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Milena Calabria – 2001831

Cartesio: tra meccanicismo e finalismo

La cosiddetta “Rivoluzione Scientifica” circoscrive una radicale ed determinante epoca della


storia dell’uomo compresa tra il 1543 e il 1687. La prima data coincide con quella della
pubblicazione del De revolutionibus orbium coelestium di Copernico, punto di svolta che segna
l’inizio, dibattuto, di una nuova visione del cosmo con l’introduzione dell’eliocentrismo. Il
secondo estremo, il 1687, è l’anno in cui Isaac Newton esordisce con il suo Principia
matematica, scritto monumentale dall’incommensurabile potenza scientifica che fu in grado di
sovvertire completamente il modo di conoscere il mondo e la sua natura, nello specifico la fisica
classica e l’astronomia, grazie ad una nuova visione sulla gravità, nonché sul metodo scientifico
tradizionale.

Fin dove si può tracciare l’origine di questa fremente stagione culturale, scientifica e tecnica?

In breve, essa nasce e prende vigore dalla necessità di mettere in discussione un modo di
osservare il mondo che sembrava perdere efficacia. Gli uomini iniziarono a rendersi conto che i
fenomeni naturali non andavano più salvati, ma spiegati razionalmente. La fisica non si deve
limitare a formulare ipotesi, quindi a “salvare i fenomeni”, ma dev’essere in grado di dire
qualcosa di vero, profondo e armonizzante sulla costituzione delle parti dell’universo in rerum
natura, di rappresentare, con verità, la struttura fisica del mondo. Tutto ciò ha determinato un
cambiamento nella concezione della natura, che diventa meccanicistica: i fenomeni naturali,
inspiegabili e attribuiti a Dio, accadono in modo casuale (cioè senza che ci sia una volontà divina
a dirigerli o a disporli) e, allo stesso tempo, sono spiegabili tramite cause fisiche determinate e
meccaniche che implicano una serie di effetti a catena e misurabili. Non esiste, cioè, alcuna
volontà superiore che agisce in modo esterno e totalizzante sull’inspiegabilità della natura.

La visione meccanicistica dell’universo si sviluppa già nell'antichità con il sistema atomistico di


Leucippo e Democrito. I due filosofi asserivano che la materia fosse composta da atomi, elementi
compatti e indivisibili, che si muovono nel vuoto in tutte le direzioni. Di conseguenza, i fenomeni
possono essere spiegati semplicemente a partire dal comportamento degli atomi e del loro
movimento, comprese le qualità sensoriali, che derivano dall'azione meccanica dei corpi sugli
organi di senso. Non vi è più spazio per spiegazioni basate su divinità o presenze ultraterrene.
Epicuro, attraverso un immediatamente riconoscibile sistema filosofico, dà al materialismo
atomistico un significato sempre più antitetico rispetto alle filosofie che sottomettono l'ordine
cosmico a una visione finalistica, come quella di Aristotele, e che nella fisica si appellano a forze
vitali o cause formali non riducibili alle leggi del moto meccanico. Pertanto, il meccanicismo
diventa anche sinonimo di materialismo.

Tuttavia, è durante il XVII secolo, durante la Rivoluzione Scientifica, che il meccanicismo vede il
suo più importante sviluppo. La cosiddetta “filosofia meccanica” è fondata su alcuni presupposti:

1. La natura non è la manifestazione di un principio vivente, ma è un sistema di materia in


movimento retto da leggi;
2. Tali leggi sono determinabili con precisione matematica;
3. Un numero assai ridotto di tali leggi è sufficiente a spiegare l’universo;
4. La spiegazione dei comportamenti della natura esclude di principio ogni riferimento alle
forze vitali o alle cause finali.

Il meccanicismo nel XVII secolo assume diverse forme, anche in relazione all'uso diverso della
matematica come strumento concettuale in grado di descrivere i fenomeni naturali. Tuttavia, una
caratteristica distintiva del meccanicismo è la distinzione tra qualità secondarie (come colori,
sapori, odori, suoni), che dipendono dalla nostra soggettiva sensibilità, e qualità primarie o
oggettive (come forma, dimensione, posizione, movimento, numero), che sono proprietà
geometrico-meccaniche proprie della materia e che costituiscono l'ordine necessario e immutabile
della natura.

Questa nuova comprensione della natura che, come scrive Galileo ne il Saggiatore, reca al suo
interno un ordine e una struttura armonica di tipo geometrico-matematico, non determina
comunque un definitivo abbandono del finalismo. Come dirà Freud ne L’avvenire di un’illusione,
nonostante la scienza sia subentrata a Dio nella spiegazione dei fenomeni naturali, egli continuerà
a giocare il suo ruolo esplicativo nell’abito della morale. Gli uomini, nonostante i grandi
progressi della scienza, non riescono infatti a rinunciare a ciò che Dio rappresenta, ovvero una
verità ultima e incontestabile, per questo rassicurante e consolatoria, alla quale sottomettersi
ciecamente.

Galileo Galilei è il primo a separare il campo d’indagine delle scienze dal campo d’indagine della
religione. Fu lui a postulare l'autonomia della ricerca scientifica rispetto alle verità e dogmi della
fede, limitando l'uso delle Sacre Scritture alla sfera morale, mentre la scienza si interroga sul
"Libro della Natura". Esso venne definito da Galileo come un testo metaforico scritto dal Dio
stesso, ma dotato di leggi autonome di natura fisica e matematica. Le scienze si occupano di
comprendere queste leggi del cosmo, i processi fisici e l’ordine naturale. Nella prospettiva
galileiana, il mondo dovrebbe poter essere comprensibile attraverso la matematica poiché
possiede un ordine naturale di tipo meccanico: le cose accadono in base a dei legami e a delle
relazioni casual-consequenziali. Saranno proprio i rapporti fisici a determinare il funzionamento
dell’universo e lo scienziato deve cogliere e capire le dinamiche sottostanti. Il dominio religioso,
al contrario, è dove alloggia il finalismo. Galileo ritiene che in tutto ciò che riguarda l’etica, la
morale, il senso ultimo dell’universo, riemerge la prospettiva teleologica. Nonostante egli insista
sulla separazione tra scienza e religione, non nega l’idea di un creatore; Galileo crede che vi sia
un creatore che ha dato vita all’universo, ma il compito dello scienziato, in un certo senso, è
scovare le leggi imposte da questo creatore nell’universo in cui viviamo. Galileo sostiene ciò che
Bernardo Telesio, un esponente del naturalismo rinascimentale, aveva già affermato nella sua
opera De rerum natura iuxta propria principia. L'idea è quella di un universo che, pur essendo
stato creato da Dio, non dipende più da lui, ma ha in sé i principi e le leggi che lo governano.

La posizione di Cartesio è molto simile. Anche Cartesio separa l’ambito del metodo matematico-
scientifico, dall’ambito della morale e della fede. Il mondo della natura è un mondo meccanico e
razionale. Il metodo elaborato da Cartesio è indispensabile per comprendere le connessioni
matematiche e geometriche che permeano e che ordinano la natura. Cartesio estende questo
meccanicismo a tutti i corpi, compreso quello umano, considerato una macchina alla pari degli
altri animali. Nell’opera pubblicata postuma, L’uomo, Cartesio esplora profondamente la
concezione dell’essere umano e del suo corpo vivente. È un testo in cui domina la metafora della
macchina, ripetuta in modo pervasivo al punto da essere richiamata in ogni capitolo dell’opera.
Cosa intende Cartesio quando afferma che il copro vivente è una macchina? La sua premessa è
che tutti i movimenti del corpo sono spiegabili in termini di urti di materia; in altre parole, non
c’è nient’altro che materia in movimento nell’organismo vivente umano e animale. Il modello
preferito da Cartesio è l’orologio, un meccanismo che una volta caricato funziona da solo, senza
l’intervento del costruttore, il quale se ne disinteressa completamente. L’orologio va avanti
autonomamente, così come il corpo umano è composto da ingranaggi tali da consentire tutte le
funzioni vitali e motorie grazie ai soli meccanismi materiali di cui è dotato. Questa è l’essenza
del pensiero cartesiano sull’essere umano e sul suo corpo: una macchina sì creata ma perfetta,
autonoma e autosufficiente, e governata dalle leggi del mondo fisico.
Nell’ultima parte dell’opera Cartesio si oppone esplicitamente alla figura di Aristotele e di tutti i
suoi seguaci, ovvero ad una filosofia del vivente basata sull’idea che la pura materia non è in
grado di spiegare la vita. Per spiegare la vita ci vuole un principio psichico, un’anima, che possa
così assicurare tutte le funzioni del vivente, inclusa la vita stessa. Principio psichico vitale poiché,
una volta rimosso, rimane un cadavere, un corpo esanime. Ne L’uomo viene contestata questa
visione supportando l’idea che anche la sola componente di materia in movimento degli organi
corporei è in grado di assicurare le funzioni vitali. La vita è interamente un evento fisico
materiale e risulterebbe superfluo introdurre un principio spirituale che la ne “garantisca” il
funzionamento. .

Seconda netta opposizione di Cartesio è la corrente filosofica del vitalismo rinascimentale, cioè
l’idea che la vita sia guidata da un principio organizzatore che opera all’interno del corpo con una
forma di oscura conoscenza che guida e pilota le azioni del vivente. È un principio interno dotato
di una forma semi cosciente di conoscenza degli organi corporei e senza il quale questi non
potrebbero funzionare. L’intuizione di questa postura è tanto sottile quanto lecita: come può un
sistema tanto complesso come il corpo umano andare avanti senza che ci sia qualcuno che ne
conosca i meccanismi e ne diriga le azioni?

L’uomo si presenta come una descrizione completa ed esaustiva della macchina umana. Il
meccanismo corporeo è un apparato sufficiente per assicurare tutte le funzioni della vita, a partire
dalla circolazione del sangue, la respirazione, il nutrimento, la digestione e l’espulsione. Il centro
di questa macchina è il cuore che ha un calore innato che serve alle sue contrazioni e dilatazioni
portando il sangue in tutte le estremità del corpo. Cartesio, insieme al medico più celebre del
momento di nome Harvey, è a favore della circolazione continua del sangue. Inoltre, il cuore,
grazie a questo suo calore, porta verso l’alto la parte più sottile del sangue, una materia eterea e
mobilissima che Cartesio chiama “gli spiriti animali”. Questi spiriti animali sono cardinali e
funzionali per la macchina del corpo perché dal cuore vengono spinti al cervello e dal cervello
irradiano il sistema nervoso assicurando il movimento del corpo stesso. Ciò significa che gli
spiriti animali assicurano tutti i movimenti involontari, compreso sensazioni ed emozioni. È così
che avvengono il movimento e le conseguenti sensazioni fisiologiche.

Presto però Cartesio si rese conto di aver generato un dualismo che richiede integrazioni e
chiarimenti. Se il mio corpo è una macchina, per quale motivo ho la sensazione che il mio
pensiero, la "res cogitans", sia in grado di comandare il corpo e che alcune attività corporee siano
volontarie e frutto della libertà? Come può il regno della pura libertà, la "res cogitans",
influenzare il regno della pura necessità, la "res extensa"?

Secondo Cartesio, il corpo e l’anima immateriale, rispettivamente principio del pensiero e della
volontà, sono sostanze separate. Per spiegare in che modo esista un’interazione tra di esse e in
che modo l’anima, tramite la volontà, possa guidare il corpo, egli ricorre a una ghiandola, che nel
trattato sull’Uomo chiama ghiandola H: si tratta dell’epifisi, in greco konàrion, in latino
conarium, o «ghiandola pineale», secondo la traduzione abituale utilizzata da Cartesio, per la sua
forma simile ad una pigna. A partire da alcune lettere del 1640 Cartesio la definisce come «la
sede dell’anima e il luogo dove si fanno tutti i nostri pensieri». Come abbiamo visto, nell’Uomo
Cartesio la presenta collegata al cervello da alcune piccole arterie, da cui entrano gli spiriti
animali, i quali poi fuoriescono e tramite i nervi vanno ai muscoli e alle altre membra per
dirigerne il movimento. Nel trattato Le passioni dell’anima, invece, essa non è più collegata al
cervello da arterie: galleggia nella sostanza cerebrale, e reagisce al contatto con gli spiriti animali
(che la muovono), riflettendoli verso i nervi. È tramite l’agitazione di questa ghiandola che i
movimenti del corpo si incontrano con l’anima, generando quelle particolari percezioni che sono
le passioni.

Nel Discorso sul metodo scrive che nel testo sull’Uomo:

“…mi limitai a supporre che Dio formasse il corpo di un uomo in tutto simile al nostro, tanto
nell’aspetto esteriore delle membra, quanto nella conformazione interna dei suoi organi, non
adoperando altra materia che quella dianzi descritta: e perciò non vi mettesse dapprima
nessun’anima ragionevole…”.

La ghiandola pineale, quindi, assume una funzione di intermediazione e connessione tra pensiero
e corpo, tra "res cogitans" e "res extensa", consentendo al pensiero di comandare sul corpo e
preservando così la libertà dell'uomo. Questo salva il concetto di libertà e rende necessaria
un'etica che orienti le nostre azioni. Nasce così l'idea di un'etica provvisoria, necessaria per
guidare le azioni umane nella ricerca di una morale definitiva. Tuttavia, in campo morale,
Cartesio non può permettersi di sospendere il giudizio come aveva fatto nel campo della
conoscenza. Come egli stesso scrive

"e infine, così come non è sufficiente, prima di iniziare a ricostruire la casa in cui si vive,
demolirla e procurarsi materiali e architetti, o esercitarsi nell'architettura e avere accuratamente
tracciato il disegno; ma è anche necessario aver trovato un'altra casa in cui poter vivere
comodamente durante i lavori; allo stesso modo, per non rimanere completamente indeciso nelle
mie azioni mentre la ragione mi avrebbe obbligato a esserlo nei miei giudizi, e per non impedirmi
di vivere il più felicemente possibile da quel momento, ho formulato una morale provvisoria,
costituita solo da tre o quattro massime, che desidero enunciare qui".

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