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Analisi del romanzo epistolare, Lettere di una monaca portoghese scritto da Guilleragues,
pubblicato nel 1669.
Si tratta di un romanzo uscito il 4 gennaio 1669, con l’editore Claude Barbin, che sin da
subito un grande successo editoriale. Considerando che dal 1669 al 1675 ci furono ventuno
ristampe, nel 1700, quarantuno ristampe e cento anni dopo (1769) furono registrate cento
ristampe.
Le ragioni di questo successo editoriale furono molteplici. Innanzitutto, l’avvertenza
dell’editore, posta in apertura del romanzo: l’editore dice infatti di aver recuperato la traduzione
corretta di cinque lettere portoghesi scritte a un nobile gentiluomo francese di stanza in
Portogallo e dichiara di non conoscere né il nome del destinatario, né quello dell’autrice e né
quello del traduttore. Questo mistero crea subito una certa curiosità presso il pubblico.
Una seconda ragione del successo è dovuta al fascino per un linguaggio d’amore e allusivo
ai piaceri sensuali, in un’epoca in cui la cultura classica aveva inibito qualsiasi franchezza
sentimentale, inoltre sul piano formale, ci troviamo di fronte a un genere avventuroso, però con
un intreccio debole.
È avventuroso perché narra la storia di un seduttore di una giovane religiosa inesperta che
cade vittima della sua seduzione. Si tratta quindi di un amore fisico illecito che all’inizio viene
ostacolato dalle mura del convento. Però, rispetto ai romanzi del passato, questo è caratterizzato
da un intreccio debole: tutta l’azione si concentra sull’antefatto che viene evocato da brevi
accenni. Marianne dirà che mentre si trova sulla terrazza del convento, scorge un ufficiale che
‘acrobaticamente’ attrae la sua attenzione e quindi folgorata si abbandona alla passione,
sfidando le regole sociali e morali. L’ufficiale viene richiamato in patria, Marianne inizia a
scrivere lettere appassionate e lamentose (le cinque lettere) a cui l’ufficiale risponde
brevemente e laconicamente all’inizio, per poi non risponderle più.
Una cosa che colpì molto e appassionò il pubblico in questo periodo è la veridicità del
sentimento di Marianne, considerando che in questo periodo, il gusto del pubblico, richiedeva
storie vere piuttosto che verosimili.
Infine, altro aspetto riguarda la forma del romanzo, la struttura, il linguaggio e il tono. Il
tono e il linguaggio sono assolutamente patetici, distanti dalle abitudini del tempo che
richiedevano una certa compostezza e anche la struttura è particolare, perché ricalca fortemente
quella della tragedia.
Immediatamente dopo la pubblicazione del romanzo, ci fu un dibattito relativo
all’autenticità o meno dell’opera. Da un lato c’era il partito degli spontaneisti, coloro che
credevano che l’autrice dell’opera fosse davvero una donna appassionata e trasgressiva,
appunto una monaca e gli argomenti che maggiormente convinsero questo partito erano che le
donne sono più capaci di esprimere in maniera autentica la passione, quindi si ricorreva a un
luogo comune della supremazia femminile nel discorso amoroso; il fatto che l’opera avesse
uno stile concitato, un passo nervoso, periodi lunghi, ripetizioni tipici delle lettere d’amore,
quindi non necessariamente di un genere letterario.
Les Bruyere nei Les Character: “Le donne sono capaci di far leggere in una sola parola,
tutta una gamma di sentimenti e di rendere con delicatezza un pensiero scabroso”.
Laclos né Le Relazioni Pericolose, dice: “Credo che le donne siano molto superiori a noi
nelle lettere d’amore”.
Alla base vi era la convinzione che solo le donne potessero esprimere i sentimenti in maniera
così autentica e passionale, potessero smuovere le emozioni ed è per questo che questo romanzo
doveva necessariamente attribuirsi a una donna.
Tra i sostenitori dell’autenticità di questo romanzo, ritroviamo: Saint-Beauve che ne Portrait
de femme, dedica a Marianne un grande spazio; Stendhal, De l’amour, saggio che si apre
citando proprio l’amore-passione della monaca portoghese e della sua anima di fuoco; Claude-
Joseph Dorà, il quale dice: “Se fossimo sicuri che esiste una donna come lei, bisognerebbe
cercarla anche se fosse in mezzo a un deserto”; infine Rilke che tradusse l’opera in tedesco,
disse: “Marianna in poche lettere è riuscita a sorpassare l’oggetto del suo amore”.
Dalla parte dei non autenticisti, c’erano coloro che non credevano che l’opera fosse davvero
stata scritta da una monaca, ma che si trattasse di un testo letterario e che quindi dietro ci fosse
un uomo. Tra i sostenitori abbiamo: Gabriel Guerè, il quale attribuisce l’opera a un mediocre
scrittore, poiché aveva trovato troppe ripetizioni, periodi senza misura, uno stile concitato e
convulso (in realtà Guerè fu uno dei pochi a non apprezzare la qualità dell’opera); per Rousseau
in una lettera a D’Alembert, si trattava di un capolavoro scritto da un uomo, secondo lui “Le
donne in generale non amano nessuna arte, non hanno alcun ingegno. Quel fuoco celeste che
riscalda e incendia l’anima, quel genio che consuma e divora, quell’eloquenza bruciante, quei
sublimi trasporti che portano l’estasi fino in fondo ai cuori, mancano sempre agli scritti delle
donne”; anche Barbey D’Aurevilly non credeva assolutamente nell’autenticità dell’opera e
disse: “Queste lettere di una monaca che non prova alcun rimorso, sono apocrife in natura
umana, tutto questo non è vero, qualcuno ha mentito”. Attribuisce una motivazione morale
all’ipotesi di non autenticità dell’opera: una monaca non potrebbe, secondo Barbey (scrittore
cattolico che credeva nel rimorso), scrivere quelle cose senza provare rimorso.
Il partito dei non autenticisti, andò subito alla ricerca dell’autore. Se la monaca non era in
realtà l’autrice del romanzo, si cercò di rintracciare l’autore e nel 1721, lo sia attribuì al conte
di Guilleragues, nato a Bordeaux nel 1628, brillante avvocato che aveva ricoperto la carica di
presidente della corte d’assise di Bordeaux, carica che poi vendette. Apprezzato da Luigi XIV
che lo nominò segretario ordinario della camera e del gabinetto di sua Maestà. Era un amico di
Racine, di Boileau, di Madame de Sévigné, di La Rochefoucauld e di Enrichetta d’Inghilterra
e noto in ambiente letterario per brevi componimenti poetici.
La sua identità fu riconosciuta da molti, anche se permane il dubbio che non dovesse essere
lui, soprattutto perché ci si chiedeva come mai fosse possibile che uno scrittore così modesto
avesse scritto un’opera così importante, tanto che molti pensavano che fosse stata scritta da
Racine o in collaborazione con quest’ultimo, ma soprattutto perché Guilleragues davanti a un
tale successo non avesse rivelato la propria identità. Anche qui tra le varie risposte fornite dalla
critica, quella più attendibile fu che fosse una mossa editoriale concordata con l’editore perché
creava molta più curiosità nel pubblico. Un romanzo scritto da una monaca che descrivesse di
passioni in maniera trasgressiva era un caso editoriale.
Il genere del romanzo è epistolare, che nasce in Francia nella seconda metà del Seicento e
si sviluppa soprattutto nel Settecento con la Nouvelle Héloise. Fino ad allora era un genere ad
appannaggio degli Umanisti che si ispiravano al modello ciceroniano e le lettere d’amore scritte
nel periodo e che circolavano negli ambienti letterari, era epistole di maniera, scritte da uomini
secondo i canoni dell’amor cortese, falsamente disperate.
Nel Cinquecento si assiste a una fioritura di manuali e antologie che fornivano indicazioni
su come scrivere lettere d’amore. Per esempio, Jean Puget alla voce “Lettere di Rimprovero”
dice che ‘la lettera di rimprovero si scrive ad un ingrato che ha risposto col male al bene che
ha ricevuto e secondo precetto bisogna ricordarli il piacere e i servigi con i quali si è cercato di
ottenere la sua amicizia’.
Queste sono indicazioni fondamentali relative alle lettere di rimprovero, di cui fa parte
Lettere di una monaca portoghese, rimprovero da parte della monaca all’ufficiale che l’ha
abbandonata.
Le principali novità delle lettere portoghesi, rispetto alle lettere che circolavano in questo
periodo sono:
- che parla di lettere d’amore appassionate e lacrimose, tutt’altro che lettere di
maniera;
- svisceramento di sentimenti senza pudore;
- caratterizzate da un discorso improvvisato, incoerente e violento;
- dal punto di vista stilistico è un discorso pieno di ripetizioni e non privo di errori
di ortografia.
Analizzando il genere epistolare, in particolare quello praticato da Guilleragues ci
troviamo di fronte a quattro aspetti fondamentali:
PERSONAGGIO:
- Marianne, racconta la storia, al presente proprio mentre la vive;
- Vive un destino aperto, non sa nulla del suo futuro, perché scrive mentre vive
determinate situazioni;
- Ha uno scarso controllo razionale, perché scrive sotto l’effusione dei sentimenti;
- La scrittura ha una funzione sostitutiva, sostituisce l’amore, deve colmare il
vuoto lasciato dalla partenza dell’amato;
- La scrittura è inscindibile dalla passione. La monaca scrive mossa dalla passione
e senza di essa, non ha motivo di farlo.
LETTERA:
- Autoreferenzialità, nelle lettere si parla spesso delle lettere stesse. Marianne
dice ciò che ha scritto nelle altre lettere, quali sono i contenuti delle lettere;
- Continui riferimenti alle condizioni in cui si trova mentre scrive.
DESTINATARIO:
- Assente e questo fa si che la lettera diventi un soliloquio. Marianne cerca invano
il dialogo e ormai innamorata più dell’amore che dell’amante, sembra quasi monologare.
LETTORE:
- Coinvolto molto direttamente, perché il personaggio scrive ciò che sta vivendo
e nello stesso tempo rivive ciò che sta scrivendo.
LETTERE DI UNA MONACA PORTOGHESE 2
La struttura del romanzo è divisa in cinque lettere che corrispondono, come ha notato
Leo Spitzer a cinque atti di un dramma. Il romanzo sembra avere molte analogie con la
tragedia, non solo la suddivisione in cinque lettere che dovrebbero corrisponde a cinque
atti, ma soprattutto perché è un romanzo rispettoso dell’unità classiche, comprendente
una serie di monologhi interiori:
È un tema tipico della letteratura classica francese che è spesso messo in relazione
drammaticamente con la follia. C’è l’idea che l’amore drammatizzi il conflitto tra
razionalità e passione, tra interdetto e trasgressione, ed è visto esattamente come
qualcosa di travolgente.
Analisi della prima lettera. Il prologo presente nella prima lettera, si compone di quattro
sequenze esclamative, correlate tra loro e introdotte da esclamazioni dolenti (Ah! Quoi! Hélas!
- Ah! Come! Ah!) che offrono la struttura del dramma interiore che verrà poi articolato secondo
uno schema a ripresa e variazione nelle cinque lettere che compongono l’opera.
ANALISI DELLE QUATTRO SEQUENZE DEL PROLOGO
PRIMA: sequenza più breve. “Considera, amore mio, fino a che punto (tu) sei stato
imprevidente.” (“Considère, mon amour, jusqu’a quel excès tu as manqué de prévoyance.”).
Ci troviamo di fronte a una protasi, che corrisponde molto all’incipit della tragedia classica.
Svolge, infatti la stessa funzione di esposizione dell’argomento e della situazione. Considère
(Considera) il verbo racchiude la densità drammatica e figura come arci nucleo generativo del
discorso. Infatti, il lessema Considère deriva dal latino Cum siderare, considerando che
siderare viene messo in relazione a sidus che significa astro e stella e che quindi significa
fissare una stella per leggervi i decreti del fato.
La lettera si apre alludendo da subito al fato e al destino. Troviamo poi l’espressione mon
amour e il pronome personale tu, l’autrice si rivolge ad un tu, all’amore. Alcuni critici e studiosi
avevano ricondotto quest’espressione, mon amour-tu, al destinatario, ossia l’amante. In realtà,
l’ipotesi più certa e convincente è che in realtà Marianne si rivolga all’amore, cioè alla
personificazione di un sentimento, all’io erotico e trasgressivo.
Ci sarebbe quindi un’opposizione tra la voce enunciante (quella di Marianne), connotata in
senso razionalistico cartesiano (intende considerare, riflettere, ragionare) e il locutore (l’io
erotico, il tu mon amour) che si fa carico della passione e del sentimento travolgente. Si assiste
in questa prima sequenza, ad uno sdoppiamento interiore: l’io parlante (Marianne che è la
ragione analitica che vuole riflettere su quello che sta succedendo e su quello che è successo)
e l’io affettivo (l’amore). È come se questo sdoppiamento, mettesse in scena due io: l’io
cartesiano che rimprovera l’io erotico.
Il super io (istanza della ragione normativa) rimprovera un io che ha commesso un grave
errore, che manca di preveggenza. Il controllo delle passioni, però, è demandato alla coscienza
lucida alla volontà eroica. L’io cartesiano proietta sull’io erotico (tu mon amour) una colpa che
riguarda sé stesso, ovvero, l’eccesso di abbandono al tempo presente, alla circostanza, al mondo
degli oggetti. Il dramma interiore è generato da razionalismo di impronta cartesiana, che ha il
compito di far si che l’io non perda mai il controllo di sé, non si lasci travolgere e contaminare
dalle passioni.
SECONDA: “Ah! Sciagurato! Sei stato tradito e mi hai tradita con ingannevoli speranze.
Una della quale ti aspettavi tanti piaceri, è fonte in questo momento di una disperazione
mortale che può essere paragonata solo alla crudeltà dell’assenza che la procura.” (“Ah !
Malheureux, tu as été trahi, et tu m’as trahie par des espérances trompeuses. Une passion sur
laquelle tu avais fait tant de projets de plaisirs ne te cause présentement qu’un mortel
désespoir, qui ne peut être compare qu’à la cruauté de l’absence qui le cause.”)
In questa sequenza assistiamo ad una distanza tra i due personaggi del discorso, sempre più
forte. La distanza aumenta per la passività dell’io erotico; l’amore è stato tradito e anche l’io
enunciante è stato tradito dall’amore e anche per lo scarto temporale introdotto: da un lato
abbiamo il passato (in cui aveva fatto progetti per il futuro), viene detto “una passione dalla
quale ti aspettavi tanti piaceri; dall’altro invece il presente in cui paga le conseguenze “la
disperazione mortale, la crudeltà e l’assenza”. Al “ti aspettavi” corrisponde, in maniera
oppositiva, “è fonte di una disperazione mortale” che viene paragonata alla crudeltà
dell’assenza.
C’è quindi opposizione tra le aspettative del passato (che vengono illustrate e annunciate
dall’imperfetto aspettavi da un tempo storico passato) e del presente (che si riferisce alle reali
conseguenze di questa passione travolgente).
TERZA: “Come! Questa assenza alla quale il dolore, ancorché ingegnoso, non può trovare
un nome abbastanza funesto, mi impedirà dunque per sempre di guardare quegli occhi in cui
vedevo tanto amore; quegli occhi che mi facevano conoscere emozioni che mi colmavano di
gioia, che sostituivano ogni cosa e che alla fine mi appagavano” (“Quoi! Cette absence, à
laquelle ma douleur, tout ingénieuse qu’elle est, ne peut donner un nom assez funeste, me
privera donc pour toujours de regarder ces yeux dans lesquels je voyais tant d’amour, et qui
me faisaient connaître des mouvements qui me comblaient de joie, que me tenaient lieu de
toutes choses, et qui enfin me suffisaient ?”)
In questa sequenza l’introduzione della prima persona. L’io narrante e l’io erotico, vengono
sintetizzati, costituiscono tutt’uno. L’io può parlare di sé stesso in quanto si è recuperato e
appesantito di dolore, però la presa di coscienza è difficile e penosa, dice “il mio dolore non
può trovare un nome abbastanza funesto”.
La difficoltà risiede proprio nell’affrontare e assumere il dolore della separazione (della
perdita della stella). Il periodo (soprattutto in francese) è ricco di subordinate che rendono più
complesso il messaggio da ricevere.
Infine, affiora il motivo dello sguardo e della relativa privazione, si parla di “mi impedirà”.
L’amato resta ancora innominato in questa sequenza, ma il suo profilo emerge sulla sineddoche
degli occhi. Gli occhi, dell’altro hanno più funzioni: sono fonte di amore, di conoscenza
emozionale positiva, di pienezza e di appagamento. Alla fine, viene detto “alla fine mi
appagavano”. Le parole emozioni, gioia e appagamento sono fondamentali per esprimere la
funzione ricoperta dagli occhi.
QUARTA: “Ah! I miei privati dell’unica luce che li animava, non hanno che lacrime ora;
li ho usati solo per piangere incessantemente da quando ho appreso che eravate infine deciso
a una separazione talmente intollerabile per me, che in poco tempo mi farà morire.” (“Hélas
! Les miens sont privés de la seule lumière qui les animait, il ne leur reste que des larmes, et je
ne les ai employés à aucun usage qu’à pleurer sans cesse, depuis que j’appris que vous étiez
enfin résolu à un éloignement qui m’est si insupportable, qu’il me fera mourir en peu de
temps.”)
Viene ripreso in maniera esplicita il motivo della privazione riferito agli occhi e l’autrice
presenta (precisa), il momento tipico e tragico della separazione: alla gioia del passato, sono
subentrate le lacrime (larmes) del presente; alla speranza del passato, la disperazione del
presente.
La determinazione del tempo e la presa di contatto con il momento della cesura (aver
appreso della sua decisone di separarsi) “vous étiez enfin résolu à un éloignement” consentono
l’avvento della figura dell’amato e del voi (arriva appunto vous étiez). Inoltre, la subordinata
temporale contorta e lenta, come se la locutrice temesse di pronunciare il fatto (l’atto della
separazione), suggerisce il fatto che si teme che la parola possa sanzionare in modo definitivo
l’atto, che la parola possa sostituire, creare l’azione.
Il distacco temuto e presagito è presentato in modo insopportabile, come un preludio di
morte “à un éloignement qui m’est si insupportable, qu’il me fera mourir en peu de temps”
(“una separazione talmente intollerabile per me, che in poco tempo mi farà morire”). Su
questo punto (associazione tra amore e morte) verterà il disperato colloquio con l’amante
assente, che sarà oggetto di tutte e cinque le lettere.
LA PRINCIPESSA DI CLEVES
LA PRINCIPESSA DI CLEVES 1
A queste unità di tempo e d’azione si aggiunge anche l’unità di luogo poiché il romanzo è
incentrato, ambientato nella corte o in campagna. Restringimento dello spazio evidente.
Sulla questione della verosimiglianza che è fondamentale nell’ estetica classica (come
vedevamo anche nel teatro).
Madame de la Fayette verrà accusata di non rispettare la regola della verosimiglianza quando
proporrà la scena della confessione del proprio amore della principessa di Cleves verso
Nemours al marito…
Se abbiamo detto che questo romanzo risponde all’estetica classica ed è il primo esempio di
romanzo di analisi psicologico nella letteratura francese (questo genere si affermerà
soprattutto a fine 800) possiamo dire che è anche un romanzo di formazione in quanto
descrive il percorso formativo che giunge all’assunzione di se come soggetto maturo
indipendente dalle figuri genitoriali (mamma, marito…)
Si giungerà alla consapevolezza delle proprie scelte. Questo percorso di formazione attiva
processi su più piani.
1 – Piano della conoscenza (di sé e del mondo, dei desideri)
2 – Piano della verbalizzazione (la conquista della parola) Lo vedremo in un passaggio dove
la principessa da una parola soffocata e timida ne avrà una fino ad arrivare ad una
confessione dei propri sentimenti e volontà.
3 – Il piano della sperimentazione dei valori. Vedremo come alla principessa vengono
proposti sempre sistemi di valori dai personaggi. Da un lato il sistema di valori giansenista
proposto dalla madre e dall’altro quelli della corte.
Il percorso che lei compirà sarà quello di sperimentare questi valori, valori materni
giansenisti e quelli di bonheur di felicità e piacere proposti da Nemours per poi giungere a
scegliere lei stessa quali valori voler perseguire. Questo percorso le permetterà di giungere
alla costruzione della propria interiorità.
Questa costruzione è palesata dal passaggio da una prospettiva esterna (in cui la
principessa non enuncia parole affettive, personaggio privo di interiorità e passivo,
assoggettato alla madre) ad una prospettiva di indagine interiore in cui si dimostra un
personaggio profondo in perenne conflitto interiore ma che però decide di agire.
Questa costruzione come vedremo comporta il passaggio da una situazione di accordo col
mondo, integrazione ai valori della società cortigiana fino alla situazione di differenziazione e
di contrapposizione al mondo, passaggio che si manifesta con uno spostamento fisico e
morale dalla corte alla campagna, dalla mondanità alla retresse a cui aspirerà alla fine e che
sarà la giustificazione che utilizzerà nella confessione con Nemours per spiegare il suo rifiuto
di amarlo.
In questo percorso conoscitivo e formativo l’esperienza della passione ha un ruolo
fondamentale poiché consente alla protagonista di prendere coscienza dei propri desideri e di
conoscere sé stessa.
LA PRINCIPESSA DI CLEVES 2
Partiamo con l’analisi del romanzo e lo facciamo con l’individuazione di quattro segmenti
che costituiscono il percorso formativo che servirà alla principessa di Cleves per giungere
alla formazione della sua personalità.
Abbiamo il primo punto che va dall’incipit al ballo, il secondo punto va dal ballo alla
confessione dalla parte della madre dell’amore che la figlia prova per il duca di nemour, il
terzo va dalla morte della madre alla confessione che fa la principessa al marito (confessa la
passione ma non il nome dell’amato) e il quarto segmento che va dalla confessione fatta al
marito alla confessione a nemours.
Partiamo dal primo segmento. Ci troviamo di fronte davanti ad un incipit fiabesco. Viene
descritta in apertura la corte di Enrico II, descritto come un luogo brillante e magnifico come
l’ultimo dei tempi antichi della galanteria. La corte viene vista da una prospettiva esterna che
è quella della narratrice.
Come vediamo questa prima descrizione è ricca di iperboli ed elogi ma presenta sicuramente
personaggi che appaiono completamente piatti. I valori dei personaggi sono assolutamente
esteriori, ovvero la nascita, l’alto rango, la bellezza e la galanteria.
La narratrice non smette di elogiare la bellezza e il fascino dei personaggi che popolano
questa corte. Però come vediamo c’è qualcosa che contrastava questa visione idillica della
corte ed è l’abitudine a dissimulare, infatti a pag 133 troviamo immediatamente una
prospettiva rovesciata, prospettiva interna di madame de chartres la quale smentisce la
prospettiva rassicurante che viene presentata nelle prime pagine dalla narratrice.
La descrizione che ne fa (della corte) è completamente diversa. La corte nei suoi occhi appare
come un concentrato di a-moralità e di dissimulazione con i suoi intrighi, complotti, alleanze
e anche veleni nascosti sotto i gesti più aggraziati.
Le apparenze (spiegherà mme de chartre alla figlia) non corrispondono mai alla realtà e
tutti i valori presentati sono semplicemente valori di pura superficie che vengono subito
contraddetti dalle azioni ed è importante vedere che questa presentazione (denunciante la
moralità della corte) è essenziale per spiegare il tipo di educazione che la principessa cercava
di impartire alla figlia.
“La principessa di chartres vedeva tale pericolo e non pensava che al modo di difendere la
figlia così la pregò non come madre ma come amica di farle confidenza di tutte le galanterie
che le venissero dette e le promise di aiutarla in tutte quelle cose in cui è facile trovarsi
imbarazzati quando si è giovani.”
LA PRINCIPESSA DI CLEVES 3
Continuiamo con l’analisi della seconda parte del romanzo, ovvero del terzo e del quarto
segmento del percorso formativo di cui abbiamo parlato. È una parte del percorso
particolarmente significativa perché come abbiamo detto morta la madre della principessa che
fungeva da guida e quindi in qualche maniera riusciva a farle resistere alla tentazione o che
sopprimeva alcuni sentimenti, a partire da questi momenti la principessa è ovviamente più
esposta alla passione.
Sul piano della presa di coscienza assistiamo infatti ad un avanzamento da parte della
protagonista da oggetto della passione così come si percepiva fino a questo momento a soggetto
della passione (in seguito ad alcuni avvenimenti che si verificano lei riflette sul suo stato
d’animo e quindi inizia a comprendere come in realtà è un essere desiderante).
Un primo avvenimento importante è sicuramente la confessione del proprio amore di
Nemours alla principessa all’interno della quale Nemours spiega appunto le ragioni del suo
cambiamento. Dice “Non sono più un libertino, sono cambiato” e questo è dovuto all’amore
che prova per la principessa.
Immediatamente nel testo troviamo “Non si illuse più di non amarlo.” Primo momento in
cui la principessa prende coscienza della propria passione o anche in seguito quando in
occasione dell’incidente relativo alla lettera che la Delfina dice di essere caduta dalla tasca di
Nemours e che affida alla principessa in modo che la legga e identifichi la grafia dell’amante,
anche lì in quel momento vediamo come inizia a provare dei sentimenti di gelosia e quindi a
riflettere sul suo stato d’animo. I passaggi sono molto significativi poiché la narratrice riesce a
compiere un’anatomia del sentimento umano.
Siamo al terzo segmento. Abbiamo l’avanzamento sulla presa di coscienza ma anche
avanzamento sul piano della verbalizzazione poiché si passa da un discorso raccontato (Lei
giudicava, lei riteneva) al discorso interiore secondo due modalità:
Discorso indiretto e discorso diretto (Sotto forma di monologo la protagonista dice “Je” a sé
stessa).
(Lettura pag. 207. Qui per la prima volta assistiamo ad una verbalizzazione completa della
propria passione)
La principessa qui sta riflettendo su quello che ha provato quando ha temuto che Nemours
avesse ricevuto una lettera della sua amante e che lei fosse stata ingannata.
Le argomentazioni che utilizza sono molteplici. In assoluto diciamo che quella più decisiva
è quella relativa all’esperienza passata. Ricordandosi dello stato d’animo che ha provato nel
momento in cui è stata gelosa della possibile amante di Nemours decide di non incorrere in
futuro in questo tipo di stato d’animo angosciante poiché, l’amore porta con sé la passione, può
implicare anche il tradimento e quindi anche il dolore derivante da questo tradimento e, opta
invece per il repous giansenista che ha a che fare con la tranquillità del proprio animo.
Infatti, ribalta il valore del bonheur rivendicato da Nemours affermando che questo bonheur
provocherebbe dei malheurs. Il ribaltamento del bonheur, del suo sistema morale è una
conseguenza di un percorso formativo che la principessa ha compiuto all’interno di uno spazio
sociale come quello della corte e che l’ha condotta invece a optare per un ideale ascetico,
religioso che prevede essenzialmente l’astensione da qualsiasi situazione di disordine (in
opposizione all’ordine razionale 600esco) e di turbamento emotivo.
Alla fine di questo percorso come vediamo l’interiorità della protagonista si è costruita
completamente e a questa costruzione dell’interiorità corrisponderà l’allontanamento dal
mondo e quindi il passaggio dalla corte alla campagna.