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ETEROTOPIE

N. 202

Collana diretta da Salvo Vaccaro e Pierre Dalla


Vigna

COMITATO SCIENTIFICO
Pierandrea Amato (Università degli Studi di Messina)
Antonio Caronia (NABA)
Pierre Dalla Vigna (Università degli Studi “Insubria”,
Varese)
Giuseppe Di Giacomo (Università di Roma La Sa-
pienza)
Maurizio Guerri (Università degli Studi di Milano)
Salvo Vaccaro (Università degli Studi di Palermo)
José Luis Villacañas Berlanga (Universidad Complu-
tense de Madrid)
GIUSEPPE RACITI

HO VISTO JÜNGER
NEL CAUCASO
Jonathan Littell, Max Aue e Ernst Jünger

MIMESIS
Eterotopie
Questo volume è pubblicato con il contributo del Diparti-
mento di Scienze Umanistiche dell’Università degli Studi
di Catania.

© 2013– MIMESIS EDIZIONI (Milano – Udine)


Collana: Eterotopie n. 202
Isbn: 9788857517711
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INDICE

HO VISTO JÜNGER NEL CAUCASO 9

UN EPILOGO 107

APPENDICE
CHE COSA LE HA DETTO PROMETEO NEL CAUCASO?
Uno scambio epistolare
tra Ernst Jünger e Carl Schmitt 111
Son roman… deviendra un classique, on
l’enseignera dans les classes, on en interro-
gera sans fin les prolongements philosophi-
ques, les implications morales.
(Daniel Bougnoux)

Ce deinon, Oreste l’a vu face à face.


(Jean-Louis Backès)

…terrible, but not terrible in a bad way


(Jonathan Franzen)
9

HO VISTO JÜNGER
NEL CAUCASO

«Talvolta deinon è propizio»1. Max Aue, voce


narrante delle Benevole/Eumenidi, può ben dirlo.
Gli capita di rimettere quello che mangia, è vero,
ma è «un vecchio problema, risale alla guerra»2. Per
chi ha traversato l’inferno russo3 (da ufficiale del Si-
cherheitsdienst sul fronte orientale) – per chi si è tro-
vato al centro della “guerra assoluta”4 —, è poca cosa.
Ora dirige una fabbrica di céliniani merletti e a suo
modo è vivo, e scrive.
Ma quando scrive?

1 Eumenidi, 517: ΄οπου ο ο υ.


2 J. Littell, Le Benevole, tr. it. di M. Botto, Torino, 2008,
p. 9; Id., Les Bienveillantes, Parigi, 2006, p. 15 (d’ora in
avanti si citeranno i due testi risp. con A e B seguiti dal
numero di pagina).
3 J. Grethlein, Littells Orestie. Mythos, Macht und Moral
in Les Bienveillantes, Friburgo in Brisgovia, 2009, p. 57:
«[...] il soggiorno di Aue a Stalingrado [è] un descensus
ad inferos [Höllenfahrt]».
4 Giusta l’espressione di Ch. Bellamy, Guerra assoluta. La
Russia sovietica nella seconda guerra mondiale [2007],
tr. it. di S. Mobiglia, Torino, 2010; a p. 41 si ribadisce il
concetto in termini icastici: «Se volete capire la guerra,
studiate questa».
10 Ho visto Jünger nel Caucaso

Se, per es., si fa coincidere l’“ora” con l’anno di


uscita del romanzo, Max Aue, che è nato il 10 ottobre
1913 (Littell è nato il 10 ottobre 19675), ha novantatré
anni. Un dato nient’affatto allarmante e per così dire
fisiologico in ambito nazi, se è vero che Ernst Jün-
ger, di cui Aue conosce bene le opere, «in particolare
l’Operaio»6, scrive Die Schere nel 1990, a novantacin-
que anni, e data l’ultima nota di diario al 15 dicembre
1995, o sia a cent’anni compiuti7.
Il titolo del libro è enigmatico come il genere let-
terario a cui fa diretto riferimento, la tragedia greca.
A segno che potrebbe essere fatica sprecata recupe-
rare tutti i parallelismi con il plot eschileo. In effetti
lo schema moderno aderisce a quello greco fino a un
certo punto. Verosimilmente, Aue uccide la madre e il
patrigno durante un breve soggiorno a Saint Jean Cap
Ferrat, ma la scena del duplice delitto ondeggia come
un’allucinazione a occhi aperti. La sola certezza, in
questa rappresentazione moderna, è che il nostro giu-
dizio risulta fin dall’inizio condizionato dalla potenza
persuasiva del grande mito degli Atridi8. Il ragiona-

5 C’è almeno un’altra importante convergenza biografica da


registrare: il curriculum studiorum attribuito a Max Aue è,
nella sostanza, quello di Littell: «[...] ho passato dieci anni
della mia infanzia in Francia, vi ho fatto le scuole medie, il
liceo, i corsi preparatori all’università [...]» (A 12, B 18).
6 A 299, B 288.
7 E. Jünger, Siebzig verweht V, Stoccarda, 1997, pp. 203-
204.
8 Questo aspetto è messo in luce da F. Mercier-Leca, Die
Wohlgesinnten und die griechische Tragödie. Eine maka-
Giuseppe Raciti 11

mento è sillogistico: se Aue è Oreste, Aue ha “ucci-


so” sua madre. A conti fatti, però, questo matricidio
sembra avere la stessa consistenza del concomitante
uxoricidio. Aue accusa la madre di avere “ucciso” il
marito, ma l’atto è consumato solo in effigie: a otto
anni dalla scomparsa nell’odissea dei Freikorps lei lo
dichiara morto, lo assassina letteralmente «a colpi di
documenti»9 e si risposa con un francese conosciuto
a Kiel10. Il suo nome è Moreau, «comme le héros de
l’Éducation sentimentale, l’un des romans de prédi-
lection de Aue»11. E qui, con ogni evidenza, l’intrec-
cio delle rispondenze procede per opposti speculari: il
nuovo Egisto porta lo stesso nome dell’eroe prediletto.
La maniera freudiana di trattare la materia mitica la-
scia tracce ancora evidenti.

bre Wiederaufnahme der Orestie des Aischylos, in Aa.Vv.,


Die Wohlgesinnten. Marginalienband, Berlino, 2008, pp.
72-93, p. 80.
9 A 510, B 487.
10 A Kiel, nello Schleswig-Holstein, studia e si forma una
delle fonti dichiarate di Littell: Klaus Theweleit, autore
del libro Fantasie virili. Donne Flussi Corpi Storia [1977-
1978], tr. it. di G. Cospito, Milano, 1997 (l’ed. italiana
traduce solo il primo dei due voll. del testo originale). Nel
saggio Le sec et l’humide. Une brève incursion en terri-
toire fasciste, Parigi, 2008, p. 25, Littell definisce il libro
di Theweleit «brillant, polymorphe, insaisissable».
11 M. Lemonier, Les Bienveillantes décryptées, Parigi, 2007,
p. 34. Moreau, inoltre, si chiama Aristide, che è quasi l’a-
nagramma di Atrides (cfr. F. Mercier-Leca, Die Wohlge-
sinnten und die griechischen Tragödie, cit., p. 75).
12 Ho visto Jünger nel Caucaso

Aue ama carnalmente Una, la sorella gemella. Il


passaggio scabro e diretto dalla sfera sororale a quel-
la carnale è un altro segno dei tempi. Una, poniamo,
è Elettra, ma Aue non è “solo” Oreste. Il ciceroniano
(e poi dantesco) Ego sum Orestes convive qui con il
furor teutonicus, a patto, però, di non trascurare un
dato storico oggettivo, o sia che negli anni della Gran-
de Guerra la Germania poteva vantare «il più consi-
stente movimento di emancipazione omosessuale in
Europa»12. Così il quindicenne Max partecipa alla
messinscena scolastica della tragedia di Sofocle13 nel
ruolo della protagonista – un ruolo doppiamente fem-
minile, perché si tratta di impersonare a un tempo la
sorella di Oreste e la sorella gemella, l’una nell’altra:

Indossavo una lunga veste bianca, sandali, e una par-


rucca nera con i riccioli che mi danzavano sulle spalle:
quando mi guardai allo specchio, mi parve di vedere
Una e fui sul punto di svenire14.

L’erotismo che contrassegna questo rapporto ge-


mellare “mobilita” in profondità i ruoli dei due fra-
telli, che pertanto non sono mai fissi e univoci. Per in-

12 M. Eksteins, Rites of Spring. The Great War and the Birth


of the Modern Age, Londra, 1989, p. 125.
13 Sofocle, non Eschilo. Come rileva ancora F. Mercier-
Leca, Die Wohlgesinnten und die griechischen Tragödie,
cit., p. 76, Littell non cita mai Eschilo; il fatto è singolare
dal momento che nel plot di Sofocle c’è una variante de-
cisiva: Oreste non è inseguito dalle Erinni.
14 A 398-399, B 380-381.
Giuseppe Raciti 13

tenderci su questo punto delicato, bisogna far ricorso


in via preliminare ad alcuni concetti della prima fase
della speculazione jüngeriana. Max e Una sono “tipi”,
non individui; questo significa che la loro «singolari-
tà» non è «insostituibile, ma, giusto al contrario, as-
solutamente sostituibile»15. I tipi si agganciano gli uni
agli altri come “pezzi” di un ingranaggio e concorrono
con pari efficienza al risultato “totale”. «Lo speciale
[speziell] carattere di lavoro», scrive a questo propo-
sito Jünger, «è il modo in cui la forma dell’Operaio
manifesta i suoi compiti organizzativi – il modo in cui
essa ordina e differenzia il patrimonio vivente»16. Con
ciò si vuol dire che la specializzazione è subentrata
all’individuazione. Lo specialista ha preso il posto
dell’individuo e ne riproduce le caratteristiche in for-
ma paradossale: la sua fisonomia è tanto più precisa
e riconoscibile, in quanto fin dall’inizio è predisposta
all’eventualità di una sostituzione. In un appunto del
seminario del 1940 dedicato all’Arbeiter, Heidegger
getta una lama di luce diaccia sul senso da attribuire al
passo jüngeriano:

Adesione – “specializzata” (S.A., S.S.) – al carattere


totale del lavoro – organizzazione del patrimonio uma-
no17.

15 E. Jünger, Der Arbeiter. Herrschaft und Gestalt [1932], in


Id., Sämtliche Werke, Stoccarda, 1978 ss., vol. 8, sez. II,
p. 155.
16 Ibid., p. 123.
17 M. Heidegger, Zu Ernst Jünger, in Id., Gesamtausgabe, a
cura di P. Trawny, Francoforte s.M., 2004, vol. 90, p. 193.
14 Ho visto Jünger nel Caucaso

In qualità di gemello e come membro delle Schutz-


staffeln, Max Aue presenta una perfetta conformità
genetica e militare alle funzioni tipologiche richieste
dal nuovo contesto bellico. Ma c’è un altro aspetto
da considerare. Secondo Jünger, la rinuncia ai con-
trassegni dell’unicità e dell’individualità «schiude
l’accesso a spazi, la cui cognizione è stata da tempo
dimenticata»18. Jünger allude qui alla condizione uma-
na descritta nei miti, una condizione come quella che
fa da sfondo, nello stesso torno d’anni, alla tetralogia

18 E. Jünger, Der Arbeiter, cit., p. 239, e poco prima (p. 234):


«La rinuncia all‘individualità si presenta in termini di de-
pauperamento [Verarmung] solo all’individuo; in essa
egli riconosce la morte. Il Tipo vi scorge invece la chiave
d’accesso a un altro mondo [...]». Il commento più accon-
cio a questo passo trova ricetto in un testo di Marx: «La
morte appare come una dura vittoria del genere [Gattung]
sull’individuo determinato [...]» (Ökonomisch-philoso-
phische Manuskripte [1844], a cura di M. Quante, Fran-
coforte s.M., 2009, p. 120). Marx, è noto, oppone all’in-
dividuo il Gattungswesen, cioè l’“essere generico”. Sulle
possibili convergenze concettuali e politiche tra il Tipo
jüngeriano e l’essere generico marxiano, cfr. J. Tralau,
Menschendämmerung. Karl Marx, Ernst Jünger und der
Untergang des Selbst [2002], Monaco, 2005. Uno schizzo
genetico del Gattungswesen è nello studio di G. Dicke,
Der Identitätsgedanke bei Feuerbach und Marx, Colonia,
1960, p. 70: «Questo concetto feuerbachiano costituisce il
passaggio immediato dallo spirito assoluto di Hegel alla
società senza classi di Marx, e ciò malgrado la polemica
di Marx a Feuerbach, che è rivolta in modo particolare ai
residui idealistici che affettano la sua rappresentazione del
“genere”».
Giuseppe Raciti 15

biblica di Thomas Mann19. In essa viene rievocato un


tempo nel quale l’individuo «sapeva chi era»20 non
in base alla sua irripetibile unicità, ma in virtù della
capacità di ripetere, «in guisa solenne», la forza evo-
cativa di «un modello [Muster]»21. La qualità del tipo
consiste così «nel mettere in causa non soltanto degli
uomini, ma delle forze»22. Questo presuppone una par-
ticolare struttura interiore o addirittura, se così si può
dire, non ne presuppone alcuna. L’inizio della psico-
logia, sentenzia György Lukács, coincide con «la fine
della monumentalità»23.
Ma l’individualità occidentale si forma in aperta
violazione di ogni istanza modellare e si attesta pro-
gressivamente come un patrimonio inalienabile24.

19 Il primo episodio della tetralogia – Die Geschichten Ja-


acobs – esce nel 1933. Mann lavora allo Joseph-Roman
dalla fine del 1926 all’inizio del 1943.
20 Th. Mann, Freud und die Zukunft [1936], in Id., Adel des
Geistes. Zwanzig Versuche zum Problem der Humanität
[1945], Berlino, 1965, p. 516.
21 Ibid., p. 518.
22 M. Blanchot, Une oeuvre d’Ernst Jünger, in Id., Faux pas
[1943], Parigi, 2004, p. 287.
23 G. Lukács, Sören Kierkegaard und Regina Olsen, in Id.,
Die Seele und die Formen. Essays, Berlino, 1911, p. 85.
24 Su questo tema la letteratura è prevedibilmente sconfina-
ta; a titolo puramente indicativo vanno citati almeno due
lavori: lo studio di C. Morris, The Discovery of the Indivi-
dual, 1050-1200 [1972], Toronto, 2000, e il grande saggio
di I. Illich, Nella vigna del testo. Per una etologia della
lettura [1991], tr. it. di A. Serra e D. Barbone, Milano,
1994.
16 Ho visto Jünger nel Caucaso

Rispetto a questa linea maestra il fenomeno della ge-


mellarità rappresenta un’insidia: il raddoppiamento
dell’unicità v’insinua infatti il veleno della serializza-
zione. In questo senso, la gemellarità costituisce una
premessa tipologica. I gemelli, come i “tipi”, tradisco-
no una «mancanza di differenziazione psichica»25. Si
può supporre che gli uni e gli altri non dispongano di
una vera e propria psicologia e surroghino questo defi-
cit attingendo al vasto repertorio della mitologia clas-
sica. È la visione di Littell. Nelle Benevole la gemella-
rità si manifesta sotto il segno ambiguo o policentrico
del mito. Con un movimento simultaneo, il policen-
trismo del mito si trasforma nel pantheon degradato
che prende corpo sul fronte orientale. Verosimilmente
il quadro caotico che ne deriva è ispirato alle note ana-
lisi di Franz Neumann sulla policrazia nazionalsociali-
sta26. Ma secondo un’indicazione dello stesso Littell27,
il filtro principale da cui passano le tesi di Neumann e
del suo allievo Raul Hilberg è l’opera di Ian Kershaw.
È in effetti Kershaw a individuare nel cuore dell’or-
ganizzazione nazionalsocialista «uno stato di anarchia
amministrativa ed economica»28. In particolare, Ker-

25 E. Jünger, Der Arbeiter, cit., p. 233.


26 F. Neumann, Behemoth. Struttura e pratica del nazional-
socialismo [1942], a cura di M. Baccianini, con una intr.
di E. Collotti, Milano, 2007.
27 J. Littell e P. Nora, Gespräch über die Geschichte und den
Roman, in Aa.Vv., Die Wohlgesinnten, cit., p. 43: «Ker-
shaw descrive il sistema nazionalsocialista come una bu-
rocrazia, che viene magnetizzata da un capo carismatico».
28 I. Kershaw, Hitler 1936-1945 [1990], tr. it. di A. Catania,
Giuseppe Raciti 17

shaw sostiene che i vertici militari non agivano sotto


la pressione diretta del capo, ma seguivano «il proprio
programma, lavorando allo stesso tempo “incontro al
Führer”»29. «Il partito nazionalsocialista, spiega Neu-
mann, è soprattutto un enorme apparato burocratico»30.
Grazie all’azione di questo apparato, «i rapporti umani
[…] divengono rapporti mediati», o sia rapporti gestiti
da una pletora di funzionari che «dettano autoritaria-
mente agli uomini il loro comportamento»31. Lo stesso
Jünger, con riferimento alla complessa situazione in-
terna alla Francia occupata, abbozza un quadro sostan-
zialmente affine:

Gli interessi si incrociavano o addirittura procedeva-


no in direzione contraria. Ne sortiva un sistema di uffi-
ciali di collegamento, di trattative e sovrapposizioni, e
spesso anche di ripiegamenti32.

«Il problema sta tutto lì» conclude perciò Werner


Best, giurista del Sicherheitsdienst e ammiratore di
Jünger33, «finché il Führer non interviene personal-

Milano, 2001, p. 28.


29 Ibid., p. 12.
30 F. Neumann, Behemoth, cit., p. 408.
31 Ibid., p. 402.
32 E. Jünger, Jahre der Okkupation, 1958, p. 177, in data 24
settembre 1945.
33 A 455, B 435: «Quello che conta, – dichiarava [Best], ci-
tando Jünger, che leggeva avidamente, – non è ciò per cui
ci si batte, ma come ci si batte». La citazione, assai nota,
viene dal saggio Der Kampf als inneres Erlebnis [1922]
(cfr. E. Jünger, Sämtliche Werke, cit., vol. 7, sez. II, p. 74:
18 Ho visto Jünger nel Caucaso

mente, ognuno porta avanti la propria politica perso-


nale. Il n’y a aucune vue d’ensemble […]»34.

Malgrado il contesto fortemente burocratizzato e


militarizzato, il nome di Una risveglia un’altra fonte
squisitamente letteraria. È un remoto racconto di Edgar
Allan Poe, intitolato The Colloquy of Monos and Una
(1841). C’è motivo di credere che questo sofisticato
riferimento intertestuale contenga qualcosa di più del
semplice richiamo a «un’altra coppia incestuosa»35.
La singolare esperienza post mortem di Monos, l’a-
mante di Una, presenta qualche interessante analogia
sia con il delirio onanistico e incestuoso in cui Aue

«Nicht wofür wir kämpfen ist das Wesentliche, sondern


wie wir kämpfen»). L’amicizia tra Best e Jünger rimonta
al 1925 (cfr. D. Venner, Histoire de la Collaboration, Pa-
rigi, 2000, p. 148). Secondo A. Mitchell, The Devil’s Cap-
tain. Ernst Jünger in Nazi Paris, 1941-1944, New York-
Oxford, 2011, pp. 18-19, Werner Best (1903-1989) è
l’ufficiale dell’MBF (Militärbefehlshaber in Frankreich)
che renderà possibile il distaccamento di Jünger presso
il quartier generale delle forze di occupazione tedesche a
Parigi (Hotel Majestic). Best completerà la carriera come
plenipotenziario del Reich in Danimarca e diligente ese-
cutore del programma di sterminio degli ebrei danesi.
34 A 459, B 438.
35 Cfr. G. Nivat, Le Bienveillantes et les classiques russes,
in «Le débat», 2007 (144), pp. 55-65, p. 60: «[...] un nom
qui vient d’un autre couple incestueux, Monos et Una
d’Edgar Poe».
Giuseppe Raciti 19

sprofonda una volta varcata la soglia della villa della


sorella in Pomerania36 – un delirio in cui si può ben
dire, con Hegel, che «non v’è membro che non sia
ebbro»37 —, sia con la deriva policratica che affetta (e
infetta) la forsennata conduzione tedesca della “guerra
totale”38.

36 Riassumiamo i fatti a beneficio del lettore: Aue è ferito


gravemente a Stalingrado e rimpatriato in extremis; du-
rante la lunga degenza la situazione a Berlino precipita.
Tornato nella capitale, rimane contuso nel corso di un raid
alleato. Ha bisogno di riposo e concepisce la strana idea
di trascorrere la licenza in Pomerania, nella casa che Una
divide col marito von Üxkül; sicché punta di nuovo a est,
via Stettino, oltre l’Oder. Al suo arrivo la casa è disabi-
tata. I Russi incombono; arriveranno tra settimane, forse
giorni. Decide comunque di restare. Inizia il penultimo
capitolo (Air), in cui si respira fin dall’inizio un’atmosfera
ad alto tasso dionisiaco (A 871, B 825): «Venuto il giorno,
sempre nudo, […] andai a esplorare quella grande casa
fredda e scura. Essa s’apriva intorno al mio corpo elettriz-
zato, con la pelle bianca e accapponata dal freddo, aussi
sensible sur toute sa surface que ma verge raidie ou mon
anus qui picotait. Era un invito ai peggiori eccessi [...]».
37 Cfr. Die Phänomenologie des Geistes [1807], a cura di H.-
F. Wessels e H. Clairmont, con una intr. di W. Bonsiepen,
Amburgo, 1988, p. 35.
38 È la nota formola usata dal feldmaresciallo Erich von Lu-
dendorff: Der totale Krieg, Monaco, 1935 (cfr. Ch. Bel-
lamy, Guerra assoluta, cit., p. 42), ma le radici del concet-
to sono già nel Vom Kriege [1832] di Carl von Clausewitz
e nel celebre saggio di Ernst Jünger, Die totale Mobilma-
chung [1930]. Su questo tema, cfr. M. Eksteins, Rites of
Spring, cit., pp. 219 ss.
20 Ho visto Jünger nel Caucaso

Monos attribuisce alla morte una profonda rivolu-


zione del sistema percettivo. Dopo l’abbandono della
vita, l’intelletto e i suoi diretti emissari sono destituiti
dalle rispettive funzioni di comando. Si determina così
un “vuoto di potere” assai propizio per la comparsa di
nuovi soggetti. Sono ora i sensi a dominare la scena
incontrastati, ma come gerarchi di un regime al tra-
monto. Mentre cuore e polmoni, vale a dire gli organi
vitali per eccellenza, sono stretti al silenzio dalla mor-
te, «i sensi erano alacri più del consueto, ma in modo
bizzarro, e ciascuno a caso faceva proprie le funzioni
di altro senso»39. È la rappresentazione della policrazia
ex parte subjecti. Il conflitto tra le sezioni delle SS (an-
zitutto Sicherheitsdienst e Sicherheitspolizei, con i ri-
spettivi Einsatzgruppen) da un lato e i livelli operativi
della Wehrmacht dall’altro, riproducono il fenomeno
ex parte objecti.
Born again?40 chiede Una all’inizio del racconto di
Poe. La domanda è rivolta a Monos, ma potrebbe ac-
conciarsi altrettanto bene al protagonista delle Bene-
vole. A ben vedere, infatti, la grave ferita alla testa su-
bita a Stalingrado («[...] quell’occhio pineale innestato
nella mia testa da un cecchino russo»41) è all’origine di
una rivoluzione sensoriale per certi versi compatibile

39 E.A. Poe, The Colloquy of Monos and Una, in Id., Col-


lected Works. Stories and Poems, San Diego (CA), 2009,
p. 582; tr. it. Colloquio di Monos e Una, a cura di G. Man-
ganelli, in Id., I racconti, Torino, 1983, vol. 2, p. 409.
40 Ibid., p. 580; tr. it. cit., p. 403.
41 A 870, B 824.
Giuseppe Raciti 21

con quella descritta da Monos. Spetta al capitolo Air –


forse il più controverso, certo il più anomalo e pertur-
bante («quasi un corpo a se stante»42) – dispiegare in
un climax a tratti insostenibile il delirio “burocratico”
dei sensi dopo la morte dell’istanza ordinatrice, cioè
l’intelletto.
Nel racconto di Monos la rivoluzione del sensorio
si concentra particolarmente sul senso del tatto, come
dire sul più “materiale” dei sensi. «Il tatto aveva su-
bito una trasformazione più specifica. Accoglieva con
lentezza le impressioni, ma le tratteneva ostinatamen-
te, così che offrivano sempre il massimo diletto fisico
[the highest physical pleasure]»43. Poe insiste su que-
sto punto:

Ho detto diletto dei sensi [sensual delight]. Ogni


percezione era dovuta esclusivamente ai sensi [All my
perceptions were purely sensual]. Quella materia che i
sensi trasmettevano al cervello passivo in nessun modo
acquistava forma grazie al mio morto intelletto. Soffe-
renza ve n’era, poca; molto piacere; in nessun caso do-
lore o piacere dello spirito [of moral pain or pleasure
none at all]44.

Com’è prevedibile, anche nel delirio sensuale di


Max Aue non c’è traccia di moral pain or pleasure.

42 Cfr. J. Littell e P. Nora, Gespräch über die Geschichte und


den Roman, cit., p. 54.
43 E.A. Poe, The Colloquy of Monos and Una, cit., p. 583; tr.
it. cit., p. 410.
44 Ibid., versione modificata.
22 Ho visto Jünger nel Caucaso

Il dato appare tuttavia meno scontato se letto alla luce


“innaturale” del testo di Poe. Occorre per prima cosa
restituire la categoria della sensuality al suo contesto
più appropriato, che Poe colloca ora nell’“esperienza”
post mortem. Questa, s’intende, è una formulazione
paradossale, giacché la morte, nel senso più elementare
del termine, segna la fine di ogni esperienza. Ma l’im-
pressionante massa di cadaveri che da un capo all’altro
delle Benevole circonda da presso e infine schiaccia la
“vita” di Aue, insinua il sospetto che queste sterminate
“confessioni” siano state effettivamente dettate, come
suggerisce l’epigrafe generale, pour les morts. Il testo,
cioè, traccia una linea di confine e circoscrive un altro
mondo, altrettanto reale, ma sostanzialmente diver-
so dal mondo dei vivi. Il segno più vistoso di questa
“differenza ontologica” non è l’inaudita violenza o la
degenerazione totalitaria della politica, ma la sensua-
lità. L’idea paradossale di Poe consiste nell’intende-
re la sensualità non come l’effetto del vitalismo, ma
come il prodotto e la manifestazione dell’insensibilità.
L’insensibilità di Max Aue si manifesta attraverso il
più ricco repertorio erotico (onanismo, incesto, omo-
erotismo). Si tratta in definitiva dello stesso argo-
mento utilizzato da Adorno per stagliare la differenza
tra due livelli percettivi ordinariamente indistinti, il
livello della sensibilità e quello della sensualità: «Il
kantiano Schiller è […] meno sensibile e più sensuale
di Goethe: tanto più astratto, quanto più incline alla
sessualità [der Sexualität verfallener]»45. All’origine

45 Th.W. Adorno, Minima moralia. Meditazioni della vita


Giuseppe Raciti 23

di questa astrazione c’è il nesso che mette in rapporto


l’erotismo all’«idée de la mort»46, onde l’uno e l’al-
tra – e nel modo più radicale («plus que toute autre
chose»47) – distanziano l’uomo dal mondo animale48.
Fatalmente, tale distanza segna la più intensa familia-
rità con la morte. Con le parole di Hegel: l’uomo è
il solo animale a esercitare «la facoltà della morte»49.
Spetta ancora a Adorno trarre da questo assunto le de-
bite conclusioni: «Qualcosa di questa brutalità sessua-
le [sexuell], di questa incapacità di distinguere, vive
anche nei grandi sistemi dell’idealismo speculativo
[...] e congiunge indissolubilmente lo spirito tedesco
alla barbarie tedesca»50. – Spirito e barbarie stanno tra
loro come tragedia e assassinio.

offesa [1951], tr. it. di R. Solmi, Torino, 1994, p. 97; Id.,


Minima moralia. Reflexionen aus dem beschädigten Le-
ben, in Id., Gesammelte Schriften, a cura di R. Tiedemann,
con la collaborazione di G. Adorno, S. Buck-Morss e K.
Schultz, Francoforte s.M., 2003, vol. 4, p. 100. Cade in
taglio, forse, anche una remota pagina russoviana, in cui si
attribuisce alla Signora de Warens «un caractère sensible
et un tempérament froid» (Les Confessions, a cura di B.
Gagnebin e M. Raymond, con una pref. di J.-B. Pontalis,
Parigi, 2004, p. 258).
46 B 810, A 855.
47 Ibid.
48 A 855, B 810.
49 G.W.F. Hegel, Über die wissenschaftlichen Be-
handlungsarten des Naturrechts, seine Stelle in der
praktischen Philosophie und sein Verhältnis zu den posi-
tiven Rechtswis-senschaften [1802-1803], in Id., Werke in
20 Bänden, Francoforte s.M., 1986, vol. 2, p. 576.
50 Th.W. Adorno, Minima moralia, cit. (versione appena
24 Ho visto Jünger nel Caucaso

La tragedia “si dice in molti modi”. Poe fa riferi-


mento alla tragedia mediante un’epigrafe dall’Anti-
gone di Sofocle: ο α αυ α51. In alcune edizioni
del Colloquio di Monos e Una l’epigrafe è recata in
inglese: These things are in the future. Questo riferi-
mento al senso del futuro tocca il lato politico del testo
di Poe, il cui svolgimento si avvale dei concetti carat-
teristici della filosofia della storia. Così, per es., nel
resoconto che Monos rivolge all’amata circa la prece-
dente condizione terrena (essi sono ora due spiriti), si
delineano gli stessi temi che Oswald Spengler avrebbe
canonizzato oltre mezzo secolo dopo nel Tramonto
dell’Occidente (1918-1922) – anzitutto il tema della
decadenza della civiltà a causa degli effetti patologici
del razionalismo tecnologico:

L’artificio [Art], gli artifici della tecnica [the Arts]


ascesero supremi e, una volta saldi sul trono, avvolsero
in catena l’intelletto che li aveva portati al potere52.

Non manca il richiamo alla “senilità” che contrasse-


gna lo stadio più avanzato della civilizzazione: «Fiac-
cato dalle intemperanze della conoscenza, il mondo
conobbe una vecchiaia precoce»53. Lo schema filoso-
fico-storico, corredato degli indispensabili strumenti

modificata), p. 97; Id., Minima moralia, cit., p. 100.


51 Antigone, 1334.
52 E.A. Poe, The Colloquy of Monos and Una, cit., p. 581; tr.
it. cit., p. 406.
53 Ibid., p. 582; tr. it. cit., p. 407.
Giuseppe Raciti 25

comparativi, emerge in modo più esplicito qualche


riga più avanti:

Avevo gustato il presentimento del nostro destino


paragonando la Cina, semplice ed eterna [simple and
enduring], con l’Assiria dell’architettura, l’Egitto degli
astrologi, e la Nubia, la più ingegnosa, torbido grembo
di artifici [the turbulent mother of all Arts]. Nella storia
di queste terre incontrai un raggio che veniva dal futu-
ro54.

Il “raggio del futuro” non è la luce della speranza,


ma il presentimento della fine che incombe sui siste-
mi politici improntati al dominio della tecnica. Con
l’espressione “dominio della tecnica” indichiamo qui
la “civiltà” (Kultur) giunta alla sua fase apicale (Zivi-
lisation). Questa generalizzazione trae la sua ragione
interna dalle filosofie della storia elaborate nel clima
della rivoluzione conservatrice, ma fa riferimento an-
che all’uso, nel testo di Poe, del termine art, che riarti-
55
cola il campo semantico della parola greca . Sul

54 Ibid.,; tr. it. cit., pp. 407-408.


55 Più problematico è il cenno alla Nubia, mother of all
Arts. Possiamo ipotizzare un riferimento alla rivoluzione
tecnologica e spirituale che ebbe luogo nel secondo mil-
lennio a.C. con l’invenzione del carro da combattimento.
Spengler dedicò a questo evento un saggio smagliante:
Der Streitwagen und seine Bedeutung für den Gang der
Weltgeschichte [1934], in Id., Reden und Aufsätze, a cura
di H. Kornhardt, Monaco, 1937, pp. 148-152. In effetti, il
territorio della Nubia corrisponde grosso modo a quello
dell‘antica civiltà di Kush, che insieme al misterioso po-
26 Ho visto Jünger nel Caucaso

versante politico la Zivilisation coltiva «idee strava-


ganti», come «quella della uguaglianza universale»56.
Tale idea è contraddetta da tutto il mondo naturale,
in cui operano le «leggi della gradazione» [laws of
gradation]57, e persino da Dio; nondimeno essa si è im-
posta «dissennatamente», in nome di «una democrazia
tirannica» [an omni-prevalent Democracy]58.
Ritroviamo lo stesso tema al centro di un testo del
1849, l’anno della morte di Poe. A sottolineare il nesso
tra le due stories torna anche la citazione da Sofocle,
usata in questo caso come titolo (Mellonta tauta). Poe
immagina in chiave ironica un diario dell’anno 2848;
a tenerlo è Pundita, una viaggiatrice chiacchierona e
disinvolta, che si intrattiene su temi di filosofia e poli-
tica citando le opinioni del sapiente Pundit59. Venendo
a parlare in un punto dei progenitori degli Americani
(detti qui Amriccans), Pundita si esprime negli stessi
termini di Monos e osserva che costoro «partivano dal-
la più stravagante idea di questo mondo, o sia che tutti
gli uomini nascono liberi e uguali; e questo a dispetto

polo degli Hyksos fece uso in guerra del micidiale carro


da combattimento a due ruote. A questa rivoluzione tecni-
ca, come sottolinea Spengler, corrisponde un nuovo tipo
umano: «Ogni arma parla anche dello stile del combatten-
te e di rimando della visione del mondo di chi la usa» (Der
Streitwagen ecc., cit., p. 148).
56 E.A. Poe, The Colloquy of Monos and Una, cit., p. 581; tr.
it. cit., p. 406.
57 Ibid., versione modificata.
58 Ibid.
59 Esperto in testi sacri indù (sanscr. paṇḍit – “wise man”).
Giuseppe Raciti 27

della rigorosa gradazione [laws of gradation] che così


evidentemente contrassegna tutte le cose dell’univer-
so, morale e fisico»60. L’affermazione dell’uguaglian-
za tra gli uomini fa il paio con la «scoperta» del suf-
fragio universale, le cui conseguenze sono poste sotto
la luce più cruda:

Bastò riflettere un poco su tale scoperta per renderne


evidenti le conseguenze, e cioè che era inevitabile che le
canaglie dominassero; in una parola, un governo repub-
blicano non poteva non essere un governo di canaglie [a
republican government could never be any thing but a
rascally one]61.

Sussistono alcune innegabili affinità tra questo ge-


nere di poussée antidemocratiche e alcuni passaggi dei
dialoghi (reali e immaginari) tra Aue e la sorella o tra
Aue e Thomas Hauser, l’ufficiale del Sicherheitsdienst
che interviene a ogni svolta drammatica del plot e che
sul piano mitico può vestire i panni del fedele Pilade62.

60 E.A. Poe, Mellonta tauta, in Id., Collected Works. Stories


and Poems, cit., p. 527; tr. it. cit., vol. 3, p. 977.
61 Ibid.
62 A 58, B 60: «Una volta [...] portai [Thomas] al bistrò
dove trovai il gruppo di “Je suis partout”, presentandolo
come un compagno di università. “È il tuo Pilade?” mi
apostrofò sarcasticamente Brasillach in greco. “Proprio
così”, ribatté Thomas [...]. “E lui è il mio Oreste. Attenti
al potere dell’amicizia armata”» (Brasillach è ovviamente
Robert Brasillach, lo scrittore collaborazionista giustizia-
to nel 1945). Considerando la fine di Hauser, sparato a
bruciapelo dal “suo” Oreste, quest’ultima affermazione
28 Ho visto Jünger nel Caucaso

Un esempio di questi travasi di umori provenienti da


fonti opposte63, si ricava dalle parole che Aue attribu-
isce a Una la prima sera del soggiorno in Pomerania:

Uccidendo gli ebrei, – diceva, – abbiamo voluto uc-


cidere noi stessi, uccidere l’ebreo che è in noi, uccidere

suona persino comica. Ma il rapporto al mitico Pilade non


esaurisce tutte le potenzialità simboliche della figura di
Thomas. Osserviamo solo di passata che il nome Thomas
significa in ebraico “gemello”. Su questa misteriosa figura
evangelica (Tommaso è il gemello del Cristo, dunque il
gemello «assoluto») ha scritto pagine intense M. Tournier,
Le meteore [1975], trad. it. di M.L. Spaziani, Milano,
1979, pp. 103 ss. Il romanzo di Tournier, un grande autore
dimenticato, è una vasta e potente riflessione sul nesso
“metafisico” tra gemellarità e omosessualità.
63 La posizione “politica” di Poe mette capo alla denuncia
delle «“atrocità contro l’individuo” commesse dalla de-
mocrazia jacksoniana» (cfr. F. O. Matthiessen, Rinasci-
mento americano. Arte ed espressione nell’età di Emerson
e di Whitman [1941], a cura di F. Lucentini, Milano, 1961,
p. 618), laddove i teorici della rivoluzione conservatrice,
a cui Aue si sente culturalmente vicino, ascrivono proprio
alla democrazia parlamentare l’ipertrofia dell’individuali-
smo imprenditoriale e zivilisiert. Sono due posizioni dia-
metralmente opposte sul piano strategico, ma che spesso
risultano convergenti sul piano tattico. Come si ricava,
per es., da un passo di A. de Tocqueville: «Nelle socie-
tà democratiche ogni cittadino è abitualmente occupato a
contemplare un piccolissimo oggetto, ossia se stesso. […]
Non ha idee se non assai particolari [...] oppure nozioni
molto generali e molto vaghe: lo spazio intermedio è vuo-
to» (La democrazia in America [1835-1840], a cura di C.
Vivanti, tr. it. di A. Vivanti Salmon e I. Imbert Molina,
Torino, 2006, p. 534).
Giuseppe Raciti 29

quello che in noi somigliava all’idea che ci facciamo


dell’ebreo. Uccidere in noi il borghese panciuto che
conta i suoi soldi, che rincorre gli onori e sogna il po-
tere, ma un potere che si raffigura sotto l’aspetto di un
Napoleone III o di un banchiere, uccidere la moralità
meschina [étriquée] e rassicurante della borghesia, ucci-
dere l’economia [tuer l’économie], uccidere l’obbedien-
za, uccidere la servitù del Knecht, uccidere tutte quelle
belle virtù tedesche64.

La tirannia del “principio economico” è uno dei


motivi ricorrenti negli autori della rivoluzione conser-
vatrice. Lo ritroviamo al centro di Prussianesimo e so-
cialismo (1919-1920), di Oswald Spengler, e percorre
come una miccia incandescente le pagine dell’Arbei-
ter di Ernst Jünger. «Bisogna rendersi conto, scrive
Jünger, che esiste una dittatura del pensiero economi-
co in quanto tale, che comprende entro la sua cerchia
ogni possibile dittatura e la riduce alla sua portata»65.
Per Spengler il potere del profitto è riconducibile a una
matrice «autenticamente inglese» [echt englisch]66. In
termini più rozzi – è l’opinione dell’economista nazi
Otto Ohlendorf, riferita da Aue – il marxismo è «una
perversione ebraica di Hegel»67. Il marxismo, incalza
Spengler, è «il capitalismo della classe operaia»68. La

64 A 846 (versione lievemente modificata); B 801-802.


65 E. Jünger, Der Arbeiter, cit., p. 33.
66 O. Spengler, Preussentum und Sozialismus [1920], in Id.,
Politische Schriften, Mona-co, 1933, p. 80.
67 A 214, B 208.
68 O. Spengler, Preussentum und Sozialismus, cit., p. 80.
30 Ho visto Jünger nel Caucaso

sedicente dottrina socialista, si legge poco più avanti,


non riesce a spezzare in nessun punto il cerchio stregato
dell’interesse economico: «Marx vorrebbe sottrarre al
capitale il diritto di perseguire interessi privati, mentre
in realtà si limita a surrogarlo col diritto degli operai
di perseguire interessi privati»69. L’Operaio deve per-
tanto affrancarsi senza indugio dalla tirannia del profit-
to e proclamare la sua «dichiarazione d’indipendenza
[...] dal mondo dell’economia»70. Il programma politico
dell’Operaio jüngeriano coincide pertanto con il propo-
sito lucidamente enunciato dai gemelli Aue: tuer l’éco-
nomie. Ma non solo. Esso anticipa di qualche anno (e,
verosimilmente, ispira) un memorandum apparso nel
settembre del 1936, un documento «privo di titolo e di
firma»71, ma «redatto con ogni probabilità su suggeri-
mento di Göring»72. Vi si afferma che d’ora innanzi non
sarà più la nazione «a essere al servizio dell’economia»,
ma sarà «il mondo dell’economia e della finanza, con
i suoi capi e le sue teorie, a doversi mettere completa-
mente al servizio» della nazione73. Il memorandum del
1936 rappresenta per molti versi il manifesto dell’autar-
chia nazionalsocialista. Le sue fonti, dice lo storico Ian
Kershaw, sono da ricercare nel secondo libro del Mein
Kampf di Hitler (1926)74. Ma il quadro genetico sembra

69 Ibid.
70 E. Jünger, Der Arbeiter, cit., p. 35.
71 I. Kershaw, Hitler 1936-1945, cit., p. 23.
72 Ibid., p. 24.
73 Ibid., p. 25.
74 Ibid., pp. 24-26.
Giuseppe Raciti 31

in realtà più complesso. Le corrispondenze con alcu-


ni luoghi jüngeriani sono innegabili. Tra gli obiettivi
precipui dell’Arbeiter c’è infatti quello «di distrugge-
re la leggenda che fa della qualità economica la qua-
lità fondamentale dell’Operaio»75. La convinzione che
il fattore economico non fa parte delle forze in grado
di «determinare la vita»76 e la conseguente necessità
di negare la sua pretesa al rango di Schiksalsmacht, di
«potenza fatale»77, contano tra i compiti politici e teo-
rici più urgenti del tempo. Il lavoro non è una categoria
economica: esso, al contrario, «prevale imperiosamen-
te sull’intera compagine economica e vi esercita le sue
decisioni non una, ma mille volte»78. Tutto ciò suona
come una critica alle posizioni vettoriali del marxismo,
ma solo fino a un certo punto. Lo dimostra il caso di uno
studioso del calibro di Hugo Fischer, forse l’unico vero
“maestro” di Jünger79, che pubblica proprio nel 1932

75 E. Jünger, Der Arbeiter, cit., p. 32.


76 Ibid., p. 34.
77 Ibid.
78 Ibid., p. 94.
79 Cfr. A. Mohler, Er war Ernst Jüngers sagenhaften “Magi-
ster”, in «Die Welt», 1975 (109). Fischer ispira «la figura
di Nigromontanus, sorta di mago e mentore, che appare in
molti dei diari e dei romanzi di Jünger» (E.Y. Neaman, Ernst
Jünger and the Politics of Literature After Nazism, Berke-
ley-Los Angeles, 1999, p. 85). Sul ruolo di Hugo Fischer
nell’opera di Jünger cfr. l’importante saggio di B. Gajek,
Magister-Nigromontanus-Schwarzenberg: Ernst Jünger
und Hugo Fischer, in «Revue de littérature comparée» 71
(1997), pp. 475-500. Lo stesso Jünger ha schizzato un viva-
ce ritratto di Fischer in Ausgehend vom Brümmerhof. Alfred
32 Ho visto Jünger nel Caucaso

(l’anno dell’Arbeiter) un saggio su Marx in cui tocca a


più riprese la stessa problematica. Fischer esordisce con
queste parole:

Alla destra di Marx c’è l’economia, alla sua sinistra


c’è lo stato. Alla destra di Marx c’è il conservatorismo
degli interessi economici in conflitto, alla sua sinistra c’è
il radicalismo della politica pura80.

Il «“sistema” dell’economia privata capitalistica»


è inviolabile e metterlo in dubbio è come dubitare,
nel Medioevo, dell’esistenza di Dio: «è un attentato
al fondamento più sacro dell’ordine sociale»81. Così
per tutto il XIX secolo «la politica resta una funzio-
ne dell’economia»82. In questo senso, Marx rimane un
pensatore del suo tempo. «I limiti di Marx consistono
nel fatto che egli stesso non dispone di un rapporto pri-
mario con le altre potenze della vita [Lebensmächten],
o sia con le potenze che hanno ceduto alla deforma-
zione economica [dello stato]»83. Occorre allora riven-
dicare il primato della politica oltre le posizioni del

Toepfer zum 80. Geburtstag [1974], in Sämtliche Werke, cit.,


vol. 14, sez. II, pp. 103-104. Fischer è altresì all’origine del
lungo e problematico rapporto intellettuale tra Jünger e Carl
Schmitt (cfr. la nota finale a E. Jünger-C. Schmitt. Briefe
1930-1983, a cura di H. Kiesel, Stoccarda, 1999, in partico-
lare pp. 853-854).
80 H. Fischer, Karl Marx und sein Verhältnis zu Staat und
Wirtschaft, Jena, 1932, p. 1.
81 Ibid., p. 22.
82 Ibid., p. 1.
83 Ibid., p. 11.
Giuseppe Raciti 33

marxismo. Ancora nell’anno 1953, in piena guerra


fredda, Jünger riflette sulle ragioni politiche che han-
no reso possibile il patto tra nazisti e sovietici e sulle
ragioni economiche che ne hanno decretato il falli-
mento84. – «In fondo», insinua il prigioniero sovieti-
co Il’ja Semënovič Pravdin nel drammatico colloquio
con Aue, «entrambi ricusiamo l’homo oeconomicus
[...]»85.
Oggi fa un certo effetto constatare che un brillan-
te indagatore degli universi post-sovietici come Boris
Groys sintetizzi l’essenza del comunismo in termini
sostanzialmente compatibili con il programma politico
dell’Arbeiter. Sfogliando il suo Poscritto comunista ci
s’imbatte subito in questa affermazione programmati-
ca: «[...] per comunismo [intendo] il progetto di sotto-
mettere [unterstellen] l’economia alla politica, onde la
politica possa agire libera e sovrana»86. Dall’improv-

84 E. Jünger, Der Gordische Knoten, in Sämtliche Werke cit.,


vol. 7, sez. II, pp. 434-435.
85 A 383, B 365. Nella lettera di Jünger a Carl Schmitt del 27
dicembre 1942 (cfr. Appendice, pp. 113-114) il «dialogo tra
due funzionari intelligenti, uno tedesco e l’altro russo» è
ricondotto alla duplice natura del nichilismo, che dispone
di una radice asiatica e di una radice europea. Sotto questo
rispetto, il testo di Littell si configura come una stermina-
ta riflessione sul significato “totale” del nichilismo; — le
Bienveillantes integrano e portano a compimento la rifles-
sione heideggeriana sul nichilismo “europeo”.
86 B. Groys, Das kommunistische Postskriptum, Francoforte
s.M., 2006, p. 7. Ma va detto che Groys non fa che ripetere
alla lettera il programma di Lenin, il cui obiettivo prima-
rio è quello di foggiare la “coscienza politica” all’«ester-
34 Ho visto Jünger nel Caucaso

visa vicinanza tra questi due mondi sortisce una specie


di vertigine, ma è una sensazione passeggera, specie
per un lettore smaliziato come Aue. Giudicare Jünger
«un guerrafondaio che flirtava pericolosamente con il
bolscevismo» è piuttosto un segno inequivocabile di
filisteismo87.
Sappiamo che il cognato di Aue – il barone di
Üxkül, già comandante dei Freikorps e compositore
ostile al wagnerismo – è in rapporti epistolari con Jün-
ger88. Una informa il fratello di una lettera a Üxkül
in cui Jünger cenna al suo celebre scritto intitolato
alla pace89. «Ho visto Jünger nel Caucaso», è la re-
plica opaca di Aue, «ma non ho avuto occasione di
parlare con lui»90. Il rilievo, come sempre, non manca

no [ в ] della lotta economica» (cfr. V.I. Lenin, Che


fare? Problemi scottanti del nostro movimento [1902], tr.
it. di Clara e Vittorio Strada, Torino, 1971, p. 97; Id., Чт
лать?, testo originale russo al seguente indirizzo internet:
http://www.marxists.org/russkij/lenin/1902/ogl6.htm).
87 A 486, B 464.
88 A 844, B 800.
89 E. Jünger, Der Friede. Ein Wort an die Jugend Europas
und an die Jugend der Welt [1944-1945], in Id., Sämtliche
Werke, cit., vol. 7, sez. II, pp. 194-236. Com’è noto, il
testo circola dapprima presso cerchie assai ristrette della
Wehrmacht. Da una nota dei diari risulta che Jünger può
discutere i «tratti fondamentali» [Grundzüge] del testo fin
dagli inizi del 1942 (Das erste Pariser Tagebuch, cit., vol.
2, sez. I, p. 290, in data 13 gennaio 1942). Secondo O.
Schröter, “Es ist am Technischen viel Illusion”. Die Tech-
nik im Werk Ernst Jüngers, Berlino, 1993, p. 118, Jünger
lavora al manoscritto della Pace «dal 1941».
90 A 844, B 800.
Giuseppe Raciti 35

di attendibilità storica: Ernst Jünger fu effettivamen-


te comandato sul fronte orientale tra il novembre del
1942 e il gennaio dell’anno successivo. Il soggiorno è
raccontato con qualche particolare per noi interessante
in una sezione dei diari di guerra91. Nel plot Jünger
attraversa il febbrile contesto caucasico come una me-
teora di modeste dimensioni. Eppure è proprio lui, il
«celebre scrittore»92, di cui Aue conosce bene le opere,
«in particolare l’Operaio»93.
Aue è appena giunto alla stazione ferroviaria di
Vorošilovsk, già Stavropol’, in attesa dell’esperto in
questioni razziali proveniente da Berlino. La dotto-
ressa Weseloh ha fatto il viaggio in treno assieme a
Jünger, «si era ritrovata per caso nel suo scomparti-
mento a Krapotkin, e l’aveva subito riconosciuto»94. È
un’algida signora «dal lungo volto equino»95; la man-
da il Reichssicherheits-Hauptamt (RSHA) su richiesta
dell’Oberführer Bierkamp. Dietro la barocca com-
plessità della vicenda si cela il conflitto intestino tra i
membri del Sicherheitsdienst, la sezione delle SS a cui
appartiene Aue, e i comandi della Wehrmacht, tenden-
zialmente meno inclini ai dilemmi teorici e più attenti
agli sviluppi empirici del conflitto con i Sovietici96.

91 E. Jünger, Kaukasische Aufzeichnungen, in Id., Sämtliche


Werke, cit., vol. 2, sez. I, pp. 407-492.
92 A 299, B 287.
93 A 299, B 288.
94 Ibid.
95 Ibid.
96 Nel colloquio con lo scrittore R. Millet (Conversation
à Beyrouth, cit., p. 11), Littell distingue la componente
36 Ho visto Jünger nel Caucaso

«La Wehrmacht dimostrerà quello che vuole dimostra-


re» taglia corto Bierkamp, «è solo un ulteriore pretesto
per opporsi al lavoro della Sicherheitspolizei»97. Ma
in che cosa consiste questo lavoro? Anche se la posta
in gioco riguarda la vita di «sei o settemila»98 Bergju-
den o “ebrei di montagna”, la questione appare subi-
to del tutto trascurabile sotto il profilo umano. Il fatto
decisivo è un altro: dal punto di vista razziale non v’è
assoluta certezza “scientifica” circa l’effettiva appar-
tenenza dei Bergjuden al ceppo semitico. In partico-
lare, occorre capire se si tratta di Fremdkörper, cioè
di “corpi estranei” in seno alla compagine filo-nazista
delle tribù caucasiche, e come tali potenzialmente pe-
ricolosi per via dei possibili rapporti con la lotta par-
tigiana, o se invece costoro non sono dei veri ebrei,
non sono cioè razzialmente compromessi, e magari

prussiana in seno all’esercito hitleriano in termini squi-


sitamente “spengleriani”. I «Prussiani della Wehrmacht»
sono i «protestanti dell’Est, la classe dei “von”». I rap-
presentanti tipici delle SS, come Adolf Eichmann, pro-
vengono invece dalla piccola borghesia, sono cattolici
e prediligono la musica romantica (i Prussiani «amano
Bach»). Questa visione dei fatti è sostanzialmente ribadita
anche da A. Mitchell, The Devil’s Captain, cit., p. 65: «Per
l’MBF [Militärbefehlshaber in Frankreich] l’attività della
Gestapo era particolarmente preoccupante e incontrolla-
bile». Contro il solido “mito” della Wehrmacht “prussia-
na” è però da vedere il recente volume di S. Neitzel e H.
Welzer, Soldaten. Protokolle vom Kämpfen, Töten und
Sterben, Francoforte s.M., 2011.
97 A 284, B 273.
98 A 289, B 278.
Giuseppe Raciti 37

«se ne stanno tranquilli»99. Il punto è delicato perché


l’atteggiamento ostile degli ebrei, cioè l’atteggiamen-
to che impronta in modo caratteristico la loro cultu-
ra, sarebbe frutto, in questo contesto, di una precisa
direttrice razziale. Il piano della natura e quello del-
la cultura appaiono cioè del tutto solidali. La cultura
non serve a elevare o trasfigurare gli istinti della razza,
ma si limita a confermarli nell’elemento dello spirito.
La cultura, in altri parole, fornisce la più alta giusti-
ficazione della razza. La posizione espressa da Aue
in questa occasione è per noi degna di nota perché a
rigore non si colloca né sul piano culturale né su quel-
lo naturale o razziale. I due contendenti, Wehrmacht
e Sicherheitsdienst, si schierano rispettivamente da
un lato e dall’altro. La Wehrmacht riduce la portata
del pericolo a una questione “sovrastrutturale”, il Si-
cherheitsdienst fa dipendere l’ostilità potenziale del
gruppo dall’impronta razziale. Aue appoggia il punto
di vista della Wehrmacht senza tuttavia condividerlo.
Dichiara al momento insufficienti le prove a sostegno
dell’effettiva origine razziale dei Bergjuden e invoca
ulteriori approfondimenti. Frattanto, occorre sospen-
derne l’esecuzione.
Piuttosto che stabilire se i Bergjuden «sont juifs de
sang ou de culture»100, sembra più opportuno astrarre
dalle ragioni del sangue come da quelle della cultura
e porre il problema in termini più appropriati. Occor-

99 A 287, B 276.
100 Come ritiene G. Nivat, Le Bienveillantes et les classiques
russes, cit., p. 62.
38 Ho visto Jünger nel Caucaso

re cioè affermare, come fa lucidamente Martin Hei-


degger nel 1935, che la «filosofia del nazionalsociali-
smo», sempre che si voglia cogliere l’«interna verità
e grandezza [Größe] di questo movimento», consiste
nel modo in cui l’«uomo moderno incontra la tecni-
ca planetaria»101. La posizione di Aue si avvicina con
sufficiente approssimazione al fulcro della questione
hiedeggeriana. Nelle pagine del romanzo dedicate al
rapporto tra Aue e Albert Speer emerge con chiarez-
za il problema politico della “tecnica”. La conduzione
della guerra è un aspetto decisivo di questo problema
e la sua soluzione passa attraverso una consapevole
riarticolazione delle dinamiche del “lavoro”. Il mot-
to attribuito a Speer è del resto eloquente: «pas de
roulements à billes, pas de guerre»102. «In generale,
incalza Aue, la produttività di un detenuto poteva es-
sere espressa come una frazione percentuale di quel-
la di un lavoratore tedesco», ma a costi decisamente
più ridotti103. È «un modo di contribuire allo sforzo
bellico […] diversamente che con l’assassinio e la
distruzione»104. Questa intenzione produttiva appare
in sintonia con il «carattere di lavoro» che connota la
«forma dell’Operaio»105. Spetta a Thomas Hauser re-
plicare agli argomenti di Aue nel modo più insidioso.

101 M. Heidegger, Einführung in die Metaphysik, Tubinga,


1953, p. 152.
102 B 656, A 690.
103 A 620, B 590.
104 A 616, B 587.
105 E. Jünger, Der Arbeiter, cit., p. 123.
Giuseppe Raciti 39

La risposta del gemello “mitico” del Sicherheitsdienst


è ispirata a una visione della guerra al cui interno ope-
ra la pratica della dépense: gli ebrei sono

un popolo che non conosce la guerra. Un popolo che


sa solo accumulare, mai sperperare. A Kiev dicevi che
uccidere gli ebrei era uno spreco [gaspillage]. Ecco, ap-
punto, sprecando le loro vite come si lancia il riso a un
matrimonio, gli abbiamo insegnato la dépense, gli ab-
biamo insegnato la guerra106.

La conversazione di Kiev a cui fa riferimento Hau-


ser ruotava attorno al carattere “improduttivo” della
Endlösung. «Uccidere gli ebrei», sosteneva Aue,

[...] non serve a niente. […] Non è di alcuna utili-


tà politica o economica […]. Anzi, è una frattura con
il mondo dell’economia e della politica. È spreco, pura
perdita [c’est le gaspillage, la perte pure]107.

Il significato della Endlösung è dunque un altro;


non è politico e non è economico, almeno non nel sen-
so di un’economia basata sull’imperativo della com-
pensazione (la «dépense régulièrement compensée
par l’acquisition»108). Per Max Aue la Endlösung è
il «sacrificio definitivo», o sia l’atto estremo che «ci

106 A 702, B 667 (versione modificata: cade, nella resa italia-


na, ogni riferimento a G. Bataille, La notion de dépense
[1933], in Id., La Parte maudite, précédé de La notion de
dépense, con una intr. di J. Piel, Parigi, 2011, pp. 21-38).
107 A 139, B 137.
108 G. Bataille, La notion de dépense, cit., p. 24.
40 Ho visto Jünger nel Caucaso

impedisce una volta per tutte di tornare indietro»109.


Il massacro degli Ebrei fissa con ciò il punto di non
ritorno della civiltà occidentale: è la rottura definitiva
non solo con il suo passato storico, ma con la ragione
stessa della storia o con la ragione “nella” storia, per
usare una pregnante espressione di Hegel.
Il «sacrificio definitivo» mette in questione l’esi-
stenza stessa della Kultur “giudaico-cristiana”. Essa
infatti non ha alcun rapporto con la «forma dell’ope-
raio», proprio come l’«anima cristiana» non aveva
rapporti con le «antiche immagini degli dèi»110. Alla
distruzione dell’ultima Kultur storicamente attestata
– la nostra – fa seguito l’instaurazione di una costru-
zione distale, statica e definitiva, in cui viene meno la
«tensione [...] tra mondo organico e meccanico»111 e
dove è impossibile «qualunque forma di alienazione
nei confronti della natura»112. «Interiorità e esteriorità,
fenomeno e cosa in sé non sono più separati»113. La
tecnica «presiede all’intreccio dell’uomo e della na-
tura, cosicché l’uomo non riconosce alcuna differenza
tra sé e l’ambiente circostante, sia che si tratti di un
ambiente naturale ovvero meccanico [maschinell]»114.

109 A 139, B 137.


110 E. Jünger, Der Arbeiter, cit., p. 219.
111 Ibid., p. 231.
112 J. Tralau, Menschendämmerung, cit., p. 111.
113 H. Fischer, Karl Marx und sein Verhältnis zu Staat und
Wirtschaft, cit., pp. 39-40.
114 J. Tralau, Menschendämmerung, cit., p. 117. La tesi gene-
rale di Tralau, molto stimolante, è che i concetti di Tipo
e Gattungswesen (come dire Jünger e Marx) convergono
Giuseppe Raciti 41

Come vedremo, un fenomeno di questo genere si chia-


ma civilizzazione assoluta. Non si tratta, come pensa
Heidegger, del dominio tecnologico sulla natura, ma
della ri-naturalizzazione dell’uomo attraverso la tec-
nica.
Per molti versi la posizione di Jünger è affine a quel-
la espressa da Marx nei manoscritti parigini a propo-
sito del ruolo dell’industria in rapporto all’individuo.
L’industria è per Marx il lavoro stesso: «ogni attività
umana è stata finora lavoro ovvero industria»115. Nella
«storia dell’industria», cioè nella storia del lavoro (ol-
treché nel “lavoro della storia”), occorre riconoscere
«il libro aperto delle forze essenziali dell’uomo»116.
L’industria è con ciò «il nesso effettivo, cioè storica-

nella necessità di superare la condizione “alienata”, una


condizione che tuttavia garantisce l’individuo dalla sua
sparizione senza residui. L’uomo in tanto è individuo, in
quanto è alienato. La difesa delle prerogative individuali
importa l’assunzione in chiave positiva della condizione
alienata. La ricerca di F. Fischbach, Sans objet. Capitali-
sme, subjectivité, aliénation, Parigi, 2009, pp. 50 ss., per-
mette di osservare lo stesso fenomeno da una posizione
diversa (cioè marxista): «[...] pour comprendre l’aliéna-
tion comme la perte du sujet dans l’objectivité, il faut déjà
que l’homme soit compris et se comprenne comme sujet;
or, c’est en cela même que consiste l’aliénation véritable –
qui n’est donc pas la perte dans l’objectivité, mais la perte
de l’objectivité». In sintesi, l’alienazione è «la conception
d’eux-mêmes en tant que sujets» (ibid.).
115 K. Marx, Ökonomisch-philosophische Manuskripte, cit.,
p. 124.
116 Ibid.
42 Ho visto Jünger nel Caucaso

mente dato, che mette in rapporto la natura […] con


l’uomo»117. Mediante l’industria «l’uomo informa [ge-
staltet] la natura»118, egli dispone cioè di una naturalità
che in linea di principio non esclude né la tecnica né la
storia. L’uomo abita «la forma storica della natura [die
historische Gestalt der Natur]»119.
Le «forze essenziali dell’uomo», le forze che si
radicano nella natura umana, diventano sensibili,
cioè reali, solo attraverso il lavoro e la tecnica che
lo “informa” (o sia l’industria). L’industria ha infatti
il potere di «presentarci, in guisa sensibile, l’umana
psicologia»120. Questa psicologia “sensibile” è nel fat-
to una psicologia “tipologica”, perché considera l’in-
dividuo solo nel contesto del lavoro, e precisamente in
un contesto che per Marx, come per Jünger, esaurisce
l’ambito della realtà in quanto tale.
Tuttavia, se da un lato questo processo prepara l’«e-
mancipazione dell’uomo», dall’altro porta «a compi-
mento la sua disumanazione [Entmenschung]»121. An-
che qui, come prima nel nesso tra Tipo e forma, è in
gioco l’emancipazione dell’uomo dalla condizione di
individuo. Ma la caduta delle prerogative dell’indivi-
duo a favore del Gattungswesen122, cioè in funzione di

117 Ibid., p. 125.


118 G. Dicke, Der Identitätsgedanke bei Feuerbach und
Marx, cit., p. 157.
119 Ibid.
120 K. Marx, Ökonomisch-philosophische Manuskripte, cit.,
p. 124.
121 Ibid., p. 125.
122 Ibid., pp. 119-120: «Per quanto l’uomo sia un individuo
Giuseppe Raciti 43

un soggetto che non rappresenta se stesso ma la totali-


tà sociale, viene percepita come un attacco all’umanità
in generale e si presenta pertanto come Entmenschung.
È il problema teorico di Max Aue; è il problema prati-
co e organizzativo di Thomas Hauser.
Nel riprendere i temi della discussione di Kiev,
Hauser introduce una sfumatura importante. Suggeri-
sce di sostituire il concetto troppo vago di gaspillage,
enunciato da Aue, con quello di dépense, fissando in
tal modo un riferimento più preciso alle teorie elabo-
rate negli anni Trenta da Georges Bataille. I concetti
di gaspillage e dépense (che sono stati resi con “spre-
co” e “dispendio”), rimandano in effetti a due diverse
concezioni della produzione e del lavoro. Lo spreco,
in particolare, intrattiene un rapporto dialettico con la
categoria economica dell’“utile”. Lo spreco è in certo
modo l’altra faccia dell’utile, a segno che non ci sareb-
be spreco se non ci fosse «una misura comune»123, che
individua nel denaro l’«equivalenza calcolabile dei
differenti prodotti dell’attività collettiva»124. Il sogget-
to che opera in funzione dell’utile è solo l’elemento
costitutivo di un sistema omogeneo di equivalenze; è

particolare […] – nondimeno, egli è la totalità, la totalità


ideale, e incarna il modo soggettivo di pensare e sentire la
società [...]»; p. 89: «L’uomo è un essere generico [Gat-
tungswesen] […] in quanto si rapporta a se stesso come a
un essere universale e per ciò stesso libero». Libero, s’in-
tende, dalla condizione individuale.
123 G. Bataille, La structure psychologique du fascisme
[1933], Clamecy, 2009, p. 10.
124 Ibid.
44 Ho visto Jünger nel Caucaso

una funzione, non un individuo, e come tale «cessa di


essere un’esistenza per sé»125. Il suo peculiare statuto
è quello di «un’entità astratta e intercambiabile [une
entité abstraite et interchangeable]»126. La struttura
dell’uomo omogeneo di Georges Bataille richiama
con ciò quella dell’operaio jüngeriano. L’equivalen-
za e l’intercambiabilità sono caratteristiche del Tipo,
che infatti «cangia mestiere con la stessa facilità con
cui muta la camicia»127. Per contro, l’operaio bataillia-
no pretende di avere natura “eterologica”, in quanto
rifugge in via di principio da ogni equivalenza omo-
genea e utilitaria. Rispetto a «una persona omogenea
(padrone, burocrate, ecc.)», l’operaio è «un estraneo,
un homme d’une autre nature»128. Egli non produce
in vista dell’utile, ma della perdita: non possiede in-
fatti né l’oggetto che ha prodotto né i mezzi che ha
impiegato per produrlo. Max Aue riadatta questo con-
cetto di stampo marxiano al punto di vista del “carne-
fice”: «Chi spara sa che è un caso che sia lui a sparare
[...]»129, la vittima della guerra totale è infatti anonima,
diciamo pure reificata, e non ha alcun rapporto con il
“lavoro” dell’«esecutore»:

125 Ibid.
126 Ibid., p. 11.
127 H. Fischer, Karl Marx und sein Verhältnis zu Staat und
Wirtschaft, cit., p. 16.
128 G. Bataille, La structure psychologique du fascisme, cit.,
p. 12.
129 A 20, B 25.
Giuseppe Raciti 45

Proprio come, secondo Marx, l’operaio è alienato ri-


spetto al prodotto del suo lavoro, nel genocidio o nella
guerra totale nella sua forma moderna l’esecutore è alie-
nato [aliéné] rispetto al prodotto della sua azione130.

L’effetto volutamente grottesco e allucinatorio di


questo brano mette in luce il rapporto esplicito dell’a-
lienazione con la morte. Tale rapporto svela a sua volta
il nesso tra la teoria del sacrificio, su cui Bataille ha
scritto pagine fondamentali131, e la visione “cultuale”
della guerra. Allo stesso modo che i culti «esigono uno
spreco sanguinoso [un gaspillage sanglant] di uomini e
di animali da sacrificio»132, similmente la guerra, inte-
sa come sacrificio generalizzato, trae alimento dal “di-
spendio” [dépense]. Da questa positività della dépense
discendono “valori” quali «la nobiltà, l’onore, il rango
nella gerarchia [le rang dans la hiérarchie]»133. L’o-
nore, poniamo, non trova alcuna giustificazione nella
logica dell’utile. «La gloria e l’onore» appartengono

130 Ibid.
131 Cfr. soprattutto La Parte maudite, cit., pp. 78 ss., in cui
Bataille sostiene che il compito del sacrificio è essenzial-
mente quello di restituire «al mondo sacro ciò che l’uso
servile ha degradato e reso profano. L’uso servile ha tra-
sformato in una cosa (un oggetto) ciò che in senso profon-
do è della stessa natura del soggetto [...]». Così il sacri-
ficio interviene ad affrancare la vittima dalla condizione
reificata: «La distruzione è il miglior modo di negare il
rapporto utilitario tra l’uomo e l’animale o la pianta».
132 G. Bataille, La notion de dépense, cit., p. 24.
133 Ibid., p. 28.
46 Ho visto Jünger nel Caucaso

all’uomo «soltanto grazie alla perdita»134. La perdita


dell’omogeneità si traduce nell’acquisto di un rango
sui generis che caratterizza, secondo Bataille, lo statu-
to eterogeneo (o “alienato”) dell’operaio.
La “gloria” e l’“onore” sono con ciò i tratti distin-
tivi della condizione rivoluzionaria rispetto all’omo-
geneità borghese. Ma su questa distinzione politica
e ontologica si abbatte la potenza distruttrice della
«forma dell’Operaio». In pagine giustamente celebri,
Jünger fa riferimento all’episodio di Langemark, in
cui un’intera guarnigione viene falciata sotto il fuoco
della mitragliatrice. Il massacro di Langemark dimo-
stra che la «libera volontà», l’«entusiasmo» e l’«ebbro
disprezzo della morte» non sono «sufficienti a vincere
il vortice risucchiante di poche centinaia di metri, in
cui regna il sortilegio della morte meccanica»135. La
tecnica dispone di una logica ferrea capace di azzerare
ogni residuo psicologico; così, se le «sensazioni del
cuore […] sono confutabili», non si può dire la stessa
cosa di «un oggetto [ein Gegenstand]», specie se que-
sto oggetto, inteso nel senso letterale del termine, o sia
come un’entità contrapposta e programmaticamente
ostile [Gegen-Stand], si presenta sotto le fattezze di
«una mitragliatrice»136. Come osserva Michael Jaeger,
un oggetto di questa natura, cioè un oggetto carico di
una «realtà apportatrice di morte», «segna al tempo

134 Ibid., p. 29.


135 E. Jünger, Der Arbeiter, cit., p. 113.
136 Ibid., p. 114.
Giuseppe Raciti 47

stesso l’oggettivazione della vita effettiva»137. Al di


fuori della «forma dell’Operaio» non solo l’oggetto,
ma anche la vita si esprime in senso controfinalisti-
co. Sta qui, forse, il principale punto di frattura con
la teoria marxiana dell’alienazione. Non è il lavoro
alienato, propriamente il lavoro del capitale, a conferi-
re all’oggetto una vita artificiale e a fare di esso «una
potenza autonoma»138, ma è la vita stessa, che il domi-
nio della tecnica ha reso “oggettiva”, cioè artificiale, a
schiacciare l’individuo che non abbia ancora assunto
le funzioni del Tipo. A rigore, infatti, solo l’individuo
è oggetto di sfruttamento, giacché l’individuo, a dif-
ferenza del Tipo, indica nella vita il suo possesso più
caratteristico e insieme l’ambito originario di tutto ciò
che è umano. Più avanti vedremo che le potenze della
tecnica si manifestano come Erinni o Eumenidi a se-
conda che il soggetto si qualifichi come individuo o
come Tipo.
Tipologia e omogeneità non sono concetti “omo-
genei”. L’omogeneità che affetta il Tipo non esclude,
infatti, il senso dell’unicità. Questa sottigliezza è colta
bene da Heidegger:

Il tipo riunisce in sé, trasformate, l’unicità, in pre-


cedenza reclamata dall’individuo, e l’omogeneità e

137 M. Jaeger, Die Gestalt der Moderne. Ernst Jüngers Ar-


beiter, in Aa.Vv., Ernst Jünger – eine Bilanz, a cura di N.
Zarska, G. Diesener, W. Kunicki, Lipsia, 2010, pp. 46-56,
p. 49.
138 K. Marx, Ökonomisch-philosophische Manuskripte, cit.,
p. 85.
48 Ho visto Jünger nel Caucaso

universalità che la comunità richiede. Ma l’unicità del


“tipo” consiste in una chiara regolarità dello stesso ca-
rattere [Prägung] che non tollera tuttavia alcun arido
egualitarismo, ma ha bisogno di una peculiare gerarchia
[Rangordnung]139.

Anche la tipologia, come l’eterologia, si richiama


al «rang dans la hiérarchie». Anzi è proprio il concet-
to di gerarchia che permette di rinvenire l’unicità nel
cuore stesso dell’omogeneità. È un genere di unicità,
s’intende, che non ha più niente di individuale. Come
spiega ancora Heidegger, il Tipo

attinge una certezza di sé, che non si coagula più


nell’“io” [nicht mehr an das “Ich” vereinzelt] né si
disperde nella massa; avviene piuttosto che la certez-
za, nell’io, diventa calcolabilità incondizionata di sé e
dell’essente nella sua totalità140.

Il Tipo partecipa dell’elemento tecno-militare (la


“calcolabilità”) e di quello psico-civile (la “certezza”),
senza tuttavia distinguere, in sé, né l’uno né l’altro. Li
sacrifica entrambi in nome della “guerra totale”. Come
afferma Aue, nella guerra totale «il civile non esiste
più»141. La conseguenza di ciò – la più elementare, cer-
to, ma anche la più inquietante – è che d’ora in avanti

139 M. Hiedegger, Il nichilismo europeo [1961], a cura di F.


Volpi, Milano, 2003, p. 173; Id., Der europäische Nihili-
smus, Pfullingen, 1967, pp. 121-122.
140 Id., Zu Ernst Jünger, cit., pp. 194-195.
141 A 19, B 24.
Giuseppe Raciti 49

«non sarà più possibile distinguere soldati e civili»142.


La diagnosi risale ancora una volta a una pagina
dell’Arbeiter: «Non si dà alcuna differenza, postula
Jünger, tra combattenti e non combattenti»143. Il giudi-
zio di un tecnico della guerra come Ludendorff è più
articolato: «La guerra totale non riguarda più soltanto
le forze in conflitto, ma investe immediatamente anche
la vita e l’anima del popolo in armi»144. Detto nel modo
più cogente, la guerra diventa totale quando «mette in
pericolo ogni punto dell’esistenza»145. Debutta con
ciò l’epoca della «socializzazione del pericolo», se-
condo una suggestiva espressione di Harold Dwight
Lasswell146. La problematica è puntualmente discussa
da Chris Bellamy, che sposta il baricentro dell’analisi
sulle teorie polemologiche elaborate negli anni Ven-
ti in Unione Sovietica da Michail Vasil’evič Frunze,
Aleksandr Svečin e Michail Nikolaevič Tuchačevskij.
«L’intuizione più acuta di Svečin», osserva Bellamy,

fu forse l’aver colto l’esigenza di un approccio inte-


grato e trasversale, in grado di coniugare le funzioni e
competenze non solo delle tre forze armate ma anche

142 M. Eksteins, Rites of Spring, cit., p. 217.


143 E. Jünger, Der Arbeiter, cit., p. 154.
144 E.W.F. Ludendorff, Der totale Krieg [1935], Monaco,
1936, p. 5.
145 E. Jünger, Gärten und Strassen [1942], in Id. Sämtliche
Werke, cit., vol. 2, sez. I, p. 141, in data 23 maggio 1940.
146 H.D. Lasswell, The Garrison State, in «The American
Journal of Sociology», 1941, 46, pp. 451-468, p. 462, cit.
in F. Neumann, Behemot, cit., p. 508.
50 Ho visto Jünger nel Caucaso

di tutti gli organi di sicurezza. Come già Frunze, pose


anche lui l’accento sull’interazione tra il fronte e le re-
trovie147.

In sintesi – sono parole di M.N. Tuchačevskij –


«il confine tra fronte e retrovie diverrà sempre più
labile»148. Frattanto, anche l’organizzazione hitleriana
apprende la lezione: il compito specialistico del Si-
cherheitsdienst e del suo braccio armato, le micidia-
li Einsatzgruppen, è quello di assicurare un mobile
tessuto connettivo tra il fronte e le retrovie, cioè tra
l’industria bellica e l’industria civile, l’una e l’altra
essendo l’alfa e l’omega della “guerra assoluta”. Que-
sta nuova visione delle retrovie è destinata a inglobare
senza residui tutta la società civile, e ciò precisamente
nel senso teorizzato da Jünger, in quegli stessi anni,
nel celebre saggio sulla Mobilitazione totale (1930)149.
Il mondo si trasforma in un immenso campo di la-
voro. In questo senso, per trovare una precisa antici-
pazione della guerra totale, bisogna risalire al tempo
in cui «il capitale celebrava le sue orgie»150 e gettare
uno sguardo nell’«inferno del lavoro in fabbrica di 72

147 Ch. Bellamy, Guerra assoluta, cit., p. 46.


148 Ibid., p. 48. La citazione di Tuchačevskij è contenuta nella
relazione pronunciata all’Accademia comunista (Koma-
kad) il 16 luglio 1930.
149 E. Jünger, Die totale Mobilmachung, in Id., Sämtliche
Werke, cit., vol. 7, sez. II, pp. 119-142.
150 K. Marx, Das Kapital. Kritik der politischen Ökonomie
[1867], vol. 1, Berlino, 1986, p. 294.
Giuseppe Raciti 51

ore per settimana»151, allorché i limiti «imposti dalla


morale e dalla natura, dal sesso e dall’età, dal giorno
e dalla notte», saltarono in aria come per l’effetto di
una «travolgente slavina»152. Nel giro stretto di un se-
colo – l’Atto sulle fabbriche, come ricorda Marx, è del
1833 – lo «spazio del lavoro» è diventato più igienico
e meno repressivo, ma nel contempo è cresciuto a di-
smisura, anzi si è fatto letteralmente «illimitato», in
quanto adesso «la giornata di lavoro comprende ven-
tiquattr’ore»153.

A Vorošilovsk, quando Jünger scende dal treno, si


respira un clima apocalittico. La notizia dell’apertura
del fronte orientale, il 22 giugno 1941 («nel “giorno
più lungo”»154, quando Apollo celebra i suoi fasti), fil-
tra nei diari in modo contraddittorio. La prima reazio-
ne è del 24 giugno, due giorni dopo l’attacco; ma Jün-
ger parla di tre giorni, forse perché l’appunto è steso a
ridosso della mezzanotte:

Da ormai tre giorni siamo in guerra anche con la Rus-


sia – strano quanto poco la notizia mi abbia scosso. Del
resto, di questi tempi, la capacità di assimilare i fatti è

151 Ibid., p. 296.


152 Ibid., p. 294.
153 E. Jünger, Der Arbeiter, cit., p. 95.
154 Ch. Bellamy, Guerra assoluta, cit., p. 121.
52 Ho visto Jünger nel Caucaso

limitata, tranne nel caso che essa abbia a che fare con
una certa percezione del vuoto [Hohlheit]155.

Qualche tempo dopo Jünger torna sul tema in ter-


mini completamente diversi. Intanto si è verificata una
cospicua «lacuna»: dal 20 luglio al 7 ottobre 1941 il
diario tace. Che cosa è successo in questi ottanta gior-
ni? «Il mio trasferimento a Parigi»156, spiega Jünger,

è responsabile di una lacuna in queste note. Ancor più


lo sono gli avvenimenti in Russia, che sono dello stesso
periodo e che hanno suscitato, certo non solo in me, una
specie di paralisi spirituale [geistige Lähmung]157.

155 E. Jünger, Das erste Pariser Tagebuch, cit., p. 256.


156 «Il capitano Ernst Jünger [...] arriva a Parigi il 24 aprile
del 1941 al comando della seconda compagnia del reg-
gimento di fanteria 287, dislocata nella capitale francese
con compiti di sorveglianza [Wachttruppe]» (cfr. S.-O.
Berggötz, Ernst Jünger und die Geiseln. Die Denkschrift
von Ernst Jünger über die Geiselerschießungen in
Frankreich 1941/42, in «Vierteljahrsheft für Zeitge-
schichte», 51 [2003], pp. 405-472, p. 406. Il saggio di
Berggötz, sostanzialmente invariato, ma con bibliografia
aggiornata, è stato rieditato nel volume: E. Jünger, Zur
Geiselfrage. Schilderung der Fälle und ihrer Auswirkun-
gen, a cura di S.-O. Berggötz, con una premessa di V.
Schlöndorff, Stoccarda, 2011; citeremo questa nuova ed.
con la sigla Berggötz 2).
157 E. Jünger, Das erste Pariser Tagebuch, cit., p. 260, in data
8 ottobre 1941.
Giuseppe Raciti 53

Geistige Lähmung. Dietro questa «affermazione


impenetrabile»158 si può leggere in realtà una reazione
commisurata alla «più imponente e ambiziosa ope-
razione militare di tutti i tempi»159. Precisamente un
anno dopo si annuncia una nuova e più profonda crisi,
perché il capitano Jünger deve recarsi di persona sul
fronte orientale. Quella opprimente sensazione spiri-
tuale comincia, per così dire, a somatizzarsi. L’unico
riferimento diretto al distaccamento in Russia è con-
tenuto in questo rapido passaggio del 9 ottobre 1942:

Come mi riferiva il colonnello Koßmann, la faccenda


del mio distaccamento in Russia sembra farsi seria; sono
arrivate le disposizioni preliminari. Dopo che la mia vita
ha preso qui una forma nuova [eine neue Form], questa
cesura è forse auspicabile160.

La «forma nuova» a cui allude Jünger è quella che


s’imprime sulla sua vita a Parigi durante l’occupazio-
ne tedesca. Non è vano tentare di ricostruire le ragioni
profonde di questa palingenesi. Un indizio importante
si ricava da un passo che compare nella prima versio-
ne a stampa delle Strahlungen (1949), ma successiva-
mente espunto dai Sämtliche Werke:

[…] i miei libri sulla prima guerra mondiale, Der


Arbeiter, Die totale Mobilmachung e in parte anche il
saggio Über den Schmerz – formano il mio Vecchio Te-

158 A. Mitchell, The Devil’s Captain, cit., p. 23.


159 Ch. Bellamy, Guerra assoluta, cit., p. 121.
160 E. Jünger, Das erste Pariser Tagebuch, cit., p. 397.
54 Ho visto Jünger nel Caucaso

stamento. Si collocano su altri piani, non posso più ag-


giungervi alcunché161.

All’origine della «forma nuova» c’è dunque in


primo luogo il passaggio dal primo al secondo con-
flitto mondiale. Olaf Schröter ha situato questo «fon-
damentale cambiamento nell’atteggiamento politico
di Jünger» nel «periodo che va dal 1933 al 1939»162.
L’accurata ricostruzione bio-bibliografica condotta
nello studio di Eva Dempewolf permette di precisare
meglio, nel tempo, questa cesura. Essa può essere fatta
risalire, con buona approssimazione, al dicembre del
1933, cioè al momento del trasferimento di Jünger da
Berlino a Goslar163. Il trasferimento fa seguito a una se-
rie di perquisizioni eseguite dalla Gestapo nell’abita-

161 Id., Strahlungen, Tubinga, 1949, p. 166, in data 16 settem-


bre 1942 (d’ora in avanti: Strahl. Tutti i brani selezionati
da questa ed. non compaiono nei Sämtliche Werke).
162 O. Schröter, “Es ist am Technischen viel Illusion”, cit., p.
104. G. Loose, nel suo saggio dedicato a Jünger, inquadra
il fenomeno da una postazione diversa ma complemen-
tare: «Nel passaggio dal primo al secondo Cuore avven-
turoso Jünger sottopone il testo a modifiche e omissioni
senza preoccuparsi della reazione dei suoi lettori. […] È
qui che comincia già a delinearsi la “questione” Jünger
[…]» (Ernst Jünger. Gestalt und Werk, Francoforte s.M.
1957, p. 234). La prima ed. del Cuore avventuroso è del
1929, la seconda del 1938 (cfr. Sämtliche Werke, cit., vol.
9, sez. II).
163 E. Dempewolf, Blut und Tinte. Eine Interpretation der ver-
schiedenen Fassungen Ernst Jüngers Kriegstagebüchern
vor dem politischen Hintergrund der Jahre 1920 bis 1980,
Würzburg, 1992, p. 21.
Giuseppe Raciti 55

zione dello scrittore164. Ma dietro la partenza di Jünger


ci sono soprattutto le minacce lanciate dal Völkischer
Beobachter, l’organo dei Nazionalsocialisti, all’indo-
mani della pubblicazione dell’Arbeiter: con la nuova
uscita, «Jünger si era spinto, a suo rischio, nella “zona
delle pallottole”»165. Rimonta a questo periodo la pru-
denziale «rielaborazione dei [...] diari di guerra»166. «Il
testo del Boschetto 125 viene radicalmente ridimen-
sionato – saltano in particolare i luoghi di ascendenza
nazionalsocialista. Jünger sopprime parimenti alcuni
passaggi essenziali della prevista XIV ristampa delle
Tempeste d’acciaio, cioè quelli che i Nazionalsociali-
sti avrebbero potuto utilizzare ai loro fini»167.
A partire dal 1934, precisa Dempewolf, Jünger
«non scrive più nessun testo che abbia come tema la
guerra»168. Si può obiettare che le Strahlungen sono
state concepite durante l’occupazione militare di Pa-
rigi e che dunque sono a tutti gli effetti dei diari di
guerra. Ma il punto decisivo è che questi testi «non
tematizzano la guerra»169. La guerra fornisce loro la
cornice, il contesto, non l’obiettivo. La «nuova forma»
di cui parla Jünger a proposito della sua esperienza pa-
rigina, non è un dato psicologico che riguarda la sfe-
ra privata, ma è parte integrante di questa svolta. Per

164 Ibid.
165 Ibid., p. 19, nota 65.
166 Ibid., p. 22. Il riferimento è ai diari della Grande Guerra.
167 Ibid.
168 Ibid., p. 21.
169 Ibid.
56 Ho visto Jünger nel Caucaso

usare un’immagine cara a Jünger, si tratta di valicare


una volta per tutte e senza esitazioni la “linea” rappre-
sentata dagli scritti del «Vecchio Testamento», cioè gli
scritti “sulla” guerra e “per” la guerra.
Il quadro diagnostico si presenta adesso in questi
termini: l’irruzione degli eserciti hitleriani, tra le cui
fila sono all’opera individui sorretti da «una volontà
satanica» – veri e propri «scorticatori», che «fredda-
mente godono del tramonto dell’umanità»170 —, segna
la fine “spirituale” della guerra. Ma la fine della guerra
come fenomeno spirituale e culturale, la guerra come
inneres Erlebnis171, non determina affatto la fine della
guerra materiale. Questa, al contrario, si inasprisce; a
fomentarla sono i «lemuri» che hanno preso dimora al
numero 84 di Avenue Foch172. Costoro vogliono «po-

170 E. Jünger, Das erste Pariser Tagebuch, cit., p. 303, in data


8 febbraio 1942.
171 Id., Der Kampf als inneres Erlebnis, cit., p. 11: «La guerra
è ciò che dà significato agli uomini e al tempo in cui essi
vivono».
172 Id., Das zweite Pariser Tagebuch, in Id., Sämtliche Werke,
cit., vol. 3, sez. I, p. 111, in data 30 luglio 1943: «A quanto
si sente dire, i lemuri di Avenue Foch definiscono le de-
portazioni Meerschaum, cioè “schiuma di mare”. La com-
pleta incertezza in cui vengono lasciati i familiari si fonda
sull’editto Nacht-und-Nebel, emanato da Kniébolo (alias
Hitler, n.d.r.). Sono esempi di un grottesco linguaggio di
demoni e canaglie – fregi e sfregi presi in prestito da Hie-
ronymus Bosch». All’84 di Avenue Foch, XVI arrondisse-
ment, c’era la sede della Gestapo. L’analoga espressione
schmittiana, Seeschaum, indicante i campioni della «svol-
ta marittima» dell’Europa anglosassone, mostra qui il suo
Giuseppe Raciti 57

polare il mondo di cadaveri»173 e sarebbe impossibile


avere la meglio su questo lato «bestiale» dell’umanità,
«se esso stesso non scegliesse, nella sua cecità, la via
che gli è destinata, cioè la via della rovina»174. In que-
sta folle corsa verso la «rovina», il concetto di guerra
subisce una torsione caratteristica: si torna a conce-
pire la guerra come una condizione naturale, persino
familiare e ci si affida ancora una volta alla tutela del-
le potenze infere. I Lemuri di Jünger corrispondono
alle Erinni di Max Aue. «Il mito accompagna la storia
come un sogno»175. Oltrepassare la linea significa allo-
ra invocare un nuovo intervento apollineo.
Facciamo un piccolo passo indietro. Anche l’ap-
punto che abbiamo letto poco fa, quello del 9 ottobre

equivoco pedigree (cfr. C. Schmitt, Land und Meer. Eine


weltgeschichtliche Betrachtung [1942], Stoccarda, 1993,
p. 40). Sulla scelta del nome Kniébolo per indicare Hitler,
Jünger fornisce la seguente, tardiva spiegazione: «[...] la
parola Kniébolo appartiene a quel genere d’immagini che
affiorano nei sogni e che il sognatore stesso non è in grado
di chiarire. Siffatte parole o piuttosto suoni si attestano al
di sotto della logica e dell’etimologia e rivelano pertanto
un carattere associativo di tipo ameboide – essi possono
estendersi in varie direzioni. L’inesplicabile fa parte della
loro potenza. Naturalmente la parola giovava anche a ot-
tenere un certo effetto di mascheramento» (cfr. E. Jünger.
Federbälle II [1979], in Id., Sämtliche Werke, cit., vol. 12,
sez. II, p. 414).
173 E. Jünger, Das zweite Pariser Tagebuch, cit., p. 91, in data
4 luglio 1943.
174 Id., Strahl., cit., p. 341, in data 17 giugno 1943.
175 Id., Die Schere [1990], Stoccarda, 2001, p. 162.
58 Ho visto Jünger nel Caucaso

1942, registra uno smottamento nel passaggio finale


ai Sämtliche Werke. Nella prima versione a stampa,
infatti, la notazione sonava decisamente più enfa-
tica: «Dopo che la mia vita ha preso qui una forma
che non potrò più dimenticare, questa cesura è forse
auspicabile»176. Senza toccare la delicata questione
dell’understatement che impronta le laboriose revisio-
ni a cui Jünger sottopone i testi negli anni Settanta del
secolo scorso (con la parziale eccezione dell’Arbei-
ter), la versione primitiva dell’appunto offre la misura
del taglio netto impresso sul ménage parigino dall’im-
minente partenza per il fronte orientale. Tutta una co-
stellazione di libri, donne e pensieri preziosi rischia di
sparire per sempre. Di più Jünger non dice, o quasi.
C’è in effetti un altro passo, nei diari, su cui vale forse
la pena sostare qualche momento. Siamo ancora alla
vigilia della partenza per la Russia:

Dormito molto male, il che dipende senz’altro dai


miei disturbi. Ma non si può marcare visita se sei in par-
tenza per la Russia. Coincidenze del genere ne ho già
sperimentate tante nella vita; in questi casi ci si trova
alle strette [in Zwangslage]177.

Natura e scopi del distaccamento non sono chiari.


Littell assume la tesi della «missione ispettiva»178. Ad
ogni modo, il capitano Jünger parte di contraggenio,

176 Id., Strahl., cit., p. 184, in data 17 giugno 1943.


177 Id., Das erste Pariser Tagebuch, cit., p. 398, in data 12
ottobre 1942.
178 A 300, B 288.
Giuseppe Raciti 59

e non certo perché la situazione che lo attende è peri-


colosa. Stiamo parlando di un individuo che all’epoca
dei fatti portava seco i segni di svariate ferite d’arma
da fuoco subite in altrettante azioni pericolose – quat-
tordici secondo lo stesso Jünger, «solo sette» secon-
do Hans Peter des Coudres179. Forse la partenza per
la Russia non è una vera missione, ma un provvedi-
mento restrittivo o addirittura una misura punitiva. Al
riguardo si possono sviluppare solo delle congetture,
più o meno feconde, come quella proposta di recente
da A. Mitchell, secondo cui la partenza per la Russia
sarebbe stata imposta da motivi “escapistici”. Mitchell
allude agli effetti psicologici della così detta “crisi de-
gli ostaggi” (Geiselkrise), in cui Jünger fu coinvolto a
vari livelli180:

179 H.P. des Coudres, H. Mühlesein, Bibliographie der Wer-


ke Ernst Jüngers, Stoccarda, 1985, pp. 197 ss., cit. in O.
Schröter, “Es ist am Technischen viel Illusion”, cit., p. 30,
nota 9.
180 Sulla “crisi degli ostaggi” cfr. A. Mitchell, Nazi Paris. The
History of an Occupation 1940-1944, New York-Oxford,
20102, pp. 47-54 e P. Lieb, Konventioneller Krieg oder
NS-Weltanschauungskrieg? Kriegführung und Partisa-
nenbekämpfung in Frankreich 1943/44, Monaco, 2007,
pp. 20-31, che utilizza l’importante studio di Ahlrich
Meyer, Die deutsche Besatzung in Frankreich 1940-
1944. Wiederstandsbekämpfung und Judenverfolgung,
Darmstadt, 2000, e il volume curato da Regina M. Dela-
cor, Attentate und Repressionen. Ausgewälte Dokumente
zur zyklischen Eskalation des NS-Terrors im besetzten
Frankreich 1941-42, Stoccarda, 2000.
60 Ho visto Jünger nel Caucaso

L’ufficio di Hans Speidel assegnò [a Jünger] l’incari-


co di analizzare i diffusi contrasti tra l’amministrazione
militare alloggiata all’Hotel Majestic e la sbirraglia del
partito nazista dislocata nella capitale. Questo studio
indusse Jünger a investigare sulla così detta crisi degli
ostaggi, che culminò nelle dimissioni d[el comandante
in capo delle forze di occupazione] Otto von Stülpnagel,
a cui succedette il cugino Heinrich. Nel corso dell’in-
chiesta, onde corroborare il suo rapporto, Jünger prov-
vide alla traduzione delle lettere di addio scritte dagli
ostaggi nell’imminenza dell’esecuzione181. Fu un com-
pito particolarmente angosciante […]. Per quanto caren-
ti di chiarezza analitica, queste riflessioni furono comun-
que il prodotto di un travaglio emotivo che compromise
i rapporti di Jünger con le forze d’occupazione a Parigi
e lo spinse a sfruttare l’occasione di un’assegnazione in
Russia al seguito dell’esercito tedesco182.

In effetti non si capisce bene il motivo per cui Jün-


ger, profondamente scosso dagli esiti repressivi della
politica tedesca a Parigi183, dovesse trovare «sollie-
vo» [relief]184 nell’esperienza sul fronte orientale. Se
i motivi della fuga da Parigi sono quelli indicati da

181 La memoria redatta da Jünger con la versione delle lettere


dei condannati a morte francesi si legge in S.-O. Berggötz,
Ernst Jünger und die Geiseln, cit., pp. 418-472 e ora in
Berggötz 2, cit., pp. 45-144.
182 A. Mitchell, The Devil’s Captain, cit., pp. 33-34.
183 A. Mitchell informa che «durante il primo mese dall’i-
nizio della guerra Russo-Tedesca», gli arresti per attività
sospette a Parigi «furono 3052» (Nazi Paris, cit., pp. 47-
48).
184 Id, The Devil’s Captain, cit., p. 29.
Giuseppe Raciti 61

Mitchell, l’approdo a Kiev è frutto di un clamoroso


errore di valutazione. Come afferma P. Liebe, che ri-
prende una tesi di R.M. Delacor, la questione degli
ostaggi francesi non era che «il pretesto per estendere
all’Occidente la guerra di sterminio in atto sul fronte
orientale»185. Gli orrori di Parigi dipendevano da quelli
di Kiev.
Sembra necessaria, a questo punto, una rapida scor-
sa ai fatti. Il 20 ottobre 1941 cade presso la cattedrale di
Nantes il Feldkommandant Karl Hotz; il giorno dopo,
a Bordeaux, rimane ucciso il Kriegsverwaltungsrat dr.
Hans Gottfried Reimers. «I due attentati si sono sus-
seguiti a distanza così ravvicinata, che sul piano degli
effetti sono indistinguibili»186. La matrice degli atten-
tati s’intreccia agli eventi cruciali di questo periodo.
«L’attacco tedesco all’Unione Sovietica del 22 giugno
1941 dava il segnale d’inizio alla resistenza comunista
in Francia»187. Lo stato di relativa tranquillità che ca-
ratterizza «la prima fase dell’occupazione in Francia
è finito»188. Scatta la rappresaglia. Il 22 ottobre 1941
vengono fucilati 48 ostaggi francesi189 e si minaccia di
fucilarne altrettanti nel caso in cui «gli assassini non

185 P. Lieb, Konventioneller Krieg oder NS-Weltanschau-


ungskrieg?, cit., p. 20, nota 28.
186 E. Jünger, Zur Geiselfrage. Schilderung der Fälle und ih-
rer Auswirkungen, in S.-O. Berggötz, Ernst Jünger und
die Geiseln, cit., p. 418; Berggötz 2, cit., p. 45.
187 S.-O. Berggötz, Ernst Jünger und die Geiseln, cit., p. 409.
188 P. Lieb, Konventioneller Krieg oder NS-Weltanschau-
ungskrieg?, cit., p. 21.
189 S.-O. Berggötz, Ernst Jünger und die Geiseln, cit., p. 410.
62 Ho visto Jünger nel Caucaso

fossero stati catturati entro pochi giorni»190. Si tratta


della «prima esecuzione di massa»191 dell’Europa oc-
cidentale.
Nella nota di diario del 21 ottobre 1941, dunque alla
vigilia delle esecuzioni, Jünger fa menzione dell’inca-
rico ricevuto dal colonnello Hans Speidel di valutare i
documenti relativi alla «lotta per l’egemonia in Francia
tra l’Oberbefehlshaber e il partito»192. Come ricorda lo
stesso Speidel, si trattava di mettere nella giusta luce
le «gravi differenze umane e oggettive tra la direzione
politica e i comandi militari»193. Il dato allarmante è
costituito soprattutto dall’attività del Sicherheitsdienst,
che «si faceva sempre più minacciosa»194. Quattro
mesi più tardi Jünger viene convocato dal comandante
in capo delle truppe di occupazione Otto von Stülpna-
gel. Si tratta della «questione degli ostaggi»195. L’al-
to ufficiale, già dimissionario, lo incarica di redigere
«una descrizione esatta della vicenda per i tempi a ve-
nire [für spätere Zeiten]»196. Le memorie approntate da
Jünger sono pertanto due:

190 A. Mitchell, Nazi Paris, cit., p. 50.


191 S.-O. Berggötz, Ernst Jünger und die Geiseln, cit., p. 410.
192 E. Jünger, Das erste Pariser Tagebuch, cit., p. 266.
193 H. Speidel, Aus unserer Zeit. Erinnerungen, Berlino,
1977, p. 110, cit. in S.-O. Berggötz, Ernst Jünger und die
Geiseln, cit., p. 406.
194 E. Jünger, Jahre der Okkupation, cit., p. 177.
195 Id., Das erste Pariser Tagebuch, cit., p. 308, in data 23
febbraio 1942.
196 Ibid.
Giuseppe Raciti 63

La prima, intitolata Der Kampf um die Vorherr-


schaft in Frankreich zwischen Partei und Wehrmacht
[La battaglia per il predominio in Francia tra il partito
e le forze armate], fu bruciata personalmente da Jünger
dopo il 20 luglio del 1944. La seconda, che reca l’in-
testazione: Zur Geiselfrage. Schilderung der Fälle und
ihrer Auswirkungen [Sulla questione degli ostaggi. De-
scrizione degli avvenimenti e dei loro effetti], era stata
ugualmente distrutta da Jünger a Parigi, ma ne esisteva
una copia, che l’autore aveva evidentemente portato con
sé a Kirchhorst durante una licenza197.

Secondo la ricostruzione di Berggötz, la stesura


della memoria sulla Geiselfrage impegna Jünger nel
periodo compreso «tra la fine di ottobre del 1941 e la
rimozione [del generale] Otto von Stülpnagel, avve-
nuta nel febbraio del 1942»198. Evidentemente Jünger
lavora alle due memorie più o meno nello stesso torno
di tempo. Ma c’è di più. La revisione della nota del
23 febbraio 1942 dimostra che i due testi sono stret-
tamente connessi tra loro. Nella prima versione del-
la nota (1949) Jünger afferma che «la storia segreta
[die geheime Geschichte] dei contrasti e degli intrighi
all’interno del palazzo» è segnata «dalle lotte contro
l’ambasciata e il partito in Francia, i quali guadagna-
no terreno a poco a poco, senza il sostegno dell’alto
comando»199. Nella versione definitiva (1979) Jünger

197 S.-O. Berggötz, Ernst Jünger und die Geiseln, cit., pp.
406-407. Cfr. anche E. Jünger, Jahre der Okkupation, cit.,
pp. 181 ss.
198 Ibid., pp. 414-415.
199 E. Jünger, Strahl., cit, p. 99.
64 Ho visto Jünger nel Caucaso

aggiunge un inciso importante, in cui specifica che


allo «sviluppo e al compimento di questa lotta appar-
tengono anche gli scontri per le teste degli ostaggi»200.
La prima memoria, quella perduta, contiene pertanto
la premessa teorica e politica della memoria superstite.
Il giorno delle esecuzioni Jünger dichiara di aver
trascorso tutto il tempo in compagnia di una «modi-
sta meridionale», ma alla fine di questa nota oziosa e
alquanto irritante, separato dallo stacco di una riga, si
legge questo brano:

Il lupo che irrompe nello stabbio sbrana due o tre del-


le pecore ricoverate. Alcune centinaia si schiacciano a
vicenda201.

Il senso dell’apologo non è chiaro. Nelle centina-


ia di pecore che muoiono schiacciandosi tra di loro è
certo contenuta un’allusione agli ostaggi francesi – ma
chi sono i lupi? All’origine della carneficina c’è forse
il panico indotto dai lupi-terroristi? In tal caso il giudi-
zio politico implicito nell’apologo sarebbe assai discu-
tibile. Qui, però, c’interessa un’altra cosa. Vogliamo
cominciare a decifrare i segni impressi dai fatti storici
sui personaggi del dramma. Come vedremo più avanti,
il numero cento, che si ottiene sommando la quanti-

200 Id., Das erste Pariser Tagebuch, cit., p. 308 (corsivo no-
stro).
201 Ibid., p. 267, in data 22 ottobre 1941. Il testo di Strahl.,
cit., è impercettibilmente diverso: «Il lupo che irrompe in
uno stabbio pieno di pecore ne sbrana due o tre. Alcune
centinaia si schiacciano a vicenda».
Giuseppe Raciti 65

tà degli ostaggi indicati per ognuno dei due attentati,


agisce sul diarista come una potente ossessione. Frat-
tanto, a misura che il giorno della partenza si avvicina,
la salute del capitano Jünger peggiora. All’insonnia si
associa un preoccupante calo ponderale202; ma il medi-
co militare annota sul Soldbuch: «catarro addominale
anacido»203, «a medical term for a condition similar to
a stomach ulcer»204. Sembra che Aue soffra di disturbi
simili. «Vomitavo quasi tutti i pasti», dice; il quadro
patologico risulta inoltre complicato da misteriosi stati
febbrili205. Le cause del trasferimento di Aue sul fron-
te orientale sono tuttavia chiare: ha deluso i superiori
sulla incresciosa vicenda dei Bergjuden; ha cercato un
compromesso con la parte antagonista – non i Sovie-
tici, ma la Wehrmacht —, e ha determinato la sospen-
sione sine die del programma di sterminio affidato
alle Einsatzgruppen. «Spero che il lavoro dell’SD a
Stalingrado sarà per lei un utile apprendistato», sibila
l’SS-Oberführer Walter Bierkamp206. Aue non ha scel-
ta. «Presi dunque il treno a Minvody e mi misi fatico-
samente in cammino verso nord»207.
Sull’altro versante, quello della realtà storica, Jün-
ger prende un aereo per Kiev. Il perfetto parallelismo
tra le due situazioni salta agli occhi. Fiction e history

202 E. Jünger, Das erste Pariser Tagebuch, cit., p. 401, in data


15 ottobre 1942.
203 Ibid., p. 404, in data 20 ottobre 1942.
204 A. Mitchell, The Devil’s Captain, cit., p. 29.
205 A 832, B 789.
206 A 324-325, B 311.
207 A 229, B 315.
66 Ho visto Jünger nel Caucaso

coincidono qui con esattezza di margini208. Tra i com-


piti della letteratura c’è infatti anche quello di integra-
re e persino “schiarire” le lacune del racconto stori-
co. Il punto di vista più scontato, quello che si ostina
ancora a distinguere tra l’«annotazione letterale» e la
«ricostruzione letteraria»209, rinuncia in partenza alla
preziosa opportunità di osservare il prisma della realtà
da angolazioni inedite.
Dal modo in cui il racconto di Littell intercetta il
resoconto di Jünger si ricava un’indicazione precisa: il
proposito di Aue di contrastare la logica sterminazio-
nista del Sicherheitsdienst ricalca da presso l’inchiesta
jüngeriana sulla «lotta per l’egemonia in Francia tra
l’Oberbefehlshaber e il partito»210. Si tratta del con-
flitto sempre latente tra i comandi della Wehrmacht e i
«lemuri di Avenue Foch»211, con l’avvertenza che Max

208 «History is a story». Il frizzo è di S. Schama, Cittadini.


Cronaca della rivoluzione francese [1988], tr. it. di M.
Bonini, Milano, 1989, cit. in T. Vittorio, I manichini di
Renzo. Manzoni storiografo, Milano, 2009, p. 15. Il libro
di Vittorio sviluppa decisivi e aggiornati ragionamenti sui
fondamenti “cronachistici” o letterari della scrittura storio-
grafica.
209 A. Mitchell, The Devil’s Captain, cit., p. 56. Mitchell scri-
ve: literary recreation, lasciando irrisolto, crediamo de-
liberatamente, il gioco ambiguo tra i termini recreation
(svago) e re-creation (ricostruzione). Come se lo svago
letterario consistesse principalmente nella ricostruzione
falsificata dei termini effettivi della realtà.
210 E. Jünger, Das erste Pariser Tagebuch, cit., p. 266, in data
21 ottobre 1941.
211 Id., Das zweite Pariser Tagebuch, cit., p. 111, in data 30
Giuseppe Raciti 67

Aue, come autorevole membro del Sicherheitsdienst,


è uno di loro.
Prende corpo, anche per Jünger, l’ipotesi del prov-
vedimento punitivo. Un passo delle Strahlungen, op-
portunamente decriptato, sembra volgere in questa
direzione. Jünger riporta uno stralcio di conversazione
con Heinrich von Stülpnagel a Vaux-les-Cernay, pres-
so Rambouillet:

Parlando delle città russe, il Generale ha espresso


l’opinione che sarebbe importante, per me, conoscerle,
soprattutto per certe correzioni da apportare alla “forma
dell’Operaio” [Gestalt des Arbeiters]. Ho risposto che
mi ero imposto da tempo, per penitenza [zur Pönitenz],
una visita a New York, e che mi sarei acconciato anche a
un distaccamento sul fronte orientale212.

Il passo è interessante anzitutto per lo sproposito che


lascia filtrare tra le righe: il distaccamento in Russia vie-
ne concepito «soprattutto» [vor allem] in vista di una
rettifica concettuale a cui sottoporre il testo dell’Arbei-
ter. L’Oberbefehlshaber Stülpnagel, l’uomo che di lì
a poco sarà indicato come l’«anima», se non proprio
la «forza motrice» della resistenza anti-hitleriana213, si
confronta con Jünger sulla necessità di saggiare la te-

luglio 1943.
212 Id., Das erste Pariser Tagebuch, cit., p. 366, in data 16
agosto 1942.
213 W. von Schramm, Aufstand der Generale: Der 20. Juli
in Paris [1953], Monaco, 1964, cit. in A. Mitchell, The
Devil’s Captain, cit., p. 102, nota 15.
68 Ho visto Jünger nel Caucaso

nuta dell’Arbeiter alla luce della realtà sovietica e delle


emergenze imposte dal fronte orientale. Tutto ciò, am-
mettiamolo, è abbastanza inverosimile214; ma il dato sa-
liente non è questo. Più importante e più rivelatrice è
la risposta di Jünger. L’accenno a prima vista gratuito
a una visita “penitenziale” a New York è in realtà da
riferirsi all’imminente distaccamento sul fronte orien-
tale. La penitenza è in effetti un’esperienza assai pros-
sima alla punizione. La penitenza rappresenta l’aspetto
ludico della punizione: nel gioco la punizione assume
la forma della penitenza. Nel nostro caso, la penitenza
prende il posto della punizione perché il grave scacco
psicologico che consegue all’azione punitiva deve es-
sere riformulato in termini più attenuati e in forme più
attraenti. Se non siamo di fronte a una grossolana e con-
sapevole falsificazione dei fatti, il fenomeno contiene
qualche analogia, nella sua meccanica, con il freudia-
no “ricordo di copertura”. La penitenza funziona come
un’immagine «spostata» rispetto alla punizione, che è

214 A distanza di molti anni, in una nota di diario del 1994,


Jünger ribadisce, con l’aggiunta di una sintomatica sfu-
matura, la sua posizione: «Heinrich von Stülpnagel, che
considerava Der Arbeiter un libro di ispirazione nazional-
bolscevica, mi disse, poco prima del mio distaccamento
sul fronte orientale, a cui dovetti apparecchiarmi per varie
ragioni [aus verschiedenen Gründe], che questa sarebbe
stata l’occasione per fare esperienza della realtà» (Siebzig
verweht V, cit., p. 148, in data 20 giugno 1994). Il cenno
alle «varie ragioni» del distaccamento lascia intravedere,
nella forma di una proposizione incidentale, la complessa
natura dell’incidente registrato nella nota del 16 agosto
1942.
Giuseppe Raciti 69

invece l’«immagine mnestica» originale215. Così il trau-


ma del distaccamento forzato sul fronte orientale rie-
merge sotto forma di gioco intellettuale.

Un’altra convergenza sorprendente si registra su


una questione molto diversa e all’apparenza più mar-
ginale. Riguarda la ferita alla testa che Aue riporta a
Stalingrado, quel «lungo foro attraverso il cranio»216,
che nella suggestione “bacchica” del soggiorno in Po-
merania diventa il suo «occhio pineale»217. Jünger usa
la stessa espressione nell’appunto di diario in cui ri-
ferisce della sua visita al cimitero di Vorošilovsk. Di
ritorno al suo alloggio, lo sguardo scivola su una fitta
trama di immagini, che vanno dall’«architettura delle
case» al «taglio dei volti»218, e che insieme compongo-
no uno strano mosaico, avvolto in una impercettibile
«temperie asiatica»219; è una sensazione che si fa più
vivida alla vista di un bambino «che incrocia le mani
sul corpo in una strana guisa»220. Gli elementi appaio-
no come investiti da «una sottile radiazione che trapas-
sa la sfera del visibile. Il terzo occhio,

215 S. Freud, Ricordi di copertura [1899], in Opere di


Sigmund Freud, Torino, 2002, vol. 2, p. 439.
216 A 873, B 827.
217 A 870, B 824.
218 E. Jünger, Das erste Pariser Tagebuch, cit, pp. 429-430,
in data 30 novembre 1942.
219 Ibid.
220 Ibid.
70 Ho visto Jünger nel Caucaso

l’occhio pineale [Scheitelauge], di cui gli scienziati


ritengono di aver trovato la traccia, era forse l’occhio
dedicato agli archetipi [Urbilder]; ciò che un tempo ap-
pariva in forme viventi [Gestalten] – paesaggi, animali,
fonti e alberi —, o sia come demoni e dèi, oggi si offre
alla vista sotto l’aspetto di corpi e superfici221.

È l’atmosfera che impronta il clima della Bene-


vole. Da un capo all’altro del romanzo si dilata una
temporalità unidimensionale, dalla stoffa uniforme,
a cui corrisponde un’attività pineale drasticamente
direzionata su «corpi e superfici». In questo presente
fisso e scolorito, statico e sterile, «adagiato in una de-
solata immutabilità»222, bisogna riconoscere il tempo
smitizzato imposto dall’«esecuzione puramente tec-
nica della mobilitazione totale»223. A queste latitudi-
ni, osserva Jünger, vige la «soluzione ametafisica»
[ametaphysische Lösung]224.
Il dominio dei corpi e delle superfici diventa quasi in-
tollerabile nel passo in cui Aue, riarso dalla febbre bac-
chica, punta il suo «terzo occhio risplendente» contro
quell’«occhio unico», “ciclopico”, che è la vulva del-
la sorella gemella. È un reciproco accecamento225. Ne

221 Ibid.
222 Th. Mann, Joseph in Ägypten [1936], Francoforte s.M.,
2004, p. 88.
223 E. Jünger, Strahl., cit., p. 343, in data 22 giugno 1943.
224 Ibid.
225 A 879, B 832: «Alors j’eus une idée: […] me tirant par les
avantbras, poussai mon front contre cette vulve, appuyant
ma cicatrice contre le trou. Maintenant, c’était moi qui re-
gardais à l’intérieur, fouillait les profondeurs de ce corps
Giuseppe Raciti 71

deriva uno stato psichico alterato, in cui si percepisce


nettamente l’influsso o meglio la pressione di un’altra
fonte: il Dossier dell’occhio pineale di G. Bataille226.
Il nome di Bataille ne richiama subito un altro: «Per
me, dichiara Littell, Blanchot è inseparabile da Ba-
taille. Li ho letti assieme»227. Marc Lemonier sostiene
che Fax Pas di Maurice Blanchot contiene la “chiave”
delle Benevole228. L’affermazione è impegnativa, for-
se troppo categorica, ma non può essere ignorata. La
raccolta di saggi di Blanchot esce nel 1943; Aue ne
acquista una copia a Parigi, mentre si trova in licenza.
Seguiamolo ai Giardini di Lussemburgo:

Mi sistemai su una sedia di metallo […] e lessi qual-


che saggio a caso [au hasard], incominciando da quello
su Oreste […]229.

La decisione di iniziare proprio da Le mithe d’O-


reste non sembra affatto casuale e l’interesse rivolto

de mon troisième oeil rayonnant, tandis que son oeil uni-


que à elle rayonnait sur moi et que nous nous aveuglions
ainsi mutuellement [...]».
226 G. Bataille, Dossier dell’occhio pineale [ca. 1930], in Id.,
Critica dell’occhio, a cura di S. Finzi, Rimini, 1972, pp.
77-114. L’immagine dell’occhio incastonato nel sesso
femminile viene dall’Histoire de l’oeil, il primo testo di
Bataille (1928), Parigi, 2010, pp. 92-93. Sulla presenza di
Bataille nella formazione filosofica di Littell, cfr. J. Littell,
R. Millet, Conversation à Beyrouth, cit., p. 24.
227 J. Littell, R. Millet, Conversation à Beyrouth, cit., p. 20.
228 M. Lemonier, Les Bienveillantes décryptées, cit., p. 21.
229 A 483, B 461.
72 Ho visto Jünger nel Caucaso

subito dopo a un altro saggio della raccolta, Le secret


de Melville, è forse da intendersi come un’accorta ma-
novra dissuasoria. In realtà è proprio Le mithe d’Ore-
ste ad attirare immediatamente, quasi senza riflessio-
ne – «au hasard» —, la sua attenzione. E soprattutto
è questo testo a dirigere i suoi faux pas, quando alle
prime ombre della sera smette di leggere e decide di
visitare una mostra al Grand Palais «dedicata a ope-
re greche e romane»230. D’improvviso, nella sala, si
compie un’epifania. Per la prima e unica volta nelle
Benevole/Eumenidi entra in scena il dio di Oreste. Aue
registra l’evento con queste parole: «Ammirai a lungo
la bellezza fredda, calma, disumana [inhumaine] di un
Apollo citaredo di Pompei [...]»231.
Blanchot torna a mettere nella giusta evidenza il
fatto tipicamente tragico che Oreste «se rend coupable
par obéissance»232, e che lui, il matricida, «n’est pas le
maître de son crime»233. Senza toccare qui il dato for-
se più sconcertante, o sia che questa è precisamente la
giustificazione espressa da quasi tutti i nazisti alla sbar-
ra, rileviamo che il vero assassino, nelle Eumenidi, è
Apollo. E non tanto perché la sua sagoma affiora dietro
quella di Oreste – sarebbe un punto di vista troppo mo-
derno e scontato, un anacronismo, quello che intendesse
individuare, nel contesto tragico, la figura del “mandan-

230 A 484, B 462.


231 Ibid. (versione modificata).
232 M. Blanchot, Le mythe d’Oreste, in Id., Faux Pas, cit., p.
72.
233 Ibid.
Giuseppe Raciti 73

te” —, ma perché Apollo “personifica” l’atto omicida


a cui approdano i faux pas dell’assassino materiale. È
infatti Apollo «il dio che ordina a Oreste di compiere
il matricidio»234. Nel duplice omicidio di Oreste non è
mai in questione la volontà dell’assassino, e nondimeno,
come nel caso esemplare di Edipo, egli è colpevole al
più alto grado. La spiegazione di questo paradosso che
impronta il mondo greco si condensa nella dotta conclu-
sione di Aue: «Le crime se réfère à l’acte, non pas à la
volonté»235. È chiaro che il concetto enunciato da Aue
mira a una riduzione decisionistica o “schmittiana” del
problema delle responsabilità. Si tratta infatti di evitare
una valutazione etica delle intenzioni belliche e di in-
sistere sulla “necessità” (nel senso greco del “fato”) di
giudicare le azioni «secondo il diritto di volta in volta
dominante»236. Anche la nozione di verità non sfugge a
questo trattamento totalitario, onde è giocoforza assiste-
re alla «trasformazione di tutti i problemi di verità in pro-
blemi di potere»237. Auctoritas non veritas facit legem.
C’è tuttavia un altro aspetto della questione, altrettanto

234 J. Grethlein, Littells Orestie, cit., pp. 24-25.


235 B 545, A 572. Sul ruolo (secondario) della volontà indi-
viduale nella concezione greca dell’atto psichico restano
fondamentali i saggi raccolti nel volume di J.-P. Vernant
e P. Vidal-Naquet, Mito e tragedia nell’antica Grecia. La
tragedia come fenomeno sociale estetico e psicologico
[1972], tr. it. di M. Rettori, Torino, 1976.
236 J. Grethlein, Littells Orestie, cit., pp. 42-43.
237 T.W. Adorno, Minima moralia, cit., (versione leggermen-
te modificata), p. 123; Id. Minima moralia. Reflexionen
aus dem besch. Leben, cit., p. 123.
74 Ho visto Jünger nel Caucaso

importante, che nel discorso di Aue rimane implicito e


che in genere i teorici del decisionismo lasciano sullo
sfondo o più semplicemente ignorano. La base filosofica
su cui si fonda il ragionamento di Aue è il IX libro della
Metafisica di Aristotele, in cui viene stabilito il primato
dell’energheia sulla dynamis. Il Tipo trae alimento da
questo primato con la stessa consequenzialità con cui la
moderna psicologia dell’individuo richiede invece che
esso venga drasticamente rovesciato. E poiché la logica
greca non potrebbe dirsi completa senza il suo lato figu-
rale, a cui diamo il nome di mito, bisognerà assumere
che il primato logico dell’atto trova un riscontro preciso
e ineluttabile nella supremazia figurale di Apollo.
Incipit tragoedia. – Dice in proposito Sartre: Qu’y
a-t-il de plus sinistre que le soleil?238. Nell’Inno ome-
rico ad Apollo l’aggettivo che qualifica il figlio di Leto
è α α α ο , che significa “scellerato”239. All’inizio
dell’Iliade Apollo «scende come la notte»240 e semina
la peste nel campo acheo scagliando frecce avvelenate.
Possiamo immaginarlo all’opera, nella tenebra, col suo
«sorriso da lupo»241. Questo aspetto negativo e notturno
del dio ha fatto propendere gli studiosi per un’origine
orientale (licia) o sia “barbarica” del culto apollineo;
l’ipotesi fu sostenuta con buoni argomenti da Wila-

238 J.-P. Sartre, Les mouches [1942], Parigi, 1970, p. 82.


239 Inno ad Ap. 67.
240 Il. I, 47.
241 K. Kerényi, Unsterblichkeit und Apollonreligion, in Id.,
Apollon. Studien über antike Religion und Humanität,
Düsseldorf, 1953, p. 77.
Giuseppe Raciti 75

mowitz-Moellendorf242. Ma proprio alla luce di questi


rilievi il passaggio “storico” dal «dio “anatolico”, terri-
bile e distruttore», al «sovrano della mantica, che grazie
alle muse si trasforma nel dio dell’etica, precorritrice
della filosofia»243, diventa sempre più oscuro. L’opera
di Nietzsche ha reso universalmente nota la coppia an-
tagonista formata da Apollo e Dioniso, ma nel contem-
po ha dato corpo al sospetto che questo antagonismo
fosse in definitiva soltanto una proiezione semplifica-
ta dell’insondabile dualismo che agisce all’interno del
plesso apollineo244. A buon diritto, dunque, Aue dice
inhumaine l’«Apollo del Grand Palais»245. E l’eccita-
zione sessuale che gli ispira la visione della statua non
contraddice, bensì conferma la beauté froide ovvero il
“meccanismo” della performance:

L’Apollo del Grand Palais aveva ridestato […] altre


voglie. Scesi verso Pigalle […]. Non ci volle molto, e
rientrai in albergo con un ragazzo246.

Episodi del genere, assai frequenti nel plot, attestano


che la sensuality di Aue risponde a uno schema com-

242 U. v. Wilamowitz-Moellendorf, Apollon, in «Hermes»,


38, 1903, pp. 575-586.
243 M. Detienne, Apollon le couteau à la main, Parigi, 1988,
p. 43.
244 Abbiamo trattato questo tema nel nostro MECHANE. He-
gel, Nietzsche e la costruzione dell’ “illusione”, Napoli,
2000.
245 A 484, B 462.
246 Ibid.
76 Ho visto Jünger nel Caucaso

portamentale improntato all’automatismo, vale a dire al


puro rilascio pulsionale. Questo schema connota un altro
lato, non secondario, dell’«esecuzione puramente tec-
nica della mobilitazione totale»247. È un dato che trova
una conferma anche nella più aggiornata ricerca storica.
La tendenza ad attribuire allo stato di guerra, cioè a uno
stato d’eccezione nel quadro del diritto e della legalità,
la capacità di alimentare ogni sorta di comportamenti
violenti, può rivelarsi un errore. Come sostengono S.
Neitzel e H. Welzer, il rischio è quello di “esotizzare”
la realtà stessa della violenza248. «In altre parole: esca-
pismi sessuali, violenza corporale ed eccessi in genera-
le, sono saldamente ancorati alla quotidianità»249. Nella
«quotidianità soldatesca» [soldatische Alltag]250 vigono
gli stessi eccessi avallati in tempo di pace dall’industria
pornografica, dagli studios o dagli swinger club251. Nel
passaggio dal tempo di guerra al tempo di pace, la per-
sonalità di Max Aue subisce invero così pochi cambia-
menti strutturali, che il vecchio ufficiale, nelle pause del
suo nuovo lavoro civile, può rievocare con sobrietà casi
e episodi del passato, la cui natura apparirà “eccessi-
va” solo se trattata con la consueta «cecità sociologica
e storiografica»252.

247 E. Jünger, Strahl., cit., p. 343, in data 22 giugno 1943.


248 Cfr., S. Neitzel e H. Welzer, Soldaten, cit., p. 218.
249 Ibid.
250 Ibid., p. 219.
251 Ibid., p. 218.
252 Ibid.
Giuseppe Raciti 77

D’altra parte il commercio insistito con l’alta lette-


ratura non può assicurare alcun tipo di riscatto, sem-
mai fornisce un’aggravante. Come rileva sintoma-
ticamente Otto G. Oexle253, tra le «provocazioni» del
libro di Littell ce n’è una «enorme», che consiste nel
presentare il protagonista come «la quintessenza di un
intellettuale»254. «La verità dello Sturmbannführer Dr.
Aue», scrive di rincalzo il giurista K. Lüderssen, «con-
siste in questo, che l’oscenità dell’ideologia nazista non
si identifica con l’elemento plebeo, ma si manifesta
invece nella forma di una tremenda intellettualità [ent-
setzliche Intellektualität]»255. Stranamente, per questi
studiosi l’esistenza di figure come Ernst Jünger o Hein-
rich Stülpnagel, ufficiali hitleriani e raffinati intellettua-
li, non riduce in nessun modo la portata delle “provoca-
zioni” littelliane.

253 O.G. Oexle, Jonathan Littells Les Bienveillantes – ein


Roman für Historiker, in R. Böhm, S. Bung, A. Grewe,
Observatoire de l’extrême contemporain. Studien zur
französischsprachigen Gegenwartsliteratur, Tubinga,
2009, pp. 147-160, qui a p. 156.
254 Ibid.
255 K. Lüderssen, Das Furchtbare erkennen, in «Frankfurter
Allgemeine Zeitung», in data 31/12/2008.
78 Ho visto Jünger nel Caucaso

Max Aue frequenta Kant e Hegel256, Stendhal257,


Platone258, Tertulliano259, Flaubert260, Bossuet261,
Čechov262, e, come sappiamo già, conosce e apprez-
za un critico contemporaneo della levatura di Maurice
Blanchot. All’occasione può esprimersi in greco anti-
co263. Ascolta raffinata musica barocca francese («Ra-
meau, Forqueray, Couperain»264). Littell ci rivela an-
che le sue idiosincrasie: trova «illeggibile», per es., il
Mito del XX secolo265. Il giudizio ricalca con precisio-
ne quello espresso nei Pariser Tagebücher. Secondo
Jünger l’opera di Rosenberg contiene «la più insulsa,
la più superficiale filza di luoghi comuni che sia dato
immaginare»266. Probabilmente anche l’episodio della

256 B 69, A 67 («[...] je m’étais pris de passion pour Kant et


bûchais consciencieusement Hegel et la philosophie idéa-
list»).
257 B 91-92 , A 91 («Pour ma part, je lisais la correspondance
de Stendhal»).
258 B 97, A 97 («En feuilletant mon Platon [...]»); A, 190; B,
p. 184 («“Le Banquet. Vous l’avez lu? […] Je le connais
par coeur”»).
259 B 237, A 245-246 («Un membre de la Sicherheitsdienst
qui cite Tertullien plutôt que Rosenberg ou Hans Frank
[…]).
260 B 803, A 848 («Il y avait beaucoup de volumes […] je
finis par me décider, avec une flambée de plaisir, pour
L’éducation sentimentale, que je trouvai en français»).
261 A 182, B 177.
262 A 183; B 178.
263 A 271, B 261 («Oui, je connais le grec»).
264 A 468-469, B 447.
265 A 183, B 178.
266 E. Jünger, Das erste Pariser Tagebuch, cit., p. 396, in data
Giuseppe Raciti 79

visita di Himmler contiene analoghe contaminazioni.


Aue riceve la visita del Reichsführer in un letto d’o-
spedale; egli è l’eroe di Stalingrado e Himmler è ve-
nuto fin lì a premiare le sue gesta:

si chinò verso di me, e con panico crescente vidi av-


vicinarsi i suoi occhialini, i suoi baffetti grotteschi, le
sue dita grasse e corte con le unghie sporche267.

Jünger ha parlato dell’aspetto «acutamente bor-


ghese» [penetrante Bürgerlichkeit] di Himmler268,
un aspetto del tutto contrastante con la «grandiosità
luciferina»269 che si è soliti attribuire a personaggi del
genere. Piuttosto, dice, è uno di quei volti «che si tro-
vano in ogni metropoli, quando si va in cerca di una
stanza ammobiliata e ci apre la porta un ispettore in
pensione anticipata»270. «Dietro uno sportello qualsi-
asi può affiorare il nostro carnefice. Oggi ci notifica
una raccomandata, domani la sentenza di morte»271.
C’è poi il particolare delle unghie sporche. Lo ritro-
viamo in un altro passaggio dei diari, riferito però allo
scrittore Céline. Jünger lo incontra all’Istituto tedesco
e per prima cosa nota che ha le «unghie sporche»272.

7 ottobre 1942.
267 A 420, B 402.
268 E. Jünger, Jahre der Okkupation, cit., p. 68, in data 23
maggio 1945.
269 Ibid.
270 Ibid.
271 Ibid.
272 Nell’ultima ed. delle Strahlungen il passo è stato soppres-
80 Ho visto Jünger nel Caucaso

La reazione è immediata e violenta: «Entro ora in una


fase in cui la vista dei nichilisti mi riesce fisicamente
insopportabile»273. La repulsione di Aue è altrettanto
fisica e non meno violenta: «il suo alito alla verbena
mi soffocava»274.
Questo lato sofisticato di Aue è quello su cui la cri-
tica si è maggiormente accanita. La cultura dell’Ober-
sturmbannführer sarebbe solo una «mise en scène»:
«attorno a questo serial killer esteta e psicotico, la let-
teratura non è che un “merletto”»275. In una intervista
alla Frankfurter Allgemeine Zeitung del 28 novembre
2007, Claude Lanzmann, il regista del monumentale
Shoah (1974-1985), afferma che Littell «ha inventa-
to la lingua dei carnefici», trascurando il fatto, però,
che i carnefici «non dicono niente»276. La discussio-
ne rischia tuttavia di sonare un poco oziosa, perché
né Lanzmann né Theweleit, che interviene a favore di
Littell277, si rendono conto di un fatto per noi ormai
evidente: quando Littell fa girare Aue tra i bouquini-

so. Esso compare in Strahl., cit., p. 448, in data 16 novem-


bre 1943.
273 Ibid.
274 A 421, B 402.
275 G. Nivat, Les Bienveillantes et le classiques russes, cit., p.
62.
276 Il passaggio dell’intervista è citato da K. Theweleit, Post-
face a J. Littell, Le sec et l’humide, cit., pp. 131-132.
277 Ibid., p. 132: «Sur ce point, Lanzmann se trompe. Les
bourreaux ont refusé de parler face à sa caméra, c’est
vrai. Mais entre eux ils ont toujours parlé beaucoup et de
bon coeur [...]».
Giuseppe Raciti 81

stes, non sta inventando niente, piuttosto ha in men-


te un modello preciso e lo segue passo passo, ripla-
smandolo con gli strumenti della letteratura. Pensa al
flâneur del primo e del secondo diario parigino.
Alla vigilia della partenza per la Russia Jünger ac-
quista «presso uno dei bouquinistes» il prezioso vo-
lume di Hieronymus Mercurialis De arte gymnastica;
l’edizione, precisa, è quella stampata a Venezia nel
1601278. Tre giorni prima ha acquistato presso l’an-
tiquario Pierre Berès «l’antico Malleus Maleficarum
di Sprenger, e segnatamente nell’edizione veneziana
del 1574»279. Bernasconi, che tiene bottega in Avenue
de Lowendal, provvede intanto a rilegare un’edizione
del Catalogus Coleopterorum280. La mattina in cui il
bibliofilo passa a ritirare «i due volumi»281, fa visita

278 E. Jünger, Strahl., cit., p. 184, in data 11 ottobre 1942.


279 Id., Das erste Pariser Tagebuch, cit., p. 397, in data 8 ot-
tobre 1942.
280 Id., Das zweite Pariser Tagebuch, cit., p. 156, in data 23
settembre 1943. L’iniziativa sembra venire dallo stesso le-
gatore («Nel pomeriggio […] da Bernasconi, che mi vuol
rilegare [der... für mich binden will] il Catalogus Coleop-
terorum»), e la cosa solletica qualche ragionevole dubbio.
Si può solo immaginare il modo in cui venivano condotte
queste transazioni materiali tra manodopera locale e occu-
panti. In nessun punto dei diari, osserva puntualmente A.
Mitchell, affiorano le «chiacchiere con i bouquinistes e i
pescatori [sic!] del lungosenna», e in generale i diari jün-
geriani tacciono «sulla vita quotidiana della popolazione
parigina» (The Devil’s Captain, cit., p. 58).
281 E. Jünger, Das zweite Pariser Tagebuch, cit., p. 182, in
data 29 ottobre 1943.
82 Ho visto Jünger nel Caucaso

anche alla Doctoresse, al secolo Sophie Ravoux, l’a-


mante parigina (ma di origine tedesca) che compare
nei diari sotto vari nom de plume282. Questo connubio
di sesso e carta stampata, di appetiti carnali e bibliofi-
lici, questo «indescrivibile fascino sensuale e spiritua-
le [sinnlich-geistig]», per usare le parole non troppo
remote di Thomas Mann283, si impone quasi a ogni

282 Doctoresse, Madame Dankart, Madame d’Armenonville,


Charmille o Camilla: cfr. T. Wimbauer, Personenregister
der Tagebücher Ernst Jüngers, Hagen-Berchum, 20103,
s.v. A Sophie Ravoux è dedicato l’ultimo cap. del libro
di A. Mitchell, The Devil’s Captain, cit., pp. 79-89. Il
nodo intertestuale più sottile e delicato è certo quello che
congiunge Sophie Ravoux al misterioso personaggio di
Hélène Anders, la donna che compare al fianco di Aue
nell’ultimo atto della tragedia berlinese. Essa annuncia
già nel nome, come nella tradizione tragica, la sua diver-
sità: anders significa infatti “in altro modo”.
283 Tolte dal Lebensabriß del 1930, in Th. Mann, Ein Appell
an die Vernunft. Essays 1926-1933, vol. 3, pp. 214-215, e
rivolte alla necessità (letteraria e politica) di concentrarsi
sull’elemento «tipico, che è poi il mitico» (ibid., p. 215).
Sull’identità del “mitico” e del “tipico”, una questione
centrale nell’opera di Mann, cfr. soprattutto il testo della
conferenza Freud und die Zukunft, cit. Sul contributo di
Mann alla costruzione filosofica del concetto di Tipo in
opposizione all’individuo, cfr., da ultimo, il lucido saggio
di D. Conte, “Ur”. Origini e politica in Thomas Mann,
in «Archivio di storia della cultura», XXIII (2010), pp.
155-189. Sul rapporto tra Mann e Jünger segnaliamo lo
scritto di M. Rupprecht, Thomas Mann und Ernst Jünger,
in Wirkendes Wort: “weil ich finde, daß man sich nicht
‘entziehen’ soll”. Gesammelte Aufsätze zu Thomas Mann
und seinem Werk, a cura di L. Bluhm e H. Rölleke, Tre-
Giuseppe Raciti 83

tappa della narrazione. Il desiderio investe qui, in pari


misura, i corpi e lo spirito, intreccia «elementi formali
e individuali»284 ovvero mitici e storici, fino a confi-
gurare ancora una volta un fenomeno “totale”. Come
la “guerra assoluta” di cui parla Bellamy sulla scorta
di Clausewitz, anche il “desiderio totale” presuppone
soggetti adeguati. Presuppone Tipi, non individui.
Così lo Jünger parisien diventa, suo malgrado, un
sorprendente “paradigma”. Questo rispecchiamento è
certo il meno esibito, il più oscuro e scandaloso tra
quelli attivi sul piano intertestuale e suggerisce un’al-
tra chiave di lettura del libro di Littell. La nuova im-
presa impone subito una drastica correzione di rotta.
Anziché continuare a cercare un riscontro nella storia
dei fatti, cioè nella storia dell’occupazione nazista di
Parigi e tra le vicende materiali dei suoi protagonisti,
bisogna tornare a sondare la matrice tragica, il luogo
eschileo da cui tutto ha avuto origine.
Dev’esserci una ragione essenziale se Jonathan Lit-
tell ha preso in prestito il titolo del suo romanzo dal-
la terza parte dell’Orestea. Se si va in cerca di questa
ragione, non si può fare a meno di imbattersi in una
questione preliminare: la fonte classica distingue con

viri, 2001, pp. 411-423, in cui si sostiene una tesi molto


particolare: «Ci fu uno […] scrittore che alla fine degli
anni Venti giunse a scrivere il romanzo del Tipo e, per
conseguenza, a creare l’arte del Tipo nei termini prescritti
da Jünger nell’Arbeiter. Il suo nome: Thomas Mann. Il
libro: Joseph und seine Brüder» (la citazione si trova alla
p. 418).
284 Th. Mann, Freud und die Zukunft, cit., p. 513.
84 Ho visto Jünger nel Caucaso

precisione tra Erinni e Eumenidi. Eschilo ha concepito


il passaggio dall’una all’altra denominazione come un
“rovesciamento”, letteralmente come una “catastrofe”.
Littell usa la parola Eumenidi (in francese Bienveil-
lantes), ma allude espressamente al mito delle Erinni.
Due lettori interessati, Lemonier285 e Oexle286, indivi-
duano le Erinni rispettivamente in Clemens e Weser, i
due poliziotti della Kriminal Polizei (Kripo) che brac-
cano Aue per l’omicidio della Madre e del patrigno
(alias Clitennestra e Egisto). L’indicazione sembra del
resto confermata dallo stesso Aue: «Che cosa cercava-
no quelle bestie arrabbiate [bêtes enragées], ostinate,
sorde a ogni ragione?»287. Qualche riga più sopra il ri-
ferimento si fa più esplicito: Clemens e Weser sono
dogues malfaisants288. Sappiamo che le Erinni vengo-
no tradizionalmente descritte con le «teste di cane»289.
Le espressioni bêtes enragées e dogues malfaisants

285 M. Lemonier, Les Bienveillantes décryptées, cit., p. 43,


dove trova ricetto anche l’interessante aggancio interte-
stuale con i «“deux messieurs” qui viennent chercher K.
pour l’entraîner vers une mort certaine à la fin du Procès
de Franz Kafka».
286 O.G. Oexle, Jonathan Littells Les Bienveillantes – ein
Roman für Historiker, cit., p. 149: «I due commissari del-
la polizia criminale […] sono figure che vengono dalla
terza parte del ciclo degli Atridi di Eschilo».
287 A 861, B 816.
288 A 861, B 815.
289 R. Graves, I miti greci [1955], tr. it. di E. Morpurgo, con
una presentazione di U. Albini, Milano, 2002, p. 108.
Giuseppe Raciti 85

sono evidenti calchi dell’eschileo γ ο ο υ 290.


L’argomento di J. Grethlein è tuttavia inoppugnabile:
al momento un cui Aue verga la frase finale del libro,
l’unica in cui vengano espressamente nominate les
bienveillantes, Weser e Clemens sono già morti291.
Possiamo aggirare l’aporia in un altro modo. Il pri-
mo elemento interessante è che le Erinni si presentano
qui in formazione ridotta, sono due anziché tre; questo
è addirittura un arcaismo, perché la formazione a tre
rispecchia un assetto tardivo del mito292. Ma la scel-
ta di trasformare le Erinni in due poliziotti può veni-
re da più vicino, per es. da Blanchot, e precisamente
dal passo del saggio su Oreste in cui viene discussa
l’idea sartriana di presentare le Erinni sotto l’aspetto
di “mosche”. Per Blanchot il senso di questa inven-
zione è chiaro: si tratta di «réduction homéopatique
des Furies»293. In qualità di persecutori tra i persecu-
tori e come cercatori di verità nel caos policratico del
regime hitleriano, anche i due poliziotti, come le “mo-
sche” di Sartre, sono «riduzioni omeopatiche» delle
Erinni. Detto con altre parole: l’opposizione Kripo/
Sicherheitsdienst va letta, non senza un’intenzione di
comicità294, alla luce della celebre formola terapeutica:
similia similibus curantur.

290 Coefore, 1054 (Eschilo, Le tragedie, a cura di M. Centan-


ni, Milano, 2003: «cagne furiose»).
291 J. Grethlein, Littells Orestie, cit., p. 20.
292 J.-L. Backès, Oreste, Parigi, 2005, p. 148.
293 M. Blanchot, Le mythe d’Oreste, cit., p. 74.
294 Convocato a rapporto da Himmler, Aue dichiara: «On
m’accuse d’être un assassin, mon Reichsführer: Ce serait
86 Ho visto Jünger nel Caucaso

Fin qui si è tuttavia parlato di Erinni, non di Eu-


menidi. Com’è noto, alla base dell’uso di questa
«antifrasi»295 ci sarebbe l’intento di esorcizzare il
male traverso il suo opposto semantico; allo stesso
modo, «si parla di Ade come di Plutone o Pluto, cioè
il “ricco”»296. Nel libro di Littell la parola Eumenidi
compare solo due volte; la troviamo nel titolo e nella
frase conclusiva:

J’étais triste, mais sans trop savoir pourquoi. Je res-


sentais d’un coup tout le poids du passé, de la douleur
de la vie et de la mémoire inaltérable, je restais seul […]
avec le temps et la tristesse et la peine du souvenir, la
cruauté de mon existence et de ma mort encor à venir.
Les Bienveillantes avaient retrouvé ma trace297.

Il nome Bienveillantes fissa pertanto l’inizio e la fine


dell’opera: ο Α α ο Ω. Questa posizione così ben
caratterizzata sul piano spaziale e tipografico come su
quello strategico e diegetico, richiede una spiegazione
adeguata. Per prima cosa bisognerà ammettere che l’e-
spressione non ha semplicemente un significato eufe-
mistico. Oexle, che è uno storico, opta per l’approccio
più consolidato: «Si tratta di un eufemismo, dice, giac-
ché in realtà si allude alle Erinni, alle furie»298. Ma dire

comique si ce n’était aussi tragique» (B 692).


295 J. Littell, Brief an meine Übersetzer (3 novembre 2006),
in Aa.Vv., Die Wohlgesinnten, cit., p. 6.
296 R. Graves, I miti greci, cit., p. 109.
297 B 894 (corsivo nostro), A 943.
298 O.G. Oexle, Jonathan Littells Les Bienveillantes – ein
Giuseppe Raciti 87

Erinni o dire Eumenidi, come preciseremo tra poco,


non è affatto la stessa cosa. Resta perciò da chiarire chi
sono o che cosa sono le Eumenidi. A partire da Virgi-
lio, scrive Backès, la denominazione di Erinni cede il
posto a quella di Eumenidi, come se i due nomi non
designassero più due realtà ontologicamente diverse
e perfino incompatibili. Eppure di questo si tratta: il
mondo delle Erinni non è quello delle Eumenidi. Il
mondo delle Eumenidi è il mondo di Apollo.
Come sappiamo, Blanchot sostiene che il principe
greco «n’est pas le maître de son crime»299; Oreste
«se rend coupable par obéissance»300. Di conseguenza
abbiamo già identificato l’ombra del dio che sovrasta
la figura di Oreste. È quella di Apollo. Ma l’accesso
all’ambito apollineo non è semplicemente un’espe-
rienza mitologica, è anche un’esperienza politica. In
Littell l’uso del mito segue di pari passo il dipanarsi di
un’esperienza politica estrema. Le Benevole registra-
no una consonanza inquietante tra le tematiche tradi-
zionali del plesso apollineo (la freddezza, la crudeltà,
la distanza anaffettiva e il suo correlato tecnologico: la
perizia arcieristica301) e il dominio politico della Zivi-

Roman für Historiker, cit., p. 149.


299 M. Blanchot, Le mythe d’Oreste, cit., p. 72.
300 Ibid.
301 Sartre concentra queste caratteristiche nella figura di Egi-
sto: «J’ai vécu sans désir, sans amour, sans espoir: j’ai
fait de l’ordre. O terrible et divine passion!» (Les mou-
ches, cit., p. 157). Gli aspetti antipsicologici (e per così
dire “balistici”) del plesso apollineo sono indagati in G.
Raciti, MECHANE. Hegel, Nietzsche e la costruzione
88 Ho visto Jünger nel Caucaso

lisation nella sua fase “compiuta”, la fase cioè in cui


si impone, in guise definitive, il potere planetario del-
la tecnica. Jünger la definisce absolute Zivilisation302.
Dal punto di vista della Kultur è il momento del mag-
gior pericolo; è il momento in cui «l’opera della civil-
tà, come dice Blanchot, è minacciata dall’oppressione
assoluta»303.
Da queste desolate estremità dello spirito europeo
origina un profondo cambiamento. Da un lato l’ele-
mento notturno e ctonio trapassa in quello solare e su-
perficiale, dall’altro l’«espressione della giustizia»304,
basata sulla «vendetta divina»305, cede il passo all’e-
sercizio delle leggi della polis (propriamente le leggi
della politica). Nelle Mouches di Sartre questo duplice
movimento si concentra in un quadro unitario:

Electre, derrière cette porte, il y a le monde. Le


monde et le matin. Dehors, le soleil se lève sur le routes.
Nous sortirons bientôt, nous irons sur les routes enso-
leillées, et ces filles de la nuit [le Erinni] perdront leur

dell’illusione, cit., passim. Per l’organizzazione politica


del celebre santuario è ancora obbligata la consultazione
di J. Defradas, Les thèmes de la propagande delphique
[1954], Parigi, 1972.
302 Questa espressione, forse un apax, compare nella prima
versione dell’Abenteuerliches Herz. Aufzeichnungen bei
Tag und Nacht [1929], in Id., Sämtliche Werke, cit., vol. 9,
sez. II, p. 78.
303 M. Blanchot, Une oeuvre d’Ernst Jünger, cit., p. 290.
304 J.-L. Backès, Oreste, cit., p. 140.
305 Ibid.
Giuseppe Raciti 89

puissance: les rayons du jour les transperceront comme


des épées306.

L’atto vendicativo si basa sull’equilibrio delle par-


ti in gioco: è una risposta “naturalmente” adeguata al
crimine commesso; per contro, il connubio di “helios”
e “polis” libera una energia «senza contropartita»307.
Come «il sole offre senza mai ricevere»308, così l’of-
ferta politica di Apollo non ammette compensazioni.
Essa si impone con le sue stesse forze, è fondamento
a se medesima e non necessita di legittimazioni ester-
ne: je suis condamné, dice l’Oreste sartriano, à n’avoir
d’autre loi che la mienne309. Questo tipo di legge è in
sostanza un artifizio, una α , perché ha spezzato i
legami con l’equilibrio economico naturale dominato
dal principio dell’utile. Apollo impone la legge della
tecnica; o meglio: Apollo eleva la tecnica al rango di
legge universale. Si deve a questo nuovo regime eco-
nomico il “rovesciamento” – α α οφ – che tra-
sforma le Erinni in Eumenidi. Le Eumenidi si qualifi-
cano pertanto come le divinità della politica all’altezza
della “forma della tecnica” [Gestalt des Arbeiters].
Sotto l’occhio ben desto delle Eumenidi avviene il fa-
tidico “incontro” dell’«uomo moderno» con la «tecni-
ca planetaria»310. Ecco allora che nel nome di queste

306 J.P. Sartre, Les mouches, cit., p. 171.


307 G. Bataille, La Parte maudite, cit., p. 55.
308 Ibid.
309 J. P. Sartre, Les mouches, cit., p. 182.
310 Cfr. M. Heidegger, Einführung in die Metaphysik, cit., p.
152.
90 Ho visto Jünger nel Caucaso

divinità non risuona semplicemente un eufemismo e


nemmeno una antifrasi, bensì un radicale mutamento
di identità e di prospettiva. È in questione una nuova
concezione ontologica, sorge una nuova “forma”. La
tragedia del nazismo vi si inscrive senza residui. – Il
mondo apollineo è catastrofico.
Il potere apollineo (o politico) delle leggi si esercita
sui tipi, non sugli individui. Il Tipo è il rovesciamento
dell’individuo, nel senso “tecnico” del termine: l’av-
vento del Tipo segna la “catastrofe” dell’individuo.
Questa «catastrofe [Katastrophe] appare come l’aprio-
ri di un mutato modo di pensare»311. Il nuovo pensiero
impronta a sua volta «un nuovo paesaggio», in cui il
«singolo» [der Einzelne] non si configura più «come
persona o individuo, ma come Tipo»312. Dietro il Tipo
e l’individuo, è noto, operano una serie di opposizioni
per lo più stilizzate, che contrassegnano il clima della
rivoluzione conservatrice. Tra queste spicca l’opposi-
zione tra Zivilisation e Kultur. La posizione di Jünger
rivela subito un’altra complessità: «Al piano della ti-
picità, chiarisce in un punto, spetta la forma impressa
dall’elemento civilizzatore [die Form des Zivilisatori-
schen], una forma che va distinta sia dalle forme natu-
rali che da quelle della Kultur»313. L’individuo va inte-
so allora come un ente scomposto su due piani diversi
e solidali: è un ente “naturale” e insieme “culturale”.

311 E. Jünger, Der Arbeiter, cit., p. 61.


312 Ibid., p. 117.
313 Ibid., p. 233.
Giuseppe Raciti 91

Questo doppio spessore lo predispone all’introspezio-


ne:

[L]’uomo della Kultur volge l’energia verso il domi-


nio interiore [nach innen], l’uomo della Zivilisation la
volge verso l’esterno [nach außen]314.

Come moderne divinità della notte, le Erinni esten-


dono la loro giurisdizione anche alla vita interiore.
All’opposto, l’uomo apollineo è «der innerlich erstor-
bene Mensch»315, l’uomo interiormente disanimato;
il suo statuto tipologico è saldamente presidiato dalle
Eumenidi. Alla notte privata dell’individuo appartiene
la percezione del tempo («le poids du passé»), la co-
gnizione dell’esistenza («la douleur de la vie») e della
sua continuità («la mémoire inaltérable»), la tensione
del futuro e il pensiero della morte («la cruauté […]
de ma mort encor à venir»). Tempo, dolore, memoria
e morte proiettano sul piano della Kultur gli antichi
diritti del sangue, come dire gli antichi diritti dell’u-
manità. Questa riumanizzazione del “politico” emerge
nel finale al ritmo binario di una gigue. È un fenomeno
successivo o contemporaneo alla “catastrofe” del regi-
me hitleriano e rimette le Benevole sulle tracce di Aue.
Nella macchina narrativa littelliana le Benevole ve-
gliano sul Tipo alla stessa maniera in cui le Erinni ve-

314 O. Spengler, Der Untergang des Abendlandes. Umrisse


einer Morphologie der Weltgeschichte [1918-1923], Mo-
naco, 1990, p. 51.
315 Ibid., p. 108.
92 Ho visto Jünger nel Caucaso

gliavano sull’individuo colpito nelle sue prerogative


più umane, anzitutto i rapporti familiari. Ora il punto
è che Aue, autore di un ponderoso «conte moral» ri-
volto ai «frères humains»316, non è più un Tipo, e di
conseguenza le Benevole minacciano di abbattersi su
quanto in lui sta cedendo o ha ceduto all’individuali-
tà, all’umanità, al sangue, in una parola alla “natura
umana”. I ricordi, in particolare, consentono di indi-
viduare i soggetti meglio di qualsiasi altro mezzo. È
una giusta intuizione di Grethlein quella che accosta,
nella lingua tedesca, i suoni di erinnern (“ricordare”)
e Erinnyen (“Erinni”)317. Essa lascia emergere dal gu-
scio fonetico un dato semantico di prim’ordine. Le
Erinni che sopravvivono a Weser e Clemens, o sia le
Erinni invisibili e psichiche, ben distinte dalle loro
«riduzioni omeopatiche» e materiali, sono i ricordi di
Aue. Ma i ricordi possono nascere e prosperare solo
in un ambiente a loro idoneo, cioè un ambiente psico-
logicamente strutturato. Questa esigenza comporta la
ricostruzione del sito psichico in cui si definisce, nel
bene e più ancora nel male, la “natura umana”. Ciò che
attira le Furie e le rimette sulle tracce dell’omicida è
la rinuncia alla tipicizzazione dell’esistenza, la rinun-
cia alla monumentalità apollinea in favore del meta-
morfismo dionisiaco. È un avvicendamento gravido di
conseguenze: mentre υ scava la sua tana invisibile
dentro il corpo visibile del Tipo, l’impalpabile tempo-
ralità s’insinua nello spessore delle cose e le svuota

316 B 11, A 5.
317 J. Grethlein, Littells Orestie, cit. p. 21.
Giuseppe Raciti 93

dall’interno. Il mondo nuovo consuma il vecchio. La


«Furia del dileguare» [Furie des Verschwindens], se-
condo una celebre espressione di Hegel318, è la poten-
za che domina sopra un mondo in cui l’essere umano
aspira con tutte le sue forze al ruolo individuale.
Come rileva ancora Grethlein, l’invocazione ai
frères humains (dalla Ballade des pendus di Villon,
certo, ma filtrati, poniamo, traverso i villoniani Men-
schenbrüder del Brecht della Dreigroschenoper) in-
troduce il registro della «compassione», che serve
«da sfondo per l’incipiente giustificazione di Aue»319.
Ma né la compassione né il bisogno di giustificare le
proprie azioni, sia pure senza pentimento, fanno parte
della strumentazione del Tipo. La distinzione classica
tra Benevole e Erinni è modellata adesso sulla distin-
zione tra Tipo e individuo e rimanda indirettamente
(o letterariamente) al sistema di concetti rigidamen-
te articolati nell’Arbeiter di Ernst Jünger, forse il più
apollineo dei pensatori contemporanei. Succede però
che una conclusione di questo genere ne innesca su-
bito un’altra, più radicale; si può infatti supporre che
nella reinvenzione del plot eschileo il ruolo di Apollo,
in cui abbiamo riconosciuto l’artefice della violenza
“civilizzata” e “politica” attribuita a Oreste, sia affi-
dato proprio a lui, a Jünger. In questo senso, la fugace
apparizione del «celebre scrittore»320 a Vorošilovsk-
Stavropol’ sarebbe da intendersi come un’effettiva

318 G.W.F., Hegel, Phänomenologie des Geistes, cit., p. 389.


319 J. Grethlein, Littells Orestie, cit., p. 7.
320 A 299, B 287.
94 Ho visto Jünger nel Caucaso

epifania o come un’agnizione: costui «non è Calcan-


te» dice Aiace Oiliade nel folto della battaglia, non è

l’augure indovino; /mentre se ne andava ho ricono-


sciuto da dietro /facilmente le orme dei piedi e delle
gambe, /giacché gli dèi si riconoscono321.

La fabbrica di merletti è il tempio in cui Aue gode


del temporaneo favore del suo protettore. «Il mio uf-
ficio è un posto piacevole per scrivere, grande, sobrio,
tranquillo. Pareti bianche, quasi prive di arredi […];
e in fondo una grande vetrata che si affaccia sulla
sala delle macchine»322. «I telai mi impressionano
sempre»323, confessa; è un piacere ascoltare il «ticchet-
tio monotono e sincopato che pervade lo spazio»324, il
«battito metallico a due tempi, ossessivo»325, favorisce
i pensieri. Oltre tutto il merletto è «una splendida e
armoniosa creazione dell’uomo»326. Le Benevole cre-
scono in questa atmosfera, che partecipa del fervore
operaio e della pace claustrale. Tempio e fabbrica pre-
siedono alla concezione dell’opera. Questa capacità di
ridurre a unità le realtà più eterogenee – il «paesaggio
di fabbriche» [Werkstättenlandschaft] e il «paesaggio

321 Iliade XIII, 70-73 (nella versione di G. Paduano, Torino,


1997).
322 A 10, B 16.
323 Ibid.
324 Ibid.
325 Ibid.
326 A 13, B 18.
Giuseppe Raciti 95

di templi» [Tempellandschaft] – attinge al nucleo più


segreto della «Forma dell’Operaio».

Altri elementi confluiscono verso il “cuore di luce”


della Zivilisation. Uno di essi mette capo al ruolo del
libro nel contesto della guerra. Tanto Jünger che Aue
fanno uso del libro come di un’arma “fuori ordinan-
za”. La presenza del libro in guerra assolve in effetti
a un compito eccezionale, che è quello di riafferma-
re, da una posizione liminare, «rasente al nulla»327, il
primato del cosmo sul caos, la supremazia di Apollo
sulle Erinni. Un episodio del testo, situato nell’ultimo
“movimento” della suite (gigue), illustra in maniera
adeguata quanto stiamo affermando.
Strappato a viva forza dall’incantamento erotico che
avvolge la villa in Pomerania e rimesso sui sentieri di
guerra dal sodale Thomas, Aue porta seco un’edizione
dell’Éducation sentimentale di Flaubert. «Appoggiata
sul secrétaire c’era L’éducation sentimentale: infilai
il volume nella tasca della giubba»328. I Russi sono
ormai dappertutto; il rientro a Berlino diventa assai
rischioso. Nei pressi di Belgarde il ponte della ferro-
via è stato fatto saltare; occorre comunque traversare
il fiume. «“Facendo attenzione, si può passare sulle

327 E. Jünger, Das erste Pariser Tagebuch, cit., p. 344, in data


9 luglio 1942.
328 A 887, B 841-842.
96 Ho visto Jünger nel Caucaso

travi”, bisbigliò Thomas»329. Passano i primi due, poi


tocca a lui. A qualche metro dalla riva Aue fa un gesto
maldestro – «mon reflet attira mon regard»330 – e tonfa
in acqua, come Narciso. Lo recupera il fido Piontek,
l’autista del gruppo:

Mi tastai le tasche, la mano incontrò il libro che avevo


preso e poi dimenticato. La vista delle pagine inzuppate
e ondulate mi rivoltò lo stomaco. Ma non c’era niente
da fare, Thomas mi incalzava, lo rimisi in tasca [...]331.

Mentre a Körlin, in Pomeriana, infuriano i combat-


timenti332, Thomas, Aue e Piontek attendono la notte.
«Mi sedetti dietro a un cespuglio, voltando le spalle
alla strada […]

poi tirai fuori di tasca L’educazione sentimenta-


le, con la rilegatura di cuoio tutta gonfia e deformata
[déformée], scollai con delicatezza alcune pagine, e mi
misi a leggere. Il lungo fiotto regolare della prosa [le
long flot étale de la prose] mi catturò rapidamente, non
sentivo più lo sferragliare dei cingoli né il rombo dei
motori, le strampalate grida in russo, “Davaj! Davaj!”,
né le detonazioni, un po’ più in là; solo le pagine ondula-
te e appiccicate disturbavano la mia lettura333.

329 A 894, B 848.


330 Ibid.
331 A 895, B 848.
332 A 898, B 851.
333 A 898 (versione lievemente modificata), B 852.
Giuseppe Raciti 97

La linea costante della prosa flaubertiana traccia un


confine invalicabile tra il mondo del caos e quello del-
la forma. In uno scenario analogo, perfettamente bi-
partito, Jünger legge l’Orlando furioso. Siamo «sulla
linea Siegfried»334, nella primavera del 1917. Nono-
stante tutto, racconta Jünger, «riuscì a riportare a casa
i due volumetti»335. «Mi pare di aver letto più in guerra
che in altri periodi; e non soltanto io»336.
Nelle Benevole Aue legge molto – «Il Flaubert fu
ben presto terminato, ma trovai altri libri»337 —, a se-
gno che l’esperienza sul fronte orientale si configura
a un certo punto come un’oscura e straripante av-
ventura dello spirito. Spiritus flat ubi vult. La grande
provocazione di Littell, lo ricordava Oexle, consiste
del resto proprio in questo, nel presentare l’efferato
ufficiale del Sicherheitsdienst come «la quintessen-
za di un intellettuale»338. Il che rende difficile, forse
impossibile fare i conti con lui. Soprattutto perché le
sue azioni non sono mai in sintonia con le sue letture,
con la sua cultura; con l’eccezione di un ultimo gesto
clamoroso, di cui Littell dà conto in uno schizzo di
sapore granguignolesco (oggi diremmo splatter); un
piccolo coup de théâtre da intendersi come l’originale,

334 E. Jünger, Annäherungen. Drogen und Rausch [1970], in


Id., Sämtliche Werke, cit., vol. 11, sez. II, p. 11.
335 Ibid.
336 Ibid.
337 A 915, B 867.
338 O.G. Oexle, Jonathan Littells Les Bienveillantes – ein
Roman für Historiker, cit., p. 156.
98 Ho visto Jünger nel Caucaso

personalissimo contributo di Max Aue alla storia degli


attentati al Führer.
Siamo tornati a Berlino. La fine è grottescamente
tangibile; all’uscita dell’ultimo concerto dell’orchestra
filarmonica «alcuni Hitlerjugend in uniforme con dei
cestini offrivano agli spettatori capsule di cianuro»339.
Sono certo, commenta Aue, che «Flaubert […] se se-
rait étouffé devant un tel étalage de bêtise»340. Una
mattina il Führer decide di decorare dieci ufficia-
li «che si fossero particolarmente distinti durante la
guerra»341. Aue è il penultimo della lista. La cerimonia
si svolge, com’è ovvio, nei penetrali del bunker della
cancelleria. Mentre il Führer si avvicina con passo in-
certo e senile, l’attenzione di Aue si concentra su un
solo elemento anatomico:

Non avevo mai notato fino a che punto quel naso fos-
se largo e sproporzionato. Di profilo, i baffetti distraeva-
no meno l’attenzione e si vedeva più chiaramente: ave-
va una radice spessa e i lati piatti, si sollevava in punta
per via di una piccola frattura; c’était clairement un nez
slave ou bohémien, presque mongolo-ostique. Non so
perché quel particolare mi affascinasse, lo trovavo qua-
si scandaloso. Il Führer si avvicinava e io continuavo a
osservarlo. […] Il suo alito acre, fetido mi indispose de-
finitivamente: era davvero troppo da sopportare. Allora
mi chinai e con forza gli morsi a sangue quel suo naso
bulboso342.

339 A 917, B 869.


340 Ibid.
341 A 926, B 878.
342 A 929, B 880-881.
Giuseppe Raciti 99

Questo testo subisce un cambiamento significativo


in una seconda versione a stampa apparsa sullo scor-
cio del 2007. In una lettera ai suoi traduttori, datata
31 maggio 2007, Littell spiega i motivi che lo hanno
indotto a modificare la scena dell’aggressione al Füh-
rer. Nel manoscritto originale Aue morde il Führer sul
naso (come nel testo che abbiamo appena letto); nella
variante successiva il naso viene invece stretto «entre
deux doigts repliés»343. In questo modo la scena as-
sume «tutt’altra portata»344. Il gesto, cioè, non è più
brutale e rabbioso bensì beffardo e perfino indulgente,
«comme on fait à un enfant qui s’est mal conduit»345;
esso, inoltre, contiene un’allusione a un gesto analogo,
altrettanto gratuito, del principe Stavrogin nei Demoni
di Dostoevskij346. Come si diceva prima, questa è forse
l’unica azione di Aue ispirata a un modello letterario.
Altrettanto interessante è la notazione di carattere
razziale riferita al naso del despota. Un nez slave ou
bohémien, presque mongolo-ostique. Un naso «vaga-
mente mongolo», sintetizza D. Bougnoux347. La nota-
zione è interessante perché ne incrocia un’altra, prove-

343 B 881.
344 J. Littell, Brief an meine Übersetzer (31 maggio 2007), in
Aa.Vv., Die Wohlgesinnten, cit., p. 13.
345 B 881.
346 J. Littell, Brief an meine Übersetzer (31 maggio 2007),
cit., p. 13. Su questo punto, cfr. G. Nivat, Les Bienveil-
lantes et les classiques russes, cit., p. 64. Per l’episodio
dostoevskiano, cfr. I demoni [1871], tr. it. di A. Polledro,
Torino, 1974, p. 42.
347 D. Bougnoux, Max Aue, personnage de roman, cit., p. 68.
100 Ho visto Jünger nel Caucaso

niente dai diari parigini, di analogo tenore. Il contesto


è onirico e il testo, com’era prevedibile, è stato espun-
to dai Sämtliche Werke:

Di notte mi è apparso ancora una volta Kniébolo, nel


quale stavolta mi sembrò lampante l’habitus dinarico
[der dinarische Habitus]348.

L’antropologia fisica colloca il tipo dinarico preva-


lentemente nei Balcani occidentali (ex Jugoslavia), ma
la sua presenza è cospicua anche nell’area dell’attuale
repubblica Ceca. Se Hitler è razzialmente dinarico è
allora plausibile che sfoggi un naso slave ou bohémien.
Del resto è stato proprio Hans Friedrich Karl Günther,
il più influente dei teorici nazionalsocialisti della raz-
za, a parlare, a proposito della razza dinarica, di un
«naso fortemente prominente»349. Quanto all’influen-
za mongolo-ostiaca, essa funziona come una specie di
correttivo, perché il tipo dinarico è tendenzialmente
slanciato, mentre Hitler, è noto, non lo era affatto350.

348 E. Jünger, Strahl., cit., p. 635, in data 20 marzo 1945.


349 H.F.K. Günther, Rassenkunde des deutschen Volkes
[1922], cit. in C. Schmitz-Berning, Vokabular des Natio-
nalsozialismus, Berlino-New York, 20072 , p. 154.
350 La penisola balcanica «è la sede principale della raz-
za Adriatica o Dinarica a statura alta e altissima. Ma se
questo suo carattere dovesse valere come discriminante
principale, la diffusione dei Dinarici sarebbe molto circo-
scritta. Infatti si ritiene da molti autori che il tipo di razza
sia rappresentato anche da vari gruppi a statura media o
medio-piccola dell’Italia e dell’Europa centrale [...]» (R.
Biasutti, Razze e popoli della terra, Torino, 1954, vol. 2,
Giuseppe Raciti 101

Visto da questa angolazione, l’appunto di Jünger


non contraddice il brano di Littell; al contrario, esso
permette di intravedere, anche in una scena di gusto
splatter e frettolosamente liquidata come una caduta
di stile, imprevedibili sinapsi intertestuali. Pur in man-
canza di contaminazioni esplicite, il campo magnetico
delle Strahlungen si rivela talmente vasto e potente, da
attirare al suo interno anche fenomeni e situazioni non
direttamente riconducibili alla sua sfera di influenza.
Ma c’è un altro spunto degno di nota in questa ric-
ca pagina di diario. Il sogno continua con l’annuncio,
da parte di Hitler, della «guerra chimica» [Gaskrieg].
Sotto questo rispetto, osserva sarcasticamente Jünger,
Hitler conserva un indubitabile vantaggio: «il grado di
nichilismo che ha raggiunto è tale, infatti, da collocar-
lo al di là di tutte le fazioni in lotta»351. «Ogni morto,
da qualunque parte provenga, rappresenta per lui un
guadagno»352. Il colloquio con Hitler prosegue con una
singolare considerazione, che sembra contenere un ri-
ferimento remoto (e dunque tanto più persistente nel
tempo) all’evento più drammatico tra quelli occorsi
durante il distaccamento di Ernst Jünger a Parigi – la
Geiselkrise del 1941:

Facevo inoltre questa considerazione: “Ecco, hai


fatto fucilare tutti quegli ostaggi [die vielen Geiseln]

p. 42).
351 E. Jünger, Kirchhorster Blätter, in Id., Sämtliche Werke,
cit., vol. 3, sez I, p. 387, in data 20 marzo 1945.
352 Ibid.
102 Ho visto Jünger nel Caucaso

per cavarne un interesse centuplicato a spese degli


innocenti”353.

Hitler trae un guadagno materiale e spirituale – un


guadagno “totale” – per ogni morto che direttamente o
indirettamente può essere ascritto alla sua responsabi-
lità. Facendo uccidere cento ostaggi per ogni morto te-
desco, secondo il rapporto previsto (e sostanzialmente
applicato) in seguito all’attentato al Feldkommandant
Karl Hotz, a Nantes, il 20 ottobre 1941, gli interessi
incrementano del cento per cento [tausendfältig].
Sono cifre che trovano un riscontro fin troppo preci-
so nei fatti storici. Prima dell’apertura del fronte orien-
tale (21 giugno 1941), l’ordine interno, in Francia, è
garantito dal patto tra sovietici e nazisti del 1939, che
prevedeva «controlli moderati» sulle attività delle for-
mazioni comuniste354. Ma dall’agosto del 1941 le cel-
lule di resistenti colpiscono senza requie. Gli attentati
proseguono anche nell’anno successivo e le rappre-
saglie crescono in misura conseguente. Se si inizia la
macabra conta dall’uccisione del cadetto della marina
Alfons Moser (21 agosto 1941), le vittime tedesche
– vittime militari – sono complessivamente otto. Gli
ostaggi giustiziati o deportati per rappresaglia, tutti
civili, sono all’incirca 500355. È chiaro che non può es-
serci alcun rapporto “economico” tra le due grandez-
ze, a meno di non ricorrere al principio della dépense.

353 Ibid.
354 A. Mitchell, Nazi Paris, cit., p. 47.
355 Ibid., p. 54.
Giuseppe Raciti 103

E sappiamo che è proprio questo il criterio adottato da


Thomas Hauser, il Pilade del Sicherheitsdienst. Si trat-
ta, con le sue parole, di sprecare le vite umane «come
si lancia il riso a un matrimonio»356.
Max Aue ha conosciuto la dépense nel massacro di
Babi Yar, a Kiev, nel settembre del 1941. La Geisel-
frage rappresenta per Ernst Jünger un’esperienza ana-
loga. Sembra del resto che a Parigi egli stesso abbia
comandato un plotone di esecuzione. Nell’appunto
del 29 maggio 1941 Jünger afferma di aver ricevuto
l’ordine di presiedere alla «fucilazione di un soldato
condannato a morte per diserzione»357. Precisa però di
trovarsi sul posto «con compiti di sorveglianza [zur
Aufsicht]»358. Naturalmente c’è una differenza non
trascurabile tra un’azione di sorveglianza e il vero e
proprio comando del plotone. Allan Mitchell avanza a
questo riguardo qualche legittimo dubbio. Secondo lui
il resoconto jüngeriano è tendenzioso. In esso risaltano
«l’abilità di un giornalista consumato» e «la maestria
di un esperto scrittore nell’esercizio del suo lavoro»;
grazie a queste qualità Jünger riesce a presentare se
stesso «semplicemente come un osservatore interes-
sato», offuscando «il suo ruolo effettivo [...] in quali-
tà di comandante di un plotone di esecuzione»359. Le
reazioni psicologiche alla vista dell’esecuzione sono
comunque significative. Se le confrontiamo con quelle

356 A 702, B 667.


357 E. Jünger, Das erste Pariser Tagebuch, cit., p. 244.
358 Ibid.
359 A. Mitchell, The Devil’s Captain, cit., p. 22.
104 Ho visto Jünger nel Caucaso

descritte da Littell nell’episodio di Babi Yar, affiorano


ancora una volta alcune analogie.
Ci sono in effetti due “morti parallele”. Da un lato
un «caporale che nove mesi prima ha abbandona-
to la truppa per dileguarsi nella città»360 – dall’altro
una giovane partigiana sovietica caduta nelle mani
dei tedeschi. Alla vista del prete che accompagna il
caporale, Jünger sperimenta una sensazione oppri-
mente: «è come ritrovarsi alla rovescia [es hat etwas
Umverfendes]»361. La scena dell’impiccagione della
partigiana scatena effetti analoghi, perché funziona
«come uno specchio», in cui Aue scorge la sua stessa
immagine «rovesciata» [inversée]362.
In entrambi i contesti opera il cliché dello “sguar-
do del condannato”. Si tratta di uno sguardo pieno di
«tensione pervasiva e indagatrice»363: è sufficiente che
indugi «un secondo»364 sul volto del capitano Jünger
per suscitare, al ritorno in città, «un nuovo, più in-
tenso attacco di depressione»365. Littell allestisce una
scena più teatrale. Soldati e ufficiali sfilano davanti al
patibolo per baciare la partigiana sulla bocca, «uno a
uno»366. «Quando fu il mio turno», rammenta Aue,

360 E. Jünger, Das erste Pariser Tagebuch, cit., p. 244, in data


29 maggio 1941.
361 Ibid., p. 246.
362 A 175, B 171.
363 E. Jünger, Das erste Pariser Tagebuch, cit., p. 246, in data
29 maggio 1941.
364 Ibid.
365 Ibid., p. 247.
366 A 275, B 170-171.
Giuseppe Raciti 105

mi guardò, uno sguardo chiaro e luminoso, lavato da


ogni cosa, e vidi che lei, lei capiva tutto, sapeva tutto,
e di fronte a quel sapere così puro esplosi in fiamme367.

L’obiettivo scivola ora nella forra di Babi Yar. I car-


nefici avanzano con orrore tra i corpi stratificati delle
vittime; «carni bianche e molli cedevano sotto gli sti-
vali, le ossa si spezzavano a tradimento»368. Affiora, in
un punto, il corpo di una donna «quasi nuda ma molto
elegante»369. Le hanno sparato alla schiena ma è an-
cora viva. Mentre la donna fissa l’ufficiale «con i suoi
grandi occhi sorpresi»370, le labbra sembrano sul punto
di «formare una parola»371.
Gli stessi particolari drammatici connotano la de-
scrizione dell’esecuzione alle porte di Parigi: dopo la
scarica del plotone il caporale rimane ancora in piedi
per qualche istante presso l’albero – i tratti del volto
sono atteggiati a «una immensa sorpresa»372 e la boc-
ca «si apre e si chiude, come volesse formulare delle
vocali»373.

367 A 275, B 171.


368 A 126, B 125.
369 A 127, B 126.
370 Ibid.
371 Ibid.
372 E. Jünger, Das erste Pariser Tagebuch, cit., p. 247, in data
29 maggio 1941.
373 Ibid.
106 Ho visto Jünger nel Caucaso

Tra la Parigi di Ernst Jünger e la Babi Yar di Max


Aue c’è in fondo solo una differenza di scenari e pro-
porzioni. La Geiselfrage riproduce in un contesto “ci-
vile”, e dunque con un effetto tanto più devastante, les
terribles massacres de l’Est374.
La Denkschrift di Jünger appartiene a quel genere
di documenti di intendimento apologetico che offro-
no una versione degli eventi dal punto di vista «degli
stessi occupanti»375. A distanza di più di mezzo secolo
Jonathan Littell ripete l’esperimento con i mezzi ete-
rogenei della letteratura376. Così anche Max Aue, come
Ernst Jünger, racconta una storia che appare diversa
dalla nostra, ontologicamente diversa, perché vista da
una prospettiva senza futuro.
Secondo Oswald Spengler, il massimo teorico della
rivoluzione conservatrice, la donna incarna l’essenza
stessa della storia: «In quanto madre, la donna [...] è
storia»377. «La madre che porta in grembo il bambino»
porta «il futuro»378. Ma nel progetto di una «civiliz-

374 B 142, A 144.


375 Cfr. A. Meyer, Die deutsche Besatzung in Frankreich
1940-1944, cit., p. 5.
376 All’esperimento letterario di Littell si aggiunge ora quello
cinematografico di Volker Schlöndorff, che nel suo recente
film (Das Meer am Morgen, 2011), basato essenzialmente
sulla Denkschrift di Jünger e sui diari parigini, ha «potu-
to raccontare il dramma della fucilazione dei cinquanta
ostaggi […] anche dalla parte tedesca» (cfr. Berggötz 2,
cit., p. 11).
377 O. Spengler, Der Untergang des Abendlandes, cit., p. 179.
378 Ibid., p. 178.
Giuseppe Raciti 107

zazione assoluta», al centro della quale vige il nesso


dell’«uomo moderno» con la «tecnica planetaria»,
non c’è posto per le madri. Così le Sophie Ravoux e
le Hélène Anders rimangono ai margini degli eventi e
tosto dileguano come ombre infernali.
109

UN EPILOGO

Abbiamo letto Les Bienveillantes come un romanzo


a chiave.
La chiave: Max Aue è Ernst Jünger.
Abbiamo rispettato anche i criteri della più vieta tra-
dizione giallistica: questa identificazione è infatti la più
improbabile.
Il personaggio storico Ernst Jünger fa il suo ingresso
nel romanzo di Littell in modo alquanto incolore. Lo in-
contriamo a Vorošilovsk, oggi Stavropol’, mentre scen-
de da un treno. È stanco, «ma ancora fresco e elegante».
Non dice niente; o meglio: non sentiamo niente di quello
che dice. La scena si apre come in un angolo della pagi-
na – rimpicciolita, remota; onirica.
L’illustre viaggiatore ha casualmente diviso lo scom-
partimento con la dottoressa Weseloh, proveniente da
Berlino. Questa signora dal «lungo volto equino» è
l’esperta in questioni razziali attesa per decidere della
sorte di un intero gruppo etnico, i Bergjuden o ebrei
caucasici. Su di loro pende la minaccia del temibile Si-
cherheitsdienst, il servizio di sicurezza delle SS. L’aval-
lo della scienza è la condizione stessa dello sterminio.
Barbarie e civilizzazione, come ammoniva Adorno, trac-
ciano cerchi concentrici.
110 Ho visto Jünger nel Caucaso

Max Aue si trova a Vorošilovsk per accogliere la We-


seloh. La presenza di Jünger accanto alla donna scor-
cia un emozionante fuori programma. C’è una rapida
presentazione. Aue conosce bene le opere del «celebre
scrittore», «in particolare l’Operaio», e vorrebbe intrec-
ciare un colloquio; ma la notorietà del personaggio attira
subito l’attenzione degli astanti: bisogna rimandare a un
momento più propizio.
Aue è impaziente, vuole parlare con Jünger. Così,
mentre la Weseloh comincia a studiare la documentazio-
ne, cerca di tornare a Vorošilovsk, ma per una serie di
contrattempi non ci riesce.
Passano le ore, i giorni. Frattanto la missione della
Weseloh giunge a compimento. Ora non ci sono più
ostacoli. «Jünger era ancora a Vorošilovsk, osserva Aue,
e avevo sentito dire che riceveva gli ammiratori che glie-
lo chiedevano […]. Mais j’avais perdu toute envie de
rencontrer Jünger».
L’incontro, dunque, non avviene. – Perché?
Siamo alla fine del romanzo. «Ho visto Jünger nel
Caucaso [...]», dice Aue alla sorella, «ma non ho avuto
occasione di parlare con lui».
Questo è falso. Anzitutto il colloquio con la sorella
è una fantasmagoria, nel senso che la sorella non c’è e
la casa in cui si trova Aue è vuota. Una casa vuota sulla
rotta dei Russi in avanzata. Aue finge che la sorella gli
parli di Jünger; e finge di risponderle con una menzogna.
Fingere di mentire è una cosa complicata; significa
dire quasi la verità, come sa fare solo la letteratura.
Jünger non dirige i passi di Aue, ma Aue completa
quelli di Jünger.
111

CHE COSA LE HA DETTO


PROMETEO NEL CAUCASO?
Uno scambio epistolare tra Ernst Jünger e Carl Schmitt1

10 ottobre 1942

Caro Schmitt,
con ogni probabilità dal 2 novembre non mi troverà
più qui2; per quanto mi è dato sapere, infatti, sarò co-
mandato per tre mesi nel Caucaso. A farmi visita sarà
dunque Prometeo in persona, il più potente dei Titani,
che in questo interregno degli dei acquista nuova forza
[…].

10 dicembre 1942

Caro Jünger!
Sua moglie ci ha dato notizia del suo arrivo nel
Caucaso. Come sta? E dove passerà il natale? La pen-
siamo sempre e parliamo molto di lei.

1 Per i brani delle lettere qui tradotte, cfr. E. Jünger-C.


Schmitt, Briefe 1930-1983, cit., pp. 148-155.
2 Cioè a Parigi.
112 Ho visto Jünger nel Caucaso

Posso inviarle il mio libriccino Terra e mare?3 Vi si


afferma in conclusione che la storia dell’umanità, se-
condo un’antica dottrina, descrive il passaggio traver-
so i 4 elementi. Adesso siamo nel fuoco. — Che cosa
le ha detto Prometeo nel Caucaso? Ciò che si definisce
“nichilismo” è arsione nel fuoco. L’impulso a bruciare
nei crematori è “nichilismo”. Questa parola l’hanno
inventata i Russi. Dalle ceneri origina poi l’uccello
Fenice, o sia un regno dell’aria.
[…]

23 dicembre 1942

Caro Schmitt,
[…]
Sto qui ormai da un mese e ancora non ricevo posta
[…].
Tra queste foreste fangose ho avuto meno stimoli
che visioni; qui, forse, si può gettare lo sguardo nel
regno del dolore in guisa più immediata, più lucida. La
connessione tra i processi meccanici, in quanto cristal-
lizzazioni di pura violenza, e il loro correlato passivo,
il dolore, ricorda con forza certe immagini di Hiero-
nymus Bosch, che vide con molta chiarezza questi pa-
esaggi di ghiaccio. […] Peccato che Bosch non abbia
potuto dipingere quel che ho visto ieri, mentre oscilla-

3 C. Schmitt, Land und Meer. Eine weltgeschichtliche Be-


trachtung, Lipsia 1942.
Appendice 113

vo nel minuscolo abitacolo di una teleferica stesa so-


pra il corso di un fiume — da basso, nella valle, sciami
di prigionieri portantini strisciavano furtivi; scaricati i
feriti, i cavalli scivolano nel fiume e il raggio incande-
scente dell’artiglieria pesante lacera l’aria. Da uno dei
piloni distrutti di un ponte che stavo sorvolando faceva
capolino un artigliere, in attesa di ricevere l’ordine di
aprire il fuoco verso il basso; proprio come fanno certe
figure che si vedono nei quadri di Brueghel, quando
sbirciano da dietro le tende o s’affacciano da un guscio
d’uovo. Nello stesso tempo, dagli altoparlanti mobili
di una compagnia addetta alla propaganda risonavano
su tutto questo guazzabuglio infernale le note di Hei-
lige Nacht. Cose del genere superano di gran lunga le
migliori escogitazioni dei primi utopisti.
[…]

27 dicembre 1942

Caro Schmitt,
le sarei molto grato per l’invio di Terra e mare. Me
lo mandi a Kirchhorst, per favore, con qualche parola
di dedica.
Il “nichilismo” ha da fare per certo col fuoco; sor-
prende il modo in cui si propaga il rogo. La particolare,
inedita atrocità del nostro tempo impone non soltanto
di uccidere, ma di annullare anche metafisicamente
il morto, di cancellarlo senza residui — al confronto
l’Inquisizione si rivelava umana. Il nichilismo dispone
114 Ho visto Jünger nel Caucaso

inoltre di una radice asiatica e di una europea; si po-


trebbe svilupparne la differenza traverso il dialogo tra
due funzionari intelligenti, uno tedesco e l’altro russo.
[…]
Un […] giardiniere di Lipsia di nome Grunert, che
mi fornisce occasionalmente di piante rare, mi scrive
di [Hugo] Fischer, il quale sarebbe stato visto a Londra
poco prima dello scoppio della guerra — e precisa-
mente in certe “taverne”, come lui le chiama.
Chiudo per via di un altoparlante che ha preso a
strepitare accanto a me. Suoni di questa specie li trovo
assolutamente equivalenti, sul piano acustico, a imma-
gini e avvenimenti come se ne vedono nelle Tentazioni
di S. Antonio — la stessa sfacciataggine di quei lemuri
che sorgono all’improvviso.

17 gennaio 1943

Caro Schmitt,
di ritorno dal Caucaso, mi attendeva a Vorošilovsk
un telegramma contenente la notizia della grave ma-
lattia di mio padre. Ho sorvolato Rostov quasi come
in braccio a Biedenhorn4, per arrivare giusto in tempo
a vedere il morto composto nella bara. Ora trascorro
alcuni giorni a Kirchhorst.
[…]

4 Personaggio del romanzo jüngeriano Auf den Marmor-


Klippen, 1939.
ETEROTOPIE
Collana diretta da Pierre Dalla Vigna e Salvo Vaccaro

1. Nerozzi Bellman Patrizia (a cura di), Internet e le muse.


La rivoluzione digitale nella cultura umanistica
2. Vaccaro Salvo (a cura di), Il secolo deleuziano
3. Berni Stefano, Soggetti al potere. Per una genealogia
del pensiero di Michel Foucault
4. Carbone Paola (a cura di), Congenialità e traduzione
5. Marzocca Ottavio, Transizioni senza meta.
Oltremarxismo e antieconomia
6. Carbone Paola (a cura di), Le comunità virtuali
7. Fadini Ubaldo, Principio metamorfosi. Verso
un’antropologia dell’artificiale
8. Mello Patrizia (a cura di), Spazi della patologia,
patologia degli spazi
9. Petrilli Susan, Ponzio Augusto, Fuori campo. I segni del
corpo tra rappresentazione ed eccedenza
10. Carmagnola Fulvio, La specie poetica. Teorie della
mente e intelligenza sociale
11. Deleuze Gilles, La passione dell’immaginazione. L’idea
della genesi nell’estetica di Kant
12. De Michele Girolamo, Tiri Mancini. Walter Benjamin e
la critica italiana
13. Riccio Franco, Vaccaro Salvo (a cura di), Nietzsche in
lingua minore
14. Carbone Paola, Patchwork Theory. Dalla letteratura
postmoderna all’ipertesto
15. Ferri Paolo, La rivoluzione digitale. Comunità, individuo
e testo nell’era di Internet
16. Foucault Michel, Spazi altri. I luoghi delle eterotopie
17. Bataille Georges, La condizione del peccato
18. Carbone Paola (a cura di), eLiterature in ePublishing
19. Dal Bo Federico, Società e discorso. L’etica della
comunicazione in Karl Otto Apel e Jacques Derrida
20. Deleuze Gilles, Istinti e istituzioni
21. Paquot Thierry, L’utopia ovvero un ideale equivoco
22. Pirrone Marco Antonio, Approdi e scogli. Le migrazioni
internazionali nel Mediterraneo
23. Ponzio Augusto, Individuo umano, linguaggio e
globalizzazione nella filosofia di Adam Schaff
24. Simone Anna, Divenire sans papiers. Sociologia dei
dissensi metropolitani
25. Vaccaro Salvo (a cura di), La censura infinita.
Informazione in guerra, guerra all’informazione
26. Artaud Antonin, CsO. Il corpo senz’Organi
27. Moulian Tomás, Una rivoluzione capitalista. Il Cile,
primo laboratorio mondiale del neoliberismo
28. Thea Paolo, Il vero cioè il falso. Invenzione,
riconoscimento e rivelazione nell’arte
29. Amato Pierandrea (a cura di), La biopolitica. Il potere e
la costituzione della soggettività
30. Bertuccioli Manolo, Carlos Castaneda e i navigatori
dell’infinito
31. Bonaiuti Gianluca, Simoncini Alessandro (a cura di),
La catastrofe e il parassita. Scenari della transizione
globale
32. Buchbinder David, Sii uomo! Studio sulle identità
maschili
33. Cozzo Andrea, Conflittualità nonviolenta. Filosofia e
pratiche di lotta comunicativa
34. Deleuze Gilles, Fuori dai cardini del tempo, Lezioni su
Kant
35. Galluzzi Francesco, Roba di cui sono fatti i sogni. Arte e
scrittura nella modernità
36. Leghissa Giovanni, Il gioco dell’identità. Differenza,
alterità, rappresentazione
37. Maistrini Maria, Il figurale in J.-F. Lyotard
38. Montanari Moreno, Il Tao di Nietzsche
39. Vaccaro Salvo, Globalizzazione e diritti umani. Filosofia
e politica della modernità
40. Bazzanella Emiliano, Il ritornello. La questione del
senso in Deleuze-Guattari
41. Fabbri Lorenzo, L’addomesticamento di Derrida.
Pragmatismo/ Decostruzione
42. Marcenò Serena, Le tecnologie politiche dell’acqua.
Governance e conflitti in Palestina
43. Piana Gabriele, Conoscenza e riconoscimento del corpo
44. Prebisch Raul, La crisi dello sviluppo argentino. Dalla
frustrazione alla crescita vigorosa
45. Scopelliti Paolo, Psicanalisi surrealista. L’influenza del
surrealismo su Hesnard, Lacan, Deleuze e Guattari
46. Vaccaro Salvo, Biopolitica e disciplina. Michel Foucault
e l’esperienza del GIP (Group d’Information sur les
prisons)
47. Vercelloni Luca, Viaggio intorno al gusto. L’odissea
della sensibilità occidentale dalla società di corte
all’edonismo di massa
48. Caronia Antonio, Livraghi Enrico, Pezzano Simona,
L’arte nell’era della producibilità digitale
49. Dino Alessandra (a cura di), La violenza tollerata. Mafia,
poteri, disobbedienza
50. Rodda Fabio, Cioran, l’antiprofeta. Fisionomia di un
fallimento
51. Scolari Raffaele, Paesaggi senza spettatori. Territori e
luoghi del presente
52. Pastore Luigi, Limnatis G. Nectarios (a cura di),
Prospettive del postmoderno Vol.1. Profili epistemici
53. Poidimani Nicoletta, Oltre le monocolture del genere
54. Pastore Luigi, Limnatis G. Nectarios (a cura di),
Prospettive del postmoderno Vol.2. Profili epistemici
55. Bellini Paolo, Cyberfilosofia del potere. Immaginari,
ideologie e conflitti della civiltà
56. Bazzanella Emiliano, Etica del tardocapitalismo
57. Cuttita Paolo, Segnali di confine. Il controllo
dell’immigrazione nel mondo-frontiera
58. De Conciliis Eleonora (a cura di), Dopo Foucault.
Genealogie del postmoderno
59. Di Benedetto Giovanni, Il naufragio e la notte. La
questione migrante tra accoglienza, indiffernza ed
ostilità
60. Pagliani Piero, Naxalbari-India. L’insurrezione nella
futura “terza potenza mondiale”
61. Vaccaro Giovanbattista, Per la critica della società della
merce
62. Vinale Adriano (a cura di), Biopolitica e democrazia
63. Demichelis Lelio, Leghissa Giovanni (a cura di),
Biopolitiche del lavoro
64. Corradi Luca, Perocco Fabio (a cura di), Sociologia e
globalizzazione
65. Bellini Paolo (a cura di), La rete e il labirinto. Tecnologia,
identità e simbolica politica
66. Dalla Vigna Pierre, A partire da Merleau-Ponty.
L’evoluzione delle concezioni estetiche merleau-
pontyane nella filosofia francese e negli stili dell’età
contemporanea
67. Riccioni Ilaria (a cura di), Comunicazione, cultura,
territorio. Contributi della sociologia contemporanea,
68. Pasquino Monica, Plastina Sandra (a cura di), Fare e
disfare. Otto saggi a partire da Judith Butler
69. Bertoldo Roberto, Anarchismo senza anarchia. Idee per
una democrazia anarchica
70. Del Bono Serena, Foucault, pensare l’infinito. Dall’età
della rappresentazione all’età del simulacro
71. Dino Alessandro e Licia A. Callari (a cura di), Coscienza
e potere. Narrazioni attraverso il mito
72. Farci Manolo, Pezzano Simona (a cura di), Blue lit stage.
Realtà e rappresentazione mediatica della tortura
73. La Grassa Gianfranco, Tutto torna ma diverso.
Capitalismo o capitalismi?
74. Dalla Vigna Pierre, La Pattumiera della storia. Beni
culturali e società dello spettacolo
75. Palumbo Antonino, Vaccaro Salvo (a cura di),
Governance e democrazia. Tecniche del potere e
legittimità dei processi di globalizzazione
76. Vaccaro Giovanbattista (a cura di), Al di là
dell’economico. Per una critica filosofica dell’economia
77. Meattini Valerio, Pastore Luigi (a cura di), Identità,
individuo, soggetto tra moderno e postmoderno
78. Dino Alessandra (a cura di), Criminalità dei potenti e
metodo mafioso
79. Scolari Raffaele, Filosofi e del mastodontico. Figure
contemporanee del sublime della grande dimensione
80. Trasatti Filippo, Leggere Deleuze attraverso Millepiani
81. Manicardi Enrico, Liberi dalla civiltà. Spunti per una
critica radicale ai fondamenti della civilizzazione:
dominio, cultura, paura, economia, tecnologia
82. Vaccaro Gianbattista, Antropologia e utopia. Saggio su
Herbert Marcuse
83. Trasatti Filippo, Filippi Massimo (a cura di), Nell’albergo
di Adamo. Gli animali, la questione animale e la filosofia
84. Franck Giorgio, Il feticcio e la rovina. Società dello
spettacolo e destino dell’arte
85. Marzocca Ottavio (a cura di), Governare líambiente? La
crisi ecologica tra poteri, saperi e conflitti
86. Grossmann Henryk, Il crollo del capitalismo. La legge
dell’accumulazione e del crollo del sistema capitalista
87. Pullia Francesco, Dimenticare Cartesio. Ecosofia per la
compresenza
88. Bazzanella Emiliano, Religio I. Senso e fede nel
tardocapitalismo
89. Foucault Michel, La società disciplinare
90. Palano Damiano, Volti della paura. Figure del disordine
all’alba dell’era biopolitica
91. Simone Anna, I corpi del reato. Sessualità e sicurezza
nelle società del rischio
92. De Gaspari Mario, Malacittà. La finanza immobiliare
contro la società civile
93. Ruta Carlo, Guerre solo ingiuste. La legittimazione dei
conflitti e l’America dall’Vietnam all’Afghanistan
94. Frazzetto Giuseppe, Molte vite in multiversi. Nuovi
media e arte quotidiana
95. Bazzanella Emiliano, Religio II. La religione del soggetto
96. Brindisi Gianvito, de Conciliis Eleonora (a cura di),
Lavoro, merce, desiderio
97. Casiccia Alessandro, I paradossi della società
competitiva
98. Castanò Ermanno, Ecologia e potere. Un saggio su
Murray Bookchin
99. d’Errico Stefano, Il socialismo libertario ed umanista
oggi fra politica ed antipolitica
100. Tursi Antonio, Politica 2.0. Blog, Facebook, YouTube,
WikiLeaks: ripensare la sfera pubblica
101. Lombardi Chiara, Mondi nuovi a teatro. L’immagine del
mondo sulle scene europee di Cinquecento e Seicento:
spazi, economia, società
102. Petrillo Antonello (a cura di), Società civile in Iraq.
Retoriche sullo “scontro di civiltà” nella terra tra i due
fiumi
103. Paolo Bellini, Mitopie tecnopolitiche. Stato, nazione,
impero e globalizzazione
104. Palumbo Antonino, Segreto Viviana (a cura di),
Globalizzazione e governance delle società multiculturali
105. Bertoldo Roberto, Nullismo e letteratura. Al di là del
nichilismo e del postmoderno debole. Saggio sulla
scientificità dell’opera letteraria
106. Ruggero D’Alessandro, La comunità possibile. La
democrazia consiliare in Rosa Luxemburg e Hannah
Arendt,
107. Tessari Alessandro (a cura di), Sindrome giapponese. La
catastrofe nucleare da Chernobyl a Fukushima
108. Bonazzi Matteo, Carmagnola Fulvio, Il fantasma della
libertà. Inconscio e politica al tempo di Berlusconi, 2011
109. Mario De Gaspari, La Bolla immobiliare. Le conseguenze
economiche delle politiche urbane speculative, 2011
110. Bruni Sara Elena Anna, Colavero Paolo, Nettuno
Antonio (a cura di), L’animale di gruppo. Etologia
e psiconalisi di gruppo. Riflessioni gruppali da un
seminario urbinate, 2011
111. Segreto Viviana, «Il padre di tutte le cose» Appunti per
una pedagogia del conflitto, 2011
112. Alessandra Dino (a cura di), Poteri criminali e crisi della
democrazia, 2011
113. Serena Marcenò, Biopolitica e sovranità. Concetti e
pratiche di governo alle soglie della modernità
114. Cosimo Degli Atti, Soggetto e verità. Michel Foucault e
l’Etica della cura di sé
115. Pascal Boniface, Verso la quarta guerra mondiale
116. Guido Dalla Casa, L’ecologia profonda. Lineamenti per
una nuova visione del mondo
117. Il clown. Il meglio di Wikileaks sull’anomalia italiana,
introduzione di Marco Marsili
118. Carlo Grassi, Sociologia della cultura tra critica e
clinica. Battaile, Barthes, Lyotard
119. Friedrich Georg Jünger, Ernst Jünger, Guerra e guerrieri.
Discorso
120. Emma Palese, Benvenuti a Gattaca. Corpo liquido,
pedicopolitica, genetocrazia
121. Anna Simone (a cura di), Sessismo democratico. L’uso
strumentale delle donne nel neo liberismo
122. Matthew Calarco, Zoografie. La questione dell’animale
da Heidegger a Derrida
123. Luigi Vergallo, Economia reale ed economia sommersa
nel riminese in prospettiva storica
124. Salvo Vaccaro (a cura di), L’onda araba. I documento
delle rivolte
125. Valeria Nuzzo, L’immagine per il paesaggio e
l’architettura. Percorsi didattici per la scuola
126. Félix Guattari, Una tomba per Edipo. Introduzione di
Gilles Deleuze
127. Raffaele Federici, Sociologie del segreto
128. Luca Taddio, Global revolution. Da Occupy Wall Street
a una nuova democrazia
129. Enrique Dussel, Indignados
130. James Tobin, Tobin Tax
131. Jean-François Lyotard, Istruzioni pagane
132. Delfo Cecchi, Cibo, corpo, narrazione. Sondaggi estetici
133. Mario Giorgetti Fumel, Federico Chicchi (a cura di), Il
tempo della precarietà Sofferenza soggettiva e disagio
della postmodernità
134. Spartaco Pupo, Robert Nisbet e il conservatorismo
sociale
135. Giuseppina Tumminelli, Strategie di ri-produzione.
Aziende agricole e strutture familiari nella Sicilia
centro-occidentale
136. Iris Gavazzi, Il vampiresco. Percorsi nel brutto
137. Ferruccio Capelli, Indignarsi è giusto
138. Enrico Manicardi, L’ultima era. Comparsa, decorso,
effetti di quella patologia sociale ed ecologica chiamata
civiltà
139. Manuele Bellini, Corpo e rivoluzione. Sulla filosofia di
Luciano Parinetto
140. Giovan Battista Vaccaro, Le idee degli anni Sessanta
141. Milena Meo, Il corpo politico. Biopotere, generazione e
produzione di soggettività femminili
142. Massimiliano Vaghi, L’idea dell’India nell’Europa
moderna (secoli XVII-XX)
143. Gianluca Cuozzo, Mr. Steve Jobs. Sognatore di computer
144. Paolo Cuttitta, Lo spettacolo del confine. Lampedusa tra
produzione e messa in scena della frontiera
145. Emiliano Bazzanella, Religio III. Logica e follia
146. Emma Palese, La filosofia politica di Zygmut Bauman.
Individuo, società, potere, etica, religione nella liquidità
del nostro tempo
147. Emma Palese, Mostri, draghi e vampiri. Dal meraviglioso
totalizzante alla naturalizzazione delle differenze
148. Matteo Bonazzi, Lacan e le politiche dell’inconscio.
Clinica dell’immaginario contemporaneo
149. Eleonora de Conciliis, Il potere della comparazione. Un
gioco sociologico
150. L’apartheid in Palestina. Il rapporto Human Rights
Watch sui territori arabi occupati da Israele
151. Fulvio Carmagnola, Clinamen. Lo spazio estetico
nell’immaginario contemporaneo
152. Francesco Pullia, Al punto di arrivo comune. Per una
critica della filosofia del mattatoio
153. Maurizio Soldini, Hume e la bioetica
154. Gianluca Cuozzo, Gioco d’azzardo. La società dello
spreco e i suoi miti
155. Andrea Gilardoni, Distruzioni. Potere & Dominio I
156. Andrea Gilardoni, (Dis)obbedienza. Meccanismi, stra-
tegie, argomenti. Potere & Dominio II
157. Nicoletta Vallorani, Millennium London, Of Other
Spaces and the Metropolis
158. Giuseppe Armocida, Gaetana S. Rigo (a cura di), Dove
mi ammalavo. La geografia medica nel pensiero scien-
tifico del XIX secolo
159. Salvo Torre, Dominio, natura, democrazia. Comunità
umane e comunità ecologiche
160. Tindaro Bellinvia, Xenofobia, sicurezze, resistenza.
L’ordine pubblico in una città “rossa” (il caso Pisa)
161. Amalia Rossi, Lorenzo D’Angelo (a cura di), Antropo-
logia, risorse naturali e conflitti ambientali
162. Augusto Illuminati, Teologia dei quattro elementi, Ma-
nifesto per un politeismo politico
163. Giovanni Leghissa, Neoliberalismo, Un’introduzione
critica
164. Anna Sica, Alison Wilson, The Murray Edwards Duse
Collection
165. Stefano Cardini (a cura di), Piazza Fontana. 43 anni
dopo. Le verità di cui abbiamo bisogno
166. Isacco Turina, Chiesa e biopolitica. Il discorso catto-
lico su famiglia, sessualità e vita umana da Pio XI a
Benedetto XVI
167. Felice Papparo, Perdere tempo
168. Ugo Maria Olivieri, Il dono della servitù. étienne de La
Boétie tra Machiavelli e Montaigne
169. Giovanna D’Amia, Milano e Parigi. Sguardi incrociati.
170. Vittorio Morfino (a cura di) Machiavelli: tempo e con-
flitto
171. Andrea Gilardoni, Potere potenziale
172. Laura Sanò, Donne e violenza
173. Marilena Parlati, Oltre il moderno. Orrori e tesori del
lungo Ottocento inglese
174. Damiano Palano, La democrazia e il nemico
175. Andrea Rabbito, Il moderno e la crepa
176. Pierre Dalla Vigna, Estetica e ideologia
177. Paola Gandolfi, Rivolte in atto
178. Chiara Simonigh (a cura di) Pensare la complessità.
Per un umanesimo planetario
179. Carmelo Buscema, L’epocalisse finanziaria. Rivelazio-
ni (e rivoluzione) nel mondo digitalizzato
180. Lidia Lo schiavo, Governance Globale, Governamen-
talità, Democrazia
181. Alessandra Vicentini, Anglomanie settecentesche
182. Francesco Saverio Festa, Un’altra “teologia politica”?
183. Daniela Calabrò, L’ora meridiana. Il pensiero inopero-
so di Jean-Luc Nancy tra ontologia, estetica e politica
184. Mimmo Pesare, Comunicare Lacan. Attualità del pen-
siero lacaniano per le scienze sociali
185. Riccardo Ciavolella, Antropologia politica e contempo-
raneità. Un’indagine critica sul potere presente
186. Carlo Calcagno, Impotenza. Storia di un’ossessione
187. Marta Sironi, Ridere dell’arte. L’arte moderna nella
grafica satirica europea tra Otto e Novecento
188. Gianpaolo Di Costanzo, Assi mediani. Per una topo-
grafia sociale della provincia di Napoli
189. Terrence Des Pres, Il sopravvivente. Anatomia della
vita nei campi di morte, a cura di Adelmina Albini e
Stefanie Golisch
190. Francesca Alix Nicòli, Giù le mani dalla modernità
191. Leonardo Vittorio Arena, La durata infinita del non
suono,
192. Anselm Jappe, Contro il denaro
193. Giovanni Comboni, Marco Frusca, Andrea Tornago
(a cura di), L’abitare e lo scambio. Limiti, confini,
passaggi
194. Gianluca Cuozzo, Regno senza grazia. Oikos e natura
nell’era della tecnica
195. Elisa Virgili, Ermafroditi
196. Flavia Conte (a cura di), Conversazioni sul
postmoderno. Letture critiche del nostro tempo
197. Alessandra MR D’Agostino, Sesso mutante. I
transgender si raccontano
198. Gianfranco La Grassa, L’altra strada. Per uscire
dall’impasse teorica
199. Paolo Mottana (a cura di), Spacco tutto! Violenza e
educazione
200. Licia Michelangeli e Vittorio Ugo Vicari (a cura di),
Mode società e cultura nella Sicilia del secolo d’oro
201. Roberto Bertoldo, Istinto e logica della mente. Una
prospettiva oltre la fenomenologia

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