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La “decadenza” italiana
L’assetto politico – territoriale della penisola italiana era il risultato del processo tardomedievale,
che aveva portato alla formazione di Stati a dimensione regionale, e delle guerre conclusesi nel
Cinquecento con l’affermazione dell’egemonia spagnola; frazionamento politico e predominio
spagnolo furono i tratti della storia italiana del XVII secolo, a cui si collegarono la Controriforma
cattolica e la decadenza economica.
Il declino fu netto sul piano politico: gli Stati italiani contarono sempre meno a livello europeo; la
sola eccezione fu Venezia, col suo impegno di contenimento della potenza ottomana sul
Mediterraneo orientale. A questa perdita di peso dell’Italia sul piano internazionale si
accompagnarono processi di consolidamento istituzionale all’interno di alcuni Stati italiani, come
nel caso del Piemonte sabaudo, dove si ebbe una crescita di prestigio e d’importanza.
Il cattolicesimo si caratterizzò per la conservazione della tradizione culturale, per la diffidenza verso
le novità, per la difesa dei beni e dei privilegi fiscali e giurisdizionali della Chiesa, per le attitudini
ad investire risorse in direzioni non produttive, per il sostegno al mantenimento degli equilibri
sociali esistenti.
Il tono della vita economica si abbassò: l’Italia entrò in una fase di ristagno e perse l’antica
preminenza, con il declino commerciale e produttivo di città come Venezia, Milano, Genova e
Firenze; l’Italia tendeva a collocarsi sul mercato internazionale come fornitrice di materie prime o
semilavorate.
Una spiegazione della decadenza economica della penisola è da ricercare nella nuova geografia
commerciale disegnata dalle scoperte geografiche, che penalizzarono il Mediterraneo; tuttavia, nel
‘500 e nel ‘600, il Mediterraneo conservò un ruolo importante nel commercio internazionale, ma i
traffici mediterranei erano controllati da operatori economici non italiani, soprattutto inglesi e
olandesi.
L’attività manifatturiera restò concentrata nel settore dei beni di lusso, a causa della rigidità dei
vincoli delle Corporazioni che bloccò le innovazioni tecniche; i profitti d’origine manifatturiera e
commerciale trovarono impieghi nell’acquisto di possedimenti fondiari, nella corsa ai titoli
nobiliari, negli investimenti in rendite pubbliche. La propensione ad abbandonare le attività
mercantili e produttive fu condizionata dalla mancanza di stimoli innovativi, imputabile alla rigidità
dei controlli politici, culturali e religiosi a cui la società italiana era assoggettata.
Irrigidimenti socio – politici e ristagno economico furono conseguenze del processo di
rifeudalizzazione: si aggravò la pressione dei ceti nobiliari e peggiorarono le condizioni di vita
delle popolazioni rurali, con la diffusione di carestie e la precarietà dei regimi alimentari.
L’Italia spagnola
La Spagna amministrava i possedimenti in Italia attraverso il Supremo Consiglio d’Italia, che
aveva sede a Madrid ed era composto da membri italiani e Spagnoli; questi possedimenti erano il
Meridione, la Sicilia, la Sardegna, il Milanese e lo Stato dei Presidi. Il potere era esercitato da tre
viceré residenti a Napoli, Palermo e Cagliari e da un governatore a Milano; a fianco dei viceré
esistevano i Parlamenti, in rappresentanza del clero, dell’aristocrazia e dei cittadini, con funzioni
giudiziarie, amministrative e fiscali e, a Milano, funzionava un Senato costituito da aristocratici.
I territori italiani rivestivano un’importanza strategica per la monarchia spagnola: le regioni
meridionali e le isole nella lotta contro i Turchi nel Mediterraneo occidentale, la Lombardia per il
controllo dei valichi alpini; inoltre, alla politica della Spagna, i territori italiani contribuirono con
soldati, condottieri, risorse finanziarie ed approvvigionamenti.
Nel Milanese si registrò una decadenza economica che fece perdere alla regione le posizioni tenute
nel settore manifatturiero e commerciale; questa decadenza favorì il decollo di alcuni centri minori
e il trasferimento di capitali verso l’agricoltura.
In Sicilia e in Sardegna, il periodo del dominio spagnolo vide il rafforzamento dell’aristocrazia
feudale e del grande latifondo, cosa che non consentì la modernizzazione delle strutture agrarie.
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Le popolazioni rurali versavano in condizioni di miseria: si ebbe un flusso migratorio verso la
capitale, Napoli, dove si sperava di entrare al servizio dei signori.
Le tensioni raggiunsero il punto critico nel 1647 – 1648, quando divenne insostenibile la pressione
fiscale determinata dalle esigenze finanziarie della Spagna, impegnata nella Guerra dei Trent’Anni.
A Napoli, il popolino, con a capo Tommaso Aniello, detto Masianello, insorse contro il governo
spagnolo e trovò appoggio presso i ceti superiori; i soldati spagnoli e le forze dei baroni liquidarono
la ribellione e restaurarono il dominio della Spagna.
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I duchi di Savoia erosero i particolarismi feudali e rafforzarono le istituzioni centrali dello Stato; si
cercò di favorire lo sviluppo economico, adottando politiche mercantilistiche.