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Cartesio: tra meccanicismo e finalismo

Con “Rivoluzione scientifica” si intende un momento della storia dell’uomo (con più
precisione questo momento può essere circoscritto tra due date: 1543, anno della
pubblicazione del De revolutionibus orbium coelestium di Copernico, e 1687 in cui Isaac
Newton pubblica invece i Principia matematica) che ha completamente messo in
discussione e scardinato il modo di conoscere il mondo e la sua natura.

Dove possiamo rintracciare l’origine di questa fremente stagione culturale?

In breve, essa nasce dalla necessità di mettere in discussione un modo di guardare al mondo
che non sembrava funzionare più. Ci si è resi conto che forse i fenomeni naturali non
andavano più salvati ma spiegati razionalmente. La fisica non si deve limitare a formulare
ipotesi, quindi a “salvare i fenomeni”, ma è in grado di dire qualcosa di vero sulla
costituzione delle parti dell’universo in rerum natura, di rappresentare la struttura fisica del
mondo. Questo determina un cambiamento nella concezione della natura che diventa
meccanicistica: i fenomeni naturali accadono esclusivamente in modo casuale (cioè senza
che ci sia una volontà divina a dirigerli o a disporli) e, allo stesso tempo, sono spiegabili
tramite cause fisiche determinate e meccaniche che implicano una serie di effetti a catena e
misurabili. Non esiste dunque alcuna volontà superiore che agisca sulla natura.

Questa visione di un universo meccanicista si sviluppa già nell'antichità con il sistema


atomistico di Leucippo e Democrito. Questi filosofi asserivano che la materia fosse
composta da atomi, elementi compatti e indivisibili, che si muovono nel vuoto in tutte le
direzioni. Di conseguenza, i fenomeni possono essere spiegati semplicemente a partire dal
comportamento degli atomi e del loro movimento, comprese le qualità sensoriali, che
derivano dall'azione meccanica dei corpi sugli organi di senso. Non vi è più spazio per
spiegazioni basate su divinità o presenze ultraterrene. Epicuro, attraverso il suo sistema
filosofico, dà al materialismo atomistico un significato sempre più antitetico rispetto alle
filosofie che sottomettono l'ordine cosmico a una visione finalistica, come quella di
Aristotele, e che nella fisica si appellano a forze vitali o cause formali non riducibili alle
leggi del moto meccanico. Pertanto, il meccanicismo diventa anche sinonimo di
materialismo.
Tuttavia, è durante il XVII secolo, con la Rivoluzione Scientifica, che il meccanicismo ha
il suo vero sviluppo. La cosiddetta “filosofia meccanica” è fondata su alcuni presupposti:

1. La natura non è la manifestazione di un principio vivente, ma è un sistema di materia


in movimento retto da leggi;
2. Tali leggi sono determinabili con precisione matematica;
3. Un numero assai ridotto di tali leggi è sufficiente a spiegare l’universo;
4. La spiegazione dei comportamenti della natura esclude di principio ogni riferimento
alle forze vitali o alle cause finali.

Il meccanicismo nel XVII secolo assume diverse forme, anche in relazione all'uso diverso
della matematica come strumento concettuale in grado di descrivere i fenomeni naturali.
Tuttavia, una caratteristica comune del meccanicismo è la distinzione tra qualità secondarie
(come colori, sapori, odori, suoni), che dipendono dalla nostra sensibilità e sono soggettive,
e qualità primarie o oggettive (come forma, dimensione, posizione, movimento, numero),
che sono proprietà geometrico-meccaniche proprie della materia e che costituiscono
l'ordine necessario e immutabile della natura.

Questa nuova comprensione della natura che, come scrive Galileo ne il Saggiatore, reca al
suo interno un ordine e una struttura armonica di tipo geometrico-matematico, non
determina però un abbandono assoluto del finalismo. Come dirà Freud ne L’avvenire di
un’illusione, una volta che non ci serve più Dio per spiegare i fenomeni naturali, egli
ritaglierà il suo spazio nell’abito della morale. Gli uomini, nonostante i grandi progressi
della scienza, non riescono a rinunciare a ciò che Dio rappresenta, cioè una verità ultima e
incontestabile, per questo rassicurante e consolatoria, alla quale ciecamente sottomettersi.

Galileo Galilei è il primo a separare il campo d’indagine delle scienze dal campo d’indagine
della religione. Egli afferma l'autonomia della scienza rispetto alle verità di fede, limitando
l'uso delle Sacre Scritture al campo morale, mentre nel campo scientifico l'interrogazione
avrebbe dovuto riguardare il "Libro della natura", anch'esso scritto da Dio ma dotato di
leggi autonome di natura fisica e matematica. Le scienze si occupano di comprendere le
leggi del cosmo, della fisica. Ambiscono a comprendere matematicamente il mondo, il
quale ha un ordine naturale di tipo meccanico: le cose accadono in base a dei legami e a
delle relazioni casual-consequenziali. Saranno proprio i rapporti fisici a determinare il
funzionamento dell’universo e lo scienziato deve cogliere e capire le leggi della natura e
della fisica. Dall’altra parte abbiamo l’ambito religioso dove invece abita il finalismo.
Galileo ritiene che in tutto ciò che riguarda l’etica, la morale, il senso ultimo dell’universo,
riemerge la prospettiva teleologica. Per Galileo c’è un creatore che ha dato vita all’universo
e compito dello scienziato è studiare le leggi meccaniche di questo universo. Galileo
sostiene ciò che Bernardo Telesio, un esponente del naturalismo rinascimentale, aveva già
affermato nella sua opera De rerum natura iuxta propria principia. L'idea è quella di un
universo che, pur essendo stato creato da Dio, non dipende più da lui, ma ha in sé i principi
e le leggi che lo governano.

La posizione di Cartesio è molto simile. Anche Cartesio separa l’ambito del metodo
matematico-scientifico, dall’ambito della morale e della fede. Il mondo della natura è un
mondo meccanico e razionale. Il metodo che elabora Cartesio è indispensabile per
comprendere le connessioni matematiche, geometriche che permeano e che regolamentano
tutta la natura. Cartesio estende questo meccanicismo a tutti i corpi, compreso quello
umano, considerato una macchina come gli altri animali. Nell’opera pubblicata postuma
L’uomo Cartesio parla proprio della sua concezione dell’essere umano e del suo corpo
vivente. È un testo dominato dalla metafora della macchina, ripetuta ossessivamente al
punto da essere richiamata in tutti i capitoli di questa opera. Il corpo vivente è una macchina.
Cosa vuol dire? Vuol dire che i movimenti del corpo sono tutti spiegabili in termini di urti
di materia, non c’è nient’altro che materia in movimento nell’organismo vivente umano e
animale. Il modello preferito da Cartesio è l’orologio, un meccanismo che una volta caricato
funziona da solo, senza l’intervento del costruttore, il quale se ne disinteressa
completamente. L’orologio va avanti autonomamente, così come il corpo umano è
composto di ingranaggi tali da consentire tutte le funzioni vitali e motorie grazie ai soli
meccanismi materiali di cui è dotato. Il corpo umano è un orologio che una volta messo in
funzione va avanti per il proprio meccanismo interno.

Nell’ultima parte dell’opera Cartesio si oppone esplicitamente alla figura di Aristotele e di


tutti i suoi seguaci, ovvero ad una filosofia del vivente basata sull’idea che la pura materia
non è in grado di spiegare la vita. Per spiegare la vita ci vuole un principio psichico,
un’anima, che possa così assicurare tutte le funzioni del vivente, inclusa la vita stessa. Un
principio psichico vitale poiché, una volta rimosso, rimane un cadavere, un corpo esanime.
L’uomo contesta questa visione e si impegna a spiegare come con la sola funzione materiale
in movimento degli organi corporei, queste funzioni vitali sono assicurate. La vita è
interamente un evento fisico materiale e non serve introdurre un principio spirituale che la
assicuri.

Secondo avversario di Cartesio è la filosofia vitalista rinascimentale, cioè l’idea che la vita
sia assicurata da un principio organizzatore interno che opera all’interno del corpo con una
forma di oscura conoscenza di quello che si deve fare. È un principio interno che è dotato
di una forma semi cosciente di conoscenza degli organi corporei senza il quale questi non
potrebbero funzionare. Questa filosofia pensa qualcosa di molto intuitivo: come fa una
macchina complessa come è il corpo umano ad andare avanti senza che ci sia qualcuno che
lo dirige dall’interno e ne conosce i suoi meccanismi?

L’uomo si presenta come una completa descrizione della macchina umana. Il meccanismo
corporeo assicura tutte le funzioni della vita, a partire dalla circolazione del sangue, la
respirazione, il nutrimento, la digestione, l’espulsione. Il centro di questa macchina è il
cuore che ha un calore innato che serve alle sue contrazioni e dilatazioni che portano il
sangue in tutte le parti del corpo. Cartesio, insieme al medico più celebre del momento di
nome Harvey, è a favore della circolazione continua del sangue. Inoltre, il cuore grazie a
questo suo calore porta verso l’alto la parte più sottile del sangue, una materia eterea e
mobilissima che Cartesio chiama “gli spiriti animali”. Questi spiriti animali sono
importantissimi per la macchina del corpo perché dal cuore vengono spinti al cervello e dal
cervello poi irradiano nel sistema nervoso assicurando il movimento del corpo stesso. Ciò
significa che gli spiriti animali assicurano tutti i movimenti involontari e tutte le sensazioni
ed emozioni. È così che avviene il movimento e la sensazione a livello puramente
fisiologico.

Tuttavia, presto Cartesio si rende conto di aver generato un dualismo che richiede
integrazioni e chiarimenti. Infatti, se il mio corpo è una macchina, perché ho la sensazione
che il mio pensiero, la "res cogitans", sia in grado di comandare il mio corpo e che alcune
attività corporee siano volontarie e frutto della libertà? Come può il regno della pura libertà,
la "res cogitans", influenzare il regno della pura necessità, la "res extensa"?
Secondo Cartesio, il corpo e l’anima immateriale, principio del pensiero e della volontà,
sono sostanze separate. Per spiegare in che modo esista un’interazione tra di esse e in che
modo l’anima, tramite la volontà, possa guidare il corpo, egli ricorre a una ghiandola, che
nel trattato sull’Uomo chiama ghiandola H: si tratta dell’epifisi, in greco konàrion, in latino
conarium, o «ghiandola pineale», secondo la traduzione abituale utilizzata da Cartesio, per
la sua forma simile ad una pigna. A partire da alcune lettere del 1640 Cartesio la definisce
come «la sede dell’anima e il luogo dove si fanno tutti i nostri pensieri». Come abbiamo
visto, nell’Uomo Cartesio la presenta collegata al cervello da alcune piccole arterie, da cui
entrano gli spiriti animali, i quali poi fuoriescono e tramite i nervi vanno ai muscoli e alle
altre membra per dirigerne il movimento. Nel trattato Le passioni dell’anima, invece, essa
non è più collegata al cervello da arterie: galleggia nella sostanza cerebrale, e reagisce al
contatto con gli spiriti animali (che la muovono), riflettendoli verso i nervi. È tramite
l’agitazione di questa ghiandola che i movimenti del corpo si incontrano con l’anima,
generando quelle particolari percezioni che sono le passioni.

Nel Discorso sul metodo scrive che nel testo sull’Uomo:

“…mi limitai a supporre che Dio formasse il corpo di un uomo in tutto simile al nostro,
tanto nell’aspetto esteriore delle membra, quanto nella conformazione interna dei suoi
organi, non adoperando altra materia che quella dianzi descritta: e perciò non vi mettesse
dapprima nessun’anima ragionevole…”.

La ghiandola pineale, quindi, assume una funzione intermedia tra pensiero e corpo, tra "res
cogitans" e "res extensa", consentendo al pensiero di comandare sul corpo e preservando
così la libertà dell'uomo. Questo salva il concetto di libertà e rende necessaria un'etica che
orienti le nostre azioni. Nasce così l'idea di un'etica provvisoria, necessaria per guidare le
azioni umane mentre si lavora a una morale definitiva. Tuttavia, in campo morale, Cartesio
non può permettersi di sospendere il giudizio come aveva fatto nel campo della conoscenza.
Come egli stesso scrive, "e infine, così come non è sufficiente, prima di iniziare a ricostruire
la casa in cui si vive, demolirla e procurarsi materiali e architetti, o esercitarsi
nell'architettura e avere accuratamente tracciato il disegno; ma è anche necessario aver
trovato un'altra casa in cui poter vivere comodamente durante i lavori; allo stesso modo,
per non rimanere completamente indeciso nelle mie azioni mentre la ragione mi avrebbe
obbligato a esserlo nei miei giudizi, e per non impedirmi di vivere il più felicemente
possibile da quel momento, ho formulato una morale provvisoria, costituita solo da tre o
quattro massime, che desidero enunciare qui".

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