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LETTERATURA FRANCESE: BLENDED

LETTERE DI UNA MONACA PORTOGHESE

LETTERE DI UNA MONACA PORTOGHESE 1

Analisi del romanzo epistolare, Lettere di una monaca portoghese scritto da Guilleragues,
pubblicato nel 1669.
Si tratta di un romanzo uscito il 4 gennaio 1669, con l’editore Claude Barbin, che sin da
subito un grande successo editoriale. Considerando che dal 1669 al 1675 ci furono ventuno
ristampe, nel 1700, quarantuno ristampe e cento anni dopo (1769) furono registrate cento
ristampe.
Le ragioni di questo successo editoriale furono molteplici. Innanzitutto, l’avvertenza
dell’editore, posta in apertura del romanzo: l’editore dice infatti di aver recuperato la traduzione
corretta di cinque lettere portoghesi scritte a un nobile gentiluomo francese di stanza in
Portogallo e dichiara di non conoscere né il nome del destinatario, né quello dell’autrice e né
quello del traduttore. Questo mistero crea subito una certa curiosità presso il pubblico.
Una seconda ragione del successo è dovuta al fascino per un linguaggio d’amore e allusivo
ai piaceri sensuali, in un’epoca in cui la cultura classica aveva inibito qualsiasi franchezza
sentimentale, inoltre sul piano formale, ci troviamo di fronte a un genere avventuroso, però con
un intreccio debole.
È avventuroso perché narra la storia di un seduttore di una giovane religiosa inesperta che
cade vittima della sua seduzione. Si tratta quindi di un amore fisico illecito che all’inizio viene
ostacolato dalle mura del convento. Però, rispetto ai romanzi del passato, questo è caratterizzato
da un intreccio debole: tutta l’azione si concentra sull’antefatto che viene evocato da brevi
accenni. Marianne dirà che mentre si trova sulla terrazza del convento, scorge un ufficiale che
‘acrobaticamente’ attrae la sua attenzione e quindi folgorata si abbandona alla passione,
sfidando le regole sociali e morali. L’ufficiale viene richiamato in patria, Marianne inizia a
scrivere lettere appassionate e lamentose (le cinque lettere) a cui l’ufficiale risponde
brevemente e laconicamente all’inizio, per poi non risponderle più.
Una cosa che colpì molto e appassionò il pubblico in questo periodo è la veridicità del
sentimento di Marianne, considerando che in questo periodo, il gusto del pubblico, richiedeva
storie vere piuttosto che verosimili.
Infine, altro aspetto riguarda la forma del romanzo, la struttura, il linguaggio e il tono. Il
tono e il linguaggio sono assolutamente patetici, distanti dalle abitudini del tempo che
richiedevano una certa compostezza e anche la struttura è particolare, perché ricalca fortemente
quella della tragedia.
Immediatamente dopo la pubblicazione del romanzo, ci fu un dibattito relativo
all’autenticità o meno dell’opera. Da un lato c’era il partito degli spontaneisti, coloro che
credevano che l’autrice dell’opera fosse davvero una donna appassionata e trasgressiva,
appunto una monaca e gli argomenti che maggiormente convinsero questo partito erano che le
donne sono più capaci di esprimere in maniera autentica la passione, quindi si ricorreva a un
luogo comune della supremazia femminile nel discorso amoroso; il fatto che l’opera avesse
uno stile concitato, un passo nervoso, periodi lunghi, ripetizioni tipici delle lettere d’amore,
quindi non necessariamente di un genere letterario.
Les Bruyere nei Les Character: “Le donne sono capaci di far leggere in una sola parola,
tutta una gamma di sentimenti e di rendere con delicatezza un pensiero scabroso”.
Laclos né Le Relazioni Pericolose, dice: “Credo che le donne siano molto superiori a noi
nelle lettere d’amore”.
Alla base vi era la convinzione che solo le donne potessero esprimere i sentimenti in maniera
così autentica e passionale, potessero smuovere le emozioni ed è per questo che questo romanzo
doveva necessariamente attribuirsi a una donna.
Tra i sostenitori dell’autenticità di questo romanzo, ritroviamo: Saint-Beauve che ne Portrait
de femme, dedica a Marianne un grande spazio; Stendhal, De l’amour, saggio che si apre
citando proprio l’amore-passione della monaca portoghese e della sua anima di fuoco; Claude-
Joseph Dorà, il quale dice: “Se fossimo sicuri che esiste una donna come lei, bisognerebbe
cercarla anche se fosse in mezzo a un deserto”; infine Rilke che tradusse l’opera in tedesco,
disse: “Marianna in poche lettere è riuscita a sorpassare l’oggetto del suo amore”.
Dalla parte dei non autenticisti, c’erano coloro che non credevano che l’opera fosse davvero
stata scritta da una monaca, ma che si trattasse di un testo letterario e che quindi dietro ci fosse
un uomo. Tra i sostenitori abbiamo: Gabriel Guerè, il quale attribuisce l’opera a un mediocre
scrittore, poiché aveva trovato troppe ripetizioni, periodi senza misura, uno stile concitato e
convulso (in realtà Guerè fu uno dei pochi a non apprezzare la qualità dell’opera); per Rousseau
in una lettera a D’Alembert, si trattava di un capolavoro scritto da un uomo, secondo lui “Le
donne in generale non amano nessuna arte, non hanno alcun ingegno. Quel fuoco celeste che
riscalda e incendia l’anima, quel genio che consuma e divora, quell’eloquenza bruciante, quei
sublimi trasporti che portano l’estasi fino in fondo ai cuori, mancano sempre agli scritti delle
donne”; anche Barbey D’Aurevilly non credeva assolutamente nell’autenticità dell’opera e
disse: “Queste lettere di una monaca che non prova alcun rimorso, sono apocrife in natura
umana, tutto questo non è vero, qualcuno ha mentito”. Attribuisce una motivazione morale
all’ipotesi di non autenticità dell’opera: una monaca non potrebbe, secondo Barbey (scrittore
cattolico che credeva nel rimorso), scrivere quelle cose senza provare rimorso.
Il partito dei non autenticisti, andò subito alla ricerca dell’autore. Se la monaca non era in
realtà l’autrice del romanzo, si cercò di rintracciare l’autore e nel 1721, lo sia attribuì al conte
di Guilleragues, nato a Bordeaux nel 1628, brillante avvocato che aveva ricoperto la carica di
presidente della corte d’assise di Bordeaux, carica che poi vendette. Apprezzato da Luigi XIV
che lo nominò segretario ordinario della camera e del gabinetto di sua Maestà. Era un amico di
Racine, di Boileau, di Madame de Sévigné, di La Rochefoucauld e di Enrichetta d’Inghilterra
e noto in ambiente letterario per brevi componimenti poetici.
La sua identità fu riconosciuta da molti, anche se permane il dubbio che non dovesse essere
lui, soprattutto perché ci si chiedeva come mai fosse possibile che uno scrittore così modesto
avesse scritto un’opera così importante, tanto che molti pensavano che fosse stata scritta da
Racine o in collaborazione con quest’ultimo, ma soprattutto perché Guilleragues davanti a un
tale successo non avesse rivelato la propria identità. Anche qui tra le varie risposte fornite dalla
critica, quella più attendibile fu che fosse una mossa editoriale concordata con l’editore perché
creava molta più curiosità nel pubblico. Un romanzo scritto da una monaca che descrivesse di
passioni in maniera trasgressiva era un caso editoriale.
Il genere del romanzo è epistolare, che nasce in Francia nella seconda metà del Seicento e
si sviluppa soprattutto nel Settecento con la Nouvelle Héloise. Fino ad allora era un genere ad
appannaggio degli Umanisti che si ispiravano al modello ciceroniano e le lettere d’amore scritte
nel periodo e che circolavano negli ambienti letterari, era epistole di maniera, scritte da uomini
secondo i canoni dell’amor cortese, falsamente disperate.
Nel Cinquecento si assiste a una fioritura di manuali e antologie che fornivano indicazioni
su come scrivere lettere d’amore. Per esempio, Jean Puget alla voce “Lettere di Rimprovero”
dice che ‘la lettera di rimprovero si scrive ad un ingrato che ha risposto col male al bene che
ha ricevuto e secondo precetto bisogna ricordarli il piacere e i servigi con i quali si è cercato di
ottenere la sua amicizia’.
Queste sono indicazioni fondamentali relative alle lettere di rimprovero, di cui fa parte
Lettere di una monaca portoghese, rimprovero da parte della monaca all’ufficiale che l’ha
abbandonata.
Le principali novità delle lettere portoghesi, rispetto alle lettere che circolavano in questo
periodo sono:
- che parla di lettere d’amore appassionate e lacrimose, tutt’altro che lettere di
maniera;
- svisceramento di sentimenti senza pudore;
- caratterizzate da un discorso improvvisato, incoerente e violento;
- dal punto di vista stilistico è un discorso pieno di ripetizioni e non privo di errori
di ortografia.
Analizzando il genere epistolare, in particolare quello praticato da Guilleragues ci
troviamo di fronte a quattro aspetti fondamentali:
PERSONAGGIO:
- Marianne, racconta la storia, al presente proprio mentre la vive;
- Vive un destino aperto, non sa nulla del suo futuro, perché scrive mentre vive
determinate situazioni;
- Ha uno scarso controllo razionale, perché scrive sotto l’effusione dei sentimenti;
- La scrittura ha una funzione sostitutiva, sostituisce l’amore, deve colmare il
vuoto lasciato dalla partenza dell’amato;
- La scrittura è inscindibile dalla passione. La monaca scrive mossa dalla passione
e senza di essa, non ha motivo di farlo.
LETTERA:
- Autoreferenzialità, nelle lettere si parla spesso delle lettere stesse. Marianne
dice ciò che ha scritto nelle altre lettere, quali sono i contenuti delle lettere;
- Continui riferimenti alle condizioni in cui si trova mentre scrive.
DESTINATARIO:
- Assente e questo fa si che la lettera diventi un soliloquio. Marianne cerca invano
il dialogo e ormai innamorata più dell’amore che dell’amante, sembra quasi monologare.
LETTORE:
- Coinvolto molto direttamente, perché il personaggio scrive ciò che sta vivendo
e nello stesso tempo rivive ciò che sta scrivendo.
LETTERE DI UNA MONACA PORTOGHESE 2

La struttura del romanzo è divisa in cinque lettere che corrispondono, come ha notato
Leo Spitzer a cinque atti di un dramma. Il romanzo sembra avere molte analogie con la
tragedia, non solo la suddivisione in cinque lettere che dovrebbero corrisponde a cinque
atti, ma soprattutto perché è un romanzo rispettoso dell’unità classiche, comprendente
una serie di monologhi interiori:

1^LETTERA (pari al primo atto di una tragedia), ESPOSIZIONE DELLA


SITUAZIONE: Marianne parla del dolore provocato dalla fuga dell’amante.

2^LETTERA, FLUTTUAZIONE TRA SPERANZA E LUCIDITÀ: speranza


che torni l’amante e lucidità sulla reale condizione che sta vivendo (non riceve più lettere
da sei mesi e questi ricordi la riempiono di disperazione).

3^LETTERA, DISPERAZIONE: si definisce disperata perché soffre da sola e


accusa l’amante di malafede e premeditazione.

4^LETTERA, SOPRASSALTI DI PASSIONE E ANNUNCIO DI


CATASTOFE: Marianne dice: “Vi amo come una folle”.

5^LETTERA, CATARSI: annuncerà che scrive per l’ultima volta.

Il romanzo è incentrato integralmente su una tipologia d’amore, l’amour passion,


quell’amore definito da Stendhal nel De l’amour, saggio in cui parlando delle tipologie
dell’amore e parlando dell’amour passion individua in Marianne l’esempio di questo
tipo di amore.

È un tema tipico della letteratura classica francese che è spesso messo in relazione
drammaticamente con la follia. C’è l’idea che l’amore drammatizzi il conflitto tra
razionalità e passione, tra interdetto e trasgressione, ed è visto esattamente come
qualcosa di travolgente.

Le caratteristiche dell’amour passion sono:

1) Il destino è artefice assoluto dell’amore. Il soggetto (Marianne) è investito in


maniera passiva dall’amore: “Il destino ha voluto quest’amore, la malasorte ha
generato una Marianne sfortunata”. Destino artefice dell’unione dell’incontro
tra i due amanti, ma anche l’agente di separazione e rottura. Marianne dirà: “Il
convento separandoci, ci ha fatto tutto il male che potevamo ottenere”; e
rifacendosi al destino dirà: “Il destino separa i corpi, ma non i cuori. In questa
concezione dell’amore proveniente dal destino, ritroviamo tutta quella
concezione della fatalità tragica della passione che ritroviamo nella Fedra di
Racine: l’idea che l’uomo non sia libero delle proprie azioni e che ci sia una
determinazione superiore.
2) Binomio passione-follia: l’esperienza erotica fa perdere la propria identità e fa
si che venga associata alla follia. Binomio ricorrente nell’epoca classica, ad
esempio Fedra che dice: “Ebbene conosci dunque Fedra e tutto il suo furore”;
ma possiamo ritrovarlo anche nella Principessa di Cleves. Nel romanzo
epistolare, Le lettere di una monaca portoghese, questo binomio ricorre ben sei
volte: nella seconda lettera, lei si definisce “pazza insensata”, nella terza “una
povera insensata che non lo era prima di amarvi”, nella quinta dira, “sono
ancora folle di una passione che mi ha fatto perdere la ragione” e “vi ho amata
come un’insensata” quindi l’amore è necessariamente follia.
3) L’amore comporta la trasgressione delle regole. Questo attiene alla qualità
della passione che è l’eccesso, che va contro il codice del controllo e della misura.
Nella seconda lettera dira: “Bisognava che chiamassi la ragione in mio soccorso,
per moderare l’eccesso funesto dei miei deliri”. Un secondo aspetto riguardante
questa implicazione, attiene allo spostamento pagano della sua passione: la
monaca è una religiosa che dovrebbe avere come oggetto del proprio amore
monacale unicamente Dio, ma la monaca sposta il proprio amore da Dio ad un
falso Dio (un altro uomo), ed è ricorrente nel testo l’ossessione della metafora
dello spostamento di libido da Dio all’uomo. Nella prima lettera dice: “Sono
risoluta ad adorarvi tutta la vita” utilizza adorare che attiene solamente a Dio, o
nella seconda: “Il mio onore, la mia religione, servono solo ad amarvi
perdutamente”. Devia il sentimento religioso da Dio verso un umano.
4) Legame tra Eros e Thanatos, ripresa del topos medievale di Tristano, su Amore
e Morte: l’amore comporta necessariamente la morte, è legato alla morte. Nella
prima lettera dice: “Morirò d’amore” legando entrambi i termini afferenti alla
sfera semantica della morte a quella dell’amore e utilizza spesso l’aggettivo
funesto, che rende ossimorico il piacere, dice infatti: “Provo un funesto piacere
ad aver messo a repentaglio vita e onore”.
5) Sadomasochismo inscritto nell’esperienza erotica: l’amato è definito spesso
come un crudele tiranno, un persecutore. Marianne dice sempre che: “Preferisce
il dolore del ricordo, alla pace dell’oblio”. Urla: “Meglio soffrire che
dimenticarvi”. L’amore per Marianne coincide con la sofferenza, nella prima
lettera infatti dice: “Addio, amatemi sempre e fatemi soffrire ancora di più” ed è
anche un tipo di amore che richiede una totale passività e sottomissione all’amato.
Nella seconda lettera, dice: “Mi avete insegnato che debbo sottomettermi a tutto
ciò che vorrete”; nella terza: “Trattatemi duramente, scrivetemi che volete che io
muoia di amore per voi”. La passività comprende l’esperienza estrema, la morte
o anche: “Vi ringrazio nel fondo del cuore della disperazione che mi causate”. Il
masochismo, infine, si mescola a una voluttà di auto degradazione: Marianne
fantastica sulle nuove avventure amorose che l’amato avrà in Francia, dice: “Amo
tutto ciò che ha a che fare con voi, non sono disponibile verso me stessa, in certi
momenti mi sembra che la mia sottomissione potrebbe spingermi a servire la
donna che amate”. Si è compiuta l’identificazione con l’aggressore, il
masochismo implica un desiderio di farsi dominare dall’altro attraverso la via
passiva, ponendosi in una posizione di assoluta sottomissione e dipendente
dall’altro. Questa sottomissione al proprio idolo rientra nel codice della scelta
monacale ascetica: l’idea dell’autosacrificio per realizzare una funzione passivo
ricettiva con la persona onnipotente, la capacità di mortificazione, è tipica delle
monache ed è posta qui al servizio di due padroni: dio vero, Dio e dio falso che
lei adora, l’amante.
LETTERE DI UNA MONACA PORTOGHESE 3

Analisi della prima lettera. Il prologo presente nella prima lettera, si compone di quattro
sequenze esclamative, correlate tra loro e introdotte da esclamazioni dolenti (Ah! Quoi! Hélas!
- Ah! Come! Ah!) che offrono la struttura del dramma interiore che verrà poi articolato secondo
uno schema a ripresa e variazione nelle cinque lettere che compongono l’opera.
ANALISI DELLE QUATTRO SEQUENZE DEL PROLOGO
PRIMA: sequenza più breve. “Considera, amore mio, fino a che punto (tu) sei stato
imprevidente.” (“Considère, mon amour, jusqu’a quel excès tu as manqué de prévoyance.”).
Ci troviamo di fronte a una protasi, che corrisponde molto all’incipit della tragedia classica.
Svolge, infatti la stessa funzione di esposizione dell’argomento e della situazione. Considère
(Considera) il verbo racchiude la densità drammatica e figura come arci nucleo generativo del
discorso. Infatti, il lessema Considère deriva dal latino Cum siderare, considerando che
siderare viene messo in relazione a sidus che significa astro e stella e che quindi significa
fissare una stella per leggervi i decreti del fato.
La lettera si apre alludendo da subito al fato e al destino. Troviamo poi l’espressione mon
amour e il pronome personale tu, l’autrice si rivolge ad un tu, all’amore. Alcuni critici e studiosi
avevano ricondotto quest’espressione, mon amour-tu, al destinatario, ossia l’amante. In realtà,
l’ipotesi più certa e convincente è che in realtà Marianne si rivolga all’amore, cioè alla
personificazione di un sentimento, all’io erotico e trasgressivo.
Ci sarebbe quindi un’opposizione tra la voce enunciante (quella di Marianne), connotata in
senso razionalistico cartesiano (intende considerare, riflettere, ragionare) e il locutore (l’io
erotico, il tu mon amour) che si fa carico della passione e del sentimento travolgente. Si assiste
in questa prima sequenza, ad uno sdoppiamento interiore: l’io parlante (Marianne che è la
ragione analitica che vuole riflettere su quello che sta succedendo e su quello che è successo)
e l’io affettivo (l’amore). È come se questo sdoppiamento, mettesse in scena due io: l’io
cartesiano che rimprovera l’io erotico.
Il super io (istanza della ragione normativa) rimprovera un io che ha commesso un grave
errore, che manca di preveggenza. Il controllo delle passioni, però, è demandato alla coscienza
lucida alla volontà eroica. L’io cartesiano proietta sull’io erotico (tu mon amour) una colpa che
riguarda sé stesso, ovvero, l’eccesso di abbandono al tempo presente, alla circostanza, al mondo
degli oggetti. Il dramma interiore è generato da razionalismo di impronta cartesiana, che ha il
compito di far si che l’io non perda mai il controllo di sé, non si lasci travolgere e contaminare
dalle passioni.
SECONDA: “Ah! Sciagurato! Sei stato tradito e mi hai tradita con ingannevoli speranze.
Una della quale ti aspettavi tanti piaceri, è fonte in questo momento di una disperazione
mortale che può essere paragonata solo alla crudeltà dell’assenza che la procura.” (“Ah !
Malheureux, tu as été trahi, et tu m’as trahie par des espérances trompeuses. Une passion sur
laquelle tu avais fait tant de projets de plaisirs ne te cause présentement qu’un mortel
désespoir, qui ne peut être compare qu’à la cruauté de l’absence qui le cause.”)
In questa sequenza assistiamo ad una distanza tra i due personaggi del discorso, sempre più
forte. La distanza aumenta per la passività dell’io erotico; l’amore è stato tradito e anche l’io
enunciante è stato tradito dall’amore e anche per lo scarto temporale introdotto: da un lato
abbiamo il passato (in cui aveva fatto progetti per il futuro), viene detto “una passione dalla
quale ti aspettavi tanti piaceri; dall’altro invece il presente in cui paga le conseguenze “la
disperazione mortale, la crudeltà e l’assenza”. Al “ti aspettavi” corrisponde, in maniera
oppositiva, “è fonte di una disperazione mortale” che viene paragonata alla crudeltà
dell’assenza.
C’è quindi opposizione tra le aspettative del passato (che vengono illustrate e annunciate
dall’imperfetto aspettavi da un tempo storico passato) e del presente (che si riferisce alle reali
conseguenze di questa passione travolgente).
TERZA: “Come! Questa assenza alla quale il dolore, ancorché ingegnoso, non può trovare
un nome abbastanza funesto, mi impedirà dunque per sempre di guardare quegli occhi in cui
vedevo tanto amore; quegli occhi che mi facevano conoscere emozioni che mi colmavano di
gioia, che sostituivano ogni cosa e che alla fine mi appagavano” (“Quoi! Cette absence, à
laquelle ma douleur, tout ingénieuse qu’elle est, ne peut donner un nom assez funeste, me
privera donc pour toujours de regarder ces yeux dans lesquels je voyais tant d’amour, et qui
me faisaient connaître des mouvements qui me comblaient de joie, que me tenaient lieu de
toutes choses, et qui enfin me suffisaient ?”)
In questa sequenza l’introduzione della prima persona. L’io narrante e l’io erotico, vengono
sintetizzati, costituiscono tutt’uno. L’io può parlare di sé stesso in quanto si è recuperato e
appesantito di dolore, però la presa di coscienza è difficile e penosa, dice “il mio dolore non
può trovare un nome abbastanza funesto”.
La difficoltà risiede proprio nell’affrontare e assumere il dolore della separazione (della
perdita della stella). Il periodo (soprattutto in francese) è ricco di subordinate che rendono più
complesso il messaggio da ricevere.
Infine, affiora il motivo dello sguardo e della relativa privazione, si parla di “mi impedirà”.
L’amato resta ancora innominato in questa sequenza, ma il suo profilo emerge sulla sineddoche
degli occhi. Gli occhi, dell’altro hanno più funzioni: sono fonte di amore, di conoscenza
emozionale positiva, di pienezza e di appagamento. Alla fine, viene detto “alla fine mi
appagavano”. Le parole emozioni, gioia e appagamento sono fondamentali per esprimere la
funzione ricoperta dagli occhi.
QUARTA: “Ah! I miei privati dell’unica luce che li animava, non hanno che lacrime ora;
li ho usati solo per piangere incessantemente da quando ho appreso che eravate infine deciso
a una separazione talmente intollerabile per me, che in poco tempo mi farà morire.” (“Hélas
! Les miens sont privés de la seule lumière qui les animait, il ne leur reste que des larmes, et je
ne les ai employés à aucun usage qu’à pleurer sans cesse, depuis que j’appris que vous étiez
enfin résolu à un éloignement qui m’est si insupportable, qu’il me fera mourir en peu de
temps.”)
Viene ripreso in maniera esplicita il motivo della privazione riferito agli occhi e l’autrice
presenta (precisa), il momento tipico e tragico della separazione: alla gioia del passato, sono
subentrate le lacrime (larmes) del presente; alla speranza del passato, la disperazione del
presente.
La determinazione del tempo e la presa di contatto con il momento della cesura (aver
appreso della sua decisone di separarsi) “vous étiez enfin résolu à un éloignement” consentono
l’avvento della figura dell’amato e del voi (arriva appunto vous étiez). Inoltre, la subordinata
temporale contorta e lenta, come se la locutrice temesse di pronunciare il fatto (l’atto della
separazione), suggerisce il fatto che si teme che la parola possa sanzionare in modo definitivo
l’atto, che la parola possa sostituire, creare l’azione.
Il distacco temuto e presagito è presentato in modo insopportabile, come un preludio di
morte “à un éloignement qui m’est si insupportable, qu’il me fera mourir en peu de temps”
(“una separazione talmente intollerabile per me, che in poco tempo mi farà morire”). Su
questo punto (associazione tra amore e morte) verterà il disperato colloquio con l’amante
assente, che sarà oggetto di tutte e cinque le lettere.

LA PRINCIPESSA DI CLEVES

LA PRINCIPESSA DI CLEVES 1

Vero nome di Madame de la Fayette è Marie-Madelaine Pioche de la Vigne. Il romanzo è


stato scritto nel 1678.

Va fatta un’osservazione sul genere. La Principessa di Cleves segna un passaggio dal


romanzo eroico-galante prezioso (che si sviluppò in Francia intorno al 1650 che vede come
rappresentanti principali Mademoiselle de Scudery) a quello d’analisi psicologico che
corrisponde ad una dottrina essenzialmente classica (1660-1680). Scorgiamo varie opere tra
cui “Lettere di una monaca portoghese”. È un romanzo incentrato non più sull’intrigo e
sull’avventura quanto sull’analisi dei sentimenti, lo studio della psicologia dell’individuo.
Risente da un lato delle tendenze letterarie del 600. Cosa eredita ancora il romanzo d’analisi
psicologico dal romanzo della prima metà del 600?

Dalla novella galante quell’esattezza storica necessaria a dare un aspetto di verosimiglianza.


Questa esattezza storica la ritroveremo nelle prime pagine della principessa di Cleves
soprattutto nella ricostruzione della corte di Enrico II. Invece dal romanzo prezioso riprende
alcuni aspetti che vengono approfonditi da M.me della Fayette del suo romanzo ovvero l’idea
che siano le passioni a muovere le azioni degli individui.
Riprende un idea della narrazione basata sull’analisi del funzionamento del processo
psicologico dei comportamenti, l’anatomia dei movimenti dell’anima e dei sentimenti (La
principessa di Cleves sarà incentrata nella seconda parte sulla descrizione dei sentimenti della
principessa e degli stati d’animo) ed un architettura abbastanza complessa che viene acquisita
da Madame de la Fayette.
Abbiamo in rilievo le passioni e sullo sfondo i ritratti e i racconti enchasses. La
particolarità del romanzo di La Fayette è che tutti questi elementi dello sfondo sono
necessari. Rispondono a quel principio classico secondo cui tutto ciò che viene narrato non fa
parte, non attiene all’azione principale è comunque correlato o funzionale all’intrigo
principale.

Approdiamo quindi ad un romanzo che risponde ai richiami dell’estetica classica.


CI spostiamo dal teatro al romanzo. Vi è un’unità di tempo che in questo caso è un anno di
tempo 1558-59 (molto ristretto per un romanzo.)
Un’unità d’azione poiché la trama è molto lineare (l’innamoramento della principessa e di
Nemours e la negazione di questa passione da parte della principessa). A questa trama lineare
ci si aggiungono quattro brevi digressioni legate all’intrigo principale che hanno la funzione
di dominare il meccanismo della vicenda principale.
Queste, infatti, funzionano come un gioco di specchi ed hanno una funzione educativa
sentimentale, cioè vogliono mostrare attraverso le vite di questi altri soggetti e dei loro
comportamenti come le apparenze non corrispondono alla realtà. Queste 4 digressioni, infatti,
possiamo dire che attengono a due infedeltà femminili e due maschili e sono praticamente i 4
racconti che potremmo dire enchasse (inseriti all’interno della trama centrale).

1 – Diana De Poitiers raccontato da madame de Chartres alla principessa per educarla


attraverso degli esempi a riconoscere la falsità delle apparenze.
2 - Sancerre e madame de Tournon raccontato dal principe di Cleves per far vedere come
madame de Tournon dichiarava fedeltà ma si concedeva anche ad altri
3 - Visdomino di Chartres e la regina raccontato da Visdomino stesso
4 – Anna Bolena raccontato dalla regina.

A queste unità di tempo e d’azione si aggiunge anche l’unità di luogo poiché il romanzo è
incentrato, ambientato nella corte o in campagna. Restringimento dello spazio evidente.
Sulla questione della verosimiglianza che è fondamentale nell’ estetica classica (come
vedevamo anche nel teatro).
Madame de la Fayette verrà accusata di non rispettare la regola della verosimiglianza quando
proporrà la scena della confessione del proprio amore della principessa di Cleves verso
Nemours al marito…
Se abbiamo detto che questo romanzo risponde all’estetica classica ed è il primo esempio di
romanzo di analisi psicologico nella letteratura francese (questo genere si affermerà
soprattutto a fine 800) possiamo dire che è anche un romanzo di formazione in quanto
descrive il percorso formativo che giunge all’assunzione di se come soggetto maturo
indipendente dalle figuri genitoriali (mamma, marito…)
Si giungerà alla consapevolezza delle proprie scelte. Questo percorso di formazione attiva
processi su più piani.
1 – Piano della conoscenza (di sé e del mondo, dei desideri)
2 – Piano della verbalizzazione (la conquista della parola) Lo vedremo in un passaggio dove
la principessa da una parola soffocata e timida ne avrà una fino ad arrivare ad una
confessione dei propri sentimenti e volontà.
3 – Il piano della sperimentazione dei valori. Vedremo come alla principessa vengono
proposti sempre sistemi di valori dai personaggi. Da un lato il sistema di valori giansenista
proposto dalla madre e dall’altro quelli della corte.
Il percorso che lei compirà sarà quello di sperimentare questi valori, valori materni
giansenisti e quelli di bonheur di felicità e piacere proposti da Nemours per poi giungere a
scegliere lei stessa quali valori voler perseguire. Questo percorso le permetterà di giungere
alla costruzione della propria interiorità.
Questa costruzione è palesata dal passaggio da una prospettiva esterna (in cui la
principessa non enuncia parole affettive, personaggio privo di interiorità e passivo,
assoggettato alla madre) ad una prospettiva di indagine interiore in cui si dimostra un
personaggio profondo in perenne conflitto interiore ma che però decide di agire.
Questa costruzione come vedremo comporta il passaggio da una situazione di accordo col
mondo, integrazione ai valori della società cortigiana fino alla situazione di differenziazione e
di contrapposizione al mondo, passaggio che si manifesta con uno spostamento fisico e
morale dalla corte alla campagna, dalla mondanità alla retresse a cui aspirerà alla fine e che
sarà la giustificazione che utilizzerà nella confessione con Nemours per spiegare il suo rifiuto
di amarlo.
In questo percorso conoscitivo e formativo l’esperienza della passione ha un ruolo
fondamentale poiché consente alla protagonista di prendere coscienza dei propri desideri e di
conoscere sé stessa.

LA PRINCIPESSA DI CLEVES 2
Partiamo con l’analisi del romanzo e lo facciamo con l’individuazione di quattro segmenti
che costituiscono il percorso formativo che servirà alla principessa di Cleves per giungere
alla formazione della sua personalità.

Abbiamo il primo punto che va dall’incipit al ballo, il secondo punto va dal ballo alla
confessione dalla parte della madre dell’amore che la figlia prova per il duca di nemour, il
terzo va dalla morte della madre alla confessione che fa la principessa al marito (confessa la
passione ma non il nome dell’amato) e il quarto segmento che va dalla confessione fatta al
marito alla confessione a nemours.

Partiamo dal primo segmento. Ci troviamo di fronte davanti ad un incipit fiabesco. Viene
descritta in apertura la corte di Enrico II, descritto come un luogo brillante e magnifico come
l’ultimo dei tempi antichi della galanteria. La corte viene vista da una prospettiva esterna che
è quella della narratrice.

Come vediamo questa prima descrizione è ricca di iperboli ed elogi ma presenta sicuramente
personaggi che appaiono completamente piatti. I valori dei personaggi sono assolutamente
esteriori, ovvero la nascita, l’alto rango, la bellezza e la galanteria.
La narratrice non smette di elogiare la bellezza e il fascino dei personaggi che popolano
questa corte. Però come vediamo c’è qualcosa che contrastava questa visione idillica della
corte ed è l’abitudine a dissimulare, infatti a pag 133 troviamo immediatamente una
prospettiva rovesciata, prospettiva interna di madame de chartres la quale smentisce la
prospettiva rassicurante che viene presentata nelle prime pagine dalla narratrice.

La descrizione che ne fa (della corte) è completamente diversa. La corte nei suoi occhi appare
come un concentrato di a-moralità e di dissimulazione con i suoi intrighi, complotti, alleanze
e anche veleni nascosti sotto i gesti più aggraziati.
Le apparenze (spiegherà mme de chartre alla figlia) non corrispondono mai alla realtà e
tutti i valori presentati sono semplicemente valori di pura superficie che vengono subito
contraddetti dalle azioni ed è importante vedere che questa presentazione (denunciante la
moralità della corte) è essenziale per spiegare il tipo di educazione che la principessa cercava
di impartire alla figlia.
“La principessa di chartres vedeva tale pericolo e non pensava che al modo di difendere la
figlia così la pregò non come madre ma come amica di farle confidenza di tutte le galanterie
che le venissero dette e le promise di aiutarla in tutte quelle cose in cui è facile trovarsi
imbarazzati quando si è giovani.”

A che cosa assistiamo immediatamente? Ad un tentativo da parte della madre della


principessa di cleves di educare la figlia a valori che sono diversi rispetto a quelli della corte,
valori giansenisti (primo tra tutti la trasparenza o la confidenza).
Vedremo come la confidenza sia essenziale in quanto ad un certo punto la principessa di
cleves smetterà di confidarsi con la madre e quindi di essere trasparente e da quel momento
inizierà il suo vero percorso di formazione (che si compie mediante l’allontanamento dalla
madre).
Questo sistema di valori che impone la madre alla figlia è quindi dunque basato sul
volontario assoggettamento di se all’altro, sulla virtù piegata alla felicità coniugale (la fedeltà
anzitutto), la confidenza, l’onestà e la sincerità.
Sempre nel segno del favolistico si apre anche la scena riguardante l’incontro col marito.
Sappiamo che la principessa si reca da un commerciante di gemme fiorentino. Il principe la
vede si innamora e cerca di trovarla. Riesce a conoscerla grazie alla frequentazione della casa
della sorella del re a cui parlava questa donna misteriosa.
Li si trova la baronessa di Dampiers (amica della madre della principessa) che la identifica
e quindi parlando con la madre combina l’incontro. Perché ha un impianto favolistico?
Perché oltre a questo incontro casuale anche altri elementi corrispondono alla favola: il
principe vuole sposarla però ci sono degli ostacoli, dei pretendenti, degli ostacoli interni
come la paura di non essere all’altezza perché non è il primo genito quindi il rifiuto del padre
(duca di nevers) per questioni politiche e di alleanze.
Finalmente però come nei romanzi e nelle favole la situazione si scioglie grazie alla morte
del padre ed il principe riesce a sposare la principessa. Dall’inizio ci viene subito detto che la
principessa prova per il marito solamente stima e riconoscenza quindi mai vera passione. Se
abbiamo questo primo incipit fiabesco che attiene fondamentalmente alla descrizione della
corte e questo primo incontro, soffermiamoci un attimo sul percorso che compie la
principessa in questo primo segmento.
E’ un percorso pari quasi a 0 perché la principessa non pronuncia alcuna parola affettiva
ne conosce se stessa. Decide, accetta di sposare il principe di cleves perché proposto dalla
madre, non enuncia affetto perché non lo ama ma lo sposa per stima e per riconoscenza. E’
ancora in uno stato di totale passivita e assoggettamento alla madre e ai suoi valori, ma
soprattutto viene presentata esattamente come gli altri personaggi della corte cioè c’è una
prospettiva esterna (una sorta di esposizione) per cui la principessa appare come un
personaggio di superficie piatto, privo di spessore e personalità, assimilabile alla corte per
quelle qualità esteriori quali la bellezza che sono state enunciate per descrivere tutti questi
personaggi.
Possiamo dire che fino al momento del ballo precedente alle nozze, sul piano sia della
conoscenza di sé e del mondo, sia della verbalizzazione che della sperimentazione dei valori,
la principessa non compie alcun passo. Ma qualcosa cambia nel secondo segmento, ossia dal
momento del ballo in poi. La scena è abbastanza singolare in quanto i si trovano il duca di
nemours e la principessa che ballano senza conoscersi e questo ballo in realtà viene visto
come un vero passaggio da un appiattimento (sia sentimentale che di atmosfera) ad un
momento più effervescente.
Quali sono gli effetti immediati del ballo? Innanzitutto sul piano narrativo rompe
l’appiattimento così come quell’atmosfera narrativa favolistica piatta laccata. Sul piano
dell’interiorità dei personaggi assistiamo ad una metamorfosi. La metamorfosi di nemours
che presentato in apertura come un libertino, man mano si trasforma in un perfetto
innamorato ma anche una metamorfosi della principessa che inizia gradualmente a non
confidarsi piu con la madre.
Quando la madre intuisce attraverso il suo ? che la figlia è turbata dalla presenza di
nemours e quindi le consiglia mettendola in guardia da questi sentimenti che potrebbe
provare per nemours la principessa inizia gradualmente a non confidarsi più con la madre. La
costruzione della propria interiorità si compie a danno della confidenza con la madre. Un
terzo effetto è che questo ballo da il via alla costruzione dell’interiorità attraverso il nascere
della passione.
La manifestazione della passione resta all’ordine degli stati d’animo. Vien detto che la
principessa si turba e questo turbamento viene colto sia dal duca che dalla madre, sul piano
del processo di presa di coscienza di se il soggetto si costituisce come oggetto della passione
di nemours e non come soggetto e anche come sguardo ancor prima che parola. Sul piano
della verbalizzazione abbiamo delle tracce di parola interiore (vien detto che lei giudicava).
Quando presso la delfina si parla del punto di vista di nemours sul fatto che una donna
che va al ballo senza l’amante non è conveniente che succeda, il testo ci dice attraverso un
discorso raccontato che lei giudicò non opportuno farlo).
Quindi la parola interiore è assunta ancora dalla narratrice ma rileva una graduale
maturazione del sentimento e della presa di coscienza del proprio sentimento… sentimento
che la prima a constatarlo è proprio la madre.
E’ proprio la madre a prendere coscienza dei sentimenti della figlia ancor prima della
figlia e lo fa attraverso l’osservazione di alcuni fenomeni fisiologici della figlia come il
turbamento, il colore mutato del viso.
Siamo al momento fondamentale, quando la mamma sta per morire confessa. È lei a
confessare alla figlia l’amore che la figlia mostra per il duca di nemours ed infatti le darà un
ultimo consiglio guida, ossia quello di ritirarsi in campagna, la famosa retresse che la
principessa poi attuerà solo alla fine del romanzo per poter stare lontana dalla tentazione
(anche se il marito non comprenderà le ragioni).
È importante vedere come la madre stessa denuncia il fatto che la figlia da tempo ha
deciso di non confidarsi più e che questa mancanza di obbedienza ai valori materni coincide
con il crescere della passione. Le ultime raccomandazioni saranno quelle di seguire i valori
giansenisti che le aveva trasmesso e si appella all’idea che la figlia debba resistere alla
passione. La madre sta morendo e capisce benissimo che senza la sua guida, la figlia potrà
essere attratta ed eccedere ai valori della corte, quelli del bonheur.

LA PRINCIPESSA DI CLEVES 3

Continuiamo con l’analisi della seconda parte del romanzo, ovvero del terzo e del quarto
segmento del percorso formativo di cui abbiamo parlato. È una parte del percorso
particolarmente significativa perché come abbiamo detto morta la madre della principessa che
fungeva da guida e quindi in qualche maniera riusciva a farle resistere alla tentazione o che
sopprimeva alcuni sentimenti, a partire da questi momenti la principessa è ovviamente più
esposta alla passione.
Sul piano della presa di coscienza assistiamo infatti ad un avanzamento da parte della
protagonista da oggetto della passione così come si percepiva fino a questo momento a soggetto
della passione (in seguito ad alcuni avvenimenti che si verificano lei riflette sul suo stato
d’animo e quindi inizia a comprendere come in realtà è un essere desiderante).
Un primo avvenimento importante è sicuramente la confessione del proprio amore di
Nemours alla principessa all’interno della quale Nemours spiega appunto le ragioni del suo
cambiamento. Dice “Non sono più un libertino, sono cambiato” e questo è dovuto all’amore
che prova per la principessa.

Immediatamente nel testo troviamo “Non si illuse più di non amarlo.” Primo momento in
cui la principessa prende coscienza della propria passione o anche in seguito quando in
occasione dell’incidente relativo alla lettera che la Delfina dice di essere caduta dalla tasca di
Nemours e che affida alla principessa in modo che la legga e identifichi la grafia dell’amante,
anche lì in quel momento vediamo come inizia a provare dei sentimenti di gelosia e quindi a
riflettere sul suo stato d’animo. I passaggi sono molto significativi poiché la narratrice riesce a
compiere un’anatomia del sentimento umano.
Siamo al terzo segmento. Abbiamo l’avanzamento sulla presa di coscienza ma anche
avanzamento sul piano della verbalizzazione poiché si passa da un discorso raccontato (Lei
giudicava, lei riteneva) al discorso interiore secondo due modalità:
Discorso indiretto e discorso diretto (Sotto forma di monologo la protagonista dice “Je” a sé
stessa).

(Lettura pag. 207. Qui per la prima volta assistiamo ad una verbalizzazione completa della
propria passione)
La principessa qui sta riflettendo su quello che ha provato quando ha temuto che Nemours
avesse ricevuto una lettera della sua amante e che lei fosse stata ingannata.

Questo processo di verbalizzazione conduce ad una sperimentazione di valori. La


principessa di Cleves capisce che sperimenta il valore libertino della felicità e capisce come se
si lasciasse andare alla passione potrebbe star male poiché sarebbe vittima della gelosia. (Lo
ha appena provato quando ha ipotizzato che il duca avesse un amante.) Questo avvenimento si
rivela centrale.
Lo riprenderà al momento dell’ultimo dialogo col duca di Nemours, lo utilizzerà come
argomento per spiegare il proprio rifiuto di amare il duca ed è anche un momento fondamentale
perché per la prima volta non prende una decisione sulla base dei consigli che le sono stati dati
dalla madre ma sulla base della sperimentazione di determinate emozioni o sentimenti tanto
che decide di ritirarsi in campagna. Lì, il marito capisce che inizia a pensare che qualcosa
effettivamente non torni tanto che inizia a far seguire, inizierà a dubitare della sua trasparenza
a tal punto che la principessa di Cleves confesserà di amare un altro uomo.
Questo è uno dei momenti più importanti di questo romanzo. Il romanzo viene spesso
ricordato perché questa confessione che la principessa fa al marito viene considerato già
all’epoca inverosimile. È inverosimile che una coppia aristocratica basi il suo rapporto sulla
trasparenza e soprattutto perché il romanzo secondo l’estetica classica doveva rappresentare la
regola generale e non l’eccezione, l’eccentrico.
Il fatto che una donna confessasse al marito che provasse dei sentimenti verso un altro uomo
pur facendolo con le migliori intenzioni (lei lo fa per essere aiutata, trovare la forza nel marito
per poter fronteggiare questa tentazione) era del tutto inverosimile.
La confessione è abbastanza lunga.
(Lettura passaggio fondamentale)
Lei stessa reclama questa eccezionalità dell’evento. Perché questa confessione è stata così
contestata? Perché c’è qualcosa di inverosimile nella presentazione del rapporto tra la moglie
e il marito. Il marito prende esattamente per la principessa il ruolo che aveva la madre.
Trovandosi in una posizione di pericolo la principessa di Cleves si rivolge a lui non come
marito ma come guida, come figura genitoriale. Lo fa proprio perché risponde a quel valore
materno che è la consegna totale di sé all’altro.
È una richiesta di aiuto e protezione. La principessa si rivolge al marito vedendo in lui una
guida, una persona che la possa proteggere come faceva la madre. Reclama
contemporaneamente il suo desiderio di affermare la virtù. Reclama un modello di
comportamento eroico dell’honnéte femme basato sulla sincerità e sulla fiducia. Però come
vediamo l’eroismo nel suo caso è una pura apparenza perché dietro questa azione eroica si cela
appunto una debolezza, un bisogno, una richiesta d’aiuto nei confronti del marito.
Ed è proprio su questo piano che fallisce perché il principe è al contempo marito e amante
e quindi da questo momento i due ruoli vanno in conflitto. In quanto marito il principe di Cleves
riconosce l’eccezionalità della confessione ma in quanto amante entra in crisi e cede alla
gelosia. Le rinfaccerà infatti in punto di morte l’eccezionalità del suo malessere.
Preme continuamente per sapere il nome dell’amato e mette in atto degli stratagemmi per
scoprire l’identità e tutto questo processo lo condurrà alla morte. Sul piano della formazione
della protagonista, questa confessione in realtà costituisce un momento fondamentale perché
la confessione in quanto dialogo (atto di parola esteriore) fa sì che la principessa compia enormi
progressi verbalizzando l’esperienza e definisce sé stesso come colei che ama, come colei che
fa esperienza.
Contemporaneamente però non sarà in grado di dire il nome dell’amato e quindi la
confessione un po’ si presenterà la cosa. (?)
Sul piano dei valori anche qui compie un grande passo in avanti poiché decide lei stessa di
sperimentare quei valori che la madre le ha impartito, non li accetta passivamente ma decide
di abbandonare, riscattare quelli che sono i valori della corte e del bonheur, del piacere
(propostole dal duca di Nemours) per optare per quelli giansenisti (la fedeltà, la trasparenza, la
fiducia, l’onestà…) Questo però sarà decisivo per il marito poiché il marito morirà, non reggerà
assolutamente questa situazione. Vorrà conoscere fino all’ultimo il nome dell’amante, colui
che la principessa ama seppur castamente e subito dopo la sua morte la principessa deciderà di
ritirarsi in campagna.
Opterà ancora una volta per quello che era uno dei valori trasmessole dalla madre (la
reitresse che le propose la madre in punto di morte). Qui c’è la chiusura del romanzo con un
ultimo dialogo tra il duca e la principessa. (Leggere con molta attenzione, ndt.)
Abbiamo uno scontro di valori tra Nemours e la principessa di Cleves, uno scontro dialogico.
Siamo al 4 segmento. Sul piano della verbalizzazione, questo dialogo in qualche modo sancirà
la maturazione della protagonista poiché lei farà una confessione totale (non più lacunosa come
quella col marito) poiché enuncerà sé stesso come soggetto desiderante che prova passione e
anche enuncerà il nome dell’amato (Nemours).
Ci troviamo finalmente di fronte ad una parola esteriore, la principessa finalmente si
costituisce come il soggetto maturo mediante il linguaggio. È un momento fondamentale
poiché lei riesce non solo a verbalizzare il desiderio ma anche a sostenere la scelta di valori
che ha sperimentato, che sono quelli giansenisti. Ci sarà uno scontro ideologico e morale tra i
due poiché Nemours cercherà di imporre il valore libertino per eccellenza che è il bonheur, la
felicità, il piacere a maggior ragione del fatto che ormai il marito e morto e quindi lei non
peccherebbe di infedeltà mentre lei continuerà ad opporre a questo valore quello giansenista
del repous.

Le argomentazioni che utilizza sono molteplici. In assoluto diciamo che quella più decisiva
è quella relativa all’esperienza passata. Ricordandosi dello stato d’animo che ha provato nel
momento in cui è stata gelosa della possibile amante di Nemours decide di non incorrere in
futuro in questo tipo di stato d’animo angosciante poiché, l’amore porta con sé la passione, può
implicare anche il tradimento e quindi anche il dolore derivante da questo tradimento e, opta
invece per il repous giansenista che ha a che fare con la tranquillità del proprio animo.
Infatti, ribalta il valore del bonheur rivendicato da Nemours affermando che questo bonheur
provocherebbe dei malheurs. Il ribaltamento del bonheur, del suo sistema morale è una
conseguenza di un percorso formativo che la principessa ha compiuto all’interno di uno spazio
sociale come quello della corte e che l’ha condotta invece a optare per un ideale ascetico,
religioso che prevede essenzialmente l’astensione da qualsiasi situazione di disordine (in
opposizione all’ordine razionale 600esco) e di turbamento emotivo.
Alla fine di questo percorso come vediamo l’interiorità della protagonista si è costruita
completamente e a questa costruzione dell’interiorità corrisponderà l’allontanamento dal
mondo e quindi il passaggio dalla corte alla campagna.

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