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In eterno mai più! Questo è il motivo funebre che penetra come tossico
nelle brevi gioie della vita. Le distanze sono abbreviate; gli estremi si
compenetrano. Vivere è amare, e amare è morire; una triade
leopardiana, sempre e tutta presente. La morte solo è; tutto l’altro è
apparenza, è la vita, che in seno alla morte riapparisce come una
ricordanza acerba, a maggiore strazio.
Appunto per sottrarsi a queste conclusioni tragiche, le quali furon
dette prosaiche, incoronarono di fiori la tomba, e foggiarono una poesia
della vita in un altro mondo. Nel Sogno tutta questa poesia è ita via,
ogni lieta immaginazione umana è distrutta in nome del vero. Con la
morte finisce tutto, gioventù, bellezza, amore e poesia. « Di beltà son
fatta ignuda », dice la morta.
E l’interesse poetico è appunto nella profonda e straziante
impressione che fa sull’anima questa morte di ogni poesia, un sublime
negativo. Il povero cuore umano voleva questa poesia; Leopardi lacera
e schianta il cuore, annichila l’immaginazione, ti precipita nell’eterno
vuoto. Maggior catastrofe non ha immaginato nessuno. È la tragedia
non di questo o di quello; è la tragedia del genere umano. È l’ultima
poesia, una poesia fondata sulla morte della poesia, e che appunto in
questa impressione funebre raggiunge i suoi fini estetici.
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E gli pare ancora più bella, perché meno goduta, e ancora desiderata,
guardata con l’occhio amoroso del desiderio.
La donna è l’ideale della giovinezza, è la sua stella, la sua
compagna nel viaggio della vita. Quella donna che non trova più in cielo,
il poeta la trova nel cuore del giovane. Beatrice, morta in cielo,
sopravvive ne’ dolci sogni della gioventù. Ciascuno di noi l’ha vista,
ciascuno ne’ primi anni aveva la sua Beatrice. Cosi l’ideale femminile
ricomparisce, ma la sua base è altra, non è in cielo, è nel cuore umano.
Essa è l’eterno fantasma, che rivela la donna alla gioventù. Il giovane
non sa cosa esso sia e dove sia; ma nella sua ingenua fede crede alla sua
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sparire. Silvia è una stella luccicante in cielo oscuro, che a poco a poco
l’annuvola e la involge nella sua oscurità. Il cielo è oscuro, ma
tranquillo; non ci è tempesta, non ci è strida; non ci è lamento, non ci è
tenerezza. Sei al cospetto di natura muta e formidabile. Qualche
lamento della vittima è schiacciato sotto la muta rovina. L’ultima
impressione è l’eterno sparire e l’eterno disinganno, con l’impronta del
mistero.
Fondere insieme lo sparente e il preciso, l’ideale e il naturale, la
chiarezza dell’immagine e il vago del fantasma, sicché tutto vedi e tutto
ti fugge, è il miracolo di questa poesia. Nel suo naturalismo, nella sua
chiarezza plastica, nella sua semplicità a dir cose anche le più terribili,
senti la lunga domestichezza del poeta co’ greci, che in una concezione
essenzialmente romantica lo tenne lontano da ogni maniera del
romanticismo.
Maggiore espansione è nella Nerina. Il poeta ritornava da
Firenze, rivedeva la casa paterna affollata di memorie care e tristi. Ci è
nei suoi lamenti una effusione tenera; ci è nei suoi ricordi una
grandezza artistica d’impressioni; si sente la vita che gli rinasce, il fiato
della primavera. Com’erano belli quei primi anni giovanili! E come sono
passati rapidamente! Passati, e cosa importa? Egli li ricorda, li pensa,
li rivive, li risente rinato a quei dì. Con lui rinasce Nerina. Anch’ella
passò; ora è nel sepolcro. Cosa importa? Tutto gli parla di Nerina;
l’immaginazione del redivivo la cava dal sepolcro, la ricrea. È una Silvia
a rovescio. Lì è la vita che va sparendo in seno alla morte. Qui è la vita
che riapparisce in fondo al sepolcro. Il motivo della Silvia è lo sparire. Il
motivo della Nerina è il riapparire.
E come è bella, come è piena questa vita che riapparisce! ‒ Nerina
non è morta, ella vive nel mio pensiero, sente in me l’antico amore. Da
quella finestra mi parlava; gli occhi lucenti di gioventù, la fronte gioiosa;
la vita per lei era una danza; tutta fede, non le pareva mai che potesse
finire. Com’era bella, quando si adornava e andava alle feste, quando a
primavera portava sul seno il fiore, dono dell’amante! Come le piaceva
la vita! Com’era contenta a mirare il cielo! ‒
Questa vita è tutta nel pensiero concitato dell’amante, che
illumina il sepolcro, e ti fa colà dentro sentire ogni illusione di una vita
gioiosa femminile. Non sai come, ma quella morta lì te la vedi innanzi
danzante, col suo abito di festa, ornata di fiori, e par che dica: ‒ Come
la vita è bella! come piace di vivere! ‒. La poesia è piena di luce, colorita,
vivace, calda, primaverile. Gli è che il poeta è rifatto giovine e considera
la vita come giovine, ed è pieno di emozione, rivedendo la casa paterna.
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