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Capitolo primo
LA NUOVA QUESTIONE URBANA
Nelle culture occidentali la città è stata a lungo immaginata come spazio dell’integrazione sociale e
culturale. Luogo sicuro degli uomini dove entrano in contatto tra loro, si conoscono e apprendono; da
sempre luogo magico, sede privilegiata di ogni innovazione tecnica e scientifica, è stata anche potente
macchina di distinzione e separazione, di emigrazione ed esclusione, di gruppi etnici e religiosi, di attività e
professioni, di ricchi e di poveri. Nella città occidentale ricchi e poveri si sono da sempre incontrati, ma
sono sempre più distanti.
In scala planetaria, si è verificata una forte diminuzione della popolazione in situazioni di povertà estrema e
un miglioramento della qualità della vita nella maggior parte dei paesi poveri. All’interno della maggior
parte dei paesi, ivi compresi quelli più ricchi, si registra un crescente divario tra ricchezza e povertà.
Più che ricorrere alle immagini estreme come quelle degli slums asiatici o delle favelas sudamericane, è
forse interessante soffermarsi sugli aspetti più comuni, meno estremi che si possono ritrovare nelle aree
del pianeta che più intensamente si sono sviluppate negli ultimi secoli: Europa e Stati Uniti. In questa parte
del pianeta «la situazione attuale non ha nulla a che fare con un’eredità del passato». Le regioni urbane, in
questa parte del pianeta, appaiono oggi come il luogo ove le differenze tra ricchi e poveri divengono
drammaticamente più visibili. Con la divisione delle grandi città in quartieri belli e brutti, sta emergendo
una topografia sociale sempre più contrastata.
Gran parte degli osservatori ritiene che la maggior parte della popolazione del pianeta sempre più vivrà
entro grandi aree urbane e metropolitane. Parigi icona del diciannovesimo secolo, come Londra, Vienna o
Berlino, è però molto diversa da New York, Hong Kong o Singapore e dalle tante città verticali divenute
icone del ventesimo secolo; e queste,a loro volta, sono ancora molto diverse dalla North Western
Metropolitan Area, la grande area di urbanizzazione che si estende da Lille a Bruxelles, Anversa e
Rotterdam sino ad Amsterdam e Colonia. Queste metropoli si sono sviluppate in periodi differenti e sono
tra loro diverse. Con ogni probabilità, questa è la prima tesi, esse dovranno affrontare nel prossimo futuro,
problemi analoghi che nel loro insieme costituiscono la «nuova questione urbana». Le disuguaglianze
sociali, insieme alle conseguenze del cambiamento climatico e ai problemi connessi alla mobilità, ne
rappresentano uno degli aspetti più rilevanti. Non è la prima volta nella storia occidentale che una
questione urbana emerge come un problema spinoso. E’ sufficiente citare «la polemica del lusso» nel corso
del diciottesimo secolo, la «questione delle abitazioni» alla metà del diciannovesimo secolo.
Ogni qual volta la struttura dell’economia e della società cambia, ed eccoci alla seconda tesi, la questione
urbana torna in primo piano. Dopo ogni «crisi» la città è uscita, in passato, ogni volta diversa: nella sua
struttura spaziale, nel suo modo di funzionare, nelle relazioni tra ricchi e tra poveri e nella sua immagine.
Ogni volta la questione urbana ha portato alla luce nuovi temi, nuovi conflitti. Oggi la nuova questione
urbana emerge in anni di profonda crisi delle economie e delle società occidentali, anni in cui c’è una
maggiore consapevolezza della scarsità delle risorse ambientali, unita a domande crescenti nei confronti
della sicurezza, della salute, dell’istruzione, del processo tecnologico che costituiscono immagini, scenari,
politiche e progetti che sono in parte contrastanti gli uni con gli altri.
Capitolo secondo
ECONOMIA, SOCIETA’ E TERRITORIO
Può apparire più semplice e naturale cogliere le differenze tra ricchi e poveri ed esaminare i problemi posti
dalla disuguaglianza osservando le politiche economiche, esaminando le politiche del lavoro, quelle della
spesa pubblica e fiscali o le politiche istituzionali. E’ facile anche condividere l’opinione di Carl Schmitt,
secondo il quale «non esistono idee politiche senza uno spazio cui siano riferibili, né spazi cui non
corrispondano idee politiche». Nell’Unione Sovietica degli anni Venti i «rispecchialisti» sostenevano che
qualsiasi forma di espressione artistica non poteva che essere lo specchio della struttura sociale. Non
dovendo cercare di assumere alcuna autonomia nei suoi confronti, ogni forma artistica doveva unicamente
illustrarla, nei modi più realisti possibile. Senza porre alcuna distanza critica tra la struttura dell’economia e
della società. Ciò ha portato dalla metà del diciannovesimo secolo, il progetto della città, in Europa ma
anche negli Stati Uniti, spesso si sono costruiti in una situazione «rispecchialistica». L’emergere oggi di una
specifica questione urbana articolata attorno a temi tra loro difficilmente separabili, come quelli delle
disuguaglianze sociali, del cambiamento climatico, mostra qualcosa di importante e cioè è questa la terza
tesi, ossia che lo spazio, grande prodotto sociale costruito e modellato nel tempo, non è infinitamente
malleabile, non è infinitamente disponibile ai cambiamenti dell’economia, delle istituzioni e della politica.
Non solo perché vi frappone la resistenza, ma anche perché in qualche misura costruisce la traiettoria
lungo la quale questi stessi cambiamenti non possono avvenire.
Capitolo terzo
RICCHI E POVERI
La povertà, come peraltro la ricchezza, è certamente «un complicato garbuglio di fattori politici, sociali,
storici, istituzionali e tecnologici» e per giungere ad una conoscenza della topografia sociale sono stati
proposti diversi indicatori. Il reddito, ovviamente, è legato ad altre grandezze: al tipo di occupazione; alla
posizione nel mercato del lavoro e nelle strutture di potere; al livello di istruzione; ai tipi di consumi; ai
caratteri, alla dimensione e all’ubicazione della propria abitazione. Alla ricchezza è connessa la storia
personale, della famiglia e del gruppo di appartenenza, ma anche i modi nei quali essa è stata accumulata.
Ricca non è solo la persona, la famiglia che dispone di un reddito elevato e/o di un cospicuo patrimonio.
Ricca è anche la persona a cui, consiste capitale culturale, cioè un elevato sapere o un’elevata
professionalità, o un consistente capitale sociale, cioè una consiste rete di relazioni con i «potenti»,
conferiscono uno status, consentono di godere di un reddito e di accumulare e conservare una ricchezza
analoga a quella della persona dotata di un elevato capitale economico. In modo analogo, povera non è
soltanto la persona, la famiglia o il gruppo che dispone di un reddito e di un patrimonio esigui, ma anche
quella che di fatto non dispone, neppure potenzialmente, della disponibilità di usufruire di alcuni beni e
servizi essenziali per la sopravvivenza, come ad esempio le cure mediche; che non ha accesso all’istruzione
o all’assistenza sociale il cui capitale spaziale la esclude dai più elementari diritti di cittadinanza; che viene
«etichettata» in funzione del suo luogo di residenza. I due gruppi, quello dei ricchi e quello dei poveri,
hanno entrambi identità e confini mobili. Ciò che definisce la ricchezza non sempre concorre a definire la
povertà e, viceversa, ciò che definisce la povertà è spesso irrilevante per definire la ricchezza. Tra le due
situazioni sta, com’è noto, tanto nella città quanto nella società, una terra di mezzo, mobile e difficilmente
definibile, ma che specie nell’ultimo secolo è quantitativamente cresciuta. Entro le moderne società
democratiche l’insieme dei ricchi è un insieme aperto: ognuno può avere la speranza di entrarvi.
Altrettanto aperto è l’insieme dei poveri: il rischio di esservi spinto è sempre presente, le possibilità di
uscirne più ridotte, ma non escluse. Non ci si può allora sorprendere se, come tutti i gruppi sociali del
passato, il gruppo dei ricchi cerchi di far valere come proprio principio evolutivo, in conflitto con altri gruppi
sociali ad esclusione selettiva: cerchi di utilizzare dispositivi, per tenere a distanza chi non ne fa parte, per
ostacolare l’entrata di alcuni e dare visibilità ai propri membri. Il che fa sì che all’apertura di principio del
gruppo dei ricchi corrisponda solitamente una sua molto più rigida chiusura, cui fanno riscontro sempre più
solide barriere che recingono il gruppo dei poveri.
Capitolo quarto
STRATEGIE DI ESCLUSIONE
La concentrazione nelle grandi città di poveri, ha sempre inquietato, quanto la malattia e la carestia che ad
essa si è spesso associata. Come la lebbra, la peste e il vaiolo, la paura del povero, ha originato spesso la
domanda di politiche di esclusione. La paura sviluppa l’intolleranza, rompe la solidarietà e disgrega la
società. La configurazione della città e del territorio è cambiata ogniqualvolta, mutando aspetti
fondamentali della struttura economica e sociale, si sono modificati i sistemi di solidarietà e intolleranza
entro la società. La paura che pervade il mondo odierno non è però un fenomeno nuovo. La paura ha
attraversato tutta la nostra storia dalla più remota antichità. La paura non è l’unica responsabile della
distinzione dentro la città. Nella stessa direzione hanno luogo operato tradizioni religiose, scientifiche e
professionali. Ubicare, definire, specificare, separare e allontanare, legare o congiungere, ogni insieme di
manufatti oppure a ogni singolo materiale urbano, ad esempio ad un insieme di edifici residenziali o di
attrezzature scolastiche, sono i caratteri dei principali dispositivi del progetto della città e del territorio e al
contempo i principali dispositivi di controllo. I caratteri insediativi e tipologici di una parte di città, oppure
specificare il suo livello di infrastrutturazione e attrezzatura: quanti spazi verdi, quanti parcheggi, quanti
asili, scuole. O ancora, frapporre tra le zone più ampie fasce verdi che le recingano come muri, definire
procedure di accesso alle differenti parti di città, alle loro attrezzature scolastiche o sanitarie, costruire
parti di città destinate a gruppi sociali per i quali è difficile accedere al mercato, quartieri popolari,
concepiti come monumenti di una società democratica che separano la popolazione in funzione del reddito
o di altri connotati associati alla povertà. Un’autostrada, o una strada a grande traffico, congiunge
rapidamente punti posti a una certa distanza, ma al contempo è anche una barriera rumorosa e inquinante
che separa il territorio alla sua destra da quello alla sua sinistra, separazione che apparirà inaccettabile se
avviene nella città dei ricchi, ma cui nessuno porrà la dovuta attenzione se avviene nella città dei poveri, se
anzi viene utilizzata per separare i ricchi dai poveri. La tradizione fa riferimento a qualcosa di specifico e
riconoscibile dotato nel tempo di un certo grado di permanenza; qualcosa che viene tramandato da una
generazione all’altra attraverso informazioni. Occorre cogliere le differenze, ad esempio, fra la tradizione
europea e quella nordamericana; fra quella nordamericana e latinoamericana, indiana o cinese. Le
tradizioni, sono caratterizzate da una serie di impegni metafisici e metodologici e da corrispondenti divieti.
E’ l’insieme di questi impegni e divieti che la collega ad ogni società locale. Alcuni grandi aree del mondo
occidentale hanno infatti affrontato i problemi della disuguaglianza urbana e dell0integrazione con propri
specifici impegni, divieti e dispositivi cioè con propri «discorsi , istituzioni, strutture architettoniche,
decisioni regolative, leggi misure amministrative».
Capitolo quinto
RICCHI
Borghesia e ceti medi hanno sempre praticato una politica di «distinzione». A partire dalla fine del
diciottesimo secolo, con l’emergere graduale di una borghesia, in Inghilterra e successivamente in altri
paesi europei si modifica un intero sistema di valori relativi all’abitare e alla città. La domesticità comincia
ad assumere una sempre maggiore importanza. Il mondo borghese si separa in due: in una specie di
esterno il mondo del lavoro e della città, e in un interno il mondo della casa e della famiglia. Il momento
cruciale, si situa forse intorno alla metà del diciannovesimo secolo, quando la borghesia afferma con forza i
valori della privacy, del comfort e del decoro. A cominciare dall’alloggio, abbandonata l’idea che la
residenza dovesse rappresentare il proprio status. Si comincia a porre maggiore attenzione alle relazioni tra
il corpo e il suo ambiente più prossimo: pulizia, colore e luce, ma anche articolazione e separazione dei
diversi spazi dell’alloggio. Dall’alloggio la ricerca del comfort si estende ai principali luoghi della socialità
mondana: ai teatri, agli ippodromi, a parchi, giardini e viali alberati, luoghi che ospitano feste, cocktail,
cene, musei e spazi di esposizione. Un secolo più tardi, a mano a mano che il gruppo dei ricchi diviene in
senso relativo più piccolo e la distanza dai poveri aumenta, le politiche di distinzione mutano: alle politiche
di identificazione e riconoscimento si aggiungono quelle di separazione e di esclusione. Se dal Canada ci
muoviamo verso sud, attraverso gli Stati Uniti, il Messico, il Brasile e l’Argentina, ci rendiamo conto del
progressivo aumentare della frequenza, delle gated communities. Il modello urbanistico di riferimento più
frequente è quello del new urbanism, nato negli Stati Uniti negli anni Ottanta Peter Calthorpe, suo
ideatore. Negli anni Novanta una versione più avanzata del new urbanism si è appropriata delle nuove
«teorie» ecologiche. Le smart cities statunitensi utilizzano una grande retorica di marketing nella quale il
tema della sicurezza, e quello della qualità ambientale, divengono i pilastri della costruzione di una nuova
società. Dentro queste città, in Brasile come negli Stati Uniti, in Messico, in Colombia, in Venezuela o in
Argentina, ovviamente vivono i ricchi: la gated community è il loro capitale spaziale, ciò che li distingue dal
resto della popolazione. Vi entrano famiglie e individui dotati di elevato capitale, economico, culturale,
sociale, di redditi elevati, di elevati livelli di istruzione e professionalità, di una rete di relazioni sociali con i
più alti gradi del potere. I gruppi che abitano nella gated communities commisurano il proprio stile di vista,
i propri redditi e il proprio status. I poveri, disoccupati o che svolgono i lavori più umili di manutenzione e
pulizia delle case, dei giardini, delle strade e delle piscine del club, vivono in favelas o in aree collocate
spesso intorno alla gated community. La gated community è la negazione della città, ma diviene insieme
alle favelas e ai quartieri poveri, rappresentazione spaziale dei caratteri della nuova società e della sua
politica di distinzione. La ricerca di molti architetti e urbanisti lungo tutto il ventesimo secolo ha tentato,
soprattutto in Europa, di far si che le distanze nella qualità dello spazio praticato da ciascun gruppo sociale,
all’interno e all’esterno della propria abitazione, fossero minori di quelle che intercorrevano tra i rispettivi
livelli di reddito e di potere. Negli ultimi decenni del secolo ventesimo, in un periodo di progressiva crescita
numerica, lo spazio abitato dai diversi gruppi sociali è tornato a separarsi. Tra le città dei ricchi e quella dei
poveri ha preso inoltre corpo la «città diffusa», una città dispersa, come nelle Fiandre, su estesissimi
territori. La città diventa gelosa del «privato», dell’intimità e familiarità del quotidiano, della «cura di sè»,
attenta alla costruzione del proprio piccolo mondo locale, che diviene responsabile degli aspetti più crudeli
dell’esclusione di chi proviene da un mondo più vasto e globale.
Capitolo sesto
POVERI
I ricchi hanno spesso preferito costruire la loro città in aree non precedentemente urbanizzate. In queste
aree, Parigi come a Londra, era possibile costruire alloggi delle dimensioni desiderate, strade alberate,
giardini e piazze confortevoli, ottenere un’omogeneità sociale degli abitanti escludendo i diversi. Al mondo
del lavoro, agli uffici e ai commerci è stata lasciata parte della città esistente e ai poveri sono state lasciate
le bad lands, le aree che per un insieme di ragioni, avevano acquisito una cattiva reputazione: aree umide,
paludose, prossime ai cimiteri, vicine alla ferrovia, alle grandi industrie, e mal servite dal trasporto
pubblico. Distinzione ed esclusione sono aspetti inseparabili nella costruzione della città moderna. A partire
dagli anni Settanta del ventesimo secolo Anversa, come molte città europee è divenuta meta di influssi
migratori. Popolazioni di origine marocchina, africana, indiana, balcanica, hanno invaso la città parte del
centro ottocentesco. Non tutti gli stranieri sono uguali, la comunità ebraica legata alla lavorazione e al
commercio non è mediamente povero. I poveri sono concentrati soprattutto tra gli africani e gli europei
dell’Est, gruppi che gli abitanti di Anversa, considerano i più pericolosi. La reazione degli abitanti di Anversa
è stata apparentemente duplice: una parte assai consistente, ha abbandonato la città, trasferendosi
nell’immensa città diffusa del North-Western Metropolitan Area (una vasta regione da case unifamiliari con
giardino). Un’altra parte della popolazione di Anversa ha reagito all’intensità dei flussi immigratori con una
politica di divisione separando o lasciando che tra loro si separassero gruppi etnico-religiosi, attività, stili di
vita, usi degli spazi e attrezzature pubbliche; riducendo la parte centrale di Anversa ad una sorta di puzzle.
Una politica che ha incontrato le proprie contraddizioni quando le varie tessere del puzzle sociale, sono
giunte a toccarsi e ad innescare una forte competizione per lo spazio. Abbandonando alle popolazioni
extraeuropee il centro della città e costruzione del puzzle urbano sono aspetti di un'identica politica di
separazione sociale e che si svolge a scale differenti. A questa situazione le politiche urbane di Anversa
hanno cercato di reagire, attraverso la realizzazione di attrezzature spazi pubblici, realizzazioni che hanno
innescato processi di recupero delle parti più povere della città.
Se le politiche urbane di Anversa hanno cercato di costruire le condizioni di una nuova «porosità dei tessuti
urbani Parigi, è sempre più divenuta, nella seconda metà del ventesimo secolo, una città fatta di enclaves
Nell'immaginario parigino i ricchi abitano a sud-ovest in quartieri «tipo Luxembourg», e i poveri a nord-est,
in quartieri tipo «La Courneuve». Queste enclaves sono il risultato a politica delle infrastrutture e della
politica urbanistica, racchiuse come sono entro le barriere invalicabili di un'autostrada, di una linea
ferroviaria o metropolitana, isolate dal resto della città da grandi spazi verdi che svolgono il ruolo di
elementi di separazione. Milano è connotata invece da una «geografia molecolare», con le aree più povere
e di edilizia pubblica disperse nel territorio metropolitano Molti di questi spazi sono stati in passato, a
Parigi come a Milano, luoghi intensamente abitati, ove si concentrava una parte cospicua della produzione
industriale della metropoli, verso cui si dirigeva gran parte dei movimenti pendolari quotidiani e in cui
veniva alloggiata parte dei lavoratori. Alla fine del ventesimo secolo sono disseminati di aree industriali e di
infrastrutture dismesse e sono divenuti le parti della metropoli ove più si concentrano la disoccupazione e
la povertà. Secondo il rapporto annuale sulle ZUS(zone urbane sensibili), queste aree nel 2008 ospitavano
4,4 milioni di persone , il 42 % dei giovani era disoccupato, e il reddito medio delle famiglie era del 36%
inferiore al reddito medio francese. Se ci si interroga su cosa abbia prodotto queste situazioni si scopre che
esse sono l’esito di diverse storie che si sono incrociate: l’ubicazione delle attività industriali; il ruolo dei
fiumi, nel trasporto le successive crisi dell’industria mineraria e tesile che hanno lasciato grandi aree
industriali abbandonate, ma interi quartieri di operai anziani e disoccupati e di giovani senza lavoro.
Capitolo settimo
UN MONDO MIGLIORE E’ POSSIBILE
Se la disuguaglianza nei paesi europei è minore rispetto agli Stati Uniti è diminuita in modo visibile, ciò è
dovuto alle politiche urbanistiche e alla loro continua ricerca di una dimensione concreta del welfare. Per
buona parte del ventesimo secolo l’urbanistica europea, ha cercato di ridurre le disuguaglianze sociali
attraverso la previsione di prestazioni di base, scuole, spazi verdi e case per tutti indistintamente; le
quantità standard a disposizione di ciascun individuo.
Capitolo ottavo
LA TRADIZIONE EUROPEA
Gli ultimi due decenni del ventesimo secolo hanno così imposto un’approfondita riflessione sulla tradizione
dell’urbanistica occidentale. L’Europa sia pur con differenze al proprio interno, si è sempre più distinta dagli
Stati Uniti. L’Europa sino alla fine degli anni Sessanta del ventesimo secolo è stata un continente pieno di
paesi da un punto di vista etnico razziale più omogenei degli Stati Uniti. Gli Stati Uniti al contrario sono una
società fortemente eterogenea.
Capitolo nono
DISUGUAGLIANZE SOCIALI, QUESTIONE URBANA E CRISI
Il mondo occidentale ha attraversato diverse crisi, esse sono state crisi economiche, istituzionali, politiche
sociali e culturali imponendo una riflessione e la ricerca di soluzioni radicali. Il mondo ne è uscito ogni volta
diverso e diversa né è uscita la città: nella sua struttura, nel suo ruolo e nel modo di funzionare. La
metropoli del ventesimo secolo, la città che ha per propria icona New York, è diversa dall’icona del
diciannovesimo secolo, dalla Parigi, dalla Londra, dalla Vienna. Ogni volta crisi questione urbana hanno
portato alla luce nuovi temi, nuovi conflitti e nuovi soggetti, nuovi sistemi di alleanze, di compatibilità e
incompatibilità, nei quali si possono riconoscere ulteriori e diverse idee dell'uguaglianza. La crisi dei primi
anni del ventunesimo secolo- una crisi lentamente maturata in tre decenni di disuguaglianze coincide, con
l'emergere di un'importante questione urbana. Al centro delle diverse dimensioni di questa crisi stanno le
disuguaglianze: la cupidigia dei ricchi' il progressivo smantellamento del welfare state e il degrado della
qualità della vita dei gruppi sociali più poveri. Le disuguaglianze sociali sono forse una causa della crisi, i
vecchi e i nuovi ricchi, non esprimeranno mai una domanda sufficiente a garantire la crescita
dell'economia. Nessuna economia è cresciuta grazie alla sola produzione di beni di lusso, mentre il
progresso tecnico farà sì che a livello planetario un'accresciuta produzione richiederà sempre meno lavoro.
Con gli anni Settanta è cominciata una nuova fase di accumulazione che richiede formazione di vasti
mercati. Il prodotto interno lordo del pianeta sale, ma la crescita non si distribuisce più secondo la
geografia tradizionale, che privilegiava aree di più antica industrializzazione e sviluppo. Stiamo assistendo a
una straordinaria redistribuzione spaziale della produzione e della formazione della ricchezza. Grazie a
questa redistribuzione alcuni paesi riescono ad emergere e a raggiungere livelli di benessere più elevati;
altri, quelli ove il welfare state fu inventato, ne soffrono le conseguenze in termini di disoccupazione,
difficoltà di accesso al mondo del lavoro per le generazioni più giovani e crescente povertà. Raramente si
vuole accettare che la città, da sempre immaginata come lo spazio dell’integrazione sociale e culturale, è
divenuta negli ultimi decenni del ventesimo secolo, potente macchina di sospensione dei diritti dei singoli.
Nel 1937 il National Resource Committee presentò al presidente Roosvelt un rapporto che costituisce il
primo studio su vasta sala della condizione e dei problemi della città negli Stati Uniti. Nel capitolo del 1937,
vengono messe al primo posto le forti disuguaglianze dei redditi e della ricchezza entro le aree urbane.
Questa constatazione porta il Committee come una fondamentale risorsa per la ripresa dell’economia, un
grande piano di attrezzature pubbliche, di recupero dei quartieri più poveri, di costruzione di abitazioni.
Nel prossimo futuro dovremo inventare nuovi modi per raggiungere la piena occupazione.Nelle visions e
nei progetti più avanzati si cominciano oggi a intravvedere le potenzialità di tale trasformazione, che si
riconosca l'importanza che nel costruirla ha la forma del territorio, che si riconosca il ruolo di una sua
infrastrutturazione capillare ed isotropa, tale da conferire alla città una maggiore e più diffusa porosità,
permeabilità ed accessibilità; che si disegnino spazi pubblici ambiziosi, tenendo conto della qualità di quelli
delle città che ci hanno preceduto; che si torni a ragionare sulle dimensioni del collettivo. Gli urbanisti, gli
economisti e i sociologi, dovranno tornare a discutere con i geografi, i botanici, gli ingegneri idraulici;
dovranno immergersi molto più di quanto non abbiano fatto nel recente passato negli immaginari
individuali e collettivi. Può darsi che nel prossimo futuro le cose vadano sempre io, ma se si vorrà uscire
dalla crisi economica e dalla recessione bisognerà sviluppare la domanda del plus grand nombre, non
affidarsi a domande espresse da nicchie sociali, perciò occorrerà sviluppare più democrazia, riducendo le
disuguaglianze nello spazio.