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Nella « Biblioteca di Cultura Moderna »

prima edizione 1942 Bruno Nardi


Nella <<Collezione Storica»
nuova edizione a cura di Paolo Mazzantini 1983

Nella <<Biblioteca Universale Laterza »


prima edizione 1985
seconda edizione 1990

DANTE
E LA CULTURA MEDIEVALE
nuova edizione a cura di Paolo Mazzantini

introduzione di Tullio Gregory

Proprietà letteraria riservata


Gius. Laterza & Figli Spa, Roma-Bari Editori Laterza 1990

~.
I

FILOSOFIA DELL'AMORE
NEI RIMATORI ITALIANI DEL DUECENTO
E IN DANTE

l. Il problema sulla natura dell'amore, posto da Iacopo Mo-


stacci. Risposta di Pier delle Vigne.

Intorno alla natura dell'amore avevano esposto profondi pen-


sieri Platone, nel Convivio e nel Fedro, e Plotino, il quale,
nel V libro della III Enneade, s'era posto il problema che riaf-
fiorerà nella lirica del Duecento, «se l'amore sia un dio o un
demone, oppure una passione dell'anima, o l'una e l'altra cosa
insieme ». Ma nella lirica italiana del secolo XIII, il problema
concernente la natura del sentimento amoroso fu sollevato la
prima volta da Iacopo Mostacci, falconiere di Federico II, e
trattato dipoi da numerosi rimatori, sia che avessero effettiva-
mente qualcosa di nuovo da dire intorno a questo argomento,
sia che ripetessero fino alla noia motivi ormai triti.
Poeti francesi, provenzali e siciliani, soffermandosi a riflet-
tere sulla prepotente forza della passione amorosa, come i mi-
gliori di essi l'avevano provata, si raffiguravano l'Amore come
un nobile signore cinto della sua corte, oppure, ·influenzati· da
quel po' di cultura classica che non s'era mai del tutto spenta
anche nei Sç!coli barbarici, se lo rappresentavano, sull'esempio
di Virgilio e sopratutto d'Ovidio, a guisa d'un dio benigno e
crudele che impone una dolce e pur tormentosa signoria ai
suoi fedeli. Si trattava certo di un'immagine letteraria, del cui
valore puramente poetico erano consapevoli in quanto cristiani,
anzi talora uomini di chiesa; ma che cosa svegliava nei cuori
quella commozione a spiegare l'origine della quale gli antichi
10 Dante e la cultura medievale I. Filosofia dell'amore nei rimatori italiani del Duecento e in Dante 11

poeti avevano foggiato il mito di Eros? Che cosa è mai que- e zo voi dire om che sia amore.
st'amore che ora tiranneggia gli uomini colla violenza della pas- Eo non li saccio altra qualitate.
sione tormentosa, ora desta in essi ebbrezze di paradiso? Questo
amore fatto di sospiri, di paure, di tremiti, di speranze, d'esta- Per quanto il concetto, che il rimatore siciliano sostituisce
tiche contemplazioni e d'angoscia, delle più nobili aspirazioni e alla raffigurazione tradizionale, fosse in sé povera cosa, non di
dei più cocenti desideri carnali? meno aveva il merito d'invitare i poeti a sfrondare i loro canti
Il sonetto del Mostacci « Sollicitando un poco meo savere », dalle immagini retoriche, e di richiamarli a considerare il senti-
rivela forse nel poeta il bisogno di uscire dal cerchio delle frasi mento amoroso nella sua realtà di passione umana. Del resto,
consuete e delle immagini convenzionali, e di tentare nuove vie della pochezza del suo concetto egli era consapevole, e ponendo
allargando l'orizzonte poetico per mezzo della riflessione filoso- la sua quaestio sull'amore, a quel modo che soleva farsi nelle
fica. Ma per risolvere il problema da lui posto, occorreva solleci- scuole di diritto, di medicina, di filosofia e di teologia, invitava
tare un sapere che forse al trovatore siciliano mancava. gli esperti di cose amorose a volerla « determinare », come dice-
Egli pensava senza dubbio alle personificazioni dell'Amore, vasi in gergo scolastico, e ad illuminarlo della loro dottrina:
rappresentato convenzionalmente come il signore e il tiranno dei
cuori, quando osservava che Ma zo che è, da voi [lo] voglio odere:
però ven faccio sentenz[l]atore.
ogn'omo dice ch'Amor ha ·potere,
e li coraggi distringe ad amare, A lui rispose, fra gli altri, Pier delle Vigne, che del cuor
dello stesso Federico II teneva ambe le chiavi. Sì, è vero che
Siffatto modo d'jp.tendere la passione amorosa porta a credere l'amore non ha forma visibile e « non si tratta corporalemente »,
in una forza posta fuori di noi e soggiogante la nostra volontà rispondeva il capuano nel sonetto «Però ch'Amore no si pò
a guisa di fato. Per conto suo, il nostro rimatore dichiara di vedere »; ma sarebbe stoltezza negarne per questo la reale con-
non poter consentire di raffìgurarsi in questo modo l'amore, giac- sistenza, come fanno taluni. Anzi il suo invisibile potere sui
ché questo non ha forma corporea visibile: cuori dimostra ch'esso ha una natura più nobile delle cose che
si vedono e si toccano:
ma eo non [li] lo voglio consentire,
però ch'Amore no parse ni pare. Ma po' ch'Amore si face sentire
dentro dal cor signoreggiar la gente,
molto maggiore presio de[ ve] avere
Insistendo sulla rappresentazione consueta dell'amore come che se 'l vedessen visibilemente.
un dio, si trascurava di approfondire la passione amorosa nella
sua realtà psicologica e ci si precludeva la via a intenderne la
verace natura nelle sue varie manifestazioni. Il vero è, osserva Ma che cosa è allora questa invisibile forza che agisce den-
il Mostacci, che l'uomo attraversa· un'età in cui l'amore è sentito tro dal cuore e signoreggia gli uomini? Pier delle Vigne se la
più che nelle altre, nascendo dal piacere che suscita nel giovane cava con un vecchio paragone che risale per lo meno a Talete:
la bellezza. In questo sentimento di piacere che prova l'età come l'invisibile forza della calamita attira il ferro, così anche
giovanile al cospetto della bellezza, pare a lui debba consistere l'amore, sebbene non visibile agli occhi del corpo, esercita la
l'amore di cui favellano i poeti: , sua signoria sui cuori.

Ben trova l'om un'amorositate,


la quale par che nasca di piacere,
12 Dante e la cultura medievale I. Filosofia dell'amore nei rimatori italiani del Duecento e in Dante 13

proviene da un vero sottilmente investigato colla ragione, ma


2. Dottrina di Andrea Cappellano. dal solo nostro immaginare, suscitato in noi dalla vista che
precede l'accendersi della passione. «Giacché quando uno vede
Ma i paragoni non riescono mai ad appagare per intero una donna atta ad essere amata e formata a suo piacimento,
chi vuoi conoscere quello che una cosa è in se stessa e da che subito comincia a desiderarla col cuore (statim eam incipit concu-
trae origine. Ora della natura dell'amore aveva tentato di dare piscere corde); poi quanto più pensa ad essa, tanto più arde
una definizione Andrea, cappellano del re di Francia, nell'opera d'amore, finché perviene ad un più intenso pensiero. Dopo di
De amore o De deo amoris 1, che, composta sullo scorcio del che comincia a riandare colla fantasia le bellezze di lei, a rappre-
secolo XII, tanta influenza doveva esercitare sulla lirica amorosa sentarne distintamente le singole membra e gli atti corrispon-
anche in Italia. denti, e desidera d'essere a parte dell'ufficio di ciascun membro.
Andrea Cappellano si poneva, intorno all'amore, una serie E quando è arrivato a un cosi intenso pensiero, l'amore non
di questioni che, come vedremo, saranno in gran parte quelle riesce a frenarsi, ma tosto procede all'atto; ché subito s'affanna
stesse che Guido Orlando porrà a Guido Cavalcanti: a procacciarsi un aiuto e cerca di un messaggero... Ma perché
nasca l'amore non basta un qualunque pensiero, ma occorre
Est igitur primo videre, quid sit amor, et unde dicatur amor, un'immaginazione eccessiva (cogttatio immoderata); giacché l'im-
et quis sit effectus amoris, et inter quos possit esse amor, qualiter maginazione moderata non suoi tornare in mente, e perciò non
acquiratur amor, retineatur, augmentetur, minuatur, fìniatur, et de
ne può nascere l'amore» 4 •
notitia amoris mutui, et quid unus amantium agere debeat altero
fìdem fallente 2. ·
Ho reso la parola cogitatio di cui fa uso il nostro autore
ora colla parola italiana pensiero, ora colla parola immaginazione,
E nel primo capitolo egli dà dell'amore questa definizione: dando alla prima lo stesso significato della seconda, giacché il
cogitare di cui intende il Cappellano, come risulta dalla defini-
Amor est passio quaedam innata procedens ex visione et immo- zione dell'amore, non è funzione dell'intelletto, ma di quella
derata cogitatione formae alterius sexus, ob quam aliquis super omnia che i medievali chiamarono la vis cogitativa 5, che è, al pari della
cupit alterius potiri amplexibus et omnia de utriusque voluntate in fantasia, uno dei sensi interiori. L'amore cosi inteso trae origine
ipsius ainplexu amoris praecepta completi 3• senza dubbio dall'istinto sessuale; e per questo lo scrittore fran-
cese dichiara apertamente ch'esso non può sussistere fra persone
Passione è l'amore, poiché, prima ch'esso sia corrisposto, dello stesso sesso, giacché l'amore tende al soddisfacimento di
non v'è maggiore angustia di quella che prova un amante, di un bisogno naturale, e « si vergogna di quello che va contro
continuo in preda alla paura di non poter mai conseguire l'oggetto natura» 6 • Ciò non di meno, esso non consiste nell'appagamento
del suo desiderio. Ed è passione innata cioè istintiva, poiché non di questo bisogno, ossia in quello che altri scrittori chiamano
il « fatto » (faitz), ma nell'« immoderata passione » che deriva
l Andreae, Cappellani Regii Francorum, De amore libri tres. Recensuit dall'immaginazione. E su questo elemento fantastico è sorta ap-
E. Trojel, Havniae, MDCCCXCII. Salvatore Battaglia ha curato una nuova
edizione del testo latino accompagnata da due traduzioni toscane inedite del
punto la poesia amorosa: ché, tolto questo elemento, ogni possi-
secolo XIV (Roma, Perrella, 1947). Intorno a questa opera, v. Pio Rajna, bilità di poesia svanisce e non resta che la nuda e brutale passione
Tre studi per la storia del libro di Andrea Cappellano, in Studi di filo!. ro-
manza di E. Monaci, fase. 13, 1890, pp. 193-285; R. Bossuat, Drouart La
Vache traducteur d'André le Chapelain, Parigi 1~26; M. Grabmann, Das 4 Lib. I, I, pp. 5-6.
W erk De Amore des Andreas Capellanus und das V erurteilungsdekret des s Avicenna, De anima, IV, cc. 2-3; Averroè, De anima, I, comm. 66;
Bischofs Stephan von Paris vom 7. Miirz 1277 (in Speculum, VII, 1932, I, III, comm. 6 e 20; Giovanni della Rochelle, Summa de anima (ed. a cura
pp. 75-79). dr T. Domenichelli, Prato 1882), II, 23; S. Tommaso, Summa theol., I,
2 Lib. I, p. 3.
q. 78, a. 4.
3 Lib. I, I, p. 3. 6 Andrea Cappellano, I, n, pp. 6-7.
14 Dante e la cultura medievale I. Filosofia dell'amore nei rimatori italiani del Duecento e in Dante 15

istintiva. L'amante, stimolato dall'impressione entrata in lui per donna assennata non dona il suo amore guardando unicamente
la vista, si costruisce un mondo interiore d'immagini e colla sua alle forme eleganti o alla nobiltà dei natali. « Soltanto la probità
facoltà « cogitativa » crea l'oggetto del suo amore, spesso tanto orna l'uomo di vera nobiltà e lo rende splendente di bellezza.
differente da quello che si dice reale, lo colloca su un piedistallo, Che se tutti discendiamo da un unico stipite e tutti abbiamo per
l'avvolge d'un'aureola luminosa e l'adora come una divinità bale- natura una stessa origine, non la forma del corpo, non la maniera
natagli innanzi. Per rendersi degno della donna cosl idolatrata, del vestire, ma la probità dei costumi ha distinto gli uomini in
e per meritarne la grazia e il sorriso, l'amante sente n bisogno nobili e non nobili, e ha dato origine alle differenti prosapie. Ma
d'innalzarsi sulla volgare schiera colla virtù e il valore. « O qual molti son quelli che, pur traendo origine, per nascita, da ante-
mirabil cosa è l'amore - esclama il Cappellano - poiché fa nati nobili, degenerando si son messi per altra via». All'oppo-
rifulgere l'uomo di tante virtù e gl'insegna a farsi ricco di tanti sto altri si son fatti nobili per il loro valore, pur traendo
bei costumi. V'è inoltre nell'amore qualcosa che merita la più origine da avi ignobili 9 •
grande lode, poiché esso, in certo modo, rende l'uomo adorno
della virtù della castità; ché chiunque è illuminato dalla luce
dell'amore per una donna, non saprebbe pensare all'amplesso 3. Teoria psicologica di Iacopo da Lentini.
d'un'altra, anche se bella. Fintanto che il suo animo è rivolto a
lei, l'aspetto d'ogni altra gli sembra deforme e volgare» 7 • Alla psicologia della passione amorosa d'Andrea Cappellano
Perciò sono incapaci di vero amore i Don Giovanni e s'ispira il sonetto col quale il notaro Iacopo da Lentini rispon-
libertini, « i quali, dopo aver molto pensato ad una donna e deva alla quaestio sull'amore posta dal Mostacci:
dopo avere anche colto i frutti del loro desiderio, tosto che ne
vedono un'altra, desiderano gli amplessi di quella, e con animo Amor è un[o] desio che ven da core
ingrato dimenticano i favori ricevuti dalla prima. Questi tali per abondanza de gran piacimento;
e li occhi in prima generan l'amore,
quante ne vedono tante ne desiderano carnalmente. L'amore di
e lo core li dà nutricamento.
costoro è pari a quello d'un cane impudico. Ora noi crediamo
ch'essi sian da rassomigliare ad asini; giacché son mossi soltanto
Il cuore, nella dottrina aristotelica, non solo è il primo
da quell'istinto naturale che rende gli uomini non differenti
organo che si forma nello sviluppo embriologico del corpo uma-
dagli altri esseri animati, non da quella vera nostra natura che,
no 10, ma esso è inoltre la sede di tutte le virtù, che, per mezzo
per la differenza della ragione che è in noi, ci rende diversi
di quei sottilissimi veicoli che sono gli spiriti esalati dal sangue
dagli altri animali » 8 •
grazie al calore, dal centro della vita s'irradiano a tutti gli altri
Non le ricchezze né la facilità di ottenere da una donna
organi e dànno a questi il potere di compiere le loro rispettive
quello che le si chiede, suscitano in noi il verace amore; ma
e specificl:te funzioni 11 • Anzi per Aristotele derivano dal cuore
piuttosto la bellezza, la probità dei costumi, e il bel parlare. Ma
perfino i nervi 12 • Galeno distinse invece tre membri principali:
anche quanto alla bellezza lo scrittore francese esorta a distin-
il fegato, il cuore e il cervello; nel primo pose la sede propria
guere la vera dalla falsa che le donne astute mettono in opera
della virtù naturale; nel secondo, la sede della virtù vitale; e
per mezzo di trucchi allo scopo di sedurre. Il vero amore per
altro guarda più ai bei costumi che non alla bella forma. «L'uomo
9 I, VI.
saggio come la donna saggia non rifiutano d'amare chi è deforme, IO Arist., De gener. animal., II, c. 4. Cfr. G. M. Nardi, Problemi d'em·
se in esso riluca un'interiore bellezza di costumi. » Sl che la briologia umana antica e medievale, Firenze, Sansoni, 1938, p. 95 sg.
Il Arist., De part. animal., III, c. 3, 665a 12, 17; c. 4, 666b 14; De
somno et vigilia, c. 2, 456 a 5; De morte et vita, c. 3, 469 a 6·12; c. 4,
7 I, IV, p. 10. 469 b 5.
s I, v, p. 13. 12 De hist. animai., III, c. 5.
16 Dante e la cultura medievale I. Filosofia dell'amore nei rimatori italiani del Duecento e in Dante 17

nel terzo, la sede della virtù animale 13 • Dal cervello, e niente quello del medico fiorentino Taddeo Alderotti alla Isagoge di
affatto dal cuore, traggono origine i nervi, che, col cervello, Ioannitius 19 e dal Conciliator di Pietro d'Abano 20, per non citare
sono lo strumento della sensazione interna ed esterna. Se non che alcune delle opere solenni. « Cor domicilium est vitae »,
che nel medio evo s'era cercato, sull'esempio d'Avicenna 14, d'ac- insegnava pure Alfredo di Sareshel, che intorno al 1210 aveva
cordare Galeno con Aristotele. I nervi che si diffondono per dedicato il suo De motu cordis al compatriota ed amico, maestro
tutto l'organismo, si disse, derivano immediatamente dal cervello Alessandro Neckam; « cor igitur animae domicilium est», poiché
oppure dalla nuca, cioè dal midollo spinale; ma mediatamente l'anima nel cuore s'unisce allo spirito vitale che esala dalla
dal cuore; e si comparò il cervello e il midollo spinale a un parte più pura del sangue sotto l'influsso del calore naturale 21 •
gran fiume le cui sorgenti si occultano nei monti. Dal cuore Dal cuore, dunque, e dallo spirito vitale, il quale è strumento
parimente traggono origine anche la virtù naturale e la virtù delle virtù che emanano dall'anima, proviene anche questo moto
animale che hanno come organo e sede propria rispettivamente o passione che Aristotele denominava q>CÀ'I')cnc;, distinguendolo
il fegato e il cervello. Ad ogni modo, anche secondo Galeno, dalla q>~ÀLa, cioè dall'amicizia; giacché la q>~À.La non ha quella
nel cuore aveva la sua propria sede la virtù vitale. La quale concitazione e ,quell'appetito che son propri invece della q>LÀ'I')cnc;
viene così definita da Avicenna 15 : o amore sensuale. E lo stesso filosofo aggiungeva che, come
dell'amicizia è principio la benevolenza, così dell'amore sensuale
Vitalis vero virtus est illa, quae spiritus esse conservat, qui sensus è cagione il diletto suscitato in noi dal vedere, « ea quae per
et motus vehiculum existit, et ipsum reddit aptum ad eorum impres- visum delectatio », i) 8~&. 'tfjc; ~\j;Ewc; i)oovi} 22 •
siones recipiendas, quum ad cerebrum pervenit, et facit ipsum poten- Questa delectatio o l]oovi} è quella che nel medio evo si
tem dandi vitam, ubicumque expanditur. Et huius quidem virtutis disse piacimento o piacenza in senso soggettivo; poiché in senso
sedes et operationi ipsius processus est cor.
oggettivo queste parole significarono pure la bellezza, cioè la
qualità per cui una cosa veduta piace, secondo il detto comune
Ed anche Galeno riteneva, al pari d'Aristotele, che nel cuore,
fra gli scolastici: « Pulchrum est quod visum placet ». E Witelo
ove risiede la virtù vitale, si compiessero quei moti dell'animo
nella sua Perspectiva 23 scrivev~:
che si dicon passioni, come la paura, l'ira, la gioia, tutti quei
sentimenti insomma che provocano una dilatazione e costrizione
del cuore 16 • La qual dottrina era comunemente accolta nelle
19 Taddeo Alderotti, Expositiones, Venezia 1527: In Isagogem Ioan-
scuole di medicina e di filosofia, come può vedersi dal commento nitii, fol. 351 v-b, 358 v-o sgg.
di Alberto Magno al De animalibus 17 e ai Parva naturalia 18, da 20 Diff. 31, pr. 2; 41, pr. l; 57, pr. l; 59, pr. l. In taluni commenti
della Vita nuova, I, 4 sgg., anzi che qualcuna delle fonti classiche, è citato,
non si sa perché, il trattato De anima attribuito a Ugo da S. Vittore, e che
13 Galeno, Methodus medendi, IX, c. 10; De placitis Hippocratis et invece è di Alcherio da Chiaravalle, monaco del sec. XII, il quale utilizzò
Platonis (ed. Mueller, Lipsia 1874), VI, p. 499 sgg. sino alla fine del libro; la Pantegni di 'Ali ibn al-'Abbiis tradotta da Costantino.
VII, p. 596 sgg. Cfr. Costantino Africano, De communibus medico cognitu 21 Liber magistri Alvredi de Sareshel ad magistrum magnum Alexandrum
necessariis locis (che non è altro che la Pantegni di 'Ali ibn al-'Abbiis -noto Nequam de motu cordis, ed. Cl. Baeumker, in Beitriige zur Geschichte der
nel medio evo latino come Halyabbas -, tradotta dallo stesso Costantino), Philosophie des Mittelalters, XXIII, 1-2, Miinster 1923, pp. 33, 34, 43, 45,
I, c. 6; IV, cc. 2, 5, 9, 19 (in Constantini Mricani ... Operum reliqua hacte- 69, 80, 86, 93-94.
nus desiderata, Basilea 1539). 22 Arist., Eth. Nicom., IX, c. 5, 1166 b 30- 1167 a 6: « Benevolentia
14 Canon totius medicinae (secondo la versione arabico-latina di Ge- autem amicitiae quidem assimilatur, non tamen est amicitia ... Sed neque
rardo da Cremona, seconda metà del sec. XII), I, fen l, dottr. 6, c. l. amatio est: non enim habet distensionem, neque appetitum. Amationem
15 Ibid. autem haec sequuntur ... Videtur utique principium amicitiae esse, quemad-
16 Galeno, De placitis Hippocratis et Platonis, VII, p. 597. modum eius quod est amare, ea quae per visum delectatio. Non enim inde-
17 Alberto Magno, De animalibus, I, tr. l, c. 5; IX, tr. 2, c. 4; XX, lectatus specie nullus amat » (secondo la traduzione latina di Roberto Gros-
tr. 2, c. 3. satesta, premessa al commento tomistico, lez. V). ·
18 Alberto Magno, De spir. et respir., I, tr. l, cc. 9-10, tr. 2, cc. 1-4; 23 IV, 148 (estratti in Cl. Baeumker, Witelo, nei Beitriige cit., III, 2,
De motibus an;mal., I, tr. 2, cc. 2-6. Miinster 1908, pp. 172-174). ·
18 Dante e la cultura medievale I. Filosofia dell'amore nei rimatori italiani del Duecento e in Dante 19

Pulchritudo comprehenditur a visu ex comprehensione simplici e lo cor, che di zo è concepitore,


formarum visibilium placentium animae, vel coniunctione plurium imagina, e [li] piace quel disio:
visibilium intentionum habentium ad invicem proportionem debitam e questo amore regna fra la gente.
formae visae.
Fit enim placentia animae, quae pulchritudo dicitur, quandoque
ex comprehensione simplici visibilium formarum ... Il Notato accenna anche ad un'altra questione discussa da
Sic ergo pulchritudo comprehenditur a visu ex comprehensione coloro che trattarono della natura dell'amore: può l'amore sve-
simplici formarum visibilium placentium animae. Quaelibet tamen gliarsi per un'immagine che non entri in noi per la vista? Il
istarum visibilium intentionum non facit pulchritudinem in qualibet problema interesserà specialmente coloro che all'amore daranno
forma, in qua venit illa intentio ad visum ... un'origine soprasensibile, come vedremo; ma anche alla mente di
Ex coniunctione quoque plurium intentionum formarum visibilium quelli che non s'elevarono al concetto platonico e teologico del-
ad invicem, et non solum ex ipsis intentionibus visibilium, fit pulchri- l'amore, la quistione s'affacciò per quel che leggevano di Jaufré
tudo in visu, ut quandoque colores scintillantes et similiter pictura Rudel, innamoratosi per fama della contessa di Tripoli in Siria.
proportionata sunt pulchriora coloribus et picturis carentibus ordina- Il Notaro ammette, sì, che
tione consimili, et similiter est de vultu humano.
Ben è alcuna fiata om amatore
Piacimento in senso soggettivo, e cioè piacere e diletto che
senza vedere so 'namoramento;
prova l'anima di fronte alla bellezza, è quello che desta nel cuore ma quell'amor che stringe con furore,
il desiderio amoroso 24 • L'immagine di donna bella, cioè l'inten- da la vista de li occhi ha nascimento.
:done entrata in noi per mezzo della vista, provoca il sentimento
del piacere e quindi, se questo è grande, l'amore. Ma l'impres-
Un po' più crudamente Aristotele, nel luogo dell'Etica Nico-
sione visibile non basta a generare l'amore, se il cuore non « li
machea sopra citato, aveva detto che senza di quel piacere che
dà nutrigamento ». Questo nutrigamento non è altro che quella
è suscitato in noi dalla specie visibile non si dà amore: « non
« immoderata cogitatio », quella « cogitatio plenaria » di cui ci
enim indelectatus specie nullus amat ». Ma è evidente che lo
ha parlato Andrea Cappellano, e che è essenziale alla vita della
Stagirita intendeva parlare di « quell'amor che stringe con fu-
passione amorosa. L'immagine oggettiva, entrata in noi per la
rore », cioè di quello che è vera passione e non solo un vago
vista, è rappresentazione della cosa veduta nella sua fisica realtà
sentimento senza concitazione.
e nel suo «esser verace », come dirà Dante 25, senza distinzione
di bello o brutto, di «bono e rio»; soltanto l'interiore lavorio
i
del cuore, cioè dell'immaginazione, può dar vita all'immagine ~
4. Divulgazione della teoria di Iacopo da Lentini.
piacente e svegliare il desiderio amoroso. Senza questo elemento tt
fantastico, fonte della poesia amorosa, l'amore non nasce:
I pensieri accennati, più che esposti, da Iacopo da Lentini, ~
Ché li occhi rappresentano a Io core saranno ripetuti fino alla sazietà dai rimatori italiani sino alla l
d'onni cosa, che veden, bono e rio, fine del secolo, senza che nei più di essi la dottrina intorno ~
1
com'è formata naturalementè; all'amore se n'avvantaggi gran che. ~

~
Così un anonimo del codice Vat. 3793, non trovando chi
24 Giovanni della Rochelle, Summa de anima, ed. Domenichelli cit., II, gli dica «chi sia Amore, ove dimori o di che cosa è nato»,
c. 31: « Duplex est enim disposi do virtutis concupiscibilis moventis ad inclina a credere che quell'amore che la gente chiama signore, k
actus: placentia et displicentia. Quidam ergo actus exeunt ab ea secundum
placentiam ... Boni... alterius placentia generat amorem et dilectionem ». altro non sia « se non un nome usato » e ritiene la passione 't
Purg., XVIII, 22-33. amoròsa « uno volere » nato da tre cose che « in una concor-
25
cs i
t

20 Dante e la cultura medievale I. Filosofia dell'amore nei rimatori italiani del Duecento e in Dante 21

danza... tegnono lo corpo in lor podere » e « sengnoregiano lo Lo stesso tema è ribadito in quest'altro sonetto anonimo dello
core », cioè: « Piaciere e pemsare e disianza » Z~>. Un altro ano- stesso codice Vaticano:
nimo dello stesso codice dichiara di non potersi vantare « di
tanto savere » da rispondere « sentenziando » a chi gli avea Dal cor si move un spirito in vedere
chiesto d'in ochi 'n ochi di femina e d'orno,
per lo qual si concria uno piaciere,
Che este amore e di che nascie e quando lo qual piaciere mo vi dico como:
e ['n] qual parte del' om ponsi a sedere. e nasciene un benivolo volere,
lo qua Amore chiamat'è per nomo;
Non di meno anch'egli ritiene che amore non sia cosa da poter dentro dal core si pone a sedere,
vedere e toccare, e rifiuta il « van pensare » di quelli che ne cà nom paria in più sicuro domo.
fanno un dio: nascie di sangue netto pur c'al core,
che l'animo de Pom ten 'n alegranza
e sengnoregia ciascuno altro amore,
Cà se deo fosse non facièra reo; e falla stare in quella disianza;
cà 'n deitate è tutto dengno afare n.
quello può dire om che sia. Amore:
amor è. cosa con gran dubitanza 29 •
Anche mastro Francesco è dello stesso avviso, sebbene sap-
pia che il potere d'Amore «più che terena sengnoria si stende», Ma se l'amòre fosse stato davvero «cosa con gran dubi-
e che esso tiranneggia la volontà dell'uomo, la quale pur «da tanza » e l'autore di questo sonetto vi avesse ben riflettuto, non
sengnor teren ben si difende »: pare che si sarebbe dovuto limitare a ripetere quello che in
sostanza aveva già detto il Notato, senza mettervi un solo accento
C'amor sia deo non è la veritate, che riveli la sua personale riflessione intorno al problema. E
ché deo per bene già male no' rende. niente aggiunge neppur mastro 'Torrigiano da Firenze, il quale
verso la fine del secolo XIII insegnava medicina a Bologna, ove
Amore «fa reo », Amore « rende male per bene »: notiamo fin scrisse un divulgatissimo Plus quam commentum super Micro-
d'ora questo concetto pessimistico, implicito in quello dell'amore tegni Galieni, finché non si rese frate. Nei due sonetti che ci
come passione, che s~rà largamente svolto dal Cavalcanti. Del restano di lui su quest'argomento, egli torna a battere sul punto
resto, anche mastro Francesco ripete sulla natura della passione che amore non è dio se non « per similìa », cioè per similitudine,
erotica quello che già sappiamo: .a cagione della forza ch'esso esercita su chi ama; ma in se stesso
non è altro che «un disio del'arma » cioè déll'a~ima, della quale
Quand'cm diven solicito e pensoso è come il timone 30 •
vegiendo un .bello viso e piacientero, Oggetto della passione amorosa è, come abbiamo visto, la
amantenente Amor in cor rinchioso: « piacenza », cioè la bellezza sensibile che si rivela all'amatore
c'Amore è un continovo pensero per la vista. A parte i casi .nei quali sembra che il tema amoroso
di quella cosa ond'orno è disioso 28.
serva ad una semplice esercitazione letteraria, l'amore di cui
trattano i rimatori dei quali abbiamo fatto cenno, è sicuramente
26 Le antiche rime volgari secondo la lezione_del codice Vaticano 3793,
una passione sensuale quale l'aveva definita il Cappellano, e ten-
pubblicate per cura di A. D'Ancona e D. Comparetti, t. IV, Bologna 1886, dente al possesso della cosa amata. Nqn parlo del possesso car-
n. 331, p. 6.
n Le antiche rime volgari, n. 332, p. 7. 29 Le antiche rime volgari, n. 337, p. 12.
28 Le antiche rime volgari, n. 502, p. 188. 30 Le antiche rime volgari, nn. 486-487, pp. 171-172.
22 Dante e la cultura medievale I. Filosofia iell'amore nei rimatori italiani del Duecento e in Dante 23

nale, col quale il più delle volte, saziata la brama dei sensi, donna amata, alla quale non chiede se non di rimeritare i suoi
l'amore s'affievolisce e si spegne. V'è un possesso meno brutale, servigi col sorriso. La bellezza muliebre, come la intende il rima-
più fine, più delicato, più pudico, che inebria e non sazia, un tore bolognese, è fulgore di un'interiore bellezza d'animo la quale
amore che si nutre di sguardi, di sorriso, di luce, e il cui appaga- si rivela nell'armonia dei lineamenti, negli atti onesti, nel pare
mento consiste nella certezza che sentimenti consimili albergano lare soave e sopratutto nel lampo degli occhi. Ed è, se non
nell'anima della persona che s'ama. essenzialmente, almeno tendenzialmente, bellezza morale, che tra-
È ben vero, per altro, che siffatto patema dell'animo deter- sfigura e purifica quella che originariamente era definita dal Cap-
mina una sovreccitazione di sensi, che talora dispone e, diciamo pellano una passione strettamente connessa coll'istinto sessuale.
pure, inclina al possesso carnale o almeno al desiderio di esso.
Ma i rimatori del secolo XIII s'arrestano in generale sul limite E non si pò appressar orno ch'è vile;
ancor vi dico ch'ha maggior vertute:
imposto alla poesia dal freno dell'arte, e, quasi temessero di
null'om pò mal pensar fin che la vede 32.
profanare la bellezza vagheggiata colla fantasia, non menan mai
vanto di ciò che tacere è bello. Amor di poeta è il « fino amore » e non può albergare se
Ad ogni modo, posto che l'amore di cui intendevano è la non in un « cor gentile» 33 • Amore e cuor gentile stanno tra
passione definita da Andrea Cappellano e da Iacopo da Lentini, loro come lo splendore sta al sole:
non era possibile sviluppare questa dottrina se non in due modi:
o accentuare sempre più il carattere irrazionale e violento della Ch'adesso che fu il sole,
passione amorosa, come fa Guido Cavalcanti; oppure far com- sl tosto lo splendore fu lucente
piere ad essa una catarsi artistica e morale, mettendo a profitto né fu davanti il sole;
l'elemento immaginativo cui abbiamo accennato, come piacerà a e prende amore in gentilezza loco
Guido Guinizelli. cosl propi:amente
come calore in clarità di foco 34.

5. Principio di catarsi poetica della passione amorosa nella lirica Come la luce del sole, raggiando sulla materia vile e purifican-
del Guinizelli. . dola, ne trae le pietre preziose colle loro mirabili virtù magiche
e medicali 3S,
Pura contemplazione della bellezza è l'amore per il Guinizelli.
cosl lo cor, ch'è fatto da natura
E' par che da verace piacimento asletto, pur, gentile,
lo :futo amor discenda donna, a guisa di stella, lo inamura 36_
guardando quel ch'al cor torni piacente;
ché poi ch'om guarda cosa di talento, Amore siffatto non può accendersi in cuor villano; poiché la
al cor pensieri abenda, prava natura ne spegne la fiamma, come l'acqua il fuoco. Per
e cresce con disio immantenente; quanto splenda, la bellezza non riesce a riscaldare l'animo vile,
e poi dirittamente
come il sole non dà virtù al fango:
fiorisce e mena frutto 31•

Ma il fiore e il frutto del desiderio che il poeta vorrebb~ racco-


32 lbid.,
33 lbid.,
XV, 12-14.
v. l
gliere, altro non sono che uno sguardo pietoso e benigno della 34 lbid.~ v, 5-10. ~
3S Sulle
virtù medicali e magiche delle pietre preziose; cfr. Alberto l
31 Rime di Guido Guinizelli (in Rimatori del dolce stil novo a cura di
Magno, De mineralibus, II, tr. l, cc. 1-4. ~i
36 Rime di G. Guinizelli, V, 18-20.
L. Di Benedetto, Bari, Laterza, 1939), IV, 12-19.
24 Dante e la cultura medievale . I. Filosofia dell'amore nei rimatori italiani del Duecento e in Dante 25
Fère lo sole il fango tutto 'l giorno:
Ma non sempre l'innamorato ottiene il guiderdone del suo
vile riman, né 'l sol perde calore 37,
servire, e spesso la donna amata sta di fronte a lui, chiusa nel
suo orgoglio, come una rocca inaccessibile. E il tapinello che vi
Né basta ad accendere il «fino amore» la nobiltà della
si aggira intorno, cercando invano una porta per arrivare al cuore
schiatta, poiché la vera nobiltà non s'eredita col lignaggio, « se
di lei, dà sfogo ai suoi lamenti in canti appassionati, ondeg-
da vertude non ha gentil core» 38 • Soltanto le belle imprese e i
giando fra la speranza e lo sconforto. Intorno a questo motivo
bei costumi, soltanto il valore dà all'uomo gentilezza; che è un
son fiorite le rime più belle, perché più sincere, del « dolce
concetto che sarà svolto con ampiezza da Dante, ed era già chia-
stil novo », ispirate a una fine analisi dei sentimenti suscitati
ramente accennato dal Cappellano. ,
nell'animo dal desiderio amoroso che dettava dentro.
Nato da un bisogno di contemplazione estetica, il desiderio
Si è parlato sovente di platonismo a proposito dell'amore
amoroso dell'anima nobile è pienamente appagato nell'obbedire
cantato dal Guinizelli e dai seguaci del « dolce stil novo ». Ma
al gentil talento di donna bella, se da lei si sente corrisposto
forse l'espressione è abusiva ed è stata certamente abusata. Se
e il suo servire trova in lei comprensione. Se l'innamorato ottiene
un riflesso di platonismo si vuoi vedere in quella catarsi che il
questa niercede del suo servire, e sente il suo cuore battere
bolognese fa compiere alla passione erotica di Andrea Cappel-
all'unisono con quello di madonna, allora esso è pienamente
lano, in questo modo di esprimersi qualcosa di vero c'è, purché
beato, al pari delle intelligenze celesti la cui beatitudine consiste
sia inteso con discrezione. Ché, per quanto purificato dal tocco
nell'obbedire a Dio, volgendo ciascuna il proprio cielo, e nel
leggero della poesia, l'amore di questi poeti oscilla sempre tra
contemplare la divina essenza « oltra 'l v_elo » d'immagini sen-
la tendenza platonica verso una pura bellezza morale, e una nuova
sibili 39 • •
forma di raffinato erotismo alessandrino. E di quest'ultimo la
Né in un tal sentimento, sorto dalla catarsi della passione
lirica degli stilnovisti ha infatti l'aerea musicalità, il sommesso
sensuale, il poeta trova alcunché di peccaminoso di cui abbia a
e blando sospirare, interrotto da acuti accenti d'angoscia, da
pentirsi come cristiano. E se Dio rimprovererà l'anima sua d'aver
frequenti singhiozzi e da invocazioni alla morte come quella che
seguito un vano amore, potrà rispondergli:
sola può ridare all'anima sgomenta la pace perduta. C'è troppa
passione, insomma, nel canto di questi nostri poeti, e troppa
Tenea d'angel sembianza sofferenza, perché si possa parlare di amore platonico 41 •
che fosse del tu' regno:
non mi fu fallo, s'eo li posi amanza 40, 41 Ben più oltre si sono spinti coloro che, come E. Anitchkof, Joachin
de Flore et les milieux courtois, Roma 1931, p. 105, hanno visto nei senti-
menti e nel linguaggio dell'« amor cortese » una filiazione della mistica cri-
37 Ibid., V, 31-32. stiana, o comunque un'influenza di questa su quello, come E. Wechssler,
38 Ibid., V, 33-40. Das Kulturproblem des Minnesangs. Studien zur Vorgeschichte der Renais-
39 Ma pare che i codici abbiano « oltra cielo » o « oltra 'l cielo ». In- sance. Bd. l, Minnesang u. Christentum, Halle a. S. 1909. Contro di essi,
É. Gilson, La théologie mystique de Saint Bernard, Parigi, Librairie Philo-
torno alla quale espressione e in generale sui recenti tentativi di rendere
intelligibile la quinta stanza della canzone guinizelliana « al cor gentil repara sophique J. Vrin, 1934, pp. IV, 193-215, fa giustamente rilevare che l'amor
sempre amore», si veda l'articolo di C. Muscetta, Al èor gentil..., in Leo- cortese è sostanzialmente la passione carnale di cui parla Andrea Cappel-
nardo - Rassegna bibliografica, XII, 1941, pp. 145-152 (e la polemichetta lano, che non può aver niente a che fare colla mistica. L'uno rispecchia la
che n'è seguita, ivi stesso, XIII, 1942, pp. 34-37 e 160-161), lo studio di vita nelle corti principesche, l'altra la vita del chiostro. Anzi in certi casi,
M. Casella, Al cor gentil repara sempre amore, in Studi romanzi, XXX, 1943, io penso, è piuttosto il linguaggio dell'amor profano che è stato trasferito
pp. 5-53 (utile per quanto concerne la tradizione manoscritta e la ricostitu- a esprimere i sentimenti del mistico connubio dell'anima collo sposo divino.
zione del testo, non altrettanto per l'interpretazione «metafisica», più che Vero è non di meno che, se non proprio la mistica monastica, un qualche
ardita, strana), e la nota di A. Roncaglia, «Intendere» nella canzone di influsso ha esercitato sull'amore cortese il sentimento cristiano che fermen-
Guido Guinizelli, in Lingua nostra, VI, 1944-1945, pp. 21-25. tava in tutta la società medievale. Cosi, quando una bella fanciulla è im-
40 Rime di G. Guinizelli, V, 51-60.
maginata simile a un angelo di Dio, venuto di cielo in terra, si tratta d'una
rappresentazione comune anc'oggi a tutto il popolo cristiano, che alla fede
26 Dante e la cultura medievale I. Filosofia dell'amore nei rimatori italiani del Duecento e in Dante 27

E sopratutto perdura in essi il sentimento della loro servitù Ma anche nell'atto in cui s'abbandona alla. contemplazione
alla forza tirannica della passione che li domina senza scampo. dell'angelica bellezza, il poeta si sente dominato da una forza
Il Guinizelli lo dice apertamente: a cui non potrebbe ribellarsi:

Orno ch'è priso non è in sua balla, Ché solo Amor mi sforza,
conveneli ubidir, poi n'aggia doglia; contra cui non val forza - né misura 44;
ch'a auge! lacciato dibattuta è ria
che pur lo stringe e di forza lo spoglia. E ben presto la gioia d'amare torna in pianto:
In pace donqua porti vita e serva 42 •
Io non pensava che lo cor giammai
avesse di sospir tormento tanto,
6. Il pessimismo di G. Cavalcanti, e il suo fondamento aver- che de l'anima mia nascesse pianto,
roistico. mostrando per lo viso a li occhi morte 45.

Un motivo finemente platonico parrebbe ispirare questi deli- Ma poiché vano è il dibattersi, per chi è caduto nei lacci
cati versi di Guido Cavalcanti 43 : della passwne amorosa, non resta che abbandonarsi ad essa,
pur sentendo nell'anima la morte: « Omnia vincit amor, et nos
cedamus amori». Pochi poeti hanno espresso come il Cavalcanti
Angelica sembianza
in voi, donna, riposa; lo sbigottimento che accompagna il più completo abbandono alla
Dio, quanto aventurosa potenza del desiderio amoroso:
fue la mia disianza!
Vostra cera gioiosa, Voi che per li occhi mi passaste al core
poi · che passa ed avanza e destaste la mente che dormia,
natura e costumanza, guardate a l'angosciosa vita mia,
ben è mirabil cosa. che sospirando la distrugge Amore 46 •
Fra lor le donne dèa
vi chiaman come siete: E ancora:
tanto adorna pàrete
ch'eo non saccio contare; Per li occhi venne la battaglia in pria
e chi poria pensare - oltr'a natura? che ruppe ogni valore immantenente,
Oltr'a natura umana sl che del colpo fu strutta la mente 47.
vostra fina piagenza
fece Dio, per essenza Amore del resto l'aveva avvertito:
che voi foste sovrana.
Tu sai, quando venisti, ch'io ti dissi:
negli dèi ha sostituito quella negli angeli. « Gli angeli belli stanno a mille poi che l'avei veduta,
in cielo », - canta Lola nella Cavalleria rusticana. Non mi sembra sia il per forza convenla che tu morissi~.
caso di discutere l'interpretazione di Mario Casella che applica alla canzone
guinizelliana gli stessi concetti metafìsici, di cui sarà detto più oltre, da lui 44 lbid., VI, 43-44.
applicati al Cavalcanti. 4s Ibid., VIII, 14.
42 Rime di G. Guinizelli, XIX, 5-9. 46 Ibid., XII, 1-4.
43 Rime di Guido Cavalcanti (nello stesso volume di Rimatori del dolce 47 Ibid., XV, 9-11.
stil nova a cura di L. Di Benedetto), VI, 19-35. 48 Ibid., VIII, 40-42.
28 Dante e la cultura medievale I. Filosofia dell'amore nei rimatori italiani det Duecento e in Dante 29

« Ut vidi, ut perii! ut me malus abstulit errar»! - sembra o vero è morte? » 56 • Al sonetto dell'Orlandi l'innamorato poeta
esclamare anche il rimatore fiorentino col pastore virgiliano. di Manna V anna e della Mandetta rispose colla dotta canzone
Coll'« anima vilmente sbigottita» 49 , tratto «di virtù in sl vii «Donna mi prega», che, ricordata da Dante 57 , e rimbeccata da
loco » da sentirsi in balìa della morte 50, il Cavalcanti impreca Cecco d'Ascoli 58 , fu ritenuta un solenne trattato sulla natura
perfino all'amore: dell'amore e meritò d'esser chiosata da commentatori antichi e
moderni, la maggior parte dei quali, a dir vero, ne ha fatto
Quel punto maledetto sia ch'Amore tale strazio, se si eccettua il buon medico fiorentino Dino del
nacque di tal manera, Garbo, da rivaleggiare solo con gli sciagurati amanuensi che ce
che la mia vita fera n'hanno tramandato il testo 59 •
Ii fue di tal piacere a lui gradita st. Accingendosi a definire che cos'è l'amore, e a darci una dimo-
strazione compiuta della natura di questo sentimento dell'animo,
E la parola morte risuona ad ogni momento nel suo canto: il Cavalcanti si rivolge a chi è addentro alle dottrine psicolo-
giche, che fanno parte del sistema aristotelico della natura, e
Menarmi tosto senza riposanza presuppongono la conoscenza di alcuni principii fisici:
in una parte, dov'i' trovai gente
che ciascun si doleva d'Amor forte. Ed a presente conoscente chero ...
Quando mi vider, tutti con pietanza .ché senza - natura! dimostramento
dissermi: Fatto se' di tal servente non ho talento - di voler provare
che mai non déi sperare altro che morte 52 • là dove posa, e chi lo fa creare ...

Io vo come colui ch'è fuor di vita ... La sua vuoi essere insomma una trattazione, completa in
che sé conduca sol per maestria, tutte le sue parti, intorno all'essenza della passione amorosa,
e porti ne lo core una ferita , alle cause di essa e ai suoi effetti, fondata su principii della
che sia, com'egli è morto, aperto segno 53.
scienza naturale dell'anima. Come l'Aristotele del Berni, anche il
nostro rimatore «non imbarca altrui senza biscotto », non pro-
Ma che cosa è, per il poeta fiorentino, quest'amore che «di
cede per impressioni, ma con metodo filosofico.
vertù lo spoglia » e « fa la sua virtù 'n vizio cadere » 54, que-
L'amore siede in quella parte dell'anima dove, secondo ·la
st'amore la cui violenza l'uccide, sì da maledire il punto in che
dottrina aristotelica, sta la memoria, e dove insieme a questa
nacque in lui? Guido Orlandi, a cui il continuo lamentar del
stanno l'immaginativa e l'estimativa; cioè nell'anima sensitiva, di
Cavalcanti dava sospetto 55 , gli pose formalmente il problema
cui son potenze i sensi esterni e quelli interni, non che l'appe-
sulla natura dell'amore, sminuzzandolo in tante domande che
tito sensibile che risiede nel cuore. Come un corpo diafano è
sono in gran parte quelle a cui avevano risposto Andrea Cappel-
reso luminoso dalla luce, così l'amore è formato d'un'oscurità
lano e i· rimatori di cui abbiamo parlato, tranne una che doveva
cagionata in noi da una maligna influenza di Matte. Esso non
riguardare direttamente lui, il Cavalcanti: « È vita questo amore
è un dio immortale, ma è una qualità generata, ed ha nome di
cosa sensibile; è passione dell'anima e appetito del cuore.
49 Ibid., XV, l.
so Ibid., IX, 1-8.
51 Ibid., XXIX, 31-34.
52 Ibid., Il, 9-14. 56 Ibid., p. 42.
53 Ibid., XVI, 9-14 (cfr. Rime di G. Guinizelli, X, 8; XIII, 12-14). 57 De vulg. el., Il, xn, 3, 8.
54 Ibid., XXIX, 9-10, 18-20.
58 Cecco d'Ascoli, L'Acerba, ridotta a miglior lezione e per la prima
55 Vedasi la tenzone tra l'uno e l'altro in G. Cavalcanti, Rime, a cura volta interpretata ... da A. Crespi, Ascoli Piceno 1927, III, l, vv. 1938 sgg.
59 Si veda in proposito il saggio successivo.
di E. Cecchi, Lanciano 1913, pp. 50-52.
30 Dante e la cultura medievale I. Filosofia dell'amore nei rimatori italiani del Duecento e in Dante 31 :j
l
'Fin da questa prima battuta, la dottrina dell'amore professata Non è vertute, ma da quella vène j
,.
dal Cavalcanti ci si rivela intimamente connessa colla definizione ch'è perfezione, che si pone tale, :;!'·
j,
del Cappellano, e fortemente colorita di pessimismo. Questo non razionale - ma che sente, dico.
« accidente che sovente è fero », non da una benigna influenza
r
\1
di Venere procede, come pensano Dante 60 e Cecco d'Ascoli 6\ L'anima sensitiva, dunque, e non quella intellettiva, è perfe- il
ma anzi da un maligno influsso di Marte, quando questo pianeta zione e forma del corpo umano, come insegnavano gli averroisti, t:
Ìi
si trova nella « casa» di Venere, in congiunzione colla costella- e dall'anima sensitiva, e non da quella intellettiva, scaturisce
zione del Toro o della Libbra, come insegnava 'Ali ibn Ric;lwan l'amore. Questo chiarisce anche meglio quello che il poeta aveva ~
<l
:;,
nel commento al Quadripartito di Tolomeo 62 , ovvero nel suo detto prima, che cioè nell'intelletto possibile non v'è «pesan-
« aspetto sestile o trino » in rapporto a Venere, come ricono- za » di passione, né diletto amoroso, poiché l'intelletto è in sé
sce anche Cecco d'Ascoli nel commento ad Alcabizio 63 • Questo una sostanza separata, eterna e incorruttibile, come appunto inse-
maligno influsso suscita nell'anima sensitiva la passione amorosa gnava Averroè.
che in sé è un oscuramento della ragione, quando acquista tale Da · questa teoria ·schiettamente averroistica che concepisce
intensità da andare « oltra misura di natura ». l'amore come passione dell'appetito sensibile, la quale ottenebra
Siffatta passione non sorge però in· noi, se prima unà forma la ragione, deriva una morale che spiega il pessimismo di cui è
bella non s'imprime nei nostri occhi e da questi nella nostra fan- soffusa tutta la lirica del Cavalcanti. Questa passione fuorvia il
tasia. Dalla fantasia l'immagine sensibile della bellezza, quando giudizio della ragione, perché l'intento perseguito tien iuogo
sia resa astratta da ogni materialità, è accolta nell'intelletto pos- del raziocinio, e quello che s'è fatto amico del vizio non discerne
sibile, ove si fissa come pura idea spirituale. Ma in questa parte più chiaramente il bene dal male. L'Orlandi aveva chiesto se
dell'anima, cioè nell'intelletto possibile, non v'è gravezza di pas- « è vita questo amore o vero è morte ». E il Cavalcanti risponde
sione, poiché l'intelletto non trae origine dalle qualità dei corpi che, pur non essendo morte per se stesso, tuttavia « di sua
misti, come l'anima sensitiva, ma è una sostanza separata da potenza segue spesso morte », qualora ne sia fortemente ostaco-
materia sémpre in atto e incorruttibile. Dell'intelletto possibile lata la virtù che nell'uomo è vita. E ciò non perché l'amore sia
non è proprio il piacere suscitato dalla passione amorosa, ma per se stesso contrario a natura, ché anzi nasce, come aveva
soltanto la speculazione del vero: «non ha diletto, - ma con- detto Andrea Cappellano, da un istinto naturale; ma perché non
sideranza »; si che ad esso non può pervenire niente che somigli si può dire che abbia vita l'uomo che, dominato dalla passione
alla torbida passione dell'amore. amorosa, si torce da « buon perfetto ». Ora il « buon perfetto », il
64
L'amore pertanto 'non è una potenza o facoltà dell'anima, ma 'tÉ.À.ELOV &:yaMv, secondo la dottrina morale d'Aristotele , con-
è una qualità, un accidente che scaturisce da quella potenza o siste, per l'uomo, nel vivere secondo ragione, anzi nella più alta
parte dell'anima che è perfezione e forma del corpo. Questa po- delle virtù dianoetiche che s'attua nella vita contemplativa, ossia
tenza o parte dell'anima è quella sensitiva: in quella che il nostro rimatore chiama « consideranza ». Perciò
dice Dante 65 che «vivere ne li animali è sentire - animali,
dico, bruti - , vivere ne l'uomo è ragione usare. Dunque, se
60 Con-v., II, v, 13-14; vm, 4-5; Purg., I, 19; Par., VIII, 1-12; IX,
'l vivere è l'essere [dei viventi e vivere ne l'uomo è ragione
95-96; Rime, C, 4. usare, ragione usare è· l'essere] de l'uomo, e cosi da quello uso
61 L'Acerba, III, l.
partire è partire da essere, e cosi è essere morto. E non si parte
62 Citato da Dino del Garbo, Scriptum super cantilena Guidonis de Ca-
valcantibus, ms. nella Bibl. Vaticana, fondo Chigiano, L. V. 176, fol. 29 vb. da l'uso del ragionare chi non ragiona lo fine de la sua vita? ».
Cfr. Ptolomaei Liber quadripartiti... cum commento Haly Heben Rodan,
Venetiis, per Bonetum Locatellum, 1493, tr. III, c. 13.
63
G. Boffito, Il commento di Cecco d'Ascoli all'Alcabizzo, Firenze, 64 Eth. Nicom., I, c. 5, 1097 b 8-21; c. 6, 1098 a 7-17; X; c. 7, 1178 a 5-7.
Olschki, 1905, pp. 33-35. 65 Conv., IV, vn, 11-12.
32 Dante e la cultura medievale
ll I. Filosofia dell'amore nei rimatori italiani del Duecento e in Dante 33

Nel fine della vita consiste appunto per Aristotele il 't'ÉÀEL0\1


àycdl"6'V, il « buon perfetto », l'EùOCX.LIJ.O'Virx., la felicità e la per-
fezione della vita umana. «Potrebbe alcuno dicere: Come? è
l gentili, come insegnava il Guinizelli, d'accordo con quanto era
stato affermato dal Cappellano 70 • Quand'essa si desta nell'animo,
costringe l'innamorato a sospirare e a mirare in luogo a lui inter-
morto e va? Rispondo che è morto [uomo] e rimaso bestia » 66 •
detto, « in un fermato loco », sl che gli ostacoli frapposti tra la
In conformità di questo concetto aristotelico, l'uomo che, tratto donna amata e il desiderio svegliano in lui la virtù irascibile, la
dall'impeto della passione amorosa, si torce da buon perfetto,
quale, secondo la psicologia medievale, anela alla vittoria su ciò
muore come uomo, perché, agitato dagli istinti, perde quella che è arduo, e consiste in un « ribollimento del sangue e del
signoria su di sé, che forma l'ideale della vita perfetta, del
calore intorno al cuore » 71 • Ma per quanto egli arda dal desi-
't'ÉÀELoc; ~ioc;, secondo Aristotelè 67 •
derio, la passione gl'impedisce di muoversi per arrivare all'oggetto
Ma poiché l'amore non è « oppost'a naturale», ché anzi è che l'attira, e di darsi dattorno per conquistarlo; come colta da
una passione innata, come insegna il Cappellano; e poiché la
stupore, la sua mente non dà prova né di grande né di piccol
virtù è una mediocritas consistente in quel giusto mezzo che si sapere che gli soccorra.
mantien lontano dagli estremi ugualmente viziosi, ne viene, se- Il tormento e l'affanno han tregua soltanto quando l'inna-
condo Aristotele 68 , che la virtù della temperanza o crwcpgocru\11]
morato ottiene mercede. Da simil complessione nell'amante e
stia in mezzo tra la dissolutezza di chi non sa astenersi da alcun
nell'amato, cioè da somiglianza di sentimenti da una parte e
piacere, e l'insensibilità rusticana che da tutti rifugge. Argomen-
dall'altra, l'amore trae sguardi d'intesa, che danno ai due inna-
tando in tal modo, taluni combattevano la castità perpetua, come
morati la certezza e la gioia della mutua corrispondenza. Quando
quella che, essendo contraria alla natura, costringe l'uomo ad una
l'amore è cosl congiunto, in un nodo che lega fra loro due cuori,
lotta incessante coll'istinto 69 • In questo senso, anche il Caval-
non può più restar nascosto e si rivela apertamente. Ma le beltà
canti ammonisce che chi dimentica di dar soddisfazione al natu-
selvagge, le quali non corrispondono con dolci sguardi alla pas-
rale bisogno d'amare, finisce ugualmente col perdere quella sta-
sione ·dell'innamorato che invano chiede pietà, non ne feriscono
bile signoria su di sé che è propria della virtù della temperanza.
il cuore sino a far « parere lo piacere certo »; ché il sentimento
Sottratta al controllo della ragione, la passione amorosa, in
che prova l'amante dinanzi a una beltà selvaggia è piuttosto
quanto tale, consiste in un desiderio smodato:
quello della paura. Solo l'amore corrisposto, dunque, dà gioia;
l'amore non corrisposto è doloroso.
L'esser è quando lo voler è tanto
ch'altra misura di natura torna, · L'Orlandi aveva domandato ancora, se l'amore ha figura, se
« ha per sé forma o pur somiglia altrui »; e il Cavalcanti aveva
promesso di provare « s'orno per veder lo po' mostrare». L'amore
sl che colui che n'è preso, non ha più pace. La passione ora
non ha figura, afferma egli ora, di guisa che si possa conoscere
lo fa · impallidire ora arrossire, ora Io costringe al riso ora al
per mezzo della vista; anzi tutto, perché chi n'è preso, è acce-
pianto, ora Io sbigottisce. Come tutti i sentimenti troppo intensi,
non ha lunga durata. Inoltre siffatta passione, come quella che è 70 De amore, I, XI, p. 235: « Dicimus enim vix contingere posse, quod
suscitata da forte immaginazione, non nasce in chi ha scarsa sen- agricolae in amoris inveniantur curia militare, sed naturaliter sicut equus
sibilità, come per lo più sono i villani, ma piuttosto nei cuori et mulus ad veneris opera promoventur, quemadmodum impetus eis naturae
demonstrat. Suflicit ergo agricultori labor assiduus et vomeris ligonisque
continua sine intermissione solatia. Sed, etsi quandoque, licet raro, contingat,
Conv., IV, vn, 14-15; II, VII, 4; III, II, 18.
66 eos ultra sui naturam amoris aculeo concitari, ipsos tamen in amoris doctrina
Eth. Nicom., I, c. 6, 1098 a 18.
67 non expedit erudire ».
Eth. Nicom., II, c. 2, 1104 a 22-26.
68 71 Arist., De anima, I, I, 403 a 30-31 (t. c. 16). Avicenna, De anima,
69 Cfr. S. Tommaso, Contra gent., III, 137; Eth. Nicom., II, lez. 2; IV, 4: «Ex ira habetur intentio voluntatis ad victoriam ». Giovanni della
Summa theol., Il" II••, q. 152. Rochelle, Summa de anima, ed. Domenjchelli cit., II, 30: « Vis ... irascibilis
est appetitiva boni ardui expedientis »; cfr. ibid., II, 31. ·
34 Dante e la cultura medievale I. Filosofia dell'amore nei rimatori italiani del Duecento e. in Dante 35

cato e cade in esso col color della morte nel volto, per l'affluire e dicemi isperanza: sta a la dura,
del sangue al cuore, come dice Dante 72 ; inoltre, perché la forma non ti cessar per reo sembiante dato,
com'è l'anima, per chi bene intende, non si vede; dunque tanto ché molto amaro frutto si matura
e diven dolce per lungo aspettato 77 •
meno se ne vede una qualità com'è l'amore, il quale appunto
è una qualità o accidente che procede dalla forma dell'uomo che
è l'anima sensitiva. Privo di colore che lo renda visibile agli E con questa speranza in cuore, che il frutto amaro maturando
occhi, esso è « diviso da essere », cioè non ha una propria esi- diventi dolce, sopporta la battaglia dei sospiri e attende, quando
stenza diversa da quella dell'anima in cui risiede 73 • « Assiso in che sia, d'esser « guigliardonato grandemente ».
Per il Cavalcanti, invece, l'aspetto più doloroso del dramma
mezzo oscuro», poiché risiede nella parte irrazionale dell'anima,
l'amore cancella, cioè spegne, la luce dell'intelletto, consistendo, non è dato tanto da questa lotta fra l'ardore del desiderio e il
come abbiamo visto, in una tenebra della carne. non ottener mercede, quanto dalla convinzione che, anche otte-
nuta mercede e soddisfatto il desiderio, l'amore poco soggiorna,
Non di meno, per quanto esso sia una passione tormentosa,
chi n'ha fatto esperienza può attestare con verità, che, senza per cominciare una nuova battaglia; l'amore è insomma per lui
averne provato gli affanni, non è possibile ottenere la ricompensa un bisogno irrequieto e tormentoso della carne, una tenebra dei
che è concessa all'amore corrisposto. sensi, che tende ad allontanare l'uomo dal bene perfetto consi-
Certo anche nel Guinizelli non mancano accenti dolorosi; stente nella vita secondo ragione.
anch'egli porta « morte scritta ne la faccia » 7\ anch'egli, colpito Da questo sentire l'amore come tragica minaccia di morte,
dallo sguardo della sua donna come da folgore deriva forse nel Cavalcanti il bisogno di schivare le liete brigate,
quel suo appartarsi in una sdegnosa solitudine per raccogliersi
che fèr per la finestra de la torre nella meditazione di quei veri che al suo spirito rivelavano Ari-
e ciò che dentro trova spezza e fende 75, stotele e Averroè. Sì che il ritratto che di lui ci tramandarono
i contemporanei e coloro che dai contemporanei n'ebbero diretta
dice di sentirsi simile ad una statua inanimata, che d'uomo ha notizia, mi sembra più veritiero che non quello che taluni moderni
solo la figura 76 • Se non che la sua disavventura consiste unica- ne hanno disegnato, traendo lineamenti e colorito da un'inter-
mente nel destino avverso di amare « for misura » una donna pretazione del tutto cervellotica dei suoi canti.
dalla quale non si sente riamato. Ma intanto la speranza alimenta Un riflesso di pessimismo cavalcantiano ispira anche la can-
in lui la resistenza al destino: zone di Lapo Gianni «Amor, nova ed antica vanitate », pur
riconoscendo ch'essa esprime più il risentimento personale del
n Rime, CIII, 45-47: poeta per le sofferenze inflittegli dall'amore, che non un vero
e '1 sangue, ch'è per le vene disperso, concetto filosofico sulla vanità della passione amorosa; di guisa
fuggendo corre verso che l'invettiva contro il crudele dio non manca di patetici accenti
73
lo cor, che 'l chiama; ond'io rimango bianco. umoristici. Nuova ed antica vanità, l'amore ingombra col suo
Poiché secondo il detto ricavato da Aristotele, Metaph., VII, c. l,
1028 a 13-20 (t. c. 2), XII, c. l, 1069 a 20-24 (t. c. 2-3), l'essere si dice pro- potere la mente umana e rende, chi n'è preso, ignudo di senno,
78
priamente della sostanza in quanto può sussistere in sé e per sé; le qualità sì che si trova « diviso di savere e di bene in poco giorno » .
o accidenti non sono esseri ma proprietà dell'essere. S. Tommaso, Metaph., «Mendico del più degno senso», cioè della vista, « orbo nel
XII, lez. 1: « Ens dicitur quasi esse habens; hoc autem solum est substantia,
quae subsistit. Accidentia autem dicuntur entia, non quia sunt, sed quia mondo nato eternalmente », corrompe l'uomo coi diletti carnali
magis ipsis aliquid est:· sicut albedo dicitur esse quia eius subiectum est e spegne nella sua vista « il vero lume », sl che l'uomo è costretto
album. Ideo dicit (Aristoteles) quod non dicuntur simpliciter entia, sed
entis entia, sicut qualitas et motus ».
74 Rime di G. Guinizelli, X, 14. Ibid., XII, 5-8.
77
1s Ibid., XIII, 10-11. Rime di Lapo Gianni (nello stesso volume di Rimatori del dolce stil
78
76 Ibid., XIII, 12-14. novo a cura di L. Di Benedetto), XII, 7-9.
36 Dante e la cultura medievale I. Filosofia dell'amore nei rimatori italiam d_el Duecento e in Dante 37

ad andar palpando in mezzo alle tenebre. 79• Anche per Lapo, come sità, durata e qualità. Ma la pretesa di dedurli dalle rime è per lo
per il Cavalcanti, l'amore è un oscuramento della ragione, una meno imprudente, poiché la poesia si rende immagine del mondo
tenebra dei sensi, ha l'instabilità della passione, « sorvizia » il interiore del poeta e dei sentimenti che l'agitano, ma non ci
debole cuore «e l'alma forsennata e l'altre membra» 80, ed è obbliga a pensare àd altra realtà da quella che la s'ua fantasia
«principio naturato ... d'ogni reo » 81 • Parlate ora, se vi riesce, costruisce. È per questo che. nessun tribunale oserebbe prendere
d'influsso platonico, o magari di misticismo! un!l composizione poetica per una testimonianza in base alla quale
Ma più di siffatti sfoghi amari contro il ·tormento della pas- pronunziare· una condanna. . ·
sione amorosa, le meditazioni del Cavalcanti sollevavano un Ora- a me pare che la lirica giovanile di D~nte si raccolga
serio problema filosofico e morale che obbligava· ad un appro- essenzialmente, apche se per avventura~ non esclusivamente, in- ·
fondimento della dottrina dell'amore. A questo approfondimento torno all'amore poetico p.er Beatrice. Niente d'inverosimile che
ha contribuito, più d'ogni altro, Dante. alcune .rime· del tempo della Vita nuova o posteriori a:d essa
siano ispirate da altre donne, se Dante stesso ammetteva che
amore « ben puÒ con nuovi spron punger 'lo fianco » e che
7. Fase guinizelliana nello sviluppo del pensiero di Dante, e invano gli s~ spreme contro ragione o virtù per tenérlo a freno 84 ;
superamento di essa. La morte di Beatrice. ma è . pur vero ·che, tra i fantasmi costruiti dall'immag1naziÒne
del giovane poeta, quello di Beàtrice occupa il posto centrale e
A diciotto anni Dante non aveva fatto ancora studi filoso- me_gliq d'ogni altro riflette in sé l'immagine. spirituale del suo
fici, ai quali si dedicò dopo il suò venticinqu~simo anno d'età, creatore.
se dobbiamo credere alla sua stessa testimonianza 82, ma· aveva Credo sarebbe l'ora di CQminciare a non occuparsi più degli
già veduto per se medesimo l'arte del dire per rima 83 • E il primo scrit~i che insistono sul significato simbolico della Beatrice delle
verso di quella ch'egli ci presenta come la sua prima composi- rime giovanili. 85 : Beatrice è donna reale, di realtà,. si capisce,
zione poetica « A ciascun'alma presa e gentil core >>,·fatta cono- poetica. Essa, cioè, è nata dalla fantasia del po~ta, il quaie l'ha
scere a «tutti li fedeli d'Amore», ce lo rivela già esperto del foggiata come donna ·vera, che· incarnasse quei sentimenti e quel-
loro linguaggio e addentro alla loro tecnica. Fra coloro che l'ideale di bellezza che a lui piacevano, ·sia o non sia vero quel
risposero al sonetto del giovane poeta fu quegli che Pante che il Boccaccio narra della figlia:· di Folco. Portinari. "Quando
chiama primo dei suoi amici, Guido Cavalcanti, il. quale, se 'non Dante cominciò a poetare intorno a Beatrice, era ancora digiuno
v'era già, doveva di li a un anno entrare a far parte del Consi- di studi' filosofici né s'agitavano nel suo animo i' gravi ·problemi
glio generale della città, e, com'era maggiore negli anni, età ormai che l'occuperanno più tardi. Il suo primo problema fu quello
maturo nell'arte del dire per rima. La consuetudine col Caval- di comprenderè il prepotente sentimento che ·s'era ~vegliato nel
canti e con Lapo, egli pure già consigliere del comune fiorentino, suo cuore, osservandone in se stesso i movimenti; fu il problema.
e la lettura delle rime del Guinizelli, debbono averlo reso attento dell'amore, che, come sappiamo, era stato largamente discu'sso dai
osservatore dei moti dell'amore, via via che questo sentimento rimatori di cui abbiamo fatto cenno. ·
si svegliava nel suo animo di precoce adolescente.
Quali e quanti sono gli amori giovanili di Dante? .Certa- 84 Rime, CXI, «Io sono stato con amore insieme».
mente è possibile che siano più d'uno e diversi trà loro per inten- 85 Una brillante smontatura del castello di carte allegorico,- costruito
dal Mandonnet, ha fatto É. Gilson, Dante et la philosophie, Parigi, ]. Vrin,
79 Ibid., XII, 26-37.
1939, ·cap. I. Ben ·scarsa conoscenza dei problemi e della letteratura dan-
tesca dimostra F. Orestano :che ha favorevolmente ·riesaminato La Beatrice
so Ibid., XII, 43-48. svelata di F. Perez, in Studi su Dante (Conferenze .e letture dantesche tenute
8t Ibid., XII, 62-63.
82 Conv., II, xn, 1-7.
a cura del Comitato milanese della Società dantesca italiana), IV, Milano,
83 Vita nuova, III, 9.
Hoepli, 1939, pp. 1-35. Cfr. B. Nardi, Nel mondo di Dante, Roma, Edizioni
di « Storia e Letteratura», 1944, pp. 354-356.
38 Dante e la cultura medievale I. Filosofia dell'amore nei rimatori italiani del Duecento e in Dante 39

Tra le rime dubbie, v'è il sonetto «Molti volendo dir che gentilezza o nobiltà umana, di cui son frutto i bei costumi da
fosse Amore » 86 , che riprende in esame la questione già posta nobiltà inseparabili 88 • La «natura amorosa» che produce insieme
dal Mostacd, e alcune soluzioni di essa: nobiltà ed amore, è l'accordo delle buone qualità che concorrono
alla generazione umana, e delle benigne influenze celesti, special-.
Ben fu alcun che disse ch'era ardore mente del cielo di Venere 89 , le quali cose dispongono l'anima a ,.ft
di mente imaginato per pensiero; ricevere il dono divino. Amore è il signore della nobiltà~, e la ~'

ed alcun disse ch'era desidero


sua dimora è il cuore nobile. Il cuor gentile è quindi per sua
di voler nato per piacer del core.
natura sempre apparecchiato ad amare. Ciò non vuoL dire. che
in esso l'amore sia sempre in atto; v'è sempre in potenza, cioè il:
Abbiamo già trovato queste teorie in Iacopo da Lentini e in
allo stato latente, come se dormisse. Per passare all'atto, ha
altri che lo imitarono. L'autore del sonetto torna ad affermare,
bisogno d'esser risvegliato dalla vista della beltà femminea:
come già avevano fatto altri e come fa pure Dante incidental-
mente nella Vita nuova, che amore «non è sustanza, né cosa
Bieltate appare in saggia donna pui,
corpora! ch'abbia figura», ma piuttosto una passione del desi- che piace a gli occhi sl, che dentro al core
derio che sopravanza ogni altro voler del cuore, e dura finché nasce un disio de la cosa piacente 91 • ,,
~~

dura il piacere: l!
Né basta a svegliare amore un'impressione fugace, momentanea; l•
Anzi è passi9ne in disianza; occorre che il desiderio acceso nel cuore duri e persista. Non Il
piacer di forma dato per natura,
sl che 'l voler del core ogni altro avanza:
basta insomma la puntura superficiale di una spina, bisogna che
lo « stecco d'amore » 92 trafigga le carni e penetri in profondità,
l
e questo basta fin che 'l piacer dura.
sì da produrre una piaga incurabile.
Niente dunque di nuovo, che non fosse già stato detto da altri, Sebbene ancora digiuno di studi filosofici, il pensiero del gio-
e sopratutto niente di tipicamente dantesco che ci obblighi ad vane poeta era destato alla filosofia dall'accettazione della teoria
attribuire il sonetto a Dante. guinizelliana che affermava l'inseparabilità del sentimento amo-
Il quale, per soddisfare alla cortese preghiera d'un amico roso e della nobiltà o gentilezza, poiché la filosofia non è solo
che l'aveva richiesto che è Amore, rispose col sonetto «Amore e nei libri dei filosofi, ma dovunque la riflessione s'imbatte in un
'l cor gentil sono una cosa » '01, ove si rifà alla dottrina esposta problema di pensiero. E sulla dottrina del Guinizelli, Dante me-
nella· canzone del saggio Guinizelli ch'egli cita. L'amore è una ditò a lungo, finché non ritenne d'averne data, nel quarto trattato
del Convivio, la dimostrazione in termini rigorosamente filoso-
cosa sola col cuor gentile, e l'uno è insep;rabile dall'altro, come
l'anima razionale è inseparabile dalla ragione. L'uno e l'altro fici, come s'usava nelle scuole.
nascono dalla buona disposizione naturale; frutto alla sua volta Intanto, mentre il suo pensiero lavorava ad approfondire la
della buona complessione del seme, della buona disposizione nel dottrina guinizelliana, il suo sentimento poetico l'accettava come
seminante, nell'atto della generazione, e dell'ottima disposizione norma morale delle sue creazioni. Se la donna del Guinizelli
del cielo; giacché «de l'umano seme e di queste vertudi più « tenea d'angel sembianza», sì che al poeta bolognese non pareva
pura [e men pura] anima si produce». Nell'« anima ben posta», di far peccato in amarla, Beatrice appariva cosa miracolosa,
scende da Dio quel « seme di felicità » nel quale consiste la
88 Conv., IV, xx, 6-10; XXI, 7.
89 · Conv., Il, v, 13-14.
86 Rime di dubbia attribuzione (Le opere di Dante, Testo critico della ~ Vita nuova, XII, 4; cfr. Rime, XC, 40-48.
Società dantesca italiana, Firenze 1921), XXIX. 91 Vita nuova, XX, 5.
87 Vita nuova, XX, 3-5.
92 Rime, CXIII, 4; cfr. più oltre, pp. 66-7.

----- r
40 Dante e la cultura medievale I. Filosofia dell'amore nei rimatori italiani del Duecento e in Dante 41

« venuta da cielo in terra a miracol mostrare » 93 • Solo un breve ch'avete », colla quale, per confessione dello stesso poeta, che
tocco aereo, evanescente, rivela in lei la donna mortale: un tenue prendeva a trattare « matera nuova e più nobile che la passa-
« color di perle » nel volto, qual si conviene alla bellezza mulie- ta» 101 , hanno principio le « nove rime» 102 •
bre, « non for misura » 94 ; indi il nobile ·incedere senza alteri- Con questa canzone Dante acquistava coscienza della sogget-
gia 95 , e il fulgore degli occhi, dai quali escono spiriti d'amore tività della sua creazione. Il delizioso racconto del cap. XVIII
a ferire chi la mira e a destare amore nèi cuori gentili 96 • Più della Vita nuova palesa, nella sua ingenuità, quale è ormai il
tardi Dante ricorderà la prima apparizione di lei, quando la vide fine perseguito dalla sua nuova arte: « Lo fine del mio amore
« vestita di nobilissimo colore, umile e onesto, sanguigno, cinta fue già lo saluto di questa donna,... e in quello dimorava la
e ornata a la guisa che a la sua giovanissima etade si conve- beatitudine, ché era fine di tutti li miei desiderii. Ma poi che
nia », e quando .fanciulla diciottenne gli apparve « vestita di le piacque di negarlo a me, lo mio segnore Amore, la sua mer-
colore bianchissimo, in nìezzo a due gentili donne » e volgendo zede, ha posto tutta la mia beatitudine in quello che non mi
gli occhi da quella parte ov'egli era molto pauroso, lo « salutoe puote venire meno », cioè «in quelle parole che lodano la mia
molto virtuosamente », si che al poeta « parve allora vedere tutti donna». Ed egli ragiona di lei «per isfogar la mente» 103 • Que-
li termini de la beatitudine » 97 • sta è appunto la beatitudine che nessuno può togliergli, perché
Non v'è ragione di negar fede a quanto narra l'autore della la possiede tutta intera entro di sé: vagheggiare la luminosa crea-
Vita nuova, sull'origine dell'acceso sentimento amoroso che do- tura della sua immaginazione e dare libero sfogo all'onda del
veva risvegliare in lui il più nobile ardore e purificarlo da ogni canto che freme nel suo petto. L'amore suo, qualunque ne sia
bassezza. S'è detto che il fantasma di Beatrice è troppo evane- stato lo stimolo e l'occasione, non è ormai più tempestosa pas-
scente, per darci l'immagine della donna vera; ed è sembrato sione e parossismo di sensi, ma estasi contemplativa di una
che Francesca, nella sua irruenta passione, abbia contorni più pura forma balzata innanzi all'occhio della fantasia dalle miste-
precisi e sopratutto un'anima che manca a Beatrice. Ma la vera riose profondità dell'anima.
immagine di questa, più che nel ritratto diretto, va osservata Anzi discesa di cielo in terra, si che· il cielo n'è privo e la
riflessa nei sentimenti che suscita nell'animo del suo poeta. richiede a gran voce a Dio. Soltanto la Pietà intercede per lui
Questi sentimenti sono dapprima quelli che ritroviamo negli che l'ama sulla terra: - Lasciate che goda della sua beatitudine
altri stilnovisti, ed hanno quella « varietate » cui s'accenna nel il misero che teme già di perderla e che, quando l'avrà perduta,
sonetto « Tutti li miei penser parlan d'amore » 98 : la meraviglia, si sentirà dannato. Ma anche nella sua dannazione, egli gioirà
l'infiammato desiderio, la speranza, la paura, lo sbigottimento, del ricordo e potrà dire ai suoi compagni di sventura, privi come
i quali s'accordan tra loro solo « in cherer pietate ». Anche i due lui di beatitudine: Io l'ho pur vista quella che i beati sperano
sonetti « Ciò che m'incontra » 99 e « Spesse fiate vegnonmi a la di godere eternamente per sé 104 •
100
mente» non solo non ci dicono nulla di nuovo, ma anzi tra- Venuta dal cielo e destinata a tornarvi, la bellezza muliebre
discono una leggera influenza della maniera del Cavalcanti e di sveglia amore nei cuori gentili e coll'amore ogni più nobile virtù:
Lapo. Sicché il primo componimento poetico, nel quale Dante
rivela la sua inconfondibile personalità, è la canzone « Donne, Quando va per via,
gitta nei cor villani Amore un gelo
93 Vita nuova, XXVI, 6. per che onne lor pensero agghiaccia e père
94 I bid., XIX, 11.
95 Ibid., XXVI, 2, 6. 1o1 Ibid., XVII, l.
96 Ibid, XIX, 12; XXVI, 7. 1o2Purg., XXIV, 50-51.
97 Ibid., II, 3; III, l. 103Vita nuova, XVIII, 4.
98 Ibid., XIII, 8-9. 104 lbid., XIX, 8. Inferno è qualunque luogo ove siano dannati. E dan-
99 Ibid., XV, 4-6. nati son quelli che hanno perduto, senza speranza, la loro beatitudipe. La
1oo Ibid., XVI, 7-10. vita sulla terra senza la beatitudine è inferno.
;

42 Dante e· la cultura medievale I. Filosofia dell'amore nei rimatori italiani del Duecento e in Dante 43

e qual soffrisse di starla a vedere, e già ne vede la bell'anima portata dagli angeli in cielo, e il
diverria nobil cosa, o si morria 105. corpo, che ·pietose donne copron d'un velo, giacere senza vita.
Di li a poco il presentimento si muta in angosciosa certezza:
È il concetto del Guinizelli nel sonetto « I' vo' del ver la mia
donna laudare » 106 : Ita n'è Beatrice in l'alto cielo,
nel reame ove li Angeli hanno. pace,
Passa per via adorna e si gentile e sta con loro, e voi, donne, ha lassate 112 •
ch'abbassa orgoglio a cui dona salute,
e fa 'l di nostra fé, se non la crede, Non la mancanza del calor vitale, non l'ardore della febbre
e non si può appressar orno ch'è vile; l'ha rapita, ma un benigno volere di Dio l'ha tolta alla terra,
ancor vi dico ch'ha maggior vertute:
null'om pò mal pensar fin che la vede.
perché vedea ch'esta vita noiosa
non era degna di si gentil cosa 113 •
Se la donna del Guinizelli ha virtù di convertire alla fede cri-
stiana un infedele, Beatrice dà al suo poeta la certezza della I canti della lode si smorzano sulle labbra del poeta, che, preso
salvezza eterna:
dal desiderio di morire, dà sfogo all'angoscia e nel suo smarri-
mento chiede alla donna beata la grazia di raggiungerla.
Ancor l'ha Dio, per maggior grazia, dato
La morte è una cosa seria, e dinanzi ad essa ogni sentimento
che non pò mal finir chi l'ha parlato 107.
frivolo scompare. Se tutto finisce colla morte, la vita appare al
credente una beffa crudele. Soltanto la fede nell'immortalità, la
Ma appunto perché di tanta nobiltà, appunto perché « venuta fede che il meglio di noi sopravviva alla dissoluzione della mate-
da cielo in terra a miracol mostrare », Beatrice non è fatta per ria, dà ai suoi occhi un pregio alla vita e accende nel suo cuore
rimanere a lungo sulla terra, e il cielo la reclama per sé. Cosi una dolce speranza che la ragione si rifiuta di credere vana. A
si fa strada. nell'animo del poeta il pensiero della morte della questo argomento sarà dedicata una digressione nel secondo trat-
donna amata, sconosciuto al Guinizelli, al Cavalcanti, a Lapo e a tato del Convivio, ove, ragionando dell'immortalità dell'anima,
Cino;· e mentre i più delicati e melodiosi versi sgorgano dal suo par bello a Dante di terminare di parlare di « quella viva Beatrice
cuore coi sonetti « Ne li occhi porta là mia donna Amore » 108, beata » 114, « che vive in cielo con li angeli e in terra con la »
«Tanto gentile e tanto onesta pare» 109 , «Vede perfettamente sua « anima » llS. Il problema dell'immortalità dell'anima si con-
onne salute » 110 , questo pensiero è divenuto ormai in lui un nette cosi, nella mente di Dante, colla fede che lo splendore degli
doloroso presentimento. Nel suo vano immaginare, una voce occhi della donna amata non s'è spento per sempre, ma anzi,
fioca risuona al suo orecchio: liberata dal peso di sua mortalità, essa è divenuta
Morta è la donna tua, ch'era si 'bella! 11 1;
spirital bellezza grande
che per lo cielo spande
105 Ibid., XIX, 9. luce· d'amor, che li angeli saluta 116.
106 Rime di G. Guinizelli, XV, 9-14.
107 Vita nuova, XIX, 10. 112 Ibid., XXXI, 10.
108 Ibid., XXI, 2-4. 113
109 Ibid., XXVI, 5-7. Ibid.
114 Conv., II, VIII, 7.
11o Ibid., XXVI, 10-13. 11 5 Ibid., II, II, l.
llt Ibid., XXIII, 24. 116 Vita nuova, XXXIII, 8.
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44 Dante e la cultura medievale I. Filosofia dell'amore nei rimatori italiani del Duecento e in Dante 45

Il pensiero che ella non è morta, ma vive di una vita più vera, amico è ascesa al concilio degli dei. Sicché l'attristarsene è piut-
la speranza di poterla rivedere, l'invocarla colla certezza d'essere tosto segno d'invidia che d'amicizia 118 •
udito da lei, dà conforto all'animo dolente e fa sì che l'amore Nell'opera di Boezio poi Dante leggeva come nelle menti
trionfi della morte. degli uomini è insito un naturale desiderio di felicità, che nessun
Col salire di Beatrice « di carne a spirito », anche l'amore bene di questa vita riesce ad appagare 119 , e come perfino negli
del suo poeta s'affina, tendendo a spogliarsi da ogni scoria sen- animali sia un vago sentimento, a mo' di sogno, del principio
suale e a librarsi nelle eteree regioni della luce. Una nuova espe- da cui provengono e al quale confusamente aspirano come a fine
rienza alimenterà ormai la sua arte, e nuovi e più fulgidi oriz- ultimo della loro vita 120 • Boezio gli apriva gli occhi intorno all'ori-
zonti gli s'apriranno dinanzi. Dalla morte di Beatrice nasceranno gine della vera nobiltà 121 , e l'ammoniva che la bellezza del corpo
il platonismo e il misticismo di Dante. è rapida e fugace e svanisce al pari di quella dei fiori in pri-
mavera 122 •
Siffatti argomenti meritavano d'essere approfonditi; e per
8. L'amore platonico del vero nella lirica allegorico-dottrinale. farlo, egli si dedicò allo studio della filosofia, recandosi « là .
La vera nobiltà. dov'ella si dimostrava veracemente, cioè ne le scuole de li reli-
giosi e a le disputazioni de li filosofanti; sì che in picciol tempo,
«Alquanto tempo» dopo la perdita della donna amata, poi- forse di trenta mesi », egli cominciò « tanto a sentire de la sua
ché né il suo né l'altrui consolare valeva a confortarlo, Dante dolcezza, che lo suo amore cacciava e distruggeva ogni altro
prese a leggere il De consolatione philosophiae di Boezio, e il pensiero » 123 •
De amicitia di Cicerone, per cercarvi qualche sollievo 117 • Poiché Trenta mesi, anche senza contare il tempo trascorso fra il
Beatrice morì 1'8 giugno 1290, Dante aveva compiuto verosimil- principio di essi e il giorno della morte di Beatrice, ci portano.
mente il suo venticinquesimo anno d'età e varcato il limite ch'egli alla fine del 1292, quando Dante era nel suo ventottesimo anno
pone all'adolescenza. A questa età egli trovava duro entrare nella e da oltre due anni aveva varcato la soglia della gioventù.
sentenza dei due autori presi a leggere, ma pure si sforzò di Ma se si deve tener conto anche dell'altra indicazione dello stesso
capirli quanto l'arte di grammatica ch'egli aveva e il suo naturale Convivio, e di cui sarà detto fra poco, intorno al tempo in cui
ingegno gli consentivano. Lelio, nel dialog() di Cicerone, gl'inse- la donna gentile « parve primamente » ai suoi occhi, questa data
gnava che l'anima non perisce col corpo e che la morte non tutto va accresciuta di circa otto mesi, quanti verosimilmente ne tra-
distrugge; ché anzi ègli, confortato dall'autorità degli antichi, da- scorsero fra la morte di Beatrice e il giorno in cui tolse a leggere
.gli ammaestramenti dei filosofi e dalla saggezza degli oracoli, l'opera di Boezio e il dialogo di Cicerone. A ventott'anni com-
riteneva le anime nostre d'origine divina e destinate, dopo la piuti, dunque, Dante s'accorse che un nuovo e gagliardo amore
dissoluzione del corpo, a ritornare al cielo. Forte di questa sua era ormai nato nel suo animo e che esso l'occupava talmente da
fede, egli pensava che la morte non avesse spezzato i legami sopraffare perfino il pensiero di Beatrice. Che cosa può signifi-
d'affetto che in vita lo avevano unito a Scipione. Del qual parere care questo, se non che la filosofia gli aveva dischiuso un nuovo
era stato lo stesso Scipione Africano il minore, che, presso a mondo che l'attirava a sé, e che egli, lasciando da parte le rime
morire, aveva disputato coi suoi amici per tre giorni intorno alla della sua adolescenza, volgeva ormai la sua arte a cantare la
repubblica, e la disputa aveva éhiuso trattando dell'immortalità
nell'anima e confermando il suo dire con quel che in sogno
gli era parso avergli rivelato Scipione Africano il maggiore. Sciolta 118 Cicerone, Laelius de amzcztza, IV, 13-14.
119 Boezio, De cons. philos., III, prosa 2.
dalla prigione del corpo, - diceva Lelio, - l'anima del mio 120 Ibid., III, prosa 3.
121 Ibid., III, prosa 6 e metro 6.
117 Conv., II, XII, 2. 122 Ibid., III, prosa 8.
123 Conv., II, xn, 7.
l
l
46 Dante e la cultura medievale I. Filosofia dell'amore nei rimatori italiani del Duecento e in Dante 47
l
della morta amica torna a risplendere al pentito poeta 130 , che 1
nuova passione accesa nel suo animo per la bellezza del vero?
Allora si comprende perché, nel tempo stesso che intonava per lei ascende alla .gloria dell'Empireo, « oltre la spera che più
larga gira », sospinto da una « intelligenza nova » accesa in lui
l'
la canzone «Voi che, 'ntendendo, il terzo ciel movete », con cui l
iniziava il ciclo delle rime allegoriche e dottrinali, sentisse il biso- dall'amore 131 • La fine della Vita nuova, quale noi la leggiamo,
gno di raccogliere il meglio delle sue liriche precedenti nel libretto è dunque assai diversa da quel che era quando Dante attendeva
della Vita nuova; con la quale espressione Dante volle indicare al Convivio 132 • A spiegare la contradizione, non basta il dire
sicuramente l'adolescenza che ha termine a venticinque anni, ed che s'ha dinanzi una semplice dissonanza fra due momenti di-
è fervida e passionata 124 come i canti sgorgati dal suo animo versi nello sviluppo della coscienza dantesca 133 • Qui non si tratta
in questa età conclusa dal dolore per la morte di Beatrice. di valutazioni diverse di taluni avvenimenti in momenti diversi;
Un'autocitazione che Dante fa della Vita nuow nel secondo
trattato del Convivio, ci attesta che l'amoroso libello al quale Bo Ibid., XXXIX, 2-5.
egli si riferisce, aveva una fine un po' diversa da quella che noi 131 Ibid., XLI, 10.
vi troviamo. Narra dunque Dante nel Convivio 125 , riferendosi a 132 Sulle contradizioni tra quello che s'afferma nel Convivio e ciò che
si legge nella Vita nuova, si veda L. Pietrobono, Il poema sacro, Bologna,
ben tre anni, due mesi e alcuni giorni dopo la morte di Beatrice Zanichelli, 1915, vol. I, pp. 90-109; nonché Il rifacimento della «Vita Nuo-
(quindi all'agosto del 1293, quando egli aveva ormai ventott'anni va» e le due fasi del pensiero· dantesco, in Il Giornale dantesco, XXXV,
suonati, ed era entrato nel suo ventinovesimo! ): N. S. V (Annuario dantesco 1932), 1934, pp. 1-82.
133 M. Barbi, Ra:donalismo e misticismo in Dante, in Studi danteschi,
XVII, 1933, pp. 13-18; Introduzione a Il Convivio ridotto a miglior lezione
Quella gentile donna, cui feci menzione ne la fine de la Vita e commentato da G. Busnelli e G. Vandelli. Vol. I, Firenze, Le Monnier,
Nuova, parve primamente, accompagnata d'Amore, a li occhi miei 1934, pp. XXIV-XXXIX. Il Barbi non nega l'esistenza delle contradizioni ri-
levate dal Pietrobono e da altri, ma cerca di spiegarle per mezzo d'« aggiu-
e prese luogo alcuno ne la mia mente. E sl come è ragionato per stamenti nella sua vita interiore» (Introduzione, p. XXVIII) che Dante poté i
me ne lo allegato libello, più da sua gentilezza che da mia elezione fare, scrivendo il Convivio, nel «desiderio di rivendicare il suo buon nome»; l
venne ch'io ad essere suo consentisse; ché passionata di tanta mise- sl che non pare strano al Barbi che Dante, «per fare apparire tutta l'opera l
l
ricordia si dimostrava sopra la mia vedovata vita, che li spiriti de sua di scrittore più armonica e più varia, fosse indotto a considerare come i
allegoriche anche rime che in origine e nella loro apparenza esteriore erano
li occhi miei a lei si fero massimamente amici. E cosl fatti, dentro
[me] poi fero tale, che lo mio beneplacito fu contento a disposarsi
puramente d'amore, e a identificare la prima deviazione da Beatrice con la ili
seconda, e la donna pietosa della Vita nuova con la filosofia» (p. XXXIII).
a quella imagine. Ché per il Barbi bisogna distinguere due serie di rime corrispondenti a due
nuovi amori diversi da quello per Beatrice: l'una comincerebbe col sonetto
della Vita nuova, XXXV, «Videro li occhi miei quanta pietate », e in essa
Ora nella Vita nuova, quale è giunta a noi, le cose stanno si cantav·a l'amore per la donna pietosa, che sarebbe donna veta, com'è
ben diversamente da qÙel che Dante narra in questo luogo del narrato nel libretto giovanile; l'altra, in cui si canta la filosofia, è quella che
Convivio. lvi l'amore per la donna gentile è presentato invece effettivamente cominciava colla canzone «Voi che 'ntendendo il terzo ciel
movete», com'è attestato dal sonetto «Parole mie» ·(Rime, LXXXIV). In
come « avversario de la ragione » 126 , un « desiderio a cui sl vil- questo duplice nuovo amore consisterebbe quella che per il Barbi è la
mente » il suo cuore « s'avea lasciato possedere alquanti die duplice infedeltà o duplice deviazione da Beatrice, che nel Convivio Dante
contra la costanzia de la ragione » 127 , un « desiderio malvagio » si studierebbe di ridurre ad una sola, all'amore della filosofia, per liberarsi
dalla taccia di « levezza d'animo» (Conv., III; r, 11).
discacciato e distrutto, una «vana tentazione» 128 , una « tribu- Tutto questo procederebbe spedito ad una sola condizione: che Dante
lazione » 129 • E fugata l'immagine della pietosa tentatrice, il volto stesso, mentre rinvia alla Vita nuova, avesse dimenticato quello che nel-
l'allegato libello era scritto, se vi si leggeva quel che vi si legge oggi, o che
sperasse l'avessero dimenticato i suoi lettori! Su questo argomento, si veda
124 Ibid., I, I, 16·17. il primo saggio nel mio volume Nel mondo di Dante, contro il quale hanno
125 Ibid., II, II, 1-2. fatto alcune osservazioni Siro A. Chimenz, in Orientamenti culturali, II,
126 Vita nuova, XXXIX, l. · fase. l del gennaio 1946, e A. Pézard, Avatars de la «Donna gentile», in
127 Ibid., XXXIX, 2. Buletin de la Soc. d'études dantesques du Centre Univers: Méditerranéen,
12s Ibid., XXXIX, 2, 6. I, n. l, 1949, pp. 7 sgg., che per altro non mi sembrano risolvere le con-
129 Ibid., XL, l. tradizioni riconosciute anche dal Barbi.
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48 Dante e la cultura medievale I. Filosofia dell'amore nei rimatori italiani del Duecento e in Dante 49

si tratta invece di una citazione che Dante stesso fa di una sua Dionigi 138 , una « virtus unitiva », ossia, come parafrasa Dante,
opera, cioè della testimonianza d'un fatto. Secondo questa testi- « unimento spirituale de l'anima e de la cosa amata » 139 ; e deriva
monianza degnissima di fede, la Vita nuova, nella sua prima da quella « mentibus hominum veri boni naturaliter inserta cupidi-
stesura, dopo aver narrato la morte di Beatrice e il dolore del tas », di cui parlava Boezio 140 , dal naturale desiderio di quel vero
poeta, doveva narrare come una donna gentile fosse primamente bene « quod taro diversis studiis homines petunt », che perfino
apparsa agli occhi di lui e avesse preso luogo alcuno nella sua gli animali terrestri, « tenui licet imagine », intravedono confusa-
mente, come il poeta ad esser suo consentisse, senza offesa alla mente com~ in sogno, e al quale tendono come a lor principio e
memoria di Beatrice, e come lo suo beneplacito fosse contento loro fine.« Omnis mortalium cura», dice ancora Boezio 141 , « quam
« a disposarsi a quella imagine » della pietosa consolatrice. multiplicium studiorum labor exercet, diverso quidem calle pro-
E poiché questa donna gentile, secondo l'esplicita afferma- cedit, sed ad unum tamen beatitudinis finem nititur pervenire ...
134
zione del Convivio , è una donna allegorica, ne segue che essa sed ad falsa devius error abducit ». Di qui l'idea del pellegrino
era l'unica allegoria della Vita nuova, messa in fine dell'amoroso che Dante sviluppa in questo bel passo del Convivio 142, ove tutti
libello per preparare il lettore ad accogliere il nuovo genere di gli amori e tutti i desideri umani son ricondotti alla loro vera
poesia al quale Dante volgeva ormai il suo animo 135 • ed unica radice:
Nel Convivio l'amore per Beatrice non è negato, ché anzi
Dante espressamente dichiara che non intende « in parte alcuna Lo sommo desiderio di ciascuna cosa, e prima da la natura dato,
derogare » alla Vita nuova 136 ; ma piuttosto è lasciato in disparte, è lo ritornare a lo suo principio. E però che Dio è principio de le
perché il nuovo si faccia grande e divenga perfetto. nostre anime e fattore di quelle simili a sé,... essa anima massima-
mente desidera di tornare a quello. E sl come peregrino che va per
Questo nuovo amore, « appresso lo primo amore » per Bea-
una via per la quale mai non fue, che ogni casa che da lungi vede
trice, è dunque amore per « la bellissima e onestissima figlia de
crede che sia l'albergo, e non trovando ciò essere, dirizza la credenza
lo imperadore de lo universo, a la quale Pittagora pose nome a l'altra, e cosl di casa in casa, tanto che a l'albergo viene; cosl
137
Filosofia» • E dopo la canzone del contrasto fra i due am9ri, l'anima nostra, incontanente che nel nuovo e mai non fatto cammino
il nuovo, ormai vittorioso sul primo, scioglie alla donna che l'ha di questa vita entra, dirizza li occhi al termine del suo sommo
suscitato l'inno della lode con la canzone «Amor che ne la mente bene, e però, qualunque cosa vede che paia in sé avere alcuno bene,
mi ragiona », che Dante commenta nel terzo trattato del Convivio. crede che sia esso. E. perché la sua conoscenza prima è imperfetta,
Qui l'amore non è più il solito «disio che ven dal core» per non essere esperta né dottrinata, piccioli beni le paiono grandi,
e non è cagionato dalla piacenza sensibile che entra per gli e però da quelli comincia prima a desiderare. Onde vedemo li parvuli
occhi, ma è, come l'aveva definito col beato Ieroteo lo pseudo desiderare massimamente un pomo; e poi, più procedendo, deside-
rare uno augellino; e poi, più oltre, desiderare bel vestimento; e
poi lo cavallo; e poi una donna; e poi ricchezza non grande, e poi
134 II, xv, 12, III, xr, l. Se la testimonianza del Convivio (II, XII, grande, e poi più. E questo incontra perché in nulla di queste cose
1-8) è ritenuta dal Barbi (Introduzione, p. XXIV) «netta e precisa» a dimo- truova quella che va cercando, e credela trovare più oltre ... Vera-
strare quando comincia in Dante l'amore per la filosofia, perché non do- mente cosl questo cammino si perde per errore come le strade de la
vrebbe essere altrettanto « netta e precisa » la testimonianza dello stesso terra. Che sl come d'una cittade a un'altra di necessitade è una ottima
Convivio, quando vi si legge che la donna pietosa della Vita nuova altro
non era che la filosofia? e dirittissima ~ia, .e un'altra che sempre se ne dilunga (cioè quella
135 L'episodio col quale si concludeva la Vita nuova rientrava, come
Dante ci fa sapere (Conv., II, n, 2-3), nel dramma della «battaglia» fra
il nuovo amore e quello per Beatrice che teneva ancora la rocca della sua 138 De divinis nominibus, IV,ᤤ 12, 15, 17 (testo premesso alle lezz. 9
mente, ossia, com'io penso, fra la nuova poesia filosofica e la lirica stilnovi- e 12 del commento tomistico).
stica. Intorno all'allegoria della donna gentile, si veda il secondo saggio del 139 Conv., III, n, 3.
mio volume Nel mondo di Dante. 140 De cons. philos., III, prose 2 e 3.
136 Conv., I, I, 16. 141 Ibid., prosa 2.
137 Conv., II, xv, 12. 142 IV, XII, 14-19.
50 Dante e la cultura medievale I. Filosofia dell'amore nei rimatori italiani del Duecento e in Dante 51

che va ne l'altra parte), e molte altre quale meno allungandosi e · lissima di queste che sotto lo cielo sono generate, più riceve de la
quale meno appressandosi, così ne la vita umana sono diversi cam- natura divina che alcun'altra ... ; e però che 'l suo essere dipende da
mini, de li quali uno è veracissimo e un altro è fallacissimo, e certi Dio e per quello si conserva, naturalmente disia e vuole essere a Dio
meno fallaci e cerd meno veraci. E sì come vedemo che quello unita per lo suo essere fortificare 145.
che dirittissimo vae a la cittade, e compie lo desiderio e dà posa
dopo la fatica, e quello che va in contrario mai nol compie e mai
Che è quello che Dante leggeva anche nel De divinis nomi-
posa dare non può, così ne la nostra vita avviene: lo buono cammi-
natore giugne a termine e a posa; lo erroneo mai non l'aggiugne, ma nibus dello pseudo Dionigi, un altro autore il quale godé nella
con molta fatica del suo animo sempre con li occhi gulosi si mira Scolastica d'autorità pari a quella delle Sacre Scritture, e tanto
innanzi. contribul ad avvicinare il pensiero cristiano a quello di Platino:

Da queste considerazioni sgorgheranno più tardi i ·versi del Sicut noster sol... per ipsum esse illuminat omnia, participare
Purgatorio 143 : lumine ipsius secundum propriam rationem valentia, ita quidem et
Bonum, super solem sicut super obscuram imaginem segregate arche-
Esce di mano a lui che la vagheggia typum, per ipsam essentiam omnibus existentibus proportionaliter
prima che sia, a guisa di fanciulla immittit totius bonitatis radios ... 146.
che piangendo e ridendo pargoleggia, Et sic omnia ad seipsam Bonitas convertit, et princeps congre-
l'anima semplicetta che sa nulla, gatrix est dispersorum, sicut principalis et vivifica deitas, et omnia
salvo che, mossa da lieto fattore, ipsam ut principium, ut continentiam, ut finem d~siderant. Et Bonum
volentier torna a ·lui che la trastulla. est, ut Eloquia dicunt, ex quo omnia subsistunt et sunt, sicut ex
Di picciol bene in pria sente sapore; causa perfecta deducta, et in quo omnia consistunt sicut in omnipo-
quivi s'inganna, e dietro ad esso corre, tenti plantatione custodita et contenta, et ad quod omnia conver-
se guida o fren non torce suo amore. tuntur, quemadmodum ad proprium singula finem: et quod deside-
rant omnia intellectualia quidem et rationalia cognitive, sensibilia
Di questa naturalità del moto dell'anima umana verso il bene, autem sensibiliter, expertia vero sensus naturali motu vivifici desi-
derii, carentia autem vita et tantum existentia aptitudine ad solam
che anche Aristotele aveva affermato ma non dimostrato, la
substantiae participationem. Secundum eamdem manifestae iinaginis
ragione è tratta dal libro De causis, che è un estratto della Ele- rationem et lumen congregat et convertit ad seipsum omnia videntia,
mentatio theologica di Proclo, e che fu nella Scolastica uno dei quae moventur, quae illuminantur, quae calefiunt, quae totaliter a
più importanti tramiti d'influenza del neoplatonismo: fulgoribus eius continentur ... 147.
Et omnia quaecumque sunt et fiunt, propter Pulchrum et Bonum
Ciascuna forma sostanziale procede da la sua prima cagione, la sunt et fiunt, et ad ipsum omnia inspiciunt, et ab ipso moventur et
quaie è Iddio, sì come nel libro Di cagioni 144 è scritto... Onde, continentur ... Omnibus igitur est Pulchrum et Bonum desiderabile
con ciò sia cosa che ciascuno effetto ritegna de la natura de la sua et amabile et diligibile; et propter ipsum et ipsius gratia... omnia
cagione,... ciascuna forma ha essere de la divina natura in alcun Pulchrum et Bonum desiderantia faciunt et volunt omnia quaecumque
modo: non che la divina natura sia divisa e comunicata in quelle, faciunt et volunt 143.
ma da quelle è participata, per lo modo quasi che la natura del sole
è participata ne l'altre stelle. E quanto la forma è più nobile, tanto
Secondo questa dottrina neoplatonica, che la lettura di Boe-
più di questa natura tiene; onde l'anima umana, che è forma nobi-
zio e dello pseudo Dionigi divulgarono tra gli scolastici! l'amore

143 XVI, 85-93.


144
Per questa citazione del Liber de causis, cfr. B. Nardi, Saggi di filo- 145 ·conv., III, n, 4-7.
sofia dantesca, Milano-Genova-Roma, Soc. Editr. Dante Alighieri, 1930, 146 De divinis nominibus, c. IV, § l (lez. l del commento tomistico).
pp. 117-119 [2' ed. Firenze, La Nuova Italia, 1967, pp. 106-109]. 147 Ibid., § 4 (lez. 3).
148 Ibid., § 10 (lezz. 8-9).
52 Dante e ·la cultura medievale I. Filosofia dell'amore nei rimatori italiani del Duecento e in Dante 53

di cui Dante aveva cantato nella sua adolescenza, come avevano ritorna anche nella prima stanza della canzone « Le dolci rime
fatto gli altri rimatori, non è tutto l'amore, ma solo una· specie d'amor ch'i' solìa » 153 ; e nel commento a questa canzone, ci fa
o, se vogliamo, una particolare rivelazione di quell'amor<:! che sapere come effettivamente questa donna « un poco li suoi dolci
davvero « è palpito dell'universo intero », e in ciascuna cosa parti- sembianti » gli « transmutasse... massimamente in quelle parti
colare si palesa per mezzo di una sua particolare tendenza, sl dove » egli « mirava e cercava se la prima materia de li elementi
che può dirsi che ogni essere abbia un « suo speziale amore »: i era da Dio intesa, - per la qual cosa un poco dal frequentare
corpi semplici « a lo luogo proprio » o « locus naturalis »; i lo suo aspetto » si astenne, volgendosi a trattare della vera nobiltà
corpi composti « a Jo luogo dove la loro generazione. è ordinata, contro l'opinione del volgo 154 •
e in quello crescono e acquistano vigore e potenza »; le piante Il problema della nobiltà era stato posto da Andrea Cappel-
a certi luoghi, secondo ·che la loro complessione richiede; gli lano, là dove insegna che tutte le persone non minorate di mente
animali al diletto sensibile; gli uomini, in quanto tali, ~<hanno o non impedite da altro difetto, possono « amoris pertingi acu-
loro proprio amore a le perfette e oneste cose». E poiché l'uomo leis » 155 • All'esistenza del vero amore non si richiede la nobiltà
è una sola sostanza che compendia in sé le ·proprietà e le virtù del sangue, ma basta la probità dei costumi, « quae vera facit
di tutti gli esseri inferiori ad esso, « tutti questi amori puote hominem nobilitate beati et rutilanti forma pollere. Naro quum
avere e tutti li ha·». Ma per la sua natura umana «o, meglio omnes homines uno sumus ab initio stipite derivati unamque
dicendo, angelica, cioè razionale, ha l'uomo amore a la veritade secundum naturam originem traximus omnes, non forma, non
e a la vertude » 149 • corporis cultus, non etiam opulentia rerum, sed sola fuit morum
Questo amore appunto destò nella mente di Dante lo studio probitas, quae primitus nobilitate distinxit homines ac generis
della filosofia, della quale è simbolo la donna gentile. Il che egli induxit differentiam. Sed plures quidem sunt, qui ab ipsis primis
tiene a dichiarare per escludere ogni falsa opinione, « per la quale nobilibus sementivam trahentes originem in aliam partem dege-
fosse sospicato lo » suo « amore essere per sensibile dilettazione », nerando declinant. Et si convertas non est propositio falsa» 156 •
quale sarebbe stato l'amore per una donna reale e non allego- L'amore, passando sopra a tutte le distinzioni e i pregiudizi sociali,
150
rica • Col nuovo amore per la bellezza del vero, si affermava può esistere anche fra nobili e plebei, se questi e quelli risplen-
in lui la virile coscienza di un tendere dello spirito umano oltre dono di quella vera nobiltà che trae origine dalla virtù.
le caduche immagini del senso, verso l'eterno e l'assoluto; ma Anche Boezio, nel terzo libro del De consolatione philoso-
nello stesso tempo era, se non disconosciuta, certo svalutata, phiae, dopo aver detto che la nobiltà della schiatta è un nome
almeno nel concetto, l'arte delle rime dell'adolescenza, dalle quali vano, perché fondato sulla gloria altrui e non nostra, aveva
si dipartiva. Svalutata non definitivamente, come vedremo, ma cantato 157 :
in quel preciso momento in cui il suo animo era tutto preso
dalla meditazione sui problemi filosofici .. Omne hominum genus in terris
Più d'uno di questi problemi dev'essergli parso di difficile simili surgit ab ortu ...
soluzione, se Dante stesso, nella ballatetta «Voi che savete ragio- Mortales igitur cunctos
151
nar d'Amore» , alla quale accenna nella canzone «Amor che edit nobile germen.
ne la mente mi ragiona», èi confida che questa donna gli si Quid genus et proavos strepitis?
mostrò « fera· e disdegnosa >> 152 • Sugli « atti disdegnosi e· Jeri » Si primordia vestra
auctoremque Deum spectes,
della sua donna, che gli chiudean « la via de l'usato parlare »,
153 Conv., IV, «Le dolci rime», 5-8.
149 Conv., III, III, 2-11. 154 Ibid., IV, I, 8-9.
ISO Ibid., III, III, 12. 155 Andrea Cappellano, De amore, I, v, p. 11.
151 Rime, LXXX. , 156 Ibid., I, VI, pp. 17-18.
152 Conv., III, «Amor che nella mente», 73 sgg.; cc. IX-X e xv, 19. 157 III, metro 6.
54 Dante e la cultura medievale I. Filosofia dell'amore nei rimatori italiani del Duecento e in Dante 55

nullus degener extat, « nobile germen » che, secondo Boezio, è messo negli uomini dal
ni vitiis peiora fovens, padre di tutte le cose, un dono divino che è ricevuto in maggiore
proprium deserat ortum. o minore abbondanza secondo che l'anima è apparecchiata a
riceverlo. Il che conduce Dante a ricercare che cosa rende così
Col Guinizelli, come abbiamo visto, Dante aveva affermato dissimili tra loro le anime umane nel carattere, nell'ingegno e
l'inseparabilità dell'amore dalla gentilezza, ed Amore era per lui nelle tendenze, e sì diversamente disposte a ricevere il dono
il « segnare della nobiltà». Ma il problema doveva diventare di Dio.
scottante per lui, proprio negli anni nei quali s'era immerso È questo il problema dell'individualità umana, tanto forte-

l negli studì filosofici, per i nuovi ordinamenti di giustizia che in mente sentita da Dante 165 • A risolvere il qual problema egli tende q
'
l
Firenze escludevano dalle cariche comunali i nobili che non si colla sua particolare dottrina sull'origine dell'anima.
fossero fatti popolo, iscrivendosi ad un'arte. Forti dei loro privi- È verosimile che la quotidiana consuetudine col. Cavalcanti li
legi feudali consacrati da diplomi imperiali, i nobili fiorentini dove- abbia fornito a Dante occasione di discutere coll'amico averroista n
l vano verosimilmente menar vanto della definizione della nobiltà
che s'attribuiva a Federico II di Svevia, il quale aveva detto
intorno al problema dell'individualità, come intorno a quello,
dibattutissimo nelle scuole di filosofia e di teologia, dell'origine
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l. ch'essa è « antica ricchezza e belli costumi» 158 • In realtà questa dell'anima umana. Certo è che due volte Dante ha trattato del-
definizione è d'Aristotele, che nel quarto della Politica 159 aveva

l·.,
l'origine dell'anima, e due volte ha esposto una stessa dottrina,
riposto la nobiltà nella virtù e nell'antica ricchezza, come più intermedia tra la tesi averroistica e quella tomistica. Per Aver-
tardi Dante stesso riconoscerà nella Monarchia 160 ; ma l'averla roè, forma e perfezione del corpo umano è solo l'anima sensi-
i attribuita ad un uomo che alla maestà imperiale univa il credito tiva, la quale discende dalle qualità degli elementi uniti nella
..'·t.· :_t~ . di « laico e clerico grande » 161 , doveva, nel vanto dei nobili di compagine del corpo; l'intelletto è separato in sé dall'anima sen-
fronte al popolo, accrescerne il valore quasi di massima indiscu- sitiva, e s'unisce ad essa solo nell'atto dell'intendere, poiché
: tibile. l'idea è astratta dall'immagine sensibile. Per Tommaso, i'intel-
i Pur col rispetto dovuto alla dignità imperiale, di cui Dante letto è una facoltà dell'anima umana che tutta intera è forma
~-
riconosce il fondamento naturale nella « necessità de la umana
1 civilitade » 162 , egli afferma l'incompetenza dell'imperatore a deci-
del corpo e tutta intera entra nell'uomo dal di fuori, in quanto
è creata da Dio al termine del processo embrionale. Per Dante,
' ~ dere di quistioni filosofiche 163 , e fa della definizione attribuita a invece, l'anima vegetativo-sensitiva discende da qualità, cioè da
l
Federico un'acuta critica, dalla quale si sarebbe forse astenuto, una virtù attiva proveniente dal cuor del generante, la quale si
se si fosse accorto che, in sostanza, essa apparteneva ad Aristo- sviluppa sotto. l'influenza del cielo e, quando « l'articular del
tele, e l'avesse presa pel suo verso. La critica di questa defini- cerebro è perfetto », riceve da Dio, motore del cielo, l'intelletto
zione della nobiltà lo riconduce ad affermare il concetto, già possibile, che « potenzialmente in sé adduce tutte le forme univer-
espresso da Boezio, che tutto quanto il genere umano ha una sali ». Di questo principio vegetativo-sensitivo generato col corpo
comune origine e che « mortales ... cunctos edit nobile germen », e dell'intelletto creato da Dio « fassi un'alma sola », che vive,
e a definire alla sua volta la nobiltà come « seme di felicitade sente e pensa. Così l'umano e il divino si uniscono in un connu-
messo da Dio ne l'anima ben posta» 164 • Nobiltà è dunque quel bio indissolubile e intimo, per formare quella che si dice l'anima
umana, sensitiva e intellettiva insieme, la quale è tutt'intera forma
158 Conv., IV, III, 6. Cfr. ibid., IV, xx, 5. del corpo 165 •
159 IV, c. 8, 1294 a 21.
160 II, III, 4.
165 Cfr. B. Nardi, I bambini nella candida rosa dei beati, nel vol. Nel
161 Conv., IV, x, 6.
162 Ibid., IV, IV, l. mondo di Dante, pp. 317-334.
165 Cfr. B. Nardi, L'origine dell'anima umana secondo Dante, in Giorn.
163 Ibid., IV, VIII, 11- IX, 16.
164 Ibid., IV, xx, 9-10. crit. della filos. ital., XII, 1931, pp. 433-456; XIII, 1932, pp. 45-56, 81-102;
56 Dante e la cultura medievale I. Filosofia dell'amore nei rimatori italiani del Duecento e in Dante 57
E poiché alla produzione dell'anima concorrono, insieme al- platonica, come platonica era altresì la sua nuova dottrina del-
l'azione divina, varie cause naturali, come la complessione del l'amore. E così amore e gentilezza restavano indissolubilmente
seme e la disposizione del seminante, le quali possono essere legati tra loro come nella teoria del Guinizelli, ma in un senso
migliori e men buone, e altresì la disposizione del cielo, che per più alto.
il variare delle costellazioni può essere buona, migliore e ottima,
ne segue che
9. L'errore del « Convivio» e il ritorno di Beatrice.
de l'umano seme e di queste vertudi più pura [e men pura] anima
si produce; e, secondo la sua puritade, discende in essa la vertude
intellettuale possibile che detta è, e come detto è. E s'elli avviene Nel sonetto «Parole mie che per lo mondo siete», che vor-
che, per la puritade de l'anima ricevente, la intellettuale vertude rebbe essere il congedo che Dante prendeva dalle rime allego-
sia bene astratta e assoluta da ogni ombra corporea, la divina rico-dottrinali alle quali aveva posto mano colla canzone « Voi
bontade in lei multiplica, si come in cosa sufficiente a ricevere quella, che 'ntendendo il terzo ciel movete», il poeta esorta le sue
e quindi si multiplica ne l'anima questa intelligenza, secondo che parole a non stare più in compagnia di quella donna gentile in
ricevere puote. E questo è quel « seme di felicitade », del quale cui errò, poiché con lei «non v'è Amore» 168 • Mettiamo pure che
al presente si parla. E ciò è concordevole a la sentenza di Tullio l'espressione « quella donna in cui errai » abbia il significato
in quello De Senectute, che, parlando in persona di Catone, dice: generico di un vaneggiamento amoroso; mettiamo anche che l'al-
« Imperciò celestiale anima discese in noi, de l'altissimo abitaculo tra espressione « con lei... non v'è Amore » voglia alludere
venuta in loco lo quale a la divina natura e a la etternitade è con-
all'essersi dimostrata la filosofia « disdegnosa e fera », come nella
trario». E in questa cotale anima è la vertude sua propria, e la
ballata «Voi che savete ragionar d'Amore»; c'è però il fatto ji
intellettuale, e ·la divina, cioè quella influenza che detta è: però
è scritto nel libro de le Cagioni: «Ogni anima nobile ha tre opera-
zioni, cioè animale, intellettuale e divina». E sono alcuni di tale
dell'interruzione del Convivio al quarto trattato, mentre dell'opera
era stato steso il piano e la divisione in quindici trattati, fino r·.j
~~
oppinione che dicono, se tutte le precedenti vertudi s'accordassero a permettere all'autore citazioni anticipate.
sovra la produzione d'un'anima ne la loro ottima disposizione, che Ora se mettiamo in relazione questo congedo coll'interruzione ~-
n1\{
tanto discenderebbe in quella de la deitade, che quasi sarebbe un del Convivio, al quale attendeva nel 1306, quand'era ancora in '~
altro Iddio incarnato 167 • vita Gherardo da Camino, morto nel marzo di quell'anno, parrebbe 'il
:ì~
che Dante non fosse del tutto· soddisfatto né del genere di poesia ~~ '~:
Da questa divina semenza gettata da Dio nell'anima nasce nel quale s'era cacciato colle rime allegoriche, né dell'opera intra-
e germoglia la virtù, per mezzo della quale l'uomo raggiunge il presa col commento filosofico di esse. E a ripensarci bene, il
fine della vita, nel cui conseguimento consiste la sua perfezione nuovo genere di poesia e la stessa opera prosaica contengono un
e la sua ultima beatitudine. In tal modo, la nobiltà di cui parla- duplice errore.
vano il Cappellano e il Guinizelli, veniva approfondita da Dante, Anzi tutto un errore artistico. La filosofia non diventa poesia,
che ne faceva una dottrina filosofica d'ispirazione schiettamente se il concetto pensato razionalmente non riesce a scaldare la
fantasia e a trame immagini sensibili, viventi di vita autonoma,
La dottrina d'Alberto Magno sull'« inchoatio formae », in Rendiconti della tali cioè che esprimano in sé la commozione dell'animo dell'arti-
classe di scienze morali storiche e filosofiche della R. Accademia dei Lincei, sta e la stessa commozione riescano a suscitare negli altri. Ora
Serie VI, vol. XII, fase. 1-2, 1936, p. 31 sgg.; La posizione di Alberto Ma-
gno di fronte all'averroismo, irì Rivista di storia della filosofia, II, 1947, pp. la donna gentile delle canzoni allegoriche è un puro simbolo
213-214 [questi saggi sono ora raccolti nel vol. Studi di filosofia medieval~, astratto, cerebrale, costruito colla ragione sillogizzante, non colla
Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1960]. Vedasi anche, più avanti,
il saggio VIII in questo volume. fantasia fremente di passione. Sebbene essa rida, il suo riso, lungi
167 Conv., IV, xxr, 4-10. Cfr. B. Nardi, Saggi di filosofia dantesca, p. 78
[2• ed. cit., p. 67].
168 Rime, LXXXIV, 7-9.
58 [)ante e la cultura medievale I. Filosofia dell'amore nei rimatori italiani del Duecento e in Dante 59

dall'essere quella « corruscazione de la dilettazione de l'anima » 169 nasconde un'altra, che sono le cose celate alla mente umana,
che Dante vorrebbe, è freddo e non vale il divino sorriso degli oggetto di fede e non di ragione 176 ; e verso la fine. del trattato,
occhi di Beatrice. In fondo in fondo, c'è più poesia in certi mira- torna a ripeterei che essa era nel divino pensiero « quando lo
bili squarci della prosa del Convivio, ove tu avverti un ragionare mondo fece; onde seguita che ella lo facesse»; sl che egli può
concitato e il prorompere della passione, che non nelle canzoni applicare alla donna gentile quello che nel libro de' Proverbi
tolte a commentare. Se di questo errore artistico Dante non si si legge in persona della Sapienza: « Quando Iddio apparecchiava
rese conto criticamente, come può fare tin moderno· che abbia li cieli, io era presente » ecc. Anzi torna a identificarla col Logo
meditato sulla vera natura della poesia, certç> dovette avvertirlo giovanneo, affermando che, poi che fatti fummo, per noi diriz-
col fine intuito che è proprio dei poeti della sua specie. zare, in nostra similitudine venne a noi, cioè si fece carne nella
Non meno evidente è l'errore filosofico. La filosofia di cui persona di Cristo m.
è simbolo la donna gentile, è massimamente in Dio, e quindi La Sapienza, insomma, ossia la Verità, trascende la mente
per modo minore e secondariamente nelle altre intelligenze: nelle umana; nell'uomo c'è soltanto il riverbero della luce divina: che
intelligenze separate da materia, « per continuo sguardare »; nel- accende in noi il debole lume della ragione. Ma la ragione umana
l'intelligenza umana, unita al corpo, « per riguardare disconti- nori ha in sé la misura del vero. Senza un mistico contatto della
nuato » 170 • Siffatta filosofia è la Sapienza, « quam maxime De~s mente creata colla luce eterna, senza quell'unimento spirituale
habet », come dice Aristotele nella Metafisica 171 , e in sé consi- dell'anima con Dio che è il primo e fondamentale amore dello
derata non è « humana possessio ». Perciò Dante la chiama spirito umano, questo resterebbe cerchiato dalle sue tenebre. Ora
« sposa de lo Imperadore del cielo », anzi « non solamente sposa, questa non è affatto una posizione razionalistica, ma anzi misti-
ma suora e figlia dilettissima » 172, e scorge in essa la Sapienza cismo della più autentica marca platonica e agostiniana, al quale
eterna dei libri Salomonici ·e il Logo giovanneo 173 • ·La sapienza non riuscl a sottrarsi neppure Aristotele, tanto meno poteva
umana non è altro che una partecipazione della Sapienza eterna, osarlo san Tommaso 178 •
un dono divino, uno splendore della luce di Dio riflessa dalla Trascendente la mente umana, la Sapienza è partecipata da
mente dell'uomo. Allo stesso modo, il filosofo e martire cristiano questa per una « più che umana operazione » 179 • La capacità
Giustino affermava che i sapienti antichi avevano intravisto la di pensare e di elevarsi alla conoscenza del vero è, nell'uomo,
verità intorno a molte cose, sebbene in modo confuso, per la un continuo miracolo, cioè un avvenimento che sorpassa le fòrze
particella a ognun d'essi congenita della Ragione o Logo divino, della natura e abbisogna, per essere spiegato, del diretto inter-
e che il Cristo, primogenito di Dio, altro non è se non « quella vento divino. Per quanto miracolosa in se stessa, la potenza
Ragione o Logo di cui tutto il genere umano è partecipe» 174 • della ragione umana avverte il proprio limite, e pensa che la
Non fa quindi meraviglia se Dante, dopo aver promesso che, a verità che le si svela è solo un tenue raggio di una luce che il
partire dal tredicesimo capitolo del terzo trattato del Convivio, suo occhio non riesce a percepire, simile in questo all'occhio del
egli avrebbe seguitato a trattare della filosofia umana 175 , dimen- pipistrello, il quale non può sopportare la luce solare 1ro.
tico di questa promessa, ci fa sapere che questa donna, mentre Da siffatta ptemessa antirazionalistica e perfettamente mistica,
da un lato ci dimostra e ci lascia vedere una sua faccia, ce ne la conclusione che Dante avrebbe potuto e dovuto trarre a fil di
logica, era questa: la filosofia umana non basta a quietare il
169 Con v., III, VIII, 11. naturale desiderio di sapere, e soltanto la rivelazione in questa
170 Conv., III, XIII, 1-7.
171 I, c. 2, 983 a 6 (testo premesso alla lez. 3 del commento tomistico).
Cfr. il mio vol. Nel mondo di Dante, pp. 50-53. 176 Ibid., III, XIV, 13-14.
172 Conv., III, XII, 14. m Ibid., III, xv, 16-17.
173 Ibid., III, XIV, 7; xv, 5, 16-17. 178 Cfr. B. Nardi, Nel mondo di Dante, pp. 216-218 e 225.
174 Apol., II, 13; I, 46. 179 Conv., III, XIV, 11.
175 Conv., III, XIII, 3. 180 Conv., II, IV, 16-17. Cfr. Arist., Metaph:, II, c. l, 993 b 9-11.
I. Filosofia dell'amore nei rimatori italiani del Duecento e in Dante 61
60 Dante e la cultura medievale

vita e la visione beatifica di Dio nell'altra possono condurre senza interruzione, ·l'uomo invece ne partecipa solo ad intervalli,
per l'impedimento che alla vita contemplativa frappongono le
lo spirito umano a quella perfezione cui aspira. Così appunto
fa san Tommaso, d'accordo in questo c:on la tradizione agosti- necessità del corpo 185 •
Averroè ed alcuni aristotelici neoplatonizzanti attribuirono alla
niana. Invece Dante, con grande sorpresr ~el lettore, afferma con
mente umana, giunta al termine del suo sviluppo, la capacità di
Aristotele e con gli averroisti che col guardare, quaggiù sulla
· unirsi in questa vita all'intelletto agente, che è una sostanza
terra, negli occhi e nel riso della Sapienza, cioè colla speculazione
della « faccia che ella ne dimostra », « l'umana perfezione s'acqui- separata, e di conoscere per mezzo di questa tutte le forme imma-
teriali. Inoltre, il commentatore di Cordova affermava che la ;;
sta, cioè la perfezione de la ragione », « tanto cioè che l'uomo,
specie umana è eterna e nel mondo vi sono sempre uomini che
:l
in quanto ello è uomo, vede terminato ogni desiderio, e così è
beato » 181 • Ma come può esser beato l'uomo, se la Sapienza, nella attendono alla speculazione del vero; di guisa che in ogni mo- ·~ f

mento tutto il saperè, di cui l'intelletto umano è capace, si trova


sua trascendenza, gli fa intravedere cose che « soverchian lo nostro
attuato dalla convivenza umana senza interruzione, e il desiderio
intelletto »? Se « lo sguardo di questa donna fu a noi così larga-
mente ordinato non pur per la faccia ch'ella ne dimostra vedere, di conoscere è eternamente soddisfatto 186 •
Dante risolve il problema osservando che « lo desiderio natu-
ma per le cose che ne tiene celate desiderare ed acquistare »?
rale in ciascuna cosa è misurato secondo la possibilitade de la
Dante stesso sentì bene questa difficoltà e si pose il problema
in questi precisi termini: «Veramente può qui alcuno forte dubi- cosa desiderante ..... E però l'umano desiderio è misurato in que-
tare come ciò sia, che la sapienza possa fare l'uomo beato, non sta vita a quella scienza che qui avere si può ..... Onde, con ciò
sia cosa che conoscere di Dio e di certe altre cose quello esse
potendo · a lui perfettamente certe cose mostrare; con ciò sia
sono non sia possibile a la nostra natura, quello da noi natural-
cosa che 'l naturale desiderio sia a l'uomo di sapere, e sanza
compiere lo desiderio beato essere non possa » 182 • mente non è desiderato di sapere» 187 • Questa limitazione del
A questo problema san Tommaso, fedele al detto di sant'Ago- desiderio di sapere « a quella scienza che qui avere si può » è
certamente conforme alla dottrina di Aristotele, ma non all'inse-
stino: « Fecisti nos, Domine, ad te, et inquietum est cor nostrulli.
gnamento teologico tradizionale, né, in particolare, al pensiero di
donec requiescat in te » 183 , aveva risposto che nessuna scienza
speculativa di questo mondo è capace di attuare tutta la potenza san Tommaso, il quale scriveva: «Non igitur quietatur naturale
dell'intelletto umano e di appagare il naturale desiderio di sapere. sciendi desiderium in cognitione Dei, qua scitur de ipso solum
Soltanto la visione beatifica di Dio nell'altra vita può farlo 184 • quia est»; anzi, per lui, neppure la conoscenza naturale che di Dio
Perciò egli subordinava la felicità imperfetta di questa vita alla hanno le menti angeliche, basta a saziare il loro naturale desi-
felicità perfetta della vita eterna, e la filosofia alla rivelazione. derio 188 • E l'Aquinate notava l'angustia in cui venne a trovarsi
Aristotele aveva attribuito alla filosofia che l'uomo riesce a Aristotele che, per aver riposto il fine ultimo dell'uomo nella
costruire colle forze della ragione umana, il potere di appagare scienza che questo può procacciarsi in questa vita, fu costretto
il desiderio che abbiamo di sapere, e quindi di dare all'uomo ad affermare che esso non consegue una felicità perfetta, ma
una felicità perfetta in questa vita, nella misura che la mente quale è consentita alle sue forze 189 •
umana riesce ad assomigliare alla mente divina colla quale è Più tardi, nella Monarchia, per render ragione in che modo
strettamente congiunta. Superiore per altro alla felicità di cui è
185 Arist., Et h. Nicom., X, c. 7, 1177 a 12-27; ibid., 1177 b 30 - 1178 a 7;
capace l'uomo, è la beatitudine di Dio e delle intelligenze celesti; ibid., c. 8, 1178 b 25-32; cfr. Metaph., XII, c. 7, 1072 b 15-25.
ché, mentre la vita divina è un atto eterno di contemplazione, 186 Averroè, De anima, III, comm. 5 digress. pars V, solutio 2•• quae-
stionis; ibid., comm. 36, digress. pars IV.
187 Conv., III, xv, 8-10. Cfr. B. Nardi, Nel mondo di Dante, pp. 222-
181 Conv., III, xv, 2-4.
182 Ibid., III, xv, 6-7. 228.
188 Contra gent., III, 50.
183 Confess., I, r.
189 Ibid., III, 48.
184 Contra gent., III, 25, 37-39, 48-50.
62 Dante e la cultura medievale I. Filosofia dell'amore nei rimatori italiani del Duecento e in Dante 63

tutta la potenza dell'intelletto possibile può essere tratta all'atto la dottrina averroistica sulle macchie lunari già da lui professata
in questa vita, Dante non avrà difficoltà a trar profitto dalla tesi nel Convivio 199 , e se nel canto ventottesimo corregge l'errore
averroistica, secondo la quale la. ragione umana è tutta spiegata intorno alla disposizione degli ordini angelici già da lui seguito
non nei singoli ma nell'umanità presa insieme tw. Ed anche nel nello stesso Convivio 200 , l'errore poetico e filosofico che s'anni-
quarto trattato del Convivio tornava a ripetere, citando Averroè, dava nel simbolismo astratto della donna gentile è superato dal
che il desiderio della scienza, essendo un desiderio naturale, è ritorno di Beatrice, di cui è messo ed araldo Virgilio.
a certo termine discendente, « sl che certo termine quello com- Né l'uno né l'altra sono allegorie, ma persone vive 201 • L'uno
pie, avvegna che pochi, per male camminare, compiano la gior- è il poeta pagano che cantò l'impero di Roma, il « savio gentil
nata » 191 • che tutto seppe » 202 quanto la ragione umana può sapere colle
Ma nello stesso trattato .quarto del Convivio, che segna un sue sole forze 203 , e che al sapere filosofico congiunse la più alta
notevole sviluppo di pensiero sul terzo, egli comincia ad accor- ispirazione poetica, sì da parlare al cuore di Dante un linguaggio
gersi di questa sua incoerenza, e venendo a parlare dell'uso di più umano di quello d'Aristotele. E l'anima di Virgilio, che in
speculazione che è proprio della nostra nobilissima parte, cioè terra era stata fatta degna di annunziare la Redenzione 204 , poteva
dell'intelletto, cautamente dichiara che « questa parte in questa ora nel limbo comprendere e far comprendere a Dante che la filo-
vita perfettamente lo suo uso avere non puote »; e più oltre sofia non può dare all'uomo perfetta beatitudine. Beatrice alla
dice ugualmente che la nostra beatitudine, nelle operazioni delle sua volta è la stessa donna cantata nelle rime della Vita nuova,
virtù intellettuali, è « perfetta quasi », ave il « quasi » annulla e che, salita di carne a spirito, non ha perduto né bellezza né
il « perfetta » 192 • • virtù, e sopratutto non è morta, ma vive nella gloria e nella
Nella Commedia la sete naturale di sapere è saziata soltanto luce di Dio, come crede ogni sincero cristiano. Come tutte le
dalla verità rivelata della quale « la ... Samaritana dimandò la gra- anime beate, anche Beatrice possiede, nella visione della divina
zia » 193 • Soltanto il Vero « di fuor dal qual nessun vero si spazia » verità, un sapere che vince di gran lunga quello del più scaltrito
può soddisfare appieno l'intelletto umano avido di conoscenza 194 • teologo della Sorbona, sì che il desiderio di conoscere è in lei
E gli spiriti magni ai quali non brillò la luce della fede, vivono completamente soddisfatto.
nel limbo in un tormentoso desiderio senza speranza, « ch'etter- Entrato in quest'ordine d'idee, Dante, che nel frattempo
nalmente è dato lor per lutto » 195 • Tra loro è lo stesso Aristotele, aveva interrotto il Convivio per attendere alla Monarchia, ebbe
<< quello glorioso :61osofo al quale la natura più aperse li suoi veramente quella mirabile visione di cui si parla alla fine della
segreti » 196, « il maestro di color che sanno » 197, il « maestro e Vita nuova e che doveva risolvere tutte le antinomie del suo
duca de la ragione umana ·in quanto intende a la sua finale opera- pensiero. Ed anzi tutto nell'immagine della donna glorificata vide
:Zione » 198 Se nel canto secondo del Paradiso Dante combatte una fonte di grande poesia, in cui i motivi vitali della poesia
dottrinale erano riassorbiti dall'impeto della schietta vena lirica
190 Mon., l, III, 6-9. Cfr. B. Nardi, Nel mondo di Dante, pp. 233 sgg.; degli anni giovanili. Nella fiamma purissima e purificatrice del
Saggi di filosofia dantesca, pp. 257-270 [2• ed. cit., pp. 229-242; e si veda suo primo e immortale amore, egli poteva ora gettare tutti gli
ora anche Monarchia, a cura di B. Nardi, in Dante Alighieri, Opere minori, altri amori e tutti gli odi della sua anima, i suoi dolori, le pas-
Il, Milano-Napoli, Ricciardi, 1979,, pp. 294-303 note].
191 Conv., IV, XIII, 6-8.
192 Ibid., IV, XXII, 13, 18. 199 Par., Il, 59-148; Conv., Il, XIII, 9; cfr. B. Nardi, Saggi di filosofia
193 Purg., XXI, 1-3. dantesca, pp. 5 sgg. [2• ed. cit., pp. 4 sgg.].
194 Par., IV, 124-126. 2oo Par., XXVIII, 98-135; Conv., II, v, 6.
195 In/., IV, 40-42; Purg., III, 37-45. 201 Cfr. Gilson, Dante et la philosophie, pp. 72-73, 265-266.
196 Conv., III, v, 7. 202 In/., VII, 3.
197 In/., IV, 131. 203Purg., XVIII, 46-48.
198 Conv., IV, VI, 8. 204 Purg., XXII, 66-73.
64 Dante e la cultura medievale I. Filosofia dell'amore nei rimatori italiani del Duecento e in Dante 65

sioni di parte, la scienza sacra e profana, l'umanità, la terra e poteva trasformarsi ma non andar perduto. Anche nella gloria
il cielo, l'universo, per ricrearlo coll'onnipotenza della sua poe- dei cieli che l'avvolge, noi riconosciamo nella donna della Com-
tica fantasia.
media i noti tratti del virgineo fantasma della Vita nuova. Lo
E vide ancora che la filosofia aristotelica non bastava a sa- stesso divino sorriso degli occhi splendenti illumina ora e rischiara
ziare il naturale desiderio dello spirito umano. La rivelazione le oscure pagine dei trattati filosofici e teologici sui quali si
cristiana aveva dischiuso agli uomini nuovi e più vasti orizzonti, curva, cercando pace e conforto, la fronte cogitabonda dell'esule
!
ì
nuovi cieli, una nuova terra, e sopratutto aveva acceso nella dolo- che sogna il suo bel San Giovanni. E nella visione di quel sor-
rante anima umana il desiderio di nuove conquiste spirituali e
più liete speranze. Liberarsi dal simbolo astratto della donna
riso le aride dispute si animano dei colori della poesia, e il mondo
intero pare trasfigurarsi alla fantasia· del poeta, la cui arte com-
L
gentile, voleva dire per Dante riconquistare coscienza concreta pie, insieme alla sua coscienza, la suprema catarsi.
del corso della storia umana, nel quale l'antichità classiCa e il
nuovo pensiero cristiano formavano due momenti: di cui il se-
condo segnava un progresso sul primo, e il primo era avviamento
e preparazione al secondo. Fare di Virgilio l'araldo di Beatrice,
Quanto alla sostanza, la dottrina dell'amore rimane nella
Commedia quella che Dante aveva già formulata nel Convivio.
Ma nel poema questa dottrina perde quel carattere di astratto
filosofema che aveva nelle rime allegoriche e dottrinali, per diven-
!
e della filosofia aristotelica una preparazione alla teologia, signi- tare coscienza viva che obbliga il poeta ad una revisione del suo
ficava riconoscere che la vera filosofia era per lui, come fu per giudizio morale sulle azioni umane.
tutti nel medio evo, sl cristiani che musulmani, la teologia. Per misurare tutto il progresso compiuto da Dante in questo
Mentre la mirabile visione operava sul suo spirito di poeta e senso, giovi ricordare una tenzone fra lui e Cino da Pistoia, che
di pensatore, Dante lasciava in disparte il Convivio, che doveva è sicuramente del tempo dell'esilio d'entrambi. Col sonetto « Dan-
rimanere incompiuto 205 , e ripreso in mano il libretto giovanile te, quando per caso s'abbandona», messer Cino aveva chiesto
della Vita nuova Io ritoccava qua e là e ne mutava la fine per all'amico fiorentino se, in sostanza, l'anima nostra possa accogliere
farne una specie di prologo alla Commedia. Cosl l'amore per la in sé un nuovo amore per altra donna, dopo che un antico e
donna pietosa, che nella redazione anteriore della Vita nuova tenace amore s'è spento in essa. Dante risponde che ciò può ben
« prese luogo alcuno ne la » sua « mente » e alla cui immagine
accadere 206 :
il suo « beneplacito fu contento a disposarsi », venne presentato
come un « desiderio malvagio e vana tentazione», di cui il
Io sono stato con amore insieme
risorto affetto per Beatrice aveva trionfato. da la circulazion del sol mia nona,
e so com'egli affrena e come sprona
e come sotto lui si ride e geme.
l O. Revisione della dottrina stilnovistica dell'amore. La fatalità Chi ragione o virtù contra gli sprieme, l
dell'amore e la virtù del consiglio: la libertà del volere. fa come que' che 'n la tempesta sona l
credendo far colà dove si tona l
esser le guerre de' vapori sceme. l
Col ritorno di Beatrice, sembra che si ridestino nell'animo
del ramingo poeta tutti i ricordi della sua adolescenza. L'imma- Però nel cerchio de la sua palestra
gine della diletta fanciulla cantata negli ,anni più belli, risve- liber arbitrio già mai non fu franco,
sl che consiglio invan vi si balestra.
glia in lui le più dolci rimembranze di un mondo poetico che Ben può con nuovi spron punger lo fianco,
e qual che sia 'l piacer ch'ora n'addestra,
205 Sull'incompiutezza del Convivio, quale risulta anche dal deplorevole seguitar si convien se l'altro è stanco.
stato della tradizione manoscritta, cfr. l'acuto libro di A. Pézard, Le «Con-
vivio» de Dante, Parigi 1940, e la recensione che ne ho fatta in Nuova
Antologia, a. 81o, 1946, pp. 221-226.
206 Rime, CX-CXI.
66 Dante e la cultura medievale l. Filosofia dell'amore nei rimatori italiani del Duecento e in Dante 67

Sotto gli assalti della passione amorosa l'animo non è libero, fuori sospiri e lacrime sincere 208 • E più seriamente Dante stesso
e chi tenta di tenerlo a freno colla virtù del consiglio e coi bei in proprio nome, come si conveniva ad uomo che ormai s'era
ragionamenti, fa come chi si mette a scampanare per far cessare del tutto dipartito da questo genere di rime non più confacienti
la furia del temporale. alla sua età, lo ammoniva di non lasciarsi pigliare « a ogni un-
In questo sonetto Dante s'appella sopratutto .alla sua espe- cino », e con franchezza d'amico gli dava questa buona tirata di
rienza. Alcune sue rime che potremmo dire extravaganti, e non orecchi:
solo quelle petrose, parrebbero attestare che più d'una volta
egli provò come amore « affrena e come sprona e come sotto lui Chi s'innamora si come voi fate,
si ride e geme ». Ma nell'epistola « Eructuavit incendium », che or qua or là, e sé lega e dissolve,
accompagnava il sonetto, egli cerca di giustificare filosoficamente mostra ch'Amor leggermente il saetti.
la sua tesi: Però se leggier cor cosi vi valve,
priego che con vertù il correggiate,
si che s'accordi i fatti a' dolci detti 209 •
Et fìdes huius, quanquam sit ab experientia persuasum, ratione
potest et auctoritate muniri. Omnis namque potentia que post cor- È difficile dire se l'ammonimento dell'amico riuscisse a rimet-
ruptionem unius actus non deperit, naturaliter reservatur in alium: tere sulla buona via il pistoiese; certo è invece che il rimprovero
ergo potentie sensitive, manente organo, per corruptionem unius
actus non depereunt, et naturaliter reservàntur in alium; cum igitur di volgibile cuore lo raggiunse in pieno, e che egli s'affrettò a
potentia concupiscibilis, que sedes amoris est, sit potentia sensitiva, discolparsi, sostenendo com'egli, cacciato dalla città natale e « fatto
manifestum est quod post corruptionem unius passiorìis qua in actum per greve essilio pellegrino », anche lontano per forza dalla sua
reducitur, in alium reservatur 2f17. donna, avesse pensato sempre a lei; e se aveva detto che altre
donne l'avevano ferito, è perché in esse aveva trovato vicino a
L'amore di cui canta Cino, e con lui gli altri stilnovisti, sé qualche somiglianza con quella che aveva abbandonata:
Dante compreso nelle rime dell'adolescenza non che in quelle
petrose e in qualche altra, è dunque passione che risiede nel- ch'un piacer sempre me lega ed involve,
l'appetito concupiscibile, sebbene più o meno purificato dal tocco il qual conven che a simil di beltate
in molte donne sparte mi diletti 210.
leggero della poesia; e può cambiare d'oggetto, passando da una
donna ad un'altra, senza che possiamo ribellarci ad esso o tenerlo
a frerio colla ragione e la virtù. Questo confessava a Cino l'amico Il qual pensiero verrà ripreso dal Petrarca nel sonetto « Movesi
fiorentino, in un periodo della sua vita quando aveva ormai sco- il vecchierel canuto e bianco», insieme all'immagine del pelle-
perto che la radice profonda di tutti i nostri desideri è l'amore grino, di cui per altro il cantore di Laura, che non era « pian-
insito in noi per il bene perfetto. gendo per lo mondo gito » per essere stato cacciato dal suolo
Il pistoiese non tardò a far tesoro di questa filosofia dantesca. natìo, farà una rappresentazione perfettamente oggettiva.
E di li a non molto confidava all'amico comune, il marchese Dunque, prima Dante attribuiva all'amore sensuale una specie
Moroello Malaspina, che una nuova « mala spina » gli aveva di fatalità, sl che gli pareva vano tentare di tenerne a freno la
punto il cuore, in guisa che sanguinando ne moriva. Al che il forza impetuosa colla virtù del consiglio; più tardi invece esor-
marchese rispondeva, a mezzo di Dante, che il vero amore non tava l'amico pistoiese a correggere colla virtù la volubilità della
passione amorosa.
l
può albergare in « volgibile cor... ove stecco d'amor mai non
fé foro », ma solo in cuore che sia veramente trafitto e mandi
Rime di Dante, CXII-CXIII.

l
208
209 Ibid., CXIV.
2f17 Ep., III, 5. 210 Ibid., CXV.
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68 Dante e la cultura medievale I. Filosofia dell'amore nei rimatori italiani del Duecento e in Dante 69

Questo affinamento del senso morale coincide colla conquista libero arbitrio, e non fora giustizia
della sua libera personalità nella Commedia, e colla vittoria sulle per ben letizia, e per male aver lutto.
passioni che ancora lo trattenevano sulla piaggia deserta, impe- Lo cielo i vostri movimenti inizia; ·i
dendogli l'ascesa al dilettoso colle. non dico tutti, ma posto ch'i' 'l dica, 1

Nel commento letterale alla canzone «Voi che 'ntendendo il lume v'è dato a bene e a malizia,
e libero voler; che, se fatica
terzo ciel movete», Dante si domandava come va, se amore è ..
ne le prime battaglie col ciel dura, ' '·ti·.·.
effetto delle intelligenze del cielo di Venere, che la stessa virtù pòi vince tutto, se ben si notrica.
che aveva fatto sorgere in lui l'amore·per Beatrice, ora che questa A maggior forza e a miglior natura
era morta, aveva generato nel suo animo amore per la donna liberi soggiacete; e quella cri a
gentile. La risposta a questo problema è veramente interessante la mente in voi, che 'l ciel non ha in sua cura 214.
come documento del modo di pensar del poeta:
Liberatosi dal determinismo astrologico che uccideva nel-
A questa questione si può leggermente rispondere che lo effetto l'uomo la libertà del volere, il poeta chiede a Virgilio che gli
di costoro è amore, com'è detto; e però che salvare noi possono se « dimostri amore», al quale si riduce « ogni buon operare e 'l suo
non m quelli subietti che sono sottoposti a la loro circulazione, esso contraro ». E Virgilio risponde:
transmutano di quella parte che è fuori di loro podestate in quella
che v'è dentro, cioè de l'anima partita d'esta vita in quella ch'è
in essa 211 • L'animo, ch'è creato ad amar presto,
ad ogni cosa è mobile che piace,
tosto che dal piacere in atto è desto.
Cecco d'Ascoli 212 poteva ben formare filosofiche ragioni con- Vostra apprensiva da esser verace
tro la teoria esposta da Dante nel sonetto « Io sono· stato con tragge intenzione, e dentro a voi la spiega,
amore insieme», e sostenere che quel che trae origine dal cielo sì che l'animo ad essa volger face;
«non prende mai contraria faccia»; ma Dante conosceva troppo e se, rivolto, inver di lei si piega,
bene l'arte di piegare a suo pro' i duttili principi dell'astrologia, quel piegare è amor, quell'è natura
nella quale, quando scriveva il Convivio, aveva fiducia non minore che per piacer di novo in voi si lega.
di quella dell'ascolano. E dalla varia disposizione del cielo traeva Poi, come 'l foco movesi in altura
argomento per dimostrare come si produca nell'uomo più e men per la sua forma ch'è nata a salire
213 là dove più in sua matera dura,
pura anima • Ma nella Commedia, mosso dalle critiche dei
così l'animo preso entra in disire,
teologi alle teorie astrologiche, non che dal bisogno di salvare ch'è moto spiritale, e mai non posa
il libero arbitrio che è la spina dorsale della personalità umana, fin che la cosa amata il fa gioire 215 •
faceva sulle influenze degli astri una sostanziale riserva:
In siffatta dottrina, nulla v'è di nuovo e di diverso da quello
Frate, che abbiamo appreso da Iacopo da Lentini e da tutti i rimatori
lo mondo è cieco, e tu vien ben da lui.
successivi che trattarono della natura dell'amore. La bellezza
Voi che vivete ogne ragion recate
pur suso al cielo, pur come se tutto esistente fuori di noi imprime la sua immagine nella nostra
movesse seco di necessitate. facoltà conoscitiva, e questa per mezzo della fantasia la spiega
Se così fosse, in voi fora distrutto interiormente, sì che nell'anima sensitiva nasce quell'appetito o
desìo che è amore, e che non dà tregua all'innamorato, finché
211 Conv., II, VIII, 4-5.
212 L'Acerba, III, I, vv. 1974-82. 214 Purg., XVI, 65-81.
213 Conv., IV, XXI, 4, 7-8. 21s Purg., XVIII, 13-33.

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70 Dante e la cultura medievale I. Filosofia dell'amore nei rimatori italiani del Duecento e in Dante 71

questi non ha ottenuto la ricompensa delle sue pene, la mercede. Or perché a questa ogn'altra si raccoglia,
Lo schema psicologico è esattamente lo stesso; di nuovo nell'espo- innata v'è la virtù che consiglia,
sizione di questa dottrina v'è soltanto l'armonia del verso, nella
struttura del quale Dante è maestro insuperato, a tal segno che,
come Rossini, anch'egli saprebbe far della bella musica perfino
sulla lista del bucato.
e de l'assenso de' tener la· soglia.
Quest'è il principio là onde si piglia
ragion di meritare in voi, secondo
che buoni e rei amori accoglié e viglia.
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Ma il pensiero del grande poeta non s'è contentato di ripe- Color che ragionando andato al fondo,
s'accorser d'esta innata libertade
tere in bei versi quello che molti avevano già detto a sazietà. Un
però moralità lasciaro al mondo.
dubbio s'affaccia al suo spirito, ed è tale da rivelare in lui la Onde, poniam che di necessitate
stoffa del pensatore acuto, abituato alla meditazione: surga ogni amor che dentro a voi s'accende,
di ritenerlo è in voi la podestate 217 •
S'amore è di fuori a noi offerto,
e l'anima non va con altro piede, Con siffatta dottrina che sottomette la passione al controllo
se dritta o torta va, non è suo mertci 216. della ragione e all'« innata virtù che consiglia », con questa dot-
trina che riafferma la libertà del volere umano da ogni influenza
Se l'uomo non ha una sua interiore misura del bene e del male, venuta « di fuori », il principio che nella palestra d'amore « liber
se bene è solo quello la cui immagine entra in noi dal di fuori e arbitrio già mai non fu.franco », il principio che proclamava la
suscita nel nostro animo un sentimento di piacere, l'autonomia fatalità dell'amore, è ormai definitivamente superatO. Della nuova
della coscienza morale è in noi irrimediabilmente annientata, e dottrina, intanto, il poeta faceva uso per rivedere il suo giudizio
guida della nostra condotta sono soltanto le fugaci impressioni sul mondo poetico-morale della sua adolescenza.
dei sensi, le illusioni del mondo esteriore. Un tal dubbio ci porta
al cuore stesso della filosofia.
E Virgilio lo risolve, non senza consapevolezza della gravità 11. La pietà per Francesca.
di esso:
Quel mondo era caro al suo cuore quanto il ricordo di Bea-
Quanto ragion qui vede
trice. Eppure egli non risparmia le sue censure agli spiriti più
dir ti poss'io; da indi in là t'aspetta
pur a Beatrice, ch'è opra di fede. rappresentativi che ne facevano pàrte: non a Brunetto, che gli
Ogni forma sustanzial, che setta aveva insegnato « come l'uom s'etterna », e che pure egli danna
è da matera ed è con lei unita, sotto la pioggia di fuoco 218 ; non al· Guinizelli, padre suo e degli
specifica virtù ha in sé colletta, altri suoi migliori « che mai rime d'amore usar dolci e leggiadre »,
la qual sanza operar non è sentita, al quale non risparm~a la pena dovuta a chi non servò umana
né si dimostra mai che per effetto, legge, seguendo come bestia l'appetito amoroso, sebbene se ne
come per verdi fronde in pianta vita. fosse pentito prima di morire 219 ; non a Guido Cavalcanti, cui
Però, là onde vegna lo intelletto rimprovera il disdegno per Virgilio 220 •
de le prime notizie, orno non sape, · Molto s'è scritto sul ·disdegno di Guido per Virgilio. Fra le
e de' primi appetibili l'affetto,
molte supposizioni fatte, ritengo più verosimili quelle che ten-
che sono in voi, si come studio in ape
di far lo mele; e questa prima voglia
merto di lode o di biasmo non cape. 217 Purg., XVIII, 46-72.
21s In/., XV, 13-124.
219 Purg., XXVI, 76-93.
216 Purg., XVIII, 40-45.
220 In/., X, 61-63.
72 Dante e la cultura medievale I. Filosofia dell'amore nei rimatòri italiani del Duecento e in Dante 73

gono conto di ciò che Virgilio era per Dante. Lo studio del- Ma il giudizio più severo sul mondo morale dello stilnovismo
l'Eneide aveva rivelato all'Alighieri una più alta forma di poesia è pronunziato da Dante nel canto di Francesca. Come sia giudi-
e un più nobile e più virile concetto dell'amore che non fosse cato dall!J morale cristiana l'amore di cui cantano i poeti dei
quello a cui s'erano fermati l'uno e l'altro Guido~ Nel poema quali abbiamo· fatto cenno in principio di questo studio, e di cui
virgiliano i medievali avevano creduto di scoprire sensi recon- tratta Andrea Cappellano, lo dice con schietta semplicità Chiaro
diti, e sotto il velo dell'allegoria ritennero si celassero altissime Davanzati nella canzone:
dottrine filosofiche. Enea, che pur col cuore straziato segue la
volontà del fato e si mostra insensibile alle disperate invocazioni Molti lungo tempo ànno
di Didone, s'offriva alla mente di Dante come l'esempio del- de l'amor novellato,
l'uomo che, superata l'adolescenza, ha conquistato il perfetto do- e divisatamente,
minio di sé, ed ha raggiunto nella gioventù «li termini de la sua che amore è e dond~à nascimento,
perfezione », perché in lui l'appetito naturale era cavalcato e ed ancora non ànno
tenuto a freno dalla ragione: proprio vero trovato.

E cosl infrenato mostra Virgilio, lo maggiore nostro poeta, che Per il Davanzati, vero amore è solo quello che vien da Dio;
fosse Enea, ne la parte de lo Eneida ove questa etade [la gioventù, ogni desiderio carnale è tentazione del demonio; e amar donna
ossia l'età matura] si figura; la quale parte comprende lo quarto, che non sia la propria sposa, è peccato:
lo quinto e lo sesto libro de lo Eneida. E quanto raffrenare fu
quello, quando, avendo ricevuto' da Dido tanto di piacere quanto
di sotto nel settimo trattato si dicerà, e usando con essa tanto di Dicie lo vangelisto
dilettazione, elli si partìo, per seguire onesta e laudabile via e frut- che Dio fue primamente
tuosa, come nel quarto de l'Eneida scritto è! Quanto spronare fu ch'ello criò quanto eie,
quello, quando esso Enea sostenette solo con Sibilla a intrare ne con grande desiderio d'amore.
lo Inferno a cercare de l'anima di suo padre Anchise, contra tanti Dunque, l'amor è Cristo
pericoli, come nel sesto de la detta istoria si dimostra! Per che e da lui è vegnente,
appare che, ne la nostra gioventute, essere a nostra perfezione ne da che l'amor non eie
convenga «temperati e forti» 221. a lui dato per altro criatore ...
Non este orno vero
Questo non aveva imparato da Virgilio il Cavalcanti, il quale, se d'orno non è nato:
chiuso nel suo pessimismo, aveva rinunziato a seguir Dante nel ne l'amore non este
disirar se da l'amore non vene.
ricalcare le orme d'Enea, e s'era adagiato in una morale averroi- Amore propio e vero
stica che lo isolava dalla società cristiana e tarpava in lui lo non este di peccato,
slancio della fantasia per più ardui voli 222 • e de lo peccato este
voler donna che sua sposa non gli ène ...
221 Conv., IV, xxvr, 5-9. . Ongni disio carnale
222 Sul «disdegno» di Guido, dopo il molto che se n'era scritto dopo ello è tentamento
il Del Lungo, il D'Ovidio, il Pietrobono ed altri non pochi, è ritornato
A. Chimenz (Il « disdegno » di ·Guido e i suoi interpreti, in Orientamenti che lo domonio facie ...
culturali, l, 1945, pp. 179-188), sostenendo che il disdegno dell'averroista
fiorentino anzi che contro Virgilio sia diretto contro Beatrice assunta a
simbolo del pensiero teologico. [Cfr. ora, in proposito, B. Nardi, Dante e Anche per Dante ormai è peccato mortale, come per Chiaro,
Guido Cavalcanti, in Saggi e note di critica dantesca, Milano-Napoli, Ric- «voler donna che sua sposa non gli ène »; e per questo fa tor-
ciardi, 1966, pp. 216-219].

J
Dante e la cultura medievale I. Filosofia dell'amore nei rimatori italiani del Duecento e in Dante 75
74

mentare dalla « bufera infernal che mai non resta » « i peccator concetti del Guinizelli. Mentre narra la sua storia, si difende; e,
carnali che la ragion sommettono al talento» 223 • difendendosi, accusa. Nel verso «Amor ch'al cor gentil ratto
Ma nella rappresentazione dantesca ci colpiscono fin dal primo s'apprende » 230 , tu riconosci una eco intenzionale di quello del
momento due particolari. Anzi tutto, il fatto che questi pecca- poeta bolognese: «Poco d'amore in gentil cor s'apprende» 231 •
tori vengono prima e sono considerati meno rei dei golosi. San Sembra dire: - Voi poeti, non avete forse insegnato che amore
Gregorio Magno aveva detto che i « peccati carnali » hanno e cuor gentile sono una cosa sola, e l'uno non può stare senza
minor colpa dei «peccati spirituali »; e tra i peccati carnali aveva l'altro? Qual meraviglia, dunque, se il cuor gentile di costui fu
compreso anche la gola 224 • San Tommaso alla sua volta aveva preso della mia bellezza? E non avete voi insegnato del pari che
giustificato questa dottrina, osservando che siffatti peccati « habent chi s'accorge d'essere amato pon può non ricambiare l'amore, se
vehementius impulsivum, id est ipsam concupiscentiam carnis nobis non ha animo spietato e selvaggio? Non avete sempre rappre-
innatam » 225 , perché « maior concupiscentia praecedens iudicium sentato l'amore come un tiranno che impone la sua signoria ai
rationis et motum voluntatis diminuit peccatum, quia qui maiori cuori e li costringe ad amare? - La breve ma concitata e
concupiscentia stimulatus peccat, cadit ex graviori tentatione, unde baldanzosa narrazione che Francesca fa del suo caso, è un rias-
minus ei imputatur » 226 • Ciò non di meno, anche con quest'atte- sunto fedelissimo della filosofia dell'amore nei poèti prima di
nuante, egli sembra ritenere la lussuria un peccato più grave della Dante e in Dante stesso prima della Commedia, ed è d'una logica
gola m. serrata: - Amore costrinse lui ad amarmi; amore costrinse me
Un altro particolare degno di nota, si è che i peccatori nomi- a riamarlo; « amor condusse noi ad una morte». Dani:e riflette: t
nati nel secondo cerchio non sono spiriti volgari, ma « gente
di valor »; come direbbe il Cavalcanti, cioè « cuori gentili ». Sono oh lasso, t
le « donne e i cavalieri » delle storie antiche e dei romanzi medie- quanti dolci pensier, quanto disio
menò costoro al doloroso passo! 232 •
vali, che pascevano la fantasia dei giovani delle classi agiate,
avida di piacevoli fole. Messo dinanzi a questo mondo poetico
Veramente, Francesca non s'era in alcun modo diffusa a par-
che aveva dilettato la sua adolescenza, Dante prova per i pecca-
lare dei suoi « dolci pensieri » né di quelli del compagno; ma
tori carnali un sentimento di pietà e n'è « quasi smarrito » 228 •
Dante ha capito tutto il doloroso drainma, perché era il dramma
Sullo sfondo tempestoso delle vecchie storie d'amore, tra rossi
dell'amore a lui ben noto, e il semplice accenno ai canti della
bagliori di violenza e sangue, è disegnato l'episodio stilnovista
sua adolescenza era bastato a ridestare in lui 11 ricordo non
di Francesca da Rimini.
lontano di un mondo caro al suo cuore di poeta.
La donna che nella presente miseria si esalta nel ricordo
La storia di Francesca è una storia di passione e di peccato,
del tempo felic,_e, e, dannata, non si pente della sua colpa perché
troncata nell'attimo stesso del primo ed ultimo bacio, certezza e
petrificata in essa 229 , anzi filosofeggia. Filosofeggia riecheggiando
consenso ai « dubbiosi desiri », dalla morte che ha il potere di
fissare per l'eternità quello che è l'ultimo nostro pensiero. Quella
.223 Inf., V, 31-39.
224 Moralia, XXXIII, IL certezza e quel consenso son quanto i poeti stilnovisti chiama-
225 Summa theol., l' nae, q. 73, a. 5. vano la « mercede », il « guiderdone », il « frutto » delle pene
226 Summa theol., I· nae, q. 73, a. 6, ad 2Um; cfr. Il' nae, q. 154, d'amore.
a. 3, ad zum.
m Summa theol., n• nae, q. 148, a. 3; De malo, q. 15, a. 2, ad 6um.
228 In/., V, 42-72. n. 5: « Voluntas eius (cioè damnati) post mortem semper malo adhaeret sine
229 S. Agostino (o meglio Fulgenzio), De fide ad Petrum, c. 3, n. 38: susceptione poenitentiae ''· Cfr. S. Tommaso, Summa theol., Il' nae, q. 13,
« voluntas eorum talis erit, ut habeat in se semper malignitatis suae suppli- a. 4; Contra gent., IV, 93, 94.
230 In/., V, 100. .
cium ... Consortibus diaboli cumulabit ipsa malignitas poenam ». Questo passo
citat<J>da Pietro Lombardo, Sent., IV, dist. 50, esprimeva un concetto teo- 231 Rime di G. Guinizelli, V, u. '.i
logico comune nel medio evo. S. Bonaventura, Breviloquium, VII, c. 6, 232 In/.,, V, 112-114.
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76 Dante e la cultura medievale
I. Filosofia dell'amore nei rimatori italiani del Duecento e in Dante 77

Come ben dice il De Sanctis , Dante in questo dramma rap-


233
pudico che più d'un critico v'ha ravvisato influenze platoniche e
presenta la parte del coro che esprime la sua umana pietà sulla
perfino mistiche!
tragedia di queste due anime affannate. Ma tutto intento a mo-
Era opinione del Manzoni, non condivisa però dal Fogazzaro,
strarci in Francesca « la prima donna viva e vera apparsa sul-
che «non si deve scrivere d'amore in modo da far consentire
l'orizzonte poetico de' tempi moderni», «la prima donna del
I'animo di chi legge a questa passione». E lo stesso Manzoni
mondo moderno », non senza qualche grano di retorica enfasi, il
aggiungeva: «L'amore è necessario a questo mondo; ma ve n'ha
De Sanctis non sembra essersi accorto che l'animo del poeta è
quanto basta, e non fa mestieri che altri si dia la briga di colti-
agitato da due opposti sentimenti, come invece ha ben visto il
234 varlo; ... col volerlo coltivare, non si fa altro che farne nascere
Croce , che contrastano fra loro, e dal cui contrasto deriva il
dove non fa bisogno. Vi hanno · altri sentimenti dei quali il
carattere tragico dell'episodio. Ardente di quella amorosa pas-
mondo ha bisogno» 237 • Sono parole queste un po' fuori d'uso,
sione che avevano cantato i poeti provenzali e italiani e Dante
oggi; ma ritengo che l'autore della Divina Commedia non le
stesso, Francesca merita anzi tutto la pietà che volentieri si con-
avrebbe disapprovate.
cede a chi pecca per umana fragilità, e non per malizia. Ma col
Non per vana e indiscreta curiosità, com'è stato giustamente
sentimento della pietà contrasta la nuova coscienza morale e cri-
osservato 238 , ma per comprender meglio come la passione che
stiana di Dante il quale, pur compassionando i due amanti, non
s'era accesa nei loro cuori condusse i due cognati al peccato, il
perdona ad essi l'aver sottomesso la ragione al talento e il non
poeta chiede a Francesca a che segno e in che modo arrivarono a
aver resistito alla passione, e li danna. E con essi dannava quanto
rivelarsi i « dubbi~si desiri » e ad esser certi della reciproca corri-
v'era d'insidioso nella dottrina della fatalità dell'amore 235 , di
spondenza. Il Cavalcanti aveva detto, e Dante lo sapeva, che
cui s'ammantava quella raffinata sensualità che, anche quando non
l'amore
sboccava nel « fatto »,.conduceva ad almanaccare colla fantasia
quel che il Giusti chiamerebbe «un pudico adulterio» 236 • Tanto
de simil tragge complessione sguardo
che fa parere lo piacere certo;
233 Saggi e scritti critici e vari, a cura di L. G. Tenconi, vol. III, Mi- non pò coverto - star quand'è sl giunto 239 •
lano 1938, pp. 351-368. Giuste riserve all'interpretazione desanctisiana e
d'altri dell'episodio dantesco ha fatto M. Barbi, nello studio su Francesca
da Rimini, in Studi danteschi, XVI, 1932, ripubblicato nel denso volumetto Ma non da sguardi di simile complessione ebbero certezza essa
Dante, vita, opere e fortuna, Firenze, Sansoni, 1933, pp. 171-206, e di nuovo e Paolo che l'amore ardeva nel cuore d'entrambi. La lettura d'un
nel vol. Con Dante e coi suoi interpreti, Firenze, Le Monnier, 1941, pp.
117-151.
2 della lonza dal cinto di Venere parrebbe confermata dall'accenno alla corda
34 La poesia di Dante, Bari, Laterza, 1921, pp. 77-79.
235 Che non è precisamente una condanna né un rinnegamento delle di cui Dante era cinto e colla quale «alcuna volta» pensò di prender la fiera
dottrine sull'amore un giorno professate da Dante, come vuole M. Fubini (In/., XVI, 106-8). Giacché la corda parrebbe il biblico « cingulum lum-
in un importante articolo su Il peccato di Ulisse (nella rassegna Belfagòr, borum » che gl'interpreti della Sacra Scrittura vogliono sia simbolo ora
II, 1947, p. 462 n. [poi ristampato nel vol. Il peccato. di Ulisse e altri della giustizia ora della castità e della continenza [ora si veda anche, su ciò,
scritti danteschi, Milano-Napofi 1966, pp. 1-36]), del quale sarà detto più B. Nardi, Novità sul «getto della corda» e su Gerione, nel vol. Saggi e
oltre, ma piuttosto una purificazione e una correzione. note di critica dantesca, cit., pp. 332-354].
236 Ritengo che nella lonza, che costituisce il primo impedimento a 237 A. Fogazzaro, Discorsi, Milano 1898, p. 3 sgg.; G. Negri, Commenti
salire sul « dilettoso monte », sia simboleggiata la concupiscenza (Émi}v(..Lia) critici estetici e biblici sui Promessi Sposi, Milano 1903; G. Mazzoni, L'Otto-
di cui parla Aristotele nell'Eth. Nicom., VII, c. 7, 1149 b 15-17: « concu- cento, Milano, F. Vallardi, 1913, parte I, pp. 280-281 [questa pagina di
piscentia autem quemadmodum Venerem aiunt, dolosae enim cyprigenae et Manzoni si può ora leggere in Opere di A. Manzoni, vol. III, Scritti non
variam· corrigiam. Et Homerus: 'Deceptio quae furata est intellectum spisse compiuti, poesie giovanili e sparse, lettere pensieri giudizi, a cura di
sapientis '». Il « pel maculato » (In/., I, 33), la pelle « gaetta » (ibid., 42) M. Barbi e F. Ghisalberti, Milano 1950, pp. 615-616]. Dice il Fubini che
o dipinta (In/., XVI, 10.8) parrebbero infatti derivare dalla «varia corrigia » il Manzoni «non avrebbe mai scritto il canto di Francesca». Però egli
dell'astuta Ciprigna, ossia dal ricamato cinto di Venere, del quale parla scrisse l'episodio della monaca di Monza; e, dopo averlo scritto, tornò a
Omero (Iliade, XIV, 214-217), e in cui erano i lenocinii dell'amore e le riscriverlo.
allettanti parole che rubano il senno anche ai saggi. Questa derivazione 238 Cfr. M. Barbi, Con Dante e coi suoi interpreti, p. 147 sg.
239 Rime di G. Cavalcanti, I, 57-59; cfr. sopra, p. 33.
78 Dante e la cultura medievale I. Filosofia dell'amore nei rimatori italiani del Duecento e in Dante 79

romanzo d'amore fornì l'occasione desiderata e imprevista al com- che s'agitano nel cuore umano, dai più bestiali ai più divini,
pimento dei loro non ancor ben fermi desideri: sono divenuti materia dell'altissimo canto. Il sacro e il profano,
la terra e il cielo, l'oscena bestemmia di Vanni Fucci e l'orazione
il~
Noi leggiavamo un giorno per diletto di san Bernardo, il sommesso sospirare e l'angelico trionfale Alle- ~
di Lancialotto come amor lo strinse; luia si fondono in una polifonia piena, solenne, ricca di armo-
soli eravamo e sanza alcun sospetto! niche dissonanze, quale non s'era mai udita.
Per più fìate li occhi ci sospinse Eppure in questo sovrumano coro di voci che s'elevano dalla ~
quella lettura, e scolorocci il viso; sua anima presa dalla gioia del canto, i freschi motivi della ~
ma solo un punto fu quel che ci vinse. poesia giovanile non sono stati dimenticati, e un orecchio attento
Quando leggemmo ... può riconoscerli intrecciati a quelli or gravi e lenti, or concitati e
Galeotto fu il libro e chi lo scrisse:
impetuosi, or pacati e solenni dell'età matura. Così non s'è spento
quel giorno più non vi leggemmo avante.
nel suo cuore l'amore che v'accesero gli occhi della fanciulla
amata nella sua adolescenza 242 ; ma anzi, purificato da ogni nube
L'appassionato racconto è fatto dalla donna, più facile ad
di mortalità, è diventato luce della sua vita, nell'ascesa dall'in-
esser vinta dalla passione; in bocca di Paolo sarebbe stato meno
fima lacuna dell'universo alla gloria di Dio, « amor che muove i1
conveniente; questi accompagna col pianto silenzioso e conferma
sole e l'altre stelle ».
coi singhiozzi la rievocazione di quell'ora suprema, che unì i due
amanti in un attimo etern.o d'ebbrezza e di dannazione.
242 Cfr. Purg., XXX, 32-33, 40-42, 48, 64, 115-138. Nel canto della ca-
rità, Par., XXVI, uno spirito esorta il poeta, la cui vista è «smarrita e
Or ti puote apparer quant'è nascosa non defunta», a confidare nella donna che lo guida e il cui sguardo ha
la veritate a la gente ch'avvera «la virtù ch'ebbe la man d'Anania », cioè il potere di curare la cecità.
ciascun amore in sé laudabil cosa 240. E il poeta, ricordando la virtù di quello sguardo che in terra aveva trovato
la prima volta gli occhi di lui, e per gli occhi aveva acceso nel suo cuore
la fiamma d'amore, riconosce in quel primo amore, come in tutti gli altri
Più forte della passione amorosa è il libero volere guidato dalla amori del cuore umano, pur diversi tra loro d'ardore, lo svegliarsi di quel
virtù del consiglio: naturale desiderio del bene che fa contenti i beati in Paradiso ed è principio

Onde, poniam che di necessitate


surga ogni amor che dentro a voi s'accende,
di ritenerlo è in voi la podestate 241 •
e fine di tutti i desideri delle creature (vv. 7-18):
Io dissi: « Al suo piacere e tosto e tardo
vegna rimedio a li occhi, che fuor porte
quand'ella entrò col foco ond'io sempr'ardo.
Lo ben che fa contenta questa corte
Alfa ed O è di quanta scrittura
mi legge Amore o lievemente o forte».
l
Il dolce tormento d'amore, come l'avevano cantato e conti-
nuavano a cantarlo molti rimatori, era un aspetto della vita,
non tutta la vita; e la loro poesia non era tutta la poesia. Deli-
cata, sentimentale, fatta di gorgheggi d'usignolo, l'arte di quei
rimatori ignorava la complessità della vita nei suoi molteplici
e svariati aspetti: era idillio, monodia petrarchesca, cui la lira
di messer Francesco darà i più patetici toni e fremiti sconosciuti.
La nuova arte alla quale s'è rivolto il genio di Dante, è il poema.
Tutta la vita nelle sue più complicate forme, tutti i sentimenti

240 Purg., XVIII, 34-36.


241 Ibid., 70-72.

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