nuovo Testamento rispetto alla lettera esteriore e divisiva,
all’alienante logica del divorzio propria dell’Antico Testamento, che pure
conserva in sé la potenza metaforica di rinviare all’allegorica verità dell’e-
terno mistero cristologico/sapienziale. Lo Spirito è comunque in entrambi
platonizzato: gli Sposi divengono da entità storiche (il Messia e il suo popolo
eletto, quindi la chiesa che riunifica ebrei e gentili) platoniche entità intellet-
tuali, logiche, ontologicamente predestinate all’enosi fusionale. La sizigia è
per entrambi la fruizione mistica dello Spirito ontologizzato, che riunifica
con un Dio d’amore, eppure pensato come Intelletto immateriale: Spirito
elettivamente disseminato, per Tolomeo; Spirito universalmente donato nella
creazione protologica a tutti gli intelletti, chiamati a ritrovarlo in sé, dopo la
loro caduta, per Origene. Per entrambi, comunque, nello Spirito, l’unica Leg-
ge autentica, traslata, tolta, misericordiosamente decifrata si rivela l’eterna
incarnazione intellegibile del Logos nell’Uomo/Chiesa. Si può quindi riferire
sia alla tolomeana Flora che alla Sposa origeniana, chiamate all’enosi della
sigizia intellettuale tramite l’intelligenza ermeneutica dell’arcano, quest’af-
fermazione del Comm. Ct.: «Se ella non esce, cioè se non avanza e progredisce
dalla lettera allo spirito (nisi enim exeat, nisi procedat et progrediatur a littera ad
spiritum), ella non può congiungersi con lo sposo (non potest sponso coniungi),
cioè unirsi con Cristo (neque Christo sociari)» 138.

137
  Sia nella creazione, che nella Scrittura, «la Sapienza divina ci istruisce sulle realtà
invisibili a partire da quelle visibili e dalle realtà terrene ci trasporta (transferat) alle realtà
celesti […] Tutte le cose manifeste (omnia quae in manifesto sunt) rinviano a cose che sono
nascoste (ad aliqua referuntur quae in occulto sunt)» (Orig., Comm. Ct. III 2, 9, 235).
138
  Orig., Comm. Ct. III 2, 9-10, 247.

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