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Nella stessa collana

Henri Bergson
Sul segno. Lezioni del 1902-1903 sulla Storia dell’idea di tempo

Uwe Pörksen
Parole di plastica. La neolingua di una dittatura internazionale

Paul-Antoine Miquel
Che cos’è la vita?

Flavia Conte
L’insegnamento impossibile. Sul sapere postmoderno

Filosofia80
a cura di Daniele Poccia

Attualità di Lacan
a cura di Alex Pagliardini, Rocco Ronchi

Rocco Ronchi
Zombie Outbreak. La filosofia e i morti-viventi

Francesco Giusti
Canzonieri in morte. Per un’etica poetica del lutto

Che Vuoi
Katniss. La macchina delle emozioni

William James
Fantasmi. Scritti sulla ricerca psichica
a cura di Giacomo Foglietta

Filosofia dell’evento. L’evento della filosofia


a cura di Rocco Ronchi

L’Uno perverso. L’Uno senza l’Altro: una perversione?


a cura di Alessandra Campo

Raymond Ruyer
La superficie assoluta
a cura di Daniele Poccia

L’esperienza della tecnica


a cura di Rocco Ronchi
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Filosofia al presente

Q
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collana diretta da Rocco Ronchi
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henri bergson

PLOTINO
Corso del 1898-1899 all’École normale supérieure.

traduzione e cura di
Angela Longo

TEXTUS
EDIZIONI
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Realizzazione editoriale
Textus Edizioni

Progetto grafico
mindmade | Andrea Padovani

Consulenza editoriale
Stefania De Nardis
Valeria Celiberti

© Copyright 2019 Textus Edizioni Casa editrice


L’Aquila, via Cappadocia, 9
www.textusedizioni.it
Prima edizione ottobre 2019

ISBN 978-88-99299-32-3
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Indice

Introduzione
di Federico Leoni e Rocco Ronchi
Psyché. Bergson lettore di Plotino 11

Nota di traduzione della curatrice 35

I Vita di Plotino 37
II Opera e bibliografia di Plotino 51
III La dottrina di Plotino. Il posto che vi occupa
la teoria dell’anima 59
IV Plotino interprete di Platone 71
V L’anima del mondo 85
VI La processione dell’anima e il principio
dell’irradiazione 98
VII L’anima universale considerata in se stessa 108
VIII La caduta delle anime 122
IX Teoria della coscienza 138

Postfazione
di Angela Longo
Bergson lettore di Plotino. Il didatta, il filosofo,
lo storico della filosofia 151
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Vita di Plotino 171


Indice dei trattati plotiniani 173
Indice dei passi plotiniani citati 177
Bibliografia 181
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Plotino
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Introduzione
Psyché. Bergson lettore di Plotino
Federico Leoni e Rocco Ronchi

Punto

Immaginiamo di dover presentare didatticamente la filo-


sofia di Plotino. Cosa, meglio di un semplice punto trac-
ciato sulla lavagna, potrebbe raffigurare l’Uno da cui
procedono tutte le cose? L’Uno, nient’altro che un punto.
Avendolo tracciato ci si renderà conto, tuttavia, di aver fatto
anche altro e di aver tradito l’intuizione di Plotino. Con
quel punto abbiamo compromesso la purezza dell’Uno. In
quel grafo vengono meno molte delle ragioni che ci ave-
vano indotto a sceglierlo come immagine mediatrice:
l’inesteso si è esteso, l’indivisibile si è diviso, il semplice
si è complicato, ciò che non aveva né spazio né tempo è
divenuto un punto ‘ora’ e un punto ‘qui’. La sua sovraes-
senzialità – l’Uno è epekeina tes ousias, oltre tutto ciò che
è – è andata perduta. Certo, in quell’esilissimo segno –
nient’altro che una piccola macchia di gesso sulla lavagna
– estensione, divisibilità, complicazione, spazio-tempo,
sono ridotti al minimo. Ciononostante, per il solo fatto di
essere stato tracciato, l’Uno ha cambiato natura. O, come

11
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meglio sarebbe dire, ne ha guadagnata una, sebbene tale


guadagno di attualità si risolva di fatto in una diminuzione
reale. L’Uno, tracciandosi, ha acquisito la magica capacità
di racchiudere in se stesso la potenza di tutte le cose estese,
divisibili, complicate, che sono state, che sono, e che sa-
ranno. La sua orgogliosa sovraessenzialità si è convertita
improvvisamente in una ‘potenza di tutto’1 che non è
aVatto, a ben vedere, un’astratta ‘capacità’ ma una concre-
tissima causalità reale. È stato suYciente tracciarlo perché
il suo essere in atto sia ora la necessità di tutti i possibili
che si realizzeranno simultaneamente a lui.

Cono

Nel tratto che lo ha sfigurato dandogli una figura si fa sen-


sibile l’illimitata generatività consustanziale all’Uno ‘che
è’ (la ‘potenza di tutto’). Essa è raYgurabile facendo del
punto il vertice di un cono, il quale ora rappresenta tutto
il reale nella sua dipendenza da quel punto sorgente. Con
una metafora autorizzata da Plotino e suVragata dal com-
mento bergsoniano, possiamo allora immaginare il reale
come un immenso cono ‘dinamico’. Ciò significa che la
sua base non è data, non lo racchiude entro confini defi-
niti, ma si apre progressivamente. Le infinite sezioni del
cono, ciascuna delle quali definisce un cono nel cono,
sono le infinite ‘forme’ che popolano l’universo. Tutte
sono dunque fatte della stessa ‘materia’, tutte sono coni
dell’unico cono, ma tutte diVeriscono illimitatamente.
Non ci sono al mondo due fili d’erba identici. Il principio

1
Plotino, Enneadi, V 4, 2, 38; V 1, 7, 9-10; III 8, 10, 1; V 3, 15, 33.

12
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di indiscernibilità formalizzato da Leibniz discende dalla


continuità assoluta di quell’unico cono reale.
Una delle più diYcili tesi plotiniane – che ogni cosa
sia contemplazione2 – trova così il suo principio di intel-
ligibilità. Alla luce di questa immagine, infatti, ogni cosa
si rivela essere nient’altro che una ‘contemplazione’ del
suo punto sorgente, lo stesso per tutte, senza eccezioni.
Ogni cosa ‘qui e ora’ è un modo di ‘prendere’ il vertice del
cono da un certo punto di vista. Ogni cosa è una prospet-
tiva, ma non per questo è qualcosa di relativo, anche
quando si tratti della più folle e ingiustificata delle imma-
ginazioni. Sempre e necessariamente avremo a che fare
con una prospettiva dell’assoluto su se stesso. Bergson ha
quindi ragione ad assegnare a Plotino la paternità eVettiva
della monadologia leibniziana.3 E ha ragione a porla in
continuità con la metafisica spinoziana: perché che altro
è la relazione tra sostanza assolutamente infinita, infiniti
attributi infiniti nel loro genere, e infinità dei modi, se
non questa genesi simultanea dell’Uno e dei Molti? È la
stessa genesi simultanea che si ha, se stiamo al nostro
umilissimo esempio, tra il punto e la molteplicità infinta
delle rette che lo attraversano. Per spiegare questa simul-
taneità tra infiniti di natura diVerente, Bergson ha fatto
spesso ricorso a un’immagine alchemico-economica. Il
punto tracciato, ha detto, è una ‘moneta d’oro’. Se essa
esiste, «bisogna che esista il suo equivalente in mo-
neta».4 Si faccia attenzione all’espressione il faut. Indica

2
Plotino, Enneadi, III 8.
3
H. Bergson, Histoire de l’idée de temps. Cours au Collège de France 1902-1903,
PUF, Paris 2016, lezione del 6 maggio 1904, pp. 113-114.
4
H. Bergson, Introduction à la métaphysique, in Œuvres, PUF, Paris 1959, p.
1395.

13
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una potenza che non può non realizzarsi, una potenza che
è data solo nel suo esercizio reale. «Se essa è possibile,
essa deve esistere», aVerma altrove Bergson5 ripetendo
la formula con cui Aristotele sintetizzava e stigmatizzava
la posizione di certi filosofi socratici: otan energhe monon
dynasthai, ‘c’è potenza solo dove c’è atto’.

Simultaneità

La meravigliosa cosmogonia plotinica è sempre il risultato


di un tradimento originario. Il punto generativo, ricor-
diamolo ancora una volta, è un eVetto dell’Uno in quanto
tracciato. Il mondo è una caduta. L’Uno in sé resta infatti
sovranamente indiVerente ai destini dell’Uno divenuto
punto. L’ontologia non lo tocca. La sua implicazione nel
regno sconfinato delle cose estese, divisibili, complicate
le une nelle altre, gli è assolutamente estranea. Scende a
patti con quel regno grazie al tratto che lo insedia nell’es-
sere, essere in cui come tale l’Uno non dimora. Sulla base
di questa immagine sono così date figurativamente (e cioè
difettivamente) le tre ipostasi plotiniane: l’Uno (l’irraY-
gurabile), il Nous (il vertice del cono del reale) e l’anima
universale, cioè la generatività illimitata (che ha come sua
figura tutto il cono del reale, se si intende quel cono come
un cono dinamico, un cono che progredisce incessante-
mente, come Bergson insegna a pensare). E sono date nel
loro intreccio intemporale. Non c’è, insomma, alcun rap-

5
H. Bergson, Cours du Collège de France sur “Le traité de la réforme de l’enten-
dement humain” de Spinoza, 1911, Fond Doucet, BGN 2998 (3) e (4), Cahier 1,
p. 12.

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porto prima/dopo che le metta in successione. La proodos,


la processione dall’uno ai molti, il movimento discen-
dente dal punto alla sua complicazione, a dispetto del suo
nome è simultanea.
Certo, noi la dobbiamo raccontare disponendola nel-
l’ordine del successivo, in altri termini facendone un mito
(chiamato ‘emanazione’). Ma in sé, la proodos è estranea
al tempo, che, insieme allo spazio, è un eVetto della sua
inscrizione. Il grande mistero è la caduta, il passaggio
dall’Uno al Due. Il grande enigma è l’inscrizione del fon-
damento, inscrizione che lo rende generativo e che ne fa,
appunto, la ‘potenza di tutte le cose’. Perché mai, infatti,
l’irraYgurabile dovrebbe prendere figura? E come è pos-
sibile che questo tracciarsi dell’Uno sia simultaneo al-
l’Uno (che non è), così da dar vita all’incredibile ossimoro
di un Uno che non è, e che tuttavia simultaneamente non può
non essere? Bergson, facendo della terza ipostasi il cuore
della filosofia di Plotino, si è misurato proprio con questo
immenso problema, che è anche stato l’unico problema
della filosofia di Bergson: il problema del cambiamento
come assoluto.

Coscienza

Plotino, per Bergson, è soprattutto ‘psicologo’. Ma la sua


psicologia non è una ontologia regionale. La psicologia
plotinica è piuttosto una cosmologia, o meglio una cosmo-
gonia. Per questo Bergson elegge da subito Plotino a suo
campione e non cessa di ritornare sul suo pensiero. Ai
suoi occhi, il plotinismo riveste lo stesso ruolo arcontico
che lo spinozismo rivestiva per Hegel. Filosofare, per Ber-

15
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gson, sarà sempre ‘plotinizzare’. Per inciso, andrebbe ag-


giunto che anche spinozieren, per Bergson, è plotinizzare.
Una delle ragioni principali del fascino esercitato su Ber-
gson dalla filosofia plotinica è la sua concezione psicolo-
gica della natura. L’anima è coestensiva al reale, l’anima
è l’anima ‘del mondo’, un’immensa coscienza virtuale. È
anche la tesi bergsoniana. Sappiamo infatti che la perfetta
sinonimia di essere, durata, memoria, natura, Dio, co-
scienza, è la spina dorsale del bergsonismo.
Il lemma ‘coscienza’ fa però problema, quando lo si
retrodata a Plotino. Nel vocabolario filosofico greco, di
fatto, non esiste. Plotino stesso deve impegnarsi in un gi-
gantesco tour de force terminologico e concettuale per in-
trodurre una simile innovazione. Del resto, non ha senso
– scrive Bergson – assegnare all’anima universale i carat-
teri della coscienza nel senso moderno del termine. Per
noi moderni, coscienza è riflessione, è coscienza posizio-
nale di sé come oggetto per la coscienza. In altri termini,
coscienza è coscienza ‘desta’, coscienza ‘vigile’, apperce-
zione riflessiva, coscienza che si sa come tale mentre si
rapporta all’oggetto. L’anima universale di cui parla Plo-
tino è invece ‘inconscia’, a patto di escludere da un simile
concetto ogni accezione negativa, ogni riferimento a una
mancanza. Inconscio piuttosto significa qui presenza im-
mediata a sé, presenza a sé al netto di ogni deviazione ri-
flessiva, coscienza senza Io.
È ciò di cui abbiamo esperienza nel sogno, che difatti
in Plotino, secondo Bergson, da indice di una condizione
di falso sapere (doxa), diviene paradigma del vero e del
suo risplendere. Per indicare tale condizione di imme-
diata presenza, propria dell’anima universale (nonché
della nostra stessa anima nel momento in cui ci rivol-

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giamo al principio, ridestandoci dal cattivo sogno del sen-


sibile e iniziando quindi a sognare il sogno buono), Plo-
tino utilizza il termine synaisthesis. Si potrebbe tradurre
il termine greco con la formula latina sensus sui. Rispetto
a tale coscienza sognante e sempre in atto, la coscienza di
sé, come coscienza posizionale, è allora qualcosa di difet-
tivo, qualcosa che si produce per accidente, nel momento
in cui il sogno si rifrange su di uno specchio che gli rinvia
un’immagine fittizia (phantasia). Scrive Bergson:

In altre parole non vi è coscienza [ovvero coscienza vi-


gile, desta, intenzionale, nota nostra] che là dove ci sia
una diminuzione del Nous, un andare avanti che testi-
monia una decadenza, dove c’è azione e indebolimento
del contemplare [ovvero del sognare fondamentale, del
sognare ‘buono’ di cui prima, nota nostra]. La coscienza
si produce in seguito a una caduta: fintanto che essa è
pensiero puro, l’anima non è cosciente.6

Passaggio

Proviamo ora a chiarire la funzione che l’anima svolge nel


sistema di Plotino. Bergson ritiene che essa sia ‘il centro
di tale filosofia’7 e ad essa riserva nel Cours tutta la sua at-
tenzione. La ragione di tale privilegio è presto detta.
L’anima è la chiave di volta del sistema perché razionalizza
l’arcano di Platone. Bergson chiama questo arcano il ‘pas-
saggio’. Bergson si riferisce evidentemente alle aporie

6
Cfr. infra, pp. 114.
7
Cfr. infra, Lezione III.

17
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della dottrina platonica della metessi e al carattere irra-


zionale che nella dottrina platonica continua ad aZiggere
il processo che va dall’Uno ai Molti, dall’Idea alla cosa. Te-
stimone di questa perdurante irrazionalità è il ricorso da
parte di Platone, nell’ora topica in cui si tratta di rendere
conto di quel processo, alle immagini del mito. È su que-
sto punto che Plotino segna un progresso, come aVerma
Bergson. «Ciò che appartiene a Plotino», scrive, «è il
passaggio, lo sforzo per aVrancarsi dal dualismo latente
dei suoi predecessori».8
Plotino è il filosofo che, introducendo la terza ipostasi,
eleva il passaggio ad assoluto, trasformando con un colpo
di bacchetta magica il problema degli antichi – come è
possibile il passaggio? – nella soluzione – il passaggio è
ora l’assoluto; a dover essere spiegati sono gli estremi del
passaggio, non la sua sostanza sfuggente e intermedia. È
questa mossa, agli occhi di Bergson, a fare di Plotino tanto
il filosofo ‘greco’ per eccellenza, perché capace di rispon-
dere al grande e unico problema irrisolto della metafisica,
quanto il filosofo ‘contemporaneo’, il filosofo che mira a
pensare il processo, come poteva esserlo il suo grande e
rispettato contemporaneo, Alfred North Whitehead. Bi-
sogna però intendersi su questo processo, su questo pas-
saggio che accomuna e l’anima universale e le anime
particolari. Molti sono infatti gli equivoci che a questo
proposito si devono dissipare. Il più grave è la sua assi-
milazione a ciò che la metafisica ha sempre inteso con il
termine ‘divenire’.

8
Ibidem.

18
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Anima

L’anima è presentata da Plotino come ‘mescolanza’. È


‘idea al suo vertice, logos nel mezzo, forma e persino ma-
teria alla base’.9 L’anima, cioè, è coestensiva al processo.
È il ‘veicolo’ delle idee. L’anima non è tuttavia la media-
trice, non occupa il posto del terzo, del ponte necessario
tra i due estremi. Non spiega semplicemente il passaggio
dall’Uno ai Molti, piuttosto è l’attuosità di quel passaggio,
è il farsi cosa dell’idea. L’anima è, insomma, la continuità
del processo (proodos), rispetto al quale i termini della re-
lazione impossibile (Uno e Molti, per semplificare) si di-
spongono come gli estremi di una variazione continua
(per eccesso: l’Uno del Nous; e per difetto: i Molti della
materia). «Eccoci», aVerma Bergson, «fra l’infinito che
è meno che essere e l’infinito più che essere. È tra questi
due infiniti che è tesa la catena delle esistenze».10
Non abbiamo un intelligibile e un sensibile che si me-
diano faticosamente tra loro per produrre una determi-
nazione. All’origine della percezione, direbbe lo
‘psicologo’ Bergson, non ci sono ricordi e sensazioni che
entrano in rapporto per generare la percezione stessa. Il
dato immediato è di altra natura. Solo quando viene guar-
dato con gli occhi di un intelletto astratto, quando il
dramma dell’individuazione si è interamente consumato,
quel dato immediato apparirà come una mescolanza o una
coalescenza fra ‘termini’ eterogenei. Se intuito simpate-
ticamente, se accompagnato nel suo farsi, il dato imme-

9
Ibidem.
10
Ibidem.

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diato è un continuo, è un ‘passaggio dall’uno all’altro’.11


Strano processo che non avviene, come nel caso classico
del ‘divenire’, all’interno di uno stesso genere, per diVe-
renze di grado che mantengono invariata l’unità del sog-
getto-sostrato facendolo tutt’al più oscillare da contrario
a contrario (i contrari sono l’opposizione massima all’in-
terno di un genere comune). Esso ha luogo invece per dif-
ferenze di natura, varcando cioè continuamente la soglia dei
generi: come se il trascendentale generasse l’empirico, che
è toto genere diVerente da lui; come se l’intelligibile, invece
di mediarsi con il sensibile, che si dovrebbe presupporre
come dato, lo producesse a partire da sé come il suo altro;
e come se ciò avvenisse proprio in forza della diVerenza di
natura del trascendentale dall’empirico, dell’intelligibile
dal sensibile, del ricordo dalla sensazione.
È questa continuità nella diVerenza (di natura) e grazie
alla diVerenza (di natura) la scoperta plotinica che abba-
glia Bergson, il grande filosofo della durata. Ed è questa
continuità nella diVerenza e grazie alla diVerenza a per-
mettere a Bergson di enucleare in Plotino un modello di
causalità originale, la causalità ‘unilaterale’, capace di
spiegare tanto la metafisica degli antichi quanto quella dei
moderni, nonché la stessa metafisica della durata crea-
trice, la cui caratteristica fondamentale, ricordiamolo, è
la medesima della terza ipostasi plotinica, oggetto del
Cours. Siamo cioè di fronte a un indivisibile che, restando
indivisibile, non cessa di dividersi cambiando natura
(eterogeneità), o se si preferisce, a un indivisibile che
‘cambia’ proprio in forza della sua semplicità. L’eteroge-
neità della durata (durare significa cambiare, significa

11
Ibidem.

20
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complicarsi) già nell’Essai veniva infatti presentata come


‘un atto semplice e indivisibile’.12 Dovendola raYgurare,
è ancora all’immaginario plotinico che Bergson si rivolge.
Il cono del reale che illustra la generatività dell’anima plo-
tinica è infatti lo stesso cono che Bergson impiega per
suggerire la struttura della durata-memoria-coscienza.13

Processo

La parola ‘processo’ acquisisce così una più precisa con-


notazione. Il ‘passaggio dall’uno all’altro’ non è il transito
di qualcosa di precostituito, ma la reale causazione, la
creazione di qualcosa che non esisteva al di fuori di quel
passaggio. Ricapitolando la prima parte del suo Cours,
Bergson scrive: «Personalmente, suppongo che nella
mente di Plotino vi sia una certa esperienza che gli per-
mise di cogliere sul vivo, di concepire, da un lato il sensi-
bile e, dall’altro, l’intelligibile, e il passaggio dall’uno
all’altro, che gli mostrò allo stesso tempo ‘l’anima in stato
di veglia’ e ‘l’anima che sogna’, e che gli provò che la veglia
esiste per il sogno, ma non il sogno per la veglia».14 Fa-
cendo della veglia, normalmente considerata lo stato di
default della coscienza, il generato dal sogno, normal-
mente considerato l’eccezione che deve essere spiegata,
e assolvendo, al tempo stesso, la causa (il sogno) dal-
l’onere di ogni rapporto con l’eVetto (la veglia, dice Ber-

12
H. Bergson, Essai sur les données immédiates de la conscience, in Œuvres,
cit., p. 75.
13
Cfr. infra, Lezione III; cfr. H. Bergson, Matière et mémoire, in Œuvres, cit.,
p. 293.
14
Cfr. infra, Lezione IV.

21
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gson, esiste per il sogno, non il sogno per la veglia), ecco


che Bergson enuncia il modo in cui si produce la realtà
coestensiva all’anima. C’è un unico sogno che non cessa
di sognarsi. Quel sogno è il grande cono dinamico del
reale. E ci sono le infinite veglie, tutte diVerenti fra loro,
come altrettanti coni nel cono, come altrettante realizza-
zioni del suo vertice. L’intelletto astratto si sforza di ri-
comporre il cono-sogno assommando questi stati,
considerandoli come i soli elementi di cui è fatta la realtà.
Esso spiega appunto il sogno a partire dalla veglia. Plotino
formula l’ipotesi opposta. Reale è il sogno, astratti sono
gli stati vigili, che si ottengono dal sogno per diminuzione,
come parziali e prospettiche contemplazioni del sogno
che non smette di sognare nient’altro che se stesso. Tutte
le esistenze vigili, tutte le coscienze soggettive sono perciò
fatte realmente della materia dei sogni, come recita il
verso di Shakespeare. Ma quel verso non è una metafora,
è una descrizione letterale del funzionamento di quella
peculiarissima forma di causalità che Plotino riconosce
all’opera nel processo. Il sogno causa quelle coscienze
come la moneta d’oro implica immediatamente la grande
massa circolante della moneta spicciola, la quale, nel-
l’economia classica, aveva il suo fondamento nella riserva
aurea detenuta dalle banche centrali dei vari Stati. Ber-
gson chiama ‘unilaterale’ questa forma di causalità e,
come si diceva, anticipa così le letture che i moderni in-
terpreti di Plotino daranno della sua concezione dell’ener-
gheia: essa è simul atto e potenza di tutte le cose.15

15
Cfr. E.K. Emilsson, Plotinus on Intellect, Clarendon Press, Oxford 2007;
R. Chiaradonna, Sostanza movimento analogia. Plotino critico di Aristotele, Bi-
bliopolis, Napoli 2002.

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Trascendentale

Quanto detto funziona sulla base di una presupposizione


che va esplicitata. Se l’Uno è, dicevamo, i Molti sono im-
mediatamente. Se il sogno continua a sognarsi senza che
vi sia mai risveglio (non ci può essere un fuori dal sogno,
come non ci può essere un altro dall’Uno), tutte le co-
scienze deste sono date come contemplazioni immedia-
tamente generate da esso. Sono, se si vuole giocare con le
immagini, sogni del sogno, onde del suo mare eterna-
mente agitato, pieghe del suo tessuto infinitamente ripie-
gatesi. Ma, appunto, tutto questo funziona se l’Uno è.
Senza tale essere, la conversione immediata dell’Uno nei
Molti non avrebbe luogo. Nessun passaggio avverrebbe
mai dall’uno all’altro estremo del cono.
È la stessa situazione ‘didattica’ da cui siamo partiti.
Per illustrare il sistema di Plotino, vale a dire la proces-
sione delle ipostasi, non si era infatti stabilito di tracciare
un punto sulla lavagna? Da lì si doveva partire per com-
prendere la coestensione dell’anima al reale. Senza pas-
sare per quel minimo tratto di scrittura, senza
sperimentare gli eVetti della sua inevitabile alienazione
grafica, l’intero edificio sarebbe crollato. Per i neoplato-
nici lo ‘stato’ dell’Uno è quello descritto per via apofatica
nella prima tesi della prima ipotesi del Parmenide. Senza
questa strana aggiunta/diminuzione dell’essere, il Nous se
ne starebbe in perfetta solitudine, isolato in una condi-
zione di neutralità assoluta. Abbiamo poi visto, seguendo
Bergson, che l’anima universale è il cono stesso del reale
colto nel suo aspetto dinamico – ovvero nella sua causalità
unilaterale – e che l’anima, terza ipostasi del sistema, è in
realtà il cuore della filosofia di Plotino.

23
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Possiamo ora comprendere perché proprio rivolgen-


dosi all’anima, proprio facendo della ‘psicologia’ anziché
della metafisica propriamente detta ‘il centro della sua fi-
losofia’, Bergson all’inizio del Novecento intraprenda il
suo ritorno a Plotino. Tale ritorno è orientato dal motivo
specificatamente moderno del trascendentale, che da
Kant in poi costituisce il principio stesso della soggetti-
vità. Per i moderni l’anima infatti non è solo il reale, ma
è al tempo stesso il trascendentale del reale, la sua condi-
zione di possibilità. L’anima è, insomma, il processo e la
condizione del processo. Per questo la terza ipostasi è, sì,
terza nell’ordine dell’esposizione (‘rispetto a noi’), ma
occupa secondo Bergson il centro del sistema (è prima
‘per natura’). L’anima è coestesa al reale perché è l’acca-
dere del reale, è il suo aver luogo, è la sua Wirklichkeit, la
sua ‘eVettività’. Di quell’eVettività, è testimone il trac-
ciarsi del punto sulla lavagna, molto più che il punto trac-
ciato. L’anima è il gesto istituente. Una siVatta
interpretazione psicologica del sistema di Plotino è in de-
bito evidente con la moderna metafisica della soggettività.
Dopotutto, Bergson, attraverso Plotino, sta aVermando
che il reale si dà solo quando un’anima si intuisce come
fondamento del reale. Ma allora, ci si potrebbe chiedere,
una lettura di questo genere non produce un’indebita e
anacronistica soggettivizzazione dell’Uno, non riveste ap-
punto il Nous dei panni di quella coscienza e di quella tra-
scendentalità che erano del tutto estranee allo spirito
greco?

24
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Autocoscienza

Proprio per questo la seconda grande questione che Ber-


gson pone nel suo commento è la seguente: l’anima è co-
sciente?16 O in altri termini, che genere di coscienza è
quella coscienza che sembra doversi porre a fondamento di
tutto e dal quale tutto parrebbe generarsi simultanea-
mente?
La risposta di Bergson è nettamente negativa. L’anima
non è cosciente. Oppure, se vogliamo mantenere il termine
di coscienza, dobbiamo dire che la coscienza di cui stiamo
parlando non è però coscienza riflessiva, non è autoco-
scienza. Lo diviene, e lo diviene necessariamente, senza
tuttavia cessare un solo istante di abitare quei suoi eVetti
di riflessione come un nocciolo perfettamente irriflesso. È
solo restando testardamente inconscia, che l’anima incon-
tra se stessa e si produce come un’immagine di sé, come
una riflessione o un’autocoscienza. Anzitutto, l’anima è
qualcosa come un’immagine in sé, un’immagine che senza
smettere di essere immagine è tuttavia immediata, imma-
gine di nulla se non di se stessa. È ciò che Bergson mette in
valore del testo di Plotino, mostrando che per Plotino l’au-
tocoscienza è sempre un risultato e non un presupposto.
Perché l’anima diventi cosciente bisogna che essa si veda
in uno specchio. Bisogna che si incontri con se stessa dopo
essersi depositata su di un supporto, si scriva su una super-
ficie in cui soltanto arriverà infine a leggersi e a sapersi. Per
questo per Plotino è tanto importante introdurre nel suo
sistema un principio materiale, un principio negativo, che
faccia da contraltare alla purezza e alla concentrazione del

16
Cfr. infra, Lezione VII.

25
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Nous in se stesso. È nello specchio della materia, che il Nous


si individua, si singolarizza, e che individuandosi e singo-
larizzandosi si riflette su di sé, facendosi autocoscienza. E
in Plotino la materia funziona sempre come specchio, in-
tanto che lo specchio funziona sempre come un richiamo
mortifero. Il mito di Narciso presiede a tutta l’interpreta-
zione plotinica della nascita dell’autocoscienza e al movi-
mento che porta una coscienza in linea di principio infinita
e incosciente a divenire coscienza finita e perciò autoco-
sciente. Per sapere di sé, pensa in sostanza Plotino, bisogna
specchiarsi nelle acque che attrassero Narciso, e infine bi-
sogna precipitarvi.17

Materia

Tuttavia la soluzione plotinica va intesa a fondo, secondo


Bergson. Essa sembra infatti supporre, all’origine, quel
dualismo (il Nous versus la materia; l’Uno versus i molti) che
invece si trattava di spiegare e di osservare nella sua genesi.
La lettura bergsoniana di Plotino risolve questa diYcoltà
insistendo sul carattere esteso dell’anima, sulla sua coe-
stensione al reale. L’anima è ovunque, come una sorta di
superficie infinita, che quando si muove incontra non qual-
cosa d’altro ma se stessa, e incontrandosi con se stessa si fa
sia superficie su cui il suo movimento si scrive, sia scrittura
che vi si deposita. Ovunque l’anima incontra se stessa, di-
venendo in quell’incontro propriamente autocosciente e

17
Cfr. Enneadi, IV 3, cap. 12; III 6, cap. 7 e cap. 14. Su questo concatena-
mento di immagini plotiniane, cfr. P. Hadot, Le mythe de Narcisse et son inter-
prétation par Plotin, in Id., Plotin, Porphyre. Études néoplatoniciennes, Les Belles
Lettres, Paris 1999, pp. 226-266.

26
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‘una’ e simultaneamente incosciente e ‘molteplice’. Ovun-


que il reale si fa supporto di sé e si fa immagine di sé, da un
lato precipitando in se stesso come molteplice, e simulta-
neamente risalendo verso se stesso come Uno. È la solu-
zione, rigorosamente plotinica, che Bergson adotta in
Materia e memoria, quando dà della materia la celebre de-
finizione di ‘insieme delle immagini in sé’.18
Fiumi d’inchiostro sono stati versati su questa mezza
riga di testo. Limitiamoci a sottolineare l’elemento più tra-
scurato di questa mezza riga: ‘l’insieme’. La diYcoltà della
definizione bergsoniana sta, molto più che nella nozione
paradossale di un’immagine che non è immagine di nulla
eppure continua a essere immagine, nel termine ‘insieme’
che suggerisce immediatamente l’impressione che le im-
magini in sé stiano l’una accanto all’altra, e che stando l’una
accanto all’altra formino appunto un insieme. In eVetti le
immagini in sé non stanno mai l’una accanto all’altra, pur
essendo innumerevoli e anzi infinite. Le immagini in sé
sono esseri risolutamente singolari, ciascuno dei quali
comprende in sé tutti gli altri implicandone la folla nella
stoVa ripiegata della propria perfetta solitudine. Ma se è
così, l’insieme delle immagini in sé è un insieme parados-
sale, una monadologia di partes intra partes ciascuna delle
quali cattura tutte le altre nella propria prospettiva, che è
quanto dire che le ha tutte dentro di sé, – anche se non
come sé ma come intima alterità. La dimensione di questa
materia bergsoniana non è quella, insiemistica, dello spazio
euclideo, che è il solo spazio in cui si possa concepire un

18
H. Bergson, Matière et mémoire, in Œuvres, cit., p. 162 («une image, mais
une image qui existe en soi»); p. 170 («cet ensemble d’images que j’appelle
l’univers»).

27
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insieme tradizionale, al quale sembra somigliare l’insieme


bergsoniano delle immagini in sé. Un insieme di questo
genere è un perimetro dentro il quale troviamo raccolte
cose di natura necessariamente diVerente dal tratto di cui
è fatto il disegno di quel perimetro. Come se nel quaderno
di un alunno, il segno grigio della matita racchiudesse nel
suo campo dodici mele rosse. Non è questo genere di in-
sieme, a poter supportare l’intuizione bergsoniana. La sua
dimensione specifica è piuttosto quella di uno spazio di in-
viluppo, di una superficie che si avvolge in se stessa avvol-
gendo in se stessa infinite altre superfici che divengono
quelle infinite altre superfici proprio in quanto vengono
avvolte in essa. In quest’altro quaderno che dobbiamo im-
maginare, un quaderno che ha qualcosa di magico come del
resto ha qualcosa di magico l’intuizione plotinico-bergso-
niana, il tratto di matita è fatto di mele, e le mele sono fatte
di matita. O meglio, ciò che accade nel tracciarsi di quel-
l’insieme, che è evidentemente tutt’altra cosa dall’insieme
già tracciato, è la diVrazione simmetrica e simultanea di un
essere intermedio, mela e matita insieme, un essere ogni
volta unico nell’infinità delle sue occorrenze, che proprio
qui diverge nella doppia direzione di ciò che diventerà ‘un’
perimetro grigio (l’Uno, l’autocoscienza) e di ciò che di-
venterà ‘una molteplicità’ di mele rosse (i molti, le co-
scienze, o le cose di cui le coscienze sono coscienze).

Monade

Questa singolare insiemistica, che non suppone superfici


piane e delimitate da perimetri lineari, ma qualcosa come
dei vortici di vortici, è ciò che Leibniz, nel solco di una tra-

28
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dizione rigorosamente plotinica, chiamerà ‘monadologia’.


Ogni monade leibniziana esprime l’intero universo, cioè
l’intero insieme delle monadi, nella propria prospettiva;
non però come qualcosa di visto e fotografato a distanza,
dato che Leibniz pone che l’universo sia nella prospettiva
di ogni monade; piuttosto come qualcosa di sentito e gene-
rato intimamente, intanto che è sentito e generato intima-
mente da ogni altra monade:

E così come una medesima città, se guardata da punti


di vista diVerenti, appare sempre diversa ed è come mol-
tiplicata prospetticamente, allo stesso modo per via della
moltitudine infinita delle sostanze semplici ci sono come
altrettanti universi diVerenti, i quali tuttavia sono sol-
tanto le prospettive di un unico universo secondo il di-
Verente punto di vista di ciascuna monade.19

È ciò che nel suo gergo Leibniz chiama ‘espressione’. Ecco


spiegato l’enigma delle ‘immagini in sé’, di cui la materia
bergsoniana sarebbe l’insieme. Un’immagine in sé è sem-
plicemente il momento della messa in immagine, da parte
di una monade, dell’intero universo, o della messa in im-
magine, da parte di un qualsiasi evento, di ogni altro evento
dell’universo. Qualcosa accade, e cattura nel vortice del
proprio accadere ogni altro accadere, intanto che è cattu-
rato da ogni altro accadere nel suo vortice. Ogni monade è
un’immagine in sé, ed è ogni volta l’unica immagine che ha
tutte le altre dentro di sé. In questo senso, non tanto l’uni-
verso è l’insieme delle monadi, ma ogni monade è l’in-
sieme delle immagini in sé: ovvero ha dentro di sé tutte le

19
G.W. Leibniz, Monadologia, tr. it. Bompiani, Milano 2001, § 57, p. 85.

29
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immagini in quanto immagini per lei, pur non smettendo


quelle immagini per lei di essere simultaneamente cia-
scuna la sola immagine in sé che ha dentro di sé tutte le altre
come immagini per lei, compresa l’immagine in sé da cui
partivamo. Non è un caso, probabilmente, che la peculiare
diYcoltà di questa insiemistica, impossibile a dirsi se non
attraverso continue circonlocuzioni di linguaggio e impos-
sibile a disegnarsi a meno di non tracciare immagini che
valgono tutt’al più a suggerire il punto in cui esse si stanno
facendo immagine, spinga Leibniz a evocare, al cuore della
Monadologia, un’espressione ippocratica che sembra ap-
partenere a tutt’altro ordine e scavalcare ogni diYcoltà di
parola e di disegno: sympnoia panta, ‘tutto cospira’.20

Pneuma

Possiamo, a questo punto, situare con esattezza il Cours di


Bergson su Plotino nell’insieme della strategia bergsoniana
e Bergson stesso nel percorso della filosofia moderna e
contemporanea. La sentenza che dice ‘sympnoia panta’ dice
plotinicamente che l’universo è l’insieme delle anime, cioè
che l’universo si risolve nel suo emergere-sprofondare in
ogni punto dal sonno verso la veglia e dalla veglia verso il
sonno. La parola psyché, che etimologicamente non indica
una coscienza ma un soYo, oVre perciò il modello più pre-
ciso per questa nuova ontologia che non è tale, che è più
esattamente una pneumatologia, o come siamo abituati a
dire in termini moderni, una psicologia. Questo soYo dice
il momento in cui i contorni smettono di circoscrivere le

20
Ivi, § 61, p. 87.

30
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cose, le linee smettono di disegnare insiemi di cose che vi


sarebbero racchiuse e che sarebbero quelle cose indipen-
dentemente dal fatto di esservi racchiuse, e prendono ad
attraversare le cose ripartendole in modi sempre nuovi, a
serpeggiare tra le cose generando insiemi inediti di cose
inedite. Se ‘lo spirito soYa dove vuole’, come recita il passo
evangelico,21 è appunto perché l’insiemistica di cui è em-
blema questo genere di linea serpeggiante è l’insiemistica
paradossale di una pneumatologia, di un plotinismo in cui
la terza ipostasi è diventata l’ipostasi più importante, l’ipo-
stasi sopra la quale e sotto la quale, anzi, non ce ne sono
altre. Lo spirito non è mediazione tra estremi ma media-
zione assoluta. Lo spirito è immagine, ma immagine in sé.
È questo ‘spiritualismo’, lo spiritualismo che sempre viene
ricordato essere la cornice dell’avventura speculativa ber-
gsoniana. È nella cornice di questo spiritualismo assoluta-
mente originale e insieme estremamente ‘antico’, che va
collocato il suo sforzo di storico della filosofia antica come
il suo impegno di pensatore contemporaneo.

Immagine

Che, infatti, nel corso della modernità, la logica leibniziana


dell’espressione declini rapidamente in una logica kantiana
della rappresentazione, si deve al fatto che Kant sceglie di
circoscrivere a un punto soltanto il ‘monadare’ che Leibniz
concedeva a ogni essere e anzi in cui risolveva ogni essere.
Nella visione di Kant, non ogni essere poteva ‘mona-
dare’, cioè mettere in immagine altre immagini o tutte le

21
Gv 3,8.

31
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altre immagini, ma un essere soltanto, quella monade pri-


vilegiata perché umana, che in Kant prende il nome di ‘io
penso’. Così, ciò che in Leibniz era eVettivamente una
pneumatologia, cioè una psicologia intesa come scienza
della messa in immagine di qualunque sostanza da parte di
qualunque sostanza, diventa in Kant una psicologia in senso
ridotto e propriamente moderno; diventa cioè analitica
delle facoltà umane, trascendentalizzazione di un solo es-
sere empirico, riduzione di tutto l’empirico a immagine di
un solo trascendentale. È il programma della Critica della
ragion pura. L’immagine stessa, da questione cosmologica,
diviene in ultima analisi questione psicologica, unico di-
spositivo interiore attraverso cui mettere in prospettiva
l’unico universo esteriore, anziché struttura dell’accadere
del reale e struttura coestensiva all’insieme paradossale dei
punti del reale.
È quanto ci consente di comprendere con esattezza, di
converso, le ragioni della costante polemica di Bergson
contro Kant,22 così come le ragioni del suo altrettanto co-
stante dialogo con Leibniz.23 In entrambi i casi si tratta per
Bergson di difendere la prospettiva di un monismo fonda-
mentale, un monismo il cui alfiere è esattamente il Plotino
di questo corso, il pensatore dell’anima coestesa al reale.
Attraverso Plotino, Bergson può fondare un suo peculiare
monismo: monismo non della materia ma delle immagini,
che in un certo senso valgono per Bergson come la ‘vera’

22
Cfr. per esempio la dichiarazione quasi programmatica nell’Introdu-
zione dell’Evoluzione creatrice, in Œuvres, cit., p. 492.
23
Dal corso giovanile che Bergson dedica all’opuscolo leibniziano De rerum
originatione radicali (ora in Annales bergsoniennes, vol. III, PUF, Paris 2007) a
un testo degli ultimi anni come Il possibile e il reale, tutto intessuto di rimandi a
Leibniz (Le possible et le réel, in Œuvres, cit., pp. 1331-1345).

32
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materia contro la materia del materialismo che altri chia-


mavano ‘volgare’. Vera e propria materia dell’universo è
solo questa diafana, ventosa sostanza immaginale, che fa sì
che ogni cosa si muti in ogni cosa o che, più semplicemente,
‘è’ il fatto che ogni cosa è ogni altra cosa in una singolare
prospettiva. Infinite eppure ogni volta uniche, infinita-
mente comunicanti le une con le altre eppure ogni volta as-
solutamente solitarie, queste immagini o per meglio dire
questa immagine è la soglia sulla quale l’universo accade
continuamente ed è continuamente già accaduto, si mette
continuamente in immagine di sé e si scopre continua-
mente, a partire da lì, già immaginato.

Ragione

Non è senza motivo, naturalmente, che Kant prende questa


strada. Kant vuole fondare la ragione umana difendendola
dall’ipotesi propriamente folle di un cosmo leibniziano che
si interpreta da ogni luogo e che fa proliferare le ragioni di
ogni cosa riconoscendo in ogni cosa una ragione esatta-
mente equivalente a ogni altra ragione (è per questa via che
si va, in Leibniz, dal principio degli indiscernibili al prin-
cipio di ragione). I sogni deliranti di Swedenborg, il mistico
svedese che Kant combatte in un celebre scritto che è un
vero e proprio manifesto del suo criticismo,24 sono infatti
una forma non di psicosi, non di delirio sregolato e insen-
sato, ma di regolatissimo razionalismo, di iperrazionalismo
letteralmente leibniziano.

24
I. Kant, I sogni di un visionario, chiariti con i sogni della metafisica, tr. it.
Rizzoli, Milano 1982.

33
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Che ogni cosa abbia una ragione significa infatti che


ogni cosa sia il principio di una messa in immagine inte-
grale del cosmo a partire da sé, e che ogni cosa dia ragione
di sé attraverso l’universo che essa stessa ha messo in im-
magine a partire da sé e come immagine di sé. L’umanismo
di Kant deve per forza di cose ridurre il sogno di questo
iperrazionalismo onnidirezionale, se vuole mettere l’uomo
al centro dell’universo e fondare la ragione come autonoma
ragione umana. L’anima, in altri termini, non deve essere
coestensiva al reale, a meno di non esporsi al pericolo che
– intanto che l’uomo giudica la natura facendone un pro-
prio oggetto – anche il filo d’erba esprima l’uomo facen-
done un oggetto tutto suo, e altrettanto ‘vero’. Il criticismo
kantiano richiede che la terza ipostasi di Plotino torni a es-
sere la terza ipostasi, che l’Uno torni a essere saldamente
al vertice della gerarchia, che la verità sia unica anche se in-
finitamente rinviata in avanti o all’indietro. Nei termini del
Cours di Bergson, bisogna che Plotino regredisca verso Pla-
tone, che lo sforzo di razionalizzazione che il plotinismo
svolge rispetto al perdurante dualismo platonico tra sensi-
bile e soprasensibile retroceda di fronte alla necessità
‘ideologica’ del dualismo e di istituire un punto di vista pri-
vilegiato sull’universo, che dica una volta per tutte la verità
dell’universo, genitivo esclusivamente oggettivo.
Pensare invece una verità dell’universo, una ragione
dell’universo, genitivo rigorosamente soggettivo, è il com-
pito che Bergson riassegna alla filosofia attraverso Plotino
e attraverso la specifica lettura di Plotino che aYda a questo
corso di lezioni.

34
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Nota di traduzione della curatrice

La traduzione italiana che di seguito presentiamo è la prima


in tale lingua e si basa sul testo originale francese pubbli-
cato in: Henri Bergson, Cours IV. Cours sur la philosophie grec-
que, édité par Henri Hude. Contributions de Françoise
Vinel, PUF (Epimethée), Paris 2000, pp. 17-75.
Rispetto al testo pubblicato in francese e accompagnato
da note a opera del curatore Hude sono state significativa-
mente aumentate le note sui testi di Plotino menzionati o
citati da Bergson e, seppure molto sobriamente, sono stati
indicati i punti sia di convergenza sia di diVerenza dell’ap-
proccio bergsoniano rispetto agli odierni studi plotiniani.
Inoltre, per facilitare il reperimento dei testi plotiniani,
si è adottata sempre un’indicazione completa di essi, com-
prendente l’ordine del trattato all’interno delle Enneadi, la
sua collocazione cronologica tra parentesi quadre, il titolo
del trattato, l’indicazione del capitolo e anche delle linee
(la lineazione è generalmente assente nelle note del cura-
tore francese), per esempio: Enneade IV 8 [6] Sulla discesa
dell’anima nei corpi, cap. 1, 1-11.

35
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Tra parentesi uncinate è invece indicato il numero di


pagina nel manoscritto francese, ad esempio p. <7>. Con
[N.d.C.] si intende una nota del curatore dell’edizione francese
H. Hude. Tra pantesi quadre nella traduzione italiana sono in-
dicati completamenti che rendono più chiara la lettura del testo.
Si è voluto mantenere in italiano lo stile delle lezioni orali te-
nute da H. Bergson. Dopo la traduzione è fornita la lista dei
trattati secondo l’ordine tematico dell’edizione di Porfi-
rio, mentre tra parentesi quadre è indicata la loro collo-
cazione cronologica.
Ivi inoltre è stato approntato un indice dei passi plo-
tiniani menzionati o citati.
Ci tengo a ringraziare il Dott. Davide Del Forno per
aver riletto la mia traduzione dal francese all’italiano non-
ché il collega e amico Rocco Ronchi con cui abbiamo or-
ganizzato il Convegno internazionale Bergson e Plotino: Che
cos’è il vivente e che cos’è l’essere umano?, tenutosi presso
l’Università dell’Aquila il 29-30 aprile 2015 e che si è ri-
velato fonte d’ispirazione per il presente lavoro.

Angela Longo

36
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Corso su Plotino1

<1>
I – Vita di Plotino

Plotino è un Greco, ispirato solo dai Greci.2 Vale la pena


verificare se lo studio della sua vita confermi questa im-
pressione, che si ricava dalla lettura dei suoi scritti.
1
Per la possibile datazione di tale corso di H. Bergson si veda la nota 310
all’inizio della Postfazione.
2
Si tratta di un punto su cui Bergson ha avuto esitazioni. Il corso di Cler-
mont-Ferrand, vol, IV, p. 147, opta per l’influenza del cristianesimo; il corso al
Liceo Henri IV, p. 146, ms. pp. 192-117, opta piuttosto per l’influenza del giu-
daismo; questo corso all’École normale supérieure sostiene al contrario la tesi
dell’autarchia ellenica; l’ultima posizione di Bergson su tale punto si trova ne
Le due fonti della morale e della religione, p. 1161: «La filosofia di Plotino, alla
quale questo sviluppo perviene, e che deve tanto ad Aristotele quanto a Platone,
è incontestabilmente mistica. Se essa ha subito l’influenza della filosofia orien-
tale, molto vivace nel mondo alessandrino, fu all’insaputa di Plotino stesso, che
ha creduto di non fare altro che condensare tutta la filosofia greca, per opporla
proprio alle dottrine straniere» [NdC]. Qui e altrove traduciamo, segnalandole,
delle note del curatore riguardanti Bergson, poiché in esse sono messi in luce
i punti in comune tra la dottrina personale del filosofo francese e i suoi corsi.
H. Hude cita dalle Œuvres di Bergson in originale francese quali sono state pub-
blicate nell’Édition du Centenaire, PUF, Paris 1959. Di H. Hude si veda anche:
Les cours de Bergson, in Bergson. Naissance d’une philosophie. Actes du colloque
de Clermont-Ferrand 17 et 18 novembre 1989, PUF, Paris 1990, pp. 23-42.

37
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La fonte pressoché unica è la Vita di Plotino di Porfirio.3


Ad essa bisogna aggiungere alcune informazioni, molto
succinte, di Eunapio: Vite dei sofisti (ed. Boissonade,
1824),4 qualche cenno in Eudosso.5 Le informazioni for-
nite da Porfirio devono essere prese per buone, tranne
per la loro espressione esagerata. Infatti, in quel periodo,
si esagerava nell’uso di epiteti che esprimevano ammira-
zione, e Plotino esercitava fascino su quanti lo circonda-
vano.
Il nome di Plotino è latino: egli appartiene senza dub-
bio a una famiglia romana stabilitasi in Egitto. Dovette
nascere nel 209 d.C.6 Sprezzante degli aspetti materiali
dell’esistenza, non volle parlare della sua nascita né della
sua famiglia né della sua patria, e non permetteva nem-

3
Ricordiamo che la Vita di Plotino precede i suoi trattati nell’edizione curata
da Porfirio, com’era uso nell’antichità di far precedere una biografia dell’autore
al testo delle sue opere.
4
Eunapio è un autore che visse tra la metà del IV sec. d.C. e l’inizio del V.
Egli menziona sei volte Plotino, soprattutto in relazione a Porfirio, cfr. Eunape
De Sardes, Vies de philosophes et de sophistes, éd. par R. Goulet, tom. II, Les Belles
Lettres, Paris 2014, p. 6, 4-10; p. 8, 2 e 17; p. 9, 11 e 13.
5
Contrariamente a quanto indicato dal curatore, non può trattarsi di Eu-
dosso di Cnido, astronomo che visse molti secoli prima di Plotino (ovvero nel
IV sec. a.C.). Non c’è, a mia conoscenza, un Eudosso a cui potrebbe riferirsi qui
Bergson.
6
In realtà ora si colloca l’anno di nascita di Plotino al 205 d.C. in confor-
mità agli studi più dettagliati e recenti circa la cronologia della vita e delle opere
di Plotino, per cui si vedano R. Goulet, Le systhème chronologique de la “Vie de
Plotin”, in Porphyre, La Vie de Plotin. Travaux préliminaires et index grec com-
plet par L. Brisson, M.-O. Goulet-Cazé, R. Goulet, D. O’ Brien, tom. I, Vrin,
Paris 1982, pp. 187-227, in particolare la tavola a p. 213; e L. Brisson, Plotin: Une
biographie, in Porphyre, La Vie de Plotin. Études d’introduction, texte grec et tra-
duction française, commentaire, notes complémentaires, bibliographie par L.
Brisson et al., Vrin, Paris 1992, pp. 1-29, in particolare le tavole alle pp. 8, 13 e
26. I due volumi si segnalano inoltre per importanti articoli su vari aspetti del-
l’opera porfiriana in questione. Per una sintesi biografica si veda alla fine del
presente volume la Vita di Plotino.

38
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meno che si facesse il suo ritratto. Secondo Eunapio, il


<2> luogo di nascita sarebbe Lico, e gli altri due [Porfirio
ed Eudosso] lo chiamano «cittadino di Lico» senza che
si possa sapere se si tratti di Licopoli in Tessaglia.7 Questo
particolare non è di grande importanza.
Giunse ad Alessandria per studiare; all’età di 28 anni
si dedicò solo alla filosofia. È allora che fu presentato ad
Ammonio Sacca; fino a quel momento aveva seguito,
senza esserne soddisfatto, tutte le scuole [di filosofia]. A
partire da quel giorno, seguì Ammonio con fervore. Quali
erano tali scuole?
Verso la metà del III secolo Alessandria era, da gran
tempo, la sede di un ampio movimento scientifico. Vi si
coltivavano le scienze esatte e, soprattutto, le scienze eru-
dite. Un gran numero di commentatori vi era sorto, in
particolare per Platone e Aristotele. Inoltre, durante tutto
il periodo [di dominio] di Roma, dei filosofi vi rappre-
sentavano pressappoco tutte le antiche scuole greche. Era
un’epoca di erudizione e di eclettismo. Si insegnano per-
sino le dottrine di Eraclito e di Pitagora. Il terreno era
quindi favorevole allo sbocciare di un sistema che avrebbe
riunito tutte le idee principali della filosofia greca.8
<3> È certo che un tale insegnamento, squisitamente
greco, ebbe un’influenza decisiva su Plotino. Ma bisogna

7
In realtà Plotino è nato a Licopoli in Egitto, oggi Asyūt..
8
Questa tesi sintetica chiarisce la comprensione che Bergson ha della fi-
losofia greca. Essa permette di precisare il senso della sua attenzione a Plotino:
non soltanto attenzione a un autore particolare, bensì all’autore totale che con-
densa in sé e racchiude tutta la filosofia greca. Dopo aver così ridotto l’infinita
varietà storica a qualcosa di determinato e finito, Bergson uscirà dalla semplice
erudizione e formulerà un giudizio critico e netto non soltanto sulla filosofia
greca ma su tutti coloro che, in tempi meno lontani, non hanno «fatto altro che
ripetere Plotino» (Mélanges, p. 1076), [NdC].

39
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menzionare ancora le altre fonti a cui egli ha potuto attin-


gere.
Anzitutto la filosofia giudaico-alessandrina rappre-
sentata da Filone. Plotino ha letto Filone?9 Non si può
provarlo. In ogni caso egli conosce uno dei discepoli di
Filone, il neo-pitagorico Numenio.10 Porfirio protesta
contro coloro che pretendono che Plotino abbia saccheg-
giato Numenio, il che prova che l’aveva letto. Filone ha
potuto essere conosciuto da Plotino tramite la mediazione
di Numenio.
Filone aveva realizzato la fusione del platonismo e della
tradizione giudaica. Per quanto ci riguarda, indicheremo
alcune analogie tra Filone e Plotino. Filone ha parlato di
un Dio superiore alla scienza, kreit̀ton th`" ej
pisthv
mh". Egli
ha collocato immediatamente al di sotto [di esso] il mondo
delle idee, che ha racchiuso – è vero – in un logos. Il pro-
blema sarà quello di sapere se tali idee hanno lo stesso
senso [che in Plotino]. Forse la somiglianza è <4> solo
esteriore. Forse Plotino deve a Filone solo dei suggeri-
menti. In fin dei conti non c’è niente in Plotino di comune
con Filone che non possa essere stato attinto da Platone.
D’altro canto bisogna segnalare una dottrina impor-
tante proveniente dalla Siria, la gnosi, commistione di
dogmatica cristiana, di mitologia orientale e di specula-
zione greca, tutta una teoria di emanazioni successive

9
Trattasi di un interrogativo ancora aperto tra gli studiosi plotiniani, che
si dividono appunto tra quelli che sostengono una conoscenza diretta di Filone
da parte di Plotino e quelli che ne sostengono solo una conoscenza indiretta.
Per un sintetico quadro della questione e i dovuti rimandi bibliografici si veda
F. Calabi, Filone di Alessandria, Carocci, Roma 2013, in particolare Filone e la
tradizione platonica pagana, pp. 157-161.
10
Trattasi di Numenio di Apamea, della seconda metà del II sec. d.C.

40
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della divinità, che divenne ben presto un’eresia nell’am-


bito del cristianesimo. Il nono libro della II Enneade11 è
una confutazione degli Gnostici, e una confutazione
secca, che non lascia [spazio ad] alcun punto in comune.
Resta la dottrina cristiana di Clemente12 e Origene.13
Non ce n’è pressoché traccia in Plotino. È verosimile che
del cristianesimo non abbia conosciuto che lo gnostici-
smo.
Così fu la filosofia greca, da un lato, e la filosofia reli-
giosa giudaico-alessandrina e gnostica [dall’altro lato]
che verosimilmente egli conobbe e studiò all’inizio. Nes-
suna di queste forme [di filosofia] – dice Porfirio – riuscì
a trattenerlo, solo vi riuscì Ammonio. Chi era costui?
<5> Sappiamo poco sul suo conto. Plotino non lo ha
menzionato né indicato neppure una volta. Ammonio
non aveva messo niente per iscritto. Possediamo solo due
testimonianze sulla sua dottrina:
1. Quella di Nemesio,14 vescovo del V secolo (Peri fuv-
sew" aj nqrwvpou) che ha trasmesso due serie di opinioni
di Ammonio.

11
Trattasi di Enneade II 9 [33] Contro gli Gnostici. Qui e di seguito indi-
chiamo tra parentesi quadre la collocazione cronologica del trattato plotiniano
all’interno dei 54 trattati editi in ordine tematico da Porfirio.
12
Si tratta di Clemente Alessandrino (I e II sec. d.C.), che fu tra i primi
Padri della Chiesa che iniziarono a conciliare cultura pagana e messaggio cri-
stiano.
13
Bergson si riferisce al prolifico autore cristiano Origene Alessandrino (I
e II sec. d.C.), detto Adamanzio; mentre sembra ignorare la querelle, sorta dal
XVII sec., circa l’identità dell’Origene, discepolo di Ammonio Sacca. Se cioè si
tratti del suddetto autore cristiano o di un oscuro personaggio. Per un succinto
status quaestionis con rimandi bibliografici si veda la voce Origène le Platonicien
(n. 41) in Dictionnaire des Philosophes Antiques, publié sous la direction de R.
Goulet, vol. IV (de Labeo à Ovidius), CNRS Éditions, Paris 2005, pp. 804-807.
14
Trattasi di Nemesio di Emesa.

41
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2. Quella di un neo-platonico del V secolo, Ierocle,15


in un frammento del suo trattato sulla provvidenza.
Ciò che Nemesio ci ha conservato sono gli «sviluppi»
di Ammonio a proposito dell’immortalità e dei rapporti
dell’anima con il corpo. In primo luogo egli [Ammonio]
avrebbe insegnato che l’anima è indispensabile al corpo,
dato che il corpo, essendo esposto a mille vicissitudini,
composto com’è di elementi molteplici e pronti a dissol-
versi, ha bisogno di un principio che lo tenga unito, sunev
con
ti (p. 29).16 È l’espressione usata da Aristotele, in questo
non vi è niente di nuovo.
In secondo luogo (p. 56)17 viene detto che l’anima,
quando smette di ragionare (logivzesqai), per volgersi al-
l’intuizione, entra nel nou`". Aggiunge che essa è unita <6>
al corpo come la luce del sole è unita all’aria. Non è
l’anima a essere nel corpo, bensì il corpo ad essere nel-
l’anima. Si tratta di teorie che ritroveremo identiche in
Plotino non solo nel contenuto, ma anche nella forma. Bi-
sognerà dunque ammettere che Plotino abbia preso in
prestito da lui non solo delle idee di primaria importanza,
ma anche le stesse espressioni di cui Ammonio si serviva,
e questo senza farne menzione, egli che ama tanto citare.18
15
Trattasi di Ierocle d’Alessandria.
16
Non sappiamo dire alla paginazione di quale edizione dell’opera di Ne-
mesio stia rimandando Bergson. Nell’edizione ora corrente del De natura ho-
minis a opera di M. Morani, troviamo le due menzioni di Ammonio con le
relative dottrine alle seguenti pagine: Nemesius, De natura hominis, ed. M. Mo-
rani, Teubner, Leipzig 1987, p. 17, 17; p. 39, 16.
17
Si veda la nota precedente.
18
A onor del vero, Plotino enuncia continuamente le tesi di filosofi prece-
denti, ma molto raramente menziona i nomi degli autori di dette tesi. La sua
prospettiva vuole infatti essere di disamina critica delle varie tesi in sé e per sé
e di riuso dialettico delle stesse più che di confronto con i singoli autori che
hanno prodotto dette tesi.

42
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Ma tale trattato è stato scritto più di due secoli dopo Am-


monio, che non aveva scritto nulla. Nemesio dunque non
ha potuto conoscere con una tale precisione le idee di Am-
monio se non nel caso in cui qualche discepolo immediato
di Ammonio abbia preso nota delle sue parole. Bisogne-
rebbe che a quest’epoca sia esistito un resoconto scritto
delle idee di questo filosofo. Ora, però, si può essere certi
che esso non sia mai esistito. Se ci fosse stata un’esposi-
zione di tal fatta, avrebbe avuto una tale importanza, con-
tenendo le idee fondamentali della filosofia alessandrina,
che sarebbe <7> stata citata soprattutto sia da Plotino sia
da qualcuno dei filosofi di Alessandria. Ora, non è questo
il caso. Porfirio non lo [Ammonio] menziona che una
volta, di sfuggita, e proprio nella Vita di Plotino.19 Né
Giamblico né Proclo20 l’hanno mai menzionato. Non si
può quindi ammettere l’esistenza di una tale esposizione.
Ma si può andare più lontano. Ci sono ragioni probanti
per credere che Ammonio non abbia mai sostenuto alcuna
delle idee che rivestono un ruolo importante in Plotino.
Plotino non è stato il solo allievo di Ammonio, anche Lon-
gino21 lo è stato. Se Plotino avesse accolto immutate alcune
idee importanti di Ammonio, a maggior ragione un pen-
satore mediocre come Longino ne avrebbe conservato
traccia. Invece in una lettera dello stesso Longino a Por-
firio, Longino dichiara che, nonostante la propria ammi-

19
Porfirio, Vita di Plotino (d’ora in poi VP), cap. 3, 11. Per la Vita di Plotino
come per i passi dalle Enneadi plotiniane citiamo da o rimandiamo all’edizione:
Plotinus, Opera, ed. P. Henry et H.-R. Schwyzer, t. I-III, O.C.T., Clarendon
Press-Oxford University Press, Oxford 1964-1983 (nota come editio minor).
20
Noti filosofi platonici della tarda antichità rispettivamente del III-IV
sec. d.C. e del V sec. d.C.
21
Trattasi del retore contemporaneo di Plotino, III sec. d.C.

43
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razione per Plotino, non ne condivide le teorie (Vita di


Plotino, cap. 19).22 E, al cap. 21,23 Longino dice che Plotino
ha un modo tutto suo di fare filosofia.
La verità sembra essere che il testo di Nemesio non
fornisca garanzie [di aYdabilità]. Le opinioni e le espres-
sioni attribuite ad Ammonio sono state tratte da Plotino
o da qualche alessandrino che citava Plotino. Nel mo-
mento in cui una tradizione fece di Ammonio il fondatore
della Scuola, dato che era stato seguito da Plotino, fu na-
turale andare a cercare le idee di Ammonio presso coloro
che avevano fama di essere suoi discepoli.
In secondo luogo il testo di Ierocle è stato conservato
da Fozio, patriarca di Costantinopoli nel IX secolo (ed.
Bekker, p. 171 e 460, Trattato di Ierocle sulla Provvidenza).
Questa testimonianza, per il suo carattere più indetermi-
nato, suscita meno sospetti. «Ammonio ha fornito il
principio che serve di criterio comune a tutte le opinioni
condivise da Plotino, da Origene, da Porfirio, da Giam-
blico e da Plutarco,24 ovvero che la verità sulla natura delle
cose è interamente contenuta nella dottrina, purificata,
di Platone, ejn th/̀Plavtwno" <9>. Fino a lui [Ammonio] i
Platonici e i Peripatetici esageravano i motivi di contrasto
tra i due sistemi,25 e tali discussioni continuarono fino ad
Ammonio il Teodidatta».26

22
Porph., VP, cap. 19, 36-37. Per il commento ad locum di questo e degli
altri passi dello scritto porfiriano in questione l’opera di riferimento è L. Bris-
son et al., Porphyre. La Vie de Plotin, tom. II, cit., pp. 281-284.
23
Porph., VP, cap. 21, 3-4.
24
Trattasi di Plutarco di Atene (IV-V sec. d.C.), diadoco della Scuola pla-
tonica ad Atene e maestro di Siriano, a sua volta maestro di Proclo.
25
S’intendono i sistemi filosofici di Platone e di Aristotele.
26
‘Teodidatta’ è un soprannome di Ammonio Sacca, maestro di Plotino.

44
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Sembra quindi che per la tradizione Ammonio sia re-


stato il grande conciliatore dei sistemi di Platone e di Ari-
stotele. Quanto alla purificazione [scil. della dottrina
platonica] di cui si parla qui, non sappiamo cosa dire. Se
Ammonio dimostrava l’accordo dei due filosofi, era certo
interpretando Platone in un determinato modo. Osser-
viamo che tale fusione interna si trova in Plotino, e che
anzi, da un punto di vista esteriore, la sua somiglianza con
Aristotele colpisce molto di più di quella con Platone. Kir-
chner27 è arrivato a dire che Plotino è un neo-aristotelico
e non un neo-platonico. Si tratta di un’esagerazione e di
un errore, ma bisogna trarne l’idea che c’è in Plotino una
fusione dei due filosofi [Platone ed Aristotele].
In tal caso ciò che Plotino avrebbe ripreso dal suo
maestro [Ammonio] sarebbe stato unicamente tale me-
todo di <10> fusione, l’idea che Aristotele e Platone in
fondo erano in accordo, in una parola la fiducia in una fi-
losofia che resta sostanzialmente sempre la stessa, inse-
gnata inizialmente dai primi filosofi, poi da Platone in
modo consapevole, poi – un po’ sfigurata – da Aristotele.
Questa interpretazione è confermata dall’unica testimo-
nianza di Porfirio: «Plotino portava nelle sue ricerche lo
spirito di Ammonio» (Vita di Plotino, cap. 14),28 dopo aver
detto: «Le dottrine degli Stoici e dei Peripatetici sono na-
scostamente mescolate negli scritti di Plotino; la metafi-
sica di Aristotele vi è spesso utilizzata».
Non abbiamo dunque alcun motivo di attribuire ad
Ammonio le grandi idee della filosofia di Plotino. Sembra
diYcile vedere in lui il creatore della filosofia alessan-

27
Vedi nota 78.
28
Porph., VP, cap. 14, 4-6.

45
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drina. La verità sembra essere stata che è a tale scuola che


si formò lo spirito di Plotino. Per dieci anni si accontentò
d’impartire oralmente il puro e semplice insegnamento
di Ammonio. Tale dottrina aveva un legame più intimo
<11> che un metodo esteriore con quella delle Enneadi? Il
silenzio di Plotino, di Porfirio e degli altri ci induce a pen-
sare che l’ideatore della dottrina nelle sue tesi generali sia
Plotino. Ciò che ha potuto prendere altrove è una materia
che egli ha lavorato. La sua originalità consiste nell’aver
fatto un grande sforzo di concentrazione interiore, che
non poteva essere preso in prestito da altri.
Aveva trentanove anni quando seguì l’imperatore Gor-
diano contro i Persiani, al fine di studiare la filosofia della
Persia e dell’India. Non poté farlo e [allontanatosi] da
Gordiano, non senza diYcoltà, [riparò] ad Antiochia.29 Si
pone il problema di sapere come egli abbia potuto cono-
scere le filosofie dell’Oriente propriamente detto, dalle
quali – secondo alcuni – avrebbe tanto attinto. L’Oriente
può intendersi della Persia, o dell’India, o infine dello
stesso Egitto.
Ora, circa l’India, non vi viene fatta alcun’allusione
nelle Enneadi e niente autorizza a credere che egli abbia
conosciuto alcunché di quelle dottrine. Circa la Persia,
ebbe la curiosità di andarvi; ma <12> non vi giunse; e
niente ci permette di supporre che nella stessa Alessan-
dria abbia preso conoscenza della filosofia persiana. Ora
non si trova traccia presso di lui di emanazione: egli com-
batte persino tale teoria presso gli Gnostici.

29
Il curatore nota che il manoscritto qui è difettoso, da qui le nostre due
integrazioni a senso. Ricordiamo che Gordiano era perito in un attentato in Me-
sopotamia.

46
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Restava l’Egitto. Niente prova che egli abbia approfon-


dito i monumenti della sapienza egizia. Una volta si men-
ziona l’Egitto, Enneadi V 8.6:30 in tale testo si fa allusione al
sistema di simboli egizio e ai caratteri geroglifici. Egli si li-
mita a dire che gli Egizi hanno trovato il modo di raYgurare
le cose invece che designare soltanto i suoni. Quest’allu-
sione non ha carattere filosofico, tranne [per] un termine
sul quale bisogna tornare.
Bisognerà dunque ammettere un influsso orientale su
Plotino solo se si distingue presso di lui qualcosa che non
si spieghi né tramite la filosofia greca né tramite le origini
di Plotino.
<13> C’è un testo sull’Egitto, V 8.6:

I saggi del popolo egizio, o per aver ricevuto la cosa da una


scienza esatta o da qualche istinto innato, a proposito
delle cose che volevano comunicare, appaiono saggi so-
prattutto per il fatto di non essersi accontentati di adot-
tare le lettere che seguono da vicino i termini e i discorsi,
né che imitano i suoni e gli enunciati delle opinioni, ma,
avendo disegnato delle immagini e avendo inciso una sin-
gola immagine per ciascuna singola cosa nei loro templi,
hanno mostrato in tal modo la composizione di ciascuna
di dette immagini. Avviene così che ogni immagine sia
anche una certa scienza e una certa sapienza, e una sa-
pienza che si trova sottostante a tale incisione e che è rac-
colta e che non è né scienza discorsiva né riflessione.

30
Enneade V 8 [31] Sul bello intelligibile, cap. 6, 1-9; la citazione è riportata
da Bergson poco dopo. Per tale trattato giova segnalare: Plotin, Traité 31 Sur la
Beauté intelligible. Introduction, traduction, commentaires et notes par A.-L.
Darras-Worms, Vrin, Paris 2018.

47
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Si tratta di geroglifici puramente ideografici. Plotino


aVerma che in essi vi è una maniera profonda di <14>
esprimersi, indicando le idee. Si trattava d’intuizione,
non di riflessione: la sapienza era raccolta immediata-
mente sotto le parole. Ma non si tratta qui di credenze egi-
zie, bensì solo del loro sistema di simboli. Non sembra
dunque verosimile che Plotino abbia subito un influsso di
questo genere.
Così, presso di lui, non si dà traccia alcuna di un’in-
fluenza esterna a quella greca. Se lo studio della sua filo-
sofia ci induce a credere che tutto presso di lui si spieghi
tramite la filosofia greca precedente o tramite la sua pro-
pria genialità, diremo che egli è un filosofo autentica-
mente greco. Al massimo avrà subito l’influsso
dell’ambiente nel suo stile un po’ trascurato e prolisso.
Al suo ritorno dall’Asia giunse a stabilirsi a Roma, a
quarant’anni. Aprì una scuola e il suo insegnamento ebbe
un successo considerevole. Sarebbe motivo di curiosità
soVermarsi su questo periodo, studiare il contesto in cui
la sua filosofia si sviluppò pienamente, vedere l’entusia-
smo che egli suscitò e anche l’influsso che esercitò, in
particolare su alcune donne, come le due Gemina di cui
parla Porfirio.31
Secondo Porfirio32 l’imperatore Gallieno e sua moglie
Salonina l’ammiravano talmente che avevano in animo di
far ricostruire per lui una città in rovina della Campania,
aYnché egli la governasse, sotto il nome di ‘Platonopoli-
s’in conformità alle Leggi di Platone. La cosa non si rea-
lizzò, secondo Porfirio,33 a causa dell’invidia di membri

31
Cfr. Porph., VP, cap. 9, 2-3.
32
Cfr. ivi, cap. 12, 1-8. L’imperatore Gallieno regnò dal 253 al 268 d.C.

48
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della corte [imperiale]. Hegel (Storia della filosofia, III


sec.) al contrario li elogia per il loro buon senso.
L’influenza di Plotino ha dovuto essere notevole. Por-
firio riporta vari aneddoti. Rogaliano,34 un senatore,
avendo seguito le sue lezioni, si distaccò talmente dalle
cose della vita, che rinunciò ai suoi beni, servitori e cari-
che, e non mangiò che un giorno su due – cosa che lo fece
guarire dalla gotta.
Due personaggi risaltano nella cerchia <16> di Plotino,
Amelio e Porfirio. Amelio era originario dell’Etruria. De-
siderava essere chiamato Amerio (un gioco di parole sul
nome Ameriv
j a consente di evocare il carattere indiviso
della natura divina, mentre il nome ‘Amelio’ evoca la ne-
gligenza, ajmeliva).35 Giunto a Roma nel 246, si legò a Plo-
tino e visse in stretto contatto con lui per ventitré anni.
Scrisse quaranta libri contro lo gnostico Zostriano, dietro
incitamento di Plotino. Fu lui anche a difendere Plotino
contro quanti pretendevano che si fosse appropriato delle
idee del neo-pitagorico Numenio (prova questa che Plo-
tino conosceva Numenio e, tramite lui, Filone).36 Questo
Amelio sembra essere stato uno spirito mediocre, un di-
scepolo passivo e diligente.
Porfirio è un filosofo. Nella sua biografia di Plotino ci
dà dei particolari su se stesso. Si dichiara originario di
Tiro.37 S. Gerolamo lo considera nativo di Balanea in Siria,

33
Cfr. ivi, cap. 12, 9-12.
34
Cfr. ivi, cap. 7, 31-46.
35
Cfr. ivi, cap. 7, 2-5.
36
Si veda su Filone quanto Bergson aveva detto precedentemente (p. <3>).
Tra uncini, qui e altrove, si indica la pagina del manoscritto secondo la nume-
razione riportata da H. Hude e qui riprodotta.
37
Porph., VP, cap. 7, 50.

49
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ma la sua [di Porfirio] testimonianza è preferibile. Egli


dichiara di chiamarsi Malco, che in siriaco significa ‘re’.
Fu Amelio <17>38 a tradurre questo termine in ‘Porfirio’.39
Giunse a Roma verso il 254 e si legò a Plotino. Nessuno
sembra aver compreso altrettanto bene Plotino. Per sei
anni visse con lui. Ci è giunto di lui, tra gli altri, un piccolo
trattato che riunisce dei commenti ad alcuni passi delle En-
neadi, ajformai;pro;" ta nohta.vSi troverà in esso un’espo-
sizione concisa dei principali punti [dottrinali] di Plotino,
che è di una penetrazione straordinaria. Porfirio era uno
spirito poco originale, ma capace di penetrare molto pro-
fondamente nel pensiero altrui.
Nella sua [di Plotino] scuola si leggevano delle opere
di Platonici e di Peripatetici. Dopo tale lettura e una breve
meditazione Plotino esponeva le proprie riflessioni. Si di-
scuteva molto e Plotino si esprimeva con eloquenza, ma
senza correttezza [rispetto alla lingua greca]. È a partire
da tali incontri su argomenti molto vari che certamente
venne fuori poco a poco la dottrina di Plotino. Durante
dieci anni non fece che sviluppare le idee <18> di Ammo-
nio, ovvero molto probabilmente commentare Platone e
Aristotele per conciliarli. Solo a cinquant’anni cominciò
a scrivere. E scrisse come parlava, sulle prime questioni
che si presentavano. Così egli compose, secondo Porfirio,
cinquantaquattro trattati. Ci è pervenuto tutto ciò che egli
provava.40

38
Per un refuso nel testo pubblicato c’è <77> invece che <17>.
39
Cfr. Porph., VP, cap. 17, 6-10.
40
Benché la grafia non sia molto leggibile, il manoscritto sembra proprio
avere: «Tout ce qu’il éprouvait». O c’è un lapsus per «tout ce qu’il écrivait»
[«tutto ciò che scriveva»] oppure si tratta proprio di quello che pensava Ber-
gson; oppure è un lapsus rivelatore [NdC].

50
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Non soltanto Plotino suscitò ammirazione, ma apparve


alla sua cerchia come un essere soprannaturale. Con molta
probabilità egli portava nelle cose pratiche la stessa pro-
fondità che nei suoi scritti. Porfirio gli attribuisce ciò che
noi chiamiamo ‘vista duplice’: lettura del pensiero.
Avendo Porfirio pensato al suicidio, Plotino lo indovinò
e gli ordinò [di compiere] un viaggio, cosa che lo fece gua-
rire. Porfirio gli attribuisce perfino il potere di rompere
gli incantesimi della magia. Un sacerdote egizio gli pro-
pose di evocare un demone, e fu un dio ad apparire; in
eVetti era un dio a stargli vicino. Invitato ad andare a un
sacrificio, disse: «Spetta agli dèi venire da me».41
Non fa oggetto <19> di dubbio che Plotino si sia sentito
a contatto con il divino. Ha sperimentato l’estasi. Nei sei
anni in cui Porfirio era con lui Plotino non la sperimentò
che quattro volte.
Le ultime parole di Plotino furono: «Mi sforzo di riu-
nire ciò che di divino c’è in me con ciò che di divino è
nell’universo».42

II – Opera e bibliografia di Plotino

<21>
1. Opere di Plotino. Le Enneadi
Porfirio informa che Plotino si accingeva a scrivere dopo
aver lungamente meditato e scriveva senza interrompersi
né rileggersi. Il suo stile ha le caratteristiche precipue di un
grande scrittore. Porfirio e Longino gli hanno reso omag-

41
Porph., VP, cap. 10, 35-36.
42
Ivi, cap. 2, 26-27.

51
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gio. Porfirio, Vita di Plotino, § 14:43 «Nel suo stile è stato


conciso, ricco di idee, breve e più abbondante in pensieri
che in parole, nella maggior parte dei casi ispirato e tale da
esprimersi con passione». Longino, ibid., § 19, fine:44

Circa il suo stile di scrittura e circa la moltitudine com-


pressa dei pensieri di quest’uomo e circa il carattere fi-
losofico dell’attitudine delle sue ricerche, personalmente
lo ammiro in modo straordinario e lo apprezzo, e penso
che coloro che si danno alla ricerca debbano annoverare
i suoi libri tra quelli più degni di attenzione.45

Questo nel complesso. Ma per quanto riguarda il dettaglio è


sciatto. La sintassi è del tutto scorretta. Il filo del discorso
manca di continuità. Ci sono delle <22> frasi incastrate tra
loro. È uno stile impressionistico. Eunapio, Vita dei sofisti,
p. 9, dice che Plotino si distingue per il carattere enigmatico
dei suoi discorsi, che è faticoso e diYcile.46
Si spiegano in tal modo le diYcoltà del testo. Porfirio
ne fu l’editore, almeno principalmente. Il medico di Plo-
tino, Eustochio, da parte sua, aveva raccolto i suoi scritti in
un ordine un po’ diverso. In alcuni manoscritti di Plotino
è menzionata in un punto una diversa distribuzione dei
temi che si attribuiva ad Eustochio: la tradizione si era così
conservata.47 Noi possediamo solo l’edizione di Porfirio. Se-

43
Ivi, cap. 14, 1-3.
44
Ivi, cap. 19, 36-41.
45
Qui finisce la citazione, mancano nel testo pubblicato le virgolette di
chiusura della citazione.
46
Si Tratta di Eun., Vitae, p. 9, 12-14 Goulet (si veda supra la nota 4).
47
Per Eustochio cfr. Porph., VP, cap. 7, 8-12. Per una diversa raccolta da lui
realizzata degli scritti di Plotino si vedano in proposito gli studi di L. Brisson, Une

52
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condo lui, Plotino aveva lasciato cinquantaquattro trattati di


cui trasmette l’ordine cronologico di redazione.48 Invece di
conservarlo, seguì l’esempio fornito da Andronico per Ari-
stotele e Teofrasto, raggruppò insieme i libri dagli argomenti
simili.49 Costituì dei gruppi nei quali procedette dal più fa-
cile al più diYcile, nonché, in generale, <23> dal più corto
al più lungo. Costituì così sei gruppi di nove, e fu soddisfatto
di ottenere così due numeri perfetti.50 In realtà, ci mise del
suo, perché è verosimile che a tal fine egli isolò alcuni capi-
toli da alcuni trattati. Per esempio, il nono trattato del I vo-
lume, Sul suicidio,51 è molto corto ed è stato molto
probabilmente staccato da un altro trattato; o ancora,52 VI,
breve indice senza importanza.53 Ci sono talora due o tre
libri consecutivi dallo stesso titolo e in continuità [tematica].
È verosimile che fu Porfirio ad operare queste divisioni.
Esempio: IV Enneade, 3, 4 e 5.54 Infine è certo vero che
la I Enneade è soprattutto di contenuto morale; le II e III so-
prattutto sulla natura; che la IV tratta dell’anima; la V del-

édition d’Eustochius, in L. Brisson et al., Porphyre. La Vie de Plotin, tom. II, cit., pp. 65-
69; e di M.-O- Goulet-Cazé, Remarques sur l’édition d’Eustochius, ibid., pp. 71-76.
48
Cfr. Porph., VP, capp. 4-6.
49
Cfr. ivi, cap. 24, 5-11.
50
Ovvero il sei e il nove.
51
Si tratta di Enneade I 9 [16] Sul suicidio, che in effetti conta solo 19 linee
nell’edizione di Henry e Schwyzer. Bergson qui esprime un punto importante, ri-
conosciuto ormai ampiamente, cioè la presenza di importanti interventi editoriali
di Porfirio nella configurazione di singoli trattati o di gruppi di trattati plotiniani.
52
Il curatore avverte che i termini «altro» (di poco precedente) e «an-
cora» non si trovano nel manoscritto.
53
Se il testo pubblicato è corretto, è difficile pensare a quale dei nove trat-
tati della VI Enneade faccia qui riferimento Bergson, visto che sono tutti al-
quanto corposi e importanti.
54
Si tratta di Enneade IV 3-5 [27-29] Sui problemi dell’anima. Libri I-III, ri-
cordiamo anche il caso di Enneade VI 1-3 [42-44] Sui generi di ciò che è. Libri I-III.

53
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l’intelligenza e dell’intelligibile; la VI dell’Uno e delle cate-


gorie dell’essere. Ma questa distinzione è lungi dall’essere
rigorosa. Non c’è pressoché nessun trattato importante in
cui non si trovi più o meno tutto intero il suo sistema.
In sintesi, il modo di classificare di Porfirio è arbitrario.
E inoltre Porfirio ha lasciato una lista dei trattati in un or-
dine forse cronologico.55 Solo Kirchhof è tornato <24> a
questo presunto ordine cronologico.56
Müller57 e Volkmann58 sono tornati all’ordine [tematico]
delle Enneadi. Ci sono delle ragioni [per questa scelta], pro-
babilmente:
1. L’ordine cronologico è senza interesse. Non c’è traccia
di uno sviluppo in Plotino.59 Il motivo di ciò è senz’altro il
fatto che egli abbia scritto tardi.
2. Aggiungo che l’ordine forse non è cronologico. Por-

55
Cfr. Porph., VP, capp. 4-6.
56
Si veda la nota 65. Ricordiamo invece che, ai nostri giorni, è in corso la
pubblicazione di tutti i trattati plotiniani in ordine cronologico nella collana
iniziata da Pierre Hadot nel 1987 con il trattato 38 (Plotin, Traité 38. Introduc-
tion, traduction, commentaire et notes par P. Hadot, Les Éditions du Cerf, Paris
1987). Nel frattempo è stata pubblicata per intero, sempre in Francia, una nuova
traduzione con note di tutti i trattati plotiniani in ordine cronologico in: Plotin,
Traités 1-54 et Porphyre, Vie de Plotin, tom. I-IX, sous la direction de L. Brisson
et J.-F. Pradeau, GF-Flammarion, Paris 2002-2010. Si ritiene infatti che l’or-
dine cronologico, oltre che ripristinare lo stato delle cose prima dell’intervento
editoriale tematico di Porfirio, permetta di cogliere legami tra trattati scritti
nello stesso periodo che altrimenti sfuggirebbero.
57
Plotinus, Enneades, ed. H. F. Müller, vol. I-II, Weidmann, Berlin 1878-1880.
58
Plotinus, Enneades, ed. R. Volkmann, vol. I-II, Teubner, Leipzig 1883-1884.
59
Giudizio a lungo condiviso dagli studiosi, ma forse eccessivo. Si vedano re-
centemente i lavori di J.-M. Narbonne: Les écrits de Plotin, genre littéraire et dévelop-
pement de l’oeuvre, in «Laval philosophique et théologique», 64 (2008), pp.
627-640; J.-M. Narbonne, Introduction, in Plotin, Oeuvres complètes. Tome 1, vo-
lume 1. Introduction par J.-M. Narbonne avec la collaboration de M. Achard. Traité
1 (I 6), Sur le Beau. Texte établi par L. Ferroni, introduit, traduit et annoté par M.
Achard et J.-M. Narbonne, Les Belles Lettres, Paris 2012, pp. XXXV-LX.

54
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firio dice semplicemente che ventuno trattati erano già


scritti quando egli giunse da Plotino, e ne fornisce la lista.
Aggiunse che compose ventiquattro libri quando egli era
presso di lui e li menziona. Infine gli altri nove trattati fu-
rono composti dopo la partenza di Porfirio. È molto vero-
simile, ma non certo, che questa lista sia cronologica.

<25>
2. Bibliografia

Il testo di Plotino ci è pervenuto in pessimo stato. I mano-


scritti sono abbastanza numerosi, ma coperti di errori.
Nessuno risale a prima del XIII secolo e parecchi sono
molto posteriori. Müller ha descritto trentanove mano-
scritti di Plotino e dichiara che appena un sesto merita una
certa considerazione (cfr. Müller, Hermès, t. 14, 1879).
Il migliore è il Mediceus A.60
La prima edizione è quella di Basilea, 1580.61 Un secolo
prima aveva fatto la sua comparsa la traduzione latina di
Marsilio Ficino,62 con un commento utilizzato da tutti gli
editori successivi. Il commento consiste soprattutto in con-
fronti con i successori di Plotino. L’edizione di Basilea è

60
È il manoscritto Laurentianus 87.3 del XIII sec. Per una succinta descri-
zione dei codici delle Enneadi e dei loro raggruppamenti in famiglie si veda la
Praefatio nel I vol. dell’editio minor di Henry e Schwyzer, pp. V-X (si veda supra
la nota 19). Ha dedicato ampi e dettagliati studi alla tradizione manoscritta plo-
tiniana P. Henry in: Études plotiniennes I. Les États du texte de Plotin, Desclée de
Brouwer – L’Édition universelle, Paris-Bruxelles 1938 (altera editio 1960); Étu-
des plotiniennes II. Les Manuscrits des Ennéades, Desclée de Brouwer – L’Édition
universelle, Paris-Bruxelles 1941 (altera editio 1948).
61
Plotinus, Operum philosophicorum libri LIV nunc primum Graece editi, ad
Perneam lecythum, Basilea 1580.
62
Ficinus Marsilius, Plotini opera. Latina interpretatio, Florentiae 1492.

55
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stata ristampata nel 1615. Il testo era molto difettoso e, per


così dire, illeggibile.
L’edizione seguente è quella di Oxford, 1835, Plotini
Opera Omnia, di Kreuzer e Moser,63 dalla tipografia splen-
dida. Il testo è molto difettoso. L’edizione è stata realizzata
con la più grande superficialità ed è piena di errori di
stampa. Vi è riprodotta la traduzione di Ficino, e il suo
<26> commento vi è adattato.
In seguito Parigi 1855, con la traduzione latina di
Ficino, editore Dubner nella collana «Didot».64 Essa ri-
produce a un dipresso la precedente, ma l’interpunzione
è curata.
L’editore seguente, KirchhoV, che è severo verso le
precedenti [edizioni], realizzò la propria edizione del
1855 nella collana «Teubner».65 È il primo testo accettabile
che sia stato dato di Plotino. Presenta un raggruppamento
secondo l’ordine [cronologico] indicato da Porfirio nella
Vita di Plotino.
Nel 1876, apparve una serie di osservazioni importanti
di Vitringa,66 che sono state utilizzate dalle edizioni
seguenti. Hermann Friederich Müller, 1878, Werdman.67
Testo davvero buono, stabilito sulla base di una classifi-
cazione metodica di manoscritti.

63
Plotinus, Opera omnia, ed. G.H. Moser, F. Creuzer, tom. I-III, Typogra-
pheum Academicum, Oxford 1835.
64
Plotinus, Opera omnia, iterum ed. F. Creuzer, G.H. Moser, Didot, Paris 1855.
65
Plotinus, Opera (secundum ordinem chronologicum), ed. A. Kirchhoff,
tom. I-II, Teubner, Leipzig 1856.
66
A.J. Vitringa, Annotationes criticae in Plotini Enneadum partem priorem
(secundum ordinem chronologicum), Deventer 1876.
67
Si veda la nota 57; nel testo pubblicato «Werdman» deve essere un re-
fuso per «Weidmann».

56
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Infine Volkmann, 1883, Teubner.68 Il testo è vicino a


quello di Müller, ma mostra più prudenza nel rigettare le
glosse supposte da Müller. È l’edizione migliore.
Citiamo le edizioni separate dei libri peri tou kalou`, I
6; peri tou <27> nohtou kavllou"; Contro gli Gnostici, II 9.69
Esiste una traduzione francese di Bouillet, 1857-1861,
in tre volumi,70 con commenti e note – in gran parte di
Marsilio Ficino. È meno una traduzione che non una pa-
rafrasi.
In tedesco, Engelhardt, traduttore della seconda En-
neade.71
Traduzione completa ad opera di Müller, 1878-1880,
Berlino,72 il primo volume è migliore del secondo.
In inglese, Taylor73 ha tradotto degli estratti da Ploti-
no.
Nel 1840, Steinhart, Melitèmata plotiniana.74
1845, Simon, Histoire de l’École d’Alexandrie.75
1837-1846, Ravaisson, La Métaphysique d’Aristote.76
1846, Vacherot, Histoire critique de l’École d’Alexandrie.
Lavoro notevole, benché un po’ vago. Inoltre, idea pre-
68
Si veda la nota 58.
69
Si tratta rispettivamente di Enneade I 6 [1] Sul bello; Enneade V 8 [31] Sul
bello intelligibile; Enneade II 9 [33] Contro gli Gnostici.
70
Plotin, Ennéades, traduites pour la première fois en français par M.-N.
Bouillet, tom. I-III, Hachette, Paris 1857-1861.
71
Plotinus, Die Enneaden, übers. von J.G.V. Engelhardt, Erlangen, 1820.
72
Si veda la nota 57.
73
T. Taylor, Select Works of Plotinus, and Extracts from the Treatise of Synesius
on Providence. With an Introduction containing the substance of Porphyry’s Life
of Plotinus, 1818.
74
D.C. Steinhart, Melitèmata plotiniana, Halle 1840.
75
J. Simon, Histoire de l’École d’Alexandrie, Paris, 1845.
76
F. Ravaisson, Essai sur la métaphysique d’Aristote, tom. I-II., Imprimerie
Royale, Paris 1837-1846.

57
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concetta sulle <28> origini orientali e filoniane delle idee


di Plotino.77
1854, Kirchner, Die Philosophie des Plotin.78 Lavoro
completo, ma che sembra realizzato parzialmente a priori
e seguendo il metodo hegeliano di ricostruzione.
1858-1859 e 1895, articoli del Sig. Lévêque,79 nel Jour-
nal des Savants, a proposito di Bouillet, poi di Chaignet.
Zeller, Philosophie des Grecs, III parte, 2a sezione, se-
conda metà.80 Mediocre.
1864-1867, Richter, Neoplatonische Studien, Halle.81
Lavoro coscienzioso d’analisi.
1875, Von Kleist, La critique du matérialisme par Plotin.
Dello stesso autore, Plotinische Studien, Heidelberg,
1883.82
1893, Chaignet, Psychologie des Grecs, t. IV.83
Senza parlare dei lavori specialistici sui libri sul bello
e contro gli Gnostici.
<29>.

77
É. Vacherot, Histoire critique de l’École d’Alexandrie, Librairie philosophi-
que De Ladrange, Paris 1846.
78
C.H. Kirchner, Die Philosophie des Plotin, H. W. Schmidt, Halle 1854.
79
Trattasi di Eugène Lévêque.
80
E. Zeller, La Philosophie des Grecs considérée dans son développement hi-
storique, traduite de l’Allemand par É. Boutroux, tom. III, Hachette, Paris 1877.
81
A. Richter, Neu-Platonische Studien, Darstellung des Lebens und der Phi-
losophie des Plotin, tom. I-V, Halle, 1864-1867.
82
H. Von Kleist, Plotinische Studien. Studien zur IV. Enneade, tom. I, G.
Weiss, Heidelberg 1883.
83
A. Ed. Chaignet, Psychologie des Grecs, tom. IV, Hachette, Paris 1893.

58
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III – La dottrina di Plotino. Il posto che vi occupa la teoria


dell’anima

<30>
Plotino, giunto ad Alessandria nel III secolo della nostra era,
in un’epoca di eclettismo intellettuale e di moralismo vago,
pagano di religione, greco di spirito, profondamente attac-
cato alla cultura classica e, in fondo, pieno di disprezzo per
le importazioni dall’Oriente, fu naturalmente indotto ad op-
porre a una tale invasione straniera le forze riunite della fi-
losofia greca nella sua interezza, non procedendo per
giustapposizioni, ma scavando così profondamente al di
sotto di queste idee che egli fece zampillare la fonte stessa
da cui tali idee erano scaturite.
Sarebbe interessante seguire questa filosofia nella lotta
con il cristianesimo, soprattutto domandarsi perché questa
filosofia e questa religione che avevano tanti punti in co-
mune si ritrovarono sùbito nemiche in modo inconciliabile,
e perché fu la filosofia a soccombere. Bisognerebbe anche
ricercare come questa religione, dopo aver trionfato sulla
filosofia, l’assorbì, e ne conservò il meglio (S. Basilio,84 Ago-
stino85), <31> e come tale pensiero, per tale via, sia diventato
qualcosa di molto importante nel pensiero moderno.
Personalmente mi limiterò a studiare la filosofia di Plo-
tino in se stessa, nella sua parte centrale, la teoria del-
l’anima, ovvero al tempo stesso la teoria dell’anima
individuale e di quella universale. Il corso mostrerà che si
tratta davvero del centro di tale filosofia. Tuttavia, dato che
non c’è una monografia consacrata a detta teoria, sarà utile

84
Trattasi di Basilio di Cesarea (329/330-379 d.C.).
85
Agostino d’Ippona (354-430 d.C.).

59
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esporla e, secondo il metodo di Plotino, iniziare da una


esposizione complessiva provvisoria e schematica della dot-
trina plotiniana.
Il punto di partenza della dialettica di Platone era stato
il vedere le contraddizioni di cui le cose materiali sono tea-
tro, Repubblica, VII.86 Il filosofo di fronte alle contraddi-
zioni presentate dalla materia è indotto a riflettere, e
giunge a dire che le cose che noi percepiamo non sono che
delle apparenze, che il reale deve essere cercato nelle idee
immutabili.
Plotino sembra essere <32> stato impressionato soprat-
tutto dalle contraddizioni delle cose umane (Enneadi, III).87

86
Com’è noto, nel VII libro della Repubblica, dopo l’immagine della caverna,
il personaggio di Socrate passa a considerare quali discipline possano formare i
filosofi-governanti. Egli introdurrà quindi le scienze matematiche – a partire
dall’aritmetica – per poi giungere alla dialettica quale fastigio di tutti i saperi e
compimento del percorso formativo in questione. Proprio nell’introdurre la ne-
cessità, per il filosofo, dello studio dell’aritmetica, Socrate esprime il criterio
per cui si tratta di portare l’attenzione dell’anima umana su ciò che, tra i molti
dati forniti dalla sensazione, presenta contraddizioni e richiede l’intervento di
un ragionamento, il quale guidi verso la verità. Il fine è quello di distogliere le
energie dell’anima dal mondo del divenire e dall’esercizio delle mere capacità
sensoriali per indirizzarle al mondo intelligibile e all’esercizio del ragionamento
in sé. In tale contesto Socrate, a partire dall’esempio delle tre dita (pollice, in-
dice, medio), considera come il tatto possa indicare una stessa cosa come dura
e molle, pesante e leggera; come – a sua volta – la vista possa percepire confusa-
mente e insieme il grande e piccolo, l’uno e il molteplice. Gli oggetti sensibili
appaiono pertanto come portatori di caratteristiche contrarie e solo l’indagine
della ragione, interrogandosi su cosa sia in sé ciascuna di dette proprietà, potrà
distinguere tra l’una e l’altra e far emergere la verità, non contraddittoria, dalla
confusione dei dati sensoriali (cfr. Plat., Rep. VII, 523a10-525a3).
87
Qui Bergson appare riferirsi in particolare ai trattati plotiniani 47 e 48,
ovvero Enneade III, 2-3 Sulla Provvidenza, in cui sono tematizzate le lotte inte-
stine sia al genere umano sia all’universo intero, che appare come il grande tea-
tro di destini particolari in opposizione tra loro. Al di là di tali lotte nondimeno
si dà, per Plotino, un’unità profonda che altro non è se non la conformità del
mondo sensibile all’unità armonica dell’Intelletto.

60
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Le cose che noi consideriamo serie o persino tragiche,


guerre, ecc., tutto ciò è un gioco infantile, una celia.
Non è l’uomo interiore, bensì l’ombra dell’uomo che
si abbandona quaggiù ai lamenti e ai gemiti. Prova ne è la
regolarità stessa del male fisico, ritmato in una danza pir-
rica. Non dovremmo lasciarci commuovere più che a tea-
tro dalle urla degli attori. Noi siamo spettatori. Bisogna
capire ciascun attore, seguire le linee del mondo in tutte
le articolazioni. L’analisi, tramite la quale la dialettica pla-
tonica inizia, consiste nel risolvere il reale in qualità, la
cui mescolanza genera proprio delle contraddizioni. Se-
condo Plotino tale analisi arriva a degli esseri viventi, VI
Enneade.88 Una pietra deve essere rimessa nella terra, e
vedremo che la terra è un essere animato, e parimenti
ogni elemento.
<33> Che cos’è un essere vivente? Un microcosmo or-
dinato come il mondo. È diviso, ma è tutto in ogni parte.
Attraversa delle fasi, in cui ciascuna è implicita nell’altra.
C’è bisogno quindi di un principio che riunisca tale mol-
teplicità: è il lovgo" ejn spevrmati, la ragione generante. Il
logos è meno di un’idea, poiché lavora, più di una cosa,
poiché una cosa [sensibile] è inerte. È una «funzione»,
un’idea che si muove, un pensiero in movimento.

88
Il curatore rimanda a Enneade VI 7 [38] Come si costituì la molteplicità delle
Idee e sul Bene, cap. 11. Ricordiamo che il curatore di solito non fornisce l’indi-
cazione delle linee pertinenti, tale indicazione qui e altrove è costantemente
nostra. Osserviamo che, in particolare alle ll. 17-36 di tale testo, Plotino indaga
come la terra di quaggiù (cioè del nostro universo sensibile) possa avere vita e
spiega che ciò dipende dalla ragione generatrice della terra, la quale le confe-
risce la vita lavorandola dall’interno. Il contesto è quello di un parallelo tra il
mondo sensibile e quello intelligibile per cui alla terra sensibile corrisponde
la sua ragione demiurgica nel mondo intelligibile. Per questo trattato plotiniano
resta fondamentale l’opera di Hadot: Plotin, Traité 38, cit.

61
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Consideriamo allora tutti gli esseri viventi costituiti da


questo lavoro delle ragioni generatrici. Ciascuno di essi
manifesta un logos e, a causa di ciò, un certo amore della
vita. Da qui l’egoismo e la lotta. Ma, nel mentre che tutti
gli esseri viventi lottano tra loro, noi assistiamo anche ad
un concerto. Un’armonia di fondo si rivela. AYanco ai
logoi particolari, c’è un logos universale del corpo del
mondo nella sua interezza.
<34> Prove: 1. – Se l’astrologia può predire gli eventi
celesti, non è a causa dell’influsso degli astri sui singoli
destini, ma perché esiste una tale complicità di tutte le
cose per cui ogni congiuntura o assenza di congiuntura ha
la sua ripercussione da un’altra parte. L’astrologia rivela
l’armonia fondamentale di tutte le cose.
2. La magia, mezzo di azione a distanza, che produce
alcune modificazioni della materia.
3. L’amore, che ha qualcosa di un mago. Le aYnità
reali delle cose, che si rivelano nella magia, si rivelano
anche nell’amore.
E anche nella musica.
Quindi c’è un’armonia di tutte le cose e un logos uni-
versale. Ma come spiegare l’accordo dei logoi particolari
con la ragione del tutto? Questo punto è stato risolto male
dalla maggior parte degli interpreti. Limitiamoci per il
momento a constatare tale accordo. Inoltre bisogna con-
siderare tali ragioni individuali come poste <35> sullo
stesso piano della ragione universale, coordinate ad essa,
emanate da essa.
È opportuno considerare il punto a cui tendono questi
logoi. Queste ragioni finiscono per modellare dei corpi vi-
venti, ovvero dei sistemi di forze o di qualità organizzate
tra loro. Più il logos lavora, più si divide. Depone sempre

62
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più le forme che conservava unite in sé e si distende anche


nello spazio e nel tempo. Ciò che in esso era indiviso si
srotola e così costituisce dei corpi e degli esseri viventi.
Qual è il suo punto di partenza? Il lavoro è [...].89 Con-
seguentemente il suo punto di partenza è un’idea che non
lavora, un’idea platonica. Solo, per Plotino, l’idea rappre-
senta un oggetto individuale. Dunque sono le idee immobili
che troviamo all’altra estremità del logos. In alto le idee, in
basso i corpi; teso tra i due termini, il fascio dei fasci di idee
direttrici. Tuttavia non ci troviamo ancora né alla base né in
cima. <36> Se ci si rappresenta la realtà come un cono, dice
Plotino, le idee sono una sezione più vicina alla punta del
cono, le forme una sezione più vicina alla base. Le forme esi-
gono un sostegno, una materia, anzitutto per spiegare la loro
azione reciproca, poi per spiegare il loro decadimento pro-
gressivo: infatti, dato che la forma agisce, essa decade. Non
bisogna provare a definire la materia, sarebbe darle una
forma; ed essa è, per ipotesi, ciò che non ha forma. È un fan-
tasma che mente in tutto ciò che pretende di essere, è la pri-
vazione di ogni forma, di ogni legame, l’infinito, a[ peiron.
Bisogna da ciò concludere davvero che c’è un principio
realmente distinto dalla forma, che si mescola ad essa? No.
Infatti tale espressione, la materia, è del tutto provvisoria.
Possiamo immaginarla come l’esaurimento stesso delle ra-
gioni via via che si allontanano dal loro punto di partenza.
Un cono di luce divergente s’immerge nell’oscurità: <37>
è un modo per dire che i raggi divergenti non smettono di
indebolirsi. La materia è un limite cui non si giunge mai.

89
Il curatore segnala la lacuna di una parola e propone di colmarla con il
termine «decadimento» («déchéance»), che apparirà poco dopo nel testo.

63
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Risaliamo ora all’altro termine, alle Idee,90 essenze im-


mobili. Le Idee sono molto più che non le ragioni stesse,
poiché non si trovano né nello spazio né nel tempo: esse
sono fuse le une nelle altre e si rappresentano le une le
altre. Nondimeno esiste un’Idea che è più di ogni altra la
rappresentazione dell’insieme, come un logos universale:
è il nou`". Tale Idea non è nella sostanza distinta dalle altre,
sotto di essa si coordinano le altre. Né è ancora la pura
unità: contiene una molteplicità.
Al di sopra vi era dunque l’unità pura. Come definirla?
Non le si può assegnare alcun nome che ne sia degno. È
superiore ad ogni determinazione. Messa a confronto con
l’essere, essa è più che essere; è più che pensiero. Se le Idee
sono <35> cause degli oggetti, essa è causa di causa. Se bi-
sogna nominarla, [la nominiamo] to e{n, to au[tarke", to;
prwt̀on, to uJ pevrtaton.91 Ma essa è ancora l’a[
peiron.
Eccoci tra l’infinito che è meno che essere e l’infinito
più che essere. È tra questi due infiniti che è tesa la catena
delle esistenze. Al vertice, ciò che è più che luce; poi il
punto luminoso, unità di un punto che brilla, ma che av-
volge tutti i raggi luminosi che divergono; infine tutti que-
sti raggi che divergono sempre più, vanno a perdersi
nell’oscurità.
Tali sono le tre ipostasi. L’Uno. Poniamolo e si pone
tutto il nou`". Non si può porre l’Uno senza porre una con-
templazione dell’Uno, o{rasi". Le Idee sono altrettante vi-
sioni dell’Uno. Ma questa molteplicità delle Idee è eterna

90
Abbiamo fedelmente riprodotto l’uso delle maiuscole e delle minuscole
quale si trova nel testo pubblicato per termini come «idea/Idea», «uno/Uno»,
«intelletto/Intelletto» e simili.
91
Rispettivamente: «l’uno», «ciò che basta a se stesso», «il primo», «il
sommo».

64
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ed indivisibile. Sopraggiunge allora la rifrazione di tutto


ciò nello spazio e nel tempo.
Questa terza ipostasi è l’anima. L’anima <39> è una
mescolanza.92 Noi diremmo che c’è dapprima l’idea, poi
la ragione, poi la forma, poi la materia.93 L’anima è Idea
al suo vertice, è nell’Idea e può tornarvi; essa è logos nel
mezzo, forma e persino materia alla base.
Prendiamo in considerazione l’Idea per eccellenza, il
nou`". Se assumiamo l’intelligibile, con ciò assumiamo
l’intelligibile ultimo, che lavora per distensione. Si trat-
terà dell’anima del mondo. È il pensiero stesso che ha so-
vrabbondato, che ha straripato esso stesso come per
distrazione. Allora tale anima del mondo giunge a pro-
durre il corpo del mondo, ovvero a tratteggiare i possibili
corpi viventi.
Ma allora ognuna delle Idee particolari, che contiene
a sua volta virtualmente un’anima, va a prolungarsi tra-
mite il suo logos verso il corpo, che la ragione universale
le ha in tal modo preparato.
Ognuna delle anime particolari contenuta in ciascuna
<40> idea particolare, accorgendosi del corpo che il logos
universale ha soltanto abbozzato a sua immagine, è at-
tratta da tale immagine. E, sedotta dall’idea di essere
qualcosa di separato dal tutto nello spazio e nel tempo, si
lascia cadere. Da qui la caduta.

92
Il termine rimanda a quello greco di mivxi". Quest’ultimo compare quasi
una trentina di volte nei trattati plotiniani e indica il processo di mescolanza o
anche il suo risultato in quanto entità mista a partire da componenti eterogenee.
Qui Bergson parla dell’anima come mixis, potendo attualizzarsi in essa – secondo
le varie situazioni – livelli diversi di realtà che vanno dall’Idea alla materia.
93
In modo estremamente schematico ricordiamo che la gerarchia discen-
dente delle realtà è per Plotino costituita da: Uno, Intelletto (Idee), Anima, ra-
gioni produttive (logoi), mondo sensibile, materia.

65
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L’anima è presa allora nel corpo, in questa grande fan-


tasmagoria che è il mondo materiale. Essa prende sul
serio tale fantasmagoria. Potrà sempre rivenire a Dio che
è suo padre. Ma più spesso essa prende per reale ciò che
non è che l’ombra del reale e diventa attrice nel dramma
che si recita sotto i nostri occhi.
Siamo quindi tornati al nostro punto di partenza. Sap-
piamo come si producono le ipostasi. Vorrei ora eliminare
dalla dottrina di Plotino delle idee che propriamente non
le appartengono.
Anzitutto, alle due estremità, abbiamo l’Uno superiore
all’essenza e al pensiero, <41> e la materia inferiore al-
l’una e all’altro. Si può rinvenire in ciò un’esasperazione
dei due principi di Aristotele, forma e materia, quest’ul-
tima essendo diventata meno che potenza. Allo stesso
modo si è potuto avvicinare l’Uno di Plotino all’Uno di
Platone, e la sua natura è analoga al principio indefinito
di cui parla Platone.
La somiglianza è evidente quando si considerino tali
principi in stato di quiete; molto meno, quando si consi-
deri il percorso che va dall’uno all’altro. Siamo qui in pre-
senza di un’irradiazione davvero particolare. Eliminiamo
tuttavia questi due termini.
Restano i logoi e le Idee. I logoi assomigliano a quelli
degli Stoici, gli eide– a quelli di Platone. Ma la diVerenza è
grande, soprattutto nel passaggio dall’uno all’altro. I logoi
degli Stoici sono immanenti alla materia, non derivano
da un principio trascendente. Le Idee di Platone rappre-
sentano i generi. Al contrario i logoi di Plotino non sono
che i prolungamenti delle Idee, e le Idee stesse <42>, es-
sendo individuali, sono tutte pronte a rivivere nei logoi.
Quindi ciò che propriamente appartiene a Plotino è il pas-

66
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saggio, lo sforzo per aVrancarsi dal dualismo latente


presso i suoi predecessori.
Se noi prendiamo le Idee e l’Uno, abbiamo il mondo
intelligibile di Platone e di Aristotele; e al di sotto c’è il
mondo sensibile. Plotino vuole derivare un mondo dall’altro,
passare dall’eidos al logos, dal Noûs alla psyche–. In questo
consiste la sua grande originalità. E com’è giunto a rap-
presentarsi tale passaggio? Il mondo materiale è il mondo
dell’azione e della produzione, il mondo delle Idee è quello
della contemplazione. Il punto allora è: come si passa dalla
speculazione all’azione? Da ciò che è fuori dello spazio e
del tempo a ciò che si distende e corrompe? Plotino ha
risolto la questione in termini psicologici, cercando di
rendere puramente analitico il passaggio dall’intelligibile
al sensibile, riconducendolo a <43> un semplice indeboli-
mento. Considerate la III Enneade,94 in cui dichiara che
l’azione e la produzione non sono altro che un indebolimento
della speculazione. Agire, per colui che agisce, significa
indebolire il proprio pensiero, essere disteso. Come il
geometra disegna una figura per distrazione mentre pensa
con intensità, così la pura contemplazione s’indebolisce
in azione. Ecco quindi quel che è capitale nell’idea d’irra-
diazione, che egli ha in seguito provato ad applicare a tutte
le transizioni tra le ipostasi.
La sua idea è ancora più psicologica. Quest’idea non è
una semplice tesi a cui se ne possano opporre altre: è un
fatto, una constatazione.

94
Come segnalato dal curatore H. Hude, si tratta di Enneade III 8 [30] Sulla
natura e visione e uno, cap. 4, 39-40: «In ogni caso appunto troveremo che la
produzione e l’azione sono o un indebolimento di visione o qualcosa che si ac-
compagna ad esso ». «Visione» sta per theōria in Bergson.

67
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Nella IV Enneade95 descrive lo stato in cui [egli] si trova


allorché, risvegliandosi dal corpo, torna in sé, e allora ha vi-
sione di un mondo meravigliosamente bello, in confronto
al quale il resto era un sogno. Il corpo è sonno. E l’azione, di
cui il corpo è strumento, è proprio una diminuzione di con-
templazione; è lo spirito <44> che dorme. L’estasi non è che
il prolungamento di un tale stato molto più scientifico che
consiste nel passare dalla sfera dell’anima a quella dell’in-
telligibile. Il suo metodo metafisico è l’introspezione pro-
fonda, che consiste nell’andare oltre delle idee grazie a un
richiamo profondo a una simpatia tra la nostra anima e la
totalità del reale. L’estasi è una delle forme di tale simpatia,
non la sola.96 Al di sotto vi è lo sforzo tramite il quale l’anima
s’innalza al nou` " e, secondo VI 7,97 ben più al di sotto [vi è]

95
Come segnala il curatore, si tratta di Enneade IV 8 [6] Sulla discesa del-
l’anima nei corpi, cap. 1, 1-11. Segnaliamo un’ampia spiegazione del passo, come
di tutto il trattato, in Plotino, La discesa dell’anima nei corpi (Enn. IV 8 [6]). Plo-
tiniana arabica (Pseudo-Teologia di Aristotele, capitoli 1 e 7; Detti del Sapiente greco),
a cura di C. D’ancona, Il Poligrafo, Padova 2003, in particolare pp. 131-137 per
il passo in questione.
96
Già in precedenza (p. <34>) Bergson aveva parlato della simpatia tra le cose
colta dall’astrologia, sfruttata dalla magia, espressa nell’amore e nella musica.
97
Dovrebbe trattarsi di Enneade VI 7 [38] Come si costituì la molteplicità delle
Idee e sul Bene, in cui – nei capitoli 31-35 – si descrive l’ascesa dell’anima umana
dalle cose sensibili all’Intelletto e infine al Bene. In particolare nel cap. 31 si parla
dello sforzo che l’anima compie nel distaccarsi anche dalle bellezze di quaggiù,
in quanto esse sono comunque immerse nella carne e nei corpi e, quindi, come
contaminate da essi. Tuttavia, a onor del vero, ivi non si fa esplicitamente men-
zione né della materia né dello stato di anoia («assenza di pensiero») in cui
l’anima deve trovarsi per concepire detta materia. Nemmeno il curatore del resto
rimanda a un testo plotiniano. Da parte nostra suggeriamo che Bergson sia passato
tacitamente a riferirsi a un altro luogo delle Enneadi dedicato appunto al modo in
cui l’anima può, oscuramente, concepire la materia. Si tratta di Enneade II 4 [12]
Sulla materia, cap. 10, ove si parla dell’anima che, quando si rappresenta la ma-
teria, non pensa ed è come in uno stato di anoia (l. 8), che è il termine greco men-
zionato qui da Bergson. È come se l’anima diventasse un tutt’uno con ciò che vede
(l. 17), ovvero la materia assolutamente priva di ragione. Si tratta cioè di un pro-

68
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uno stato del tutto speciale al quale si deve arrivare se ci si


vuole rappresentare la materia. Non si può pensarla, ma ci
si può disporre in uno stato di a[noia, che consiste in una
simpatia con ciò che nella realtà è davvero non-essere.
Ci sono dunque molteplici attitudini dell’anima che cerca
di coincidere con ciò che non è propriamente pensiero.
<45> Il metodo plotiniano è dunque psicologico. E a par-
tire da qui è naturale che la sua attenzione sia stata captata,
più ancora di quella di Aristotele, dalla psicologia, dalla vita
dell’anima.98
Plotino considera la massima di Socrate come scientifi-
camente [...].99 Ci dice, VI,100 che l’anima rappresenta il

cesso inverso e speculare rispetto alla fusione dell’anima con il sommo Bene de-
scritto in Enneade VI 7. Del resto il termine anoia ha una sola occorrenza in tutta
la VI Enneade, in un contesto che non ha nulla a che vedere né con la materia né
con il modo di concepirla da parte di un’anima (cfr. VI 7, cap. 29, 24).
98
È probabile che qui Bergson si riferisca al fatto che il trattato aristotelico
Sull’anima, lungi dall’essere di argomento metafisico, è per la maggior parte
una trattazione di taglio fisico-biologico con ristrette aperture alla dimensione
pensante dell’anima (per tali aperture cfr. Arist., De an. III, 3-5).
99
Il curatore segnala qui la lacuna di una parola. Si può pensare d’integrarla
con il termine «valida» o simili. Ci si riferisce alla massima «Conosci te stesso»,
che a rigore è un oracolo di Apollo di Delfi, ma che Socrate fa senz’altro propria
come risulta da Platone, Alcibiade I, 130e8-9 («Dunque ordina che noi cono-
sciamo l’anima colui che ordina [scil. Apollo Delfico] di conoscere se stessi»).
100
La massima «Conosci te stesso» è citata da Plotino una sola volta nei suoi
trattati, all’interno di Enneade VI 7 [38] Come si costituì la molteplicità delle Idee e sul
Bene, cap. 41, 22. Nel passo si sostiene che il Bene (sommo principio) non ha bi-
sogno di conoscere se stesso, in quanto perfetta semplicità, mentre l’autocono-
scenza si applica alle ipostasi ad esso inferiori, ovvero all’Intelletto e all’Anima, in
quanto albergano al proprio interno quella molteplicità che è condizione indi-
spensabile per pensare se stessi: si dovrà infatti distinguere tra soggetto e oggetto,
e aggiungere a questi la funzione di pensare. Tuttavia, a rigore, in tale passo en-
neadico non si parla del fatto che l’anima rappresenti tutte le cose né che conoscere
l’anima implichi conoscere tutto. È possibile che Bergson, per questa specifica
tesi, abbia in mente un altro passo della VI Enneade ovvero Enneade VI 5 [23], Sul
fatto che ciò che è uno e identico si trovi contemporaneamente dappertutto. Libro II, cap.
7, 8-9, in cui si sostiene che la nostra anima umana sia tutti gli enti raccolti in unità.

69
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tutto, che, conoscendola, si conosce tutto. I suoi successori


l’hanno capito bene.
In un frammento di un trattato di Giamblico all’indirizzo
di Porfirio sul gnwq̀ seautov
n, si dice che chi conosce l’anima
conosce l’essenza delle cose.101 Ugualmente Proclo, nel suo
Commentario all’Alcibiade,102 e anche in quello al Timeo,103

Da ciò si potrebbe ricavare in modo implicito (visto che non si trova in modo espli-
cito nel testo) che chi conosce l’anima (se stesso) conosca tutti gli enti.
101
In proposito il curatore osserva che si tratta in realtà di un trattato di
Porfirio all’indirizzo di Giamblico, ma non fornisce alcuna indicazione testuale.
Il rimando è in effetti oscuro.
102
Il curatore non trova un passo preciso da citare, ma fa riferimento alla
sezione iniziale del Commentario sull’Alcibiade I di Proclo (Proclus, Sur le premier
Alcibiade de Platon. Texte établi et traduit par A. P. Segonds, tom. I-II, Les Belles
Lettres, Paris 1985-1986, tom. I, pp. 3-7). In tali pagine Proclo argomenta che
lo scopo del dialogo platonico in questione sia la conoscenza di sé a cui Socrate
intende sollecitare Alcibiade. Si può forse indicare più precisamente, all’in-
terno di tale sezione, un passo in cui Proclo sostiene che il dio Apollo, con l’or-
dine impartito di conoscere se stessi, intenda dire che chi conosce se stesso
può risalire verso ciò che è divino e unirsi al dio [scil. Apollo], che rivela la verità
nella sua interezza (Proclo, in Alcib., I, 4, 4-14). In un altro passo dello stesso
commentario Proclo spiega che l’anima umana possiede in sé tutte le ragioni
[scil. principi razionali delle cose] e le scienze, ma che le ignora in quanto presa
nel flusso del divenire. Tuttavia, tramite apprendimento e scoperta, l’anima
può vedersi qual è, ovvero pienezza di tutte le ragioni (Proclo, in Alcib., II, 187,
11-17). Questo secondo passo mostrerebbe un’anima che contiene le cause di
tutte le cose e quindi potenzialmente onnisciente, a condizione però di affran-
carsi dalla dimensione del divenire e di rivolgersi verso se stessa.
103
Il curatore osserva che tale tesi non sembra esserci nel commentario di
Proclo al Timeo platonico. In effetti, nell’enunciazione che ne dà Bergson, non
si trova – a mia conoscenza – un testo di stretta pertinenza nell’opera procliana
in questione. Qualcosa che le si può avvicinare è l’affermazione di Proclo per
cui l’anima contiene in sé tutte le cose in una modalità dianoetica (ovvero di
pensiero discorsivo) così come il Vivente totale contiene tutte le cose in modo
intellettivo e, a sua volta, l’universo le contiene in modo sensibile (Procli Dia-
dochi in Platonis Timaeum commentaria, ed. E. Diehl, tom. I-III, Teubner, Leip-
zig 1903-1096, tom. I, 448, 22 ss.). In un altro passo del commentario si dice
che l’anima dell’universo contiene tutte le cose in un modo ad essa appropriato
e che ha abbracciato in precedenza la causa di ogni cosa (Procl., in Timaeum II,
231, 29). Trattasi qui della nota tesi procliana per cui tutte le cose esistono a

70
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dice che conoscere l’anima è conoscere il tutto ed elevarsi


a Dio.
<46>

IV – Plotino interprete di Platone

<47>
Parleremo del rapporto della filosofia di Plotino con le fi-
losofie anteriori. Che Plotino abbia tratto dalle filosofie
precedenti delle idee essenziali si ricava da una rapida let-
tura delle Enneadi. Porfirio dice che le teorie degli Stoici
e dei Peripatetici sono mescolate nei suoi scritti, e che alle
lezioni di Plotino si leggevano tutti i filosofi, soprattutto i
commentatori di Platone.104
In secondo luogo è allo stesso modo incontestabile che la
filosofia anteriore da cui fa dipendere tutte le altre è la filo-
sofia di Platone. Kirchner105 pretende che si sia ispirato ad
Aristotele ancor più che a Platone; ma riconosce che egli uti-

tutti i vari livelli di realtà (da quelli superiori a quelli inferiori), ma in una mo-
dalità unica e appropriata a ciascuno di tali livelli. Da ciò si può ricavare – in
modo implicito (come sembra aver fatto appunto Bergson) – che chi conosce
l’anima conoscerà tutte le cose, nella misura in cui l’anima le contiene tutte ed
è propria dell’anima la funzione conoscitiva di tipo discorsivo-scientifico.
104
Si tratta di Porph., VP, cap. 14, 4-5 e 10-14.
105
Già menzionato a p. <9> per aver dato eccessivo peso all’influsso di Ari-
stotele su Plotino, quindi la sua opera era stata menzionata a p. <28>, nella ras-
segna bibliografica: trattasi – lo ricordiamo – di C.H. Kirchner, Die Philosophie
des Plotin, Schmidt, Halle 1854, cui Bergson rimprovera un’impostazione rigida-
mente ideologica di hegeliana maniera. Tale studioso sarà di nuovo menzionato
e criticato da Bergson nel seguito del suo corso, quando si tratterà di confutare
l’idea che l’anima del mondo svolga dei ragionamenti (pp. <99> e <102>) o che
da essa derivi in modo diretto l’anima umana (<p. 122>). In tutti questi casi Ber-
gson rimprovera a Kirchner il fatto di aver attribuito all’anima del mondo funzioni
che appaiono solo al di sotto di essa, ovvero nell’anima umana individuale.

71
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lizza Aristotele per interpretare Platone. Del resto Plotino cita


molto i filosofi greci e li sottopone costantemente a critica.106
Per quanto riguarda i primi filosofi, egli vedrebbe facil-
mente in essi degli uomini ispirati.107 Tuttavia rimprovera a
Eraclito il fatto di aver dimenticato di essere chiaro;108 a Em-
pedocle di aver commesso un errore grossolano sulla natura
degli elementi, rendendoli materiali, cioè distruttibili;109 ad
Anassagora di non aver saputo, pur avendo introdotto il
nou`", trarne profitto, dato che nel mig̀ma primordiale egli
pone tutte le forme e rende il noûs inutile;110 ai Pitagorici di
aver reso i numeri sostanze.111 Ha attaccato Aristotele su
106
Chi ha familiarità con i testi plotiniani sa che Plotino non menziona
pressoché mai i suoi predecessori, ma li cita nel senso che prende in conside-
razione le loro tesi per sottoporle a disamina approfondita. Infatti una delle
difficoltà nell’interpretare i testi plotiniani consiste proprio nell’identificare
con precisione storica l’autore o gli autori delle tesi che il filosofo discute senza
menzionarne la paternità. Cfr. la nota 18.
107
Il curatore rimanda a Enneade II 9 [33] Contro gli Gnostici, cap. 6. In ef-
fetti in tale capitolo Plotino difende tutta la tradizione filosofica greca, in cui
Platone occupa un posto eminente, dalle critiche ingiuste degli Gnostici, col-
pevoli di introdurvi novità infondate, di dare cattive interpretazioni e di rite-
nersi superiori agli antichi filosofi. Tuttavia ci sembra che qui Bergson si
riferisca all’attitudine di stima di Plotino verso i «primi filosofi», ovvero quelli
che noi siamo abituati a chiamare Presocratici, e non a tutta la filosofia greca.
Tant’è vero che subito dopo fa una lista sintetica di Presocratici, menzionando
Eraclito, Empedocle, Anassagora e i Pitagorici.
108
Plotino parla dell’oscurità di Eraclito (luogo comune nell’antichità a
proposito di tale pensatore) in Enneade IV 8 [6] Sulla discesa dell’anima nei corpi,
cap. 1, come nota il curatore. Trattasi delle ll. 15-16.
109
Il curatore rimanda a Plotino, Enneade II 4 [12] Sulla materia, cap. 7.
Infatti alle ll. 1-2 Plotino ricorda che Empedocle poneva gli elementi nella ma-
teria, ma contro tale tesi testimoniava la loro stessa corruttibilità (ricordiamo
che per Plotino i corpi periscono, mentre la materia è impassibile). Inoltre Plo-
tino ricorda (senza emettere giudizi) che Empedocle pone gli elementi come
materia in Enneade V 1 [10] Sulle ipostasi principiali, cap. 9, 6-7.
110
Cfr. Enneade II 4 [12] Sulla materia, cap. 7, 2 ss., come indica il curatore.
111
La critica che qui Bergson dice che Plotino avrebbe rivolto ai Pitagorici
è strana e non è un caso che il curatore non rinvii ad alcun testo plotiniano. In-

72
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tutti i punti essenziali: la teoria dell’anima entelechia, IV,112


che assimila alla teoria materialistica – la teoria delle ca-
tegorie, VI, 1 –,113 la teoria del Dio (è un errore grossolano
aver posto al vertice il pensiero, dato che ogni pensiero è
conversione verso qualcosa [d’altro]), V.114 Allo stesso
modo nel caso degli Stoici critica la loro concezione del-

fatti negli scritti di Plotino i Pitagorici sono raramente citati e soprattutto Plo-
tino non mostra interesse verso l’aritmologia e l’interpretazione simbolica dei
numeri, a differenza di altri platonici prima e dopo di lui. Del resto non è nem-
meno evidente che i Pitagorici sostenessero che i numeri sono sostanze, poiché
– se è affidabile la testimonianza di Aristotele che pure li critica – essi non con-
sideravano i numeri come sostanze separate dai sensibili (a differenza di Pla-
tone e dei suoi seguaci), bensì come componenti immanenti alle cose sensibili
(cfr. Aristotele, Metaph. M 6, 1080b16-18; 8, 1083b10-11; e N 3, 1090a22-23).
112
Si tratta di Enneade IV 7 [2], Sull’immortalità dell’anima, cap. 85 (e non
del cap. 8 come indicato dal curatore), in cui Plotino critica la concezione ari-
stotelica, ripresa sistematicamente da Alessandro di Afrodisia, dell’anima come
realizzazione (entelecheia) del corpo e sua forma inseparabile. Per un commento
di tale capitolo plotiniano, come del resto del trattato, ci permettiamo di rin-
viare a Plotin, Traité 2 (IV 7). Introduction, traduction, commentaires et notes
par A. Longo, Les Éditions du Cerf, Paris 2009, pp. 195-205.
113
Il rinvio è a Enneade VI 1[42], Sui generi dell’essere. Libro I, in cui Plotino
sottopone a critica una per una le categorie di Aristotele (quantità, relativi, qua-
lità, ecc.) e, soprattutto, considera che esse siano adatte al mondo sensibile, ma
non a quello intellegibile. La critica continua anche nei due trattati successivi:
Enneade VI 2-3[43-44], Sui generi dell’essere. Libri II-III. Per tali scritti plotiniani
si rinvia a Plotino, Enneadi VI 1-3. Introduzione, testo greco, traduzione, com-
mento di M. Isnardi Parente, Loffredo, Napoli 1994; per la critica plotiniana
alle categorie aristoteliche si veda R. Chiaradonna, Sostanza movimento analo-
gia, Bibliopolis, Napoli 2002, in particolare pp. 15-54.
114
La polemica di Plotino naturalmente si appunta su quei passi del libro
Lambda della Metafisica di Aristotele in cui si identifica il principio divino, da
cui dipende l’universo, con un intelletto che pensa se stesso (Arist., Metaph.
L, 7, 1072b13-30 e 9). Il curatore rinvia ad Enneade V 4 [7] Come dal primo si dia
ciò che è dopo il primo e sull’Uno, tuttavia tutta la quinta Enneade mostra l’intrin-
seca dualità e molteplicità della seconda ipostasi, l’Intelletto. Per Plotino invece
il principio supremo deve essere qualcosa di assolutamente semplice, l’Uno
appunto. Per uno studio approfondito di questa tematica e dell’Enneade in que-
stione si veda: Plotino. Il pensiero come diverso dall’Uno. Quinta Enneade. Intro-
duzione, traduzione e commento di M. Ninci, Rusconi, Milano 2000.

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l’anima,115 la loro teoria delle categorie,116 ecc. C’è solo un


filosofo contro il quale non ha mai rivolto nemmeno
un’obiezione di poco conto: Platone.
Platone è il filosofo divino, il maestro, colui che non c’è
bisogno di menzionare quando lo si cita. Plotino pone tutte
<49> le sue idee essenziali sotto il richiamo a Platone. Gli
capita persino di non riconoscere le proprie divergenze ri-
spetto a lui, di usare sottigliezze, di dire che Platone ha na-
scosto il suo pensiero dietro delle immagini. All’inizio della
V Enneade117 dichiara di non essere altro che l’«interprete»
della filosofia platonica. Interpretare Platone e, alla luce di
tale interpretazione, raccogliere quanto vi è di meglio in
tutta la filosofia greca, ecco quello che Plotino ha voluto fare.
Ma tale interpretazione di Platone è molto nuova e di-
versa da quella di Aristotele e dei suoi successori. La novità
115
Cfr. Plotino, Enneade IV 7 [2], Sull’immortalità dell’anima, soprattutto
i capitoli 8-83. Tali capitoli si situano all’interno della critica plotiniana in ge-
nerale contro la tesi dell’anima intesa come corpo, critica che va a toccare dif-
fusamente gli Stoici, ma anche gli atomisti.
116
Cfr. Enneade VI 1 [42], Sui generi dell’essere. Libro I, capp. 24-30, in cui
si criticano le quattro categorie stoiche: «sostrati», «quali», «trovarsi in un
certo modo» «relativi». Plotino critica aspramente il materialismo stoico e
l’aver invertito l’ordine della realtà nella misura in cui l’immateriale appare ad
essi derivare dalla materia e non viceversa, come invece sosteneva Plotino per
cui dietro a ogni sensibile c’è una causa intelligibile e ad esso superiore.
117
Il curatore cita Enneade V 1 [10] Sulle ipostasi principiali cap. 8, ll. 10-14:
«questi nostri ragionamenti non sono nuovi né di oggi, ma, da un lato, sono
stati enunciati anticamente, benché in modo non dispiegato, dall’altro, i nostri
ragionamenti attuali risultano interpreti di quelli avendo creduto agli scritti di
Platone che testimoniano che si tratta di convincimenti antichi». Ricordiamo
che Plotino svolge queste considerazioni a proposito delle sue tre ipostasi, Uno
Intelletto Anima, di cui intende rintracciare i precedenti in Platone e nei filo-
sofi a lui anteriori. Inoltre per Plotino, come in genere nell’antichità, l’intro-
durre novità dottrinali rispetto a un patrimonio dato risultava biasimevole e
infatti, in tale prospettiva, egli accusava gli Gnostici di introdurre un gran nu-
mero di novità devianti rispetto alla sana dottrina platonica (cfr. Enneade II 9
[33] Contro gli Gnostici, cap. 6, in particolare ll. 1-12).

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di detta interpretazione caratterizza l’epoca di Plotino, gli


influssi posteriori al platonismo di cui ha potuto subire
l’eVetto, l’idea che si è fatta in generale della filosofia greca,
soprattutto la propria personale originalità. Qual è questa
interpretazione?
Nei dialoghi di Platone bisogna distinguere due cose:
1. – L’aspetto che ci impressiona di più è quello dia-
lettico,118 la teoria delle Idee. Essa viene costruita intera-
mente <50> tramite un doppio metodo di analisi e di
sintesi, soprattutto di analisi, che è la dialettica. Il filosofo
prende le mosse dalle contraddizioni che osserva nella
sensazione, assembramento di qualità contrarie.119 Egli
separa tali qualità e, cogliendo in ciascuna l’ombra di un
essere immutabile, studia tali essenze a parte, ricerca le
loro aYnità, la loro parentela, la loro filiazione, ne rista-
bilisce l’ordine autentico, dispone le Idee in serie gerar-
chiche fino alla sovraessenza alla quale tutte le essenze
devono la loro chiarezza e la loro esistenza.120
2. – Un secondo aspetto di questa filosofia è il mito.
Ci sono spesso dei miti in Platone. Hanno una natura e
un’importanza molto varie. a) Alcuni sono all’evidenza
solo immagini poetiche più o meno sviluppate – per esem-

118
Il curatore segnala che qui, nel manoscritto, il termine usato non è
«dialettico», bensì «didattico» (didactique). Tuttavia – a nostro avviso – ha
ragione a correggere, in quanto il seguito mostra che si tratta costantemente di
dialettica in quanto diversa dai miti e tale da portare alla teoria delle Idee.
119
Bergson sembra avere in mente soprattutto il VII libro della Repubblica
di Platone (per cui si veda la nota 86), unitamente alla teoria dei contrari nel
Fedone, 102a10-107a1.
120
Qui il riferimento è all’analogia tra il sole e il Bene, ovvero al fatto che
l’Idea del Bene è al vertice di tutte le Idee, essendo causa della loro esistenza e
conoscibilità, così come il sole è causa di esistenza e visibilità per i sensibili,
cfr. Plat., Rep. VI, 506d2-509b10.

75
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pio, nel Fedro,121 gli uomini incantati dalle Muse danno


vita alle cicale; o nella Repubblica, III,122 i metalli che ser-
vono a formare le anime. b) Alcuni miti già più impor-
tanti: delle allegorie che hanno facile trasposizione. Per
esempio, nel Fedro,123 il paragone dell’anima a un carro
tirato da due cavalli. Si tratta ancora solo di giochi d’im-
maginazione. Ma aYanco a tali miti incidentali nella fi-
losofia, ve ne sono di essenziali, poiché senza di essi la
filosofia di Platone sarebbe completamente diversa da
quella che è.
Li si riconoscerà anzitutto dalla loro estensione (Repub-
blica, X;124 il grande mito del Fedro,125 il mito del Fedone126);
in secondo luogo dal loro tono: è più serio, più solenne,
sembra che Platone voglia iniziarci a un qualche mistero;
in terzo luogo, indizio meno diVuso, Platone pone i suoi
miti sulla bocca di uno straniero o di un Pitagorico, o al-
meno ci saranno dei Pitagorici nel dialogo (l’armeno Er,
Diotima, Timeo...).127

121
Plat., Phaedr. 259b6-c6 (come indica il curatore).
122
Plat., Rep. III, 415a1-c7 (come indica il curatore).
123
Plat., Phaedr. 246a3-b4 (come indica il curatore).
124
Si tratta, come specificato in seguito da Bergson, del mito di Er: Plat.,
Rep. X, 614b2-621b7.
125
Plat., Phaedr. 246a3-250c6: si tratta del lungo mito sulla vita dell’anima
prima di precipitare in un corpo e dopo esserne uscita con la morte di esso. Le
anime vi sono descritte come alate e tali da far parte degli undici cortei degli
dèi capeggiati da Zeus.
126
Plat., Phaed. 107d5-114c8: è il mito del destino delle anime dopo la morte
del corpo e, in tale contesto, sono fornite indicazioni di geografia ultraterrena.
127
Er è colui che racconta, come si è detto, il mito della fine della Repubblica
(cfr. nota 124); Diotima è la donna di Mantinea che nel Simposio espone la dottrina
di eros come motore di risalita per l’anima umana dalle bellezze sensibili al Bello
in sé (Symp. 201d1-212a7); Timeo è il pitagorico che racconta della produzione
dell’universo a opera del Demiurgo nell’omonimo dialogo (Tim. 29d7 ss.).

76
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Eccone i segni esteriori.


Ora i segni interni, essenziali. Se si mettono a con-
fronto tutti questi miti, si vedrà che il soggetto che ne oc-
cupa il centro è sempre l’anima e, in particolare, l’anima
umana. Vi sono spesso dei dettagli cosmogonici; della teo-
logia, ma in relazione all’anima umana. Repubblica, X,128
<52> Er resuscitato ha visto le anime dei malvagi punite e
i buoni ricompensati. Ha visto il fuso della necessità e gli
otto anelli con le otto Sirene. Fedone:129 le anime degli uo-
mini dopo la morte sono scortate ai loro rispettivi luoghi
di stanza e la terra è descritta in vista dell’anima. In questi
due miti si tratta del destino dell’anima dopo la morte: in
altri si tratta dell’anima prima della vita [sulla terra]
(Fedro:130 anime umane che vanno al seguito delle anime
divine; Protagora:131 gli dèi che formano le anime mortali).
Per quanto riguarda la vita vera e propria delle anime,
in quanto distinta dalla contemplazione delle Idee, in
quanto ha come risorse la reminiscenza e l’amore, la re-
miniscenza e l’amore sono ancora presenti in forma mi-
tica: l’amore (Fedro, Simposio), la reminiscenza (Menone,132
in cui si trovano delle espressioni mitiche). Infine, nel
Timeo,133 si tratta della formazione dell’anima del mondo

128
Cfr. nota 124.
129
Cfr. nota 126.
130
Cfr. nota 125.
131
Cfr. Plat., Prot. 320c8-322d5, in realtà il mito riguarda la produzione di
tutti i viventi, animali ed esseri umani, e ha un taglio politico più che metafisico
o cosmogonico.
132
I cenni mitici del Menone sono quelli in cui Socrate riferisce brevemente
un racconto di sacerdoti e sacerdotesse, condiviso anche dai divini poeti (vi è
una citazione da Pindaro) circa ciò che l’anima vede e conosce nell’aldilà,
quando è senza un corpo (Plat., Men. 81a5-e2). Da notare che anche qui Socrate
preferisce porre il racconto in bocca a personaggi diversi da sé.

77
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e, simmetricamente, delle anime umane e, attorno, dei


dettagli cosmogonici.
Così il divenire dell’anima e <53>, in generale, il dive-
nire nel suo complesso, ma orientato verso quello del-
l’anima – ecco i temi dei miti di Platone.
Ma perché Platone ha trattato tali temi sotto forma di
mito? Sembra che non avesse altre forme a sua disposizione.
Poiché, fuori dal mito, non aveva che la forma dialettica. Ma
l’essenza della dialettica consiste proprio nell’assumere il
cambiamento e nel risolverlo in forme che non cambiano.
Essa è un modo statico di spiegazione: si tratta in definitiva
di un’analisi. Il divenire in quanto divenire resta per defi-
nizione134 al di fuori di una spiegazione dialettica.
Quindi il divenire resta escluso – e tuttavia è qualcosa;
Platone non è un Eleate.135 Egli ammette la realtà del cam-
biamento. Il cambiamento esiste, ma non è oggetto di idea.
Bisogna dunque trovare un modo di spiegazione, o piut-
tosto di espressione, ricalcato sul divenire, tale da parte-
cipare anche dell’essere e del non-essere, del <54> vero e
della menzogna.
In sintesi, se partiamo dalle cose, possiamo tramite la
dialettica risalire alle Idee, dalle Idee inferiori a quelle su-
periori, e da lì al Bene. Se partiamo dal Bene per scendere
alle Idee, ma soprattutto alle cose sensibili, nessuna spie-
gazione scientifica, per definizione, renderà conto di tale

133
Cfr. Plat., Tim. 34b10 ss.
134
Qui e altrove traduciamo «par hypothèse» del manoscritto francese
con «per definizione», poiché ci sembra essere il miglior corrispettivo, a livello
di significato, nella lingua italiana.
135
Qui Bergson naturalmente allude alle negazioni dell’esistenza del mo-
vimento e del divenire in generale a opera di Parmenide e Zenone di Elea, non-
ché di Melisso di Samo.

78
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processo ed è a questo punto che il mito interviene. Per


usare dei termini già alessandrini, provodo" e ejpistrofh,136
nella filosofia platonica, tutto quanto è conversione si
spiega in termini dialettici e tutto quanto è processione in
termini mitici.
Tali sono i due aspetti molto diversi del platonismo.
Questi due aspetti non mostrano, dal punto di vista filo-
sofico, la stessa forza di resistenza. L’elemento dialettico
si rivolge alla facoltà generale ed impersonale di produrre
concetti e ragionare. Il mito alla fantasia personale di cia-
scuno di noi: ognuno può interpretarlo a modo suo. Esso
costituisce <55> accanto alla scienza impersonale un
modo di approssimazione che ha qualcosa di soggettivo.
Questi due elementi sono l’uno assolutamente stabile,
l’altro instabile a seconda delle persone. La teoria delle
Idee, facilmente esprimibile a parole, doveva di necessità
scalzare l’altro [il mito], dalle caratteristiche molto legate
agli individui. Ed è ciò che è accaduto subito. Aristotele ha
immediatamente messo da parte tale elemento mitico
della filosofia platonica, ed è per questo che egli non colse
transizione alcuna dall’intelligibile al sensibile:137 così fece

136
Questi due termini, assenti in Platone, compaiono a più riprese negli
scritti di Plotino e saranno largamente usati dai platonici della tarda antichità
(V-VI sec. d.C.), che operarono nelle due sedi principali di Atene e Alessandria
d’Egitto. Infatti in Plotino il termine proodos è attestato 10 volte e quello di epi-
stroph ē 9 volte, mentre per esempio in Proclo (V sec. d.C.) il primo termine
ha più di 750 attestazioni e il secondo più di 250. Con proodos si intendeva la
«processione» di enti a partire dal loro principio e con epistroph ē il loro «ri-
volgersi» o ritorno a detto principio. Sono, nel mondo intelligibile, fasi atem-
porali e simultanee. La prima è anzitutto costitutiva degli enti, la seconda li
perfeziona e – ove possibile – li rende capaci di conoscenza.
137
Questa osservazione di Bergson ci sembra particolarmente interessante
nella misura in cui, contrariamente a quanto solitamente si crede anche nelle
ricostruzioni di storia della filosofia, il passaggio dal mito al logos non segna

79
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scendere le Idee nelle cose. E tale interpretazione è rima-


sta quella tradizionale: Platone è rimasto anzitutto il filo-
sofo della teoria delle Idee.
C’è nella sua teoria dell’anima qualcosa che sconcerta
chi presenti una spiegazione sistematica delle idee di Pla-
tone. In alcuni studi si elimina risolutamente tutto ciò che
non vi concordi.
Couturat138 ha detto che tutto ciò che non è la teoria
delle Idee non deve essere preso sul serio. <56>
Ci furono dei filosofi che presero sul serio questi miti
e posero la filosofia mitica di Platone sullo stesso piano
dell’altra.139 Era naturale che ciò accadesse in un ambiente
religioso in cui tutte le religioni erano in conflitto tra loro.
È comprensibile che Plotino sia stato colpito dalla pre-
sentazione che Platone faceva di certe idee tutto sommato
mitologiche, che vi abbia cercato una giustificazione del
paganesimo e che, proprio a tal fine, abbia attribuito a tale
filosofia un’importanza capitale e interpretato tutte le fi-
losofie greche alla luce di essa.
A quell’epoca la vita interiore era diventata intensa.
Delle sfumature di sentimenti del tutto nuove avevano
visto la luce. Si era più pronti a ricercare un sentiero del
vero accanto all’idea.140 Infine l’idea di cogliere il mito per
una via che non fosse la ragione non aveva più niente di
sconcertante.

necessariamente o solo un progresso del pensiero. Infatti non cogliere o non


conservare il mito può costituire una perdita in termini di concettualità filo-
sofica. Nel caso di Aristotele tale perdita è – agli occhi di Bergson – la mancanza
di una spiegazione della produzione di enti a partire da un principio primo.
138
Come indicato dal curatore si tratta di L. Couturat, De platonicis mythis,
F. Alcan, Paris 1896.
139
Ovvero della filosofia dialettica riguardante la teoria delle Idee.
140
Si intende, accanto alla via dialettica analitica.

80
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<57> Nella filosofia di Plotino io vedo soprattutto lo


sforzo per recuperare il platonismo nella sua integralità.
Plotino accetta l’intera dialettica platonica, e anzi pone al
di là delle Idee qualcosa che è più che idea e che si può
raggiungere. Ma egli accetta anche la teoria platonica
dell’origine delle anime, della loro discesa nel corpo,
dell’amore e della reminiscenza, del destino delle anime.
Come ha realizzato una tale riconciliazione dei due
aspetti? Tramite un compromesso che ha reso la mitologia
più dialettica e la dialettica più mitologica.
1. – Consideriamo i miti. In un passo dell’Enneade, IV
2, fine,141 Plotino ci ricorda la teoria del rapporto della
yuchval nou` ", e più specificamente dell’anima in quanto
situata nello spazio e nel tempo e dell’anima in quanto si-
tuata nell’intelligibile. Ed egli conclude tale presentazione
dando un’interpretazione del Timeo.142

141
Enneade IV 2 [4], Sull’essenza dell’anima. Libro I, cap. 2, ll. 39-55 (come
indicato dal curatore). Ricordiamo che tale trattato apre in realtà la quarta En-
neade nei manoscritti, la sua collocazione incipitaria è confermata anche dal
Pinax e da Porph., Vita Plotini 25, 12-15. Fu Marsilio Ficino (autore di un’im-
portante traduzione latina dell’opera plotiniana pubblicata nel 1492) a posporlo
al secondo posto nell’Enneade in questione. Nell’edizione di Henry e Schwyzer
il trattato è tornato ad aprire la quarta Enneade, ma ha conservato la numera-
zione ficiniana di IV 2 (e non IV 1). Inoltre qui appare visibile la mano di Por-
firio in quanto editore degli scritti di Plotino, nella misura in cui, per ricavare
due trattati da quello che era con ogni probabilità un unico scritto, ha separato
tra loro IV 1 (IV 1 [21], Sull’essenza dell’anima. Libro II, di una sola pagina) da IV
2. Lo stesso Bergson aveva menzionato all’inizio del corso (cfr. p. <23>) tali in-
terventi porfiriani volti al raggiungimento di un numero di trattati plotiniani
(54) tali da formare 6 gruppi di 9 trattati, secondo l’aritmologia di ispirazione
pitagorica che vedeva in questi numeri un carattere di perfezione.
142
Si tratta di Plat., Tim. 35a1-4: «Dalla sostanza non divisibile e che sta
sempre allo stesso modo e da quella divisibile che diviene nell’ambito dei corpi
[il Demiurgo] compose per mescolanza una terza specie di sostanza». Qui e al-
trove le traduzioni dal greco sono mie.

81
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<58> Egli cita una frase dal Timeo,143 in cui si parla di una
mescolanza operata da Dio, per formare l’anima, tra l’es-
senza indivisibile e quella divisibile. Platone ci presenta tale
mescolanza come un fatto storico. Ora, a detta di Plotino, la
propria personale dottrina non è diversa. E, tuttavia, il rap-
porto dell’anima all’intelligibile in Plotino è di natura me-
tafisica: non si tratta del rapporto di un artista alla propria
opera, ma di una derivazione metafisica.144
Poni il nou`
" e l’anima segue. Così, nel Timeo, c’è un racconto
che si svolge nel tempo con dei personaggi, tutto145 vi è con-
tingente. In Plotino il processo è atemporale e metafisico. E,
tuttavia, Plotino presenta tale teoria come quella del Timeo.146
Si tratta di un caso o di un metodo d’interpretazione?
Plotino dà, III,147 un’interpretazione dei miti. Bisogna
143
Si tratta appunto di Plat., Tim. 35a1-4 (si veda nota precedente), e non
di Tim. 69d, come stranamente indica il curatore, che di fatto riporta corretta-
mente ad locum il testo di Tim. 35a1-4.
144
È questo un punto capitale che Bergson formula perfettamente circa
l’interpretazione non letteralista della demiurgia del Timeo a opera di Plotino.
145
Il curatore informa che il termine «tutto» non si trova nel manoscritto.
146
Anche questo è un punto capitale, che Bergson aveva già formulato in
precedenza (cfr. p. <49>): il fatto che Plotino non riconosca mai di distaccarsi
da Platone, anche quando in realtà ne dà un’interpretazione personale che cam-
bia il sistema filosofico nel suo complesso.
147
Enneade III 5 [50] Su Eros, cap. 9, 24-29: «Ma bisogna che i miti, se invero
saranno tali, sia parcellizzino in tempi diversi le cose che dicono sia dividano tra
loro molti tra gli enti che, da un lato, si danno insieme, e che, dall’altro, si distin-
guono per rango o poteri, allorché persino i logoi sia producono nascite di enti in-
generabili sia essi stessi dividono le cose che si danno insieme sia, dopo aver dato
un insegnamento come possono, lasciano ormai, a chi ha capito, [il compito di]
procedere a una riunificazione». Il curatore, che rinvia a questo passo plotiniano,
ne dà tuttavia una citazione parziale che rischia di travisarne il senso, poiché taglia
l’accostamento tra miti e logoi. Ricordiamo che questo trattato plotiniano è per lo
più un’esegesi del Simposio di Platone, in particolare, in quanto immediatamente
precede il testo da noi citato, Plotino ha proceduto a interpretare allegoricamente
il mito del concepimento di Eros nel giardino di Zeus ad opera di Poros e Penia in
occasione della nascita di Afrodite (cfr. Plat., Symp. 203b1-204a7).

82
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– aVerma – che i miti dividano nel tempo ciò che raccon-


tano, che essi separino le une dalle <59> altre molte cose
che si danno invece l’una nell’altra, ma che hanno rango e
potenze diverse. Quando i miti hanno impartito il loro in-
segnamento come possono, lasciano a chi se li è rappre-
sentati il compito di operare una sintesi. Così il ruolo del
mito è quello di presentare sotto forma di un racconto nel
tempo ciò che in sé è una necessità stessa dell’essere.
Esempio: l’origine delle anime, la loro discesa.
Inizialmente le anime esistono per se stesse e sono im-
mutabili. Ma questo significa che non è il corpo ciò che ri-
ceve l’anima, bensì che è il corpo a essere nell’anima come
un’immagine che essa si rappresenta. E, per questo aspetto,
il corpo vi è in qualche modo da tutta l’eternità.
Circa le esistenze successive, ciascuna con ricompense
e punizioni – tutte queste esistenze in successione sono
complementari le une alle altre e tutte insieme formano
qualcosa che altro non è se non l’idea dell’anima. <60> Così
Plotino considera alla stregua di un processo atemporale ciò
che nel mito è presentato come una vicenda. Questo equivale
a dire che una tale interpretazione implica una certa conce-
zione del tempo e dei suoi rapporti con ciò che è eterno. In-
fatti, se la stessa realtà che è, da un lato, vista come una
successione nel tempo è, dall’altra, anche vista come data
tutta insieme nell’eternità, questo non può accadere se non
perché il tempo è un dispiegamento in forma di successione
di qualcosa che è in sé atemporale. Il trattato 7 della III En-
neade (Peri aijwǹo" kai;crovnou)148 esprime tale teoria del

148
Enneade III 7 [45] Su eternità e tempo. Ricordiamo che per Plotino il
tempo è un prodotto della terza ipostasi, l’Anima, che lo crea simultaneamente
all’universo, essendone come il respiro e il ritmo interno.

83
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tempo. Il tempo sta all’eternità come l’anima sta al nou` ".


Lo spirito, il nou`", è l’eterno. Se l’anima è identica in se
stessa e fuori dal nou`", il tempo nell’anima è il movimento,
la vita dell’anima in quanto passa da un atto all’altro, da
uno stato a un altro. Posta tale teoria, se ne deduce l’inter-
pretazione dei miti platonici, poiché questi miti si riferi-
scono all’anima, e ciò che è il divenire nell’anima coincide
con l’eterno. Vediamo così come il mito coincida in una
certa misura con la dialettica.
2. – Allo stesso modo la dialettica di Plotino ha qual-
cosa di più mitico.149 Non è più così astratta. Per Platone
l’anima che s’innalza alla contemplazione delle Idee esce
da se stessa, e l’idea è qualcosa di abbastanza distante
dall’anima: essa rappresenta un genere,150 l’anima invece
è individuale. Per Plotino molte idee sono individuali. C’è
un’Idea di Socrate151 che, nell’eterno, è il medesimo So-

149
Rispetto alla dialettica platonica.
150
Credo che Bergson voglia dire che l’Idea in Platone rappresenti un ge-
nere nel senso che è predicabile di molte cose, di cui indica la natura (ad es. le
cose belle sono e si dicono belle in virtù della Bellezza). Non è invece scontato
che in Platone l’Idea sia un genere e non una sostanza individuale.
151
A onor del vero nella filosofia plotiniana resta aperta la questione se esi-
stano Idee degli individui (come invece qui Bergson sembra positivamente sup-
porre parlando dell’Idea dell’individuo Socrate), benché l’attitudine di Plotino
sia più aperta a tale possibilità rispetto ai suoi predecessori nell’ambito della
tradizione platonica (cfr. Enneade V 7 [18], Se esistano Idee anche degli enti indi-
viduali). Del resto, sulla scia del Parmenide (Plat., Parm., 130c1-d2) ha sempre
costituito un problema per i Platonici definire in modo chiaro e netto l’esten-
sione del mondo intelligibile, se cioè vi fossero anche Idee di enti naturali
(come essere umano, fuoco, acqua), di cose inanimate spregevoli (come capello,
fango, sporco), di cose contro natura, di artefatti, ecc. Per studi di orientamento
su questo tema rimandiamo a F. Ferrari, Esistono Forme di «kath’hekasta»? Il
problema dell’individualità in Plotino e nella tradizione platonica antica, in «Ac-
cademia delle Scienze di Torino. Atti Scienze Morali», 131 (1997), pp. 23-63;
P. Kalligas, Forms of Individuals in Plotinus: A Re-Examination, in «Phronesis»,
42 (1997), pp. 206-227.

84
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crate che, sviluppato nel tempo, è l’anima. Così l’anima


entra nella regione delle Idee. L’importanza attribuita da
Plotino agli studi di psicologia deriva per lo più da questo
legame stabilito tra l’anima e l’intelligibile, dato che
l’anima, nella misura in cui la si fa risalire, è immersa nel-
l’idea. L’idea di una scienza dell’individuo assume un’im-
portanza <62> capitale nella filosofia di Plotino.
In tal modo, che si consideri la dottrina di Plotino in
se stessa o come interpretazione di Platone, siamo ricon-
dotti allo studio dell’anima come a un centro.

V – L’anima del mondo

<63> Dobbiamo anzitutto parlare dell’anima del mondo. La


teoria dell’anima particolare e quella dell’anima universale
in Plotino sono costantemente mescolate. L’idea di comin-
ciare con uno studio dell’anima del mondo e di dare come
preambolo alla psicologia dell’individuo una psicologia
dell’universo è meno strana di quanto possa sembrare, se ci
si riferisce al senso che gli Antichi, e soprattutto Plotino,
hanno attribuito a questa espressione: yuchvtou`pantov ". Si
tratta del principio dell’ordine e della natura, che crea la
materia e le leggi della materia. Procedendo in questo modo,
trattiamo semplicemente della natura in generale prima che
dello spirito cosciente, ripristiniamo la coscienza nelle con-
dizioni della vita prima di trattare la questione della co-
scienza: in fondo è il procedimento moderno.152 La

152
Il curatore informa che nel manoscritto si legge: «C’est au fond la marche
moderne», ovvero si trova marche («camminata») invece che démarche («pro-
cedimento»), come ci si aspetterebbe. E rimanda a H. Bergson, L’evoluzione crea-
trice, pp. 489-490, per l’applicazione concreta di tale modo di procedere.

85
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questione dei rapporti di ciò che è fisico e di ciò che è morale


è la stessa che quella dei rapporti dell’anima universale e
dell’anima individuale.153
Da questo <64> enunciato generale egli ha tirato delle
conseguenze molto speciali, come la teoria dell’ereditarietà
naturale indicata in Plotino. Egli la spiega determinando
precisamente ciò che è la componente dell’anima universale
e quella dell’anima individuale nella generazione del corpo.
Ci mostrerà l’anima universale in atto di abbozzare154 il
corpo e di conferirgli così delle caratteristiche generali, tra-
smissibili, dunque ereditarie. L’anima individuale inter-
viene a tale stadio e completa l’opera. Essa del resto sceglie
un certo corpo perché le è appropriato, e vi si adatta. Il pro-
blema, per essere posto in forma antica, è risolto in una
forma alquanto moderna. La questione stessa di un’anima
universale non è così strana come si potrebbe pensare. Si
ammetterà che c’è una certa unità della natura; i teleologi
vedono nello sviluppo delle cose lo sviluppo di una sola idea,
i loro avversari ammettono il concatenamento di un grande
teorema meccanico. L’unità vela, sotto questa duplice forma,
ciò che l’anima del mondo spiegava in forma concreta.155
Ma qual è l’origine di questa terminologia che assimila
l’unità <65> del tutto a quella dell’anima? Probabilmente

153
Frase chiarificatrice per capire il collegamento tra Materia e memoria e L’evo-
luzione creatrice, come due aspetti del medesimo problema, dato che la coscienza
personale è dapprima risituata nelle condizioni della vita dell’individuo (MM), in
seguito nelle condizioni più generali di tutto il sistema dei viventi (EC) [NdC].
154
Il termine francese è: esquissant, a indicare il primo disegno rudimen-
tale di un corpo tracciato dall’anima universale e che, poi, un’anima individuale
raffinerà e completerà.
155
Il curatore rimanda all’immagine dei due vestiti de L’evoluzione creatrice,
p. 493, mettendo in guardia tuttavia da conclusioni troppo affrettate rispetto
all’ultima lezione (IX) del presente corso.

86
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pitagorica, benché non ci siano testi precisi al riguardo. Il


solo citato da Stobeo, di Filolao,156 non è autentico. Ma altri
testi attribuiscono ai Pitagorici alcune idee che, sintetiz-
zate in una mente, dovevano tradursi precisamente nella
concezione di anima universale.
Aristotele, Fisica, N, 2b:157 «Per i Pitagorici il cielo è
circondato da uno spazio vuoto; il mondo respira». Per
essi il mondo era un essere vivente. Ma vi è per essi un
centro di vita?
Stobeo, Eclogae philosophorum, 1.488:158 «Filolao ha
situato al centro il fuoco. Tale fuoco egli lo chiamava fo-
colare dell’universo e ancora la casa di Zeus e la madre
degli dèi». Si tratta quindi proprio di un centro. Esso è
un’anima?

156
Per i rimandi testuali si veda infra la nota 158.
157
Così nel testo edito del manoscritto. Si tratta di un’indicazione erronea
visto che nella Fisica non esiste un libro N. La quasi citazione aristotelica cor-
risponde invece ad Arist., Phys., IV (D) cap. 6, 213b22-24: «Anche i Pitagorici
sostennero che il vuoto esiste e che sopraggiunga all’universo dall’illimitato
soffio (pneuma) come se [l’universo] respirasse». La menzione della posizione
dei Pitagorici si situa, com’è noto, nella sezione (capp. 6-9) in cui Aristotele
confuta le tesi a favore dell’esistenza del vuoto e conclude che esso non esiste.
158
Il curatore rimanda a Ioannis Stobaei Anthologium, ed. C. Wachsmut, O.
Hense, Weidmann, Berlin 19582., vol. IV, tom. I, p. 488. Il passo corrisponde
nei frammenti dei Presocratici alla testimonianza su Filolao 44A 16 D-K ( = Aet.
II 7, 7), e concorda con la testimonianza A 17 D-K ( = Aet. III 11, 3) in cui si parla,
sempre in contesto cosmico, del «fuoco del focolare (to pyr hestias) al centro».
Inoltre il frammento di Filolao B7 D-K ( = Stob., Anth., I 21, 8) recita: «la prima
cosa armonizzata, l’uno, nel mezzo della sfera si chiama focolare (hestia)» (cfr.
Die Fragmente der Vorsokratiker, ed. H. Diels, W. Kranz, Berlin 1951-1952). Sa-
rebbe quindi questo fuoco cosmico centrale ad aver suggerito a Plotino l’idea
di un’anima universale. La tesi attribuita da Bergson sembra dunque attendibile
in sé. Ricordiamo però che, in generale, Plotino richiama eventuali tesi di ori-
gine o d’ispirazione pitagorica direttamente sotto l’autorità di Platone, e non
sente il bisogno, come invece altri platonici prima e dopo di lui, di costituire la
coppia di autorità Pitagora-Platone (cfr. la nota 111).

87
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Aristotele, Metafisica, 986a2:159 «Il mondo intero è ar-


monia e numero». Ora tali termini160 costituiscono per i
Pitagorici la definizione stessa dell’anima. I Pitagorici do-
vevano credere che il mondo fosse la manifestazione di
un’anima. Da parte nostra pensiamo anche all’eYcacia
che essi hanno attribuito al numero e, in particolare, alla
decade. Grazie al numero tutto si tiene insieme ed è esso
a rendere le cose conoscibili. Nel Timeo161 è tramite il nu-
mero che l’anima viene caratterizzata. Da questo si può
concludere che i Pitagorici non abbiano designato il
mondo tramite numero e armonia senza averne fatto
qualcosa d’animato. Dunque i Pitagorici dovettero arri-
vare a porre il mondo come vivente.
Vediamo, per mezzo di questa analisi, che l’anima era
per Pitagora solamente un principio di ordine e di misura.
L’anima è ancora ciò, ma anche qualcosa di più per Pla-
tone. Da parte mia non cercherò di spiegare la formazione
dell’anima del mondo, Timeo, 39a162 – testo che da subito
è stato considerato un modello di oscurità (Cicerone,
Sesto) e che Proclo, Plutarco, Plotino hanno interpretato
in modi diversi. Si tratta di una mescolanza realizzata tra
l’essenza divisibile e quella indivisibile. Definiremo sol-

159
Arist., Metaph., A 5, 986a2-3.
160
Ovvero armonia e numero.
161
Si tratta di Plat., Tim., 35a1-36d7: in questo brano, per la precisione,
non c’è una definizione dell’anima, bensì la descrizione della sua produzione
tramite analogie matematiche di mescolanza delle tre componenti che sono
l’Identico, l’Altro e l’Essere.
162
Così nel testo edito del manoscritto, tuttavia si tratta di un refuso per
Tim. 35a (non 39a), dove appunto si descrive la formazione dell’anima dell’uni-
verso (si veda nota 142), mentre in Tim. 39a è questione del tempo e della sua
scansione tramite i movimenti dei corpi celesti sulle orbite dell’Identico e
dell’Altro.

88
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tanto il ruolo e la funzione dell’anima secondo le indica-


zioni di Platone.
L’anima del mondo è per quest’ultimo ciò che l’anima
individuale è per il corpo, principio di movimento. Leggi,
X, 896a:163 «Il movimento in grado di muoversi esso
stesso»; Fedro, 249c:164 «Solo ciò che si muove da sé è fonte
e principio di <67> movimento». Così l’anima ha come
primo ruolo quello di dare impulso alle cose. In secondo
luogo essa è principio di misura e di armonia. Nel Timeo165
l’anima si compone in modo conforme ai numeri che
esprimono l’armonia, i rapporti armonici musicali e anche
i sistemi astronomici.
Che cos’è allora l’anima in sé, che posto occupa tra Idee
e cose sensibili? eij
d~o" oppure aij
sqhtovn? Né l’uno né l’altro.
Essa non può essere una cosa sensibile, poiché gli aijsqhtav
sono inerti, sono completamente fatti [da altro], non prin-
cipi di divenire. Non può essere neppure un’Idea: l’idea è
anzitutto eterna e atemporale, immutabile, inoltre non sog-
getta al divenire, e rappresenta il genere.166 Ora l’anima del
mondo: 1. diviene, essendo principio stesso del divenire;
2. è un individuo. L’anima è qualcosa d’intermedio, cosa
questa naturale dato il suo carattere matematico. Essa trova
posto tra quelle entità di ordine matematico che Platone
colloca subito al di sotto delle Idee (Metafisica, 987a14).167

163
Plat., Leg. X, 896a1-2.
164
C’è un refuso nel testo pubblicato, dove si indica Plat., Phaedr., 249c e
non 245c7-d1, com’è giusto che sia.
165
Cfr. le note 160-161.
166
Questo di per sé non è scontato in Platone, dove compaiono passi che
sembrano suggerire che l’Idea sia una realtà individuale, cfr. la nota 151.
167
Arist., Metaph. A 6, 987b14-16; nel testo pubblicato c’è un refuso, infatti
si legge 987a invece che 987b, come si dovrebbe.

89
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<68> Perché c’è bisogno di una o più essenze interme-


die tra l’Idea e il sensibile? Nella filosofia di Platone il
passaggio dal sensibile all’intelligibile è chiaro in quanto
dialettico, mentre il passaggio inverso è oscuro e non si
può esprimere che in forma di mito. Nei miti platonici,
che esprimono tutti questo movimento discendente per
cui si passa dalle Idee alle cose, bisogna che ci siano in tale
movimento dei punti di riferimento: le anime, gli dèi, so-
prattutto l’anima del mondo, ricoprono questo ruolo. Si
tratta degli oggetti dei miti platonici. – È una definizione
vaga, ma l’idea non è più determinata in Platone che, a
causa della sua stessa concezione, non poteva chiarirla.
Tale idea Plotino l’ha fatta uscire dall’ombra. Infatti è
esclusivamente da Platone che egli l’ha presa. Talora si pa-
ragona tale anima di Plotino al fuoco stoico. L’analogia è del
tutto di superficie, mentre le diVerenze [sono] profonde.168
Presso gli Stoici il fuoco basta a se stesso, non deriva da
un’essenza superiore fuori dal tempo. In Plotino si tratta di
una <69> derivazione dal nou`". Non si può nemmeno ve-
derla da vicino senza vederla contrarsi e, infine, essere rias-
sorbita dale nou`". Inoltre l’anima degli Stoici diventa
materiale e la materia [diventa] anima. In Plotino, se la ma-
teria proviene dall’anima, non è per trasformazione [di que-
168
Bergson ha detto il contrario nel suo corso di storia della filosofia greca
presso il Liceo Henri IV, ms. pp. 192-117, vol. IV, p. 146: «nell’anima del mondo
(in Plotino) si riconosce senza difficoltà la psuch ē degli Stoici». Le due affer-
mazioni comunque forse non sono così opposte come potrebbe sembrare. Senza
dubbio, in quanto giudizi riguardanti la storia delle idee, c’è il passaggio da una
tesi a quella opposta. Mentre, in quanto temi plotiniani, servono da supporto
alla riflessione dello stesso Bergson. Questa evoluzione mostra, più che un pro-
gresso della sua erudizione e della sua esegesi, un approfondimento del proprio
pensiero. Il primo punto di vista è, grosso modo, integrato in Materia e memoria,
mentre il secondo si muove già nella prospettiva de L’evoluzione creatrice e pre-
para forse lo spazio di ricerca che sarà proprio delle Due fonti [NdC].

90
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st’ultima]; si tratta di una derivazione che non impedisce


all’anima di restare in sé.169 L’origine della sua concezione
è interamente in Platone.
Plotino porta pienamente alla luce del sole la teoria di
Platone. Ne fa derivare una teoria dei corpi, una teoria im-
plicita dello spazio, una teoria esplicita del tempo, finanche
una teoria della coscienza. Tale ipotesi, l’ultima dal punto di
vista metafisico, è la prima in ordine d’importanza per la co-
noscenza: Plotino non ha parlato delle altre cose se non per
estensione e astrazione di questa concezione dell’anima.
Ricordiamo il modo in cui egli arriva progressiva-
mente ad attribuire all’universo un’anima. Avviene tra-
mite la presa in conto delle analogie tra l’universo e questo
o quell’essere vivente. Un essere vivente manifesta
un’anima, all’inizio sotto forma di ragione <70> gene-
rante. Un corpo vivente è una molteplicità di parti tra cui
c’è koinwniva; un animale è un tutt’uno e simpatetico con se
stesso (oJmopavqeia, sunaivsqhsi" = accordo). Conseguen-
temente bisogna che ci sia un principio di questa armonia.
Enneadi, III, 2.2:170 «Nel logos generatore, tutto è dato in-
sieme e nello stesso punto». Ibid., VI, 7.14:171 «Il logos è
un’unità molteplice, uno schema, un abbozzo che contiene
degli abbozzi […] , un centro indiviso che contiene e rias-
sume in esso tutta la circonferenza». Quindi un essere vi-
vente è la manifestazione di un logos.
169
Plotino ripetutamente si oppone alla concezione materialistica del-
l’anima da parte degli Stoici, una confutazione abbastanza sistematica di essa
si trova in Enneade IV 7 [2] Sull’immortalità dell’anima, capp. 3-83.
170
Enneade III 2 [47] Sulla Provvidenza. Libro I, cap. 2, 18-20.
171
Cfr. Enneade VI 7 [38] Come si costituì la molteplicità delle Idee e sul Bene,
cap. 14, 12-13. L’immagine del centro e della circonferenza, spesso usata da
Plotino, non si trova invece nel capitolo 14 indicato da Bergson, che deve essere
passato tacitamente ad altro.

91
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Il logos comunque non è assolutamente Idea. L’Idea è


l’archetipo fuori dallo spazio e dal tempo. Il logos è ciò che
esce da quest’Idea per lavorare scendendo nello spazio e
nel tempo: è l’idea diventata forza. Proprio perché l’Idea
diviene lavoro, si espone ad incontrare delle resistenze,
all’imperfezione. Se in ogni corpo vivente c’è logos, vi è
contemporaneamente qualcosa che oppone resistenza. Il
logos di un essere umano <71> non vuole che sia zoppo.
Quindi qualcosa gli ha opposto resistenza (V, 9.18),172 che
non era nel logos generante. Ma in questo difetto di pro-
duzione nel divenire, poiché il logos non ha prevalso, ciò
che ha vinto è stato un deterioramento, a opera del caso,
dell’idea che il logos portava con sé. La materia è là e ap-
porta (I, 8.8)173 alla forma la propria mancanza di forma,
a ciò che è la misura il proprio eccesso e il proprio difetto,
finché essa abbia condotto l’essere in via di formazione
ad appartenere non a sé ma a essa. Quindi la materia si
oppone al conferimento della forma da parte del logos.
Del resto vedremo che la materia non è altro che un inde-
bolimento o esaurimento del logos via via che esso lavora.
Diciamo quindi che un essere vivente è anima in
quanto logos e, per eVetto stesso di tale lavoro, in atto di
sminuirsi – aggiungiamo: distendendosi nello <72> spa-
zio. Il logos si diVonde nello spazio per il fatto stesso che
lavora. Porfirio (ajformaiv, 37)174 ha messo bene in evidenza
172
L’indicazione del capitolo è errata, non si tratta del cap. 18, bensì del
cap. 10: Enneade V 9 [5] Sull’Intelletto, le Idee e ciò che è, cap. 10, 4.
173
Enneade I 8 [51] Su quali e donde siano i mali, cap. 8, 21-24.
174
Bergson usa il titolo greco dell’opera porfiriana (Aphormai pros ta noēta),
più nota con il titolo latino Sententiae ad intelligibilia ducentes, come ricorda il
curatore. Osserviamo che Bergson utilizzava probabilmente l’edizione del testo
di Creuzer (citato qui nella nota 64) in cui tale sentenza porta appunto il numero
37, mentre nell’edizione oggi corrente di E. Lamberz essa porta il numero 35:

92
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quest’idea: «Il volume è una diminuzione della potenza


dell’essere incorporeo che è il solo ad essere reale».
Per riassumere, in un essere vivente c’è il logos,
quest’aspetto del logos che è la materialità, infine una di-
stensione nello spazio che implica sempre un’armonia.
Circa l’anima universale ci si chiede: l’universo possiede
l’aspetto esteriore di un essere vivente definito in questi
termini? C’è certo nell’universo simpatia tra tutte le sue
parti. L’astrologia stabilisce questo punto.175 Essa sarebbe
impossibile se non si supponesse che ciò che si mostra in
un punto qualunque dell’universo simboleggia ciò che ac-
cade in un altro punto qualsiasi. Gli astri non esercitano
un influsso, ma hanno un significato (IV, 4, 6).176 Ancora
(IV, 4, 33),177 l’universo è paragonato a un ballerino, i cui
movimenti <73> sono talmente ben connessi tra loro che
l’esperto che ne percepisca uno solo potrebbe ricostruire
il movimento totale tramite l’interpretazione dei movi-
menti gli uni attraverso gli altri. L’astrologia procede così.
Allo stesso modo la magia178 è la potenza d’agire su un
punto determinato dell’universo agendo su un altro
punto.

Porphyrius, Sententiae ad intelligibilia ducentes, ed. E. Lamberz, Teubner, Leipzig


1975, p. 39, 20-21.
175
Bergson aveva menzionato l’astrologia già a p. <34>, come rivelatrice
dell’armonia fondamentale che c’è tra gli enti. Plotino affronta la questione se
gli astri esercitino un’influenza nell’Enneade II 3 [52] Se gli astri producano effetti,
in cui sostiene che gli astri significano gli evidenti, ma senza produrli.
176
Enneade IV 4 [28] Sui problemi dell’anima. Libro II, cap. 6, 13-15, in cui
si nega che le anime dei corpi celesti stiano a pensare come dirigere le vicende
umane o quanto accade sulla terra.
177
Enneade IV 4 [28] Sui problemi dell’anima. Libro II, cap. 33, 17-25.
178
Già menzionata da Bergson, insieme all’astrologia, a p. <34> a indicare
la simpatia fra le parti dell’universo.

93
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Infine perché le preghiere vengono esaudite?179 Non è


perché gli dèi le ascoltino. La causa è che c’è un mezzo,
per un eVetto simpatetico, d’influenzare l’universo in
quanto animato.
L’universo è quindi un essere vivente e come tale è la
manifestazione di una ragione generante. Bisogna ora de-
terminare quest’anima delle cose. La determineremo an-
zitutto in rapporto a ciò che è al di sotto di essa, alla
materia che essa informa, poi in rapporto al nou`" al di
sopra di essa, infine cercheremo di determinarla in se
stessa.
<74> La prima questione è la seguente. Se noi conce-
diamo [l’esistenza del]l’anima, cioè di qualcosa che pro-
viene dal nou`", ma che, per il suo aspetto superiore, è
ancora qualcosa d’uno, come spiegare che da tale anima
esca la molteplicità indefinita delle cose nello spazio e nel
tempo? Platone ha dovuto parlare del non-essere180
aYanco alle Idee. Plotino vuole far derivare questo non-
essere dalle Idee stesse. Come qualcosa che, per sua na-
tura, sembra essere contrario all’intelligenza – la totalità
delle cose – proviene dall’anima che, tramite l’alto, è an-
cora nello Spirito?181
L’anima è anzitutto riconoscibile come una forza che,
come tale, ha il bisogno e il potere di produrre, trae da sé
tutto ciò che contiene e che, in virtù del principio per cui

179
Cfr. Enneade IV 4 [28] Sui problemi dell’anima. Libro II, cap. 40, 27-28;
cap. 42, 1-19.
180
Notoriamente nel Sofista, dove si compie una sorta di parricidio a opera
di Platone verso Parmenide come verso colui che aveva negato l’esistenza e la
pensabilità del non-essere, cfr. in particolare Plat., Soph., 258c6-259b7.
181
«Spirito» è traduzione di Bergson («Esprit») alternativa a «Intel-
letto» per Nous in greco.

94
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ciò che è generato è inferiore a ciò che genera, produce


un corpo imperfetto al fondo del quale c’è la materia che
sarebbe la feccia amara di un essere inferiore (II, 3.17).182
<75> Ma perché l’anima che è forma produrrà qualcosa
d’informe? «L’anima del tutto è una grande luce che ir-
raggia fuori da sé, tende a divenire tenebre via via che essa
si allontana dalla sua sorgente» (IV, 3.9). – «Ma tali te-
nebre, per il fatto stesso che l’anima le vede, essa le attra-
versa e dà loro una forma».183 Così, lasciandole sfuggire
da sé, l’anima le lascia sfuggire sempre più sbiadite fino
al limite, mai raggiunto, in cui sarebbero tenebre. Voler
cogliere la materia allo stato puro equivarrebbe a voler co-
gliere l’ombra assoluta senza luce.
Sotto tale forma la materia sarebbe ancora puramente
negativa; tuttavia essa deve pur avere qualche eVetto, al-
trimenti perché l’anima resterebbe lontana184 dalla sua
unità originaria? (cfr. III, 6 verso la fine).185 La materia è
dapprima presentata come un non-essere platonico. Il
suo ruolo è quello di porre fine alla processione delle cose
che derivano dal nou`" <76>; egli la paragona alla <…>186

182
Cfr. Enneade II 3 [52] Se gli astri producano effetti, cap. 17, 23-24.
183
Cfr. Enneade IV 3 [27] Sui problemi dell’anima. Libro I, cap. 9, 24-26.
184
Il termine éloignée «lontana» è stato aggiunto dal curatore.
185
Il curatore rimanda all’ultimo capitolo del trattato, ovvero Enneade III 6
[26] Sull’impassibilità degli enti incorporei, cap. 19, in cui si parla dell’assoluta ste-
rilità della materia. Tuttavia, se si vuole individuare comunque una qualche effi-
cacia della materia, stando all’indicazione di Bergson, si può pensare al cap. 14 in
cui si mostra a tal punto la necessità della materia per l’esistenza degli enti sensibili
che Plotino le assegna un ruolo causale nella loro generazione (in particolare ll.
34-35: «[la materia] così diventa dunque causa di generazione (aitia tēs geneseōs)».
186
Il curatore informa che a questa altezza manca una parola nel mano-
scritto. Poiché, come mostra l’articolo che precede la lacuna, la parola doveva
essere di genere femminile, forse si può pensare al termine Povertà (Penia,
«Pauvreté») a cui Plotino paragona la materia dando un’interpretazione alle-

95
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che dimora senza interruzione. Ma soprattutto, III,


6.14,187 la materia è paragonata a uno specchio inganna-
tore che riflette un’immagine illusoria; e questo specchio
è un’immagine esso stesso, un miraggio che è fonte di mi-
raggi. E «se le immagini emanassero direttamente dagli
esseri, esse sussisterebbero senza aver bisogno di esistere
in un’altra cosa, ma dato che gli esseri autentici restano
chiusi in sé, bisogna che ci sia qualcosa che fornisca loro
un luogo in cui esse non sussistono». In altri termini, se
le immagini, le cose sensibili, fossero un eVetto imme-
diato dell’Idea, l’Idea si renderebbe immediatamente
sensibile, non vi sarebbe bisogno di materia. Ma bisogna
dire che ogni immagine ha bisogno di appoggiarsi su
un’altra immagine. V, 9.5:188 ciò che è immagine è per sua
stessa natura in qualcosa d’altro da sé. Solo l’Idea è in se
stessa. IV, 8.6:189 il processo deve prolungarsi fino ai limiti
del possibile. II, 3.18:190 il mondo <77> è un’immagine in
continua formazione. Ovvero, se l’anima restasse dov’è
originariamente, non ci sarebbe nulla di sensibile. Sup-
poniamo una causa che la faccia uscire dal nou` ", [allora]
noi poniamo le cose nella loro totalità, poiché un’imma-
gine non può prodursi senza collocarsi in un’altra imma-
gine e così di seguito. Così si genera l’indefinito di spazio
e di tempo, la materia. La materia non è altro che l’inde-

gorica del personaggio menzionato in Platone (Symp., 203b4), sostenendo che


essa resta sempre tale e sempre in atto di mendicare, senza arricchirsi mai: cfr.
Enneade III 6 [26] Sull’impassibilità degli enti incorporei, cap. 14, 9-12.
187
Per la citazione si veda Enneade III 6 [26] Sull’impassibilità degli enti in-
corporei, cap. 14, 4-7; lo specchio è menzionato alla l.2.
188
Enneade V 9 [5] Sull’Intelletto, le Idee e ciò che è, cap. 5, 46-47.
189
Enneade IV 8 [6] Sulla discesa dell’anima nei corpi, cap. 6, 12-16.
190
Enneade II 3 [52] Se gli astri producano effetti, cap. 18, 16-17.

96
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finitezza delle cose, delle immagini che si creano senza


sosta.
Confrontiamo questa teoria con quella di Kant.191 Plo-
tino pone, da un lato, l’Idea e, dall’altro, la realtà fenome-
nica e, come Kant, fa consistere la realtà fenomenica in
un progresso indefinito. Per Kant l’esperienza è questo.
E le due antinomie matematiche derivano dal fatto che noi
ci sbagliamo sul carattere dell’esperienza che è un pro-
gresso e un movimento, e che noi [invece] vogliamo co-
gliere come infinito in atto.
Ma anche la diVerenza è grande <78>: per Kant né lo
spazio né il tempo, che condizionano il flusso dei feno-
meni, né la causalità che li lega possono generarsi: essi
sono dati come delle forme pure e uno schema. Al con-
trario in Plotino abbiamo uno sforzo per dedurre lo spa-
zio, il tempo e persino la causalità temporale. Lo spazio e
il tempo si deducono dal fatto che ciò che è nello spazio e
nel tempo costituisce la manifestazione incompleta del-
l’idea, l’immagine. E allora l’immagine cerca di comple-
tarsi. Ed è così che si generano lo spazio e il tempo. Allo
stesso modo la causalità è per noi lo sforzo di una cosa per
far uscire ciò che ha in sé. Per Plotino è lo sforzo di una
cosa per cercare un’altra cosa su cui fissarsi, e tale sede
non si è nemmeno presentata che subito si sottrae. Così
anche la causalità si spiega tramite la corsa di un essere
incompleto alla ricerca di se stesso. Tutto ciò si deduce da
ciò che è fuori del tempo e fuori dello spazio.
<79>.

191
Per i rimandi alla filosofia moderna e contemporanea, qui e altrove, si
rimanda all’Introduzione in questo stesso volume.

97
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VI – La processione dell’anima e il principio dell’irradiazione

<80>
Abbiamo visto come l’anima universale generi le imma-
gini che si dispongono nello spazio e nel tempo, poiché le
immagini, per il solo fatto di essere molteplici, generano
il tempo e lo spazio. L’indefinito nel tempo e nello spazio
è semplicemente la traduzione della povertà dell’imma-
gine che cerca di appoggiarsi a un’altra immagine.
L’anima universale è quella che chiama h ejn kovsmw/o ejn
swv mati yuchv . Ma, al di sopra di quest’anima, talora egli
ne colloca un’altra in opposizione: l’anima divina, yuch;
qeiotav th.
II, 3.9:192 Il mondo è costituito di un corpo e di
un’anima, ma al di sopra <81> [c’è] un’anima che illumina
l’altra, l’anima pura, kaqarav, che, se la si unisce al mondo,
fa sì che il mondo diventi un dio. Ma se la si ritira da esso,
questo resta solo un demone.
II, 3.18:193 L’anima universale rivolta a Dio contempla
il meglio, e l’anima generale non è che l’immagine di que-
st’anima superiore e contemplativa. Ci sarebbero quindi,
secondo Zeller,194 due anime universali in Plotino, di cui
la seconda sarebbe l’immagine, la riduzione della prima.
Che pensare di ciò?
Anzitutto non si parla mai di altro se non di tre ipo-
stasi: l’uno, l’intelligenza, l’anima. – D’altro canto, se si
suppone un’anima superiore la cui funzione sarebbe uni-
camente la contemplazione, non si vede per quale aspetto

192
Enneade II 3 [52] Se gli astri producano effetti, cap. 9, 31-34.
193
Enneade II 3 [52] Se gli astri producano effetti, cap. 18, 9-13.
194
Si veda la nota 80.

98
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tale anima sarebbe diversa dal nou`". Sembra quindi che ci


sia l’uno al di sopra di ogni <82> contemplazione, il nou`"
che lo contempla e infine un essere che sia da meno della
contemplazione, ovvero azione. Eppure Plotino sembra
dire che ci sono due anime.
Bisogna far riferimento alla funzione dell’anima uni-
versale. Bisogna porre anzitutto l’uno superiore all’es-
senza e alla conoscenza. Tutte le Idee che compongono il
nou`" sono allora poste nell’eterno come altrettante visioni
dell’uno. Tutto ciò è fuori del tempo, unità e molteplicità
ugualmente atemporali. Al di sotto non può che esserci
una molteplicità nello spazio e nel tempo: le immagini o
cose. La funzione dell’anima universale sarà quella di an-
dare a cercare le Idee nell’Intelligenza e di farle scendere
nello spazio e nel tempo sotto forma di ragioni genera-
trici. L’anima sarà come il veicolo delle Idee nello spazio
e nel tempo. <83> Essa prende le Idee e le divide: III,
9.1:195 meristh;n ejnevrgeian e[cei ejn meristh/̀fuvsei.
A partire da qui l’anima universale, colta alla sua fonte,
non si distingue dal nou`", dal mondo delle Idee. Conce-
diamo questo mondo intelligibile, e ammettiamo che bi-
sogna che da queste Idee escano fuori le cose sensibili.
Come ne usciranno, se non sotto l’azione di tale forza spe-
ciale che ne esce poco a poco? L’anima dapprima coincide
con l’intelligenza, ma si dà un momento logico in cui
l’anima ne esce per materializzarsi. E, di conseguenza, po-
tremo dire che, a un certo momento, essa è nell’intelligenza
e ne è l’irraggiamento: V, 1.3:196 Non ci sono due anime del
195
Enneade III 9 [13], Ricerche varie, cap. 1, 36-37 (cfr. Plat., Tim., 35a3).
196
Bergson menziona Enneade V 1 [10], Sulle tre ipostasi principiali, cap. 3,
tuttavia ne dà una parafrasi che non permette di rintracciare nel testo delle linee
in particolare come pertinenti. La tematica del capitolo è comunque quella del

99
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mondo, ma una sola, colta nel momento in cui essa sta per
uscire dall’intelligenza, e nel momento in cui essa ne è
uscita.<84> Quando Plotino contrappone l’anima divina a
quella inferiore dice che, se la prima è pura, è perché è colta
alla sua uscita dal nou`". E, II, 3.18,197 l’anima superiore ri-
ceve la qualifica di ‘celeste’ e quella inferiore è detta scatu-
rire dall’alto. Infine ci sono dei testi che dicono che queste
due anime sono degli aspetti di una medesima anima uni-
versale. V, 1.10:198 Una parte dell’anima procede nel mondo
sensibile, mentre un’altra resta in quello intelligibile. V,
2.5:199 L’anima deve essere una, senza esserlo in modo
esclusivo, altrimenti non produrrebbe una pluralità così
distante dall’unità. IV, 2.2:200 L’anima è insieme una e mol-
teplice, divisa ed indivisa. IV, 1.1; IV, 3.19; VI, 4.4; IV, 7.9.201

rapporto dell’Anima con l’Intelletto, dello stare della prima nel secondo, ma
anche del suo uscire da esso per far esistere altre realtà.
197
Nel capitolo indicato (18) non risulta esserci il termine «celeste», esso
compare invece al cap. 14: Enneade II 3 [52] Se gli astri producano effetti, cap. 14, 7.
198
Cfr. Enneade V 1 [10], Sulle tre ipostasi principiali, cap. 10, 21-23 (Plat.,
Tim., 36e3).
199
Si menziona Enneade V 2 [11], Sulla genesi e l’ordine degli enti dopo il
primo, tuttavia si tratta di un rimando impossibile, visto che il trattato in que-
stione contiene solo due capitoli e non c’è dunque un cap. 5. Il curatore non
dice nulla al riguardo. Tuttavia il rimando a tale trattato potrebbe essere impli-
cito nella misura in cui nel cap. 1 di esso si dice come l’Uno, per sovrabbon-
danza, produca l’Intelletto; come l’Intelletto produca l’Anima e questa, a sua
volta, produca gli esseri animati fino alle piante comprese. Poiché Plotino si
interroga su: «Come allora [le cose deriverebbero] da un Uno semplice, non
manifestandosi nessuna varietà né duplicità di qualsivoglia cosa?» (cap. 1, 3-
5), in modo implicito si può ricavare l’idea di una progressiva molteplicità dal-
l’Intelletto all’Anima, che può così generare il mondo sensibile.
200
Enneade IV 2 [4], Sull’essenza dell’anima. Libro I, cap. 2, 39-41; cfr. la
nota 141.
201
Enneade IV 1 [21], Sull’essenza dell’anima. Libro II, cap. 1 (cfr. la nota 141);
Enneade IV 3 [27] Sui problemi dell’anima. Libro I, cap. 19; Enneade VI 4 [22], Sul fatto
che ciò che è uno e identico si trovi contemporaneamente dappertutto. Libro I, cap. 4, 26-
32. Si tratta nei testi indicati dell’esegesi plotiniana del passo del Timeo platonico

100
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Ma bisognerebbe chiarire tale idea. Plotino parla di


un’unica anima: ma le due potenze dell’anima non sono
per questo meno diverse tra loro, al punto da escludersi
da un punto di vista logico. L’anima è infinitamente divi-
sibile <85> e assolutamente una – infinitamente mobile
e dispersa nello spazio e nel tempo, e assolutamente im-
mutabile al di fuori dello spazio e del tempo. Tali attributi
contraddittori possono essere giustapposti: in tal caso,
nonostante tutto, si tratta di due anime. Come Plotino ha
conciliato nell’anima universale due serie di attributi che,
da un punto di vista logico, sembrano escludersi tra loro?
È qui il nocciolo dell’anima universale e, di conseguenza,
dell’anima individuale. Si tratta di capire se Plotino ha
superato il dualismo platonico. Il problema posto da Pla-
tone, secondo Plotino, è quello del passaggio dall’intelli-
gibile al sensibile e dall’Idea alle cose; e l’anima universale
ha per l’appunto la funzione di prendere le Idee per mol-
tiplicarle e diluirle in cose. È dunque essa che è destinata
a risolvere il problema platonico, a darci una traduzione
metafisica dei miti di Platone, il quale si è limitato ad
esprimere <86> in forma mitica il processo della discesa,
tramite dei racconti che si svolgono nel tempo.
Se Plotino si è limitato a prendere questi due attributi
contraddittori, unità atemporale e molteplicità nel tempo,
e a giustapporli in un’anima che egli chiama una, ma che
di fatto è due, allora il problema non è risolto.

in cui si dice che il Demiurgo produsse l’anima da ciò che è indivisibile e identico,
da ciò che è altro e divisibile nei corpi, nonché dall’essere (Plat., Tim., 35a1-6). Fa
eccezione il rimando a Enneade IV 7 [2] Sull’immortalità dell’anima, cap. 9, dove non
è questione dell’indivisibilità e divisibilità dell’anima, ma del suo essere immortale
e principio di movimento/vita per gli altri enti. Del resto in quest’ultimo trattato
plotiniano non si trova una citazione o esegesi del passo timaico sopra menzionato.

101
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Il problema è ancora più grande. Il processo per cui le


Idee discendono è dello stesso genere dell’operazione per
cui l’uno si rifrange esso stesso in Idee. V, 2.1:202 l’opera-
zione è la stessa, il principio è lo stesso.
Qual è questo principio? Nel caso che stiamo conside-
rando, la derivazione dell’anima, questo principio deve
farci capire come le cose sensibili procedano dalle Idee. Si
tratta dunque di una forma di causalità.
Ma la causalità può assumere due forme,203 a seconda
che si tratti <87> di una generazione nel tempo o di una
causalità logica e atemporale, quando un essere genera un
altro essere, o quando delle conseguenze derivano dal loro
principio. Il primo processo implica successione, il se-
condo non implica tempo. Ora la causalità di cui è que-
stione in Plotino non è né l’una né l’altra: la causa è fuori
dal tempo, mentre l’eVetto è nel tempo. L’anima inferiore
e generale è il tempo stesso, l’anima superiore che coin-
cide con il nou`" è definita dalla sua stessa eternità. – ma si
potrebbe generalizzare una tale definizione. Bisogna dire
che la causa è una e indivisibile, mentre l’eVetto è la mol-
teplicità stessa; e la causa non partecipa aVatto e a nessun
livello della molteplicità a cui dà vita.
Questo dipende dal fatto che la causalità da sostanza a
sostanza, da ipostasi a <88> ipostasi, è unilaterale. Il rap-
porto di causa a eVetto per noi [moderni] è, come ogni

202
Enneade V 2 [11], Sulla genesi e l’ordine degli enti dopo il primo, cap. 1: Plo-
tino usa un’unica metafora di straripamento per indicare la derivazione del-
l’Intelletto e delle Idee dall’Uno, e dell’anima dall’essere dell’Intelletto. La
derivazione degli esseri inferiori da quelli superiori segue quindi un medesimo
processo sin dall’inizio.
203
Il curatore rinvia a H. Bergson, Saggio sui dati immediati della coscienza,
pp. 133-134; nonché alla lezione su Spinoza, in «Cours», vol. III, pp. 86-89.

102
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rapporto, una relazione tra due termini tale per cui se B è


in rapporto ad A, anche A è in rapporto a B. In Plotino
l’eVetto è in rapporto alla causa, ma non inversamente.
L’Uno genera la molteplicità delle Idee, ma senza darsene
pensiero, le Idee per esso non esistono. Allo stesso modo
l’anima generata si volge verso l’intelligenza. Ma per l’in-
telligenza, l’anima non esiste. L’intelligenza è assoluta-
mente chiusa in se stessa. Se ci si pone nell’eVetto, la
causa esiste. Se ci si pone nella causa, almeno per essa,
l’eVetto non esiste.
La causa è talora una fonte che rimane in sé, pur alimen-
tando dei fiumi, talaltra la vita di una pianta che resta nelle
radici, ma alimentando i rami, talaltra ancora un focolare
<89> che irraggia (e[klamyi", ejpivlamyi", perivlamyi"). Ma
Plotino non si è limitato a delle immagini. VI, 8.8:204 «Il
principio primo è la causa, benché in un altro senso non
sia la causa. Infatti parlare qui di causa equivarrebbe a
parlare di un’azione [esercitata] su un’altra cosa; ora non
bisogna mettere la causa in relazione a niente». VI, 9.3:205
«Quando parliamo della causalità del principio, non par-
liamo di qualcosa che si aggiunge a esso ma a noi, visto che
noi traiamo qualcosa da lui, mentre esso resta in se me-
desimo». VI, 8.18:206 «Si svolge senza svolgersi». Plotino
dunque definisce in termini metafisici la causalità tra le
ipostasi.
Prima di esaminare tale principio d’irradiazione, di-
ciamo che è facile determinarne l’origine. Vacherot207 e
204
Enneade VI 8 [39], Su volontario e volere dell’Uno, cap. 8, 8-9; 11; 12-13.
205
Enneade VI 9 [9], Sul Bene e l’Uno, cap. 3, 49-51.
206
Enneade VI 8 [39], Su volontario e volere dell’Uno, cap. 18, 18.
207
Il testo era stato menzionato da Bergson stesso nella sua bibliografia a
p. <27>, si veda nota 77.

103
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alcuni altri hanno sostenuto che questo <90> principio


non poteva che provenire da un qualche influsso orien-
tale; ed è la sola prova di un influsso dell’Oriente su Plo-
tino menzionato da Vacherot. È vero che questa idea non
è greca? Eppure Plotino cerca di scrutare Platone e di sa-
pere come l’Idea proceda. Ora, in Platone l’intelligibile è
l’immutabile, il sensibile [è] ciò che cambia. Solo l’Idea
ha una realtà assoluta. La realtà che possiede, il sensibile
non può che riceverla dall’Idea. Quindi l’Idea l’ha pro-
dotto. Ma l’Idea non può uscire da se stessa senza cessare
di essere Idea. Quindi essa sarà una causa vista dal lato
dell’eVetto, ma che vista da se stessa non sarà più causa.
In questo modo il principio dell’irradiazione non è
aVatto la soluzione di un problema, bensì ne è la formula-
zione. Si tratta della mera constatazione della necessità per
le <91> molteplici cose di uscire dalle Idee, senza che le Idee
escano da se stesse. Inutile fare appello all’Oriente. Si tratta
del problema stesso enunciato nella sua forma esatta. Non
c’è qui nemmeno uno sforzo originale da parte di Plotino e,
se Plotino si fosse limitato a ciò, non avrebbe fatto granché.
È quello che gli rimprovera Zeller. Secondo lui le im-
magini non fanno che nascondere una contraddizione,
l’aVermazione di una causa cui non appartiene la causa-
lità, che non ha alcuna relazione con il proprio eVetto e
basta perfettamente a se stessa. È questa la contraddizione
che veicola le immagini che la ricoprono. Che pensare?
Personalmente suppongo che nella mente di Plotino vi
sia una certa esperienza che gli permise di cogliere sul vivo,
<92> di concepire da un lato il sensibile e, dall’altro, l’in-
telligibile, e il passaggio dall’uno all’altro, che gli mostrò
allo stesso tempo ‘l’anima in stato di veglia’ e ‘l’anima che
sogna’, e che gli provò che la veglia esiste per il sogno, ma

104
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non il sogno per la veglia. Come Plotino ce la [tale espe-


rienza] farebbe comprendere se non per mezzo di imma-
gini, destinate del resto a suggerirci uno stato d’animo
analogo a quello che sperimentò il nostro filosofo?
I concetti che Zeller oppone a Plotino sono delle im-
magini, per quanto familiari: bisogna che una causa sia in
sé o fuori di sé, che il rapporto della causa con l’eVetto sia
reciproco. Si tratta di cose vere solo nello spazio e nel
tempo. Ogni fatto nuovo che vada al di là del concetto non
può essere espresso che attraverso delle immagini. Plo-
tino ha potuto fare uno sforzo <93> per ampliare i confini
dell’intelligenza.208 Si tratta proprio di questo. IV, 8, ini-
zio,209 Plotino fa appello certamente alla [propria] espe-
rienza in un testo notevole: «Spesso mi risveglio dal mio
corpo, divenuto esterno a tutto il resto, interno a me
stesso, in atto di vivere della vita superiore, coincidendo
con il divino; quando io discendo allora dalla ragione che
contempla alla ragione che ragiona, mi chiedo come possa
aver luogo una tale discesa».210
Vi è quindi un momento, coglibile dall’esperienza
nella discesa, durante il quale la questione non si pone;
mentre essa si pone di nuovo quando noi siamo in basso.

208
Il curatore compara questa espressione all’ampliamento della perce-
zione, di cui si parla in Bergson, Il pensiero e il movente, «La percezione del cam-
biamento», p. 1370.
209
Enneade IV 8 [6] Sulla discesa dell’anima nei corpi, cap. 1, 1-9; cfr. nota 95.
210
Il curatore rimanda, come testo parallelo, a Enneade VI 9 [9], Sul Bene e
l’Uno, cap. 9, del resto evocato poco dopo dallo stesso Bergson. In tale capitolo
si descrive sia l’esperienza della fusione dell’anima con l’Uno sia l’esperienza
della caduta da tale visione. Anche per tale trattato plotiniano resta fondamen-
tale l’opera di Pierre Hadot: Plotin, Traité 9. Introduction, traduction, com-
mentaire et notes par P. Hadot, Les Éditions du Cerf, Paris 1994.

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III, 8.10, fine:211 Plotino ci raccomanda l’intuizione per


cogliere il principio. Infine, il concetto che Dio sia causa
in rapporto a noi, non in rapporto a sé, si prova tramite
l’esperienza, VI, 9.212
<94> Questo non dimostra che Plotino abbia voluto
rendere il passaggio [dalla causa all’eVetto] comprensi-
bile. Ha almeno fatto lo sforzo di spiegare perché non
possiamo capirlo? Zeller tratta con disprezzo la dottrina
delle categorie, VI, 1.3.213 Invece è una parte molto impor-
tante.214 Porfirio ha collocato questi tre libri nell’Enneade

211
Enneade III 8 [30] Sulla natura e visione e uno, cap. 10, 31-35.
212
Enneade VI 9 [9], Sul Bene e l’Uno, cap. 9, in particolare ll. 7-11: frase di
sapore paolino in cui si dice che respiriamo e siamo conservati in vita per un
incessante dono di essere da parte dell’Uno (cfr. «In Lui infatti viviamo, ci
muoviamo ed esistiamo», Atti degli Apostoli 17, 28).
213
Probabilmente c’è un refuso nel testo, ovvero non si tratterebbe sem-
plicemente del capitolo 3 di Enneade VI 1, bensì dei primi tre trattati della sesta
Enneade, in quanto sono tutti e tre consacrati a una disamina critica delle cate-
gorie aristoteliche e stoiche da parte di Plotino: Enneade VI 1-3 [42-44], Sui ge-
neri dell’essere. Libri I-III; cfr. la nota 113. Si veda del resto, subito dopo, la
menzione di “questi tre libri”.
214
Cfr. E. Zeller, La filosofia dei Greci, III 2, Plotino, § 14, Il Nous. Bergson
critica abbastanza spesso Zeller in questo corso (manoscritto pp. 81, 91, 124,
148, 161, ecc.). Questo non gli impedisce di esserne largamente debitore... Si
veda, del resto, un’osservazione elogiativa su Zeller a proposito delle idee su
Socrate (cfr. infra nel Cahier, manoscritto p. 81). Bisogna ricordare che la base
dell’insegnamento ricevuto da Bergson in filosofia greca è costituito dai corsi
di Émile Boutroux all’École normale supérieure - di cui tre volumi (Lezioni su
Socrate, Lezioni su Platone, Lezioni su Aristotele) sono stati pubblicati recente-
mente presso le Éditions Universitaires a cura di Jérôme de Gramont. Ora Bou-
troux era stato, subito dopo la guerra del 1870, allievo di Zeller, del quale aveva
anche tradotto in francese il primo volume della Philosophie der Griechen. Sa-
rebbe peraltro interessante confrontare con cura i due metodi di Bergson e di
Boutroux nella storia della filosofia. Entrambi non separano l’erudizione dalla
speculazione. Vogliono recuperare ogni pensiero storico sia come un pensiero
vivente sia come una verità possibile, nel quadro di un dibattito in cui l’esegesi
resta costantemente dispiegata all’interno di un interrogativo di fondo. Tuttavia,
detto questo, Boutroux ha una personalità più discreta, un’attitudine più fede-

106
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finale. L’idea principale è che Aristotele ha avuto il torto


di credere che le categorie del sensibile siano le stesse di
quelle dell’intelligibile, visto che le determinazioni gene-
rali dell’essere sensibile non possono essere le stesse che
le determinazioni generali dell’essere intelligibile. C’è qui
l’indicazione di qualcosa che annuncia la filosofia critica.
Del resto la diVerenza dal misticismo al criticismo non è
così grande, <95> dato che il misticismo riserva l’assoluto
a una conoscenza sovraempirica.
Non possiamo quindi applicare le categorie all’essere
in sé. Nel primo libro egli studia il poieiǹ e il pavscein e
stabilisce che questa categoria appartiene solo al sensibile
e non può riguardare l’intelligibile. D’altro canto, una
specie di esperienza ci mostra il sensibile in atto di deri-
vare dall’intelligibile.215 Quindi se ci poniamo nel sensi-
bile, abbiamo il diritto d’applicare la categoria della
causalità. Se ci poniamo nell’intelligibile, perdiamo un
tale diritto.
Perciò solo, Plotino ha capito come la sua dottrina del-
l’intuizione superiore esigesse una sorta di completamento
logico che, senza rendere comprensibile un’idea che non lo
è, ci permetta di <96> capire almeno perché non compren-
diamo. È tutto quello che si può chiedere a un filosofo in
fondo mistico. Ma bisogna riconoscere in Plotino questo
sforzo di avvicinare, in una certa misura, il misticismo al ra-
zionalismo.

rativa e un procedimento così sottilmente insinuante che spesso non si sa bene


ciò che egli pensi. Al contrario, Bergson si espone di più in prima persona e
mobilita i vari pensatori al servizio della sua riflessione personale [NdC].
215
Il curatore rinvia a L’evoluzione creatrice, pp. 653 s., per una genesi dei
corpi.

107
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VII. L’anima universale considerata in se stessa

<97> Abbiamo di volta in volta determinato l’anima uni-


versale rispetto a ciò che la segue e a ciò che la precede. Essa
genera la natura creando lo spazio e il tempo, poiché l’im-
magine, una volta prodotta, esige di essere completata.
D’altro canto, essa è tramite il suo vertice nel nou`", ma in
più, anzi in meno, ha una tendenza a uscirne: essa ne esce
grazie a una certa forma di causalità, una causalità unilate-
rale. Bisogna ora determinare l’anima universale rispetto
a se stessa, considerata in sé.
In che modo Plotino se l’è immaginata? Per analogia
con la nostra anima, con la coscienza? È in tal modo
un’anima cosciente?
Se Plotino ha immaginato l’anima del mondo come una
coscienza più alta, che creerebbe il mondo sensibile come
noi creiamo <98> i nostri sogni, allora una tale concezione
sarà ancora semi-mitica. Plotino non avrà superato il
punto di vista di Platone. Noi cercavamo in lui una spie-
gazione metafisica della processione. Saremmo ancora
nella mitologia.
Se, al contrario, Plotino, invece di immaginarsela come
un’anima umana potenziata, ha costruito per sé il concetto
di anima universale e, discendendo da essa per via d’im-
poverimento, è giunto all’idea della coscienza, noi trove-
remo in lui: dapprima una nuova teoria della coscienza,
poiché non sarà più qualcosa di semplice, bensì di prodotto,
qualcosa a cui si perviene per mezzo di deduzione o sintesi;
in seguito non potrà più accadere che tramite la coscienza
l’anima universale si definirà, ed è questo aspetto interno
all’anima universale che bisognerà attingere. Quale di que-
ste due soluzioni ha adottato?

108
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Se si esaminano i testi in modo superficiale, l’impres-


sione che se ne ricava è che l’anima <99> universale è
un’anima cosciente; e a causa di ciò molti [interpreti] si
sono sbagliati e hanno creduto che l’anima universale avesse
coscienza come la nostra. Kirchner216 sostiene persino che
essa ha come attributo essenziale il ragionamento, to;logiv-
zesqai. Zeller, senza arrivare a tanto, si serve di un testo in
cui Plotino parla di sunaivsqhsi", che egli traduce con ‘co-
scienza’, ma riconosce che ci sono dei testi e, soprattutto,
delle teorie che vi si oppongono: egli ne conclude che Plo-
tino si è contraddetto e ha assunto posizioni oscillanti.
La verità è che Plotino è il solo tra i filosofi antichi ad
aver cercato di spiegare questo concetto di coscienza e ad
aver studiato il dato della coscienza indipendentemente dal
pensiero, ed egli ha dovuto forgiarsi una terminologia: da
qui una certa goVaggine e alcune esitazioni. Ma il suo pen-
siero è chiaro. Se si attribuisce al termine ‘coscienza’ il suo
significato di qualcosa che tende verso la forma personale,217
il suo significato abituale, allora non c’è dubbio che l’anima
universale sia incosciente.
<100> Vedremo in seguito nei dettagli ciò che è la co-
scienza per Plotino. Indichiamo soltanto le funzioni dell’aj-
ntivlhyi".218 Ci sono:

216
Si veda la nota 78.
217
Si tratta del senso bergsoniano, si veda L’evoluzione creatrice, pp. 78 s.,
in particolare 722-723 [NdC].
218
Il termine ajntivlhyi" compare una quarantina di volte nelle Enneadi, ed
è estremamente complesso nel suo significato, in quanto difficile da tradurre
allo stesso modo in tutti i contesti. Questo spiega perché Bergson lo articoli
nelle cinque funzioni indicate nel testo. Alla lettera il termine significa «presa
reciproca o a propria volta», e, se si volesse provare a darne una spiegazione
sintetica, si potrebbe dire che indica l’atto di un soggetto che reagisce a un og-
getto a vari livelli possibili, tale reazione potendo andare dal coinvolgimento
emotivo alla conoscenza.

109
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1/ l’inquietudine del corpo,


2/ il piacere e il dolore,
3/ la percezione dei corpi esterni,
4/ la memoria,
5/ la diavnoia, l’intelligenza discorsiva.
Ora nessuna di tali funzioni può appartenere all’anima
universale.
1.- L’inquietudine del corpo. Noi, che siamo delle
anime congiunte a dei corpi particolari, siamo esposti a
dei pericoli. Il corpo umano subisce l’influsso degli altri
corpi, è esposto alla decomposizione. La legge stessa della
vita è l’inquietudine. Ma il corpo dell’anima universale è
la totalità della materia. Nulla può minacciarlo. Esso
scorre, ma all’interno di se stesso. E, in quanto racchiuso
nell’anima del mondo, è eterno.
2.- Il dolore ha luogo quando il corpo è minacciato di
perdere l’immagine dell’anima, ovvero quando diventa
<101> possibile una separazione tra corpo e anima. In
altre parole, si tratta di un inizio di morte. Il piacere ha
luogo quando (IV, 4.19)219 si ristabilisce l’equilibrio,
quando l’anima si riadatta al corpo. «Il dolore è coscienza
di una separazione dal corpo, il quale è privato dell’im-
magine dell’anima; il piacere è coscienza di un nuovo
adattamento dell’anima al corpo». Ora il corpo del mondo
è legato all’anima in modo indissolubile, essendo il suo
svolgimento necessario sotto forma di spazio e di tempo.
3.- La percezione esterna è un fenomeno squisita-
mente interno all’anima: esso richiede l’incontro di due
elementi opposti. A rigore noi abbiamo tutti la percezione

219
Cfr. Enneade IV 4 [28] Sui problemi dell’anima. Libro II, cap. 19, 1-4: il
testo greco ha gnōsis, che Bergson traduce con conscience («coscienza»).

110
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di tutte le cose sotto forma di novhsi", ovvero sotto forma


latente. AYnché ciò che è in tal modo virtuale diventi
reale, bisogna che si produca un’impressione nel corpo.
Allora il pensiero va in avanti e nel punto d’incontro [con
l’impressione] ha luogo la fantasiva. Ma non è altro che
un fenomeno di simpatia <102> con un fenomeno esterno.
La percezione quindi presuppone, in primo luogo,
molteplici corpi esterni; in secondo luogo, un organo di
percezione nel corpo che percepisce. Ora non esiste corpo
esterno al corpo del mondo. E (II, 8.2)220 l’anima del
mondo non ha organi.
4. – La memoria. Plotino ha districato la relazione tra
la coscienza e la memoria e ha visto che non c’è coscienza
là dove non ci sia un prolungamento del passato nel pre-
sente, una memoria. Ma la memoria appartiene a un es-
sere che è in cammino, che è decaduto e che ricerca se
stesso (IV, 4).221 In questa stessa Enneade, in IV, 4.6,222 egli

220
Questo rimando nel testo pubblicato è strano perché in Enneade II 8 [35]
Sulla visione o come gli oggetti lontani appaiano piccoli, si parla di effetti ottici rispetto
all’occhio umano, e alla fine del secondo capitolo si menziona un esperimento
mentale per cui un occhio umano vede un intero emisfero celeste (cosa di per sé
data come impossibile), quindi non è questione dell’universo come soggetto sen-
ziente (ll. 12-18). Quello che dice Bergson si ritrova invece in un altro luogo delle
Enneadi, dove è appunto tematizzata e negata la sensazione di oggetti esterni da
parte dell’universo o con una parte di sé come organo sensore specializzato, trattasi
di Enneade IV 4 [28] Sui problemi dell’anima. Libro II, cap. 24, 17-21. Inoltre, poco
dopo tali linee, Plotino cita la frase platonica: «di occhi [l’universo] non aveva bi-
sogno», che continua significativamente con «infatti nulla era rimasto da vedere
fuori [dall’universo]» (Plat., Tim., 33c1-2). Il curatore non dice nulla al riguardo.
221
Cfr. Enneade IV 4 [28] Sui problemi dell’anima. Libro II, cap. 3, 1-6; cap.
4, 14-16.
222
Enneade IV 4 [28] Sui problemi dell’anima. Libro II, cap. 6, 2-3: «La me-
moria infatti riguarda cose avvenute e passate». Aggiungiamo quanto nota il
curatore ad locum: «Questo testo, senz’altro il più antizenoniano (nel senso
bergsoniano) di Plotino è tra quelli che possono accreditare la tesi di un’in-
fluenza di lunga data di Plotino su Bergson».

111
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spiega le condizioni della memoria: essa ha per condi-


zione il tempo. Ora l’anima del mondo non occupa [por-
zioni di] tempo. Il tempo è in essa, proviene da essa, ma
essa non è nel tempo, lo domina, l’esprime, ma in modo
eminente, sotto forma di eternità.
5. – Resta il ragionamento. Kirchner pretende che
l’anima universale ragioni e abbia <103> come funzione
essenziale il logismov". Egli cita V, 3.3:223 yuch;n ejn logi-
smoi` nai. Ma il contesto prova a suYcienza che non si
" ei\
tratta dell’anima universale, bensì dell’anima umana. È
un errore materiale.
Tramite questa disamina vediamo che l’anima del
mondo non svolge nessuna delle funzioni proprie della
coscienza. Bisogna concluderne che essa è incosciente?
Un testo sembra indicare il contrario, IV, 4.24:224 sunaiv-
sqhsin me; n auJtou`w{sper hJ
mei`" hJ
mwǹ sunaisqanov meqa.
Ma sunaivsqhsi" non significa ‘coscienza’. Analizziamo
questo termine che ci informerà della natura dell’anima
universale.
Citiamo alcuni testi. IV, 5.5,225 w{sper ejlevgeto (si tratta
dell’atto di udire, ovvero della percezione esterna): «Si può
dire dell’aVezione uditiva ciò che abbiamo detto della vista,

223
Enneade V 3 [49] Sulle ipostasi capaci di conoscere e su ciò che è al di là,
cap. 3, 14. Confermiamo che il contesto riguarda un’anima umana particolare
e non l’anima dell’universo, infatti si tratta del ragionamento che uno fa ve-
dendo un uomo a distanza e chiedendosi se si tratti di Socrate.
224
Enneade IV 4 [28] Sui problemi dell’anima. Libro II, cap. 24, 21-22, tutta
la frase recita: «ma bisogna concedere un senso intimo di sé [da parte dell’uni-
verso], come anche noi abbiamo un senso intimo di noi stessi, mentre non bi-
sogna concedere una sensazione [dell’universo] riguardante qualcosa di sempre
altro da sé». Il contesto è quello della negazione di organi sensori all’universo,
che quindi non ha una sua attività sensoriale su oggetti esterni, tra l’altro ine-
sistenti, per cui si veda la nota 220.
225
Enneade IV 5 [29] Sui problemi dell’anima. Libro III, o sulla vista, cap. 5, 29-31.

112
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che si tratta di una certa sunaivsqhsi", come in un animale».


<104> Il termine designa qui la simpatia di un organo con
il corpo che esso percepisce, come in un animale in cui tutte
le parti concordano. E, di fatto, l’anima è un vivente. IV,
4.45:226 «In ogni animale ogni sua parte concorre al tutto e
c’è una sunaiv sqhsi" del tutto rispetto al tutto». Il significato
del termine qui è certamente quello di ‘consenso’, ‘accordo
reciproco’. È il significato fondamentale del termine. Tor-
niamo al nostro testo:227 «Bisogna attribuire all’anima uni-
versale la sunaivsqhsi" di se stessa, nel modo in cui noi
abbiamo la nostra sunaivsqhsi"; ma circa la sensazione,
ai[sqhsi", dato che essa è sempre sensazione di qualche og-
getto estraneo, non bisogna attribuirgliela». Non possiamo
attribuire la sensazione all’anima universale, ma dobbiamo
concederle la sunaivsqhsi". La nostra propria sunaivsqhsi"
è un accordo di ai[sqhsi", di conseguenza è una coscienza.
Ma la sunaivsqhsi" del tutto non può essere <105> co-
scienza, poiché non vi è ai[sqhsi". La sunaivsqhsi" potrà
quindi significare coscienza [solo] per accidente, solo nel
caso in cui gli elementi unificati siano degli elementi di
coscienza. Noi traduciamo questo termine con ‘unità sin-
tetica interna’.
Se [la sunaivsqhsi"] non è coscienza, che cos’è? V,
3.13:228 «L’unità sintetica del tutto mi sembra proprio
darsi quando un multiplo converge verso l’unità, il pen-
226
Enneade IV 4 [28] Sui problemi dell’anima. Libro II, cap. 45, 4-5 e 8; nel
testo greco (l. 8) a rigore si legge: «e come una sunaivsqhsi"» del tutto rispetto
al tutto», lì dove il «come» (hoion) suggerisce di non prendere alla lettera il
concetto di sunaivsqhsi"» rispetto all’anima dell’universo, cosa che conferma
l’interpretazione di Bergson.
227
Vedi nota 224.
228
Enneade V 3 [49] Sulle ipostasi capaci di conoscere e su ciò che è al di là,
cap. 13, 12-13.

113
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siero, to; noeiǹ». Plotino lo ripete senza sosta: l’anima


universale ha come funzione inferiore quella di produrre,
la funzione superiore è quella di contemplare. La sua parte
divina è nell’intelligenza. Ma qual è questo pensiero? Si
tratta di una coscienza? Vedremo che la novhsi"229 è per
Plotino una funzione superiore dell’anima umana, ma che
non le appartiene propriamente. La funzione autentica-
mente umana è il logivzesqai. Per mezzo del <106> noeiǹ,
usciamo da noi stessi. Il novhma quindi non è cosciente, se
conserviamo per il termine il suo significato umano. Esso
si ritrae nel tempo: la coscienza si produce quando giunge
a creare un’immaginazione, fantasiva, nella quale si ri-
flette come in uno specchio. In altre parole non vi è co-
scienza che là dove ci sia una diminuzione del nou`", un
andare avanti che testimonia una decadenza, dove c’è
azione e un indebolimento del contemplare.
La coscienza si produce in seguito a una caduta: fintanto
che essa è pensiero puro, l’anima non è cosciente; ma quando
essa cade nel corpo, sostituisce all’eternità del pensiero la
continuità di un procedere nel tempo, ovvero la coscienza.
Allora la sunaivsqhsi" dell’anima universale è l’unità del
tutto, questa convergenza di tutte le sue parti che è caratte-
ristica dell’Idea <107> pura. Ogni anima umana contiene la
ragione [generante] del suo corpo. Tale ragione è inclusa in
quella universale. Tutte le anime particolari sono racchiuse
nell’anima universale. Ciascuna [di esse] è cosciente. Ma se
noi le consideriamo tutte in modo sintetico nell’anima uni-
versale, non vi è più coscienza. Tale incoscienza è, se si vuole,
un dato di arrivo, partendo dalla coscienza, ma per via di ar-

229
Qui si aprono delle virgolette di citazione nel testo pubblicato, che poi
non si chiudono e che non hanno molto senso per cui non le riproduciamo.

114
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ricchimento, e assumendo nell’eterno ciò che la nostra co-


scienza sviluppa nel tempo. Data l’anima nel nou` ", non vi è
niente da aggiungerle perché diventi coscienza, bensì qual-
cosa da perdere.
Per immaginarsi questa forma d’essere c’è bisogno di
un grande sforzo. Ma non è impossibile pervenirvi. Biso-
gnerà certo rendersi conto che il pensiero si spiega grazie
all’Intelligenza. Si è detto che le Idee platoniche erano dei
pensieri <108> di Dio, ma [non]230 basandosi su Plotino. Al
contrario, per Plotino l’atto di pensare non può spiegarsi
che se si fa riferimento all’intelligibile, al nou`". Come? Ho
l’immagine cosciente di un triangolo. Essa è cosciente poi-
ché me l’immagino per un certo tempo e in un certo spazio.
Per passare all’idea di triangolo, farò astrazione dalle im-
magini particolari. Ma, nella misura in cui me la rappre-
sento nel tempo, sottendo all’idea un’immagine generale.
Se voglio rappresentarmi l’idea pura, io esco dalla co-
scienza, coincido con l’intelligibile, non sono più io.231
Ancora: consideriamo il caso di Socrate cosciente. Non
è che lo svolgimento nello spazio e nel tempo dell’idea

230
Integriamo noi una negazione, altrimenti questa frase non si accorde-
rebbe con quella immediatamente successiva e si attribuirebbero tesi contrad-
dittorie a Plotino. Bergson spiega infatti che per Plotino l’intelligibile, come
oggetto pensato, ha priorità logica, sull’intelletto, come soggetto pensante. In-
vece Dio è logicamente prioritario alle sue stesse idee. Ricordiamo che fu Filone
Alessandrino (I sec. a.C- I sec. d.C.), a quel che se ne sa, che per primo propose
di interpretare le Idee platoniche come pensieri del Dio creatore del libro della
Genesi, attuando anche in questo caso una sintesi importante tra filosofia greca,
da una parte, e tradizione giudaica , dall’altra; si veda PHILO, De opificio mundi,
§ 24 con le note e l’excursus di Runia in Philo of Alexandria, On the Creation of
the Cosmos according to Moses. Introduction, Translation and Commentary by D.
T. Runia, Brill, Cologne, Leiden - Boston 2001, pp. 51 e 147-152.
231
Sull’esposizione e la critica di queste concezioni si veda, a titolo d’esem-
pio, Mélanges, pp. 1056 e 1059 [NdC].

115
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eterna di Socrate232 e, di conseguenza, se si vuole passare


da Socrate alla sua Idea, bisognerà assumere una coinci-
denza con l’intelligibile puro, in cui ogni coscienza <109>
sarà abolita. Per passare all’idea di Socrate, del triangolo,
bisogna intensificare infinitamente l’immagine del trian-
golo o di Socrate. E, inversamente, per scendere dall’Idea
all’immagine, dal pensiero alla coscienza, non c’è niente
da aggiungere, bensì si tratta d’impoverire. Aristotele ha
detto che non si può pensare senza un’immagine.233 Sì.
Ma non si tratta più del pensiero cosciente. È tale pen-
siero sovracosciente che Plotino ha attribuito all’anima
universale. Tale concezione della coscienza è totalmente
opposta alla concezione moderna. Per noi [moderni] la
coscienza è una cosa semplice. Lo stato di coscienza è il
tipo dell’individualità. Già Platone aveva fatto dell’anima
una mivxi".234 Per Plotino essa è una mescolanza, qualcosa
che si produce all’incrocio tra pensiero (limite superiore)
e materialità (limite inferiore). Un triangolo si situa tra
l’idea del triangolo e l’indefinito dello spazio e del tempo.
<110> Allo stesso modo un’anima può risolversi in mate-
rialità pura e nell’idea di quest’anima. C’è per finire il
movimento di tale limite inferiore verso quello superiore,
e tale movimento è la coscienza.
E allora comprendiamo bene perché Plotino abbia
chiamato ‘anima’ tale ipostasi che svolge le Idee nello spa-
zio e nel tempo. Se la coscienza ne fosse stata la nuda es-
senza, ci si sarebbe potuti stupire che egli abbia dato il

232
Si veda la nota 151.
233
Arist., De anima, III 7, 431a 16-17 (dio oudepote noei aneu phantasmatos
h ē psych ē).
234
Si veda supra la nota 92.

116
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nome di anima a un essere che non è cosciente: ed è per


questo che il termine di ‘anima universale’ ci stupisce. Ma
la coscienza è qualcosa che accompagna [l’anima]. L’anima
potrebbe, a rigore, farne a meno. L’essenza dell’anima è la
sua funzione di veicolo delle ragioni generatrici.
<111> Dopo aver risolto tale problema, Plotino ne ri-
solve altri [ad esso] collegati, necessari in vista del pro-
blema fondamentale dell’origine dell’anima individuale.
In primo luogo il problema della vita. Qual è, nella for-
mazione della nostra persona fisica, il contributo della
natura e quello della nostra persona morale? Il corpo vi-
vente è una collaborazione della natura e dell’anima. È la
natura a produrre il corpo; in ogni caso l’anima univer-
sale, sotto forma di natura. E, d’altro canto, l’anima indi-
viduale si produce il proprio corpo. Il corpo vivente è al
punto d’incrocio di queste due operazioni. Quali sono i
contributi rispettivi di tali due cause?
Testi essenziali: VI, 4.15.235 Il corpo umano esiste
prima che l’anima sia giunta <112> a prenderne possesso,
ma esso era atto a riceverla, era nelle sue vicinanze, ne ha
ricevuto un calore e un’illuminazione. Esso vi era prepa-
rato, perché era un corpo non senza partecipazione al-
l’anima. Infatti la natura aveva già fatto uno schizzo del
corpo. – VI, 7. 7:236

Che cosa impedisce che l’anima universale prepari un


abbozzo, e ciò in quanto essa è il logos universale, prima
che le anime particolari non vi s’inseriscano? Questo

235
Enneade VI 4 [22], Sul fatto che ciò che è uno e identico si trovi contempora-
neamente dappertutto. Libro I, cap. 15, 1-16.
236
Enneade VI 7 [38] Come si costituì la molteplicità delle Idee e sul Bene, cap.
7, 8-16.

117
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abbozzo sarebbe come un’illuminazione preparatoria


della materia e, allora, l’anima individuale, giungendo
a riscrivere su tali tracce, le organizza parte per parte. E
così ogni anima diventa il corpo a cui è venuta ad aggiun-
gersi, avendo in tal modo portato a compimento la pro-
pria configurazione, come colui che fa parte di un coro
<113> di danza si conforma al ruolo assegnatogli.

Interpretiamo. Immaginiamo una persona che, guardando


delle nuvole, vi veda delle figure, o un tappeto formato da
linee geometriche che corrono in tutti i sensi. Per un verso
esso non si fa senza partecipazione all’anima, poiché c’è
stato bisogno di un geometra per tracciare tali linee. Se lo
guardo, potrò identificarvi una figura determinata, un esa-
gono, e allora non vedrò più che quella. Per un altro verso
sono stato io a tracciarla, per il primo verso è colui che ha
fabbricato il tessuto. Il disegno era là; ma accade che, pro-
iettando qualcosa di me, vi ho prodotto tale disegno, e avrei
persino potuto proiettare tramite l’immaginazione l’intero
disegno; ma ho trovato il disegno già fatto, e ho scelto ciò
che era più conforme alla mia immaginazione. In un senso
<114> analogo il corpo è prodotto contemporaneamente
dalla natura e dall’anima individuale. Nel primo senso è
semplicemente parte del tutto; nel secondo senso l’anima,
inserendovisi, non vi aggiunge niente, ma lo distacca dal
tutto. C’è, come dice Plotino, sovrapposizione dell’uomo
sensibile a quello intelligibile.
Cerchiamo di superare questi paragoni e di risalire ai
principi teorici. Il principio è stato messo in risalto da Por-
firio, Elevazioni, § 14:237 «Ci sono due specie di genera-

237
Cfr. Porph., Sententiae, n. 14, p. 6, 5-14 Lamberz.

118
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zione; l’una tramite causalità, l’altra tramite composizione.


Le sostanze semplici sono generate per mezzo di causalità,
così la yuchvdal nou`". Ma esiste anche la genesi tramite
composizione. Ora i corpi viventi sono generati nello
stesso tempo nei due modi, sia come tramite una causa sia
come tramite composizione». La via di composizione è
quella fisica: noi diremmo che un corpo <115> è formato
fisicamente tramite composizione. L’altro modo è quello
per cui una causa superiore scende nella materia, si tratta
della processione.
Noi oggi, per spiegare la vita, distinguiamo due teo-
rie.238 In primo luogo la spiegazione meccanicistica. Si as-
sume che le forze fisico-chimiche portino a delle
combinazioni di molecole tali per cui si compiono i feno-
meni della vita. Plotino ha confutato il principio di tale
teoria, sostenendo che l’organizzazione non può sorgere
dall’inerzia. In secondo luogo la teoria secondo cui un
principio di ordine psicologico scenderebbe verso la ma-
teria, giungerebbe a coinvolgere le sue [della materia] mo-
lecole nella propria orbita, a magnetizzarle nella sua
direzione.
La soluzione di Plotino consiste nel non accettare nes-
suna di queste due spiegazioni estreme. La sola materia
non può costituire un vivente. Nemmeno l’anima indivi-
duale può produrre la vita, poiché essa si trova <116> in
presenza dell’opera dell’anima universale, di una materia
costituita, essa non può dare a sé un organismo. Ci sarà
cooperazione delle due forze. L’anima deve subire le leggi
della natura: non potrà che volgersi verso la materia per
cercare di darsi un corpo; ma, allo stesso tempo, il corpo

238
Il curatore rimanda a L’evoluzione creatrice, pp. 413-414.

119
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aspira alla vita poiché è l’opera dell’anima universale. È al


punto d’incontro che si costituisce la vita.
Soluzione molto profonda. Se si può considerare questo
problema dal punto di vista teorico, si trova che le forze fi-
sico-chimiche possono generare qualcosa che imiti la vita
già da vicino; i corpi organizzati chimicamente riescono a
rasentare la vita, manca un avvio. E sembra proprio che ci sia
bisogno di qualcosa che venga dall’alto. Ma questo qualcosa
non farebbe niente, se la materia non fosse già per <117> se
stessa pronta ad organizzarsi. Tutto avviene come se la vita
non potesse aggiungersi se tali forze non vi fossero già com-
pletamente preparate, non avanzassero verso tale esito.
Più in generale la causalità pensabile tra i diversi gradi
della natura sembra proprio essere qualcosa del genere.
Noi non concepiamo né come delle forze inferiori riusci-
rebbero di per sé a creare delle nuove proprietà né come
delle forze superiori riuscirebbero a imporsi su una ma-
teria refrattaria. Tutto avviene come se le forze superiori
fossero lì a spiare il momento in cui le forze inferiori
avranno abbozzato la forma da ricevere. Allora le forze su-
periori, attirate dalla loro immagine, scendono nelle forze
inferiori per continuare il movimento.239
<118> La prima conseguenza da tirare da qui riguarda
il problema della libertà. Abbiamo appena indagato come
la vita possa conciliarsi con le forze naturali. Dobbiamo ri-
cercare come la libertà, che egli attribuisce all’anima, si
concili con la necessità della natura. La soluzione si trova
nella teoria della formazione del corpo.

239
Le pagine che precedono sono – se ne converrà – un documento di
prim’ordine e insostituibile per cogliere sul vivo la genesi delle tesi de L’evolu-
zione creatrice [NdC].

120
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IV, 3.13.240 La questione è posta in una forma strin-


gente: in quale misura l