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FREDERIC C.

LANE, ‘’STORIA DI VENEZIA’’

I. INTRODUZIONE: LE ORIGINI

- Venezia come simbolo di bellezza e saggio governo, ma anche di capitalismo


controllato dalla comunità: questi sono i capisaldi del mito di Venezia.

- Dal VI secolo d.C. sino al XIII i Veneziani furono di fatto un popolo a se’, e
sino al 1000 essi furono principalmente barcaioli e battellieri; solo dopo il
1000 essi diventarono una nazione marittima, che si sarebbe trasformata in
età moderna in una città di artigiani, funzionari e pochi aristocratici.

- La ‘’Venetia’’ era in origine la Xa Regio di età augustea, che da Ravenna si


prolungava sino ad Aquileia, l’area destinata in seguito a costituire la spina
dorsale del potere bizantino in Italia.

- Sono molti gli scrittori antichi (Strabone, Procopio) che ci testimoniano la


presenza di lagune lungo tutta la Venezia, sino alla città di Aquileia, la
regione trovava una altro elemento comune nella presenza di maree.

- Grazie ad una lettera che Cassiodoro (485-580 d.C.) scrive agli abitanti delle
Venezie, sappiamo che essi erano dediti al commercio del pesce e del sale, e
che erano ‘’abili navigatori di barche lunghe e sottili’’.

- La popolazione lagunare aumentò notevolmente al tempo della calata dei


Longobardi in Italia (568 d.C.), che spinse gli abitanti dell’entroterra (di
Padova, Cavarzere, Chioggia) a spostarsi in laguna.
Il primo nucleo importante di quest’ultima fu Malamocco, vicino ai lidi, ossia
i banchi di sabbia; il luogo che oggi chiamiamo ‘’Venezia’’ era allora una
distesa di acqua in cui erano presenti degli isolotti, il maggiore dei quali era
Rivoalto, evolutosi in seguito in Rialto.
Centri importanti dell’antica regione della Venezia erano invece Aquilei, che
era risorta dopo la distruzione unna, e Grado, ossia la sede patriarcale.

- Le autorità romano-bizantine stavano a Ravenna, e solo nel 697 d.C. le


lagune furono dotate di un comando militare, il δυξ (ossia il ‘’doge’’), che
forse in origine era eletto ‘’vox populi’’, ossia dagli stessi abitanti delle lagune.
- Inizialmente gli abitanti delle lagune agirono come chiattaioli lungo le reti
fluviali dell’Italia settentrionale, dove trasportavano i beni, richiestissimi, che
provenivano da Oriente.
Fin da subito dunque la laguna ebbe il ruolo di ‘’porta del Levante’’ per il
mondo occidentale, e questo inizialmente in quanto parte dell’Impero
Bizantino.

- I Veneziani si arricchirono inizialmente vendendo merci di lusso ai sovrani


longobardi di Pavia; ma questo privilegio non fu ottenuto senza combattere:
Venezia fu costretta a confrontarsi con Comacchio, che nell’866 d.C. fu
sconfitta.

- La consapevolezza della situazione di grande debolezza numerica e politica


spinse i primi dogi a stipulare patti con le grandi realtà politiche della terra-
ferma: prima coi Longobardi, poi con i Carolingi ed infine anche con gli
Ottoni.

- Sappiamo relativamente poco riguardo le flotte fluviali dei primi veneziani,


ma conosciamo il funzionamento delle spedizioni: ogni impresa era finaziata
da un ‘’battelliere‘’, che appaltava il carico e guidava l’imbarcazione.
Gli equipaggi erano composti da più di una persona, eppure la legge riteneva
responsabile un solo individuo chiamato ‘’nauta’’ (‘’marinaio’’), ossia il
proprietario.

- La svolta marittima avvenne a seguito della crescita della popolazione delle


città lagunari, che progressivamente si erano uniti in una sorta di improprio
sinecismo attorno al nucleo principale di Rialto.

- I Veneziani si affacciarono al mare dopo un’intensa stagione di trattative con


le realtà comunali della terraferma, accordi che permisero ai ‘’Lombardi’’ di
poter commerciare; non a caso uno dei primi uffici veneziani fu quello dei
Magistrati dei Lombardi (‘’Visdomini Lombardorum’’).

- I Veneziani si arricchirono notevolmente tramite la tratta degli schiavi,


anche se schiavi e servi non costituirono mai una parte considerevole della
popolazione.
Questa era invece composta anche da ‘’infedeli’’, identificabili a quest’altezza
con i cristiani ortodossi provenienti dall’Oriente bizantino, che ovviamente
erano in minoranza rispetto ai Veneziani cattolici, che facevano invece
riferimento all’autorità del papa.

- I mercati principali erano l’Italia e soprattutto il Nord Africa musulmano,


con il quale si comunicava tramite l’Adriatico, che fin da subito dunque
rappresentò per Venezia un mare da dominare.
Inizialmente la città esportava soprattutto legname, materiale indispensabile
per la costruzione di armamenti, e che veniva venduto anche ai musulmani
nonostante il divieto dell’imperatore d’Oriente.
- Il legno fu il mezzo con cui i Veneziani ottenevano oro/argento, tramite i
quali acquistavano a Costantinopoli i richiestissimi prodotti dell’Oriente, che
erano poi venduti a cifre elevatissime in Occidente.
Di fatto dunque fu la superiorità nell’approvvigionamento di legname a
costituire la base iniziale della divisione del lavoro e della ricchezza
veneziana, che sarebbe aumentata proporzionalmente ai successi politico-
militari conseguiti dopo l’anno 1000.

- La struttura urbana di Venezia nella fase delle cosiddette ‘’origini’’, era


dapprima organizzata attorno a piccole realtà urbane sparse (ma vicine) in
laguna, caratterizzata ognuna dalla presenza di una parrocchia.

- Questi come detto si unirono progressivamente, però ciascuna delle varie


comunità mantenne il proprio spirito di quartiere, che non fu piegato dalla
unificazione dell’agglomerato urbano.
Il centro d’integrazione più forte si sviluppò come detto dal Palazzo Ducale,
dove il doge fece costruire nel IX secolo d.C. la propria basilica personale: San
Marco, dove fu riposta la reliquia del corpo del santo, che fu recuperata da
due mercanti veneziani che la trafugarono da Alessandria (storia raccontata
nella Traslactio Sancti Marci).

- La scelta di Rialto fu dovuta anche al fatto che era il luogo meno interessato
dalle due forme di maree che interessavano Venezia: quella piccola ‘’lunare’’ e
quella poù forte dovuta ai venti e alle piogge.
Il rapporto con le acque (espansione della laguna e terraformazione dovuta
allo sfociare dei fiumi in laguna) fu sempre percepito come necessario dal
governo veneziano, che fu precoce nell’elaborare una moderna pianificazione
urbana.

- I Veneziani si approcciarono al problema delle acque convinti che il


mescolarsi di acqua ‘’salsa’’ (quella salata della laguna) e dolce fosse la causa
della malaria.
Per questo motivo essi nel corso di diversi secoli deviarono fiumi e crearono
canali/dighe per salvaguardare la laguna nel senso di dotarla di un confine
preciso e di sfruttare la terra.

- Il ‘’porto’’ di Venezia fu la ‘’bocca’’ di San Nicolò sino al XVI secolo, e la sua


protezione fu affidata ai ‘’due guardiani dei lidi’’ che nel XIII secolo furono
incaricati del riparo dei frangiflutti e della manutenzione dei fari.
Nel 1407 i due guardiani dei lidi furono unificati nella nuova figura
dell’Ammiraglio del Porto.

- Altra caratteristica del porto era il Lazzaretto, che nel 1423 divenne luogo di
degenza per gli ammalati; qui i Veneziani dal 1485 ponevano in quarantena
tutti coloro che erano sospettati di essere infetti di peste.

- La peste, la ‘’Morte Nera’’, fu per tutta la storia di Venezia la vera regolatrice


dell’evoluzione demografica di Venezia, che nel 1200 aveva 80.000 abitanti e
nel 1300 ne aveva raggiunti 160.000.

- Questi livelli alla stessa data si potevano trovare solo in pochissime altre
città, ossia Palermo/Napoli/Firenze/Milano, mentre ad ovest dell’Italia solo
Parigi poteva vantare questi numeri.

- La peste del 1348, quella proveniente da Oriente (che secondo la tradizione


giunse nel 1347 dalla città genovese di Caffa, assedita dai Mongoli), ridusse la
popolazione di Venezia di 3/5 della popolazione.

- Ogni epidemia di peste determinò una drastica riduzione della popolazione


di Venezia: sia nel Cinquecento, che soprattutto nel 1630, quando si verificò
l’epidemia di peste raccontata da Manzoni ne I promessi sposi.

- La città riuscì a riprendersi sempre soprattutto grazie alle campagne, che


furono una notevole sorgente demografica.
Solo una classe sociale a Venezia fu in grado di riprodursi durante tutti i
secoli, anche quelli della peste: la nobiltà, che vide comunque i propri numeri
scendere drasticamente nel corso del tempo.
Si deve in ogni caso ricordare che la nobiltà veneziana in alcuni casi affermva
di discendere dall’aristocrazia romana.

- Dal XII secolo sino al Settecento Venezia fu una città-Stato, o una ‘’nazione-
Stato’’ (come Atene nell’Antichità e Firenze nel Medioevo).
Venezia nel Medioevo divenne una grande potenza navale e si dotò di istituti
e magistrature che sopravvissero fino alla fine della Modernità, nonostante
l’espansione territoriale e il parallelo costituirsi di Stati/monarchie moderne
nel resto del continente.

LA CONQUISTA DEL POTERE MARITTIMO

- Il primo grande nemico di Venezia fu senza dubbio la pirateria, che intorno


all’anno Mille rappresentava la più grande minaccia per la navigazione nel
mar Adriatico.
Inizialmente Venezia agì proprio in senso anti-piratesco, svolgendo per
l’Impero Bizantino un ruolo di polizia dei mari.

- Con l’indebolirsi della flotta bizantina, il controllo dell’Adriatico divenne il


principale obiettivo dei Veneziani, che decisero di imporre la loro egemonia
sul ‘’Golfo di Venezia’’.
Questo obiettivo fu perseguito soprattutto dalla famiglia Condiano, che
governarono a Venezia per la maggior parte del X secolo.
Pietro II Candiano (932-939 d.C.) dapprima rase al suolo Comacchio, che si
era ripresa dopo la sconfitta del secolo precedente, e in seguito conquistò
Capodistria.
Suo figlio Pietro III Candiano (942-959 d.C.) si servì invece del boicottaggio
economico in una disputa con Aquileia, e impose venezia come principale
potenza adriatica ‘’italiana’’ (Ravenna era ormai decaduta).

- Nell’Adriatico come detto Venezia fu costretta a confrontarsi con i pirati, che


avevano il loro centro principale nella foce del fiume Narenta, oltre ad altre
basi importanti come Curzola e Lagosta.
Pietro I Candiano morì combattendo questi pirati al largo di Zara, fu infatti
suo nipote Pietro III Candiano a guidare le due spedizioni che inflissero ai
pirati dalmati delle sconfitte cocenti.

- I Narentani erano soprattutto mercanti di schiavi, dai quali ricavavano un


notevole bottino, che permetteva loro all’anno 1000 di schierare tante navi
quanto i Veneziani.

- Il pericolo narentano fu sventato solo dal doge Pietro II Orseolo (991-1009),


che nel 1000 compì una spedizione di straordinario successo in Dalmazia.
Pietro II fu in grado anche di mantenere rapporti di ottimo vicinato tanto con
il Sacro Romano Impero Romano, quanto con l’Impero Bizantino di Basilio II
(976-1025), allora al massimo apogeo del suo potere medievale.
Egli sventò anche l’assalto musulmano a Bari nel 1002, cosa che gli fece
ottenere il privilegio di far sposare suo figlio con una nipote di Basilio II.

- Venezia era ormai riconosciuta dalle stesse città dalmate come grande
potenza marittima, alla quale si affidarono sempre più per ottenere
protezione contro i pirati.

- Fu alla fine dell’XI secolo che in Dalmazia emerse un primo formidabile


rivale: il Regno d’Ungheria di Stefano I (1000-1038), che offrì alle città
dalmate una signoria alternativa a quella di Venezia.
Tuttavia negli stessi anni Pietro II Orseolo riusciva a catturare quaranta nobili
narentani e ad infliggere loro delle sconfitte decisive, dopo le quali la pirateria
dalmata non avrebbe più rappresentato una seria minaccia.

- Nel 1080 i Veneziani furono chiamati dall’imperatore Alessio I Comneno


(1081-1118) per difendere la città di Durazzo, che era assediata da Roberto
d’Altavilla (1015-1085), detto il ‘’Guiscardo’’, che dopo aver cacciato i
Bizantini dal Sud Italia voleva impossessarsi di Costantinopoli.

- I Veneziani furono però chiamati da Alessio I non più come al tempo di


Basilio II, quanto piuttosto come potenza indipendente di cui si richiedeva
l’alleanza.
Così nel 1081, come ricordato nell’Alessiade di Anna Comnena (1083-1153), i
Veneziani portarono la loro flotta a Durazzo, dove sconfissero la flotta
normanna, guidata dal figlio del Guiscardo, Boemondo (1051/58-1111).
Anna descrive con precisione le strategie militari veneziane, ricordando come
essi avessero adottato la tecnica del ‘’porto in mare’’, basata sul legare insieme i
vascelli più grandi formando delle fortezze galleggianti, da cui colpire il
nemico tramite delle sorte di catapulte.
- Nel XII secolo le navi ancora più usate erano i ‘’dromoni’’, che avevano due
ordini di remi, e le ‘’chelandie’’, che erano quelle maggiormente utilizzate dai
Veneziani.

- La vittoria dei Veneziani non impedì la caduta di Durazzo, in quanto nullo


fu il tentivo di Alessio I di liberare la città dall’assedio terrestre del Guiscardo,
che però fu costretto ad abbandonare la sua spedizione a causa della
chiamata di papa Gregorio VII (1073-1085), minacciato da Enrico IV (1084-
11105) imperatore di Germania.

- Il Guiscardo morì nel 1085; i Veneziani invece furono ricompensati da Alessio


I con la crisobolla del 1082, che garantiva loro la possibilità di commerciare
liberamente nell’Impero con dazi molto ridotti.

LE VITTORIE OLTREMARE E NELLA ROMANIA

- Dopo il 1100 le flotte veneziane si spinsero al di là dell’Adriatico e dell Ionio,


entrando così nel più ampio scenario del Mediterraneo, dove Venezia sarebbe
riuscita a costituire una sorta di piccolo impero.

- Nel 1095 papa Urbano II invita i cristiani d’Europa a dirigersi verso la Terra
Santa in pellegrinaggio armato: è l’inizio della grande epopea delle crociate,
in cui le cosiddette Repubbliche Marinare italiane (dapprima Pisa e Genova,
poi anche Venezia) avrebbero avuto un ruolo decisivo.

- Nella prima crociata (1096-1099) i Veneziani contribuirono minimamente al


successo della spedizione; essi si limitarono ad aiutare il capo della
spedizione, Goffredo di Buglione (1060-1110), a conquistare la costa intorno
a Giaffa, ottenendo in cambio vantaggiose concessioni commerciali.
I Veneziani in realtà arrivarono anche a combattere presso Rodi con i Pisani,
che minacciavano la loro egemonia commerciale con il mondo bizantino.

- Gli aiuti navali ai crociati furono portati in maniera pesante dai Genovesi e
anche dai Norvegesi, che riuscirono a sconfiggere ripetutamente le flotte
saracene, senza però scacciarle interamente dai mari.

- Nel 1123 una flotta veneziana si mosse verso Tiro e Ascalona guidata dal
doge Domenico Michiel (XI secolo-1130), incontrando una flotta saracena,
che fu facilmente sbaragliata dall’armata dogale.
La vittoria dei Veneziani nella battaglia di Ascalona (dopo la quale vennero
anche catturati quattro mercantili carichi di spezie) sancì una stagione di
dominio veneziano sul Mediterraneo orientale.

- Nel frattempo però iniziarono i contrasti con Bisanzio: l’erede di Alessio I,


Giovanni II Comneno (1118-1143) annullò la crisobolla concessa dal padre ai
Veneziani, che già nell’ultima fase della vita di Alessio I erano stati superati
nel favore del sovrano dai Pisani.

- Depredare l’Impero Bizantino fu per Venezia sempre una scelta di ripiego,


attuata in situazioni limite.
Nel 1148 dei marinai veneziani e greci, alleati in quest’occasione nel tentativo
di rioccupare Corfù, vennero alle mani ed in seguito i Veneziani misero su
una galera uno schiavo vestito di panni purpurei per schernire l’imperatore
Manuele I Comneno (1148-1180).

- Manuele si vendicò dei Veneziani solo nel 1171, quando fece arrestare tutti i
Veneziani dell’Impero e ne confiscò i beni: seguì una guerra (1171-1175), che
di fatto però si tradusse in continue azioni di pirateria nell’Egeo da parte dei
lagunari.

- A quest’altezza temporale quando si parla di ‘’pirateria’’ si fa riferimento


soprattutto ad azioni navali private, che non vengono punite dai vari governi
e che non ricevono da questi alcuna licenza (quindi non si può parlare di una
‘’guerra di corsa’’ come per l’età moderna).

- Le azioni di pirateria più intense si svolsero a largo della costa palestinese,


di solito contingenti all’attività di trasporto fornita ai crociati (non solo da
Venezia, ma anche dalle altre città di mare italiane), come, ad esempio, quelli
della IIIa Crociata (1189-1192), quella del re d’Inghilterra Riccardo Cuor di
Leone (1189-1199) e del re di Francia Filippo II Augusto (1180-1143).

- Gli eventi che portarono alla decisiva IVa Crociata (1203-1204) iniziano con
le difficoltà economiche del principale promotore della spedizione, il conte di
Champagne (che tra l’altro morì prima della partenza).
Furono i Veneziani, con cui trattò Goffredo di Villehardouin (1160-1213), a
risolvere i problemi legati al finanziamento e al trasporto: essi si impegnarono
a fornire 200 navi e a fornire i viveri, al prezzo di 85.000 marchi d’argento.

- I crociati che si imbarcarono nel 1203 erano però circa 10.000, quindi 25.000
in meno di quelli che il conte di Champagne si fosse aspettato; in sostanza
dunque il denaro a disposizione dei crociati era molto inferiore a quello
pattuito.
Il doge veneziano Enrico Dandolo (1107-1205), un uomo ultraottantenne e
cieco, ma che godeva di enorme prestigio, propose di compensare il mancato
pagamento prestando aiuto ai Veneziani a riprendersi Zara.

- I crociati accettarono e lo stesso doge assieme a migliaia di Veneziani si


unirono alla spedizione; oltre alla presa di Zara, si decise però anche di
marciare su Costantinopoli per porre sul trono imperiale Alessio IV Angelo
il Giovane (1182-1204), che promise di riportare l’Impero sotto l’obbedienza
papale, a fornire 200.000 marchi d’argento e a sostenere la spedizione.
- La decisione di prendere Costantinopoli non fu accettata di buon grado da
tutti i crociati, parte dei quali abbandonò la flotta e decise di recarsi da se’
direttamente in Palestina.
Nel Luglio del 1203 i crociati giunsero presso la capitale dell’Impero, che
accettò di accogliere Alessio IV come imperatore per paura di un attacco;
tuttavia quando fu chiaro ai crociati che questo non avrebbe mai potuto
mantenere i patti, essi decisero nel 1204 di attaccare la città, che fu presa il 29
Aprile.
Determinante per la conquista fu la scelta veneziana, assecondata dai crociati,
di attacare dal Corno d’Oro, ossia di concentrare gli sforzi su quella sezione
di mura che era rivolta verso il mare (Goffredo di Villerhaduin, nel suo
resoconto della spedizione, la Conquista di Costantinopoli, loda l’abilità dei
Veneziani e il coraggio del vecchio doge Dandolo).

- Seguirono tre giorni di saccheggi, violenze e stupri che fornirono ai crociati


un bottino immenso: monumenti, 400.000 marchi, 10.000 armature, ma anche
una quantità immensa di reliquie, tra queste si ricordi che una parte della
testa di San Giovanni Battista e un frammento della croce finirono a Venezia.

- I crociati, impadronitisi dell’Occidente bizantino (fatta eccezione per


l’indipendente Despotato d’Epiro), decisero di spartirsi il territorio dell’ex-
Impero.
Fu costituito un Impero Latino d’Oriente, il cui sovrano fu eletto da un
consiglio di sei veneziani e sei baroni: fu eletto Baldovino di Fiandra (1204-
1205), mentre il rivale Bonifacio del Monferrato (1150-1207) si impadronì del
Regno di Tessalonica.

- I Veneziani ottennero ‘’tre ottavi di tutto l’Impero’’, motivo per cui i dogi
assunsero anche il titolo di ‘’Signori di un quarto e mezzo dell’Impero Romano’’;
solo il doge tra l’altro non fu obbligato a giurare fedeltà all’imperatore, a
differenza degli altri baroni.

- I Veneziani si impossessarono soprattutto di territori marittimi: il più


importante era l’isola di Creta (che fu presa solo dopo aver sconfitto il pirata
genovese Enrico il Pescatore conte di Malta), che fu ripartita in feudi ai
cittadini veneziani, che emigrarono a centinaia per divenire qui proprietari
terrieri o soldati, ma anche i mercanti giunsero, specialmente nella capitale
dell’isola Candia (oggi Iraklion).

- I Veneziani si impossessarono anche di Negroponte (il ‘’ponte’’ tra Attica e


Eubea), Modone e Corone sulla punta meridionale della Morea (le città
divennero ‘’i due occhi della Repubblica’’ e furono fortificate), Corfù (presa solo
nel 1206).

- Come base adriatica i Veneziani usarono per tutto il XIII secolo Ragusa, che
a quest’altezza temporale era ancora loro dipendente.
L’ORGANIZZAZIONE DEL POTERE MARITTIMO

- La signoria esercitata da Venezia sul Mediterraneo orientale fu dunque


dovuta alla straordinaria capacità dei Veneziani di sfruttare a proprio
vantaggio il susseguirsi delle vicende.
Essi si resero perfettamente conto del fatto che il loro dominio era basato sulle
navi, di cui infatti il governo proibì la vendita agli stranieri.

- Funzionamento e costruzione delle navi si basavano sul lavoro libero,


sarebbe del tutto erroneo parlare a quest’altezza di ‘’schiavi-rematori’’ sulle
galere: remare e combattere erano infatti compiti dei cittadini.

- I vascelli mercantili del XII-XIII secolo non facevano uso di remi: erano
velieri tondi, i più grossi delle quali erano chiamati con il nome di
‘’Roccaforte’’ e poteva trasportare fino a 500 tonnellate di portata lorda.

- I vascelli da guerra più importanti erano invece le galere, che erano biremi e
che erano caratterizzate da grande velocità e soprattutto dalla facilità di
manovra.
Un particolare tipo di galere era il ‘’bucintoro/bucentoro’’ (ossia ‘’nave d’oro),
utilizzata nel giorno dell’Ascensione per rappresentare il matrimonio tra il
doge e il mare, unione simboleggiata dal lancio di un anello d’oro in questo.
La cerimonia iniziava nella chiesa di San Nicolò ed in seguito il bucintoro
portava il doge in mare tramite il porto di San Nicolò.

- Il rituale del lancio dell’anello in mare fa riferimento ad una leggenda


secondo cui l’anello sarebbe stato regalato al doge dal papa nel 1177, quando i
Veneziani avrebbero colto una grande vittoria sulla flotta imperiale.
Anche se in realtà non vi fu nessuna battaglia, il 1177 rappresenta senza
dubbio una data fortemente simbolica: fu in quell’anno che si svolsero a
Venezia le trattative, presiedute dal doge Sebastiano Zani, che portarono alla
pace tra il papa, i comuni e l’imperatore Federico I Barbarossa (1155-1190).
La pace del 1177 fu un passo decisivo verso l’affermazione della signoria
veneziana sull’Adriatico.

- Per quanto riguarda la composizione degli equipaggi, si deve sottolineare


che le persone presenti sui mercantili e sulle galere erano pressocché le stesse,
anche se sulle imbarazioni militari vi erano molto più persone predisposte al
combattimento; una nave ben armata poteva avere anche 140-180 uomini,
mentre una roccaforte ne aveva invece un centinaio.

- Gli ufficiali principali a bordo di un vascello mercantile nel XII secolo erano
il capitano (‘’nauclerus’’) e lo scrivano di bordo (‘’scribanus’’), che non erano
solo responsabili nei confronti degli armatori, ma erano pubblici ufficiali
verso tutta le gente di mare e verso il governo veneziano.

- In mare era utilizzato il diritto romano in ambito di proprietà privata; allo


stesso tempo però esistevano anche consuetudini marittime medievali che
davano espressione giuridica all’interdipendenza della comunità marinara.
Una prima raccolta di consuetudini marittime venne compilata a Rodi
intorno al 900 d.C.

- Il sistema dei viaggi marittimi comportava una fitta rete di assicurazioni e


prestiti; per i viaggi marittimi rischiosi era utilizzato il contratto noto nel
diritto romano come ‘’prestito marittimo’’, con cui il prestatore accettava il
rischio della perdita a causa di naufragio, azione nemica o piratesca.
Nella seconda metà del Ducento si diffuse una nuova forma di contratto nota
come ‘’commenda’’ (o ‘’colleganza’’), basato sull’associazione di mercanti in
una sorta di società in cui il mercante-viaggiatore si impegnava a
corrispondere i
¾ del profitto, in caso in cui questo non vi fosse, l’investatore rimasto a casa
non riceveva alcun guadagno.

- Nonostante l’apparente ‘’sfruttamento’’ del mercante che formava la


commenda e viaggiava, in realtà questi contratti permettevano
all’organizzatore di raccogliere molto denaro senza dover per forza investire
il proprio.
I viaggio erano poi enormemente redditizzi, come mostra la carriera del
mercante-viaggiatore Romano Mairano (XII-XIII secolo).

- La categoria di mercante-marinaio venne enormemente favorita dalla


codificazione del diritto marittimo veneziano ad opera del doge Ranieri
Zeno (1253-1268).

- La nuova codificazione assegnava al capitano (prima nauclerus e ora


‘’nocchiero’’) un ruolo subordinato a quello dell’armatore-patrono.
Il capitano era tenuto a far rispettare ai marinai il giuramento previsto dalla
codificazione, ma a loro volta i marinai dovevano sorvegliare sul
comportamento del capitano.

- Il commercio veneziano era protetto, a Costantinopoli sino ad Acri, dalla


potenza navale della città, che serviva a incanalare il flusso delle sete e delle
spezie verso la laguna.

- La maggior parte delle entrate della città provenivano però dalla vendita di
sale, che era regolata dall’ufficio del sale o ‘’Camera del Sal’’, che rilasciava le
licenze agli esportatori.

- La città lagunare aveva però anche delle rivali, in primis Ravenna e Cervia,
che però furono piegate alla trattativa dai Veneziani: nel 1238 Ravenna fu
costretta ad accettare di esportare grano soltanto a Venezia.
Nel 1250 invece Venezia si impegnò con dei trattati a rifornire di sale Ferrara
e Mantova, che però erano obbligate a non acquistarne da altri produttori; ciò
mandò in rovina l’economia di Cervia.
- Anche nel commercio di grano Venezia si impose sulle rivali: pur mirando a
sfamare la propria popolazione, la città riuscì a divenire il centro principale
del commercio di grano di tutta l’Italia Nord-orientale.

- L’abbondanza di grano dipendeva soprattutto dalla capacità dei Veneziani


di rifornirsi in tutto il Mediterraneo: Sicilia, Grecia, Balcani, Egitto, Berberia
e nella seconda metà del XII secolo anche dal Mar Nero.
Quando una carestia sembrava imminente dunque, erano concessi speciali
incentivi alle navi straniere affinché portassero grano a Venezia, che era poi
venduto a prezzi fissati dai ‘’Commissari del Grano’’.

- Molto più variabile era invece il commercio interregionale, che Venezia


cercava di potenziare in primo luogo attraverso l’esclusione dei concorrenti
potenziali, specialmente Ferrara/Ancona/Zara.

- Le crociate contribuirono enormemente alla richiesta di merci orientali


(spezie, zucchero, seta); mentre il legno, che come detto in precedenza era
una delle merci esportate maggiormente, finì intorno al 1250 per essere
sorpassato dalle lanerie, che confluivano a Venezia principalmente dai Paesi
Bassi, dalla Francia (Champagne) e dall’Inghilterra.

- Il punto di snodo delle merci era per tradizione Ferrara, le cui fiere erano
frequentate anche da Tedeschi, che portavano qui le loro merci per scambiarle
con i prodotti dell’Oriente.
Dalla Germania fluiva una grande quantità d’argento, a seguito della
scoperta nel XII secolo di nuove miniere d’argento.

- Venezia aveva l’ambizione di sostituirsi a Ferrara come principale emporio


del Mediterraneo, ossia come esclusivo centro di commercio e scambio;
nacque a Rialto anche un ‘’fondaco dei Tedeschi’’ (1228).
A permettere il sorpasso furono anche i conflitti tra Papato e Impero, che
coinvolsero Ferrara, che nel 1230 fu costretta a concedere alle navi veneziane
l’esenzione dal pagamento delle gabelle.

- Nel 1240 i Veneziani ebbero anche l’occasione per imporre la loro volontà
sull’estuario del Po’: in quell’anno il signore di Ferrara si schierò con Federico
II di Svevia (1194-1250) e il papa chiese l’aiuto di Venezia per conquistare la
città.
L’intervento veneziano costrinse gli Este ad accettare un trattato che lasciava
a Venezia il controllo del commercio di Ferrara con l’Adriatico; nel 1258 fu
costruita anche la raffocarote di Marcamò (‘’grido del mare’’) sulla foce più
meridionale del Po’.

- Altro importante trattato di questi anni furono quelli conclusi con Ancona
nel 1264, che costrinse la città marchigiana a riconoscere il sistema
monopolistico veneziano; la IVa Crociata permise invece di imporre l’autorità
veneziana sulla Dalmazia.
- L’area rimase però molto difficile da controllare per diverso tempo: Zara
soprattutto, si dimostrò notevolmente riottosa e difficile da sottomettere in
via definitiva, vista la sua preferenza per la sovranità del Regno d’Ungheria.
La fazione filo-ungherese, sostenuta anche da Genovesi e Pisani, diede vita ad
una poderosa rivolta nel 1243, che fu repressa molto duramente da Venezia.

- La Puglia era invece una regione molto più fertile della rocciosa Dalmazia, e
aveva anche un’importanza economica molto maggiore.
I governanti della Puglia dediero inizialmente ai Veneziani ampia libertà di
esportazione, e nel 1257 essi accettarono anche la signoria veneziana
sull’Adriatico.

- I Veneziani non monopolizzaro mai il commercio escludendo i forestieri,


anzi, essi cercarono di far sì che gli stranieri scambiassero le merci solo a
Venezia.

- L’odio e l’invidia nei confronti del nuovo status assunto da Venezia fu spesso
all’origine dei conflitti del Tardo-Duecento/Trecento.
Furono questo tipo di tensioni che portarono allo scoppio della guerra di
Ferrara (1308-1309), causata principalmente dall’ostilità dei Lombardi per la
costruzione della fortezza di Marcamò.

- Nel 1308 i Veneziani cercarono di impadronirsi politicamente di Ferrara


approfittando della guerra civile estense, che spinse Fresco d’Este, a chiedere
l’aiuto dell’esercito lagunare.
Fresco cedette ai Venezia la fortezza di Castel Tedaldo, che dominava il ponte
sul Po’: fu a questo punto che entrò in gioco papa Clemente V (1305-1314),
che aveva ricevuto dall’altro contendente, Francesco d’Este, il dominio sulla
città.

- Il papa chiese ai Veneziani di abbandonare Castel Tedaldo, ma al rifiuto di


questi egli decise di lanciare un interdetto contro Venezia, che alla fine venne
scomunicata.
Nonostante il papa fosse allora un francese (siamo nella fase della cosiddetta
‘’cattività avignonese’’, 1309-1377), i vicini di terraferma dei Veneziani
cominciarono a depredare i mercanti lagunari.

- Venezia non si piegò però alle richieste del papa, ma continuò a pattugliare
le foci del Po’, e quando Zara si ribellò nuovamente nel 1311, essi lanciarono
una durissima repressione.
Nel corso di questa fase i Veneziani trovarono un valido alleato in Verona,
con cui fu stretto un patto per la costruzione di un canale fra Adige e Po’, che
potenzialmente avrebbe causato la rovina economica di Ferrara.

- Ciò indusse il papa a ritirare l’interdetto e ad annullare la scomunica: si


arrivò così alla pace del 1309, per la quale i Veneziani pagarono al pontefice
un’indennità di 100.000 ducati, ma ottenevano la riconferma che tutte le navi
ferraresi dirette verso l’Adriatico dovevano transitare per Venezia.

- Nel XIV secolo questa signoria veneziana sull’Adriatico era ormai del tutto
riconosciuta, tuttavia essa suscitava ammirazione e invidia allo stesso tempo.
Da parte veneziana, in primo luogo nell’ambito della cronistica, si portò
avanti la posizione secondo cui la città esercitava da tempo immemorabile un
dominio legittimo e totale sull’Adriatico.

- Fuori dall’Adriatico la natura del potere marittimo veneziano era del tutto
diversa.
Nell’Europa medievale nessuna flotta esercitava un dominio assoluto,
tuttavia Venezia arrivò molto vicina ad un dominio di questo tipo nel mare
Adriatico.
E dopo la conquista di Costantinopoli la città lagunare raggiunse un controllo
marittimo simile anche nel Mediterraneo orientale.

- I convogli mercantili, terrestri e marittimi, seguivano due linee di traffico: la


prima era quella verso la Romani (ossia verso tutte quelle aree che facevano
parte dell’Impero Bizantino pre-1204), la seconda era quella verso i territori
d’Oltremare (ossia Cipro, Palestina, Siria ed Egitto).

- Un momento decisivo nell’espansione nel Levante fu la Bolla d’Oro del


1082, che garantì ai Veneziani privilegi ed esenzioni di cui nessun’altra città-
Stato italiana (né Genova, né Pisa) godeva.
I Veneziani stabiliron poi loro basi commerciali in luoghi chiavi del traffico
verso il Levante, come Corinto.

- La vera perla del dominio veneziano era però ovviamente Costantinopoli,


verso la quale, secondo una leggenda, si pensò ad una migrazione di massa
per trasferire lì la sede del governo.

- I viaggi verso la Romania erano organizzati stagionalmente: le fermate più


importanti erano Negroponte, Capo Malea e Capo Matapan, Costantinopoli
ovviamente e anche Candia/Creta.
Proprio da Creta partivano le navi dirette verso l’Oltremare, dirette dunque
in primis verso Rodi e Cipro, e che avevano come meta ultima la città crociata
di San Giovanni d’Acri.

- Ad Acri giungevano le costose e remunerativissime merci provenienti dalla


Siria, dall’interno della Palestina e dall’Egitto, oltre che i prodotti giunti
dall’Asia: pepe, chiodi di garofano, seta, noce moscata, zenzero, zucchero.
L’Egitto era invece una meta d’interesse per i Veneziani solo nei momenti in
cui i crociati non tentavano di impossessarsene.

- Ad Acri i Veneziani godevano di diversi spazi: di fatto avevano un quartiere


per loro, dotato di macelleria, forno, chiesa, consolato/centro amministrativo
e fondaco.
- Fu alla metà del Ducento che i Veneziani furono costretti a confrontarsi con
il crescente potere di Genova, che a sua volta era riuscita ad espandere i
propri interessi commercialin nel Levante al tempo delle crociate.

- Genova non aveva mai avuto più della metà della popolazione di Venezia,
né aveva la compattezza governativa della rivale (qui le lotte tra le fazioni
erano continue e portavano a continui rovesci di potere), tuttavia tra 1110-
1250 la città ottenne il dominio (almeno nominale) su tutta la Liguria.

- Le lotte interne non impedirono come detto l’espansione commerciale dei


liguri, che inizialmente non preoccupò Venezia in quanto essa era molto più
interessata a limitare il potere dei Pisani, ghibellini tra le altre cose (guelfe
erano invece Genova e Venezia stessa).

- Differentemente da quanto si potrebbe pensare, alle origini del conflitto


veneziano-genovese non vi furono solo motivazioni economiche, ma anche
l’odio e la vanagloria.

- La prima guerra veneziano-genovese, nota come Guerra di San Saba (1255-


1270) fu scatenata da una serie di incidenti avvenuti ad Acri, che culminarono
nell’uccisione di un genovese da parte di un veneziano, cosa che causò
l’assalto dei Liguri al quartiere dei rivali.

- La guerra inizialmente fu soprattutto combattuta a distanza, il primo grande


scontro si ebbe solo dopo tre anni dall’inizio del conflitto: nel 1258
l’ammiraglio e futuro doge veneziano Lorenzo Tiepolo (?-1275) colse sui
Genovesi una vittoria straordinaria nella battaglia di Acri.

- Tre anni dopo questa grande vittoria però, i Veneziani subirono un terribile
rovescio nel Levante: nel 1261 l’imperatore di Nicea Michele VIII Paleologo
(1261-1282) riuscì a riconquistare Costantinopoli, ridando vita all’Impero
Bizantino.

- Michele VIII si aspettava che i Veneziani tentassero immediatamente di


riprendersi la città, motivo per cui decise di stipulare un’alleanza con i
Genovesi.
Il trattato di Ninfeo (1261) servì a portare nell’Egeo abbastanza flotte
genovesi da spingere i Veneziani a rinunciare ad un attacco diretto alla
capitale imperiale.

- Nel 1262 i Genovesi riuscirono a resistere ai Veneziani nel porto di


Tessalonica, tuttavia l’anno seguente essi furono sconfitti dalla flotta
veneziana a largo di Monemvasia (Morea) nella battaglia di Settepozzi
(1263).

- Per due anni i Genovesi riuscirono ad evitare un confronto diretto con la


flotta nemica, tuttavia essi subirono un’ulteriore disfatta nella battaglia di
Trapani (1266).

- Le vittorie veneziane, per quanto decisive e nettissime, non poterono mai


compensare i costi enormi di una guerra che aveva avuto come conseguenza
diretta la perdita di Costantinopoli.
A lungo andare l’ostilità fu logorante economicamente, soprattutto a causa
della politica genovese di assalire i convogli mercantili veneziani: nel 1264
l’ammiraglio genovese Grillo riuscì a catturare diverse imbarcazioni
mercantili, tra cui una Roccaforte.

- Venezia era dunque disposta alla pace, sia perché consapevole di aver colto
tre schiaccianti vittorie (che avevano ‘’soddisfatto l’onore’’), sia perché il
commercio soffriva.
La pace del 1270 arrivò però soprattutto perché entrambe le potenze colsero
l’opportunità economica di trasportare l’esercito crociato guidato dal re di
Francia Luigi IX il Santo (1226-1270).

- Nei venticinque anni successivi le due città portarono avanti la loro


straordinaria espansione commerciale e marittima, e soprattutto i Genovesi
misero fine alla potenza pisana, distruggendola dopo la battaglia della
Meloria (1284).

- L’espansione genovese, per quanto eccezionale, non garantì mai alla


‘’Superba’’ (come l’avrebbe definita Petrarca in una lettera) un insieme di
posizioni paragonabile a quello dei Veneziani, che avevano Modone, Codone,
Negroponte, Creta.

- I Genovesi avevano però ottenuto da Michele VIII la possibilità di costruire


una loro colonia al di là del Corno d’Oro, Pera, nel 1273.
Inoltre essi si erano imposti come la principale potenza nel Mar Nero, dove
avevano scelto Caffa, in Crimea, come principale porto (ben protetto dai
venti del Nord) in quell’area.

- Anche Venezia crebbe tra il 1270 e il 1290, specialmente nell’ambito della


vendita di tessuti provenienti dalla Germania e dalle Fiandre.
Le caratteristiche del commercio nel Levante stavano però per cambiare,
come ovvio a seguito della perdita di Costantinopoli.

- Il commercio era destinato a cambiare anche perché la situazione euro-


asiatica era stata definitivamente alterata dalla straordinaria espansione
mongola, avvenuta tra XII e XIII secolo e guidata da Gengis Khan (1162-
1227).
L’impero creato dai Mongoli diede vita ad una fase di unità nell’area
euroasiatica, che ebbe come prima conseguenza una notevole espansione
commerciale.

- Le possibilità offerte dalla ‘’pax mongolica’’ sono illustrate dalla storia della
famiglia Polo, prima quella dei fratelli Matteo e Niccolò, e poi dal figlio di
quest’ultimo Marco (1254-1324).

- I membri della famiglia Polo raggiunsero e operarono dapprima Tabriz


(dove operò un altro veneziano, Pietro Viglioni, di cui possediamo il
testamento), per poi raggiungere persino la Cina di Qubilai Khan (1260-
1294).
Marco Polo raggiunse la Cina quando aveva appena vent’anni, e vi rimase
sino al 1295, quando fece ritorno a Venezia.

- Secondo quanto contenuto nel testo che narra del suo lunghissimo
soggiorno in Estremo Oriente, Le divisemente du monde (noto anche come Livre
du merveilles du monde, e in italiano come Il Milione), egli dettò l’opera ad un
tale Rustichello da Pisa (?-?, XIII/XIV secolo) mentre si trovava prigioniero
dei Genovesi, che lo avevano catturato nel corso di una battaglia nel 1298.

- Al di là degli elementi etnografici e di quelli appartenenti all’alveo del


meraviglioso, la vicenda di Marco Polo è esemplificativa di una nuova
necessità per le potenze marittime italiane: aggirare il mondo musulmano
(nel 1291 caddero Acri, Tiro e Tripoli, le ultime roccaforti cristiane in
Palestina) per poter partecipare al ricchissimo commercio dell’Asia centrale.

- La caduta di Acri rese Laiazzo (vicino ad Adana, in Turchia) un centro


naturale di conflitto nella nuova guerra con Genova, con la quale era stata
rinnovata più volte la pace del 1270.
Uno degli esiti più importanti di questa pace fu che i Veneziani furono
riammessi a commerciare nel Mar Nero; nel 1291 essi conclusero anche un
accordo con l’Orda d’Oro (un khanato mongolo).

- La tensione tra le due potenze era ormai visibile, ed era evidente che
entrambe stavano solo aspettando un pretesto per riaccendere le ostilità.
Questo arrivò nel 1293, quando un convoglio veneziano fu attaccato: ebbe
così inizio la seconda guerra veneziano-genovese (1293-1302).

- I Veneziani inviarono allora una flotta verso il Levante, pensando di cogliere


una grande vittoria come anni prima ad Acri, tuttavia essi furono sconfitti
nella battaglia di Laiazzo (1294).
Negli anni seguenti entrambe gli schieramenti preferirono condurre la guerra
attraverso continui attacchi ai convogli e alle colonie nemiche.

- Galvanizzati dal successo del 1294, i Genovesi allestirono un’enorme flotta


di 165 galere per un totale di 35.000 uomini di equipaggio; anche i Veneziani
nel frattempo reclutarono una grande armata navale.
Lo scontro tra le due enormi flotte avvenne però solo nel corso della battaglia
di Curzola (1298), che fu il più grande scontro tra le due città e che si confluse
con la vittoria genovese.
Le perdite della flotta furono però così ingenti che l’ammiraglio genovese
Lamba Doria (1245-1323) non aveva più le forze necessarie per assalire la
laguna.

- Le due potenze giunsero infine alla pace nel 1302, secondo la quale i
Veneziani riconoscevano il dominio genovese sulla Liguria, e i Genovesi
quello veneziano nel ‘’Golfo’’ (l’Adriatico).
Si deve segnalare che nel corso di questo conflitto i Veneziani appoggiarono
la conquista di Monaco (1297) da parte del ghibellino Francesco Grimaldi
(detto anche Malizia, ?-1309).
La guerra ancora una volta non fu vinta da nessuno, anche se stavolta a
cogliere i maggiori successi militari erano stati i Genovesi.

- Alla lunga però furono soprattutto le debolezze amministrative di Genova


che avrebbero determinato il futuro successo veneziano e il lento declino
della Superba, nonostante quest’ultima fosse ormai superiore nell’arte
marinara.
A decidere fu in sostanza l’organizzazione sociale, nella quale ‘’i talenti di
Genovesi e Veneziani variavano di molto’’.

DAL DUCATO AL COMUNE

- Il mito più antico di Venezia era senza dubbio quello della sua nascita
indipendente e sovrana, che però non trova fondamento storico, visto che
come sappiamo la città faceva parte dell’Impero Bizantino.
Eppure a questa teoria danno credito cronisti importanti come il doge Andrea
Dandolo, secondo cui nel 697 d.C. i Veneziani si riunirono di propria
iniziativa e si diedero un unico capo: un ‘’dux’’.

- Il culto di San Marco rafforzò questo sentimento d’indipendenza; il corpo


del Santo venne trafugato da due mercanti ad Alessandria e fu portato a
Venezia, dove fu consegnato al doge e non al vescovo.
Questo evento ci fa comprendere che i Veneziani, come tutti nel Medioevo, si
consideravano una comunità religiosa, che però aveva come proprio capo il
doge e non il vescovo.

- Altro mito della Venezia originaria era il fatto che essa fosse priva di
fazioni, leggenda che fiorì nel XVI secolo e che ancora una volta non tiene
conto delle enormi tensioni dei secoli precedenti.

- I dogi della famiglia Candiano, tra IX e X secolo d.C., cercarono di costituire


un dominio dinastico nella laguna: Pietro IV Candiano (959-976 d.C.) sposò
la figlia del marchese di Toscana e chiese anche supporto all’imperatore
Ottone I (912-973 d.C.).
Tuttavia nel 976 d.C. i suoi rivali aizzarono la folla contro la sua famiglia, il
cui palazzo fu dato alle fiamme, costringendo il doge e la famiglia ad uscire
in strada, dove furono massacrati.
- Un altro mito era quello che rappresentava il governo veneziano come una
tirannide oligarchica, che dominava tramite il terrore e l’uso di spie, torture e
veleni; una narrazione sorta tra i nemici spagnoli di Venezia in epoca di
Controriforma.

- I cronisti antichi ci parlano spesso di ‘’populus’’ per riferirsi all’intera


comunità, e non necessariamente per distinguerlo dalla nobiltà.
Le famiglie erano considerate nobili per la loro ricchezza, i servigi militari, le
relazioni ecclesiastiche, i servigi militari o per lo stile di vita; tutti fattori che
però non comportavano privilegi giuridici.

- I Veneziani avevano una concezione del potere che rientrava perfettamente


nella logica medievale: il potere del doge derivava dal basso, ossia dalla
comunità, che creava anche le leggi.
Allo stesso tempo però i Veneziani guardavano anche alla teoria
‘’discendente’’ del potere, per cui i sovrani erano investiti direttamente da
Dio.
Il doge dunque derivava sì il suo potere dal popolo, però esso era divenuto
sovrano anche ‘’per clemenza del Creatore da cui tutto dipende’’.

- Nei secoli IX, X e anche XI il doge era di fatto un monarca con poteri
illimitati, che vennero in seguito temperati attraverso la creazione
progressiva di organi consultivi.
Il processo di costituzione di questi organi ebbe inizio nel 1032, quando
venne rovesciata la famiglia Orseolo e venne eletto doge un ‘’uomo nuovo’’,
ossia Domenico Flabanico (1032-1041).

- Con l’espansione commerciale, dovuta anche e soprattutto ai privilegi


ricevuti dagli imperatori bizantini, le ‘’famiglie nuove’’, ossia quelle che
riuscivano ad attuare una scalata sociale, si moltiplicarono e affiancarono così
quelle ‘’antiche’’, che affermavano cioè di discendere dagli antichi tribuni
romani.

- Nell’antica Venezia la sovranità suprema spettava teoricamente all’Arengo/


Concio, ossia l’assemblea popolare, che si riuniva per eleggere il doge; l’unico
caso che possediamo di vera e propria proclamazione popolare del doge è
quella del 1071, che portò all’ascesa al soglio dogale di Domenico Selvo.

- I nobili che si affiancavano al doge agivano come suoi giudici e consiglieri:


costoro rappresentarono il primo esempio a Venezia di assistenza al potere
dogale, che fino al XII secolo rimase una sorta di corona, che se possibile, si
cercava di tramandare ai propri eredi.

- Venezia nel corso del Basso Medioevo seguì il percorso delle altre città del
settentrione italiano, riuscendo però a divenire una compagine comunale più
solida.
La svolta istituzionale ebbe inizio a Venezia nel 1172, quando il doge Vitale II
Michiel riportò in laguna la flotta con cui aveva aggredito l’imperatore
bizantino Manuele I Comneno.

- Da quasi settantacinque anni ormai i Michiel occupavano il seggio dogale, e


lo stesso Vitale II si era circondato di consiglieri provenienti dai propri ranghi
familiari, cosa che lo mise in contrasto con i suoi consiglieri, che gli
rivoltarono contro il popolo, che lo uccise nel 1172 presso la Chiesa di San
Zaccaria.

- Fu dunque nel decisivo anno 1172 che il Consiglio ducale assunse il potere,
forzando i dogi a non agire mai più contro il parere dei suoi consiglieri: fu un
momento decisivo nella trasformazione del dogato in magistratura.

- Già dal 1143 i dogi erano ormai assistiti da un gruppo di consiglieri ricordati
come ‘’sapientes’’, che si consultavano (e manovravano) nel momento in cui
si doveva presentare al popolo la candidatura di un nuovo doge.
Anche alla morte di Vitale II Michiel questi uomini tramarono per far sì che
fossero elette persone a loro comode: prima Sebastiano Ziani (1172-1178) e
poi Oro Mastropiero (1178-1192), due tra gli uomini più ricchi di Venezia.

- Sia Ziani che Mastropiero si dimisero dall’incarico prima di morire, tuttavia


la loro politica di espansione del prestigio del Comune (è già stata ricordata la
vicenda della pace di Venezia del 1177) fu perseguita dal loro successore
Enrico Dandolo, conquistatore di Costantinopoli e del suo argento nel 1204.
La crescita del prestigio dogale fu però compensata dall’aumento di prestigio
anche di molte famiglie aristrocratiche, come i Dandolo per l’appunto; si
ricordi che mentre Enrico Dandolo si trovava in Romania, suo figlio Ranieri
fu vice-doge in patria, fece compilare un codice migliorato delle leggi
veneziane e in seguito conquistò Corfù.

- A succedere ad Enrico Dandolo fu però Pietro Ziani (1205-1229), che portò


avanti l’espansione in Romania: fu lui che affidò a Ranieri Dandolo la flotta
che conquistò Corfù, Codone e Modone.

- Pietro Ziani si ritirò a vita privata nel 1229, anno in cui a contendersi il
dogato furono un nipote di Enrico Dandolo, Marino Dandolo, e Giacomo
Tiepolo (1229-1249); la commissione elettiva, che ora era di quaranta membri,
era spaccata a metà (venti per Tiepolo, venti per Dandolo).

- Giacomo Tiepolo fu eletto tramite sorteggio, risultato accettato da Marino


Dandolo, al contrario il vecchio doge Ziani si rifiutò di vedere il suo
successore quando esso chiese di potergli rendere omaggio.
L’episodio testimonia la presenza di una netta frattura tra le famiglie vicine ai
Tiepolo e quelle vicine ai Dandolo.

- Nonostante gli sforzi, i dogi si servivano ovviamente della loro carica per
accrescere il prestigio delle loro famiglie , cosa che ovviamente aveva però
il risultato di aumentare i contrasti.

- In seguito fu creata una commissione incaricata di controllare l’attività del


doge defunto, per costringere eventuali eredi a versare dei risarcimenti in
caso essi avessero accettato dei donativi.

- Venezia non aveva un documento costituzionale, la cosa che più si


avvicinava a quest’ultimo nella città lagunare era la Promissione, il
giuramento dogale.
Si può parlare di ‘’costituzione veneziana’’ negli stessi termini in cui si può
parlare di una ‘’costituzione inglese’’, ossia non di un singolo documento, ma
di un insieme di statuti diversi e consuetudini accettate da lungo tempo.

- Gli organi centrali di governo formavano una piramide: alla base vi era
l’Assemblea Popolare e al vertice il doge, fra i quali vi erano il Maggior
Consiglio, i Quaranta e il Senato, il Consiglio ducale.

- Assemblea Popolare: si adunava dentro alla Chiesa di San Marco per


ratificare le leggi fondamentali e acclamare il doge scelto dalla commissione
di designazione.

- Maggior Consiglio: nel Duecento esso era al centro del potere, esso aveva al
suo interno tutti i cittadini di Venezia che contavano qualcosa; troppo grande
dunque per le deliberazioni.

- Quarantia e Senato: erano organi deliberativi; la Quarantia era il vertice del


sistema giudiziario e aveva il compito di organizzare la legislazione
monetaria e finanziaria.
Essa dopo il dominio nel Duecento fu messa in ombra dal Senato (o
‘’Consiglio dei Pregadi’’), in origine comitato di sessanta membri con compiti
relativi alla diplomazia e alla flotta.

- Consiglio ducale: dopo il 1178 i consiglieri ducali furono sei, uno per ogni
sestiere della città. Alla morte del doge i consiglieri ducali avviavano la
procedura per l’adozione di eventuali riforme ritenute opportune.

- Signoria: si potrebbe dire il governo, formato dai tre capi della Quarantia, il
doge e i sei consiglieri ducali.La Signoria nominava i comandanti delle flotte
e delle galere.

- Nella terraferma italiana i vari comuni entravano nella cosiddetta fase


‘’podestarile’’, in cui si affidava la massima carica comunale, quella di
podestà per l’appunto, ad un forestiero, quindi ad un cittadino imparziale.
Al contrario i Veneziani sceglievano tra di loro la massima carica dello Stato,
a riprova del fatto che la più grande differenza tra Venezia e le altre città Stato
italiane era il lealismo della cittadinanza.
- Anche la Chiesa di San Marco diede origine ad una magistratura particolare,
i Procuratori di San Marco, la cui carica era vitalizia e che avevano in origine
il compito di amministrare i fondi in dotazione della Chiesa e di provvedere
all’abbellimento dell’edificio.
Inizialmente vi era un solo Procuratore nel XII secolo, poi si passò a quattro
nel XIII e dopo che essi cessarono di ricevere uno stipendio divennero nove.

- Il governo locale era poco più burocratizzato di quello centrale: Venezia era
organizzata in sessanta contrade, ognuna dotata di una sua parrocchia e
ognuna costituente una piccola comunità compatta.
Ogni contrada aveva un parroco, scelto dai proprietari di casa e ratificato dal
vescovo, e aveva dei capi, che erano nominati dal doge e dal suo consiglio.

- Il servizio di polizia era del tutto in mano a questi capi-contrada; solo più
tardi furono nominati dei funzionari appositi, i ‘’Signori di Notte’’,
responsabili soprattutto del mercato di Rialto.

- Fuori da Venezia erano invece inviati dei podestà/rettori scelti dal doge o
dal Comune veneziano, che erano poi inviati nelle principali città dell’Istria, a
Chioggia o nelle città della Dalmazia.

- Al di fuori dell’Adriatico le colonie veneziane sorsero in due modi diversi:

1) Colonie mercantili, spesso quartieri commerciali concessi ai Veneziani dai


poteri locali e dove vigeva una sorta di autogoverno informale basato sugli
statuti marittimi: a questa categoria appartiene la colonia veneziana ad Acri.

2) Colonie nell’ex-Impero Bizantini, dove erano invece inviati governatori


che dovevano far rispettare il potere veneziano; il più importante di questi
funzionari era il duca di Creta. Questi governatori erano eletti dal Maggior
Consiglio.

- Costantinopoli rappresentava un caso particolare: al momento della


conquista nel 1204 i Veneziani in città elessero un loro capo, Marino Zeno,
che divenne il primo bailo veneziano sul Bosforo, ossia il console
commerciale, governatore locale e ambasciatore presso gli imperatori latini
d’Oriente.

- Tutti i funzionari veneziani dovevano poi rispondere agli ‘’Avogadori di


Comun’’, che avevano il compito di intentare azioni legali in situazioni che
coinvolgevano gli interessi del Comune.
Essi potevano dunque sottoporre a giudizio i funzionari che tardavano a
consegnare fondi dovuti ai tesorieri di Stato, i ‘’Camerlenghi di Comun’’.
Gli Avogadori potevano dunque dare sanzioni al fine di tutelare la ‘’legalità
costituzionale’’, inoltre essi potevano anche intentare processi per
negligenza.
- La moltiplicazione dei funzionari fu uno degli elementi decisivi per la
trasformazione di Venezia da ducato a Comune, ossia da una forma di
governo monarchica ad una aristocratica (di fatto le persone addette ad
incarichi amministrativi erano 500).

- La concentrazione del potere nelle mani di una ristretta cerchia di famiglie


conferisce a Venezia una natura senza dubbio oligarchica, un tratto che però
si sarebbe accentuato solo nei secoli successivi.
Per questo all’altezza del Due-Trecento per Venezia si può parlare ancora di
una vera aristocrazia, nel senso di un governo di tutto il ceto nobiliare.

- Lo sviluppo costituzionale veneziano differì molto da quello delle altre


città-Stato italiane, mentre tra il 1000-1250 la direzione politica fu pressocché
la stessa.

- Dal 1250 i cittadini esclusi dalle cariche chiesero di poter partecipare alla
vita dello Stato in maniera più attiva, è una rivoluzione ricordata come
‘’ascesa del popolo’’; processo a cui però non parteciparono i ceti più bassi,
che continuarono a non valere nulla politicamente.

- Al processo parteciparono il ‘’popolo minuto’’ (artigiani e bottegai) e il


‘’popolo grasso’’, ossia i mercanti e i proprietari terrieri, che avevano molti
interessi in comune con i nobili, da cui differivano solo per la maggiore
giovinezza della loro ricchezza.

- Un evento determinante per la storia della città fu la nascita delle


corporazioni, che imposero regolamenti alle varei professioni: regolamenti
che erano di competenza di tre giudici, o ‘’Giustizieri’’, istituiti nel 1173 dal
doge Sebastiano Zani.

- Il moltiplicarsi di artigiani e bottegai ebbe come conseguenza la produzione


di una nuova regolamentazione da parte del governo, ma anche la nascita
delle confraternite (chiamate a Venezia ‘’scuole’’).
Queste erano di natura laica, ma avevano una natura prevalentemente
religiosa e assistenziale; queste alla fine del XII secolo erano già quattordici.
Si trattava di associazioni di carattere volontario a fini di culto e di mutua
assistenza, che non intaccavano dunque le aree di competenza delle
corporazioni.

- Le corporazioni potevano talvolta divenire anche molto potenti in ambito


economico, arrivando in alcuni casi ad imporre dei meccanisci da ‘’cartelli’’: la
corporazione dei sarti, ad esempio, si mise a fissare prezzi e a boicottare i
consumatori che non accettavano le sue condizioni.
Per questo motivo furono creati i Giustizieri, i quali decisero di proibire la
determinazione unilaterale dei prezzi e nel 1219 misero a revisione gli statuti
della corporazione.
- I marinai erano senza dubbio la categoria sociale più numerosa, tuttavia
non ebbero mai una loro corporazione: erano infatti troppo numerosi e inoltre
la loro attività era controllata dal comune stesso, che come sappiamo aveva
introdotto nel 1255 il giuramento prescritto dal codice marittimo.

- Nel 1260 cominciarono a manifestarsi fra i membri delle corporazioni moti


pericolosi per gli ordinamenti, cosa che spinse il Maggior Consiglio ad
introdurre il divieto di formare associazioni contrarie all’onore del doge o
del suo consiglio.

- Si trattava di un periodo di forti tensioni, acuite dalla guerra con Genova,


che danneggiava il commercio; nel 1265 le imposizioni fiscali generarono una
sommossa, costringendo il doge Ranieri Zeno a mostrarsi benevolo con i
sedizioni, che in seguito avrebbe fatto impiccare.

- Nello stesso periodo la lotta politica tra Tiepolo e Dandolo degenerò nello
scontro fisico quando Giovanni Dandolo (o un suo partigiano) ferì in piazza
San Marco Lorenzo Tiepolo.

- Ogni pericolo venne meno grazie alla saggia guida del doge Lorenzo
Tiepolo (1268-1275), che ricevette le delegazioni delle corporazioni e che
promise loro che in nessun caso le leggi approvate negli anni precedenti
avrebbero portato alla loro distruzione.

- Furono rivisti anche gli statuti di diverse corporazioni, e si decise che il


gastaldo messo a capo di queste non sarebbe stato scelto dal doge, ma dai
membri delle corporazioni stesse ed infine approvvato dai Giustizieri.
C’erano poi anche altri funzionari attivi nelle corporazioni, circa una dozzina,
scelti da un comitato nominato da funzionari uscenti oppure per sorteggio,
alcuni dei quali collaboravano col gastaldo.

- Le corporazioni non erano monopoli chiusi, erano accessibili anche agli


stranieri residenti a Venezia, che dovevano solamente adeguarsi ai
regolamenti.
In ogni caso si deve ricordare che le corporazioni ebbero sempre nel corso
della storia di Venezia una posizione subalterna nei confronti dello Stato.

- Su tutta la vicenda delle corporazioni i cronisti veneziani spendono poche


parole, preferendo invece concentrarsi su eventi come le festività in cui doge
e dogaressa ricevevano le corporazioni (si veda il princiapale cronista del
dogato di Lorenzo Tiepolo, Martino da Canal, XIII secolo).

- Il ‘’popolo minuto’’ non era scontento dell’esclusione politica, e una delle


ragioni di ciò era la possibilità per i suoi membri di ricevere cariche e
impieghi onorifici.
Altri elementi che mantenevano il popolo contento erano la disponibilità di
cibo e l’idea di egualità nella gustizia; fattori come questo spiegano perché la
classe aristocratica riuscisse a governare a Venezia senza l’uso della forza.

- Venezia riuscì a frenare le faide tra famiglie nobiliari grazie a quella


tradizione di lealismo universitario verso lo Stato che aveva ereditato dal
mondo bizantino.
La brevità dei mandati, la non rieleggibilità immediata, il grande numero di
uffici e consigli, l’impossibilità di fare campagna per la propria candidatura e
il fatto che nessuna famiglia potesse avere più di un membro in seno al
Consiglio Ducale; nel sistema veneziano era di fatto ‘’la carica che cercava
l’uomo’’.

- Alcuni incarichi erano inseguiti perché lucrosi, altre invece erano inseguite
per il loro prestigio, anche se notevolmente costose (si pensi alla carriera
diplomatica, che spesso anche i ricchi cercavano di evitare).

- I Veneziani evitarono (e in questo furono presi a modello dai padri fondatori


degli Stati Uniti) come la peste i partiti, che nella loro concezione erano delle
minacce per la libertà.

- Per limitare le ostilità tra fazioni il meccanismo di scelta dei membri dei
consigli e delle magistrature avveniva in due fasi: quella della nomina o
designazione (‘’electio’’) e l’approvazione (o elezione).
Sembra che inizialmente le nomine fossero tutte fatte dal doge e dal suo
consiglio, mentre alla fine del Duecento sorsero commissioni i cui membri
erano sorteggiati.

- Dopo il 1272 furono stabilite due commissioni di designazione, ciascuna


eletta per sorteggio, che avrebbero dovuto presentare un candidato o una lista
di candidati nello stesso giorno.
L’immediatezza richiesta alle commisioni permetteva di evitare ogni forma di
propaganda personale; si deve ricordare che il fatto di dover ottenere anche
l’approvazione del Maggior Consiglio era una salvaguardia contro la scelta
di persone incompetenti.

- Ci sono comunque casi documentati di progetti di campagna elettorale:


Niccolò Querini e il figlio Matteo tentarono, invano, di essere nominati
governatori di Negroponte.

- La carica più ambita era ovviamente dogato, per la quale le grandi famiglie
erano sempre pronte a scannarsi.
Per questo motivo si cercò di rendere complicare al massimo il sistema di
elezione, dotandolo di complessi sistemi di elezione e sorteggio che solo
dopo varie fasi portavano all’elezione dei 41 elettori definitivi che eleggevano
il doge, che infine doveva essere approvato dall’Assemblea Popolare.

- Il meccanismo appare di primo acchito una sorta di ‘’reductio ad


absurdum’’, che però permettevano di confondere gli schieramenti.
Ciò comunque non eliminò le fazioni: le rivalità familiari continuarono ad
esistere, anche se sarebbero state attenuate dalla riforma sulla composizione
del Maggior Consiglio.

- Alla fine del Duecento i meccanismi di scelta dei membri del Maggior
Consiglio erano approssimativi e aleatori; un margine di incertezza che
sarebbe aumentato a fine Duecento.

- Il Maggior Consiglio era costituito da una maggioranza di nobili, ma anche


da un certo numero di cittadini comuni.
I rischi legati alla composizione del Maggior Consiglio a fine Duecento erano
di due tipi: vi era chi temeva l’eccessivo ingresso di famiglie ‘’nuove’’, e chi
invece temeva che l’aumento degli immigrati e il maggior potere degli
arricchiti non permettesse ai discendenti delle famiglie ‘’antiche’’ di trovare
posto nel Maggior Consiglio.

- Nel 1286 e poi nel 1296 furono avanzate delle proposte per la modificca del
membri del Maggior Consiglio: sulla mozione del 1286, che fu bocciata,
possediamo una notevole documentazione.
Essa proponeva una trasformazione che escludeva dalla ratifica coloro i cui
antenati avessero già fatto parte del Maggior Consiglio; non stupisce che il
fallimento della mozione fu dovuta all’opposizione in blocco di tutte le
famiglie della nobiltà ‘’antica’’, schieratesi attorno al doge Giovanni Dandolo
(1280-1289).

- La riforma del 1297 diede invece inizio alla cosiddetta ‘’Serrata del Maggior
Consiglio’’.
La riforma prevedeva che venisse eliminato ogni limite numerico alle
dimensioni del Consiglio, di cui avrebbero d’ora in poi fatto parte solo coloro
che ne facevano parte o ne avevano fatto parte negli ultimi quattro anni, se
approvvati con almeno dodici voti dal Consiglio della Quarantia.

- La riforma, che trovò l’ovvio consenso dell’aristocrazia ‘’antica’’, prevedeva


anche che potessero essere avanzate candidature da una commissione di tre
membri, i cui candidati dovevano a loro volta essere approvati dalla
Quarantia.

- Tramite queste procedure, grazie al diffuso fenomeno del patrocinato, il


numero dei membri del Maggior Consiglio salì oltre le 1100 unità.
Questo allargamento avvenne al tempo di un doge abbastanza giovane,
Pietro Gradenigo (1289-1311), successore di Giovanni Dandolo, che aveva
sconfitto nell’elezione Giacomo Tiepolo, figlio del doge Lorenzo Tiepolo.
Questa presa di posizione del popolino dimostra quanto esso in qualche
modo fosse predisposto e ‘’favorevole’’ alla ricostituzione di una sorta di
principio dinastico.
Probabilmente se il Tiepolo avesse fatto valere la sua sua enorme popolarità a
Venezia sarebbe scoppiata una guerra civile, invece egli preferì allontanarsi
dalla città per evitare un conflitto.

- Il Grandenigo era il membro di una delle più antiche famiglie veneziane e a


trentotto anni aveva già ricoperto diverse cariche di prestigio; la scelta però
non incontrò il favore popolare, che come detto favoreggiava per Giacomo
Tiepolo.
Ciò spiega perché il Gradenigo si dimostrò favorevole alla riforma del 1297:
egli voleva depotenziare l’Assemblea Popolare il più possibile.

- La sua scelta portò già nel 1300 all’accoglimento di molte nuove famiglie
tra le fila dei nobili; si tratta di una mossa che non va considerata nei termini
di un ‘’attacco contro i plebei’’, tuttavia è un dato di fatto che molti popolani
che ritenevano di poter entrare nel Maggior Consiglio furono esclusi da esso.

- Per questo motivo alcuni popolani decisero di congiurare contro il doge: nel
1300 venne impiccato il capo della congiura, Marino Boccono.
Si deve sempre ricordare che la riforma fu introdotta nel momento più
drammatico del secondo conflitto contro Genova, ossia appena dopo la
battaglia di Curzola (1298).

- Di fatto però la stagione di liberalità nell’accettazione di nuovi membri in


seno al Maggior Consiglio ebbe fine molto rapidamente, in primis perché
furono messi freni per le ammissioni: si richiese l’approvazione della
maggioranza della Quarantia (non più solo dodici voti), inoltre dal 1323 per
accedere si doveva dimostrare di avere avuto almeno un antenato che aveva
ricoperto altre cariche nel Comune.
Così l’appartenenza al Maggior Consiglio divenne in sostanza una questione
di ereditarietà, trasformando in maniera definitiva la linea di divisione tra
popolani e nobiltà, che d’ora in avanti sarebbe stata proprio l’appartenenza al
Maggior Consiglio.

- L’Assemblea Popolare venne così del tutto esautorata di potere, e il Maggior


Consiglio fu protetto in via definitiva da ogni sorta di manipolazione.
Per questo motivo il processo iniziato con la riforma del 1297 è passato alla
storia come Serrata del Maggior Consiglio, che però di fatto mise al ‘’potere’’ a
Venezia circa duecento famiglie, i cui membri avevano diritto a prendere
posto al Maggior Consiglio.

- Pietro Gradenigo riuscì dunque a rafforzare il potere dell’aristocrazia


veneziana, il cui dominio pareva in qualche modo positivo anche al giurista
Bartolo da Sassoferrato (1314-1357): ‘’essi sono molti a paragone di coloro che
dominano in altre città….un buon numero di essi sono uomini di modesta ricchezza,
che in una città sono sempre un fattore di stabilità’’.

- Un altro momento di tensione interna si presentò ad inizio Trecento al


tempo della guerra con il papa per Ferrara, che come detto fu resa ancora più
complessa dalla scomunica e dall’ostinazione del doge Gradenigo.
- La difficile situazione politica in cui si era ritrovata Venezia spinse alcune
famiglie ostili al doge, guidate da un ramo della famoiglia Querini, a tramare
contro di esso, che invece era appoggiato dai Giustiniani e dai Morosini.

- Il principale fautore della congiura fu il nobile Marco Querini (1245-1310),


che spinse il genero Baiamonte Tiepolo (?-1328) a capeggiare l’insurrezione
armata.

- Lo schieramento Tiepolo-Querini è stata a lungo identificata come una sorta


di ‘’fazione guelfa veneziana’’ in quanto si scagliò contro un doge che in quel
momento stava facendo la guerra al pontefice; tuttavia le cause della congiura
dipesero da odi e ambizioni personali.

- Il progetto prevedeva un’azione armata, condotta da due schiere (una che si


sarebbe mossa da palazzo Tiepolo e una da palazzo Querini), che si
sarrebbero congiunte in piazza San Marco, dove si sarebbero congiunte anche
al contingente guidato dall’altro leader della congiura, Badoero Badoer.

- Il doge fu però informato dell’attacco, ed ebbe il tempo di convocare a


Palazzo Ducale i suoi consiglieri e i capi delle grandi famiglie a lui alleate, che
portarono anche i loro seguaci.
Le colonne del Tiepolo e del Querini furono così attaccate di sorpresa e
costrette a combattere quando non ancora pronte: Marco Querini cadde
nell’attacco, Badoero Badoer fu catturato, mentre Baiamonte Tiepolo si mise
in salvo.

- La vittoria del doge era completa: i palazzi dei Querini e dei Tiepolo furono
rasi al suolo, mentre più complessa fu la situazione degli esuli e dei catturati,
che intimorivano i Veneziani.
Questi infatti avevano ben presente la situazione delle altre città italiane,
dove i membri dei partiti sconfitti (guelfo o ghibellino a seconda dei contesti)
finivano per costituire dei governi in esilio, spesso capaci anche di tentare la
riconquista del potere.

- I capi della congiura che ottennero la grazia, obbligati comunque a subire


certe limitazioni, cominciarono quasi subito effettivamente ad accordarsi con
i guelfi delle vicine Padova e Treviso.
Per questo motivo il governo veneziano introdusse una nuova magistratura
nel 1310, il Consiglio dei Dieci, composta per l’appunto da dieci membri e
incaricata di contrastare le azioni rivolte contro lo Stato e di reprimere nuove
congiure.

- Il Consiglio dei Dieci col tempo divenne un elemento permanente, dotato di


tre ‘’capi’’, ciascuno dei quali occupava il suo posto per tre mesi prima di
passarlo a qualcun altro.
I membri del Consiglio dei Dieci mantenevano la loro posizione per un anno,
e non potevano esserci due membri della stessa famiglia.
- Dopo aver scongiurato il possibile ritorno di Baiamonte e dei suoi seguaci, il
Consiglio dei Dieci cadde apparentemente in disuso.
In realtà esso, sia perché numericamente piccolo sia perché coinvolto in
iniziative di polizia interna, divenne un utile strumento del doge e del suo
Consiglio.

- Il Consiglio di fatto impediva l’esistenza di un’opposizione organizzata, in


quanto ogni tentativo sarebbe stato imputato dai Dieci come azione ai danni
dello Stato.

- L’allargamento dei Maggior Consiglio e la costituzione del Consiglio dei


Dieci completarono la struttura degli organi di governo del regime
aristocratico.
Guardando anche alle altre realtà dell’Italia centro-settentrionale, si deve
notare che la nobiltà a Venezia era riuscita a far emergere un forte lealismo e
solidarietà tra la popolazione; una coesione tuttavia solo relativa, che fu
messa alla prova nel corso del pieno Trecento.

- La vicenda della congiura Tiepolo-Querini, e in particolar modo la figura di


Baiamonte, furono inseriti all’interno di un’interpretazione ‘’giacobina’’ che
li ritraeva come dei nemici della tirannica oligarchia veneziana.
Si tratta di una visione alquanto idealizzata dei congiuratori, che erano molto
più probabilmente dei nobili scontenti, che volevano porre uno di loro, ossia
Baiamonte, al vertice di un regime personale (come quelli sorti negli stessi
anni nella Milano dei Visconti e nella Padova dei Carrara).

LA RIORGANIZZAZIONE DEL POTERE MARITTIMO

- Nel corso della seconda guerra con Genova l’aristocrazia veneneziana fu


costretta ad adattare i suoi istituti marittimi e commerciali ai profondi
cambiamenti in corso nell’arte nautica e nei metodi di fare affari.

- La rivoluzione marinara medievale si basa soprattutto sull’introduzione di


due nuovi strumenti: la bussola nautica e i portolani, ossia un tipo particolare
di testi, che presentavano carte nautiche e descrivevano itinerari di viaggio.

- Il principale risultato pratico dei nuovi metodi di navigazione fu la


possibilità di navigare anche in inverno, cosa che accelerò ovviamente lo
sviluppo economico (era infatti ora possibile commerciare più a lungo).

- Furono introdotti anche nuovi tipi di vascelli: nel 1290-1310 emersero nuove
triremi, mentre nel 1320 venne introdotta la galera ‘’grossa’’ o ‘’commerciale’’
(tonnellaggio di 150 tonnellate).
Novità furono introdotte anche in ambito delle vele: si passò in ordine da
navi con vele ‘’latine’’ (ossia triangolari) a due alberi, a ‘’cocche’’ con uno/due
alberi (una vela latina e una quadra), ed infine alla ‘’caracca’’ a quattro alberi
con due vele latine e due vele quadre; le prime cocche comparvero a Venezia
nel 1315.

- La protezione del commercio aveva un ruolo fondamentale nell’aristocratica


Repubblica di Venezia, che dedicava moltissima attenzione alla difesa delle
navi che si muovevano lungo i traffici commerciali.
Di fatto il successo o meno di un viaggio commerciale dipendeva dalla
capacità di resistere/evitare la violenza armata.

- I costi di protezione erano tra i fattori più importanti nell’organizzazione di


un viaggio commerciale; e di ciò il Comune di Venezia, che era dominato da
un’aristocrazia mercantile, era perfettamente consapevole.
Per questo motivo il Senato si mosse per impegnare fin da subito tutte le più
recenti novità in ambito nautico (in questo caso le galere grosse) per
applicarle alla difesa dei mercantili.

- Elemento chiave del commercio veneziano era la possibilità di accedere ai


mercati di lana/stoffa nelle Fiandre, verso Bruges in particolare, dove i
Genovesi arrivavano ormai dal 1270 passando per Lisbona, la Galizia e la
Bretagna.
Le cosiddette ‘’galere di Fiandra’’ erano presenti anche a Venezia dunque, ma
i loro viaggi furono soppressi per circa un ventennio a causa dello scoppio
della guerra dei cent’anni (1337-1453).

- La pace sottoscritta con Genova nel 1299 permise ai mercantili delle due
potenze di ritornare muoversi per l’Egeo indisturbate; i Veneziani costrinsero
l’imperatore Andronico II Paleologo (1282-1328) a pagare loro ingenti
riparazioni per i danni subiti nella guerra, in cui i Bizantini avevano
sostenuto Genova.

- La presenza e l’espansione della nuova colonia genovese di Pera risultava


però un problema non da poco per i Veneziani, che rimasero ovviamente
indietro nel commercio nel Mar Nero.
Anche se ormai declinata in termini di splendore e ricchezza, Costantinopoli
rimaneva il perno del commercio verso il Mar Nero.

- Un ulteriore problema fu rappresentato per qualche anno dalla ‘’Compagnia


Catalana’’, un corpo di mercenari reclutato dall’imperatore bizantino per
combattere la crescente potenza degli Ottomani.
La Compagnia Catalana si era però data più al saccheggio dei centri
dell’Impero più che alla lotta coi Turchi, causando notevoli problemi anche a
livello terrestre al decadente potere bizantino.

- In ambito di organizzazione a bordo delle navi, anche in contesto veneziano


si possono riscontrare delle novità: tanto i capitani quanto i ‘’patroni’’, gli
armatori, erano infatti ufficiali stipendiati nominati dal Comune.
- Per aumentare la propria presa sui commerci nel Mar Nero i Veneziani
strinsero un accordo con l’Impero di Trebisonda (uno degli Stati ‘’eredi’’ del
potere bizantino del XIII secolo).
I Veneziani ottennero dalla dinastia regnante, quella dei Comneni, il
permesso di costruire un ampio quartiere fortificato a Trebisonda.

- Per contrastare il predominio genovese i Veneziani costruirono in Crimea la


colonia di Tana, sulla foce del fiume Don, da dove potevano commerciare con
l’impero mongolico dell’Orda d’Oro.

- Il commercio con l’Egitto riprese dopo la caduta di Acri (1291), nonostante il


divieto papale: nel 1302 Venezia concluse un trattato con il sultano che
ripristinò gli antichi diritti commerciali veneziani nell’area.
Per questo motivo però nel 1322 un inviato papale andò a Venezia e
scomunicò diversi cittadini eminenti, tra cui gli stessi Procuratori di San
Marco, che avevano violato il suo divieto.
La Signoria protestò, tuttavia fu costretta a cedere riguardo il commercio con
l’Egitto.
Rimasero comunque dei modi per commerciare con l’Egitto, in primis
attraverso il resto del Nord Africa, in particolare attraverso il cruciale snodo
di Tunisi.

- Mutamenti di rilievo nelle rotte commerciali si possono cogliere intorno al


1340, quando il commercio con l’Egitto poté riprendere regolarmente grazie
alla fine dell’epopea crociata in Medio Oriente; ormai i principati cristiani
erano più preoccupati di frenare l’espansione turca nell’Egeo.
Anche la Crimea era minacciata: i khan dell’Orda d’Oro si fecero verso la fine
della prima metà del Trecento sempre più aggressivi, arrivando a minacciare
e poi anche ad assediare Caffa nel 1343.

- Il progressivo collasso del potere mongolo in Asia Centrale e l’espansione


ottomana resero più difficile il commercio con l’Oriente.
Di fatto alla fine del Trecento le aree di commercio in cui era attiva Venezia
erano quattro:

1) La Romania.
2) Verso Cipro e la Siria.
3) Verso Alessandria.
4) Le Fiandre.

- La maggior parte delle galere attive in mare erano di proprietà privata,


quelle della marina mercantile veneziana erano di fatto una piccola parte.

- Tra i principali prodotti commerciati dai Veneziani, quelli di gran lunga più
redditizzi erano il vino greco (richiestissimo nel Nord Europa), il sale e anche
gli schiavi, di cui si faceva rifornimento soprattutto a Tana; si noti che per
‘’schiavitù’’ non si intende necessariamente a quest’altezza un asservimento a
lavori servili, spesso gli schiavi erano impiegati anche in ambito economico o
militare.
Il mercato degli schiavi conobbe una grande fioritura soprattutto a Creta,
vero e proprio centro di smistamento per i mercati dell’Africa e dell’Europa
occidentale.

LA RIVOLUZIONE COMMERCIALE, L’INDUSTRIA E I MARINAI

- I mutamenti avvenuti intorno al Trecento causarono quella che in ambito di


storiografia medievale viene indicata come ‘rivoluzione commerciale’’, in
quanto a cambiare non furono solo i prodotti commerciati, ma le stesse
pratiche di commercio.

- Sempre più diffusa fu la presenza di compagnie familiari di mercanti, i cui


membri potevano essere sparsi in diverse città d’Europa: un fratello poteva
trovarsi a Bruges, un altro a Siviglia, mentre il padre a Venezia.
Esistevano anche società ‘’a termine’’, costituite da mercanti non legati da
legami di parentela, che stringevano un accordo commerciale di solito della
durata di tre/cinque anni.

- Un particolaere tipo di impresa sorto in ambito veneziano si sviluppò


quando il governo decise di mettere all’incanto le galere per i singoli viaggi:
sorsero così compagnie dette ‘’delle galere’’, che si costituivano per pagare le
spese e ricevere i noli di una galera per un viaggio determinato.
A volte invece i proprietari si univano per dare vita ad un fondo unico, dando
vita ad una società detta ‘’maona’’; un altro tipo di associazione temporanea
era la già gitata colleganza.

- Durante il Trecento i mercanti che stavano a Venezia si servirono sempre


meno delle colleganze, sostituite dall’impiego di agenti a provvigione, che
riceveva una percentuale del giro d’affari da lui trattato.
Possediamo un enorme quantità di lettere tra Costantinopoli e Venezia, tutte
appartenenti alle corrispondenze tra impresari e i loro agenti di commercio a
provvigione.

- La colleganza continuò ad essere praticata, ma il passaggio all’utilizzo più


massiccio di agenti a provvigione fu accelerato da una serie di leggi
introdotte da un gruppo di nobili veneziani ‘’protezionisti’’, che fecero
approvare una legge che vietava a chiunque di importare dal Levante merci
di valore superiore all’ammontare dei suoi averi personali accertati a fini
fiscali (una mossa che colpì il principio stesso della colleganza: il disporre di
un somma di capitale maggiore rispetto a quella posseduta personalmente).

- In ambito di pratiche mercantili invece, si deve ricordare la fondamentale


introduzione della contabilità a partita doppia; si ricordi che a Venezia
contabilità e aritmetica erano insegnate da pedagoghi, i ‘’maestri d’abaco’’.
Altrettanto importante fu l’invenzione della ‘’cambiale’’, che facilitò il sistema
dei pagamenti a lunga distanza.

- Fu dunque grazie all’evoluzione tecnica e nautica che alcuni uomini d’affari


veneziani riusciro ad accumulare fortune patrimoniali immense: è il caso di
Federico Corner (-1382), che fornì prestiti addirittura al re di Cipro Pietro I
(1358-1369).

- Nel XIV e nel XV secolo il governo veneziano era orientato verso un tipo di
politica che potremmo indicare come efficientemente ‘’capitalistica’’, nel
senso che mirava a favorire i mercanti di piccola-media levatura.

- Nonostante questo sorsero comunque sorte di cartelli e monopoli gestiti da


grandi mercanti, contro i quali nel 1358 fu istituita una commissione
senatoriale di tre membri, a cui fu affidato il compito di trovare dei rimedi.

- Ciò appare in qualche modo surreale, soprattutto se si pensa che le norme in


base alle quali il governo metteva all’incanto le galere comprendevano molte
clausole che teoricamente dovevano ostacolare la formazione di monopoli.

- Nel XII secolo i Veneziani erano poco preoccupati dell’usura, che arrivava a
tassi del 20% su prestiti garantiti secondo un ‘’antica consuetudine
veneziana’’.
Solo quando la Chiesa condannò l’usura anche il governo veneziano
cominciò ad occuparsi del problema con maggiore enfasi: si arrivò alla
creazione di un nuovo tipo di mutuo contratto, chiamata ‘’colleganza
commerciale’’, che riportò i tassi di interesse intorno al 5/8% (che erano
comunque percepiti dai canonisti più rigorosi come tassi d’usura).

- Un altro modo di prendere in prestito denari era la vendita di una


cambiale, possibile grazie al tratto peculiare dei banchieri veneziani, la cui
funzione principale non era quella di concedere prestiti, bensì quella di fare
pagamenti per conto dei propri clienti.

- La causa principale delle crisi bancarie era in questa epoca il frequente


cambiamento nella coniatura delle monete e nel valore dell’oro/argento.
A Venezia nel Duecento le monete più utilizzate erano il grosso d’argento
(coniato da Enrico Dandolo per finanziare la IV a Crociata), lo zecchino (che
conteneva meno argento ed era usato per le transazioni cittadine) ed infine il
ducato veneziano (o ‘’zecchino’’), che fu mantenuto del peso di 3,5g d’oro dal
1284 sino alla caduta della Repubblica nel 1797.

- Il debito pubblico venne introdotto a Venezia nel 1262 e si affermò sin dal
secondo conflitto contro Genova come molto affidabile e capace di rimborsare
in tempi relativamente brevi.

- Alla fine del Trecento la società veneziana si era stratificata in maniera molto
più netto rispetto al secolo precedente.
Al vertice vi era un gruppo di venti/trenta famiglie nobiliari che univano in
se’ dei vantaggi dovuti al prestigio personale e al potere politico; poi vi era un
altro centinaio di famiglie nobili, che derivavano il proprio patriziato dal
fatto di appartenere al Maggior Consiglio.
Non tutti i nobili erano ovviamente ricchi: ‘’ricco’’ e ‘’nobile’’ rimasero due
categorie nettamente distinte, anche se coincidenti in maniera considerevole.

- Nel corso del tempo emerse anche una classe media formata dai cosiddetti
‘’cittadini’’, ossia da coloro che non si occupavano di attività manuali, bensì
erano impiegati nella Cancelleria ducale: notai, giuristi, addetti alle corti di
giustizia, giudici.
Ovviamente vi erano anche molti ‘’cittadini originari’’ che si dedicavano al
commercio internazionale, in settori come quello del vetro soprattutto.
Per ottenere la piena cittadinanza (‘’de extra’’) bisognava raggiungere i
venticinque anni di residenza a Venezia.

- Coloro che appartenevano al rango inferiore rispetto a quello dei cittadini


godevano di privilegi economici a seconda della corporazione a cui
appartenevano.

- Vi erano poi anche le confraternite (o ‘’scuole’’) non professionali, che


avevano un afflato religioso; alcune di queste confraternite acquisirono una
notevole importanza sociale.
Le quattro ‘’Scuole Grandi’’ (che in seguito divennero sei), erano così dette in
quanto potevano ammettere sino a 500/600 membri; erano anche dette
‘’Scuole dei Battuti’’, in quanto i loro membri si autoflagellavano in occasione
di alcune cerimonie.
Oltre all’impegno caritatevole, si deve ricordare che le scuole veneziane erano
gestite interamente da laici e che erano regolate direttamente dal Consiglio
dei Dieci.
Anche i nobili potevano far parte delle scuole, ma non potevano acquisire
cariche.

- Grazie all’espansione commerciale Venezia conobbe anche uno stimolo alla


espansione industriale, dovuta all’espansione della produzione, ora richiesta
anche in mercati lontani.

- Le attività manifatturiere erano in origine svolte in casa dell’artigiano, che


dunque lavorava ad un ritmo proprio e poteva in caso impiegare nella sua
attività anche i membri della sua famiglia.
La fase successiva a questa fu quella del ‘’lavoro a domicilio’’, in cui faceva il
suo ingresso in campo anche una nuova figura: quella del mercante-
imprenditore, che ‘’portava il lavoro’’ a casa dell’artigiano.

- Se è vero che questo tipo di sviluppo avvenne soprattutto nel fondamentale


ambito del tessile, si deve ricordare che vi erano altre industrie a Venezia, che
a quest’altezza avevano importanza ancora maggiore.
Una di queste era quella del vetro, ma si dovrebbe parlare forse più in
generale di industria chimica, ambito che ovviamente necessitava di
strutture speciali.
Altri ambiti da ricordare erano quello della produzione/smercio di sapone e
quello metallurgico.

- L’Arsenale Vecchio fu invece allargato (Arsenale Nuovo), arrivando ad


occupare uno spazio quattro volte più grande rispetto a quello originare;
questo viene ricordato anche da Dante nella Commedia: ‘’Quale nell’arzanà de’
Viniziani...a rimpalmare i legni loro non sani, ché navicar non ponno’’ (Inferno XXI,
7-15).
Il funzionario all’Arsenale era quanto di più si avvicinasse alla figura di un
direttore generale: esso era chiamato ‘’ammiraglio’’ e doveva procedere
all’attrezzatura e agli ultimi preparativi dei vascelli prima della consegna agli
ufficiali predisposti al comando.
Le costruzioni navali al di fuori dell’Arsenale si dividevano in due settori:
quello dei piccoli cantieri che costruivano gondole e quello dei carpentieri/
calafati che costruivano e riparavano grandi vascelli.

- Vicino all’Arsenale si trovavano anche la Zecca e la ‘’Tana’’, luogo


predisposto alla lavorazione di fibre in canapa: fu qui che si produsse una
variante rispetto al lavoro a domicilio.
La Tana era di fatto uno stabilimento per la torcitura, a fianco del quale fu
edificato un magazzino per la canapa.

- Il quadro sino ad ora tracciato mostra come il mercato del lavoro fosse a
Venezia in questi secoli (XIII-XIV) in costante espansione; un’espansione che
fu parallela a quella delle corporazioni.

- Le corporazioni agivano in ambito di industria edilizia come sindacati, ma


nella maggior parte delle altre attività esse erano praticamente delle
associazioni di mestiere, che dovevano soprattutto impedire la concorrenza
sleale.
Le corporazioni stabilivano (loro stesse o dei magistrati nobinati da nobili
magistrati e detti ‘’giustizieri’’) delle regole tecniche; di fatto però esse
regolavano soprattutto l’assunzione degli apprendisti, limitandone l’età e il
numero, con eccezioni per agevolare la strada ai figli di maestri.
La misura in cui i membri partecipavano democraticamente alla gestione
degli affari corporativi variava da corporazione a corporazione.

- L’industria marittima era senza dubbio quella più grande a Venezia, ma in


seno ad essa non esisteva alcuna organizzazione corporativa.
Nel corso del tempo si era prodotta una netta differenziazione tra mercanti e
marinai, che si verificò nel momento in cui i primi si trasformarono anche in
residenti dei principali porti stranieri (a questo punto siamo già all’inizio del
Trecento).
- Gli antichi regolamenti marittimi erano fondati sulla comunanza di
interessi tra equipaggio e mercanti-viaggiatori, una situazione che come
detto cambiata completamente: ora erano armatori e mercanti ad avere più
punti in comune.

- I marinai subirono un declassamento sociale anche a causa dei cambiamenti


avvenuti in armi e armature: ora per imbarcarsi era necessario dotarsi di una
balestra.
Il governo veneziano voleva infatti assicurarsi che le navi fossero protette da
uomini bene armati, motivo per cui stabilì che i membri dell’equipaggio
dovevano provvedersi di armi supplementari e armature.

- Anche i nuovi tipi di imbarcazione favorirono il declassamento dei marinai:


la cocca e la galera grossa richiedevano meno uomini, ma ciò non fece sì che
venisse meno la richiesta di equipaggio.
Nella prima metà del Trecento crebbe la domanda di rematori: di fatto molti
marinai furono costretti a divenire rematori a causa del disarmo di navi più
vecchie in cui svolgevano altri compiti.

- Il rematore, o ‘’galeotto’’, divenne però fin da subito un lavoro connotato da


un significato di inferiorità, cosa che lo rese velocemente molto poco
appetibile e ricercato.
Vi era poi un’altra difficoltà per gli armatori, legata alla natura tramite cui si
stipulavano i contratti, che non erano scritti ma regolati tramite una stretta di
mano, dopo la quale il marinaio recepiva in anticipo già tre quattro mesi di
paga.
Spesso capitava che questi all’ultimo non si presentassero o peggio
stringessero un altro contratto verbale, ottenendo così il doppio della paga
svolgendo solo un viaggio.

- Il governo oltre ad intervenire per risolvere questo problema introducendo


una legislazione severa contro chi non rispettava i contratti, andò anche a
risolvere il problema della carenza di marinai-rematori introducendo la
possibilità per i debitori di saldare il loro debito prendendo servizio su una
galera.
La legge del 1291 che prevedeva il carcere per chi abbandonava la nave non
fu applicata ai marinai delle navi rotonde.

- La scarsezza di manodopera marittima fu accentuata a partire dal 1347,


quando le galere di Romanai ritornarono portando con se’ la peste, che nel
corso del 1348 avrebbe travolto drammaticamente l’Europa (la famosa
‘’Morte Nera’’); essa avrebbe causato la morte di metà della popolazione di
Venezia.

- Alla vigilia del terzo conflitto con Genova, Venezia possedeva pochi e
scontenti marinai; si deve comunque sottolineare che la peste produsse la
riduzione del personale in tutti gli ambiti lavorativi.
Per risolvere questa problematica si puntò sull’immigrazione, in primis dalla
terraferma: cosa che però mutò la natura della popolazione, che divenne
senza dubbio meno ‘’marinara’’.

- Venezia non tornò più ad essere la nazione marinara che era stata nel XIII
secolo, quando i marinai erano numerosissimi.
I Genovesi tornarono a confliggere con Venezia quando i nobili della laguna
avevano messo da parte la propria flotta per padare ai propri affari.
Sia ben chiaro che Venezia continuava ad essere una grande potenza navale,
la cui forza derivava però dalla ricchezza dei suoi mercanti e artigiani e non
più nella riserva di navi e marinai indigeni.

- In generale si ricordi che il fenomeno del declassamento sociale dei marinai


non fu un fenomeno avvenuto senza conseguenze, infatti alla base delle
grandi rivolte nei principali porti dell’Europa Occidentale nel XIV secolo
(Genova 1339, Barcellona 1391 e Salonicco 1345) vi era soprattutto questo
ridefinizione sociale.

COESIONE E TRIONFO: LO SCONTRO FINALE CON GENOVA

- La seconda metà del Trecento fu senza dubbio per Venezia, come per tutto il
continente, un momento di notevoli sconvolgimenti: le rivolte contadine in
Inghilterra, la jacquerie in Francia, l’inzio del Grande Scisma d’Occidente
(1378-1418).

- La solidità di Venezia fu messa alla prova dagli ultimi due confronti con
Genova, che nel frattempo aveva continuato la sua crescita grazie alle colonie
nel Levante ed al prestigio dei suoi ammiragli, impiegati spesso da sovrani
stranieri per guidare le proprie flotte.

- Nonostante la spaventosa durezza degli ultimi due confronti, nè Venezia nè


Genova non tantoterano forti da schiacciare definitivamente il nemico, di
fatto la vera vittoria fu colta da chi riuscì a dimostrarsi politicamente solida
anche dopo la fine delle ostilità, ossia Venezia.

- La terza guerra veneziano-genovese (detta anche ‘’Guerra degli Stretti’’,


1350-1355) trova come propria causa il sempre maggior timore con cui i
Veneziani guardavano i possedimenti e l’espansione genovese nel Levante,
cosa che inizialmente spinse il governo lagunare ad ottenere l’alleanza con
gli imperatori bizantini.

- Anche Genova però si trovò costretta ad affrontare le consuete guerre civili


che minavano in continuazione la solidità e la continuità dei loro governi.
Allo stesso tempo però Genova trovava forza nella notevole immigrazione
attirata dalle sue colonie levantine, e da una politica meno severa sulla
concessione della cittadinanza.
- Lo scoppio delle ostilità va ricercato nell’espulsione da Tana (1343) di
entrambe le potenze, sancita dal khan dell’Orda d’Oro.
Ciò spinse Genovesi ad invitare i Veneziani a commerciare a Caffa, attuando
così un boicottaggio congiunto di Tana.
A Caffa però i Veneziani si sentivano sfavoriti, cosa che li spinse dopo
qualche anno a tornare a Tana.

- Questa decisione fu vista dai Genovesi come una rottura degli accordi,
motivo per cui cominciarono a catturare le navi veneziane nel Mar Nero: a
quel punto la guerra fu inevitabile.

- Venezia affidò una flotta di 35 galere a Marco Ruzzini, che però ebbe
enormi difficoltà nel reclutare marinai, anche a causa del tracollo demografico
subito post-peste del 1348, che aveva ridotto la città a sole 80.000 unità.
Il governo, alla disperata ricerca di braccia, impose un’impopolarissima
coscrizione, che di fatto però riempì le galere di uomini inesperti, supportati
dai soliti inaffidabili mercenari.

- Il Ruzzini riuscì a sorprendere 14 navi genovese presso Negroponte, tuttavia


egli mancò la cattura di 4 di queste a causa dell’insubordinazione dei soldati
mercenari, che preferirono saccheggiare le navi catturate piuttosto che
inseguire quelle in fuga.

- Questo comportamento fu percepito come inaccettabile dall’opinione


pubblica veneziana, tuttavia il Senato era ben consapevole che punire i
mercenari avrebbe significato il loro ammutinamento o peggio, motivo per
cui l’infrazione disciplinare fu lasciata correre.

- I Genovesi nel frattempo riuscirono a saccheggiare il porto di Negroponte:


fu a questo punto che Venezia si decise a ricercare l’alleanza di altre potenze
per infliggere un colpo mortale alla più importante posizione genovese nel
Levante: Pera.

- Dapprima i Veneziani ottennero l’alleanza del Regno d’Aragona, in seguito


anche quello dell’imperatore bizantino Giovanni VI Cantacuzeno (1347-
1354).
Le flotte dei tre alleati, nonostante notevoli difficoltà, riuscirono a presentarsi
nel 1352 di fronte a Pera, pronti ad affrontare la flotta genovese, guidata da
Paganino Doria (?-?, XIV secolo).

- La flotta alleata, guidata dal genovese Niccolò Pisani (?-1355), affrontò


quella genovese nel Bosforo nella celeberrima battaglia degli Stretti, che si
svolse anche di notte e durante una tempesta.
Entrambe le parti reclamarono per se’ la vittoria, tuttavia la mancata presa di
Pera rendeva evidente che si fosse trattata soprattutto di una decisiva vittoria
genovese, che nel frattempo trovarono l’appoggio del temibile sultano
ottomano Orkhan I (1326-1362).
- La guerra proseguì nella fase successiva nello scenario della Sardegna, che
al tempo era al centro delle mire espansionistiche degli Aragonesi, che
ottennero il supporto del Pisani, che nel 1353 colse una grande vittoria presso
Alghero sulla flotta genovese.

- Nel frattempo però Paganino Doria era tornato nell’Adriatico, dove si mise
a saccheggiare le posizioni veneziane, spingendo il Pisani ad inseguirlo: lo
trovò nei pressi di Chio, ma il Doria si rifiutò di combattere.
A quel punto arrivò al Pisani l’ordine da Venezia di ritirarsi a Portolungo, nei
pressi di Modone, dove le navi più piccole e ventuno galere furono legate a
riva: il compito di proteggerle fu affidato a Nicola Querini.

- Il Doria riuscì però ad eludere le 14 galere affidate al Querini per proteggere


la flotta, il disatro a quel punto era compiuto: tutte le navi veneziane furono
catturate e lo stesso Pisani fu fatto prigioniero.
La battaglia della ‘’Sapienza’’ (1354) fu un successo enorme per il Doria, a cui
furono tributati i più alti onori una volta tornato a Genova.

- Nonostante la clamorosa disfatta, Venezia riuscì a strappare una pace


vantaggiosa, e questo perché a causa dell’ennesima guerra civile scoppiata in
città, i Genovesi chiesero al signore di Milano Giovanni Visconti (1290-1354)
di essere messi sotto la sua protezione nel 1353.
Le trattattive di pace erano dunque in mano al Visconti, che in quel momento
voleva la pace, che prevedeva infine che ciascuna delle Repubbliche cessasse
gli attacchi all’altra e che per tre anni nessuna avrebbe inviato flotte a Tana.

- Uno dei tratti decisivi che si possono cogliere da questa vicenda è che a
differenza dei Genovesi, i Veneziani, anche nel peggior momento di difficoltà
mai avrebbero chiesto la tutela di un principe straniero, a riprova della
fiducia che i Veneziani avevano nella forza del loro ordinamento politico-
costituzionale.

- Il decennio tra 1343-1354 fu uno tra i i più complicati della storia veneziana,
in cui la città fu costretta a confrontarsi tanto con la peste, quanto con la
guerra.
Ad affrontare questo momento delicato fu il giovane doge Andrea Dandolo
(1343-1354), eletto a soli trentasei anni dopo uno brillante e precocissima
carriera.

- Il dogato del Dandolo fu caratterizzato da un’attenzione precisa alle leggi e


in generale alla riorganizzazione del diritto, nonché nella chiara definizione
degli ‘’atti di dedizione’’ con cui Treviso e Zara si erano sottomesse a Venezia.
Lo spirito legalistico del Dandolo emerge anche nella Cronaca Estesa, una
storia di Venezia intesa a dimostrare che la città aveva sempre agito in modo
giusto.

- Nel decennio al potere il Dandolo si affidò soprattutto agli impiegati della


Cancelleria, in particolar modo sul Gran Cancelliere Benintendi dei
Ravignani (1318-1365); questi infatti erano esperti di legge proprio come lui,
che si era addottorato all’Università di Padova, dove era stato anche docente.

- La Cronaca del Dandolo, scritta in un latino elegantisimo, fu ammirata anche


da Francesco Petrarca (1304-1374), che fu amico del doge, che rispose in un
latino di notevolissima eleganza alla lettera che il poeta fiorentino aveva
scritto per invitare Genova e Venezia alla pace.

- L’obiettivo del lavore legalistico del Dandolo era forse quello di ridare ai
Veneziani uno spirito patriottistico, dimostrando la ‘’giusta’’ grandezza del
loro passato.
Nonostante il Dandolo morì odiato dalla nobiltà, che poco aveva gradito il
suo totale appoggio al ceto dei ‘’cives’’ (i cittadini originari non nobili), la sua
opera riuscì indirettamente a completare il suo progetto di rinnovamento
patriottistico, compattando la città nell’orizzonte della giustezza delle
proprie cause.

- Il successore del Dandolo, Marino Falier (1354-1355) fu al centro di una


congiura che mirava a porlo a capo di un governo signorile (‘’Signore a
bacheta’’) grazie all’appoggio di due capopolo: Bertuccio Isarello e Filippo
Calendario.

- Il piano del doge, che voleva forse sfruttare il malcontento popolare per le
sconfitte contro Genova (la colpa veniva attribuita soprattutto alla codardia
dei nobili), venne però scoperto dai suoi stessi collaboratori, che però almeno
inzialmente non sospettarono del coinvolgimento del Falier nella congiura.
Quando poi fu scoperto che al vertice della cospirazione vi era il doge stesso,
il Falier fu imprigionato e giustiziato il 17 Aprile 1355.

- La tragica fine del Falier e dei suoi sostenitori ebbe un effetto notevole nella
mente del popolo di venezia, che cominciò a percepire come inespugnabile la
costituzione aristocratica, che ancora una volta uscì paradossalmente
rafforzata da un attentato.

- D’altro canto non si deve considerare il tentativo signorile del Falier come
un’απαξ, esso va inserito all’interno di un quadro italiano in cui stanno
sorgendo le prime signorie, quel periodo che John Addington Symonds
(1840-1893) definì ‘’l’età dei despoti’’.
Risulta dunque probabile che a Venezia vi fosse chi ritenesse, sia in seno al
mondo popolare che a quello nobiliare, che un governo dogale più forte
potesse essere un mezzo di rafforzamento del potere veneziano.
Il timore e il sospetto di un avvento signorile furono forse anche il motivo per
cui il doge Lorenzo Celsi (1361-1365) venne prosciolto: pare infatti che egli
girasse un una pomposa corte e che portasse una verga per frustare il cavallo,
una ‘’bacheta’’ di faleriana memoria insomma.
- Il periodo a cavallo tra il terzo e il quarto conflitto con Genova, ossia tra
1355 e 1378, fu particolarmente complesso per Venezia, che si vide privata
della Dalmazia a causa della sua conquista da parte del re d’Ungheria Luigi I
(1342-1382).

- I Veneziani furono anche costretti a fare il conto con la nuova egemonia


genovese a Famagosta (Cipro).
I Genovesi si mossero contro il Regno di Cipro dopo che il re Pietro II (1369-
1382) favorì in una lite il console veneziano, che aveva litigato al momento
dell’incoronazione del sovrano nel 1372 con quello genovese per motivi di
precedenza.
Genova reagì inviando una spedizione contro Cipro, che non fu protetta dai
Veneziani, costringendo Pietro II a concedere loro importanti agevolazioni
commerciali.

- Nel frattempo Venezia fu costretta ad affrontare anche una rivolta a Creta,


guidata anche da nobili di origine veneziana (tra i capi figuravano dei
Venier e dei Gradenigo), a cui si appoggiò la popolazione greca.
A questi problemi politico-territoriali si aggiunsero poi l’aumento del Monte
Vecchio (il debito pubblico), l’instabilità monetaria e il malcontento per la
continua fluttuazione delle politiche commerciali (si alternavano politiche
protezioniste, rappresentate dall’Officium de Navigantibus, con alcune di
relativo liberismo).

- Il Trecento fu ovunque un’età di contrazione, anche da un punto di vista


della gestione del potere, che si concentrò sempre più nelle mani di poche
famiglie aristocratiche.
La svolta oligarchica aveva sia risvolti positivi (la compattezza e il comune
orizzonte), che negativi (la mancanza di prospettive e soluzioni).

- Nonostante le importanti perdite territoriali, Venezia rimaneva la principale


potenza adriatica e la principale agente commerciale a Cipro, dove aveva
ancora in mano le saline e le piantagioni di zucchero dei Corner.
Inoltre i Veneziani dal 1374 ricominciarono a commerciare verso Bruges, in
seguito anche verso l’Egitto e la Siria; di fatto il possesso commerciale di
Famagosta non rese ai Genovesi il dominio economico sperato sul Levante,
visto che i Veneziani continuavano comunque ad avere in mano le rotte verso
le località più redditizie.

- La concorrenza tra le due Repubbliche fu accanita soprattutto nel Mar Nero,


dove entrambe volevano divenire egemoni, motivo per cui al centro della
disputa finì l’isola di Tenedo, posta proprio all’ingresso degli Stretti.
Qui i Veneziani furono invitati ad entrare dal governatore bizantino, che
seguiva l’imperatore greco appoggiato da Venezia nell’ennesima guerra civile
d’età paleologa.
L’occupazione di Tenedo portò alla reazione genovese e allaa guerra aperta,
che iniziò nel momento di massima tensione finanziaria della storia della città
lagunare sino a quel momento.

- La quarta guerra veneziano-genovese (anche della ‘’Guerra di Chioggia’’,


1378-1381) fu il banco di prova decisivo per le istituzioni oligarchiche della
Repubblica di Venezia, che si trovava a fronteggiare contemporaneamente in
questa occasione Genova, il Regno d’Ungheria e i signori di Padova, i
Carrara.

- Nella guerra di Chioggia i protagonisti nelle operazioni condotte da Venezia


furono soprattutto due:

1) Carlo Zeno (1334-1418): figlio di una famiglia nobile che fin da giovane lo
aveva indirizzato alla carriera ecclesiastica, egli fin da subito si distinse come
avventuriero e mercante, attivo a Costantinopoli.
Fu grazie alle sue conoscenze nella capitale bizantina, pare, che il governatore
di Tenedo decise di aprire le porte ai Veneziani; all’inizio del conflitto gli
furono affidate una decina di galere, con le quali avrebbe dovuto colpire le
posizoni genovesi nell’Adriatico e ad est.

2) Vettore Pisani (1324-1380): nipote di quel Niccolò Pisani disgraziatamente


sconfitto dai Genovesi nel 1354, egli era stato risparmiato dalla condanna del
Maggior Consiglio.
A testimoniare la personalità iraconda di Vettore Pisani sono diversi episodi,
ma soprattutto il tentativo di omicio di Pietro Corner, colpevole di averlo
aveva preso in giro nel corso del processo a suo carico per il disastro del 1354.
Egli si distinse nel corso della rivolta cretese (1363), e nel 1378 egli fu inviato
a ovest come Capitano Generale del Mare.

- La guerra fu fin da subito complessissima per i Veneziani, soprattutto


perché grazie alla conquista ungherese della Dalmazia, i Genovesi avevano
delle basi per colpire da vicino la laguna.

- Vettore Pisani colse importanti successi ad ovest, motivo per cui chiese di
essere richiamato a Venezia; tuttavia Il Senato gli ordinò di svernare a Pola.
Pisani sorprese però una flotta genovese di circa ventidue navi in Puglia, e
ingolosito dalla possibilità di catturare le navi nemiche, assalì i Genovesi, che
però avevano sei navi nascoste (delle ventidue totali).
Pisani riuscì a sopraffare la flotta visibile, ma quando le navi nascoste lo
assalirono alle spalle, le sorti della battaglia volsero a favore dei Liguri.

- Il Pisani si salvò per miracolo, ma venne catturato e processato dagli


Avogadori di Stato per aver guidato male la flotta in battaglia e per aver
abbandonato il campo.
Gli Avogadori chiesero come previsto per tali reati la condanna a morte, ma
l’enorme prestigio popolare di cui godeva il Pisani fecero sì che la Quarantia
votasse per una sorta di comprmesso: sei mesi prigionia e l’esclusione dalle
cariche.
- Venezia si trovava però ad un passo dal definitivo tracollo: i Carrara
premevano dalla terraferma, gli Ungheresi erano schierati al confine nord-
orientale, mentre i Genovesi premevano dal mare.
Nel 1379 un corpo genovese-padovano penetrò in laguna e riuscì a prendere
Chioggia: ora anche i rifornimenti veneziani erano minacciati.

- L’entrata al Lido di San Niccolò venne fortificata a fu predisposta una


mobilitazione generale, che tuttavia si dimostrò alquanto complessa, poiché
tutti chiedevano di poter combattere per Vettore Pisani.
Il popolo non lo biasimava infatti per sconfitta, e premeva perché fosse
liberato e posto a capo del corpo di spedizione diretto a Chioggia; il governo
nobiliare non aveva scelta, serviva l’appoggio della popolazione al completo,
per questo fece promesse di cambiamento e liberò Vettore Pisani.

- In quest’ora drammatica della storia veneziana ebbe un ruolo determinante


la figura del doge Andrea Contarini (1368-1382), che riuscì a compattare gli
spiriti intorno alla propria persona, in primis mettendosi lui stesso al
comando della forza armata.
Il Contarini fu nominato Capitano Generale del Mare, e Vettore Pisani capo di
Stato maggiore/comandante in seconda.

- Le forze al comando del Pisani e del doge sbarcarono a Chioggia il 22


Dicembre, dove riuscirono a fatica a stabilire una testa di ponte.
Solo il decisivo intervento del rientrante Carlo Zeno, che aveva catturato la
più ricca e grande cocca genovese (la Richignona, che trasportava un carico
del valore di 200.000 ducati, venduto principalmente a Creta), permise ai
Veneziani di costringere i Genovesi alla resa (Giugno 1380).

- Si deve ricordare che nel corso del conflitto ebbe un’importanza notevole
l’impiego di polvere da sparo; i cannoni erano ormai una componente
essenziale dell’armamento delle navi veneziane.
Altro elemento che vale la pena ricordare è che questo conflitto fu combattuto
soprattutto da mercenari, e che Carlo Zeno fu senza dubbio il più bravo nel
motivare e nel gestire questi professionisti della guerra, che al tempo erano la
croce e la delizia dei regnanti coinvolti nei conflitti europei.

- Venezia continuò a combattere per recuperare la sua egemonia adriatica, e


nel corso dei combattimenti perse la vita lo stesso Vettore Pisani (che era ora
di nuovo Capitano Generale del Mare), a cui succedette nel comando proprio
Carlo Zeno.

- Decisiva per la fine del conflitto fu la campagna diplomatica portata avanti


da quel Pietro Corner che era stato quasi ucciso dal Pisani anni prima: egli
ottenne nel 1381 l’alleanza di Gian Galeazzo Visconti (), signore di Milano.
Ciò allarmò il duca di Savoia Amedeo VI (1343-1383), che spinse per arrivare
ad una trattativa di pace, che fu firmata infine a Torino nel 1381.
La pace di Torino era certamente una sconfitta strategico-militare per Venezia
(che cedette Treviso al duca d’Austria, fu costretta a pagare un’indennità agli
Ungheresi e rinunciò a fortificare Tenedo), che però di fatto ottenne
un’enorme vittoria morale, in quanto il proprio ordinamento aveva
dimostrato solidità anche nel momento di massima difficoltà.

- Nel Settembre del 1381, un mese dopo la firma della pace, furono aggregate
trenta nuove famiglie a quelle che godevano del diritto di entrare nel
Maggior Consiglio.
Furono scelte le persone che più avevano contribuito nel corso del conflitto, e
che al tempo erano anche tra le più ricche della città, cosa che ovviamente
andò ad aumentare la potenza della nobiltà.

- L’aggregazione di nuove famiglie ebbe però come conseguenza anche una


ridefinizione dei poteri in seno alla nobiltà, dove il potere passò nelle mani di
quelle famiglie nuove, quelle dei ‘’curti’’, che sostituirono i ‘’longhi’’, ossia gli
esponenti delle famiglie antiche (Dandolo, Gradenigo, Contarini, Falerio,
Michiel, Zeno), che rivendicavano una discendenza dai tribuni romani.

- L’elezione nel 1382 a doge di Antonio Venier (1382-1400) sancì l’ascesa dei
curti, forse accumunati tutti dalla gelosia e dal risentimento per i longhi, che
avevano probabilmente perso molto del loro patrimonio nel corso della
guerra.

- Piano piano Venezia cominciò anche una ripresa economica, sia sul fronte
del pagamento dei creditori del debito di Stato sia su quello del commercio
internazionale.
La ripresa fu favorita anche dalla crisi dei nemici tradizionali: Genova
affrontò l’ennesima crisi interna, mentre l’Ungheria (unita dinasticamente a
Napoli dalla famiglia degli Angioini) affrontò anch’essa una guerra civile.

- Per compensare la perdita della Dalmazia, Venezia conquistò nel 1386 l’isola
di Corfù, che divenne lo scalo intermedio per le navi dirette verso il Levante.
Il controllo sulla Dalmazia fu poi rafforzato paradossalmente dall’espansione
ottomana, che spinse diverse comunità e piccole realtà politiche dell’area a
porsi sotto la protezione dei Veneziani.

- Gli Ottomani nel 1396 inflissero una disastrosa sconfitta ad’armata crociata
composta da cavalieri ungheresi e francesi nella battaglia di Nicopoli (da cui
l’omonimo nome dato alla spedizione); ciò spiega anche perché i Veneziani
cercarono il più a lungo possibile di evitare il confronto (specialmente
terrestre) con l’apparentemente invicibile potere ottomano.

- Venezia acquisì diversi porti (Durazzo, Scutari, Lepanto, Patrasso, Argo,


Nauplia) da principi francesi o despoti greci, in quanto questi ultimi erano
consapevoli di non potersi difendere dai Turchi.
Allo stesso tempo acquisire questa basi significava anche impedire che queste
cadessero in mano genovese (specialmente in quelle di cittadini privati).
- L’espansione ottomana fu fermata in un primo momento dall’avanzata del
condottiero mongolo Tamerlano (1336-1405), che nel 1402 vinse l’esercito del
sultano Bayazed I (1389-1402) nella battaglia di Ankara, nel corso della quale
lo stesso Bayazed cadde prigioniero.
Di fatto la conseguenza principale della sconfitta ottomana presso Ankara
allungò la vita di Costantinopoli per un cinquantennio.

- Tamerlano distrusse in seguito Tana e mise a ferro e fuoco tutti porti del Mar
Nero, che persero importanza, ma non a tal punto da far cessare l’attivita dei
Veneziani e dei Genovesi nell’area.

- Nell’Oltremare l’unico Stato crociato superstite era ormai il Regno di Cipro,


che dopo il trattato di Torino (1381) era rimasto alla mercé dei Genovesi; un
ostacolo che come detto era stato facilmente superato dai Veneziani, che si
limitarono a commerciare direttamente con l’Egitto e la Siria, che ora erano
raggiungibili senza dover temere la pressione del papa (gli Stati cristiani
erano infatti ora più impegnati a tentaren di fermare l’espansione ottomana in
Romania).

- I Veneziani si allarmarono in questi anni solo quando una flotta genovese


guidata da un nobile francese, il maresciallo Jean II Le Meingre (1364-1421)
detto Boucicault, si diresse verso Cipro per costringere il re a soddisfare tutte
le richieste genovesi.
La presenza di un nobile francese al comando della flotta genovese merita qui
un chiarimento: dopo aver cambiato dieci volte doge in cinque anni, Genova
si infeudò al re di Francia Carlo VI (1380-1422).

- Il Boucicault era un militare noto per la sua indole imperiosa e le sue gesta
(tra le altre cose aveva partecipato alla disastrosa sconfitta della cavalleria
francese ad Azincourt nel 1415).
Egli compì delle incursioni a Beirut, Tripoli e ad Alessandria, depredando
anche i depositi dei mercanti veneziani; a questo punto la reazione della città
lagunare non si fece attendere.
Venne inviato in Oriente Carlo Zeno, che nel 1403 affrontò il Boucicault vicino
a Modone costringendolo alla ritirata dopo aver perso tre galere.

- Venezia era preoccupata in questi anni soprattutto dalla situazione in terra-


ferma, dove il principale avversario fu dapprima Francesco da’Carrara (1325-
1393), signore di Padova, che aveva acquistato dal duca d’Austria Treviso e
che cercò di espandere il proprio territorio inserendosi nelle dispute interne al
Friuli.

- I Veneziani dapprima contrastarono il da’Carrara appoggiando i suoi nemici


in Friuli, poi si allearono con Gian Galeazzo Visconti (1351-1402) signore di
Milano, circondando così il dominio carrarese.
Nel 1388 Francesco da’Carrara fu costretto a capitolare e Padova finì nelle
mani dei Milanesi, mentre Treviso venne ripresa dai Veneziani.
- Riprese progressivamente anche il commercio, ambito in cui Venezia superò
nettamente Genova, ormai del tutto incapace di portare avanti una politica
estera autonoma.

- Venezia riuscì anche a riconquistare la Dalmazia (vari conflitti tra 1411-


1420), le cui città erano stufe del malgoverno ungherese; ricordiamo che il
Regno d’Ungheria attraversò a fine secolo una fase di notevole tensione, con
il continuo apparire sulla scena politica di pretendenti alla corona ungherese
e a quella napoletana.
La riconquista del territorio dalmata e le campagne in Montenegro, vi furono
due guerre con il Principato di Zeta (1405-1413, 1419-1423), Venezia dimostrò
di essere tornata ad un livello di potere economico e politico, se non pari,
quantomeno paragonabile a quello pre-Morte Nera del 1348.

- La classe dirigente veneziana rafforzò invece la sua egemonia attraverso la


cooptazione di nuove famiglie al suo interno, come già avvenuto ad inizio
del XIV secolo.
La nobiltà forniva ufficiali per le galere da guerra e per quelle mercantili: ciò
ci dimostra che la vita normale per i nobili veneziani continuava ad essere
una mescolanza tra navigazione e commercio.

- I cives originari erano invece la classe emergente, direttamente coinvolta


nella vita politica grazie al suo totale monopolio nell’ambito della Cancelleria
Ducale; si ricordi che la carica di Gran Cancelliere era dotata di un enorme
prestigio.
Il resto della popolazione, operai/artigiani/mercanti stranieri, era contento
invece dell’abbondanza di cibo e della giustizia imparziale che tanta fama
dava alla città.

- Nel XIV secolo l’apparato governativo conobbe un’unica importante svolta:


la concentrazione del potere nel Senato, che assorbendo la Quarantia fece
proprie le prerogative monetarie e finanziarie di quest’ultima.

- Venezia ad inizio Quattrocento era sostanzialmente ancora una Repubblica


marinara, che guardava soprattutto al mare per arrivare nel Levante, dove il
suo impero coloniale sembrava sicuro.

LA SVOLTA VERSO OCCIDENTE

- Nel Quattrocento Venezia cominciò a guardare anche verso Occidente, cosa


che però non implicò una rinuncia alla proiezione coloniale in Dalmazia e nel
Levante.

- I canoni estetici veneziani rimasero a lungo legati all’Oriente bizantino, e


prima ancora a quelli della tarda romanità, rappresentata dalla grande
stagione artistica dell’arte ravennate.
- La testimonianza del legame artistico con Bisanzio è testimoniata in primis
dal San Marco, che ebbe croce greca e che almeno inizialmente adottò uno
stile bizantino anche nella semplicità esteriore, contrapposta alla ricchezza
dell’interno.

- L’influsso romano-gotico cominciò a farsi sentire solo più tardi, intorno al


1310, annon in cui lo stile gotico fu utilizzato dai frati domenicani della
Chiesa di San Giovanni e Paolo e dai francescani di Santa Maria Gloriosa.
Anche nei palazzi, inizialmente dotati di archi rotondi e di arcate modellate
su quelle di Spalato e Ravenna, subirono una transizione dallo stile bizantino
a quello gotico-occidentale.

- A Venezia gli architetti avevano il rango sociale di artigiani, ed erano


membri della corporazione dei ‘’tagliapietre’’; in ogni caso si deve
sottolineare che Venezia non creò mai una scuola scultorea capace di fare
scuola come quella fiorentina.

- Enorme fu invece il successo della scuola di pittura veneziana, che aveva


nell’attenzione (di derivazione orientale) all’uso di colori intensi la propria
caratteristica originaria.
I Veneziani furono tra i primi a tradurre in Italia la tecnica della pittura ad
olio, appresa dai pittori fiamminghi di Bruges/Anversa, le città atlantiche
con cui la città commerciava.

- Dopo la conquista di Padova, Venezia si unì con quest’ultima in una sorta


di simbiosi artistica e intellettuale, dovuta anche dal fatto che i figli della
nobiltà e della cittadinanza originaria erano obbligati da una legge del
governo veneziano a poter compiere studi universitari solo a Padova.

- A Venezia nel Quattrocento erano tre le grandi botteghe: la prima era quella
di Francesco Squarcione (1397-1468); la seconda quella di Jacopo Bellini
(1396?-1470?), che aveva appreso nelle Fiandre la tecnica a olio, forse
guardando i lavori di Ven Eyck; la terza era quella degli allievi del Bellini,
ossia i figli Gentile (1429-1507) e Giovanni Bellini (1427/30-1516) e dai loro
successori Tiziano (1488/90-1576) e Giorgione (1478-1510).

- Si deve ricordare che probabilmente oltre Jacopo Bellini l’arrivo della tecnica
ad olio a Venezia è dovuta anche ad un altro pittore italiano, Antonello da
Messina (1425/30-1479).
Tra gli allievi di Jacopo si deve ricordare soprattutto Andrea Mantegna (1431-
1506), che lavorò a Padova (le perdute pitture nella Chiesa degli Eremitani) e
soprattutto a Mantova.
Per quanto riguarda invece i suoi figli: Gentile fu scelto dai cittadini per
essere inviato dal sultano ottomano conquistatore di Costantinopoli nel 1453
Maometto II, quando questo chiese il ‘’primo pittore della città’’ nel 1479;
Giovanni venne considerato, alla morte del fratello, come il più bel pittore
della città, che apprezzò le sue opere dense di simbolismo e delicatezza.
- Parallela a questa corrente è invece la produzione di Vittore Carpaccio
(1465-1525/26), più attento a ritrarre la vocazione portuale e marittima della
città: in nessun altro pittore l’elemento navale ha tanta importanza come in
lui.

- In ambito di scienze il modello dei Veneziani non fu tanto Costantinopoli,


bensì il mondo teologico cristiano-latino, anche se il loro modo di concepire i
rapporti Stato-Chiesa fu senza dubbio da sempre bizantino.

- Il recupero della classicità greca avvenne in laguna grazie all’attività di


importanti precursori dell’Umanesimo, come Giacomo da Venezia (fine XI
secolo-1147), che si recò a Costantinopoli per studiare Aristotele.

- Ovviamente la conquista di Padova e della sua Università rappresentarono


un momento decisivo nella storia culturale della Repubblica, che introdusse
una nuova magistratura per controllare l’istituzione universitaria: i
‘’Riformartori allo Studio di Padova’’ nel 1517.
L’Università attirava principalmente studenti da Venezia e dalla terraferma
veneta, ma nel corso del tempo cominciarono a giungere anche importanti
comunità dal mondo tedesco, greco e dalmata.

- La facoltà principale era ovviamente quella di legge, i cui docenti erano gli
unici non raggruppati nella facoltà delle ‘’Arti’’, in cui si insegnavano scienze,
e specialmente la medicina (si ricordi che nel corso del Medioevo e della
prima età moderna questa era legatissima alla filosofia in quanto modo di
indagare la natura).

- Molti chirurghi erano stipendiati direttamente dal governo, agli occhi del
quale erano di fatto ufficiali sanitari; tra questi uno dei più stimati erano un
tale maestro Gualtieri che chiese licenza nel 1318 per fondare un asilo per i
marinai e ammalati.

- Lo studio matematica, algebra e geometria era offerto soprattutto da


maestri, come Luca Pacioli (1445-1517), autore di una Summa de Arithmetica,
Geometria, Proportioni e Proportionalità (Venezia, 1494).

- L’insegnamento a Venezia si svolgeva invece presso Rialto, attraverso


lezioni di filosofia tenute tramite fondi privati.
Un altro genere di studio, quello della letteratura latina, fu introdotto a
Venezia da Petrarca, il cui interesse di tipo umanistico ebbe però a lungo
meno successo rispetto allo studio di Aristotele.

- Gli amici personali del Petrarca, come il Gran Cancelliere Benintendi dei
Ravignani, avevano ricevuto un’istruzione giuridica, a cui desideravano
aggiungere la conoscenza del latino, in modo tale da poter scrivere in modo
elegante in questa lingua.
- A lungo gli stessi umanisti provarono una certa freddezza per Venezia, al cui
venale governo repubblicano preferivano il mecenatismo dei principi; fu solo
con la stagione degli umanisti ‘’civili’’ fiorentini, loro stessi funzionari di un
governo repubblicano che ai loro occhi voleva richimari alle antiche virtù
repubblicane degli Ateniesi e dei Romani, che anche la percezione del
modello veneziano cambiò in positivo.

- La conoscenza del greco si sviluppò a Venezia dopo che a Firenze: in un


primo momento fu istruito un corso di lezioni umanistiche presso San Marco,
dove si insegnavano letteratura greca e latina.
In un secondo momento fu istruita una cattedra di greco a Padova, a cui
seguì poi anche il fondamentale lascito dei manoscritti del cardinale Basilio
Bessarione (1403-1472), che costituì il nucleo originario della Biblioteca
Marciana.

- Gli umanisti attivi a Venezia, come Guarino Veronese (1374-1460), furono


attivi in città per tempi relativamente brevi, in quanto consideravano troppo
volubile il mecenatismo dei nobili veneziani.

- Il rapporto dei Veneziani coi classici fu senza dubbio improntato ad un loro


utilizzo pratico: essi erano il miglior modo per prepararsi alla vita politica,
un ideale che avrebbe trovato la sua massima espressione in uno degli allievi
di Guarino Veronese, Francesco Barbaro, che fu ambasciatore a Bergamo,
Brescia (che difese dai Milanesi), Roma e Milano.

- Un altro ‘’figlio’’ dei classici fu Bernardo Giustinian, figlio di un bun amico


di Francesco Barbaro, che divenne famoso come abilissimo negoziatore e
anche come storiografo.
La sua storia è meno interessato all’elemento giuridico che invece premeva al
Dandolo, in quanto preferisce concentrarsi sul suscitare emozioni e sul dare
al lettore una visione su quali fossero destino e posto di Venezia nel mondo.
La sua opera venne però messa in ombra da quella del Marcantonio Cocci
detto il ‘’Sabellico’’ (1436-1506), che fu scelta dal governo veneziano come
storia ufficiale.
L’incarico di proseguire l’opera del Sabellico fu assegnato al più importante
degli intellettuali veneziani del Rinascimento ‘’maturo’’ (1492-1550), ossia
Pietro Bembo (1470-1547).
Prima di morire nel 1547, il Bembo riuscì a narrare in chiave positiva la
politica di Venezia nei difficili anni 1487-1513.
Nella storia della letteratura italiana Bembo però merita una menzione
d’onore sia per i suoi Asolani (1505), in cui ripercorre l’argomento amoroso
seguito da Platone nel Simposio, sia soprattutto per le sue Prose della volgar
lingua (1525) in decisive per l’imposizione nella letteratura volgere del
modello linguistico petrarchesco-bocacciano per poesia e prosa.

- L’archittettura veneziana rimase a lungo come detto dipendente dai modelli


bizantini, che permase anche nel primo Rinascimento , scandito , come già, a
a Venezia soprattutto da un’attenzione all’intensità pittorica e all’uso di colori
vivaci.
La prosperità della città ebbe come conseguenze l’espansione archittettonica,
specie presso il Canal Grande, dove cominciarono a sorgere grandi residenze
nobiliari.

- L’attenzione per la decorazione e lo stile delle prime Chiese costruite ad


inizio del Rinascimento spinsero il grande critico d’arte John Ruskin (1819-
1900) a parlare per Venezia di un ‘’Rinascimento bizantino’’.
La prima espressione del nuovo stile architettonico rinascimentale fu il
portale dell’Arsenale, costruito nel 1460.
A lasciare un impronta forte in questa a venire fu senza dubbio il lavoro di
Mauro Coducci (1444-1504), il cui stile non avrebbe però avuto vita lunga,
soppiantato dal richiamo agli esempi della Roma antica e rinascimentale.

LE LOTTE PER IL POTERE: IL QUATTROCENTO E IL CINQUECENTO

- Nel corso del Quattrocento Venezia cominciò ad occuparsi con sempre


maggiore intensità ai suoi affari in Italia, svolta che comportò un confronto
con le potenze signorili dapprima, e con le nuove grandi potenze straniere nel
corso del secolo successivo.

- L’espansione in terraferma fu determinata in primo luogo dalle necessità


materiali della Repubblica, il legname ed i viveri sopra ogni altra cosa, e dalla
volontà di controllare le vie terrestri per i mercati occidentali/settentrionali,
verso la Lombardia e anche verso la Germania.

- L’evoluzione degli strumenti di costruzione statale aveva fatto sì che in Italia


si vennero a creare nel XIV e nel XV secolo delle realtà politiche più grandi e
accentrate.
Si sviluppò insomma un sistema di Stati, che possedevano estensione e potere
differente l’uno con l’altro, ognuno dei quali intenzionato o a sopravvivere o
a stravolgere gli equilibri a suo favore.
La stessa Venezia ritenne più saggio tentare di alterare gli equilibri politici a
suo favore, piuttosto che lo facesse qualcun altro per primo.

- Il primo avversario dei Veneziani erano stati gli Scaligeri, signori di Verona,
che però furono sconfitti dalla Repubblica nel 1339 grazie anche all’alleanza
con Firenze; questa guerra portò a Venezia l’acquisto di Treviso.

- A Padova, un tempo dominio scaligero, subentrarono i da’Carrara, che alla


guida di Francesco Carrara il Vecchio avevano tentato di eliminare i Veneziani
alleandosi a Genovesi e Ungheresi al tempo della guerra di Chioggia.
I Carraresi furono come già detto eliminati grazie all’alleanza stipulata con
Gian Galeazzo Visconti; alcuni anni dopo la sua morte (1404-1406) Venezia ne
approfittò per occupare Padova, Vicenza e Verona.

- Nelle città conquistate Venezia mantenne in vita le istituzioni di governo


locali, che erano nelle mani delle aristocrazie locali, limitandosi ad inviare in
esse un podestà/rettore, un comandante militare e un tesoriere.
Un caso assolutamente particolare è dunque rappresentato da Padova: qui
infatti, a differenza che a Verona (dove i Veneziani cercarono di presentarsi
come eredi degli Scaligeri), fu eliminata ogni traccia carrarese.
I tre membri rimasti in vita della famiglia Carrara furono fatti strangolare per
ordine del Maggior Consiglio: una brutalità determinata in parte dall’odio
che il popolino veneziano nutriva nei confronti dell’acerrimo nemico
carrarese, in parte dovuta alla scoperta di numerosi nomi di nobili veneziani
all’interno della contabilità segreta carrarese (tra questi anche l’eroe di
Chioggia Carlo Zeno, condannato alla perdita di tutti gli incarichi e ad un
anno di prigione; egli morì nel 1418 e gli furono comunque accordati onori
supremi ai funerali).

- Quando Venezia sconfisse i Carraresi, il dominio visconteo si estendeva


dalla Lombardia alla Toscana, allungandosi anche sulla Romagna; nel
frattempo anche Firenze si espandeva conquistando Pisa, proprio mentre
Venezia si rimpossessava della Dalmazia.

- Nel 1423 esistevano nell’Italia settentrionale tre grandi potenze: Firenze,


Venezia e Milano; le altre potenze della penisola, ossia il Regno di Napoli e il
Papato, erano ancora in una fase di rafforzamento e unificazione.

- Nel 1423 Filippo Maria Visconti (1392-1447), restauratore del dominio


visconteo su Milano, allungò le mani sulla Romagna, spingendo la
Repubblica a cercare di nuovo l’alleanza con Firenze.
Fu in quest’occasione che fece la sua comparsa sul piano politico il vigoroso
doge Francesco Foscari (1423-1457), principale fautore della politica di
espansione aggressiva che Venezia avrebbe perseguito nel corso dei decenni
successivi.

- Il suo contraltare politico era stato il vecchio doge Tommaso Mocenigo


(1414-1423), suo predecessore, fautore di una politica più cauta, che invita la
Repubblica a perseguire, guardandosi invece da Foscari, che ‘’diffonde
menzogne e altre affermazioni senza fondamento’’ e che si augurava non divenisse
mai doge: ‘’E se voi, Dio non voglia, lo farete doge, vi troverete ben presto in
guerra’’.

- Il Foscari dopo il suo avvento al dogato cercò di perseguire una politica di


espansione ad Oriente ed Occidente: nel 1424 la città di Tessalonica, l’ultima
grande città rimasta all’Impero Bizantino oltre a Costantinopoli, si diede ai
Veneziani per difendersi dai Turchi.
Fu inviata una flotta a proteggere l’importante porto, che però cadde nel 1430
in quanto il numero di rinforzi inviati a difenderla dall’assalto turco diminuì
gradualmente a causa dell’impegno maggiore in Occidente.

- Nel 1431 la flotta Veneziana, guidata dall’ammiraglio Pietro Loredan, colse


una grande vittoria su quella genovese nelle vicinanze di Portofino, dopo la
quale a Genova avvenne l’ennesimo rivolgimento politico, che portò di
nuovo alla cacciata del governatore milanese.

- Venezia nel frattempo riuscì a conquistare Brescia e Bergamo, acquisti che


estesero il suo dominio in Lombardia, ma che spinsero Filippo Maria Visconti
ad allearsi con il re di Napoli Alfonso d’Aragona ().
Si aprì una fase di guerre, note anche come guerre di Lombardia, nel corso
delle quali i Veneziani dimostrarono tutta la loro capacità tattiche ed
ingegneristiche.
Un caso esemplificativo è la dispiegazione di una flotta nel Lago di Garda, il
cui arrivo permise di portare i soccorsi decisivi alla guarnigione di Brescia,
assediata dai Milanesi nel 1438.

- Le operazioni navali (anche quelle fluviali) erano affidate al comando di


nobili veneziani, ai quali era spesso affidata anche la difesa delle città di cui
erano governatori.
Per quanto riguarda invece le operazioni di Terraferma invece, queste erano
affidate ormai dalla fine del Trecento a specialisti mercenari, i cosiddetti
‘’condottieri’’, così chiamati perché agivano in base ad un contratto noto
come ‘’condotta’’, in base al quale essi offrivano in cambio di denaro il loro
servizio e quello di un determinato numero di soldati che essi provvedevano
a reclutare.
Questi condottieri erano affiancati da uno o due nobili veneziani, i cosiddetti
‘’provveditori’’, che erano eletti per consigliare il comandante riguardo il
piano di campagna e per riferire su di lui.

- La fedeltà di questi condottieri e delle loro compagnie mercenarie veniva


spesso a mancare, cosa che però avvenne molto raramente nella storia di
Venezia: il caso più famoso fu ovviamente quello di Francesco Bussone conte
di Carmagnola (1380-1432), che dopo aver conquistato Bergamo e Brescia per
conto della Repubblica, venen sospettato di inerzia e di aver tradito ed essere
passato al servizio del Visconti.
Per questo motivo egli fu convocato a Venezia con l’inganno, e qui venne
imprigionato ed infine condannato a morte; il fatto di aver mostrato una tale
rigidità nei confronti del Carmagnola accrebbe il prestigio di Venezia, che
diede prova della sua efficienza.

- Furono due i grandi condottieri della Repubblica nel corso delle guerre di
Lombardia:

1) Erasmo da Narni, detto Gattamelata (1370-1443), che diresse le operazioni


per la liberazione di Brescia; in generale le operazioni del Gattamelata non
portarono a notevoli successi, tuttavia egli si dimostrò un condottiero leale.
2) Bartolomeo Colleoni (1395-1475), un condottiero che nel corso delle sue
campagne acquisì un enorme ricchezza, paragonabile a quella di Cosimo
de’Medici (), il più grande banchiere del tempo.
Alla sua morte il Colleoni lasciò alla Repubblica 100.000 ducati da utilizzare
‘’per la guerra contro i turchi e la difesa della religione cristiana’’ e per costruire
una sua statua in piazza San Marco (questa fu edificata, ma in Campo San
Giovanni e Paolo).

- Il condottiero italiano che ebbe però maggior successo fu Francesco Sforza


(), che riuscì a frenare le ambizioni veneziane in Lombardia proclamandosi
signore di Milano.
Lo Sforza, che passò dal fronte veneziano a quello milanese, sposò la figlia di
Filippo Maria Visconti e in seguito pose fine alla Repubblica Ambrosiana
(1447-1450), costituitasi alla morte del Visconti.
Francesco Sforza approfittò del poco sostegno popolare di cui godeva la
Repubblica, accusata di aver ceduto troppo facilmente le città di Lodi e
Piacenza ai Veneziani.

- Lo Sforza frenò i Veneziani vincendoli nella battaglia di Ghedi (1453), un


anno dopo la quale, grazie alla mediazione di papa Niccolò V (1447-1455) si
arrivò alla pace di Lodi (1454), con cui si impose un equilibrio, seppur
precario, in tutta la penisola italiana.
Di fatto la pace sancì un mutamento di percezione nei confronti di Venezia,
che ormai era vista da tutti come la minaccia più grande per gli equilibri della
Penisola.

- Se avesse avuto solo l’Italia a cui pensare, forse Venezia sarebbe riuscita ad
imporsi come egemone in Italia, tuttavia essa nel Quattrocento fu costretta
suo malgrado a fare i conti con l’Impero Ottomano nei Balcani e nell’Egeo.

- Nella lotta contro i Turchi Venezia non era sola, ma era sempre appoggiata
dal Papato e dalle varie potenze che questo riuscì a coalizzare in una serie di
sfortunate crociate (1396 Nicopoli, 1444 Varna).

- Venezia tendenzialmente cercava sempre di trovare un’intesa coi Turchi,


contro i quali sempre più spesso i grandi Stati dell’Occidente erano sempre
più restii ad intervenire, fatta eccezione per i principati albanesi, il Regno
d’Ungheria e la stessa Repubblica.

- Venezia, impegnata nella lotta con lo Sforza, fu poco propensa ad aiutare in


maniera concreta l’ultimo imperatore bizantino Costantino XI (), che capitolò
nel 1453 di fronte all’immenso esercito di Maometto II ().
L’ultimo grande tentativo compiuto dalla cristianità per tentare di riprendersi
Costantinopoli e cacciare i Turchi dai Balcani fu la crociata indetta da papa
Pio II (l’umanista Enea Silvio Piccolomini, 1458-1464), che però morì malato
mentre alla flotta crociata ancorata ad Ancona si stava per unire anche quella
veneziana.
- Venezia fu così costretta ad affrontare i Turchi con il solo sostegno del
principe albanese Giorgio Castriota Scanderbeg (1405-1468), che sconfisse
ripetutamente l’esercito ottomano di Maometto II, ottenendo così il titolo di
‘’atleta di Cristo’’.

- La guerra turco-veneziana (1463-1479) vide inizialmennte in vantaggio i


Veneziani, che conquistarono la Morea, ma quando Scanderbeg morì nel 1468
e in Italia contro la Repubblica si unirono Napoli/Milano/Firenze, allora il
governo lagunare fu costretto a cambiare strategia e a limitarsi alla difesa
delle città albanesi della costa.

- Nel 1470 Negroponte cadde in mano ai Turchi, la cui cavalleria si spinse in


Dalmazia e da lì sino in Friuli.
Ciò era sufficiente perché i Veneziani cercassero la tregua con il sultano, che
arrivò nel 1479 e che costò loro la perdita di Negroponte, Scutari e di diverse
isole dell’Egeo.

- La flotta veneziana successivamente evitò nuovamente il confronto con i


Turchi, preferendo sostenere l’ascesa al trono di Cipro della veneziana
Caterina Corner (1454-1510), che nel 1489 cedette l’isola alla Repubblica.
Maometto II invece, dopo aver fatto pace con Venezia, riuscì nel 1480 a
conquistare Otranto, costiduendo una testa di ponte in Italia che terrorizzò i
principi italiani, che smisero per qualche anno di combattersi tra loro; i
conflitti ripresero solo dopo la morte del sultano (1482) e la riconquista
napoletana di Otranto.

- Nel frattempo papa Sisto IV (1471-1484) chiese l’aiuto di Venezia nella


guerra di Ferrara (1482-1484) promettendole la stessa città estense.
Il successivo voltafaccia del papa, che intimò ai Veneziani di cessare le loro
operazioni, portò al ritiro delle truppe veneziane: la successiva pace di
Bagnolo (1484) sancì la rinuncia a Ferrara, ma anche l’acquisizione
veneziane del Polesine (la foce de Po’).

- In questa prima fase di conflitti, questi ancora solo con le altre potenze
regionali italiane, Venezia emerge nelle descrizioni come una città governata
saggiamente; un ambasciatore francese a fine Quattrocento la descrive come
‘’la città più splendida’’ che avesse mai visto.

- A riprova della superiorità amministrativa della città si porti ad esempio


l’introduzione di un catasto, in cui erano elencati tutti i beni immobili della
città e il loro rispettivo valore.
Esso fu introdotto al fine di adeguare il sistema di riscossione delle imposte,
andando a sostituire il vecchio mezzo dei prestiti forzosi.

- In ogni caso però Venezia, che tra gli Stati italiani era sicuramente quello
più avanti nel processo di formazione statale, si trovava molto indietro
rispetto ai nuovi potenti regni d’Europa , in quanto limitata ancora nella sua
tradizionale struttura di città-Stato.

- Come detto, le antiche monarchie medievali si stavano trasformando ad


inizio Cinquecento in potenti Stati nazionali, rispetto ai quali Venezia rimase
ovviamente indietro: Francia, Inghilterra, Spagna e gli immensi domini
personali della casa d’Asburgo erano ora pronte ad imporsi come potenze
egemoni marittime e terrestri in Europa.

- Una nuova era ebbe inizio in Italia nel 1494, quando il re di Francia Carlo
VIII (1483-1498) discese la penisola per rivendicare a se’ la corona di Napoli.
Dopo una marcia inarrestabile che lo portò sino alla città partenopea, contro
Carlo VIII fu organizzata una Lega dal papa e da Venezia, che riuscirono a
respingere l’invasore dopo la battaglia di Fornovo (1495).

- La formazione della Lega fu possibile soprattutto grazie all’elevatissimo


livello raggiunto dalla diplomazia veneziana: i Veneziani erano infatti stati i
primi ad introdurre l’usanza di avere un proprio ambasciatore nelle principali
corti europee.

- Venezia attuò nel corso della prima fase delle Guerre d’Italia (1494-1559)
una politica militare e diplomatica sicuramente spericolata, che la spinse a
seguire ogni mezzo per impadronirsi di più terre possibili.
Dopo Fornovo Venezia occupò alcuni porti chiave della Puglia, inoltre andò
ad appoggiare Pisa nel suo tentativo di liberarsi dal giogo fiorentino, e in
seguito si alleò con Luigi XII (1498-1515), nuovo re di Francia, che, disceso in
Italia, una volta conquistata Milano donò alla Serenissima Cremona.

- Nel frattempo Venezia fu nuovamente costretta a fare i conti con i Turchi,


che diedero inizio alla seconda guerra turco veneziana (1499-1503), che si
concluse con la perdita veneziana di Modone, Corone, Lepanto e con una
nuova incursione turca nel Friuli.
Venezia concluse con i Turchi un trattato di pace nel 1503 con cui rinunciava
anche a molte città dell’Albania e della Grecia.

- Altraa notevole preoccupazione per Venezia era ovviamente la presenza


francese in Italia, che da un lato le aveva inizialmente permesso l’espansione,
dall’altro andavano ora a bloccarla.

- La guerra della Lega di Cambrai (1508-1516) mise in crisi non solo il mito
della condotta infallibile del Senato, ma arrivò a mettere a rischio anche la
sopravvivenza di Venezia stessa.
Contro i Veneziani nel 1508 si unirono il papa Giulio II (1503-1513), Luigi XII
di Francia, i Ducati di Mantova e Ferrara, l’imperatore Massimiliano I
d’Asburgo (1508-1519), la Spagna e il Ducato di Savioa.
Ognuno di questi aggressori voleva qualcosa del dominio veneziano
(l’Asburgo ad esempio voleva il Friuli, Giulio II la Romagna, che i Veneziani
avevano acquisito dopo la fine del dominio di Cesare Borgia).
- Venezia nel 1509 si trovò dunque costretta ad affrontare da sola tutte le
potenze della Lega di Cambrai, contro la quale fu armato l’esercito più
grande mai messo in piedi da uno Stato italiano (circa 18.500 uomini),
affidato a due uomini: Bartolomeo d’Alviano (1455-1515), comandante
talentuoso ed impulsivo, e Niccolò Orsini conte di Pitigliano (1442-1510).

- I due erano in conflitto riguardo le modalità di conduzione del conflitto, una


condizione che costò alla Serenissima una drammatica sconfitta nella
battaglia di Agnadello (1509), in cui le truppe di Bartolomeo d’Alviano
furono lasciate sole dall’Orsini, che giudicò troppo spericolata la decisione
del primo di assalire i nemici.

- Dopo Agnadello si arrivò alla defezione di alcune delle principali città di


Terraferma o alla loro conquista da parte degli aggressori, contro i quali fu
vano l’utilizzo della carta nazionalistica di cui tentò di servirsi l’esercito
veneziano, che usò come motto ‘’Italia e Libertà’’.

- I resti dell’esercito, ormai del tutto demoralizzato, fecero ritorno infine a


Venezia, che si preparò all’assedio; la situazione di sgomento e assedio sono
descritti nel diario di Giacomo Priuli, un banchiere caduto in rovina alcuni
anni dopo.
Il Priuli è sicuramente un moralista, e fa ricadere le responsabilità della
sconfitta non sui comandanti, ma sull’immoralità veneziana, che è stata
punita da Dio.

- Giulio II lanciò infine la scomunica contro Venezia, contro la quale la Lega


preparava ormai l’assalto finale, che il governo cercò in ogni modo di
impedire arrivando ad offrire la Romagna al papa e i porti pugliese alla
Spagna (ora padrona di Napoli).

- La situazione a Luglio (il disastro di Agnadello era avvenuto nel 1509) si era
però calmata, e i Veneziani furono in grado di riorganizzare le truppe, ora
guidate a Mestre e Treviso da Andrea Gritti (1455-1538).
Il Consiglio dei Dieci introdusse anche una serie di provvedimenti
straordinari, volti a recuperare denaro per tenere assieme l’esercito, secondo
cui erano previsti premi per coloro che consegnavano allo Stato vasellame,
denaro, gioielli e posate per battere moneta.

- Venne inoltre indetta una sorta di piccola mobilitazione generale, che riuscì
a consegnare al Gritti altre migliaia di armati, che anche grazie a questi fu in
grado di riconquistare Padova, poi difesa dal tentativo di conquista da parte
dell’imperatore.
Si ricordi inoltre che se da un lato le aristocrazie locali erano state molto
veloci nella scelta di defezionare da Venezia, i contadini erano invece molto
ostili agli occupanti, e favorirono la riconquista veneziana.

- Nel frattempo Papato e Spagna cambiarono fronte, trasformando la guerra


in una lotta per cacciare i Francesi.

- Venezia a questo puntò rovesciò nuovamente gli accordi andando ad allearsi


con la Francia, riguadagnando così le città di Brescia e Verona e vincendo la
battaglia di Marignano (1515), in cui si distinse Bartolomeo d’Alviano.
Al momento in cui fu stabilita la pace, sancita con il trattato di Noyon (1516),
Venezia era dunque riuscita a recuperare la maggior parte dei territori di
Terraferma acquisiti un secolo prima.
Nelle successive fasi delle Guerre d’Italia la Serenissima sarebbe stata però
più attenta a schierarsi militarmente, preferendo sempre addottare una
politica di progressiva neutralità a partire dal 1529.

- Nel frattempo Venezia aveva però perso il suo status di egemone in ambito
marittimo, in quanto ormai le enormi capacità demografiche, in termini di
risorse ed economiche della Spagna di Carlo V (1500-1558) e poi di Filippo II
(1556-1598) suo figlio, e dell’Impero Ottomano l’avevano messa in secondo
piano.

- Venezia cercò di rimanere al passo di queste due superpotenze costruendo


navi più grosse e armando flotte più numerose, ma a lungo andare la
disparità divenne evidente.

- Gli Ottomani si erano trasformati progressivamente in una potenza navale,


riuscendo a conquistare dapprima le aree strategiche di Siria ed Egitto (1517),
poi Rodi (1522), sottrata ai Cavalieri di San Giovanni.
La flotta ottomana fu affidata ai pirati barbareschi, guidati da Khadir al-din
(1478-1546) detto ‘’Barbarossa’’, che prese Algeri (1529) per conto del sultano
Solimano I il Magnifico (1520-1566).

- Carlo d’Asburgo divenne imperatore del Sacro Romano Impero nel 1519,
andando così ad unire la Spagna ai domini imperiali e della casa d’Asburgo
in un’unica grande superpotenza politica.
Egli mise al comando delle sue flotte il genovese Andrea Doria (1466-1560),
che nel 1535 guidò la flotta imperiale nella conquista di Tunisi (1535).

- Carlo V si impose anche come sovrano egemone in Italia, soggiogando le


varie realtà politiche della penisola o mettendo sul trono di queste dei
principi a lui fedeli; il segno della debolezza italiana nei confronti del potere
asburgico è il sacco di Roma (1527), episodio che in qualche modo segna la
fine della stagione rinascimentale.

- I domini veneziani erano poi minacciati dal crescente potere ottomano, che
scatenò una terza guerra con Venezia (1537-1540), che però stavolta poté
contare sul supporto di Carlo V.
Gli Ottomani riuscirono a conquistare l’ultima parte del Peloponneso in
mano ai Veneziani, ma non riuscirono a prendere Corfù, assediata insieme ai
Francesi nel 1537.
- Carlo V iniviò la sua flotta al comando del Doria nell’Egeo, dove però le
truppe cristiane furono sconfitte dal Barbarossa nella battaglia della Prevesa
(1538), dopo la quale Venezia firmò una pace separata, con cui fu costretta a
cedere le Cicladi.

- Diversi anni dopo gli Ottomani assalirono nuovamente i Veneziani, dando


via alla quarta guerra turco-veneziana, detta anche guerra di Cipro (1570-
1573).
I Veneziani riuscirono a resistere diversi mesi all’assalto ottomano all’interno
delle mura di Famagosta; per salvare la guarnigione e l’isola fu costituita con
la mediazione papale una Lega Santa (1571) a cui aderirono Filippo II di
Spagna e alcuni sovrani italiani, oltre ai Cavalieri di Malta.

- Le truppe della Lega, guidate da Giovanni d’Austria (1547-1578),


sconfissero gli Ottomani nella battaglia di Lepanto (1573), ma il disinteressa
spagnolo nel condurre una guerra a così grande distanza fecero sì che Cipro
fosse abbandonata al suo destino.
Veneziani e Ottomani conclusero la pace nel 1573, con cui fu sancito il
passaggio dell’isola all’Impero.

- La fine delle vicende cinquecentesche rendono possibile tentare di arrivare


ad una valutazione complessiva della politica veneziana, all’interno della
quael in questi due secoli avevano convissuto due partiti:

1) Il partito della Terraferma, composto da quei nobili che desideravano


costituire un sistema egemonico veneziano in Italia.

2) Il partito del Mare, che invece guardava ai domini in Lombardia come ad


un ‘’tumore maligno’’ per lo Stato, che sottraeva risorse alla vitalità marinara
che aveva reso grande venezia.

- Il Priuli, il cui diario è già stato ricordato, sostiene che tra le colpe per cui i
Veneziani erano stati puniti vi erano gli ‘’agi della campagna’’, che stavano
corrompendo la nobiltà.
Al di là dei motivi moralistici però, si deve notare che la svolta verso la
terraferma italiana non fu accompagnata da adeguati cambiamenti
istituzionali, in primis dalla necessità un minor affidamento sulle compagnie
di ventura.

- Se il declassamento a potenza marittima minore fu dovuto alla minor


disposizione di risorse e materie prime, nel caso del mancato sviluppo
istituzionale si deve parlare dell’assenza a Venezia di una gerarchia di veri
professionisti sostenuti da una burocrazia navale.

- Nel Cinquecento però Venezia fu comunque obbligata ad adottare alcune


piccole correzioni alla sua struttura costituzionale, che era in ogni caso degna
di enormi lodi per i contemporanei per la sua efficienza, simboleggiata dalla
pace sociale, dall’equità della giustizia e dai molti servizi municipali.

- Tutti i cambiamenti a cui si è accennato poco fa rimasero sempre nell’ambito


della struttura aristocratico-repubblicana venuta a delinearsi nella sua forma
definitiva nel Trecento.
Il trionfo aristocratico fu sancito definitivamente nel 1423, quando venne
abolita l’Assemblea Popolare; fu sempre in questi anni, nel 1462, che
all’interno del giuramento dogale scomparve il riferimento al ‘’Comune dei
veneziani’’, sostiutito dal riferimento alla Repubblica come ‘’Serenissima’’.

- La nobiltà divenne sempre più esclusiva: le ammisioni furono sempre più


rare e piccole, mai più si vide una situazione paragonabile a quella del 1381.
I nobili cominciarono a distinguersi dal resto della popolazione attraverso
sfoggi di ricchezza sempre più stravaganti, come quelli orientali.
I matrimoni tra nobili e non nobili erano comunque frequenti; in ogni caso la
nobiltà dipendeva dal padre non dalla madre.

- Il successo di questo regime era determinato dai consigli interdipendenti,


ossia da una distribuzione del potere che ignorava del tutto la separazione tra
funzione legislativa, giudiziaria ed esecutiva.

- Tutti i nobili, tranne quelli appartenenti al clero, erano a venticinque anni


membri di diritto del Maggior Consiglio, i cui membri all’inizio del XVI
secolo erano circa 2500 (anche se alle sedute non partecipavano mai oltre un
migliaio di persone).

- Nel corso del tempo la funzione deliberativa passò nelle mani del Senato,
composto in origine da sessanta membri ed in seguito ambiato con
l’inclusione del Consiglio dei Quaranta (o ‘’Quarantia Criminale’’).
Erano inoltre membri del Senato anche gli ambasciatori e i comandanti navali
di grado più alto; in sostanza chiunque contasse qualcosa politicamente
aveva un posto in Senato.
Il numero di coloro che avevano diritto di partecipare alle sedute si aggirava
intorno alle 300 unità, di cui solo 230 con diritto di voto; per il quorum
bastavano però 70 votanti registrati.
La libertà di discussione in Senato stimolava l’eloquenza, che era coltivata
tramite lo studio delle antiche orazioni di Cicerone.

- Le numerose attività gestite dalla Signoria spinsero il Senato a costituire una


nuova magistratura, quella dei sei ‘’Savi del Consiglio’’ (1400), che aveva il
compito di preparare l’agenda dei lavori del Senato.
Furono poi creati nel 1430 i cinque ‘’Savi di Terra Ferma’’, a cui fu poi annessa
un’altra commissione di cinque membri, quella dei ‘’Savi agli Ordini’’.
I vari Savi (16 in totale) e la Signoria cominciarono a costiruire il cosiddetto
‘’Pien Collegio’’, ossia una sorta di consiglio dei ministri.

- Nel trattare questioni cruciali la Signoria poteva scavalcare il Senato ed


affidarsi ditettamente al Consiglio dei Dieci, che erano difensori della pratica
aristocratica, se non oligarchica, contro coloro che minacciavano una rivolta
demagogica.

- I contrasti tra Dieci e Senato erano molto rari, in quanto entrambi i consigli
erano composti dallo stesso tipo di uomini, inoltre spesso ai Dieci, quando
vi era da decidere riguardo decisioni importanti, erano fatte delle ‘’zonte’’ di
quindici senatori.
Grazie al Consiglio dei Dieci era possibile prendere provvedimenti in
maniera più rapida e soprattuto segreta, cosa che poteva essere necessaria al
momento di un mutamento di alleanza nel corso di una guerra.

- Al momento di prendere una decisione importante di fatto il governo


veneziano era composto da sedici persone: doge, consiglieri ducali, Savi
Grandi, capi dei Dieci.

- I Veneziani erano molto fieri della loro costituzione, come dimostrato da un


testo del 1520 di Gaspara Contarini (), in cui si spiega la superiorità della
costituzione di Venezia in base alla sua natura mista.
La costituzione veneziana era la forma ideale di governo in quanto essa
teneva in conto dei ‘’molti’’ (il Maggior Consiglio) e dei ‘’pochi’’ (il Senato e i
Dieci).
L’armoniosità della costituzione veneziana era deteminata per il Contarini da
una mescolanza di forme costituzionali ‘’grazie alla virtù e alla saggezza
meravigliose dei nostri avi’’.

- Il sistema delle elezioni agli uffici più importanti si basava a Venezia su un


processo di selezione affidato al Senato, che si basava su di una procedura
abbastanza semplice e nota come ‘’scrutinio’’, secondo cui ogni senatore
designava la persona che preferiva.

- Spesso l’elezione diveniva anche un mezzo per vendicarsi di torti subiti: far
eleggere un proprio rivale al ruolo di ambasciatore in un luogo molto lontano
era una pratica comunissima, in quanto si trattava di un incarico sgradito e
dispendioso, al quale non ci si poteva sottrarre a causa delle multe e della
perdita di popolarità.

- Per la maggior parte delle cariche l’elezione avveniva in Maggior Consiglio,


che si riuniva ogni domenica.
L’elezione era inizialmente annunciata a Rialto e San Marco dai ‘’banditori’’ la
mattina, mentre il ‘’ballottaggio’’ (l’elezione vera e propria) avveniva nel
pomeriggio.

- Le ‘’ballotte’’ erano delle palline rotonde quasi tutte d’argento, ma in un


certo numero dorate, chi pescava queste ultime diveniva un elettore; vi erano
poi ulteriori sorteggi che riducevano il numero degli eletti a trentasei.
La pesca avveniva in modo tale che chi pescava non potesse imbrogliare,
meccanismo che in teoria andava ad impedire le frodi.

- La segretezza del voto sui nomi proposti era assicurata dal modo in cui
erano fatte le urne, contenenti due scomparti, uno bianco per i voti favorevoli
e uno verde per i contrari.
Si sottolinei che spesso le designazioni dall’alto avevano tanta probabilità di
prevalere su quelle proposte dalle commissioni del Maggior Consiglio, che si
dovette limitarne il numero.
La riduzione delle cariche per la quale Signoria e Senato avevano facoltà di
designazione dei candidati agiva contro la tendenza oligarchica.

- Un’esposizione più ampia delle manovre e delle manipolazioni elettorali è


fornita dall’opera di Marin Sanudo (1466-1536), uno studioso di politica
molto realistico e autore di una Vita dei Dogi basata su un lavoro di ricerca di
vecchie cronache, leggi, epistolari.

- Egli scrisse anche una sorta di diario (noto come ‘’Diari’’) all’interno del
quale egli annotava tutto quello che avveniva a Venezia: omicidi, incendi,
lezioni, concerti, sposalizi, bancarotte ecc…
Questo diario fu composto nella speranza di fungere da base per la stesura di
un’opera storica dei suoi tempi, speranza che però fu frustrata dalla nomina
di Pietro Bembo (il cui latino era sicuramente migliore) a storico ufficiale della
Repubblica.
Al Sanudo mancavano non solo l’eloquenza del Contarini e del Bembo, ma
anche il tatto politico.

- Il Sanudo ci informa sulle pressioni corruttrici concentratesi sul Maggior


Consiglio dopo che i poteri di designazione della Signoria e del Senato furono
limitati.
Egli ci dice che soprattutto al tempo della guerra della Lega di Cambria era
divenuto possibile acquistare la toga senatoria per 2000 ducati e persino
acquistare cariche minori.

- Il Sanudo ci informa anche sull’esistenza di un esasperato clientelismo, un


sistema in cui entrava in gioco anche il sistema dei benefici ecclesiastici, che
tutte le grandi famiglie ricercavano assiduamente.

- Il Maggior Consiglio poteva far sentire la propria influenza tramite i voti di


sfiducia, con cui poteva bocciare i candidati alle zonte senatoriali.
Ma in ogni caso il Senato era la carica più comoda, in primis perché per i
senatori non c’era un periodo di vacanza dalle cariche, il che significava che
si poteva continuamente essere eletti.
Questo non avveniva in caso di disfatta politiche-militari: dopo Agnadello il
Sanudo e il Priuli ci informano che tra 1500 e 1509 avvennero vere e proprie
‘’cadute del governo’’, ossia gli uomini più in vista della città non vennero
rieletti.
- In molti settori dell’amministrazione municipale, nell’assistenza sanitaria e
nelle norme per il controllo delle pestilenze, la Serenissima venne presa come
modello da tutti.
Altro ambito che era degno di lode per i contemporanei era quello della
diplomazia.

- L’esistenza invece di corpi funzionari elettivi limitò a Venezia lo sviluppo


di strutture burocratiche come quelle delle monarchie rinascimentali
contemporanee.

- Sappiamo che le cariche di più alto livello in ambito della Cancelleria erano
riservate ai cittadini originari, che cominciarono a registrare le nascite dei loro
figli nel ‘’Libro d’Argento’’, mentre i nobili registravano i loro all’interno del
‘’Libro d’Oro’’.
A differenza di altre cariche, quelle all’interno della Cancelleria non furono
mai messe in vendita, se non nei momenti più difficili, come il 1510.

- La figura del doge continuava invece a rappresentare quella di capo politico


in grado di governare non tramite il comando, ma tramite la persuasione.
Questo sentimento era determinato soprattutto dal fatto che la persona eletta,
con carica vitalizia, era stato un Procuratore di San Marco e aveva dunque
una notevole esperienza politica.
Il doge era la figura centrale dello Stato in quanto egli era l’unico membro
fisso in seno alla Signoria, visto che gli stessi consiglieri dogali cambiavano
ogni otto mesi.
In alcuni casi vi furono dei dogi capaci di condionare pesantemente la vita
politica dello Stato, come Francesco Foscari.

- Il lunghissimo dogato del Foscari (trentaquattro anni) finì con la sua


deposizione, dovuta alla fine dell’espansione in Lombardia a causa del
trionfo di Francesco Sforza.
A quello del Foscari seguirono dogadi brevi, fino a quello di Agostino
Barbarigo (1486-1501), che fu un’eco affievolita del periodo del Foscari.

- La combattività dei Veneziani fu però rianimata soprattutto dall’ex-eroe di


guerra Andrea Gritti (1523-1538), che aveva guidato l’esercito di terra alla
riconquista di Padova come Provveditore.
Il Gritti era però un aristocratico vecchio stampo, che aveva una personalità
troppo prepotente per essere popolare; egli in ogni caso tentò di ottenere il
favore dei Veneziani vendendo il grano a basso prezzo.

- Dogi come il Gritti, ossia dei veri e propri ‘’capi’’, divennero in seguito
sempre più rari nel corso della storia veneziana, e questo soprattutto perché
al momento dell’elezione i dogi erano già in ‘’età di pensionamento’’.

- La costituzione veneziana dava in conclusione migliore di quante se ne


trovavano altrove, anche se certi dogi finivano per essere odiati , il sistema
non era mai messo in discussione.
Le classi inferiori non venivano mai incitate alla rivolta, né i nobili cercarono
di stimolare nel popolo sentimenti di vendetta; inoltre si è già detto come le
ambizioni personali erano sempre smussate.

- Un modo per mantenere il consenso dei governati erano poi le grandi feste,
organizzate dal governo per fare mostra della propria magnificenza.
Facevano parte dell’arte di governare con attraverso la spettacolarizzazione,
arte in cui la Serenissima era maestra.

- La giustizia veneziana era lodata da tutti, persino da un grande intellettuale


come Jean Bodin (1529-1596), in quanto nobili e plebei ricevevano lo stesso
trattamento.
Ovviamente questa uguaglianza di fronte alla legge non corrispondeva anche
all’uguaglianza negli onori e negli interessi economici.

- Grazie ad un resoconto dell’ambasciatore francese Philippe de Commynes


(1445/1447-1511), ci informa che tra l’altro la maggior parte della popolazione
di Venezia era composta da ‘’forestieri’’, ossia da persone di immigrazione
recente.

- Di fatto la lunga stabilità del governo veneziano poggiò sull’attenzione


rivolta dai governanti sia agli interessi particolari sia al bene generale della
loro diletta città.

LA SFIDA OCEANICA

- La data del 1492, anno della scoperta dell’America ad opera del navigatore
genovese Cristoforo Colombo (1451-1506), fu senza dubbio decisiva anche
per la storia di Venezia.
Più in generale si deve notare come l’era delle cosiddette ‘’esplorazioni
oceaniche’’ ebbe su Venezia effetti meno letali rispetto ad altri luoghi, anche
se è indubbio che fu la stessa città lagunare a creare le condizioni che
avrebbero messo in crisi il suo ruolo tradizionale nel commercio mondiale.

- Nell’ambito della navigazione Venezia ebbe nel corso del Tardo Medioevo
un ruolo decisamente importante nell’ambito della cartografia, che nel corso
dei secoli precedenti si era interessata soprattutto alla descrizione di luoghi
religiosi come il giardino dell’Eden.

- L’espansione veneziana nell’ambito della cartografia (settore in cui a lungo


dominarono i Genovesi) va attribuita a due uomini, due pensatori politici per
esattezza: fra’ Paolino Minorita (1270-1344) e Marino Sanudo il Vecchio
(1270-1343).
- Nel Quattrocento l’egemonia in ambito cartografico passò nelle mani dei
Portoghesi, che però erano soliti distruggere le proprie carte, forse per timore
che la loro conoscenza geografica passasse nelle mani di altri Stati.
Possediamo le carte portoghesi solo grazie alle repliche fatte dai Veneziani,
che a loro volta continuarono a dedicarsi alla cartografia: si veda la mappa
del 1436 di Andrea Bianco.

- Una miglior rappresentazione cartografica del mondo fu disegnata da un


frate del convento camaldolese di Murano, fra’Mauro (?-1459/64), che si basò
sulla riscoperta Geografia di Tolomeo.
Fra’ Mauro e Andrea Bianco disegnarono anche una celebre mappa (di cui
una copia conservata a Venezia) per il principe di Portogallo Enrico il
Navigatore (1394-1460).

- Nel corso dei vari viaggi compiuti dai Portoghesi verso l’Africa del Sud, che
avevano come fine il doppiaggio dell’Africa e l’arrivo nel ricco Oceano
Indiano, si distinsero anche viaggiatori veneziani, come Alvise da Mosto
(1430-1483), che primo arrivò presso Capo Verde.

- Altri navigatori veneziani si misero al servizio anche di altre monarchie,


come Giovanni Caboto (1445/50-1498) e suo figlio Sebastiano (1480-1557).
Giovanni, che di origine era probabilmente genovese, ottenne la cittadinanza
veneziana dopo quindici anni di residenza, durante i quali fu attivo
soprattutto come mercante nel mondo musulmano.

- Giovanni Caboto si trovava a Valenza nel 1493, quando Colombo fece


ritorno con le sue navi, su cui erano imbarcati dei Nativi Americani che egli
rivendicava come prova di aver raggiunto l’India.
Caboto però, che aveva conosciuto in Oriente mercanti indiani, si accorse che
Colombo aveva raggiunto un luogo differente.

- Caboto propose al re d’Inghilterra Enrico VII (1485-1509) di raggiungere la


Cina (al tempo chiamata ‘’Catai’’) circumnavigando il mare occidentale da
nord.
Ottenuto il supporto di Enrico VII, Caboto dapprima si trasferì a Bristol, e nel
1497 su una piccola imbarcazione e con soli 18 marinai raggiunse Terranova
in trentacinque giorni, piantando la bandiera inglese, quella del pontefice e lo
stendardo di San Marco.

- L’anno seguente Caboto guidò una nuova spedizione al comando di cinque


navi, tuttavia egli non fece più ritorno.
La sua eredità fu raccolta dal figlio Sebastiano, che non fece viaggi prima del
1508, anno in cui raggiunse lo stretto di Hudson.
Sebastiano si trasferì poi in Spagna, divenendo ‘’Piloto Mayor’’ del regno,
istruendo tutti i naviganti spagnoli che guidavano le flotte dirette verso il
Nuovo Mondo.
- Sebastiano non parlò mai agli Spagnoli della possibilità di raggiungere la
Cina da nord-ovest, in quanto egli tentò di offrire il suo progetto a Venezia,
che però rifiutò; si ricordi che uno degli uomini incaricati dal Consiglio dei
Dieci di analizzare la proposta di Caboto fu Giovanni Battista Ramusio
(1485-1557), autore della prima opera geografica ‘’moderna’’: Delle navigationi
et viaggi (1550).

- Caboto rimase per trent’anni al servizio della corona spagnola, di cui guidò
la flotta verso il Rio della Plata (1526-1530); tornò all’età di settantasette anni
in Inghilterra.

- Si deve segnalare in questi anni che a Venezia ebbe notevole successo la


letteratura di viaggio, che molto spesso attingeva direttamente a resoconti
familiari recuperati da uomini veneziani negli archivi delle proprie famiglie.
Un caso molto celebre e discusso è quello di Niccolò Zeno (), fratello dell’eroe
di guerra Chioggia Carlo Zeno, che fu ammiraglio di galere mercantili e fu
accusato e condannato per estorsione.
In seguito egli si sarebbe spinto verso nord, raggiungendo ‘’Engroneland’’ (la
Groenlandia?) e ottenendo il supporto il regno di ‘’Frisland’’ (le Far Oer?).

- Quando nel 1499 giunsero a Venezia navi portoghesi cariche di spezie


indiane, il Priuli descrive l’evento con grande sgomento, arrivando a
presagire il prossimo collasso economico veneziano a causa della scoperta di
una nuova via per le Indie.
In realtà Venezia fu in grado, nonostante il pessimismo del Priuli, a metà del
XVI secolo di riconquistare buona parte del commercio delle spezie.

- Il mercato veneziano delle spezie era direttamente dipendente da quello del


Mar Rosso, che aveva come sbocco principale le città musulmane connesse
economicamente a Venezia: Beirut, Alessandria, Damasco.
Nel Mar Rosso i porti principali erano due: Aden e Gedda, che nel corso del
primo Quattrocento si arricchirono notevolmente.

- I Veneziani avevano una base molto importante ad Alessandria, porto in cui


avevano un loro quartiere, a riprova dei buoni rapporti che essi avevano con
i sovrani mamelucchi che governavano l’Egitto.
L’unico momento di vera tensione nei rapporti commerciali si verificò al
tempo del sultano Barsbay (1422-1437), che cercò di imporre un mercato
monopolistico sui beni circolanti lungo la via del Mar Rosso, che era ora in
suo possesso dopo l’arrivo di mercanti mamelucchi a Gedda.

- Ciò potrebbe dare conferma di una delle spiegazioni tradizionali riguardo le


cause che portarono alle esplorazioni geografiche: il calo dell’afflusso di
spezie nel continente.
A guardare bene i dati però, si notera che questo calo non si verificò mai,
anche perché i Veneziani furono sempre in grado di aggirare i tentativi
monopolistici di Barsbay.
- Il vero tracollo economico si verificò al tempo della guerra con gli Ottomani
del 1499-1503, che costrinse la Repubblica ad un vasto disimpegno
commericale nel Levante e che costò la perdita di Modone, Corone e Lepanto.

- L’espansione portoghese in India ebbe inizio quando nel 1498 l’ammiraglio


Vasco da Gama (1469-1524) raggiunse la città di Calicut.
Al ritorno di quest’ultimo il re del Portogallo inviò una nuova potente flotta
in India al comando di Pedro Alvares Cabral (1467-1520), che bombardò
Calcutta e trattò l’acquisto di mercanzie con il singnore di una città vicina.

- Gli effetti dell’arrivo portoghese nel mercato indiano delle spezie si fecero
sentire anche sul mercato veneziano, dove il pepe arrivò a 95 nel 1501.
I Veneziani trovarono nei Mamelucchi un ovvio alleato nel tentativo di dare
un freno all’espansione portoghese: i sovrani d’Egitto chiesero alla Serenissima
ingegneri e tecnici per armare flotte capaci di rivaleggiare con le caravelle
lusitane (questo sostegno agli infedeli fu rinfacciato alla Repubblica al tempo
della guerra di Cambrai).

- I Portoghesi misero in vendita le loro spezie dapprima a Lisbona, poi anche


ad Anversa, da dove minacciavano potenzialmente di rifornire anche Francia
e Germania.
I Veneziani cercarono anche di acquistare direttamente in Portogallo, tuttavia
i sovrani lusitani non erano interessati a vendere più spezie a prezzi minori,
bensì a imporre un monopoli che permettesse loro di costruire un impero;
perciò quando le galere veneziane giunsero a Lisbona nel 1521, i mercanti
ritennero i prezzi delle spezie troppo elevati.

- Il Levante però era troppo importante perché Venezia lo abbandonasse, e in


ciò l’evoluzione della politica nel Medio-Oriente favorì la Serenissima: nel
1517 gli Ottomani conquistarono l’Egitto e anche la costa dell’Arabia
(compresa La Mecca).
La conquista ottomana di queste aree portava all’ingresso nel Mar Rosso e
nell’Oceano Indiano di una nuova grande potenza navale, che fece venire
progressivamente meno i tentativi di blocco commerciale portoghese.
I Veneziani ricominciarono ad acquistare spezie direttamente nel Levante
ottomano, ponendo ad Aleppo la loro principale base commerciale.

- Il commercio Veneziano tornò ai livelli di fine Quattrocento, almeno fino al


1570, quando aumentò il numero di potenze coinvolte nel traffico delle
spezie: in Levante i Francesi si sostituirono progressivamente ai Veneziani
approfittando della guerra di Cirpo (1570-1573); la città di Marsiglia divenne
una pericolosa rivale per la Repubblica.

- Nel 1580 Filippo II di Spagna si impossessò della corona portoghese, cosa


che lo rendeva un potenziale concorrente per gli interessi veneziani, che si
trovarono schiacciati tra la superpotenta iberica e la loro principale rivale,
quella ottomana.
- La possibilità di costruzione di un canale presso Suez riaccese per qualche
tempo le speranze veneziane di poter continuare ad arricchirsi tramite il
commercio nel Levante, tuttavia il progetto non venne mai ultimato.

- Nel 1584 Filippo II propose ai Veneziani di vendere loro tutto il pepe che era
importato attraverso Lisbona, un affare da 3 milioni di libbre e che
prevedeva anche un abbassamento dei dazi doganali.
La proposta di Filippo II non era però priva di insidie: Venezia avrebbe
dovuto importare il triplo del pepe, inoltre avrebbe dovuto cessare il
commercio con gli Ottomani, cosa che avrebbe sicuramente causato una
rappresaglia da parte del sultano e quindi la rovina dei mercati.
D’altra parte i sostenitori dell’accordo ricordavano che Venezia era fiorita
come ‘’Repubblica marinara’’ proprio grazie al commercio nell’Impero
Bizantino.
La scelta finale fu quella di rifiutare la proposta di alleanza con la Spagna, in
quanto per il governo veneziano niente era più evitabile dal dipendere dal
volere di un monarca.

- Per arrivare ad un totale declassamento del commercio di spezie veneziano


si sarebbe dovuto aspettare fino alla crescita della potenza marittima inglese
e olandese negli anni Novanta del Cinquecento.
Gli Olandesi, impossessandosi delle isole delle spezie in Estremo Oriente,
costruirono un dominio molto più duraturo ed efficace di quello portoghese,
capace anche di troncare il flusso commerciale verso il Mar Rosso.

I CAMBIAMENTI NEGLI ALTRI SETTORI COMMERCIALI

- Nella seconda metà del Cinquecento Venezia era divenuta molto più
popolosa di quanti fosse mai stata in passato, e questo nonostante gli effetti
negativi che le scoperte oceaniche ebbero sul commercio veneziano.
Esse non ebbero risvolti solo sul commercio, ma in maniera indiretta ne
ebbero anche su molti aspetti dell’economia della città.

- Il commercio dello zucchero fu fin dal primo Quattrocento in mano ai


Portoghesi, che dapprima sfruttarono l’isola di Madeira, e che in seguito
sfruttarono gli enormi spazi del Brasile.
Questo spostamento del centro di produzione dello zucchero avvenne poco
dopo l’acquisizione veneziana di Cipro, che nel passato era stata importante
base per la produzione dello zucchero.
I Veneziani compensarono questa perdita potenziando la produzione del
cotone cipriota, che fu triplicata.

- Altro ambito in cui i Veneziani patirono l’arrivo delle materie prime


coloniali fu quello dei coloranti naturali: il chermes greco commerciato da
Venezia fu sostituito con il verzino brasiliano commerciato dai Portoghesi.
- Anche nel traffico dei metalli preziosi Venezia fu costretta a fare un passo
indietro, e questo nonostante nel tardo Quattrocento le nuove tecniche di
estrazione avessero dato nuova linfa alle miniere d’argento tedesche.
Dopo il 1580 l’argento americano affluì in Europa in quantità enormi, tali
ormai da far apparire pochissima cosa l’argento prodotto in Germania.

IL RAPPORTO CON GLI EBREI

- Le guerre coi Turchi comportavano delle spese enormi per la Repubblica,


che nei momenti di conflitto era inoltre obbligata a sospendere i commerci;
inoltre a differenza delle antiche guerre con Bisanzio, quelle con i Turchi non
davano possibilità di saccheggi o di impossessarsi di privilegi commerciali.

- L’Impero Ottomano rappresentò però anche una notevole occasione di


arricchimento per le comunità di mercanti greci, armeni ed ebraici che
misero in crisi ‘’l’egemonia bisecolare di Venezia e Genova’’ (Trajan Stojanovic).
Una grande comunità di Greci era presenti anche a Venezia, ma ve ne era una
anche di mercanti turchi, che dopo la guerra di Cipro fu alloggiata nel nuovo
Fondaco dei Turchi.

- Nel processo di rinascita del commercio nel Levante un ruolo importante lo


ebbero anche gli Ebrei, che a Venezia erano distinti in tre gruppi: levantini,
‘’tedeschi’’ e ponentini.

- I levantini, che diedero il nome ad un’isola di Venezia (la Giudecca), in teoria


potevano risiedere solo temporaneamente in città, ma si tendeva a chiudere
un occhio se mettevano su famiglia.

- I tedeschi erano gli Ebrei che provenivano per la maggior parte dalle città di
Terraferma: questi non potevano partecipare al commercio internazionale, ma
potevano dedicarsi all’usura (in teoria limitata al 15%).
Questi vissero confinati a Mestre sino al 1516, quando fu loro concesso di
rimanere in un quartiere della città, poi ribattezzato ‘’Ghetto Nuovo’’.

- A Venezia vi erano molti contatti tra cristiani ed Ebrei, contro i quali il


popolino non lanciò mai assalti; in ogni caso questi erano tassati
separatamente e il loro diritto di risiedere a Venezia era limitato ad un
determinato periodo.

- A metà del Cinquecento si aprì una questione importante nei rapporti tra
Venezia e gli Ebrei: quella dei ‘’marrani’’, gli Ebrei convertiti ma accusati di
essere rimasti segretamente Ebrei.
Questi giunsero a Venezia dopo il 1536, quando sorse in Portogallo (luogo in
cui questi marrani si erano rifugiati dopo essere fuggiti dalla Spagna) una
Inquisizione modellata su quella spagnola.
- Questi marrani furono a lungo percepiti come pericolosi dai Veneziani, e
questo perché il più ricco di loro, Joao Minguez, noto in seguito con il nome
ebraico di Joseph Nasi (1524-1579), dopo essersi trasferito a Costantinopoli,
dove divenne duca di Nasso e nemico di Venezia in ambito commerciale;
Nasi venne ritenuto il principale responsabile dell’invasione turca di Cirpo
nel 1571.

- La guerra di Cipro rafforzò l’antisemitismo a Venezia: si arrivò addirittura


a bandire i marrani dalla città.
Solo dopo la morte del duca di Nasso la tensione antisemita si alleggerì e le
relazioni con gli Ebrei migliorarono.

- Per quanto riguarda invece i ponentini, come il celebre commerciante


Daniele Rodriga, non potevano risiedere a Venezia per più di un anno, anche
se alcuni (come il Rodriga) prendevano moglie, cosa che portava a chiudere
un occhio.
Anche questi, guidati dal Rodriga, chiesero nel 1579 di poter avere dei diritti
di cittadinanza come gli Ebrei tedeschi: inizialmente il Consiglio dei Dieci si
oppose, ma infine concesse loro la residenza per dieci anni e la possibilità di
partecipare al commercio internazionale.
Ponentini e levantini furono raggruppati in una nuova area: il ‘’Ghetto
Vecchio’’.

- Il numero degli Ebrei crebbe arrivando almeno a 2500, una comunità molto
numerosa e soprattutto molto lodata a livello archittettonico ed intellettuale: i
rabbini della comunità ebraica di Venezia, prima dello sviluppo di quella di
Amsterdam, erano per le altre comunità occidentali quelli più autorevoli.

- Fu in questa fase che i rapporti tra Venezia e la piccola Repubblica di


Ragusa si rinforzarono.
Ragusa, che ricordava per certi versi la Venezia dei secoli passati, si era
arricchita attraverso il commercio con il mondo balcanico, le importazioni da
Alessandria e la vendita di queste in Inghilterra.
La stessa Serenissima ricorreva all’aiuto dei Ragusei nel corso delle guerre
con i Turchi: nel 1537-1540 i Veneziani si servirono delle navi ragusee per
portare fuori i loro beni dall’Impero Ottomano.

I NUOVI MERCATI E L’ESPANSIONE DELLA MANIFATTURA

- La potenza del sultanato ottomano fece rifiorire Costantinopoli, che passò


dai meno di 100.000 abitanti del 1453 ai 700.000 del 1580, tornando dunque ad
essere una città ricca ed un mercato importante per i prodotti veneziani.

- La deviazione verso gli oceani delle navi portoghesi e soprattutto spagnole


fece venire meno la concorrenza in quest’area, favorendo ad esempio
l’aumento delle importazioni di seta dalla Persia attraverso la base veneziana
di Aleppo.

- Venezia perse la sua posizione di intermediaria come detto a causa della


fornitura di merci orientali garantita da Inghilterra e Olanda, ma essa
recuperò sul mercato dell’Europa nordoccidentale.

- La prosperità demografica di Venezia rese più complessa la necessità di


rifornimento alimentare.
La città importava grano dal Mar Nero e anche dall’Egitto, anche se i mercati
di rifornimento principali erano la Sicilia e la Puglia, anche se buona parte
delle provviste veniva dai porti albanesi, greci, cretesi e ciprioti.

- La crescita parallela di Venezia e Costantinopoli rese però più difficile


acquistare grano dal Mar Nero, grano che ora le autorità ottomane
destinavano principalmente alla capitale.
I divieti di esportazione turchi potevano anche essere elusi, tuttavia Venezia
fu costretta sempre di più a fare affidamento sul mercato interno, e quindi
sull’espansione agricola della Terraferma.

- Questo processo di bonifica dell’entroterra veneto, noto anche come ‘’fuga


dal mare’’, fu favorito anche dall’attività letteraria di uomini come Alvise
(Luigi) Corner (1484-1566), autore di diversi trattato sulla conservazione
della laguna e sulle bonifiche agrarie.
Nel 1566 la stessa Repubblica nominò una commissione, quella dei
‘’Provvisori dei beni inculti’’, per intraprendere i lavori di bonifica, che alla
fine del XVII secolo portarono la Repubblica molto vicina all’autosufficienza
alimentare, diminuendo così la misura di dipendenza dal mare.

- Nel corso del pieno Cinquecento Venezia puntò soprattutto sull’espansione


della propria manifattura, che compì progressi notevolissimi specialmente in
campi come quello dell’industria chimica.

- Un ambito manifatturiero tradizionale era sicuramente quello della


produzione della lana; dopo il 1565 la Repubblica produceva oltre 20.000
pezze.
Lo sviluppo dell’industria laniera fu il fattore principale per la crescita
industriale e demografica, ma comunque non fu l’unico.

- Gli ambiti dell’industria chimica furono come detto veri e propri settori di
eccellenza della Repubblica, specie nella produzione di sapone, ma
soprattutto in quella di vetri.
Anche la tipografia (inventata da Gutemberg intorno al 1450), introdotta a
Venezia da Nicola Jensen (XV secolo) e Giovanni di Spira (XV secolo), fiorì
notevolmente nel corso del Cinquecento, secolo durante il quale Venezia
divenne la capitale tipografica d’Europa.

- Il predominio tipografico veneziano ebbe però inizio tra la seconda metà


del Quattrocento e i primi vent’anni del Cinquecento, ossia i decenni in cui fu
attivo in laguna il più importante tipografo del Rinascimento: Aldo Manuzio
(1449/52-1515), creatore del carattere ‘’italico’’ e lui stesso celebre umanista.
Ad Aldo Manuzio non va però solo attribuito il merito di aver inventato il
carattere italico, ma anche quello di aver prodotto testi ‘’in ottavo’’, più
piccoli e maneggevoli.

- Nel giro di qualche decennio dunque la tipografia veneziana ottenne un


ruolo egemone in molti campi, specialmente nelle pubblicazioni musicali;
ma si stampavano anche testi in greco ed ebraico.

- Il sistema economico veneziano favoriva senza dubbio il capitalismo


mercantile, in quanto esso si basava sugli investimenti di mercanti nella
manodopera.
I nobili/mercanti veneziani finanziavano attività industriali, ma non
divenivano mai imprenditori, anche perché i regolamenti pubblici erano volti
ad impedire questo sviluppo.
Era per esempio proibito possedere, in ambito di produzione dell seta, telai se
non a chi sapesse utilizzarli; era inoltre proibito ai maestri di avere più di sei
telai.

- Nell’industria laniera era invece una sola corporazione, un’associazione di


imprenditori nota come ‘’Camera del Purgo’’, a stabilire le regole.
Le varie corporazioni insite nell’industria laniera erano però in grado ognuna
di avere peso politico in un determinato momento: si pensi allo sciopero dei
cimatori (coloro che lisciavano i tessuti), che bloccò per diverso tempo la
produzione di prodotti in lana.
Visto il potere delle corporazioni risulta comprensibile capire perché i
mercanti fossero ostili alla creazione di nuove corporazioni.

- Un ambito in cui i mercanti avevano una certa libertà imprenditoriale


erano invece la stampa e l’editoria.
Se inizialmente erano gli stessi stampatori ad agire come imprenditori, in un
momento successivo cominciarono anche ad apparire imprenditori non
stampatori, come Andrea Torresano (1451-1528), suocero di Aldo Manuzio e
di fatto suo datore di lavoro (di ciò ci informa niente di meno che Erasmo da
Rotterdam, che era correttore di bozza per la tipografia aldina).

- Le più grandi industrie di Venezia erano ovviamente la Tana (dedicata alla


tessitura della canapa) e l’Arsenale, che era senza dubbio lo stabilimento più
grande, quello dove era impiegato il maggior numero di operai.

- Le corporazioni e le confraternite ebbero a Venezia un grande peso nella


vita di tutti i giorni dei membri delle classi medie e inferiori.
L’appartenenza ad una corporazione fu di fatto resa obbligatoria per tutti gli
artigiani e i bottegai nel 1539, quando alle corporazioni fu imposto di fornire
coscritti per le galere.
- Le corporazioni, che ricordiamo avevano anche il compito di contribuire
alla riscossione delle tasse, cercavano però sempre di limitare il numero
degli iscritti introducendo lunghi apprendistati o ammettendo soltanto i figli
di maestri.

- Il grado di democrazia all’interno delle diverse corporazioni cambiava


notevolmente, se in alcune si faceva sentire il peso di certe personalità, in
altre vi era molta democrazia partecipativa (riscontrabile nei libri statuari,
‘’mariegole’’, in cui erano registrati anche i voti).

- Per quanto riguarda invece la vita dei nobili, questi ricevevano grossi
stipendi se si trovavano ad essere funzionari in città soggette, ma avevano
buone paghe anche a Venezia.
Essi inoltre potevano arricchirsi anche grazie ai benefici ecclesiastici di cui
potevano godere alcuni membri della famiglia.

FINANZA PUBBLICA E BANCHE

- Il pagamento degli interessi del debito pubblico era un’altra componente


rilevante del reddito delle classi superiori, soprattutto da quando nel 1509 il
pagamento degli interessi del Monte Nuovo aveva raggiunto un totale annuo
di 150.000 ducati.

- Prima del disimpegno nelle Guerre d’Italia (1529), il governo veneziano


introdusse due nuove serie di titoli: il Monte Novissimo e il Monte di
Sussidio.
Già però intorno al 1550 la somma complessiva di pagamenti statali per i
debiti era pari a 300.000 ducati annui.

- La tendenza generale alla riduzione del debito pubblico fu interrotta dalla


dispendiosissima guerra di Cipro, ma riprese nei decenni seguenti: di fatto ad
inizio del Seicento la Repubblica si era quasi del tutto affrancata dai debiti.

- Per quanto riguarda invece la monetazione, fu nel corso del conflitto di


Cambrai che fu accelerato il processo di sostituzione dell’oro con l’argento,
un cambiamento che accelerò e favorì l’estinzione del debito pubblico.

- I cambiamenti del sistema monetario erano però spesso molto pericoloso


per i banchieri; i vantaggi e i pericoli di questo processo si possono cogliere
nella vita di uno dei più importanti banchieri veneziani del Cinquecento:
Alvise Pisani.

- Alvise Pisani fu il titolare dell’ultima grande banca non fallita a seguito del
disastro di Agnadello nel 1509, gli mancò solo di vedere la valuta cartacea
divenire il principale mezzo per finanziarie le guerre.
- A Venezia sul fronte bancario mancarono le trasformazioni compiute in
paesi come Olanda, Svezia ed Inghilterra, eppure i Veneziani potevano dirsi
nel Cinquecento ancora all’avanguardia per due motivi:

1) Il tipo di banca che crearono, che divenne un modello imitato ancora nel
Seicento ad Amsterdam, Amburgo e Norimberga.

2) L’emissione di monete di banco.

- Insomma sul fronte bancario Venezia poteva dirsi senza dubbio dotata di
una struttura buona rispetto ad altri luoghi: di fatto la finanza privata,
quanto quella pubblica, furono fonti della prosperità veneziana nel corso del
XVI secolo.

RICCHI E POVERI

- Come nei secoli precedenti Venezia riuscì dunque ad adattarsi ai mutamenti


avvenuti nell’ambito delle rotte commerciali, rimanendo ancora un centro
commericiale primario.

- I Veneziani erano ora disposti a spingersi sempre più in là, verso la Svezia e
la Polonia.
Eppure la nobiltà aveva completamente cambiato la propria identità: quella
che un tempo era un’aristocrazia di principi e mercanti era divenuta una
nobiltà terriera.

- Sfarzosissima e magnificente, la nobiltà della Serenissima seppe mantenere


il potere anche alla capacità di celebrare lo sfarzo tramite le feste pubbliche,
che affascinavano gli stranieri e procuravano svago al popolino; per questo,
come dice Braudel, Venezia era considerata la città più ricca e lussuosa al
mondo.

- Dietro questo primario strato di splendore si annidava però un profondo


tessuto di poveri, che aumentarono negli anni delle carestie, che spinsero
verso la città sempre più affamati.
Risulta innegabile che però la Repubblica si dimostrò in grado di affrontare
anche questa sfida, istituendo nuovi ospedali e favorendo l’azione delle
confraternite.
Fu poi l’introduzione del granoturco che favorì la diminuzione delle carestie,
che si fecero meno frequenti nell’epoca successiva.

- Tra le fasce più umili della società trovavano spazio non solo i mendicanti e
i trovatelli, ma anche i servitori e gli schiavi: è accertata la presenza di
schiavi neri tra i gondolieri verso la fine del Quattrocento.
- In sostanza è innegabile che tra i 190.000 abitanti della città vi fosse un
enorme numero di poveri, che cercavano di sopravvivere soprattundo
praticando la pesca.

- L’abbondanza di manodopera a buon mercato fu senza dubbio però uno dei


principali fattori che contribuirono allo sviluppo dell’industria
manifatturiera.

- Uno degli strati sociali sicuramente più curiosi di questa epoca era quello
dei cosiddetti ‘’Barnabotti’’, ossia nobili impoveriti e impossibilitati/incapaci
di ricostruire le proprie fortune familiari, e che però erano allo stesso tempo
costretti dalle convenzioni sociali a cercare di vivere nel lusso e assecondare
le mode e allo stesso tempo assecondare i capricci dei potenti.

- Il tardo Cinquecento fu insomma per Venezia una fase di declino di alcuni


settori e di crescita di altri, situazione che produsse cambiamenti strutturali.
Venezia affrontò la sfida delle scoperte oceaniche e della crescita degli imperi
ottomano/spagnolo inizialmente cercando di mantenere i loro ritmi in senso
di dimensioni delle flotte, andando però nel secolo successivo a non dare
proprio sui mari la risposta adeguata alle nuove sfide che l’attendevano.

LA TRASFORMAZIONE DELLA FLOTTA E DEI CANTIERI

- I cambiamenti avvenuti nel commercio e nella politica internazionale


influirono in modo diverso su tre settori della flotta: le galere mercantili, le
galere da guerra e le navi mercantili a propulsione interamente velica.

- All’interno della flotta veneziana una prima distinzione va operata tra


galere grosse, ossia i mercantili di grosso calibro (250/300 tonnellate nelle
stive), e le veloci imbarcazioni da guerra note come galere ‘’sottili’’; le prime
avevano due o tre alberi, al contrario le seconde solo una.

- Le galere grosse erano talmente grandi da scoraggiare quasi sempre i pirati,


la cui attività era in deciso aumento nel proseguio del Cinquecento, motivo
per cui marinai e rematori erano armati di spade e picche, a cui in seguito si
accompagnarono anche cannoni ed archibugi.

-Negli anni Venti del Quattrocento il successo delle galere mercantili


veneziane suscitò una serie di imitazioni, in particolar modo le galere che i
fiorentini facevano salpare da Pisa.
Nessun imitatore però fu in grado di ottenero lo stesso successo dei
Veneziani, le cui galere agivano su più rotte.
Le ‘’galere di Aque Morte’’ agivano verso Occidente, facendo scalo a Napoli,
Pisa e sino a Barcellona; vi erano poi un’altra rotta verso la Barberia e l’Africa
Occidentale e un’altra verso l’Africa Nordorientale, quella solcata dalla flotta
‘’al trafego’’.

- A bordo delle galere veneziane vigevano dei regolamenti molto precisi, che
riguardavano anche gli appaltatori, detti anche ‘’patroni’’.
Le somme per l’appalto delle galere subivano ovviamente fluttuazioni assai
ampie da un anno all’altro, secondo le stime delle condizioni del mercato di
Rialto.

- A bordo della nave era poi presente anche uno scrivano, che aveva il
compito di registrare tutti i carichi presi a bordo e tutti i noli (imposte dovute,
di solito del 3/4%).
Il ‘’capitanio’’ della nave era invece scelto per elezione, ed era un ruolo molto
ricercato per reddito e prestigio: costui aveva infatti il compito di riferire
dinanzi al Senato riguardo il comportamento del patrono.
Si deve ricordare anche l’esistenza di un Consiglio dei Dodici, composta da
patroni e mercanti, che si impegnava a controllare il pagamento dei noli.

- Il trattamento dell’equipaggio era uno dei temi su cui capitanii erano


chiamati a riferire dinanzi al Senato.
La paga di un marinai era tutto sommato modesta, ma poteva essere
integrata con benefici accessori, come il diritto di fare affari in proprio senza
la necessità di pagare il trasporto.

- Un gruppo sociale particolarmente curioso tra quelli presenti sulle galere


era sicuramente quello dei ‘’nobili della galera’’, ossia giovani nobili (che si
imbarcavano a vent’anni) specializzati nell’utilizzo della balestra.
Col passare del tempo l’istituzione dei nobili della galera degenerò, tendendo a
divenire una semplice elemosina fatta ai nobili poveri.

- Per quest’epoca storica i resoconti migliori sulle galare e sulla vita in esse si
trova nei racconti dei pellegrini, in cui si parla spesso dei rematori come
schiavi, e questo perché erano traviati dalla loro condizione miserevole.

- Celebrate per due secoli, le galere grosse scomparvero improvvisamente


dall’uso commerciale poco dopo il 1500.
La loro utilità cominciò a scemare a causa dei progessi qualitativi in ambito
militare e di velatura delle navi rotonde, sulle quali era possibile montare un
numero più ampio di cannoni.

- Il formarsi di grandi Stati come l’Impero Ottomano e i regni francese e


spagnolo, oltre il coinvolgimento di Venezia nelle loro guerre, esposero le
navi a sempre maggiori rischi.

- La prima linea che subì gli effetti dell’evoluzione militare in ambito navale
fu la linea verso la Romania: già nel 1452 alcune navi veneziane ormeggiate
nel Corno d’Oro furono attaccate dalle bombarde ottomane mentre
andavano verso il Mar Nero.
Nessuna galera mercantile tornò a Costantinopoli sino al 1479, e mai più
queste si spinsero nel Mar Nero.

- Anche le galere di Aque Morte cessarono la loro attività al tempo della guerra
della Lega di Cambrai; quasi nello stesso periodo anche la linea diretta verso
il Nord Africa e lo Stretto di Gibilterra cessò le attività.
Per quanto riguarda invece le galere dirette verso la Barberia, per queste fu
sempre più difficile muoversi a causa dell’ingrossarsi della pirateria.
Anche le antiche galere di Fiandra cessarono i loro viaggi dopo il 1533; in
seguito l’importazione di lana inglese fu lasciata alle caracche.

- Le galere che però patirono di più l’evoluzione del primo Cinquecento


furono quelle dirette ad Alessandria e Beirut, porti che furono inizialmente
duramente colpiti dall’espansione portoghese e dal blocco commerciale al
Mar Rosso che questa aveva causato.
I viaggi verso Alessandria cessarono nel 1564, quelli verso Beirut più o meno
nello stesso periodo.
La conquista ottomana di Siria ed Egitto (1517) fu solo un ulteriore colpo al
sistema delle galere grosse, la cui attività nel corso del XVI secolo si sarebbe
progressivamente ridotta all’area adriatica.

- Le guerre navali che Venezia fu costretta ad affrontare mutarono in primo


luogo perché i nuovi rivali, Spagna e Impero Ottomano, erano senza dubbio
potenze straordinariamente più grandi rispetto all’antica rivale, Genova, che
Venezia ancora per qualche anno nel Cinquecento continuava a percepire
come principale avversario commerciale.

- Il primo confronto coi Turchi avvenne nel 1416, quando l’ammiraglio Pietro
Loredan (1372-1438) attaccò la flotta turca nei pressi di Gallipoli, facendone
strage; fin da questo primo conflitto si poté notare la notevole brutalità che
avrebbe poi caratterizzato i successivi conflitti coi Turchi: il comandante
veneziano fece massacrare i nemici catturati.

- La marina militare ottomana fu inizialmente una forza ausiliaria delle


truppe terrestri, che rimasero sempre il fiore all’occhielo della forza marziale
turca.
Dagli Ottomani i Veneziani trassero però un’importante lezione anche in
ambito di guerra marittima: l’importanza dei cannoni, di cui ormai ogni
nave doveva essere dotata.
Questo nuovo fattore sancì la superiorità come già detto delle navi rotonde,
ma anche una trasformazione delle galere, che furono armate di cannoni più
potenti e modificate a livello di coperta, divenendo ‘’galeozze’’.
Altro sviluppo in ambito di ingegneria navale veneziana che vale la pena di
ricordare è la ‘’riscoperta’’ delle ‘’quinquireme’’ operata dall’umanista Vettor
Fausto, lettore di Archimede.

- I Turchi inflissero una prima importante sconfitta per mare a Venezia presso
Negroponte nel 1471, quando però fu soprattutto l’incapacità del Capitano
Generale Niccolò da Canal a fare la differenza.

- Le grosse navi dei Veneziani erano molto temute dai Turchi, tuttavia questi
riuscirono a compensare questo squilibrio di grandezza con l’utilizzo della
polvere da sparo, che fu una vera e propria ossessione per i comandanti
veneziani nel corso della guerra del 1499-1503, quando i Turchi giunsero
anche nello Ionio.

- Fu al tempo in cui Khair al-din, il pirata noto come Barbarossa, che la marina
ottomana divenne un’arma indipendente e svincolata dall’esercito di terra,
capace anche di proiettarsi come egemone mediterranea a discapito delle
potenze cristiane.

- I Veneziani seppero però rispondere alla sfida lanciata dai Turchi, riuscendo
(anche se con difficoltà) a coniugare in un’unica flotta galere a remi e navi a
propulsione interamente velica.
Decisivo in questo processo fu lo sviluppo dell’Arsenale, che nel 1473 fu
allargato con una nuova struttura, l’Arsenale Novissimo.

- I Veneziani allargarono anche la flotta di riserva, che raggiunse le 50 unità a


fine Quattrocento.
Questa era ovviamente preservata all’interno dell’Arsenale, che assunse
sempre più la forma di un deposito sicuro per armi e navigli, capace anche
di raggiungere dimensioni notevoli.

- L’espansione dell’Arsenale richiese in primo luogo delle maggiori necessità


di ‘’direzione’’ dell’attività, che si cercò in qualche modo di standardizzare, in
primis distinguendo tra gli operai e i ‘’maestri’’, ossia impiegati di livello
superiore che costituivano un’élite in seno alla classe artigianale e una sorta
di ‘’corpo di riserva dei sottufficiali’’.

- Dove la Repubblica mancò senza dubbio lo sviluppo fu l’ambito


dell’organizzazione del potenziale umano di cui necessitava in mare.
Il problema dell’assenza di marinai non si presentava per la prima volta nella
storia veneziana, già nel corso del secondo Trecento la Serenissima aveva
dovuto affrontare questo problema.

- Un fattore che senza dubbio diminuì il numero di volontari per le navi fu la


decisione del Senato del 1519 di ridurre la paga dei rematori di un terzo; per
questo motivo negli anni Trenta del Cinquecento l’unico modo per attirare
volontari era proporre stipendi molto alti.
Vivere da galeotti era divenuto inoltre ancora più degradante, sia perché con
avversari come i Turchi era divenuto difficilissimo fare bottino, sia perché lo
stesso vitto peggiorò.
Si conti inoltre che, nonostante il sempre più frequente ricorso alla
coscrizione, il governo mancava di pagare gli stipendi molto spesso.
- Nel 1539 fu imposto, come già ricordato, alle corporazione e alle Grandi
Scuole di fornire un contingente di rematori proporzionato alle proprie
dimensioni.
Le stesse corporazioni e confraternite pagavano dei premi agli uomini che
pagavano per coprire i loro contingenti.

- Sulle pratiche di arruolamento e di amministrazione navale di quest’epoca


possediamo un testo, scritto sotto forma di dialogo alla maniera umanista,
scritto da un esperto ammiraglio veneziano: Cristoforo da Canal (1510-1562).
La sua opera, Della Milizia marittima, libri quattro, di Cristoforo Canal gentiluomo
veneziano (scritta intorno al 1550), tratta anche delle varie etnie che facevano
parte della flotta veneziana: egli loda i Dalmati e ritieni i Greci i migliori.
Egli inoltre ci spiega che sono preferibili i rematori forzati rispetto a quelli
liberi, in quanto i primi sono ‘’uomini in catene dominati dalla paura, quindi più
obbedienti’’.

- Tutti i mezzi di reclutamento di cui disponeva Venezia furono sottoposti al


massimo sforzo nella guerra di Cipro, quando la Repubblica armò nel
complesso 140 galere.
Al termine dello scontro, avvenuto il 7 Ottobre a largo di Patrasso, i Turchi
avevano perso 30.000 uomini e ben 117 galere erano state catturate; a queste
cifre va aggiunto il numero dei prigionieri, che per molto tempo risolvettero il
problema dell’assenza di marinai per Venezia.

- Per un decennio dopo Lepanto l’Arsenale costruì pochissime navi, e anche


le stesse navi cambiarono di forma: le galeazze furono modificate (un progetto
a cui contribuì anche Galileo Galilei, professore di matematica a Padova) per
poter essere destinate a dare la caccia ai pirati.

- Per certi aspetti la storia degli Stati Uniti e quella di Venezia si somigliano:
entrambe furono due realtà inizialmente con un imponente respiro marittimo,
che nel caso degli Stati Uniti venne meno dopo la guerra di secessione,
mentre in quello di Venezia si affievolì senza mai soccombere.
Il porto della Serenissima rimase sempre uno dei primi cinque/sei di tutto il
Mediterraneo, oltre che il primo porto dell’Adriatico.

- Un deterioramento della capacità competitiva di Venezia si manifestò nella


costruzione e nell’impiego di navigli pià piccoli e semplici.
Venezia cominciò a patire la concorrenza di diversi rivali, anche
nell’Adriatico, come Ragusa, contro la cui concorrenza il Senato veneziano
tentò una mezza dozzina di rimedi.

- Il governo veneziano introdusse diversi piani di aiuti agli armatori


veneziani, il migliore quello del 1533, quando il Consiglio dei Dieci aumentò
lo stanziamento per i noli di trasporto del sale d’Oltremare da 12.000 a 18.000
ducati l’anno.
- È un fatto che dal 1650 c’erano a Venezia più navi rotonde di grandi
dimensioni di quante ve ne fossero in passato: era di fatto iniziata l’età delle
grandi caracche.
I documenti di cui disponiamo indicano altresì che le grandi caracche che
entravano e uscivano dalla laguna erano più numerose che a Genova.
Come in molte altre cose, le caracche sostituirono le galere mercantili anche
nel provvedere all’apprendistato dei giovani nobili.

- Le grandi caracche portavano a Venezia e ad Alessandria i manufatti


prodotti in laguna; queste erano ancora costrette ad affrontare la concorrenza
ragusea, che si dotava anch’essa di navi più grosse.

- Nel Quattrocento Venezia era diventata il massimo centro di assicurazioni


marittime: presso Rialto, nella Calle della Sicurtà, si potevano trovare molti
assicuratori che fornivano dei moduli sui quali si segnava il nome, la nave, le
merci e l’ammontare dell’assicurazione desiderata.

- La guerra di Cipro e la grande peste del 1575 diede un duro colpo sia alle
costruzioni navali sia al commercio.
Il commercio si riprse intorno al 1580, e anche il volume del traffico che
transitava per il porto di Venezia continuò a crescere fino alla fine del secolo;
non ripresero invece le costruzioni navali.

- I benefici riservati alle navi di costruzione veneziana non furono sufficienti,


e il commercio fu costretto sempre più a servirsi di navi straniere, prodotte
nella maggior parte dei casi in Olanda ed Inghilterra.

- Per stimolare la costruzione di navi di grandi dimensioni il governo


continuò per qualche tempo a far ricorso a pesanti sovvenzioni agli armatori,
un sistema che però a lungo andare non ebbe efficacia, costringendo nel 1590
a revocare la proibizione di navi straniere.

- I vascelli mercantili provenienti dall’Atlantico erano rimasti quasi del tutto


esclusi dal Mediterraneo, ma intorno al 1553-1573 tornarono anche vascelli
inglesi, che non solo assalivano i ricchi mercantili veneziani, ma andavano
anche a fare concorrenza ai Veneziani acquistando il vino greco e vendendo
stoccafisso e frumento.

- I Veneziani si dimostrarono incapaci ad usare navi comprate da Olandesi e


Inglesi, cosa che rese più difficile affrontare il problema della pirateria, che
fece anche la sua comparsa nell’Adriatico grazie agli Uscocchi (il termine
‘’uscocco’’ deriva dalla parola serbo-croata che vuol dire profugo).
Gli Uscocchi erano profughi serbo-croati dal mondo ottomano, che furono
impiegati dagli Asburgo per combattere i Turchi e per difendere i confini, ma
che in periodo di pace cominciarono ad assaltare le navi veneziane.

- Gli Uscocchi colpivano indifferentemente le navi ragusee e veneziane, ma


cercando di evitare la navi dalmate.
Si può definire solo in senso improprio quella degli Uscocchi, che erano
cristiani, ‘’pirateria’’, in quanto essi non facevano schiavi (a meno che non
venisse opposta resistenza).
La presenza degli Uscocchi era però solo una parte del problema: era
evidente ormai che l’Adriatico fosse infestato dai pirati più di quanto lo fosse
stato nei secoli precedenti.

- Anche negli altri mari i mercantili veneziani furono assaltate da pirati


cristiani e musulmani, con i primi che erano molto più pericolosi, anche
perché spesso sostenute da sovrani come il viceré spagnolo di Napoli e della
Sicilia.
I più pericolosi erano però i pirati inglesi e degli altri paesi del nord, che
assalivano le navi veneziani, le quali in ogni caso erano bene armate per
tenere testa ai privati.

- Nel XV secolo la Serenissima aveva risposto alla concorrenza posta alla sua
marina mercantile sostenendo gli armatori; ad inizio del Seicento Venezia era
ancora un porto fiorente, ma dipendente al massimo grado dai cantieri e dai
marinai stranieri.

UNA DIFESA TENACE: XVII E XVIII SECOLO

- L’Europa continentale del secolo XVII era caratterizzata generalmente dal


ristagno economico e dal consolidamento dell’assolutismo monarchico, due
tendenze che fecero sentire sempre più minacciata la Repubblica.

- Fra le due grandi pestilenze, del 1575-1577 e del 1630-1631, vi fu anche la


Controriforma, che fece accrescere il potere del Papato in Italia, ma anche
quella degli Asburgo, signori di Germania e di Spagna.
Per sopravvivere Venezia, arroccatasi intorno al risorgimento dello spirito
repubblicano, adottò una politica esterna connotata dalla scelta di
un’esasperata neutralità, difesa da un’abilissima diplomazia.

- Dopo la peste del 1575-1577 Venezia inaugurò la sua politica di neutralità,


che venne ritenuta come l’unica possibile per sopravvivere alla morsa
asburgica e al pericolo ottomano.
Venezia cominciò ad adottare una politica difensiva, fortificando le sue città
e le sue basi d’Oltremare attraverso i nuovi sistemi d’ingegneria militare, più
adatti a confrontarsi con il miglioramento delle artiglierie.

- Venezia continuò ad utilizzare i soldati mercenari, ma le forze armate


veneziane erano poca cosa in confronto agli eserciti che in quegli anni le
grandi monarchie europee cominciavano a radunare grazie alle loro
embrionali burocrazie.
- Venezia non possedeva una burocrazia centralizzata, ma continuava ad
accumulare le magistrature rendendo sempre più complessi i meccanismi di
funzionamento del potere.

- In città ci si dedicava sempre meno alle attività militari, risultato senza


dubbio dello sviluppo manifatturiero di fine Cinquecento; in generali i
Veneziani si dimostrarono d’ora in avanti più predisposti alla pace.
Il loro atteggiamento venne idealizzato da Paolo Paruta (1540-1598), il nuovo
storico ufficiale della Repubblica dopo Bembo, che nel suo saggio Della
perfettione della vita politica (1579) spiega che, a differenza di quanto riteneva
Machiavelli, il vero obiettivo della politica è la felicità, che può essere
raggiunta solo con la pace.
Il Paruta fu anche un rinomato e abile diplomatico, capace di dare alla
Repubblica un ruolo prestigioso nella riconciliazione del nuovo re di Francia
Enrico IV di Borbone (1589-1610) con il Papato.

- Ad inizio Seicento si costituì a Venezia un sistema proto-partitico che riuscì


per quasi un secolo a mettere da parte le fazioni familiari: da un lato c’erano i
‘’Giovani’’, che propugnavano una politica più energica di quella condotta
dai ‘’Vecchi’’, ossia dalla classe politica che aveva optato per la svolta neutrale
dopo la guerra di Cipro.

- I Giovani si ritrovavano presso palazzo Morosini a San Luca, e a guidarli era


Andrea Morosini (1558-1618), successore del Paruta come storico ufficiale
della Repubblica.
Tra i membri del gruppo dei Giovani vi erano personaggi che avrebbero fatto
la storia successiva della Repubblica, come Leonardo Donà e Paolo Sarpi,
ossia intellettuali interessati alle nuove idee provenienti da Francia, Olanda
ed Inghilterra.

- Il principale nemico dei Giovani era il Consiglio dei Dieci, simbolo stesso del
potere oligarchico.
I Giovani volevano limitare le prerogative dei Dieci e soprattutto dei loro
segretari: una prima vittoria arrivò nel 1582-1583, quando venne limitata
l’interferenza dei Dieci negli affari finanziari e in politica estera.

- I Giovani volevano poi adottare una politica più rigida nei confronti della
Spagna rispetto a quella molto cauta seguita dai Vecchi, tuttavia entrambe le
fazioni condividevano una posizione: l’atteggiamento verso la Chiesa.
I Veneziani, in questo eredi di Bisanzio, non vedevano di buon occhio le
intromissioni del papa nella vita politica, cosa che esponeva i rapporti sempre
a rischi notevoli.
Si ricordi inoltre che il Veneto era stato anche il fulcro per la diffusione del
pensiero degli Anabattisti nella penisola italica.

- A Venezia la proprietà ecclesiastica era soggetta a tasse, e i membri del clero


erano giudicati dai tribunali ordinari; la stessa Inquisizione poteva agire solo
accompagnata da un corpo di tre membri: i Savi contro l’Eresia.
Il protestantesimo era tollerato marginalmente a Venezia, al contrario la
comunità greco-ortodossa era molto florida e rispettata.

- I contrasti con il pontefice esplosero al tempo della guerra dell’Interdetto


(1606-1607), che trova le sue origini in due ordinamenti promossi da Venezia
nel 1605 e che limitavano l’acquisto e l’uso dei beni fondiari da parte della
Chiesa e che impedivano di lasciare la propria eredità alla Chiesa.

- Papa Paolo V (1605-1621), un notevole esperto di diritto canonico, si scagliò


contro la Repubblica quando questa si rifiutò di consegnare al giudizio del
tribunale ecclesiastico due preti accusati di delitti.
Paolo V rispose dicendo che le leggi veneziane erano contrarie al diritto
canonico, e minacciò l’interdetto sulla città, che venne scagliato dopo il
rifiuto veneziano di acconsentire alle richieste del papa.

- I Veneziani, proprio nel 1606, elessero come loro doge un membro del
gruppo dei Giovani, ossia il rispettatissimo Leoardo Donà (1606-1612), uomo
fervidamente religioso (aveva fatto, e rispettato, voto di castità in gioventù),
ma anche convinto della necessità per un laico di agire sempre secondo
giustizia.

- Il doge vietò la pubblicazione nel territorio veneziano del desto


dell’interdetto papale, inoltre minacciò di morte i preti che avrebbero posto
resistenza alle sue decisioni (ovviamente non fu ucciso nessuno, anche se
alcuni preti furono imprigionati).
Se fu più difficile ottenere il consenso dei preti di Terraferma, quelli della
laguna si dimostrarono fedeli alla Repubblica: il più fervido difensore
intellettuale della causa veneziana era un frate, Paolo Sarpi (1552-1623),
nominato consigliere teologico e in diritto canonico.
Furono invece cacciati dalla città i gesuiti, ovviamente fedeli alla causa
papale.

- Si arrivò ad una ‘’guerra degli opuscoli’’, nel corso della quale Venezia
ottenne il supporto del re di Scozia e Inghilterra Giacomo I Stuart (1603-
1625).
Alla fine si arrivò ad un compromesso grazie alla mediazione (e alle
manovre) di un inviato francese, che fece credere ad entrambe le parti che
fosse stata l’altra a cedere.
Fu così che Venezia poté mantenere in vigore le leggi del 1605, fatta però
eccezione per il caso dei due preti imprigionati.

- Si trattò indubbiamente di una vittoria morale veneziana, alla quale


contribuì in maniera decisiva il Sarpi (che subì un attentato e visse scortato
per il resto della vita, anche se protetto dalla Repubblica), la cui opera
avrebbe avuto in seguito straordinaria risonanza soprattutto grazie alla sua
Istoria del Concilio Tridentino.
- Venezia si sentiva minacciata anche dalla potenza asburgica, contro cui si
arrivò allo scontro al tempo della guerra di Gradisca (1615-1617), causata in
primis dal continuo operare dei pirati uscocchi.
A spingere per la guerra fu soprattutto il nuovo leader del partito dei Giovani,
Nicolò Contarini (doge, 1630-1631), che voleva che la Repubblica andasse ad
affermare la sua indipendenza.
Nel 1615 i mercenari veneziani, guidati dal condottiero olandese Giovanni di
Nassau (1582-1617), giusero ad assediare Gradisca per due anni.

- Si arrivò alla pace, con mezzi più diplomatici che militari, nel 1617: alla fine
ciò che la Repubblica voleva lo ottenne, infatti gli Asburgo tolsero di mezzo
gli Uscocchi.

- Venezia fu poi costretta a difendere il suo primato nell’Adriatico dal


bellicoso viceré spagnolo di Napoli Pedro Téllez Giròn (1579-1624) duca di
Ossuna, che aveva sostenuto anche gli Uscocchi.
Il duca di Ossuna cominciò a contendere il dominio dell’Adriatico ai
Veneziani tra il 1617-1619, quando infine le flotte di Venezia rimposero la loro
egemonia sull’Adriatico.

- Nel corso della guerra di Gradisca Venezia aveva reclutato molti mercenari,
che si erano accumulati nella capitale.
Tra questi vi era un gruppo di soldati francesi, guidati da un corsaro, che si
erano affiliati alla congiura del marchese di Bedmar (1618), l’ambasciatore
spagnolo, che aveva come fine quello di scatenare una rivolta finalizzata a
causare l’intervento della flotta spagnola, che avrebbe dovuto occupare
Venezia.

- La congiura venne però scoperta dai Dieci, che una mattina di Maggio del
1618, dopo aver agito nella notte in assoluta segretezza, fecero in modo che i
‘’bravi’’ al soldo della Spagna trovassero tre cadaveri di alcuni di loro,
capendo che i leader della cospirazione erano stati traditi (a dare la notizia ai
Dieci era stato un ugonotto francese che non voleva aiutare gli Spagnoli).

- Alla data del 1620 i Giovani potevano dirsi soddisfatti della loro iniziativa
politica sino ad allora; solo il decennio seguente avrebbe mostrato che ormai
Venezia non aveva armi per competere con le grandi monarchie europee.
Quando infatti nel 1628 i Veneziani, alleati dei Francesi, si impegnarono nella
guerra di successione al Ducato di Mantova e Monferrato (1628-1631),
conflitto che entrò all’interno della Guerra dei Trent’anni (1618-1648), il loro
esercito venne sbaragliato dalle truppe tedesche che assediavano Mantova.
La Repubblica nel corso delle trattative di pace fu costretta ad accettare le
condizioni imposte dall’alleato francese.

- Ad aggravare la situazione fu l’impossibilità di ricostituire l’esercito a causa


della peste del 1630, che arrivò a causare la morte di 50.000 Veneziani; la città
passò da 150.000 a 100.000 abitanti.
- La mancanza delle necessarie istituzioni militari fu poi accompagnata dal
declino economico, causato da diversi motivi, ma soprattutto dalla crisi della
marina mercantile.
Nel Mediterraneo ormai a dettare legge erano i mercantili olandesi e inglesi,
che inizialmente furono disposti ad utilizzare Venezia come scalo, ma quando
nel 1602 la Repubblica ribadì che le navi straniere potevano attraccare a patto
di vendere la loro merce solo a Venezia, i mercantili stranieri cominciarono a
snobbare la laguna e ad appoggiarsi ad altri porti come Livorno, Ancona e
Ragusa.
Nel decennio seguente al 1602 le fonti doganali ci dimostrano che il volume
del traffico che passava da Venezia diminuì del 40%.

- Altre cause del tracollo economico vanno ricercate nella crisi dell’industria
lanieri; nell’indebolimento del mercato tedesco a causa del conflitto dei
Trent’anni; l’aumento del debito pubblico a causa della partecipazione alla
guerra di Mantova.

- Anche il fervore civico andò pian piano a scomparire, nonostante i notevoli


successi politici ottenuti dai Giovani nei confronti del Consiglio dei Dieci, che
furono impossibilitati a fare zonte dal 1582-1583.
Questo però non impedì ai Dieci di aumentare il loro potere sul controllo
della criminalità: per imporre segretezza ai senatori essi crearono una
commissione di tre membri nota, quella degli Inquisitori di Stato.

- Verso la fine degli anni Venti del Seicento lo stesso partito dei Giovani si
spaccò e arrivò infine al collasso a causa delle dispute tra l’estremista Ranieri
Zeno e il più moderato Niccolò Contarini.
La rottura del fronte dei Giovani fece venire meno la politica contro i Dieci e i
loro segretari, che ebbero comunque l’effetto di rimettere il potere
decisionale al Senato.

- Il collasso dei proto-partiti veneziani era un segno della difficoltà che lo


Stato di San Marco aveva nell’ammodernarsi.
Venezia, anche se lodata da monarchici e dai loro avversari, era destinata a
divenire un potere decadente e assolutamente non all’altezza delle altre
potenze europee.

- L’unica area in cui ancora per un secolo la Repubblica esercitò la propria


egemonia fu l’Adriatico, il Golfo di Venezia.
Ormai nel Mediterraneo erano altre le grandi potenze, ossia Inghilterra,
Francia e Olanda, capaci di sostituirsi ai progetti imperiali di Spagna e
Impero Ottomano.

- La pirateria cristiana si fece progressivamente meno pericolosa per Venezia,


anche perché gli stessi Olandesi e Inglesi l’abbandonarono progressivamente
per darsi al commercio.
Solo i pirati berberi (soprattutto musulmani , ma anche cristiani in certi casi),
continuarono a rappresentare una minaccia per Venezia.

- La più grande sfida militare che Venezia si trovò ad affrontare nel corso del
primo Seicento fu la guerra di Candia (1645-1669), combattuta ancora una
volta con il tradizionale nemico turco.
La guerra fu causata dalle azioni dei Cavalieri di Malta, che assalirono le navi
del sultano che trasportavano parte del suo harem ed in seguito sostarono a
Creta.

- Il sultano ottomano Ibrahim I (1640-1648) rispose inviando un esercito che


avrebbe dovuto occupare Malta, ma che alla fine si lanciò alla conquista di
Creta.
L’isola, nonostante gli enormi sforzi economici, fu difesa tenacemente dalla
Repubblica, che per vent’anni difese la fortezza di Candia, capitale dell’isola,
sostenuta anche da volontari stranieri (la cui presenza in realtà creò delle
problematiche nello stabilimento di una gerarchia dei comandi).

- La guerra terminò nel 1669 con la resa onorevole di Candia, sottoscritta dal
Capitano generale veneziano Francesco Morosini (1619-1694), la cui scelta di
arrendersi fu criticatissima in patria.
I Veneziani persero la fondamentale base cretese, ma allo stesso tempo
riuscirono, con il supporto delle popolazioni morlacche dell’interno dalmata,
ad espandersi in Dalmazia e ad infliggere agli ottomani una terribile disfatta
nella battaglia dei Dardanelli (1655-1656), definita dallo storico dell’Impero
Ottomano Hammer come ‘’la più dura sconfitta subita dai Turchi dopo Lepanto’’.

- Un’occasione di riscatto in area greco-egea si presentò a seguito della


disfatta turca nel corso del secondo assedio di Vienna (1683), dopo la quale il
papa riuscì a costituire una Lega Santa guidata da Austriaci e Polacchi, ma
alla quale partecipò anche Venezia.

- Nel corso della prima guerra di Morea (1684-1699) l’esercito veneziano,


guidato da Francesco Morosini, riuscì ad occupare tutta la Morea, l’Eubea e
persino Atene.
Il Morosini ottenne l’epiteto di ‘’Peloponnesiaco’’ e la fama ottenuta in guerra
gli fece ottenere la nomina a doge (1688-1694).
La pace di Karlowitz (1699) sancì il dominio della Serenissima sulla Morea,
ma si trattò di un dominio di breve durata.

- Nel 1714 gli Ottomani, rafforzatisi dopo una vittoria sui Russi nel Mar Nero
e consci che Venezia era in quel momento priva di alleati, dichiararono guerra
alla Repubblica e riconquistarono facilmente la Morea.
In seguito assediarono Corfù (1716), dove però furono fermati dall’eroica e
tenace resistenza veneziana e dai soccorsi portati dal riformatore delle armate
veneziane, il nobile tedesco Johann Matthias von der Schulenburg (1661-
1747).
Fu però solo l’intervento austriaco a salvare la situazione: la vittoria ottenuta
sui Turchi dal principe Eugenio di Savoia (1663-1736) nella battaglia di
Petervaradino (Sebia, 1716) portò ad un ribaltamento della situazione.

- I Veneziani, assieme ad un contingente navale inviato dal re del Portogallo


Giovanni V (1689-1750), ottennero anche una soffertissima vittoria nella
battaglia di Capo Matapan (1718).
L’Austria decise però di trattare la pace coi Turchi, ‘’tradendo’’ le speranze
veneziane di un contrattacco in Morea: si arrivò così alla pace di Passarowitz
(1718), con cui Venezia rinunciò alla Morea, ma ottenne un’ulteriore
espansione in Morea.

- Nel corso della guerra di Candia e dei conflitti di Morea si poté notare che la
tattica navale e l’ingegneria si erano adattate all’artiglieria.
Se da un lato la comparsa di navi a propulsione interamente velica (o
‘’velieri’’) più potenti non causò ancora la definitiva scomparsa delle galere, si
deve notare che ormai i Veneziani erano abilissimi nel combinare galere e
velieri.

- L’Arsenale ormai costruiva soltanto galere (altra prova del conservatorismo


veneziano era l’obbligo di scegliere una galera come ammiraglia), pertanto i
velieri e i galeoni erano acquistati tutti all’estero.
A partite dal 1724 l’Arsenale cominciò a costruire anche un tipo di nave più
piccola, creata nell’Atlantico per le ricognizioni e la difesa dei convogli, ossia
la fregata.

- Per quanto riguarda le ciurme, esse erano sempre di nazionalità mista: sulle
navi veneziane erano presenti mariani dalmati, greci, albanesi; di solito a
guardia di una galera vi erano trai i trenta e i quaranta uomini.

- Venezia riuscì dunque a difendere la propria egemonia nell’Adriatico dai


Turchi, ma non dalle grandi potenze europee che erano in ascesa.
La conseguenza principale della seconda guerra di Morea fu il completo ritiro
della nobiltà dal commercio.

- Nel 1710 le entrate annue della Serenissima erano di circa 5 milioni di


ducati, somma ottenuta soprattutto tramite misure straordinarie come i
prestiti forzosi e soprattutto la vendita di cariche.
Ma nonostante tutti questi espedienti il debito pubblico a lungo termine salì
alle stelle: da 8 milioni nel 1641 esso era salito a oltre 50 milioni nel 1714.

- L’enorme debolezza economica non fece altro che rinforzare l’esasperante


neutralità della Repubblica, che si vide bene dall’immischiarsi nelle lotte
dinastiche tra Asburgo e Borboni.
Nel corso delle diverse guerre settecentesche la Serenissima adottò la
dispendiosissima strategia della ‘’neutralità armata’’, che però non impediva
agli eserciti stranieri di entrare nel territorio veneziano (gli Austriaci discesero
il Brennero per giungere a Milano, strappandola ai Francesi).
Un evento in qualche modo simbolico è quello avvenuto nel Maggio 1702,
quando a Venezia si venne a sapere che la flotta francese operava a largo delle
sue coste contro quella austriaca.
Alla notizia di questo fatto la città fu messa in allarme e fu decisa la
soppressione dello Sposalizio del Mare nel giorno dell’Ascensione, ossia il
rituale che aveva testimoniato nel corso dei secoli il dominio veneziano sul
mare, e sull’Adriatico in primo luogo.

- La debolezza di Venezia consentì anche la crescita di porti rivali all’interno


dell’Adriatico, in primis quello di Trieste, che nel 1719 l’imperatore Carlo VI
d’Asburgo (1711-1740) dichiarò porto franco.
Tuttavia il porto di Trieste crebbe rapidamente solo dopo il 1763, quando però
anche il commercio di Venezia era in espansione.

- Venezia rimaneva comunque un mercato metropolitano importante per


un’area ricca e densamente popolata.
Durante la seconda guerra di Morea vi era stata un’alta richiesta di navi,
favorita anche dal momentaneo tracollo del commercio ragusano a seguito
del terremoto del 1667 che aveva distrutto la città.

- Si arrivò così ad una vigorosa espansione del commercio e delle costruzioni


navali, favorita da una serie di riforme introdotte nel 1736.
Tra queste vanno ricordate soprattutto quelle che riguardavano la riduzione
dei dazi per le merci in entrata ed uscita, e l’introduzione delle ‘’navi atte’’,
ossia ‘’in grado di difendersi’’, e quindi armate con almeno 24 cannoni e
equipaggiate almeno con 40 uomini.
Le necessità di difesa erano dovute alla presenza della pirateria musulmana,
contro la quale furono adottate anche misure più ‘’furbe’’, come il veleggiare
con bandiera francese/britannica che, a differenza di quella di San Marco,
tendeva a dissuadere i pirati dalle loro intenzioni di saccheggio.

- Nel 1763-1765 furono stipulati dei trattati con i sovrani berberi, a quali
Venezia pagava un tributo in cambio della sicurezza della navigazione; il
dazio in ogni caso non era mai superiore alle enormi entrate permesse dal
commercio marittimo.

- Specialmente nel corso della Guerra dei Sette Anni (1756-1763), Venezia fu
in grado di sfruttare al meglio la propria neutralità, facendo navigare la sua
rinata marina mercantile sotto bandiera neutrale.
Anche nel Levante la Repubblica riuscì ad avere qualche vantaggio a causa
delle guerre tra Ottomani e Russi del 1768-1774 e del 1787-1792.

- La marina mercantile raggiunse le 309 unità nel 1794, mentre il momento


apicale del rinnovamento economico veneziano fu raggiunto nel 1783,
quando le cifre di tonnellaggio passanti dal porto raggiunsero le cifre più alte
di sempre.

- Nel 1786 si arrivò anche all’approvazione da parte del Senato del Codice per
la Veneta Mercantile Marina, ossia una risistemazione delle leggi marittime
veneziane, già codificate nel 1255 dal doge Ranieri Zeno.
Venne anche costituita anche una magistratura nuova adetta al personale
navale: il Magistrato dell’Armar.

- Marinai, capitani e parcenevoli (possessori di una parte del capitale di una


compagnia di trasporto marittimo) avevano ora tutti l’obbligo di essere
iscritti alla corporazione della gente di mare, la Scuola di Marineri di San
Nicolò, fondata nel 1573.

- Vi fu anche una ripresa della marina militare veneziana negli anni Ottanta
del Settecento, simboleggiata dalle spedizioni contro Tripoli/Algeri e Tunisi
(1767 la prima, 1784-1786 la seconda) compiute per costringere gli Stati
Barbareschi a rispettare i patti stipulati nel 1763-1765.
A guidare queste spedizioni fu l’ultimo grande ammiraglio della Repubblica,
Capitano da Mar Angelo Emo (1731-1792), le cui imprese diedero nuova linfa
vitale all’Arsenale.
Emo morì nel 1792 mentre si trovava ancora a comando della flotta con cui
aveva mosso guerra ai pirati tunisini tra Sicilia e Tunisi.
Nonostante la sua morte, Venezia e le sue marine (mercantile e militare)
rimasero le espressioni di quello che, sino alla distruzione della Repubblica
ad opera di Napoleone, era il porto principale dell’Adriatico.

- Per circa un ottantennio, dal 1718 al 1797, le grandi potenze europee furono
impegnate in una serie di grandi conflitti dai quali Venezia decise sempre di
astenersi.
I Veneziani da tempo guardavano a se’ stessi come ad un potere decadente,
in quanto ormai incapaci di fare quello che i loro avi avevano fatto.

- Carlo Antonio Marin (1745-1815), membro della nobiltà divenuto archivista


dopo che Napoleone nel 1797 aveva distrutto la Repubblica, compose una
Storia civila e politica del commercio de’Veneziani in otto volumi (1808).
Il Marin era convinto che la decadenza di Venezia fosse dovuta ad una causa
morale e militare, non economica, in quanto nel 1797 il commercio veneziano
non era inferiore a quello rappresentato nel 1423 dal doge Tommaso
Mocenigo.
I raffronti fatti oggi tra 1797 e 1423 sono sicuramente più ‘’sofisticati’’ di quelli
del Marin, ma giungono a conclusioni simili.

- La Repubblica nel corso del Settecento conobbe una crescita manifatturiera


notevole, specialmente in Terraferma, ma anche un aumento del numero dei
marinai, che nel censimento del 1770-1775 sono 4500.
A brillare in questa fase di espansione commerciale e marittima è soprattutto
l’assenza delle antiche famiglie nobiliari, che preferivano investire nella
proprietà terriera.

- L’espansione portò anche ad una stabilizzazione del debito pubblico, non


più gravato dagli sforzi economico-militari causati dalla politica della
neutralità armata perseguita nel corso delle guerre di successione spagnola e
austriaca.

- Per caratterizzare le trasformazioni della società occidentale a fine


Settecento si parla di Rivoluzione Industriale e di rivoluzioni democratiche:
due fenomeni che però non si verificarono all’interno della Serenissima,
anche se preme sottolineare l’imponente sviluppo preindustriale di alcune
aree dello Stato marciano.

- Ogni tipo di svolta democratica fu impossibile all’interno della Repubblica,


nonostante le idee progressiste e liberali degli illuministi francesi fossero
giunte e apprezzate anche qui.
Venezia rimase fino alla fine una Repubblica aristocratica governata da una
ristretta oligarchia, imbevuta di una concezione precisa della vita nobiliare
che la portava a disprezzare gli artefici della rinascita commerciale veneziana.

- Il principale e più autorevole portavoce della cerchia dirigente durante la


seconda metà del Settecento fu Andrea Tron (1712-1785), che in un discorso
fatto al Senato nel 1784 invitava i nobili ad investire nel commercio marittimo
come i loro avi.
Allo stesso tempo però il Tron era il primo a comportarsi differentemente e a
‘’snobbare’’ il commercio marittimo.

- La ristretta cerchia di nobili che di fatto governava lo Stato andò a


restringersi ancora di più nel corso della fine del XVII secolo e l’inizio del
XVIII.
Questo ulteriore restringimento fu patito soprattutto dalla carica dogale:
quello di doge era divenuto un titolo politico, ma privo di grande potere
politico.

- La politica estera era del tutto in mano ai sei Grandi Savi, affiancati dai tre
inquisitori; nessuno di questi tre uomini rimaneva in carica per più di un
anno, né poteva essere rieletto subito allo stesso posto, ma gli stessi nobili
potevano passare da una carica all’altra.

- In base al tipo di incarichi era possibile dividere la nobiltà in tre gruppi: il


primo era il cosiddetto quello dell’ordine senatorio; il secondo il cosiddetto
ordine giudiziario, composto da uomini dotati di buona cultura giuridica; il
terzo era quello dei già citati ‘’Barnabotti’’, i nobili impoveriti.

- Se durante il Quattrocento o il Cinquecento i nobili sembravano soddisfatti


della loro situazione, mentre nel Seicento cominciarono a sentire l’esigenza di
una riforma.
Fu così che si arrivò alla fondazione dell’Accademia della Giudecca, nata nel
1617 per migliorare la condizione dei nobili impoveriti, che potevano così
mostrare le loro capacità e arrivare ad impossessarsi di cariche alte.
- Il numero di nobili cominciò a crollare intorno al 1630-1631, facendo così
emergere la necessità di inserire uomini nella nobiltà, cosa che avvenne
anche a causa dell’estremo bisogno di fondi dell’erario.
Fu così legittimata l’ammissione nel Maggior Consiglio di nuove famiglie,
ossia quelle che versavano un adeguato contributo.

- Le nuove ammissioni non riuscirono però a risolvere un altro problema:


quello della mancata coesione tra nobiltà veneziana e nobiltà di Terraferma,
nonostante nel 1775 vennero aggregate alla nobiltà veneziana quaranta
famiglie aristocratiche della Terraferma, come i Manin friulani e i Martinengo
di Brescia.
Nonostante si affermi generalmente che questi non vennero mai apprezzati,
alcuni membri di queste famiglie riuscirono ad ottenere anche cariche molto
elevate: si pensi che l’ultimo doge, Ludovico Manin (1789-1797), era membro
di una di queste famiglie di Terraferma aggregate.

- Priva dell’ambizione di costruire uno ‘’Stato nazionale veneziano’’, Venezia


continuò a considerere se’ stessa una città internazionale, che continuava a
derivare buona parte della sua forza da una mescolanza di nazionalità.

- Il declinante peso politico di Venezia era però compensato dalla


straordinaria fama della città, che nel corso del XVIII secolo divenne una
delle principali tappe del ‘’Grand Tour’’, considerato una tappa fondamentale
dell’eduvazione di un gentiluomo.

- Ad attirare i viaggiatori a Venezia era l’impressionante attività teatrale: si


pensi che tra il 1637-1700 furono qui prodotte 388 opere e che in città erano
attivi ben 17 teatri.
Il primato veneziano in ambito musicale fu costruito grazie al successo delle
opere di Claudio Monteverdi (1567-1643), e venne confermato nel tardo XVII
secolo dal successo dei suoi epigoni, Pierfrancesco Cavalli e Marcantonio
Cesti.
Nel Settecento invece fu il sacerdote veneziano Antonio Vivaldi (1678-1741) a
riscuotere un notevole successo.

- Il teatro veneziano era però interessato anche alla prosa, che nel Settecento
conobbe un notevole successo grazie all’opera di Carlo Goldoni (1707-1793),
uno dei principali autori dell’Illuminismo letterario veneto.

- I visitatori erano attirati in laguna anche dalle numerose sale da gioco,


chiamate ‘’ridotti’’ in quanto la sala più famosa si chiamava per l’appunto
Ridotto di San Moisè.
Altro elemento che colpiva moltissimo i visitatori era la numerosa presenza
di prostitute, che di solito stupiva o disgustava.
La più celebre rappresentazione della licenziosità veneziana è quella fatta dal
noto libertino Giacomo Casanova (1725-1798), che nelle sua Storia della mia
vita (1825, scritta in francese) propone un nuovo mito di Venezia.
L’ultima fase di vita della Repubblica è caratterizzata dall’affermazione del
mito di Venezia come città vizio sfrenato; in effetti i viaggiatori sono quasi
tutti concordi nel testimoniare un rilassamento dei costumi anche fra le
donne dell’alta società.
Allo stesso tempo di deve sottolineare come gioco d’azzardo e infedeltà
coniugale, i vizi più criticati ai Veneziani, erano comuni a tutte le capitali
europee.
I viaggiatori ci offrono un’immagine precisa della Venezia settecentesca, ossia
quella della ‘’più gaia e contraddittoria delle capitali europee’’.

LA FINE DELLA SERENISSIMA REPUBBLICA DI VENEZIA

- Quando le notizie degli avvenimenti rivoluzionari di Parigi giunsero anche


alle orecchie del ceto di governo veneziano, vi fu chi sostenne la necessità di
riarmare la Repubblica.
Venezia mantenne però la sua rigorosa neutralità, rifiutando ogni alleanza
con la Francia o l’Austria e declinando anche il progetto di una lega difensiva
degli Stati italiani.

- La situazione precipità velocemente nel corso della prima campagna


d’Italia (1796-1797) di Napoleone Bonaparte (1769-1821), allora giovane
generale al comando di quella che avrebbe dovuto essere una forza in grado
solo di distrarre gli Austriaci dal fronte renano.
Bonaparte, sconfitti i Piemontesi e poi ripetutamente gli Austriaci, conquistò
Milano e giunse infine anche nel territorio marciano.

- Se la lealtà delle aristocrazie locali venne quasi in ogni caso subito meno (si
veda la vicenda delle Municipalità rivoluzionarie di Brescia e Bergamo), la
popolazione delle campagne e di alcune città si dimostrò poco propensa ad
accettare i soprusi francesi e soprattutto leale alla Repubblica.

- A Venezia furono pochi quelli che abbracciarono gli ideali democratici e


cercarono di ribaltare l’oligarchia; vi era anche chi, come i soldati dalmati, era
pronto a combattere per l’indipendenza e la sopravvivenza dello Stato.
Alla fine però, quando giunse voce dei preparativi francesi per un assalto alla
città, il doge raccomandò al Maggior Consiglio di accettare le richieste di
Napoleone (scioglimento del governo e passaggio del potere ad una giunta
municipale democratica).

- La Serenissima Repubblica aristocratica di Venezia dichiarò la sua fine il 12


Maggio 1797, giorno dell’ultima riunione del Maggior Consiglio.
Napoleone saccheggiò Venezia con metodo, depredando la Zecca, gli archivi,
l’Aresenale e i tesori d’arte.
La città venne infine consegnata all’Austria con la pace di Campoformio (17
Ottobre 1797), un ‘’baratto’’ che spiazzò i pochi entusiasti della transizione
democratica di Venezia.
Il più famoso di questi ‘’traditi’’ fu ovviamente Ugo Foscolo (1778-1827), ‘’la
prima voce lirica della nuova letteratura’’ (Francesco De Sanctis).

- Napoleone si riprese Venezia nel 1805, aggregandola al Regno d’Italia e


dunque facendola aderire al blocco continentale voluto dal neo-imperatore
dei Francesi per colpire economicamente l’Inghilterra.
Venezia decadde come centro marittimo, oltre che come centro politico: nel
1815 la città tornò all’Austria (a seguito del Congresso di Vienna, 1815) ed
infine entrò a far parte del Regno d’Italia nel 1866.

LA CITTÀ: EVOLUZIONE E CONSERVAZIONE

- I viaggiatori che nel Settecento giungevano a Venezia nel corso del Grand
Tour trovavano una città molto diversa da quella dipinta dal Carpaccio o dal
Bellini.
Alle forme bizantini, romaniche, gotiche e poi del Rinascimento maturo si
erano infatti aggiunte nel Seicento-Settecento quelle del Barocco.

- Come spesso è accaduto nella storia di Venezia, le nuove costruzioni erano


spesso dovute ad incendi, contro i quali solo nel XVIII secolo si provvide a
costituire dei reparti antincendio organizzati.

- Le forme del Rinascimento maturo si sviluppano a Venezia soprattutto dopo


il 1527, anno del sacco di Roma, che spinse molti artisti a trasferirsi in laguna.
Da un punto di vista pratico si deve segnalare che a Venezia erano dei
consigli a decidere dove si poteva costruire.
Per quanto riguarda invece l’architettura ecclesiastica, essa si ispirò nel corso
del pieno Rinascimento ai lavori di Andrea Sansovino (1460/1467-1529) e
quelli di Andrea Palladio (1508-1580), ossia il creatore della ‘’villa veneta’’,
detta per l’appunto anche ‘’palladiana’’.

- Nel XVI e nel XVII secolo possiamo invece constatare che lo sviluppo
architettonico nella zona di Rialto furono poco significativo rispetto al
rinnovamento dell’area di San Marco (cosa che riflette il predominio degli
affari di Stato su quelli commerciali in quei secoli).

- In una certa fase del Cinquecento Venezia fu senza dubbio il principale


centro artistico europeo, sia per l’abilità dei suoi artigiani, sia per la presenza
in città di alcuni dei più grandi maestri europei, in primis Tiziano.
A lui si deve aggiungere anche la presenza di Paolo Caliari detto il Veronese
(1528-1588) e di Iacobo Robusti detto il Tintoretto (1518-1594); oltre a loro si
ricordino anche pittori che furono messi in ombra da costoro, come Lorenzo
Lotto (1480-1556/57) e Paris Bordone (1500-1571).

- Nel Settecento la pittura veneziana fu riportata in auge grazie al lavoro di


Giovanni Battista Tiepolo (1696-1770), dal figlio Giandomenico (1727-1804)
e da Pietro Longhi (1701-1785).
Un intero genere pittorico, quello del vedutismo veneziano, si sposò alla
perfezione con le richieste dei turisti di vedute di Venezia; all’interno di
questo filone si distinse soprattutto Giovanni Antonio da Canal detto
Canaletto (), mentre meno popolari furono le vedute, più romantiche, di
Francesco Guardi (1712-1793).
Il massimo scultore veneziano del Settecento fu anche il più grande maestro
della scuola neoclassica a livello europeo, ossia bassanese Antonio Canova
(1757-1822).

LA LAGUNA: PERICOLI PASSATI E FUTURI

- Per molti secoli l’espansione della laguna rappresentò una minaccia molto
temuta dai Veneziani, che cercarono di conservare l’area lagunare senza però
lasciare che questa si espandesse a danno dell’elemento insulare/terrestre.

- I pericoli dell’oggi sono determinati, soprattutto ma non in maniera totale,


dall’espansione industriale della città, inaugurata nel 1920 con la fine dei
lavori presso Porto Marghera.
Un secondo sviluppo industriale si verificò negli anni Sessanta/Settanta del
XX secolo, quando si consolidò l’industria chimica di Marghera.

- I pericoli dell’industrializzazione furono denunciati dalla stampa nel 1966,


quando la ‘’Venezia storica’’ fu sommersa da quasi due metri d’acqua.
Emerse dunque la necessità di leggi e stanziamenti governativi volti a
cercare di impedire l’affondamento della città.

- Questo tipo di intereventi sono oggi favoriti dallo sviluppo tecnologico e


dalle leggi promulgate dal governo italiano per combattere l’inquinamento
della laguna, le inondazioni e l’affondamento.

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