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a) Il commercio interno
La continua espansione del commercio locale ed intraregionale fu uno dei segnali più generali
dell’espansione economica nell’Europa del XVIII secolo. Ciò in parte si doveva al fatto che un
crescente numero di europei viveva nelle città (vedi tabella2).
Questo implicava che in tutta l’Europa le aziende agricole dovevano soddisfare i bisogni di un
numero crescente di individui non direttamente occupati nell’agricoltura. In verità l’impulso alla
crescita economica era quasi direttamente proporzionale alla vitalità dei centri urbani. Negli Stati
Germanici vi erano solo due città con popolazione al di sopra dei 100.000 abitanti: Berlino ed
Amburgo. Nella maggior parte degli Stati Germanici, fatta eccezione per la Bassa Sassonia e la
Bassa Renania, la vita economica ruotava intorno a centri urbani piccoli e abbastanza statici e anche
la domanda proveniente dai numerosi centri amministrativi e città capitali, come Monaco,
Stoccarda, Würzburg, Ansbach, Bamberg, Erlanger, Dresda, Kassel, Hannover, veniva soddisfatta
dai prodotti stranieri piuttosto che da quelli locali. D’altra parte, meno del 4% della popolazione
della monarchia asburgica viveva in città con più di 10.000 abitanti alla fine del XVIII secolo. In
Spagna la situazione era analoga, eccetto per Cadice, Siviglia, Madrid e Barcellona. Nonostante le
famose “cento città” dell’Italia del Nord, l’espansione demografica in quest’area nel XVIII secolo
era più incisiva nei centri rurali che in quelli urbani, con la parziale eccezione di Milano. D’altronde
nel Sud la grandezza elefantiaca di Napoli, coi suoi circa 400.000 abitanti a metà del XVIII secolo,
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era il risultato del suo stato privilegiato, non di vitalità economica: tuttavia la città rappresentava
una importante opportunità per la commercializzazione dei prodotti agricoli del resto dell’Italia
meridionale. I tassi più veloci di espansione demografica si ebbero in quelle regioni dove la crescita
economica era anche più dinamica: i Paesi Bassi Meridionali, in misura minore la Repubblica
Olandese, numerose regioni francesi, la Bassa Renania, ma soprattutto il Regno Unito. Ancora una
volta geografia e politica avevano importanti ruoli da giocare, in particolare la geografia. Molti
governanti europei tentarono di promuovere il commercio interno migliorando le comunicazioni, ed
in Francia ciò produsse una notevole estensione del sistema di canali. Nel caso specifico la
maggiore beneficiaria fu la regione di Parigi, mentre più estesi miglioramenti delle comunicazioni
furono scartati per gli alti costi. Solo in Gran Bretagna si sviluppò un sistema efficace per attrarre
gli investimenti privati nella costruzione di strade grazie ai Turnpike trusts, associazioni fondate dai
proprietari terrieri dietro concessione parlamentare per costruire strade pubbliche, con il recupero
dei costi mediante il pedaggio sul traffico. Ma per gran parte delle regioni europee prima dell’epoca
delle ferrovie, scarse comunicazioni ed isolamento dai mercati locali era un circolo vizioso che non
si poteva rompere facilmente o a buon prezzo. La maggior parte dei circuiti commerciali europei,
perciò, restava localizzata con poca possibilità di espansione, mentre la crescente domanda
commerciale privilegiava i circuiti favoriti da condizioni geografiche, come l’accesso a porti
marittimi o a corsi d’acqua navigabili. Una parte importante in questa espansione senza dubbio la
ebbe anche la rapida crescita della navigazione costiera e del commercio marittimo a breve
distanza. È impossibile misurare questa espansione, ma fu per mare più che per terra che crescenti
quantità di prodotti agricoli e di materie prime industriali cominciarono ad avviarsi ai mercati
stranieri. Dal Baltico al Mediterraneo le piccole imbarcazioni costiere ebbero un ruolo non
grandioso né celebrato, ma essenziale nel convogliare una vasta gamma di merci verso i principali
porti franchi del commercio internazionale o di quello su distanze maggiori, e furono spesso l’unico
mezzo mediante il quale i produttori locali potevano raggiungere i mercati extra-regionali. Queste
attività costituirono il fondamento per la comparsa di numerosi piccoli porti che, specializzati nel
commercio costiero locale, offrivano una base a gruppi di mercanti del posto, finanzieri e mediatori
di noleggi marittimi, i quali svolgevano una funzione vitale nel collegare la domanda alla
produzione negli angoli anche più remoti del continente, contribuendo a loro volta alla graduale
penetrazione delle forze di mercato nei circuiti economici in precedenza isolati.
b) Il commercio internazionale
Sebbene il commercio marittimo su lunghe distanze avesse attratto maggiormente l’attenzione degli
storici economici, esso costituì una percentuale del commercio europeo molto minore di quello
svolto dal più modesto naviglio costiero. Fino al 1800 la grande massa del commercio europeo
avveniva all’interno dei confini europei, anche se la sensazionale espansione del commercio
d’oltremare, e in particolare di quello transatlantico, fu uno degli indicatori più sorprendenti della
vitalità dell’espansione economica europea. Anche prima di Karl Marx si supponeva che i profitti
ricavati dalle principali potenze europee mediante il commercio con il mondo non-europeo avessero
dato un contributo essenziale al processo di accumulazione di capitale, che rese possibile la
successiva espansione economica e l’industrializzazione dell’Europa. Tale tesi è stata recentemente
rivista e riproposta da Immanuel Wallerstein, il quale ha sostenuto che le grandi scoperte della fine
del XV secolo diedero vita a un sistema economico mondiale, il cui asse originale era l’Impero
spagnolo, che mise insieme il Vecchio ed il Nuovo Mondo. Come notò Fernand Braudel, né la
Spagna né alcun’altra potenza europea aveva le risorse o la manodopera necessarie per
monopolizzare i vasti territori e le risorse del Nuovo Mondo. Anche le imprese commerciali
avallate dagli altri governanti europei, in particolare dagli olandesi, dai britannici e dai francesi,
insieme alle migrazioni per motivi religiosi del XVII secolo, portarono colonizzatori europei in
Nord America. All’inizio del XVIII secolo queste nuove colonie europee erano ancora
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precariamente stipate lungo la costa atlantica, penetrando nell’entroterra solo là dove, come nel caso
del Canada e del New England, vi erano vie d’acqua interne navigabili. Più a sud, la coltivazione
del tabacco permise lo sviluppo delle economie da piantagioni in Carolina, Maryland, Georgia e
Louisiana sul modello delle piantagioni di canna da zucchero nei Caraibi. In tutte queste regioni, e
più a sud nei Caraibi e nel Sud America, l’Inghilterra, la Repubblica Olandese, la Francia e la
Spagna si destreggiarono continuamente per tutto il secolo per raggiungere una posizione
vantaggiosa. Ma nonostante l’immensità geografica dei territori americani, scarse erano le loro
popolazioni e limitati i loro bisogni commerciali. Ai mercanti europei esse offrivano molte preziose
materie prime, ma le loro opportunità commerciali erano limitate col risultato che, fino ai successivi
decenni del secolo, fin dopo che i coloni americani ottennero l’indipendenza dalla Corona
Britannica, il commercio atlantico fu molto meno remunerativo per i mercanti del vecchio
continente rispetto al suo corrispettivo europeo. Alla fine del XVII secolo il commercio non-
europeo incideva per meno del 10% sul giro d’affari commerciale londinese, che era in rapida
crescita, e quasi lo stesso era per Amsterdam. Persino negli anni Venti del Settecento, quando il
commercio atlantico andava a gonfie vele, le esportazioni inglesi verso le colonie americane
incidevano per meno del 50% sul valore delle loro esportazioni verso la regione mediterranea.
Come R.T. Rapp ha sostenuto, la competitività dei mercanti inglesi ed olandesi nel commercio
internazionale del XVII e XVIII secolo era in ogni caso una conseguenza della loro abilità nel
superare i rivali commerciali nei mercati europei. Nel caso degli olandesi ciò era più o meno
causato dalla capacità tecnica della loro Fluitship, che trasportava carichi più grossi più
velocemente delle navi di qualsiasi altro suo concorrente commerciale. Di conseguenza la
navigazione, come s’è visto in precedenza, fu un fattore chiave nella comparsa dell’impero
commerciale olandese, al punto che negli anni Settanta del Seicento la flotta commerciale olandese
eguagliava in tonnellaggio le flotte mercantili dell’Inghilterra, Portogallo, Francia, Spagna e
Germania messe insieme. La superiorità del traffico marittimo olandese era anche rafforzata dalla
capacità dei produttori olandesi di fornire merci più competitive di quelle dei loro concorrenti. Nel
1700 Amsterdam era anche la città commerciale e il centro finanziario più importante del mondo, in
quanto forniva collegamenti organizzati e istituzionali tra il commercio su lunghe distanze con
l’Oriente, con le Americhe e con il Baltico. L’impero commerciale olandese e, a fatica alle sue
spalle, quello britannico e quello francese nel XVII e XVIII secolo, erano allora molto diversi dai
precedenti imperi commerciali portoghese e spagnolo, che facevano soprattutto affidamento
sull’estrazione di materie prime e di metalli preziosi dalle colonie dipendenti. La struttura del
commercio internazionale olandese, britannico e francese era più complessa e più dinamica, ed
implicava lo sviluppo di nuovi sistemi commerciali triangolari, combinati col dominio sul redditizio
commercio di trasporto marittimo. Alla fine del XVII secolo i britannici e i francesi incominciavano
a soppiantare gli olandesi nel commercio col Nord America. Ciò in parte perché entrambi i Paesi
avevano adottato una legislazione monopolistica (l’Inghilterra gli Atti di Navigazione del 1651,
rivisti nel 1721; la Francia le misure protezionistiche di Colbert) per escludere gli stranieri dal
proprio commercio coloniale, in quanto richiedevano che tutte le merci sbarcate nei porti coloniali
fossero trasportate su vascelli metropolitani e caricate da porti metropolitani, e anche in parte
perché l’economia interna olandese cominciava a perdere slancio. I suoi principali centri
manifatturieri, in particolare le industrie laniere di Leida, non riuscirono ad adattarsi alla domanda
del XVIII secolo di stoffe più leggere di cotone, soprattutto perché rimaneva vivace la domanda
interna in Olanda. I pesanti costi di investimento per il prosciugamento e la difesa della terra nel
XVII secolo avevano anche causato problemi inflazionistici e diminuito la capacità del governo
olandese di difendere gli interessi commerciali d’oltremare della Repubblica. La relativa graduale
emarginazione del commercio internazionale olandese nel XVIII secolo (sebbene le sue dimensioni
rimanessero ancora sostanziose fino alla fine del secolo) illustra come la vitalità dell’economia
interna nazionale fosse una condizione essenziale per l’espansione del commercio internazionale.
La Spagna offre un esempio analogo. Dopo il 1717 il commercio spagnolo con le sue colonie
americane e caraibiche era controllato da Cadice, che aveva assunto il monopolio amministrativo
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precedentemente svolto da Siviglia. Durante il corso del secolo il commercio spagnolo con le sue
colonie americane continuò ad espandersi in volume, pur senza far nascere alcuna attività
economica sussidiaria in Cadice o in Andalusia. Cadice si arricchì e diventò la prima città della
Spagna, ma quando la guerra con la Gran Bretagna privò la Spagna delle sue colonie, la prosperità
di Cadice rapidamente scomparve lasciando molto poco dietro di sé. Il commercio coloniale non
aveva agito da impulso allo sviluppo o alla specializzazione agricola in Andalusia, né allo sviluppo
di nuove industrie di trasformazione e neppure a nuove attività terziarie significative. Quando
l’economia andalusa non fu più capace di fornire merci per soddisfare la domanda americana, i
mercanti di Cadice si volsero alla Catalogna e ad altri mercati europei per rifornirsi di ciò di cui
avevano bisogno. I porti della costa occidentale francese, Bordeaux, Nantes, Rochefort, che si
espansero in maniera sensazionale nel XVIII secolo in risposta alla espansione del commercio
Atlantico della Francia, furono anche importanti centri per lo sviluppo di nuove industrie
manifatturiere e di trasformazione. In questo caso la domanda commerciale ben stimolò la
specializzazione agricola (e in particolare della viticoltura) ma, come accadde in Andalusia, una
volta che la Francia perse il suo impero coloniale in conseguenza delle guerre napoleoniche, tutta
quanta la costa occidentale fu presa in una spirale di prolungata recessione e declino economico, da
cui la ripresa fu lenta e parziale. La rivalità commerciale tra la Gran Bretagna e la Francia nel XVIII
secolo si estese al sub-Continente Indiano, ma il suo punto focale primario era l’Atlantico e fu qui
che si combatterono le principali battaglie commerciali e politiche. Tuttavia vi erano importanti
differenze strutturali nel commercio su lunga distanza dei due Paesi. Proprio come gli olandesi
avevano fatto affidamento su una progettazione nautica innovativa per distanziare i loro concorrenti
nel secolo precedente, così anche i mercanti inglesi si affidarono molto alle nuove merci e prodotti e
riuscirono a sviluppare complessi ed efficienti reti che collegavano il nuovo commercio americano
in espansione con i più vecchi mercati europei. Un esempio non spettacolare, ma non meno
rilevante, fu la crescente importanza delle esportazioni di pesce secco e salato da Newfoundland
ai Paesi iberici e mediterranei, dove l’espansione del commercio britannico era stata bloccata da una
mancanza di merci da esportazione alternative ai manufatti inglesi (soprattutto tessili), i quali erano
soggetti a pesanti dazi di importazione. Le crescenti esportazioni di merluzzo salato fecero sì che i
mercanti inglesi incrementassero i loro acquisti di prodotti agricoli dal Mediterraneo senza esborso
di denaro in contanti. La struttura del commercio britannico d’oltremare era determinata soprattutto
dalla necessità di compensare il permanente deficit commerciale della Gran Bretagna con i Paesi
Baltici, deficit causato dalla dipendenza britannica nei confronti di questi Paesi per le forniture di
legname e di materiali necessari alle costruzioni navali (quali catrame, materiale per calafataggio,
velame, canapa), come pure di cereali. Quando il sistema prese forma, il deficit col Baltico fu
compensato dai saldi positivi accumulati dal commercio con il resto d’Europa e con i Paesi del
Mediterraneo in particolare, nonché con le colonie e le piantagioni atlantiche. La destinazione
originaria del disumano commercio degli schiavi africani era di fornire forza lavoro alle piantagioni
portoghesi del Brasile e alle colonie spagnole, britanniche, olandesi e francesi dei Caraibi. Ma le
esigue opportunità offerte dal commercio con le colonie e con le piantagioni incoraggiò lo sviluppo
del commercio degli schiavi africani verso le nuove colonie del Nord America, sebbene in quantità
minori. Il commercio degli schiavi acquistati nelle regioni costiere dell’Africa Occidentale e
trasbordati alle piantagioni dei Caraibi e del Nord America era noto come il “Passaggio
Intermedio”, perché completava la “gamba” mancante nel complesso sistema commerciale
triangolare. Quando le navi partite dall’Africa avevano scaricato il loro carico umano, imbarcavano
partite di prodotti coloniali (zucchero, tabacco, coloranti, caffè), che venivano trasportate nel
viaggio di ritorno ai porti inglesi o europei, dove venivano imbarcati nuovi carichi di manufatti e
merci di prima necessità per la vendita nei mercati coloniali. Il viaggio di ritorno poteva portare una
nave prima a Boston o a Baltimora, poi a sud delle Barbados per scaricare un qualche carico
rimanente (soprattutto stoffe economiche di cotone per gli schiavi delle piantagioni e prodotti
europei di lusso per i proprietari e gli amministratori delle piantagioni). Poi la nave salpava senza
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carico in rotta per l’Africa per ritornare con una nuova partita di schiavi, e così ricominciare l’intero
meccanismo commerciale.