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Andrea Cappellano, de Amore

fonte: http://www.classicitaliani.it/duecento/andrea10.htm#02
l’autore: Dell'autore del De Amore, vissuto tra il 1150 e il 1220, attestato nei manoscritti col nome di
Andrea, si hanno scarse notizie, ricavate quasi tutte da allusioni interne all'opera stessa, ma con sicurezza
non si conosce nulla. Visse nella seconda metà del secolo XII (all'inizio del Duecento era ancora attivo),
viaggiò molto per l'Europa entrando in contatto con ambienti signorili dell'Inghilterra normanna, della
Francia sia del Nord che di quella trobadorica. Probabilmente fra il 1185 e il 1187 fu «cappellano» del re di
Francia, o alla corte di Maria contessa di Champagne, una delle Dame che vengono nominate nell'opera (le
altre sono Eleonora d'Aquitania nipote del primo dei trovatori, Guglielmo d'Aquitania e moglie del re di
Francia Luigi VII, dal quale ripudiata nel 1152 per la sua vita scandalosa, e successivamente dal 1154 moglie
del re inglese Enrico Plantageneto Ermengarda di Narbona e Isabella di Fiandra), ma la loro relazione non è
definibile con sicurezza. Il personaggio Gualtieri, cui l'opera è indirizzata, è probabilmente immaginaria:
potrebbe essere Gautier il giovane, ciambellano del re Filippo Augusto.
Il De amore fu scritta in latino, forse a Parigi, negli anni a cavallo tra il XII e il XIII secolo. Si tratta del testo
fondamentale dell'erotismo medievale. Movendo dall'Ars amandi di Ovidio, ma con l'apporto di altri autori
antichi e medievali, Andrea mette a punto una vera e propria summa dell'amor cortese, riferimento
imprescindibile per tutti i successivi poeti e prosatori romanzi che si cimentarono nella materia amorosa. Il
De Amore (conosciuto anche col titolo di Gualtieri, dal nome del suo dedicatario) conosciuto sicuramente
già nel 1238, ebbe una diffusione subito enorme e fu condannato pubblicamente dal vescovo di Parigi nel
1277, ma ebbe nonostante ciò una fortuna straordinaria in Europa fino a tutto il Trecento.
[la traduzione in volgare detta “versione romana” perché tramandata dal Codice Barberiniano Latino 4086
della Biblioteca Vaticana di Roma risale al Trecento]
1. Quid sit amor
[1] Amor est passio quaedam innata procedens ex visione et immoderata cogitatione formae alterius sexus,
ob quam aliquis super omnia cupit alterius potiri amplexibus et omnia de utriusque voluntate in ipsius
amplexu amoris praecepta compleri.
Amore si è una passione naturale, la quale si muove per veduta o per grandissimo pensiero di persona
ch’abia altra natura, per la quale cosa alcuno desidera d’averla sovre ogne altra cosa: ciò che ll’amore
demanda per lo volere d’ambendui.
5. Quae personae sint aptae ad amorem
[1] Est nunc videre quae sint aptae personae ad amoris arma ferenda. Et scire debes quod omnis compos
mentis qui aptus est ad Veneris opera peragenda, potest amoris pertingi aculeis, nisi aetas impediat vel
caecitas vel nimia voluptatis abundantia.
[2] Aetas impedit, quia post sexagesimum annum in masculo et post quinquagesimum in femina, licet coire
homo possit, eius tamen voluptas ad amorem deduci non potest, quia calor naturalis ab ea aetate suas incipit
amittere vires, et humiditas sua validissime inchoat incrementa fovere, atque hominem in varias deducit
angustias et aegritudinum diversarum molestat insidiis, nullaque sunt sibi in hoc saeculo praeter cibi et potus
solatia.
[3] Similiter ante duodecim annos femina et ante decimum quartum annum masculus non solet in amoris
exercitu militare.
[4] Dico tamen et firmiter assero quod masculus ante decimum octavum annum verus esse non potest amans,
quia usque ad id tempus pro re satis modica verecundo rubore perfunditur, qui non solum perficiendum
impedit amorem sed bene perfectum exstinguit.
[5] Sed et alia ratio efficacior invenitur, quia ante praefatum tempus nulla in homine constantia viget, sed in
omnibus variabilis reperitur. Nec enim aetatis de amoris imperii arcanis posset tanta infirmitas cogitare. Cur
vero citius in muliere amor quam in masculis exardescit, alibi forte docebo.
[6] Caecitas impedit amorem, quia caecus videre non potest unde suus possit animus immoderatam suscipere
cogitationem; ergo in eo amor non potest oriri, sicut plenarie supra constat esse probatum. Sed hoc verum
esse in amore acquirendo profiteor; nam amorem ante caecitatem hominis acquisitum non nego in caeco
posse durare.
[7] Nimia voluptatis abundantia impedit amorem, quia sunt quidam qui tanta voluptatis cupidine detinentur
quod amoris non possent retineri reticulis; qui post multas etiam de muliere cogitationes habitas vel fructus
assumptos, postquam aliam vident statim illius concupiscunt amplexus, et obsequii a priore amante suscepti
obliviosi et ingrati exsistunt.
[8] Illi tales quot vident tot cupiunt libidini immisceri. Istorum talis amor est qualis est canis impudici. Sed
nos credimus asinis comparandos; ea namque solummodo natura moventur quae ceteris animantibus
homines ostendit aequales, non vera quae rationis differentia nos a cunctis facit animalibus separari. De
talibus amantibus alibi dicetur.
1 Or è da vedere chi possa amare. E sappi che quelli ch’à suo senno e può compiere sua volontà, puote
amare, se l’etade o la ciechezza e essere troppo luxurioso non li è impedimento. L’etade impedimentiscie
l’uomo dopo LX anni, la femina dopo L; avegna che l’uomo possa fare il fatto, non puote amare, però che llo
naturale caldo viene meno e la frigidità li abonda, che fa l’uomo pieno di molti dolori e di molte infertadi, e
in questo mondo non li pare altro sollazzo se nno lo manicare e ’l bere. Anche la femina anzi XII anni, e il
maschio anzi XIV, non può amare; anche per fermo lo ti dico, c’anzi XVIII anni il maschio non puote essere
diritto amante, perciò che poca cosa infino allora il fa vergognare, la qual cosa nuoce ad aquistare l’amore e
l’aquistato spegne. Ma questa è migliore ragione: che no è in lui stabilitade, ma è vano in ogni cosa, né non
potrebbe pensare le secrete cose dell’amore. Perché la femina possa più tosto amare che l’uomo, forse
altrove lo te dirò.
2 Lo cieco non pó amare, perciò che non può vedere ciò onde abia grande pensiero, però non può amare, sì
come detto è. Ma questo è vero in volere amare, ma s’inanzi che fosse cieco l’avesse aquistato, puotelo
ritenere. Essere troppo luxurioso fa impedimento a l’amore, però che quelli ch’è di troppo volere non si può
legare d’amore, anzi, quante ne vede, tutte le vuole, poscia ch’elli s’intenda in alcuna, overo ch’elli l’abbia
avuta, e ’l servigio che n’à avuto lo dimentica e no·lli ne sa grado. L’amore di questo cotale è come di cane,
ma noi gl’aguagliamo a l’asino, però che se muove per natura de le be[stie], ma non per quella natura che
sceveri gli uomini dalle bestie. De cotali amanti altrove se ne dirà.

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