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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI URBINO CARLO

BO
DIPARTIMENTO DI STUDI UMANISTICI

CORSO DI LAUREA:

SCIENZE UMANISTICHE.
DISCIPLINE LETTERARIE, ARTISTICHE E FILOSOFICHE

TITOLO:

La storiografia italiana e i documenti


del processo a Giordano Bruno
Italian Historiography and the documents of the
Inquisition trial against Giordano Bruno

Relatore: Chiar.mo Prof. Tesi di laurea di:


GUIDO DALL’OLIO ANDREA ANTONELLI

ANNO ACCADEMICO 2018 - 2019

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Indice tesi
1 Introduzione
2 Parte prima
2.1 Capitolo n.1 – Biografia di Giordano Bruno: gli inizi
2.2 Capitolo n.2 – Il periodo europeo
2.3 Capitolo n.3 – La scelta del ritorno in Italia
2.4 Capitolo n.4 – Il processo veneziano
2.5 Capitolo n.5 – Trasferimento e processo a Roma
3 Parte seconda
3.1 Capitolo n.6 - L'indagine storico-documentaria sulla vicenda di Giordano
Bruno: dal 1600 a Napoleone
3.2 Capitolo n.7 - L'indagine storico-documentaria sulla vicenda di Giordano
Bruno: dall’oblio alla graduale riscoperta
3.3 Capitolo n.8 – Documenti ritrovati da Domenico Berti
3.4 Capitolo n.9 – Nuovi documenti processuali editi da Vincenzo Spampanato
3.5 Capitolo n.10 – Angelo Mercati e la scoperta del Sommario
3.6 Capitolo n.11 – Gli ultimi reperti: i documenti trovati da Luigi Firpo e
Diego Quaglioni
3.7 Capitolo n.12 - Capitolo 12 – Germano Maifreda e la direzione delle nuove
ricerche documentarie
4 Conclusione
5 Bibliografia conclusiva

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Introduzione
Il tema centrale di questa tesi è il rapporto tra storiografia e conoscenza delle fonti nelle
ricostruzioni della vicenda processuale di Giordano Bruno compiute da autori italiani.
Nell’affrontare quest’argomento, si è operata una macro-divisione della tesi in due parti: la
prima riassume la vita e le vicissitudini del filosofo nolano, la seconda si occupa
prettamente dei documenti processuali bruniani.
Alla base di questo testo vi è la curiosità ispirata dal mito di Giordano Bruno. Una
figura che ha da sempre diviso in due posizioni fortemente antitetiche che chiunque,
nell’affrontare questa personalità di non facile interpretazione, ha riscontrato. Da una parte
troviamo gli storici filo-cattolici, che hanno sempre parlato del nolano come di un eretico,
apostata, irreligioso e blasfemo, pronti a difendere l’operato dell’Inquisizione giustificato
in chiave storicistica; essi, inoltre, hanno dato una valutazione negativa della filosofia
bruniana, che hanno considerato caotica, confusa e di difficile comprensione. Dall’altra
parte troviamo invece gli anticlericali, che hanno elevato Bruno sia a eroe della libertà del
pensiero laico, sia a martire giustiziato da un’istituzione spietata che non aveva, al tempo,
compreso e accettato lo sviluppo della società che avrebbe prodotto inevitabili
cambiamenti culturali e (a partire dall’avanzamento scientifico e il progressivo sostituirsi
della scienza con la religione come portatrice della verità). La tesi è nata da questa
curiosità e si è basata su indagini più equilibrate condotte da studiosi, soprattutto storici e
giuristi, che affrontarono, e tutt’oggi affrontano, il caso Bruno senza attribuire
necessariamente al nolano delle caratteristiche etico-morali, politiche, religiose e culturali
che non gli appartenevano e soffermandosi sul valore della sua personalità all’interno del
contesto storico e culturale dell’epoca.
Con questa tesi si è cercato di vedere come la strumentalizzazione della figura di Bruno
sia stata superata, per approdare alla ricerca delle fonti e a un giudizio, per quanto
possibile, oggettivo e imparziale. Per poterlo fare, la tesi si fonda sulle biografie, testi e
documenti scritti da studiosi che si sono occupati di Giordano nel corso del tempo. La base
della ricerca, dunque, è costituita dai testi di Domenico Berti, Angelo Mercati, Vincenzo
Spampanato e Luigi Firpo, cioè dagli autori che, con le loro indagini documentarie, hanno
dato un fondamento scientifico alle ricerche. A questi testi ho affiancato risorse da siti web,
per avere un quadro generale più aggiornato e imparziale possibile della vicenda bruniana.
Partendo da queste fondamenta, per prima cosa si è proceduto a stilare una biografia del
personaggio cercando di delineare non solo le sue tantissime vicende (viaggi, opere,
incontri, ecc.), ma anche, in parte, le sue idee filosofiche. Dopo aver concluso la parte
biografica, si è infine proceduto a tracciare l'evoluzione degli studi, in relazione soprattutto
alla scoperta di nuovi documenti relativi alla vicenda giudiziaria del Bruno.

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Capitolo 1 – Biografia di Giordano Bruno: gli inizi
“Io ho nome Giordano della famiglia di Bruni, della città de Nola vicina a Napoli
dodeci miglia, nato et allevato in quella città, et la professione mia è stata et è di littere e
d’ogni scientia; […] et nacqui, per quanto ho inteso dalli mei, dell’anno ’481”. Come
afferma Domenico Berti nel Giordano Bruno da Nola, sua vita e sua dottrina, Torino,
Paravia 1889 (prima ed. 1868), a 10 o 11 anni Giordano Bruno (al secolo Filippo) si
trasferì da Nola a Napoli per studiare le humanae litterae, la logica e la dialettica sotto il
maestro Giovan Vincenzo Colle detto “il Sarnese” (le cui lezioni frequentava
pubblicamente e da cui apprese l’aristotelismo che, successivamente, rinnegò in gran parte)
e in privato sotto la guida di fra Teofilo da Vairano. Raggiunti i 14 o 15 anni, il giovane
decise di dedicarsi alla vita ecclesiastica, più precisamente entrò nell’ordine domenicano.
Infatti, racconta lui stesso durante il processo veneziano a suo carico, di aver preso
“l’habito de San Dominico nel monasterio o convento de San Dominico in Napoli; et fui
vestito da un padre, che era all’hora prior de quel convento, nominato maestro Ambrosio
Pasqua; et finito l’anno de probatione, fui admesso da lui medesimo alla professione2”.
Come avvisa lo Spampanato3, tale affermazione non è da prendersi come verità
assoluta; infatti, tradito dalla memoria o non ben compreso dall’Inquisizione, Giordano
anticipò di alcuni anni il suo ingresso in convento. Ingresso che invece avvenne all’età di
17 anni, nell’anno 1565 come novizio e infine nel 1566 come frate professo, cambiando il
suo nome di battesimo da Filippo a Giordano. Tra i domenicani, il nolano proseguì i suoi
studi filosofici e letterari; infatti la motivazione che lo spinse a indossare l’abito dell’ordine
fu probabilmente la possibilità di proseguire gli studi protetto dalle istituzioni
ecclesiastiche. La città partenopea nella seconda metà del Cinquecento attraversava la fase
tarda del Rinascimento4).
Dal punto di vista filosofico, Bruno riprende le idee della generazione precedente di
pensatori e filosofi, come il vitalismo cosmico (per cui l’intero universo e la stessa natura
possiedono forza e vitalità spirituale intrinseca, dunque risultano vive agli occhi del
filosofo). Egli raccolse in particolare gli insegnamenti e le dottrine di Niccolò Cusano e
Marsilio Ficino. Dal primo riprese l’idea dell’infinità dell’universo, l’assenza di un centro
fisso universale, la tolleranza nei confronti della diversità delle religioni, dal secondo
soprattutto il neoplatonismo5. Come ricorda Ciliberto6, poi, attraverso gli scritti di Pietro
Ravennate Bruno s’interessò all’arte della memoria. Il suo animo ribelle, curioso e anti-
dogmatico non tardò a manifestarsi. Infatti, durante il periodo di studi domenicani, il
ragazzo incontrò gli scritti e i pensieri di Erasmo da Rotterdam. Bruno ne riprese il gusto
per il “rovesciamento” dei valori del mondo. Tali concetti furono poi rielaborati dal
giovane frate, così all'esigenza del ritorno alle origini della Chiesa Cattolica espressa da
Erasmo Bruno finì col contrapporre la necessità della totale distruzione della “religione
asinina e pedantesca di Paolo e Cristo7”. Il punto di partenza erasmiano (e non già le sue
conseguenze ultime) si rese evidente quando, nel 1576, Giordano fu al centro di ben due
processi interni all’ordine Domenicano a Napoli; uno per “haver dato via certe figure et
imagine de’ sancti et retenuto un crocifisso solo, essendo per questo imputato de sprezzar

1
Luigi Firpo (a cura di Diego Quaglioni), Il processo di Giordano Bruno, Salerno editrice, Roma 1998
(ristampa ed. 1949), pag.156
2
Firpo (a cura di Quaglioni), Processo, pag. 156
3
Vincenzo Spampanato, Vita di Giordano Bruno, Principato, 1921 (prima edizione), pag. 80-81
4
https://it.wikipedia.org/wiki/Regno_di_Napoli#Periodo_della_dinastia_aragonese
5
https://it.wikipedia.org/wiki/Filosofia_rinascimentale#Vitalismo_cosmico
6
Michele Ciliberto, Giordano Bruno, Gius, Editori Laterza, 1990 (prima edizione), pagg. 8-11
7
Ibid., pagg. 8-11

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le imagini de’ sancti” mentre l’altro fu causato dal suo “haver detto a un novitio che
leggeva l’Historia delle sette allegrezze in versi, che cosa voleva far de quel libro, che lo
gettasse via, et leggesse più presto qualche altro libro, come è la Vita de’ santi Padri8”.
ricordiamo che al tempo del frate i testi erasmiani erano elencati tra le opere censurate
dall’Inquisizione). Sempre in questo periodo il frate maturò i suoi dubbi religiosi sotto
influenze filo-ariane e anti-trinitarie che, sommate ai due processi, lo portarono a maturare
la decisione di andarsene a Roma prima che un suo confratello lo denunciasse per eresia
nel 15769.
“Partitosi dunque occultamente da questa città, che più non doveva rivedere, ed alla
quale portò ognora vivissimo affetto, prese la via di Roma, dove appena giunto si presentò
al convento della Minerva, che apparteneva al suo ordine 10”. La fuga però aggravò i
sospetti sul suo conto, tanto che, sempre secondo il Berti, pochi giorni dopo il suo arrivo
nella Città Eterna egli venne informato dai suoi confratelli napoletani che le carte del
processo a suo carico erano state spedite a Roma. La situazione inoltre si aggravò a causa
sia del ritrovamento di alcuni libri proibiti che il frate aveva letto e poi gettato via prima
della sua partenza, sia dell’accusa di aver ucciso e gettato nel Tevere un suo confratello11.
Bruno dunque, temendo il peggio, fuggì nuovamente nel 1576 abbandonando anche il suo
abito domenicano; così ritornò a essere semplicemente Filippo. Provvisoriamente
"sfratato", egli iniziò le sue peregrinazioni nell’Italia Settentrionale alla ricerca di un
sostegno economico che però non trovò mai. Come lui stesso dichiarò nel suo secondo
costituto veneziano, si recò dapprima a Noli, dove insegnò grammatica come precettore per
alcuni mesi.
In seguito soggiornò brevemente a Savona e a Torino prima di recarsi a Venezia, dove
fece stampare la sua prima opera dal titolo De’ segni de’ tempi (non giunta sino a noi) per
cercare di guadagnare qualcosa. Poi andò a Padova dove alcuni suoi confratelli lo
convinsero “a ripigliar l’habito, quando bene non havesse voluto tornar alla religione,
parendoli che era più conveniente andar con l’habito che senza; et con questo pensiero -
continua il Bruno - andai a Bergamo (Secondo costituto , Venezia 30 maggio 1592)12”. Qui
si fece cucire un nuovo saio in concomitanza con il ritorno nell’Ordine, infine decise di
scavalcare le Alpi per arrivare a Lione e intanto fuggire dall’Italia, ormai un paese a lui
ostile dove avrebbero potuto processarlo e metterlo in carcere.

8
Firpo (a cura di Quaglioni), Processo, pag. 156
9
https://it.wikipedia.org/wiki/Giordano_Bruno#In_convento
10
Berti, Giordano, pag 45
11
https://it.wikipedia.org/wiki/Giordano_Bruno#La_fuga_da_Napoli
12
Firpo (a cura di Quaglioni), Processo, pag.160

Pagina 5
Capitolo 2 – Il periodo europeo
Intenzionato a lasciare il suolo italico come fuggiasco, Bruno intraprese la via oltralpe
verso Lione. Viaggiando tra Francia, Svizzera, Inghilterra, Boemia e Germania, il frate
domenicano attraversò uno dei periodi più produttivi della sua intera vita. Soggiornò,
infatti, alle corti d’imperatori, principi e re, tenne letture e lezioni presso varie facoltà
universitarie, incontrò molte personalità, accademiche e non, che lo stimolarono a
elaborare in maniera più completa il suo pensiero filosofico e teologico. Scrisse la maggior
parte delle sue opere proprio in questo periodo. Fu però spesso cacciato dai luoghi che
frequentò a causa dei dissidi perlopiù causati dal suo carattere ribelle o dalle sue teorie
innovative. Per esempio, nel periodo francese, Giordano avviò la ricerca dei principi
cardine del suo pensiero. Essi verranno poi pienamente sviluppati, durante il periodo
anglosassone, nella moltitudine di testi scritti tra il 1583 e il 1858; ad esempio la Cena
delle ceneri, il De la Causa, principio et uno, il De infinito, universo e mondi, lo Spaccio
de la bestia trionfante, la Cabala del cavallo pegaseo con l’aggiunta dell’Asino cillenico,
gli Eroici Furori, etc1.
Sempre secondo Michele Ciliberto in Giordano (pag.29), in Inghilterra Bruno riuscì a
portare a “compimento quell’opera di dissolvimento del cristianesimo di cui aveva posto le
basi fin dagli anni del convento, intrecciando, in modo originale, la lezione di Ario e quella
di Erasmo”. Tra Parigi e Francoforte, il frate nolano introdusse nei suoi scritti innovamenti
e mutamenti “che muovono dal nocciolo speculativo messo a fuoco tra il 1582 e il 18582”,
in particolare introducendo e in seguito sviluppando la tematica di carattere magico.
Il pensiero di Bruno dunque maturò e si definì proprio nel suo “pellegrinaggio”
europeo; probabilmente grazie alle nuove culture, società e religioni con cui dovette
confrontarsi, oltre alle personalità del tempo che incontrò lungo il suo cammino. Inoltre,
una volta entrato in Savoia nel 1578, decise di soggiornare a Chambéry dove si fermò
presso un convento domenicano. Lì un suo confratello, come rammenta Luigi Firpo, gli
ricordò (quasi profeticamente potremmo dire) che “Avertite che non trovarete in queste
parti amorevolezza de sorte alcuna, e come più andarete inanzi ne trovarete manco”3. Al
che il nolano decise di dirigersi verso Ginevra e lì incontrò il marchese napoletano Gian
Galeazzo Caracciolo che, interessatosi a lui, lo persuase nuovamente a “demetter
quell'habito ch'io havevo, pigliai quei panni et me feci far un paro di calce et altre robbe; et
esso Marchese con altri Italiani mi diedero spada, capello, cappa et altre cose necessarie
per vestirme, et procurorno, acciò potesse intertenermi, de mettermi alla correttione delle
prime stampe (Secondo costituto del Bruno, Venezia 30 maggio 15924)”. Qui entrò
all'università ginevrina e dopo pochi mesi attaccò duramente il professore de la Faye.

1
Ciliberto, Giordano, pag. 29
2
Ibid., pag. 196
3
Firpo (a cura di Quaglioni), Processo, pag. 160

4 Ibid., Processo, pag.160

Pagina 6
Intanto aderì al calvinismo, per pura convenienza e così poi fece in tutte le nazioni dove
soggiornò; infatti Bruno in realtà fu indifferente alle varie confessioni religiose e vi aderì
effettivamente soltanto finché esse non erano in contrasto con le sue teorie filosofiche e
con la possibilità di divulgarle.5 L'attacco al professore non rimase impunito; infatti, come
riporta lo Spampanato6, la legge ginevrina condannava con la prigione e un'ammenda
chiunque attaccasse un professore universitario o un magistrato. Bruno fu rimesso in
libertà dopo pochi giorni pagando una piccola multa, date le ristrettezze economiche in cui
si trovava .
Dopo aver constatato l'intolleranza calvinista, il nolano decise di abbandonare Ginevra
e il calvinismo per andare in Francia; siamo nel 1579. Egli decise di riprendere il suo
viaggio verso Lione, abbandonato due anni prima dopo il soggiorno a Chambéry. Dopo
pochi mesi se ne andò a Tolosa, causa la mancanza di entrate economiche per la sua
sussistenza. In quella città, infatti, c'era , “uno Studio famoso; […] Et in questo mezo
essendo vacato il luoco del lettor ordinario di filosofia di quella città, il quale si dà per
concorso, […] mi presentai al detto concorso, et fui admesso et approbato; et lessi in quella
città doppoi, doi anni continui, il testo de Aristotele De anima et altre lettioni de
filosofia”.7 Nel 1581 abbandonò Tolosa (in tumulto a causa della guerra intestina tra
cattolici e ugonotti) e approdò a Parigi, dove tenne delle lezioni sugli scritti di San
Tommaso d'Aquino. Giunta voce al re Enrico III della mnemotecnica del nolano, ovvero
l'insieme di regole e metodi adoperati per memorizzare rapidamente e più facilmente
informazioni difficili da ricordare, lo chiamò a corte e venne istruito da quest'ultimo sulla
scienza lulliana, ovvero la capacità di risolvere ogni problema con precisione matematica;
partendo dal presupposto che ogni proposizione sia riducibile a termini e i termini
complessi siano riducibili a più termini semplici o princìpi. Supposto di aver completato il
numero di tutti i termini semplici possibili e combinandoli in tutti i modi possibili, alla fine
si otterranno tutte le proposizioni vere possibili: nasce così l'arte combinatoria, anche come
forma di mnemotecnica, in quanto facilita la memorizzazione delle nozioni di base8.
“ Et dopo questo – ricorda Giordano nel Secondo costituto del processo veneziano9- feci
stampar un libro sotto titolo De umbris idearum, il qual dedicai a Sua Maestà; et con
questa occasione mi fece lettor straordinario et provisionato; et seguitai in quella città a
legger, come ho detto, forsi cinqu'anni”. In questo periodo abbiamo le prime opere
pervenuteci del filosofo e scrittore di Nola; ovvero l'Ars memoriae, il già citato De umbris
idearum, il Cantus circaeus e la commedia in volgare dal titolo Candelaio10. Dopo il

5 https://it.wikipedia.org/wiki/Giordano_Bruno#In_Savoia_e_a_Ginevra

6 Spampanato, Vita, pag. 295

7 Ciliberto, Giordano, pag. 161


8
https://it.wikipedia.org/wiki/Raimondo_Lullo#La_filosofia_e_la_teologia

9 Ciliberto, Giordano, pag. 162

10 https://it.wikipedia.org/wiki/Giordano_Bruno#In_Francia

Pagina 7
soggiorno parigino, infatti, ancora una volta a causa delle guerre civili , il filosofo nel 1583
si recò in Inghilterra, dove fu presentato all'ambasciata francese a Londra da una lettera
dello stesso Enrico III. Qui scrisse il Sigillus Sigillorum e fa domanda come professore a
Oxford. La sua richiesta fu accettata, così Giordano tenne alcune lezioni riguardo alla
teoria copernicana (probabilmente studiata e approfondita nel suo trascorso francese). Le
sue teorie furono però accolte malamente in uno dei centri accademici del tempo e così fu
costretto a ritornare a Londra.
Nel periodo compreso tra 1584 e 1585, vennero alla luce i più importanti testi bruniani,
in concomitanza con il secondo soggiorno all'ambasciata francese e all'incontro con la
stessa “diva” ovvero la regina Elisabetta I. Infatti questi sono i due anni in cui stampò La
cena delle ceneri; De la causa, principio et uno; De l'infinito, universo et mondi; Spaccio
de la bestia trionfante; Cabala del cavallo pegaseo con l'aggiunta dell'Asino cillenico e De
gli eroici furori.11 Sempre nel 1585, il frate nolano ritornò in Francia poiché l'ambasciatore,
presso il quale soggiornava, fu richiamato dallo stesso re francese. Alla corte parigina
Bruno però rimase solo un anno; sempre a causa dei tumulti religiosi egli decise di
trasferirsi in Germania. Prima visitò Magonza e Wiesbaden, ma non trovando nulla di
interessante, si spostò a Wittenberg dove, grazie a un suo conoscente, entrò nell'università
della città e vi rimase a insegnare per due anni.
Poi nel 1588, a causa di cambiamenti della guida politico-religiosa della città,
abbandonò la cattedra e si diresse a Praga, alla corte imperiale di Rodolfo II d'Asburgo.
Qui cercò l'approvazione dell'imperatore intitolandogli pure un trattato di geometria, il
Articuli centum et sexaginta adversus huius tempestatis mathematicos atque philosophos,
ma senza successo. Infatti dopo appena sei mesi decise di allontanarsi dalla corte
imperiale di Praga e si iscrisse all'Università chiamata “Academia Julia” a Helmstedt nel
gennaio del 1589. Il suo soggiorno all'università durò solamente un anno; infatti venne
scomunicato dalla Chiesa luterana della città e costretto ad abbandonarla. Bruno dunque
nel corso di poco più di 40 anni di vita e con ben oltre 6000 km percorsi in Europa, viene
scomunicato dalle maggiori confessioni cristiane; ovvero la cattolica, la calvinista e la
luterana.
Il frate , nel Secondo costituto veneziano (30 maggio 1952), afferma che “me ne partì
[da Helmstedt] et andai a Francoforte a far stampare doi libri, uno De minimo etc., et l’altro
De numero, monade et figura etc. Et in Francoforte son stato da sei mesi circa, alloggiando
al convento de’ Carmelitani [i quali, per privilegio concesso da Carlo V nel 1531, non
erano soggetti alla giurisdizione secolare12], luogo assignatomi dal stampator, il quale era
obligato darmi stantia”. Bruno però, costantemente attirato dall’insegnamento
universitario, decise di accettare l’invito da parte di un nobile di Zurigo e qui tenne lezioni
per circa quattro o cinque mesi prima di ritornare nella città tedesca sul Meno.13 Le sue
peregrinazioni extraitaliche finirono con l’incontro avvenuto proprio a Francoforte con

11 Spampanato, Vita, pag. 162


12
https://it.wikipedia.org/wiki/Giordano_Bruno#A_Francoforte
13
https://it.wikipedia.org/wiki/Giordano_Bruno#In_Svizzera_e_di_nuovo_a_Francoforte

Pagina 8
l’editore Ciotti. Egli infatti portò la lettera del nobile veneziano Giovanni Mocenigo che,
avendo letto il De minimo bruniano, lo invitava presso di lui per insegnargli l’arte della
mnemotecnica. Questo fu il punto di svolta dell’intera vicenda di Giordano Bruno, il punto
di non-ritorno della sua storia personale. Una vicenda che lo vide precipitare prima
nell’arresto, poi nel processo veneziano a suo carico, infine nel processo romano e la sua
esecuzione a Campo de’ Fiori. Infatti dal soggiorno presso casa Mocenigo in poi, Bruno
affrontò per ben due volte l’Inquisizione (quella veneziana e quella centrale romana) dopo
essere stato denunciato tre volte dal suo “protettore” e allievo. Nel periodo compreso tra
1592 e 1600 ci fu quindi la svolta discendente della parabola biografica bruniana tra cui
vanno sicuramente ricordati anche i nove anni di prigionia prima, appunto, della sua morte.

Pagina 9
Capitolo 3 – La scelta del ritorno in Italia
Le motivazioni e le ipotesi redatte dagli studiosi riguardo al ritorno in Italia di Giordano
Bruno nell’anno 1591 sono molteplici, ma non abbastanza esaurienti. Non si riesce, infatti,
a comprendere quale sia la ragione principale per cui un fuggitivo scomunicato dalle
maggiori chiese cristiane del tempo sia ritornato in Italia dopo molti anni passati in Europa
proprio per sfuggire ai suoi detrattori cattolici (non credo sia un caso che il frate nolano
non sia andato in Spagna, paese da sempre cattolico e con la presenza di una delle più
rigide Inquisizioni di tutta Europa).
Le ipotesi più verosimili sono state avanzate da Michele Ciliberto nell’opera Bruno; lo
studioso ritiene che le cause siano da ricercare in primo luogo nell’idea propria bruniana di
essere un riformatore della religione e Chiesa cattolica a lui contemporanea1. A sostegno di
questa tesi si può addurre pure l’appellativo di “Mercurio” che Bruno stesso si auto-
assegna all’interno dell’opera parigina De umbris idearum, trattato filosofico del 1582
composto durante il soggiorno alla corte francese, in cui il filosofo s’identificava in un
messaggero-profeta del Divino sceso in terra ad annunciare la “nova filosofia” e a
riformare il cattolicesimo. Inoltre in quel preciso frangente storico abbiamo l’elezione del
Papa Clemente VIII, su cui il nolano nutriva grandi speranze, tanto da definirlo così:
“Questo papa è un galant’huomo perché favorisce i filosofi e posso ancora io sperare
d’esser favorito, e so che il Patritio [sempre il papa] è filosofo2”. Ipotesi rinforzata dalla
deposizione nel processo veneto di fra’ Domenico da Nocera, un suo confratello
domenicano, il quale aveva sentito dal Bruno la sua intenzione di comporre un libro in
onore di Clemente VIII per entrare nelle sue grazie, oltre a ottenere l'assoluzione dalla
scomunica, e in seguito trasferirsi a Roma per mostrare e far impiego delle sue virtù
intellettive presso la corte papale (Deposizione di fra’ Domenico da Nocera, Venezia 31
maggio 15923).
Un’altra ipotesi, sempre sostenuta da Ciliberto (che riprende in parte quella precedente
del Gentile4), è quella del Bruno che ritorna in Italia con la speranza di ottenere la cattedra
di matematica all’università di Padova, cattedra che infine sarà assegnata a Galileo Galilei.
Abbiamo poi l’ipotesi di stampo politico; in quel periodo, infatti, era in atto l’ascesa al
potere francese di Enrico IV di Navarra (successore di Enrico III) alla quale corte Bruno fu
introdotto. Nei confronti del re francese, Giordano riponeva una grande fiducia poiché
credeva nel regnante come il simbolo e la speranza dell’aprirsi di nuovi tempi fecondi per
una riforma generale in campo politico (e forse anche religioso, si veda l’Editto di Nantes
del 15985).
Dal punto di vista personale invece, la scelta di Bruno può essere spiegata come un
tentativo di stabilirsi nell’ultima “roccaforte” in cui i suoi nemici non avrebbero potuto

1
Ciliberto, Giordano, pag. 259
2
Ibidem., pag. 261 (tratto da Angelo Mercati, Il sommario del processo di Giordano Bruno, con appendice di
documenti sull’eresia e sull’Inquisizione a Modena nel secolo XVI, Città del Vaticano, 1942 (prima
edizione), pagg. 56-57
3
Firpo (a cura di Quaglioni), Processo, pag.165
4
Ciliberto, Giordano, pag. 259
5
Ibidem, pag.262 (tratto da Mercati, Sommario, pag.55)

Pagina 10
seguirlo. Infatti, sul finire del Cinquecento, Venezia si presentava come una città autonoma
e sicura dal punto di vista religioso (nonostante la presenza dell’Inquisizione) oltre ad
essere ormai uno dei pochi luoghi in cui Bruno non sarebbe stato perseguitato (le tre
scomuniche, rispettivamente cattolica, calvinista e luterana, non gli permettevano più di
risiedere, in sostanza, nel 70% del territorio europeo; tutto questo senza contare le varie
inimicizie che il frate creò e poi si trascinò tra le università ).
A quest’ultima congettura si potrebbe collegare quella (più fantasiosa che scientifica)
avanzata da Guido del Giudice nell’opera letteraria Io dirò la verità: Intervista a Giordano
Bruno, Di Renzo Editore, Roma, 2012 (prima edizione); supposizione che vede Giovanni
Mocenigo come un’esca dell’Ordine domenicano per far attirare Bruno allo scoperto e,
dopo aver annotato tutte le sue idee “eretiche” grazie alla testimonianza in prima persona
del nobile veneziano, di processarlo. Qualunque sia, o siano state, le motivazioni alla base
della scelta bruniana di tornare in Italia (più precisamente a Venezia) per insegnare l’arte
mnemonica al nobile Giovanni Mocenigo, possiamo supporre che tale decisione sia stata il
risultato di più fattori di partenza. Una risoluzione che, secondo Ciliberto, “alle radici […]
continuerà a presentare elementi oscuri, insondabili, che nessuna indagine storica riuscirà
mai a risolvere6”.

6
Ciliberto, Giordano, pag.263

Pagina 11
Capitolo 4 – Il processo veneziano
La fine della vita avventurosa e perennemente in viaggio di Giordano Bruno è datata
alla sera del 22 maggio 1592. Quella stessa sera, infatti, Giovanni Mocenigo (nobile
veneziano presso il quale il frate era ospitato come maestro di arti mnemoniche) lo fece
rinchiudere dai suoi servi in una stanza. Da qui in poi iniziò l’ultima fase della vita di
Bruno, un periodo contrassegnato dai processi e dalla prigionia che dopo ben nove anni lo
portarono a Campo dei fiori. Come un personaggio dell’inferno dantesco, egli fu costretto
a una sorta di pena del contrappasso. Prima di Venezia, infatti, era solito dimorare presso
potenti signori, principi e imperatori, insegnare nelle università europee, viaggiare e
scoprire le magnifiche città della cultura del suo tempo e, non ultimo, confrontarsi con
intellettuali di tutta Europa (anche aventi campi di studio diversi dal suo). Invece dal 1592
al 1600 la sua vita trascorse in una prigione con persone ben diverse dai nobili che era
solito frequentare, a pensare e scrivere sia libri sia difese da attuare in tribunale; il
confronto intellettuale, questa volta, sarebbe avvenuto non con colleghi filosofi, bensì con
una giuria di teologi e canonisti, che aveva il potere di decidere della sua vita.
Il giorno dopo, cioè il 23 maggio 1592, l'inquisizione di Venezia ricevette la prima
denuncia scritta del nobile contro Giordano1. Come riportato da Luigi Firpo (Deposizione
del capitano Matteo d’Avanzo del 26 maggio 1592, pag. 148), lo stesso giorno Bruno fu
prelevato da casa Mocenigo e trasportato in carcere e tutto ciò fu testimoniato dal capitano
dell’arma del Santo Uffizio che dichiarò come il 26 maggio “ho retenuto Giordan Bruno da
Nola, qual ho trovato in una casa[...] nella qual habita il carissimo Zuane Mocenigo, et l’ho
carcerato nelle carcere del Santo Offitio”. Denuncia seguita a breve da altre due;
rispettivamente del 25 e del 29 dello stesso mese (Seconda e terza denuncia di Mocenigo)2.
Le accuse del nobile veneziano possono essere riassunte come attacchi rivolti sia alle
posizioni filosofiche di Bruno, sia alle sue posizioni in materia di etica. "Ma", scrive
Michele Ciliberto, "non si tratta in genere di accuse gratuite. Tutt'altro. Per ognuna di esse,
si potrebbero individuare testi di Bruno che, punto per punto, le confermano3”.
Nel frattempo il processo era iniziato; sempre il 26 maggio, infatti, ci furono le
deposizioni dei librai Giovan Battista Ciotti e Giacomo Brictano. Sempre lo stesso giorno
si ebbe il primo costituto del Bruno, in cui il frate nolano inizia la sua narrazione
autobiografica di fronte al Santo Uffizio. Discorso che proseguì anche nel Secondo
costituto4 del 30. I costituti continuarono fino al settimo5 (datato 30 luglio dello stesso
anno), e furono intercalati da deposizioni di vari testimoni; le deposizioni di fra' Domenico
da Nocera (31 maggio6), di Andrea Morosini (23 giugno)7 e la seconda di Giovan Battista
Ciotti (sempre 23 giugno8). Considerando le denunce mossegli da Giovanni Mocenigo, si

1
Firpo (a cura di Quaglioni), Processo, pag. 143
2
Ibid.,pagg. 145-147; pagg. 157-159
3
Ciliberto, Giordano, pag. 265
4 Firpo (a cura di Quaglioni), Processo, pagg. 159-164
5 Ibid, pagg. 195-199
6 Ibid, pagg. 164-165
7 Ibid, pagg. 193-194
8 Ibid, pag. 195

Pagina 12
può evincere come il nolano avesse sempre un modo di esprimersi diretto, con schiettezza,
seguendo il suo gusto nel colpire e lasciare il segno nei suoi ascoltatori che lo
contraddistinse nel corso della sua vita (nelle università, nei vari ordini e confessioni
religiose, etc9.).
Dal secondo costituto al settimo possiamo vedere come nel difendersi Bruno sia stato
“efficace, abile e persuasivo: rivendicò il carattere schiettamente filosofico della sua
ricerca; respinse le accuse più grevi del Mocenigo; su alcuni punti delicati sul piano
teologico riconobbe di aver «dubitato»; in altri casi scelse, con massima consapevolezza, la
“via della Dissimulazione”. Difesa che consisteva nel continuare a sostenere il nocciolo dei
concetti-chiave del suo pensiero (come ad esempio l’infinità dell’universo o la cosmologia
vitalistica) cercando, di volta in volta, di “smussarne gli angoli più superficiali” per essere
adattata al cattolicesimo e dunque poter essere infine giudicato innocente. Giordano
giustificò le differenze fra le concezioni da lui espresse e i dogmi cattolici con il fatto che
un filosofo, ragionando secondo «il lume naturale», può giungere a conclusioni discordanti
con le materie di fede, senza dover per questo essere considerato un eretico10. Egli dunque
si avvaleva del doppio livello, cioè quello filosofico e quello teologico, per potersi sottrarre
ad alcune accuse mossegli in campo teologico mentre per quelle più gravi (fu accusato
<<di disprezzare le religioni, di negare la Trinità, di avere opinioni blasfeme sul Cristo, di
non credere alla transustanziazione>>) tentò di chiedere perdono per aver dubitato. Tale
difesa fu possibile solo grazie ai pochi libri in mano agli Inquisitori veneziani (solo i De la
causa, De minimo e De monade e il manoscritto delle lezioni zurighesi di Bruno allegati
alla denuncia di Mocenigo11); mentre, per quanto riguarda il nucleo del suo pensiero, il
nolano cercò sempre di difenderlo razionalmente e non lo rinnegò mai (seppur alcuni punti
filosofici contrastassero quei dogmi religiosi che invece l’Inquisizione voleva fargli
accettare “pro fide”).
Nel giorno dell’ultimo costituto veneziano (30 luglio 1592) Ciliberto racconta come
Giordano, in ginocchio davanti all’Inquisizione veneziana, chiedesse «umilmente perdono
de tutti li errori [...] commessi» al tribunale e a Dio, supplicando i giudici, che gli «fosse
dato castigo, che ecceda più tosto nella gravità del castigo, che in far dimostrazione tale
pubblica, dalla quale potesse ridondare alcun disonore al sacro abito della religione che ho
portato». E s’impegnò, se gli fosse stata concessa la vita, a far <<riforma notabile>> di sé,
<<ché – disse- ricompenserò il scandalo che ho dato con altr’e tanta edificazione12>>. A
Bruno, non essendo un eretico relapso, sarebbe toccata in sorte una conclusione del
processo in un certo senso “positiva”; infatti, all’eretico, dopo la lettura pubblica della
sentenza, sarebbe stato sufficiente abiurare le sue tesi eterodosse per commutare la pena
capitale (inflitta dall’Inquisizione, ma effettivamente applicata dal braccio secolare)
perlopiù in pene economiche o attestanti l’avvicinamento del reo all’ortodossia cattolica
(es. pellegrinaggi).

9 Ciliberto, Giordano, pag. 265


10 https://it.wikipedia.org/wiki/Giordano_Bruno#Il_processo_e_la_condanna
11 http://www.treccani.it/enciclopedia/giovanni-francesco-mocenigo_(Dizionario-Biografico)/
12
Firpo (a cura di Quaglioni), Processo, pag.267

Pagina 13
Giordano quindi era conscio della sua posizione “favorevole” rispetto alle accuse
riversategli contro: era riuscito innanzitutto a non far pervenire testi in cui attaccava la
Chiesa in modo diretto (es. Spaccio della bestia trionfante); poi era anche riuscito a
distinguere la sua ricerca filosofica (divergente dal credo cattolico) dalla teologia cosicché
i suoi risultati fossero considerati non in contrasto con quelli ufficiali del cattolicesimo;
inoltre era riuscito a minimizzare le sue divergenze teologiche più gravi (es. sulla Trinità,
sulla natura di Cristo, ecc.) chiedendo perdono per i suoi dubbi sui dogmi cattolici; ma
soprattutto era riuscito a usare l’arte della Dissimulazione per non abiurare i punti
fondamentali delle sue posizioni filosofiche e allo stesso tempo farsi discolpare (o
comunque terminare il processo con esito a lui positivo). Bruno chiese infine che gli fosse
risparmiata l'umiliazione dell'abiura pubblica e, il fatto che cercò di giustificare questa
richiesta col disonore che ricadrebbe sull'abito domenicano, fu un pretesto per evitare una
pena infamante13. Purtroppo però Bruno non fece i conti con l’Inquisizione centrale
romana che, nel settembre del 1592, fece pressioni al collegio senatorio veneto per la sua
estradizione a Roma dopo aver ricevuto notizia e fascicoli a suo carico riguardo la fase
inquisitoria veneziana.

13
http://www.mondimedievali.net/medioevoereticale/inquisizione.html

Pagina 14
Capitolo 5 – Trasferimento e processo a Roma
Luigi Firpo nella sua edizione del processo di Giordano Bruno, ristampata a cura di
Diego Quaglioni, riporta il decreto dell’Inquisizione di Venezia del 17 settembre 1592
dove si diceva che il frate, per volere del Cardinale di Santa Severina, doveva essere
trasferito a Roma per essere processato dall’Inquisizione romana, cioè l'organismo centrale
da cui dipendevano i tribunali esistenti nei vari stati italiani, inclusa la Repubblica di
Venezia, e che, almeno in teoria, aveva competenza su tutto il mondo cattolico 1. Il viaggio
prevedeva una tappa ad Ancona, poi Bruno sarebbe stato trasferito a Roma.
Dopo poco più di dieci giorni, abbiamo un verbale2 in cui risulta la grande “premura”
romana nel completare l’ordine di Santa Severina: infatti, al cospetto dell’Inquisizione
veneta e del Doge, si presentò due volte nello stesso giorno un ambasciatore romano per
richiedere l’estradizione del prigioniero, ma gli fu risposto di aspettare la decisione di
Venezia a riguardo. Il 3 ottobre però la risposta fu negativa3. Il Senato e il Padre
inquisitore, infatti, rivendicando l’autonomia giudiziaria e istituzionale veneziana,
vedevano la richiesta romana come un'ingerenza nel processo condotto a Venezia e come
un possibile precedente per future estradizioni. La loro decisione può essere riassunta con
le seguenti parole: “Questa introduttione di mandar di là [a Roma] li retenuti de qui, che
devono esser espediti per ogni ragione da questo istesso Tribunale dove si ritengono et si
formano li processi, apporterebbe molto pregiudicio all’autorità del medesimo Tribunale,
con un cattivo essempio di dover continuar nell’istesso in tutti li casi del tempo a venire, et
con danno grande de’ sudditi nostri4”. La questione, insomma, da prettamente giudiziaria
era diventata soprattutto politica.
La querelle durò per ben tre mesi e si esaurì con la decisione attestata da un verbale di
seduta del Senato di Venezia datato 7 gennaio 15935. Verbale in cui la Serenissima, visti i
precedenti processi a carico del frate prima a Napoli e poi a Roma (elencati da Santa
Severina in una lettera al Padre inquisitore veneziano e taciute dai verbali, probabilmente
per non farsi vedere soggiogati alle decisioni romane agli occhi dei sudditi e delle altre
città6), decise che “[Giordano Bruno fosse] mandato a Roma, acciò quel santo Tribunale
possa proseguire a far la debita giustitia contra di lui; et essendo conveniente, et massime
in un caso sì estraordinario, dar satisfatione a Sua Beatitudine: l’anderà parte che in
gratificazione del Pontefice il detto fra Giordano Bruno sia rimesso al tribunale della
Inquisizione di Roma7”. Questa decisione fu presa dopo un voto collegiale a dir poco
favorevole alla sua estradizione (142 contro 30 tra astenuti e voti negativi).
Non sapremo mai come sarebbe finito il processo veneziano e come forse sarebbe
proseguita la vita di Giordano nel caso in cui Venezia fosse rimasta ferma sulla sua
decisione iniziale. Magari l’Inquisizione veneziana avrebbe trovato le opere bruniane più
dissacranti contro il cattolicesimo (per esempio lo Spaccio) e dunque su questi nuovi testi
avrebbe deciso ed eseguito la relativa condanna, o forse Giordano sarebbe rimasto per
sempre a Venezia per non essere più perseguitato. Conoscendo però il suo forte legame
con Nola, credo fosse più probabile l’ipotesi di un suo ritorno in terra natia che da molto
tempo ormai aveva abbandonato, e verso cui provava un grande senso di attaccamento. In

1
Firpo (a cura di Quaglioni), Processo, pag. 201
2
Ibid, pagg. 202-203
3
Ibid, pagg. 203-204
4
Ibid, pag. 204
5
Ibid, pagg. 211-212
6
Ibid, pagg. 205-206
7
Ibid, pagg. 211-212

Pagina 15
quella terra aveva conosciuto la maestosità della Natura (poi approfondita in senso
filosofico) avendo come suoi primi maestri, secondo la poetica espressione di uno scrittore
contemporaneo, “due giganti sorridenti: si chiamano Cicala e Vesuvio! Il primo, avvolto
d’edera, profumato d’alloro, di mirto e di rosmarino, circondato da castagni, querce,
pioppi, e da viti feconde” mentre il secondo “[…] io mi ritraevo, impaurito dal suo truce
aspetto, […] ci andai e, con sorpresa, mi trovai immerso in una superba vegetazione,
circondato da rami carichi di uva squisita. Altrettanto benevolo, il gigante Vesuvio mi
accolse tra le sue braccia, vezzeggiandomi con i frutti della sua terra8”.
Purtroppo, una mente a dir poco curiosa, geniale, che partorì idee innovative e
rivoluzionarie, per colpa della Chiesa romana finì invece in una spirale ingloriosa e buia
che durò dal 1593 fino al 1600; precisamente fino al 17 febbraio 1600 in Campo dei Fiori.
Una fase della vita seguita dalla condanna ed esecuzione che una personalità di grande
ingegno come Bruno non avrebbe di certo meritato, ma che gli fu imposta dalla Chiesa
cattolica romana; la stessa che poco meno di trenta anni prima lo aveva prima accolto, e in
seguito istruito, nell’ordine domenicano.
A 400 anni dalla morte di Bruno, l’istituzione religiosa ritornò sull’esecuzione del
sacerdote con la lettera di Papa Giovanni Paolo II; scritta dal segretario vaticano Angelo
Sodano e inviata al summit degli storici e teologi tenutosi a Napoli in quel periodo. Uno
scritto in cui la Chiesa definì la condanna ed esecuzione del filosofo nolano come “un
triste episodio della storia cristiana che provoca profondo rammarico9” pur prendendone
le distanze perché, secondo l’autore e il Papa, gli ecclesiastici dell’Inquisizione “lo
processarono con i metodi di coazione allora comuni, pronunciando un verdetto che, in
conformità al diritto dell'epoca, fu inevitabilmente foriero di una morte atroce” e anche
negando la propria responsabilità. La responsabilità della vicenda, continua la lettera, fu
colpa delle “barbarie dei tempi” e del potere civile che ne eseguì la sentenza; infatti si
sottolinea come i giudici della Congregazione “fossero animati dal desiderio di servire la
verità e promuovere il bene comune, facendo anche il possibile per salvargli la vita10”.
Iniziò così il viaggio del frate verso Roma, l’ultimo dei tanti compiuti durante la sua
esistenza. Il 19 febbraio Giordano sbarca ad Ancona in nave, in pieno Stato della Chiesa, e
di qui è trasportato a Roma dove il 27 febbraio è incarcerato nel palazzo del Sant'Uffizio11.
Del processo romano possiamo notare come, dall’incarcerazione a Roma del febbraio 1593
fino alla sentenza del 1600, non si abbiano più, a oggi, gli atti del processo. L’unica fonte
disponibile è il Sommario del processo (Roma, primi di marzo 159812). Di altri documenti
attinenti al processo romano giunti sino a noi, abbiamo solo le visite dei carcerati nel
Sant’Uffizio romano che si susseguirono dal dicembre 1953 al gennaio 1600, il tutto
intervallato da alcuni decreti della congregazione del Sant’Uffizio in cui affiorava il nome
di Bruno (perlopiù vi si parla dei memoriali che il frate scrisse al Pontefice e dei
provvedimenti dell’Inquisizione sul suo caso, come ad esempio l'acquisizione di nuovi libri
di Bruno) e altri documenti in cui si notificavano le spese sostenute per i carcerati 13. Il 24
marzo 1597, davanti alla Congregazione dei cardinali e altri commissari, fra i quali
Roberto Bellarmino (che sarà nominato cardinale due anni dopo) Giordano Bruno venne
interrogato, e al termine gli furono consegnate le censure, le contestazioni scritte alle sue
tesi considerate eretiche.

8
Del Giudice, Io dirò la verità, pag.59
9
http://www.instoria.it/home/giordano_bruno.htm
10
https://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2000/02/17/0100/00397.html
11
https://it.wikipedia.org/wiki/Processo_di_Giordano_Bruno#L'estradizione_a_Roma
12
Edito da Mercati, 1942, successivamente riveduto in Firpo (a cura di Quaglioni), Processo, pagg. 247-304
13
Firpo (a cura di Quaglioni), Processo, pagg. 215-246; pagg. 305-339

Pagina 16
La prima censura riguardava la generazione delle cose e i due principi dell'esistenza,
l'”anima mundi”e la materia prima. Bruno rispose che sono principi eterni creati da Dio.
La seconda proposizione censurata fu l'affermazione secondo la quale a una causa
infinita corrisponde un effetto infinito, che il nolano confermò.
La terza censura riguardava il problema della creazione dell'anima umana: nelle opere
bruniane ogni anima individuale si discioglie nell'anima del mondo, ma di fronte
all'Inquisizione Bruno preferì ammettere un'eccezione per l'anima umana (secondo
l'ortodossia cattolica).
La quarta censura riguardava il principio del pensiero bruniano secondo cui nulla si crea
e nulla si distrugge, ma tutto si trasforma secondo la sostanza (concetto in seguito ripreso
da Antoine-Laurent de Lavoisier che trasformò scientificamente nel postulato
fondamentale di Lavoisier, ora definita dalla Fisica come legge della conservazione della
massa14); concezione che il frate giustifica lla sua personale interpretazione dell’oscuro
motto biblico “Nihil sub sole novum15”: il frate rispose che il genere e la specie delle cose,
ossia l'aria, l'acqua, la terra e la luce non possono essere altro da ciò che sono e che dunque
saranno sempre ciò che sono ora.
La quinta censura riguardava il moto della terra e l'adesione di Bruno alla teoria
copernicana, contraddicendo le Scritture, che affermano come la Terra sia immobile e il
Sole giri attorno alla terra nascendo a Est e tramontando a Ovest (secondo la concezione
geocentrica sviluppata da Tolomeo e accettata dalla Chiesa Cattolica). Giordano rispose
che il modo e la causa del movimento terrestre erano stati da lui dimostrate tramite
ragionamenti. Quanto allo stare della Terra, nella Bibbia è riferito al suo esistere nel corso
del tempo, non già nel suo essere immobile nel luogo e che il nascere e il tramontare del
sole è solo apparenza, poiché dovuto alla rotazione terrestre. Quanto all'autorità dei Padri
della Chiesa, pur essendo un esempio, essi per Bruno non sono veri conoscitori delle cose
naturali.
La sesta censura riguardava la definizione degli astri come angeli, corpi animati
razionali, che lodano Dio e annunciano la sua potenza e grandezza: Giordano intendeva
dire che gli astri sono annunciatori e interpreti della voce divina e della natura, in questo
senso sono angeli sensibili e visibili, diversa cosa dagli altri angeli invisibili della
tradizione cristiana.
La settima censura riguardava l'attribuzione alla Terra di un'anima sensitiva e razionale.
Secondo Bruno, Dio attribuisce realmente un'anima alla Terra, essendo scritto nella Bibbia
«Producat terra animam viventem», poiché la Terra, come costituisce gli animali secondo
il corpo, così anima ciascun soggetto con il suo spirito ovvero l’anima.
L'ottava censura era nell'affermazione che l'anima sta nel corpo come un nocchiero nella
nave, in contrasto con la definizione dogmatica (che risaliva al concilio di
Vienna del 1312) secondo la quale l'anima razionale e intellettiva è forma del corpo
umano. Bruno rispose che quella è la definizione aristotelica, ma in nessun passo della
Bibbia l'anima è chiamata forma del corpo, bensì è intesa come uno spirito che è nel corpo
così come un abitante nella sua casa16.
In questo momento del processo, si hanno due movimenti opposti simili a quelli del
magnetismo: quello attrattivo e quello repulsivo. Nel primo possiamo includere quei
momenti in cui Giordano si diceva pronto all’abiurare le sue proposizioni contenute nella
lista redatta dagli inquisitori. Al secondo possiamo invece ascrivere i vari memoriali che il
nolano scriveva al Papa e in cui rimetteva in discussione i punti che avrebbe dovuto
14
https://it.wikipedia.org/wiki/Legge_della_conservazione_della_massa_(fisica)
15
Ecclesiaste (1, 10)
16
https://it.wikipedia.org/wiki/Processo_di_Giordano_Bruno#Le_censure

Pagina 17
abiurare. Così il processo si trascinò in costante spostamento degli equilibri tra le due
posizioni, tra loro antitetiche, fino al 20 gennaio del 1600 quando, durante una delle
consuete visite ai prigionieri, gli inquisitori parlarono con Giordano “quatenus vellet
propositiones haereticas in suis scriptis et costitutionis prolatas agnoscere et abiurare,
quodque consentire noluit, asserens se numquam propositiones haereticas protulisse, sed
male excerptas fuisse a ministri Sancti Officii17”che in italiano corrente è “affinché voglia
[Bruno] riconoscere e abiurare le proposizioni eretiche nei suoi scritti e costituti, alla quale
cosa non vuole acconsentire, asserendo che se avesse [in precedenza] proferito qualche
proposizione eretica, allora è stata male recepita dai sacri ministri dell’Inquisizione”.
Bisogna ricordare che il frate era culturalmente nato e cresciuto in ambiente
ecclesiastico, leggendo e apprendendo la cultura cristiana che lo accumunava (forza
attrattiva) ai suoi accusatori, ma allo stesso tempo il nolano aveva maturato il nucleo del
suo pensiero ben lontano dai luoghi, dalla religione e dalle concezioni cristiane del suo
tempo (movimento repulsivo). Insomma, Bruno fu deciso nel mantenere ben saldo il suo
nucleo filosofico e a non piegarsi ad abiurare le tesi che il Santo Uffizio aveva ritenuto
eretiche; così come due magneti si respingono quando sono fatti avvicinare tra loro i poli
dalla stessa carica. In poche parole il nolano aveva proseguito la sua strategia che nel
processo veneziano era risultata vincente: cioè, usando le parole di Michele Ciliberto, “di
tener fermo il nocciolo della sua posizione filosofica, cercando sistematicamente di ridurre,
dissimulando, i punti di attrito sul terreno propriamente teologico18”. In pratica la strategia
di Bruno consistette nel dissimulare, con tutti i mezzi, l'eterodossia delle sue posizioni per
restare fedele alla sua Verità; lo soccorse, in questo, la sua grande capacità dialettica e
l'abilità nell'affrontare i teologi dell’Inquisizione nel dibattito filosofico e teologico). Se poi
quest'operazione si fosse rivelata impossibile (come, infatti, accadde), avrebbe pagato con
la propria vita19.
Con la sua risposta negativa all’ultima possibilità offertagli per abiurare, Giordano
dunque “decide di rompere e di morire. […] Quello che può sembrare un crollo
improvviso, è dunque la presa d’atto ferma, consapevole di una sconfitta alla fine di una
partita giocata lungo dieci anni con straordinaria freddezza, nelle condizioni peggiori; i
processi Inquisitori, infatti, non davano in sostanza la possibilità di difesa agli imputati
poiché essi dovevano provare la loro incolpevolezza in una battaglia impari tra i giudici
ecclesiastici e imputato. Nel caso di Bruno fu però la "pertinacia" con cui, una volta che i
giudici gli mostrarono l’ereticità delle sue parole, con la quale il nolano difese le proprie
idee fino alla morte. Erano dunque la coerenza e l'"integrità personale" dell'imputato ad
essere messe alla prova20. Bruno dunque si trovava di fronte ad “avversari implacabili e, in
tutti i sensi, favoriti21”.
Egli prese dunque una decisione che ricalcava altri suoi rifiuti. Il primo risaliva al 18
gennaio 1599; la Congregazione intimò a Bruno di abiurare le sue proposizioni eretiche e il
25 gennaio Bruno presentò uno scritto dichiarando di essere disposto a farlo , purché si
affermasse che tali proposizioni erano dalla Chiesa considerate eretiche soltanto ex nunc.
Una richiesta che, se poteva essere legittima per le proposizioni sull'infinità dell'universo e
sul movimento della Terra, ovviamente non fu accolta dagli inquisitori romani per i temi
riguardanti la concezione della Trinità, dell'incarnazione e dell'anima22. Un’intimazione

17
Firpo, Processo, pag. 339
18
Ciliberto, Giordano, pag. 271
19
Ibid.,pag. 269
20
https://it.wikipedia.org/wiki/Inquisizione_medievale#Seconda_fase:_il_processo
21
Ciliberto, Giordano, pag.269
22
https://it.wikipedia.org/wiki/Processo_di_Giordano_Bruno#L'intimazione_all'abiura

Pagina 18
all’abiura fu poi rifiutata anche il 21 dicembre dell’anno prima quando, interrogato sempre
riguardo ai punti contrastanti con la dottrina cristiana, egli rispose di “non doversi né
volersi pentire e di non avere di che pentirsi né di avere materia di pentimento, e di non
sapere di cosa pentirsi23”. Dunque Bruno, a questo punto della vicenda personale, era
pienamente consapevole di essere un eretico ovvero <<[…] colui che, dopo il battesimo, e
conservando il nome di Cristiano, ostinatamente si rifiuta o pone in dubbio una delle verità
che nella fede divina e cattolica si devono credere24>> e che, non avendo abiurato neanche
in extremis, sarebbe stato giudicato come "pertinace" nell’eresia.
Inevitabilmente nel giorno 8 febbraio 1600, nel Tribunale inquisitorio romano, la giuria
del Sant’Uffizio pronunciò la sentenza di fronte a Giordano Bruno da Nola, frate
domenicano in quel momento inginocchiato e pronto al suo destino: “Proferimo in questi
scritti, dicemo, pronuntiamo, sententiamo et dichiaramo te, fra Giordano Bruno predetto,
essere heretico impenitente, pertinace et ostinato, et perciò essere incorso in tutte le
censure ecclesiastiche et pene dalli sacri Canoni, leggi et constitutioni, così generali come
particolari, a tali heretici confessi, impenitenti, pertinaci et ostinati imposte; et come tale te
degradiamo verbalmente et dechiaramo dover essere degradato, sì come ordiniamo et
comandiamo che sii attualmente degradato da tutti gl’ordini ecclesiastici maggiori et
minori nelli quali sei costituito, secondo l’ordine dei sacri Canoni; et dover essere
scacciato, sì come ti scacciamo, dal foro nostro ecclesiastico et dalla nostra santa et
immacolata Chiesa, della cui misericordia ti sei reso indegno; et dover essere rilasciato alla
Corte secolare [giustizia laica], sì come ti rilasciamo alla Corte di voi monsignor
Governatore di Roma qui presente, per punirti delle debite pene, pregandolo però
efficacemente che voglia mitigare il rigore delle leggi circa la pena della tua persona, che
sia senza pericolo di morte o mutilatione di membro - a quel tempo la Chiesa,
probabilmente per mantenersi “immacolata” agli occhi dei fedeli, rilasciava i colpevoli al
braccio secolare per l’esecuzione della pena, ovviamente definita dalla Chiesa, tramite una
formula quanto mai ipocrita; infatti sia il processo che la condanna erano decise proprio
dagli ecclesiastici e l’autorità Civile sarebbe stata scomunicata nel caso in cui non fossero
state applicate secondo le diposizioni fornite25. Di più, condanniamo, riprobamo et
prohibemo tutti gli sopraddetti et altri tuoi libri - nel frattempo all’Inquisizione vercellese
era giunta voce del periodo inglese di Bruno e dei suoi libri più “eretici” come lo Spaccio
de la bestia trionfante26- et scritti come heretici et erronei et contenenti molte heresie et
errori, - di cui molti infatti furono successivamente confermati come validi dalla scienza
moderna come la teoria eliocentrica, l’infinità dell’universo e la possibile esistenza di
pianeti simili alla Terra- solo per citarne alcuni- ordinando che tutti quelli che sin’hora si
son havuti, et per l’avvenire verrano in mano del Santo Offitio siano pubblicamente guasti
et abbrugiati nella piazza di san Pietro, avanti le scale, et come tali che siano posti
nell’Indice de’ libri prohibiti, sì come ordiniamo che si facci27”. Al che, il piccolo e ormai
esausto (dopo dieci anni di prigionia) Giordano Bruno si alzò e guardando i suoi avversari,
secondo Schoppe28, pronunciò le ormai leggendarie parole “Maiori forsan cum timore

23
Ciliberto, Giordano, pagg. 274-275
24
Karl Rahner, Che cos'è l'eresia? pag. 29 riportata in https://it.wikipedia.org/wiki/Eresia
25
Andrea del Col, L’Inquisizione in Italia, Milano, Mondadori, 2006 (prima edizione), pagg.120-123 citato
in https://it.wikipedia.org/wiki/Inquisizione#Il_processo_inquisitorio
26
Firpo (a cura di Quaglioni), Processo, pag. 341
27
Ibid., pagg. 342-343
28
Kaspar Schoppe, Epistola a Konrad Rittershausen, 17 febbraio 1600 in Firpo (a cura di Quaglioni),
Processo, pag. 351

Pagina 19
sententiam in me fertis quam ego accipiam” cioè “Forse voi non m’infliggete questa
condanna con una paura più grande di quanto ne abbia io nel riceverla”.
Così alle ore sei di giovedì 17 febbraio 1600, i Padri dell’Arciconfraternita di S.
Giovanni Decollato prelevarono Bruno per trasportarlo in piazza Campo dei Fiori ed essere
arso al rogo. Nessuno può sapere quali pensieri affollavano la mente (non la lingua del
nolano che era stata ben serrata con la mordacchia) mentre si dirigeva sul patibolo per poi
essere bruciato vivo. Personalmente mi piacerebbe credere al monologo interiore del frate
come l’ha fantasiosamente descritto Del Giudice, in altre parole Bruno che pensa “Che
vogliono questi ora? Li ascolto leggere i salmi, invitarmi a pentirmi. Ecco che il mio
incubo si avvera! Vorrei rispondere, ma non riesco a parlare. Sento questo chiodo che mi
trafigge la lingua e il sangue che scorre caldo, quasi confortante dalle mie labbra, lungo il
collo, a inzupparmi la ruvida veste [anche se si presuppone come Bruno fosse stato
bruciato nudo]. Quando cerco di parlare, nessuna voce: solo sangue! A ogni sforzo per
emettere suono, altro sangue. A fiotti, di un rosso vigoroso. Ogni stilla è un’idea, è una
verità, che sgorga rigogliosa, per scendere a raggrumarsi sul mio corpo nudo [incongruenza
con quanto riportato sopra, come riportato nel precedente inciso], che ora stanno legando a
un palo tra mucchi di fascine. Sul rogo brucerete soltanto l’involucro terreno, ma le mie
idee sopravvivranno. Non riuscirete a cancellare ogni traccia del mio pensiero e della mia
memoria29!”

29
Del Giudice, Io dirò la verità, pag.120

Pagina 20
Capitolo 6 – L'indagine storico-documentaria sulla vicenda di Giordano
Bruno: dal 1600 a Napoleone
La storia biografica di Giordano Bruno terminò con l’esecuzione in Campo dei fiori in
quel famoso 17 febbraio 1600. Da qui in poi iniziò la storia del pensiero bruniano; ovvero
di Bruno come filosofo, proto-scienziato, letterato, martire della laicità e del libero
pensiero. Le sue teorie e la sua figura saranno apprezzate solo dall’Ottocento con la sua
riscoperta(fino a quel periodo il potere politico dei papi rese impossibile, infatti,
riprenderle senza correre il rischio di venire processati); riconoscimento del genio nolano
che poi porterà alla vastità di biografie, saggi filosofici e monumenti scritti ed eretti fino a
oggi.
Nei duecento anni che intercorsero tra la morte e la “rinascita” del filosofo, abbiamo a
oggi pochi documenti che trattano di Bruno. Luigi Firpo negli anni ’40 del XXo secolo ci
riporta alcuni documenti che riguardano i momenti immediatamente successivi
all’esecuzione bruniana; abbiamo, per esempio, la lettera di Kaspar Schoppe a Konrad
Rittershauen (Roma, 17 febbraio 16001) che descrisse, in poche parole, l’esecuzione del
frate nolano. Il tedesco fu, infatti, uno dei pochi testimoni oculari dell’esecuzione in
Campo dei fiori. Poi ritroviamo anche due Avvisi di Roma, entrambi del 19 febbraio,
sempre del 1600,2 che riportano la notizia dell’esecuzione di Giordano. Al 24 marzo dello
stesso anno possiamo ascrivere anche la restituzione di “scudi 2 […] per havere digradato
fra’ Giordano Bruni heretico” all’ordine domenicano. Parole prese dai Registri della
depositeria generale pontificia3. Pochi anni dopo abbiamo la notizia ufficiale della messa
all’Indice dei libri proibiti delle opere bruniane nell’Editto del maestro del sacro palazzo
Giovani Maria Guanzelli (Roma, 7 agosto 1603) con le parole “Iordani bruni Nolani libri
et scripta omnino prohibentur” 4 . Per ultimo ritroviamo un’altra citazione, sempre da
Schoppe, tratta dalla sua opera Ecclesiasticus del 1611, in cui trattò nuovamente
dell’esecuzione di Giordano5.
Da questo momento in poi, le fonti restarono in silenzio per molto tempo. Non abbiamo,
infatti, più notizie riguardo al pensiero o alla figura di Giordano Bruno. Sappiamo solo che
i documenti processuali, che erano tenuti nell’Archivio dell'inquisizione, furono
saccheggiati durante le Campagne d’Italia di Napoleone Bonaparte nel 1797 (a seguito
delle firme da parte di Pio VI dell’armistizio di Bologna del 1796 e del trattato di Tolentino
del 1797) insieme a molti archivi documenti ed opere artistiche.6 Così tutti i capolavori
italiani in questione furono trafugati e presero la strada di Parigi (i documenti, più
precisamente, furono affidati alla Bibliotèque Nationale) e lì restarono fino al 1814. Il
declino del potere imperiale napoleonico e il conseguente esilio all’isola d’Elba (entrambi
databili al 1814) rese possibile nello stesso aprile 1814 la stesura del decreto di restituzione

1
Firpo (a cura di Quaglioni), Processo, pagg. 348-355
2
Ibid., pagg. 355-356
3
Ibid., pag. 356
4
Ibid., pagg. 357-358
5
Ibid., pag. 358
6
http://www.gliscritti.it/blog/entry/2000

Pagina 21
di tutti i documenti e le opere (quest’ultime, però, non furono restituite “in toto”) ai vari
Paesi, dove gli scritti e i beni artistici erano stati trafugati. Nel nostro caso specifico, si
ebbe la progressiva restituzione dei documenti all’Archivio vaticano del processo
bruniano 7 . Questa restituzione fu però interrotta durante i celeberrimi Cento giorni del
1815. In seguito alla definitiva sconfitta a Waterloo e alla deportazione a Sant’Elena del
Bonaparte, il rientro delle opere e dei documenti riprese. Esso durò fino al 1817. Nel
frattempo sorse un grosso problema: una complicazione che inevitabilmente si riversò “a
cascata” sulla storiografia dei documenti processuali del caso del nolano. Le ingenti spese
che lo Stato pontificio dovette affrontare per il trasporto da Parigi a Roma dei documenti,
infatti, causarono la decisione, da parte degli inviati vaticani, di vendere alcuni documenti
in loco (ovvero in Francia) e di distruggerne altri; una scelta attuata probabilmente sulla
base del valore storico ed economico degli stessi8. Qui abbiamo la perdita quasi certa di
alcuni documenti vaticani attinenti al processo bruniano, in particolare della bella copia
dell’intero processo (veneto e romano) dell’Inquisizione nei confronti di Giordano Bruno.

7
http://www.gliscritti.it/blog/entry/2000
8
http://www.gliscritti.it/blog/entry/2000

Pagina 22
Capitolo 7 – L'indagine storico-documentaria sulla vicenda di Giordano
Bruno: dall’oblio alla graduale riscoperta
Malgrado la messa all'Indice dei libri di Giordano Bruno decretata il 7 agosto 1603,
questi continuarono a essere presenti nelle biblioteche europee, anche se rimasero equivoci
e incomprensioni sulle posizioni del filosofo nolano, così come volute mistificazioni sulla
sua figura 1 ”. Per tutto il Seicento, Giordano Bruno fu menzionato solamente in modo
superficiale e, soprattutto, fuori d'Italia, cioè fuori dalla portata dell'inquisizione romana:
per esempio fu criticato da Tycho Brahe e Giovanni Keplero per la sua teoria dell’infinità
dell’universo e addirittura Pierre Bayle, nella sua opera Dizionario, dubitò della sua
esecuzione al rogo2.
Con l’Illuminismo, il pensiero del frate nolano fu invece rivalutato in campo
matematico; gli fu, infatti, riconosciuta la figura di anticipatore delle idee leibniziane. Il
legame tra la matematica bruniana e quella leibniziana era così stretto che Denis Diderot lo
citò nella sua Enciclopedia (prima edizione del 1751) in modo enfatico3 come precursore
di Gottfried Wilhelm von Leibniz per quanto riguarda le teorie dell’armonia prestabilita,
della monade e della ragione sufficiente 4. Inoltre, sempre in questo periodo votato alla
critica dei dogmi religiosi e all’esaltazione della ragione come guida che “illumina” il
cammino dell’uomo, la figura del Bruno non poteva che essere rispolverata e accostata a
un altro filosofo (molto affine al nolano); Baruch Spinoza. Sempre Diderot scrive, a
riguardo, “Spinoza […] come Bruno, concepisce Dio come essenza infinita nella quale
libertà e necessità coincidono: rispetto a Bruno pochi sarebbero i filosofi paragonabili, se
l'impeto della sua immaginazione gli avesse permesso di ordinare le proprie idee, unendole
in un ordine sistematico, ma egli era nato poeta”. Per Diderot, dunque, Giordano si era
sbarazzato della vecchia filosofia aristotelica e cristiana; tale scelta ideologica lo portò a
essere definito, insieme a Leibniz e Spinoza, come uno dei padri fondatori della filosofia
moderna (ovvero quella illuministica5).
La filosofia e anche la figura del pensatore nolano, però, non furono mai approfondite
autonomamente; bensì (ancora alle porte del XIX secolo) era visto come precursore di
personalità di spicco tra Settecento e Ottocento e dunque studiato sempre “in parallelo”
con altri intellettuali. Nei primi anni del 1800, però, lo studio del pensiero bruniano ritornò
in voga e poi fu approfondito in Germania; in Italia, intanto, ciò non accadeva. 6 Nella
Penisola, infatti, come racconta Bucciantini nell’opera Campo dei Fiori, “alla fine degli
anni Trenta e nei primi anni Quaranta [del XIX secolo], Bruno era un alieno o quasi. Fatta
eccezione per le biografie di qualche dizionario […] di lui non c’è traccia, o comunque non
ci sono lavori importanti 7 [a riguardo]”. In Italia, parlando di Bruno, una delle prime

1
https://it.wikipedia.org/wiki/Giordano_Bruno#La_ricezione_della_filosofia_di_Bruno
2
Ibid.
3
https://www.baroque.it/cultura-del-periodo-barocco/filosofi-in-epoca-barocca/l-enciclopedia.html
4
https://it.wikipedia.org/wiki/Giordano_Bruno#La_ricezione_della_filosofia_di_Bruno
5
Ibid.
6
Massimo Bucciantini, Campo dei Fiori: storia di un monumento maledetto, Einaudi, Torino, 2015 (prima
edizione) pag. 13
7
Ibid., pag. 13

Pagina 23
“citazioni” come filosofo e letterato, è stata ritrovata sotto forma di piccola statuetta: una
scultura dalle piccole dimensioni databile agli anni Quaranta dell’Ottocento che, disposta
sulla scrivania del conte Antonio Papadopoli (letterato del tempo, in corrispondenza
epistolare con altri intellettuali dell’epoca come Giacomo Leopardi), completava con altre
cinque statue una collezione privata per così dire “d’ispirazione”. Infatti, oltre a Bruno che
era stato scolpito seduto su di una nuda roccia e dai tratti di giovane frate disputante contro
i suoi giudici (evidenziato dall’indice puntato in avanti), si trovavano le sculture dei grandi
pensatori e personalità italiane portatrici d’ideali che (al tempo del conte) erano interpretate
in chiave risorgimentale: Galileo Galilei, Paolo Sarpi, Tommaso Campanella, Niccolò
Machiavelli e Pietro Bembo. Seppure in un piccolo studio di un privato, a Bruno era stato
dunque riconosciuto il suo valore storico e intellettuale. Al pari degli altri personaggi, anzi,
fu elevato dal Papadopoli a figura importante e dignitosa della storia d’Italia8. Il motivo di
tale scelta è difficilmente esplicabile in quanto, come detto in precedenza, in quel periodo
Giordano era (per usare le parole del Bucciantini) “un alieno o quasi9”.
La poliedrica e tagliente figura del Bruno, però, sarà destinata ad avere nel corso del
tempo un eco ben più vasto. Un eco che restituisce dignità all’intellettuale in primis e, in
secundis, alle sue teorie sia futuristiche (al suo tempo) sia moderne (ai giorni nostri). La
memoria di Bruno fu recuperata dalla nuova classe dirigente dell'Italia unita in funzione
anticlericale: prima dell’Unità, infatti, il potere temporale del Papa ne avrebbe impedito la
ricerca e avrebbe condannato giuridicamente tale atto.

8
Bucciantini, Campo, pagg. 11-13
9
Ibid., pag. 13

Pagina 24
Capitolo 8 – Documenti ritrovati da Domenico Berti
Domenico Berti (1820-1897) è stato un saggista, politico ed accademico italiano. Fu
professore prima all’università di Roma e poi a Torino, dove ebbe la cattedra in Storia
della Filosofia. Qui approfondì i suoi studi nell’ambito della filosofia rinascimentale e, più
precisamente, su Giordano Bruno. La sua attività di ricerca e studio culminò nella stesura e
pubblicazione dell’opera Giordano Bruno da Nola, sua vita e sue opere, edita da Paravia,
Torino, nel 1868 (prima edizione). Nel frattempo Domenico, in campo politico, fu attivo
prima come Ministro dell’Istruzione Pubblica (governi La Marmora III e Ricasoli) e poi
come Ministro dell’Agricoltura, industria e Commercio (governi Depretis IV e V) per il
Regno d’Italia1.
La seconda edizione dell’opera è composta dalla revisione della prima e dall’aggiunta di
scritti inediti, questi ultimi frutto di nuove ricerche (pubblicati a parte nel 18802);
l’edizione in questione è la stessa che useremo come riferimento per la storiografia dei
documenti processuali bruniani. Per la ricerca dei documenti del 1880 egli tentò di entrare
negli archivi vaticani, ma senza successo. Seguì dunque il consiglio di una persona a lui
amica che lo convinse che nell’archivio, oltre alla sentenza e agli incartamenti del
processo, si dovessero nascondere altri scritti3; cosa che si rivelò giusta, dimostrando il
fiuto dell’intellettuale, ad esempio nel 1940 quando venne alla luce il Sommario di Angelo
Mercati. Un’opera, quella del Mercati, che si basava proprio sul ritrovamento nell’archivio
del Vaticano del Sommario del processo veneziano e romano di Bruno. Sempre
nell’Introduzione all’opera, il Berti ci informa dei documenti al momento mancanti (scritti
riguardanti Giordano, es. opere e atti dei processi). Nella lunga lista stilata ritroviamo, in
ordine: “Tutte le carte a lui tolte quando fu arrestato; alcuni suoi libri annotati dal
denunciatore e quindi trasmessi all’inquisitore generale a corredo delle denunzie; una
polizza di suo pugno, nella quale aveva notato tutti i libri da esso scritto; un opuscolo,
Libretto di congiurazioni, che il Mocenigo trovò tra le sue carte; la sua opera manoscritta
intitolata Le sette arti, che egli dettò con l’intendimento di entrare nella grazia del
pontefice regnante Clemente VIII, e di conseguire una cattedra di filosofia in Roma, la
quale opera era compiuta quando fu arrestato4”. In poche parole, tutti gli scritti bruniani al
momento del soggiorno veneziano. La lista di Berti, poi, continua e si concentra sui
documenti del periodo della prigionia romana con “gli atti del processo fatto
dall’inquisizione di Roma che durò per otto anni circa; la sentenza che lo condannò al
rogo; il Memoriale che presentò per sua difesa alla Congregazione dell’inquisizione e che
non fu da questa letto5”. Per la presentazione dei documenti, si è deciso di trascrivere il
titolo dato a ogni documento da Firpo6(oltre che affidarsi alle note dello stesso autore)
perché la sezione dei documenti processuali è la più ampia, meglio curata e più recente.

1
https://it.wikipedia.org/wiki/Domenico_Berti
Berti, Giordano, pag. 1 (Introduzione) con riferimento all’opuscolo Documenti intorno a Giordano Bruno
2

da Nola, Roma, 1880


3
Ibid., pag. 8 (Introduzione)
4
Ibid., pag. 18 (Introduzione)
5
Ibid., pag. 18 (Introduzione)
6
Firpo (a cura di Quaglioni), Processo, pag. 143-358

Pagina 25
Tra i documenti attinenti al processo bruniano in possesso di Berti troviamo, in ordine
cronologico, questi scritti:
1. Rubrica del processo bruniano nell’archivio dell’Inquisizione di Venezia (Venezia,
23 maggio 1592); documento in cui si racconta di come l’Inquisizione veneziana
trasmise il fascicolo processuale aperto contro Giordano Bruno all’Inquisizione
centrale romana7; nonostante fosse un documento con tanto di numero di
collocazione d’Archivio (numero 19), nessuno prima di Firpo lo incluse nella serie
dei documenti (riconoscendolo come tale8).
2. Denuncia di Giovanni Mocenigo all’inquisitore di Venezia Giovan Gabriele da
Saluzzo (Venezia, 23 maggio 1592); scritto in cui Mocenigo denunciò Bruno
all’Inquisizione veneziana per “haver sentito a dire a Giordano Bruno nolano,
alcune volte ha ragionato meco in casa mia9[…]” di argomenti teologici e
astronomici contrari all’ortodossia cattolica, oltre ad aver avuto già un processo a
suo carico a Roma (aperto durante gli anni giovanili). Inoltre il nobile confiscò tre
opere pubblicate e una in fase di pubblicazione al Bruno, i cui scritti inviò al padre
inquisitore10.
3. Seconda denuncia di Giovanni Mocenigo (Venezia, 25 maggio 1592); scritto in cui,
sempre Mocenigo, aggiunse dei dettagli rispetto alla prima denuncia; ovvero nuovi
libri, carte, ecc. di Bruno11.
4. Verbale di consegna della seconda denuncia all’inquisitore di Venezia (Venezia, 25
maggio 1592); scritto in cui è notificato il verbale della presentazione di tale
denuncia per opera di Mocenigo che, alla fine del testo, firmò il verbale12.
5. Verbale di presentazione delle due denunce del Mocenigo al tribunale
dell’Inquisizione veneziana (Venezia, 26 maggio 1592); verbale in cui è appunto
notificata dall’ufficio inquisitorio la presentazione delle due denunce del nobile
veneziano contro Giordano Bruno13.
6. Deposizione del capitano Matteo d’Avanzo (Venezia, 26 maggio 1592); documento
in cui il capitano delle guardie notificò l’arresto di Bruno in casa Mocenigo e il
trasferimento del prigioniero nelle celle del Sant’Uffizio14.
7. Deposizione del libraio Giovan Battista Ciotti (Venezia, 26 maggio 1592);
testimonianza in cui Ciotti, interrogato su Bruno da parte dell’Inquisizione, rispose
di averlo conosciuto a Francoforte e di aver fatto da tramite tra Mocenigo e Bruno
per portare quest’ultimo a Venezia per istruire il nobile veneziano. Ciotti, inoltre,
portò alla conoscenza del tribunale anche tre libri bruniani: il De minimo, magno et
mensura, Li heroici furori e Dell’infinito, universi et mondi15.

7
Berti, Giordano, pag. 376
8
Firpo, Processo, pag. 143, nota n. 1
9
Ibid., pag. 143
10
Berti, Giordano, pag. 377-379
11
Ibid., pag. 379-381
12
Ibid., pag. 381
13
Ibid., pag. 382
14
Ibid., pag. 384
15
Berti, Giordano, pag. 384-387

Pagina 26
8. Deposizione del libraio Giacomo Brictano (Venezia, 26 maggio 1592); deposizione
in cui il Brictano disse di conoscere Bruno già dai tempi di Francoforte e citò altri
tre libri del nolano; ovvero il Cantus circeus, De memoria e il De lampade
combinatoria16.
9. Primo costituto del Bruno (Venezia, 26 maggio 1592); dove l’imputato prima parlò
del soggiorno veneto presso casa Mocenigo, poi iniziò il racconto della sua vita
dalla sua nascita fino ai due processi napoletani interni all’ordine domenicano17.
10. Terza denuncia di Giovanni Mocenigo (Venezia, 29 maggio 1592); documento in
cui il nobile veneziano mise per iscritto nuove accuse bruniane nei confronti della
struttura e della dottrina ecclesiastica oltre che raccontare del sostegno politico di
Giordano nei confronti del re di Navarra. Mocenigo, poi, inviò un altro testo
dell’imputato all’inquisitore veneziano18. Firpo critica il raggruppamento delle tre
denunce del veneziano adoperata dal Berti e dunque decide di seguire uno
“rigoroso ordine cronologico” nella sua opera (rifiutando l’ordine bertiano)19.
11. Secondo costituto del Bruno (Venezia, 30 maggio 1592); dove Giordano continuò
la narrazione della sua storia fino al momento in cui Mocenigo lo aveva invitato a
Venezia20.
12. Deposizione di fra’ Domenico da Nocera (Venezia, 31 maggio 1592); documento
in cui il frate raccontò l’incontro in Venezia con Bruno e di come quest’ultimo gli
avesse detto della sua intenzione di scrivere un’opera indirizzata al Papa (con il fine
di ottenere la grazia, poter soggiornare a Roma e poi insegnare sempre nella stessa
città)21.
13. Terzo costituto del Bruno (Venezia, 2 giugno 1592); scritto in cui si racconta del
frate che consegnò una lista di tutte le sue opere all’Inquisizione veneziana; lista
che iniziava con “Libri varii nostri impressi in diverse parti” e finiva con “De
sigillis Hermetis, Ptolomei et aliorum22”. Poi riconobbe la paternità e le dottrine di
tutti i libri della lista eccetto l’ultimo (che dichiarò essere stato scritto dal suo
discepolo), parlò poi di come i suoi libri affrontino argomenti filosofici seguendo il
lume della razionalità (andando anche contro la fede nella trattazione degli
argomenti). Interrogato riguardo all’ortodossia cattolica dei suoi insegnamenti,
rispose di non aver mai insegnato dottrine direttamente contrarie al credo cattolico.
Ammise, però, di aver divulgato dottrine indirettamente contrarie all’ortodossia e le
elencò (infinità dell’universo e del numero di pianeti in esso contenuto; la forza
naturale insita nel cosmo; i tre attributi ovvero mente, intelletto e amore). Poi fu
interrogato riguardo al dogma trinitario e affermò di aver “dubitato circa il nome di

16
Ibid., pag. 387-389
17
Ibid., pag. 389-392
18
Ibid., pag. 382-383
19
Firpo, Processo, pag. 157 (vedi nota riguardante l’intero documento)
20
Berti, Giordano, pag. 392-396
21
Ibid.o, pag. 397-398
22
Ibid., pag. 398

Pagina 27
persona del Figliouolo et del Spirito santo23”. Infine, sempre a proposito del dogma
trinitario, affermò di avere un’opinione vicina a quella di Ario24.
14. Quarto costituto del Bruno (Venezia, 2 giugno 1592); testimonianza in cui il nolano
difese nuovamente i suoi scritti e parlò ancora del suo dubbio riguardo alla figura di
Cristo. Dopo di ciò, affermò di ritenere per veri i miracoli di Gesù, secondo
l’insegnamento cattolico, così come la verginità della Madonna. Interrogato
riguardo l’immortalità dell’anima e della loro trasmigrazione, egli rispose che per
fede intende ciò che la Chiesa insegna, mentre dal punto di vista filosofico, credeva
nella trasmigrazione delle anime (dottrina pitagorica). Alla domanda del Tribunale
sul possesso e sulla lettura dei libri proibiti, rispose di aver letto per curiosità quelli
di ambito teologico e di aver sia letto che posseduto quelli di ambito filosofico.
All’accusa mossagli contro per aver criticato il costume dei religiosi come non-
conforme a quello degli apostoli, egli negò tutto ciò. Poi definì il peccato di carne
come il minore tra tutti i peccati (confermando indirettamente l’accusa del
Mocenigo che lo vedeva, inoltre, come imperterrito nel compiere tale peccato).
Infine l’Inquisizione veneziana propose a Bruno un riassunto di tutte le tre accuse a
suo carico formulate dal nobile veneziano, aggiungendo pure l’aggravante del
soggiorno presso paesi non-cattolici e l’inevitabile frequentazione del nolano di
persone e cerimonie eretiche. Giordano rispose “Così Iddio mi perdoni li mei
peccati, come ho detto la verità in tutte le cose che mi sono state dimandate et mi
sono riccordato25” proponendo così di ravvedersi per ciò che aveva detto contro la
Chiesa e le sue dottrine26.
15. Quinto costituto del Bruno (Venezia, 3 giugno 1592); documento in cui il nolano
affermò di aver tenuto un comportamento simile a quello delle persone in terre non-
cattoliche con il fine di essere integrato. Nuovamente interrogato riguardo alla
persona di Cristo, ribadì l’adesione alla teoria ariana (per cui Gesù ha solo natura
umana e non anche divina, come nell’ortodossia cattolica). Alla domanda riguardo
l’interpretazione del suo scritto La cena delle Ceneri, egli rispose che tale opera
trattava del moto terrestre. Gli fu chiesto pure se, nei suoi scritti, avesse mai lodato
un eretico e Giordano rispose di averlo fatto esaltandone le virtù morali, non l’
adesione a religioni e dottrine definite eretiche dall’Inquisizione. Poi il frate, alla
richiesta di abiura delle sue idee non-conformi all’ortodossia cattolica, acconsentì e
ritrattò le sue tesi, e pregando “questo sacro Tribunale che, conoscendo le mie
infermità, voglia abbracciarmi nel gremio di santa Chiesa, provedendomi di rimedii
opportuni alla mia salute, usandomi misericordia27”. Infine gli fu chiesto di dire se
altre volte aveva subito processi ecclesiastici e Bruno ricordò ai giudici di aver

23
Berti, Giordano, pag. 402
24
Ibid., pag. 398-403
25
Ibid., pag. 414
26
Ibid., pag. 404-414
27
Ibid., pag. 420

Pagina 28
subito un processo prima a Napoli e in seguito a Roma, come già proferito in uno
dei suoi costituti precedenti28.
16. Sesto costituto del Bruno (Venezia, 4 giugno 1592); documento in cui Giordano
confermò le sue deposizioni agli inquisitori veneziani29.
17. Deposizione di Andrea Morosini (Venezia, 23 giugno 1592); testimonianza in cui
Morosini parlò del primo incontro con Bruno presso il circolo di letterati che il
veneziano organizzava. Il nolano vi partecipò diverse volte ragionando di
argomenti letterari e, a causa della natura dei discorsi, Morosini ammise di non aver
saputo nulla riguardo alla religiosità del Bruno30.
18. Seconda deposizione del libraio Giovan Battista Ciotti (Venezia, 23 giugno 1592);
testimonianza in cui il libraio, alla domanda di aggiungere qualcosa alla sua prima
deposizione, rispose di aver saputo da Bruno stesso che il filosofo stesse scrivendo
un’opera dal titolo Delle sette arti da inviare al Papa31.
19. Settimo costituto del Bruno (Venezia, 30 luglio 1592); l’ultimo dei costituti
veneziani di Giordano Bruno. In quest’ultima testimonianza di fronte
all’Inquisizione veneziana, il nolano affermò di aver avuto l’intenzione di chiedere
al Papa la possibilità di vivere come frate fuori dal proprio ordine religioso (in
questo caso quello domenicano). Interrogato sul circolo letterario del Morosini,
rispose di averlo frequentato e di aver sempre discusso di lettere e mai di religione.
Alla fine Bruno, inginocchiandosi di fronte ai suoi giudici, domandò “umilmente
perdono al Signor Dio et alle Signorie Vostre illustrissime de tutti li errori da me
commessi; et son qui pronto per essequire quanto dalla loro prudentia sarà
deliberato et si giudicarà espediente all’anima mia”. Chiese poi di essere punito con
maggior severità per le sue colpe piuttosto di essere pubblicamente punito, ciò per
non gettare disonore sul sacro abito domenicano. “Et se dalla misericordia d’Iddio
et delle Vostre Signorie illustrissime mi sarà concessa la vita, – aggiunge infine
Bruno – prometto far riforma notabile della mia vita, ché ricompenserò il scandalo
che ho dato con altretanta edificazione32”. Al qual punto il tribunale inquisitorio gli
impose di alzarsi da terra dopo che gli era stato più volte ordinato di farlo33.
20. Decreto dell’Inquisizione di Venezia (Venezia, 17 settembre 1592); documento in
cui si notifica del trasferimento di Bruno nelle mani del Santo Uffizio romano
(Inquisizione centrale di Roma) con tappa intermedia ad Ancona34.
21. Verbale di seduta dell’eccellentissimo Collegio di Venezia (Venezia, 28 settembre
1592); documento in cui si notifica che i membri dell’Inquisizione veneziana si
presentarono al Collegio senatorio della Serenissima (presieduta anche dal Doge)
per chiedere l’estradizione del nolano a Roma. Riguardo alla richiesta di
estradizione bruniana, si citò anche una lettera del cardinale Santa Severina. Il
28
Berti, Giordano, pag. 414-422
29
Ibid., pag. 422-423
30
Ibid., pag. 423-424
31
Ibid., pag. 424-425
32
Ibid., pag. 428
33
Ibid., pag. 425-429
34
Ibid., pag. 429

Pagina 29
Consiglio rispose di aver bisogno di tempo per giudicare e, ritornati i membri
ecclesiastici nel pomeriggio per conoscere la risposta, furono liquidati dal
Consiglio per non aver ancora preso una decisione in merito35. Nel riportare questo
documento, Firpo nota come il Berti abbia operato una divisione dello stesso in due
parti: la prima riguardo alla richiesta avanzata dagli inquisitori, mentre la seconda
in merito alla risposta del Collegio. Uno smembramento dovuto alla confusione
operata dal Berti; il documento, infatti, era già stato citato prima ed era unito in un
unico scritto36.
22. Il Senato veneto a Leonardo Donato, ambasciatore a Roma (Venezia, 3 ottobre
1592); documento in cui il Senato respinse la richiesta di estradizione del Bruno
operata dagli ecclesiastici. Si motivò, infatti, tale voto collegiale sfavorevole alla
richiesta presentata con la rivendicazione dell’autorità giudiziaria autonoma della
Serenissima (probabilmente influirono motivi politici riguardo l’autorità e
l’indipendenza veneziana) nei confronti di Roma37.
23. Leonardo Donato, ambasciatore di Venezia a Roma, al Doge Pasquale Cicogna
(Roma, 10 ottobre 1592); lettera in cui l’ambasciatore informò il Doge di come le
sue parole riguardo Giordano Bruno siano state lasciate in mano all’ambasciatore
ordinario38.
24. Verbale di seduta dell’eccellentissimo Collegio di Venezia (Venezia, 22 dicembre
1592); nel cui verbale l’ambasciatore romano chiese nuovamente al Collegio
veneziano l’estradizione di Bruno. Gli fu risposto che, come si era proceduto nel
processo veneziano, così si sarebbe giunti all’esito processuale all’interno del
territorio della Serenissima. L’ambasciatore replicò, infine, che il frate aveva
cittadinanza nolana, e non veneziana, e che già aveva a suo carico due processi
(quello napoletano e romano della gioventù bruniana) e chiese al Tribunale,
seguendo il volere del Papa, di accettare l’estradizione di Giordano39.
25. Verbale di seduta dell’eccellentissimo Collegio di Venezia (Venezia, 7 gennaio
1593); documento in cui la richiesta di estradizione per Bruno fu formalmente
accettata dal Collegio veneziano (prima di essere approvata ai voti) perché il frate
aveva già delle pendenze giudiziarie romane a suo carico. Inoltre tale richiesta fu
accettata anche per soddisfare il volere del Papa40.
26. Verbale di seduta del Senato di Venezia (Venezia, 7 gennaio 1593); dove fu
ufficializzata con il voto la decisione già presa nel precedente Verbale (7 gennaio).
Ci fu un voto collegiale con una maggioranza schiacciante di chi sosteneva
l’estradizione di Giordano Bruno (142 favorevoli contro trenta tra astenuti e
contrari41).

35
Berti, Giordano, pag. 430-431
36
Firpo, Processo, pag. 202 (vedi nota al documento)
37
Berti, Giordano, pag. 432
38
Ibid., pag. 433
39
Ibid., pag. 433-435
40
Ibid., pag. 435-436
41
Ibid., pag. 436-37

Pagina 30
27. Il doge Pasquale Cicogna all’ambasciatore a Roma Paolo Paruta (Venezia, 9
gennaio 1593); lettera in cui il Doge informò l’ambasciatore a Roma dell’esito del
voto collegiale veneziano42.
28. L’ambasciatore a Roma Paolo Paruta al Doge Pasquale Cicogna (Venezia, 16
gennaio 1593); scritto in cui l’ambasciatore prese atto della decisione del Consiglio
veneziano e rispose che il Pontefice rimase felice della concessione veneziana
all’estradizione di Bruno in direzione di Roma43.
29. Decreto della congregazione del Sant’Uffizio (Roma, 14 gennaio 1599); decreto in
cui è riferita la prigionia di Bruno presso le carceri romane, al quale furono lette
otto sue proposizioni eretiche estratte dalle sue opere. Su queste proposizioni gli fu
dunque ordinato di riflettere per poi poterle abiurare44.
30. Decreto della congregazione del Sant’Uffizio (Roma, 4 febbraio 1599); decreto in
cui Giordano dichiarò di ritenere le sue idee eretiche solo ex nunc. Gli inquisitori
decisero di dare a Bruno altri quaranta giorni per abiurare45. Sempre riferito allo
stesso documento, ritroviamo una bella copia interrotta da completare con la prima
parte appena descritta46. In questa bella copia si parla dei consultori
dell’Inquisizione in cui fu affrontato il caso di Bruno con la rilettura delle carte
processuali47.
31. Visita dei carcerati nel Sant’Uffizio romano (Roma, 5 aprile 1599); nel documento
ritroviamo un’informazione importante riguardo il Bruno: era stato carcerato il 27
febbraio 1599. Si legge, inoltre, che fu portato davanti ai giudici e ascoltato48.
32. Visita dei carcerati nel Sant’Uffizio romano (Roma, 21 dicembre 1599) minuta;
documento in cui si legge l’ultimo rifiuto del Bruno all’abiura. Le sue parole, nella
traduzione italiana, sono “Rispose che non deve né vuole ravvedersi, che non ha di
che ravvedersi e né ha materia di ravvedimento e non sa su cosa deve ravvedere 49”.
Tale documento è stato riveduto con sostanziali emendamenti da Firpo50. Nello
stesso documento è stata anche ritrovata la bella copia relativa51, in cui è riportata
la convocazione del nolano davanti all’Inquisizione romana e la discussione
riguardo alle sue teorie astronomiche. Infine fu deciso dalla Congregazione che il
cardinale Maria Ippolito e il padre domenicano Paolo Isaresi discutessero con
Bruno per mostrare all’apostata le sue proposizioni eretiche con il fine di fargli
riconoscere i suoi errori, per permettere all’imputato di ravvedersi, disponendosi
all’abiura, e così poter portare a termine il processo con la sentenza finale.

42
Berti, Giordano, pag. 437
43
Ibid., pag. 438
44
Ibid., pag. 441
45
Ibid., pag. 441-442
46
Firpo, Processo, pag. 314
47
Berti, Giordano, pag. 442
48
Ibid., pag. 442-444
49
Ibid., pag. 444-445
50
Firpo, Processo, pag. 333 (vedi nota al documento)
51
Berti, Giordano, pag. 445-446

Pagina 31
33. Decreto della congregazione del Sant’Uffizio (Roma, 20 gennaio 1600); documento
edito dal Berti come bella copia sommaria. In questo decreto si parla di Giordano
Bruno che, alla richiesta di riconoscere e abiurare le sue proposizioni eretiche,
rispose negativamente e aggiunse di non aver mai pronunciato nulla di eretico.
Secondo lui, infatti, sarebbero stati proprio i ministri del Sant’Uffizio ad aver male
interpretato le sue parole52. Si notifica pure la delibera del Papa alla sentenza finale
del processo, con conseguente passaggio di Bruno alla corte secolare per
l’applicazione della pena.
34. Decreto della congregazione del Sant’Uffizio (Roma, 8 febbraio 1600); documento
in cui è riportata la sentenza contro Bruno. In questo scritto, edito dal Berti come
bella copia sommaria, si legge che il frate nolano fu giudicato un eretico
impenitente e pertinace e che fu rilasciato dall’Inquisizione al governatore secolare
di Roma per l’esecuzione53.
35. Lettera di Kaspar Schoppe a Konrad Rittershausen (Roma, 17 febbraio 1600);
lettera in cui Schoppe parla, in generale, della biografia del Bruno (partendo dal
1582, cioè da quando iniziò a dubitare dei dogmi cattolici). Poi l’autore parla della
sentenza dell’Inquisizione alla cui lettura, il Bruno, rispose con il famoso “Maiori
forsan cum timore sententiam in me fertis quam ego accipiam54”. Racconta, infine,
la sua morte al rogo55.
36. Dai registri della depositeria generale pontificia (Roma, 14 marzo 1600); scritto in
cui risulta il pagamento di due scudi d’oro per la degradazione di Giordano Bruno
dal suo precedente status di frate appartenente all’ordine domenicano56.
Domenico Berti scrisse la biografia di Giordano Bruno avendo a disposizione quasi
quaranta documenti riguardanti il processo bruniano. L’autore, infatti, aveva scoperto
quasi tutti i documenti, ad oggi disponibili, della fase veneziana del processo (come i
costituti di Giordano, le denunce di Mocenigo e la questione del trasferimento da
Venezia a Roma dell’imputato). La biografia del filosofo delineata da Berti, dunque,
risulta attendibile e piena d’informazioni fino al trasferimento nelle carceri del
Sant’Uffizio. Nei successivi anni a Roma, però, riscontriamo come l’autore si muova
sulla base di pochi documenti e molte supposizioni; del processo romano, infatti, Berti
aveva trovato circa sette documenti soltanto (a fronte di ben otto anni di prigionia del
nolano in Roma) e tutti questi scritti si riferivano al periodo 1599-1600. Abbiamo una
mancanza documentaria tra 1594 e 1598 nell’opera, cioè la prima e media fase del
processo romano. Stando ai documenti romani datati 1599 e 1600, dunque, si potrebbe
pensare di avere a che fare con un Bruno combattente che, pur di non rinunciare alle
sue teorie e idee, preferisce morire da martire. Berti avrebbe descritto, in pratica, una
figura parziale per mancanza d’informazioni.

52
Berti, Giordano, pag. 446-447
53
Ibid., pag. 447-448
54
Firpo, Processo, pag. 351
55
Berti, Giordano, pag. 4-6
56
Ibid., pag. 321

Pagina 32
Nel frattempo, tra 1875 e 1889 si avviò un’associazione de studenti universitari
fautori della costruzione di una statua di Giordano Bruno in Campo dei Fiori57. Gli
studenti avevano letto la prima edizione del Giordano Bruno di Berti58 e, interpretando
in modo parziale e politico la figura del filosofo delineata dall’autore, l’avevano
innalzata a eroe laico anti-clericale e patriota risorgimentale ante litteram. L’autore,
però, non aveva descritto così il filosofo. Egli, anzi, aveva scritto “non amo quindi
essere giudicato leggermente o confuso con la turba dei tumultuosi ammiratori del
Nolano59”. Nonostante fosse chiamato a contribuire per la statua di Bruno a Roma,
Berti rifiutò (pur avendo appoggiato le leggi contro le corporazioni religiose e, anzi, si
possa ipotizza che abbia provato a ostacolare il comitato che promuoveva tale proposta
di fronte al radicalismo dei fautori della costruzione del monumento60. Incontrò i
fautori della statua di Bruno e, costatato il fatto che volessero usare la figura del Bruno
a scopo di lotta anti-clericale e con finalità politiche, rispose loro di non continuare con
il loro progetto perché la figura del nolano sarebbe stata alterata divenendo simbolo di
lotte e ideali contemporanei. Il comitato studentesco avrebbe quindi tradito i valori, le
idee e la stessa figura di Bruno; personalità che andava contestualizzata e anche
giudicata solo in un dato contesto storico, in altre parole quello dei suoi tempi61.
Il Bruno di Berti era, dunque, uno scrittore brillante e un personaggio con una vita
segnata da vicende incredibilmente simili a un dramma che scelse di morire
eroicamente sul rogo per le sue idee; non un Bruno considerato solo nel suo aspetto di
eroe che non temette la morte e si stagliò contro la Chiesa. Il Bruno descritto
dall’autore era un difensore della libertà del pensiero umano62. Peccato solo che Berti,
secondo lo stesso Spampanato63, pur avendo dato un forte impulso allo studio di
Giordano Bruno, avesse sfiorato “solamente l’argomento [Bruno]; ma, capitatogli d’un
tratto la fortuna d’avere tra mano un vistoso e inestimabile patrimonio, quasi
abbagliato, non ebbe il tempo e la calma di tesaurizzarlo64”. Usando le parole di Firpo,
il Berti aveva fatto di Bruno un ritratto “eroico e indomabile, non più mero difensore
della teoria della doppia verità, ma assertore della supremazia assoluta del vero
speculativo sui dogmi delle religioni positive, ridotte a semplice funzione pratica e
sociale65”. Vista la limitatezza dei documenti tra 1594-1598 e l’aver trattato solo in
superficie la vasta materia attinente la vita, la filosofia e il mondo bruniano, il ritratto di
Bruno operato da Berti (per quanto corretto al tempo dello scrittore) a oggi può essere
considerato solo parziale.

57
Massimo Bucciantini, Campo dei Fiori. Storia di un monumento maledetto, Einaudi, Torino, 2015, pag.
60; pag. 110; pag. 206; pag. 287.
58
Bucciantini, Campo, pag. 37
59
Berti, Giordano, pag. 21
60
Bucciantini, Campo, pag. 40
61
Ibid., pag. 51-53
62
Berti, Giordano, Proemio, pagg. V-VII; Introduzione, pagg. 21
63
Spampanato, Vita, Introduzione, pag. XXVIII - XXIX
64
Ibid., Introduzione, pag. XXIX
65
Firpo (a cura di Quaglioni), Processo, pag. 105

Pagina 33
Capitolo 9 – Nuovi documenti processuali editi da Vincenzo Spampanato
Vincenzo Spampanato è stato un insegnante e uno storico della filosofia; in particolare
studiò Giordano Bruno. Nasce anche lui a Nola, nel 1872, e muore nel 1928 a Napoli.
Frequentò la casa di Benedetto Croce, con cui strinse un rapporto d’amicizia solido e
duraturo. Nel 1921 pubblicò la sua maggiore opera dal titolo “Vita di Giordano Bruno” per
l’editore Principato. Dopo la sua morte, il suo amico Giovani Gentile rivide la prima
edizione per poi stamparne un’altra più aggiornata1.
Così come Domenico Berti, che lo aveva preceduto nello scrivere una biografia
bruniana, Spampanato tra il 1899 e il 1911 compì delle ricerche di materiale documentario
riguardanti Bruno2. Aggiunse nuovi scritti ai documenti riguardanti il processo bruniano
rispetto alla lista operata da Berti. Anche stavolta, nel riportare i nuovi scritti ritrovati da
Spampanato, ci atteniamo al titolo e alla revisione operata da Firpo 3. I documenti introdotti
da Spampanato sono i seguenti:
1. Mons. Ludovico Taverna, nunzio a Venezia, a mons. Cinzio Aldrobandini,
segretario di stato (Venezia, 22 dicembre 1592); lettera in cui l’ambasciatore parla
del voto veneziano riguardo la richiesta romana di estradizione di Bruno. Egli
rileva in particolare la resistenza dei magistrati secolari veneziani al rilascio nelle
mani romane dell’imputato4.
2. Copia parziale della sentenza, destinata al governatore di Roma (Roma, 8 febbraio
1600); documento in cui il Tribunale inquisitorio romano giudica Bruno colpevole
ed emette la sentenza finale del processo. Il frate nolano è giudicato “heretico
impenitente, pertinace et ostinato5”, degradato dalla carica ecclesiastica di frate ed
espulso dall’ordine domenicano, allontanato dalla Chiesa e rimesso alla corte
secolare del governatore romano per l’esecuzione della pena. Inoltre l’inquisizione
mette all’Indice tutte le opere di Bruno6.
3. Avviso di Roma (Roma, 12 febbraio 1600); avviso in cui è annunciato il
deferimento della data dell’esecuzione bruniana. Si raccontano in poche righe,
inoltre, le vicende biografiche del nolano7.
4. Dal “giornale” dell’arciconfraternita di s. Giovanni decollato in Roma (Roma, 16-
17 febbraio 1600); scritto in cui i frati di San Giovanni (con il compito di
confortare i condannati a morte dalla vigilia fino all’esecuzione stessa) raccontano
gli ultimi due giorni di Bruno. Essi si confrontano con Giordano e cercano di
convincerlo in extremis ad abiurare, però egli “stette sempre nella sua maledetta
ostinazione, aggirandosi il cervello e l’intelletto con mille errori e vanità8”.
Raccontano, infine, dell’esecuzione in Campo dei Fiori del frate nolano9.

1
https://it.wikipedia.org/wiki/Vincenzo_Spampanato
2
Spampanato, Vita, Introduzione, pag. 16
3
Firpo, Processo, pagg. 143-357
4
Spampanato, Vita, pag. 759
5
Ibid., pag. 782
6
Ibid., pag. 780-783
7
Ibid.pag. 784
8
Ibid., pag. 785
9
Ibid., pag. 785

Pagina 34
5. Avviso di Roma (Roma, 19 febbraio 160010); avviso che racconta dell’avvenuto
rogo di Bruno del 16 febbraio e aggiunge il particolare della mordacchia (strumento
che impediva al frate di parlare) che gli era stata messa “per le bruttissime parole
che diceva, senza voler ascoltar né confortatori né altri11”.
6. Avviso di Roma (Roma, 19 febbraio 1600); avviso in cui è raccontata l’esecuzione
di Bruno del 16 febbraio ed è anche scritto come Giordano fosse felice di morire
martire in modo che la sua anima sarebbe ascesa al cielo insieme al fumo del suo
rogo12.
7. Dall’“Ecclesiasticus” di Kaspar Schoppe (Meilingen, settembre 1611); parte di
testo in cui Schoppe parla di Bruno. L’autore pone l’accento, in particolare, sulla
forza morale del frate che, pur di non cedere all’abiura delle sue idee, preferì essere
bruciato vivo. “Essendo infatti grande il suo odio [di Bruno] nei confronti dei
Cardinali Inquisitori – racconta Schoppe - […] temette, in caso di mutamento della
sentenza, di fare una cosa gradita a quelli e [dunque] di soccombere dopo essere
stato sconfitto. […] <<Infatti>> come dice Ennio <<non c’è vincitore se non c’è
sconfitto13>>”.
Come ricorda Firpo14, nella prima edizione dell’opera lo Spampanato “dovette
lamentare nella documentazione disponibile un’incolmabile lacuna, che non gli
consentì di narrare in maniera particolareggiata le vicende del settennale processo
romano, conclusosi col supplizio del Filosofo”. Il minuzioso biografo di Bruno, infatti,
riguardo al processo romano era riuscito a scovare esclusivamente la copia parziale
della sentenza (esclusi gli avvisi affissi a Roma che parlavano dell’esecuzione bruniana
e della descrizione del rogo di Schoppe).
Lo Spampanato, però, non aveva ancora a disposizione i documenti che, invece,
erano stati ritrovati da mons. Enrico Carusi nel 1925; quattro anni dopo la prima
edizione della sua opera “Vita di Giordano Bruno”. Egli aveva tratto copia, infatti, di
ventisei estratti dai verbali della Congregazione del Sant’Uffizio concernenti il
processo romano di Giordano15. Tale ricerca sfociò nell’opera “Nuovi documenti del
processo di Giordano Bruno16”.
Lo Spampanato, dunque, aggiunse i nuovi documenti nella seconda edizione della
sua opera17 che, però, vide la luce dopo la morte dell’autore; nel 1933, infatti, fu il suo
amico e stimatore Giovanni Gentile a recuperare lo scritto e completarlo. Il filosofo,
politico e accademico aggiunse i ventuno documenti processuali bruniani scaturiti

10
Spampanato, Vita, pag. 785-786
11
Ibid., pag. 786
12
Ibid., pag. 786
13
Ibid., pag. 805-806
14
Firpo (a cura di Quaglioni), Processo, pag. 3
15
Ibid., pag. 3
16
Enrico Carusi, Nuovi documenti del processo di Giordano Bruno, edito in “Giornale critico della filosofia
italiana”, VI 1925
17
Vincenzo Spampanato (a cura di Gentile), Documenti della vita di Giordano Bruno, Olschki, Firenze, 1933

Pagina 35
dall’opera del Carusi18. Sempre basandoci sull’opera aggiornata e completa di Firpo,
possiamo trovare i nuovi documenti aggiunti, che sono:
1. Visita dei carcerati nel Sant’Uffizio romano (Roma, 22 dicembre 1593); verbale
in cui si parla della visita alla prigione ecclesiastica degli Inquisitori. Durante la
visita si racconta che Bruno, interrogato riguardo alle sue necessità durante la
prigionia, rispose di aver bisogno di un mantello, un copricapo e l’opera
Summa Theologiae di San Tommaso d’Aquino19.
2. Visita dei carcerati nel Sant’Uffizio romano (Roma, 4 aprile 1594); verbale in
cui la Congregazione inquisitoria fece stampare le copie del processo
bruniano20.
3. Visita dei carcerati nel Sant’Uffizio romano (Roma, 31 maggio 1594); verbale
in cui si notifica l’avvenuta consegna delle copie del processo contro Bruno21
(copie citate nel verbale del 4 aprile 1594).
4. Visita dei carcerati nel Sant’Uffizio romano (Roma, 20 dicembre 1594); verbale
in cui si notifica come Bruno abbia presentato una testimonianza scritta contro i
testimoni che avevano deposto contro di lui22.
5. Decreto della congregazione del Sant’Uffizio (Roma, 12 gennaio 1595); decreto
in cui si notifica la lettura delle deposizioni e delle testimonianze veneziane del
nobile Mocenigo contro Giordano Bruno23.
6. Decreto della congregazione del Sant’Uffizio (Roma, 19 gennaio 1595); decreto
in cui si notifica come il Bruno, alla lettura delle accuse mosse contro di lui di
fronte agli Inquisitori, continui a esporre teorie e idee eterodosse al credo
cattolico24.
7. Decreto della congregazione del Sant’Uffizio (Roma, 9 febbraio 1595); decreto
in cui la Congregazione inquisitoria, dopo aver letto gli atti del processo contro
Bruno, sentenziò la prosecuzione della censura dei libri del filosofo nolano25.
8. Visita dei carcerati nel Sant’Uffizio romano (Roma, 14 marzo 1595); verbale in
cui si notificano le richieste riguardo le necessità di Bruno durante la prigionia,
dopo che il frate fu portato in aula e lì interrogato dai cardinali
dell’Inquisizione26.
9. Visita dei carcerati nel Sant’Uffizio romano (Roma, 1-2 aprile 1596); verbale in
cui la congregazione inquisitoriale notifica la sovvenzione al Maestro
dell’ordine domenicano, Ippolito Maria Beccaria, per aver esaminato i libri di

18
Firpo (a cura di Quaglioni), Processo, pag. 3
19
Ibid., pag. 215-217
20
Ibid., pag. 217-218
21
Ibid., pag. 218-219
22
Ibid., pag. 221-222
23
Ibid., pag. 223-224
24
Ibid., pag. 224-225
25
Ibid., pag. 225-227
26
Ibid., pag. 229-230

Pagina 36
Bruno e aver poi estratto delle proposizioni che lo stesso nolano avrebbe dovuto
censurare27.
10. Decreto della congregazione del Sant’Uffizio (Roma, 18 settembre 1596);
decreto in cui si notifica la lettura dei memoriali di Bruno alla presenza della
congregazione inquisitoriale. L’assemblea, dopo una votazione, decise di
affidare la censura delle proposizioni contenute nei libri bruniani anche ad altri
teologi e membri della congregazione28.
11. Visita dei carcerati nel Sant’Uffizio romano (Roma, 16 dicembre 1596); verbale
in cui la congregazione inquisitoriale decreta un nuovo esame delle
proposizioni da censurare nei libri di Bruno29 (scritto in cui compare la nota
“nota carceratorum in abiuratione publica expediendorum30” ovvero “nota dei
carcerati da rilasciare dopo l’abiura pubblica”).
12. Visita dei carcerati nel Sant’Uffizio romano (Roma, 24 marzo 1597); verbale in
cui è riferito come l’Inquisizione, dopo aver interrogato Bruno sulle sue
necessità per la prigionia, lo ammonì di abbandonare la sua teoria degli infiniti
mondi. Inoltre, sempre la Congregazione, ordina l’interrogatorio “stricte31”
dell’imputato32. Un aggettivo che si traduce con “rigoroso/severo” e che ha
fatto sorgere molti dubbi tra gli storici; forse Bruno, con quella formula, fu
interrogato con l’ausilio della tortura.
13. Visita dei carcerati nel Sant’Uffizio romano (Roma, 23 dicembre 1597) bella
copia diffusa; verbale in cui si racconta dell’interrogazione di Bruno riguardo
alle sue necessità di carcerato33.
14. Visita dei carcerati nel Sant’Uffizio romano (Roma16 marzo 1598) bella copia
sommaria; verbale in cui gli Inquisitori notificano la redazione di un sommario
completo del processo bruniano. Tale scritto, però, non sarebbe stato
completato prima della Settimana Santa34. L’opera potrebbe essere il
Sommario35 ritrovato, corretto e pubblicato da Mercati nel 1940.
15. Visita dei carcerati nel Sant’Uffizio romano (Roma, 16 dicembre 1598) bella
copia sommaria; verbale in cui si notifica la concessione a Bruno di carta per
scrivere. Inoltre si dispose di fare un rendiconto dell’uso fatto dal nolano di tale
carta. Al prigioniero fu anche consegnato un breviario in uso presso i
domenicani36.
16. Decreto della congregazione del Sant’Uffizio (Roma, 14 gennaio 1599) bella
copia sommaria; documento in cui si narra della lettura di fronte all’imputato di
27
Firpo (a cura di Quaglioni), Processo, pag. 230-233
28
Ibid., pag. 233-235
29
Ibid., pag. 241-242
30
Ibid.pag. 242
31
Ibid., pag. 244
32
Ibid., pag. 242-244
33
Ibid., pag. 245-246
34
Ibid., pag. 306
35
Angelo Mercati, Sommario processo Giordano Bruno, Biblioteca Apostolica Vaticana, Città del Vaticano,
1940
36
Firpo (a cura di Quaglioni), Processo, pag. 308

Pagina 37
otto proposizioni eretiche individuate dagli Inquisitori tra i testi bruniani. Fu
ordinato, inoltre, che fossero mostrate tali proposizioni a Bruno per farlo
riflettere sulla possibile abiura. Si dispose anche che siano estratte nuove frasi
dalle opere del nolano, proposizioni considerate eterodosse rispetto al credo
cattolico37.
17. Decreto della congregazione del Sant’Uffizio (Roma, 4 febbraio 1599) bella
copia sommaria; decreto in cui decreto in cui Giordano dichiarò di ritenere le
sue idee eretiche solo ex nunc. Gli inquisitori decisero di dare a Bruno altri
quaranta giorni per abiurare. Inoltre nel decreto si parla dei consultori
dell’Inquisizione in cui fu affrontato il caso di Bruno con la rilettura delle carte
processuali38.
18. Decreto della congregazione del Sant’Uffizio (Roma, 18 febbraio 1599) bella
copia sommaria; decreto in cui si riporta la lettura del costituto bruniano (del
precedente 15 febbraio) e la relazione riguardo il memoriale composto da
Bruno. Furono, inoltre, raccolti gli errori del filosofo a partire dal processo e dai
libri39.
19. Visita dei carcerati nel Sant’Uffizio romano (Roma, 5 aprile 1599) bella copia
sommaria; verbale in cui si notifica la visita della cella di Bruno che poi esibì
una scrittura di propria mano agli Inquisitori40. Rispetto allo stesso documento,
lo Spampanato riporta anche la copia per uso del cardinale inquisitore Camillo
Borghese. Verbale in cui si riporta la data della carcerazione di Giordano Bruno
nelle prigioni inquisitoriali romane; il 27 febbraio 159341.
20. Decreto della congregazione del Sant’Uffizio (Roma, 24 agosto 1599) bella
copia sommaria; verbale in cui il cardinale Bellarmino propose a Bruno la
ritrattazione degli scritti esibiti agli Inquisitori il precedente 5 aprile (durante la
visita ai detenuti del carcere del Sant’Uffizio) dall’imputato. In particolare, il
cardinale si riferiva a due proposizioni: nella prima l’eresia era definita evidente
e di tipo novaziano, mentre la seconda concerneva il rapporto tra anima e corpo
(definito dallo stesso Bruno con il paragone del timoniere che conduce la nave)
e il Bellarmino chiese spiegazioni a riguardo. I cardinali inquisitori decisero
inoltre di arrivare alla sentenza del caso nella successiva assemblea. Fu, infine,
letta e approvata la richiesta del filosofo di carta, penne, occhiali e strumenti per
scrivere (non gli fu però permesso ricevere un coltello e un temperino)42.
Decreto della congregazione del Sant’Uffizio (Roma, 16 settembre 1599) bella
copia sommaria; decreto in cui si notifica la mancata lettura del memoriale
bruniano indirizzato al Papa43.

37
Firpo (a cura di Quaglioni), Processo, pag. 313
38
Ibid., pag. 314-315
39
Ibid., pag. 317
40
Ibid., pag. 320
41
Ibid., pag. 320-323
42
Ibid., pag. 325
43
Ibid., pag. 331

Pagina 38
21. Decreto della congregazione del Sant’Uffizio (Roma, 17 novembre 1599) bella
copia sommaria; decreto in cui si avvia la delibera alla sentenza finale riguardo
il processo bruniano44.
22. Visita dei carcerati nel Sant’Uffizio romano (Roma, 21 dicembre 1599) bella
copia sommaria; verbale in cui fu deciso dalla Congregazione che il cardinale
Maria Ippolito e il padre domenicano Paolo Isaresi discutessero con Bruno per
mostrare all’apostata le sue proposizioni eretiche con il fine di fargli
riconoscere i suoi errori, per permettere all’imputato di ravvedersi,
disponendosi all’abiura, e così poter portare a termine il processo con la
sentenza finale45.
23. Decreto della congregazione del Sant’Uffizio (Roma, 20 gennaio 1600) bella
copia e minuta; documento in cui si parla di Giordano Bruno che, alla richiesta
di riconoscere e abiurare le sue proposizioni eretiche, rispose negativamente e
aggiunse di non aver mai pronunciato nulla di eretico. Secondo lui, infatti,
sarebbero stati proprio i ministri del Sant’Uffizio ad aver male interpretato le
sue parole. Il frate aggiunge pure che avrebbe difeso i suoi scritti contro
qualunque teologo e che, le frasi scelte dall’Inquisizione per la sua abiura, siano
state arbitrariamente definite e interpretate come eretiche dagli stessi cardinali
della Congregazione (che, dunque, non sarebbero state eretiche nel loro
contesto originale dei libri scritti e dalle testimonianze orali dello stesso Bruno).
Si notifica, infine, la delibera del Papa alla sentenza finale del processo, con
conseguente passaggio di Bruno alla corte secolare per l’applicazione della
pena46.
Grazie alla seconda edizione dell’opera di Vincenzo Spampanato47 (e a Giovanni
Gentile che la pubblicò postuma), abbiamo a oggi un quadro molto più chiaro degli anni
trascorsi da Bruno presso la prigione del Sant’Uffizio, cioè il periodo compreso tra 1594 e
1598. I documenti riguardanti quel periodo cronologico erano, infatti, mancanti nell’opera
di Berti48.
Grazie a questi nuovi scritti, Spampanato poté fare un ritratto di Bruno più accurato e
meno superficiale di quello tratteggiato da Berti, anche se ne condivise l’opinione riguardo
all’errore dei suoi giorni di esaltare oltremodo Giordano49 (per gli stessi motivi di Berti;
cioè la strumentalizzazione della sua figura, filosofia e vicenda biografica). Lo scrittore
nolano, infatti, parla di Bruno come uno dei fondatori del metodo scientifico moderno
(teorizzato nella sua completezza, però, dal suo contemporaneo Galileo Galilei). Egli dice,
non a caso, che “la nuova coscienza scientifica che si accinge a guardare il reale con
occhio non sorpreso da nebbie, è consacrata dal martirio di Bruno50”. Bruno era riuscito,
inoltre, a fondare la cosmologia (parte importante della sua filosofia) e, di conseguenza a
44
Firpo (a cura di Quaglioni), Processo, pag. 333
45
Ibid.pag. 335
46
Ibid., pag. 336-338
47
Spampanato (a cura di Gentile), Vita di Giordano Bruno
48
Berti, Giordano Bruno da Nola: sua vita e sue opere
49
Spampanato (a cura di Gentile), Vita, pag. 595
50
Spampanato (a cura di Gentile), Vita, pag. 596

Pagina 39
desumere concetti scientifici (senza però provarli empiricamente); teorie ad oggi valide ed
entrate, dunque, a far parte delle conoscenze scientifiche contemporanee.
Sempre Spampanato riferisce come Bruno abbia “un significato speciale nella storia
della cultura, perché non fu conflitto di coscienze individuali diverse, ma necessaria
conseguenza del progresso dello spirito umano, che giunse in lui ad avvertire per la prima
volta e quindi a sorpassare la tradizione che fin dal medioevo lo dilaniava, […] farsi da sé
la verità sua, … che è nella natura, e che nella ragione, cioè, per lui, la ragione sua
definisce. … A questa verità, che sola l’innamora, egli non potrà rinunziare51”. Per il
concittadino di Bruno, la morte del filosofo suggellò la sua nuova filosofia; fu, cioè, la
dimostrazione empirica dell’esigenza radicale del pensiero moderno basato sulla scienza di
occupare il posto della ormai decaduta religione con il suo principio di autorità. Giordano,
a differenza di Galileo, scelse di difendere fino in fondo la libertà suprema della scienza e
della filosofia; discipline che secondo il nolano non potevano essere giudicate dalla Chiesa
come eretiche solamente perché eterodosse rispetto al credo cattolico52. In particolare
quella filosofia che, con Bruno, divinizzò la natura, mentre nei tempi a venire avrebbe
divinizzato l’uomo; la stessa fu glorificata proprio dall’esecuzione del nolano (il contrario
di ciò che i suoi giudici avrebbero voluto53).
Lo Spampanato, insomma, ne rivendicò lo spirito moderno che segnò il passaggio della
cultura, filosofia, società e storia medievale con quella moderna e, in parte,
contemporanea. Così come Giovanni Gentile nella sua opera scriveva che “il martirio di
Giordano Bruno ha un significato speciale nella storia della cultura, poiché non fu conflitto
di coscienze individuali diverse; ma necessaria conseguenza del progresso dello spirito
umano, che Bruno impersonò al cadere del Cinquecento, quando si chiudeva col
Rinascimento tutta la vecchia storia della civiltà d'Europa: del progresso dello spirito, che
giunse in lui ad avvertire per la prima volta, e quindi a sorpassare, la contraddizione, che
fin dal Medio Evo lo dilaniava, tra sé e sé medesimo: tra spirito che crede, e professa di
non intendere, e spirito che intende, e professa di intendere, cioè farsi da sé la verità sua54”.

51
Ibid., pag. 596
52
Ibid., pag. 596
53
Ibid., pagg. 596-597
54
Giovanni Gentile, Giordano Bruno e il pensiero del Rinascimento, Le Lettere, Firenze, 1991 (prima ed.
1920)

Pagina 40
Capitolo 10 – Angelo Mercati e la scoperta del Sommario
Angelo Mercati (Villa Gaida, 6 ottobre 1870 – Città del Vaticano, 3 ottobre 1955) fu un
sacerdote, archivista e storico cattolico. Nato in una famiglia di forte connotazione
cattolica (il fratello maggiore Giovanni fu un cardinale), durante la sua gioventù conseguì
una laurea in teologia all’Università Gregoriana di Roma. Fu poi ordinato sacerdote nel
1893 ed anche insegnante di dogmatica e storia presso la chiesa di Roteglia (frazione di
Castellarano, in provincia di Reggio Emilia). In questo periodo il Mercati tradusse opere e
collaborò con quotidiani e periodici per opere attinenti il campo delle ricerche storiche,
archeologiche e teologiche. Nonostante fosse legato alla cultura cattolica del suo tempo,
egli fu promotore del metodo storico-critico presso il clero italiano. Nel frattempo, suo
fratello Giovanni fu incaricato di occuparsi della Biblioteca apostolica Vaticana e portò
con sé Angelo. Nel 1916 fu nominato custode degli archivi romani e, dopo alcune
promozioni, fu scelto come prefetto (nel 1925). Il Mercati durante questo periodo però, si
occupò soprattutto dell’Archivio Vaticano scovando, traducendo e ordinando i documenti
in esso contenuti. Una delle sue scoperte più importanti, che diede poi alla luce con una
pubblicazione del 1942, fu Il sommario del processo di Giordano Bruno1. Tale scoperta fu,
in realtà, fortuita: il Sommario, infatti, non era mai stato collocato al posto ad esso
assegnato, ma fu ritrovato nell’archivio privato di Pio IX (probabilmente spostato proprio
per non essere trovato, dunque nascosto volontariamente). Nello stesso periodo Mercati si
occupò anche di altre opere; portò, infatti, alla luce numerosi documenti inediti di grandi
artisti del Rinascimento italiano come Michelangelo e Raffaello. Così facendo, Mercati
incrementò e ordinò i documenti nell’Archivio Vaticano. Negli anni Trenta, lo storico e
archivista cattolico si dedicò alla pubblicazione del periodico L’Illustrazione Vaticana (che
fondò nello stesso anno e di cui fu direttore) e si adoperò all’organizzazione della
Bibliografia dell’Archivio Vaticano. Negli anni della Seconda Guerra Mondiale, assieme al
fratello maggiore Giovanni, si occupò del salvataggio degli archivi e biblioteche vaticane.
Prima della sua morte, avvenuta nel 1955, fu impegnato nelle neonate associazioni
vaticane in ambito delle scienze storiche2.
La scoperta di Mercati del Sommario avvenne nel 1940, come abbiamo detto, tra le
carte private di Pio IX. Tale sommario, messo insieme dal canonista Francisco Peña tra
fine Cinquecento e inizio Seicento, fu compilato dopo il 1597 e destinato all’uso dei
membri della Congregazione inquisitoriale (era, appunto, un riassunto di tutte le
testimonianze e i documenti del processo bruniano). In precedenza tale opera era capitata
nelle mani del benedettino Gregorio Palmieri nel 1886, ma la sua collocazione non fu
corretta e, soprattutto, non fu comunicata la notizia del suo ritrovamento. Partendo da una
copia dell’originale (andate perdute sia l’originale che la copia, quest’ultima dopo essere
stata consultata dal monsignore), Mercati corresse ed editò il Sommario completo di 261
paragrafi suddividendoli in gruppi: il primo gruppo comprende le testimonianze di Bruno,
di testimoni chiamati dall’Inquisizione e le accuse del Mocenigo (nn.1-225); il secondo

1
Angelo Mercati, Il sommario del processo di Giordano Bruno, con appendice di documenti sull’eresia e
l’inquisizione a Modena nel secolo XVI, Città del Vaticano, 1942
2
http://www.treccani.it/enciclopedia/angelo-mercati_(Dizionario-Biografico)/

Pagina 41
raccoglie ulteriori risultanze dei costituti bruniani (nn. 266-241); il terzo tratta di spunti per
la difesa del filosofo nei confronti delle accuse mossegli contro (nn. 242-251); il quarto e
ultimo gruppo è costituito da una raccolta delle difese del nolano nei confronti delle
censure operate sui suoi testi dalla Congregazione3 (nn. 252-261). Il Mercati, dunque, portò
nuovi documenti processuali bruniani alla conoscenza degli storici. Per elencare tali
documenti, intendo avvalermi dell’opera di Firpo4 poiché riveduta, corretta e aggiornata
rispetto all’opera di Mercati. Tra i nuovi documenti troviamo perlopiù riassunti di
testimonianze (estratti delle deposizioni che il Sant’Uffizio aveva operato dalle deposizioni
degli accusatori di Bruno):
1. Testimonianza di fra Celestino da Verona (Venezia, 1592/1593); deposizione in cui
il frate e concarcerato di Bruno riporta degli aneddoti sul nolano. Racconta, cioè, di
quando il filosofo ammise di non credere in nulla durante un banchetto con un
Viceré e dell’episodio in cui egli estrasse a sorte un verso dell’Ariosto durante un
gioco. Giordano estrasse il verso “D’ogni legge nemico e d’ogni fede”
commentando come tale frase fosse aderente alla sua personalità e alle sue idee5.
2. Testimonianza di Francesco Graziani6 (Venezia, 1592/1593); deposizione in cui il
compagno di prigionia del filosofo racconta dell’intento di Bruno di introdurre una
nuova setta denominata Giordanisti che condivideva le sue idee e teorie. Graziani
parla, inoltre, dell’episodio del verso ariostesco. Il frate, stando alle parole del
testimone, raccontava della Chiesa che era comandata da asini e ignoranti, che in
Inghilterra, Francia e Germania era considerato nemico della fede cattolica e un
filosofo nuovo e, infine, alla domanda di dei compagni di prigionia sul Sant’Uffizio
Graziani testimonia di aver sentito Bruno rispondere “Che ha da fare quell’officio
dell’anima mia7?”.
3. Testimonianza di Matteo Silvestre (Venezia, 1592/1593); deposizione in cui un
altro con carcerato di Bruno conferma le testimonianze degli altri imprigionati con
il filosofo. Silvestre ribadisce, in sostanza, il pensiero del nolano riguardo la Chiesa
e gli ecclesiastici, oltre che del gioco già citato del verso di Ariosto. Aggiunge,
inoltre, di aver sentito dire al filosofo eresie e burle contro la Chiesa8.
4. Testimonianza di Bruno (Venezia, 1592/1593); deposizione in cui il nolano nega di
voler costituire una setta di Giordanisti e di averne mai parlato con qualcuno9.
5. Testimonianza di fra Celestino da Verona (Venezia, 1592/1593); in cui il frate
afferma di non aver mai sentito Bruno negare la Trinità e la distinzione tra le tre
Persone10.
6. Testimonianza di fra Celestino da Verona (Venezia, 1592/1593); in cui afferma che
Bruno raccontasse che Cristo non fosse morto in croce, bensì fosse stato impiccato

3
Firpo (a cura di Quaglioni), Processo, pagg. 3-4
4
Firpo (a cura di Quaglioni), Processo
5
Mercati, Sommario, paragrafo n.11 in Firpo (a cura di Quaglioni), Processo, pag. 250
6
Ibid., pag. 250-251(paragrafo n.12-13)
7
Ibid., pag. 251 (paragrafo n.13)
8
Ibid., pag. 251-252 (paragrafo n.15-16)
9
Ibid., pag. 253 (paragrafo n. 22)
10
Mercati, Sommario, paragrafo n.27 in Firpo (a cura di Quaglioni), Processo, pag. 253

Pagina 42
sulla forca, esecuzione in voga all’epoca. Celestino aggiunge, inoltre, che Bruno
avesse definito Cristo “tristo11” e che, per tale caratteristica, fu ucciso12.
7. Testimonianza di Francesco Vaia da Napoli (Venezia, 1592/1593); deposizione in
cui un compagno di prigionia di Bruno che conferma la deposizione di Celestino13.
8. Testimonianza di Francesco Graziani (Venezia, 1592/1593); in cui si riporta come
Bruno abbia definito non solo Cristo tristo, ma con lo stesso appellativo anche gli
apostoli. Aggiunse, poi, che Giordano negò il fatto che la tavola sopra la croce
(durante la crocifissione di Cristo) contenesse la sigla I.N.R.I (cioè Iesus Nazarenus
Rex Iudeorum)14.
9. Testimonianza di Matteo Silvestre (Venezia, 1592-1593); in cui riporta, in pratica,
le testimonianze degli altri concarcerati riguardo le parole di Giordano sulla forma
della croce, sul Cristo e sugli apostoli definiti tristi. Aggiunge, poi, che secondo
Bruno Cristo avesse compiuto i miracoli non per intercessione divina o per natura
divina; bensì grazie alle arti oscure15.
10. Testimonianza di fra Celestino da Verona (Venezia, 1592/1593); in cui Celestino
riporta la dichiarazione di Bruno; per il filosofo Cristo avrebbe peccato
mortalmente nel non adempiere alla volontà del Padre mentre era nell’Orto degli
ulivi16 (passo biblico).
11. Testimonianza di fra Giulio Salo (Venezia, 1592/1593); in cui il compagno di cella
di Bruno conferma quanto detto da Celestino17.
12. Testimonianza di Francesco Graziani (Venezia, 1592/1593); in cui conferma le
parole di fra Celestino e aggiunge, inoltre, di aver sentito Bruno dire che la dottrina
religiosa cattolica e le credenze della Chiesa fossero vanità non confermabili18.
13. Testimonianza di Matteo Silvestre (Venezia, 1592/1593); in cui egli conferma le
testimonianze precedenti riguardo all’interpretazione dell’episodio biblico dell’Orto
di Bruno19.
14. Testimonianza di Francesco Graziani (Venezia, 1592/1593); in cui accusa Bruno di
aver detto che la messa fosse una cosa malvagia e superflua, oltre ad aver negato la
transustanziazione del corpo e sangue di Cristo nel pane e nel vino durante il
momento dell’Eucarestia20.
15. Testimonianza di Matteo Silvestre (Venezia, 1592/1593); in cui conferma, in
sostanza, la testimonianza di Graziani21.
16. Testimonianza di fra Celestino da Verona (Venezia, 1592/1593); in cui accusa
Bruno di aver negato l’esistenza dell’Inferno, di aver affermato che la pena dei
11
Ibid., pag. 260 (paragrafo n.44)
12
Ibid., pag. 260 (paragrafo n. 43-44)
13
Ibid., pag. 260 (paragrafo n. 45)
14
Ibid., pag. 260-261 (paragrafo n. 47-48)
15
Ibid., pag. 261 (paragrafo n. 49-50)
16
Ibid., pag. 263 (paragrafo n. 57-58)
17
Ibid., pag. 263( paragrafo n. 59)
18
Ibid., pag. 263( paragrafo n. 60-61)
19
Ibid., pag. 263-264 (paragrafo n. 62-63)
20
Mercati, Sommario, paragrafo n. 67 in Firpo (a cura di Quaglioni), Processo, pag. 264
21
Ibid., pag. 264 (paragrafo n. 68)

Pagina 43
dannati dopo la morte non sarebbe stata eterna (nel caso fosse esistito l’Inferno) e
che tutti si sarebbero salvati, credenti e non-credenti, portando come testimonianza
una frase estratta della Bibbia22.
17. Testimonianza di fra Giulio Salo (Venezia, 1592/1593); in cui praticamente
conferma quanto detto da fra Celestino riguardo all’Inferno, alla pena eterna per i
dannati e alla salvezza delle anime23.
18. Testimonianza di Francesco Vaia da Napoli (Venezia, 1592/1593); in cui conferma
in sostanza le precedenti deposizioni di fra Celestino e fra Giulio24.
19. Testimonianza di Francesco Graziani (Venezia, 1592/1593); in cui conferma
praticamente le deposizioni precedenti di fra Celestino, fra Giulio e Vaia25.
20. Testimonianza di Matteo Silvestre (Venezia, 1592/1593); in cui conferma, in
sostanza, le precedenti deposizioni di fra Celestino, fra Giulio, Vaia e Graziani26.
21. Testimonianza di fra Celestino da Verona (Venezia, 1592/1593); testimonianza in
cui egli afferma come Bruno sostenesse la teoria dell’esistenza di infiniti mondi27.
22. Testimonianza di fra Giulio Salo (Venezia, 1592/1593); in cui, sostanzialmente,
conferma la testimonianza di fra Celestino28.
23. Testimonianza di Francesco Vaia da Napoli (Venezia, 1592/1593); in cui, in
pratica, conferma le parole di fra Celestino e fra Giulio29.
24. Testimonianza di Francesco Graziani (Venezia, 1592/1593); in cui, tecnicamente,
conferma le deposizioni di fra Celestino, fra Giulio e Francesco Vaia30.
25. Testimonianza di Matteo Silvestre (Venezia, 1592/1593); in cui, oltre a confermare
le parole di fra Celestino, fra Giulio, Vaia e Graziani, testimonia come Bruno
avesse teorizzato l’eternità dei mondi31.
26. Testimonianza di fra Celestino da Verona (Venezia, 1592/1593); in cui riporta che
Bruno avesse smentito la Bibbia riguardo ai Re Magi e avesse affermato che al
posto dei tre Magi fossero andati in adorazione di Gesù esclusivamente gente umile
e povera32.
27. Testimonianza di fra Celestino da Verona (Venezia, 1592/1593); in cui accusa
Bruno di aver teorizzato e divulgato l’idea dell’eternità del mondo e di aver negato
la creazione del mondo da parte di Dio (come invece era scritto nella Bibbia33).
28. Testimonianza di fra Giulio Salo (Venezia, 1592/1593); in cui conferma
sostanzialmente l’accusa, elaborata da fra Celestino da Verona nei confronti di

22
Ibid., pag. 266 (paragrafo n. 72-73)
23
Ibid., pag. 266 (paragrafo n. 74)
24
Ibid., pag. 266 (paragrafo n. 75)
25
Ibid., pag. 266-267 (paragrafo n. 76-77)
26
Ibid., pag. 267 (paragrafo n. 78-79)
27
Ibid., pag. 268 (paragrafo n. 84-85)
28
Ibid., pag. 268 (paragrafo n. 86)
29
Ibid., pag. 268 (paragrafo n. 87)
30
Mercati, Sommario, paragrafo n. 88-89 in Firpo (a cura di Quaglioni), Processo, pag. 268
31
Ibid., pag. 268 paragrafo n. 90-91)
32
Ibid., pag. 271 (paragrafo n. 98)
33
Ibid., pag. 272 (paragrafo n. 103)

Pagina 44
Giordano, riguardante l’eternità del mondo e l’affermazione di Giordano per cui il
mondo non fosse stato creato da Dio34.
29. Testimonianza di Francesco Graziani (Venezia, 1592/1593); in cui praticamente
conferma le precedenti denunce di fra Celestino e fra Giulio35.
30. Testimonianza di Matteo Silvestre (Venezia, 1592/1593); deposizione concorde a
quelle in precedenza esposte da fra Celestino, fra Giulio e Graziani36.
31. Testimonianza di fra Celestino da Verona (Venezia, 1592/1593); in cui depone
contro Bruno per aver sentito Giordano dire che, nell’episodio biblico, Caino
avesse ucciso giustamente suo fratello Abele perché quest’ultimo si era rivelato
malvagio e uccisore d’animali37.
32. Testimonianza di Francesco Graziani (Venezia, 1592/1593); in cui, in pratica,
conferma la deposizione di fra Celestino da Verona riguardo le parole con cui
Bruno aveva interpretato l’episodio di Caino e Abele38.
33. Testimonianza di fra Celestino da Verona (Venezia, 1592/153); in cui accusa Bruno
di aver detto che Mosè fosse stato un mago e non un profeta. Secondo il nolano,
infatti, Mosè aveva battuto i maghi del faraone in Egitto con l’arte magica, aveva
anche finto di parlare con Dio e di aver ricevuto dal divino le famose dieci leggi
(che, anzi, definisce tiranniche e sanguinolente39).
34. Testimonianza di Francesco Graziani (Venezia, 1592/1593); in cui, praticamente,
conferma le accuse mosse al Bruno da fra Celestino riguardo la figura di Mosè40.
35. Testimonianza di fra Celestino da Verona (Venezia, 1592/1593); in cui Celestino
accusa Bruno di aver detto che i profeti fossero stati malvagi e bugiardi e che
dunque fossero morti giustamente41.
36. Testimonianza di Francesco Graziani (Venezia, 1592/1593); in cui, in sostanza, si
confermano le accuse mosse da Celestino nei confronti di Bruno riguardo alle
affermazioni sui profeti42.
37. Testimonianza di fra Celestino da Verona (Venezia, 1592/1593); in cui accusa
Bruno di aver detto che il credo elaborato dalla Chiesa cattolica non potesse essere
provato e che dunque fossero, secondo lui, soltanto delle vanità43.
38. Testimonianza di Francesco Graziani (Venezia, 1592/1593); in cui, in pratica,
conferma le accuse rivolte da fra Celestino a Bruno riguardo il credo della Chiesa44.
39. Testimonianza di fra Giulio Salo (Venezia, 1592/1593); in cui il frate accusa
Giordano di aver detto che san Girolamo fosse stato un ignorante45.

34
Ibid., pag. 272 (paragrafo n. 104)
35
Ibid., pag. 272 (paragrafo n. 105)
36
Ibid., pag. 272 (paragrafo n. 106-107)
37
Ibid., pag. 273 (paragrafo n. 110-111)
38
Ibid., pag. 273 (paragrafo n. 112-113)
39
Mercati, Sommario, paragrafo n. 117-118 in Firpo (a cura di Quaglioni), Processo, pag. 274
40
Ibid., pag. 274 (paragrafo n. 120-121)
41
Ibid., pag. 275-276 (paragrafo n. 124-125)
42
Ibid., pag. 276 (paragrafo n. 127-128)
43
Ibid.pag. 276 (paragrafo n. 130)
44
Ibid., pag. 276 (paragrafo n. 131)
45
Ibid., pag. 276 (paragrafo n. 134

Pagina 45
40. Testimonianza di fra Celestino da Verona (Venezia, 1592/1593); in cui Celestino
testimonia che Bruno avesse affermato che “il raccomandarsi ai santi è cosa
rediculosa e non da farsi46”.
41. Testimonianza di Francesco Graziani (Venezia, 1592/1593); in cui il compagno di
prigionia di Bruno ribadisce ciò che Celestino aveva detto riguardo le parole del
nolano riguardo ai santi47.
42. Testimonianza di Matteo Silvestre (Venezia, 1592/1593); in cui si confermano le
testimonianze precedenti (Celestino e Graziani) sulle parole di Bruno riguardo ai
santi48.
43. Testimonianza fra Celestino da Verona (Venezia, 1592/1593); in cui riporta il
discorso di Bruno fatto ai suoi compagni di prigione riguardo alle reliquie. Il
nolano, infatti, aveva affermato che la venerazione delle reliquie fosse, in sostanza,
una superstizione per i creduloni49.
44. Testimonianza di Francesco Graziani (Venezia, 1592/1593); in cui sostanzialmente
ribadisce quanto detto da Celestino riguardo le parole di Bruno sulle reliquie50.
45. Testimonianza di Mattia Silvestre (Venezia, 1592/1593); costituto che in sostanza
ripete ciò che Celestino e Graziani raccontano di Bruno e del suo pensiero sulla
venerazione delle reliquie51.
46. Testimonianza di Francesco Graziani (Venezia, 1592/1593); costituto in cui il
concarcerato di Bruno testimonia di aver sentito il filosofo burlarsi dell’idolatria
con i suoi compagni di prigionia52.
47. Testimonianza di fra Celestino da Verona (Venezia, 1592/1593); in cui Celestino
testimonia dell’affermazione di Bruno; il Breviario, secondo il nolano, era pieno di
cose false, ignoranti e stupide53.
48. Testimonianza di fra Giulio (Venezia, 1592/1593); in cui Giulio afferma di aver
sentito dire a Bruno di essere apostata e scomunicato54.
49. Testimonianza di Francesco Vaia (Venezia, 1592/1593); in cui si conferma la
deposizione di Celestino55.
50. Testimonianza di Francesco Graziani (Venezia, 1592/1593); in cui si confermano le
deposizioni di Celestino e Vaia56.
51. Testimonianza di Matteo Silvestri (Venezia, 1592/1593); in cui si confermano le
deposizioni di Celestino, Vaia e Graziani57.

46
Ibid., pag. 277 (paragrafo n. 136-137)
47
Ibid., pag. 277 (paragrafo n. 139-140)
48
Ibid., pag. 277 (paragrafo n. 141-142)
49
Ibid., pag. 278 (paragrafo n. 145)
50
Ibid., pag. 278 (paragrafo n. 146)
51
Ibid., pag. 278 (paragrafo n. 147-148)
52
Ibid., pag. 279 (paragrafo n. 151-152)
53
Ibid., pag. 280 (paragrafo n. 158-159)
54
Ibid., pag. 280-281 (paragrafo n. 160)
55
Ibid., pag. 281 (paragrafo n. 161)
56
Ibid., pag. 281 (paragrafo n. 162-163)
57
Ibid., pag. 281 (paragrafo n. 164)

Pagina 46
52. Testimonianza di fra Celestino da Verona (Venezia, 1592/1593); in cui testimonia
di aver sentito bestemmiare Giordano in cella58.
53. Testimonianza di fra Giulio (Venezia, 1592/1593); in cui testimonia, come
Celestino, di aver sentito Bruno bestemmiare59.
54. Testimonianza di Francesco Vaia (Venezia, 1592/1593); in cui testimonia, come
Celestino e Giulio, di aver sentito Bruno bestemmiare60.
55. Testimonianza di Francesco Graziani (Venezia, 1592/1593); in cui testimonia,
come Celestino Giulio e Vaia, di aver sentito bestemmiare Bruno61.
56. Testimonianza di Matteo Silvestre (Venezia 1592/1593); in cui testimonia, come
Celestino, Giulio, Vaia e Graziani, di aver sentito Bruno bestemmiare62.
57. Testimonianza di fra Celestino da Verona (Venezia, 1592/1593); in cui testimonia
di aver sentito Bruno parlare della trasmigrazione delle anime mentre era in cella63.
58. Testimonianza di Francesco Graziani (Venezia, 1592/1593); in cui testimonia,
come Celestino, di aver sentito Giordano parlare della trasmigrazione delle anime64.
59. Testimonianza di Matteo Silvestre (Venezia, 1592/1593); in cui testimonia, come
Celestino e Graziani, di aver senti Giordano parlare della trasmigrazione delle
anime65.
60. Testimonianza di Francesco Graziani (Venezia, 1592/1593); in cui testimonia di
aver sentito Bruno affermare di poter praticare le arti divinatorie con un libro
composto da lui stesso66.
61. Testimonianza di Matteo Silvestre (Venezia, 1592/1593); in cui testimonia, come
Graziani, di aver sentito Bruno dire ai suoi compagni di prigionia di saper praticare
le arti divinatorie67.
62. Testimonianza di fra Celestino da Verona (Venezia, 1592/1593); in cui testimonia
di aver sentito dire il Bruno di voler bruciare il convento e poi scappare in
Germania o in Inghilterra, se fosse stato giudicato innocente dalla Congregazione e
poi avessero deciso di confinarlo in un convento68.
63. Testimonianza di fra Giulio (Venezia, 1592/1593); in cui testimonia di aver sentito
Bruno dire di voler chiedere la grazia del Papa e vivere con abito secolare, se fosse
stato giudicato innocente dalla Congregazione69.
64. Testimonianza di Francesco Graziani (Venezia, 1592/1593); in cui testimonia,
come Celestino, di aver sentito Bruno parlare di un ritorno in Germania70.

58
Ibid., pag. 282 (paragrafo n. 169-170)
59
Ibid., pag. 282 (paragrafo n. 171)
60
Mercati, Sommario, paragrafo n. 172 in Firpo (a cura di Quaglioni), Processo, pag. 283
61
Ibid., pag. 283 (paragrafo n. 173)
62
Ibid., pag. 283 (paragrafo n. 174-175)
63
Ibid., pag. 284 (paragrafo n. 180-181)
64
Ibid., pag. 284 (paragrafo n. 182)
65
Ibid., pag. 284 (paragrafo n. 183-184)
66
Ibid., pag. 286 (paragrafo n. 192)
67
Ibid., pag. 286 (paragrafo n. 193)
68
Ibid., pag. 293 (paragrafo n. 218-219)
69
Ibid., pag. 293 (paragrafo n. 220)
70
Mercati, Sommario, paragrafo n. 221-222 in Firpo (a cura di Quaglioni), Processo, pag. 293-294

Pagina 47
65. Testimonianza di Matteo Silvestri (Venezia, 1592/1593); in cui testimonia, come
Celestino e Graziani, di aver sentito Bruno affermare di voler ritornare in
Germania71.
66. Testimonianza di fra Celestino da Verona (Venezia, 1592/1593); in cui Celestino
afferma di aver deposto contro Bruno perché lo reputava, a sua volta, il suo
accusatore. Afferma anche di aver avuto un confronto con Giordano e di come
quest’ultimo gli avesse tirato uno schiaffo72.
67. Nota della Congregazione (Venezia, 1592/1593); in cui si afferma che le
deposizioni di Francesco Vaia siano state solo dei rapporti sui fatti accaduti a
Bruno in cella e che, il napoletano, per la maggior parte delle volte disse di non
sapere nulla (alle domande su Bruno poste dagli Inquisitori73).
Angelo Mercati ritrovò anche un documento che Firpo74 riporta con il titolo “Il
cardinale Giulio Santori ai banchieri Juan Enriquez de Herrera e Ottavio Costa (Roma,
11 dicembre 1596)”. In questa lettera scritta dal cardinale Santori ai tesorieri
dell’Inquisizione, egli dispone di dare dei soldi a Marco Tullio de’ Valentini (custode
delle carcere del Sant’Uffizio) per le spese affrontate nel sostentamento e servizi per i
carcerati. Il documento fu poi emendato dallo stesso custode carcerario che notifica il
ricevimento della quota e la sua distribuzione in favore dei carcerati, riportando anche i
servizi svolti a favore di questi ultimi. Nella lista si ritrova anche il nome di Bruno cui
si attribuisce la fruizione di due servizi; quello del barbiere e quello dell’acquisto di un
capo di vestiario (un paio di calzini).
Angelo Mercati nella sua opera75, dunque, raccolse la documentazione concernente
le testimonianze e deposizioni dei compagni di cella di Bruno. Queste erano frequenti,
al tempo, perché il testimoniare contro un altro detenuto avrebbe permesso
all’accusatore di avere sgravi penali nella sentenza finale. Il diritto inquisitoriale,
infatti, riteneva dimostrato un fatto quando era testimoniato da due testimoni diretti e
indipendenti L'Inquisizione doveva inoltre provare che l'imputato fosse
"pertinacemente" convinto di quello che aveva detto o pensato. Il processo bruniano
poggò le sue basi soprattutto su quest'ultima circostanza; il filosofo cerca
disperatamente di salvarsi, ma senza rinunciare alle proprie convinzioni. Tali
documenti sono però importanti poiché ci danno uno scorcio (per quanto non
affidabile) della prigionia di Bruno a Venezia. Mercati, con la sua interpretazione data
ai documenti ritrovati, costruì un ritratto di Bruno molto differente da quelli tratteggiati
prima di lui da Berti76 e Spampanato77. Il sacerdote, infatti, interpretò il processo

71
Ibid., pag. 294 (paragrafo n. 223)
72
Ibid., pag. 299 (paragrafo n. 247-248)
73
Ibid., pag. 299 (paragrafo n. 249)
Firpo (a cura di Quaglioni), Processo, “Il cardinale Giulio Santori ai banchieri Juan Enriquez de Herrera e
74

Ottavio Costa (Roma, 11 dicembre 1596), pag. 237-240


Angelo Mercati, Il sommario del processo di Giordano Bruno, con appendice di documenti sull’eresia e
75

l’inquisizione a Modena nel secolo XVI, Città del Vaticano, 1942


76
Berti, Giordano
77
Spampanato, Vita

Pagina 48
bruniano come un atto “dovuto esclusivamente78” a legittimi motivi religiosi e, dunque,
non una causa intentata contro la filosofia e la scienza di Bruno79. Egli intese, infatti, il
processo inquisitorio come basato sugli atti osceni e gli atti blasfemi rivolti verso la
divinità che Bruno avrebbe compiuto; dunque argomenti giuridici e capi d’accusa di
legittima competenza del Sant’Uffizio80. La sentenza contro il nolano, in poche parole,
sarebbe stata “giustamente81” (Bucciantini82 riporta come il Mercati avesse posto
l’accento sull’aggettivo “giustamente”, ripetuto nell’argomentazione più e più volte)
emessa contro il reo83. Questa idea del Mercati si basava, in sostanza, sui documenti
contenuti nel Sommario e, seppur difficilmente verificabili e facilmente inattendibili
(per i motivi già riportati), egli non esitò a definire Bruno apostata, eretico, colpevole e
mentalmente disturbato. A partire, infatti, dal rifiuto di Bruno del pentimento e
dell’abiura, Mercati volle scorgere il segno di un disturbo psichico dell’imputato e, di
conseguenza, negarne la filosofia che definì composta di parti disorganiche
comprendenti idee confuse, errori e mancanze84.
“Nelle intenzioni di monsignor Mercati – si legge in Bucciantini85 - “la
pubblicazione del Sommario avrebbe messo la parola fine non solo a un Bruno
positivista e anticlericale, ma anche al Bruno filosofo […]. Il Bruno eroe del pensiero,
nemico di ogni dogma e difensore strenuo della libertas philosophandi […] non era
mai esistito […]. Al suo posto […] c’era un apostata e bestemmiatore, un personaggio
perfino un po’ folle che soffriva di non pochi problemi psichici, ostinato e orgoglioso
fino al punto di sacrificare la propria vita per ciò che Mercati definiva <<fantastiche e
strampalate ideologie86>>”. Il sacerdote aveva cercato, quindi, di offuscare e
distruggere il Bruno uomo, filosofo e scienziato solo per mettere in luce il Bruno
eretico, apostata e colpevole che era stato giustamente condannato a morte. E, come
riporta lo stesso Bucciantini, il ritratto palesemente parziale, arbitrario e ingiusto del
nolano di Bruno che era emerso dal Sommario, aveva trovato ampi consensi negli
ambienti cattolici87 (probabilmente per la questione della statua di Bruno eretta in
Campo dei Fiori contro il volere dei cattolici e dello Stato della Chiesa; una statua il cui
sguardo severo si dirigeva verso San Pietro come monito per la coscienza ecclesiastica
che lo aveva condannato al rogo).

78
Mercati, Sommario, pag. 8 in Bucciantini, Campo, pag. 302
79
Bucciantini, Campo, pag. 302
80
Mercati, Sommario, pag. 6-7 in Bucciantini, Campo, pag. 302
81
Ibid., pag. 303 (pag. 12-13)
82
Bucciantini, Campo, pag. 303
83
Mercati, Sommario, pag. 12-13 in Bucciantini, Campo, pag. 303
84
Ibid., pag. 303 (pag. 51)
85
Bucciantini, Campo, pag. 304
86
Mercati, Sommario, pag. 13 in Bucciantini, Campo, pag. 303
87
Bucciantini, Campo, pag. 304

Pagina 49
Capitolo 11- Gli ultimi reperti: i documenti trovati da Luigi Firpo e da
Diego Quaglioni
Luigi Firpo (Torino, 1915 –Torino, 1989) è stato un politico, scrittore e storico italiano.
Laureato in Giurisprudenza nel ’37 (interessato però sin dai primi anni dell’università al
mondo letterario; motivo per il quale seguì molte lezioni della facoltà di Lettere), nel ’57
ebbe la cattedra di Storia delle dottrine politiche all’università di Torino. Collaborò a
periodici e quotidiani come La Stampa e per a varie case editrici, come l’Einaudi; entrò poi
tra i consiglieri dell’amministrazione della RAI nel ‘79 e fu anche deputato per il Partito
Repubblicano Italiano nel ’87. Morì, infine, pochi anni dopo ovvero nel 1989.
Firpo ha dedicato una gran parte della sua vita agli studi di letteratura, filosofia e storia
del pensiero politico, con particolare attenzione alla stagione tra Rinascimento e
Controriforma e ad alcuni dei suoi maggiori esponenti come Machiavelli, Campanella e
Bruno (per citarne alcuni)1. Riguardo tali studi, pubblicò opere che trattavano in modo
scientifico (grazie alle accurate ricerche bibliografiche e filologiche) le vicende dei
protagonisti dei periodi studiati. Sin dagli anni Quaranta applicò nelle sue opere, infatti,
una meticolosa ricostruzione bibliografica e filologica; tale ricerca era la base sulla quale
Firpo scriveva e, dunque, fu un tratto peculiare del suo pensiero che lo accompagnava nella
stesura delle sue opere. In questo capitolo tratteremo, tra le opere del torinese, una in
particolare dal titolo Il processo di Giordano Bruno23. In quest’articolo4, infatti, Firpo
raccolse i documenti scoperti durante una ricerca presso l’archivio del Sant’Uffizio (dove
era entrato grazie a un permesso speciale); scritti inediti attinenti agli ultimi otto anni di
vita del frate nolano.
L'opera, uscita per la prima volta in volume nel 1949, è stata ripubblicata a cura di
Diego Quaglioni nel 1993, tenendo conto della rielaborazione compiuta nel frattempo da
Firpo, e corredato da due documenti inediti ritrovati dallo stesso Quaglioni. In questo
momento professore ordinario di Storia del diritto medievale e moderno presso
l’Università di Trento, Quaglioni è da sempre interessato agli ambiti di studio della storia
del diritto comune pubblico, storia dell’ebraismo e storia delle istituzioni politiche ed
ecclesiastiche. Proprio quest’ultimo interesse lo portò ad avvicinarsi all’opera di Firpo e
alla figura di Bruno5. Nella sua revisione, egli aggiunse documenti ritrovati nei Decreta e
nell’Archivio della Santa Congregazione dell’Indice riguardo il processo e la figura del
filosofo nolano.
I documenti ritrovati ed editi da Firpo sono i seguenti:
1. Sommario della lettera del cardinale Giulio Antonio Santori a fra’ Giovan Gabriele
da Saluzzo inquisitore a Venezia (Roma, 2 novembre 1592); lettera in cui il
cardinale scrive a uno degli Inquisitori veneziani per ottenere il trasferimento di
Bruno a Roma con il fine di farlo processare dalla Congregazione romana. Egli
1
https://it.wikipedia.org/wiki/Luigi_Firpo
2
Luigi Firpo (a cura di Diego Quaglioni), Il processo di Giordano Bruno, Salerno editrice, Roma, 1998
(prima edizione 1993)
3
http://www.treccani.it/enciclopedia/luigi-firpo_%28Dizionario-Biografico%29/
Luigi Firpo, Il processo di Giordano Bruno.”Edizioni Scientifiche Italiane”, 1949 (prima ed. 1948)
4
5
http://www.dirittoestoria.it/5/CV/Quaglioni-CV-2006.htm

Pagina 50
ricorda, inoltre, altri casi in cui fu approvato il trasferimento da Venezia a Roma di
imputati processati dall’Inquisizione. Santori avverte, infine, l’Inquisitore
veneziano della problematica su cui si era già esposto lo stesso Papa; aveva, infatti,
parlato con i senatori e il Doge veneziano ordinando loro di prestare obbedienza al
suo volere6.
2. Dall’anonima “Raccolta di alcuni negotii e cause spettanti alla Santa Inquisizione
nella città e dominio veneto” (Roma, post 1593); in cui si riporta il contenuto della
lettera di Santori indirizzata a Gabriele da Saluzzo. Si notifica, inoltre, la notizia del
trasferimento di Bruno da Venezia a Roma avvenuta nel 1593 che, in pratica,
conferma il rispetto dell’ordine del Papa da parte della Repubblica veneziana7.
3. Sommario della lettera del cardinale Giulio Antonio Santori a fra Giovan Gabriele
da Saluzzo inquisitore a Venezia (Roma, 9 gennaio 1593); in cui si riassume il
contenuto della lettera di Santori all’Inquisitore veneziano, cioè quella in cui il
cardinale riporta i casi precedenti degli imputati sotto la giurisdizione della
Serenissima che furono trasferiti al giudizio della Città Eterna8.
4. Decreto della congregazione del Sant’Uffizio (Roma, 16 febbraio 1595); in cui gli
Inquisitori romani notificano la continuazione della lettura del memoriale bruniano
indirizzata al Papa (che presenziava l’assemblea) e in seguito si ordina di farne una
copia per il destinatario9.
5. Decreto della congregazione del Sant’Uffizio (Roma, 10 ottobre 1598); in cui gli
Inquisitori notificano lo stato delle cause dei carcerati nelle prigioni del
Sant’Uffizio. Riguardo a Bruno, i membri dell’assemblea affermano di procedere
ad ulteriori accertamenti per le sue proposizioni eretiche10.
6. Visita dei carcerati nel Sant’Uffizio romano (Roma, 23 dicembre 1597) minuta e
bella copia sommaria; nei quali documenti si notifica la visita di Bruno nella sua
cella e l’aver ascoltato ciò di cui il frate necessitava per il suo sostentamento11.
7. Visita dei carcerati nel Sant’Uffizio romano (Roma, 16 marzo 1598) bella copia; in
cui gli Inquisitori notificano l’aver visitato e ascoltato Bruno e poi di aver avvertito
lo stesso Giordano dell’ultimazione del sommario delle carte del processo contro di
lui. Aggiungono, inoltre, che non sarebbe stato possibile procedere alla sentenza
della sua causa prima della festività della Settimana Santa12.
8. Visita dei carcerati nel Sant’Uffizio romano (Roma, 16 dicembre 1598) bella copia;
in cui si notifica la visita e l’interrogazione di Bruno riguardo al necessario durante
la sua prigionia. Egli rispose e si fece dare della carta per scrivere. Inoltre la
Congregazione dispose di fare un rendiconto dell’uso fatto dal nolano di tale carta.
Al prigioniero fu anche consegnato un breviario in uso presso i domenicani13.

6
Firpo (a cura di Quaglioni), Processo, pagg. 205-206
7
Ibid., pag. 206
8
Ibid., pag. 213
9
Ibid., pagg. 227-228
10
Ibid., pagg. 235-236
11
Ibid., pag. 244 (minuta); pag. 247 (bella copia sommaria)
12
Ibid., pagg. 304-306
13
Firpo (a cura di Quaglioni), Processo, pagg. 307-308

Pagina 51
9. Decreto della congregazione del Sant’Uffizio (Roma, 12 gennaio 1599) minuta e
bella copia; in cui si decide di proporre al nolano le proposizioni da abiurare scelte
dalla Congregazione affinché egli potesse riflettere sulle stesse. Si notifica, inoltre,
che nella successiva assemblea inquisitoriale si debba proporre al nolano l’abiura di
tali proposizioni; nel caso in cui non avesse accettato, la Congregazione molto
probabilmente avrebbe preso provvedimenti a riguardo14 (in questo passo si
riscontra un problema testuale perché dopo le parole “et si noluerit revocare” vi è
una sospensiva che lo stesso Firpo riporta e ammette essere presente nel testo
originale15).
10. Decreto della congregazione del Sant’Uffizio (Roma, 18 febbraio 1599) minuta; in
cui si notifica la lettura durante l’assemblea della Congregazione del costituto
rilasciato da Bruno tre giorni prima (15 febbraio 1599), fu inoltre letto il suo
memoriale e fu anche ordinato di raccogliere altri errori del filosofo dai verbali
processuali e dalle sue opere16.
11. Decreto della congregazione del Sant’Uffizio (Roma, 24 agosto 1599) minuta;
verbale in cui il cardinale Bellarmino propose a Bruno la ritrattazione degli scritti
esibiti agli Inquisitori il precedente 5 aprile (durante la visita ai detenuti del carcere
del Sant’Uffizio) dall’imputato. In particolare, il cardinale si riferiva a due
proposizioni: nella prima l’eresia era definita evidente e di tipo Novaziana, mentre
la seconda concerneva il rapporto tra anima e corpo (definito dallo stesso Bruno
con il paragone del timoniere che conduce la nave); dunque il Bellarmino chiese
spiegazioni a riguardo. I cardinali inquisitori decisero inoltre di arrivare alla
sentenza del caso nella successiva assemblea. Fu, infine, letta e approvata la
richiesta del filosofo di carta, penne, occhiali e strumenti per scrivere (non gli fu
però permesso ricevere un coltello e un temperino)17. Decreto della congregazione
del Sant’Uffizio (Roma, 6 settembre 1599); in cui si ordina che la causa contro
Giordano Bruno fosse definitivamente discussa il seguente giovedì (cioè giovedì 9
settembre 1599) sempre durante l’assemblea della Congregazione18.
12. Decreto della congregazione del Sant’Uffizio (Roma, 9 settembre 1599) minuta e
bella copia sommaria; verbale in cui si notifica come lo stesso Papa Clemente VIII
abbia ordinato di fissare la data ultima per l’abiura di Bruno sopra le sue
proposizioni eretiche19.
13. Decreto della congregazione del Sant’Uffizio (Roma, 16 settembre 1599) minuta;
verbale in cui si notifica la lettura durante l’assemblea dell’ultima dichiarazione
bruniana in cui lo stesso Giordano testimoniò di essere pronto ad abiurare le sue

14
Ibid., pagg. 309-310 (minuta); pagg. 310-311 (bella copia)
15
Ibid., pag. 310 (minuta), nota n.1
16
Ibid., pagg. 316-317
17
Ibid., pagg. 323-325
18
Ibid., pagg. 325-327
19
Ibid., pagg. 327-329 (minuta); pag. 329 (bella copia sommaria)

Pagina 52
proposizioni. Si legge inoltre come il memoriale del nolano indirizzato al Papa
fosse stato aperto, ma non letto20.
Abbiamo, inoltre, anche due testi inediti che sono stati integrati alla raccolta firpiana della
documentazione processuale di Bruno; ovvero scritti ritrovati e integrati da Quaglioni.
Questi due documenti sono:
1. Decreto della Congregazione del Sant’Uffizio (Roma, 8 febbraio 1600) minuta;
verbale in cui vi è l’elenco degli Inquisitori che ordinarono la sentenza contro
Giordano Bruno. In ordine, compaiono i cardinali inquisitori Madruzzo, Santa
Severina, Dezza, Pinelli, Ascolano, Sasso, Borghese, Arrigoni, Bellarmino.
Appaiono, inoltre, anche altri giudici come: il governatore di Roma Ferdinando
Taberna, il vescovo di Caserta Benedetto Mandina, il commissario generale del
Sant’Uffizio Alberto Tragagliolo, il padre generale dell’ordine dei Domenicani
Maria Ippolito, il padre dei Domenicani romani Pietro Millino, l’assessore del
Sant’Uffizio Marcello Filonardi, il commissario del Sant’Uffizio Francesco
Pietrasanta, il giurista e procuratore del Sant’Uffizio Giulio Monterenzio. Alla fine
dell’elenco compare anche il nome del notaio che aveva scritto il verbale, cioè
Flaminio Adriano21. Manca, però, il riferimento all’emissione della sentenza e al
rilascio di Bruno alla corte secolare del Governatore di Roma, come riportato nella
bella copia sommaria dello stesso documento edita da Domenico Berti22. Quaglioni,
infatti, nel riportare il documento ammette di aver riscontrato nel testo la mancanza
del decreto relativo a Bruno23.
2. La congregazione dell’Indice registra la condanna del Bruno (Roma, 8 febbraio
1600); verbale in cui si notifica la messa all’Indice e, quindi, la proibizione della
circolazione, stampa e lettura dei testi scritti da Bruno24.
Luigi Firpo e Diego Quaglioni, dunque, recuperarono molti documenti riguardo alla
fase romana della causa contro Bruno, cercando così di colmare la lacuna della
conoscenza dei verbali processuali romani originali (andati perduti). Ciò portò,
inevitabilmente, ad avere nuove e più precise informazioni sulla prigionia romana di
Giordano; in particolare sulle varie fasi del processo inquisitoriale stesso (i documenti,
infatti, sono perlopiù verbali della Congregazione). Nella redazione della sua opera –
racconta Quaglioni25 - Firpo tentò di recuperare con il massimo rigore filologico ogni
testimonianza autentica della vicenda processuale bruniana. Un lavoro, dunque,
filologicamente rigoroso e storiograficamente fondato; secondo il metodo caratteristico
di Firpo che consisteva nel lucido razionalismo della ricerca26. Stando
all’interpretazione dei documenti inediti, il torinese intravede nell’atteggiamento di
Bruno tra 1599 e 1600 la coerenza “umana e viva della lunga ed alterna disputa coi
giudici e più con se stesso. Non folle ostinazione, non petulanza di grafomane (!) si
20
Firpo (a cura di Quaglioni), Processo, pagg. 329-331
21
Ibid., pagg. 345-346
22
Berti, Giordano, pagg. 447-448
23
Firpo (a cura di Quaglioni), Processo, pag. 345 (nota al documento)
24
Ibid., pag. 346
25
Firpo (a cura di Quaglioni), Processo, Introduzione (Quaglioni), pag. XXI
26
Ibid., Introduzione (Quaglioni), pag. XXII

Pagina 53
rivela nel suo comportamento, ma volontà ferma di non lasciarsi soffocare, ansia di
farsi comprendere, parabola dolorosa dalla speranza, allo stupore, alla disperazione27”.
Firpo28 intendeva ridare umanità alla figura di Bruno; difendendola dagli attacchi
della parte cattolica (per cui il nolano era solo un apostata, fuggitivo, eretico e
impenitente) e dalla venerazione e l’uso strumentale della controparte anti-clericale
(per cui il filosofo era il simbolo della lotta contro l’istituzione ecclesiastica). Il Bruno
di Firpo, “per quanti […] nella libera ricerca riconoscono la più genuina vocazione
umana”, rimarrà “la vittima di un’intolleranza, la cui giustificazione non va oltre il
piano storico, l’assertore non già di opinioni filosofiche contingenti, ma del diritto
all’uomo di credere a ciò che pensa, non di pensare per forza quello cui altri vuol
ch’egli creda29”. Lo scrittore torinese, infine, si rese conto del profondo significato
della vicenda bruniana e, da storico imparziale, chiese ai detrattori e agli adulatori di
Bruno «che le rissose contumelie degli orecchianti, il loro sconsigliato zelo, non
turbino quel dibattito che ancora continua, dopo la sentenza ed il rogo, ovunque
autorità e libertà si contrappongono, in dialettica perenne, nella storia dell’uomo30”.
“Giordano ed i suoi giudici – conclude Firpo31 - restano così personificazioni di due
mondi antitetici, radicalmente inconciliabili oggi come allora”.

27
Firpo (a cura di Quaglioni), Processo, pag. 110
28
Ibid., pag. 112-114
29
Ibid., pagg. 114-115
30
Ibid., pag. 115
31
Ibid., pag. 115

Pagina 54
Capitolo 12 – Germano Maifreda e la direzione delle nuove ricerche
documentarie
Germano Maifreda, laureato in Storia Economica all’università di Verona (1999) dopo
aver conseguito quella in Lettere Moderne presso l’università di Milano (19941), insegna
Storia economica e sociale dell'età moderna e Storia dell'industria presso il Dipartimento di
Studi storici dell'Università degli Studi di Milano. Fa parte del comitato direttivo di varie
riviste storiche e del Consiglio d'indirizzo della Biblioteca «Raffaele Mattioli» per la storia
del pensiero economico. Tra i suoi lavori più recenti si ricordano From Oikonomia to
Political Economy. Constructing Economic Knowledge from the Renaissance to the
Scientific Revolution (Ashgate 2012), il manuale di storia per il triennio della scuola media
superiore Tempi moderni. Storia, cultura, immaginario (Pearson - Edizioni scolastiche
Bruno Mondadori 2012) e I denari dell'inquisitore. Affari e giustizia di fede nell'Italia
moderna (Einaudi 20142).
Ha scritto pure un’opera dal titolo Giordano Bruno e Celestino da Verona: un incontro
fatale3 che tratta di nuovi documenti emersi riguardo il processo di Giordano Bruno. Già
nell’introduzione al suo libro4, l’autore riporta la notizia di nuovi documenti inediti che
riguardano il cappuccino fra Celestino da Verona, uno dei maggiori accusatori del nolano.
Partendo, dunque, da documenti editi (perlopiù si basa su quelli di Firpo5) e inediti
(ritrovati presso la Stanza Storica del Fondo Sant’Officio dell’Archivio della
Congregazione per la Dottrina della Fede6), Maifreda sottolinea l’importanza della figura
del veronese all’interno del processo bruniano. I documenti inediti sono:
1. Decreto del Sant’Uffizio riguardante fra Celestino da Verona (12 settembre 1586);
in cui si dà notizia che il frate, figlio di Lattanzio Arrigoni di Verona, fu processato
dall'inquisizione romana insieme ai confratelli fra Michele da Giovanpietro da
Tarvisio e Pastore Novalis da Vibo Vicentina per un sospetto d’eresia7. La relativa
abiura dei tre imputati avvenne nel 17 febbraio 15878. Il decreto, poi, prosegue con
alcune notizie riguardo Celestino: la detenzione presso il monastero di S.
Bonaventura di Roma e la successiva convocazione davanti alla Congregazione per
essere poi inviato nelle prigioni del Sant’Uffizio9.
Questo decreto dimostra, secondo Maifreda, che il problema dell’eterodossia di Celestino
avesse compromesso il rapporto tra il frate e i suoi superiori che è una “cifra distintiva

1
http://www.unimi.it/chiedove/cv/ENG/germano_maifreda.pdf
2
http://www.einaudi.it/libri/autore/maifreda-germano/0010234/M
3
Germano Maifreda, Giordano Bruno e Celestino da Verona: un incontro fatale, Edizioni della Normale,
Pisa, 2016
4
Ibid., pag. 12
5
Firpo (a cura di Quaglioni), Processo
6
Maifreda, Celestino, pag. 220, nota n. 118
7
Ibid., pag. 76-77
8
Ibid., pag. 77
9
Ibid., pag. 77

Pagina 55
dell’accidentato percorso esistenziale del veronese, intessuto di ingressi e uscite da carceri
conventuali e inquisitoriali10”.
2. Visita dei carcerati nel Sant’Uffizio romano (23 dicembre 1586); in cui gli
Inquisitori, dopo aver sentito le necessità di Celestino, decretarono di interrogare
l’imputato e metterlo a confronto con gli altri due suoi confratelli11 incarcerati lo
stesso giorno insieme al veronese.
3. Decreto del Sant’Uffizio romano (9 gennaio 1587); in cui si notifica la tortura
erogata (somministrata?) ai tre imputati12.
4. Sentenza del Sant’Uffizio romano (9 febbraio 1587); in cui gli inquisitori (tra cui
Santa Severina) condannarono i tre imputati all’abiura dopo aver esaminato gli atti
processuali e i verbali degli interrogatori sotto tortura del solo fra Celestino13. La
confessione strappata al veronese “dovette perciò rivelarsi risolutiva14”.
Maifreda, riprendendo Mercati15, conferma che Celestino fu incarcerato insieme a Bruno a
Venezia tra 1592 e 159316. L’anno della carcerazione nelle prigioni venete di Celestino,
così come quella della sua liberazione, non erano però noti né erano mai stati accertati
prima di Maifreda. Lo stesso autore, sulla base di tre documenti editi da Firpo 17, ipotizza
l’entrata nelle carceri del veronese tra il settembre 1592 e settembre 1593. Stando dunque a
questa proposta di datazione, la detenzione sarebbe stata di almeno un anno: “durata
consistente per un processo inquisitoriale – spiega Maifreda18 – che segnala
inequivocabilmente l’emersione di gravi indizi a carico del frate già trovato eretico nel
1586”. Celestino fu inoltre sottoposto a tortura durante il suo processo: ciò confermerebbe
la gravità delle accuse pur sapendo che, alla fine della causa, lo stesso frate fu assolto e
liberato19. Il documento che tratta della tortura di Celestino, ovvero quello di Firpo20, fu
edito solo parzialmente; Maifreda lo pubblica, invece, integralmente:
5. Decreto del Santo Uffizio romano (8 settembre 1593); in cui la parte inedita
comprende la sentenza nei confronti di Celestino. Sulla sentenza si pronunciò il
cardinale Santa Severina stabilendo il confinamento del reo presso il convento di
Colpersito a San Severino Marche21.
Da questo estratto inedito, si ricavano due circostanze importanti: la sentenza stranamente
moderata nei confronti del frate (che venne giudicato eretico relapso e condannato al
confinamento in un convento, quando normalmente la pena per i relapsi era il rogo), e il
fatto che la sentenza fosse firmata soltanto dal cardinale di S. Severina (e non dall’intera
Congregazione). “La ragione di questa decisione è ignota. È tuttavia difficile esimersi dal

10
Ibid., pag. 78
11
Ibid., pag. 78
12
Ibid., pag. 78
13
Ibid., pag. 78
14
Ibid., pag. 78
15
Mercati, Sommario
16
Ibid., pag. 87
17
Firpo (a cura di Quaglioni), Processo, pag. 263; pag. 126, nota n. 4; pag. 140 (Postilla)
18
Maifreda, Celestino, pag. 89
19
Ibid., pagg. 88-89
20
Firpo (a cura di Quaglioni), Processo, pag. 126, nota n. 4
21
Maifreda, Celestino, pag. 90

Pagina 56
sospettare che sia esistito un legame tra la liberazione di Celestino – commenta Maifreda –
e il fatto che questi si apprestasse, in quelle stesse settimane se accettiamo la datazione
firpiana, a porre per iscritto le sue velenose, decisive accuse contro il nolano22”. A questo
punto appare un nuovo documento inedito:
6. Decreto della Congregazione del Sant’Uffizio (2 settembre 1592); in cui
sostanzialmente si decide di chiedere All’Inquisizione veneziana di riesaminare i
testimoni del processo di Celestino (secondo procedure eccezionali) e si ordina di
liberare lo stesso frate dalla carcerazione per potergli permettere di recarsi a Roma
presso il Sant’Uffizio (trasferimento senza scorta)23.
Tale decreto, nelle parole di Maifreda, “rende del tutto evidente come tra i vertici della
Congregazione e Celestino da Verona esistesse, già nel 1592, un’inusitata relazione di
favore e di fiducia. Garante di quel rapporto fu […] il cardinale di Santa Severina, non solo
in quanto inquisitore appartenente alla Suprema ma anche come protettore dei cappuccini 24
[ordine di cui Celestino faceva parte]”. In seguito, l’autore dichiara di aver proceduto con
l’analisi delle vicende del frate a partire dalla documentazione degli Annali manoscritti
dell’Archivio provinciale dei cappuccini veneti di Venezia-Mestre (a cui mancava la
documentazione relativa al periodo 1594-1601 a causa di un incendio25). Un documento
inedito rinvenuto da Maifreda è il seguente:
7. Verbale (4 luglio 1592); in cui si notifica la carcerazione presso le prigioni
inquisitoriali di Venezia del frate Celestino26.
Considerando la presenza di Giordano nello stesso carcere, il momento di stallo che il
processo bruniano viveva e le successive accuse mossegli contro dal veronese, è lecito
supporre che proprio Celestino produsse la svolta decisiva all’interno del processo27. Altri
scritti inediti, sempre provenienti dagli Annali dei cappuccini di Venezia-Mestre e
riguardanti il frate , sono:
8. Verbale (29 luglio 1593); in cui si registra come Celestino, dopo essere stato
scarcerato dalla prigionia veneziana, fosse imprigionato a Verona28.
9. Verbale (18 settembre 1593); in cui si registra l’uscita dal carcere veronese
(definito stavolta “carcere del Sant’Officio dell’Inquisizione”) e il suo
trasferimento a San Severino Marche29.
10. Verbale (24 ottobre 1593); in cui si notifica l’aver posto nelle carceri inquisitoriali
veneziane fra Celestino30.
A partire da questi nuovi documenti, Maifreda rifiuta l’emendamento operato da Firpo
nella Postilla31 che cambia Veronensis con Venetiarum; quest’ultimo autore, infatti,

22
Maifreda, Celestino, pagg. 90-92
23
Ibid., pagg. 92-93
24
Ibid., pag. 93
25
Ibid., pag. 96
26
Ibid., pag. 97
27
Ibid., pag. 97
28
Ibid., pagg. 104-105
29
Ibid., pag. 105
30
Maifreda, Celestino, pag. 105
31
Firpo (a cura di Quaglioni), Processo, pag. 140 (Postilla)

Pagina 57
riteneva che fosse stato uno sbaglio del notaio (Celestino era stato incarcerato a Roma e a
Venezia, Firpo non aveva ritenuto possibile una prigionia del cappuccino a Verona32).
Emerge, nei documenti, come la figura di Celestino sia quella di una spia al servizio
dell’Inquisizione; una spia che, ricattata sotto la minaccia di una condanna a morte per
eresia, ricevette trattamenti di favore in cambio di informazioni utili durante il processo o,
comunque, fu collaboratore dell’Inquisizione (cosa che lo stesso Maifreda reputa una
prassi diffusa al tempo33). Le vicende di Celestino tra il 1599 e la sua esecuzione nella
notte tra 15 e 16 febbraio 1600 sono note. Il 6 maggio 1599, il frate inviò da San Severino
Marche una richiesta al Sant’Uffizio di presentarsi davanti alla Congregazione e fu,
dunque, convocato in pochi giorni. Il 20 giugno 1599 spedì una lettera anonima
all’Inquisizione veneziana: lettera che fu aperta l’8 luglio e successivamente disposta a
perizia grafica. Il 9 e l’11 luglio Celestino subì due interrogatori da parte della
Congregazione: la stessa che il 24 agosto 1599 sottoscrisse la sentenza capitale nei
confronti del frate cappuccino (sentenza già stilata da Clemente VIII il 5 agosto). La notte
tra il 15 e il 16 febbraio 1600 fu infine eseguita la sua condanna a morte 34. Riguardo queste
notizie, Maifreda controbatte a “queste scansioni temporali [che] sono del tutto
inconciliabili con ciò che sappiamo dello stile e delle procedure ordinarie adottate dai
tribunali dell’Inquisizione romana35” affermando come la Congregazione non avesse
sufficiente tempo per istruire un processo ex novo nei confronti di Celestino tra luglio e
agosto 1599, come la sentenza non fosse conciliabile con un esito postumo del processo
veneziano a carico del frate (causa del 1592) e come la sentenza non potesse basarsi sulle
deposizioni del veronese rilasciate alla Congregazione tra 9 e 11 luglio 159936.
Riguardo al caso di Celestino da Verona, restano però ancora inspiegabili alcune
vicende; Maifreda ammette di non comprendere perché il frate sia prima ritornato a Roma
per farsi udire (maggio 1599), perché abbia inviato una lettera all’Inquisizione veneziana
poco tempo prima di andare a deporre proprio a Roma, il motivo della rapidità del processo
e della sentenza tra luglio e agosto 1599 adottata dal Papa e dalla Congregazione e perché
fu occultata la sua presenza all’interno delle prigioni romane dell’Inquisizione prima di
venire condotto e giustiziato in Campo dei Fiori senza il rilascio del reo alla Corte
secolare37.
Maifreda, nell’Epilogo38 della sua opera, decide fornire un’ipotesi interpretativa al caos
attorno alla personalità di Celestino. Riporta la notizia per cui il frate, stando ai registri
contabili del Sant’Uffizio, nel settembre 1599 fu nutrito solo tredici giorni; notizia che
alimenterebbe il sospetto di un suo rilascio39. Riporta poi come il 15 settembre il
prigioniero fosse stato prelevato dal Tribunale del governatore e perciò, se ci fu uno
scambio di persone, avvenne probabilmente proprio in quei giorni all’interno della prigione

32
Maifreda, Celestino, pag. 106
33
Ibid., pag. 116
34
Ibid., pagg. 137-138
35
Ibid., pag. 138
36
Ibid., pag. 138-139
37
Ibid., pag. 144
38
Ibid., pagg. 201-210
39
Maifreda, Celestino, pag. 202

Pagina 58
del Sant’Uffizio (dove la Congregazione avrebbe potuto procedere con facilità e
discrezione40). L’autore riporta, inoltre, come sulla figura di Celestino da Verona si
concentrassero gli interessi della Congregazione e, probabilmente, della famiglia Arrigoni
(da cui il frate proveniva) contrapposti invece al Papa che si era deciso a ucciderlo in tempi
rapidi (anche scavalcando le normali procedure giudiziarie e, probabilmente, stendendo
una scrittura apocrifa da impugnare contro Celestino) proprio per il coinvolgimento del
frate con alti esponenti dell’Inquisizione e per il suo delicato e segreto ruolo all’interno del
caso Bruno41. Lo stesso nolano, essendosi ritrovato nuovamente il veronese come
concarcerato nelle prigioni romane sul finire del 1599, forse capì la situazione e, non a
caso, decise di rivolgere due suoi memoriali (gli ultimi due) al Papa in questo frangente; il
primo memoriale fu aperto, letto per poche righe e poi richiuso (assemblea della
Congregazione del 16 settembre 1599) e il secondo invece aperto e poi immediatamente
richiuso (assemblea della Congregazione del 20 gennaio 1600 42). Su questo aspetto
l’autore stesso ipotizza come i due memoriali, contenendo probabilmente informazioni che
non dovevano essere conosciute al Papa, non furono letti dietro decisione della stessa
Congregazione43.
A conclusione di questo lungo ragionamento, Maifreda teorizza la liberazione di
Celestino da Verona travestito in abiti secolari e l’invio al patibolo di una sua controfigura.
Un avvenimento che avrebbe contribuito alla resa di Bruno e alla sua esecuzione; il
filosofo avrebbe probabilmente capito che stava giocando una partita in cui non poteva
uscirne vincitore e dunque avrebbe deciso di arrendersi dopo una dura e impari lotta durata
quasi dieci anni.

40
Ibid., pag. 202
41
Ibid., pag. 203-204
42
Ibid., pag. 208-209
43
Ibid., pag. 208

Pagina 59
Conclusione
Può essere significativo, come conclusione di questa tesi, ripercorrere le vicende che
portarono all'erezione di una statua dedicata a Giordano Bruno a campo de' Fiori, a Roma,
nel 1889. L’idea era nata nel 1876 da parte di un gruppo di studenti dell’università della
Sapienza di Roma che, avendo letto la prima edizione del Giordano Bruno di Berti del
18681, decise di istituire un comitato per la costruzione del monumento2. A partire
dall’interpretazione della figura del nolano data da Berti nella sua opera, il comitato di
studenti reinterpretò la personalità del filosofo aggiungendovi le caratteristiche del martire
e del difensore del libero pensiero “in modo da trasformare la sua figura storica in
strumento di lotta politica3”. Nel 1880 il nome di Bruno era diventato ormai il simbolo
della lotta anticlericale e anticattolica da parte delle fazioni laiche4.
Con il passare del tempo, Giordano era stato cioè trasfigurato in martire della libertà del
popolo italiano, mentre si procedeva alla raccolta di fondi per la statua 5. Finalmente, il 9
giugno 1889 fu inaugurata la statua di Giordano Bruno in Campo dei Fiori, dopo anni di
raccolta di firme e denaro per la sua realizzazione. Le varie proteste e battaglie che si erano
susseguite riguardo a quel monumento, però, non finirono con la sua inaugurazione
ufficiale. Pochi anni dopo l’uscita della Vita di Spampanato6, con i Patti Lateranensi
stipulati tra Stato della Chiesa e l’Italia fascista del 1929, si riaprì la discussione riguardo
alla stratua tanto che alcuni esponenti ecclesiastici ne chiesero addirittura l’abbattimento7;
cosa che infine non fu attuata. Con l’accordo Chiesa-Stato, Bruno era infatti ritornato a
essere una figura scomoda che però fu sempre protetta dai maggiori esponenti del potere
statale8.
La battaglia si riaprì nel 1942 con la pubblicazione del Sommario di Mercati9. Stavolta,
infatti, la parte cattolica si trovava in vantaggio rispetto a quella laica e l’eco dell’opera e
della figura di Bruno delineata dall’autore ebbe una vasta eco nel mondo ecclesiastico e
anche in ambienti laici. Insomma, il nolano fu descritto come “laido, incostante,adulatore
di tiranni, forcaiolo, scrittore osceno, donnaiolo, bestemmiatore10”.
La figura del nolano, insomma continuò e continua tutt’oggi a dividere le opinioni;
riguardo alla sua vicenda processuale, comunque, possediamo una ricostruzione attendibile
e meno viziata da punti di vista ideologici, attenta soprattutto alle evidenze documentarie

1
Domenico Berti, Giordano Bruno da Nola, sua vita e sua dottrina, Paravia, Torino-Roma-Milano-Firenze,
1868 (prima edizione)
2
Bucciantini, Campo, pag. 37
3
Ibid,. pag. 60
4
Ibid., pag. 110
5
Ibid., pag. 206
6
Vincenzo Spampanato, Vita di Giordano Bruno, Principato, 1921
7
Bucciantini, Campo, pag. 298
8
Ibid., pagg. 298-99
9
Angelo Mercati, Il sommario del processo di Giordano Bruno, con appendice di documenti sull’eresia e
sull’Inquisizione a Modena nel secolo XVI, Città del Vaticano, 1942
10
Bucciantini, Campo, pag. 305

Pagina 60
superstiti, opera di Luigi Firpo11. Anche per Firpo, in ogni caso, Giordano Bruno era stato
vittima dell’intolleranza nei confronti della libertà di pensiero 12.
A conclusione di questo lungo discorso, bisogna ancora ricordare che egli fu una delle
figure più controverse di tutto il XVI secolo. Bruno infatti divise, divide e continuerà a
dividere le opinioni tra estimatori e detrattori poiché, partendo già dal punto di vista della
personalità, fu un esempio di ribelle insofferente ai dogmi religiosi, coraggioso nel
sostenere le sue teorie e idee, risoluto nelle sue azioni e diretto nel parlare. Non scese quasi
mai a patti con nessuno, anche se, di fronte ai giudici che minacciavano di condannarlo a
morte, si disse disposto ad abiurare (cosa che poi non fece). La sua condotta e condanna
come eretico e apostata ha, purtroppo, spostato il focus della questione bruniana nel corso
del tempo. Non bisogna, infatti, farsi troppo influenzare da questo particolare aspetto nel
giudicare Bruno. Egli fu prima di tutto uno scrittore e poeta arguto, come lo stesso
Friedrich Nietzsche riferì in una lettera a un suo conoscente “queste poesie di Giordano
Bruno sono un regalo di cui le sono grato con tutto il cuore. Mi sono permesso di
appropriarmele come se le avessi scritte io e per me – e le ho prese come gocce
corroboranti. Se lei sapesse quanto raramente mi viene ancora qualcosa di corroborante
dall'esterno13”. Non va, inoltre, dimenticato il suo ruolo all’interno della scienza (che
proprio in quel periodo andava formandosi) grazie alle sue teorie astronomiche; infatti
secondo Margherita Hack “la moderna astronomia dimostra quanto vere fossero le sue
intuizioni14”. Come filosofo è considerato, usando le parole di Giovanni Gentile, “la
conchiusione logica di tutto il Rinascimento, benché abbia dovuto attendere più di due
secoli che fosse apprezzato il suo valore15”. Bruno, infatti, riuscì a racchiudere le varie
dottrine di Niccolò Cusano, Giovanni Pico della Mirandola, Bernardino Telesio, Erasmo da
Rotterdam, Marsilio Ficino e in generale di tutta la filosofia neoplatonica e anti-
aristoteliana dei suoi tempi. Cosa che fece con originalità, aggiungendo anche aspetti
magico-esoteri al suo pensiero avendo ripreso le opere e il pensiero di Raimondo Lullo. Fu,
dunque, un intellettuale di ampio respiro che “avea la visione intellettiva, o, come dicono,
l'intuito, facoltà che può esser negata solo da quelli che ne son senza, e avea
sviluppatissima la facoltà sintetica, cioè quel guardar le cose dalle somme altezze e cercare
l'uno nel differente16” secondo le parole di Francesco De Sanctis.
Spostando il discorso sul tema dei documenti processuali, invece, risultano molto
difficili nuove ricerche in grado di svelare nuove carte che potrebbero dare una lettura
diversa o comunque stravolgente rispetto a quelle già conosciute. La documentazione
tuttora disponibile è, secondo me, quasi del tutto completa anche se, nelle sue ipotetiche
mancanze, magari potrebbe portare a formulare nuove ipotesi riguardo ai punti più oscuri
della vicenda bruniana piuttosto che dare una nuova lettura alle vicende e alla figura del
nolano. Ad esempio, questi scritti potrebbero trattare le motivazioni che hanno spinto il

11
Luigi Firpo (a cura di Diego Quaglioni), Il processo di Giordano Bruno, Salerno editrice, Roma 1993
12
Bucciantini, Campo, pag. 312
13
https://it.wikiquote.org/wiki/Giordano_Bruno/Citazioni_su_Giordano_Bruno
14
https://it.wikiquote.org/wiki/Giordano_Bruno/Citazioni_su_Giordano_Bruno
15
https://it.wikiquote.org/wiki/Giordano_Bruno/Citazioni_su_Giordano_Bruno
16
https://it.wikiquote.org/wiki/Giordano_Bruno/Citazioni_su_Giordano_Bruno

Pagina 61
filosofo al ritorno in Italia nel 1591, oppure l’importanza della figura di Celestino da
Verona che, secondo l’interpretazione esposta nell’opera di Maifreda17, fu quella di
collaborare con l’Inquisizione per la causa intentata contro il nolano18.
L’originale incartamento del processo romano, purtroppo, è andato definitivamente
distrutto19; sarebbe stata, infatti, la documentazione più importante riguardo a Bruno e
avrebbe permesso una conoscenza molto ben approfondita della prigionia romana e della
relativa vicenda giudiziaria.
Detto ciò, a conclusione di questa lunga introduzione ci tengo anche a sottolineare che,
qualsiasi sia il giudizio finale assegnato a una personalità così poliedrica, geniale e di
difficile interpretazione, va assolutamente ricordato l’uomo Giordano Bruno; un uomo in
carne e ossa che si è sacrificato per non dover rinnegare il suo spirito e i suoi ideali.
Insomma, secondo le parole di uno scrittore contemporaneo, “dimentichiamo troppo spesso
che gli uomini sono fatti di carne […]. È dall'infanzia che i maestri ci parlano di martiri,
che diedero esempi di civiltà e di morale a loro spese, ma non ci dicono quanto doloroso fu
il martirio, la tortura. Tutto rimane in astratto, filtrato come se guardassimo, a Roma, la
scena attraverso spesse pareti di vetro che ammortizzano i suoni, e le immagini perdessero
la violenza del gesto per opera, grazia e potere di rifrazione. E allora possiamo dirci
tranquillamente l'un l'altro che Giordano Bruno fu bruciato. Se gridò, non lo sentiamo. E se
non lo sentiamo, dove sta il dolore? Ma gridò, amici miei. E continua a gridare20”.

Grazie,
Andrea Antonelli.

17
Germano Maifreda, Giordano Bruno e Celestino da Verona: un incontro fatale, Edizioni della Normale,
Pisa, 2016
18
Maifreda, Incontro, pagg. 183-185
19
Ibid., pag. 6
20
José Saramago, riportato in https://it.wikiquote.org/wiki/Giordano_Bruno/Citazioni_su_Giordano_Bruno

Pagina 62
Bibliografia
Opere:

- Domenico Berti, Giordano Bruno da Nola, sua vita e sua dottrina, Paravia, Torino-
Roma-Milano-Firenze, 1889 (prima edizione 1868)
- Massimo Bucciantini, Campo dei Fiori: storia di un monumento maledetto,
Einaudi, Torino, 2015 (prima edizione)
- Enrico Carusi, Nuovi documenti del processo di Giordano Bruno, edito in
“Giornale critico della filosofia italiana”, VI 1925
- Michele Ciliberto, Giordano Bruno, Gius, Editori Laterza, 1990 (prima edizione)
- Guido del Giudice, Io dirò la verità: Intervista a Giordano Bruno, Di Renzo
Editore, Roma, 2012
- Luigi Firpo (a cura di Diego Quaglioni), Il processo di Giordano Bruno, Salerno
editrice, Roma 1998 (seconda edizione, 1993)
- Giovanni Gentile, Giordano Bruno e il pensiero del Rinascimento, Le Lettere,
Firenze, 1991 (prima ed. 1920)
- Germano Maifreda, Giordano Bruno e Celestino da Verona: un incontro fatale,
Edizioni della Normale, Pisa, 2016
- Angelo Mercati, Il sommario del processo di Giordano Bruno, con appendice di
documenti sull’eresia e sull’Inquisizione a Modena nel secolo XVI, Città del
Vaticano, 1942
- Vincenzo Spampanato, Vita di Giordano Bruno, Principato, 1921 (prima edizione)
- Vincenzo Spampanato (a cura di Gentile), Documenti della vita di Giordano
Bruno, Olschki, Firenze, 1933

Siti web:

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- https://it.wikipedia.org/wiki/Filosofia_rinascimentale#Vitalismo_cosmico
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- http://www.treccani.it/enciclopedia/angelo-mercati_(Dizionario-Biografico)/
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- https://it.wikiquote.org/wiki/Giordano_Bruno/Citazioni_su_Giordano_Bruno
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- http://www.unimi.it/chiedove/cv/ENG/germano_maifreda.pdf
- http://www.einaudi.it/libri/autore/maifreda-germano/0010234/M

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