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Territorializzazione della penisola italiana

Italia antica

Le città sono il motore principale dell’organizzazione territoriale della penisola. Nelle città italiane un ruolo
importante sia per la nascita che per la loro evoluzione è stato l’insieme di flussi riconducibile all’attività
commerciale, per es. anche grazie alle attività agricole da quelle primitive a quelle maggiormente
organizzate si sviluppano i mercati e le attività di commercio anche in realtà lontane. Non è un caso che le
grandi capitali d’Europa che sono città molto antiche sono sorte sui fiumi perché i fiumi sono anche fonte di
acqua, vita, approvvigionamenti vari e importanti vie di comunicazione che uniscono attraverso trasporti
marittimi anche realtà lontane. Via Francigena: da Canterbury arrivava fino a Roma poi si collegava anche
ad altri percorsi che arrivavano fino alla Terra Santa e all’Oriente.

Ogni civiltà del Mediterraneo ha sviluppato sin dall’inizio i suoi concetti di insediamento: le soluzioni
adottate riflettevano la cultura e l’organizzazione sociale es. i greci avevano una forte dimensione di koinè
culturale e questo si riflettevano anche nel loro modo di colonizzazione, cioè anche le colonie greche erano
comunità che avevano in comune con la polis di origine di essere cosa a sé.

I greci ebbero una grande capacità di organizzazione territoriale il loro successo è attestato sia dallo
splendore della Magna Grecia sia dalla funzionalità di alcune località da essi prescelte. Questo significa aver
capito le variabili ambientali e riuscire ad inserirsi nel contesto in cui ci si viene a trovare. I greci preferivano
insediarsi nelle zone costiere e pianeggianti e avevano l’abitudine secondo sensibilità comuni di strutturare
il loro insediamento con l’acropoli (espressione del potere politico e religioso) e separata dall’acropoli c'era
la città residenziale che controllava i territori agricoli che facevano capo alla città. Queste azioni di
ordinamento dello spazio si riflettevano anche nelle strutture materiali che andavano ad essere create:
molto colonie presentano gli schemi ortogonali simili a quelli romani che nascevano da presupposti simili
come quelli di ordine, fondamentale quando si andava ad insediare una comunità ex novo. I greci avevano
la capacità di rendere le città dei sistemi funzionali organizzati, adattabili alle caratteristiche dei diversi
territori, per questo sono stati modelli di espansione marittima e coloniale.

Prima della conquista romana le zone costiere erano sotto il controllo greco e le zone più interne e collinari
e montane (meno privilegiate per ambiente e difficoltà di coltivazione) rimanevano sotto il controllo delle
popolazioni italiche con cui i greci e gli etruschi restavano limitati a scambi di carattere commerciale.

Gli etruschi impiantarono città unite in forma blanda rispetto alla territorializzazione centralizzata dei
romani. Tanto i greci quanto gli etruschi avevano una concezione diversa del territorio rispetto ai romani
(mancava una territorializzazione centralizzata e unitaria in entrambi) però a differenza dei greci gli etruschi
territorializzavano gli entroterra e tendenzialmente l’insediamento etrusco si poneva su rilievi e non solo
per ragioni tattiche ma anche per il dominio paesaggistico; questo per una percezione diversa dello spazio
vissuto.

Roma comincia la sua storia nell’8 sec a.C vicino al Tevere (importante via di traporto) e su una posizione
rilevata (Colle palatino) sia per motivi di salubrità (non si allagavano) sia per motivi tattici (difesa e controllo
della zona di scambio data dal Tevere e dall’isola Tiberina) ma Roma nasce anche sulla via Salaria che era
una delle vie già in età protostorica di movimentazione di merci.

Tanto le città etrusche quanto quelle romane assumono il ruolo di fulcri organizzatori degli spazi aperti
sempre più controllati sul piano politico amministrativo e ordinati sul piano dell’economia: quando noi
pensiamo a una penisola italiana dove c’erano città di origine etrusca, magno greca o insediamenti italici di
altre civiltà (es. i galli), ad un certo punto questo territorio viene a unificarsi e unificandosi questo territorio
risente della capacità dei centri abitati di diventare fulcri organizzatori di spazi aperti che sicuramente sono
controllati dal punto di vista politico amministrativo e ordinati dal punto di vista delle politiche economiche
però questo tipo di paesaggio e organizzazione che vanno a realizzare i romani è possibile solo fino al
momento in cui sia possibile voltare su quello che è anche un pieno controllo politico nella duplice
accezione di controllo istituzionale e militare. Il territorio romano diventa uno spazio aperto; le città
romane non avevano bisogno di cinta murarie e laddove esistevano non avevano una ragione tanto legata
alla difesa. Roma ha avuto la capacità di riuscire a creare uno spazio che potesse essere concepito come
uno spazio aperto accessibile e viaggiabile; in cui dalla Britannia alla Palestina si poteva usare la stessa
moneta e ricondurre tutto ad una lingua di riferimento. La territorializzazione di Roma svolge una funzione
unificatrice del sistema territoriale.

Le varie città magno greche ed etrusche furono assorbite dal tessuto territoriale di Roma e queste città
venivano collegate da vie di comunicazione che dovevano essere il più efficienti possibili proprio perché lo
spazio romano e degli altri domini di Roma era aperto quindi non erano motivi di carattere strategico e
difensivo a determinare come si organizzasse un percorso stradale quanto rapidità ed efficienza. La strada
romana è una vera infrastruttura territoriale di collegamento; i romani creano una viabilità che si distacca
dagli antichi e tortuosi insediamenti, le stradi romane cercano vie di comunicazioni efficienti, creano
direttrici che riducono le distanze e che raggiungono fisicamente i centri abitati, cioè sono infrastrutture
che sono pensate per consentire una circolazione rapida e conveniente e queste infrastrutture agevolavano
i due traffici più importanti cioè quelli militari e commerciali. L’antica Roma aveva unificato in un unico
sistema territoriale tutte le regioni che erano sotto il suo controllo che era un controllo unitario ma non
completamente centralizzato perché i romani avevano attuato una politica differenziata che teneva conto
delle specificità delle situazioni regionali; erano molto versatili nei confronti dei loro domini. L’unificazione
romana che era almeno giuridica, economica e funzionale aveva fatto sì di arrivare a quella
territorializzazione completa della penisola che non aveva bisogno di strutture di regolazione degli accessi,
cioè aveva reso superfluo la necessità di organizzare sul territorio sistemi di fortificazione e difesa che
racchiudessero singole comunità nell’ottica di proteggerle da pericoli esterni. In queste città che arrivarono
a circa 400-450 sussisteva un unico governo con governi locali.

Questa espansione continua fino al 1 sec d.C dopo entra in crisi la struttura dell’Impero Romano e quindi
l’espansione si ferma ma è come se il sistema territoriale della penisola restasse in un sistema stabilito per
molto tempo (anche in montagne). E’ territorializzato anche il territorio agricolo ad esempio attraverso la
centuriazione di cui ancora oggi noi vediamo le tracce gli agri centuriati erano organizzati mediante una
complessa operazione di bonifica probabilmente di derivazione etrusca impostata su un reticolato di assi
ortogonali dettati dall’incrocio dei due principali (cardo e decumano). Questi lotti quadrati erano detti
centurie perché costituiti ciascuno da 100 campi assegnati in piccoli corpi a coloni che vi si insediavano.

In Italia il territorio vive della ricchezza dell’impero e si trasforma in un ricco paesaggio con ville, città, porti
che esportano in tutto l’impero manufatti, metalli. Questo sistema entra in crisi quando a partire dal III
secolo l’Impero Romano comincia ad avere quella crisi politica, militare che avvia la decadenza. Con la
decadenza economica entra in crisi il territorio perché si comincia ad avere un crollo delle funzioni urbane.
Le vie di comunicazioni diventano malsicure perché diventa difficile governare lo spazio che quelle vie
dovevano mettere in comunicazione. La popolazione diminuisce tra carestie, guerre, molti centri urbani
perdono gran parte dei loro territori, altri territori vengono abbandonati. Ci si ritira di nuovo sulle alture
perché le bonifiche sono decadute quindi gli spazi sono insalubri e perché è difficile difendere gli spazi in
pianura dagli attacchi, quindi, cambia la prospettiva dello spazio vissuto.
Territorializzazione Alto Medioevo

Con la caduta dell’impero romano vediamo una fase di involuzione territoriale. L’impero romano e in
particolare l’Italia aveva creato un tessuto territoriale che entra in crisi e verrà sostituito da qualcosa di
diverso che con una certa continuità porterà all’Italia che conosciamo oggi.

 Cala la popolazione, molti insediamenti vengono distrutti o scompaiono. Alcuni edifici dell’antichità
vengono inseriti nel perimetro delle cinte murarie o trasformati in fortificazioni per difesa o
controllo dello spazio circostante, in effetti, con il crollo dell’impero romano lo spazio al di fuori
della cinta diventa uno spazio in cui si può essere assaliti. A differenza di uno spazio aperto in cui si
poteva circolare perché garantito dalla difesa di Roma, adesso tutto quello che è fuori dalla cinta
muraria è uno spazio quasi precluso al vivere civile, è uno spazio di pericolo e timore. L’edilizia
altomedievale lascia poche tracce perché vengono utilizzati materiali poveri.
 In questa fase temporale il controllo territoriale al di fuori degli ambiti cittadini si riduce, i boschi e
le foreste tornano a riguadagnare la superficie vs. le bonifiche del passato.
 Non c’è manutenzione nel sistema stradale, questo rende più difficile gli spostamenti, molte
infrastrutture decadono o vengono distrutte.
 I territori vengono localmente gestiti da re, duchi, vescovi ma un driver potente di
territorializzazione si trova nella presenza e diffusione delle prime grandi comunità monastiche
(benedettina) che si trovavano nelle campagne e nelle città.
 Le città rispetto alla concezione degli spazi cambia rispetto all’antichità: gli organismi affacciati
verso l’esterno degli isolati perdono in gran parte la loro funzione originaria: residenze individuali o
collettive, edifici pubblici e gli isolati vengono divisi da nuovi percorsi interni tortuosi anziché dritti
che permettono di utilizzare le singole parti come botteghe o residenze più piccole. Per questi
motivi tutti gli spazi della città tendono a integrarsi in uno spazio continuo. Secondo alcuni geografi
la città altomedievale con questa nuova concezione degli spazi sarebbe non la risultante del fatto
che le condizioni essendo precarie impongono determinate scelte ma sarebbero intenzionali.
Secondo il prof difficilmente si tratta del risultato di una libera scelta, ad esempio secondo Vallega
lo spazio curvilineo dei borghi doveva creare intenzionalmente suggestione ma stiamo parlando di
fase storiche in cui c’è un comune denominatore: esigenza di sopravvivere in un sistema di estrema
povertà, in un sistema organizzativo e funzionale che non poteva permettersi di plasmare spazi con
la libertà dei secoli precedenti; è una fase in cui l’aggregazione, la difesa dello spazio e la
massimazione del riutilizzo del preesistente per venire il più possibile incontro alle esigenze
presenti erano il vero driver e la ragione di quella concezione dello spazio.
 Già prima del 1000 cominciamo a vedere la presenza di ceti mercantili e artigianali. Tra sette e
Ottocento l’Italia viene percepita dagli europei colti come una Terra di città: i centri italiani erano
abitati dall’aristocrazia fondiaria oltre che da figure socio-professionali giuridicamente privilegiate
nei confronti dei contadini.
 La riterritorializzazione della penisola italiana si deve soprattutto alle varie forme di utilizzazione
delle campagne: le pianure e le parti basse della vallata (più fertili) finiscono con l’essere trascurate
dall’agricoltura perché spesso difficili da coltivare in vista della difficoltà delle bonifiche ed essendo i
centri sulle dorsali collinari e sulle alture. La popolazione rurale tende ad occupare aree collinare e
di bassa montagna più facili da governare ma meno produttive. Inoltre l’agricoltura arretra proprio
in termini di tecniche di coltivazione.
In questa fase storica i surplus agricoli erano bassi c’erano: allevamento brado, caccia, raccolta di prodotti
spontanei. L’alimentazione della gente comune consisteva in pane e zuppe dove avevano largo spazio i
cereali, in vino e ortaggi prodotti nei recinti, coltivati a ridosso delle case contadini o all’interno delle mura
cittadine. In contrasto allo spazio aperto romano, quello altomedievale è uno spazio chiuso: le aree
domestiche dovevano apparire come piccole isole circondate dalla selva.

 E’ dall’epoca di Carlo Magno che si comincia a vedere un’azione incisiva di riorganizzazione


territoriale in Italia: vengono riorganizzate strade importanti come la Francigena, vie per il
pellegrinaggio e circolazione di prodotti e animali.
 Comincia a diffondersi il sistema curtense con aziende agricole di proprietà dei signori feudali e
potenti autorità ecclesiastiche. Nelle parti massaricie generalmente le coltivazioni erano quelle
cerealicole, ce ne erano anche di pregiate come la vite ma erano essenzialmente concentrate nella
parte dominicia e sottoposte a recinzione. In altri casi le coltivazioni arboree come viti, ulivi, alberi
da frutta spesso erano coltivate insieme ai seminativi ma venivano curate e seguite in zone
all’interno delle mura cittadine. La Sicilia che all’epoca si trovava sotto il dominio islamico ebbe un
ruolo importante nell’introdurre tecniche avanzate di captazione delle acque ma anche per il
giardino mediterraneo.

Segnali di ripresa al volgere del Millennio

 Dopo il Mille l’economia agricola si riavvia e le coltivazioni si allargano.


 Costruzione di castelli dai signori feudali.
 Mentre abbiamo da una parte lo sviluppo del sistema feudale tra 800 e 1000 si assiste alla nascita
delle repubbliche marinare: erano città costiere dotate di porti in grado di attivare sistemi di
traffico in primis verso il bacino orientale del Mediterraneo e anche di prevalere sul monopolio
islamico che teneva una serie di zone occidentale.

Amalfi è già un porto commerciale tra IX e X secolo. Amalfi aveva un entroterra che aveva poco da
offrire perché la costiera amalfitana si caratterizza per pendii scoscesi che arrivano al mare, quindi, era
naturale una proiezione della città verso il mare. Anche a suo tempo era una città piuttosto piccola e
incassate tra le montagne che creavano i presupposti per una proiezione verso il mare. E’ una città che
riesce a creare una zona di influenza e a stanziare colonie d’oltre mare. Per i commerci utilizza la Sicilia
(sotto dominazione islamica ma facilmente raggiungibile). Quando all’inizio del 1000 iniziano a
decollare altre repubbliche Amalfi subisce il contrasto commerciale ed è debellata dai normanni e
pisani. Anche perché i normanni avevano preso il controllo della Sicilia e quindi Amalfi aveva visto
ostacolati i suoi commerci quindi entra in decadenza.

Venezia nasce come città stato ed era ottima a fini difensivi. Inizia a decollare intorno al nono secolo e
poi nel X e raggiunge una particolare imponenza nei decenni dopo il 1000. Per ragioni difensive si era
arroccata in questo contesto circondato da paludi. Avvia una strategia commerciale ed è favorita dai
rapporti con l’impero bizantino per cui ottiene diverse basi nel Mediterraneo orientale che consentono
comunicazioni via terra e sul mare che la rendono un importante crocevia commerciale ma anche
politico tra Oriente e Occidente. Venezia si sviluppa interamente sul commercio marittimo finendo per
diventare una grande potenza che andrà scemando dopo la scoperta dell’America.

Pisa ha una lunga storia anche in età romana e la sua grande forza è di essere un porto di riferimento
soprattutto dopo il Mille. Pisa sviluppa i suoi commerci soprattutto nel Mediterraneo occidentale:
commercia con gli islamici e con molte basi bizantine e intrattiene anche relazioni con Amalfi. Pisa si
espande in primis come città fluviale secondo un modello territoriale aperto e dopo la sconfitta con
Genova la città comincia a declinare, il porto si interra e la campagna si impaluda provocando zone
malariche.
Genova nasce in un sito meno favorevole rispetto a Pisa e Venezia. Anche Genova ha una fase in cui si
costituisce nell’800 in epoca carolingia e il suo tallone di Achille è di essere incassata su una superficie
di 22 ettari, murata verso nord (per la difesa) ma non dal mare. Genova arriva a 65 ettari introno al
1100, la situazione geografica è favorevole perché consente il collegamento della città con le vie
commerciali dell’Italia e dell’Europa settentrionale arrivando dal mare. Con la sconfitta di Pisa, Genova
riesce a rilevarne alcune aree di influenza commerciale e a commerciare attraverso il Tirreno e verso il
Levante. Genova fa concorrenza commerciale a Venezia fino al 1380 però poi anche lei dovrà
soccombere alla grande potenza commerciale marittima di Venezia.

La penisola italiana si trova fra 9 e 10 secolo in una ripresa demografica anche per una maggiore situazione
di stabilità politica che nel centro nord corrisponde al diffondersi di comuni intesi come sistemi di governo
più stabile e efficiente del territorio mentre nel Sud si passa dai normanni, svevi agli angioini e questo
favorisce il permanere di rapporti feudali. Anche per quanto riguarda il clima siamo in quella che i
climatologi chiamano l’optimum climatico medievale con un clima più caldo e un buon equilibrio di
precipitazioni che favorisce lo sviluppo dell’agricoltura.

 Le città si sviluppano: nel centronord abbiamo la rivoluzione comunale, le autorità religiosa si


affiancano alle autorità civili e poi ci sono le famiglie mercantili e la borghesia artigiana che avviano
un processo di controllo della territorializzazione agricola nelle zone di proprio riferimento con
attività di bonifica e dissodamenti a danno di boschi e zone paludose. Queste attività portano a
un’espansione del coltivato e assistiamo anche a un’espansione dei centri urbani e delle relative vie
di comunicazioni, questo dà luogo anche a una significativa attività edilizia in cui si utilizzano
materiali più duraturi che vanno a plasmare molti centri storici dei nostri insediamenti.
 Peste e crisi: dal 1347 il morbo inizia a svilupparsi in Oriente probabilmente già intorno al 30
quindi impiega circa 17 anni ad arrivare nella penisola italiana; gli spostamenti erano molto più
lenti. Prima della peste c’era stato uno sviluppo agricolo e anche dell’alimentazione. Il fatto è che
le rese dell’agricoltura del tempo erano molto basse e la capacità portante dei territori era molto
più bassa di quella attuale e risentiva molto di più di oggi delle variazioni ambientali, quindi,
venendo a spegnersi quella fase dell’optimum climatico medievale le annate cominciarono ad
essere caratterizzate da temperature più fredde e questo ebbe un impatto negativo sui raccolti.
Dato che l’agricoltura di allora non consentiva di immagazzinare grandi scorte e non era possibile
far circolare le eccedenze perché era difficile trasferirle su lunghe distanze si innescò un processo
di impoverimento di disponibilità alimentari. Le carestie provocarono la malnutrizione e questo
aumentò la mortalità. Il batterio più accreditato che avrebbe innescato la peste sarebbe il Yersinia
pestis con un’infezione molto rapida. Il batterio è collegato ad una malattia nei ratti e si trasferiva
all’uomo attraverso una pulce. Le persone si ammalavano velocemente e il decorso è quello della
peste bubbonica o polmonare, quest’ultima con una mortalità del 90% e poi setticerica (mortalità
prossima al 100%). Il primo porto in cui si manifesta la peste è Messina nel 1347; il morbo si
diffonde ovunque in Italia perché non si conoscevano gli agenti di propagazione. Solo l’area di
Milano riuscì ad applicare norme di isolamento riducendo il morbo. In linea generale si arriva a una
diffusione completa entro il 1353 in Europa con risultati devastanti, riducendo la popolazione di
1/3, città intere finiscono con spopolarsi, territori interi decadono e questo innescò a catena
aggravamenti legati alla mancanza di derrata, condizioni igienico sanitarie. Introno al 1356
l’epidemia in Europa si spense ma ritornò a presentarsi. Grosso modo alcuni passi avanti compiuti
prima della peste nera in termini di organizzazione del territorio in Italia e in Europa sopravvissero
e quando la crisi trecentesca fu superata la storia della penisola riuscì a ripartire con uno slancio
socio-economico, territoriale, culturale intenso.
Età moderna

Parlare della storia geografico territoriale della penisola italiana tra la fine del Medioevo e l’Età moderna è
in realtà continuare a parlare di quel respiro demografico e territoriale considerando che stiamo parlando
di quella fase in cui ci sono importanti figure dell’arte e del pensiero che hanno lasciato un’impronta forte
nella cultura del nostro paese. La vita ordinaria degli esseri umani è ancora legata al settore primario.

Se prendiamo in considerazione il periodo tra 1100 e 1700 la popolazione della penisola italiana
periodicamente prende un ampio controllo agricolo del territorio. Erano comunità che dipendevano dalla
possibilità concreta dei territori in cui vivevano di sfamarli. Sicuramente esistevano flussi di importazione ed
esportazione anche di derrate alimentari ma su spazi più brevi e su tempi diversi, perché anche rispetto alla
possibilità di conservazione e trasferimento la situazione era diversa; lo scenario complessivo era di minor
volume e su quantità minori rispetto a quelle che oggi siamo abituati.

All’inizio dell’età moderna possiamo cominciare a distinguere tra un settore primario, sec. e terziario
dell’economia ma l’economia della penisola italiana restava con prevalenza sul settore primario. Tra basso
medioevo ed età moderna c’erano città ampie, commerci, industrie forti anche se in una crescente
divergenza tra quanto avveniva nel Settentrione rispetto al Meridione.

L’apertura delle grandi vie commerciali oceaniche nel 500 ha portato progressivamente a una
marginalizzazione delle tradizionali vie di scambio che per secoli erano state centrate sul Mediterraneo e
quindi sull’Italia che ricopriva una posizione centrale. In questo scenario le brillanti entità politica della
nostra penisola avevano saputo stabilire un efficiente organizzazione dei territori che controllavano ma
poiché in tutta Europa si consolidavano grandi Stati nazionali le potenze locali del nostro paese non
riuscivano a tenerne il passo.

Intorno alla metà del 500 in una fase in cui si profilava la crisi dei grandi flussi mercantili ed economici
attraverso l’Italia la penisola entrò come il resto d’Europa in una fase di degrado delle condizioni climatiche
che si fecero più fredde e umide e questo portò a una crisi agricola, ci fu un sostanziale impoverimento
della popolazione e quindi la minore possibilità di accesso alla sussistenza di base. La concomitanza di
questi elementi innescò un lungo periodo di crisi in cui appunto entrarono in crisi anche per la congiuntura
produttiva europea le componenti manifatturiere e le città decadendo le loro funzioni di centri direzionali,
di grandi traffici e di grandi produzioni manifatturiere con le classi dirigenti che tendevano a ruralizzarsi
associando il proprio potere alla proprietà delle terre. L’incremento demografico accompagnato da una
ruralizzazione delle attività economiche dominanti ebbe come effetto un aumento della pressione demica
ma anche di intervento sul contesto rurale questo portò a un carico crescente dell’efficienza produttiva
preparando alcuni presupposti di quella trasformazione radicale che si sarebbe avuta nel 700.

Studi recenti hanno appurato che dalla pur grave crisi della città e dell’economia urbana scaturì un nuovo
processo della dislocazione della popolazione e della produzione che contribuì a valorizzare le campagne,
tutto sommato tale dinamismo conseguente agli importanti incentivi economici e tecnici furono indirizzati
all’agricoltura, all’artigianato e alla proto industria attenuò la portata della crisi senza contrastarla appieno
e preparò il terreno per un irrobustimento dei settori per le epoche successive. La popolazione tra la peste
nera (metà 300) e la peste del 1629 conobbe oscillazione demografiche significative. L’incremento
demografico è comunque prevalente nelle campagne. La peste che va dal 1629 al 1631 impatta soprattutto
nell’Italia settentrionale; come spesso accadeva la malattia colpisce dopo un periodo di persistente carestia
e un quadro generale di crisi economica, fattori che hanno contribuito ad aggravare gli effetti della
pestilenza.

Il lavoro di trasformazione delle città tra 4 e 500 fu soprattutto legato all’urbanistica del potere; le città
rimangono anche in questa fase agglomerati che presentano incoerenze strutturali o funzionali e mentre il
potere spesso illuminato dai concetti umanistici e rinascimentali creava spazi di alto valore simbolico però
non sono estese trasformazioni per cui vediamo un incoerenza tra città che rimangono impostate in modo
inefficiente e stagnante, e nello stesso ambito cittadino vediamo un espandersi di grandi forme
monumentali e capolavori. Abbiamo però il moltiplicarsi di sistemi e strutture difensive (fortezze, torri) che
sono adeguate nello loro stesse soluzione tecniche alle esigenze della guerra dell’epoca; è un’epoca anche
di assedi, battaglie e quindi è necessario impostare un’organizzazione del territorio in funzione di questo. E’
interessante che queste trasformazioni hanno risultati abbastanza omogenei tra nord e sud dove
esistevano circostanze diverse nella gestione del potere; di fronte a un problema legato alla sopravvivenza
si converge verso configurazioni simili che riflettevano un po' lo stato dell’arte nella costruzione dell’edilizia
difensiva di quel tempo.

Sono città soprattutto terziarie e di mercato dei prodotti delle campagne circostanti in questa fase sono
le campagne a mantenere un dinamismo che fu la conseguenza dello sviluppo nella penisola del settore
primario (rimane quello dominante per secoli) ma che portò anche a una ridefinizione della manifattura e
artigianato; è in questa fase che la manifattura tessile assume una crescente importanza nella penisola
italiana e nel contesto europeo. Scompare maggese-> si inizia a profilare una modalità diversa del suolo
agricolo che secoli dopo creerà i presupposti per importanti innovazioni. In questa fase però aumenta e poi
continua nei secoli successivi uno sfruttamento agricolo di alcuni ambienti, come quelli montani. In risposta
ai dissesti si diffondono tecniche particolari di contenimento come arginatura a corsi d’acqua, pendii,
terrazzamenti e gradoni. Sono zone in cui si viene a creare la coltura promiscua che caratterizza il paesaggio
rinascimentale, le colture si evolvono, si scelgono produzioni che vanno verso colture di pregio come
agrumeti, viti, oltre ai cereali che rimangono la spina dorsale della sussistenza di base se da un lato la
grande disponibilità di cereali porta e riorientare le produzioni verso le coltivazioni di pregio, in altri porta
ad estendere alcuni problemi legati alla costituzioni di aree umide che creano problemi di altra natura e
preoccupazioni relative alla salubrità dei terreni.

Se da un lato si riduce il peso della grande proprietà nobiliare di origine feudale e si contrae la proprietà
ecclesiastica con questo ritorno alla terra si profila una ripresa di potere di un insieme di diritti feudali
antichi e l’affermazione di una nuova rifeudalizzazione che è determinata proprio da una tendenza a
sviluppare da parte delle classi più agiate grandi proprietà terriere che poi funzionano con sistemi come la
mezzadria che poi si traducono spesso in sistemi produttivi abbastanza efficienti.

Tutto questo porta in Italia alle condizioni per un nuovo incremento demografico che riparte nella seconda
metà del Seicento e continua nel 700 il 700 definisce l’avvio di una radicale trasformazione dei rapporti
sociali avviando quella grande svolta che ci porterà alle trasformazioni dei secoli successivi.

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