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LEONZIO DI BISANZIO

Viene ritenuto il princeps theologorum cioè, il principale teologo di questo tempo. Prima di tutto
dobbiamo affrontare la questione prosopografica, cioè chi è costui, situazione prosopografica significa
personaggio. In parole semplice chi è questo personaggio? Allora dovrò essere auto-referenziale in questa
lezione, per seguire quello che facciamo ora. C’è un mio articolo: Carlo dell’Osso, Leonzio di Bisanzio e Leonzio
di Gerusalemme una chiara distinzione, Augustinianum (2006) 231-259.

Cosa possiamo dire di questi due autori. In verità noi abbiamo nel Migne, rimane ancora la versione
ufficiale perché non ci sono edizioni critiche. Ci sono centinaia di colonne del Migne che riguardano questi due
autori Leonzio di Bisanzio e Leonzio di Gerusalemme oppure queste opere che vanno sotto il nome di questo
tale Leonzio, allora quali sono le opere:

1. Contra Nestorius et Eutichianos (perché probabilmente sono tre opere che si sono confluite in una
unica opera.
2. Epilysis (Solutio argumentorum a Severo obietorum = Soluzioni degli argomenti obbiettati da Severo)
3. Triginta capita, contra Severum
4. Adversus Monophisytas
5. Contra Nestorianos

È il volume 86 del Migne, vi raccomando qualche volta entrate nella biblioteca ci sono dei libri vedrete. Al
volume I e II del volume 86, li avete a portata senza richiesta. Un si entra e si va dove li porta il cuore. Vedete
sono due volume del Migne in colonne, e in effetti è la testimonianza più abbondante prima di Massimo il
confessore della Patristica di questa epoca. Ecco perché dobbiamo fermarci, perché dagli altri autori che
abbiamo trattato finora sono solo frammenti, sono resti, qui invece abbiamo tanto. Quindi il problema
prosopografico è questo. La domanda, è stato uno che ha scritto queste cinque trattati oppure due personaggi?
Allora noi abbiamo le opinioni più antiche di un tale Loofs, un grande patrologo della fine del ottocento inizi del
novecento, lui è stato un pionere della patrologia, un tedesco che diceva che diceva che queste opere
appartenevano ad un unico autore di nome Lionzio che avrebbe scritto le prime opere ai tempi della disputa
con Severo, quindi attorno agli anni 520-540, questo riguardo alle prime tre opere, invece le due ultime
vengono allo stesso autore scritti alla fine del secolo VI, il 580 e inizi del VII secolo. Questo lo trovate
nell’articolo in un modo più ampio. Questa è una opinione che è stata messa in discussione da un altro
patrologo francese M. Richard, a lui si deve la distinzione dei due Leonzio, cioè è stato lui che nel 1944 ha
distinto i due Leonzio, dicendo che queste opere vanno attribuite i prime tre a Leonzio di Bisanzio, e invece le
altre due a Leonzio di Gerusalemme. Questi due autori, secondo Richard erano due autori coevi ossia vissuti
nella stessa epoca e tutti e due esponenti dal Calcedonismo. Ma uno Leonzio di Bisanzio di un calcedonismo
piuttosto conservatore stretto, e Leonzio di Gerusalemme del così detto neo-calcedonismo. Quel calcedonismo
che si affermerà poi al concilio Costantinopolitano II, 553. Ora questa è la così detta opinio communis cioè in
tutti manuali troviate questo, anche nella patrologia, anche nel dizionario patristico. Ma in verità proprio di
recente abbiamo avuto delle questione, io propongo una altra datazione, voglio cambiare la opinio communis,
cioè vi lo dico subito, questi due autori non sono coevi come diceva Richard, ma questi due autori sono
veramente distanti. Il primo scrisse attorno al 520, e l’altro scrive dopo, quindi si tratta di due autori che non
vivono nello stesso tempo. Ma questo trovate nel articolo. Perché una cosa sono le chiacchiere e altra quando
uno mette per scritto. Come dire si spone.
Anche il Grillmeier segue la opinio communis, cioè vivono nello stesso periodo, ma di recente è uscito un
articolo di un studioso americano che si chiama Craz Muller, questo deve essere d’origene tedesca, ma è
americano, nel Giornale di studi teologici, Leonzio di Gerusalemme un teologo del VII secolo, 2001quindi
questo autore americano, scrive questo proponendo una datazione tardiva della datazione di queste due
opere. IO avevo fatto un studio su Leonzio di Bisanzio e avevo fatto una serie di ricerche su questo autore,
allora confrontando gli esiti dello studio di Craz Muller e con lo studio che io avevo condotto precedentemente
ho scritto questo articolo in cui distinguo questi due. Quindi sono due distinti. Questa posizione che io vi
presento, che praticamente io condivido con l’opinione di Craz Muller sul louogo terrestre. Ma c’è uno che li va
contro, ma sempre gli americani, il professor Grei nel 2007 ha scritto un libro, una traduzione del adversus
monofisita in inglese, e lui ripete l’opinio communis. Lui dice di aver letto Craz Muller, ma di non condividere,
secondo Grei le tesi che presenta Muller per una datazione tardiva sono insufficienti. Pero il testo di Grei è
stato ricensito sul Gournal theological…, da un altro professore americano Wildam, sono articolo recenti del
2007, andatevi a vedere non vi parlo dal 1901. Allora anche il recensore della opera di Grei dice: non è
sufficiente quello che dice Grei. Cioè c’è una grande disputa in atto recentissimo. La disputa è in atto, ma dove
è il problema? IN realtà perché noi proponiamo una datazione tardiva di queste due ultime opere, in quella
conta Nestorianos nell’ultima parte della Adversus Monofisitas si parla dei Longabardi. Allora nell’anno 578 i
Lomgabardi scessero in Italia provenendo dall’Ungeria. Prima erano scesi nella pianura Padana, poi dopo di che
attraversato l’Italia ed erano giunti a Venevento e fundano un ducato in questo zona. Loro amavano le zone
montuose, quindi s’insediavano sul alpenino. Questa invasione era concordata con l’imperatore Giustiniano
che andava contro i Goti e gli ostogotti. Nell’anno 568 scendono in Italia i Lomgobardi, ora non è verosimile che
un monaco che viveva in oriente e che conoscessi i Longabardi prima di questa data, ansi molto dopo. Quindi
se nel testo si parla dei Lomgabardi, loro sono conosciuti dopo il 568, questo significa la datazione dell’opera
all’anno 570- 580.
In realtà i barbari non erano conosciuti, perché non venivano in contatto con i Romani, quindi questa è una
spiegazione. E poi ancora abbiamo un riferimento a una invasione di Gerusalemme sempre nell’ultima parte
del Contro Monofisitas, in questa opera c’è un accenno a una invasione a Gerusalemme avvenuta in modo
cruento. Ora noi sappiamo dalla storia che Gerusalemme fu invasa due volte in questo periodo. L’invasione
persiana del 614 dovuta a Cosrue e poi nell’anno 638 l’invasione Araba, ai tempi del Patriarca Sopronio, queste
due invasione avvennero l’una in modo cruento, cioè quando arrivarono i persiani, ammassarono un sacco di
persone, devastarono e sacchiarono i santuari, invece quando arrivarono gli Arabi, gli arabi voi sapete al di là
della loro fede, loro sono molto sensibili al dio denaro, quindi contratarono la resa di Gerusalemme. Sofronio, il
Patriarca, con il Califo si accordarono, e lui entrò in Gerusalemme e non fecero niente. Sotto le invasione araba
se uno non voleva rischiare, in verità non veniva perseguitato, dovevi pagare una tassa, questo vuol dire tu
pagavi e continuavi ad essere cristiano. Loro non se ne facevano problemi teologici. Allora in quel senso il
denaro apriva anche le porte del paradiso. Ora questa notizia nel contra Monofisitas, che l’autore era stato
presenta a una resa di Gerusalemme, avvenuta con una inmensa perdita di uomini testimonia che l’autore
scrive conoscendo l’invasione persiana del 614. Quindi voi capite che questa è un autore del settimo secolo,
non è una autore coevo con Leonzio di Bisanzio. Mi sono confortato anche con il professore Simonetti che il
mio professore, e lui ha letto l’articolo e dice che ci sono prove forti. Sapete come loro smontano queste prove,
loro dicono che l’ultimo parte del Contro monofisitas è una aggiunta posteriore, ma a questa obbiezione c’è
una risposta. In questa opera esiste un unico manoscritto e questo manoscritto riporta la sezione. Quindi,
finchè non si troveranno altri manoscritti dove si potrà dire che quella parte ci sono queste notizie o
interpolazioni noi riteniamo che questo viene della stessa penna. Una domanda di Agostino: allora si loro
conoscevano di questa invasione perché datano questa opera il 580 e non dopo? Professore: Infatti l’opera
viene datata l’anno 620. Perché? Vi spiego, il problema è quando tu cerchi la datazione di una opera deve avere
un margine di oscillazione. Allora il margine di Oscilazione è ampia, perché va dal dopo il 568 sicuro, perché
solo dopo questa data i lonngabardi sono conosciuti fino all’anno 620, quindi una oscillazione di 40 anni, quindi
questo è il termine post-quem, il termine dopo il quale, quindi va del 580, forze per individuare la datazione
dell’opera andrebbe meglio il 620. Abbiamo altre prove, voi lo leggerete perché non è solo questo, c’è una
riferimento a una serie di incoronazioni avvenuti nel seno della madre, cioè cosa succedeva? Quando
l’imperatrice era in cinta, se l’imperatore partiva per la guerra, incoronava il bambino nel seno della madre,
cioè faceva una cerimonia di incoronazione sulla pancia dell’imperatrince. Perché in caso di morte
dell’imperatore morisse già c’era l’erede riconosciuto. Ora noi sappiamo che una serie d’incoronazioni nel seno
della madre avvennero al tempo dell’imperatore Eraclio, governa dal dopo 610-640. Quindi ancora di più
abbiamo una conferma che questa opera e anche quella contra nestorianos, sono opere del inizi del
settecento. Dunque tra i due Leonzi, ci sono quasi 100 anni di distanza. Io aspetto che questo sia ricepito dalla
comunità scientifica, perché oltre l’obbiezione, sia che sia una interpolazione, troviamo nel contra nestorianos
una incoronazione nel seno della madre. Quindi ci porta verso il settimo secolo.
Una domanda da un alunno: cioè la data di fissazione è 680-620? Professore: quando Noi leggiamo una opera
dobbiamo fissare le date. Noi alla fine del discorso cosa diremo, che questa è una opera del settimo secolo, dal
620-640. Ma prima vi ho fatto vedere tutto il procedimento per arrivare. Naturalmente questo procedimento vi
aiuta quando voi leggete, dovete individuare dei riferimenti storici, perché nessuno vi dirà come oggi, che lo
primo che facciamo è leggere la data della pubblicazione. Ma nell’antiquità non datavano, allora come fare per
la datazione di una opera, noi lo facciamo delle notizie interne dell’opera. Sebastiano domanda: tutti queste
cose di coloro che rifiutano, io penso che loro non sono stupidi, perché penso che dietro c’è una ragione
teologica? Professore, perché lottiamo sulle date? C’è indietro questa idea secondo il quale il neo-
calcedonismo viene solo dopo il 553, cioè è la teologia che segue il concilio costantinopolitano II, mentre che
questi autori e l’opinio communis, prima del 553 abbiamo vetero-calcedonismo, neo-calcedonismo e Severiani,
erano tre correnti, poi una di queste tre vince al Concilio Costantinopoli II. E quindi gli altri perdono. Ma questa
soluzione non spiega come mai il vetero-calcedonismo sparisce completamente, questo è il problema. Allora mi
sembra che il neo calcedonismo è l’evoluzione del vetero-calcedonimo. Allora c’è un'unico calcedonismo prima
del 553 che si opponeva ai Severiani, poi questo calcedonismo si impone con delle spiegazione più ampie al
concilio del 553 e poi diventa il neo-calcedonismo che è la nostra fede. Questo non ve lo dico a parole, ma è
nelle successione conclusione del mio articolo. Quindi io avevo scritto una parte l’opinio communis, anche noi
abbiamo condiviso, quando io avevo cominciato a fare i miei studi avevo recepito quello che dicevano tutti.
Perché attenzione questo Gray in realtà non fa altro che ripetere le opinioni di Richard, lui ripete sempre non
dice mai nulla di nuovo. Allora anche noi abbiano condiviso questa soluzione, che oggi non ci trova più convinti,
perché in realtà la presentazione della teologia del VI secolo deve molto alla contemporaneità dei due Leonzio,
al preteso influsso di Leonzio di Gerusalemme della sua teologia sull’apporto e sull’imperatore Giustiniano. Che
vuol dire? Vuol dire che tutto il volume di Grillmeier che io venero naturalmente, di cui tengo una cartolina
manoscritta (Quando io ero studente al Agostinianum allora io facevo la mia tesi con Simonetti e conosceva
tutto di Simonetti. E un mio amico del Capranica era studente in Germania con il professor Grillmeier, allora
questo amino si chiama Lentino mi chiama e mi dice sente il professore Grillemeier che non riesce a trovare un
articolo del professore Simonetti, e alloro li dico dimilo tanto io sono al Agostiniano abbiamo tutto di Simonetti,
vita, morte, miracoli. Sono andato in biblioteca li ho fotocopiato l’articolo e glielo mandato al Grillmeier. E
allora il professore Grillmeier poi mi ha mandato un chirografo, una cosa scritta da lui, in cui mi ringraziava.)
Anche Grillmeier contiene questa idea, quale è l’idea fondamentale del volume II 2 = che i due Leonzi siano
contemporanei, questo è l’impianto, se questi due autori sono contemporanei, allora è vero esistevano due
correnti del calcedonismo. Se questi due autori non solo contemporanei allora esisteva una unica corrente del
calcedonismo che nasce dall’inizio del VI secolo e ha come base il concilio del 553 e poi si evolve in
neocalcedonismo. Capite la risposta a questa domanda, quindi c’è dietro un impianto teologico. Che va alla
ricerca di spiegazioni storiche. È stata fatta, creo nel 2005 una tesi in Germania che è stata pubblicata Historia
Conciliorum Oecumenicorum di uno studente che addirittura dice che Leonzio di Gerusalemme ha ispirato i
canoni del concilio del 553, ma questo studente dottore ormai, non ha verificato le notizie storiche, per cui
vasta solo dire che queste opere non sono databili prima del 553, e tutta la tesi è valata. Anzi la tesi dimostra
proprio il contrario, cioè che l’autore di queste opere conosceva i canoni di questo concilio. Capite la
gravidanza degli errori storici. Capite perché si investe molto tempo alla ricerca di queste notizie storiche.
Perché se uno non fa l’accertamento storiografico e allora può dire quello che ti pare. Domanda: a livello
lessicale ed stilistico riguardo all’ultima parte? Professore: è uguale simile al contenuto e agli scritti, anche
questo è stato presso in considerazione, che se ci fosse una differenza stilistica nell’ultima parte, ma non, ma
anche perche l’ultima parte è così breve che diciamo non è facile. Domanda: tutta è della stesso autore?
Professore: questo lo dice Loofs cioè il primo scrittore tedesco diceva che lo stesso autore lo ha scritto tardi alla
fine della sua vita, pero il problema è che tra questi due autori e questo lo dico io nell’articolo, ci sono
differenze teologiche di contenuto che vanno nel senso della separazione. Questi autori Leonzio di Bisanzio e
Leonzio di Gerusalemme oltre ad essere distanti per motivi storici ma anche per motivi teologici. Perché per
esempio, in Leonzio di Gerusalemme abbiamo la dottrina della enhipostasia quella che viene affermata a
Costantinopoli II, ben espressa tanto che io porta la traduzione di Leonzio di Gerusalemme: nel contra
nestorianos “l’essere umano in Cristo non possiede come noi la sua propria ipostasi umana che lo separa di
ogni natura simile e desimile, ma la comune e indivisibile ipostasi del Logos sia per la sua natura umana e sia
per quella divina”. Cioè vuol dire che c’è un’unica ipostasi, ipostasi della natura umana e della natura divina.
Mentre se vediamo il concetto di ipostasi in questo autore, per lui è il concreto Gesù Cristo, e allora tra i due o
c’è una evoluzione di pensiero o sono due diversi. Pero notate ancora la conclusione del articolo: Se è vero
che l’autore del Contra Monofisitas e del Contra Nestorianos è vissuto dopo il concilio Costantinoplitano II,
ossia tra la seconda metà del VI e la prima VII secolo, e se le due opere, come abbiamo dimostrato,
appartengono rispettivamente ad epoche successive al 570 e al 614, allora occorrerà decisamente rivedere non
solo la questione prosopografica ma tutto l’assetto della teologia tra il VI e il VII secolo. In particolare, si
dovranno coraggiosamente prendere le distanze dalle tesi di Richard e di Moeller, ma anche di Grillmeier e
dalla maggior parte degli studiosi circa l’epoca e la natura del neocalcedonismo, se si vuole riconoscere Leonzio
di Gerusalemme, come il massimo esponente di questo orientamento teologico. Alla fine del discorso io dico
non è una questione di datazione è una questione di affetto teologico. E io in fede di questo articolo sto
scrivendo un volume sulla Cristologia del VI secolo seguendo questa altra datazione. Cioè rimettendo a posto
gli autori non secondo l’opinio communis, ma secondo la mia versione, e secondo me naturalmente questo
bisognerà aspettare, secondo me questa concezione storica giustifica meglio la collocazione degli autori e della
loro teologia del VI secolo. Dunque questa è una lezione per farvi capire come l’aiuto della filologia, letteratura
e della storia diventa necessario ai fini della teologia, quindi questo è molto importante, siete chiamati anche
a collocare gli autori. Anche come abbiamo visto un neo-nicenismo, adesso un neo-calcedonismo, c’è qualcosa
di nuovo un approfondimento del dogma e della teologia? Allora infatti nasce l’altra questione che cosa
significa neo? Cioè occorrerà stabilire, mi cito, prima di tutto chi deva essere considerato neocalcedonense cioè
dov’è la novità del neo-calcedonismo. Voi capite che dalla collocazione storica di questi autori si decide che
cosa è veramente nuovo e che cosa è veramente vecchio. Qual è la mia idea, e poi l’approfondiremo, la dirò in
un minuto ed è che la novità che entra del neo-calcedonismo si deva ai monaci Sciti che con la loro formula
unus de Trinitate factus est carne, hanno aperto la questione calcedonense che si stava un po appostando tra
la lotta tra i Severiani e Calcedonesi saranno loro che romperanno la disputa, è sempre uno che viene di fuori
che risolve il problema.
Adesso cominciamo qualcosa di complicato, andiamo al così detto teologia Bizantina e prendiamo in
mani i cosiddetti Bizantinismi. Per comprendere il testo con me, pero quando dopo andrete a casa dovete
leggerlo almeno due o tre volte perché sono testi complicati. Allora noi chiediamo l’aiuto della divina
provvidenza e anche lo Spirito Santo che ci illumini.
Cominciamo a studiare questo autore Leonzio di Bisanzio, e ci concentriamo in questa opera De contra
nestorianos et Eutichianos. Oggi affronteremo, questo lo trovate anche nel volume del Cristo, di Simonetti.
Alcuni testi lo prendo di Simonetti e altri lo prendo direttamente dalla Patrologia. Pero attenzione alla
traduzione perché talvolta io mi distanzio dal professore Simonetti, perché la faccio più letterale, lui invece la fa
più bella. Invece io la faccio più grezza, parola per parola. Allora noi dobbiamo oggi affrontare due questioni
abbastanza complicate: 1. La questione terminologica, 2. La questione dell’enhipostasia. Sempre questa è la
questione, alla fine di questo corso dovete credere che esistono due nature in una persona. Allora andiamo a
leggere prima il testo, questo più lungo. Comincia così:
Testo greco: Migne, 86, col.1086; CTP. 161.

Testo Traduzione
'ΑνυπÒστατος μšν οâν φäσις, τουτšστιν οÙσ…α, οÙκ ¨ν ε‡η Dunque, non potrebbe mai esserci una
Ποτš. οÙ μ¾ν ¹ φäσις ØπÒστασις, Óτι μηδ¾ ¢ντιστρšφει: ¹ μšν natura, ovvero un’essenza anhipostatica. 1
γ¦ρ ØπÒστασις καˆ φäσις, ¹ δš φäσις οÙκšτι καˆ ØπÒστασισ: ¹ Certamente la natura non è hipostasi dal
μšν γ¦ρ φäσις τÕν τοà εŒναι λÒγον ™πιδšχεται: ¹ δš ØπÒστασις, momento che non si può dire il contrario.
καˆ τÕν τοà καθ' ˜αυτÕν εŒναι: καˆ ¹ μšν ε„δους λÒγον ™πšχει, Infatti l’ipostasi è anche una natura. La
¹ δš τοà τιωÒς ™στιν δηλωτικ». καˆ ¹ μšν καθολικοà πρ£γματος natura non è anche un’ipostasi. Infatti, la
χαρακτÁρα δηλο‹, ¹ δš τοà κοινοà τÕ ‡διον ¢ποδιαστšλλεταρ. natura accoglie la ragione dell’essere,
καˆ σθντÒμως ε„πε‹ν, φäσεως μšν μι©σ κυρ…ως λšγεται τ¦ invece l’ipostasi raccoglie la ragione
Ðμοοäσια, καˆ ïν Ð λÒγος τοà εŒναι κοινÒσ: Øποστ£σεως δš dell’essere per se stesso. L’una ha la
Óros: À t¦ kat¦ t»n fäsin μšν ταÙτα, ¢ριθμñ δš διαφšροντα: ragione della specie, l’altra è significativa
À τ¦ šκ διαφÕρων φäσεων συνεστîτα, τ¾ν δš τοà εŒναι κοινω- di qualcuno, l’una indica l’specie l’altra
ν…αν ¤μα τε καˆ ™ν ¢λλ»λοις κεκτημšνα: οÛτω γš το… φεμι indica qualcuno. L’una indica i caratteri di
Κοιωνοàντα τοà ε†ναι, οÙχ æς συμπληρωτικ¦ τÁς ¢λλ»λων una realtà universale, l’altra divide ciò che
οÙσ…ας, ×τερ œστιν „δειν ™πˆ τîν οÙσιîν καˆ τîν οÙσιωδîς è proprio dal comune. E per dirla in breve,
κατ' αÙτîν κατηγορουμšνων, ποιÒτητες δš αâται καλοàνται, sono dette realtà consustanziali quelli che
¢λλ' æς τÁς θατšρου φäσεως καˆ οÙσ…ας, μ¾ καθ'˜αυτ¾ν θεω- appartengono a una sola natura e di cui la
ρουμšνης, ¢λλ¦ μετ¦ τÁς συκειμšνες καˆ συμπεφυκυ…ας . ragion d’essere è comune. Invece o le
Óπερ ¥ν τις εÛροι καˆ ™φ' ˜τšρων μšν πραγμ£των, οÙχ ¼κιστα realtà simile secondo la natura ma
Δš ™πˆ ψυχÁ καˆ σèματος, ïν κοιν¾ μšν ¹ ØπÒστασις, „δ…α differenti per numero, oppure le realtà
Δš ¹ φäσις, καˆ Ð λÒγος δι£φορος. consistenti da natura differenti che
posseggono tra di loro e allo stesso tempo
la comunione dell’essere. Così dico che
hanno la comunione dell’essere non come
se completassero l’essenza una dell’altra.
Come è possibile vedere riguardo
all’essenze e riguardo alle categorie
essenziali. E queste sono chiamati qualità.
Ma poiché essendo di natura e essenza
diversa, non essendo contemplate per se
stesse, ma nella misura in cui sussistono
insieme e giacciono insieme: è questo uno
potrebbe trovare anche riguardo alle altre
realtà. Non anche riguardo l’anima e la
corpo, la cui ipostasi è comune, invece la
natura propria è la ragione d’essere
differente.

Con questo da una definizione di natura ed ipostasi. Pero andiamo a vedere dall’inizio. Per prima non esiste
una natura anhipostatica. Vuol dire che ad ogni natura corrisponde una ipostasi. Ancora detto brutalmente, per
esempio: Quando io esco fuori non trovo mai la natura uomo. Ma trovo sempre uomini delle ipostasi, perché
non esiste una natura enhipostatica. Ogni natura è ipostatizzata, per esempio in lui c’è la natura uomo in
Agostino c’è lui. Quindi la natura si ipostatica in Agostino, non esiste la natura umana d’Agostino, cioè esiste
pero ipostatizzata. Pero lui dice: la natura non è un’ipostasi, perché l’ipostasi è una natura, pero la natura non

1
Notate qui l’equivalente tra Phusis e ousìa, quindi Leonzio ha già recepito l’insegnamento di Giovanni il Grammatico.
Phusis è uguale a ousìa. Quindi phusis si carica di un valore generico.
è ipostasi, allora che vuol dire: Quando io guardo Agostino, è un agustianiano, viene dall’Africa, ecc. allora io
faccio un giudizio dell’ipostasi, ma sotto l’ipostasi c’è sempre una natura, ma non il contrario. Va bene, perché
la questione era, quella che dicevano i monofisiti, se vuoi dite due nature allora sono due ipostasi, allora lui
dice non è così perché quando io dico l’ipostasi sotto la natura. Perché quando io dico la natura non c’è sempre
l’ipostasi. E questa è una filosofia aristotelica, perché è un aristotelico nella mente, perché lui sta parlando
come un aristotelico. Allora andiamo avanti pero lui da ancora una definizione cioè LA NATURA mi dice che una
cosa esiste, cioè ha ragione dell’essere. Quando dico natura, intendo che una cosa esiste. Un tavolo c’è o non
c’è, quello pensa adesso. L’ipostasi dice che uno esiste di per sé. L’una ha la ragione della specie, cioè quando
dico uomo, io dico la specie. Cioè quando dico la natura umana c’è in questa classe? Si un’unica natura, pero si
concretizza in 60 ipostasi (parla degli studente della lezione).
Perché questa natura umana che esiste in questa aula, poi esiste in 60 modi per se stessa. Quindi non c’è solo
un’esistenza generica della natura, ma poi esiste in don Carlo, in Marcello, ecc.
L’unica indica la specie e l’altra indica qualcuno.
Dicono consustanziale le cose che appartengono a una sola natura. Pero adesso andiamo a veder la
definizione di IPOSTASI = indica le cose simili secondo la natura pero differenti per numero. Allora noi siamo
simili ma siamo 60 persone ecc. Ma sotto c’è il problema cristologico. Ma indica anche realtà consistente di
nature differenti che hanno la comunione dell’essere. Come intende la comunione dell’essere. In questo
modo intendo la comunione dell’essere. Allora cosa significa. La comunione dell’essere. Non perché
completano la natura dell’uno e dell’atro. Allora ci sono nature differenti che si completano e fanno un’unica
natura. Si perdono per fare una unica natura (sunplerotika = vanno insieme). Ma poiche essendo di natura ed
essenza diversa, quindi le due nature rimangono diverse e sussiste non sussistendo per se stesso, allora ci
sono delle nature che sono diverse ma non sussistono per se stesso. PERCHÉ LA SUSSISTENZA PER SE STESSA È
DOVUTA ALLA IPOSTASI. Quindi sono due nature diverse, non sussistono per se stesse. Ma sussistono nella misura
in cui sussistono insieme e giacciono insieme.
Una domanda: Marcello: quelle che dicono che non sussistono per sé stesse, sembra di negare la pre-
esistenza del Logos? Professore: qui è vero quello che tu dici perché la natura divina già sussiste per se stessa
prima dell’incarnazione. Ma qui lui parla del Verbo Incarnato, perché qui è il problema di come le due nature
sussistono. Pero tu già parli avendo risolto il problema, cioè tu già parli Marcelo, avendo in conto che l’unica
ipostasi è il Verbo, ma questo lo dirà il Concilio Costantinopolitano II, mentre Calcedonia aveva detto che
esistono due nature in un’unica persona. Su questo ci sono molte riflessioni di PADRE STUDER aveva scritto su
come Calcedonia aveva inteso. Tu dicendo questo hai risolto il problema, perché tu dici la natura divina sussiste
nel Logos, quindi tu devi prendere la natura umana e metterla dentro. Invece lui sta ragionando in questo
modo: ci sono due nature non sussistono per se stesse. Ma sussistono nella maniera in cui giacciono insieme,
vivono insieme. Questo possiamo trovare in altre realtà, come per esempio nell’anima e nel corpo quel
modello antropologico. Quindi nell’uomo tu hai due nature che non sussistono per se stesse, ma sussistono in
don Carlo. Cioè nella misura in cui c’è il concreto uomo. Di cui l’ipostasi è comune del corpo e dell’anima, ma
rimane propria la natura differente, la ragione di essere, perché l’una vive come anima e l’altra come corpo.
Il problema per questa epoca sono le fonti filosofiche, per lo più si dice che la fonte principale è Platone, ma dai
testi che noi leggiamo c’è anche Aristotele, dunque le fonte sono tutte, cioè tutte queste riescono a rintracciare
notizie o meglio dottrine che vengono dell’ambiente aristotelico diciamo teorie e dottrine che vengono
dell’ambiente platonico. Si vede chiaramente che loro prendono abbondantemente materiale della filosofia
aristotelica e della filosofia platonica. Quindi la difficoltà dei termini perché il termino ousia, come l’intendono?
Ousia prima o seconda, secondo Aristotele o Platone. Per lo più dobbiamo seguire l’interpretazione che da
Basilio nella famosa lettera 314 fa si che il termino vada inteso come ousia seconda e non ousia prima di
Aristotele. Ma lasciamo perdere perché ci allontaniamo dal tema. I caldedonesi volevano fare un esempio che
usavano i monofisiti, allora i monofisiti il cui retroterra era l’apollinarismo, si servivano molto del paradigma
antropologico, ci dicevano in Cristo è l’unica la natura come unica è la natura dell’uomo che proviene di due
nature dall’anima spirituale e dal corpo corporale. Pero qui ecco il problema filosofico perché i monofisiti
l’intendono come ousia prima, mentre i calcedonensi l’intendono come ousia seconda, allora qua c’è un
problema filosofico. Questo tipo di teologia è un po’ complicata e ogni volta si complica di più.
Una delle novità di questo autore è il ricupero di Aristotele pero c’è anche platonismo. Pero il concetto di
ipostasi è un concetto platonico che viene dal neoplatonismo, qui inventa la parola ipostasi si trova in Plotino ,
le tre ipostasi plotiniane, vi ricordate, l’uno, l’anima, nous, phiche ecc. quindi sono delle ipostasi, quindi il
linguaggio è platonico, pero la filosofia è prevalentemente Aristotelica, come lui ha individuato. Questo
contraddice quelli che dicono, e si fa opinione comune, che l’aristotelismo verrà ripreso da S. Tommaso
d’Aquino, ma ho dimenticato che tutti i padri sono platonici, ma non è vero, perché molta della teologia
bizantino è piena di Aristotelismo.
La settimana prossima parleremo del enhipostaton.

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