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CURSO DE CRISTOLOGIA POST-CALCEDONESE

Professore: P. Carlo Dell´Osso.

Lezione 3: ott. 22 2007


Abbiamo quadro geografico, adesso i personaggi

Nefalio.-Sappiamo che nell’anno, ritorniamo all’anno 482 era stato emanato il henotikon da
Zenone, e coloro che avevano favorito le emanazione del henotikon, editto di unione, erano stati
fondamentalmente due: il patriarca di Costantinopoli Acacio ed il patriarca di Alessandria Pietro
Mongo (=rauco). Questo Pietro aveva firmato l’henotikon, ed era tornato ad Alessandria, e trovò i
monaci in rivolta. I monaci che non avevano gradito che il loro arcivescovo firmasse l’henotikon,
perché per questi monaci monofisiti, l’henoticon voleva dire in qualche modo abdicare alle proprie
posizione teologiche per andare in favore di Calcedonia, e del Tomus leonis.

Tra i monaci che organizzarono una rivolta contro il patriarca ci era queste tale Nefalio.
Come il patriarca era stato piuttosto severo nella repressione di questi disordini, allora alcuni
monaci si erano organizzati e Nefalio era capo di queste monaci, si era rivolto all’imperatore
Zenone, quindi era andato a Costantinopoli. L’imperatore aveva mandato poi il suo messo imperiale
chiamato Cosma, era andato in Egitto ed aveva tentato di sedare la rivolta, e di rappacificare gli
animi, ma questo non avene perché in Egitto la componente monofisita era forte. Quindi c’era
una forte reazione in Egitto alla formula due nature e soprattutto al Tomus Leonis, cioè il Tomus
ad Flavianus, il famoso, questa lettera che il papa Leone aveva scritto a Flaviano nel anno 449.
[Quella lettera del Papa Leone, la dovete imparare a memoria, è la carta magna della cristologia]
Questo Tomus Leonis non era accolto, non gli andava giù ai monofisiti, soprattutto a questi
egiziani. Queste sono alcune notizie che abbiamo di lui.

Dopo di che, agli inizi del sesto secolo, 500, ritroviamo Nefalio in Palestina, incardinato nel
clero di Gerusalemme. Quindi, si era impostato probabilmente perché aveva avuto dei contrasti
anche col successore di Pietro Mongo. Qui a Gerusalemme, questa è la svolta, Nefalio è un forte
difensore di Calcedonia, diremmo in qualche modo a cambiato bandiera: di monofisita convinto a
Calcedonesi convinto. [Mi sorgono dei dubbi che non siano due persone diverse, pero non siamo in
grado di dire se si siano due personaggio o lo stesso. Tutti concordano in dire che sia stato lo
stesso.] Succede che a Gerusalemme, lui è sostenitore dei calcedonismo, ed aveva cominciato una
serie di dibattiti pubblici contro i monofisiti. Loro uscivano del convento nella mattina, andavano
alla piazza, e cominciavano le disputi orali, tra i sostenitori calcedonesi e gli anticalcedonesi che
comunque erano favoriti dal impero. Allora comincia a girare per tutta la Palestina facendo una
serie di dibattiti pubblici, finche giunge nel prezzi di Gaza, arriva e ci era un monastero di
Maiuma, e qui si annidavano i monofisiti, stavano lì. Si combatteva soprattutto in Palestina. Dice
Cirillo che una notte uscirono i monaci Calcedonesi armati di badile, accia, e andarono a
distruggere i monastero monofisiti Cirillo di Citopoli dice che solo un eclisse di luna impedì una
carneficina totale.

Arriva a Gaza, a Maiuma, c’era un monaco intelligentissimo chiamato Severo, uno dei
grandi personaggi del sesto secolo, che poi diventerà patriarca di Antioquia. [I monofisiti attuale,
chiese monofisite, in realtà non sono Eutichiani sono Severiani.Oggi poi si tende anche non dire più
monofisiti perché venne avvertito come molto dispregiativo, si usa miafisiti, perché loro seguono la
formula della μια φυσις του λογου sarcomene=Una sola natura del verbo incarnato (a). sono
monofisiti severiani.] Nefalio arriva a maiuma e lì incontra severo. Con severo ha un enorme
disputa, come nefalio era molto insistente, e stava creando parecchi difficoltà nella zona, anche dei
taferulli. Allora Severo con alcuni monaci, 200, va a Costantinopoli, siamo nell’anno 508, fino al
511. in questi 3 anni Severo predica a Costantinopoli col favore del imperatore Anastasio, quel
che aveva sposato la vedova di Zenone. A questo punto giunge anche Nefalio a Costantinopoli e
Nefalio aveva chi le proteggeva, primo gli ascemeti, stavano di guardia, i calcedonesi, e poi il
patriarca di Costantinopoli Macedonio, che favoriva i calcedonesi, e anche Nefalio.

A Costantinopoli diremmo i calcedonesi avevano il patriarca che tentava di ricucire la


comunione con Roma, ma l’imperatore frenava questa cosa. E poi c’erano invece più agguerrite gli
ascemeti, che erano intransigenti, non li importava l’imperatore facevano quello che li pareva.
Anche gli ascemeti, erano soggetti direttamente al papa di Roma. Quindi erano sotto la
giurisdizione. Praticamente c’era un monastero che obbediva a Roma, en casa del patriarca. Questo
creava tensione. Poi queste ascemeti nel 534 verranno scomunicati, perché l’imperatore
Giustiniano farà pressione sul Papa perché le scomunicasse, quindi la loro azione va da dopo
Calcedonia fino al 534; poi venero sgominati, creavamo problemi. Fin quì sappiamo la vita di
questo uomo, 508-511, poi non sappiamo nulla di Nefalio. Purtroppo le notizie di questi autori sono
molto limitati, le trovate nel Grillmeier. Non è rimasto superstite nulla di quello che lui ha
scritto. In realtà non abbiamo nulla, tranne alcune notizie da parte di Severo. Severo il suo
avversario ci informa di lui e scrive due orationes ad Nefalio (in siriaco, traduzione in latino, non
traduzione in lingua moderna) andarono tutto distrutto degli eretici, quindi di Severo, si sono salvate
le traduzione nelle lingua che si parlava al di fuori del impero, dunque siriaco anche armeno, nella
lingua che rimanevano nascosto (quando un eretico veniva condannato doveva venire tutto le opere
distrutte, e accadeva questo. Guardia imperiale controllavano i papiri, rotoli, in latino e greco, per
far sopravvivere una opera dovevi scriverla in una altre lingua) (le biblioteche erano poche, e
conoscevano il luogo dove stavano). Lui, Severo, ci va molto duro contro i suoi avversari. Lui
definisce Nefalio: “questo cretino di Nefalio e i suoi amici”, “defensores sinodis calcedonensis”.

Come si poneva la disputa tra i due. Contestualiziamo: periodo 508-511 a Costantinopoli,


imperatore Anastasio che favoriva monofisiti, quindi Nefalio era il fuori legge, Severo era quello
ortodosso. La disputa si poteva tenere soltanto . [Non potevo io calcedonese difendere expresis
verbis il concilio. L’unico modo col quale si poteva disputare: attraverso l’uso e l’interpretazione
dei testimonia patristici, cioè, delle citazioni dei padri. io portavo con me un dossier con citazioni
dei padri dove si paralava della formula delle due nature... e tu oppositore portavi altri dossier
patristici dove veniva condannata la formula delle due nature e restava la formula della unica
natura]. La disputa probabilmente non aveva un andamento dialettico-teologico, ma era una
disputa materiale, ognuno tirava fuori le sue carte (si tengo più vinco io), soprattutto notiamo che
Nefalio doveva aver portato dei testimonia derivanti da Gregorio Nazianzeno, Atanasio, e Cirillo. I
calcedonesi di stretta osservanza, come Nefalio, non accoglievano i 12 anatematismi di Cirillo
(perché Cirillo sottolineava fortemente la unità del soggetto, del logos, a discapito della dualità delle
nature).

Ancora il problema è sempre relativo alla formula da due nature, sostenuta da Severo, e
l’altra formula in due nature (calcedonesi, ortodossa). Severo diceva: se esiste un’unica ipostasi
necessariamente ci sarà una sola natura, quella divina. Allora quando si può parlare di due natura?
solo prima della unione, perché se le due nature (Severo) permangono non avviene l’unione. Invece
nella formula calcedonese, nella ipostasi permangono le due nature, e loro dicono proprio il
contrario, perché ci sia l’unione occorre che siano due le nature. Questa naturalmente è insostenibile
per noi, perchè le due nature non preesistono all’unione (la natura umana non preesiste alla unione,
preesiste alla unione soltanto la divina, prima della unione non esisteva uomo, umanità di Cristo).

Como intendere la formula in due nature?: probabilmente: io quando guardo Cristo, allora
contemplo (teorei=in teoria, nella contemplazione) Cristo. Che vedo quando contemplo l’unica
ipostasi di Cristo? vedo le due nature, cioè, vedo tutte le qualità essenziali delle due nature,
dunque le due nature che permangono nell’unica ipostasi (ci addentriamo nell cuore della
cristologia).
Allora, riprendiamo, non è possibile affermare che le due nature preesistano all’unione,
perché si è vero che la natura divina preesiste, è il Logos, non è dato che l’uomo preesista prima
della incarnazione, prima della unione, è impossibile questo, l’uomo di Cristo nasce nel seno della
vergine, ma in quel momento, nel concepimento, avviene l’unione, l’enosis.

Come intendere la formula delle due nature nella unica ipostasi? Va intesa in questo senso:
che contemplando Cristo, inteso come una ipostasi concreta, si individuano le qualità
essenziali delle due nature, dunque, in Cristo coesistono, convivono, permangono
perfettamente le due nature. Adesso brutalmente detto: io quando vedevo Cristo, questo uomo,
che potevo toccare, vedere, strano, quando lo guardavo mi accorgevo che era perfettamente uomo, e
poi, vedevo che c’è qualcosa di divino, monte Tabor; allora, tu nella concreta ipostasi contempli
tutta l’umanità nella sua perfezione, tutta la divinità nella sua perfezione.

[fysis termino tecnico. Diventarà l’equivalente di ousia, esenza. Anche dopo si vedrà la
differenza: severo preferisce usare fysis, mentre calcedonesi ousia. Poi piccola differenza, per i
calcedonesi sarà equivalente parlare di due ousieis, e due fyseis, invece per i Severiani non.
Esempio oggi pericoresi=vita intratrinitaria). Per questi pensatore il discorso di fede non è
distaccato del discorso logico.
Quiarimento: quella forte distinzione che noi abbiamo nell aspetto logico, nell’approccio
teologico-mentale, ed invece l’approccio di fede, e qui è un furono, queste distinzioni che oggi noi
abbiamo, provengono dopo la riforma protestante, ma prima non c’erano; cioè, tu ti salvi per la
fede, ma la tua fede non è soltanto adesione interiore a cristo, ed anche comprensione intellettuali
di cristo. quindi distinguere in questa epoca l’aspetto logico-teologico-scolastico dal aspetto della
fede come fiducia ed affidamento, come lettura alla luce della fede, metodologicamente scorretto.
Anche perche noi abbiamo nella testa bultmann: gesu de la storia, cristo della fede; per loro
(antichi) non era normale, era uno e basta, per noi si. Stiamo in discussione di natura ontologica non
fenomenologica.Concludo: Teorei vuol dire tutte due le cose, vuol dire sia l’aspetto logico,
comprensivo, intellettuale, sia l’aspetto interiore, di fede, di adesione a cristo.]

Noi sappiamo che Nefalio dovendo impostare la difesa del concilio di Calcedonia, perché
noi dobbiamo capire come i calcedonesi in un’epoca di persecuzione(nel 508) (la libertà arriverà nel
518). Allora come Nefalio diffende: utilizzando dei testimonia. lui si spinge un può oltre e dice si
come Severio gli incalzava gli diceva: stolto nefalio tu dice che esistono due nature, se esistono
due nature allora esistono due ipostasi, due cristi, due figli, allora sei un nestoriano. Nefalio deve
rispondere a queste accusa, dice: io credo in due nature, unite kata hipostasis, secondo l’ipostasi,
qui adopera l’altra espressione, che poi diventa normativa per noi, l’unione ipostatica, che in greco
è ενοσις καθ`υποστασιν = unione ipostatica. Questa espressione, unione ipostatica, unione
secondo l’ipostasi, proviene del ambiente alessandrino, ossia, ha un grande valore unitivo. Allora
Nefalio utilizza nel suo linguaggio quest’espressione per sottolineare l’unità di Cristo. Pero non
adopera l’espressione da due nature. Come interpretare la teoria di Nefalio.

Nefalio è stato considerato il primo neocalcedonesi, anche nel Grillmeier. C’è articolo,
1951 miscellanea, grillmeier- Moeler, sul calcedonismo e il neocaldenonismo, 451 alla fine del sec
VI, vol. I. questa opera che fa una illustrazione, dice che nefalio è il primo neocalcedonesi, questo
non è corretto. In realtà non aggiunge nulla di nuovo alla teologia calcedonesi. In realtà per noi è
difficile, se non addirittura impossibile, definire Nefalio neocalcedonesi, perché il fatto che egli
invochi Cirillo come testimone della formula delle due nature, non è nulla di nuovo, già era stato
fatto a calcedonia. Ancora è inverosimili che egli abbia utilizzato simultaneamente le due
formule, antagoniste: “in due nature” e l’altra “una sola natura del verbo incarnata” “mia fisis tuo
logos sesarcomenon”. Alcuni dicono che nefalio era neocal perché giustapponeva le due formule, le
usava le tutte due; questo è inverosimile, qualora fosse avvenuto (supossisione, non abbiamo suoi
scritti) forse era un modo col quale lui si doveva difendere, perché lui nella sua epoca non poteva
professar la formula delle due nature ed il tomus, perché vi ho detto che lui era nell’epoca in cui
diceva l’enotikon, e quindi non poteva. Allora, qualora lui avesse voluto citare la formula delle due
nature doveva citarla in concomitanza con la formula della unica natura. (era un modo per
difendersi).
Ancora il nostro Nefalio attesta l’uso di un’opera che si chiamo il Florilegium cirilianum ,
era una raccolta di testi di Cirillo, in cui Cirillo affermava la formule delle due nature, quindi era
una raccolta di testi fatta ad arte, alcuni veri altri falsi, che i calcedonesi adoperavono, avevano con
se quando andavano a fare le dispute….

[ gia nella formulazione del dogma delle due natura si può vedere una apertura verso la
fenomenologia cristologica. Noi patrologi forniamo alla teologia la materia per la riflessione. La
nostra è una disciplina positiva, non tropo teorica ]

Nefalio va considerato come un calcedonese, non un neocalcedonesi, a favore di questa


tessi depone anche il fatto che i suoi difensori, amici, erano il patriarca Ellia di Gerusalemme, un
calcedonese, ed anche il patriarca Macedonio di Costantinopoli. Inoltre noi pensiamo che se Severo
avesse individuato qualche elemento di novità nel suo calcedonismo non avrebbe mancato di
notarlo. Dunque, Nefalio è la espressione del dissenso calcedonesse, in epoca in cui vigeva
(viveva) l’Enotikon, ed in epoca in cui Anastasio, imperatore, favoriva il monofisismo. Nefalio fu
piuttosto l’espressione combattiva del calcedonismo, andava a fare le dispute orale, ed anche di un
suo eventuale discorso in difesa di Calcedonia, non ci è rimasto nulla, ( perché probabilmente lui
aveva scritto, o circolava una sua opera in difesa del concilio de Calcedonia, non ce giunto nulla,
perché in una epoca in cui loro erano perseguitati, le loro opere venivano distrutte, e quindi non ci
sono giunte). Abbiamo visto come l’Enotikon aveva iniziato una nuova epoca, pero trova la
resistenza sia di monofisiti, sia di calcedonesi, e Nefalio è un’espressione di questo.

Un autore molto importante, pero poco conosciuto, insieme a Leonzio, prima di massimo il
confessore.

Giovanni di Scitopoli (detto lo scolastico).-Le sue opere sono state confuse con quelle di
Massimo il confersore. Definito da Severo “quello sciagurato di scitopoli”, non lo poteva vedere.
Abbiamo proprio pochissimi indissi circa la sua vita. Probabilmente fu uno scolastico, sul
significato di scolastico ci sono varie interpretazione, comunque era un dialettico, specie di filosofo.
I giudizi nei suoi confronti sono proprio negativi. Perché Severo ne parla male, lo insulta, ma
ancora un altro, un tale Basilio di scilicia, che era calcedonese, quasi nestoriano, parla di lui e dice
che era di tendenza manichea, partecipava ai misteri pagane e non rispettava il digiuno quaresimale,
il peggio del peggio. Probabilmente perché era uomo di cultura, forse un poco stravagante.
Abbiamo poi nell’opera di Leonzio di Gerusalemme, una citazione di Giovanni titolato
come vescovo di Citopoli, una citta nella Pentapoli (Palestina interna ). Questo uomo viene detto
vescovo di Scitopoli, anche nelle fonte del VII secolo viene detto vescovo di Scitopoli. Fu vescovo
tra dopo l’anno 536 e prima del 548. Perché nel 536 fu un sinodo a Costantinopoli dove risultava
un’altro come vescovo, ed ancora nel 548 troviamo un racconto d’una consacrazione d’un altro sul
trono episcopale di Scitopoli. La sua attività letteraria fu molto ampia, perché scrisse sia sotto il
regime del Enotikon, sia in periodo di libertà dopo il 518.

Allora passando ormai in una epoca di quasi libertà dobbiamo richiamare alla mente gli
eventi del anno 518. in quest’anno va al trono Giustino, con l’aiuto di un grande generale, che
minacciava l’impero, al imperatore Anastasio, si chiamava Vitaliano, anche lui era un Trace (e
della scipia). Vitaliano aveva di seguito un esercito ed aveva minacciato all’imperatore Anastasio
che se non avesse riconosciuto il concilio di Calcedonia avrebbe invaso Costantinopoli,
l’imperatore aveva resistito. Vitaliano, poi, quando arriva Giustino, caccerà e manderà in esilio
Severo, arcivescovo d’Antiochia, perchè Severo aveva fatto una omelia discendo che Vitaliano era
un rozzo, ignorante. Quando arrivano al potere insieme a Giustino, riconoscono il concilio di
Calcedonia e fanno la pace con il papa, per cui termina il scisma acaciano. Vengono, il papa
riconosce l’arcivescovo di Costantinopoli, e l’arcevescovo di Costantinopoli ed il papa vengono
ricollocati il dittici nel quale si metteva i nomi della successione apostolica (quando si
scomunicavano cancellavano). Rescritti nei dittici. Giustino era un forte calcedonese, e favorirà a
Costantinopoli tutti i difensore di calcedonia, e lo stesso farà poi il suo successore, il nipote,
Giustiniano, che regnarà fino al 565 dal 527. Dal 518-527 Giustino, poi per 40 anni regna
giustiniano.

Giovanni era l’unico che poteva tener testa a Severo (intelligente, pressi in mano causa di
monofisiti, grande capacità dialettica). Secondo Severo Giovanni aveva scritto un libro in difesa
del concilio di Calcedonia, una apologia. Questo libro, lunghissimo, dice Severo, circola di
nascosto, perchè io non riesco a trovarlo. Ancora epoca prima del 518, circolavano di nascosto. Non
essendo riuscito ad entrare in possesso del libro, solo d’alcuni estratti, si era messo a confutare
un'altra apologia di calcedonia, scritta da un altro autore Giovanni il Grammatico. Dovevano
circolare, in epoca vietata, diverse apologia, forze quella di Nefalio, questa lunga di Giovanni di
Scitopoli, ed un’altra di Giovanni il Grammatico. Quando severo riuscì a venire in possesso del
libro, aveva trovato una sostanziale corrispondenza con le altre apologie, soprattutto nel uso dei
testimonia, cioè di questo florilegium cirilianum.

Ancora qualch’altre notizia abbiamo da questo critico di Giovanni, Basilio di Sciliscia, che
scrisse proprio un trattato contro Giovanni di Scitopoli. Perché sembra che Giovanni avesse
disputato contro i Nestoriani, ed allora che queste Basilio di Scilicia risponde a questa opera contro
i nestoriani. Quindi, le opere di Giovanni sono: 1) apologia del concilio di calcedonia. 2) contro i
Nestoriani, probabilmente un’opera in cui lui si difendeva anche dell’accusa di nestorianessimo,
che veniva rivolta continuamente ai calcedonesi (si accoglie due nature, dunque due ipostasi, due
Cristo, due Figlio). In queste due opere noi notiamo,o ricaviamo, che gli aveva fatto ricorso alle
testimonianze scrituristiche, anche questo è una novità perché la scrittura era poco utilizzata, era
stata messa da parte già dal IV sec, è sintomatico che citano pochissimo la scrittura, mentre citano
abbondantemente i padri, interviene lo strumento patristico tradizionale. La scrittura faceva paura in
qualche modo, tropo utilizzata dagli eretici, e si prestava troppo a diverse interpretazioni. Invece
quest’autore, insolitamente, adopera di più dagli altri la scrittura.

I temi teologici affrontato da lui erano: 1) la sofferenza del Verbo nella carne 2) “dire Cristo
vuole dire Dio”,c’è già un’evoluzione. 3) il tema della “comunicatio idiomatum”, la comunicazione
delle proprietà.

“Dire cristo vuole dire Dio”: c’è una evoluzione perché in genere quando si trattava della
unica ipostasi si intendeva dire Gesù Cristo, una ipostasi in due nature: umane-divine. Quando si
diceva Gesù Cristo si intendeva la concreta ipostasi, perché la natura si concretizza in una ipostasi.
Quando io dico che dire cristo vuol dire Dio, vuol dire spostare il concetto di ipostasi dal concreto
all’ipostasi trinitaria, alla seconda persona della santissima Trinità. C’è uno spostamento. Perché il
vero problema che permane è la concezione della ipostasi, cioè, adesso facemmo una parentesi: la
natura divina già aveva una sua ipostasi, prima della unione, la questione è questa ipostasi
preesistente, cioè il Verbo, come si trova ad essere nel incarnato? Sembra che i padri di Calcedonia
quando hanno parlato di ipostasi non intendessero il Logos (seconda persona della trinità), ma
intendessero il concreto uomo-Dio, quello che camminava, figlio de Maria, ecc. allora c’è una
evoluzione nella concezione di ipostasi, questa è la novità del così detto neocalcedonessimo; dove si
comprende che la ipostasi è il verbo, la seconda persona della trinità. E dunque ecco che si deve
parlare d’una assunzione della natura umana (qua siamo nella piena ortodossia). Ma quando
saremmo nella piena ortodossia, arriveremo nel 553 concilio Costantinopolitano II. (Manuale di
teologia dicono che calcedonia ha fatto il dogma due nature unica persona, questa persona è il
Verbo di Dio, ma non è così, Calcedonia DICE C’È UN’UNICA IPOSTASI. Poi Costantinopoli II, a
dire questa ipostasi è il Verbo. Questa riflessione di Giovanni di Scito è interessante per vedere
come assistiamo ad una evoluzione, ad un approfondimento del dogma, perché mentre prima il
concilio si ferma e dice due nature un’unica ipostasi, non definisce la ipostasi, dopo c’è un
approfondimento, questa ipostasi qui è? In questo momento d’approfondimento,chiarimento,
interviene la riflessione di Giovanni.

Ancora abbiamo in Giovanni la riflessione sulla comunicazione delle proprietà. Cosa sono
gli idiomata? Sono le proprietà delle nature. Allora, noi abbiamo la natura umana, con le
proprietà: raziocinio, gli affetti, passione, mangiare, ecc. Ci sono poi le proprietà di Dio:
onniscienza, onnipotenza, onnipresenza, miracoli. Delle proprietà di Dio noi conosciamo poche
perché sono infinite. Cosa succede nell’unica ipostasi? Adesso diciamo il principio di
comunicazione delle proprietà: in Cristo la natura umana si predica degli attributi divini, e
viceversa, la natura divina si predica degli attributi umani. Vuol dire che in Cristo c’è una
comunicazione di queste proprietà, allora io posso dire che il Figlio di Dio è morto sulla croce in
virtù della comunicazione della proprietà, perché il morire non è proprio di Dio ma del uomo, pero
in virtù della unica ipostasi, ecco che la natura umana si predica, si attribuisce, la mortalità. C’è uno
scambio. I vangeli dicono la comunicazione della proprietà. [Cost II: dice in due nature in un’unica
ipostasi, ovvero il Verbo di dio, specifica e dice che la seconda persona è il Verbo. In Cirillo c’è
questo della proprietà, a riguardo della nascita di Gesù: Maria si può dire madre di Dio in virtù
della comunicazione delle proprietà]. Quindi, vedete che queste concezione, unione ipostatica,
comunicazione delle proprietà, in realtà sono contributi della teologia alessandrina alla riflessione
cristologica. Cirillo soprattutto.

Ma ancora troviamo in Giovanni di scitopoli la formula “uno della trinità”, questa è la


formula molto interessante: “unus de trinitate passus est carne”, perché questa formula “uno della
trinità ha patito nella carne”, è una formula che proviene dagli ambiente dei monaci Sciti, questa
formula viene della zona nort, era una zona soggetta al impero di Costantinopoli politicamente, ma
religioso soggetta a Roma, perché la giurisdizione romana arrivava fino alla Grecia. In realtà
l’arcivescovo di Costantinopoli aveva una piccola parte. Vuol dire, che in queste zone parlavano
greco, ma avevano la testa latina. Questi danno la soluzione al problema cristologico, perché ad
un certo punto la opposizione tra calcedonesi e severiani era così forte, che questi lottavano e
bisognavano uno di fuori per risolvere la questione. Sono questi monaci, Vitaliano, aveva un
cognato che era monaco Scita, e proveniva di questa parte. Quando Vitaliano arrivò a
Costantinopoli, venne con sé con una sorta di monaci sciti, greci di lingua ma di testa latini, e
conoscevano Agostino.

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