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ARIO E ARIANESIMO
Ario (NDPAC I, 503-512, di M. Simonetti; e BBKL I (1990) 213-217 di
Friedrich Wilhelm Bautz. QUASTEN II,
1. - Ario, l’iniziatore della controversia che porta il suo nome nl secolo IV
sulla unità di sostanza (homoousios, consubstantialis) del Figlio con il Padre.
Nato ca 280 in Libia e morto nel 336 a Costantinopoli. Ario ebbe la sua
formazione come allievo del presbitero e martire Luciano di Antiochia, o
comunque a contatto con lui nella tradizione esegetica antiochena. All’inizio
della persecuzione di Diocleziano vive ad Alessandria dove era un seguace di
Melezio di Licopolis ma poi rientrò nella chiesa cattolica nel tempo di Pietro di
Alessandria, dal quale fu ordinato diacono. Quando Pietro scomunicò i meleziani
fuori della Chiesa anche Ario era tra loro, e dopo la morte di Pietro nella
persecuzione del 311 il nuovo vescovo, Achilla lo riammesse venne ordinato
presbitero assegnato alla chiesa Baukalis di Alessandria (ca. 320).
Mosso da interessi filosofici e religiosi e dalla necessità di custodire l’unità
di Dio Ario diffuse circa la Trinità idee personali: Dio è l’essere assoluto, il più
elevato (monade assolutamente trascendente). In opposizione a lui si trova il
mondo delle cose create, le creature. La sua essenza Dio non può comunicarla a
nessuna delle creature; allora ci sarebbero due dei. Tra Di e la creatura c’è un
abisso invalicabile. Solo Dio è ingenerato, eterno e senza principio. Il Figlio gli è
nettamente inferiore ed è anche da lui per natura (oltre che per ipostasi) essendo
Dio anche lui ma di rango, autorità e gloria inferiori. Il Figlio dunque non è
eterno, ha un principio, mentre Dio è senza principio. Origene, Alessandro,
affermavano che il Figlio è coeterno al Padre che di lui è ontologica ma non
cronologicamente, mentre Ario pensava che se il Figlio fosse coeterno dovrebbe
essere ingenerato come lui. Non si possono dare due ingenerati, e il Figlio,
dunque, è posteriore al Padre da cui ha tratto l’essere, benché anteriore a tutti i
tempi e ad ogni creazione: c’è stato un momento in cui non esisteva; prima di
essere generato, non esisteva. Ma non accetta neppure che il Figlio sia generato
dalla sostanza (= natura) del Padre (ciò sarebbe come dividere la monade
divina), ma la sua esistenza è dovuta alla volontà e libera decisione di Dio. È la
prima e la più elevata creatura dal nulla ad opera del Padre, creato prima del
tempo come mediatore della creazione del mondo. Dopo lasciò da parte tali
espressioni, e parlava di generazione da parte del Padre, ma considerava tale
generazione come creazione: il Figlio è l’unica creatura (ktisma, poiema) creata
direttamene dal Padre, mentre il resto della creazione è opera del Figlio. Ario si
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serviva di alcuni passi della Scrittura nei quali le espressioni fare, creare, erano
presenti (Pr 8, 22; Atti 2, 36; Col 1, 15).
“Il Logos è distinto e dissimile, a tutti gli effetti, dall’essenza e della
singolarità del Padre”. “Le entità del Padre e del Figlio, secondo Ario, sono
separate dalla natura e estranee e divise, talmente diverse che non hanno niente a
che vedere”. Secondo la sua natura il Logos è mutevole e può essere stato
staccato da Dio. È stato stabilito e perciò Dio l’ha assunto per adoptionem come
Figlio, e così può essere detto Dio. I meleziani accusarono Ario per la sua
cristologia davanti ad Alessandro m a Ario ebbe i suoi seguaci mentre i vescovi
esitarono a procedere contro di lui. Dopo alcuni tentativi e una lettera di
esortazione inefficace, Alessandro decise di attuare energicamente. Il sino di
Alessandria nel 318, lo scomunicò Ario e nove diaconi e dopo pure alcuni che la
pensavano come lui, il vescovo Theona di Marmarica nella Cirenaica e Secondo
di Ptolemaide. Alessandro scrisse a tutti i vescovi di Oriente sulla decisione e
scomunica di Ario in una lettera enciclica, nella quale chiedeva la sua
approvazione.
Era l’inizio della controversa e delle lettere dall’una e dall’altra parte e Ario
trovò sostegno in Palestina, e tra i discepoli di Luciano, fra cui l’influente
Eusebio di Nicomedia. Mentre risiedeva da Eusebio scrisse la sua opera Thalia
(banchetto), esposizione della sua dottrina scritta in verso e prosa, e due lettere a
Eusebio di Nicomedia e ad Alessandro di Alessandria (cf. CPG II, 2025-2042).
Della prima abbiamo alcuni frammenti. Eusebio si impegnò a riabilitare l’amico
Ario e in un sinodo di Bitinia, i vescovi, tra cui Eusebio di Cesarea, decisero di
adoperarsi a suo favore davanti ad Alessandro. In una lettera ad Alessandro, Ario
e gli scomunicati scrissero le sue considerazioni e punti di vista in una lettera.
Ario tornò ad Alessandria e nonostante a proibizione del vescovo riprese la sua
attività di predicatore.
La continuazione della controversia vide l’implicazione dell’imperatore, che
vedeva minacciata l’unità dell’impero se si distruggeva l’unità della Chiesa,
Perciò spedì il vescovo Osio di Cordova ad Alessandria e senza esito, dietro il
suo consiglio e forse quello di Alessandro indisse un concilio ecumenico a
Nicea, nel 325. Più di 250 vescovi erano presenti, dell’Occidente solo Marco di
Calabria, Ceciliano di Cartago, Osio di Cordova, Nicasio di Digione, in Gallia, e
della provincia del Danubio Domno di Stridonio. Il Papa era presente per mezzo
di due presbiteri romani, Vittore e Vincenzo. Due gruppi minori si formarono,
quello di Ario e di Eusebio di Nicomedia e il gruppo di Alessandro di
Alessandria con il suo diacono Atanasio. Il partito di mezzo con a capo Eusebio
di Cesarea, unito per la sua aderenza a Origene era il più numeroso. Il 14 di
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giugno diede inizio con un discorso dell’imperatore sotto la presidenza di


Eustazio di Antiochia ed poi di Alessandro di Alessandria. I Collucianisti
presentarono una formula di fede preparata da Eusebio di Nicomedia, che
aderiva all’arianesimo decisamente, ma fu seccamente rifiutata. Eusebio di
Cesarea ottenne che il suo proprio simbolo battesimale fosse la base per la
formazione del nuovo simbolo di fede. Alessandro e Osio chiesero l’inserimento
del concetto di consustanzialità (homoousios) del Figlio con il Padre e altre
formule antiariane nella formula di fede, e la condanna espressa delle formule
caratteristiche ariane. Con l’aiuto dell’imperatore imposero la sua pretesa. Dopo
alcune precisioni e complementi fu accolta la formula di fede nicena.
Dopo il credo si decisero gli anatematismi: “Ma quelli che dicono ‘vi fu un
tempo in cui egli non esisteva’, ‘prima che nascesse non era’, ‘è stato creato dal
nulla’ (ex ouk o/ntwn ege/neto), o quelli che dicono che il figlio di Dio è di
un’altra sostanza o di un’altra essenza rispetto al Padre, o che il Figlio di Dio è
sottomesso al cambiamento o all’alterazione, questi la chiesa cattolica e
apostolica condanna” (cf. COD, 5). Solo due vescovi ariani, Theona di
Marmarica e Secondo di Potlemaide rifiutarono fermamente apporre la propria
firma. Ario e i due furono condannati ed esiliati in Illiria. Dei tre che rifiutarono
a lungo la firma, Maris di Calcedonia cedette e sottoscrisse tutto, mentre Eusebio
di Nicomedia e Teognide di Nicea, che avevano opposto obiezioni contro la
condanna di Ario, sottoscrissero solo la formula di fede ma non gli anatematismi.
Loro due dovettero esiliarsi in Gallia. L’imperatore ordinò consegna degli scritti
di Ario per farli bruciare; il suo possesso anche segreto era punito con la
condanna a morte. I rappresentanti più noti del niceno furono in Oriente accanto
ad Atanasio, Marcello di Ancira ed Eustazio di Antiochia. Non finì però la
controversia, perché i due partiti nemici di Nicea, ariani e origenisti, si
sforzavano per rimuovere la formula di compromesso. Costantino capì presto
che lui doveva opporsi ai nemici del niceno per ristabilire l’unità della Chiesa.
Un sinodo ad Antiochia depose Eustazio nel 326, e lo stesso per i vescovi
Asclepio di Gaza ed Eutropio di Adrianopolis. Ario fu nel 327 richiamato e
anche Eusebio di Nicomedia e Teognide di Nicea dovettero ritornare nel 328 e
riprendere il suo ministero. Atanasio fu eletto nel 328 metropolita di Alessandria.
Eusebio ebbe di nuovo risonanze sull’imperatore e tentò da allora di abbattere
Atanasio, il sostenitore del niceno. Allo stesso tempo cercò la riabilitazione di
Ario nella chiesa di Alessandria. Dopo che Ario aveva presentato una
confessione di fede de espressioni pacifiche, l’imperatore chiese ad Atanasio –
ma sempre in vano – la riabilitazione di Ario. Eusebio non si diede riposo fino a
quando ottenne nel 335 che Atanasio fosse deposto nel sinodo di Tiro, dove si
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erano radunati i sinodali per la consacrazione della chiesa del santo sepolcro di
Gerusalemme, e dove segnarono le sue decisioni e la riammissione di Ario nella
Chiesa. Nel mentre Atanasio era partito per arrivare a Costantinopoli perché il
suo diritto fosse ristabilito, ma l’imperatore accolse i sinodali alla corte. I nemici
di Atanasio ottennero dell’imperatore, senza interrogare Atanasio, lo esiliasse a
Treviri alla fine del 335. Nel sinodo di Costantinopoli fu deposto anche Marcello
di Ancira. Ario che era tornato ad Alessandria ricevette il permesso di tornare a
Costantinopoli, per essere riammesso di nuovo nella comunità della Chiesa. Ma
Ario morì improvvisamente la sera prima della domenica stabilita per la sua
accoglienza.
Opere: Thalia (frammenti in Atanasio, Orationes contra Arianos I, 4-9; De
synodis Arimini et Seleuciae celebratis 15); 3 lettere: a Eusebio di Nicomedia (,
cf. Epifanio, Haereses 69, 6; Teodoreto, HE I, 4), ad Alessandro di Alessandria
(Atanasio, De synodis Arimini et Seleuciae celebratis 16; Epifanio, Haereses 69,
7.8) a Costantino (Socrate, HE 1, 26).
2. - Eusebio di Cesarea scrisse ad Alessandro di Alessandria prima di Nicea,
intercedendo in favore di Ario (notizie di Teodoreto SE 1,5 ricordando la
comunicazione di Eusebio di Nicomedia a Paolino di Tiro; Ario si era rifugiato
presso Eusebio). Secondo gli Atti 6 del secondo concilio di Nicea, Mansi 13,
316-317, scrisse Eusebio di Cesarea più lettere a favore di Ario (cf. Atanasio, De
synodis 17).
Eusebio di Nicomedia (uno dei collucianisti, ma non così subordinazionista
come Ario) ed Eusebio di Cesarea, si collocava tra i sostenitori della corrente e
sorse la polemica alla quale cercò di porre fine Ossio di Cordova, ma non vi
riuscì. Di qui l’idea di un Concilio a Nicea, al quale precedette il sinodo di
Antiochia, sotto la presidenza di Ossio, il quale condannò Ario, ed Eusebio di
Cesarea e altri partigiani di Ario. A Nicea furono presenti i monarchiani asiatici
Marcello di Ancira, Eustazio di Antiochia, i quali sottoscrissero il termine
homoousios, affermando l’unità di Cristo col Padre.
2.4 La controversia sulla confessione nicena si protrarrà per cinque decenni.
Gli alessandrini intesero la fede di Nicea come conferma della loro posizione
teologica, i seguaci di Ario presero le distanze, (Cf. Atanasio, De syn, 23) ma si
schierarono contro l’homoousios e tra questi gli eusebiani, molto vicini e con
grande influenza sull’imperatore fino alla morte nel 337.
2.4.1 In questa controversia, parteciperanno i Padri e gli autori più importanti
dell’epoca: Eusebio di Cesarea (265/339-340), con opere nei campi della storia,
l’esegesi, la filologia, la teologia, l’apologetica … Eusebio di Emesa (300-359),
Eusebio di Nicomedia (+341-342) è collegato con i goti e con il vescovo Ulfila,
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traduttore della Bibbia alla lingua gotica, ariano; Eusebio di Samosata (310-
379ca.), Eustazio di Antiochia (morto, forse, prima del 337, monarchiano);
Atanasio (295-373), vescovo di Alessandria, successore di Alessandro (nel 328,
la data è importante perché fu in quest’anno quando Costantino ordinò 50 copie
della Sacra Scrittura in lingua greca a Eusebio di Cesarea, delle quali uno è forse
il codice Vaticano attuale). Atanasio è il grande difensore della fede nicena.
3. - Autori e correnti che meritano un po’ d’attenzione: dall’Egitto, oltre
Ario, Alessandro di Al., soprattutto Atanasio, Didimo il Cieco, Cirillo di Al. Il
Monachesimo (Sant’Antonio, Pacomio, Orsiesio e gli Apophtegmata Patrum,
Evagrio). In Asia Minore, Marcello di Ancira, e i Padri Cappadoci.
In Antiochia e Siria, troviamo Eusebio di Cesarea, Cirillo di Gerusalemme,
Apollinare e la sua condanna. Poi vengono Diodoro e Teodoro di Mopsuestisa,
san G. Crisostomo, Nestorio e la questione nestoriana (l´accordo di 433, tra
Cirillo di Alessandria e Giovanni di Antiochia), Teodoreto di Cirro e gli
storiografi, Dionigi Areopagita.
Gli scrittori latini in Occidente: Sant’Ilario di Poiters, Paolino di Nola, Ottato
di Milevi, Sant’Ambrogio, Lucifero di Cagliari, Eusebio di Vercelli, Martino
Vescovo di Tours, Cromazio di Aquileia, Rufino, Girolamo, Sant’Agostino e i
sui continuatori, Vincenzo di Lerins, Giovanni Cassiano, Orosio, Giuliano di
Eclana, Massimo da Torino.

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