La vita. I tre teologi più importanti dal VI all’VIII secolo sono
Leonzio di Bisanzio († 543), Massimo il Confessore (580-662) e Giovanni Damasceno (650-749). Il problema dell’identifica- zione di Leonzio di Bizanzio è ancora da risolvere. Ci sono molti teologi del VI secolo che portano il nome di “Leonzio”, tra i più illustri ci sono Leonzio di Gerusalemme (creatore, insieme a Giustiniano, del cosiddetto neocalcedo- nismo), Leonzio il presbitero (autore di alcune omelie: PG 86, 1976-2004), e Leonzio Scolastico, autore del De sectis (PG 86, 1193-1268). Dalle sue opere sappiamo che Leonzio di Bisanzio fu monaco, asceta ed eremita, e che svolse dibattiti pubblici con gli eretici (che purtroppo non ci sono pervenuti) e che Lezione 4. Leonzio di Bisanzio († 543). in giovinezza frequentò un gruppo di seguaci di Diodoro di Tarso e Teodoro di Mopsuestia. È considerato lo “scolastico” per eccellenza grazie alla sua padronanza della dialettica e ad una argomentazione altamente razionale: riesce a disegnare un ritratto di Cristo che rispecchia e reinterpreta fedelmente le linee essenziali del dogma di Calcedonia. Tale esito è peraltro conforme al problema centrale della sua riflessione teologica che riguarda l’intera persona di Cristo, Dio e uomo, nel tentativo di comprendere l’incarnazione.
Le opere. Il Corpus leontianum è una raccolta di opere
pervenutaci sotto il nome di Leonzio di Bisanzio: il trattato Contro Nestoriani ed Eutichiani (Libri tres contra Nestorianos et Lezione 4. Leonzio di Bisanzio († 543). Eutychianos CPG 3, 6813), che in realtà sono tre opere, una contro i due estremi (Nestoriani ed Eutichiani), la seconda di titolo Dialogo contro gli Aftartodoceti, e la terza contro i seguaci di Teodoro di Mopsuestia (o Contro i Nestoriani); e altre due opere dedicate alla confutazione della dottrina di Severo d’Antiochia: l’Epílysis (spiegazione) oppure Confutazione delle obiezioni di Severo (Solutio argumentorum Seueri CPG 3, 6815), e gli Epaporémata (dubbi) chiamata anche I XXX capitoli contro Severo (Triginta capita aduersus Seuerum CPG 3, 6814). Sono poche le cose sicure che si possono dire di quest’autore: che fu un monaco proveniente di Bisanzio, che visse e scrisse le sue opere nella Lezione 4. Leonzio di Bisanzio († 543). prima metà del VI secolo, e che è l’autore del cosiddetto Corpus leontianum (PG 86).
La cristologia di Leonzio di Bisanzio. Leonzio si richiama
essenzialmente alla tradizione dei Padri Cappadoci (va aggiunto come quarto Anfiloquio), a Nemesio di Emesa e allo Pseudo Dionigi. Egli si rifiuta di utilizzare la formula una natura proprio perché vuole contrapporsi a Severo d’Antiochia soprattutto nelle due opere dedicate a questo scopo (Epílysis ed Epaporémata) ma si trova di fronte a delle obiezioni dei monofisiti riguardo la dottrina delle due nature che vanno dalle più semplici, come l’uso del numero “due” nelle formulazioni, alle più complicate, come l’acuta Lezione 4. Leonzio di Bisanzio († 543). obiezione dello “stolto” nell’Epílysis che dice che se ad ogni natura corrisponde un’ipostasi (filosofia aristotelica) e se in Cristo permangono le due nature dopo l’unione necessariamente si dovranno riconoscere anche due ipostasi, il che contraddirebbe il dogma conciliare “due nature una ipostasi” e rivelerebbe l’errore nestoriano dei difisiti. Leonzio risponde a quest’obiezione dicendo che il piano teorico delle definizioni è diverso dal piano concreto delle realtà: non si può impostare la questione cristologica come se si trattasse soltanto di parole ma piuttosto riferita alle realtà. Ecco la genialità e l’inventiva di Leonzio di Bisanzio: non possiamo ragionare avendo come presupposto due Lezione 4. Leonzio di Bisanzio († 543). entità separate come se ci fosse un uomo ad aspettare il Logos per l’unione nell’incarnazione. In questo senso è inammissibile la tesi dei monofisiti secondo la quale si può parlare di due nature soltanto prima dell’unione e non dopo, perché “l’unione del Verbo fu simultanea all’esistenza dell’umanità”. In altre parole, non si può pensare al Verbo incarnato, cioè a Gesù Cristo Dio e uomo, immaginando la sua natura umana e divina come due entità separate in quanto esse non esisterebbero mai come tali né prima né dopo l’unione; né si può pensare di dividere due realtà che non furono mai in relazione fra loro se non nell’incarnazione: con il pensiero le due nature si Lezione 4. Leonzio di Bisanzio († 543). potrebbero dividere ma in realtà, in atto, cioè nell’incarnazione, esistono sempre unite. Un passo del Contra Nestorianos ed Eutichianos (PG 86/1, 1288-1289) è di somma importanza, ed anche se in apparenza è molto astratto dovuto al trattamento delle relazioni, in realtà dice semplicemente che il Verbo, che possiede completamente la natura divina, nell’incarnazione possiede anche completamente la natura umana, così che l’elemento di distinzione tra il Cristo incarnato e gli altri uomini risulta essere la sua concreta ipostasi. In tal modo, nello schema della prima relazione, le anime sono unite tra di loro perché sono della stessa natura ma si distinguono per la loro ipostasi, Lezione 4. Leonzio di Bisanzio († 543). come avviene per il Padre e il Figlio e come avviene per il Figlio e gli uomini per l’incarnazione. Nello schema della seconda relazione, nella relazione tra anima e corpo l’elemento discriminante è appunto la natura mentre quello che unisce è l’ipostasi, come avviene per il Verbo e la carne. Nello schema della terza relazione, l’uomo si distingue delle sue parti per la prima relazione in quanto condivide sia la natura dell’anima sia quella del corpo, ma per la propria e concreta ipostasi si distingue da ogni anima e da ogni corpo; d’altro canto fa comunione con le sue parti per la seconda relazione nel senso che l’anima e il corpo, come avviene per il Verbo e per la carne, pur essendo diversi per natura, si Lezione 4. Leonzio di Bisanzio († 543). uniscono per l’ipostasi. Leonzio applica questo schema di relazioni alla cristologia per sostenere che Cristo è una ipostasi che si relaziona al Padre attraverso la divinità e a noi attraverso l’umanità, ma questo tipo di relazione avviene nel primo caso insieme con l’umanità, nel secondo caso insieme con la divinità: l’ipostasi del Cristo incarnato si distingue da quella del Padre non solo in quanto è quella del Figlio o della seconda persona della Trinità, ma anche perché implica l’umanità; e lo stesso per l’umanità per cui l’ipostasi di Cristo, pur indicando un uomo concreto diverso dagli altri, implica la divinità.