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LEZIONE 12. (14.01.

2008)

MASSIMO IL CONFESORE

La volta scorsa noi siamo giunti a leggere l’Ekthesis dell’imperatore Eraclio


dove inseguito anche al suggerimento di Papa Onorio si era passati
dall’affermazione delle due energie o attività od operazioni, all’affermazione di
un’unica volontà. IL MONOTELISMO È UN’ATTENUAZIONE DEL MONOENERGISMO.
L’imperatore aveva detto: allora, esiste un'unica volontà, era il punto d’arrivo. Invece
oggi vedremo la reazione a questa posizione da parte dell’ultimo grande Padre da un
punto di vista teologico dogmatico, Massimo il Confessore. Lui è l’ultimo gran
teologo dell’epoca patristica, perché il Damasceno e altri autori di quest’epoca in
realtà non hanno l’acutezza che ha massimo il Confessore. Anche quest’autore è uno
dei più difficili padri per quanto riguarda all’aspetto linguistico.

Primo di andare a leggere il testo in cui Massimo prende posizione davanti al


monotelismo, seguo un attimo la parte cristologica di Massimo del libro di “Il
Calcedonismo. Leonzio di Bisanzio” (Carlo dell’Osso) a pag. 134 e ss. Non entriamo
nella vita di Massimo il Confessore perché ci sono due redazioni, quella greca e quella
siriana. Quella redazione greca è la più solida secondo lui Massimo sarebbe stato un
esponente di una famiglia nobile di Costantinopoli molto vicino alla corte, e poi dopo
sarebbe andato in Monastero. Invece poi una redazione siriaca della vita, scoperta
negli anni ’70, da parta di un grande studioso, un inglese Brocks, e li si dice invece
che Massimo era originario di una famiglia della Siria, figlio di un tale Moskione. Non
entro in merito della discussione di quale delle due vite e quella giusta, perché non lo
so n’anche io. A noi interessa la teologia di Massimo.

Opere

Con Massimo il Confessore siamo ad oltre cento anni di distanza di quella che
era la teologia calcedonese e postcalcedonese. Quindi siamo quasi a cento anni di
distanza dalla celebrazione del Concilio Costantinopolitano II del 553. Siamo nel VII
secolo. Vediamo pero i concetti d’essenza, natura e ipostasi, richiamano quella
teologia. Ossia, al meno per questi tre concetti. Concettualmente Massimo dipende
di questi teologi. Dai teologi del VI secolo e quindi dipendi soprattutto da Leonzio di
Bisanzio per quanto riguardo all’aspetto lessicale, terminologico. Pero questi termini
assumono una rilevanza nuova in quanto vengono utilizzati in chiave
antimonoenergita e antimonotelita. Le opere che sono interessanti per quanto
riguarda alla Cristologia, sono gli Opuscula theologica, sono una serie d’opuscoli
scritti con vari titoli per esempio De duabus Christi naturis (lui scrive in greco, pero
la titolazione è latina), Variae definitones, Unionum definitiones, Capita de
substantia, seu essentia et natura, deque hypostasi et persona, Epistola 15. Questi
sono una serie d’opuscoli dove lui tratta di queste questioni teologici e cristologici.

Per quanto riguarda al concetto di natura e di ipostasi, Massimo non fa altro


che ripetere quello che è un dato acquisito per la teologia della época, cioè non fa altro
che ripetere Basilio di Cesarea per cui si riferisce al concetto di natura al to
koinovn, cioè che è comune, e il concetto di ipostasi a ciò che e proprio (to
idivon). Niente di nuovo. Anche io penso (riflessione del professore) che questa
teologia capadoce bloccherà in qualche modo lo sviluppo della teologia calcedonese
fino a certo punto, fin quando i padri saranno collegati a questo tipo di teologia; sarà
san Tomasso che fará la svolta, pero i padri sono propri bloccati da questa cosa che la
natura e ciò che è comune é l’ipostasi e ciò che è proprio. La natura è l’ousia seconda
di Aristotele, l’ipostasi è l’ousia prima. Tutto diremo che è simile.

Concetto di natura
Vi lego a pag. 136 da un testo che è Capita de substantia (PG 91, 264° 14-B4.):

«La natura si predica dell’essere comune, mentre l’ipostasi dell’essere per se


stesso; la natura implica la specie, l’ipostasi indica un qualche individuo». É propria
la teologia classica. Non c’è niente di nuovo.

Pero c’è un elemento interessante, quello dell’enhypostaton: «L’ousia e


l’enousion non sono la stessa cosa, come non sono la stessa cosa l’ipostasi e
l’enipostatizzato. L’ipostasi definisce una persona con le sue proprietà
caratteristiche, invece l’enipostatizzato indica ciò che non è per se stesso un
accidente, ma che ha l’essere in un altro e non si vede in se stesso; non è esistente per
se stesso, ma si contempla sempre attorno all’ipostasi, come le qualità, che sono dette
essenziali e aggiunte all’essenza, le quali non sono l’essenza, né esistono per se
stesse, ma esistono nell’essenza e fuori di questa non hanno l’essere».

Anche qui dipende molto. Ci viene a dire che l’enipostatizzato sono le


proprietà esenziali delle due nature. Proprio nel solco della tradizione patristica ormai
tradizione teologica del secolo precedente. Ora capite che questa concezione è stata un
po’ trascurata dalla teologia perché l’enhypostaton è stato sempre ritenuto o meglio
dire identificato con la natura umana semplicemente; invece qui l’enhypostaton sono
le qualità esenziali di una natura, e quindi di tutte due nature perché queste
qualità si contemplano attorno all’ipostasi.

Il modo dell’unione

Anche gli esempi successivi, del colore sul corpo e dalla conoscenza
nell’anima sono di Leonzio. Se poi continuammo a leggere l’opuscolo, notiamo che
Massimo riprende quasi alla lettera l’intero brano di Contra Nestoriani ed Eutichiani,
(Vol I Migne col. 1277). Conosceva anche l’Epilysis e cosi via, e gli enumera ed
spiega i modi dell’unione. Allora, la unione può essere: kata ousijan, (secondo la
essenza), kaq upojstasin (secondo la ipostasi), kata sjjJjcejsin (secondo la forma),
kataj parajqesin (per approssimazione), kaq armonijan (armonia), kataj krasin, kataj
fujrsin, kataj sugcusiv, kataj swreian, kataj sunaloufhn (per mescolanza), sono quelli
tipi di unione, più unitivi e quelli più divisivi. Questi adesso non c’interessano perché
diremmo troviamo e possiamo stare in sintonia con quello che è stato detto in
precedenza.

Teologia trinitaria

Ancora troviamo in Massimo il confessore quell’utilizzo della teologia


trinitaria dei padri capadoci. Per esempio di un testo molto ricorrente quello di
Gregorio, la Epistola 101 a Cledonio di Gregorio di Nazianzo (ajllo kaiv avllo ouVk
al}loò kai alloò)V. Ancora vi leggo del De duabus Christi naturis:

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«Come nella Trinità la somiglianza è dovuta all’essenza, invece l’alterità alle
persone, infatti confessiamo una sola essenza e tre ipostasi; nell’uomo, invece,
abbiamo una sola persona e differenti essenze, infatti, pur essendo un solo uomo, una
è l’essenza dell’anima, un’altra quella della carne. Similmente riguardo al Signore
Gesù Cristo: una sola è la persona, ossia l’ipostasi, diverse sono le essenze, ossia la
divinità e l’umanità». É una teologia ormai matura.

Nell’Epilysis dice: «Nel mistero della Trinità la medesima essenza unisce, la


diversità dell’ipostasi distingue; nel mistero dell’incarnazione la diversità delle
nature divide, la medesima ipostasi unisce». Niente di nuovo a quello che è stato detto
prima.

Certo è che noi ci dobbiamo chiedere qual è l’apporto nuovo di Massimo.


Sicuramente in chiave antimonotelita come vedremo poi dopo. Ancora sul concetto
d’ipostasi. Perché secondo Massimo, l’ipostasi è “sunqetoò”, cioè sintetica. In
genere si traduce “sintetos” con composto, pero forse è meglio lasciare nell’italiano e
nelle lingue moderne sintetico. E per comprendere sarebbe meglio dire di una
complessità nell’ipostasi, cioè che l’ipostasi del verbo è un’ipostasi complessa, non è
un’ipostasi tanto composta, perché sarebbe necessaria l’incarnazione, c’è questo
problema della libertà dell’incarnazione, tema di Cristologia dogmatica. Cioè il verbo
se aveva gia in se ad eterno. La missione dell’incarnazione, dunque, l’incarnazione era
necessaria, ma allora si riconosce una necessita in Dio, nulla, Dio e massimamente
libero. Questo è il problema di teologia.

Concetto dell’Enhypostaton

Allora, vi lego il concetto de enhypostaton e poi di ipostasi:


«L’enhypostaton non sussiste affatto per se stesso, ma si contempla negli altri,
come la specie negli individui sotto di lei. Oppure esso è in composizione con un altro
diverso da lui secondo l’essenza in vista della genesi di un qualche tutto». Allora
quale sono le caratteristiche dell’enhypostaton:
1) non è sussistente per sé, quindi, non è un’ipostasi.
2) Si contempla negli altri, ma non è un accidente.
3) É in composizione con un altro, per generare un tutto. E poi dice: «Cristo
non è una natura composta di ipostasi… ma è l’ipostasi composta».

Ipostasi “sintetos”.

Ipostasi sintetica, traduciamo in italiano. Allora che vuol dire ipostasi


sintetica? Tenendo presente che ormai era acquisito il dato che l’ipostasi fosse il
verbo, allora vuol dire che nel verbo c’è questo: la sintesi avviene nel verbo. Ora
come intendere questa sintesi delle due nature, noi risponderemmo una sintesi che è
L’ASSUNZIONE de parte della carne, l’umanità perfetta da parte dal logos. Cosi
s’intende la sintesi, come assunzione della natura umana. In quel senso, il verbo opera
la sintesi. Questa concezione di ipostasi sintetica non deve indurci in inganno, nel
senso che non va confusa con l’effetto dell’unione, cioè, Gesucristo, come aveva
affermato Leonzio, ma significa che «il Logos nell’assumere la natura umana in un
certo senso (pag. 141) non tanto subisce come sta scritto, (il logos non subisce nulla),

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quindi in qualche modo recepisce una composizione nella sua ipostasi, tale
composizione è dovuta all’enypostasia della natura umana nell’ipostasi divina». Che
vuol dire? Vuol dire che quest’ipostasi “sintetos”, equivale al Logos. Cioè il verbo, la
seconda persona della Santissima Trinità. Quest’ipostasi divina, quando in lei, in
quest’ipostasi, si enhypostatiza la natura umana, allora quest’ipostasi recepisce,
avverte, una composizione. Questa è la concezione di Massimo, la concezione
ortodossa.

Formula Tripartita.

Questa è la vera novità di Massimo. (pag. 142). E un po’ la soluzione


cristologica che Massimo oppone a distanza di tempo a quell’opposizione che ormai
era nata, atavica tra la formula da due nature, e in due nature. C’era
quest’opposizione, la formula Severiana “da due nature” e la formula calcedonese “in
due nature”. La proposta che lui da nell’epistola 15 è questa: Cristo non è solo “da
queste due nature”, ma anche in queste e por dirla piú correttamente: «Cristo è queste
due nature». Forse è la formula piú completa della cristologia di quest’epoca. Cristo:
da due, in due, Cristo è due. Vi ripeto, qui abbiamo la tradizione cirilliana, qui
abbiamo la tradizione antiochena, e qui, abbiamo poi la novità, di Massimo che dice:
Cristo è due nature.

Allora noi diremo che quando noi diciamo la parola Cristo, evochiamo le due
nature. Questo è il senso della formula tripartita. Massimo dice quanto io dico
Cristo, dico la natura umana e la natura divina, ed evoco le entrambe nature, faccio
emergere in qualche modo le due nature. Allora in conclusione, Massimo si nutre
della tradizione patristica, specie di quell’antiseveriana del VI secolo, perché
Massimo aveva capito che il monoenergismo e il monotelismo attingeva alla
tradizione Severiana, come gia accennava la volta scorsa, secondo me, non è corretto
quello che dice il Prof. Utheman, che il neocalcedonismo è la preparazione del
monoenergismo. Invece non è così. Il monoenergismo in qualche modo dipende della
matrice Severiana y cirilliana, come se era accorto Massimo il Confessore. Massimo
vedeva nel monoenergismo e nel monotelismo un rinascere del monofisismo
Severiano.

Ce poi attenzione, tutta una questione sul monofisismo Severiano, che io non
ho trattato. Secondo per alcuni, è un monofisismo verbale, cioè, a parole, pero non
concreto. Questo lo dice Simonetti. Può essere vero, pero l’obiezione che io faccio e
che sicuramente i severiani non venivano considerati ortodossi in questo momento
dell’antichità. Oggi possiamo dire, effettivamente, era una lotta di parole, invece non
era così, c’era un’opposizione vera, non solo monofisismo verbale ma reale. Non era
il monofisismo di Severo come quello d’Eutiche. Allora, noi diciamo che Massimo si
nutre di questa tradizione antiseveriana. Tuttavia le nuove problematiche cristologiche
del VII secolo, fanno si che egli riutilizzi il materiale leonziano alla luce degli apporti
del neocalcedonismo alla ricerca di una visione sempre più equilibrata di Cristo. Qui
il problema qual è, bisogna avere una visione equilibrata di Cristo.

Sull’equilibrio de la cristologia

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Allora apriamo una finestra della teologia contemporanea. Questo
sbilanciamento nella cristologia si avverte anche nelle cristologie contemporanee non
calcedonese. Esempio prendete la Cristologia di Sobrino o di Gutierrez dell’America
Latina, certamente non è una cristologia equilibrata, quello è sicuro. Lo stesso vale
per alcune cristologie di matrice tedesca contemporanea. Pensiamo ancora quanto
l’Egelismo abbia influenzato la cristologia moderna. Alla fine di questo corso, si voi
possedete la cristologia classica, non avete paura di leggere le cristologie moderne,
perché alcuni sono anticalcedonesi, la maggioranza, ed altre poi sono diremo, non
adoperano queste categorie, uno hai metri di giudizio per leggerle. Grave è che si da
questa cristologia senza dare la cristologia classica. A quel punto, i sacerdoti sono
negli abbandoni totali. Prima quella classica, poi quella che vuoi. Così si fa. Alcuni
propongono alcune cristologie moderne, ma non si può capire, perché molto sono
anticalcedonesi. Penso che abbiamo capito alla fine di questo corso, che la cristologia
vera e quella che mantiene l’equilibrio tra le due nature, se uno è equilibrato, allora tu
sei nell’ortodossia. Se invece o riduci Cristo, alla mera umanità o alla mera divinità,
stai andando fuori del camino della tradizione.

Per Massimo, Leonzio si poteva considerare “un maestro di definizioni”


piuttosto che di teologia, dal momento che le sue posizioni teologiche dopo il concilio
Costantinopolitano II dovevano sembrare ormai superate: constatiamo in definitiva
una “fortuna” degli scritti di Leonzio in relazione al suo sforzo di chiarire i concetti
cristologici più importanti, non della sua teologia, ormai soppiantata dal più fortunato
neocalcedonismo. Vuol dire che di quest’autore rimassero in piedi le definizioni e
piuttosto che il contenuto della sua teologia.

Ricordatevi che Giovani Damasceno non dice nulla di nuovo, lui prende
tutto questo, e lo consegna poi al medioevo. San Tomasso era un “furbone”, cioè
nelle sue opere fa vedere sapere di piú di quello che veramente sapeva, nel senso che
quando lui cita alcuni padri, sicuramente li cita non da una fonte diretta ma del De
Fidei ortodoxa di Damasceno; sono stati fatti studi in questo senso, di vedere tutte le
fonte patristiche che aveva a sua disposizione Tomasso. Nel De Fidei ortodoxa,
confluiscono queste citazioni sia da Massimo il Confessore, sia da Leonzio.

Commento riguardo al esami.

L’esame parte dai testi. Venite con il vostro dossier di testi, posibilemente con
poche annotazioni; io prenderò un testo, vi chiederò di leggerlo, e quindi di tradurlo e
di commentarlo. Si parte dal testo. Per la preparazione all’esame, dedicate molto alla
preparazione dei testi, in modo tale, che venite facilitate, perché partendo del testo,
l’esame dovrebbe essere piú facile, nel senso che uno ha in mano i testi e commenta i
testi. Poi dopo potrò fare qualche altra domanda di natura teologica. Se uno si sbaglia
la formula di Calcedonia, se ne vada.

LETTURA DEL TESTO


Massimo Il Confessore. È impossibile…. una sola volontà. PG XCI 268-9.

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Questo testo si oppone all’Ekthesis d’Eraclio e a quella che era stata la
soluzione proposta dal Patriarca Sergio. In tanto per leggere questo testo sono utile
quelle annotazione della ora precedente per comprendere la cristologia di Massimo.

Primo paragrafo.
(Il numero indica il numero della riga). Seguire il testo per numero di righe.
1. Oti adunaton.....
Questo è il titolo. Non è possibile dire una sola volontà in Cristo.

2. Toj Cristos ojnoma.....


Il nome Cristo, non indica, cioè non è indicativo della natura ma dell’ipostasi
sintetica. Ho detto prima, non indica il concreto Gesucristo, come dicevano al tempo
di Leonzio di Bisanzio, ma Cristo è l’ipostasi sintetica, cioè, il Verbo, Logos che ha
assunto l’umanità perfetta.

3. toutejstin, olos o Cristos....


Ossia tutto il Cristo è Signore e Dio, onnipotente, avendo in se stesso la carne
che ha assunto, ha portato, per noi e per la nostra salvezza in modo indiviso e
inconfuso. Questi ultimi avverbi richiama Calcedonia. Notate che sono i testi stessi
che richiamano continuamente, erano loro cosi. Ripetevano continuamente. Quando
loro dicevano questi due avverbi (adiairejtws kaiv asugcujtws) stavano dicendo
Calcedonia per la nostra salvezza.

Allora, una carne passibile e non onnipotente, creata, visibile, circoscritta,


non onnipotente per natura, ma che ha una volontà onnipotente in Cristo.

Qui troviamo un collegamento della volontà alla natura, e questo è il discorso


all’interno del brano di Massimo. Il problema è di come collocare la volontà nel
Cristo. Adesso potrei chiedere quali sono le facoltà dell’anima. Allora uno risponde
semplicemente: l’intelligenza e la volontà. Ma l’anima dove risiede? Risiede in una
natura umana, ossia che possiede corpo e anima, dunque se l’umanità è perfetta, il
Cristo, vuol dire che la sua umanità è un’umanità provvista di corpo e d’anima.
Dunque, anche di una volontà umana. Quando io tolgo la volontà umana, dove sto
agendo? Io agisco sull’anima. Sminuisco l’anima di Cristo, vero? Ma
quest’operazione non era stata gia fatta da Apolinare di Laodicea. E non è forse
Apolinare di Laodicea l’ispiratore dei monofisiti e del monofisismo? Vedete come
il discorso va chiaro. Dunque, l’origine del monotelismo non è dal neocalcedonismo,
ma è proprio del monofisismo Severiano, de ispirazione apolinarista.

8. ou gar upostajsei estiv o Cristos........


In fatti non per l’ipostasi o nell’ipostasi il Cristo è mortale e immortale; cioè
l’immortalità e la mortalità sono relative alla natura non all’ipostasi. Di nuovo non è
onnipotente, visibile e invisibile, creato e increato, ma alcune cose (qualche cosa) per
natura, qualche altra per l’ipostasi. E per dirla in breve, semplicemente, non per le
opposizioni delle volontà ma nella proprietà della natura.

Attenzione. Ci dice che in Cristo ci sono delle cose (voglio lasciare il neutro)
che si oppongono. Ma non in virtù di volontà che si oppongono ma in virtù delle
diversità delle nature. Lui dice, se tu in Cristo trovi una certa opposizione tra il
visibile e l’invisibile, creato e increato, ecc. questo “qualche cosa” (to men), questo è
per la diversità, le proprietà delle nature, non alla opposizione delle volontà.

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12. Eis ga{ñ estivn, ws proeipon, o Cristos......
In fatti, un solo é come ho gia detto, il Cristo avendo le une e le altre cose per
natura (naturalmente). Infatti quando dice non come io voglio ma come tu vuoi
(Matteo 26,39) niente altro indica che si è rivestito veramente della carne che ha
timore della morte.
Allora lui dice come interpretare il brano del Getsemani, “sia fatta la tua
volontà non la mia”, lui dice, si deve interpretare con il fatto che lui, avendo assunto
una natura umana perfetta, questa natura umana ha paura della morte. Quindi, c’è una
volontà umana. Questa volontà è collegata alla natura umana.

16. to gavr fobeisqai qavnaton kaij anaduesqai......


Avere paura della morte e cercare di sottrarli e la tribolazione, è propria di
quella.

17. nu|n mevn oun erhvjmhn authvn.....


Qui continua a sottolineare il fatto che la natura umana è perfetta. Togliere la
volontà umana a Cristo inficia la natura umana. Non rende ragione della perfezione
della natura umana.

Secondo paragrafo (dopo la metà della pagina).

6. O epi tou enos kai monou Cristou duo qelhjmata....


Pone delle domande. (Colui che disprezza o rifiuta…) Negando di dire o
confessare due volontà nell’unico e solo Cristo, quest’unica volontà che afferma di lui
senza principio e coeterna al Padre e allo Spirito Santo, in quantità o tutta divina è
asintetica come la natura divina? O ti sembra essere qualcosa di strano a causa
dell’incarnazione?

Lui dice, quest’unica volontà che tu riconosci, è tutta divina? Oppure è


qualcosa di strano a causa dell’incarnazione? Qui il problema è la nascita di una
volontà mista, teandrica dirà lui, che non c’è. Una volontà teandrica non c’è. C’è
una volontà divina, e c’è una volontà umana. Poi vedremo che la volontà umana è in
uno stato d’obbedienza e di perfetta sintonia con la volontà divina.

11. Opoion de shjmanon, kaij tij toujtou tou qelhjmatos to onoma......


Indicaci, dici quale è il nome di questa volontà. Se tu dici che c’è una, allora,
quale è?

12. toj gar pro thjs enanqtrwphsews...


Io indico (il nome) quella prima dell’incarnazione; cioè, la volontà divina. Se
hai una sola, deve essere quella divina.

14. wsper gar hj qeija fujsis hj trisupostatos a|narcos, avktistos, aperinohjtos.....


Come nella realtà divina tri-ipostatica esiste un'unica volontà, quindi come
nel Padre, nel Figlio e nello Spirito, c’è un'unica volontà.

Cerchiamo di riflettere un po’ di Teologia. Se la volontà inerisse alla natura,


nella natura umana inerisse all’anima, pero c’è una volontà divina, se la volontà
inerisse alla natura, e non all’ipostasi, nella Trinità esiste un'unica volontà, non ci

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sono tre volontà. COME È IMPORTANTE COLLEGARE LA VOLONTÀ ALLA NATURA
NON ALL’IPOSTASI, fa si che anche nella Trinità esista un'unica volontà oppure
essendo tre ipostasi. Certo che in Cristo esistono due volontà. La divina e la sua
volontà umana. E una concezione che aiuta a risolvere la problematica.

16. Idouv ou|n tov pro thjs enanqrwphjsews eipon, kaiv pavntes moi simfqegxontai.....
Quello che abbiamo detto prima dell’incarnazione. Tutti concorderanno con
me dal momento che io ho detto la verità anche tu si vuoi o non vuoi (che tu voglia o
meno). Ciò questa volontà è la volontà divina.

Paragrafo della destra.

19. Eipe oun hmivn to meta thn enanqrwphsin, poion onoma ecei.
Dici dunque il nome dopo l’incarnazione, quale nome ha. Cioè, questa volontà
dopo l’incarnazione qual è?

20. zhvthson palaian kai kainhvn diaqhvkhn olhn.


Ricerchiamo (ricerca) tutto l’antico e il nuovo testamento.

20. eipe touto su tou efeuriskomenou epi Cristou enos qelhvmatos to onoma.
Di il nome di questa sola volontà che hai trovato in Cristo.
(Se mete allora una domanda sull’aspirazione del “onoma” e la risposta con un
discorso sulla pronunzia antica e nuova).

22. zhvthson, kai mhv oknhs…s. all ara epeidhv to qeion qelema qeion levgetai, kai to
anqrwvpinon qevlhma anqrwvpinon levgetai, qeandrikovn qevlema.....
Ricerca e non indugiare. Ma poiché la volontà divina è detta divina, e la
volontà umana è detta umana, di se il Cristo ha una volontà teandrica. Allora lui
dice, questa volontà che Cristo ha, che volontà è? Prima della incarnazione è quella
divina pero con la incarnazione, dopo la incarnazione, ché volontà è questa, una
volontà teandrica? Cioè, mezzo uomo o mezzo Dio?

24. ou nomizw, epeidhv o pathvr kit o agion pneuma.....


Non credo dal momento che il Padre e lo Spirito Santo non hanno una volontà
teandrica. Questo è giusto, capite? Non possiamo cogliere una volontà mista teandrica
di Cristo, perché questa volontà mista poi la dovremo attribuir al Padre e allo Spirito
ma questo non è possibile. Perché? Perché nella volontà c’è un'unica volontà. Il figlio
si è incarnato, mantiene la natura divina quindi la volontà divina, e se io, non
distinguo le due volontà ma dico che c’è un'unica volontà teandrica, necessariamente
dovrò attribuire sta unica volontà teandrica anche al Padre e allo Spirito. Devo
distinguere per forza, dice Massimo, perché se non me capita che devo de attribuire
questa volontà alla Trinità.

26. all ara sunqeton tolmhvs…s eipein; omoivws pavlin kainovn t… qeovthti touto.....
sugcuvsews adunaton.
Ma forze oserai dire che è composto, che è sintetica, similmente a sua volta,
questo è nuovo per la divinità (se tu consideri la volontà sintetica), ma forse la dici
naturale? (questa volontà?) Confonderai anche tu come Severo infatti è impossibile
due nature o due volontà naturali che diventino una natura o una sola volontà
naturale senza confusione. Se tu sintetizzi la volontà crei la confusione.

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29. all upostatikovn; kai pavlin allotriwvseis ton uiovn tou patros, ....... kai tas
upostavseis.
Ma la riterrai un'unica volontà ipostatica? Di nuovo, renderai straneo il figlio
al Padre e introducendo tre volontà sembrerai introdurre delle volontà che non
concordano tra di loro come anche le tre ipostasi.

Quindi il rischio di fare, di riconoscere una volontà mista e quella poi di


opporre anche le volontà all’interno della Trinità. Quindi, alla conclusione del corso
possiamo dire che ancora Cristologia e Trinità vano sempre di pare a pare. Sempre
che tocchiamo la natura e l’ipostasi di Cristo tocchiamo la natura e l’ipostasi divina.
Spero che il corso sia stato interessante ed abbia portato dei chiarimenti.

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