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Geografia storica dell’Italia

Parte II
L’antichità e il Medioevo

CAPITOLO 1: Città, territorio e sistemi agrari nell’Italia antica

1.1 La città come “fuoco della civilizzazione” e dell’organizzazione territoriale


La città italiana nasce e si sviluppa a decorrere dal secondo quarto del primo millennio a.C. come figlia del
mercato. Il commercio e le attività legate allo scambio determinano sia la fondazione di nuovi centri
coloniali e sia lo sviluppo di agglomerati agricoli preesistenti, che si distinguono dalla rete consolidata dei
villaggi abitati da contadini e pastori (es. Etruria).
Gli insediamenti si adattano alla conformazione del terreno, non a caso tra l’VIII e il I secolo a.C. gli
insediamenti urbani si ritrovano pressoché ovunque tranne che nelle terre montane. L’urbanesimo si
intensifica tra i secoli IV-III e I a.C., in seguito alla completa romanizzazione delle isole e della Penisola.
I primi centri coloniali risalgono ai tempi dei Fenici e dei Greci, che si stabilirono sostanzialmente presso le
aree costiere (Olbia,Cuma,Spina…), bonificate, coltivate e divise in lotti regolari, cercando di sfruttare al
massimo la comodità delle vie marittime. Inoltre, la quasi totale uniformità del clima permise il trapianto di
colture e metodi di coltivazione sperimentati nell’ambiente di provenienza. Gli interni collinari e montani
rimasero in mano agli indigeni (Siculi, Sanniti, Bruzi…), spesso ostili ai nuovi arrivati e organizzati in
villaggi comunitari, con economie agricolo-pastorali di sussistenza, e con le modeste eccedenze indirizzate
verso i nuovi mercati urbani.
Gli Etruschi, invece, impiantarono i loro centri in posizione interna e solitamente alta, scelta dettata non
tanto dalla necessità di difendersi dia nemici, quanto dalla volontà di dominare il paesaggio e dal piacere che
derivava da esso. Greci ed Etruschi costruirono delle città-stato che non riuscirono mai a unirsi in organismi
politici nazionali, quindi rimasero sostanzialmente deboli e di fatto caddero nelle mani dei romani. Gli
Etruschi avevano però già cominciato a costruire vie di comunicazioni efficaci come strade, canali e porti e
cominciare le bonifiche e i disboscamenti per creare un’agricoltura di mercato affiancata da attività
industriali e minerarie, costruirono, inoltre, fognature per usi civici e acquedotti.
Roma, invece, si costituì come realtà urbana nell’arco di vari secoli, a partire da piccoli villaggi agricolo-
pastorali, che riuscirono a sfruttare le acque del mare e del Tevere. Tuttavia, bisogna sottolineare che la
fondazione delle città romane fu legata a motivi politici e solo in secondo luogo economici. Le colonie
romane vennero fondate quasi sempre nelle pianure, per la loro centralità e la facilità nello sfruttare le vie di
comunicazione e quindi partecipare ai traffici terrestri, marittimi e fluviali. Poche città preesistenti non
furono oggetto di rivitalizzazione urbanistica, economica e demografica da parte dei romani e poche delle
città distrutte furono sostituite da nuovi centri o da centri antichi recuperati, che risultavano ubicati in siti più
favorevoli.
La città romana mostra una chiara tendenza verso strutture geometriche per motivi tecnici, igienici e sociali.
Essa si caratterizza per la sua forma regolare a scacchiera, quadrata o rettangolare, ma sempre unitaria e in
genere dell’assenza della cinta muraria. Al centro della città si costruisce il foro che non è soltanto una
piazza porticata più grande delle altre, luogo dove si svolge il mercato, dove si organizzano le attività del
governo, dove si amministra la giustizia, dove si svolgono attività religiose. Nelle città nascono anche le
terme, i teatri e gli anfiteatri.
Insieme alla città, le strade furono un altro indispensabile fondamento della dominazione romana in Italia e
in tutto l’Occidente. Sia esigenze militari della conquista e del controllo del territorio e sia quelle della sua
organizzazione economica, commerciale e civile in un’unica e sempre più estesa realtà politico-culturale e di
mercato, determinarono la costruzione di una fitta rete di nuove strade di grande comunicazione. Le strade
servirono ad attirare il commercio, la vicinanza alle strade significava sicurezza e anche sviluppo economico
dato che lungo di esse sorgevano mercati, osterie e santuari.
Molti fiumi furono attrezzati come vie d’acque attraverso canali e porti, presso i quali presto cominciarono a
sorgere altri centri commerciali e abitati, soprattutto presso la Padania e l’Etruria. Fino al I secolo d.C.
presso le province erano tutti mercati dove venivano esportati i prodotti industriali di Roma e dell’Italia, ma
già due secoli dopo le città italiane entrano in crisi: decadenza economica e crollo delle funzioni urbane si
trovano accompagnata a una forte contrazione demografica e urbanistica. Per molto tempo furono i ruderi e
le città morte il simbolo del paesaggio italiano.
Nel tardo impero (guerra greco-gotica del 535-53 e con la definitiva separazione dell’Italia romano-
barbarica da quella bizantina nel 568 quando i Longobardi irruppero dai valichi alpini), quando il
cristianesimo era diventato ormai religione di Stato ed erano state create le diocesi, le città riuscirono a
rimanere in piedi grazie alle azioni dei vescovi.
La crisi economica e urbana, interagendo con la disgregazione istituzionale dello Stato, procurò la mancata
manutenzione delle grandi opere pubbliche come gli acquedotti, le strade, i ponti, i canali navigabili.
Tuttavia, tra il VI e il VII secolo d.C. l’abbandono delle città romane costituì la premessa per la nascita di
nuovi insediamenti, seppur più modesti.
Le città che sopravvissero o che vennero recuperate nei secoli del risveglio urbano sono debitrici delle forme
e in genere anche delle funzioni moderne e contemporanee alla matrice romana.

1.2. L’agricoltura

Le prime forme di agricoltura evoluta in Italia si hanno grazie a Etruschi, Fenici e Greci; le attività agricole
derivate dalla colonizzazione greca imprimono al paesaggio naturale l’aspetto di un vero e proprio paesaggio
agrario; gli agri vengono divisi in forme regolari con piccole aziende familiari di proprietà di agricoltori
residenti nelle città o in campi aperti, mentre in campi recintati venivano prodotte colture di pregio come
vite, olivo e alberi da frutta. Le suddivisioni ereditaria con il tempo finirono per cancellare quest’ordine.
Nel corso del IV secolo a.C. nelle aree di colonizzazione di alcune colonie greche si diffusero veri e propri
insediamenti agricoli con il carattere di fattorie, indirizzati quindi verso il mercato; gli Etruschi, invece, si
organizzarono in territori molto estesi e di proprietà aristocratica lavorati dai servi, praticando sia agricoltura
che allevamento estensivo. Le operazioni di bonifica furono comunque limitate, mentre con la
romanizzazione ci fu un allargamento dello spazio agrario attraverso bonifiche e dissodamenti; furono
introdotte anche numerose piante provenienti dall’Oriente come mandorli, ciliegi, peschi, oltre che castagni
e fichi. Nelle aree montane, invece, persistevano le antiche forme di organizzazione comunitaria in villaggi.
La riforma agraria romana previde la divisione delle terre in grandi appezzamenti affidati agli aristocratici e
lavorate dai servi o in piccole centurie distribuite alle piccole aziende familiari e che erano destinate
praticamente al solo autoconsumo della famiglia e solo eventualmente alla vendita delle eccedenze.
Le esigenze urbane crearono poi le condizioni per un secondo modello di agricoltura, quello in base alle
ville romane: esse erano costituite solitamente da un gruppo di edifici raggruppati intorno a una corte, con
varie officine e centri aziendali. Con la perdita dei valori economici e sociali nelle città e con la concorrenza
delle altre città dell’Impero il sistema della villa mutò in quello latifondistico. Con la fine del sistema
schiavistico molti contadini sciolti dal vincolo alla terra scapparono nelle campagne per mettersi sotto
protezione dei grandi proprietari terrieri, le cui ville spesso divennero fortificate per far fronte al pericolo
delle guerre civili e delle invasioni barbariche. I contadini, quindi, spesso affidavano i loro averi ai
latifondisti e si mettevano al loro servizio.
In questo contesto talvolta si smette la cerealicoltura e si conta solo sull’allevamento brado, mentre le
aziende signorili aumentano in estensione grazie all’abbandono di terre o alla consegna di terre da parte di
piccoli proprietari terrieri che si mettono sotto la loro protezione. Tutto ciò, affiancato dal disordine delle
acque non più controllate, finisce per influenzare in maniera negativa il paesaggio agrario, la cui situazione
risulta aggravata nel periodo del tardo impero dalle dominazioni dai barbari, che si stabiliscono presso le
città romane, fondandone di nuove e ridando forza ai vecchi insediamenti.
Proprio intorno ai vecchi insediamenti, alle ville e ai latifondi che prendono avvio le nuove forme di
organizzazione dell’economia e dell’amministrazione, con l’elaborazione di nuovi modi e forme per
spremere l’agricoltura grazie alle azioni dei signori barbari, che si stabiliscono sui latifondi, li fortifica in
caso sia offensivo che difensivo e instaura una signoria territoriale fondata principalmente
sull’autoconsumo. Questa realtà economica così attiva porterà, nell’Alto Medioevo, all’affermazione del
sistema curtense. Tale assetto è caratterizzato da piccole economie familiari e aziendali chiuse oppure da
unità di vita associativa riunite in villaggi o comunque nuclei modesti; qui comunità di coloni-servi
coltivano per la sopravvivenza delle loro famiglie e del proprietario del suolo.

CAPITOLO 2: L’Alto Medioevo: dalle corti ai castelli al primo risveglio delle città di mare

2.1 Città rovinate, feudalesimo e sistema curtense

Tra il V e il VI secolo la caduta dell’Impero e le conquiste longobarde e le conquiste longobarde comincia la


convivenza con le rovine del mondo antico, mentre si riflette sul tempo e sulla fragilità delle opere umane: il
patrimonio edilizio e architettonico di Roma va degradandosi lentamente, mentre altre città, come Ravenna,
Milano e Verona, si dimostrano più vivaci di Roma, altre città ancora perdono il loro ruolo politico ed
economico, come Bologna e in un secondo momento anche Ravenna; i longobardi espropriano i romani di
vasti territori ove si stanziano le tribù germaniche, poco numerose, mentre si sviluppa l’allevamento ovino e
suino e si diffonde la caccia nelle grandi aree forestali.
Nella Romania bizantina nasce Venezia e più a sud sopravvive Bologna e le dieci città episcopali, comincia
inoltre la costruzione di Ferrara e ricomincia ad affermarsi Roma dopo il riconoscimento della supremazia
politica pontificia sui territori appartenenti a Bisanzio. Anche a sud si manifesta qualche segno di ripresa,
mentre in generale decadenza per la mancanza di manutenzione è il sistema stradale romano e i relativi
ponti, soltanto intorno all’anno Mille alcune delle strade maggiori percorse dai pellegrini furono oggetto di
interventi di manutenzione, sorveglianza ed assistenza.
Le città che superano la crisi continuano ad essere tenute in vita dagli interventi della corte e dei vescovi,
oltre che delle prime comunità di monaci benedettini. In molti centri urbani, oltre ai proprietari fondiari,
cominciano a comparire gruppi di artigiani e mercanti, medici, giudici, sarti, fornai, maestri ecc., tutti
impegnati nel rifornire le classi dominanti locali e non per attivare una rete commerciale a larga scala.
Solo tra il Settecento e l’Ottocento e poi nei secoli X-XI l’Italia viene percepita da Carlo Magno e da altri
europei colti come una terra di città, cioè come un mondo diverso da quello franco-germanico, proprio
perché i centri italiani erano abitati anche dall’aristocrazia fondiaria, oltre che da figure socioprofessionali
fiscalmente e giuridicamente privilegiate nei confronti dei residenti nelle campagne e dei contadini.
Prima del Mille si verifica un cero risveglio urbano con la creazione di alcuni borghi, inoltre, più tardi si
assiste alla crescita e alla creazione di alcuni centri bizantini, vige però una nuova organizzazione degli
spazi, dove tendono a integrarsi in uno spazio continuo e le costruzioni si modellano sulla necessità
stringente di difesa e commercio per le quali sembrano insufficienti e inadatte le antiche costruzioni. Si
utilizzano comunque materiali poveri e facilmente deperibili come legno, argilla, per questo le città italiane
dell’Alto Medioevo hanno lasciato praticamente tracce nulle della loro esistenza. Inoltre ponti e acquedotti
non riuscivano ad essere gestiti e quindi erano poco funzionanti, le comunicazioni erano lente e poco
affidabili e i confini delle città poco definiti, infatti talvolta appena fuori dalle porte della città si
incontravano foreste e campagne.
La situazione nelle campagne non era, inoltre, delle migliori, data la radissima presenza dell’uomo il
ristagnare delle acque e laddove continuava ad essere praticata l’agricoltura, lo si faceva su terreni poco
fertili e con strumenti primitivi, in assenza di aratro e utensili di metallo e non solo le rendite erano basse,
ma si riscontravano anche varie difficoltà nella trasformazione dei prodotti e nella loro
commercializzazione, dedicandosi per far fronte a queste carenze a un allevamento approssimativo.
Furono le abbazie benedettine a svolgere un ruolo importantissimo riguardo le pratiche agrarie, seppur gli
interventi più incisivi del Medioevo risalgono alla conquista carolingia. Tali interventi si riversarono in
primis sul sistema stradale, riorganizzato, e sulla rivitalizzazione di alcune città di terraferma e di mare.
C’è inoltre l’affermazione del sistema curtense, incentrato su grandi aziende di proprietà signorile: molte
corti erano di appartenenza ecclesiastica. Questo sistema permise l’integrazione del lavoro agricolo con i
mercati locali: i coloni che vi lavoravano solitamente si vedevano concessi un pezzo di terra in affidamento
perpetuo, essi vivevano raggruppati in villaggi e lavoravano la cosiddetta parte massaricia, divisa in mansi,
unità semplici di produzione di dimensioni tali da consentire l’impegno di tutti i membri della famiglia
affittuaria, il loro autoconsumo e il pagamento in natura dell’affitto. Essi effettuavano anche giornate di
lavoro gratuito, le corvées, sui coltivi del signore gestiti nella parte dominica. Nei villaggi potevano vivere
anche contadini e artigiani di fatto liberi, ma che comunque dovevano al signore una tassa.
Continuavano a prevalere boschi incolti e acquitrini, mentre nelle rimanenze delle città si potevano trovare
coltivazioni orticole e arboree, che caratterizzavano il paesaggio soprattutto della Sicilia araba, dove si
diffonde il tipico paesaggio agricolo mediterraneo, caratterizzato cioè da piante da orto e frutta tradizionale
affiancate dalle nuove specie provenienti dagli ambienti caldi, cioè riso, cotone, canna da zucchero, agrumi e
gelso.
A partire dall’XI secolo i feudatari laici, per guadagnare sudditi e fedeli armati per far fronte alle lotte tra
signorie, concedono riparo nel loro castello, mentre le abbazie e le chiese promuovono interventi di
dissodamento e bonifica per favorire la ripresa dell’agricoltura, che non era solo l’attività economica
fondamentale nella civiltà italiana, ma era l’elemento portante dell’intero sistema economico, poiché
dipendeva tutto da essa, ma le campagne si trovavano in uno stato pessimo e solitamente alle dirette porte
delle città.
Tra il IX e l’XI secolo una situazione diversa dal contesto generale la vive la Sicilia con Palermo, alla
densamente abitata e ricca, punto di confluenza dei traffici tra il Mediterraneo islamico e l’Europa cristiana
grazie anche all’immigrazione araba. => città-oasi

2.2 La civiltà dei castelli

La fase successiva alla curtense è quella dell’incastellamento: già tra il IX e il X secolo la nobiltà laica ed
ecclesiastica aveva fondato i primi castelli, assimilabili a borghi o villaggi fortificati posti in posizione di
altura e abitati prevalentemente da contadini, dipendenti dal signore che aveva intrapreso l’opera. Il signore,
di regola, non costruisce il castello per sé stesso, ma per dominare l’abitato a lui soggetto. I castelli si
diffondono nel XI e nel XII secolo che costituiscono la loro epoca d’oro, ma anche nel XIII e nel XIV,
quando il sistema, in molte aree, è entrato in crisi e si verificano non pochi abbandoni dovuti alla ripresa
politica delle città e allo sviluppo di un’economia diretta dalla borghesia cittadina.
Alla generazione più tarda appartengono pure i castelli svevi dell’Italia meridionale e specialmente quelli
prodotti dalla cultura federiciana (prima della metà del XII secolo). Federico II sposta il centro di
gravitazione del suo regno dalla Sicilia alla Puglia e realizza, per dominare i nobili locali e le minoranze
arabe, una vera e propria rete di castelli.
Tra i secoli IX e XII, i castelli e le signorie territoriali che li esprimevano ebbero la forza di creare nuovi e
più articolati equilibri territoriali.
La nascita del castello mise in crisi la rete dei piccoli e piccolissimi villaggi o casali sui quali si reggeva il
sistema curtense. Molti di questi insediamenti furono infatti abbandonati e gli agricoltori si trasferirono nel
nuovo agglomerato, pur continuando a lavorare le terre del manso tradizionalmente loro affidate.
I signori, che concedevano ai lavoratori di terre di altri proprietari a risiedere dentro le mura, detenevano
saldamente nelle sue mani giurisdizionali e fiscali sia su coloro che vivevano nel suo insediamento che sui
distretti circostanti, presiedendo allo sfruttamento agricolo, ittico, pastorale e minerario, laddove possibile,
delle terre circostanti.
Con l’aumento progressivo della popolazione si assiste alla moltiplicazione e allo sviluppi dei castelli,
costituitisi nelle terre strappate al bosco o all’acquitrino, con il signore che continuava a controllare la
popolazione, attraverso la riscossione delle tasse e dei proventi per l’uso delle risorse ambientali e del
mulino.
Il castello divenne, inoltre, il centro del mercato, costituendo un ulteriore elemento di arricchimento per il
signore attraverso i dazi e le gabelle imposte sulle merci e creando la premessa per gli artigiani e i bottegai
di accumulare capitale ed elevarsi socialmente. Tra il XII e XIII secolo, però le corti vengono abbandonate
dai lavoratori affrancati, cioè liberati dalle virtù signorili, i ceti abbienti acquistano varie terre riuscendo a
diventare proprietari terrieri con l’indebolimento dei ceti aristocratici. Molti insediamenti furono, quindi,
abbandonati dagli abitanti che preferirono emigrare nelle città in espansione, così comincia il declino dei
castelli dei quali pochissimi riuscirono a salvarsi.

2.3. Il mare e il primo risveglio urbano a cavallo del Mille

Tra il IX e l’XI secolo si assiste, inoltre, all’ascesa delle repubbliche marinare, ovvero Amalfi, Venezia,
Pisa, Genova, con altri centri meno sviluppati, iniziano la lunga e contrastata fase della riconquista militare e
commerciale del Mediterraneo occidentale, che tra l’VIII e il IX secolo era stato ridotto a “lago arabo e
islamico”.
La conquista normanna nell’XI secolo, e soprattutto il controllo in seguito a passaggio matrimoniale, da
parte degli Svevi, di Sicilia e Meridione tra i secoli XII e XIII, con l’epilogo della conquista angioina
finirono però con il creare le premesse per la graduale decadenza delle autonomie e funzioni urbane, e
quindi delle attività economiche e mercantili generate dalle stesse repubbliche marinare meridionali.
Nel IX e X secolo il fulcro del commercio con l’Oriente è Amalfi, che mantenne sempre un contatto diretto
con gli arabi esportando schiavi, legname, ferro e armi in cambio di merci pregiate orientali e proprio per
questo rapporto con il mondo musulmano il commercio amalfitano era guardato con sospetto dalla
cristianità. Amalfi viene debellata alla fine dell’XI secolo dai Normanni e da quel momento lo sviluppo delle
altre repubbliche marinare ha un grande impulso.
Venezia si sviluppa abilmente attraverso canali e isole come collegamenti tra terra e mare e risente della
matrice originaria bizantina oltre che del rapporto diretto con Bisanzio mantenuto fino alla conquista turca.
Ciò che è evidente dal sistema costruttivo formato da muri pieni allineati con facciate vuote che presto
assumono forme romaniche, gotiche e rinascimentali, inoltre la posizione geografica e strategica le rese
possibili contatti con l'Oriente musulmano, con Bisanzio e con i regni cristiani dell’Occidente. Inoltre, era
ottima a fini difensivi per la sua posizione insulare nella laguna a nord del delta padano. Le sue lagune e i
suoi porti le assicuravano le risorse dell’industria del sale, che a sua volta costituiva la merce di scambio più
importante in assoluto.
Venezia non aveva basi agricole e dipendeva quasi interamente dal commercio, tenuto nelle più importanti
città dell’impero. È l’unica città-stato europea che compete vittoriosamente con gli stati nazionali nel XVI
secolo e rimane una grande potenza mondiale fino al XVIII.
Pisa si sviluppa tra l’XI e il XII secolo, quando costruisce la sua ampia cinta muraria ricalcando
parzialmente l’antico insediamento etrusco e romano, rifacendosi al modello classico della scacchiera, ma
acquisendo allo stesso tempo una fisionomia nuova. A seguito della sconfitta della Meloria la potenza
commerciale pisana cominciò il suo declino, aggravato dallo spopolamento della città e dell’impoverimento
delle campagne, fino a quando nel 1406 i fiorentini la conquistarono privandola dell’indipendenza.
Infine, Genova, che crea il suo porto in un sito ristretto e privo di comunicazioni agevoli con l’entroterra,
ma godeva anch’essa di una posizione favorevole per i commerci, che avevano come oggetti principali i
tessuti. Il commercio genovese si estese fino a Francia, Fiandre e Inghilterra. I tessuti nordici e le lane
inglesi furono importati in Italia direttamente, in cambio di spezie e sete meridionali, vini e allume e Genova
ne aveva il monopolio tra la fine del XIII e l’inizio del XIV secolo.
CAPITOLO 3: L’Italia della crescita comunale e della crisi basso-medievale

3.1 I secoli del primato: trend demografico e “rivoluzione” comunale

A partire dal IX e X secolo per continuare nei tre secoli successivi, comincia la ripresa demografica
dell’Italia e dell’Europa; nello stesso periodo l’Italia capisce come sfruttare la sua posizione centrale nel
Mediterraneo a livello economico riuscendo a ritagliarsi un posto di tutto rispetto nei traffici commerciali. A
favorire la ripresa demografica la scomparsa di alcuni fattori negativi come carestie, pestilenze, invasioni e
scorrerie.
La ripresa della popolazione urbana intorno al X-XI secolo è attestata da tutta una serie di indizi: costruzione
di nuovi centri urbani più solidi dal punto di vista organizzativo ma anche materialistico, infatti cominciano
ad essere utilizzati mattoni e pietre e comunque materiali che hanno lasciato maggiori tracce, ampliamento
del numero delle parrocchie, comparsa di sobborghi, edificazione di nuove mura.
La prima fase della crescita urbana si realizza sotto l’ala protettrice vescovile del potere vescovile che si
affianca a quello feudale, poi finisce per sostituirlo e comincia presso quelle città privilegiate per la loro
posizione geografica, per poi diramarsi anche nei centri interni, grazie alla ripresa dei sistemi di
comunicazione. Dopo la sconfitta e la morte di Federico II di Svevia nel 1250 il policentrismo italiano vince
sull’Impero e le città possono cominciare a svilupparsi in maggior autonomia, grazie alle nuove funzioni
territoriali e alla rivoluzione mercantile; l’Italia fu anche favorita dall’assenza delle grandi rivoluzioni
contadine che interessarono invece il resto dell’Europa, infatti in quello stesso periodo nelle campagne
italiane si stava verificando il processo dell’incastellamento.
A partire dall’XI secolo le abbazie benedettine di nuova fondazione contribuirono all’allargamento e al
popolamento dello spazio agrario attraverso azioni di bonifica e disboscamenti; l’Italia conobbe una crescita
demografica vertiginosa, crescendo di 6 milioni di abitanti tra il XV e il XVI secolo. La popolazione della
città crebbe più di quella rurale e allo stesso tempo crebbe il volume della produzione e degli scambi, quindi
anche il livello economico migliorò.
Cominciano però ad essere rilevate subito delle differenze a livello territoriale, si può infatti dividere l’Italia
in due parti, ovvero quella centro-settentrionale più urbanizzata e industrializzata e quella meridionale e
insulare, meno popolata e più agraria. Nel Meridione fu anche minore l’incremento della popolazione e lo
sviluppo delle città, pur essendoci state delle eccezioni, come Amalfi e Messina. Rispetto ai governi
comunali che si svilupparono nel Centro-Nord, a Sud riuscì a venir fuori una borghesia piuttosto debole, con
la dominazione di una classe agraria e feudale legata a una monarchia che andava sempre più indebolendosi
anch’essa. Insorge quindi in tempi remoti la questione meridionale, particolare debolezza urbana del Sud e
separatezza politica, socioculturale ed economica tra città e campagna. Qui le città non riuscirono mai ad
essere un vero centro di iniziativa politico-economica ma risultarono sempre come agglomerati di case.
La popolazione italiana era inoltre distribuita in modo non uniforme, con il Nord che era la parte più
popolata, il centro aveva il popolamento più fitto mentre il Meridione aveva la maggior concentrazione della
popolazione agricola negli agglomerati urbani di piccole e medie dimensioni. Ovunque si poteva riscontare
un notevole squilibrio tra popolazione urbana e agraria, di conseguenza la produzione cerealicola era
insufficiente a soddisfare il fabbisogno interno, anche laddove erano state introdotte piante come il castagno
per sostituire i cereali nell’alimentazione. Le rese della terra basse, lo squilibrio tra la popolazione, le
difficoltà negli scambi si protrassero lungo tutto il XIV secolo, nonostante gli sforzi statali di
migliorare la comunicazione attraverso l’allargamento delle strade e la costruzione di porti e canali.
Già nel XIII secolo fiorirono una serie di scambi e attività lungo le vecchie strade, rese più
efficienti, come la Francigena, lungo la quali si affermarono molti centri che conobbero una grande crescita
economica, come Siena e Asti, Pavia e Piacenza. Lungo tutto l’itinerario di questa strada e di molte altre
sorsero quindi i primi borghi. La Francigena, in particolare, essendo un punto di collegamento di molti centri
dell’Italia con l’estero contribuì notevolmente allo sviluppo della vita economica e sociale dell’Italia
medievale, perdendo poi la sua predominanza a causa dello sviluppo di altri percorsi, per i quali verranno
finalmente presi provvedimenti per migliorare la viabilità e tutelare i viandanti, come lo stanziamento di
reparti militari, e ciò favorì la nascita lungo di esse di osterie, alberghi, taverne e botteghe.
3.2 La crisi demografica ed economica tardo-medievale

Le carestie del periodo tardo-medievale prepararono gli organismi ad essere più colpibili dalle epidemie,
soprattutto dalla peste, un flagello che si ripresentò più volte e che ridusse drasticamente la popolazione.
L’abbandono dei castelli (che si verificarono nella seconda metà del XIV secolo) però non fu legato solo a
questo, soprattutto fu dovuto ai mutamenti politico e socio-economici che stavano delineando equilibri
territoriali nuovi, come la crescita delle città sotto i governi comunali e signorili.
Il quadro culturale ed etnico italiano viene a modificarsi grazie ai flussi migratori interni, dalle montagne e
dalle campagne verso le città per esempio, ed esterni, con immigrazioni dalla penisola balcanica, quindi di
slavi, greci ed albanesi, e dalla Germania, prestatori ebrei soprattutto.

3.3 I caratteri urbani di una società rurale. La ripresa delle città e dei centri minori

L’inversione di tendenza definitiva si verifica tra l’XI e il 15ìXV secolo, con la popolazione delle città, la
ripresa dei commerci, la circolazione della moneta, la formazione di nuove classi sociali. Il processo di
sviluppo urbano comincia nelle mani dei signori, passa per quelle dei vescovi e arriva in quelle di mercanti e
artigiani, che vogliono città più ordinate e funzionali, che diventano quindi il centro di specializzazione per
le attività del settore secondario e terziario.
La città, quindi, si presenta come derivante dall’equilibrio tra il potere vescovile, il governo civile, gli ordini
religioso, le corporazioni e le classi; il luogo più ricercato è il centro, la città è uno spazio ristretto nel quale
gli edifici si sviluppano in altezza e le mura difensive sono fondamentali e ovviamente costose, tanto più
quando si comincia ad allargare la cinta muraria per inglobare i borghi costituitisi lungo le principali vie di
comunicazione e alle porte delle città. Ad essere inglobati anche spazi verdi destinati alla funzione di orti,
occupati soprattutto da viti e da colture arboree, in modo da portare l’agricoltura in città ed avere
un’ulteriore fonte di sostentamento in casi di emergenza.
Tra tutti gli interventi edilizi, sono le cattedrali e le altre chiese della città che impegnano per decenni lo
sforzo costruttivo della comunità. La chiesa madre diviene per i cittadini una specie di grandiosa “piazza
coperta”. La sua torre ha funzione anche civile e il suo interno è luogo di riunioni. Inoltre la chiesa e la sua
piazza sono anche il luogo di rappresentazioni sceniche a carattere religioso e moralistico.
Mentre a Nord le città riescono a rimanere autonome rispetto al potere imperiale e ciò influisce sul loro
sviluppo, nel Meridione invece non si pervenne quasi mai a città propriamente sviluppate data
l’organizzazione feudale. Comunque, nessun’altra regione europea conosceva una concentrazione di città
pari a quella dell’Italia, anche se la distribuzione dei centri urbani non era uniforme. I maggiori erano infatti
situati lungo le coste, lungo le principali direttrici della pianura padana e in Toscana. La popolazione urbana
crebbe anche grazie all’immigrazione degli abitanti delle campagne circostanti con le nuove possibilità di
impiego.
I governi non posero freni né all’immigrazione interna né a quella esterna poiché l’abbondanza di
popolazione era sinonimo di grandezza e potenza, anzi, addirittura gli specializzati in un mestiere potevano
godere di incentivi fiscali e ricevere la cittadinanza; l’articolazione sociale oltre che specializzati, artigiani e
mercanti, seppur pochi, e altri fortunati contava anche nullatenenti e proletari.

3.4 Le nuove fondazioni di città e villaggi (“terre nuove”)

Molti sono i centri che nascono da nuove fondazioni in seguito a piani urbanistici e prendono il nome di
terre nuove o ville nuove e, richiamandosi alla tradizione romana, sono infatti impostate su una griglia
quadrangolare con assi ortogonali. Un esempio la cittadina Villafranca Veronese, fondata da Verona in
un’area ghiaiosa e incolta. Chi vi si insediò fu esentato dal pagamento delle tasse e prestazioni di lavoro e in
cambio della costruzione di una casetta ricevevano in premio un manso grande quanto bastava per
garantire la sussistenza della famiglia. Anche i piccoli centri comunali sono in genere su base quadrangolare
rettangolare, molti nascono come prettamente rurali, legati all’agricoltura soprattutto e al lavoro presso
boschi e pascoli. La civiltà urbana è sviluppata al massimo nel 1300, quando tutte le città erano di proprietari
fondiari.
Così come non era forte la distinzione tra città e campagna, non lo era neanche quella tra commercio e
agricoltura dato che le correnti commerciali avevano come oggetti principali soprattutto i prodotti
dell’agricoltura, dell’allevamento, della caccia, mentre ancora era limitata l’importanza dei metalli.
3.5 Bonifiche, dissodanti e sviluppo dell’agricoltura

La crescita demografica dei secoli successivi al Mille produsse una generale estensione delle aree coltivabili
ai danni dei boschi, incolti e acquitrinosi, con innovazioni tecniche, quali la trazione animale, e
agronomiche, come la ricoperta del maggese e il passaggio alla rotazione triennale. Questo portò a un
miglioramento decisivo nell’alimentazione e nella vita dei contadini. La maggiore produttività del suolo
contribuiva anche a rispondere alla domanda alimentare che continuava ad aumentare; molte famiglie
contadine si espansero furtivamente nelle foreste vicino i loro poderi, tante volte invece questo dipese dalle
iniziative dei signori o dei comuni e soprattutto dai vescovi.
Le attività più significative furono quelle di colmamento controllato, cioè l’incanalamento artificiali di
materiali solidi trasportati verso le zone paludose, oltre che la costruzione di fossi e canali, utili anche per la
navigazione e l’azionamento dei mulini; ancora, tali progressi furono assenti nel Meridione, dove furono
introdotte nuove colture ma mancarono opere sistematiche di bonifica e quindi non ci fu neanche alcun
miglioramento nelle condizioni sanitarie rimanendo molte zone soggette alla malaria, a causa della
predominanza del potere feudale, papale o della monarchia, oltre che delle baronie sempre in contrasto tra
di loro.
Nel resto del Paese tali iniziative furono invece determinate dalla promozione dell’individualismo; esse
comportarono l’eliminazione o la limitazione dei diritti d’uso di pascolo, semina, legnatico, caccia e pesca.
Nel frattempo, la piccola proprietà contadina entra in crisi a causa dell’espansione della grande e media
proprietà terriera cittadina che si espande per ottenere il controllo di più terra possibile.
Nelle campagne dell’Italia centro-settentrionale si disgregano le proprietà signorili feudali, finendo per
frammentarsi in piccole unità di produzione che finiscono nelle mani dei contadini e talvolta anche in quelle
della piccola nobiltà o della borghesia. La frammentazione della signoria terriera ne determinerà l’erosione
attraverso la vendita dei singoli poderi da parte dei proprietari, che finiscono nelle mani dei contadini
abbienti e di artigiani o anche più spesso nelle mani della piccola nobiltà e della borghesia. Queste ultime
classi seppero elaborare una strategia di ricomposizione fondiaria di mansi e campi. Da questi processi
rivoluzionarono i sistemi agrari e sociali delle campagne, si affermano due realtà produttive correlate a un
mercato che torna a chiedere generi alimentari e materie prime. Le piante da industria come lino e canapa
trovarono una terra di elezione nella pianura padana, mentre le piante tintorie vennero coltivate,
inizialmente, nelle colline d’Italia e poi anche nella Padania. Ci furono anche delle sistemazioni idraulico-
agrarie, specialmente nei delicati ambienti collinari e montani, sostituendo le rovinose lavorazioni con
lavorazioni e sistemazioni orizzontali.
Nelle colline dell’Italia centrale si comincia a definirsi il reticolo irregolare dei “campi a pigola”,
prevalgono le chiusure meno cospicue di siepi vive o morte, addirittura quelle semplicemente rappresentate
da fosse o scoline contornate da filari di alberi.
I “campi chiusi” con la loro fitta e razionale rete dei solchi acquai e delle “porche” (=allineamenti di terra
dominanti i due solchi) vanno gradualmente a improntare i paesaggi delle pianure.
La crescita agricola dei tempi comunali produsse un imponente trasferimento di denaro dalla campagna alla
città che ne consacrò definitivamente la supremazia.

3.6 La differenziazione dei sistemi e dei paesaggi agrari italiani. I sistemi di mercato evoluti

Scaturirono due nuovi sistemi agrari. Il primo è quello della mezzadria poderale, costituito da
unità produttive a base familiare, quindi concesse in gestione dal proprietario a una famiglia di contadini; il
patto prevedeva che il raccolto fosse diviso a metà tra i coloni e il proprietario, che metteva a disposizione le
scorte mentre i colini dovevano partecipare alle attività di miglioramento del territorio. In un secondo
momento i coloni cominciarono a insediarsi in apposite dimore che finirono per costituire dei veri e propri
villaggi, raccolti intorno alle case dei signori, che potevano quindi dirigere e sorvegliare le operazioni
agricole. Furono presto introdotte piante legnose e commerciali, come lo zafferano, e crebbe la produzione
dei foraggi, con conseguenze positive sull’allevamento di bestie di taglia grande. Le eccedenze erano
destinate ai mercati.
Il secondo sistema è quello delle cascine ad affittanza capitalistiche che prende avvio dalle aree padane e
poi si diffonde. Esso consiste in un rapporto essenzialmente di mercato, che ha come caratteristiche di
fondo la specializzazione colturale e il ricordo alla mano d’opera fissa e giornaliera da parta di una gestione
imprenditoriale in affitto. La cascina comprende le abitazioni, i granai, le stalle, i magazzini. Dopo lo
sviluppo iniziale la cascina prende le sembianze di aziende agricole di medie o grandi dimensioni che fa
ricorso a lavoratori salariati.
Da entrambi i sistemi emerge comunque una razionalizzazione dell’agricoltura e un miglior impiego del
lavoro contadino su terre compatte e non più disperse, organizzate secondo criteri ben precisi che
rispondono alle esigenze di mercato. Per esempio, crebbe la domanda e quindi la produzione di piante
tintorie.

3.7. La differenziazione dei sistemi e dei paesaggi agrari italiani. I sistemi di sussistenza o di mercato
arretrati

Una sorta di arretratezza continuò comunque ad essere presente sulle montagne, poiché con suoli poveri,
lontane dalle città, senza vie di comunicazione funzionali, si faceva quindi affidamento sui prodotti
dell’allevamento e del bosco e non in quelli dell’agricoltura, data la misura ridotta dello spazio coltivabile
destinato ai soli cereali. Poiché non penetrarono capitali cittadini né forme di riorganizzazione, la montagna
si presentò sempre come luogo della povertà, ma allo stesso tempo dell’uguaglianza e della comunità, infatti
pascoli e boschi erano utilizzati da tutti i montanari per fare la legna e pascolare le bestie. Le abitazioni in
montagna sono solitamente raccolte in piccoli villaggi aperti o fortificati da mura, ma ciò si verifica
raramente.
Nell’Italia centro-meridionale invece si stava riorganizzando il latifondo, spesso attraverso la monocoltura
cerealicola; i baroni cercarono di adeguarsi alla domanda del traffico internazionale praticando la coltura più
redditizia, i cereali appunto, affiancati in alcuni casi dal gelso, dalla canna da zucchero, preparando anche
interventi di bonifica e dissodamenti. In questo scenario fa eccezione il paesaggio di Napoli, ricco e
curatissimo, con giardini e appezzamenti chiusi da siepi, coltivati a orto, a vite o con ciliegi, susini, peri,
meli, agrumi, ecc. Ciò fu possibile attraverso il contratto di “pastinato”, finalizzato proprio all’introduzione
di nuove colture, come castagni, agrumi e roseti. Nei giardini siciliani invece si mescolavano specie molto
varie, alle primizie orticole si affiancavano infatti piante arbustive e arboree come viti, agrumi, gelsi.
La crisi trecentesca diede il colpo di grazia a ciò che rimaneva del sistema curtense, con il definitivo
abbandono dei castelli per le possibilità nelle città che attraevano i contadini e anche dai contratti offerti
dal sistema della mezzadria poderale, molto vantaggiosi. Tra la metà del Tre e del Quattrocento si assiste,
inoltre, ad azioni scorrette dei governi di Siena, Roma e Napoli, che organizzano alcune porzioni dei loro
territori come dogane di pascolo, un colpo duro per l’equilibrio ambientale e anche per quello demografico
ed economico, non compatibile con l’agricoltura che regredì notevolmente; con il sistema doganale infatti la
sola cerealicoltura poteva andar bene.
La crisi del XIV secolo portò a una grande crisi demografica e a una nuova fase di depressione agraria. La
soluzione nel Meridione fu ricercata nello sviluppo dell’allevamento brado e transumante, integrato con la
cerealicoltura estensiva, mentre a Nord si imboccò la strada della riconversione, che puntava sulle
produzioni di pregio e di alto prezzo come vie, olivo e gelso.
Non ovunque la crisi ebbe la stessa durata e intensità, ma comunque solo dalla seconda metà del XV secolo
si può parlare di riprese demografica e agraria. Addirittura, Lopez definì l’Italia di quel secolo come il più
grande impero commerciale, che il mondo abbia mai conosciuto, tanto riuscì il commercio ad estendersi per
via marittima e terrestre, riuscendo a sfruttare a pieno la sua posizione e le innovazioni provenienti dai vari
campi. La rinascita commerciale fu favorita dall’aumento della popolazione e della produzione, dall’ascesa
del papato che portò Roma a essere un centro florido grazie ai pellegrinaggi e al consumo di beni di lusso e
infine le Crociate, nelle quali l’Italia ebbe un ruolo importantissimo grazie a Venezia, Genova e Pisa che
fornirono imbarcazioni ottenendo in cambio privilegi commerciali e la creazione di basi lungo le coste
dell’Oriente, in modo da poter valutare più attentamente le richieste del mercato mediterraneo.
In particolare, si sviluppò il commercio dei tessuti, prima come solo finitori, poi anche come produttori.
Ulteriore possibilità di accrescimento la si ebbe con la crisi e le carestie che colpirono le Fiandre tra il Due e
il Trecento. La maggior produttrice di tessuti fu Firenze, mentre Milano acquistò fama per le armi e le
armature.
Questo fu anche un periodo di disgregazione e di mutamenti politici, caratterizzato da guerre e torbidi in
Europa e Italia. Nel Mediterraneo i caratteri tradizionali del commercio furono sconvolti, verso la fine del
XIV secolo, dall’arrivo in Europa continentale degli ottomani che nel 1453 conquistarono Constantinopoli. I
commerci genovesi e veneziani ne risentirono gravemente.
I cambiamenti intervenuti nel XIV secolo provocarono un aumento dei salari e un aumento dei prezzi
industriali rispetto a quelli agricoli. Nell’industria tessile si ebbe una crescente domanda di tessuti di qualità
media o inferiore, aumentò la produzione di prodotti poco costosi. Gli antichi centri industriali e
commerciali decaddero o si trasformarono in modo da adeguarsi a questa nuova tendenza.

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