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di Giuseppe Rinaldi
Soprattutto nel nostro paese questo termine viene usato con i significati più vari. Diremo
subito che, con questo termine, non abbiamo inteso la materia scolastica, che ora, per
indicazione ministeriale, si chiamerà “cultura civica e costituzione”.
Secondo la nostra definizione, la cultura civica è la cultura politica della democrazia [1].
C’è differenza dunque tra cultura politica e cultura civica. Ogni società sviluppa una sua
cultura politica (in questo senso possiamo parlare della cultura politica dei romani, degli
asiatici, delle tribù primitive, dell’assolutismo). Ma solo nelle società democratiche c’è la
cultura civica. La cultura civica dunque costituisce la specifica cultura politica delle società
democratiche.
Tuttavia accade spesso che tra la cultura civica e le istituzioni democratiche ci possano essere
delle sfasature.
A un estremo, possiamo avere una diffusa cultura civica, senza istituzioni democratiche. E’ il
caso delle colonie americane prima dell’indipendenza, dell’Inghilterra prima della guerra
civile. In tutti questi casi è facile che abbaino origine dei processi di trasformazione capaci di
instaurare delle istituzioni democratiche.
All’altro estremo, possiamo avere delle istituzioni democratiche, senza una diffusa cultura
civica. E’ il caso dei paesi dove la democrazia è recente oppure stata imposta dall’alto (con
scarsa partecipazione dei cittadini); sono cioè quei casi che possono essere riassunti sotto
l’etichetta della democratizzazione[2]. In questi casi, le nuove istituzioni democratiche non
avranno il beneficio di una diffusa cultura civica, saranno fragili, sempre esposte a crisi; non si
determinerà chiaramente un rapporto diretto tra cittadini e istituzioni, ma si determineranno
dei corpi intermedi capaci di aggregare gli individui e di fornire così, in forma indiretta, un
sostegno alla democrazia. Tali corpi intermedi possono essere famiglie, gruppi di élite, clan,
signori della guerra, oppure partiti. Nel caso della storia italiana si è parlato autorevolmente
di una “repubblica dei partiti” [3].
Questo sembra proprio il caso del nostro Paese. Sono almeno trent’anni che nel nostro paese
si ragiona intorno alla debolezza della cultura civica degli italiani, dovuta alle modalità con
cui è stata realizzata l’unificazione, ma anche dovuta allo sviluppo successivo del nostro
sistema politico, in particolare alla fase del passaggio tra il fascismo e la Repubblica. Sono
state condotte molte ricerche[4] che hanno messo in luce lo scarso civismo degli italiani, la
scarsa fiducia nelle istituzioni, le grandi difficoltà nella formazione e nel mantenimento del
capitale sociale.
Per questo complesso di motivi siamo stati indotti a dedicare una parte rilevante della nostra
indagine alla cultura civica dei giovani.
Nel resto di questo intervento fornirò alcune notizie intorno a due strumenti che abbiamo
utilizzato per rilevare la cultura civica. Con un primo strumento abbiamo rilevato la fiducia
negli altri, con un secondo strumento abbiamo cercato di costruire un indice di civismo.
La fiducia
Molti studi politologici hanno sottolineato come la fiducia negli altri costituisca
l’atteggiamento fondamentale alla base della cultura civica. A partire dalla fiducia negli altri è
stata sviluppata la nozione di capitale sociale che ha avuto una notevole diffusione.
Abbiamo misurato il grado di fiducia negli altri diffuso presso i nostri intervistati attraverso
una scala. Si tratta di 6 affermazioni, cui gli intervistati dovevano dirsi favorevoli o contrari,
su quattro posizioni, da “molto contrario” a “molto d’accordo”. Abbiamo potuto così
constatare che la fiducia negli altri dei nostri intervistati è davvero piuttosto bassa (è
compresa tra il 10 e il 25%).
La scala di rilevazione della fiducia comprendeva sei domande. Ne presenterò solo alcune, a
titolo esemplificativo.
La fiducia nell’onestà degli altri è un parametro importante per la definizione del grado
generale di fiducia. In tutto, solo il 16% concorda (molto o abbastanza) con l’item “la maggior
parte delle persone si comporta onestamente”. L’ 84% non è d’accordo (abbastanza o molto).
La percezione di poter ottenere dagli altri un aiuto in caso di bisogno è un’altra dimensione
importante della fiducia generalizzata. Solo il 18% ha risposto positivamente (abbastanza o
molto) all’item “nella maggior parte dei casi le persone sono disposte ad aiutare gli altri”. L’
82% si è detto contrario (abbastanza o molto).
Anche la percezione dell’egoismo degli altri può essere considerato come un importante
elemento di valutazione relativo alla fiducia generalizzata. L’89% si è dichiarato d’accordo
con l’espressione “La maggior parte delle persone pensa solo ai fatti propri”.
La società che li circonda appare dunque ai nostri giovani come un mondo infido e ostile.
D’altro canto (…non presenterò per brevità i relativi grafici) il 58% si è detto è convinto
(abbastanza o molto) che la collaborazione con gli altri “è sempre molto difficile se non
impossibile” (a dispetto della moda del cooperative learning!). Questo non significa tuttavia
che i nostri giovani non siano socievoli perché sono anche convinti che, in generale, sia “assai
più piacevole collaborare che competere” (84,2% contro il 14,5% ).
Il problema forse non sta tanto nei giovani, quanto nell’ambiente sociale che li circonda.
La cultura civica
Passiamo ora al secondo strumento di rilevazione. Si tratta di una batteria di domande, ideata
per ottenere una misura vera e propria della cultura civica. Si tratta di 13 affermazioni, cui gli
intervistati dovevano dirsi favorevoli o contrari, su quattro posizioni.
I temi riguardavano:
Avremmo potuto scegliere molti altri indicatori. In ogni caso pensavamo che questi elementi
fossero sufficienti per distinguere, con una certa cura, coloro che fossero dotati di scarsa
cultura civica da coloro che fossero dotati di una buon livello di cultura civica.
Il 49% si è detto d’accordo (abbastanza o molto) con l’espressione “Le discussioni politiche
sono noiose, inutili e non portano mai a nessun risultato.”.
Il 51% degli intervistati si è detto d’accordo (abbastanza o molto) con l’espressione “La legge
può anche passare in secondo piano, se sono in gioco gli interessi della nostra famiglia o dei
nostri amici.”.
Il 59% si è detto d’accordo (abbastanza o molto) con l’espressione “Visto come vanno le cose,
in certi casi non si può fare a meno di servirsi di spinte e raccomandazioni.”.
I modelli di risposta
Di solito, quando si opera con le scale, le risposte alle molteplici domande che compongono la
scala vengono sintetizzate in una unica misura. In sede di analisi dei dati, con una certa
sorpresa, ci siamo tuttavia accorti che gli intervistati non avevano risposto in maniera univoca
alle 13 sollecitazioni. In altri termini, le domande proposte non permettevano di rilevare
un’unica dimensione; nel linguaggio psicometrico, non costituivano una scala. Avrebbe potuto
trattarsi di un errore nella costruzione dello strumento di rilevazione. Tuttavia, esaminando
le risposte con maggiore attenzione, ci siamo accorti che si potevano identificare ben tre sub
scale (relativamente indipendenti tra loro, molto chiare sul piano del significato). Non
un’unica dimensione di cultura civica dunque, bensì tre dimensioni slegate tra loro. Le
abbiamo interpretate come antipolitica, particolarismo e civismo democratico astratto.
Le variabili interessate alla dimensione del particolarismo sono le seguenti: “La legge può
anche passare in secondo piano, se sono in gioco gli interessi della nostra famiglia o dei nostri
amici”, “In fin dei conti, in politica le menzogne sono necessarie e inevitabili”, “Non siamo
obbligati a obbedire a una legge che riteniamo ingiusta”, “Visto come vanno le cose, in certi
casi non si può fare a meno di servirsi di spinte e raccomandazioni”, “Non spetta ai cittadini
preoccuparsi della cosa pubblica, ma a quelli che sono incaricati e pagati per farlo”. Il
particolarismo è l’atteggiamento immaturo, pre-politico e antidemocratico. Si tratta di una
serie di comportamenti pratici di sopravvivenza immediata che si trasmettono per imitazione,
senza alcuna riflessione. Questa dimensione è ben conosciuta agli studiosi ed ha ricevuto varie
denominazioni, come ad esempio familismo amorale, campanilismo, mancanza di fiducia,
carenza di capitale sociale.
In conclusione
Particolarismo, antipolitica e civismo sono altrettante facce della stessa medaglia. Facce che
sembrano tuttavia non combaciare del tutto. Questo sfasamento può essere in parte dovuto
all’imperfezione dei nostri strumenti di rilevazione, ma è in parte dovuto all’oggetto in sé (la
questione potrà essere approfondita).
In sostanza, nei nostri giovani, al termine del loro percorso di formazione, al posto di una
dimensione unitaria di cultura civica, si trovano tre dimensioni, tre tipi di apprendimenti, che
non collimano: da un lato alcune nozioni astratte intorno al dover essere della democrazia,
dall’altro lato una forte avversione nei confronti della politica e, dall’altro lato ancora, una
predisposizione particolaristica a trovare degli arrangiamenti grazie alle relazioni
interpersonali, aggirando le leggi e le istituzioni.
Si noti che questa frammentazione della cultura civica non sembra dovuta tanto ad un deficit
scolastico quanto alla situazione generale del nostro paese, che tende costantemente a
riprodursi anche nella coscienza e nella pratica dei comportamenti dei giovani. In altri
termini, la micro pedagogia dell’arte di arrangiarsi, che si impara dall’ambiente, la pedagogia
negativa che viene dalla politica e la pedagogia istituzionale che viene dalla scuola, e dalle
stesse istituzioni, divergono costantemente e creano una situazione paradossale. In una
situazione come quella italiana, una cultura civica organica e coesa sembra davvero un
progetto impossibile.
[1] La definizione risale ai politologi nordamericani Almond e Verba (Almond, G. A. & Verba,
S., The Civic Culture. Political Attitudes and Democracy in Five Nations, PrincetonUniversity
Press, Princeton, 1963). La definizione suggerisce che la cultura politica costituisca il genere e
che la cultura civica costituisca la specie.
[3] Il termine risale a Pietro Scoppola, La Repubblica dei partiti, Il Mulino, Bologna, 1991.
[4]Cfr. ad esempio, Putnam, R. D., Making Democracy Work. Civic Tradition in Modern Italy,
PrincetonUniversity Press, Princeton, 1993. Tr. it.: La tradizione civica nelle regioni italiane,
Mondadori, Milano, 1993.
(13/5/2010)
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