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1) Andrea Cappellano, De amore

L’amore è una passione innata che procede per visione e per incessante pensiero di persona d’altro
sesso, per cui si desidera soprattutto godere l’amplesso dell’altro, e nell’amplesso realizzare tutti i
precetti d’amore. Che l’amore sia passione, si vede facilmente. Infatti, prima che l’amore sbocci da
tutte e due le parti, non esiste angoscia maggiore, perché l’amante teme sempre che l’amore non
ottenga l’effetto desiderato e che siano inutili le sue fatiche. Teme anche i pettegolezzi della gente e
tutto ciò che gli può nuocere, perché le cose non compiute vengono meno al più piccolo
turbamento. Se l’amante è povero, teme che la donna disprezzi la sua povertà; se è brutto, teme
d’esser disprezzato per la sua bruttezza o che la donna si leghi a un altro più bello; se è ricco teme
che la sua spilorceria di una volta possa danneggiarlo; non si possono elencare le paure che sono
proprie di ogni amante. E’ dunque passione quell’amore che sorge da una parte sola, e si può
chiamare amore di uno solo.
E anche quando si compie l’amore di entrambi, le paure non diminuiscono perché l’uno e l’altro
amante teme di perdere per le fatiche di un altro ciò che con fatica ha ottenuto. E’ più doloroso
perdere quanto si è ottenuto che essere spogliati della speranza di ottenere.
Ti dimostro chiaramente che la passione è innata poiché la passione, a ben guardare la verità, non
nasce da nessuna azione; ma la passione prodece dal solo pensiero che l’animo concepisce davanti
alla visione. Quando uno vede una donna che corrisponde al suo amore e che è bella secondo il suo
gusto, subito in cuor suo comincia a desiderarla, e quanto più la pensa, tanto più arde d’amore, fino
a che non giunge a più pieno pensiero. E comincia a pensare alle fattezze della donna, a riconoscere
le sue membra, a immaginare i propri gusti, e a frugare i segreti di quel corpo che desidera
possedere tutto per il proprio piacere.
Ma poi che giunge al pensiero pieno, l’amore non sa tenere il freno, e passa subito ai fatti; subito
s’affanna a cercare complici e messaggeri. E incomincia a pensare a come incontrare la sua grazia, a
chiedere luogo e tempo giusto per parlare, e un’ora gli pare un anno. Dunque la passione innata
procede da visione e da pensiero. Al sorgere dell’amore non basta il semplice pensiero, ma occorre
che sia smisurato, perché il pensiero misurato non torna insistentemente alla mente, e da lì non
sboccia amore.
Questo è l’effetto dell’amore, che quello che è diritto amante non può essere avaro e quelli che è
aspro e di gente vile diventa gentile e superbi fa umili. L’amore è una grande cosa poiché rende
l’uomo virtuoso e costumato.

Il testo è tratto dal De amore di Andrea Cappellano, scritto tra il 1174 e il 1204; il trattato, notissimo al
tempo, accoglie le teorie d’amore più diffuse e le codifica in modo originale influenzando profondamente
poeti e scrittori successivi, tra cui i siciliani e gli stilnovisti.

a) Riassumi e analizza brevemente il passo individuandone tematiche trattate, impianto logico-


argomentativo, stile, ecc.
b) In base alle tue conoscenze, individua quali motivi presenti nel testo di Andrea Cappellano ritrovi nelle
liriche di poeti a te noti ed eventualmente quali no.
c) Partendo dal testo proposto rifletti sul mondo di oggi: che ruolo ha l’amore nella tua vita? Ti sembra che
questo sentimento nella società e nella letteratura di oggi rivesta la stessa importanza che i poeti e gli scrittori
medievali che stai studiando gli attribuivano?

2) Dante Alighieri, Ne li occhi porta

Ne li occhi porta la mia donna Amore,


per che si fa gentil ciò ch'ella mira;
ov'ella passa, ogn'om ver lei si gira,
e cui saluta fa tremar lo core,
sì che, bassando il viso, tutto smore,
e d'ogni suo difetto allor sospira:
fugge dinanzi a lei superbia ed ira.
Aiutatemi, donne, farle onore.

Ogne dolcezza, ogne pensero umile


nasce nel core a chi parlar la sente,
ond'è laudato chi prima la vide.

Quel ch'ella par quando un poco sorride,


non si pò dicer né tenere a mente,
sì è novo miracolo e gentile.

Note:
v. 5 viso: sguardo, smore: impallidisce; v. 6 d’ogni…sospira: sospira rincrescendosi delle proprie imperfezioni,
mancanze; v. 14 novo: inusitato

Consegne
Seguendo le indicazioni seguenti, analizza il sonetto proposto scrivendo un unico ed organico elaborato

Comprensione
a) Fare la parafrasi del testo. Si descrivano i principali temi e motivi del componimento, indicando se ci sono
topoi tipici della lirica stilnovista.
Analisi del testo
b) Fai un’analisi stilistico-retorica del testo individuando parole chiave, campi semantici, figure retoriche.
c) Ricostruisci l'atmosfera del componimento, individua come viene rappresentata la donna e gli effetti che
ha sulle altre persone.
d) Illustra qual è la concezione dell'amore sottesa a questo componimento e fai un confronto con posizioni
precedenti e/o successive.
Approfondimento
e) Dimostra con le dovute motivazioni, in base all’analisi fatta, se e perché questa poesia è tipica della Vita
nuova.

3) ANALISI DEL TESTO: Petrarca, Canzoniere, L’aura serena

L'aura serena che fra verdi fronde


mormorando a ferir nel volto viemme,
fammi risovenir quand'Amor diemme
le prime piaghe, sì dolci profonde;

e 'l bel viso veder, ch'altri m'asconde,


che sdegno o gelosia celato tiemme;
et le chiome or avolte in perle e 'n gemme,
allora sciolte, et sovra òr terso bionde:

le quali ella spargea sì dolcemente,


et raccogliea con sì leggiadri modi,
che ripensando anchor trema la mente;

torsele il tempo poi in più saldi nodi,


et strinse 'l cor d'un laccio sì possente,
che Morte sola fia ch'indi lo snodi.
NOTE: v. 2 a ferir...viemme: viene a colpirmi, a sfiorarmi il viso; v. 3: diemme: mi diede; v. 5: altri: forse il marito di
Laura; v. 6: tiemme: mi tiene; v. 7: perle...gemme: ornavano i capelli o le cuffie delle nobili maritate; v. 8:
sovra...bionde: più bionde dell’oro puro. v. 13: strinse ‘l cor: il tempo avvinse con le chiome intrecciate di Laura il
cuore (del poeta).

Comprensione:
- Parafrasa il testo e riassumine il contenuto
Analisi del testo:
- Fai un'analisi retorico-stilistica del testo individuando struttura tematica, scelte foniche e ritmiche, lessico,
struttura metrico-sintattica, figure retoriche, ecc.
- Individua in questo componimento artifici e stilemi tipici del Canzoniere.
- Descrivi i temi e i motivi psicologici e sentimentali presenti nella poesia indicando quali sono tipicamente
petrarcheschi e come si collocano nella trama concettuale e ideologica dell'opera.
Approfondimento:
- Sulla scorta dell'analisi e riferendoti ad altri testi petrarcheschi a te noti, tratta almeno due tra i seguenti
temi (legandolo ovviamente a quanto affermato in precedenza): 1) Petrarca e lo stilnovo 2) la concezione e il
significato dell’esperienza amorosa nel Canzoniere 3) il conflitto amore-fede nell’opera di Petrarca 4) il
motivo e la concezione del tempo.

4) ANALISI DEL TESTO F. Petrarca, Canzoniere, Or che ‘l ciel et la terra

Or che 'l ciel et la terra e 'l vento tace


et le fere e gli augelli il sonno affrena,
Notte il carro stellato in giro mena
et nel suo letto il mar senz'onda giace,

vegghio, penso, ardo, piango; et chi mi sface


sempre m'è inanzi per mia dolce pena:
guerra è 'l mio stato, d'ira et di duol piena,
et sol di lei pensando ò qualche pace.

Così sol d'una chiara fonte viva


move 'l dolce et l'amaro ond'io mi pasco;
una man sola mi risana et punge;

e perché 'l mio martir non giunga a riva,


mille volte il dì moro et mille nasco,
tanto da la salute mia son lunge.

NOTE: v. 2 affrena: tiene a freno; vegghio: veglio (cioè sto sveglio); v. 5 sface: strugge; v. 9 sol d’una: solo da una, da
una sola; fonte: qui è metafora per designare Laura; v. 12: giunga a riva: abbia fine.

Comprensione
a) fai la parafrasi e sintetizza il contenuto del sonetto
Analisi del testo
b) Fai un’accurata analisi metrica e stilistica del testo evidenziando parole-chiave, figure retoriche e stilemi
tipici del Canzoniere
c) Qual è il rapporto tra lo stato d’animo del poeta e il paesaggio?
d) Sono presenti antitesi? Se sì spiegane la funzione
Approfondimento
e) collega alcuni aspetti del sonetto alla produzione lirica petrarchesca che conosci, soffermandoti soprattutto
sul motivo dell’oscillazione tormentosa tra stati d’animo diversi

5) ANALISI DEL TESTO


G. Boccaccio, Dec. VII,10, Meuccio e Tingoccio
Decameron. Settima Giornata.
Novella Decima
.
.
Due sanesi amano una donna comare dell'uno; muore il compare e torna al compagno secondo la
promessa fattagli, e raccontagli come di là si dimori.
.
[...]
Furono adunque in Siena due giovani popolari, de' quali l'uno ebbe nome Tingoccio Mini e l'altro fu
chiamato Meuccio di Tura, e abitavano in porta Salaia, e quasi mai non usavano se non l'un con
l'altro, e per quello che paresse s'amavan molto; e andando, come gli uomini vanno, alle chiese e
alle prediche, più volte udito avevano della gloria e della miseria che all'anime di coloro che
morivano era, secondo li lor meriti, conceduta nell'altro mondo. Delle quali cose disiderando di
saper certa novella, né trovando il modo, insieme si promisero che qual prima di lor morisse, a colui
che vivo fosse rimaso, se potesse, ritornerebbe, e direbbegli novelle di quello che egli desiderava; e
questo fermarono con giuramento. 
Avendosi adunque questa promession fatta, e insieme continuamente usando, come è detto, avvenne
che Tingoccio divenne compare d'uno Ambruogio Anselmini, che stava in Camporeggi, il qual d'una
sua donna chiamata monna Mita aveva avuto un figliuolo. 
Il qual Tingoccio, insieme con Meuccio visitando alcuna volta questa sua comare, la quale era una
bellissima e vaga donna, non ostante il comparatico, s'innamorò di lei; e Meuccio similmente,
piacendogli ella molto e molto udendola commendare a Tingoccio, se ne innamorò. E di questo
amore l'un si guardava dall'altro, ma non per una medesima cagione: Tingoccio si guardava di
scoprirlo a Meuccio per la cattività che a lui medesimo pareva fare d'amare la comare, e sarebbesi
vergognato che alcun l'avesse saputo; Meuccio non se ne guardava per questo. Ma perché già
avveduto s'era che ella piaceva a Tingoccio. Laonde egli diceva: - Se io questo gli discuopro, egli
prenderà gelosia di me; e potendole ad ogni suo piacere parlare, sì come compare, in ciò che egli
potrà le mi metterà in odio, e così mai cosa che mi piaccia di lei io non avrò -. 
Ora, amando questi due giovani, come detto è, avvenne che Tingoccio, al quale era più destro il
potere alla donna aprire ogni suo disiderio, tanto seppe fare, e con atti e con parole, che egli ebbe di
lei il piacere suo; di che Meuccio s'accorse bene; e quantunque molto gli dispiacesse, pure, sperando
di dovere alcuna volta pervenire al fine del suo disidero, acciò che Tingoccio non avesse materia né
cagione di guastargli o d'impedirgli alcun suo fatto, faceva pur vista di non avvedersene. 
Così amando i due compagni, l'uno più felicemente che l'altro, avvenne che, trovando Tingoccio
nelle possessioni della comare il terren dolce, tanto vangò e tanto lavorò che una infermità ne gli
sopravenne, la quale dopo alquanti dì sì l'aggravò forte che, non potendola sostenere, trapassò di
questa vita. 
E trapassato, il terzo dì appresso (ché forse prima non aveva potuto) se ne venne, secondo la
promession fatta, una notte nella camera di Meuccio, e lui, il qual forte dormiva, chiamò. 
Meuccio destatosi disse: 
- Qual se' tu? 
A cui egli rispose: 
- Io son Tingoccio, il qual, secondo la promession che io ti feci, sono a te tornato a dirti novelle
dell'altro mondo. 
Alquanto si spaventò Meuccio veggendolo, ma pure rassicurato disse: 
- Tu sia il ben venuto, fratel mio - ; e poi il domandò se egli era perduto. 
Al qual Tingoccio rispose: 
- Perdute son le cose che non si ritruovano; e come sarei io in mei chi, se io fossi perduto? 
- Deh, - disse Meuccio - io non dico così ; ma io ti domando se tu se'tra l'anime dannate nel fuoco
pennace di ninferno. 
A cui Tingoccio rispose: 
- Costetto no, ma io son bene, per li peccati da me commessi, in gravissime pene e angosciose
molto. 
Domandò allora Meuccio particularmente Tingoccio che pene si dessero di là per ciascun de'
peccati che di qua si commettono; e Tingoccio gliele disse tutte. Poi gli domandò Meuccio s'egli
avesse di qua per lui a fare alcuna cosa. A cui Tingoccio rispose di sì, e ciò era che egli facesse per
lui dir delle messe e delle orazioni e fare delle limosine per ciò che queste cose molto giovavano a
quei di là, a cui Meuccio disse di farlo volentieri. 
E partendosi Tingoccio da lui, Meuccio si ricordò della comare, e sollevato alquanto il capo disse: 
- Ben che mi ricorda, o Tingoccio: della comare, con la quale tu giacevi quando eri di qua, che pena
t'è di là data? 
A cui Tingoccio rispose: 
- Fratel mio, come io giunsi di là, sì fu uno, il qual pareva che tutti i miei peccati sapesse a mente, il
quale mi comandò che io andassi in quel luogo nel quale io purgo in grandissima pena le colpe mie,
dove io trovai molti compagni a quella medesima pena condennati che io; e stando io tra loro, e
ricordandomi di ciò che già fatto avea con la comare e aspettando per quello troppo maggior pena
che quella che data m'era, quantunque io fossi in un gran fuoco e molto ardente, tutto di paura
tremava. Il che sentendo un che m'era dal lato, mi disse: - Che hai tu più che gli altri che qui sono,
che triemi stando nel fuoco?
- Oh, - diss'io - amico mio, io ho gran paura del giudicio che io aspetto d'un gran peccato che io feci
già -. Quegli allora mi domandò che peccato quel fosse. A cui io dissi: - Il peccato fu cotale, che io
mi giaceva con una mia comare, e giacquivi tanto che io me ne scorticai -. Ed egli allora, faccendosi
beffe di ciò, mi disse: - Va, sciocco, non dubitare; ché di qua non si tiene ragione alcuna delle
comari -; il che io udendo tutto mi rassicurai. 
E detto questo, appressandosi il giorno, disse: 
- Meuccio, fatti con Dio, ché io non posso più esser con teco - ; e subitamente andò via. 
Meuccio, avendo udito che di là niuna ragione si teneva delle comari, cominciò a far beffe della sua
sciocchezza, per ciò che già parecchie n'avea risparmiate; per che, lasciata andar la sua ignoranza, in
ciò per innanzi divenne savio. Le quali cose se frate Rinaldo avesse saputo, non gli sarebbe stato
bisogno d'andare sillogizzando quando convertì a' suoi piaceri la sua buona comare.

Analisi
a) riassumi brevemente
b) osserva come viene articolata la narrazione ed analizza lo stile del testo (registro basso, aulico,
espressioni metaforiche, ecc.) individuando i modi attraverso cui si attua l’ironia del narratore
c) osserva i personaggi: sono psicologicamente complessi o dei tipi? I tratti che li caratterizzano li
deduciamo da giudizi del narratore o no? Delinea il loro ritratto
cd inserisci questa novella nell'economia complessiva dell'opera (tipi di personaggi, tematiche,
motivi)
e) individua se sono presenti elementi, temi, stilemi già incontrati in precedenza.

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