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Tre definizioni e tre discorsive. Nel primo appello ha chiesto la definizione di funzione urbana, di
sito e di megalopoli. Ha inoltre chiesto il caso di Londra, le modalità di formazione della città
estesa e le politiche urbane.

Cap.1 Caleidoscopio Urbano


Tanti modi di essere città
Come definire la città? Lo si può fare in tanti modi quanti sono i punti di vista, noi esamineremo
la città con l’occhio del geografo che richiede una visione comprensiva di vari punti di vista, egli
pone al centro le caratteristiche fisiche e le relazioni spaziali, ma è anche aperto ad accogliere le
connessioni laterali con gli altri aspetti. Tutte le città hanno in comune questo soltanto: che
ciascuna è sempre un insediamento circoscritto, almeno relativamente: è una borgata, non un o
più abitazioni isolate, è una grossa borgata. (Max Weber) Così (definendolo insediamento
agglomerato) la geografia urbana chiama in causa una quantità di fatti culturali, sociali,
economici e politici che vanno ben oltre la semplice realtà fisica dell’agglomerazione fisica di
edifici e di abitanti da cui si è partiti. Tutti questi fattori trovano nelle città delle connessioni
particolari che li caratterizzano e che al tempo stesso caratterizzano le diverse città e le loro parti.
La geografia urbana consiste in una descrizione ragionata di questi condensati di relazioni
spaziali, delle loro regolarità e diversità, delle tipologie che ne derivano, occorre tener presente
che i caratteri fisici, culturali, sociali, economici ed estetici delle città sono il risultato di una
stratificazione storica.
La geografia urbana è una branca della geografia umana che studia il fenomeno città nelle sue
differenti forme e nelle sue relazioni spaziali con altri fenomeni alle diverse scale, da quella locale
a quella planetaria. La geografia urbana si è sviluppata come oggetto di studio autonomo solo
all’inizio del secolo scorso. Lo studio geografico delle città è così passato da un interesse
prevalentemente storico-morfologico a un interesse fondato sul ruolo che le città hanno in campo
economico, sociale, culturale e politico, sulle loro relazioni reciproche e sui loro rapporti con il
resto del territorio. La geografia urbana offre analisi e interpretazioni utili in molti campi
applicativi. Come tutte le geografie, quella urbana è tale solo se – come dice il suffisso geo-
adotta una visione multi scalare, capace di connettere quanto si osserva alla scala locale con le
scale superiori: regionale, nazionale, continentale, mondiale. A seconda del punto di osservazione
da cui si parte vi sono due diversi approcci alla città che il geografo Umberto Toschi ha chiamato
“geografia della città” e “geografia delle città”. Il primo parte dallo studio delle caratteristiche
interne delle singole città- Il secondo considera il fenomeno urbano come un sistema di relazioni
che legano più città tra loro e con un più vasto territorio, che al limite può essere quello
dell’intero pianeta. Una definizione di città come oggetto geografico può solo essere estensiva,
cioè può solo derivare da un inventario ragionato dei vari modi in cui il fenomeno si presenta
nello spazio terrestre come risultato della sua evoluzione storica. Il fenomeno città ha origine, a
partire da circa 10000 anni fa nel Vicino e Medio Oriente. Si manifesta con la comparsa di
insediamenti agglomerati stabili, di dimensioni assai maggiori di quelle di un semplice villaggio, i
quali ospitano attività diversificate. Le più antiche città occupano una posizione nodale nel
sistema delle grandi vie di comunicazione sia terrestri (Gerico), sia marittime (città fenicie),
oppure una posizione centrale nelle regioni amministrative dei grandi imperi dell’antichità. Di
regola hanno attorno un territorio fertile, capace di produrre un sovrappiù di derrate alimentari da
destinare a una popolazione urbana non agricola, un altro fattore è quello difensivo che fa
privilegiare le alture, quello delle specializzazioni produttive legate a giacimenti minerari e quello
religioso legato a certi luoghi ritenuti sacri. Le caratteristiche dei luoghi dove sono sorte le città
sono in relazione alle funzioni che esse svolgono nei territori che le ospitano. Ci sono città che si
caratterizzano per le loro diverse funzioni e per la loro struttura fisica ad esse rispondente: città
del commercio, del potere politico ed economico, dell’amministrazione pubblica e dei servizi,
della difesa, della produzione, della religione, della residenza, della conoscenza e della cultura,
del divertimento. Va infine tenuto presente che molte delle funzioni e dei tratti culturali che posso
caratterizzare ogni singola città, si trovano oggi in varia misura presenti in tutte le città e in
particolare in quelle più grandi. Questa varietà è un’altra caratteristica comune che, assieme alla
dimensione e alla concentrazione, ha permesso nel 1938 al sociologo americano Louis Wirth di
dare una definizione generale di città in termini di dimensioni, densità e varietà. Dove l’ultima
caratteristica si applica sia alla varietà delle attività e funzioni svolte nella città, sia alla naturale
conseguenza di varietà.
Le città del commercio
LA funzione originaria delle più antiche città era quella commerciale (Gerico), oggi lo scambio
commerciale continua ad essere di primaria importanza in tutte le città. Nell’antichità classica lo
spazio pubblico destinato al mercato era l’elemento centrale e strutturante dell’intero agglomerato
urbano (agorà greco, forum romano). Nell’alto medioevo molte componenti della città antica,
compreso il mercato e i luoghi delle grandi fiere, si ridistribuiscono nelle campagne. Ma
nell’Europa occidentale e mediterranea dei secoli XI-XV lo sviluppo delle attività produttive
riporta il mercato in città e di nuovo nella piazza centrale, in associazione con i maggiori edifici
religiosi e civili. La piazza ridivenne il centro della vita collettiva. La città islamica aveva dei
luoghi pubblici centrali come il mercato coperto (bazar, suq) e la grande moschea, mentre i luoghi
del potere politico e militare sorgono in posizioni dominanti, separate dal resto della città.
La città islamica: L’Islam nacque a cavallo tra il 7° e 8° sec. d.C., nella penisola arabica, con la
predicazione di Maometto. I seguaci unificarono un’area che si estendeva a ovest fino al
Marocco e alla Spagna e a est fino alla Persia, oggi Iran. Successivamente l’Islam si espanderà
ancora. Nelle aree desertiche africane e asiatiche l’Islam organizzò territori attorno a una vasta
rete di città collegate tra di loro da strade carovaniere. Le componenti principali della città
islamica sono: la grande mosche e gli edifici annessi, il mercato coperto, il caravanserraglio di
città, il giardino, il palazzo del potere, con la cittadella fortificata. La città non comprende spazi
aperti come la piazza delle città occidentali, i luoghi di socializzazione sono la moschea,
l’hammam (bagno pubblico), o più madrasse (sedi di varie istituzioni e scuole). Una rete di
strade collega la grande moschea alle porte d’accesso della città. Presso le mura ci sono i
caravanserragli, luoghi di sosta dei viandanti e dei beduini nomadi, con le loro merci e i loro
animali. Negli ultimi decenni le città islamiche tradizionali sono state attorniate da quartieri
moderni, con abitazioni di stile occidentale e strade dense di traffico. I centri storici, oggi
chiamati medine, hanno conservato in gran parte il loro carattere.
Anche nell’Africa i mercati sono sovente all’origine di agglomerati urbani, i quali svolgono il
ruolo di centri amministrativi, diffusione di notizie e comunicati. Nel Medioevo la rinascita diede
origine a due tipi diversi di città. C’erano sia i centri del grande commercio continentale, sia le
piccole, ma numerose, città-stato. Eredi dei grandi centri finanziari, commerciali e manifatturieri
del Medioevo sono Milano, Francoforte, Amburgo, Amsterdam. Lo stadio evolutivo più avanzato
di questo tipo urbano è rappresentato da quelle che vengono chiamate città globali come Londra,
Parigi, N.Y., Shangai. In Europa le vecchie città-stato hanno invece perso in parte la loro funzione
commerciale e sono diventate sedi di scuole, ospedali, uffici e altre di servizi pubblici e privati.
Molte di esse conservano in buone condizioni il centro storico medioevale con la sua piazza. Un
tipo di città commerciale è quella di confine, capaci di offrire merci non reperibili o più costose al
di là della frontiera, sono centri commerciali naturali. I casi + tipici si riscontrano lungo i confini
che separano paesi con diversi livelli di ricchezza (El Paso). Analoga è la condizione di città come
Andorra, Dubai o Singapore, dove le merci non sono soggette a tassazione. Fin dall’antichità la
città commerciale d’eccellenza è la città portuale. La rete commerciale di queste città divenne
globale tra il 15° e 19° secolo. È proprio nel 19° secolo che molte città portuali ebbero il loro
massimo sviluppo in termini di ricchezza e popolazione perché traessero maggiori vantaggi dal
commercio con le colonie e la nuova economia industriale. Tra i grandi porti europei del
Mediterraneo alcuni si resero indipendenti come le Repubbliche marinare di Amalfi, Genoa,
Venezia e Pisa. Nell’età moderna, con l’apertura delle rotte atlantiche per l’estremo Oriente, la
scoperta delle Americhe, le conquiste coloniali e la Rivoluzione industriale, i grandi flussi del
commercio marittimo si spostarono verso i porti europei dell’Atlantico e del mare del Nord
(Cadice, Amsterdam, Londra, Bordeaux, Anversa, N.Y., Boston, San Francisco, Rio de Janeiro,
Buenos Aires, Alessandria d’Egitto, Città del Capo, Bombay, Singapore, Giacarta, Sidney,
Melbourne. Quasi tutti questi porti corrispondo tuttora alle città più importanti dei paesi che si
affacciano su mari e oceani. Le reti urbane di questi paesi sono fortemente squilibrate a vantaggio
delle regioni costiere, nei paesi ex coloniali i porti, prima della decolonizzazione, erano i luoghi
in cui confluivano le merci destinate ai paesi colonizzatori e quindi i luoghi principali di tutte le
attività moderne; commercio, finanza e industria, amministrazione.
La distribuzione delle città con + di 1 milione di abitanti tra Nord e Sud: le prime sono numerose
anche all’interno dei continenti, le seconde si situano lungo le coste perché erano colonie. Ci sono
porti che sfruttano ripari offerti dalle rientranze delle coste, se sono alte (Genova) la città storica
si ammassa sul pendio retrostante; diversa è la situazione dei porti a estuario, che si sviluppano
anche per decine di chilometri lungo il corso terminale di un fiume (Rotterdam). Altre volte gli
spazi pianeggianti devono essere conquistati strappandoli al mare (Venezia, Tokyo). La forma è
stata fin dalle origini segnata dal suo fronte marittimo, occupato inizialmente dalle attrezzature
portuali e dai loro servizi e poi da industrie. Questo sviluppo commerciale e produttivo del fronte
marittimo ha compromesso l’affaccio al mare della città, separandola in molti casi dal porto.
Le città del potere
Alcune città sono sede delle persone e delle istituzioni rivolte a governare, difendere,
amministrare e offrire conoscenze e visioni del mondo ai territori più o meno vasti su cui si
estendeva il loro controllo, divennero sedi del potere politico, militare, amministrativo, culturale e
religioso, fiancheggiati spesso da quello economico. La città-capitale, politica o economica, è un
tipico esempio, soventemente le due funzioni coincidono, in altri casi sono separate (N.Y.,
Washington) La capitale degli U.S.A. fu fondata nel 1791, è ispirata all’idea del potere di un
grande paese; ampi spazi aperti, prospettive di palazzi imponenti, giardini e passeggiate nel verde,
lungo il fiume Potomac. Il suo nucleo centrale è formato dalla Casa Bianca, dal Campidoglio
(sede del Congresso) punto di partenza di una raggiera di ampi viali che portano il nome dei primi
stati confederati. A Washington hanno sede la Corte suprema, i Ministeri e gli Enti federali, la
Nasa e alcune organizzazioni internazionali, come la Banca Mondiale, il Fondo Monetario
Internazionale e l’Organizzazione degli Stati Americani. Numerosi sono anche i monumenti.
Caratteristica è la massiccia presenza di edifici destinati ad ospitare i massimi poteri dello stato,
gli uffici ministeriali, le rappresentanze diplomatiche straniere. Questi apparati danno lavoro alla
maggioranza della popolazione urbana. Il potere politico ha modellato la morfologia urbana per il
fatto che i suoi edifici hanno occupato posizioni centrali e sovente dominanti. In estremo Oriente
l’apparato imperiale ha dato origine a città nella città, come la città proibita a Pechino e quella
imperiale di Tokyo. In età romana e poi in età barocca (17° - 18° secolo) e ancora nei regimi
totalitari del 20° secolo, le città del potere vennero modellate in forme grandiose, funzionali a un
esercizio spettacolare del potere, sia per motivi funzionali, sia per esigenze simboliche. Il
mecenatismo del potere politico ha arricchito gli spazi pubblici, le chiese e i musei di opere d’arte
che oggi fanno di queste città le principali mete del turismo locale. Nell’0età barocca le
monarchie e le corti europee hanno aggiunto alle loro sedi principali grandiose residenze usate
stagionalmente o saltuariamente, situate nei dintorni della capitale. In alcuni casi divennero poi le
sedi principali della corte e del governo, mentre nella città capitale cresceva il potere borghese
destinato a prendere il sopravvento. In età barocca i Savoia fecero costruire attorno a Torino, loro
città di residenza principale, una serie di palazzi utilizzati come residenze temporanee, per le
vacanze estive o per la caccia, detta “corona delle delizie” Ci sono casi di città che corrispondono
a entità statali: le città-stato (Atene, nell’antica Grecia, Singapore, principato di Monaco,
Vaticano). Il potere politico si accompagna sovente a quello militare, nella leggenda sumerica, è il
mitico capo Gilgamesh che costruisce le mura destinate a difendere Uruk. Le manifestazioni +
evidenti di questo fenomeno sono le città-fortezza e le città fortificate in genere, le cui opere
difensive sono tuttora in parte presenti in molte città e ne hanno condizionato la forma e la
crescita, ne abbiamo in Europa, nel mondo islamico e in Giappone. Le mura bastionate di Lucca
sono lunghe 4,2 Km, abbiamo anche le mura aureliane di Roma. La prima cinta muraria di Lucca
fu costruita nel 2° secolo a.C. intorno al tipico quadrilatero romano, una seconda nel Medioevo,
nel 13° e 14° secolo d.C., poi espansa verso Nord-Est un secolo dopo. Quest’ultima, che ancora
oggi cinge il suo centro storico, risale al 1500-1600, 4 km di mura, sulle quali erano piazzati 124
pezzi d’artiglieria, bordate all’esterno da un fossato di 35 metri di larghezza e infine da un’area
nella quale furono tagliate tutte le piante per non lasciare al nemico legname per le artiglierie. Il
ruolo delle mura fu sempre simbolico e deterrente, tuttavia nel 1812 esse difesero la città
dall’esondazione del Serchio. Oggi l’antico sistema difensivo è diventato un luogo per il tempo
libero, il passeggio e lo svago. La cinta muraria costruita tra il 270 ed il 273 dall’imperatore
Aureliano si sviluppava per 19 km, continuò ad avere un ruolo difensivo fino al 1870, quando
l’apertura della breccia di Porta Pia e la presa di Roma ad opera dell’esercito del Regno d’Italia
determinarono la fine del dominio temporale del papato. I resti di queste mura, oggi ancora
visibili, hanno condizionato la crescita urbanistica della città e ne condizionano tutt’ora la
viabilità e il traffico. La pianta a scacchiera delle città di fondazione romana antica ricalca la
geometria originaria dell’accampamento militare. Nacquero come avamposti prima di trasformi in
presidi permanenti dei territori colonizzati. Il potere religioso è detenuto da città come o zone
come l’acropoli di Atene, la quale divenne sede del Partenone, tempio dedicato ad Athena.
L’importanza del potere religioso è testimoniata dalla centralità urbana del tempio dell’antichità
classica, della cattedrale in quella cristiana medievale, della moschea del venerdì in quella
islamica, dei differenti edifici religiosi pre-colombiani. Le città sacre nascono e si strutturano
principalmente attorno alla funzione religiosa, Delfi 8santuario di Apollo), città-convento del
Tibet, città pellegrinaggio: Roma, Gerusalemme, San Giacomo di Compostela, Lourdes per i
cristiani, Benares per gli induisti, La Mecca per i mussulmani. Città del potere economico, sede
dei grandi proprietari terrieri, delle grandi case commerciali e dei primi banchieri, poi dei padroni
delle fabbriche e ora delle grandi imprese e della finanza. Fino a pochi decenni fa questi poteri si
identificavano solo con alcune parti della città e con il quartiere degli affari. A partire dagli anni
70 del secolo scorso questi poteri si sono andati concentrando a scala planetaria fino a
caratterizzare alcune grandi città: le città globali, di cui tratteremo + avanti.
Le città della produzione
Alcune delle + antiche città furono legate ad attività estrattive, ma le vere e proprie città minerarie
sono di origine + recente, come le città del sale dell’Europa medievale e moderna (Hall) e quelle
del ferro come LeBon in Carinzia o quelle dell’argento. L’espansione coloniale europea tra il 16°
e 19° secolo portò allo sfruttamento di giacimenti in località deserte o quasi di altri continenti;
perciò, si formarono da nulla città come Johannesburg presso le miniere d’oro, mentre altre
ebbero modesti sviluppi. Alcune scomparvero e divennero ghost town. Con la rivoluzione
industriale molte città europee sorsero e si svilupparono in funzione di miniere di carbone e di
ferro per evolvere poi come centri industriali, commerciali e finanziari. In epoche recenti la
domanda di metalli carbone e petrolio da parte delle industrie spinse a stabilire insediamenti
urbani in situazioni climatiche estreme, così sorsero centri oltre i Circolo Polare, come Ykutsk in
Siberia (200000 abitanti media a gennaio -40, minimi a 63, terreno gelato, disgelo superficiale
estivo compromette la stabilità degli edifici, città + fredda al mondo). Anche le città nei deserti
come Hassi Messaoud presentano problematiche, l’estrazione degli idrocarburi ha prodotto
diverse città che si sono espanse rapidamente (città fungo) come Edmonton e Calgary (Canada).
Le città contadine ospitavano una popolazione dedita all’agricoltura, in origine erano grandi
agglomerati rurali, benché divenute città oggi esse conservano tracce evidenti del vecchio tessuto
urbano formato dalle lunghe file di casette che ospitavano le famiglie dei salariati agricoli. Le
città della bonifica agraria sono centri pianificati in funzione dei bisogni della nuova popolazione
agricola insediata nei terreni bonificati e infrastrutturali. Latina è stata fondata in epoca fascista
con il nome di Littoria nel 1932, posta al centro della bonifica dell’Agro Pontino, è stata
progettata con forma ottagonale. I fronti di colonizzazione agricola hanno dato origine a città di
servizi per gli agricoltori, molte di esse sono divenute in seguito centri amministrativi,
commerciali e industriali. Le città della pesca come Bergen in Norvegia e Mazara in Sicilia. I
lavori artigianali in età comunale (11°-13° sec.) cominciano a occupare spazi rilevanti e ad avere
con le loro corporazioni un rilevante peso politico anche all’interno delle maggiori città come
Firenze, Bruges, Gand, Parigi, così si formano le città manifatturiere dove la percentuale della
popolazione urbana attiva nella manifattura artigianale era assai elevata. In seguito alla
rivoluzione industriale si trasformano in città industriali vere e proprie. La differenza rispetto alle
manifatturiere riguarda la forma e la dimensione, la produzione non avviene + in una miriade di
piccole botteghe artigiane unite dalle abitazioni e quindi sparse sul tessuto urbano, ma in grandi
stabilimenti che occupano vasti spazi periferici e attraggono attorno a sé i nuovi quartieri operai.
La segmentazione s’accresce con gli scali e linee ferroviarie. La città preindustriale si riduce a
centro storico, parte piccola con forte valore simbolico. Nei casi in cui una grande industria
costituisce la principale base economica della città si parla di città fabbrica, il modello ha origine
ottocentesca, tende a replicarsi nei paesi di nuova industrializzazione. Modello: Essen, i Krupp
curarono attorno ai loro stabilimento tra il 1863 e il 1906, la costruzione di una corona di
insediamenti. Nel secolo scorso, con il crescere degli agglomerati industriali si ebbero esempi di
città-fabbrica di ben maggiori dimensioni aziendali e urbane. LA città fabbrica del 19° secolo fu
caratterizzata dalla specializzazione automobilistica: Detroit USA, Toyota Giappone,
Togliattigrad Russia, Stoccarda Germania. Negli anni 50 e 60 gli occupati nell’industria
automobilistica FIAT erano il 40% della popolazione torinese. Per la crescente automazione degli
impianti e la delocalizzazione delle produzioni nei paesi con mano d’opera a basso costo, le città
industriali europee e nord-americane, a partire dal 1970 hanno dovuto affrontare una grave crisi
economica e demografica, da cui alcune sono uscite con una laboriosa trasformazione. Il
ridimensionamento ha lasciato enormi spazi dismessi (vuoti industriali). Nelle città + dinamiche
sono stati riutilizzati per nuovi impianti produttivi, commerciali e di servizi. In alcune hanno
modificato la geografia urbana creando nuovi grandi centri di servizi nella periferia.
DETROIT La città di Detroit è situata nella regione dei grandi laghi americani, presso il confine
con il Canada. Nel 1896 Henry Ford vi fondò la prima industria automobilistica, nel 20° secolo si
aggiunsero General Motors e Chrysler, le fabbriche arrivarono ad occupare una larga parte dello
spazio urbano. Nel 1950 contava 1900000 abitanti e il reddito medio era il + alto tra le città
americane. Nei 60 di ebbero i primi segni della crisi: i quartieri centrali venivano lasciati dalla
popolazione ricca che si stabiliva nei municipi limitrofi, seguita dagli uffici delle imprese e dai
servizi commerciali. Nella città rimaneva la popolazione + povera, minacciata dalla
disoccupazione inseguito al calo dell’occupazione industriale. I nuovi interventi urbanistici non
sono riusciti a revitalizzarla, nel 2010 gli abitanti sono ridotti alla metà di 50 anni prima e la
disoccupazione e la povertà continuano a crescere. Molte industrie sono chiuse, interi quartieri
sono spopolati, vaste zone periferiche versano in uno stato di degrado e di abbandono: case
bruciate, edifici che cadono a pezzi, Detroit ha ancora 5 grandi squadre in altrettanti sport. Nel
1899 fu fondata a Torino la fabbrica FIAT. La città aveva già una tradizione industriale, le nuove
officine potevano contare, oltre che sulla nuova energia idroelettrica fornita dalle acque delle
Alpi, anche su tecnici e manodopera qualificata. Torino assunse così, all’inizio del 20° secolo,
quella fisionomia di città industriale che sarebbe poi diventata la sua caratteristica principale, gli
stabilimenti occuparono spazi enormi, la grande richiesta di manodopera provocò una violenta
ondata migratoria, il rapido aumento della popolazione creò molti problemi. A partire dai primi
anni 70 anche a causa della crisi petrolifera, la crescita dell’industria automobilistica subì un
arresto, e nel 1994 si arrivò a un tasso di disoccupazione del 14%, la capitale italiana dell’auto di
orientò maggiormente verso l’esportazione di servizi e l sviluppo di industrie innovative come
quelle legate alla robotica, all’aerospaziale, all’informatica, alle telecomunicazioni
Le città della conoscenza e della cultura
La funzione culturale e conoscitiva era svolta da centri specializzati nelle funzioni religiose,
anche se in città come Atene (l’Accademia dio Platone) e Alessandria d’Egitto 8biblioteca), era
associata ad altre funzioni. Nelle città islamiche la scuola faceva parte del complesso degli edifici
attorno alla Moschea. Nell’Alto Medioevo funzioni analoghe erano svolte in Europa dai
monasteri e da alcune cattedrali. In Europa, a partire dal 1100, in città come Bologna, Parigi,
Cambridge e Salamanca sorgono le prime università, che in alcuni casi diverranno il principale
motore propulsore della crescita urbana. Si parla in questi casi di città universitarie (Cambridge,
Oxford, Tubinga, Uppsala Princeton). Oltre ad essere centri di elaborazione e diffusione di
cultura, le città universitarie sono sempre più generatrici di ricerca applicata e di industrie
innovative. Il rapporto della scienza con la tecnologia trova nella seconda metà del secolo scorso
la sua realizzazione nei parchi tecnologici o tecnopoli: complessi di edifici ospitati da città, i quali
possono assumere le dimensioni e l’auto0nomia di una città vera e propria. Ad esempio, Sophia
Antipolis se estende su 2300 ettari e ospita le sedi di 1300 imprese d’avanguardia in cui lavorano
30000 persone per lo più altamente qualificate. La cultura artistica e umanistica ha dato luogo, dal
Rinascimento, a importanti specializzazioni urbane basate sulle attrattive che i patrimoni culturali
esercitano sui visitatori di tutto il mondo, queste città sono dette città d’arte o città ella cultura, in
molti casi la cultura e l’arte sono una componente della città, ma diventano dominanti delle
medio-piccole città (Ravenna, Siena, San Giminiano, Assisi). Oggi nelle città della cultura il
turismo tende ad essere l’attività dominante, molte di queste città tendono a diventare grandi
musei o addirittura parchi tematici. Si moltiplicano i servizi ricettivi e commerciali, crescono i
costi degli immobili e della vita in genere, per cui i normali abitanti finiscono per trasferirsi nei
dintorni, Venezia è un noto esempio di questa criticità.
Le città del turismo
L’Organizzazione Mondiale del Turismo definisce questa attività come quella di chi si sposta
dalla sua abituale residenza verso un’altra località per almeno una notte e per non più di un anno,
per soddisfare esigenze di divertimento, cultura, salute, evasione dal quotidiano. Il turismo della
salute ha un predecessore nella città greca di Coo, centro di cura molto frequentato nel 5° sec.
a.C. il turismo termale, in voga tra i romani, rinasce in Europa nel 500 per diventare di moda nella
migliore società del 700-800, quando certe località termali si trasformano in vere e proprie città
molto eleganti come Merano in Tirolo. DA questa antica tradizione derivano gli odierni centri per
le cure termali. Il turismo montano e quello marittimo balneare, con gli sport associati,
trasformano le piccole città in vere e proprie città delle vacanze. Tra le città balneari ricordiamo
Rimini e Viareggio, in molti casi la loro principale attrattiva non è data tanto dalle spiagge quanto
dai divertimenti e dallo shopping. Questa loro evoluzione le fa convergere verso il modello della
città dei divertimenti pura e semplice, Las Vegas. Caratteristica delle città balneari è la loro
estensione sul fronte costiero, abbellito da eleganti passeggiate alberate, su cui affacciano i
principali alberghi e locali pubblici, alle spalle di questi si estendono zone residenziali costituite
da seconde case e quindi spopolate. Dove il clima è ottimale v’è una forte presenza di anziani. Le
città del turismo montano, anche quelle note per la loro mondanità come Saint Moritz e Cortina
d’Ampezzo, conservano un carattere più legato all’ambiente e agli sport. Sono meno numerose e
di dimensioni ridotte. La loro crescita è legata alle eccezionali qualità ambientali e agli sport della
neve, come nei casi di Chamonix e di Courmayeur ai piedi del monte Bianco, di Cortina nelle
Dolomiti. Ci sono anche città come Bolzano il cui sviluppo è legato al loro ruolo di centri di
servizio di importanti distretti turistici montani.
La posizione geografica e il sito.
La geografia urbana dava molta importanza alla posizione delle città in relazione ai grandi
lineamenti fisici regionali e al sito (definito dai caratteri morfologici, idrografici climatici e bio-
geografici propri del luogo su cui sorge la città. Oggi si ritiene che questi fattori possano aiutare a
spiegare la storia delle città ma sempre meno il suo presente e il suo futuro. La posizione ha
ancora un certo peso, difatti non solo le città portuali costiere, ma anche quelle lungo i grandi
fiumi continuano a trarre ancor oggi notevoli vantaggi dalla loro posizione per quanto riguarda i
trasporti. Inoltre, il ruolo che la posizione ha svolto nel passato può avere effetti ereditari sugli
sviluppi odierni. Londra si sviluppa in una posizione favorevole per il controllo di un vasto
entroterra. La sua posizione sull’estuario del Tamigi conta ben poco, ma le dimensioni fisiche,
demografiche ed economiche raggiunte nel passato continuano a fare da volano inerziale di uno
sviluppo che è ormai svincolato dalla geografia naturale. Il gran numero di centri urbani minori
che caratterizzano l’Italia corrisponde alla struttura morfologica dell’Appennino, ricca di conche
interne e a quella dell’antiappennino, frazionata in rilievi collinari adatti all’agricoltura. Le cose
cambiano se consideriamo la posizione geo-economica e geo-politica, derivante ad esempio dalle
grandi vie dei traffici commerciali e dai confini degli stati, cioè da fattori soggetti a cambiare nel
tempo. Sovente tali cambiamenti decidono del destino delle città. Chicago a metà dell’800 aveva
30000 abitanti nel 900 arriva a 1,7 milioni grazie al fatto che ad essa ha fatto capo la rete dei
trasporti della regione dei grandi laghi, del Mississipi e dellke pianure agricole del Midwest. In
Italia lo sviluppo di città come Bologna e Veronadeve molto alla loro posizione nodale nella rete
ferroviaria e autostradale. Effetti analoghi si hanno al variare dei confini politici, come nel casod
ella caduta del muro di Berlino. La posizione può essere tuttora un criterio valido per distinguere
diversi tipi di città. Anche le caratteristiche naturali del sito hanno suggerito tipologie urbane
come quelle che distinguono i centri di pianura, di poggio, di crinale, di sprone, di pendio,
d’insenatura, di meandro, di fondo vallivo, di terrazzo fluviale, di laguna.

Cap.2 Dalla campagna alla città: l’urbanizzazione del mondo


La crescita delle città
Il rapido aumento della popolazione mondiale, iniziato nel 19° secolo fu accompagnato a un
fenomeno di concentrazione della popolazione. Fin dalla metà del 19° secolo in tutti i paesi del
mondo la maggioranza della popolazione era rurale, le grandi città erano un’eccezione. Lo
sviluppo dell’industria e il processo d’inurbamento si andarono intensificando di pari passo. Nel
1950 39 abitanti del pianeta su 100 vivevano nella città. Nel 2009 metà della popolazione viveva
nelle aree urbane, nel 2030 quando la popolazione sarà di 8 miliardi, 5 staranno nelle città. Fino a
metà del secolo scorso l’urbanizzazione fu una caratteristica dei paesi più economicamente
sviluppati, mentre in quelli economicamente meno sviluppati la popolazione era ancora
prevalentemente rurale. Oggi l’urbanizzazione rallenta nei paesi di antica industrializzazione ed è
in crescita nel Sud del mondo. SI prevede che nel corso dei prossimi 30 anni l’83% della crescita
demografica avverrà nel Sud del mondo. Poiché i tassi di crescita naturale della popolazione
rurale sono superiori a quelli della popolazione urbana, ciò significa che la crescita di
quest’ultima continuerà a essere alimentata sia dal suo incremento naturale, sia dall’immigrazione
dalle aree rurali, come già è avvenuto negli ultimi 10 anni. I redditi dell’agricoltura crescono
meno rapidamente rispetto a quelli degli altri settori. In molte regioni dei paesi meno sviluppati il
sovraffollamento delle campagne è tale da condannare alla morte per fame una parte della
popolazione che è spinta verso la città per sopravvivere. L’industrializzazione dell’agricoltura fa
si che essa richieda sempre meno mano d’opera e ciò aumenta la disoccupazione dei contadini,
che, senza terra e senza lavoro, sono costretti a emigrare. Negli ultimi due secoli la città si è
presentata agli abitanti delle compagne come la sede della modernità e del progresso e i suoi
modelli di vita sono diventati sempre più attraenti. Nei paesi più sviluppati, dove i modi di vita e i
servizi della città si sono ormai diffusi anche nelle campagne è cessata l’immigrazione di massa
verso le città La crescita della popolazione mondiale: a metà del 17° secolo gli abitanti della Terra
erano mezzo miliardo e ci vollero quasi 2 secoli per raddoppiarne il numero. Le cose cambiarono
a partire dalla metà del 19° secolo, quando, grazie alle migliorate condizioni di vita gran parte
della popolazione mondiale e ai progressi della medicina, il numero di abitanti della Terra crebbe
più velocemente, fino a superare i sei miliardi e mezzo. La dinamica demografica, cioè la
variazione della popolazione, è legata ai tassi di natalità e mortalità che variano nel tempo e nello
spazio, dando luogo a regimi demografici differenti. Ciò ha portato a formulare la teoria della
transizione demografica. Secondo tale teoria, la dinamica demografica presenta tre stadi. Il primo
stadio è definito antico in quanto diffuso in tempi antichi e oggi tipico dei paesi con modelli di
vita primitivi, è caratterizzato da alti tassi di natalità compensati da corrispondenti alti tassi di
mortalità. Nonostante gli elevati tassi di natalità, il saldo naturale è prossimo allo 0 a causa degli
alti tassi di mortalità. Poi c’è la fase di transizione che si divide in 2 parti. Nella prima, per effetto
delle migliori condizioni di vita e dell’introduzione delle cure mediche, si riduce la mortalità,
mentre la natalità rimane alta. Il ritmo di crescita in questa fase diventa molto alto, a causa del
salto fortemente positivo. Segue il secondo stadio, con un calo del tasso di natalità, come
conseguenza della mutata situazione sociale che non incoraggia più le nascite, per cui si ha un
rallentamento nella crescita demografica. Nel terzo stadio, o regime moderno, il tasso di natalità
diminuisce ancora, fino ad eguagliare quello di mortalità; si raggiunge a questo punto il livello di
crescita 0, per passare poi, in alcuni periodi, ad un saldo negativo. In Europa nel secolo scorso s’è
verificato il passaggio dal primo al secondo stadio. Attualmente lo stadio di transizione è quasi
terminato. Si trovano nel terzo stadio anche USA, CANADA, Russia Australia, Nuova Zelanda e
Argentina. Tutti gli altri paesi sono in fasi diverse. La crescita maggiore si ha in Africa, Asia
meridionale e in Bolivia. Anche nei paesi meno sviluppati l’inurbamento non deriva soltanto da
motivi economici: le baraccopoli ai margini delle grandi città offrono in qualche misura quei
vantaggi della modernità che l’estrema arretratezza delle campagne non consente di avere, le
masse si spostano dunque anche sapendo di restare povere e ai margini.
La distribuzione geografica delle maggiori città
La dimensione di una città è data dal numero dei suoi abitanti, le grandi città cono quelle con + di
1 milione di abitanti, quando superano i 10 milioni si parla di megacittà. Le città maggiori si
distribuiscono nella fascia temperata e tropicale dell’emisfero Nord, dove la distribuzione non è
regolare, ci sono vuoti nelle zone desertiche, c’è un’alta concentrazione nell’estremo oriente e nel
subcontinente indiano, la distribuzione europea è densa ma assai + equilibrata. Nell’emisfero sud
il gigantismo urbano è un fenomeno costiero in virtù del passato coloniale. In sintesi, il
gigantismo urbano si presenta principalmente associato a 4 gruppi di condizioni presenti nei
diversi paesi:
-le caratteristiche demografiche complessive (alti tassi di crescita)
- il livello di sviluppo economico
- l’antichità del popolamento e della civiltà urbana
- l’impoverimento delle campagne
Nel caso dell’Europa e del Giappone agiscono le prime 3. In India e in Cina e nell’America latina
si ha una combinazione della prima e della quarta. In nordamerica prevale la seconda, nel Vicino
e Medio Oriente la quarta. In Africa, paese meno urbanizzato, tutte e 3 sono poco presenti. Le
megacittà continuano ad aumentare sia in termini demografici sia in numero. Nel 1975 le città con
più di 10 milioni di abitanti erano 3, nel 2010 21.
Urbano, rurale, rurbano
Urbano e urbanizzazione nel senso più stretto indicano semplicemente la concentrazione della
popolazione, ma questa è solo la manifestazione + evidente del fenomeno urbano, se andiamo a
vedere cosa capita nelle località così individuate, ci accorgiamo che la città è anche e soprattutto
un modello di vivere, di pensare, di lavorare, di trasformare l’ambiente, di avere rapporti con gli
altri, di creare bisogni e desideri di rispondere ad essi. Se intendiamo la città in questa +
complessa accezione la parola urbanizzazione indica il recente diffondersi del modo di vita
urbano anche a quelle parti del territorio che non presentano i caratteri fisici dell’urbano, cioè
l’alta densità di abitanti e la concentrazione di popolazione e di attività. Si parla di urbanizzazione
delle campagne quando certe caratteristiche culturali, sociali ed economiche che un tempo erano
esclusivamente o comunque tipiche della città si banalizzano, diventano cioè alla portata di tutta
la popolazione. Là dove questo processo è + avanzato la campagna, intesa come genere di vita,
forma di insediamento e di paesaggio distinta dalla città, sta scomparendo. Andando dai nuclei
urbani centrali più compatti verso gli spazi rutali, si osserva solo un rarificarsi delle abitazioni e
della popolazione. Per indicare questi territori si usano i termini rururbano e periurbano (con
sufficiente densità). Questo processo di diffusione e di banalizzazione, non riguarda tutti gli
aspetti della vita urbana, ma solo quelli + comuni, i nuclei centri delle città si continuano a
distinguere per i loro centri d’eccellenza e per le differenze accentuate. Si può dire che le vere
città sono questi pochi centri d’eccellenza mentre il resto del territorio è urbanizzato.
Città del Messico: a 2200 metri di altitudine sorge in un’ampia conca pianeggiante dell’altopiano
del Messico. È la capitale del Messico, è il simbolo del gigantismo del Sud del mondo, alla fine
dell’800 contava 100000 abitanti, fino a metà del secolo scorso ne contava 1 milione, nel 2010 ha
raggiunto i 198 milioni. In essa si concentra la quasi totalità delle attività del paese. La rapida
crescita, tuttavia, pur creando maggiori possibilità di lavoro per la popolazione, ha procurato non
pochi problemi alla città: crescita disordinata, senza piani urbanistici adeguati, problemi
ambientali, scarsità di beni di prima necessità, inadeguatezza di alcuni servizi come i trasporti e
l’assistenza sanitaria.
Tokyo, testimonianza, “Guardando il mare meridionale del Monte Fuji viene da pensare che tutti
i Giapponesi stiano in città (…) Più che qualunque altro Paese asiatico, la popolazione vive, in
Giappone, entro aree urbane.” Corna Pellegrini.
Contro-urbanizzazione e disurbanizzazione
Negli ultimi decenni i paesi più sviluppati hanno subito un rallentamento e poi una parziale
inversione nel processo di urbanizzazione. La prima manifestazione ha preso il nome di contro-
urbanizzazione, il geografo Brian Berry descrisse questo fenomeno negli USA verso il 1970 e lo
definì come il passaggio da uno stato di maggior concentrazione ad uno di minor concentrazione.,
Esso segnava l’inversione di una tendenza alla concentrazione urbana. La contro-urbanizzazione
era sì un indicatore sensibile di certi cambiamenti, ma di significato ambiguo, che andava
ulteriormente analizzato. A ciò si dedicarono Anthony Fielding che ridefinì la contro-
urbanizzazione come rapporto di proporzionalità inversa fra tassi di variazione migratoria e
dimensione. Ciò significava due cose: la prima è che in quegli anni, nei paesi industrializzati, più
le città erano grandi e meno crescevano, mentre più erano piccole + crescevano rapidamente, la
seconda è che ciò avveniva per effetto di movimenti migratori. In particolare, più i centri erano
piccoli e + i loro tassi d’incremento migratorio erano elevati. Fielding dimostrò che la contro-
urbanizzazione era in atto in tutti i paesi industrializzati. La crescita migratoria delle città minori
venne interpretata come crescita dei posti di lavoro e venne messa in relazione alle nuove
tendenze localizzative dell’industria e dei servizi, tipiche della fase post-fordista, che privilegiava
i centri minori, dove la vita era meno costosa, i salari + bassi e minori i conflitti sindacali. Nelle
grandi città la crescita demografica non solo rallentò, ma si trasformò in decrescita, si passò così
alla disurbanizzazione, fenomeno che colpì soprattutto i comuni centrali delle grandi
agglomerazioni urbane. In Italia tra il 1965 e il 1980 si ebbe una ripresa demografica di molti
centri urbani minori, mentre i maggiori comuni italiani negli anni 70-80 presentavano
comportamenti diversi: nelle regioni industrializzate del nord essi registrarono sensibili cali
demografici, nel Mezzogiorno si ebbe una tendenza alla crescita zero e nel centro un
comportamento intermedio. Il declino demografico delle grandi città negli ultimi anni si è quasi
ovunque arrestato e in molti casi c’è stata una certa ripresa della crescita demografica.
La transizione demografica urbana
Le modalità tradizionali di rilevazione statistica del fenomeno urbano non sono in grado di
coglierne tutta la portata e le sue implicazioni. Tali rilevazioni si basano sui due parametri
tradizionali della densità e della dimensione degli agglomerati, sempre meno corrispondenti alla
reale geografia del fenomeno. Quella che le statistiche ufficiali misurano non è tanto la
popolazione urbana, quanto la popolazione agglomerata, nei paesi + sviluppati, dove molti nodi
urbani importanti si localizzano fuori dagli agglomerati, si hanno sicuramente sottostime della
reale portata del fenomeno urbano, mentre abbiamo sovrastime in molti paesi meno sviluppati
dove molti addensamenti di popolazione hanno caratteri più rurali che urbani. Le statistiche
dell’ONU mettono in evidenza il fatto che oggi + della metà della popolazione mondiale si
concentra su una percentuale minima della superficie terrestre. Questa tendenza
all’iperconcentrazione ha proceduto ad un ritmo ben superiore a quello dell’aumento della
popolazione urbana complessiva. La crescente dissociazione tra concentrazione demografica e
funzioni urbane è un paradosso perché da sempre il progresso economico è andato di apri passo
con la formazione e lo sviluppo delle città. Inoltre, stiamo vivendo una fase in cui tale progresso è
guidato dall’economia della conoscenza e della comunicazione, cioè da funzioni che si sono da
sempre identificate con l’urbano. Allora perché proprio negli ultimi decenni la maggior crescita
urbana si registra nei paesi meno economicamente sviluppati? Fino a che punto le 16 megacittà
appartenenti ai paesi sottosviluppati sono paragonabili a quelle di peso economico enormemente
superiore. Il fatto che siano situazioni molto diverse tra loro è anche provato dal fatto che le
politiche urbane presentano obiettivi opposti. Nei paesi non sviluppati l’obiettivo è di frenare la
concentrazione riducendo l’afflusso dalle campagne e dai centri minori, da noi l’obiettivo è quello
di evitare i costi ecologici, energetici e sociali. Non sono fenomeni opposti ma rappresentano due
fasi del ciclo della vita delle città (urbanizzazione-suburbanizzazione-disurbanizzazione-
riurbanizzazione), Si può parlare di transizione urbana, la quale inizia con una prima ondata di
concentrazione urbana nei paesi europei e nord-americani investiti dalla Rivoluzione industriale
nel 19° secolo , accentuata poi dalle grandi concentrazioni fordiste, e da mezzi di trasporto
pubblici e privati che favoriscono l’espansione suburbana a macchia d’olio. Si ha così la fase di
massima concentrazione urbana nei paesi industrializzati. Nella seconda metà del secolo scorso la
crisi delle grandi concentrazioni urbano-industriali e il contemporaneo affermarsi dei nuovi mezzi
tele-informatici fanno venire meno i vantaggi della contiguità demografica per una vasta gamma
di attività di qui le prime ondate di delocalizzazione produttiva. Le attività manifatturiere e di
servizio trovano nei centri minori condizioni di contesto + favorevoli di quelle offerte dalle grandi
agglomerazioni urbane, ciò comporta una ridistribuzione geografica dei posti di lavoro e quindi
della popolazione. Si entra così nella fase recente. La fase in cui stiamo entrando si preannuncia
ancora diversa: l’iperconcentrazione urbana nei paesi – sviluppati subirà un rallentamento
progressivo, mentre nei paesi + sviluppati le grandi città cominceranno a dare segnali di ripresa
demografica, dovuta presumibilmente alla crescita dell’occupazione nei settori innovativi.

Cap.3 espansione e dispersione urbana


Che cos’è città oggi?
Torniamo ai 3 criteri fondamentali per definire la città, proposti da Louis Wirth: “dimensione,
densità, eterogeneità”. Dimensione demografica e densità sono andate crescendo di pari passo per
lungo tempo e ancor oggi nei paesi più poveri la crescita della popolazione urbana avviene per
concentrazione urbana, dunque con densità elevate. Nei paesi + ricchi invece la popolazione delle
città cresce ora + lentamente, ma l’affermarsi dell’automobile e della teleinformatica ha favorito
la dispersione degli edifici e così le città si sono espanse ben oltre i loro confini originari: la loro
dimensione territoriale è aumentata molto di più della dimensione demografica. Di conseguenza
la densità s’è molto ridotta. Dalle città nucleari siamo passati alle città estese, con densità talvolta
poco superiori a quelle degli spazi rurali circostanti, tanto che è ormai un problema distinguere
l’urbano dal rurale. Si parla infatti di perdita di confini delle città e l’incertezza dei confini rende
incerto il calcolo della dimensione. Per varietà se intendiamo la varietà delle attività svolte
continua a valere la regola che essa cresce con la dimensione, ma con grandi differenze tra le
metropoli dei paesi ricchi e quelle dei paesi poveri. Città del Messico ha meno varietà di attività
rispetto a Zurigo e Francoforte. Se consideriamo l’eterogeneità culturale e sociale le metropoli dei
paesi + sviluppati economicamente presentano al loro interno una varietà etnica e culturale
superiore a quella delle megacittà dei paesi meno sviluppati. L’incertezza delle dimensioni
urbane: In passato una città era un insieme di edifici, spazi pubblici e popolazione ben distinto dal
resto del territorio, sovente cinto da mura. Ora più che di città si parla di agglomerati urbani, aree
metropolitane e altre forme di città estesa, non c’è più uno stacco netto tra spazi urbani e rurali.
La città è così diventata un oggetto ambiguo, ne consegue che i dati sulle città variano tra loro a
seconda delle fonti statistiche. Ciò può avere conseguenze pratiche rilevanti, specie all’interno di
quegli stati in cui alle città si applicano norme diverse a seconda della loro dimensione o
dell’appartenenza o meno ad aggregati estesi, come ad esempio le aree metropolitane.
Le nuove forme della città
Da città nucleare (centro urbano municipale denso e compatto, di dimensioni ridotte nettamente
distinto dalla campagna circostante) siamo passati alle città estese (entità territoriale che
comprende più municipalità fuse o connesse tra loro in modo da formare un sistema urbano che,
se molto esteso, prende il nome di regione urbana). Il passaggio può avvenire per agglomerazione
(le città si espandono a macchia d’olio sui territori municipali circostanti), conurbazione (le città
vicine si dilatano fino a fondersi tra loro dando origine a un’unica grande urbana), peri-
urbanizzazione (i centri relativamente piccoli riversano una parte della loro popolazione e delle
loro attività sui territori contigui e che quindi entrano a far parte di un unico sistema territoriale
urbano). Le metropoli sono diventate attraverso questi processi dei sistemi territoriali
multicentrici, sistemi che prendono il nome di aree metropolitane (grande agglomerazione
centrale, circondata da numerosi altri centri vicini, che hanno con essa e tra di loro intesi
movimenti pendolari, in un territorio densamente abitato, la cui popolazione è dedita quasi
esclusivamente ad attività extra-agricole), si possono avere anche città rete (rete formata da + città
e aree metropolitane, con funzioni complementari, connesse tra loro da flussi intensi di persone,
merci, servizi, informazioni e decisioni; separate da vasti spazi non urbanizzati). Il primo passo
verso la città estesa è l’abbigliamento delle mura a cui segue l’espansione delle industrie nei
sobborghi, come conseguenza della Rivoluzione industriale del 19° secolo. La città industriale si
espande secondo agglomerazione o conurbazione. Il primo grande agglomerato urbano-industriale
di questo tipo fu quello di Manchester dove si concentrò l’industria cotoniera. Dal 1820 in avanti i
telai e i filatoi iniziarono a utilizzare come fonte di energia la macchina a vapore alimentata a
vapore. I centri si svilupparono attorno alle miniere, ciò favorì la crescita demografica del centro
urbano. Fino al 1830, anno di entrata in funzione della ferrovia, il trasporto delle merci avveniva
sui canali. A poco a poco i vari villaggi della zona divennero città, si fusero tra loro formando una
conurbazione che comprendeva negozi, banche e servizi vari. Manchester, che nel 1850 contava
già un milione di abitanti, alla fine del secolo era arrivata a 2 milioni. Oggi l’area metropolitana
ne conta 2 milioni e mezzo, ma con la regione urbana circostante, entro un raggio di 40chilometri,
si arriva a quasi 5 milioni di abitanti. Un caso analogo è quello della Ruhr, è una delle regioni
industriali più antiche d’Europa, comprende decine di città piccole e grandi tra le quali dentro
d’importanza internazionale come Dortmund, Essen e Duisburg. Nel Medioevo erano città
soprattutto commerciali, grazie alla posizione lungo l’asse del Reno. Nel 1837 iniziò a funzionare
la prima miniera di carbone, nel 1847 giunse la prima ferrovia e nel 1849 l’industria siderurgica
iniziò ad utilizzare il carbone come fonte di energia. Nei cento anni successivi, la sua popolazione
crebbe di 20 volte. Le città commerciali espansero le loro attività all’industria, soprattutto
metallurgica, poi meccanica e chimica. L’industrializzazione fu rapida e ebbe effetti decisamente
negativi sull’ambiente. A partire dagli anni 70 del secolo scorso venne avviato un piano di
risanamento con lo slogan: “cielo blu sopra la Ruhr”. Il recupero ambientale e storico-culturale ha
trasformato la Ruhr in una regione urbana non solo più vivibile per i suoi abitanti, ma anche
attrattiva per i turisti. I vecchi stabilimenti sono stati in parte recuperati e destinati ad altri usi. Ad
esempio, a Duisburg, sono stati conservati come attrattiva turistica gli altiforni, mentre il restante
spazio industriale è stato trasformato in parco. Le grandi colline di scorie sono state bonificate e
ricoperte di boschi e prati. Agglomerazioni e conurbazioni si caratterizzano per un tessuto urbano
compatto e continuo, che si viene formando attorno ai centri originari. Questi ultimi diventano
così centri storici, ciò che li circonda prende il nome generico di periferie o di suburbia.
Suburbanizzazione indica appunto il formarsi di questo genere di periferie dense e compatte.
All’inizio le periferie erano spazi suburbani edificati, formati da fabbriche, magazzini e
abitazioni-dormitori, privi o quasi di servizi specializzati e quindi fortemente dipendenti dai centri
storici. Col tempo si sono andati formando dei centri di servizi che le hanno rese in parte
autonome. Questa fase segna il passaggio dalla città monocentrica alla città multicentrica o
policentrica. Nella fase successiva (dal 1970 in poi) si passa dalla suburbaniuzzazione alla
periurbanizzazione. La periurbanizzazione è il modo con cui sono cresciute, negli ultimi
decenni del secolo scorso, le città entrate nell’era della circolazione automobilistica di massa e
poi in quella di Internet. Le città si modellano su una mobilità di largo raggio, che permette di
vivere in città pur abitando in luoghi che mantengono certe parvenze di ruralità. Con l’aumento
della mobilità l’offerta di suolo urbano si è enormemente dilatata, in queste nuove e più vaste
periferie il costo del suolo è più basso. La periurbanizzazione ha dato origine a una nuova forma
di città detta metacittà, formata da una o più città storiche con le loro periferie compatte e da un
intorno periurbanizzato rarefatto che in Italia è stato chiamato città diffusa. Questo nuovo tipo di
periferia differisce da quello suburbano per il fatto che l’edificato è sparso e discontinuo. La città
diffusa periurbana include vasti spazi aperti e ha come attrattori (componenti del paesaggio
attorno a cui si raggruppano i nuovi edifici) le strade, i loro incroci principali, gli svincoli
autostradali, i vecchi borghi rurali, le piccole città di provincia. È fatta per lo più di edifici bassi,
quindi nell’insieme la sua densità è di gran lunga inferiore. La città diffusa: il paesaggio della
città compatta alla città diffusa è un fenomeno relativamente recente, quando le aree urbane hanno
iniziato ad espandersi in modo sparso e discontinuo in territori esterni. Tale espansione ha
prodotto sul territorio una nebulosa formata da tanti agglomerati minori comprendenti villette,
magazzini, capannoni, centri commerciali, impianti sportivi, discoteche e altri edifici tipicamente
urbani, sparsi per decine di chilometri nelle campagne, lungo la rete stradale e attorno ai centri
minori presenti, uniti tra loro da intensi flussi di traffico. Un fattore importante è il diffondersi
della telematica che ha permesso a tante piccole unità produttive di localizzarsi un po’ dovunque e
in particolare dove i costi sono minori. Secondo Francesco Indovina, che ha studiato la città
diffusa del veneto, tre sono le caratteristiche che la contraddistinguono: una massa consistente di
popolazione, di servizi e di attività produttive; la dispersione di tale massa in un ampio territorio
di regola comprendente più province; una rete stradale densa, connessa e molto articolata. I
vantaggi sono: minor costo delle costruzioni e dei terreni edificabili, possibilità per gli abitanti di
vivere in case singole con giardino o orto. Ma col tempo, si sono generate una serie di
diseconomie: il tempo eccessivo necessario agli spostamenti delle persone e delle merci, la
congestione del traffico stradale, i prezzi delle case, convenienti all’inizio, ma poi in continua
crescita, i costi di una rete di infrastrutture, l’impossibilità di servire l’insediamento sparso con il
trasporto pubblico. A questi inconvenienti si aggiunge il danno ambientale e paesaggistico.
La città-rete
La metacittà può essere ancora considerata come un’area urbanizzata continua, anche se i suoi
confini sono sfumati. Questo carattere areale si perde nella forma della città rete, che si va
affermando nei paesi ad economia avanzata soprattutto dove esistono infrastrutture di trasporto e
comunicazione molto veloci, è costituita da sistemi urbani molto lontani tra loro. Nella città-rete
non solo è discontinuo lo spazio edificato, ma lo è lo stesso spazio urbano. Infatti, si tratta di una
rete in cui i nodi sono sistemi urbani separati da regioni rurali. La città della rete, pur avendo
ciascuna una forte autonomia formano per molti aspetti un unico sistema urbano policentrico
interconnesso tenuto insieme da flussi di persone, merci, servizi, informazioni e decisioni molto
più intensi di quelli che legano le stesse città ai territori tra loro interposti, questi forti legami
fanno sì che ogni città-nodo della rete si specializzi in certe attività in modo da essere
complementare con le altre della stessa rete e fare sistema tutte insieme. Le dimensioni di queste
reti possono variare dalle poche centinaia di chilometri, fin alle migliaia come nel caso della
megalopoli. Va notato che le forme urbane a rete rispondono raramente a realtà ben identificabili
come ad esempio il Randstadt Holland. Sovente formano l’armatura urbana delle grandi regioni
economiche come il pentagono europeo. Altre volte sono la rappresentazione geografica di un
programma, come quello promosso dalla UE che mira a creare macroregioni competitive con
quelle americane ed asiatiche a partire dalle “potential european global integration zones”. In
questi casi la città rete corrisponde a un insieme di città che intendono cooperare tra loro in modo
da raggiungere tutte assieme la forza economica di una grande metropoli. In Italia qualcosa del
genere si è cominciato a fare nel vecchio triangolo industriale Milano-Torino-Genova. Una città
che entra a far parte di una rete sovraregionale tende ad allentare i suoi legami sociali, economici
e culturali con il territorio circostante, mentre rafforza questi legami con le altre città della rete.
Le città della rete tendono ad avere la stessa impronta cosmopolita, che si rivela anche
nell’omogeneità delle forme architettoniche e nei modi di vita. In Europa sono state individuate
delle aree che sono competitive a livello mondiale grazie alla forza delle loro reti urbane (pag 71)
Città-rete macroregionali e megalopoli: Nei paesi economicamente più sviluppati si sono
formati aggregati regionali di grandi dimensioni che si strutturano attorno a una città-rete, la quale
svolge le stesse funzioni che in altre regioni sono svolte da un’unica grande metropoli. Tra gli
esempi di città-rete di dimensioni macroregionali c’è la Randstad Holland, che forma l’armatura
urbana dei Paesi Bassi. È una rete costituita dalle 4 principali città olandesi: Amsterdam, Aia,
Rotterda, Utrecht, e numerose altre città medio-piccole, conta 7,5 milioni di abitanti. A differenza
di quanto capita in altri paesi dove tutte o quasi le funzioni più specializzate si concentrano in
un’unica grande area metropolitana qui esse sono divise tra le città della rete. L’Aia è la capitale
politica, Rotterdam ha una funzione portuale, Amsterdam ha la funzione commerciale e
finanziare, Utrcht universitaria. La megalopoli del nord-est americano: La megalopoli
americana, Bowas perché si estende da Boston a Washington, comprende N.Y. Filadelfia,
Baltimora. Al suo interno vivono 50 milioni di abitanti e hanno sede molti dei maggiori centri di
potere politico, economico e culturale del mondo. Dal governo degli Stati Uniti, all’ONU, a
Università come Harvard, ai quartieri regionali di numerose multinazionali e imprese finanziarie
con sedi in tutto il mondo. Jean Gottmann fu il primo a formulare l’idea della città-rete
macroregionale, a cui diede il nome di megalopolis. Secondo Gottmann si può parlare di
megalopoli per città-reti che superano nel loro insieme i 25 milioni di abitanti. In Europa
occidentale il geografo Roger Brunet individuò un’area a forma allungata, con caratteristiche
simili a una megalopoli, che prese il nome di banana blu. Va da Londra a Milano attraversando i
Paesi Bassi, il Belgio, le regioni tedesche, francesi e svizzere lungo l’asse del Reno. Questa è la
spina dorsale dell’Europa occidentale. Allargando un po’ la banana blu, l’UE individuò il
pentagono europeo, in quanto ha come vertici Londra, Parigi, Milano, Monaco di Baviera e
Amburgo. Questa tendenza è stata incoraggiata dall’UE, che ha promosso il modello dello
sviluppo regionale policentrico, basato appunto su cooperazione e sinergie tra le città di un’area
più o meno vasta al fine di uno sviluppo comune più efficace di quello realizzabile separatamente.
In Italia ha fatto i primi passi un progetto di macroregione del nord-ovest, il progetto ha come
antecedente storico il triangolo industriale Milano-Torino-Genova, nel 2004 nacque l’iniziativa
MiTo con l’obiettivo di costruire un’area forte e competitiva sull’asse Torino-Milano attivando
processi innovativi a partire da sinergie e complementarità fra i due centri. Nel 2005 venne
costituita una seconda alleanza territoriale alla scala del nord-ovest; un Patto tra 25 provincie.
Negli anni successivi sono state avviate altre iniziative di integrazione urbana fra le aree
metropolitane del nord-ovest.
Le aree metropolitane
L’area metropolitana è un concetto doppiamente ambiguo. Anzitutto per il fatto di essere pensato
come un’entità areale i cui confini vengono però individuati soprattutto in base alle relazioni che
intercorrono tra i centri che la compongono e quindi come se si trattasse di una città-rete di
prossimità. La seconda fonte di ambiguità deriva dal fatto che con questo nome in certi casi si
denota una realtà di fatto, mentre in altri s’intende il territorio di un ente di governo urbano che
però non sempre coincide a una realtà di fatto perché i suoi confini derivano sovente da un
negoziato politico. Come realtà di fatto, il concetto di area metropolitana fu definito dall’ufficio
federale di statistica degli Stai Uniti, ne diede anche una definizione concettuale e statistica che si
basa su 4 requisiti: deve comprendere + unità amministrative di base, si cui almeno una deve
avere una popolazione superiore a un minimo che varia tra i 50000 e i 100000 residenti; deve
avere una densità di popolazione superiore alla media; deve avere una popolazione attiva
occupata quasi tutta in lavori extra-agricoli; deve presentare strette relazioni tra le unità
amministrative che la compongono, relazioni misurate di solito rilevando i movimenti pendolari
per lavoro e servizi. Come ente istituzionale risponde alla necessità di governare unitariamente i
grandi sistemi territoriali urbani per quanto riguarda i servizi comuni, le grandi linee dell’assetto
urbanistico e lo sviluppo del sistema economico metropolitano, trattando problemi dunque che le
varie municipalità non riuscirebbero a gestire singolarmente in modo efficace. Da un lato ci sono
paesi in cui il governo dell’area metropolitana è affidato a un’autorità amministrativa elettiva
sovra-comunale con confini e competenze definiti da una legge nazionale. All’estremo opposto
non si ritiene necessaria un’autorità metropolitana al di sopra delle municipalità che ne fanno
parte, ma basta che queste ultime ricorrano a un tavolo di concertazione per la soluzione dei
problemi comuni. Tra questi estremi esistono poi soluzioni intermedie, come associazioni
permanenti di comuni per la gestione delle funzioni metropolitane. Le aree metropolitane in Italia:
per identificarle sono stati svolti fin dal 1960 studi che individuano come la maggior area
metropolitana italiana, Milano, viene delimitata variamente, la sua popolazione oscilla, a seconda
degli studi, dai 3 ai 7 milioni di abitanti. Anche il numero delle aree metropolitane è variabile. Di
una definizione legislativa delle aree metropolitane si cominciò a parlare in Italia intorno al 1970.
Dopo un lungo dibattito si arrivò alla legge 142 del 1990, che ne indicava 9 (Torino, Milano,
Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Roma, Bari e Napoli), lasciando alle regioni autonome a
facoltà di deciderne altre (Trieste, Cagliari, Catania, Messina e Palermo). La legge prevedeva che
la delimitazione delle aree fosse decisa dalle Regioni in accordo con le province. La modifica del
titolo 5° della Costituzione, dove l’articolo 114 afferma che la Repubblica è costituita dai
Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato. Da allora si discute
su che cosa debbano essere le città metropolitane (se equivalenti alle aree metropolitane delle
leggi precedenti o corrispondenti all’intera provincia) e come debbano essere poste in essere. Nel
frattempo, alcuni propongono di avviare tavoli di concentrazione intercomunale per affrontare il
problema del governo di queste aree. Ecumenopolis, termine coniato dall’urbanista Costantinos
A. Doxiadis nel 1974 per indicare la città estesa, grazie al fenomeno della periurbanizzazione, a
tutte le aree abitate del pianeta? La campagna, con le sue tradizioni agricole e culturali esiste,
esisterà ancora?

Cap.4 funzioni e crescita delle città


Per funzione di una città si intende un’attività che risponde sia a esigenze interne della città, sia
soprattutto esterne ad essa. Le città sono sistemi aperti che intrattengono con + vesti territori
scambi di materia, energia, popolazione, beni, servizi, denaro, informazioni. Collegate tra loro da
analoghe interazioni formano delle reti che funzionano da tessuto connettivo dei territori. In tal
modo esse (le reti) svolgono due azioni essenziali: la prima si rivolge al territorio circostante e
consiste nel fornire servizi e nel valorizzare delle risorse locali. Per svolgere bene questo ruolo la
rete urbana deve essere diramata e diffusa sul territorio. La seconda è quella di fare da tramite tra
il territorio circostante e i circuiti internazionali della cultura, della conoscenza, delle innovazioni,
della mobilità delle persone, delle merci, del denaro. La prima azione vede la città come
fenomeno geograficamente molto distribuito, la seconda tende invece a formare e a rafforzare
sempre di + i centri di livello metropolitano, concentrando in esso le funzioni + qualificate. Si
hanno dunque due movimenti: centrifugo e centripeto. Ciò che rende geografico il concetto di
funzione urbana è anzitutto il fatto che il raggio d’azione di tali funzioni può avere diversa
ampiezza territoriale. Di conseguenza le diverse funzioni di un a città possono interessare un
numero maggiore o minore di persone, possono interessare tutti o solo certe categorie. La
funzione politico-amministrativa municipale interessa solo gli abitanti della città, ma se è una
capitale interessa tutti i cittadini dello stato. In prima approssimazione l’importanza di una città si
può desumere dalle sue funzioni. Questo criterio è + valido di quello + semplice, ma
eccessivamente grossolano, del numero di abitanti. L’analisi funzionale della città ci rivela anche
l’intensità, la forma e la qualità dei suoi rapporti con il resto del mondo.
Funzioni urbane: un territorio ambiguo che va interpretato: parlando di funzioni urbane si
possono intendere molte cose diverse e bisogna evitare di restringere il significato a una sola di
esse. È vero che certe funzioni, come i trasporti, sono necessarie per la vita della città e dei
territori circostanti, come lo è la circolazione del sangue nell’organismo. È vero anche che molte
attività del genere sono organizzate intenzionalmente e rispondono a criteri di utilità ed efficienza,
ma a ben vedere non sono queste le funzioni più tipicamente urbane. Come vedremo, tra le
funzioni urbane più tipiche troviamo quelle politiche e quelle culturali creative e innovative, i cui
scopi e risultati sovente non sono quelli dichiarati o previsti. Possono essere utili, ma anche
disutili, si pensi ad esempio a grandi movimenti di idee come l’illuminismo o a invenzioni
apparentemente banali come il gioco del calcio, la musica rock, beni come le automobili o il
computer: tutti risultati della funzione innovativa urbana, il cui contributo alla cultura, alla vita
sociale e alla stessa economia è andato ben oltre le intenzioni originarie.
Classificazione geografica delle funzioni urbane
La classificazione delle funzioni combina due criteri: quello del tipo dio attività e quello della
loro portata o raggio0 d’azione territoriale. I tipi di attività sono quelli svolti da certe categorie di
soggetti che hanno sede nella città. Quando diciamo che una città svolge una funzione culturale
usiamo una metafora, in realtà la funzione è svolta da università, musei, biblioteche, teatri,
accademia. Per la portata si utilizzano classi di dimensione territoriale, si distingue tra tre ordini
di scala: microregionale (quartiere, agglomerato urbano): raggio fino a 10 km; mesoregionale:
grande area metropolitana, regione, aggregato di regioni, piccolo stato: raggio da 10 a 300 km;
macroregionale: grande area metropolitana, grande regione continentale o intercontinentale, intero
pianeta: raggio maggiore di 300 km. Combinando tipi di attività e livelli territoriali, si ottengono
le tipologie funzionali (tabella 4.1 pagina 87)
Attività locali e attività esportatrici
Gli scambi che la città ha al suo interno e con l’esterno sono economici, ma non soltanto, vi sono
scambi di idee, diffusione di innovazioni e di valori culturali, flussi di persone, di denaro, di
servizi, di informazioni… Le funzioni urbane si identificano con diversi tipi di attività. Dal punto
di vista degli scambi distinguiamo anzitutto le attività locali da quelle non locali o esportatrici. Le
attività urbane locale hanno la funzione di consentire il mantenimento e la riproduzione della città
stessa. Ma per produrre tali beni e servizi la città deve importare altri beni e servizi dall’esterno, e
per pagare questi ultimi deve esportare prodotti di valore almeno pari a quelli che importa. Tutte
le attività che hanno un aggio d’azione da regionale a internazionale appartengono alle attività
non rivolte al consumo locale ma esportatrici. Anche attività esportatrici non rivolte al mercato
finiscono per contribuire all’attivo del bilancio urbano. Ad esempio, la presenza di un ospedale
comporta il flusso di denaro pubblico che entra nella città e viene speso. Le attività esportatrici
danno origine alle specializzazioni funzionali delle città. In molti casi queste funzioni si
combinano tra loro, dando origine a città multifunzionali.
Funzioni terziarie e quaternarie. Città metropoli
Le funzioni della città non consistono tanto nella produzione di beni materiali, quanto in attività
di per sé immateriali che si situano a monte o a valle della fase propriamente produttiva. A monte
della produzione troviamo le funzioni culturali, direzionali, di progettazione e di servizio per le
imprese e gli enti. A valle le attività connesse con la distribuzione e il consumo dei beni prodotti
(trasporti, commercio, turismo). Le attività culturali e direzionali non rispondono necessariamente
ad una domanda data. In certi casi, come nella ricerca scientifico-tecnologica, propongono
innovazioni e perciò creano una nuova domanda. In molti casi propongono o rafforzano visioni
del mondo e modi di vita. Nel caso delle funzioni direzionali i destinatari non sono serviti, ma
comandati, gestiti, controllati, regolati. Queste funzioni di orientamento e gestione vengono dette
quaternarie per distinguerle da quelle terziarie rivolte a fornire servizi, esse si concentrano nelle
città, attraggono flussi di utenti e organizzano lo spazio in aree di gravitazione. Le attività
quaternarie promuovono processi di trasformazioni e sviluppo indipendentemente dalla
distribuzione geografica di una domanda e anche al di fuori delle aree di gravitazione circostanti.
Il prevale sulla funzione passiva terziaria di quella attiva quaternaria è il criterio fondamentale
che permette di distinguere il concetto funzionale di città da quello di metropoli. In quest’ultima
la funzione attiva è più importante di quella di semplice fornitrice di servizi. Metropoli deriva dal
greco e significa città madre. A seconda della gamma delle funzioni quaternarie esercitate si
distinguono metropoli di diverso livello: regionale (Torino), nazionale (Milano) e internazionale
(Parigi), queste ultime vengono definite città mondiali.
Il moltiplicare urbano
L’analisi funzionale è fondamentale per studiare la dinamica urbana, cioè come le città evolvono
nel tempo. La principale causa dell’addensarsi della popolazione in determinati luoghi e del suo
aumento è il concentrarsi di certe attività o funzioni e il loro crescere nel tempo, questa risposta è
vera solo in parte. Nei paesi economicamente meno sviluppati la popolazione si riverse nelle
grandi città anche se le prospettive di lavoro sono minime. Nelle città dei paesi industrializzati un
rapporto diretto tra occupazione e popolazione è assunto come regola generale. Occorre però
distinguere le due componenti dell’occupazione urbana: attività di base o esportatrici: rivolte a
soddisfare una domanda di beni o servizi esterna alla città; attività locali o al servizio della città:
producono beni e revizi per la domanda interna.
In situazioni mediamente sviluppate m sta tra 2,5 e 1,5; il moltiplicatore urbano può anche
funzionare in negativo, nei casi di crisi, in cui si riduce l’occupazione nelle attività di basde. La
popolazione urbana rimasta disoccupata emigrerà con effetti riduttivi sulle attività locali e sulla
popolazione che da esse dipende. È ciò che è capitato negli anni 70 e 80 in molte città europee e
nord-americane. Il calcolo del moltiplicatore urbano è stato applicato in previsione della crescita
urbana che interessa sia certi operatori privati (chi costruisce alloggi) sia dalla pubblica
amministrazione (scuole, ospedali). In questo calcolo non si prevede la crescita urbana, ma solo le
conseguenze demografiche di essa.
Continuità e discontinuità nella crescita delle città
Il modello del moltiplicatore descrive l’evoluzione della città con traiettorie lineari e reversibili.
Le città, in realtà, assomigliano a organismi biologici che, evolvendo, modificano la loro forma e
la loro struttura interna, seguendo un cammino dettato dalla loro storia precedente e da interazioni
con l’ambiente esterno. Esse procedendo per fasi di sviluppo lineare sono bruscamente interrotte
da discontinuità, cioè fasi critiche in cui la struttura funzionale sociale e fisica subisce mutamenti
qualitativi. Dopo le crisi la città riprende il suo cammino in una nuova direzione, questa traiettoria
sarà poi interrotta da una nuova crisi e così via. Si osservano mutamenti radicali nella struttura
funzionale e in particolare nelle attività di base; pur mantenendosi abbastanza costante il rapporto
fra attività di base e attività locali, le prime mutano qualitativamente. Ciò sembra dovuto in parte
a mutamenti globali, in parte a mutamenti indotti dalla stessa crescita dimensionale urbana. La
grande dimensione urbana genera divisione del lavoro fra le imprese: l’industria tessile produce
imprese che producono macchine tessili, fino formare un nuovo settore meccanico che potrà
rimpiazzare quello tessile. Sorgeranno imprese elettroniche per la produzione di macchine
automatiche, robot, ecc… Cicli lunghi e paradigmi tecnologici: Secondo alcuni autori gli alti e i
bassi della città moderna sarebbero da addebitarsi al fatto che in certi momenti storici, nei paesi
sviluppati, si realizzano condizioni culturali, politico-sociali ed economiche favorevoli
all’emergere di innovazioni dette di base o radicali, capaci di diffondersi rapidamente a scala
planetaria in tutti i settori di attività. Questi mutamenti imprimono alle variabili economiche un
andamento ciclico di lungo periodo (50-60 anni) in cui si succedono regolarmente fasi di
espansione, crisi, recessione e ripresa. Oggi prevale l’idea che i mutamenti di lungo periodo
dell’economia possano non avere una ciclicità regolare, in quanto dipendono anche da fattori
complessi di natura culturale e ambientale. Essi si manifesterebbero comunque in seguito
all’affermarsi di quelli che seguendo Christopher Freeman vengono detti paradigmi tecnologici,
cioè sarebbero generati da certi grappoli di innovazioni radicali capaci di indurre una gran
quantità di innovazioni derivate e di modificare così l’organizzazione del lavoro, della società e il
rapporto fra economia e istituzioni.
La città come sistema dinamico: crescita cumulativa e decrescita
La città viene pensata come un sistema, cioè un insieme di elementi legati fra loro da certe
relazioni in modo tale che ogni variazione negli attributi di un elemento generi variazioni a catena
negli altri elementi e quando la catena si chiude si ha un’ulteriore modifica per retroazione
nell’elemento di partenza. Il meccanismo di crescita circolare cumulativa ne è un esempio: no
stimolo esterno produce un aumento di Occupazione di base, il quale produce un aumento di
popolazione che produce a sua volta un aumento di occupazione di base e un aumento di
occupazione locale, il quale produce un aumento di popolazione e di occupazione di base.
Vediamo come a partire da uno stimolo esterno si generi un processo che si autoalimenti
continuando ad aumentare l’occupazione di base e, di conseguenza, popolazione e occupazione
locale. Il processo è reversibile, basta che l’impulso sia negativo e tolga cioè occupazione di base,
a questo punto si avrebbe una fase di decremento circolare. I modelli concettuali atti a descrivere
le fasi di crisi dovrebbero invece poter spiegare anche le variazioni qualitative nella struttura e
quindi la non reversibilità dei processi. Ci sono dunque due famiglie di modelli: quelli + semplici
che descrivono traiettorie lineari e quantitative, e quelli + complessi che descrivono percorsi non
lineari e mutamenti qualitativi. Il modello di Gunnar Myrdal ha spiegato la formazione degli
squilibri interregionali, per applicarlo si considerino due regioni: l’area urbana e il territorio
circostante non urbano in situazione di sviluppo equilibrato (preindustriale). La città presenta
condizioni mediamente + favorevoli per un successivo sviluppo economico, dovuto alla maggior
presenza di infrastrutture tecniche e sociali, di capitali, di imprenditori, di lavoro qualificato e di
servizi. Se a un certo momento l’intera regione, per qualche mutamento esterno, entra in una fase
di espansione economica, la maggior competitività iniziale della città fa sì che i primi
investimenti si dirigano verso essa. Ciò farà crescere l’occupazione e darà l’avvio a flussi di
immigrazione e crescita demografica e del settore di servizio, come previsto dal meccanismo
moltiplicatore. Ciò che Mydral mise in evidenza è che questo meccanismo una volta avviato si
autoalimenta. Questa crescita esponenziale non può durare all’infinito. Secondo alcuni autori
sarebbe lo stesso sistema urbano a creare al suo interno controtendenze, sotto forma di retroazioni
negative. Esisterebbero delle soglie dimensionali al di là delle quali i vantaggi della
concentrazione diventerebbero svantaggi: costi eccessivi dei fattori locali e dei trasporti interni,
ingovernabilità dei conflitti, inquinamento. Altri autori hanno fatto notare che quelli che nell’area
urbana sono vantaggi per l’insediamento di certe attività, sono svantaggi per altre. Col crescere
dell’agglomerazione crescono i costi e vengono progressivamente espulse dalla città e dal suo
intorno quelle attività i cui costi sono diventati superiori ai vantaggi localizzativi. Ma nello stesso
tempo si insedieranno nuove attività come quelle terziarie e quaternarie, che possono svilupparsi
solo in un ambiente urbano altamente qualificato e che sono quindi disposte a pagare costi sempre
+ elevati pur di stare in città. Essendo queste attività necessarie allo sviluppo e al funzionamento
del sistema economico complessivo e potendosi solo sviluppare nelle grandi città, il prezzo
relativo dei loro prodotti può continuare a crescere, mentre il prezzo relativo dei beni e dei servizi
producibili sul resto del territorio tenderebbe a diminuire. Dunque, anche nelle economie
avanzate, la città eserciterebbe un dominio sul resto del territorio (tirannia della città), questi
privilegi urbani sono tra i principali motori dello sviluppo in un’economia capitalistica avanzata.
Le fasi di crisi: catastrofi, biforcazioni e autopoiesi: la teoria delle catastrofi offre
un’interpretazione del fenomeno della rottura della traiettoria lineare di un sistema, basata sul
fatto che la variazione continua di una variabile, raggiunto un certo valore critico, può
determinare dei mutamenti improvvisi nello stato del sistema. Ad esempio, una funzione urbana
come l’università, che richiede una certa dimensione di fruitori locali, può comparire
improvvisamente dopo che è stata superata una certa soglia di popolazione residente. Ciò
modificherà la struttura funzionale e potrà indirizzare lo sviluppo della città verso nuove direzioni
stimolate ad esempio dal fatto che l’università può fornire ricerca e formazione utili alle imprese
locali. Un’applicazione della teoria dell’auto-organizzazione è rappresentata dal modello Soudy.
Secondo questo modello al crescere della dimensione urbana si superano via via certe soglie che
garantiscono l’efficienza di certe funzioni o tipi di attività, e quindi le condizioni della loro
possibile comparsa. All’interno di ogni intervallo di dimensione efficiente certe attività, e con
esse le città, crescono secondo il meccanismo del moltiplicatore che già conosciamo. Ma che cosa
avviene invece quando si supera la soglia di efficienza e quando le attività motrici di una fase di
sviluppo cumulativo rallentano la loro crescita perché la città ha ormai raggiunto dimensioni tali
da renderle poco efficienti? In queste situazioni il cammino evolutivo della città attraversa una
fase di indeterminazione, si ha quindi una biforcazione: se la città saprà accogliere e sviluppare al
proprio interno qualche nuova attività motrice efficiente in relazione alla sua nuova dimensione,
essa entrerà in una nuova fase di sviluppo cumulativo, altrimenti entrerà in una fase di declino.
Modelli come questo semplificano relazioni molto complesse descritte dal modello
dell’autopoiesi. In quest’ultimo i sistemi sono pensati come funzionalmente aperti, ma
operativamente chiusi. Ciò significa che il modello non considera le trasformazioni interne del
sistema come effetti diretti o indiretti di stimoli esterni. Nei sistemi autopoietici l’input esterno
funziona solo come stimolo che induce perturbazioni nello stato del sistema. A tali perturbazioni
il sistema reagisce modificando la sua struttura interna, ama senza obbedire a leggi generali di
trasformazione che a un certo stimolo fanno corrispondere una data risposta o un certo campo di
risposte. La risposta non dipende dallo stimolo, ma dal campo di comportamenti consentiti
dall’organizzazione interna di ogni sistema.
La città come attore del suo sviluppo
Spostiamo il punto di osservazione all’interno di ogni città, osservando che cosa fanno i soggetti
che operano in essa: famiglie, imprese, associazioni e enti pubblici. I soggetti urbani trasformano
la città da un semplice aggregato di cose e persone + o – legate tra loro in un attore collettivo che
opera intenzionalmente per raggiungere certi obiettivi condivisi dai singoli attori. L’impegno
cooperativo è stimolato sia dal desiderio di migliorare le condizioni di vita della città, sia dal
desiderio di competere con le altre città. Tale competizione riguarda soggetti privati, pubblici e
misti che, vivendo in uno stesso territorio, si conoscono, hanno un’identità territoriale comune.
Ciò permette loro di condividere progetti di sviluppo rispondenti a interessi comuni e a cooperare
tra loro per realizzarli. Essi formano una rete locale di soggetti, la quale si comporta come un
attore collettivo. Hanno il compito di creare nuovo valore, combinando risorse locali con risorse
che circolano nelle reti globali e che essi cercano di attrarre. I progetti di sviluppo riguardano la
messa in valore di risorse e condizioni potenziali proprie della città, l’insieme delle potenzialità si
chiama milieu urbano, si tratta di condizioni naturali originarie che si sono combinate con i
prodotti dell’azione umana: materiali, culturali e cognitivi, sociali, istituzionali. La rete degli
attori locali e l’insieme delle risorse potenziali costituiscono la forma + completa di sistema
territoriale urbano, che può coincidere con entità politico-amministrative, ma + sovente è un
aggregato volontario.
La città creativa e l’industria culturale
La città svolge il ruolo di macchina cognitiva complessa. Oggi sembra sia sufficiente essere in
rete per partecipare al processo di produzione e diffusione del bene conoscenza; tuttavia, è un
fenomeno che non riguarda tutto il bagaglio di conoscenze; infatti, solo alcune di esse potranno
essere trasferite facilmente da una parte all’altra del mondo. Molte qualità strettamente collegate
alla capacità di apprendere e di produrre conoscenza rimangono radicate in specifici luoghi o
regioni, detti milieu innovatori, i quali tendono a coincidere con i milieu urbani. La capacità di
generare innovazioni, idee e competenze, si basa su complesse relazioni fra conoscenze esplicite
(tecnologie) e fattori culturali fortemente radicati sul territorio a disposizione della comunità
locale e difficilmente mobili nello spazio geografico. Esse generano innovazione e sviluppo
economico solo quando la loro forma generale e codificata si combina con idee, le pratiche
proprie di certi contesti culturali e con le conoscenze tacite degli utilizzatori e dei consumatori
che ci vivono. Sotto questo aspetto le città possono essere considerate come delle macchine
complesse che raccolgono, condensano ed elaborano conoscenza, sono il brodo di coltura di tutte
le espressioni dell’intelletto umano. Tutte le espressioni culturali delle città possono avere
relazioni importanti con l’economia. Ciò si verifica specialmente là dove i milieu urbani si
mantengono aperti, liberi, informali, anticonformisti, cioè capaci di accogliere e di fare interagire
tra loro idee, persone e pratiche culturali diverse. Le condizioni favorevoli allo sviluppo della
creatività urbana sono: la quantità e la qualità delle relazioni con il resto del mondo; la crescita di
istituzioni ad hoc, pubbliche, private, miste, di carattere non profit, come fondazioni culturali,
science centers, musei e simili, capaci di rafforzare il tessuto scientifico-culturale di base e di
creare, anche in collaborazione con istituzioni, associazioni e scuole, delle atmosfere urbane
favorevoli alla produzione di conoscenza e innovazione. Altra condizione necessaria è
rappresentata dalla vivacità del milieu centrale e intellettuale locale. Esso è tanto + ricco e
stimolante quanto + è numeroso e aperto alla diversità e non eccessivamente regolato. Come in
tutti i processi che riguardano la vita, anche qui il nuovo nasce di regola in situazioni
caratterizzate da un certo grado di disordine. Ovviamente nelle città occorre trovare un equilibrio
tra questo disordine benevolo e le condizioni di ordine e di sicurezza a cui aspira la massa dei
cittadini. In sintesi, il milieu creativo urbano è dunque un ambiente stimolante, che si trova
soprattutto nelle grandi città e che non è tranquillo. Esso è strutturalmente instabile: sede di forte
competizione, di rischi voluti e di possibili fallimenti. Va infine tenuto presente che uno spazio
urbano è creativo se strutturato anche fisicamente in modo che la mobilità interna ed esterna della
conoscenza. La capacità delle città di produrre cultura intere l’economia perché è una fonte di
rosrse intangibili appropriabili e vendibili, esse sono la materia prima dell’industria culturale:
editoria, librerie, spettacoli, musica, radio, televisioni, produzioni artistiche, musei,
manifestazioni, sport, mostre, congressi, scuole private… boston, città creativa e della
conoscenza: Boston fu fondata nel 1630. Fu in seguito al Boston Tea Party, quando per protestare
contro gli elevati dazi sull’importazione del tè i bostoniani ne gettarono in mare un carico, che si
avviò il processo d’indipendenza. Il suo centro storico è stato costruito sul modello anglosassone,
attorno ad esso si sono sviluppate le periferie, simili a quelle delle altre grandi città americane.
Oltre ad essere un importante centro industriale e commerciale essa ha occupato e tuttora occupa
un ruolo di primo piano nel panorama intellettuale, culturale e scientifico del paese. Nell’area
metropolitana di Boston, a Cambridge, si trova la + antica università degli USA, la Harvard
University. La zona Cambridge è considerata la zona culturale di Boston, dotata di diverse
biblioteche e musei. Oltre ad altre università, la città è la sede del Massachusetts Institute of
Technology (MIT), il più prestigioso centro di ricerca del mondo. Boston è anche importante nel
campo della musica, ha sede una prestigiosa scuola di musica ed è stato uno dei centri musicali +
importanti del rock underground

Cap.5 Ambiente, patrimonio e paesaggio


La natura del sito
Per sito di una città si intende il luogo geografico in cui la città si è sviluppata, di questo
interessano soprattutto le caratteristiche naturali: geomorfologiche, idrologiche, climatiche e
biogeografiche (flora e fauna), Il concetto di sito ha anzitutto un valore storico, in quanto
connesso con l’origine dell’insediamento e con il suo successivo sviluppo, più o meno
condizionato da sito stesso. Il rapporto delle città con il sito è importante per i valori e le
opportunità ambientali ed estetiche offerte dalle componenti naturali alla pianificazione e alla
progettazione urbana. Il riferimento al sito è utile per individuare le componenti naturali della
città, le principali sono: La morfologia intesa come plastica del suolo. I siti completamente
pianeggianti come quello di Milano sono rari. Vi sono città cresciute su sommità, sproni e versanti
di rilievi anche molto energici e contrastati come Bergamo. Vi sono città + costiere come Genova
che partite da siti pianeggianti ristretti si sono poi sviluppate sui circostanti rilievi. I casi +
frequenti sono quelli di rilievi poco energici, si pensi ai 7 colli di Roma o all’Acropoli di Atene.
La posizione elevata di molte città ha dato luogo al loro sdoppiamento tra la vecchia città alta e la
moderna città bassa, sviluppatasi negli spazi pianeggianti adiacenti, attorno alle stazioni
ferroviarie e ai crocevia stradali e autostradali. L’idrografia, ci sono città lagunari come Venezia,
costiere come Stoccolma cresciute in un ambiente anfibio, formato da isolotti, insenature e
promontori che conferiscono un’impronta marcata a tutto il paesaggio urbano. Linee di costa +
regolari hanno costituito l’asse originario dello sviluppo urbano (Nizza, nel fronte a mare ha la
sua principale caratteristica attrattiva). In molti casi si tratta di siti portuali, la recente
deindustrializzazione e il decentramento portuale ha permesso il recupero dei fronti litoranei che,
da spazi marginali sono diventati centri di vita commerciale, di divertimento, di uffici e abitazioni
di lusso (i waterfront di Manhattan). I fiumi, con gli estuari, i delta e le lagune a cui danno origine
caratterizzano varie tipologie urbane. In città come Rome e Firenze il fiume e le sue rive sono
componenti essenziali del paesaggio e sovente funzionano da matrici della topografia urbana.
Ancora + dipendenti dalle acque sono molte città di estuario come Rotterdam e Londra e quelle di
delta come Alessandria d’Egitto. Le condizioni climatiche sono importanti per le città a vocazione
turistica e hanno funto da attrazione per città con clima mediterraneo, negli ultimi anni, come
Barcellona e Montpellier, oppure in città che rispetto al contesto hanno un clima favorevole come
Vancouver in Canada.- è cresciuto anche il peso di certi condizionamenti climatici negativi, un
tempo trascurabili, quali la nebbia per le comunicazioni e le situazioni topo-climatiche di conca
che favoriscono la concentrazione dell’inquinamento atmosferico. I rischi derivanti dalle
calamità naturali, la città è un ambiente ad altissima vulnerabilità, i rischi + gravi derivano dai
terremoti. La prevenzione con il ricorso a costruzioni antisismiche è la regola nei paesi +
sviluppati. Secondo per importanza è il rischio idrogeologico cui di nuovo sono particolarmente
esposti i paesi – sviluppati. In città come Rio de Janeiro si hanno ogni anno centinaia di vittime
per frane e alluvioni torrentizie.
Il clima urbano: oltre a condividere il clima naturale del sito in cui sorgono, le città modificano le
condizioni atmosferiche locali creando un clima specifico detto clima urbano. La temperatura
dell’aria nelle aree urbane delle regioni temperate può essere fino a 5° C + elevata che nel
territorio non urbanizzato circostante (isola di calore urbano). Le precipitazioni sono normalmente
+ intense sulla città, ma si presenta – umida perché la vegetazione è ridotta e le coperture
impermeabili assicurano un rapido deflusso delle acque. Ciò tende a ridurre le nebbie nel centro
città. L’emissione di fumi tende invece ad accrescere la nebbia e a formare lo smog.
Nell’atmosfera c’è un’alta concentrazione di gas nocivi e la concentrazione batterica e da i 10 alle
100 volte superiore a quella delle aree rurali.
La città come ecosistema
Qualsiasi essere vivente ed ecosistema assorbe dall’esterno gas, acqua, e vari materiali, che poi
vengono metabolizzati, fino a diventare rifiuti. Allo stesso modo si può parlare di un metabolismo
urbano e si possono misurare le unità fisiche di materia e di energia in ingresso e in uscita da una
città, intesa come ecosistema urbano. In generale un ecosistema è un insieme di popolazioni
vegetali e animali e di relazioni che questi hanno fra loro e con le componenti fisiche
dell’ambiente in cui vivono, gli ecosistemi raggiungono forme stabili con l’ambiente. La città è
un ecosistema in costante squilibrio energetico con l’ambiente esterno. La città nasce quando è
stato possibile concentrare e immagazzinare in essa la quantità di nutrimento necessario al
mantenimento di una popolazione non direttamente occupata nella ricerca o produzione di cibo.
Da allora fino al 700 il cibo rappresentò il principale flusso energetico in entrata nella città,
limitandone così le dimensioni in relazione alle potenzialità produttive del territorio, ma i
rifornimenti iniziarono ad avvenire su + lunghe distanze con l’avvento delle ferrovie, degli
automezzi e dell’aereo. Oggi ogni ecosistema urbano ha come suo ambiente esterno l’intero
pianeta, non esistono + limiti di tipo energetico alla crescita dimensionale della città. Il continuo
superamento dei vecchi limiti rende la città un sistema energivoro. Il consumo di energia e di
materiali comporta la produzione di rifiuti e di emissioni inquinanti, l’ecosistema urbano deve
organizzarsi per limitarli, smaltirli o riciclarli e ciò richiede nuovi flussi di energia. Non è detto
che i consumi di energia per abitante debbano crescere con la dimensione. La concentrazione
riduce i consumi pro-capite, mentre la dispersione urbana ha l’effetto contrario, ciò si spiega con
l’aumento del consumo energetico legato ai trasporti. Ragionando in valori assoluti una maggior
dimensione urbana comporta comunque una maggior complessità organizzativa. Anche se le città
del futuro potranno risparmiare + energia e produrre meno rifiuti di quelle odierne, esse non
saranno mai in equilibrio con l’ambiente esterno. Se è vero che la città per funzionate deve
appropriarsi di risorse energetiche e materiali di altri territori, è anche vero che essa dà in cambio
quello che altri territori non hanno e non sarebbero capaci di produrre, cioè tutte le funzioni
esaminate nel 4° capitolo, senza le quali l’economia, la società e la cultura odierna
collasserebbero. Lo studio degli ecosistemi urbani serve a progettare l’ambiente urbano tenendo
conto dei cicli naturali, al fine di adattarsi il + possibile alle loro leggi e di farne il supporto dello
sviluppo funzionale. Questo tipo di sviluppo, che riduce al massimo sia i consumi di risorse
primarie e energia, sia i rifiuti, è quello che corrisponde ai requisiti della sostenibilità ambientale
urbana. L’impronta ecologica urbana è un termometro ambientale che ci dice quante risorse
ambientali ogni città richiede per i suoi consumi e per assorbire i rifiuti che produce, per
calcolarlo si sottraggono i prelievi-consumo di risorse ambientali locali dai prelievi-consumo che
la città effettua a spese delle risorse ambientali del resto del mondo. È espressa in unità di area,
corrispondenti a quanto il pianeta può produrre in media con un ettaro della sua superficie. S’è
calcolato che Londra ha un’impronta ecologica di 4,6 ettari per abitante. A parità di dimensioni
demografiche l’impronta ecologica delle città dei paesi – sviluppati è in media 2 o 3 volte
inferiore a quella dei paesi + ricchi. L’impronta pro-capite delle grandi città compatte non è molto
diversa da quella del resto del paese e può essere inferiore a quella delle corone periurbane
circostanti.
Pressioni ambientali e qualità dell’ambiente urbano
Essendo l’ecosistema urbano in larga misura artificiale, le sue caratteristiche ambientali naturali
risultano fortemente modificate, ciò incide negativamente sulla salute e sulla qualità di vita degli
abitanti. Il problema ambientale delle città esiste dall’antichità, nell’antica Roma incombeva una
cappa di caligine mista a vapori densi e malsani sulla città, le tubature erano in piombo e
causavano avvelenamenti. Gravi casi si registrarono nelle grandi città europee nel 19° secolo
(Londra, Parigi). Secondo il rapporto: Enviromental sustenaibility performances of EU cities
dell’Urban Ecosystem Europe (UEE), al speranza di vita media dei bambini nati nel 2002 che
vivono nelle città è inferiore di 2 anni alla media generale dell’UE. Il medesimo rapporto ha
individuato 18 indicatori per misurare la situazione ambientale, si tratta sia di indicatori negativi
che di positivi: Concentrazioni di polveri sottili, concentrazione di diossido di azoto, rumore e
piani per ridurlo, consumi di acqua potabile, abitazioni con acqua potabile, variazione nei
consumi energetici, quantità di rifiuti prodotti, raccolta indifferenziata, acquisto di energia verde
da parte delle amministrazioni, passeggeri del trasporto pubblico, metropolitane e linee tranviarie
nell’area urbana, numero di automobili, piste ciclabili, aree di verde pubblico, riduzione
dell’anidride carbonica, impianti di energia solare negli edifici pubblici, abitanti collegati al
teleriscaldamento, pratiche per proteggere il clima e ridurre i consumi di energia. Il rapporto
mette in evidenza come le situazioni possano essere migliorate. L’inquinamento dell’aria deriva
dalle attività umane che producono emissioni solide o gassose capaci di alterare la composizione
dell’aria. Gli inquinanti solidi sono misurati in % di polveri sottili PM10 (diametro inferiore a 10
micron, quindi inalabili). Il 45% delle città europee ha superato i 40 mg/m3, limite previsto,
l’85% supera il numero di giorni di inquinamento acuto previsti come limite per la salute dei
cittadini. Tra gli inquinanti gassosi che possono assumere caratteri di grave pericolosità viene
monitorato il biossido di azoto, il 60% delle città europee supera il limite attuale previsto dalla
direttiva comunitaria. L’anidride carbonica è ritenuta il principale responsabile dell’effetto serra,
che provoca il riscaldamento terrestre, i cambiamenti climatici, la desertificazione. Molte città si
sono impegnate per diminuirne le emissioni seguendo il protocollo di Kyoto che incentiva le
energie alternative. L’inquinamento dell’acqua deriva sia dall’uso di sostanze chimiche sia dagli
scarichi urbani. Le città dei paesi ad economia avanzata risolvono il problema con depuratori che
rendono l’acqua potabile. Secondo il rapporto Progress on sanitation and drinking water 2010
update dell’Oms-Unicef solo il 16% della popolazione mondiale che non dispone di acqua
potabile vive nelle aree urbane. I consumi di acqua variano secondo le condizioni di distribuzione
e le abitudini locali. L’aumento costante della popolazione urbana nel mondo è una causa per cui
l’acqua sta diventando così preziosa l’International Water Association conduce una campagna per
indurre le amministrazioni delle città, e soprattutto i singoli a ridurre i consumi e gli sprechi. Lo
smaltimento dei rifiuti viene affrontato a monte, puntando a un contenimento della loro quantità e
alla raccolta differenziata. Al di fuori dell’Europa, le città che presentano i tassi d’inquinamento
maggiori si trovano nei paesi emergenti. In Cina si trovano 8 delle 10 città + inquinate del mondo,
Pechino nel 2004 aveva una concentrazione di polveri sottili per metro cubo 10 volte superiore a
quella di NY. Nuova Delhi contende a Pechino il primo posto tra le capitali per l’inquinamento
dell’aria, due abitanti su 5 hanno malattie respiratorie. Città del Messico ha il primato per
l’inquinamento atmosferico. La sua aria è carica di gas ozono che superano gli standard per 300
giorni all’anno, ciòà dipende anche dalla sua collocazione al centro di una depressione circondata
da montagne.
Il consumo di suolo
Il consumo di suolo è dovuto al passaggio dalla città nucleare alla città estesa ed è tipico dei paesi
+ sviluppati. È particolarmente grave in Giappone e in Europa, dove l’espansione urbana sottrae
spazi preziosi all’agricoltura e va a intaccare le dotazioni ambientali naturali. Oggi il consumo di
suolo in Europa corrisponde ad un’espansione urbana che è da tre a 4 volte superiore alla crescita
della popolazione della città. Negli agglomerati urbani esistono vasti spazi dismessi che
potrebbero essere utilizzati; inoltre i nuovi insediamenti periferici potrebbero essere + compatti. I
problemi causati sono i seguenti: riduzioni delle produzioni agrarie, riduzione di spazi a forte
componente naturale, degrado di alcuni valori paesaggistici, aumento della mobilità individuale,
impermeabilizzazione dei suoli con conseguenze sulle piene dei fiumi, aumento dei costi pro-
capite delle infrastrutture, difficoltà di controllare scarichi inquinanti, segregazione residenziale e
sociale, lunghi tragitti casa-lavoro e casa- servizi con conseguente riduzione del tempo libero.
La natura nelle città: piante, animali, parchi, acque
Gli umani devono essere visti solo come una parte della simbiosfera urbana (insieme di specie
differenti che vivono a contatto in un ecosistema). Una prima componente della simbiosfera
urbana è la vegetazione detta verde urbano, il quale rende la città + vivibile. Esso è molto vario:
comprende erbacce infestanti, tappeti erbosi dei giardini, le piante ad alto fusto dei viali, i giardini
e i parchi pubblici, i giardini privati. La quantità di verde pubblico è uno dei parametri per
misurare la qualità della vita di una città. Parchi urbani esistono in quasi tutte le città del mondo:
Central Park NY, Hyde Park Londra, Vondelpark di Amsterdam, Ueno a Tokyo. Altre forme di
verde urbano in voga negli ultimi anni sono gli orti urbani e i tetti verdi. In Cina è stata avviata la
costruzione di una città ecosostenibile, Eco-City Tianjin, entro il 2020 ospiterà 350000 persone e
sarà caratterizzata dalla presenza del verde urbano e dalle energie rinnovabili, solare e eolica.
Fanno parte della simbiosfera della città gli animali domestici e i loro parassiti, ci sono anche
animali opportunisti come i piccoli roditori, in particolare i topi a Milano, Parigi e NY sono più
degli uomini, ci sono inoltre ghiri e scoiattoli. Anche le volpi si sono diffuse in determinate aree
(Bristol). Anche l’avifauna è molto significativa: passeri, tordi, merli, colombi e gabbiani, quelli
del Mar Ligure, nei mesi caldi, si trasferiscono nelle città del Nord Italia con un fiume, come
Torino, a causa della quantità di cibo presente nelle discariche. Una componente di fondamentale
importanza per l’ecosistema cittadino è rappresentata dai corpi idrici superficiali: fiumi, canali,
specchi lacustri. In molte città i tratti urbani di fiumi e canali sono navigabili e navigati. In epoca
proto industriale i fiumi furono utilizzati come fonte di energia e all’interno delle città, lungo il
loro corso o lungo i canali da essi derivati, si svilupparono concerie, filature e anche industrie
metallurgiche. Sovente le industrie, e la città, usavano i fiumi come discariche dei loro rifiuti, con
gravi conseguenze sull’inquinamento delle loro acque. Nella seconda metà del secolo scorso s’è
sviluppato un processo di riqualificazione dei corsi d’acqua, le città si sono dotate di impianti di
depurazione delle acque reflue e si sono riappropriate delle sponde dei loro fiumi, salvaguardando
la flora spontanea delle rive fluviali e la fauna ittica.
The park on the sky: agritettura è un termine che si riferisce al recupero di aree industriali
dismesse restituendole alla natura, piantando alberi, fiori e verde. Un esempio di di agritettura è la
riqualificazione della High Line, la vecchia linea ferroviaria così chiamata perché correva a 10
metri d’altezza, per 23 km lungo l’Hudson, fuori dal traffico della Grande Mela, nel cuore di
Manhattan venne trasformata in una grande green way dai cittadini.
La percezione dello spazio urbano
La città è anche un ambiente di segni. In quanto attribuiamo un senso alle sue forme, ai suoi
colori, ai suoni e alle atmosfere, essa ci comunica qualcosa e ci stimola psicologicamente.
Sebbene la città abbia perso ormai la sua forma chiusa e ben delimitata, noi tendiamo ancora a
pensarla come un oggetto ben distinto dalla campagna per la monumentalità dei suoi edifici, la
loro disposizione, il loro profilo. Singoli edifici o complessi architettonici diventano tratti
distintivi e simboli delle diverse città, ciò che, tuttavia, fa la vera immagine della città e la rende
attrattiva o repulsiva per abitanti e investitori è un insieme complesso di caratteri che vanno dalla
composizione sociale alla vivacità culturale, dalle qualità ambientali al successo economico.
Esiste poi un’immagine interna della città prodotta dai suoi abitanti., A partire dal noto studio di
Kevin Lynch su Boston si sono definiti alcuni elementi ricorrenti e comuni alle carte mentali di
ogni abitante della città. Il primo è costituito dalle vie di comunicazione lungo le quali ci
muoviamo, possono essere strade, ferrovie e canali che fanno da riferimento e sulle quali
posizioniamo gli altri elementi. Poi ci sono i margini, fratture lineari nell’ambito della città: linee
costiere, linee ferroviarie che dividono, o barriere al movimento, anche psicologiche, ad esempio i
limiti di un’area di segregazione etnica. Poi ci sono i nodi, punti di traffico intenso. I distretti sono
settori della città di cui abbiamo una conoscenza non particolareggiata, ma che presentano comuni
caratteri identificatori, ad esempio il centro degli affari. I punti di riferimento come edifici
particolari, monumenti, grandi magazzini, fontane ecc… Questi elementi ci permettono di
leggerla, di capire se ci troviamo in centro o in periferia, se il quartiere è borghese o operaio.
Esistono anche i valori simbolici collettivi come la pianta quadrata della città capitale cinese,
oppure le grandi scenografie urbane rinascimentali e barocche, destinate a simboleggiare il potere.
Il più delle volte però i significati simbolici sono voluti da chi ha costruito la città, ma attribuiti
successivamente dagli abitanti come nel caso degli Champs elysee e Piazza San Venceslao. Al
polo opposto si trovano i non luoghi, senza storia né identità, frequentati da grandi folle, dove i
soggetti che le compongono non hanno relazioni tra loro: centri commerciali, stazioni, aeroporti.
Dubai: è un emirato arabo situato nella parte sud-orientale della penisola arabica e si affaccia sul
golfo del Persico. Nella città di Dubai ci sono 1,6 milioni di abitanti, il 10% solo sono originari
degli emirati. È sempre stata una città di commercio, divenne un protettorato dell’Impero
britannico nel 1892, nel 1971 divenne indipendente e costituì la federazione degli Emirati Arabi
Uniti, con cui condivide una produzione annua di circa 140 milioni di tonnellate di petrolio
greggio. Uno sviluppo edilizio eccezionale portò ad una grande crescita la città, simbolo è il Burj
Khalifa di 828 metri, grattacielo + alto del mondo. CI sono alberghi di lusso, centri commerciali
con cinema, teatri, impianti sciistici. Oltre che sulla terra ferma la città si estende anche sul mare
con The World, un arcipelago artificiale di 300 isole che vengono vendute a privati e una serie di
tre penisole, Palm Islands che, oltre a tutti i servizi come negozi, cinema, teatri, hanno in
programma di ospitare ville, hotel ecc…. La città si estende anche nel deserto dove si viaggia con
cammelli e ci sono campeggi di lusso. L’aeroporto è al 6° posto nel mondo per traffico di
passeggeri e settimo al mondo per traffico merci, mentre è in costruzione un secondo aeroporto.
Ci sono 2 nuovi porti: Rashid e Jebel Ali, il + grande porto artificiale del mondo e il terzo porto
del mondo per esportazioni.
Il paesaggio urbano:
LA Convenzione Europea del Paesaggio recita: “paesaggio designa una determinata parte di
territorio, così come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere risulta dall’azione di fattori
naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni”. Il paesaggio non è solo una cosa, ma è anche il
significato che attribuiamo ad essa o almeno è lo stato mentale che ci deriva dalla sua percezione,
La caratteristica della varietà che è propria delle città si traduce in una diversificazione sociale e
culturale, che può dar luogo a numerose percezioni e valutazioni diverse di uno stesso paesaggio.
L’ambiguità del concetto di paesaggio dà luogo a due approcci definitori: uno scientifico e uno
oggettivo, l’atro estetico e simbolico. Il primo individua e definisce le caratteristiche della città, le
spiega e le classifica in base ai processi naturali e storici umani. Il secondo indaga le
rappresentazioni soggettive e i significati, questi ultimi, secondo il geografo Denis Cosgrove, si
possono distinguere in due grandi gruppi: quelli di chi vive nella città (insider) e quelli
dell’osservatore esterno (outsider); all’interno di queste due macrocategorie ci sono altre
categorie come gli insider più acculturato. Il paesaggio materiale e quello mentale interagiscono
in un processo che Augustin Berque ha così sintetizzato: “Le società trasformano il loro ambiente
in funzione dell’interpretazione che esse stesse ne danno e, reciprocamente, lo interpretano in
funzione di come lo trasformano.” Nominando la società, l’interpretazione, l’ambiente e la sua
trasformazione, Berque richiamava le varie facce con cui il concetto di paesaggio si presenta e li
lega in un rapporto circolare ricorsivo. George Simmel: “la nostra coscienza ha bisogno di una
nuova totalità, unitaria, che superi gli elementi, senza essere legata ai loro significati particolari ed
essere meccanicamente composta da essi, questo soltanto è il paesaggio. ”Questo principio
unificante deriva dall’impegno attivo dei soggetti umani con le componenti materiali del
paesaggio. La varietà delle percezioni e delle rappresentazioni mentali del paesaggio si spiegano
quindi con la varietà dei principi unificanti propri dei vari soggetti. Ci sono vari principi: I
principi estetici sono fonte di paesaggi dettati principalmente da percezioni emotive come quelli
che alimentano l’immaginario artistico e letterario. Una percezione estetica legata al calcolo
commerciale, in cui uno stereotipo diventa elemento unificante del paesaggio in funzione del
marketing turistico e immobiliare. Estetica può essere una visione unificante in termini di qualità
del vissuto quotidiano che possono avere effetti materiali e sociali positivi sul benvivere locale,
oppure, al contrario, se la componente nostalgica è dominante, effetti di feticismo conservativo,
come la progressiva trasformazione di certi centri storici in musei. Un principio unificante
razionale che deriva dall’esigenza di dare un ordine intelligibile alle cose che si vedono, ai fini di
un’interpretazione esplicativa dei luoghi e dei processi in termini naturalistici storici o
funzionalisti. Il verde urbano può essere letto in termini di rete ecologica, il centro storico di una
città interpretato come stratificazioni successive di interventi di epoche diverse. Ci sono anche i
principi unificanti politico-ideologici, che ritroviamo in particolare negli stereotipi simbolici
rivolti alla celebrazione del potere, come nelle scenografie urbane barocche o in quelle più recenti
dei regimi dittatoriali , li possiamo trovare nelle manifestazioni conflittuali di paesaggi come
quelli dell’apartheid o delle recinzioni e dei muri che segnano divisioni etniche.
Il patrimonio culturale e i centri storici
Il paesaggio urbano possiede una concentrazione di beni culturali superiore a quella riscontrabile
negli spazi rurali. Le città permangono per secoli, millenni, negli stessi luoghi; dunque, si
accumulano tutte le manifestazioni tangibili e intangibili delle funzioni che la città ha svolto nelle
varie epoche storiche. L’insieme di queste testimonianze costituisce il patrimonio culturale, il
quale si articola in un certo numero di beni culturali sia materiali che immateriali. I primi si
trovano principalmente nelle città, i secondi si conservano maggiormente nella campagna
(dialetti, rituali festivi), ma ci sono tradizioni come festival ed eventi sportivi che si conservano
anche nella città. I primi sono patrimoni morti, mentre i secondi, essendo in continua mutazione,
sono patrimoni vivi. Francoise Choay ha definito feticismo del patrimonio il fatto di attribuire alla
materialità degli oggetti i significati e i valori dovuti alle loro qualità immateriali. Questo è un
atteggiamento occidentale, è nel rinascimento europeo che si instaura questo rapporto con il
valore che risulta incorporato nell’autenticità dell’oggetto. Diverso è l’atteggiamento della cultura
giapponese, per la quale certi monumenti sono opere d’arte non in se stessi, ma sono per come
sono fatti e quindi possono essere rifatti in continuazione da chi è depositario delle regole e delle
abilità appropriate. L’autenticità non ha rilevanza. La maggior concentrazione di beni culturali si
ha di regola nel centro storico della città, il quale diviene un bene culturale esso stesso, di regola
corrisponde alla città preindustriale.
L’agricoltura urbana
In tutto il mondo la popolazione rurale e gli addetti all’agricoltura sono in diminuzione, un
movimento inverso sta riportando la campagna dentro la città. È il fenomeno dell’agricoltura
urbana che va sui terrazzi e sui balconi, nei vuoti urbani e nelle baraccopoli, gli orti urbani sono
una realtà in continua crescita in tutti i continenti. Attualmente l’agricoltura urbana, alla quale si
dedicano 800 milioni di persone, dà intorno al 15-20% della produzione mondiale di alimenti
orticoli, entro il 2050 sarà la fonte di sostentamento per 35-40 milioni di africani. Nel nord del
mondo va diffondendosi quello che viene chiamato agri civismo. Utilizzo delle attività agricole in
zone urbane per migliorare la vita civica e la qualità ambientale paesaggistica. Sui tetti dei
grattaceli di NY, San Francisco e Boston si moltiplicano i terrace garden. A Londra sono stati
installati orti nei principali parchi cittadini. Nelle città del sud del mondo gli scopi riguardano la
necessità di procurarsi cibo sufficiente, più di 130 milioni di persone in Africa e circa 230 milioni
in America Latina riescono a sfamarsi con l’orticoltura urbana. Ricordiamo la bidonville di kibera
dove vengono coltivati ortaggi sui sacchi dell’immondizia. Nella Repubblica Popolare del Congo
gli orti della capitale Kinshasa producono il 65% dell’approvvigionamento della città. Si possono
ridurre i consumi urbani del suolo? La crescita della città a bassa o bassissima densità a spese
della campagna (periurbanizzazione, città diffusa) comporta dei costi rilevanti in termini di
perdita di risorse, degrado paesaggistico, consumi energetici, inquinamento, maggiori spese delle
amministrazioni locali, meno relazioni sociali ecc… ma questo tipo di insediamento incontra il
favore di tante famiglie e imprese? Il costo dei terreni diminuisce e permette di disporre di una
casa + grande. Le soluzioni sono due: impedire o limitare fortemente con una legge nazionale i
consumi di suolo extraurbano là dove c’è la possibilità di riuso di edifici e di aree inutilizzate
dentro l’agglomerato. Assecondare la scelta di chi vuole vivere in campagna pur lavorando in città
e utilizzandone i servici, indirizzandola però verso certe aree e certe direttrici di espansioni e
salvaguardando tutto il resto del territorio periurbano, la città prenderà una forma ramificata etra i
rami troveranno posto vaste zone destinate unicamente a usi agricoli, parchi naturali e aree
protette. Si può conservare un paesaggio? Il paesaggio è un bene comune, oggetto di percezioni e
valutazioni diverse, per conservarlo occorrerebbe predisporre un controllo sull’intera società che
nessuna autorità è in grado di esercitare. Ci sono paesaggi soggetti a norme che regolano e
limitano la loro trasformazione materiale.

Cap.6 valore del suolo, trasporti e forma della città


il modello del valore e dell’uso del suolo urbano
Ogni soggetto, a seconda degli usi del suolo che si propone ricaverà, dai diversi luoghi della città,
utilità diverse in relazione alla posizione che essi occupano nello spazio urbano. Tali vantaggi di
posizione vengono ricondotti a un fattore generale di accessibilità: l’utilità che si può ricavare
dall’uso di un luogo dipende dalla facilità con cui da detto luogo si può accedere a tutti gli altri e
viceversa. Considerando lo spazio urbano come omogeneo e isotropo (uguale facilità di
spostamento in ogni direzione) l’accessibilità e quindi l’utilità della posizione è funzione inversa
della distanza dal centro. Tutti i soggetti vorrebbero stare al centro, di fronte a questa forte
domanda però l’offerta è limitata, per cui il suo prezzo sarà particolarmente elevato, mentre
allontanandosi i prezzi diminuiscono. Si formerà così una geografia locale dei valori del suolo e
degli immobili modellata sull’accessibilità. Le imprese sono disposte a pagare un prezzo tanto +
alto quanto + alti sono i vantaggi che potranno ricevere per mq. Ciò dipende dal tipo di attività
svolta. Perciò, chi riesce a sfruttare meglio le posizioni più centrali e più accessibili, potrà
permettersi di pagare prezzi più elevati e se ne aggiudicherà il possesso, le posizioni sono
commisurate ai vantaggi che essi ne possono ricavare e in particolare: agli effetti che
l’accessibilità ha sui risultati economici dell’attività; alla quantità di spazio necessaria. Ora
mettiamo le famiglie al posto delle imprese. In questo caso il mercato premierà chi è più ricco. Il
soggetto persegue però 2 obiettivi: la vicinanza e la dimensione dell’abitazione. Dato un reddito il
cittadino deve scegliere tra una + grande casa in periferia e una più piccola in centro. Nel modello
per cerchi concentrici il reddito spendibile per abitare e la scelta dello spazio abitativo e distanze
da percorrere come pendolare determinano anche all’incirca la distribuzione delle classi sociali.
Gli americani preferiscono le zone periurbane e le case grandi, gli europei le case centrali e più
piccole
Variante del modello
Il modello esposto è ben lontano dalla reale geografia dell’uso del suolo. Anzitutto bisogna
abbandonare l’dea dell’isotropia e considerare realisticamente che l’accessibilità aumenti lungo i
maggiori assi radiali che si irradiano dal centro, i cerchi si trasformano in qualcosa di simile a
stelle, lungo tali assi si formano settori radiali con determinate specializzazioni funzionali
(commercio, uffici, abitazioni di un certo standard). È questo il modello per settori che
l’economista Hoyt riconobbe negli anni 30 e 40 come il + appropriato a descrivere il valore e
l’uso del suolo. Con lo sviluppo della grande viabilità urbana tangenziale, oltre che radiale, i
valori fondiari tendono a distribuirsi macchie presentando picchi di accessibilità separati da
depressioni. Possiamo abbandonare l’idea che lo spazio urbano sia omogeneo per considerare che
in esso la natura e la storia abbiano introdotto localmente certe differenze significative con effetti
sensibili sul prezzo del suolo. Aree morfologicamente favorite, come colline, terrazzi fluviali
ecc… o aree con caratteri storico-architettonici di pregio particolare, o al contrario aree di
degrado, di segregazione etnica o + soggette a ristagno dello smog. La città può avere inglobato
centri minori detti nuclei periferici, capaci di produrre effetti analoghi ai nuclei urbani, possono
formarsi spontaneamente attorno a piazze, incroci, complessi di uffici e servizi decentrati. Harris
e Hullman hanno sviluppato un modello d’uso del suolo urbano che combina centri concentrici,
settori radiali e nuclei periferici.
La distribuzione delle funzioni centrali nella città policentrica
Le funzioni direzionali si trovano di regola massimamente concentrate nel centro della città, dove
assieme alle attività finanziarie, ai servizi rari, a quelli commerciali di rango più elevato e a certe
funzioni culturali e ricreative che formano il CBD, centro affari, quartiere commerciale centrale.
È formato da un ricco nucleo di attività quaternarie: sedi di grandi imprese e servizi professionali
connessi, sedi di giornali e reti televisive, banche, compagnie di assicurazione, grandi società
immobiliari, istituzioni finanziarie come le borse, uffici del governo nazionale e municipale,
servizi pubblici di + alto livello, istituzioni culturale come musei, biblioteche, teatri, accademie,
sedi centrali di università. Ci sono uffici appartenenti a vari settori del commercio internazionale,
negozi specializzati, grandi alberghi, locali di ritrovo e di divertimento. Nel CBD troviamo le
attività che traggono i massimi vantaggi dalla centralità, nonché dalla vicinanza reciproca che
favorisce i contatti. Il CBD si articola al suo interno in sottozone con caratteristiche funzionali
specifiche: zona delle banche, centro civico, zona dei teatri e dei divertimenti, dei musei e delle
biblioteche, del commercio. Hanno localizzazioni periferiche certe funzioni consumatrici di
spazio come i campus universitari, le attività di ricerca con grandi strumenti, i complessi
ospedalieri, le sedi di mostre e fiere, gli stadi, gli aeroporti e i servizi connessi. In tutti questi casi
si formano nuclei periferici. Negli ultimi decenni s’è assistito a un tendenziale decentramento di
attività un tempo proprie del CBD verso le localizzazioni periferiche e suburbane. Le città
diventano così policentriche. In genere il decentramento riguarda le attività d’ufficio che vanno ad
occupare i grattaceli delle hedge cities, oppure singoli centri direzionali, certi grandi complessi
commerciali, di servizi e di divertimenti detti shopping malls che ospitano alberghi, commerci e
servizi rari e che tendono a ricreare il clima dei quartieri commerciali centrali imponendosi come
nuovi luoghi di aggregazione sociale e meta turistica. Si viaggia per decentramento gerarchico le
attività che si insediano nei nuovi sub-centri periferici sono di rango inferiore rispetto a quelle che
continuano a svilupparsi in entro. Tra i nodi della città policentrica acquistano maggior
importanza gli aeroporti, attorno a cui tendono a concentrarsi funzioni commerciali, turistico
alberghiere, di servizio e logistiche di rango elevato. Un caso particolare è quello dei parchi di
divertimento a tema. Il decentramento avviene attraverso operazioni programmate perché attività
tendenzialmente centrali possano collocarsi in posizioni decentrate occorre ricreare localmente
condizioni simili a quelle del CBD. Il decentramento del CBD è dunque un processo di
ricentralizzazione; invece, le attività terziarie seguono il diffondersi periferico e suburbano delle
residenze, distribuendosi per piccoli nuclei con un progressivo abbassamento del livello
qualitativo delle funzioni, come previsto dal modello del gradiente negativo dei cerchi
concentrici. Los Angeles: è la + popolosa città della Californi, è detta la città dell’automobile per
il suo traffico, l’agglomerato urbano possiede una rete viaria unica al mondo, formata da centinaia
di chilometri di autostrade urbane, alcune con 12 o + corsie, spesso sopraelevate. Fu fondata nel
700, crebbe lentamente fino alla fine dell’800, quando venne scoperto del petrolio nelle vicinanze,
per il decollo della città fu decisiva la costruzione del porto di San Pedro, a una trentina di km
dalla vecchia downtown, a cui fece seguito la costruzione, con capitali locali, della prima linea
ferroviaria di collegamento con il centro della costa, ne seguiranno altre che collegavano tra loro i
vari insediamenti che costituiscono l’ossatura della città. Il vero boom demografico si ebbe nella
seconda metà del secolo scorso quando milioni di americani, che dalle fredde città del Nord si
trasferirono nella fascia del Sub Belt(area che va da San Diego, a Phoenix a Miami, dove, oltre al
clima migliore, cresceva l’economia e l’occupazione. Dal 1920 si rese necessario lo sviluppo
della rete viaria autostradale per venire incontro alla domanda del traffico automobilistico privato.
Non fu quindi l’automobile a generare il fenomeno Los Angeles, ma il policentrismo urbano (nato
dalla vecchia rete ferroviaria, poi smantellata) che rese necessaria la nuova rete di trasporto su
gomma. Il caso più tipico e più precoce di città policentrica è proprio Los Angeles che è formata
da un aggregato di città nella città, tra le quali le + note sono, oltre la downtown, ci sono
Hollywood, Beverly Hills, Malibù, Venice, Long Beach.
L’industria nella città: vuoti urbani e nuovi sviluppi
La stretta associazione tra città e grande industria manifatturiera ha registrato negli ultimi decenni
un’inversione di tendenza, che ha fatto parlare di città postindustriale. A lasciare la città non sono
tutte le industrie, ma quelle meno innovative caratterizzate da grandi dimensioni. I nuovi settori
industriali innovativi non richiedono grandi spazi e grandi masse di addetti. Queste trasformazioni
dell’industria hanno come conseguenza da un lato la riduzione di occupati e quindi il ristagno o il
regresso demografico delle città, dall’altro l’abbandono degli spazi occupati dalle fabbriche
dentro la città, che dà origine al fenomeno dei vuoti urbani (possono essere dovuti anche alla
dismissione di altre attività come scali ferroviari e caserme). Gli stabilimenti industriali in quanto
forti consumatori di spazio senza particolari esigenze di accessibilità si erano collocati in
posizioni periferiche e di margine (lungo ferrovie, fiumi, canali) ma i processi circolari cumulativi
dell’agglomerato industriale avevano fatto crescere la città che dilatandosi aveva inglobato le
fabbriche, le quali formavano così delle discontinuità che dividevano la città in settori radiali. I
processi deglomerativi crearono all’interno della città grandi vuoti, che oggi si presentano come
aree strategiche per il ridisegno della città e soprattutto per l’eliminazione dei margini e delle
barriere che la segmentavano. In molti casi questi spazi da marginali possono diventare centrali,
possono essere destinati al verde pubblico, a servizi collettivi, a edilizia residenziale pubblica e
privata. Non tutte le industrie lasciano la città rimangono quelle dell’editoria, foto-cinematografia
e dell’alta moda e design. Le nuove industrie appartengono invece a settori tecnologicamente +
avanzati come l’elettronica, l’informatica, le telecomunicazioni, l’aeronautica spaziale, la chimica
fine, le biotecnologie e le fonti energetiche alternative. Si tratta il più delle volte di piccole e
medie imprese che tendono a insediarsi nel verde dei quartieri suburbani, seguendo le stesse
tendenze al decentramento degli uffici e delle attività di servizio, rispetto a cui non differiscono
molto né nella composizione qualitativa del lavoro né nell’aspetto esterno degli edifici. Acquista
sempre + importanza un mercato del lavoro parallelo a quello ufficiale, formato da immigrati da
paesi sottosviluppati e da lavoratori precari o a tempo parziale non qualificati, Ciò consente lo
sviluppo di industrie di tipo tradizionale, il lavoro si svolge a domicilio o in piccole unità che
utilizzano spazi interstiziali per lo più nell’area centrale o semicentrale della città.
La città, i trasporti e le telecomunicazioni
Poiché la città è un aggregato di attività e di soggetti, i trasporti urbani e le loro infrastrutture
formano il tessuto connettivo che ne assicura il funzionamento, ne condiziona l’efficienza e in
definitiva anche la forma.
Gli usi del suolo dipendono dall’accessibilità, ma le varie attività, una volta insediatesi, generano
flussi di traffico che richiedono poi la costruzione di nuove infrastrutture. La rete infrastrutturale
dei trasporti dipende dalle risorse finanziarie e dalle politiche degli enti pubblici, ma dovendo
rispondere a esigenze analoghe, possono essere ricondotte a due modelli fondamentali; quello
della rete radiocentrica e quello della rete a griglia multi-nodale. Il primo eredita lo schema dalla
città preindustriale europea come centro di coordinamento territoriale verso cui convergono a
raggiera le vie di comunicazione. Dilatandosi, la città segue questa maglia radiocentrica che
diventa così la rete principale della sua mobilità interna e viene rafforzata dalle prime linee di
trasporto pubbliche; in un secondo tempo la raggiera di strade e ferrovie viene collegata
tangenzialmente da anelli periferici detti autostrade tangenziali. Il traffico tende a essere sempre +
congestionato e inquinato avvicinandosi al centro. Perciò quest’ultimo viene chiuso al traffico
automobilistico, ma così si riduce la sua accessibilità. Il secondo tipo di rete, quello a griglia
multipolare, è presente soprattutto nelle città nordamericane, è legato al precoce sviluppo del
traffico automobilistico
Automobili, mezzi pubblici e biciclette.
Secondo uno studio dell’Associazione Consumatori Codacons, tra ingorghi e rallentamenti la
velocità media di percorrenza nelle grandi città è inferiore ai 30 km orari. I tempi di percorrenza
si riducono con un uso + razionale delle tecnologie di trasporto che li integri tra di loro. In Italia il
Codice della Strada del 1992 ha introdotto un nuovo strumento: il Piano Urbano del Traffico, che
ha lo scopo di ridefinire l’uso delle superfici pubbliche delle città attuando alcuni interventi quali
il ridimensionamento dell’uso dell’auto, con strade o corsie riservate al mezzo pubblico,
l’incentivazione della pedonalità con vie vietate al traffico motorizzato o l’ottimizzazione del
trasporto collettivo. A Roma ad esempio la chiusura del centro storico ai non autorizzati e
l’introduzione dei varchi elettronici per il controllo degli accessi ha determinato, nell’area
centrale, ma una generale riduzione del traffico veicolare nelle ore di vigenza, una migliore
fluidificazione della circolazione, una maggiore efficienza dei servizi di trasporto pubblico grazie
all’aumento delle velocità commerciali, una sensibile riduzione delle emissioni inquinanti.
La morfologia urbana
La forma fisica della città è rivelata in prima approssimazione dalla sua planimetriche mostra la
distribuzione degli spazi costruiti e di quelli liberi, questi ultimi distinti in pubblici e privati; il
tutto in relazione ai lineamenti del sito e a loro eventuali trasformazioni storiche. La morfologia
della città è data dalla sua rete viaria e dalle dimensioni degli isolati, questi ultimi in relazione
agli usi del suolo e alle tipologie architettoniche. Un esame morfologico completo deve
considerare la città come uno spazi non tridimensionale. Variano le volumetrie degli edifici
passando dai grattacieli dei centri e dei sub-centri alle villette a schiera dei quartieri suburbani.
Acquistano importanza gli spazi pubblici sotterranei come le ferrovie metropolitane, i parcheggi e
le gallerie commerciali. Gli edifici del centro sono sedi di centri commerciali attraversati da
percorsi e flussi pedonali in tutto simili a quelli riscontrabili lungo i marciapiedi delle vie. Ci sono
2 tipi morfologici; piante a scacchiera e radiocentriche a cui si aggiunge la città lineare tipica di
città minori sviluppatesi lungo strade o città parallele a coste. Le classificazioni geometriche non
servono nulla se non associate alla storia della città, la pianta a scacchiera può rivelare un’origine
romana. È difficile che una città presenti una morfologia omogenea, in genere morfologie diverse
sono giustapposte. Sovente la forma della pianta muta con i confini amministrativi delle diverse
municipalità, altre volte i tessuti urbani storicamente omogenei sono stati modificati da interventi
successivi o nella viabilità, o per l’insediamento di complessi monumentali, o ancora dalla
penetrazione degli attestamenti ferroviari nel cuore della città. È possibile individuare delle
regolarità morfologiche anche nella dispersione urbana che caratterizza la metacittà, la quale
appare caotica a prima vista, grandi assi viari con le loro intersezioni, i vecchi nuclei storici degli
abitati, i nuovi nuclei del decentramento metropolitano, le aree di qualità ambientale generano un
mosaico di gradienti locali, governati da logiche di sviluppo diverse sia esogene sia endogene;
studi recenti hanno messo in luce come siano riconducibili grammatiche compositive specifiche
di ogni area sorprende strutture elementari e relazioni spaziali ricorrenti come; strade mercato,
lottizzazioni residenziali, aree industriali, luoghi centrali di diversa formazione , spazi aperti di
varia configurazione, il tutto tenuto insieme da diverse articolazioni connettive degli spazi privati
e di quelli collettivi. Nei suoli destinati all’uso agricolo il loro valore dipende dalla rendita
agraria, mentre per quelli nelle regioni dipende dalla rendita urbana. Il suolo è una merce
anomala: non si può produrre a piacere, né spostare da un luogo all’altro dov’è sovrabbondante a
un altro dov’è scarsa. I prezzi del suolo sono dunque da considerarsi anomali, le merci normali
hanno un prezzo che dipende dai materiali e dal lavoro che incorporano, il valore del suolo deriva
dalla società urbana nel suo complesso. Il proprietario del terreno si appropria di vantaggi che
sono stati prodotti da altri nel caso di suolo urbano, per rimediare a ciò l’amministrazione
pubblica può subordinare le autorizzazioni edilizie alla realizzazione da parte del proprietario di
infrastrutture, servizi pubblici e case popolari, oppure può creare una riserva fondiaria pubblica,
comprando in anticipo, a prezzi agricoli, i terreni che nel piano regolatore verranno destinati allo
sviluppo urbano.

Cap.7 popolazioni urbane


Le popolazioni urbane e i loro ritmi
Per molti secoli la popolazione della città coincise con quanti risiedevano e lavoravano nella città
stessa, normalmente la popolazione notturna coincideva con quella diurna. Nelle città moderne, e
soprattutto nelle megacittà, la popolazione notturna e quella diurna non coincidono più.
L’industria, le attività terziarie attirano ogni giorno lavoratori, studenti, utenti di servizi e
consumatori, oltre ai visitatori per affari. Guido Martinotti divide la popolazione in 4 categorie
principali: residenti, lavoratori pendolari, consumatori e utenti di servizi, uomini d’affari.
L’insieme dei city user varia numericamente a seconda delle città, i quartieri centrali di Tokyo
contano 8 milioni di residenti, ne ricevono giornalmente altri 2 milioni. L’afflusso dei city user
condiziona lo sviluppo urbanistico per quanto riguarda le reti di strade e autostrade per l’accesso,
aeroporti, linee e stazioni ferroviarie, alberghi, centri di congressi e esposizioni. Le 4 popolazioni
della città, muovendosi continuamente danno origine ai ritmi della città. Questi ritmi sono fatti di
flussi di persone e di veicoli con caratteristiche e intensità variabile dà luogo a luogo, da ora in
ora. L’individuo metropolitano impara a muoversi ogni giorno a contatto con centinaia di migliaia
di altri individui, restando estraneo alle loro storie individuali, fa parte di una folla solitaria e
tende a sviluppare nei loro confronti un’indifferenza, che può anche significare esclusione.
La popolazione attiva
Ogni popolazione residente presenta una popolazione attiva, formata da quelli che sono
disponibile per mettersi al servizio del mondo del lavoro, e una non attiva che comprende tutti gli
altri. I tassi di attività delle città sono proporzionali al grado di sviluppo economico, nei paesi +
sviluppati il tasso di attività dei residenti cresce passando dalla città centrale alle corone
suburbane per poi scendere di nuovo nelle zone rurali. La popolazione occupata si ottiene
sottraendo i disoccupati alla popolazione attiva, e questa esercita un lavoro ufficialmente
riconosciuto. I tassi di occupazione delle città sono anch’essi proporzionali al grado di sviluppo
economico. Il tipo di occupazione è strettamente legato al livello di istruzione. La
periferizzazione si riscontra anche nel cuore di molte città dei paesi + economicamente sviluppati.
La concentrazione delle attività terziarie superiori e quaternarie non ha avuto come conseguenza
soltanto la crescita relativa delle classi sociali più ricche, la loro domanda di servizi ha avuto un
effetto moltiplicatore sull’occupazione meno qualificata. La possibilità di trovare impieghi ha
richiamato nelle grandi città europee nordamericane un flusso sempre maggiore di popolazione
povera provenienti dall’Africa, dall’America Latina e dall’Asia meridionale e dai paesi ex-
socialisti dell’Est Europa. Ciò ha creato un mercato della mano d’opera a basso costo.
Trasformazioni del paesaggio umano.
Londra e N.Y.: il paesaggio umano delle grandi città, inteso come l’insieme degli aspetti materiali
e immateriali legati alle caratteristiche dei loro abitanti, è soggetto a rapidi cambiamenti. Sia a
Londra che a New York negli anni 70 si ebbe un declino dovuto alla crisi dell’industria e
dell’edilizia. LA popolazione si ridusse, ma la tendenza s’invertì nel decennio successivo grazie
allo sviluppo del settore finanziario e dei servizi connessi. Nelle aree centrali ricominciarono a
riempirsi i vuoti, creatisi in seguito all’abbandono da una parte di abitanti di alcuni negozi di
lusso che vedevano ridursi la clientela, vennero occupati da sedi di banche e attività connesse e da
quanti traggono vantaggio dalla prossimità fisica, dai rapporti face to face che facilitano gli affari.
In seguito, si aggiunsero numerosi altri servizi indispensabili, anche se poco qualificati. Il
fenomeno determinò effetti a catena dando un impulso all’edilizia, orientata a edifici di lusso,
rinacque anche il commercio di lusso e le due città tornarono ad attrarre anche i turisti.
Le classi sociali nello spazio urbano
Il mercato del suolo urbano tende anche a distribuire la popolazione residente in base al reddito,
le differenze sociali però non si distribuiscono nello spazio urbano seguendo semplicemente i
gradienti negativi centro-periferia, ma subiscono variazioni derivanti da altri fattori. I sociologi
Burgess, Park, McKenzie negli anni 20 studiando Chicago si chiesero se le variazioni fossero
riconducibili a una regola generale e pensarono di interpretare la geografia sociale delle città
americane per analogia con i modelli dell’ecologia. Secondo questa scuola la città si
comporterebbe come un sistema ecologico naturale in equilibrio formato da zone concentriche in
ciascuna delle quali le varie attività, fasce sociali e subculture, troverebbero la propria
collocazione più adatta. Benché questa analogia non avesse alcun fondamento teorico finì per
imporsi e permise di articolare il semplice schema centro-periferia. All’idea delle zone circolari e
settoriali subentrò poi quella delle aree sociali, aree socialmente omogenee, capaci di rivelare la
struttura delle interazioni e dei processi sociali tipici delle città. Ci si allontanò così gradualmente
dal determinismo spaziale implicito nell’analogia ecologica. Lo spazio urbano da causa di
presunte simbiosi sociali divenne un semplice modo di rappresentare e decifrare certe strutture
latenti capaci di suggerire nuove ipotesi. Il termine ecologia sociale è rimasto, ma ha assunto un
significato puramente metaforico. L’esplorazione spaziale delle strutture sociali ricevette un
impulso dall’analisi fattoriale, essa permette di misurare le correlazioni esistenti fra tutti gli
attributi significativi delle diverse località in cui si può suddividere una città. Il fatto che certi
gruppi di attributi si trovino regolarmente associati nelle diverse località rivela che sono
interdipendenti e costituiscono combinazioni significative o fattori capaci di rivelare le strutture
latenti, che legano tra loro le variabili e che non sono percepibili intuitivamente. Nei paesi
industrializzati, in un primo tempo la distribuzione delle classi sociali seguì grosso modo il
gradiente negativo dal centro alla periferia e quando, nel secolo scorso, ai meccanismi di mercato
si affacciarono le politiche sociali della cassa, i quartieri residenziali di edilizia popolare si
collocarono anch’essi nelle periferie. In un secondo tempo 1920, si ebbe un progressivo
trasferimento dei + ricchi verso nuovi quartieri residenziali suburbani (soprattutto in
nordamerica9. In alcuni casi l’esclusività del modello residenziale suburbano dà origine alla
formazione di gated community: gruppi di residenze recitante e sorvegliate da guardie private.
Con la suburbanizzazione delle classi ricche, i vecchi quartieri residenziali vennero colonizzati
dalle famiglie + povere. Negli ultimi 40 anni le aree di degrado dei quartieri centrali si sono
ridotte o perché demolite e ricostruite o perché sono state risanate e recuperate con conseguente
aumento vertiginoso dei prezzi e quindi una ricolonizzazione dei centri storici da parte delle classi
ricche, questo fenomeno è detto gentrification ed è preceduto da situazioni in cui le classi + ricche
vengono a contatto con quelle + povere creando parecchia varietà e quindi terreno fertile per
artisti e innovazioni. La suburbanizzazione dei paesi meno sviluppati assume sovente le forme
auto segregative delle gated community dove i pochi privilegiati tendono a creare per sé un
ambiente fisico e sociale nettamente separato da quello delle grandi masse di poveri da si sentono
circondati e minacciati. Queste ultime si espandono in posizioni periferiche, occupando settori
svantaggiati o per morfologia o per idrografia e formando baraccopoli, ammassi di abitazioni
precarie, autocostruite, in origine prive di strade, fognature, acqua potabile, elettricità e servici.
Mosaici etnici
La composizione etnica molteplice è un carattere che distingue le grandi città dagli altri
insediamenti, questo perché le città sono state le principali destinatarie dei grandi flussi migratori
internazionali. Nel 19002 metà della popolazione di NY era nata all’estero ed era divisa in grandi
comunità etniche. Negli USA si ebbe un progressivo inurbamento della popolazione d’origine
africana discendente dagli schiavi che lavoravano nelle piantagioni. La minoranza afroamericana
degli USA è oggi una delle + numerose. Tra il 19° e 20° secolo in molte città coloniali si ebbero
cospicui insediamenti di popolazione europea proveniente da India, Algeria, Africa centrale e
meridionale. Le comunità europee vivevano nettamente separate da quelle indigene e di altri
immigrati di colore. Queste forme di segregazione etnica si sono attenuate con la
decolonizzazione, mentre nella Repubblica Sudafricana vennero invece rafforzate dalla
legislazione dell’apartheid che prescriveva una rigorosa divisione spaziale dei gruppi etnici nelle
città. Nel 1986 una serie di riforme destinate a eliminare le basi istituzionali della segregazione
etnica eliminò l’apartheid, oggi la popolazione + povera, anche se non è costretta, continua a
vivere nei ghetti, nei quartieri degradati, nelle baraccopoli. Nella prima metà del 20° secolo masse
di popolazione africana, asiatica e caraibica si stabilirono nei paesi ex coloniali: Gran Bretagna,
Francia, Paesi Bassi. Lo sviluppo dell’industria nei centri dell’Europa nord-occidentale richiamò
flussi di immigrati dalle campagne dell’Europa meridionale, dalla Turchia e dall’Europa orientale.
Negli ultimi decenni le migrazioni internazionali hanno avuto un incremento notevole, i principali
flussi vanno dalle zone + povere a quelle + ricche. L’ONU dice che il 20% della popolazione
mondiale è costituito da persone che hanno lasciato il loro paese d’origine. Anche se gli immigrati
tendono sovente alla segregazione la loro presenza nelle città è un fattore importante di diffusione
e mescolanza di culture diverse. L’arrivo degli immigrati ha determinato in alcuni paesi forti
preoccupazioni economiche, di sicurezza e insofferenza culturale. Le baraccopoli: le grandi città
spesso non offrono sufficiente lavoro per integrare i nuovi arrivati, nelle periferie meno appetibili
delle grandi città si vengono perciò a formare estese baraccopoli, agglomerati di migliaia di
abitazioni precarie e abusive, che in origine sono totalmente prive di infrastrutture e di servizi. In
un secondo tempo esse vengono riconosciute e dotate di infrastrutture e di servizi. In alcuni paesi
sono le amministrazioni pubbliche che, non potendo far fronte al problema delle abitazioni,
mettono a disposizione dei nuovi arrivati dei terreni e incoraggiano l’autocostruzione di abitazioni
anche in deroga agli standard di legge. Oggi gli abitanti delle baraccopoli sono circa un miliardo,
se i flussi di migrazione conservano i ritmi attuali, nel 2030 saranno duplicati e nel 2050 saranno
la metà della popolazione mondiale. In Europa questo fenomeno esiste ad opera di popolazioni
nomadi di ROM e Sinti.
Segregazione e ghetti
La segregazione una distribuzione spaziale non uniforme di una comunità rispetto al resto della
popolazione. Le etnie + separate sono quelle afroamericane negli USA, seguono quelle asiatiche e
latinoamericane ancora negli USA. Nelle città europee africani e asiatici sono meno segregati. La
causa esterna principale è il pregiudizio razziale che spinge ad una svalorizzazione degli immobili
e dei quartieri in cui compaiono i diversi, per evitare ciò i residenti e i proprietari dei casi si
oppongono in vari modi all’invasione. Gli esclusi tendono a concentrarsi dove la vendita e
l’affitto di case degradate diventa un affare per chi vende, gli stranieri solitamente possono
accedere solo agli impieghi meno remunerativi. Nelle città colpite dalla crisi l’opposizione è +
forte in quanto gli abitanti vedono nei nuovi arrivati concorrenti. Le cause interne, secondo
Friedrik W. Boal e Paul Knox sono rappresentate dalla coesione interna e spaziale dei gruppi
etnici che risponde a 4 principali funzioni: aiuto reciproco, conservazione, difesa e attacco. La
prima funzione si basa su una rete informale di solidarietà e assistenza. LA funzione di
conservazione deriva dalla coscienza di gruppo e dal desiderio di preservare un’identità culturale
distinta in un ambiente che tende a negarne i valori e le pratiche. Le funzioni di difesa e attacco si
rivelano nelle situazioni di + forte conflitto: ghetti ebrei nell’Europa medievale, palestinesi in
Israele, comunità afroamericane a L.A. e Detroit. Nelle sue forme estreme la segregazione etnica
prende la forma del ghetto. Nelle formazioni dei ghetti neri degli USA il primo meccanismo è
quello del mercato immobiliare: quando in un quartiere i neri superano una certa percentuale,
inizia una corsa dei proprietari a disfarsi delle case, subentra dunque il meccanismo fiscale:
poiché le comunità nere sono nel complesso povere, il gettito fiscale dei municipi e delle contee si
riduce, servizi e infrastrutture si deteriorano perché gli enti locali non hanno le risorse per
mantenerli. Ciò alimenta la disoccupazione e indirettamente la violenza, criminalità ed
emarginazione che tendono a fare del ghetto un mondo sempre + chiuso e diverso. La
segregazione risente delle politiche nazionali ospitanti: tra la assimilazione forzata (forzata
omologazione culturale degli immigrati) e il multiculturalismo (favorisce la segregazione) si
tende a preferire le politiche che incoraggiano senza costrizioni l’integrazione dei nuovi arrivati
nella società locale, anche attraverso gli apporti positivi della loro cultura originaria. La famiglia
e la condizione femminile
asilo nido e scuole materne per i figli, anche sul sistema di trasporto cittadino. Le donne eseguono
spostamenti per lavoro e di origine domestica. Le donne si spostano in città + degli uomini (ma +
uomini hanno una macchina di proprietà). Questi sono dati importanti per la pianificazione dei
sistemi di trasporto. Si ha una triste situazione infantile e le cause principali sono la povertà e
l’abbandono. Il livello di povertà dei bambini è assai maggiore nelle città del sud del mondo, ma è
anche presente in molte grandi città del nord. L’abbandono è un fenomeno prevalentemente
urbano, i bambini abbandonati si trasformano in bambini di strada, ad oggi sono 150 milioni.
Nelle nostre città nella progettazione dei servizi urbani non è contemplata la possibilità di fruire
liberamente della città senza l’appoggio dei genitori. LA città infine deve fornire la possibilità a
tutti di muoversi liberamente indipendentemente dalle capacità motorie, è dunque necessario
rimuovere gli ostacoli fisici che sono fonte di disagio per la mobilità, disporre segnalazioni che
permettano l’orientamento e la riconoscibilità dei luoghi e delle fonti di pericolo. Inoltre occorre
eliminare le barriere architettoniche che impediscono a persone con ridotte capacità motorie di
svolgere una vita normale. La città digitali: Internet rafforza le community intese come l’insieme
di attori che mossi da interessi comuni interagiscono in rete scambiandosi informazioni e servizi e
effettuando transazioni. Una delle community che + si avvantaggia della rete è quella della città.
Dagli anni 80 sono iniziate a sorgere le reti civiche che offrivano on line ogni tipo di
informazione utile ai cittadini e molti servizi pubblici. Le reti civiche sono diventate città digitali,
esse oltre alle info e i servizi dell’amministrazione pubblica rivolti ai cittadini, offrono siti
dedicati ad associazioni di vario tipo, siti a disposizione dei singoli cittadini, che possono
comunicare con l’amministrazione stessa ed esprimere la propria opinione. A differenza di altre
comunità virtuali esse corrispondono ad un territorio ben definito, la città digitale, come spazio
virtuale, si integra con la città materiale dando vita alla città reale. In Italia la prima città con rete
civica fu Bologna. Le città digitali rappresentano uno strumento partecipativo e progettuale
comune, che tende a rinsaldare il senso di appartenenza ad un luogo ed a una comunità e nello
stesso tempo ad aprire tale società al globale, inserendola in rete.
Malessere e violenza
Ci sono gravi situazioni di malessere nella città occidentale moderna, ciò è stato denunciato fin
dal secolo scorso da riformatori sociali come Owen e romanzieri come Dickens. All’origine
dell’urbanistica moderna troviamo la necessità di risolvere i problemi posti dalle sacche di
povertà, degrado fisico e morale, malattie, che si andavano formando a contatto con i quartieri
della ricchezza. L’esigenza morale, politica e igienica specie dopo che studi avevano dimostrato
come mortalità ed epidemie erano una diretta conseguenza delle pessime condizioni igieniche
locali. Ancora oggi in molte delle grandi città del Terzo Mondo non esistono condotte d’acqua
potabile e in molte parti delle periferie non arrivano acquedotti, né ci sono fognature. In certe
sacche di degrado sociale o in città come Napoli il risanamento dei vecchi quartieri malsani non è
mai stato completato. Esistono situazioni urbane + avanzate, concentrazioni di mortalità superiori
alla norma relativamente a malattie ambientali, dovute all’inquinamento dell’aria. È stata inoltre
dimostrata in tutte le città occidentali una correlazione fra ambiente urbano e alcune malattie
mentali. L’abuso delle droghe è un fenomeno che presenta particolari concentrazioni nella città. I
diversi tipi di malessere sin qui ricordati sono sovente associati a condizioni di povertà urbana; si
considera povero chi è al di sotto di un certo reddito, ma esiste anche una povertà istruzione, di
cultura, di qualificazione professionale e simili. Nella città si forma al vertice uno strato di
persone molto ricche di denaro, di privilegi e di opportunità, e si ha uno strato inferiore di molto
poveri sia di reddito sia di possibilità, ciò è detto polarizzazione sociale. Nelle grandi città dei
paesi del Terzo Mondo le masse di poveri e degli esclusi assumono dimensioni impressionanti.
Un aspetto ben noto del malessere urbano è la criminalità, la quale cresce in proporzione diretta
con la dimensione urbana, anche se il fenomeno è diverso da paese a paese. sono aree del crimine
quelle dove le potenziali vittime sono meno protette o per l’affollamento o per la specializzazione
in attività al limite della legge. Essa si presenta concentrata nelle aree in cui vivono i delinquenti
abituali o occasionali e si riconoscono da povertà, disoccupazione, scarsa coesione familiare,
servizi inefficienti, forte mobilità residenziale, subculture che tollerano calori e comportamenti
devianti. Mumbai: città economicamente molto importante nella quale le differenze e i contrasti
di ordine sociale raggiungono dimensioni che la rendono unica al mondo. Il cuore della città è
caratterizzato da una selva di alti ed eleganti grattacieli, mentre lungo la costa, sulle numerose
splendide spiagge, si affacciano ville di stile hollywoodiano. Ma la maggior parte della
popolazione vive in estesi e affollati quartieri periferici o negli slums formati da baracche e
tuguri. I suoi abitanti, che provengono da tutta l’india, parlano dozzine di lingue diverse e
seguono altrettanti riti religiosi. Il reddito medio pro capite di Mumbai è sei volte superiore a
quello dell’India, ma le differenze tra quanti vivono negli slums e chi vive nei migliori quartieri
sono abissali. Tra i due estremi si situa la borghesia con redito medio o basso, che vive in quartieri
periferici. L’80% della popolazione si serve di mezzi pubblici e ci mette ore ad andare al lavoro,
mentre sono state costruite moderne, ponti e cavalcavia per l’uso di mezzi privati. Mumbai è un
polo culturale ma l’analfabetismo si aggira intorno al 50%. La popolazione povera, che riesce a
sopravvivere anche grazie alla capacità di auto-organizzarsi a livello di comunità, di quartiere e di
vicinato, trovando soluzioni di convivenza tra persone di casta, lingua e religione diversa. Basta
comunque poco per scatenare violenze.
Spazio fisico e spazio sociale: il degrado ambientale dei ghetti o delle baraccopoli condiziona la
vita e il destino sociale dei loro abitanti. D’altra parte, i ghetti e le baraccopoli non sono che il
risultato della divisione sociale tra classi ricche e povere che caratterizza la città dei paesi meno
sviluppati e che ha le sue cause nel funzionamento generale dell’economia capitalista di mercato.
Tra rapporti sociali e ambiente fisico urbano le relazioni sono di interdipendenza. Questo tema
assume particolare rilevanza nel dibattito sull’efficacia sociale degli interventi urbanistici, si
discute sul fatto che un’urbanistica residenziale pubblica se troppo concentrata e relegata in
posizioni periferiche può dar luogo a situazioni di segregazione sociale con effetti contrari
rispetto a quelli desiderati. Gli spazi pubblici: per spazi pubblici urbani s’intendono quei luoghi
della città a cui tutti possono liberamente accedere, senza alcuna restrizione, salvo eventuali orari
di chiusura o autorizzazioni richieste per cortei e manifestazioni. Sono spazi pubblici le vie, le
piazze, le gallerie, i parchi, i giardini, le stazioni, i porti, certi edifici pubblici aperti al pubblico.
Essi svolgono la funzione dello scambio di informazioni e opinioni, in parte questo stesso ruolo
viene svolto da altri luoghi come gli esercizi pubblici, ristoranti, negozi, teatri, centri
commerciali, mostre, mercati, luoghi di culto, di divertimento e simili, i proprietari dei luoghi
semi-pubblici possono però imporre limitazioni significative alla libertà d’espressione, che
riguardano per esempio la pubblicità commerciale e la propaganda politica. È sufficiente
predisporre spazi pubblici adatti all’incontro delle persone affinché tale incontro avvenga
effettivamente? Il problema si pone nelle periferie e soprattutto nel peri-urbano della città diffusa,
dove fa difetto un contesto attrattivo simbolico, commerciale e culturale che anima
tradizionalmente i centri. Gli shopping mall pur essendo orientati alla promozione commerciale
migliorano la qualità urbana in termini estetici. I business improvement district e i private owned
public space, come il Rockfeller Center di NY sono un esempio di come i privati possano
contribuire positivamente alla formazione degli spazi urbani.

Cap.8 sistemi urbani e reti di città


Città e territorio
Le città sono sistemi locali aperti che intrattengono interscambi di materia, energia e popolazione.
La relazione tra diverse città forma reti di città o reti urbane, esse costituiscono una sorta di
tessuto connettivo a magli + o – larghe. Come infrastruttura connettiva territoriale la rete urbana
svolge due azioni essenziali. La prima è la valorizzazione delle risorse locali, a tal fine la rete
urbana deve essere diramata sul territorio; i suoi nodi devono modellarsi quantitativamente e
qualitativamente sulle differenze fisiche, storiche e culturali del territorio stesso. La seconda è
quella di unificare i circuiti regionali e nazionali e di collegarli con quelli internazionali.
La città come sistema è basata su relazioni di interdipendenza interne e sugli scambi con
l’esterno, l’espansione fisica ci costringe a dilatare il nostro concetto di città rinascimentale per
comprenderla, se però passiamo all’esame delle reti di relazioni che legano tra loro diversi
soggetti urbani e le loro sedi, ci accorgiamo subito che esso si estende ben al di là dell’area
urbana e periurbana. Tali relazioni si presentano fitte in aree di gravitazione e di influenza. Se
sovrapponiamo le aree di questo tipo individuiamo attorno ad una città un sistema territoriale di
raggio variabile dai pochi chilometri per le piccole città e parecchie decine per quelle + grandi. Si
tratta di una formazione complessa, reticolare, policentrica e discontinua dal punto di vista
dell’occupazione del suolo, con parti dense alternate a spazi di rarefazione, otteniamo così
qualcosa di molto lontano dall’immagine di città preindustriale. Questa unità territoriale è stata
denominata città-regione, poi John Friedman ha coniato il termine campo urbano, altri studiosi
hanno parlato di regione funzionale urbana. L’espressione che oggi si usa è sistema territoriale
urbano, teorizzata da Brian Berry a partire dalla concezione classica di sistema come insieme di
elementi interagenti tradotto in insieme di luoghi urbani interdipendenti, definizione efficace nel
descrivere processi di trasformazione urbana e nella delimitazione territoriale delle nuove città
urbane. Se lo pensiamo come sistema territoriale aperto a scambi ciò presuppone che tale sistema
abbia un confine, esso viene definito con i metodi di regionalizzazione funzionale: si considerano
appartenenti a uno stesso sistema urbano quei luoghi la cui interazione reciproca è superiore a
quella che ciascuno di essi ha con altri luoghi. Misurando l’interazione in flussi si può dire che il
sistema territoriale urbano è delimitato in modo da massimizzare l’auto contenimento areale di
flussi. Hanno la forma molto semplice di gravitazioni di più su un’unica j, sono strutture
policentriche che prendono la forma di reti interconnesse. Il criterio di massimizzare
l’autocontenimento dei flussi può essere riferito a interazioni operanti a scale diverse, a seconda
delle funzioni considerate e dalla loro portata. Difficilmente si ha autocontenimento significativo
a livello diverso da quello meso-regionale, il livello microregionale è insufficiente per contenere
la maggior parte dei flussi tipici di una società industriale avanzata. Il livello macroregionale
possiede alcuni flussi strategici che presentano circuiti che si chiudono solo a livello planetario.
Essi connettono tra loro un numero limitato di grandi metropoli, per cui + che delimitare un
sistema areale, definiscono un sistema a rete di città globali. Alcuni casi di sistemi territoriali
urbani contigui sono collegati tra loro da relazioni funzionali preferenziali e ciò dà luogo a un
ispessimento particolare dei flussi distribuiti su un’area di dimensione macroregionale.
Gerarchie di città. La regola rango-dimensione
Si parla di una gerarchia di città in senso figurato, meglio parlare di forme di dipendenza
funzionale relativa che danno luogo a dissimmetrie nelle interazioni e nei flussi che ne derivano.
Ad Ancona ci sono molte agenzie di banche con sede centrale a Roma e assai poche viceversa; ad
Ancona si vendono molte copie di giornali romani, mentre la stampa periodica di Ancona è poco
venduta a Roma. Un primo modo di esaminare la gerarchia urbana di una regione o di un paese
consiste nel considerare la dimensione demografica delle città supponendo che le dissimetrie
funzionali tra città siano proporzionali alle differenze di popolazione. Si è notato che mettendo le
città in ordine decrescente delle loro popolazioni si ottengono successioni di valori che si
avvicinano alla relazione Pn= P1/n Pn è la popolazione della città che occupa il posto n della
suddetta categoria, in altre parole la seconda città della graduatoria dovrebbe avere la metà degli
abitanti della prima, la terza un terzo e via dicendo. La regola rango-dimensione, anche se è in
discussione, risulta un agevole strumento per confrontare la struttura d’insieme della gerarchia
urbana di regioni e paesi diversi. Viene rappresentata in un diagramma cartesiano con la
popolazione delle città in ordinata e il rango in ascissa. Su questo stesso diagramma vengono
riportati i valori effettivi di rango e dimensione dell’insieme regionale di città che si vuole
esaminare, ciò per verificare l’entità e la forma degli scostamenti dalla retta. Quando sono piccoli
si è in presenza di una rete urbana gerarchicamente equilibrata, mentre se si hanno forti
scostamenti occorre innanzitutto verificare l’omogeneità dell’insieme territoriale considerato: il
Veneto ha un andamento convesso nella prima parte che sta a indicare sistemi urbani al cui vertice
non si trova una sola città, ma un certo numero di città. Numerosi sono i casi in cui la popolazione
della prima città è + del doppio di quella della seconda, ciò indica reti urbane fortemente
polarizzate e dominate da un unico grande centro primaziale, tipico dei paesi in cui nel corso della
storia le principali funzioni si sono concentrate nella capitale. Nei paesi meno economicamente
sviluppati lo squilibrio è ancora + forte. La regola può anche servire a misurare le tendenze
evolutive di una rete urbana: la rete urbana italiana, nel secolo successivo all’Unità, presenta una
tendenza ad avvicinarsi alla regola, dovuta principalmente al ridursi del ruolo regionale delle
vecchie capitali. La regola può anche applicarsi a grandezze diverse dalla popolazione come il
reddito e gli occupati, ingegnere, quando si usano indicatori di funzioni tipicamente urbane
(quaternarie e terziarie superiori) dopo una convessità iniziale, le curve si fanno sempre +
inclinate e ciò rivela il predominio delle metropoli sulle altre città.
Gerarchie di funzioni e di località centrali
Walter Christaller costruì un modello detto delle località centrali che traduceva in equilibri
spaziali l’equilibrio generale tra domanda e offerta. Le località centrali sono centri che
provvedono beni e servizi, detti centrali, agli abitanti di un territorio, questi per averli devono
spostarsi, tale territorio nel modello di Christaller è detto regione complementare. Le località
centrali variano per importanza, di ordine + elevato quelle che forniscono una + vasta gamma di
beni e servizi. La soglia di un bene o servizio è la quantità minima delle vendite al di sotto della
quale un esercizio commerciale non è + in grado di fornire tale bene o servizio. La portata di un
bene o servizio centrale è il raggio dell’area di mercato di quel bene o servizio centrale, essa ha
un limite inferiore che è la distanza entro la quale si trova il numero minimo di acquirenti la cui
domanda soddisfa la soglia del bene o servizio; e un limite superiore: distanza al di là della quale
la località centrale non riesce + a fornire il bene o il servizio. Si dicono funzioni centrali di ordine
elevato quei beni che presentano una soglia elevata e che pertanto richiedono un’area di mercato
estesa, se il territorio è uniforme e isotropo l’area teorica di un bene o servizio centrale avrà una
forma circolare. Essa sarà anche la base di un cono di domanda (pag226). L’offerta di un bene o
servizio si potrà quindi localizzare nella località centrale se il volume della domanda se il volume
della domanda è almeno uguale alla soglia di quel bene o servizio. La portata dev’essere tale da
soddisfare la soglia. Una località centrale con funzioni centrali di ordine superiore può contenere
anche quelle di ordine inferiore. Le reti gerarchiche delle località centrali. Scopriamo0 che
configurazioni assume lil modello di Christaller. Se si suppone che: i beni centrali siano acquistati
nel + vicino luogo centrale; tutte le parti del territorio siano servite da un luogo centrale; la
somma dei movimenti dei consumatori sia resa minima; la concorrenza sia perfetta in modo che
nessuno dei fornitori possa avere sovra-profitti, si dimostra che la domanda e l’offerta dei beni e
servizi darà origine a una configurazione spaziale formata da tante aree di gravitazione esagonali,
al centro delle quali sono situate le località centrali. Ciò vale per le località centrali dello stesso
ordine. Nello spazio compreso tra 2 centri dello stesso ordine, visto che la forma esagonale delle
aree di mercato è stata raggiunta, non esiste + sufficiente capacità d’acquisto per sostenere un
altro centro di quell’ordine, ma può esserci domanda per beni e servizi richiedenti una soglia
minore, tale da soddisfare questa soglia e da permettere quindi la localizzazione di centri d’ordine
inferiore, con aree complementari + limitate. Esempio: il bene A servizio ospedalieri specializzati,
B servizi ospedalieri generici, C assistenza medica ordinaria. Si ottiene pertanto una serie di reti
esagonali sovrapposte a maglie di diversa ampiezza, la cui configurazione complessiva e quindi il
numero di località centrali di ogni livello (il cui rapporto è detto coefficiente di diramazione k)
può variare a seconda del tipo di relazione che si instaura tra luoghi centrali di ordine differente.
Nel caso già citato ogni località di ordine superiore servirà, complessivamente, due sole località di
ordine inferiore. Questo perché ogni località giace all’estremo di 3 regioni complementari e
pertanto ogni luogo centrale di ordine superiore se la spartisce con i due concorrenti; dunque, il
coefficiente di diramazione sarà 3. Se si volesse ottimizzare il traffico, facendo in modo che sulla
rete viaria che collega due centri di ordine superiore si localizzi il maggior numero possibile di
centri di ordine inferiori, allora la struttura spaziale + conveniente sarebbe quella riportata in
figura 8.10, qui ogni località di ordine superiore serve 3 centri di ordine inferiore. Un terzo caso è
rappresentato dall’ipotesi di ottimizzazione dell’attività amministrativa. Perché non si verifichi un
conflitto di competenza tra i vari uffici amministrativi che svolgono la stessa funzione, è
opportuno che ogni luogo servito ricada sotto la sfera amministrativa di una sola località di ordine
superiore e il numero ottimo di centri serviti è allora 6. In ogni regione se non intervengono fatti
contrari alle premesse dovremmo trovare 1 località centrale di ordine massimo, comprendente
tutta la gamma di funzioni centrali presenti nella regione, poi 2 località centrali di ordine
immediatamente inferiore e qui si conclude il primo livello(seguendo il principio di mercato k=3)
poi un altro livello + basso di località centrali in numero di 4 e così via secondo una successione
esponenziale di tipo: U= K w-1 dove U è il numero di località centrali di un certo livello w e k è il
coefficiente di ramificazione del sistema.
Le reti non gerarchiche
Il modello delle località centrali presenta oggi grossi limiti. La sua formazione geometrica è
molto poco realistica, perché i territori non sono mai uniformi, non è corretto considerare la città
come semplice fornitrice di beni e servizi in relazione a una domanda data, le funzioni essenziali
della città sono quelle quaternarie, il cui esercizio segue modalità complesse e diverse da quelle
previste dal semplice rapporto soglia-portata. Il modello di Chirstaller fa dipendere tutto dalla
domanda, ma non ci dice come la domanda si forma, né come si distribuisce ed evolve sul
territorio. Non è in grado di prevedere crescite differenziali squilibrati delle località centrali
perché da dipende l’offerta di beni centrali dalla domanda dell’area complementare, questo poteva
essere vero nell’epoca preindustriale. Ma oggi sappiamo che le funzioni esportatrici hanno un
raggio d’azione che va ben al di là della regione contigua: la domanda che esse soddisfano ha
sovente una distribuzione planetaria che non ha nulla a che fare con la portata del modello. La
composizione funzionale può comprendere servizi appartenenti a tutti o quasi i livelli gerarchici
anche in caso di città medie e piccole, secondo il modello soglia-portata non potrebbero farlo. Si
osserva una tendenza alla specializzazione di ogni centro e quindi alla complementarità tra +
centri entro aree anche assai vaste, corrispondenti agli ambiti di mobilità della domanda.
L’obiettivo di rendere minimi gli spostamenti diventa secondario rispetto a quello di accedere a
centri di offerta specializzati e con ampia scelta di un dato bene e servizio. Grandi città
ridistribuiscono tra i centri minori molte delle loro funzioni centrali addizionali e mantengono
quelle di eccellenza. Le linee di specializzazione-complementarità si infittiscono nelle situazioni
di urbanizzazione e industrializzazione + avanzate, mentre nelle aree rurali continuano a prevalere
le gravitazioni gerarchiche di Christaller. Per le reti basate sulla complementarità delle funzioni è
stato proposto il nome di reticoli urbani, essi rappresentano la radiografia funzionale degli odierni
sistemi territoriali urbani e il tessuto connettivo delle metà città. Si crea così una grande area di
mercato che non gravita + su un unico centro, am sul reticolo nel suo complesso.
Reti globali e sistemi urbani locali
Rete urbana: le connessioni a rete che attribuiamo alla città sono in realtà connessioni e
interazioni tra soggetti che nelle città hanno sede. Le reti urbane + importanti sono quelle
microregionali rappresentate dai reticoli che formano l’intelaiatura dei sistemi territoriali urbani e
quelle globali. I nodi del primo livello sono le città nucleari principali, del secondo sono i
principali sistemi territoriali urbani. Quindi si tratta di una rete di reti. I rapporti gerarchici tra
singole città sono sempre meno importanti, si rafforzano le dipendenze gerarchiche delle città di
livello inferiore nei confronti delle reti di livello superiore: Pavia non dipende da Milano, le sue
imprese accedono a servizi specializzati con sede in altre metropoli. Le connessioni stabili tra
città a livello di reti globali sono quelle poste in essere all’interno di grandi organizzazioni multi
localizzate
quella industriale che necessita di una grande quantità di lavoratori, i quali consumano e
sostengono una vasta gamma di commerci. Qui è stato costruito il primo treno a levitazione
magnetica.
Torino, dalla centralità territoriale alla centralità di rete: Torino è un esempio tipico delle
trasformazioni subite dalle città di rango intermedio in seguito alla concentrazione delle attività
quaternarie nelle città globali. Negli ultimi 20 anni buona parte delle sue attività sono scomparse
o si sono fortemente ridimensionate, spostando sovente le loro direzioni a Milano, cioè nella +
vicina città globale. Alcune sono rimaste e si sono sviluppate nuove industrie innovative nel
settore delle telecomunicazioni e della meccatronica. La città ha poi scoperto una vocazione
turistica. La città ha reagito anche come attore collettivo riflettendo sulle cause del suo stato di
declino: posizione periferiche relativamente a Milano, inoltre l’area di Torino conta, per
popolazione, occupati, imprese ecc… meno della metà di Milano, inoltre Torino dipende da un
cammino di sviluppo prevalentemente industriale e la conseguente atmosfera del suo milieu
urbano, che ha canalizzato lungo certe linee evolutive le attitudini e la cultura di buona parte dei
suoi abitanti. Questo non significa che lo sviluppo di città come Torino sia bloccato da limiti
strutturali e neppure che la città debba rassegnarsi al declino. Oggi sappiamo che la visione
territoriale della centralità urbana è superata, ma fatichiamo a trovare gli occhiali giusti per vedere
le nuove realtà. Oggi le centralità derivano da specializzazioni settoriali e da complementarità
funzionali nella divisione del lavoro all’interno di reti di diverso livello. Ad esempio, con
l’operazione Chrysler, la Fiat ha acquistato nel suo settore una centralità di rete a livello globale.
Le centralità di rete sono in continuo movimento, dipende molto da come gli attori pubblici e
privati sanno interfacciarsi a processi tendenzialmente globali. Due tipi di modi di essere città di
rete: si può fare come Napoli cioè fare networking passivo e ritrovarsi in cui nelle reti senza agire
per far rendere al meglio le proprie potenzialità. Oppure si può fare networking attivo e reagire
agli impulsi esterni valorizzando la propria città. Il modello di Christaller non è del tutto
scomparso, per esempio le città principali dell’Europa si trovano, in gran numero, all’interno del
pentagono europeo, dal quale esercitano una forte influenza territoriale generando centri di
seconda fascia ecc…

Cap.9 Politiche Urbane


L’autorità pubblica stabilisce nell’interesse generale. Le cose cambiano negli anni ’70 in
concomitanza con i processi di disurbanizzazione che sono anche la conseguenza del
ridimensionamento della base industriale a vantaggio di altre attività e altre classi sociali. Emergono
così nuovi soggetti. Se prima il comune denominatore dell’urbanistica era la crescita ordinata ed
equilibrata ora l’obiettivo principale diventa lo sviluppo economico in una visione delle città in lotta
tra loro per la sopravvivenza del + adatto, tale lotta è condotta da associazioni private, che le
autorità pubbliche devono favorire e sostenere. Le scelte urbanistiche cessano di essere di
competenza esclusiva dell’autorità pubblica. La localizzazione delle imprese, i grandi progetti
immobiliari e le infrastrutture, in quanto mezzi per rendere competitiva la città, vanno decise
assieme ai soggetti privati che sono gli attori della competizione. Si tratta di urbanistica
performativa, perché rivolta a sostenere l’azione competitiva. Nella politica c’è la tendenza generare
ad affiancare il governo con la governance. Con il governo un’autorità pubblica sovraordinata
impone agli enti pubblici gerarchicamente subordinati e ai soggetti privati le sue legittime decisioni.
La governance è un processo decisionale + complesso, una forma di partecipazione a cui si ricorre
essenzialmente per mobilitare le conoscenze, la volontà e la responsabilità di attori pubblici e
privati che devono cooperare attivamente per il raggiungimento di certi obiettivi comuni.
Sviluppare e riqualificare la città
Le politiche di sviluppo e riqualificazione urbana si traducono in programmi, progetti e azioni
rivolte ad assicurare un buon posizionamento del singolo sistema urbano nella competizione
globale. Possono essere promosse o incentivate da indirizzi generali espressi a livello nazionale o
sovranazionale. Tuttavia, si tratta di politiche di iniziativa locale che attivano forme di governance
multilivello previste e sovente incentivate dai livelli superiori. Si fondano su una auto-
rappresentazione dell’attore collettivo locale e ciò si traduce nella costruzione di un’immagine della
città positiva e ottimistica. Questa immagine ha due facce: una esterna, retorica, orientata a
persuadere gli altri e una interna, più realistica, rivolta a stimolare la riflessione, la collaborazione e
il consenso degli attori locali. L’immagine della città è uno strumento fondamentale del marketing
urbano, esso può dar luogo a prassi virtuose, ma se invece significa una quasi assimilazione della
città alle merci, esso richiede anzitutto che l’immagine della città si traduca in un brand facilmente
riconoscibile che può essere una figura o uno slogan tipo: la città della moda. Più fondate sono le
analisi di benchmarking urbano, usate a sostegno del marketing, le quali prendono per riferimento
una città nota per qualche sua eccellenza al fine di un confronto. In questa direzione si muove anche
la promozione della cultura, dei divertimenti e delle atmosfere di certi quartieri alla moda, la
spettacolarizzazione dell’architettura. Le politiche urbane della cultura hanno due facce: una rivolta
all’esterno e una rivolta all’interno. La cultura può così ridursi ad essere puro spettacolo, oppure
può essere promossa da iniziative ed eventi culturali che permettono ai soggetti urbani di riflettere
sul passato, al fine di stimolarne la creatività. La pianificazione strategica nasce anch’essa dalle
esperienze competitive delle grandi imprese. Essa assume una visione dinamica sia della realtà su
cui si vuole intervenire, sia del processo decisionale che prefigura l’intervento e si basa su una serie
di ipotesi su come è probabile che una molteplicità di attori agiscano, reagiscano e interagiscano in
vista degli obiettivi che si vogliono raggiungere in una prospettiva temporale. Media di una decina
di anni. Il piano strategico non definisce i progetti, li seleziona e li coordina con un processo
negoziale per renderli conseguenti, cooperativi, realizzabili, è quindi un procedimento di
governance che ha come scopo generale la riqualificazione e lo sviluppo competitivo di un sistema
urbano. Attraverso un confronto negoziale, cooperativo e anche conflittuale tra soggetti pubblici e
privati, sotto una leadership pubblica produce anzitutto una visione condivisa, la traduce poi in un
documento programmatico, in esso vengono individuati obbiettivi specifici da raggiungere nel
medio periodo, articolati poi in linee d’azione e interventi.
L’immagine esterna e interna della città: l’immagine di una città è una costruzione simbolica che
può rivolgersi sia a chi ci opera e ci vive, sia a chi la vede dal di fuori. Quella interna è l’espressione
+ genuina dell’identità locale, essa si riferisce alla città come gruppo sociale. Rifacendoci al
modello autopoietico possiamo dare all’identità il significato di principio organizzativo locale e
quindi di operatore di connessioni intersoggettive. In questo processo il ruolo dell’immagine è
fondamentale. Infatti, nella città pensata come semplice macchina per la crescita, l’immagine è al
servizio del marketing urbano. La sua identità s’identifica riduttivamente con l’immagine esterna
che è un mezzo per attrarre. Invece nella città come sistema complesso dove l’identità è operatore di
connessioni, si può praticare un marketing urbano virtuoso che riguarda l’essere della città. In
questo caso il fine è la riproduzione dell’identità stessa. Qui l’immagine della città ha un ruolo
essenziale nell’interazione tra il sistema urbano locale e l’ambiente esterno., tale interazione ha
come condizione il reciproco riconoscimento che alcuni valori dell’altro potrebbero esse con
vantaggio assunti come nostri e viceversa. L’immagine esterna è qui il risultato di un’immagine
esterna che rappresenta al tempo stesso coesione interna e i principi-valori su cui si fonda l’identità
locale l’adesione ad essa permette di verificare il grado di mobilitazione attiva dei soggetti locali.
La governance urbana: la governance nasce nelle organizzazioni private per aumentarne
l’efficienza superando la rigidità. Introducono modi di gestione cooperativi che attivano una
circolazione orizzontale e verticale di informazioni e di idee e che responsabilizzano gli attori
pubblici e privati ai diversi livelli. Nel governo di un territorio ciò implica la combinazione di 3
forme di regolazione; quella gerarchica autoritativa, quella cooperativa e quella del mercato. Sono
coinvolti gli enti territoriali di diverso livello, le istituzioni pubbliche e gli attori privai. I differenti
attori tentano di raggiungere i loro obiettivi discussi e definiti collettivamente in ambienti
frammentari e incerti. I motivi per cui si usa la governance sono: l’esigenza competitiva di attuare
strategie di posizionamento sulla scena internazionale, la necessità dettata dal fatto che il governo di
un sistema urbano esteso a + comuni richiede cooperazione tra di essi, che possono arrivare a
tradursi in forme di copianificazione, altra esigenza è quella che deriva dalla sovrapposizione di
competenze degli enti pubblici territoriali in seguito al decentramento amministrativo. Ciò richiede
certe condizioni la cui principale è che siano rappresentati tutti i soggetti. Le principali patologie
della governance derivano quindi dall’incapacità dell’ente pubblico che la promuove e la governa di
produrre beni pubblici di cui possano godere tutti i soggetti. Una buona governance è messa a
rischio da comportamenti opportunistici degli attori, è ostacolata dai tempi lunghi delle
contrattazioni tra gli attori e può essere resa inoperante dalla difesa pregiudiziale dei propri interessi
da parte di attori pubblici che, come accade oggi in Italia, le leggi vigenti autorizzano a esercitare
un potere di veto.
LA pianificazione strategica: il caso di Barcellona: Barcellona ha una lunga tradizione nel campo
della pianificazione. All’inizio degli anni 90 è all’avanguardia in Europa con l’elaborazione e la
realizzazione del primo piano strategico. L’occasione fu offerta dalle olimpiadi del 92. Il piano si
proponeva di consolidare la città di Barcellona come metropoli imprenditoriale europea, in grado di
irradiare la propria forza alla macroregione in cui è situata geograficamente, con una moderna
qualità della vita, socialmente equilibrata e con solide radici nella cultura mediterranea. Oggi
Barcellona continua a puntare sulla pianificazione strategica a scala metropolitana come strumento
per garantire il progresso economico e sociale. I primi piani strategici hanno riguardato la
riabilitazione dei quartieri + degradati del centro storico, il recupero del fronte marittimo, con
l’eliminazione di aree industriali e l’interramento della strada litorale carrozzabile, sostituita da un
lungomare pedonalizzato che dà accesso a spiagge oggi molto frequentate. La realizzazione del
villaggio olimpico. La costruzione di un grandioso centro congressi e spazi museali dedicati alle
culture del mondo, all’arte, al design e del Parco Litorale Nord. Nella parte periferica è in corso
una riabilitazione che prevede l’installazione di attività legate ad alte tecnologie e alla telematica e
anche di livello quaternario, necessarie all’espansione di Barcellona. La trasformazione della
Ciudad Vieja l’ha fatta arricchire di nuove funzioni terziarie, soprattutto culturali e turistiche, pur
conservando quella residenziale, con una popolazione eterogenea, comprendente oltre che ai vecchi
residenti anche classi medie, studenti e migranti stranieri.
Rigenerare la città
Le città sono da tempo oggetto di politiche settoriali, riguardanti cioè interventi su singoli problemi.
Le politiche più note e di più vecchia data sono quelle della casa. Si tratta di politiche dette di
edilizia sociale e di housing sociale. Definizione: insieme delle attività atte a fornire alloggi
adeguati, attraverso regole certe di assegnazione, a famiglie che hanno difficoltà a trovare un
alloggio alle condizioni di mercato, perché incapaci di ottenere credito o perché colpite da problemi
particolari. Oggi tende ad affermarsi anche l’accesso ai servizi elementari di vicinato e quello,
garantito dal trasporto pubblico, agli altri servizi e ai luoghi di lavoro. In questo senso sono
politiche sempre meno settoriali. All’inizio il problema della casa è stato una delle componenti
fondamentali delle politiche di ricostruzione post-bellica e poi del welfare fordista basato su
politiche sociali caratterizzate dalla già ricordata convergenza di interessi rivolti a mitigare il
disagio delle masse che affluivano nelle città in cerca di occupazione. In questa fase fu soprattutto
lo stato a farsi carico della soluzione del problema. Nella fase successiva l’intervento dello stato si è
fatto indiretto, le politiche sono diventate multilivello, coinvolgendo attori pubblici a scala locale,
regionale e, dopo che l’UE ha cominciato a farsi carico del problema, anche comunitaria.
L’intervento di è spostato a sostegno della spesa. Si è affermato il partenatario pubblico-privato
nella costruzione e nella gestione dell’edilizia sociale. Le azioni non hanno + riguardato grandi
complessi edilizi, ma interventi molto + distribuiti e articolati nello spazio urbano, per rispondere a
bisogni diversi. L’Ue non avendo competenze dirette sul problema ha agito in casi specifici
valendosi di strumenti più generali di intervento. Negli ultimi anni gli indirizzi dell’Ue hanno legato
sempre più alla politica di edilizia sociale al binomio competitività-coesione. L’offerta di alloggi a
basso prezzo nelle città è vista come una condizione per favorire la mobilità lavorativa. I risultati
non sono valutabili in base a singole variabili, ma tenendo conto della loro combinazione e delle
modalità di intervento ai vari livelli. L’Austria con una spesa bassa riesce a produrre molti alloggi
perché una legislazione nazionale consente ai comuni di dividere con i costruttori una parte della
rendita urbana, associandoli così all’impresa in un partenatario vantaggioso per entrambi. Al
contrario l’Italia spende molto poco e produce ancor meno, perché mancano leggi che consentano di
associare le imprese costruttrici private ai pinai di edilizia pubblica sociale.
Città in rete
Le politiche urbane di livello lovale sono atte alla competizione, quelle di livello sovra-locale alla
cooperazione tra città. I motivi per cui le città cooperano però sono per competere a livelli
territoriali superiori, questo è il caso dell’Ue. Per quanto riguarda le città il concetto che sta alla
base dell’evoluzione della rete è il policentrismo. L’idea dell’Ue è quella di accrescere la forza e
favorire reti al di fuori del Pentagono creando zone d’integrazione economica mondiale (GIZ)
capaci d’imporsi a scala mondiale e di accrescere così la capacità competitiva dell’Ue. Il modello
policentrico europeo opera a due scale, una macroregionale (intera rete Ue) e una mesoregionale
quella delle varie GIZ. Ci sono tre diversi significati di policentrismo: quello geografico-spaziale
che riguarda quelle strutture regionali basate su una fitta trama di città vicine tra loro. Uno
funzionale, si hanno strutture funzionali policentriche là dove la prossimità fisica ha favorito da
tempo lo sviluppo spontaneo di relazioni tra città vicine, ciascuna delle quali si è specializzata in
certe funzioni, come risultato di un networking passivo. Diverso infine è il caso in cui la
specializzazione funzionale tra i nodi della rete è il risultato di una cooperazione intenzionale tra le
città che avviene sfruttando si ala prossimità geografica, sia le eventuali forme di networking
passivo già in atto. Le politiche di rete nazionali sono diverse da paese a paese, ma tutte agiscono a
due livelli: mesoregionale e metropolitano. Per il primo l’idea che sta alla base è quella che l’unione
fa la forza così + piccole città possono competere con una metropoli. In Italia una politica di questo
tipo era stata proposta nelle proiezioni territoriali del Progetto ’80, un documento elaborato tra il
1968 e 1971, esso prevedeva di creare orti connessioni tra i sistemi metropolitani esistenti e altri,
detti di riequilibrio e alternativi, tutti policentrici. Esso non ebbe seguito. Solo nel 2007 , in
occasione dell’0elaboprazione del Quadro strategico nazionale, il governo italiano produsse una
nuova visione del riassetto del territorio nazionale, basata su un certo numero di strutture
policentriche reticolari. Anche questa visione ebbe scarse applicazioni. Allo stesso tempo anche in
assenza di una politica nazionale a sostegno si sono avviate alcune iniziative di città e provincie del
nord-ovest per una rete di cooperazione tra le tre metropoli di Milano Torino e Genova

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