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Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi

05/01/2012
Immersi in Dio, amati per sempre
Battesimo del Signore Anno B
In quel tempo, Giovanni proclamava: Viene dopo di me colui che pi forte di me: io
non sono degno di chinarmi per slegare i lacci dei suoi sandali. Io vi ho battezzato con
acqua, ma egli vi battezzer in Spirito Santo. Ed ecco, in quei giorni, Ges venne da
Nzaret di Galilea e fu battezzato nel Giordano da Giovanni. E, subito, uscendo dall'acqua,
vide squarciarsi i cieli e lo Spirito discendere verso di lui come una colomba. E venne una
voce dal cielo: Tu sei il Figlio mio, l'amato: in te ho posto il mio compiacimento.
Il racconto del Giordano ci riporta alla genesi, quando la Bibbia prende avvio con una
immagine d'acqua: in principio... lo spirito di Dio aleggiava sulle acque (Gen 1,2) come un
grande uccello in cova su di un mare gonfio di vita inespressa. L'origine del creato scritta
sull'acqua. Allo stesso modo anche la vita di ognuno di noi ha inizio nelle acque di un
grembo materno. Essere immersi di nuovo nell'acqua come esserlo nell'origine, il
battesimo parla di nascita, come fa la voce dal cielo che scende su Ges: tu sei mio Figlio.
Voce che anche per me; voce in cui brucia il cuore ardente del cristianesimo: io sono
figlio; il mio nome : amato per sempre. Io ho una sorgente nel cielo, che si prende cura di
me come nessun altro al mondo. E nasco della specie di Dio, perch Dio genera figli
secondo la propria specie. In te ho posto il mio compiacimento. Una parola inusuale, la cui
radice porta una dichiarazione d'amore gioioso verso ciascuno: mio compiacimento
significa: tu mi piaci!
Una definizione della grazia di Dio: prima che tu faccia qualsiasi cosa, come sei, per quello
sei, tu mi dai gioia. Prima che io risponda, prima che io sia buono o no, senz'altro motivo
che la gratuit di Dio, perch la grazia grazia e non calcolo o merito o guadagno, la Voce
ripete ad ognuno: io ti amo. Ges vide squarciarsi i cieli e lo Spirito discendere come una
colomba. Noto la bellezza del particolare: il cielo si squarci, si lacer, si strapp. Come
un segno di speranza si stende sull'umanit questo cielo aperto, aperto per sempre, e non
chiuso come una cappa minacciosa e pesante. Aperto come si aprono le braccia all'amico,
all'amato, al povero: c' comunicazione tra terra e cielo.
Da questo cielo aperto e non pi muto viene come colomba lo Spirito, cio la vita stessa di
Dio. Si posa su di te, ti avvolge, entra dentro, a poco a poco ti modella, ti trasforma
pensieri, affetti, speranze secondo la legge dolce, esigente, rasserenante del vero amore.
Battesimo significa etimologicamente: immersione. Il battezzato uno immerso in Dio.
Adesso, in questo momento immerso; in ogni momento, in ogni giorno immerso in Dio,
come nel mio ambiente vitale, dentro una sorgente che non viene meno, dentro un grembo
che nutre, fa crescere, riscalda e protegge. E fa nascere. Io nella sua vita e Lui nella mia
vita. Come donna gravida di una vita nuova, io vivo due vite, la mia e quella di Dio. Sono
uno e due al tempo stesso. Ormai indissolubile da me Dio, io non pi separato da Lui.
Nel Battesimo il movimento del Natale che si ripete: Dio scende ancora, entra in me,
nasce in me perch io nasca in Dio; perch nasca nuovo e diverso, con in me il respiro del
cielo.
(Letture: Isaia 55,1-11; Salmo: Isaia 12,2-6; 1 Giovanni 5,1-9; Marco 1,7-11).

12/01/2012
Trovare la chiave del cuore
II Domenica Tempo ordinario Anno B
In quel tempo, Giovanni (...) disse: Ecco lagnello di Dio!. E i suoi due discepoli,
sentendolo parlare cos, seguirono Ges. Ges allora si volt e, osservando che essi lo
seguivano, disse loro: Che cosa cercate?. Gli risposero: Rabbi - che, tradotto, significa
maestro -, dove dimori?. Disse loro: Venite e vedrete. Andarono dunque e videro dove
egli dimorava e quel giorno rimasero con lui (...). Uno dei due che avevano udito le parole
di Giovanni e lo avevano seguito, era Andrea (...). Egli incontr per primo suo fratello
Simone e gli disse: Abbiamo trovato il Messia - che si traduce Cristo - e lo condusse da
Ges. Fissando lo sguardo su di lui, Ges disse: Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; sarai
chiamato Cefa, che significa Pietro.
Un Vangelo che profuma di libert, di spazi e cuori aperti: Giovanni indica un altro cui
guardare, e si ritrae; due discepoli lasciano il vecchio maestro e si mettono in cammino per
sentieri sconosciuti dietro a un giovane rabbi di cui ignorano tutto, eccetto una immagine,
una metafora folgorante: ecco, lagnello di Dio! Ecco lanimale dei sacrifici, lultimo nato
del gregge che viene immolato presso gli altari, ecco lultimo ucciso perch nessuno sia
pi ucciso. Ma nelle parole di Giovanni sta anche la novit assoluta, il capovolgimento
totale del nostro rapporto con Dio. In tutte le religioni il sacrificio consiste nelloffrire
qualcosa (un animale, del denaro, una rinuncia...) al dio per ottenere in cambio il suo
favore. Con Ges questo contratto religioso svuotato: Dio non chiede pi sacrifici, ora
Lui che viene e si fa agnello, vale a dire sacrifica se stesso; Ges non prende nulla, dona
tutto.
Ges si volt e disse loro: che cosa cercate? Sono le sue prime parole nel Vangelo di
Giovanni. Le prime parole del Risorto saranno del tutto simili: Donna, chi cerchi?
Cosa cercate? Chi cerchi? Due domande, un unico verbo, dove troviamo la definizione
stessa delluomo: luomo un essere di ricerca, con un punto di domanda piantato nel
cuore, cercatore mai arreso. La Parola di Dio ci educa alla fede attraverso le domande del
cuore. Prima di correre a cercare risposte vivi bene le tue domande (Rilke). La prima
cosa che Ges chiede non di aderire ad una dottrina, di osservare i comandamenti o di
pregare, ma di rientrare in se stessi, di conoscere il desiderio profondo: che cosa desideri di
pi dalla vita?
Scrive san Giovanni Crisostomo: trova la chiave del cuore. Questa chiave, lo vedrai, apre
anche la porta del Regno. Ges, maestro del desiderio, fa capire che a noi manca
qualcosa, che la ricerca nasce da una povert, da una assenza che arde dentro: che cosa ti
manca? Salute, denaro, speranza, tempo per vivere, amore, senso alla vita, le opportunit
per dare il meglio di me? Ti manca la pace dentro? Rivolge quella domanda a noi, ricchi di
cose, per insegnarci desideri pi alti delle cose, e a non accontentarci di solo pane, di solo
benessere. Tutto intorno a noi grida: accontentati! Invece il Vangelo ripete la beatitudine
dimenticata: Beati gli insoddisfatti perch saranno cercatori di tesori. Beati voi che avete
fame e sete, perch diventerete mercanti della perla preziosa.
Maestro, dove dimori? La richiesta di una casa, di un luogo dove sentirsi tranquilli, al
sicuro. La risposta di Ges ad ogni discepolo sempre: vieni e vedrai. Vedrai che il mio
cuore a casa solo accanto al tuo.
(Letture: 1 Samuele 3,3b-10.19; Salmo 39; 1 Corinzi 6, 13c-15, 17-20; Giovanni 1,35-42)

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l Vangelo A cura di Ermes Ronchi
19/01/2012
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Convertirsi girarsi verso la Luce


III domenica Tempo ordinario Anno B
Dopo che Giovanni fu arrestato, Ges and nella Galilea, proclamando il Vangelo di Dio, e
diceva: Il tempo compiuto e il regno di Dio vicino; convertitevi e credete nel
Vangelo. Passando lungo il mare di Galilea, vide Simone e Andrea, fratello di Simone,
mentre gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. Ges disse loro: Venite dietro a
me, vi far diventare pescatori di uomini (...)
Siamo al momento fresco, sorgivo del Vangelo. C' una bella notizia che inizia a correre
per la Galilea ed questa: il tempo compiuto, il regno di Dio qui. Il tempo compiuto,
come quando si compiono per una donna i giorni del parto. E nasce, viene alla luce il
Regno di Dio. Ges non spiega il Regno, lo mostra con il suo primo agire: libera, guarisce,
perdona, toglie barriere, ridona pienezza di relazione a tutti, anche a quelli marchiati
dall'esclusione. Il Regno guarigione dal male di vivere, fioritura della vita in tutte le sue
forme. A questo movimento discendente, di pura grazia, Ges chiede una risposta:
convertitevi e credete nel Vangelo. Immagino la conversione come il moto del girasole, che
alza la corolla ogni mattino all'arrivo del sole, che si muove verso la luce: giratevi verso
la luce perch la luce gi qui. Credere nel Vangelo un atto che posso compiere ogni
mattino, ad ogni risveglio. Fare memoria di una bella notizia: Dio pi vicino oggi di ieri,
all'opera nel mondo, lo sta trasformando. E costruire la giornata non tenendo gli occhi
bassi, chini sui problemi da affrontare, ma alzando il capo, sollevandolo verso la luce,
verso il Signore che dice: sono con te, non ti lascio pi, ti voglio bene.
Credete nel Vangelo. Non al Vangelo ma nel Vangelo. Non solo ritenerlo vero, ma entrate e
buttarsi dentro, costruirvi sopra la vita, con una fiducia che non dar pi a nient'altro e a
nessun altro. Camminando lungo il mare di Galilea, Ges vide Ges vede Simone e in
lui intuisce la Roccia. Vede Giovanni e in lui indovina il discepolo dalle pi belle parole
d'amore. Un giorno guarder l'adultera e in lei vedr la donna capace di amare bene. Il suo
sguardo creatore. Il maestro guarda anche me, e nonostante i miei inverni vede grano che
germina, una generosit che non sapevo di avere, capacit che non conoscevo. la totale
fiducia di chi contempla le stelle prima ancora che sorgano. Seguitemi, venite dietro a me.
Non si dilunga in spiegazioni o motivazioni, perch il motivo lui, che ti mette il Regno
appena nato fra le mani. E lo dice con una frase inedita, un po' illogica: Vi far pescatori di
uomini. Come se dicesse: vi far cercatori di tesori.
Mio e vostro tesoro l'uomo. Li tirerete fuori dall'oscurit, come pesci da sotto la
superficie delle acque, come neonati dalle acque materne, come tesoro dissepolto dal
campo. Li porterete dalla vita sommersa alla vita nel sole. Mostrerete che l'uomo, pur con
la sua pesantezza, fatto per un'altra respirazione, un'altra aria, un'altra luce. Venite dietro
a me, andate verso gli uomini. Avere passione per Cristo, che passa e si lascia dietro larghi
sorsi di vita; avere passione per l'uomo e dilatare gli spazi che respira.

(Letture: Giona 3, 1-5.10; Salmo 24/25; 1 Corinzi 7, 29-31; Marco 1, 14-20)


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Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi
26/01/2012
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Il Signore venuto a liberare l'uomo


IV domenica Tempo Ordinario - Anno B
In quel tempo, Ges, entrato di sabato nella sinagoga, [a Cafrnao,] insegnava. (...). Ed
ecco, nella loro sinagoga vi era un uomo posseduto da uno spirito impuro e cominci a
gridare, dicendo: Che vuoi da noi, Ges Nazareno? Sei venuto a rovinarci? Io so chi tu
sei: il santo di Dio!. E Ges gli ordin severamente: Taci! Esci da lui!. E lo spirito
impuro, straziandolo e gridando forte, usc da lui. Tutti furono presi da timore, tanto che si
chiedevano a vicenda: Che mai questo? Un insegnamento nuovo, dato con autorit.
Comanda persino agli spiriti impuri e gli obbediscono!. La sua fama si diffuse subito
dovunque, in tutta la regione della Galilea.
Questo Vangelo ci riporta la freschezza della sorgente, lo stupore e la freschezza
dell'origine: la gente si stupiva del suo insegnamento. Come la gente di Cafarnao, anche
noi ci incantiamo ogni volta che abbiamo la ventura di incontrare qualcuno con parole che
trasmettono la sapienza del vivere, una sapienza sulla vita e sulla morte, sull'amore, sulla
paura e sulla gioia. Che aiutano a vivere meglio. Di fatto, sono autorevoli soltanto le parole
che accrescono la vita. Ges insegnava come uno che ha autorit. Ha autorit chi non
soltanto annuncia la buona notizia, ma la fa accadere. Lo vediamo dal seguito del racconto:
C'era l un uomo posseduto da uno spirito impuro. La buona notizia un Dio che libera la
vita.
Ges ha autorit perch si misura con i nostri problemi di fondo, e il primo di tutti i
problemi l'uomo posseduto, l'uomo che non libero. Volesse il cielo che tutti i cristiani
fossero autorevoli... E il mezzo c': si tratta non di dire il Vangelo, ma di fare il Vangelo,
non di predicare ma di diventare Vangelo, tutt'uno con ci che annunci: una buona notizia
che libera la vita, fa vivere meglio, dove nominare Dio equivale a confortare la vita. Mi ha
sempre colpito l'espressione dell'uomo posseduto: che c' fra noi e te Ges di Nazaret? Sei
venuto a rovinarci? Ges venuto a rovinare tutto ci che rovina l'uomo, a demolire ci
che lo imprigiona, venuto a portare spada e fuoco, a rovinare tutto ci che non amore.
Per edificare il suo Regno deve mandare in rovina il regno ingannatore degli uomini
genuflessi davanti agli idoli impuri: potere, denaro, successo, paure, depressioni, egoismi.
a questi desideri sbagliati, padroni del cuore, che Ges dice due sole parole: taci, esci da
lui.
Tace e se ne va questo mondo sbagliato. Va in rovina, come aveva sognato Isaia, vanno in
rovina le spade e diventano falci, si spezza la conchiglia e appare la perla. Perla della
creazione l'uomo libero e amante. Questo Vangelo mi aiuta a valutare la seriet del mio
cristianesimo da due criteri: se come Ges, mi oppongo al male dell'uomo, in tutte le sue

forme; se come lui porto aria di libert, una briciola di liberazione da ci che ci reprime
dentro, da ci che soffoca la nostra umanit, da tutte le maschere e le paure.
Un verso bellissimo di Padre Turoldo dice: Cristo, mia dolce rovina, gioia e tormento
insieme tu sei. Impossibile amarti impunemente. Dolce rovina, Cristo, che rovini in me
tutto ci che non amore, impossibile amarti senza pagarne il prezzo in moneta di vita!
Impossibile amarti e non cambiare vita e non gettare dalle braccia il vuoto e non accrescere
gli orizzonti che respiriamo. (Letture: Deuteronmio 18, 15-20; Salmo 94; 1Corinzi 7, 3235; Marco 1, 21-28)
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Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi


02/02/2012
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Mano nella mano con l'Infinito


V Domenica Tempo ordinario - Anno B
In quel tempo, Ges, uscito dalla sinagoga, subito and nella casa di Simone e Andrea, in
compagnia di Giacomo e Giovanni. La suocera di Simone era a letto con la febbre e subito
gli parlarono di lei. Egli si avvicin e la fece alzare prendendola per mano; la febbre la
lasci ed ella li serviva. Venuta la sera, dopo il tramonto del sole, gli portavano tutti i
malati e gli indemoniati. [...] Guar molti che erano affetti da varie malattie e scacci molti
demni;[...] Al mattino presto [...] si ritir in un luogo deserto, e l pregava. Ma Simone e
quelli che erano con lui [...] lo trovarono e gli dissero: Tutti ti cercano!. Egli disse loro:
Andiamocene altrove, nei villaggi vicini perch io predichi anche l; [...]
Marco ci presenta il resoconto della giornata-tipo di Ges, ritmata sulle tre occupazioni
preferite di Ges: immergersi nella folla e guarire, far stare bene le persone; immergersi
nella sorgente segreta della forza, la preghiera; da l risalire intriso di Dio e annunciarlo.
Tutto parte dal dolore del mondo. E Ges tocca, parla, prende le mani. Il miracolo , nella
sua bellezza giovane, l'inizio della buona notizia, l'annuncio che possibile vivere meglio,
trovare vita in pienezza, vivere una vita bella, buona, gioiosa. La suocera di Simone era a
letto con la febbre, e subito gli parlarono di lei. Miracolo cos povero di contorno e di
pretese, cos poco vistoso, dove Ges neppure parla. Contano i gesti. Non cerchiamo di
fronte al dolore innocente risposte che non ci sono, ma cerchiamo i gesti di Ges. Lui
ascolta, si avvicina, si accosta, e prende per mano. Mano nella mano, come forza trasmessa
a chi stanco, come padre o madre a dare fiducia al figlio bambino, come un desiderio di
affetto. E la rialza. il verbo della risurrezione. Ges alza, eleva, fa sorgere la donna, la
riconsegna alla sua andatura eretta, alla fierezza del fare, del prendersi cura. La donna si
alz e si mise a servire.
Il Signore ti ha preso per mano, anche tu fa lo stesso, prendi per mano qualcuno. Quante
cose contiene una mano. Un gesto cos pu sollevare una vita! Quando era ancora buio,
usc in un luogo segreto e l pregava. Un giorno e una sera per pensare all'uomo, una notte
e un'alba per pensare a Dio. Ci sono nella vita sorgenti segrete, da frequentare, perch io

vivo delle mie sorgenti. E la prima di esse Dio. Ges assediato dal dolore, in un
crescendo turbinoso (la sera la porta di Cafarnao scoppia di folla e di dolore e poi di vita
ritrovata) sa inventare spazi. Ci insegna a inventare quegli spazi segreti che danno salute
all'anima, spazi di preghiera, dove niente sia pi importante di Dio, dove dirgli: Sto davanti
a te; per un tempo che so breve non voglio mettere niente prima di te; niente per questi
pochi minuti viene prima di te.
Ed la nostra dichiarazione d'amore. Infine il terzo momento: Maestro, che fai qui? Tutti ti
cercano! E lui: Andiamocene altrove. Si sottrae, non cerca il bagno di folla. Cerca altri
villaggi dove essere datore di vita, cerca le frontiere del male per farle arretrare, cerca altri
uomini per farli star bene. Andiamo altrove a sollevare altre vite, a stringere altre mani.
Perch di questo Lui ha bisogno, di stringere forte la mia mano, non di ricevere onori.
Uomo e Dio, l'Infinito e il mio nulla cos: mano nella mano. E aggrapparmi forte: questa
l'icona mite e possente della buona novella.
(Letture: Giobbe 7, 1-4. 6-7; Salmo 146; 1 Corinzi 9, 16-19. 22-23; Marco 1, 29-39)
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Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi


09/02/2012
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La buona novella: il Signore guarisce


VI Domenica Tempo ordinario - Anno B
In quel tempo, venne da Ges un lebbroso, che lo supplicava in ginocchio e gli diceva: Se
vuoi, puoi purificarmi!. Ne ebbe compassione, tese la mano, lo tocc e gli disse: Lo
voglio, sii purificato!. E subito la lebbra scomparve da lui ed egli fu purificato. E,
ammonendolo severamente, lo cacci via subito e gli disse: Guarda di non dire niente a
nessuno; va', invece, a mostrarti al sacerdote e offri per la tua purificazione quello che
Mos ha prescritto, come testimonianza per loro. Ma quello si allontan e si mise a
proclamare e a divulgare il fatto, tanto che Ges non poteva pi entrare pubblicamente in
una citt, ma rimaneva fuori, in luoghi deserti; e venivano a lui da ogni parte.
Un lebbroso. Il pi malato dei malati. La sua malattia non solo fisica. uno che c' ma
non esiste. La legge ordina Star solo, lontano, fuori dell'accampamento (Lv 13,46). E
Ges, invece di lasciarlo solo e lontano, supera le regole, abbatte le barriere, lo accoglie e
lo tocca. Tocca l'intoccabile. Ama l'inamabile. Nessun sacerdote l'avrebbe fatto, non solo
per paura, ma perch lo vietava la Legge: quell'uomo era un castigato da Dio, un reietto, un
rifiuto del cielo. Il lebbroso non ha nome n volto, perch ogni uomo. A nome di ogni
creatura dice una frase bellissima: Se vuoi, puoi guarirmi. Con tutta la discrezione di cui
capace: Se vuoi. Il suo futuro appeso a un se.
E intuisco Ges felice di questa domanda grande e sommessa, che lo obbliga a rivelarsi:
Se vuoi. A nome nostro il lebbroso chiede: che cosa vuole veramente Dio da questa
carne piagata, da queste lacrime? Cos' la volont di Dio? Sacrifici, sofferenze e pazienza,
come dicono i sacerdoti? O un figlio guarito?. E Ges costretto a rivelare Dio. costretto

a dire una parola ultima e immensa sul cuore di Dio: Lo voglio: guarisci!.
Ripetiamocelo, con emozione, con pace, con forza. Lo voglio. Eternamente Dio vuole figli
guariti. A me dice: Lo voglio: guarisci!. A Lazzaro grida: Lo voglio: vieni fuori!. Alla
figlia di Giairo sussurra: Talit kum. Lo voglio: alzati!. la buona novella: invece di un
Dio che condanna, il Dio che fa grazia, che guarisce la vita. Io sono certo della volont di
Dio. Lo mostra Ges, a ogni pagina. Dio guarigione! Non conosco i modi. So che non
sar moltiplicando i miracoli. Non conosco i tempi, ma so che lotta con me contro ogni
mio male, rinnovando goccia a goccia la vita, stella a stella la notte. Il lebbroso guarito
disobbedendo a Ges si mise a proclamare e a divulgare il fatto. Ha ricevuto e ora diventa
donatore: dona attraverso gesti e parole la sua l'esperienza felice di Dio. L'immondo, il
castigato, diviene fonte di stupore e di Vangelo.
Ci che scritto qui non una fiaba, funziona davvero, funziona cos. Persone piene di
Ges oggi riescono a fare le stesse cose di Ges. Pieni di Ges fanno miracoli. Sono andati
dai lebbrosi del nostro tempo: barboni, tossici, prostitute, li hanno toccati, un gesto di
affetto, un sorriso, e molti di questi, e sono migliaia e migliaia, sono letteralmente guariti
dal loro male, e sono diventati a loro volta guaritori.
Prendere il Vangelo sul serio ha dentro una potenza che cambia il mondo. E tutti quelli che
l'hanno preso sul serio, e hanno toccato i lebbrosi del loro tempo, tutti testimoniano, da san
Francesco in avanti, che fare questo dona una grande felicit.
(Letture: Levtico 13, 1-2. 45-46; Salmo 31; 1 Corinzi 10, 31-11-1; Marco 1, 40-45).
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Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi
16/02/2012
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Il Signore salva senza porre nessuna condizione


VII Domenica
Tempo ordinario - Anno B
Ges entr di nuovo a Cafrnao, dopo alcuni giorni. Si seppe che era in casa e si
radunarono tante persone che non vi era pi posto neanche davanti alla porta; ed egli
annunciava loro la Parola. Si recarono da lui portando un paralitico, sorretto da quattro
persone. Non potendo per portarglielo innanzi, a causa della folla, scoperchiarono il tetto
nel punto dove egli si trovava e, fatta un'apertura, calarono la barella su cui era adagiato il
paralitico. Ges, vedendo la loro fede, disse al paralitico: Figlio, ti sono perdonati i
peccati. Erano seduti l alcuni scribi e pensavano in cuor loro: Perch costui parla cos?
Bestemmia! Chi pu perdonare i peccati, se non Dio solo?. E subito Ges, conoscendo
nel suo spirito che cos pensavano tra s, disse loro: Perch pensate queste cose nel vostro
cuore? Che cosa pi facile: dire al paralitico "Ti sono perdonati i peccati", oppure dire
"lzati, prendi la tua barella e cammina"? Ora, perch sappiate che il Figlio dell'uomo ha il
potere di perdonare i peccati sulla terra, dico a te disse al paralitico : alzati, prendi la tua
barella e va' a casa tua. Quello si alz e subito prese la sua barella e sotto gli occhi di tutti

se ne and, e tutti si meravigliarono e lodavano Dio, dicendo: Non abbiamo mai visto
nulla di simile!.
Il paralitico di Cafrnao. Lo invidio. Perch ha grandi amici: forti, fantasiosi, tenaci,
creativi. Sono il suo magnifico ascensore, strappano l'ammirazione del Maestro: Ges vista
la loro fede... la loro, quella dei quattro portatori, non del paralitico. Ges vede e ammira
una fede che si fa carico, con intelligenza operosa, del dolore e della speranza di un altro. I
quattro barellieri ci insegnano a essere come loro, con questo peso di umanit sul cuore e
sulle mani. Una fede che non prende su di s i problemi d'altri non vera fede. Non si
cristiani solo per se stessi; siamo chiamati a portare uomini e speranze.
A credere anche se altri non credono; a essere leali anche se altri non lo sono, a sognare
anche per chi non sa pi farlo. Sei perdonato. Immagino la sorpresa, forse la delusione
del paralitico. Sente parole che non si aspettava. Lui, come tutti i malati, domanda la
guarigione, un corpo che non lo tradisca pi. Invece: figlio, ti sono perdonati i peccati.
Perdonare nel Vangelo un verbo di moto: si usa per la nave che salpa, la carovana che si
rimette in marcia, l'uccello che spicca il volo, la freccia liberata nell'aria. Il perdono di
Cristo non un colpo di spugna sul passato, molto di pi: un colpo di remo, un colpo di
vento nelle vele, per il mare futuro; un colpo di verticalit, se si pu dire cos, per ogni
uomo immobile nella sua barella. Il peccato invece blocca la vita, come per Adamo che
dopo il frutto proibito si rintana dietro un cespuglio, paralizzato dalla paura. Finita
l'andatura eretta, finiti i sentieri nel sole! Il peccato come una paralisi nelle relazioni, una
contrazione, un irrigidimento, una riduzione del vivere. Sei perdonato. Senza merito, senza
espiazione, senza condizioni. Una doppia bestemmia, secondo i farisei. Essi dicono: Dio
solo pu perdonare.
E poi: Dio non perdona a questo modo, non cos, non senza condizioni, non senza espiare
la colpa! E Ges interviene: Cosa pi facile? Dire: i tuoi peccati ti sono perdonati, o:
alzati e cammina? Ges per l'unica volta nel Vangelo dice apertamente il perch del suo
miracolo: lega insieme perdono e guarigione, unisce corporale e spirituale, mostra che
l'uomo biblico un'anima-corpo, un corpo-anima, un tutt'uno, senza separazioni. E rivela
che Dio salva senza porre condizione alcuna, per la pura gioia di vedere un figlio
camminare libero nel sole, perch la grazia grazia e non merito o calcolo. Tutti si
meravigliarono e lodavano Dio. Attingere alla meraviglia, sapersi incantare per questa
divina forza ascensionale che ci risana dal male che contrae e inaridisce la vita, forza che la
rende verticale e la incammina verso casa. Per sentieri nel sole.
(Letture: Isaia 43, 18-19. 21-22. 24b-25; Salmo 40; 2 Corinzi 1, 18-22; Marco 2, 1-12)
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Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi
23/02/2012
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Il regno di Dio vicino, fidiamoci
I domenica di Quaresima Anno B

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In quel tempo, lo Spirito sospinse Ges nel deserto e nel deserto rimase quaranta giorni,
tentato da Satana. Stava con le bestie selvatiche e gli angeli lo servivano. Dopo che
Giovanni fu arrestato, Ges and nella Galilea, proclamando il Vangelo di Dio, e diceva:
Il tempo compiuto e il regno di Dio vicino; convertitevi e credete nel Vangelo.
Il Vangelo di Marco non riporta, a differenza di Luca e Matteo, il contenuto delle tentazioni
di Ges, ma ci ricorda l'essenziale: essere tentato vuol dire dover scegliere. La tentazione
sempre una scelta tra due amori. E vinci quando scegli l'amore pi grande. Scegliere
vivere. Noi moriamo, scrive padre Turoldo, perch adoriamo cose da nulla, perch
scegliamo amori da nulla. Scegliere il bene pi grande. ci che fa Ges che, nei quaranta
giorni di prova nel deserto, sceglie, adotta, fa sua la parola generatrice di tutto il suo
messaggio: il Regno di Dio. E oppone alla seduzione di un mondo secondo Satana, la
seduzione vincente del mondo come Dio lo sogna. Il male presente, il male ci che fa
male all'uomo. Vuoi vincere il male dentro e fuori di te? Ges stesso indica la via. Prima di
lui e dopo di lui, molti sono venuti come profeti e hanno cominciato con il denunciare il
male, con il lamentare la caduta dei valori, accusare la cattiveria dei tempi. Come se questa
fosse la via per far trionfare il bene. Ges sceglie un'altra via: piuttosto che denunciare, egli
annuncia. Non viene come un riformatore religioso, o come un contestatore moralistico,
ma prima di tutto come un messaggero di una novit straordinariamente promettente. Il suo
annuncio un s, e non un no. Vuoi vincere il male? Non basta il tuo sforzo, devi
prima conoscere la bellezza di ci che sta succedendo, la grandezza di un dono che viene
da altrove. E questo dono il Regno di Dio: che vicino, che qui, che dentro di te, mite
e possente energia, come seme in grembo di donna. Ges vince la tentazione scegliendo, e
sceglie la bellezza e la forza di un evento, gi accaduto e che sempre accade, il farsi vicino
del Regno: Dio ha guardato, ha visto la sofferenza, ha detto basta, viene, qui, e lotta
con te e il cuore e il mondo cambiano. Dio viene e guarisce la vita. Ti d il suo respiro, il
suo sorriso, la sua vita. A tutti e senza misura. E non ti lascia pi se tu non lo lasci. Viene
perch il mondo sia totalmente diverso, un mondo altro dove si pu vivere bene, dove si
pu trovare la pienezza della vita, la felicit. Non possiamo iniziare la Quaresima con il
volto accigliato, ma con un sorriso, quel sorriso che intuisco in Ges mentre d avvio alla
sua missione con un gioioso annuncio: il regno di Dio vicino, credeteci, fidatevi di questa
cosa buona che nata. La buona notizia che Ges annuncia l'amore. Credi nel Vangelo
equivale a dire: fidati dell'amore, dai fiducia all'amore in tutte le sue forme, come forma
della terra, come forma del vivere, come forma di Dio. Ricomincia da qui. E sar il Regno.
(Letture: Genesi 9, 8-15; Salmo 24; 1 Pietro 3, 18-22; Marco 1, 12-15)
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Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi
01/03/2012
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Finestre di cielo aperte sul Regno


II Domenica di Quaresima Anno B
In quel tempo, Ges prese con s Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse su un alto
monte, in disparte, loro soli. Fu trasfigurato davanti a loro e le sue vesti divennero
splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle cos bianche. E
apparve loro Elia con Mos e conversavano con Ges. Prendendo la parola, Pietro disse a

Ges: Rabb, bello per noi essere qui; facciamo tre capanne, una per te, una per Mos e
una per Elia. Non sapeva infatti che cosa dire, perch erano spaventati. Venne una nube
che li copr con la sua ombra e dalla nube usc una voce: Questi il Figlio mio, l'amato:
ascoltatelo!. E improvvisamente, guardandosi attorno, non videro pi nessuno, se non
Ges solo, con loro [...]
Ges porta i tre discepoli sopra un monte alto. La montagna la terra dove si posa il primo
raggio di sole e indugia l'ultimo, la terra che si innalza nella luce, la pi vicina al cielo,
quella che Dio sceglie per parlare e rivelarsi. Infatti lass appaiono Mos ed Elia, gli unici
che hanno veduto Dio. E si trasfigur davanti a loro. Il Vangelo non evidenzia nessun
particolare della trasfigurazione, se non quello delle vesti diventate splendenti. Ma se cos
luminosa la materia degli abiti che coprono il corpo, quale non sar lo splendore del
corpo? E se cos il corpo, cosa sar del cuore? come quando il cuore in festa e la festa
si comunica al volto, e di festa sono anche i vestiti. Pietro ne sedotto, prende la parola:
che bello essere qui! Facciamo tre capanne. L'entusiasmo di Pietro, la sua esclamazione
stupita: che bello! ci fanno capire che la fede per essere pane, per essere vigorosa, deve
discendere da uno stupore, da un innamoramento, da un che bello! gridato a pieno cuore.
Ci che seduce Pietro non l'onnipotenza di Dio, non lo splendore del miracolo, il fascino
dell'infinito, ma la bellezza del volto di Ges. Quel volto il luogo dove detto il cuore, il
suo cuore di luce; dove l'uomo si sente finalmente a casa: qui bello stare! Altrove siamo
sempre lontani, in viaggio. Il nostro cuore a casa solo accanto al tuo. Il Vangelo della
Trasfigurazione mette energia, dona ali alla nostra speranza: il male e il buio non
vinceranno, non questo il destino dell'uomo. Alimenta un pregiudizio sulla bont
dell'uomo, un pregiudizio positivo: Adamo ha, o meglio, una luce custodita in un guscio
di creta. La sua vocazione liberare la luce. Avere fede scoprire, insieme con Pietro, la
bellezza del vivere, ridare gusto a ogni cosa che faccio, al mio svegliarmi al mattino, ai
miei abbracci, al mio lavoro. Tutta la vita prende senso e si illumina. Ma questo Vangelo ci
porta una notizia ancora pi bella: la trasfigurazione non un evento che riguarda Ges
solo, al quale noi assistiamo da spettatori. un evento che ci riguarda tutti, al quale
possiamo e dobbiamo partecipare. Il volto di Ges sul monte il volto ultimo dell'uomo,
il presente del futuro.
come sbirciare per un attimo dentro il Regno, vederlo come una forza possente che
preme sulla nostra vita, per trasformarci, per aprire finestre di cielo. Il Vangelo di domenica
scorsa chiedeva: convertiti. La conversione come il movimento del girasole, questo
girarsi verso la luce. Il Vangelo di questa domenica offre il risultato: mi giro e trovo il sole,
sono irradiato, mi illumino, mi imbevo e godo della luce, il simbolo primo di Dio.
(Letture: Genesi 22, 1-2.9a.10-13.15-18; Salmo 115; Romani 8, 31b-24; Marco 9, 2-10)
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Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi
01/03/2012
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Finestre di cielo aperte sul Regno
II Domenica di Quaresima Anno B

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In quel tempo, Ges prese con s Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse su un alto
monte, in disparte, loro soli. Fu trasfigurato davanti a loro e le sue vesti divennero
splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle cos bianche. E
apparve loro Elia con Mos e conversavano con Ges. Prendendo la parola, Pietro disse a
Ges: Rabb, bello per noi essere qui; facciamo tre capanne, una per te, una per Mos e
una per Elia. Non sapeva infatti che cosa dire, perch erano spaventati. Venne una nube
che li copr con la sua ombra e dalla nube usc una voce: Questi il Figlio mio, l'amato:
ascoltatelo!. E improvvisamente, guardandosi attorno, non videro pi nessuno, se non
Ges solo, con loro [...]
Ges porta i tre discepoli sopra un monte alto. La montagna la terra dove si posa il primo
raggio di sole e indugia l'ultimo, la terra che si innalza nella luce, la pi vicina al cielo,
quella che Dio sceglie per parlare e rivelarsi. Infatti lass appaiono Mos ed Elia, gli unici
che hanno veduto Dio. E si trasfigur davanti a loro. Il Vangelo non evidenzia nessun
particolare della trasfigurazione, se non quello delle vesti diventate splendenti. Ma se cos
luminosa la materia degli abiti che coprono il corpo, quale non sar lo splendore del
corpo? E se cos il corpo, cosa sar del cuore? come quando il cuore in festa e la festa
si comunica al volto, e di festa sono anche i vestiti. Pietro ne sedotto, prende la parola:
che bello essere qui! Facciamo tre capanne. L'entusiasmo di Pietro, la sua esclamazione
stupita: che bello! ci fanno capire che la fede per essere pane, per essere vigorosa, deve
discendere da uno stupore, da un innamoramento, da un che bello! gridato a pieno cuore.
Ci che seduce Pietro non l'onnipotenza di Dio, non lo splendore del miracolo, il fascino
dell'infinito, ma la bellezza del volto di Ges. Quel volto il luogo dove detto il cuore, il
suo cuore di luce; dove l'uomo si sente finalmente a casa: qui bello stare! Altrove siamo
sempre lontani, in viaggio. Il nostro cuore a casa solo accanto al tuo. Il Vangelo della
Trasfigurazione mette energia, dona ali alla nostra speranza: il male e il buio non
vinceranno, non questo il destino dell'uomo. Alimenta un pregiudizio sulla bont
dell'uomo, un pregiudizio positivo: Adamo ha, o meglio, una luce custodita in un guscio
di creta. La sua vocazione liberare la luce. Avere fede scoprire, insieme con Pietro, la
bellezza del vivere, ridare gusto a ogni cosa che faccio, al mio svegliarmi al mattino, ai
miei abbracci, al mio lavoro. Tutta la vita prende senso e si illumina. Ma questo Vangelo ci
porta una notizia ancora pi bella: la trasfigurazione non un evento che riguarda Ges
solo, al quale noi assistiamo da spettatori. un evento che ci riguarda tutti, al quale
possiamo e dobbiamo partecipare. Il volto di Ges sul monte il volto ultimo dell'uomo,
il presente del futuro.
come sbirciare per un attimo dentro il Regno, vederlo come una forza possente che
preme sulla nostra vita, per trasformarci, per aprire finestre di cielo. Il Vangelo di domenica
scorsa chiedeva: convertiti. La conversione come il movimento del girasole, questo
girarsi verso la luce. Il Vangelo di questa domenica offre il risultato: mi giro e trovo il sole,
sono irradiato, mi illumino, mi imbevo e godo della luce, il simbolo primo di Dio.
(Letture: Genesi 22, 1-2.9a.10-13.15-18; Salmo 115; Romani 8, 31b-24; Marco 9, 2-10)
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Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi


08/03/2012
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Ogni vita un tempio, casa di Dio


III Domenica di Quaresima Anno B
Si avvicinava la Pasqua dei Giudei e Ges sal a Gerusalemme. Trov nel tempio gente che
vendeva buoi, pecore e colombe e, l seduti, i cambiamonete. Allora fece una frusta di
cordicelle e scacci tutti fuori del tempio, con le pecore e i buoi; gett a terra il denaro dei
cambiamonete e ne rovesci i banchi, e ai venditori di colombe disse: Portate via di qui
queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato!. [...] Allora i Giudei presero
la parola e gli dissero: Quale segno ci mostri per fare queste cose?. Rispose loro Ges:
Distruggete questo tempio e in tre giorni lo far risorgere [...].
Un gesto inatteso, quasi imprevedibile: Ges che prepara una frusta, la brandisce e
attraversa l'atrio del tempio come un torrente impetuoso, che travolge uomini, animali,
tavoli e monete. La cosa che pi mi colpisce e commuove in Ges vedere che in lui
c'erano insieme la tenerezza, la dolcezza di una donna innamorata e la determinazione, la
forza, il coraggio di un eroe sul campo di battaglia (C. Biscontin). All'avvicinarsi della
Pasqua, questo gesto, e le parole che lo interpretano, risuonano carichi di profezia: Non
fate della casa del Padre mio un mercato! Del tempio di Gerusalemme, di ogni chiesa, ma
soprattutto del cuore. A ogni credente Ges ripete il suo monito: non fare mercato della
fede.
Non adottare con Dio la legge scadente della compravendita di favori, dove tu dai qualcosa
a Dio (una Messa, un'offerta, una candela...) perch lui dia qualcosa a te. Se facciamo cos,
se crediamo di coinvolgere Dio in questo giuoco mercantile, siamo solo dei cambiamonete,
e Ges rovescia il nostro tavolo: Dio non si compra ed di tutti. Non si compra neanche a
prezzo della moneta pi pura. Noi siamo salvi perch riceviamo. Casa di Dio l'uomo: non
fare mercato della vita! Non immiserirla alle leggi dell'economia e del denaro. Non
vendere dignit e libert in cambio di cose, non sacrificare la tua famiglia sull'altare di
mammona, non sprecare il cuore riducendo i suoi sogni a oro e argento. La triste evidenza
che oggi determina il bene e il male, la nuova etica sostiene: pi denaro bene, meno
denaro male. Sotto questa mannaia stolta passano le scelte, politiche o individuali. Ma
l'esistenza non questione di affari.
solo danza, che nasce dal traboccare dell'energia (Osho). Non fare mercato del cuore!
Non sottometterlo alla legge del pi ricco, n ad altre leggi: quella del pi forte, o del pi
astuto, o del pi violento. Leggi sbagliate che stanno dentro la vita come le pecore e i buoi
dentro il tempio di Gerusalemme: la sporcano, la profanano. Fuori devono stare, fuori dalla
casa di Dio, che l'uomo. Profanare l'uomo il peggior sacrilegio che si possa
commettere, soprattutto se debole, se bambino, il suo tempio pi santo. I Giudei presero la
parola: Quale segno ci mostri per fare queste cose? Ges risponde portando gli uditori su di
un altro piano: Distruggete questo tempio e in tre giorni lo riedificher. Non per una sfida a
colpi di miracolo, ma perch tutt'altro il tempio di Dio: lui crocifisso e risorto, e in lui
ogni fratello. Casa di Dio la vita, tempio fragile, bellissimo e infinito. E se una vita vale
poco, niente comunque vale quanto una vita. Perch Lui sulla mia pietra ha posato la sua
luce.

(Letture: Esodo 20,1-17; Salmo 18; 1 Corinzi 1,22-25; Giovanni 2,13-25)


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Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi
15/03/2012
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Dio ci ama tanto da dare suo Figlio


IV Domenica di Quaresima
Anno B
In quel tempo, Ges disse a Nicodmo: Come Mos innalz il serpente nel deserto, cos
bisogna che sia innalzato il Figlio dell'uomo, perch chiunque crede in lui abbia la vita
eterna. Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito perch chiunque
crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio
nel mondo per condannare il mondo, ma perch il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi
crede in lui non condannato; ma chi non crede gi stato condannato, perch non ha
creduto nel nome dell'unigenito Figlio di Dio (...).
In questo brano Giovanni ci consegna il nucleo incandescente del suo Vangelo: Dio ha
tanto amato il mondo da dare suo Figlio. il versetto centrale del quarto Vangelo, il
versetto dello stupore che rinasce ogni volta, ad ogni ascolto. Il versetto dal quale
scaturisce la storia di Dio con noi. Tra Dio e il mondo, due realt che tutto dice
lontanissime e divergenti, queste parole tracciano il punto di convergenza, il ponte su cui si
incontrano e si abbracciano finito ed infinito: l'amore, divino nell'uomo, umano in Dio. Dio
ha amato: un verbo al passato, per indicare un'azione che da sempre, che continua nel
presente, e il mondo ne intriso: immersi in un mare d'amore, non ce ne rendiamo conto
(G. Vannucci). Noi non siamo cristiani perch amiamo Dio. Siamo cristiani perch
crediamo che Dio ci ama. Tanto da dare suo Figlio: Dio ha considerato ogni nostra persona,
questo niente cui ha donato un cuore, pi importante di se stesso. Ha amato me quanto ha
amato Ges. E questo sar per sempre: io amato come Cristo. E non solo l'uomo, il
mondo intero che amato, dice Ges, la terra amata, e gli animali e le piante e la
creazione tutta. E se Egli ha amato il mondo, anch'io devo amare questa terra, i suoi spazi, i
suoi figli, il suo verde, i suoi fiori, la sua bellezza. Terra amata.
Dio ha tanto amato, e noi come lui: abbiamo bisogno di tanto amore per vivere bene (J.
Maritain). Quando amo in me si raddoppia la vita, aumenta la forza, sono felice. Ogni mio
gesto di cura, di tenerezza, di amicizia porta in me la forza di Dio, spalanca una finestra
sull'infinito. l'amore che fa esistere (M. Blondel).
A queste parole la notte di Nicodemo si illumina. Lui, il fariseo pauroso, trover il
coraggio, prima impensabile, di reclamare da Pilato il corpo del crocifisso. Dio non ha
mandato il Figlio per giudicare il mondo, ma perch il mondo sia salvato, perch chi crede
abbia la vita. A Dio non interessa istruire processi contro di noi, neppure per assolverci
nell'ultimo giorno. La vita degli amati non a misura di tribunale, ma a misura di fioritura
e di abbraccio. Cristo, venuto come intenzione di bene, sta dentro la vita come datore di
vita e ci chiama ad escludere dall'immagine che abbiamo di Lui, a escludere per sempre,
qualsiasi intenzione punitiva, qualsiasi paura. L'amore non fa mai paura, e non conosce
altra punizione che punire se stesso.

Dio ha tanto amato, e noi come Lui: ci impegniamo non per salvare il mondo, l'ha gi
salvato Lui, ma per amarlo; ci impegniamo non per convertire le persone, ma per amarle.
Se non per sempre, almeno per oggi; se non tanto, almeno un po' E fare cos perch cos fa
Dio. (Letture: 2 Cronache 36, 14-16. 19-23; Salmo 136; Efesni 2, 4-10; Giovanni 3, 1421)
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Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi
22/03/2012
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Morire a se stessi moltiplica la vita


V Domenica di Quaresima Anno B
In quel tempo, tra quelli che erano saliti per il culto durante la festa c'erano anche alcuni
Greci. Questi si avvicinarono a Filippo, che era di Betsida di Galilea, e gli domandarono:
Signore, vogliamo vedere Ges. Filippo and a dirlo ad Andrea, e poi Andrea e Filippo
andarono a dirlo a Ges. Ges rispose loro: venuta l'ora che il Figlio dell'uomo sia
glorificato. In verit, in verit io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore,
rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la propria vita, la perde e chi
odia la propria vita in questo mondo, la conserver per la vita eterna (....).
Vogliamo vedere Ges. Grande domanda dei cercatori di sempre, domanda che sento mia.
La risposta di Ges dona occhi profondi: se volete capire me, guardate il chicco di grano;
se volete vedermi, guardate la croce. Il chicco di grano e la croce, due immagini come
sintesi ardente dell'evento Ges.
Se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce
molto frutto. Una frase difficile e anche pericolosa se capita male, perch pu legittimare
una visione doloristica e infelice della religione.
Un verbo balza subito in evidenza per la sua presa emotiva: morire, non morire. Ipotesi o
necessit, pare oscurare tutto il resto, mentre invece l'inganno di una lettura superficiale.
L'azione principale, lo scopo verso cui tutto converge, il verbo che regge l'intera
costruzione produrre: il chicco produce molto frutto.
L'accento non sulla morte, ma sulla vita. Gloria di Dio non il morire, ma il molto frutto
buono.
Osserviamo un granello di frumento, un qualsiasi seme: nessun segno di vita, un guscio
spento e inerte, che in realt un forziere, un piccolo vulcano di vita. Caduto in terra, il
seme muore alla sua forma ma rinasce in forma di germe, non uno che si sacrifica per
l'altro - seme e germe non sono due cose diverse, sono la stessa cosa - ma tutto trasformato
in pi vita: la gemma si muta in fiore, il fiore in frutto, il frutto in seme. Nel ciclo vitale
come in quello spirituale la vita non tolta ma trasformata (Liturgia dei defunti), non
perdita ma espansione.
Ogni uomo e donna sono chicco di grano, seminato nei solchi della storia, della famiglia,
dell'ambiente di lavoro e chiamato al molto frutto. Se sei generoso di te, di tempo cuore

intelligenza; se ti dedichi, come un atleta, uno scienziato o un innamorato al tuo scopo,


allora produci molto frutto. Se sei generoso, non perdi ma moltiplichi la vita.
La seconda icona la croce, l'immagine pi pura e pi alta che Dio ha dato di se stesso.
Per sapere chi sia Dio devo solo inginocchiarmi ai piedi della Croce (Karl Rahner). Dio
entra nella morte perch l va ogni suo figlio. Ma dalla morte risorge come un germe di
vita indistruttibile, e ci trascina fuori, in alto, con s.
Ges cos: un chicco di grano, che si consuma e fiorisce; una croce, dove gi respira la
risurrezione. Io sono cristiano per attrazione: attirer tutti a me. E la mia fede
contemplazione del volto del Dio crocifisso.
La Croce non ci fu data per capirla ma perch ci aggrappassimo ad essa (Bonhoeffer):
attratto da qualcosa che non capisco ma che mi seduce, mi aggrappo alla sua Croce,
cammino dietro a Cristo, morente in eterno, in eterno risorgente.
(Letture: Geremia 31,31-34; Salmo 50; Ebrei 5,7-9; Giovanni 12,20-33).
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Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi
29/03/2012
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La Croce, supremo atto d'amore


Domenica delle Palme
Anno B
(...) Poi lo crocifissero e si divisero le sue vesti, tirando a sorte su di esse ci che ognuno
avrebbe preso. Erano le nove del mattino quando lo crocifissero. La scritta con il motivo
della sua condanna diceva: Il re dei Giudei. Con lui crocifissero anche due ladroni, uno a
destra e uno alla sua sinistra. Quelli che passavano di l lo insultavano, scuotendo il capo e
dicendo: Ehi, tu che distruggi il tempio e lo ricostruisci in tre giorni, salva te stesso
scendendo dalla croce! (...)
U<i>omini vanno a Dio nella loro tribolazione, piangono per aiuto, chiedono pane. Cos
fan tutti, tutti. I cristiani invece stanno vicino a Dio nella sua sofferenza (Bonhoffer), in
questa settimana santa, quando scorrono i giorni del nostro destino, e in ogni settimana del
tempo. Infatti se noi crediamo che Cristo in ogni uomo, che tutti insieme formiamo
l'unico corpo di Cristo, allora riusciamo a sentire che Cristo in agonia fino alla fine dei
tempi, ancora crocifisso oggi in infiniti fratelli, su tutta la terra. Contemporanea a me la
croce. Non spettatore, allora, ma partecipe della eterna passione di Dio e dell'uomo, voglio
abitare la croce, le infinite croci del mondo.
Salva te stesso, allora crederemo. Qualsiasi uomo, qualsiasi re, potendolo, scenderebbe
dalla croce. Ges, no. Solo un Dio non scende dal legno, solo il nostro Dio. Il nostro il
Dio differente: il Dio che entra nella tragedia umana, entra nella morte perch l va ogni
suo figlio. Sale sulla croce per essere con me e come me, perch io possa essere con lui e
come lui. Essere in croce ci che Dio, nel suo amore, deve all'uomo che in croce.
Perch l'amore conosce molti doveri, ma il primo di questi di essere con l'amato.

Qualsiasi altro gesto ci avrebbe confermato in una falsa idea di Dio. Solo la croce toglie
ogni dubbio, lo svelamento supremo di Dio. La croce l'abisso dove Dio diviene
l'amante. Dove un amore eterno penetra nel tempo come una goccia di fuoco, e divampa.
L'ha capito per primo un estraneo, un soldato esperto di morte. un pagano ad esprimere il
primo atto di fede cristiano: costui era figlio di Dio. Che cosa ha visto in quella morte?
Non un miracolo, non la risurrezione. Ha visto il capovolgimento del mondo, dove la
vittoria era sempre del pi forte, del pi armato, del pi spietato. Ha visto il supremo
potere di Dio, che un disarmato amore; che quello di dare la vita anche a chi ti d la
morte; che servire non asservire; che vincere la violenza prendendola su di s. Ha visto
che questo mondo porta un altro mondo nel grembo.
E noi qui disorientati, dapprima, ma poi stupiti, perch, come le donne, come il centurione,
come i santi, sentiamo che nella Croce c' attrazione, c' seduzione e bellezza. La suprema
bellezza della storia quella accaduta fuori Gerusalemme, sulla collina, dove il Figlio di
Dio si lascia inchiodare, povero e nudo, per morire d'amore. La nostra fede poggia sulla
cosa pi bella del mondo: un atto d'amore perfetto.
La croce l'immagine pi pura, pi alta, pi bella che Dio ha dato di se stesso. Da allora,
per sapere chi sia Dio devo solo inginocchiarmi ai piedi della Croce (K. Rahner).
(Letture: Isaia 50, 4-7; Salmo 21; Filippesi 2,6-11; Marco 14, 1-15, 47, forma breve: Marco
15, 1-39).
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Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi
05/04/2012
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Cristo la Risurrezione e la vita


Pasqua di risurrezione
Anno B
Il primo giorno della settimana, Maria di Mgdala si rec al sepolcro di mattino, quando
era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro. Corse allora e and da
Simon Pietro e dall'altro discepolo, quello che Ges amava, e disse loro: Hanno portato
via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l'hanno posto!. Pietro allora usc insieme
all'altro discepolo e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l'altro
discepolo corse pi veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro (...).
Maria di Magdala esce di casa quando ancora notte, buio nel cielo e buio nel cuore. Non
ha niente tra le mani, non porta aromi come le altre donne, ha soltanto il suo amore che si
ribella all'assenza di Ges: amare dire: tu non morirai! (Gabriel Marcel).
E vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro. Il sepolcro spalancato, vuoto e
risplendente, nel fresco dell'alba. E fuori primavera. Il sepolcro aperto come il guscio di
un seme.
Il segno un corpo assente dalla tomba. Manca un corpo alla contabilit della morte, i suoi
conti sono in perdita. Manca un ucciso alla contabilit della violenza, e questo vuol dire
che il carnefice non avr ragione della sua vittima in eterno.
Il Signore Ges non semplicemente il Risorto, l'attore di un evento che si consumato
una volta per tutte nel giardino fuori Gerusalemme, in quell'alba del primo giorno dopo il

sabato. Un evento concluso? No. Se noi tutti insieme formiamo il corpo di Cristo, allora
contemporanea a me la croce, e contemporanea a me anche la Risurrezione. Chi vive in
lui, chi in lui compreso, preso da lui nel suo risorgere.
Cristo il Risorgente, adesso. Sorge in questo momento dal fondo del mio essere, dal
fondo di ogni uomo, dal fondo della storia, continua a risorgere, a immettere con la mano
viva del creatore germi di speranza e di fiducia, di coraggio e libert. Cristo Ges risorge
oggi, energia che ascende, vita che germina, masso che rotola via dall'imboccatura del
cuore. E mi indica la strada della pasqua, che vuol dire passaggio ininterrotto dall'odio
all'amore, dalla paura alla libert, dall'effimero all'eterno. Pasqua la festa dei macigni
rotolanti via, adesso, dalla bocca dell'anima. E ne usciamo pronti alla primavera di vita
nuova, trascinati in alto dal Cristo Risorgente in eterno.
Cristo non semplicemente il Risorto, non solo il Risorgente, egli la Risurrezione
stessa. L'ha detto a Marta: io sono la Risurrezione e la vita (Gv 11,25). In quest'ordine
preciso: prima la risurrezione e poi la vita. Ci saremmo aspettati il contrario. Invece no:
prima viene la risurrezione, da tutte le nostre tombe, dal nostro respiro insufficiente, dalla
vita chiusa e bloccata, dal cuore spento, dal gelo delle relazioni. Prima la risurrezione di
noi, n caldi n freddi, n buoni n cattivi; di noi, i morti vivi (Ch. Peguy) e poi la vita
piena nel sole, e poi la vita meriter finalmente il nome di vita.
La sua Risurrezione non riposer finch non sia spezzata la tomba dell'ultima anima, e le
sue forze non arrivino all'ultimo ramo della creazione. E il mondo intero sar carne risorta
per la tua carne, crocefisso Amore (B. Forte).
(Letture: Atti 10, 34a. 37-43; Salmo 117; Colosssi 3, 1-4; Giovanni 20, 1-9)
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l Vangelo A cura di Ermes Ronchi
12/04/2012
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Credere senza aver visto


II Domenica di Pasqua - Anno B
La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo
dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Ges, stette in mezzo e disse
loro: Pace a voi!. Detto questo, mostr loro le mani e il fianco (...)Tommaso, uno dei
Dodici, chiamato Ddimo, non era con loro quando venne Ges. Gli dicevano gli altri
discepoli: Abbiamo visto il Signore!. Ma egli disse loro: Se non vedo nelle sue mani il
segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel
suo fianco, io non credo. Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c'era con
loro anche Tommaso (...)
la domenica di Tommaso e di una beatitudine che sento mia: Beati quelli che non hanno
visto eppure credono! Le altre le ho sentite difficili, cose per pochi coraggiosi, per pochi
affamati di immenso. Questa una beatitudine per tutti, per chi fa fatica, per chi cerca a
tentoni, per chi non vede, per chi ricomincia. Siamo noi quelli di cui parla Ges, noi che
non abbiamo visto eppure di otto giorni in otto giorni continuiamo a radunarci nel suo
nome, a distanza di millenni e a prossimit di cuore; di noi scrive Pietro: voi lo amate pur
senza averlo visto (1Pt 1,8).

Otto giorni dopo venne Ges, a porte chiuse. C' aria di paura in quella casa, paura dei
Giudei, ma soprattutto paura di se stessi, di come lo avevano abbandonato, tradito,
rinnegato cos in fretta. Mi conforta pensare che, se anche trova chiuso, non se ne va'. Otto
giorni dopo ancora l: l'abbandonato ritorna da quelli che sanno solo abbandonare.
Viene e sta in mezzo a loro. Non chiede di essere celebrato, adorato. Non viene per
ricevere, ma per dare. il suo stile inconfondibile. Sono due le cose che porta: la pace e lo
Spirito.
Pace a voi. Non un semplice augurio o una promessa futura, ma una affermazione: la pace
a voi, vi appartiene, gi dentro di voi, un sogno iniziato e che non si fermer pi. Io vi
porto questo shalom che pienezza di vita. Non una vita pi facile, bens pi piena e
appassionata, ferita e vibrante, ferita e luminosa, piagata e guaritrice. La pace adesso.
Soffi e disse loro: ricevete lo Spirito Santo. Su quel pugno di creature, chiuse e impaurite,
scende il vento delle origini, il vento che soffiava sugli abissi, che scuote le porte chiuse:
ecco io vi mando!
Scende lo Spirito di Ges, il suo segreto, il suo mistero, ci che lo fa vivere, il suo respiro
stesso: vivrete di ci di cui vivo io. Lo ha sperimentato Paolo: non son pi io che vivo,
Cristo che vive in me. Lo ha comunicato a tutti: Voi siete gi stati risuscitati con Cristo
(Col 3,1). Gi risorti adesso, per una eternit che gi mette le sue prime gemme. In quel
soffio Ges trasmette la sua forza: con lo Spirito di Dio voi farete le cose di Dio. E la
prima delle cose da Dio il perdono.
Tommaso, metti qua il tuo dito nel foro dei chiodi, stendi la mano, tocca! Le ferite del
Risorto, feritoie d'amore: nel corpo del crocifisso l'amore ha scritto il suo racconto con
l'alfabeto delle ferite, indelebili ormai come lo l'amore.
Ges che non si scandalizza dei miei dubbi, ma mi tende le sue mani. A Tommaso basta
questo gesto. Non scritto che abbia toccato. Perch Colui che ti tende la mano, che non ti
giudica ma ti incoraggia, Ges. Non ti puoi sbagliare!
(Letture: Atti 4,32-35; Salmo 117; 1 Giovanni 5,1-6; Giovanni 20,19-31.)
riproduzione riservata
Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi
19/04/2012
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Quel tocco del Risorto che trasfigura


III Domenica di Pasqua
Anno B
(...) Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa, come vedete che io ho.
Dicendo questo, mostr loro le mani e i piedi. Ma poich per la gioia non credevano ancora
ed erano pieni di stupore, disse: Avete qui qualche cosa da mangiare?. Gli offrirono una
porzione di pesce arrostito; egli lo prese e lo mangi davanti a loro. Poi disse: Sono
queste le parole che io vi dissi quando ero ancora con voi: bisogna che si compiano tutte le
cose scritte su di me nella legge di Mos, nei Profeti e nei Salmi. Allora (...) disse loro:
Cos sta scritto: il Cristo patir e risorger dai morti il terzo giorno, e nel suo nome
saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da
Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni.

Non sono un fantasma! Mi colpisce il lamento di Ges, una tristezza nelle sue parole, ma
ancor pi il suo desiderio di essere toccato, stretto, abbracciato come un amico che torna:
Toccatemi. E pronuncia, per sciogliere le paure e i dubbi, i verbi pi semplici e pi
familiari: Guardate, toccate, mangiamo! Non a visioni d'angeli, non a una teofania gloriosa,
gli apostoli si arrendono ad una porzione di pesce arrostito, al pi familiare dei segni, al pi
umano dei bisogni. Ges vuole entrare nella vita concreta dei suoi, esserne riconosciuto
come parte vitale. Perch anche il Vangelo non sia un fantasma, un fumoso ragionare, un
rito settimanale, ma roccia su cui costruire, sorgente alla quale bere. La bella notizia: Ges
non un fantasma, ha carne e sangue come noi. Questo piccolo segno del pesce, gli
apostoli lo daranno come prova: noi abbiamo mangiato con lui dopo la sua risurrezione (At
10,41). Perch mangiare il segno della vita; mangiare insieme il segno pi eloquente di
una comunione ritrovata, che lega insieme e custodisce e accresce le vite, figlio delle
nostre paure o delle nostre speranze.
Il Risorto non avanza richieste, non detta ordini. La sua prima offerta stare in mezzo ai
suoi, riannodare la comunione di vita. Viene e condivide pane, sguardi, amicizia, parola.
Non chiede, regala. Non chiede di digiunare per lui, ma di mangiare con lui. Vuole
partecipare alla mia vita e che io condivida la sua. Ma in un sentimento di serenit, di
distensione.
Infatti la sua prima parola : pace a voi! Pace, che il riassunto dei doni di Dio. la
serenit dello spirito che ci permette di capirci, di fare luce nei nostri rapporti, di vedere il
sole pi che le ombre, di distinguere tra un fantasma e il Signore. Solo il cuore in pace
capisce. Infatti, il Vangelo annota: Apr loro la mente per comprendere le Scritture. Perch
finora avevano capito solo ci che faceva comodo, solo ci che li confermava nelle loro
idee. C' bisogno di pace per cogliere il senso delle cose. Quando sentiamo il cuore in
tumulto bene fermarci, fare silenzio, non parlare.
Mi consola la fatica dei discepoli a credere, il loro oscillare tra paura e gioia. la garanzia
che la risurrezione di Ges non una loro invenzione, ma un evento che li ha spiazzati. Lo
conoscevano bene, il Maestro, dopo tre anni di strade, di olivi, di pesci, di villaggi, di occhi
negli occhi, eppure non lo riconoscono. Ges lo stesso ed diverso, il medesimo ed
trasformato, quello di prima ed altro. Perch la Risurrezione non semplicemente
ritornare alla vita di prima: andare avanti, trasformazione, il tocco di Dio che entra
nella carne e la trasfigura.
(Letture: Atti degli apostoli 3, 13-15. 17-19; Salmo 4; 1 Giovanni 2, 1-5; Luca 24,35-48)
riproduzione riservata
Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi
26/04/2012
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Il buon pastore che offre la sua vita


IV Domenica di Pasqua Anno B
In quel tempo, Ges disse: Io sono il buon pastore. Il buon pastore d la propria vita per le
pecore. Il mercenario che non pastore e al quale le pecore non appartengono vede
venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perch un
mercenario e non gli importa delle pecore. Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e
le mie pecore conoscono me, cos come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la
mia vita per le pecore. E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche

quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo
pastore. Per questo il Padre mi ama: perch io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo.
(...).
Sottese all'espressione di Ges: il mercenario vede venire il lupo e fugge perch non gli
importa delle pecore intuisco parole che amo e che sorreggono la mia fede. Suonano
pressappoco cos: al mercenario no, ma a me, pastore vero, le pecore importano. Tutte.
Ed come se a ciascuno di noi ripetesse: tu sei importante per me.
Questa la mia fede: io gli importo. A Dio l'uomo importa, al punto che egli considera
ogni uomo pi importante di se stesso. per questo che d la vita: la sua vita per la mia
vita. Ricordo il grido degli apostoli in una notte di tempesta Signore, non ti importa che
moriamo? e il Signore risponde placando le onde, sgridando il vento: S, mi importa di
voi, mi importa la vostra vita. E lo ripete a ciascuno: mi importano i passeri del cielo ma
voi valete pi di molti passeri; mi importano anche i gigli del campo ma tu sei molto di pi
di tutti i gigli dei campi.
Io sono il Pastore buono il titolo pi disarmato e disarmante che Ges abbia dato a se
stesso. Eppure questa immagine non ha nulla di debole o remissivo: il pastore forte che si
erge contro i lupi, che ha il coraggio di non fuggire; il pastore bello nel suo impeto
generoso; il pastore vero che ha a cuore cose importanti. Il gesto specifico del pastore
buono, il gesto pi bello che lo rende letteralmente il "pastore bello", , per cinque volte:
Io offro la vita. Qui affiora il filo d'oro che lega insieme tutta intera l'opera di Dio: il
lavoro di Dio da sempre e per sempre offrire vita.
Con queste parole Ges non intende per prima cosa la sua morte in Croce, perch se il
Pastore muore le pecore sono abbandonate e il lupo rapisce, uccide, vince. Dare la vita,
inteso nel senso della vite che d linfa ai tralci; del grembo di donna che d vita al
bambino; dell'acqua che d vita alla steppa arida. Offro la vita significa: Vi do il mio modo
di amare e di lottare. Solo con un supplemento di vita, la sua, potremo battere coloro che
amano la morte, i lupi di oggi. Anche noi, discepoli che vogliono come lui sperare e
costruire, dare vita e liberare, siamo chiamati ad assumere il ruolo di "pastore buono", cio
forte, bello, vero, di un pur minimo gregge che ci consegnato: la famiglia, gli amici,
coloro che si affidano a noi. Nel vivere quotidiano, "dare la vita" significa per prima cosa
dare del nostro tempo, la cosa pi rara e preziosa che abbiamo, essere tutto per l'altro, in
ascolto attento, non distratti, occhi negli occhi. Questo dirgli: tu mi importi.
Tu sei il solo pastore che per i cieli ci fa camminare, Tu il Pastore bello. E tu sai che
quando diciamo a qualcuno tu sei bello come dirgli io ti amo.
(Letture: Atti degli apostoli 4, 8-12; Salmo 117; 1 Giovanni 3,1-2; Giovanni 10,11-18)
riproduzione riservata
Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi
03/05/2012
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Amore, coraggio, libert, frutti di Dio
V Domenica di Pasqua
Anno B

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In quel tempo, Ges disse ai suoi discepoli: Io sono la vite vera e il Padre mio
l'agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta
frutto, lo pota perch porti pi frutto. Voi siete gi puri, a causa della parola che vi ho
annunciato. Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non pu portare frutto da se stesso
se non rimane nella vite, cos neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i
tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perch senza di me non potete far
nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo
gettano nel fuoco e lo bruciano. Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi,
chiedete quello che volete e vi sar fatto. (...)
Nel brano tutto ruota attorno ad una immagine concreta e ad un verbo: la vite e dei tralci, il
verbo rimanere. Cristo vite, io tralcio: io e lui la stessa cosa! Stessa pianta, stessa vita,
unica radice, una sola linfa. Lui in me e io in lui come figlio nella madre, madre nel figlio.
Dio in me, non come un padrone, ma come linfa vitale. Dio in me, come radice che
invia energia verso tutti i rami. Dio in me per prendersi cura pi a fondo di me. In Cristo
il vignaiolo si fatto vite, il seminatore si fatto seme, il vasaio si fatto argilla, il
Creatore si fatto creatura. Non solo Dio con noi, ma Dio in noi. Se ci guardiamo attorno,
conosciamo tutti delle persone che sembrano mettere gemme, le vedi germogliare e fiorire.
E capisci che sono inserite in qualcosa di vivo!
Rimanete in me. Una sola condizione; non condizionamento, ma base della mia esistenza:
nutrirmi della linfa della mia vite. Non sono parole astratte, sono le parole che usa anche
l'amore umano. Rimanere insieme, nonostante tutte le distanze e i lunghi inverni,
nonostante tutte le forze che ci trascinano via. Il primo passo fare memoria che gi sei in
lui, che lui gi in te. Non devi inventare niente, non devi costruire qualcosa. Solo
mantenere quello che gi dato, prenderne coscienza: c' una energia che scorre in te,
proviene da Dio, non viene mai meno, vi puoi sempre attingere, devi solo aprire strade,
aprire canali a quella linfa.
All'inizio della primavera sui tralci potati affiora una goccia di linfa che luccica sulla punta
del ramo. Mio padre mi portava nella vigna dietro casa e mi diceva: la vite che va in
amore! Quella goccia di linfa mi parla di me e di Dio, dice che c' un amore che sale dalla
radice del mondo e mi attraversa; una vita che viene da Dio e va in amore, in frutti
d'amore. Dice a me, piccolo tralcio: Ho bisogno di te per una vendemmia di sole e di
miele.
Ogni tralcio che porta frutto, lo pota perch porti pi frutto. Il dono della potatura... Potare
non significa amputare, significa dare vita, qualsiasi contadino lo sa. Rinunciare al
superfluo equivale a fiorire. Perch gloria di Dio non la sofferenza ma il molto frutto.
come se Ges dicesse: non ho bisogno di sacrifici ma di grappoli buoni; non di penitenze,
ma che tu fiorisca. Nessuna vite sofferente porta buon frutto. Prima di tutto devo essere
sano e gioioso io. Cos Dio mi vuole.
Il nome nuovo della morale evangelica frutto buono, con dentro il sapore di Dio. Che
ha il gusto di tre cose sulla terra: amore coraggio e libert. Non c' amore senza libert,
libert non c' senza coraggio. E amore libert e coraggio sono la linfa e i frutti di Dio in
noi.
(Letture: Atti degli apostoli 9, 26-31; Salmo 21; 1 Giovanni 3, 18-24; Giovanni 15,1-8)
riproduzione riservata
Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi
10/05/2012

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Chiamati ad amare come Cristo


VI Domenica di Pasqua
Anno B
In quel tempo, Ges disse ai suoi discepoli: Come il Padre ha amato me, anche io ho
amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel
mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore.
Vi ho detto queste cose perch la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena. Questo il
mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. Nessuno ha un
amore pi grande di questo: dare la sua vita per i propri amici (...).
Una pagina di Giovanni in cui pare custodita l'essenza del cristianesimo, le cose
determinanti della nostra fede. C' un fluire, un fiume grande d'amore che scorre dal cielo,
dal Padre al Figlio, dal Figlio a noi. Come la linfa nella vite, come il sangue nelle vene. Il
Vangelo mi d una certezza: l'amore non un sentimento, qualcosa prodotto da me, un mio
desiderio, una realt. L'amore .
Come il Padre ha amato me, io ho amato voi, rimanete in questo amore. Rimanete,
dimorate, abitate, non andatevene. L'amore reale come un luogo, un continente, una
tenda, ci puoi vivere dentro. la casa in cui gi siamo, come un bimbo nel grembo della
madre: non la vede, ma ha mille segni della sua presenza che lo nutre, lo scalda, lo culla:
il nostro problema che siamo immersi in un oceano d'amore e non ce ne rendiamo
conto (P. Vannucci). L'amore , ed cosa da Dio: amore unilaterale, amore a prescindere,
asimmetrico, incondizionato. Che io sia amato dipende da lui, non dipende da me. Il nostro
compito decidere se rimanere o no in questo amore. Ma perch farlo? Ges risponde:
perch la vostra gioia sia piena. Il Vangelo da ascoltare con attenzione, ne va della nostra
gioia. Che poi un sintomo: ti assicura che stai camminando bene, sulla via giusta.
L'amore da prendere sul serio, ne va della nostra felicit.
Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amato. Non semplicemente: amate. Non basta
amare, potrebbe essere solo un fatto consolatorio, una forma di possesso o di potere. Ci
sono anche amori violenti e disperati. Aggiunge: amatevi gli uni gli altri. In un rapporto di
comunione, un faccia a faccia, una reciprocit. Non si ama l'umanit in generale, si amano
le persone ad una ad una. E poi offre la parola che fa la differenza cristiana: amatevi come
io vi ho amato. Lo specifico del cristiano non amare, questo lo fanno in molte persone, in
molti modi. Ma amare come Cristo, che cinge un asciugamano e lava i piedi ai suoi; che
non manda mai via nessuno; che mentre io lo ferisco, mi guarda e mi ama. Come lui si
fatto canale dell'amore del Padre, cos ognuno farsi vena non ostruita, canale non intasato,
perch l'amore scenda e circoli nel corpo del mondo. Se ti chiudi, in te e attorno a te
qualcosa muore, come quando si chiude una vena nel corpo. E la prima cosa che muore
la gioia.
Voi siete miei amici. Non pi servi, ma amici. Parola dolce, musica per il cuore dell'uomo.
L'amicizia che non si impone, non si finge, non si mendica (Michele Do), dice gioia e
uguaglianza.
Amicizia, umanissimo rito che teologia, che parla di Dio, e nel farlo conforta la vita, allo
stesso modo in cui ne parlava Ges: amico un nome di Dio.
(Letture: Atti degli apostoli 10, 25-27.34-35.44-48; Salmo 97; 1 Giovanni 4, 7-10; Gv 15,
9-17)

Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi


17/05/2012
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Chiamati a dare vita a ogni creatura


Ascensione del Signore
Anno B
In quel tempo, [Ges apparve agli Undici] e disse loro: Andate in tutto il mondo e
proclamate il Vangelo a ogni creatura. Chi creder e sar battezzato sar salvato, ma chi
non creder sar condannato. Questi saranno i segni che accompagneranno quelli che
credono: nel mio nome scacceranno demni, parleranno lingue nuove, prenderanno in
mano serpenti e, se berranno qualche veleno, non recher loro danno; imporranno le mani
ai malati e questi guariranno. Il Signore Ges, dopo aver parlato con loro, fu elevato in
cielo e sedette alla destra di Dio (...).
L'ascensione del Signore una festa difficile: come far festa per una persona cara che ci
lascia? Ma Ges non se ne andato, se non dai nostri sguardi. Non andato in alto, ma
avanti; assente e pi presente che mai.
Egli il Vicino-lontano (Margherita Porete): oltre il cielo e dentro tutte le creature, alto e
pi intimo a me di me stesso. Ascensione non un percorso cosmico geografico ma la
navigazione del cuore che ti conduce dalla chiusura in te all'amore che abbraccia
l'universo (Benedetto XVI).
Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo ad ogni creatura. Le ultime parole del
Signore ci permettono di gettare uno sguardo sul cuore di Ges, sulla sua passione pi
grande: dare vita ad ogni creatura, in ogni angolo della terra. E per farlo sceglie creature
imperfette, dalla fede fragile. Come noi, come me. Infatti se io dovessi dire del Vangelo
solo ci che riesco a vivere, dovrei tacere subito. Ma io non annuncio me stesso e le mie
conquiste, bens una parola che mi ha rubato il cuore, un Signore che mi ha convinto e mi
ha sedotto, mi ha legato a s e legandomi mi ha liberato. Annuncio un progetto verso cui
cammino e che spero di riuscire, un giorno, a vivere.
Ognuno di noi riceve oggi la stessa missione degli Apostoli: Annunciate. Niente altro. Non
dice: organizzate, occupate i posti chiave, assoggettate, ma semplicemente proclamate.
Non la soluzione di tutti i problemi, non una risposta a tutto, ma il Vangelo, la vita e la
persona di Cristo, forza ascensionale del cosmo.
Il versetto che chiude il Vangelo di Marco apre il mio Vangelo: Il Signore operava insieme
con loro. Il verbo greco suona cos: Il Signore agiva in sinergia con loro, era parte della
loro energia. Molte volte ho udito un'espressione che suonava come lamento: con le mie
sole forze non ce la far mai! Ma parlare di sole mie forze una frase senza senso
cristiano. Perch io non sono mai con le mie sole forze, c' sempre in me forza della mia
forza, pace della mia pace, radice delle mie radici, sempre c', intrecciata alla mia
debolezza la forza di Cristo. Il Vicino-lontano la forza del cuore. Bella definizione di
Ges offerta oggi dal Vangelo: Il Signore energia che opera con i credenti. Cristo opera
con te, in ogni gesto di bont, in ogni parola fresca e viva; costruisce con te quando
costruisci pace.

E partirono e predicarono dappertutto. Il Signore chiama gli undici a questa navigazione


del cuore, li spinge a pensare in grande a guardare lontano: il mondo tuo. Perch crede in
loro, crede nell'uomo. Ha fiducia in me, pi di quanta ne abbia io stesso; sa che riusciremo
a contagiare di Spirito e di nascite chi ci affidato.
(Letture: Atti degli Apostoli 1, 1-11; Salmo 46; Efesni 4, 1-13; Matteo 28, 19a.20b)
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Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi


24/05/2012
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Lo Spirito che d vita alla Parola


Domenica di Pentecoste
Anno B
In quel tempo, Ges disse ai suoi discepoli: Quando verr il Parclito, che io vi mander
dal Padre, lo Spirito della verit che procede dal Padre, egli dar testimonianza di me; e
anche voi date testimonianza, perch siete con me fin dal principio (...). Quando verr lui,
lo Spirito della verit, vi guider a tutta la verit, perch non parler da se stesso, ma dir
tutto ci che avr udito e vi annuncer le cose future. Egli mi glorificher, perch prender
da quel che mio e ve lo annuncer. Tutto quello che il Padre possiede mio; per questo
ho detto che prender da quel che mio e ve lo annuncer.
Cinquanta giorni dopo Pasqua, la discesa dello Spirito santo, raccontata dagli Atti degli
Apostoli con la mediazione dei simboli. La casa, prima di tutto. Un gruppo di uomini e
donne nella stanza al piano superiore (Atti 1, 13), dentro una casa, simbolo di interiorit e
di accoglienza; nella stanza al piano alto, da dove lo sguardo pu spaziare pi lontano e pi
in alto; in una casa qualunque, affermazione della libert dello Spirito, che non ha luoghi
autorizzati o riservati, e ogni casa suo tempio.
Il vento, poi: all'improvviso un vento impetuoso riemp tutta la casa (Atti 2, 2), che
conduce pollini di primavera e disperde la polvere, che porta fecondit e smuove le cose
immobili. Che non sai da dove viene e dove va, folate di dinamismo e di futuro. Lo
Spirito il vento che fa nascere i cercatori d'oro (Vannucci), che apre respiri e orizzonti e
ti fa pensare in grande. Mentre tu sei impegnato a tracciare i confini di casa tua, lui
spalanca finestre, dilata lo sguardo. Ti fa comprendere che dove tu finisci inizia il mondo,
che la fine dell'isola corrisponde all'inizio dell'oceano, che dove questa tua vita termina
comincia la vita infinita. Tu confini con Dio.
Poi il simbolo del fuoco. Lo Spirito tiene acceso qualcosa in noi anche nei giorni spenti,
accende fiammelle d'amore, sorrisi, capacit di perdonare; e la cosa pi semplice: la voglia
da amare la vita, la voglia di vivere. Noi nasciamo accesi, i bambini sono accesi, poi i colpi
duri della vita possono spegnerci. Ma noi possiamo attingere ad un fuoco che non viene
mai meno, allo Spirito, accensione del cuore lungo la strada e sua giovinezza.
Giorno di Pentecoste e ci domandiamo: come agisce lo Spirito santo, che cosa fa in noi e
per noi? Dice l'angelo a Maria: Verr lo Spirito e porter dentro di te il Verbo (Luca 1, 35).
Dice Ges ai discepoli: Verr lo Spirito e vi riporter al cuore tutte le mie parole. Da
duemila anni lo Spirito ripete incessantemente nei cristiani la stessa azione che ha

compiuto in santa Maria: incarnare il Verbo, dare vita alla Parola. Lo fa ad esempio quando
leggo il Vangelo: per anni mi accade che le parole scivolino via, come cose che so da
sempre, senza presa sul cuore. Poi un giorno succede che una di queste parole
all'improvviso si accende, mi pare di sentirla per la prima volta, la pagina del Vangelo
palpita, come una lettera indirizzata a me, scritta per me, contemporanea ai miei sogni, alle
mie pene, ai miei dubbi. lo Spirito che mi ri-corda (letteralmente: mi riporta al cuore) le
parole di Ges. Al cuore, non alla mente. Le fa germe vitale, non elaborato mentale: e ti
tocca quel Dio sensibile al cuore sognato da Pascal.
(Letture: Atti 2, 1-11; Salmo 103; Galati 5, 16-25; Giovanni 15,26-27; 16,12-15)
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Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi


31/05/2012
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All'origine c' un legame d'amore


Santissima Trinit - Anno B
In quel tempo, gli undici discepoli andarono in Galilea, sul monte che Ges aveva loro
indicato. Quando lo videro, si prostrarono. Essi per dubitarono. Ges si avvicin e disse
loro: A me stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate discepoli
tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo,
insegnando loro a osservare tutto ci che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i
giorni, fino alla fine del mondo.
Sulla teologia della Trinit il Vangelo non offre formule o teorie, ma il racconto del monte
anonimo di Galilea e dell'ultima missione affidata da Ges agli apostoli.
Tra i quali per alcuni ancora dubitavano. E la reazione di Ges alla difficolt, alla fatica
dei suoi bellissima: non li rimprovera, non li riprende, ma, letteralmente, si fa vicino.
Dice Matteo: Ges avvicinatosi a loro. Ancora non stanco di avvicinarsi, di farsi
incontro. Eternamente incamminato verso di me, bussa ancora alla mia porta. E affida
anche a me, nonostante le mie incertezze, il Vangelo.
Battezzate ogni creatura nel nome del Padre, del Figlio, dello Spirito. I nomi che Ges
sceglie per mostrare il volto di Dio, sono nomi che vibrano d'affetto, di famiglia, di legami.
Padre e Figlio, sono nomi che l'uno senza l'altro non esistono: figlio non c' senza padre, n
il padre tale se non ha figli. Per dire Dio, Ges scegli nomi che abbracciano, che si
abbracciano, che vivono l'uno dell'altro.
Il terzo nome, Spirito Santo, significa alito, respiro, anima. Dice che la vita, ogni vita,
respira pienamente quando si sa accolta, presa in carico, abbracciata.
Padre, Figlio, Respiro santo: Dio non in se stesso solitudine, l'oceano della sua essenza
vibra di un infinito movimento d'amore. Alla sorgente di tutto, posta la relazione. In
principio a tutto, il legame. E qui scopro la sapienza del vivere, intuisco come il dogma
della Trinit mi riguardi, sia parte di me, elemento costitutivo di Adamo, creato da
principio a sua immagine e somiglianza. In questa frase, decisiva per ogni antropologia
cristiana, mi rivelato che Adamo non creato semplicemente ad immagine di Dio,
Creatore o Verbo o Spirito, ma pi esattamente, e pi profondamente, a somiglianza della

Trinit. A immagine di un Padre che la fonte della vita, a immagine di un Figlio che mi
innamora ancora, di uno Spirito che accende di comunione tutte le nostre solitudini.
La natura ultima dell'uomo di essere legame d'amore. Io sono uomo quanto pi sono
simile all'amore.
Fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli... Il termine battezzare nella sua radice significa
immergere. Immergete, dice Ges, ogni creatura dentro l'oceano dell'amore di Dio,
rendetela consapevole che in esso siamo, ci muoviamo, respiriamo.
Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo. Non dimentichiamo mai questa
frase, non lasciamola dissolversi, impolverarsi. Sono con voi, senza condizioni, dentro le
vostre solitudini, dentro gli abbandoni e le cadute, dentro la morte. Nei giorni in cui credi e
in quelli in cui dubiti; quando ti sfiora la morte, quando ti pare di volare. Nulla, mai, ti
separer dall'amore.
(Letture: Deuteronomio 4, 32-34. 39-40; Salmo 32; Romani 8, 14-17; Matteo 28,16-20)
riproduzione riservata
Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi
31/05/2012
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All'origine c' un legame d'amore


Santissima Trinit - Anno B
In quel tempo, gli undici discepoli andarono in Galilea, sul monte che Ges aveva loro
indicato. Quando lo videro, si prostrarono. Essi per dubitarono. Ges si avvicin e disse
loro: A me stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate discepoli
tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo,
insegnando loro a osservare tutto ci che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i
giorni, fino alla fine del mondo.
Sulla teologia della Trinit il Vangelo non offre formule o teorie, ma il racconto del monte
anonimo di Galilea e dell'ultima missione affidata da Ges agli apostoli.
Tra i quali per alcuni ancora dubitavano. E la reazione di Ges alla difficolt, alla fatica
dei suoi bellissima: non li rimprovera, non li riprende, ma, letteralmente, si fa vicino.
Dice Matteo: Ges avvicinatosi a loro. Ancora non stanco di avvicinarsi, di farsi
incontro. Eternamente incamminato verso di me, bussa ancora alla mia porta. E affida
anche a me, nonostante le mie incertezze, il Vangelo.
Battezzate ogni creatura nel nome del Padre, del Figlio, dello Spirito. I nomi che Ges
sceglie per mostrare il volto di Dio, sono nomi che vibrano d'affetto, di famiglia, di legami.
Padre e Figlio, sono nomi che l'uno senza l'altro non esistono: figlio non c' senza padre, n
il padre tale se non ha figli. Per dire Dio, Ges scegli nomi che abbracciano, che si
abbracciano, che vivono l'uno dell'altro.
Il terzo nome, Spirito Santo, significa alito, respiro, anima. Dice che la vita, ogni vita,
respira pienamente quando si sa accolta, presa in carico, abbracciata.
Padre, Figlio, Respiro santo: Dio non in se stesso solitudine, l'oceano della sua essenza
vibra di un infinito movimento d'amore. Alla sorgente di tutto, posta la relazione. In
principio a tutto, il legame. E qui scopro la sapienza del vivere, intuisco come il dogma
della Trinit mi riguardi, sia parte di me, elemento costitutivo di Adamo, creato da

principio a sua immagine e somiglianza. In questa frase, decisiva per ogni antropologia
cristiana, mi rivelato che Adamo non creato semplicemente ad immagine di Dio,
Creatore o Verbo o Spirito, ma pi esattamente, e pi profondamente, a somiglianza della
Trinit. A immagine di un Padre che la fonte della vita, a immagine di un Figlio che mi
innamora ancora, di uno Spirito che accende di comunione tutte le nostre solitudini.
La natura ultima dell'uomo di essere legame d'amore. Io sono uomo quanto pi sono
simile all'amore.
Fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli... Il termine battezzare nella sua radice significa
immergere. Immergete, dice Ges, ogni creatura dentro l'oceano dell'amore di Dio,
rendetela consapevole che in esso siamo, ci muoviamo, respiriamo.
Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo. Non dimentichiamo mai questa
frase, non lasciamola dissolversi, impolverarsi. Sono con voi, senza condizioni, dentro le
vostre solitudini, dentro gli abbandoni e le cadute, dentro la morte. Nei giorni in cui credi e
in quelli in cui dubiti; quando ti sfiora la morte, quando ti pare di volare. Nulla, mai, ti
separer dall'amore.
(Letture: Deuteronomio 4, 32-34. 39-40; Salmo 32; Romani 8, 14-17; Matteo 28,16-20)
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Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi


07/06/2012
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tutta l'umanit la carne di Dio


Santissimo Sangue e Corpo di Cristo Anno B
Mentre mangiavano, prese il pane e recit la benedizione, lo spezz e lo diede loro,
dicendo: Prendete, questo il mio corpo. Poi prese un calice e rese grazie, lo diede loro
e ne bevvero tutti. E disse loro: Questo il mio sangue dell'alleanza, che versato per
molti. In verit io vi dico che non berr mai pi del frutto della vite fino al giorno in cui lo
berr nuovo, nel regno di Dio. Dopo aver cantato l'inno, uscirono verso il monte degli
Ulivi.
Prendete, questo il mio corpo. La parola iniziale precisa e nitida come un ordine:
prendete. Incalzante come una dichiarazione: nelle mani, nella bocca, nell'intimo tuo
voglio stare, come pane.
Qui il miracolo, il batticuore, lo scopo: prendete. Ges non chiede ai discepoli di adorare,
contemplare, pregare quel Pane, ma chiede come prima cosa di tendere le mani, di
prendere, stringere, fare proprio il suo corpo che, come il pane che mangio, si fa cellula del
mio corpo, respiro, gesto, pensiero. Si trasforma in me e mi trasforma a sua somiglianza.
In quella invocazione prendete si esprime tutto il bisogno di Ges Cristo di entrare in
una comunione senza ostacoli, senza paure, senza secondi fini. Dio in me: il mio cuore lo
assorbe, lui assorbe il mio cuore, e diventiamo una cosa sola. Lo esprime con una formula
felice san Leone Magno: la nostra partecipazione al corpo e al sangue di Cristo non tende
ad altro che a trasformarci in quello che riceviamo.
E allora capiamo che Dio non venuto nel mondo con il solo obiettivo di togliere i nostri
peccati, visione riduttiva, sia di Dio che dell'uomo.

Il suo progetto molto pi grande, pi alto, pi potente: portare cielo nella terra, Dio
nell'uomo, vita immensa in questa vita piccola. Molto pi del perdono dei peccati venuto
a dare: venuto a dare se stesso.
Come uno sposo che si d alla sposa. Siamo abituati a pensare Dio come Padre, portatore
di quell'amore che ci necessario per nascere; ma Dio anche madre, che nutre di s, del
suo corpo i suoi figli. Ed anche sposo, amore libero che cerca corrispondenza, che ci
rende suoi partners, simili a lui.
Dice Ges nel vangelo: i miei discepoli non digiunano finch lo sposo con loro. E
l'incontro con lui come per gli amanti del Cantico: dono e giubilo, intensit e tenerezza,
fecondit e fedelt.
Nel suo corpo Ges ci da tutta la sua storia, di come amava, come piangeva, come gioiva,
ci che lo univa agli altri: parola, sguardo, gesto, ascolto, cuore.
Prendete questo corpo, vuol dire: fate vostro questo mio modo di stare nel mondo, anche
voi braccia aperte inviate alla terra.
Perch il corpo di Cristo non sta solo nell'Eucaristia, Dio si vestito d'umanit, al punto
che l'umanit intera la carne di Dio: quello che avete fatto a uno di questi l'avete fatto a
me. Il Corpo di Cristo sull'altare dell'Eucaristia, il corpo di Cristo sull'altare del fratello,
dei poveri, piccoli, forestieri, ammalati, anziani, disabili, le persone sole, quelle colpite dal
terremoto di questi giorni.
Che possiamo tutti diventare ci che riceviamo: Corpo di Cristo. E sar l'inizio di un umile
e magnifico viaggio verso lo Sposo si fatto sposo dell'ultimo fratello.
(Letture: Esodo 24,3-8; Salmo 115; Ebrei 9, 11-15; Marco 14,12-16.22-26)
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Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi
14/06/2012
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Nel cuore di tutti il seme di Dio


XI Domenica del Tempo
Ordinario - Anno B
In quel tempo, Ges diceva [alla folla]: Cos il regno di Dio: come un uomo che getta il
seme sul terreno; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce [...]..
Diceva: A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio o con quale parabola possiamo
descriverlo? come un granello di senape che, quando viene seminato sul terreno, il pi
piccolo di tutti i semi che sono sul terreno; ma, quando viene seminato, cresce e diventa
pi grande di tutte le piante dell'orto e fa rami cos grandi che gli uccelli del cielo possono
fare il nido alla sua ombra [...].
Cos il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno. Ges parla delle cose
pi grandi con una semplicit disarmante. Non fa ragionamenti, apre il libro della vita;
racconta Dio con la freschezza di un germoglio di grano, spiega l'infinito attraverso il
minuscolo seme di senape. Perch la vita delle creature pi semplici risponde alle stesse
leggi della nostra vita spirituale, perch Vangelo e vita camminano nella stessa direzione,
che il fiorire della vita in tutte le sue forme.
Accade nel regno di Dio come quando un uomo semina. Dio il seminatore infaticato della
nostra terra, continuamente immette in noi e nel cosmo le sue energie in forme germinali: il

nostro compito portarle a maturazione. Siamo un pugno di terra in cui Dio ha deposto i
suoi germi vitali. Nessuno ne privo, nessuno vuoto, perch la mano di Dio continua a
creare.
La prima parabola sottolinea un miracolo di cui non ci stupiamo pi: alla sera vedi un
bocciolo, il giorno dopo si aperto un fiore. Senza alcun intervento esterno. Ecco: Che tu
dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Com' pacificante questo!
Le cose di Dio fioriscono per una misteriosa forza interna, per la straordinaria energia
segreta che hanno le cose buone, vere e belle. In tutte le persone, nel mondo e nel cuore,
nonostante i nostri dubbi, Dio matura. E nessuno pu sapere di quanta esposizione al sole,
al sole della vita, abbia bisogno il buon grano di Dio per maturare: nelle persone, nei figli,
nei giovani, in coloro che mi appaiono distratti, che a volte giudico vuoti o senza germogli.
La seconda parabola mostra la sproporzione tra il granello di senape, il pi piccolo di tutti i
semi, e il grande albero che ne nascer. Senza voli retorici: il granello non salver il
mondo. Noi non salveremo il mondo. Ma, assicura Ges, un altro il nostro compito: gli
uccelli verranno e vi faranno il nido. All'ombra del tuo albero, dei fratelli troveranno riposo
e conforto. Guardi un piccolo seme accolto nel cavo della mano, lo diresti un grumo di
materia inerte. Ma nella sua realt nascosta quel granello un piccolo vulcano di vita,
pronto a esplodere, se appena il sole e l'acqua e la terra...
Il seme ci convoca ad avere occhi profondi e a compiere i gesti propri di Dio. Mentre il
nemico semina morte, noi come contadini pazienti e intelligenti, contadini del Regno dei
cieli, seminiamo buon grano: semi di pace, giustizia, coraggio, fiducia. Lo facciamo
scommettendo sulla forza della prima luce dell'alba, che appare minoritaria eppure
vincente. Qui tutta la nostra fiducia: Dio stesso all'opera in seno alla terra, in alto
silenzio e con piccole cose.
(Letture: Ezechiele 17,22-24; Salmo 91; 2 Corinzi 5,6-10; Marco 4,26-34)
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Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi


21/06/2012
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Giovanni, il Battista, dono di Dio


Nativit del Battista
Per Elisabetta si comp il tempo del parto e diede alla luce un figlio. I vicini e i parenti
udirono che il Signore aveva manifestato in lei la sua grande misericordia, e si rallegravano
con lei. Otto giorni dopo vennero per circoncidere il bambino e volevano chiamarlo con il
nome di suo padre, Zaccara. Ma sua madre intervenne: No, si chiamer Giovanni. Le
dissero: Non c' nessuno della tua parentela che si chiami con questo nome. Allora
domandavano con cenni a suo padre come voleva che si chiamasse. Egli chiese una
tavoletta e scrisse: Giovanni il suo nome. Tutti furono meravigliati. All'istante si
aprirono la sua bocca e la sua lingua, e parlava benedicendo Dio (...).
Per Elisabetta si comp il tempo e diede alla luce un figlio. I figli vengono alla luce come
compimento di un progetto, vengono da Dio. Caduti da una stella nelle braccia della
madre, portano con s scintille d'infinito: gioia (e i vicini si rallegravano con la madre) e

parola di Dio. Non nascono per caso, ma per profezia. Nel loro vecchio cuore i genitori
sentono che il piccolo appartiene ad una storia pi grande, che i figli non sono nostri:
appartengono a Dio, a se stessi, alla loro vocazione, al mondo. Il genitore solo l'arco che
scocca la freccia, per farla volare lontano. Il passaggio tra i due testamenti un tempo di
silenzio: la parola, tolta al tempio e al sacerdozio, si sta intessendo nel ventre di due madri.
Dio traccia la sua storia sul calendario della vita, e non nel confine stretto delle istituzioni.
Un rivoluzionario rovesciamento delle parti, il sacerdote tace ed la donna a prendere la
parola: si chiamer Giovanni, che in ebraico significa: dono di Dio. Elisabetta ha capito
che la vita, l'amore che sente fremere dentro di s, sono un pezzetto di Dio. Che l'identit
del suo bambino di essere dono. E questa anche l'identit profonda di noi tutti: il nome
di ogni bambino dono perfetto.
Stava la parola murata dentro, fino a quando la donna fu madre e la casa, casa di profeti.
Zaccaria era rimasto muto perch non aveva creduto all'annuncio dell'angelo. Ha chiuso
l'orecchio del cuore e da allora ha perso la parola. Non ha ascoltato, e ora non ha pi niente
da dire. Indicazione che mi fa pensoso: quando noi credenti, noi preti, smarriamo il
riferimento alla Parola di Dio e alla vita, diventiamo afoni, insignificanti, non mandiamo
pi nessun messaggio a nessuno. Eppure il dubitare del vecchio sacerdote non ferma
l'azione di Dio. Qualcosa di grande e di consolante: i miei difetti, la mia poca fede non
arrestano il fiume di Dio.
Zaccaria incide il nome del figlio: Dono-di-Dio, e subito riprende a fiorire la parola e
benediceva Dio. Benedire subito, dire-bene come il Creatore all'origine (crescete e
moltiplicatevi): la benedizione una energia di vita, una forza di crescita e di nascita che
scende dall'alto, ci raggiunge, ci avvolge, e ci fa vivere la vita come un debito d'amore che
si estingue solo ridonando vita.
Che sar mai questo bambino? Grande domanda da ripetere, con venerazione, davanti al
mistero di ogni culla. Cosa sar, oltre ad essere dono che viene dall'alto? Cosa porter al
mondo? Un dono unico e irriducibile: lo spazio della sua gioia; e la profezia di una parola
unica che Dio ha pronunciato e che non ripeter mai pi (Vannucci). Sar voce, proprio
come il Battista, la Parola sar un Altro.
(Letture: Isaa 49, 1-6; Salmo 138; Atti 13, 22-26; Luca 1, 57-66.80)
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Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi


28/06/2012
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Ges, il Signore della vita che porta salvezza


XIII Domenica del tempo ordinario Anno B
(...) Stava ancora parlando, quando dalla casa del capo della sinagoga vennero a dire: Tua
figlia morta. Perch disturbi ancora il Maestro?. Ma Ges, udito quanto dicevano, disse
al capo della sinagoga: Non temere, soltanto abbi fede!. E non permise a nessuno di
seguirlo, fuorch a Pietro, Giacomo e Giovanni, fratello di Giacomo. Giunsero alla casa del
capo della sinagoga ed egli vide trambusto e gente che piangeva e urlava forte. Entrato,
disse loro: Perch vi agitate e piangete? La bambina non morta, ma dorme. E lo
deridevano. Ma egli, cacciati tutti fuori, prese con s il padre e la madre della bambina e

quelli che erano con lui ed entr dove era la bambina. Prese la mano della bambina e le
disse: Talit kum, che significa: Fanciulla, io ti dico: lzati!. E subito la fanciulla si
alz e camminava; aveva infatti dodici anni. (...)
Ges cammina verso la casa dove una bambina morta. Cammina ed Giairo, il padre, a
dettare il ritmo; Ges gli cammina vicino, offre un cuore perch possa appoggiarvi il suo
dolore: Non temere, soltanto continua ad aver fede. Ma come possibile non temere
quando la morte entrata in casa mia, e si portata via il mio sole? Secondo Ges il
contrario della paura non il coraggio, da scovare a fatica nel fondo dell'animo, ma la fede:
Tu continua ad aver fede. Anche se dubiti, anche se la tua fede non ha nulla di eroico,
lascia che la sua Parola riprenda a mormorare in cuore, che il suo Nome salga alle labbra
con un'ostinazione da innamorati.
Aver fede: che cosa significa? La fede un atto umanissimo, vitale, che tende alla vita e si
oppone all'abbandono e alla morte. aderire: come un bambino aderisce al petto della
madre, cos io aderisco al Signore, ho fiducia nella madre mia, un bambino appena
svezzato il mio cuore. Giunsero alla casa e vide trambusto e gente che piangeva. Entrato,
disse loro: Perch piangete? Non morta questa bambina, ma dorme. Dorme, come tutti
i nostri che ci hanno preceduto e che sono in attesa del risveglio. Dormono, come una
parentesi tra questo sole e il sole di domani, e per Dio l'ultimo risveglio sulla vita.
Lo deridono, allora, con quella stessa derisione con cui dicono anche a noi: tu credi nella
vita dopo la morte? Ti inganni, ti sbagli, sei un illuso, non c' niente dopo la morte. Ma la
fede biblica che Dio Dio dei vivi e non dei morti, che le creature del mondo sono
portatrici di salvezza e in esse non c' veleno di morte. Dio non ha creato la morte (Sap
1,13-14). Ges cacciati fuori tutti, prende con s il padre e la madre, ricompone il cerchio
vitale degli affetti, il cerchio dell'amore che fa vivere. Poi prende per mano la bambina.
Non era lecito per la legge toccare un morto, ma Ges profuma di libert. E ci insegna che
bisogna toccare la disperazione delle persone per poterle rialzare. La prende per mano. Chi
Ges ? Una mano che ti prende per mano. La sua mano nella mia mano.
E le disse: Talit kum. Bambina alzati. Lui pu aiutarla, sostenerla, ma lei, solo lei
che pu risollevarsi: alzati. E lei si alza e si mette a camminare. A ciascuno di noi,
qualunque sia la porzione di dolore che portiamo dentro, qualunque sia la porzione di
morte, il Signore ripete: Talit kum. In ognuno di noi c' una vita che giovane sempre:
allora, risorgi, riprendi la fede, la lotta, il sogno.
Su ogni creatura, su ogni fiore, su ogni uomo, su ogni donna ripete la benedizione di quelle
antiche parole: Talit kum, giovane vita, dico a te, alzati, rivivi, risplendi. Tu porti
salvezza.
(Letture: Sapienza 1, 13-15; 2, 23-24; Salmo 29; 2 Corinzi 8, 7.9.13-15; Marco 5, 21-43)
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Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi


05/07/2012
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la vita ordinaria la liturgia di Dio
XIV Domenica del Tempo Ordinario - Anno B

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In quel tempo, Ges venne nella sua patria e i suoi discepoli lo seguirono. Giunto il sabato,
si mise a insegnare nella sinagoga. E molti, ascoltando, rimanevano stupiti e dicevano [...]:
Non costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di
Simone [...]?. Ed era per loro motivo di scandalo. Ma Ges disse loro: Un profeta non
disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua. E l non poteva
compiere nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi malati e li guar.
A Nazaret va in scena il conflitto perenne tra quotidiano e profezia. All'inizio parole e
prodigi di Ges stupiscono, immettono un di pi dentro la normalit della vita. Poi
l'ordinario instaura di nuovo la sua dittatura.
Che un profeta sia un uomo straordinario, carismatico, ce lo aspettiamo. Ma che la profezia
sia nel quotidiano, in uno che non ha cultura e titoli, le mani segnate dalla fatica, nel
profeta della porta accanto, questo ci pare impossibile. A Nazaret pensano: Il figlio di Dio
non pu venire in questo modo, con mani da carpentiere, con i problemi di tutti, non c'
nulla di sublime, nulla di divino. Se sceglie questi mezzi poveri non Dio. Ma lo Spirito
scende proprio nel quotidiano, fa delle case un tempio, entra dove la vita celebra la sua
mite e solenne liturgia. Noi cerchiamo Dio, il pastore di costellazioni, nell'infinito dei cieli,
quando invece inginocchiato a terra con le mani nel catino per lavarci i piedi.
Ed era per loro motivo di scandalo. Che cosa li scandalizza? Scandalizza l'umanit, la
prossimit. Eppure proprio questa la buona notizia del Vangelo: che Dio si incarna dentro
l'ordinariet della vita. Ges cresce nella bottega di un artigiano, le sue mani diventano
forti a forza di stringere manici, il suo naso fiuta le colle, la resina, il sudore di chi lavora,
sa riconoscere il legno al profumo e al tatto.
Una intuizione luminosa di Heidewick di Anversa: Ho capito che questa la compiuta
fierezza dell'amore: non si pu amare la divinit di Cristo senza amare prima la sua
umanit. Riscoprire ogni frammento, ogni fremito di umanit nel Vangelo, cercare tutte le
molecole di umanit di Ges: il suo rapporto con i bambini, con gli amici, con le donne,
con il sole, con il vento, con gli uccelli, con i fiori, con il pane e con il vino. Il suo modo di
avere paura, il suo modo di avere coraggio e come piangeva e come gridava, e la sua carne
bambina e poi la sua carne piagata, e poi il suo amore per il profumo di nardo a Betania, la
casa degli amici.
Amare l'umanit di Ges, perch il Vangelo rivela proprio questo: che il divino rivelato
dall'umano, che Dio ha il volto di un uomo.
Ges al rifiuto dei compaesani mostra il suo candore, il suo bellissimo cuore fanciullo:
Non vi pot operare nessun prodigio scrive Marco, ma subito si corregge: Solo impose
le mani a pochi malati e li guar. Il Dio rifiutato si fa ancora guarigione, anche di pochi,
anche di uno solo. L'amante respinto continua ad amare anche pochi, anche uno solo.
L'amore non stanco: solo stupito. Il nostro Dio non nutre rancori o stanchezze, ma la
gioia impenitente di inviare sempre e solo segnali di vita attorno a s.
(Letture: Ezechiele 2,2-5; Salmo 122; 2 Corinzi 12,7-10; Marco 6,1-6)
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Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi
12/07/2012
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A due a due per annunciare la luce

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XV Domenica
Tempo ordinario-Anno B
In quel tempo, Ges chiam a s i Dodici e prese a mandarli a due a due e dava loro potere
sugli spiriti impuri. E ordin loro di non prendere per il viaggio nient'altro che un bastone:
n pane, n sacca, n denaro nella cintura; ma di calzare sandali e di non portare due
tuniche. E diceva loro: Dovunque entriate in una casa, rimanetevi finch non sarete partiti
di l. Se in qualche luogo non vi accogliessero e non vi ascoltassero, andatevene e scuotete
la polvere sotto i vostri piedi come testimonianza per loro. Ed essi, partiti, proclamarono
che la gente si convertisse, scacciavano molti demni, ungevano con olio molti infermi e li
guarivano.
Partono i discepoli a due a due. E non ad uno ad uno. Perch, se solo, l'uomo portato a
dubitare perfino di se stesso. La prima predicazione senza parole, gi in questo
accompagnarsi, l'uno al passo dell'altro. Partono forti di una parola e di un amico: ordin
loro di non prendere nient'altro che un bastone. Solo un bastone a sorreggere il passo e un
amico a sorreggere il cuore. Un bastone per appoggiarvi la stanchezza, un amico per
appoggiarvi la solitudine.
E proclamarono che la gente si convertisse, ungevano con olio molti infermi e li guarivano.
Il loro messaggio conversione: giratevi verso la luce, perch la luce gi qui. Le loro
mani sui malati annunciano: Dio gi qui, vicino a te con amore, e guarisce la vita, girati
verso di lui. Quello dei dodici un viaggio dentro l'uomo pi autentico, liberato da tutto il
superfluo: non portate n pane n sacca n denaro, perch la nostra vita non dipende dai
nostri beni, voi vivrete di fiducia: fiducia in Dio, che non far mancare nulla, e fiducia
negli uomini, che apriranno le loro case. Bagaglio leggero impone il viaggio e cuore
fiducioso. Domani non so se qualcuno aprir la porta ma confido nel tesoro d'amore
disseminato per strade e citt, mani e sorrisi che aprono case e ristorano cuori... (M.
Marcolini).
I dodici, senza parole, con il loro stile di vita, contestano il mondo dell'accumulo,
dell'apparire, del denaro. Proclamano: ci sono due mondi noi siamo dell'altro (Cristina
Campo). In questo mondo altro, la forza non risiede nei grandi mezzi materiali, ma nel
fuoco interiore, nel suo contagio misterioso e lucente. La povert dei discepoli fa risaltare
la potenza creativa dell'amore. Invece le cose, il denaro, i mezzi, lungo i secoli hanno
spento la creativit della Chiesa. L'annunciatore deve essere infinitamente piccolo, solo
cos l'annuncio sar infinitamente grande. Sono partiti a due a due, con niente. Ma i dodici
avevano un fuoco. Il fuoco si propaga col fuoco.
Entrati in una casa l rimanete. Ecco il punto di approdo: la casa, il luogo dove la vita nasce
ed pi vera, abbracciata dal cerchio degli affetti che fanno vivere.
E il Vangelo deve essere significativo l, nella casa, deve parlare e guarire nei giorni delle
lacrime e in quelli della festa, quando il figlio se ne va, quando l'anziano perde il senno o la
salute... Se in qualche luogo non vi ascoltassero, andatevene, al rifiuto i discepoli non
oppongono risentimenti solo un po' di polvere scossa dai sandali. E non deprimetevi per
una sconfitta, non abbattetevi per un rifiuto: c' un'altra casa poco pi avanti, un altro
villaggio, un altro cuore. All'angolo di ogni strada germoglia l'infinito.
(Letture: Amos 7,12-15; Salmo 84; Efesini 1,13-14; Marco 6,7-13).
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Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi


19/07/2012
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Il riposo, quel sano gesto di umilt


XVI Domenica del Tempo ordinario Anno B
Gli apostoli si riunirono attorno a Ges e gli riferirono tutto quello che avevano fatto [...].
Ed egli disse loro: Venite in disparte [...], e riposatevi un po'. Erano infatti molti quelli
che andavano e venivano e non avevano neanche il tempo di mangiare. Allora andarono
con la barca verso un luogo deserto, in disparte. Molti per li videro partire e capirono, e
[...] accorsero l a piedi [...]. Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, ebbe
compassione di loro, perch erano come pecore che non hanno pastore [...].
C'era tanta gente che non avevano neanche il tempo di mangiare. Ges mostra una
tenerezza come di madre nei confronti dei suoi discepoli: Andiamo via, e riposatevi un po'.
Lo sguardo di Ges va a cogliere la stanchezza, gli smarrimenti, la fatica dei suoi. Per lui
prima di tutto viene la persona; non i risultati ottenuti ma l'armonia, la salute profonda del
cuore. E quando, sceso dalla barca vede la grande folla il suo primo sguardo si posa, come
sempre nel Vangelo, sulla povert degli uomini e non sulle loro azioni o sul loro peccato.
Pi di ci che fai a lui interessa ci che sei: non chiede ai dodici di andare a pregare, di
preparare nuove missioni, solo di prendersi un po' di tempo tutto per loro, del tempo per
vivere. un gesto d'amore, di uno che vuole loro bene e li vuole felici. Scrive
sant'Ambrogio: Si vis omnia bene facere, aliquando ne feceris, se vuoi fare bene tutte le
tue cose, ogni tanto smetti di farle, cio riposati. Un sano atto di umilt, nella
consapevolezza che non siamo noi a salvare il mondo, che le nostre vite sono delicate e
fragili, le energie limitate.
Ges insegna una duplice strategia: fare le cose come se tutto dipendesse da noi, con
impegno e dedizione; e poi farle come se tutto dipendesse da Dio, con leggerezza e fiducia.
Fare tutto ci che sta in te, e poi lasciar fare tutto a Dio.
Un particolare: venite in disparte, con me. Stare con Ges, per imparare da lui il cuore di
Dio. Ritornare poi nella folla, portando con s un santuario di bellezza che solo Dio pu
accendere. Ma qualcosa cambia i programmi: sceso dalla barca vide una grande folla ed
ebbe compassione di loro. Prendiamo questa parola, bella come un miracolo, come filo
conduttore: la compassione. Ges cambia i suoi programmi, ma non quelli dei suoi amici.
Rinuncia al suo riposo, non al loro. E ci che offre alla gente per prima cosa la
compassione, il provare dolore per il dolore dell'altro; il moto del cuore che muove la mano
a fare.
Stai con Ges, lo guardi agire, e lui ti offre il primo insegnamento: come guardare,
prima ancora di come parlare; uno sguardo che abbia commozione e tenerezza, le parole e i
gesti seguiranno. Quando impari il sentimento divino della compassione, il mondo si
innesta nella tua anima. Se ancora c' chi si commuove per l'ultimo uomo, questo uomo
avr un futuro.
Ges sa che non il dolore che annulla in noi la speranza, non il morire, ma l'essere
senza conforto. Facciamo in modo di non privare il mondo della nostra compassione,
consapevoli che ci che possiamo fare solo una goccia nell'oceano, ma questa goccia
che pu dare significato a tutta la nostra vita (Teresa di Calcutta).
(Letture: Geremia 23,1-6; Salmo 22; Efesini 2,13-18; Marco 6,30-34)

Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi


26/07/2012
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La condivisione il vero pane


XVII Domenica del Tempo Ordinario - Anno B
In quel tempo, [...] Ges sal sul monte e l si pose a sedere con i suoi discepoli. [...] Alzti
gli occhi, vide che una grande folla veniva da lui e disse a Filippo: Dove potremo
comprare il pane perch costoro abbiano da mangiare?. [...] Gli disse allora uno dei suoi
discepoli, Andrea, fratello di Simon Pietro: C' qui un ragazzo che ha cinque pani d'orzo e
due pesci; ma che cos' questo per tanta gente?. Rispose Ges: Fateli sedere. C'era
molta erba in quel luogo. Si misero dunque a sedere ed erano circa cinquemila uomini.
Allora Ges prese i pani e, dopo aver reso grazie, li diede a quelli che erano seduti, e lo
stesso fece dei pesci, quanto ne volevano [...].
La moltiplicazione dei pani un evento che si impresso in modo indelebile nei discepoli,
l'unico miracolo raccontato in tutti i vangeli. Pi ancora che un miracolo, un segno: fessura
di mistero, evento decisivo per comprendere Ges. Lui ha pane per tutti, come se dicesse:
io faccio vivere, io moltiplico la vita! Lui fa vivere: con le sue mani che risanano i malati,
con le parole che guariscono il cuore, con il pane che significa tutto ci che alimenta la vita
dell'uomo
Cinquemila uomini, e attorno primavera; sul monte, nel luogo dove Dio pi vicino,
hanno fame, fame di Dio. Qualcuno ha pani d'orzo, l'orzo il primo dei cereali che matura,
simbolo di freschezza e novit; piccola ricchezza di un ragazzo, anche lui una primizia
d'uomo.
A Ges nessuno chiede nulla, lui che per primo si accorge e si preoccupa: Dove potremo
comprare il pane per loro?.
Alla sua generosit corrisponde quella del ragazzo: nessuno gli chiede nulla, ma lui mette
tutto a disposizione. Primo miracolo. Invece di pensare: che cosa sono cinque pani per
cinquemila persone? Sono meno di niente, inutile sprecarli. E la mia fame? D tutto quello
che ha, senza pensare se sia molto o se sia poco. tutto!
Per una misteriosa regola divina, quando il mio pane diventa il nostro pane accade il
miracolo. La fame finisce non quando mangi a saziet, ma quando condividi fosse pure il
poco che hai. C' tanto di quel pane sulla terra che a condividerlo basterebbe per tutti. Il
Vangelo neppure parla di moltiplicazione ma di distribuzione, di un pane che non finisce. E
mentre lo distribuivano il pane non veniva a mancare, e mentre passava di mano in mano
restava in ogni mano. Come avvengono certi miracoli non lo sapremo mai. Neanche per
questo di oggi riusciamo a vedere il come. Ci sono e basta. Quando a vincere la
generosit.
Giovanni riassume l'agire di Ges in tre verbi Prese il pane, rese grazie e distribu, che
richiamano subito l'Eucaristia, ma che possono fare dell'intera mia vita un sacramento:
prendere, rendere grazie, donare. Noi non siamo i padroni delle cose. Se ci consideriamo
tali, profaniamo le cose: l'aria, l'acqua, la terra, il pane, tutto quello che incontriamo, non
nostro, vita da che viene in dono da altrove e va oltre noi. Chiede cura, come per il pane
del miracolo (i dodici canestri di pezzi), le cose hanno una sacralit, c' una santit perfino
nella materia, perfino nelle briciole: niente deve andare perduto.

Impariamo ad accogliere e a benedire: gli uomini, il pane, Dio, la bellezza, la vita, e poi a
condividere: accoglienza, benedizione, condivisione saranno dentro di noi sorgenti di
Vangelo. E di felicit.
(Letture: 2 Re 4,42-44; Salmo 144; Efesini 4,1-6; Giovanni 6,1-15)
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Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi
02/08/2012
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Il pane del cielo donato dal Padre


XVIII Domenica
tempo ordinario Anno B
(...) Allora gli dissero: Quale segno tu compi perch vediamo e ti crediamo? Quale opera
fai? I nostri padri hanno mangiato la manna nel deserto, come sta scritto: "Diede loro da
mangiare un pane dal cielo". Rispose loro Ges: In verit, in verit io vi dico: non
Mose che vi ha dato il pane dal cielo, ma il Padre mio che vi d il pane dal cielo, quello
vero. Infatti il pane di Dio colui che discende dal cielo e d la vita al mondo. Allora gli
dissero: Signore, dacci sempre questo pane. Ges rispose loro: Io sono il pane della
vita; chi viene a me non avr fame e chi crede in me non avr sete, mai!.
Nel Vangelo di domenica scorsa Ges distribuiva il pane, oggi si distribuisce come pane,
come un pane che si distrugge per dare vita: chi mangia di me non avr fame, chi crede in
me non avr sete, mai! L'uomo nasce affamato, ed la sua fortuna. Il bambino ha fame di
sua madre che lo nutre di latte, di carezze e di sogni. Il giovane ha fame di amare e di
essere amato. Gli sposi hanno fame l'uno dell'altra e poi di un frutto in cui si incarni il loro
amore. E quando hai raggiunto tutto questo e dovresti sentirti appagato, a quel punto: ci hai
fatti per te e inquieto il nostro cuore finch non riposa in te (sant'Agostino).
C' una fame pi grande, fame di cielo, fame di Dio. Fame di amare e di essere amati, fame
di felicit e di pace per noi e per gli altri. Fame di vita pi grande, pi intensa. Eterna.
Ma tu, Ges di Nazaret, che cosa porti? Grande domanda, la cui risposta semplice e
folgorante: come allora ha dato la manna, oggi ancora Dio d. Due parole semplicissime
eppure chiave di volta del Vangelo: Dio d. Dio non chiede, Dio d. Dio non pretende, Dio
offre. Dio non esige nulla, dona tutto. Un verbo cos semplice: dare, che racchiude il cuore
di Dio. Dare, senza condizioni, senza un perch che non sia l'intimo bisogno di fecondare,
far fiorire, fruttificare la vita. Poi la risposta si completa: ci che il Padre d un pane che
d la vita al mondo.
Uno dei vertici del Vangelo: ci che d pienezza alla vita del mondo un pane dal cielo. La
pienezza un pezzo di Dio in noi. L'uomo l'unica creatura che ha Dio nel sangue
(Vannucci), e nel respiro.
Uno dei nomi pi belli di Dio: Dio nella vita datore di vita. Dalle sue mani la vita fluisce
illimitata e inarrestabile. E la folla capisce e insieme a noi dice: Dacci sempre di questo
pane. La domanda diventa supplica, comando: Dacci! Sempre!
Ges risponde con le parole decisive: sono io il pane della vita. Annuncia la sua pretesa
assoluta: io posso colmare tutta la vostra vita. Io sono il divino che fa fiorire l'umano! Io

sono un pane che contiene tutto ci che serve a mantenere la vita: amore, senso, libert,
coraggio, pace, bellezza.
Chi crede in me... Credere come mangiare un pane, lo assaporo in bocca, lo faccio
scendere nell'intimo, lo assimilo e si dirama per tutto l'essere, Ges in me si trasforma in
cuore, calore, energia, pensieri, sentimenti, canto.
Il cristianesimo non un corpo dottrinale, cui aggiungere sempre qualche nuova
definizione dogmatica o etica, ma una vita divina da assimilare, una calda corrente d'amore
da far entrare. Perch giunga a maturazione l'uomo celeste che in noi, affinch sboccino
amore e libert, nel tempo e nell'eterno.
(Letture: Esodo 16, 2-4. 12-15; Salmo 77; Efesini 4, 17. 20-24; Giovanni 6, 24-35)
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Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi


09/08/2012
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Quel pane vivo disceso dal cielo


XIX domenica
Tempo ordinario Anno B
(...) Ges rispose loro: Non mormorate tra voi. Nessuno pu venire a me, se non lo attira
il Padre che mi ha mandato; e io lo risusciter nell'ultimo giorno. Sta scritto nei profeti: "E
tutti saranno istruiti da Dio". Chiunque ha ascoltato il Padre e ha imparato da lui, viene a
me. Non perch qualcuno abbia visto il Padre; solo colui che viene da Dio ha visto il
Padre. In verit, in verit io vi dico: chi crede ha la vita eterna. Io sono il pane della vita. I
vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti; questo il pane che
discende dal cielo, perch chi ne mangia non muoia. Io sono il pane vivo, disceso dal cielo.
Se uno mangia di questo pane vivr in eterno e il pane che io dar la mia carne per la vita
del mondo.
Nessuno pu venire a me se il Padre non lo attira. Non si diventa cristiani se non per questa
attrazione, non certo per via di indottrinamento o di crociate. Io sono cristiano per
attrazione: mi attira un Dio buono come il pane, umile come il pane, energia inesauribile
che alimenta la vita, ogni vita, tutta la vita. Si d e scompare. E anche i suoi figli faranno
come lui, si faranno pane buono. Ai funerali di don Primo Mazzolari, un suo parrocchiano
ebbe a dire: ci bastava guardarlo, vederlo passare. Per noi era pane.
Il verbo di questo Vangelo mangiare. Cos semplice, quotidiano, vitale. Che indica
cento cose, ma la prima vivere. Mangiare questione di vita o di morte. Dio cos: una
questione di fondo. Ne va della tua vita. Il segreto, il senso ultimo nel tempo e nell'eterno
vivere di Dio. Non solo diventare pi buono, ma avere Dio dentro, che mi trasforma nel
cuore, nel corpo, nell'anima, mi trasforma in lui. Partecipare al corpo e al sangue di Cristo
non tende ad altro che a trasformarci in quello che riceviamo (Leone Magno). Mi ha molto
colpito un anziano sacerdote francese che porgendo il pane della comunione soleva dire:
che possiamo diventare ci che riceviamo, il corpo di Cristo.
Dio in me: il mio cuore lo assorbe, lui assorbe il mio cuore, e diventiamo una cosa sola. Ed
il senso di tutta la storia: portare cielo nella terra, Dio nell'uomo, vita immensa in questa

vita piccola. Molto pi del perdono dei peccati venuto a portare: venuto a dare se
stesso.
Mangiare la carne e il sangue di Cristo, non si riduce per al rito della Messa. Il corpo di
Cristo non sta solo sull'altare, del suo Spirito piena la terra, Dio si vestito d'umanit, al
punto che l'umanit intera la carne di Dio. Infatti: quello che avete fatto a uno di questi
l'avete fatto a me. Mangiare il pane di Dio nutrirsi di Cristo e di Vangelo, respirare
quell'aria pulita, mangiare quel pane buono, continuamente. Domandiamoci allora: noi di
che cosa ci nutriamo? Di che cosa alimentiamo cuore e pensieri? Stiamo mangiando
generosit, bellezza, profondit? O stiamo nutrendoci di superficialit, miopie, egoismi,
intolleranze, insensatezze? Se accogliamo in noi pensieri degradati questi ci riducono come
loro; se accogliamo pensieri di vangelo, di bont e di bellezza essi ci fanno uomini e donne
della bellezza.
Se ci nutriamo di Vangelo, il Vangelo d forma al nostro pensare, al sentire, all'amare. E
diventiamo ci che ci abita.
Io non sono ancora e mai il Cristo, ma io sono questa infinita possibilit (Turoldo). Non
baster questa vita forse, ma lui ha promesso. Ha promesso e io lo credo. Sono convinto
che lo diverr: una cosa sola con lui.
(Letture: 1 Re 19, 4-8; Salmo 33/34; Efesini 4, 30 - 5, 2; Giovanni 6, 41-51).
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Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi


17/08/2012
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Cibarsi di Cristo per avere la vita eterna


XX domenica
Tempo ordinario Anna B
In quel tempo, Ges disse alla folla: Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno
mangia di questo pane vivr in eterno e il pane che io dar la mia carne per la vita del
mondo. Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: Come pu costui darci
la sua carne da mangiare?. Ges disse loro: In verit, in verit io vi dico: se non
mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita.
Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciter nell'ultimo
giorno. Perch la mia carne vero cibo e il mio sangue vera bevanda. Chi mangia la mia
carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. (...)
Negli otto versetti di questo Vangelo Ges per otto volte ripete: Chi mangia la mia carne
vivr in eterno. E ogni volta ribadisce il perch di questo mangiare: per vivere, perch
viviamo davvero. l'incalzante, martellante certezza da parte di Ges di possedere
qualcosa che capovolge la direzione della vita: non pi avviata verso la morte, ma
chiamata a fiorire in Dio.
Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna. Ha la vita eterna, non avr.
La vita eterna non una specie di trattamento di fine rapporto, di liquidazione che
accumulo con il mio lavoro e di cui potr godere alla fine dell'esistenza. La vita eterna

gi cominciata: una vita diversa, profonda, giusta, che ha in s la vita stessa di Ges,
buona, bella e beata.
Ma la vita eterna interessa? Domanda il salmo responsoriale: C' qualcuno che desidera la
vita? C' qualcuno che vuole lunghi giorni felici, per gustarla? (Salmo 33,13). S, io voglio
per me e per i miei una vita che sia vera e piena. Voglio lunghi giorni e che siano felici. Li
voglio per me e per i miei. Siamo cercatori di vita, affamati di vita, non rassegnati, non
disertori: allora troveremo risposte. Le troveremo nella vita di Ges, nella sua carne e nel
suo sangue, che non sono tanto il materiale fisiologico che componeva il suo corpo, ma
includono la sua vita tutta intera, la sua vicenda umana, il suo respiro divino, le sue mani di
carpentiere con il profumo del legno, le sue lacrime, le sue passioni, i suoi abbracci, la casa
che si riempie del profumo di nardo e di amicizia. Su, fino alla carne inchiodata, fino al
sangue versato. Fino al dono di s, di tutto se stesso. Mangiare e bere Cristo significa
essere in comunione con il suo segreto vitale: l'amore. Cristo possiede il segreto della vita
che non muore. E vuole trasmetterlo.
Chi mangia la mia carne dimora in me e io in lui. molto bello questo dimorare
insieme. Gli uomini quando amano dicono: vieni a vivere nella mia casa, la mia casa la
tua casa. Dio lo dice a noi. E noi lo diciamo a Dio perch il nostro cuore a casa solo
accanto al suo.
Al momento della professione il monaco armeno antico, invece che con i tre classici voti,
si consacrava a Dio con queste parole: voglio essere uno con Te! Una sola cosa con te. Che
il fine della vita. Uno con te! E lascio che il mio cuore assorba te, lascio che tu assorba
il mio cuore, e che di due diventiamo finalmente una cosa sola. Il fine della storia: Dio si
fatto uomo per questo, perch l'uomo si faccia come Dio. Ges Cristo entra in noi per
produrre un cambiamento profondo, per una cristificazione: un pezzo di Dio in me perch
io diventi un pezzo di Dio nel mondo.
(Letture: Proverbi 9, 1-6; Salmo 33/34; Efesini 5, 15-20; Giovanni 6, 51-58)
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Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi
23/08/2012
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La Parola di Dio, parola di vita eterna


XXI domenica
Tempo ordinario - Anno B
In quel tempo, molti dei discepoli di Ges, dopo aver ascoltato, dissero: Questa parola
dura! Chi pu ascoltarla?. Ges, sapendo dentro di s che i suoi discepoli mormoravano
riguardo a questo, disse loro: Questo vi scandalizza? E se vedeste il Figlio dell'uomo
salire l dov'era prima? lo Spirito che d la vita, la carne non giova a nulla; le parole che
io vi ho detto sono spirito e sono vita. Ma tra voi vi sono alcuni che non credono. Ges
infatti sapeva fin da principio chi erano quelli che non credevano e chi era colui che lo
avrebbe tradito. E diceva: Per questo vi ho detto che nessuno pu venire a me, se non gli
concesso dal Padre. (...)

Giovanni mette in scena il resoconto di una crisi drammatica. Dopo il lungo discorso sul
pane dal cielo e sulla sua carne come cibo, Ges vede profilarsi l'ombra del fallimento:
molti dei suoi discepoli si tirarono indietro e non andavano pi con lui.
E lo motivano chiaramente: questa parola dura. Chi pu ascoltarla? Dura era stata anche
per il giovane ricco: vendi tutto quello che hai e dallo ai poveri. Dure le parole sulla
montagna: ama i tuoi nemici, se uno ti colpisce porgi l'altra guancia.
Ma ci che Ges propone adesso non una nuova morale pi o meno ardua, ma una
visione ancora pi rivoluzionaria, una fede ancor pi dura da comprendere e da accettare:
io sono il pane di Dio; io trasmetto la vita di Dio; la mia carne d la vita al mondo.
Nessuno aveva mai detto io con questa pretesa, questa autorit. E poi nessuno aveva mai
parlato di Dio cos: un Dio che non versa sangue, versa il suo sangue; un Dio che va a
morire d'amore, che si fa piccolo come un pezzo di pane, si fa cibo per l'uomo.
Finita la religione delle pratiche esterne, dei riti, degli obblighi, questa la religione del
corpo a corpo con Dio, fino a diventare una cosa sola con lui. Ed ecco la svolta del
racconto: forse volete andarvene anche voi? C' un velo di tristezza in Ges, consapevole
della crisi in atto. Ma c' anche fierezza e sfida, e soprattutto un appello alla libert di
ciascuno: siete liberi, andate o restate, ma scegliete seguendo quello che sentite dentro!
Sono chiamato anch'io a scegliere di nuovo, andare o restare. E mi viene in aiuto la
stupenda risposta di Pietro: Signore da chi andremo? Tu solo hai parole di vita eterna.
Tu solo. Dio solo. Un inizio bellissimo. Non ho altro di meglio. Ed esclude un mondo
intero. Tu solo. Nessun altro c' su cui poggiare la vita. Tu solo hai parole: Dio parla, il
cielo non vuoto e muto, e la sua parola efficace e tagliente, spalanca la pietra del
sepolcro, vince il gelo, apre strade e nuvole e incontri, apre carezze e incendi.
Tu solo hai parole di vita. Parole che danno vita, la danno ad ogni parte di me. Danno vita
al cuore, allargano e purificano il cuore, ne sciolgono la durezza.
Danno vita alla mente perch la mente vive di libert altrimenti patisce; vive di verit
altrimenti si ammala. Vita allo spirito, a questa parte divina deposta in noi, mantengono
vivo un pezzetto di Dio in me, una porzione di cielo. Parole che danno vita anche al corpo
perch in Lui siamo, viviamo e respiriamo: togli il tuo respiro e siamo subito polvere.
Parole di vita eterna, che fanno viva per sempre la vita, che portano in dono l'eternit a
tutto ci che di pi bello abbiamo nel cuore.
(Letture: Giosu 24, 1-2. 15-17. 18b; Salmo 33; Efesini 5, 21-31; Giovanni 6, 60-69)
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l Vangelo A cura di Ermes Ronchi


30/08/2012
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Ges Cristo il cuore felice della vita


XXII Domenica
Tempo ordinario - Anno B
(...) "Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore lontano da me. Invano mi
rendono culto, insegnando dottrine che sono precetti di uomini". Trascurando il
comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini. Chiamata di nuovo la
folla, diceva loro: Ascoltatemi tutti e comprendete bene! Non c' nulla fuori dell'uomo

che, entrando in lui, possa renderlo impuro. Ma sono le cose che escono dall'uomo a
renderlo impuro. E diceva: Dal di dentro infatti, cio dal cuore degli uomini, escono i
propositi di male: impurit, furti, omicidi, adultri, avidit, malvagit, inganno,
dissolutezza, invidia, calunnia, superbia, stoltezza...
Ges si mostra durissimo contro il rischio di una religione esteriore. Veniva da villaggi e
campagne dove il suo andare era come un bagno dentro il dolore. Dovunque arrivava, gli
portavano i malati, mendicanti ciechi lo chiamavano, donne di Tiro e Sidone cercavano di
toccargli almeno la frangia del mantello, almeno che la sua ombra passasse come una
carezza sulla loro umanit dolente. E ora gli chiedono di tradizioni, di mani lavate o no, di
abluzioni di stoviglie, di formalismi vuoti! Ed ecco che Ges inaugura la religione del
cuore, la linea dell'interiorit. Non c' nulla fuori dall'uomo che entrando in lui possa
renderlo impuro. Sono le cose che escono dal cuore dell'uomo a renderlo impuro. Ges
scardina ogni pregiudizio circa il puro e l'impuro, quei pregiudizi cos duri a morire.
Rivendica la purezza di ogni realt vivente. Il cielo, la terra, ogni specie di cibo, il corpo
dell'uomo e della donna sono puri, come scritto Dio vide e tutto era cosa buona. E
attribuisce al cuore, e solo al cuore, la possibilit di rendere pure o impure le cose, di
sporcarle o di illuminarle. Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore lontano
da me. Il grande pericolo vivere una religione di pratiche esteriori, emozionarsi per i
grandi numeri, i milioni di pellegrini..., amare la liturgia per la musica, i fiori, l'incenso,
recitare formule con le labbra, ma avere il cuore lontano da Dio e dai poveri. Dio non
presente dove assente il cuore. Ma il ritorno al cuore non basta. Ci guardiamo dentro e vi
troviamo di tutto, anche cose delle quali ci vergogniamo: dal cuore vengono le intenzioni
cattive, prostituzioni, omicidi, adulteri, malvagit... un elenco impressionante di dodici
cose cattive, che rendono impura la vita. C' bisogno di purificare la sorgente, di
evangelizzare le nostre zone di durezza e di egoismo, guardandoci con lo sguardo di Ges:
il suo sguardo di perdono sulla donna adultera, su Maria Maddalena, su Pietro pentito,
sguardo che trasforma, che ci fa abbandonare il peccato passato e ci apre a un futuro
buono. Non sono le pratiche esteriori che purificano, pi facile lavare le mani che lavare
le intenzioni. Occorre lo sguardo di Ges. Allora cadono le sovrastrutture, le esteriorit, le
disquisizioni vuote, tutto ci che cascame culturale, tradizione di uomini. Che aria di
libert con Ges! Apri il Vangelo ed come una boccata d'aria fresca dentro l'afa dei soliti
discorsi. Scorri il Vangelo e passa l'ombra di una perenne freschezza, un vento creatore che
ti rigenera, che apre cammini, perch con Cristo sei tornato al cuore felice della vita.
(Letture: Deuteronomio 4, 1-2.6-8; Salmo 14; Giacomo 1, 17-18. 21b-22.27; Marco 7,18.14-15.21-23)
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Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi


06/09/2012
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La bellezza di aprirsi a Dio e agli altri


XXIII Domenica
Tempo ordinario - Anno B
In quel tempo, Ges, uscito dalla regione di Tiro, passando per Sidne, venne verso il mare
di Galilea in pieno territorio della Decpoli. Gli portarono un sordomuto e lo pregarono di
imporgli la mano. Lo prese in disparte, lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e
con la saliva gli tocc la lingua; guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e gli
disse: Effat, cio: Apriti!. E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della
sua lingua e parlava correttamente. E comand loro di non dirlo a nessuno. Ma pi egli lo
proibiva, pi essi lo proclamavano e, pieni di stupore, dicevano: Ha fatto bene ogni cosa:
fa udire i sordi e fa parlare i muti!.
Portarono a Ges un sordomuto. Un uomo imprigionato nel silenzio, che non pu
comunicare, chiuso. Eppure privilegiato: non ha nessun merito per ci che gli sta per
accadere, ma ha degli amici, una piccola comunit di gente che gli vuol bene e lo porta
davanti a Ges. Il sordomuto, icona di ognuno che venga alla fede, racconta cos il
percorso di guarigione per ogni credente.
Allora Ges lo prese in disparte, lontano dalla folla. la prima azione. Io e te soli, sembra
dire. Ora sono totalmente per te, ora conti solo tu. Li immagino occhi negli occhi, e Ges
che prende quel volto fra le sue mani.
E seguono gesti molto corporei e delicati: Ges pose le dita sugli orecchi del sordo. Non il
braccio o la mano, ma le dita, come l'artista che modella delicatamente il volto che ha
plasmato. Come una carezza.
Poi con la saliva tocc la sua lingua. Gesto intimo, coinvolgente: ti do qualcosa di mio,
qualcosa che sta nella bocca dell'uomo, insieme al respiro e alla parola, simboli dello
Spirito.
Ges, all'opera con il corpo dell'uomo, mostra che i nostri corpi sono laboratorio del
Regno, luogo santo di incontro con il Signore.
Guardando quindi verso il cielo... gli disse: Effat, cio: Apriti! Come si apre una porta
all'ospite, una finestra al sole, le braccia all'amore. Apriti, come si apre uno scrigno
prezioso. Apriti agli altri e a Dio, anche con le tue ferite, che possano diventare feritoie,
attraverso le quali passi il vento della vita. Il primo passo per guarire, abbandonare le
chiusure, le rigidit, i blocchi, aprirsi: Effat. Esci dalla tua solitudine, dove ti pare di
essere al sicuro, e che invece non solo pericolosa, molto di pi, mortale. E subito gli
si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente. Prima gli
orecchi. Simbolo eloquente: sa parlare solo chi sa ascoltare. Gli altri parlano, ma mentre lo
fanno innalzano barriere di incomprensione. Primo servizio da rendere a Dio e all'uomo
l'ascolto. Senza, non c' parola vera.
Nella Bibbia leggiamo di una preghiera cos bella da incantare il Signore. Di questa sola
detto che il Signore rimane affascinato. Nella notte che precede l'incoronazione, il giovane
Salomone chiede a Dio: Donami un cuore docile, un cuore che ascolta! E Dio risponde,
felice: Poich non mi hai chiesto ricchezza, n potenza, n lunga vita, tutto questo avrai
insieme al dono di un cuore che ascolta! Dono da chiedere sempre. Instancabilmente, per

il sordomuto che in noi: donaci, Signore un cuore che ascolta. Perch solo con il cuore
che si ascolta, e nasceranno parole profumate di vita e di cielo.
(Letture: Isaia 35, 4-7; Salmo 145; Giacomo 2, 1-5; Marco 31-37 )
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l Vangelo A cura di Ermes Ronchi
13/09/2012
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Dio si propone con un disarmato amore


XXIV Domenica
Tempo ordinario Anno B
In quel tempo, Ges part con i suoi discepoli verso i villaggi intorno a Cesara di Filippo,
e per la strada interrogava i suoi discepoli dicendo: La gente, chi dice che io sia?. Ed essi
gli risposero: Giovanni il Battista; altri dicono Ela e altri uno dei profeti. Ed egli
domandava loro: Ma voi, chi dite che io sia?. Pietro gli rispose: Tu sei il Cristo. E
ordin loro severamente di non parlare di lui ad alcuno. E cominci a insegnare loro che il
Figlio dell'uomo doveva soffrire molto, ed essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei
sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e, dopo tre giorni, risorgere.
Faceva questo discorso apertamente. Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo.
Ma egli, voltatosi e guardando i suoi discepoli, rimprover Pietro e disse: Va' dietro a me,
Satana! Perch tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini. Convocata la folla
insieme ai suoi discepoli, disse loro: Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se
stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perch chi vuole salvare la propria vita, la perder;
ma chi perder la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salver.
La gente, chi dice che io sia? Il Signore ci educa alla fede attraverso domande; in principio
Dio cre il punto di domanda e lo depose nel cuore dell'uomo, come sorgente di sapienza.
Ges insegnava con le domande, con esse stimolava la mente delle persone per spingerle a
camminare dentro di s per trasformare attivamente la loro vita, non da spettatori passivi.
Era un maestro dell'esistenza, e voleva i suoi pensatori e poeti della vita.
La gente dice che sei Elia o il Battista. Ma a Ges non basta, lui non un uomo del
passato, fosse pure "il pi grande tra i nati da donna".
E cambia la domanda, la fa esplicita e diretta: Ma per te, chi sono io? Pietro risponde,
primo dei credenti: Tu sei il Cristo. Eppure non basta ancora, non sufficiente un passato
che ritorna (sei un profeta), non basta neppure il presente (sei il Messia). Ges una fede
in cammino, e ci che sta per accadere capovolger radicalmente l'immagine di Dio e, di
conseguenza, anche l'immagine dell'uomo. Dio viene dal futuro pi inatteso: cominci a
insegnare loro che il Figlio dell'uomo doveva soffrire molto, venire ucciso e poi risorgere.
Soffrire molto. Parole che entrano in conflitto frontale con tutto ci che l'uomo si aspetta
per il senso della propria esistenza e persino per il senso di Dio. Tutti cercano un Dio
vincitore, che ci risolva i problemi, che trovi la soluzione, che sciolga i nodi, non uno che
si faccia uccidere. Non un Messia sconfitto.
Noi cerchiamo di vincere con la forza, invece Dio vince attraverso la debolezza; noi
vogliamo imporci con la violenza, Dio si propone con l'amore, anzi con un crocifisso
amore, disarmato amore.
Volete sapere davvero qualcosa di me e al tempo stesso di voi? Vi do un appuntamento: un
uomo in croce. Uno che posto in alto. Che bacio a chi lo tradisce, che non spezza

nessuno, spezza se stesso. Prima ancora, gioved, l'appuntamento sar un altro: uno che
posto in basso. Che cinge un asciugamano e si china a lavare i piedi ai suoi. Chi il Dio? Il
mio lavapiedi. In ginocchio davanti a me. Le sue mani sui miei piedi. Davvero, come dice
Paolo, il cristianesimo scandalo e follia. E poi un terzo appuntamento a Pasqua, quando
ci prende dentro, ci cattura tutti dentro il suo risorgere e ci trascina in alto con s.
Chi sono io per te? Attorno a questa domanda si gioca la fede di ciascuno. Come Pietro
ogni discepolo chiamato personalmente ad amare questa domanda, come acqua sorgiva.
Io l'ho molto amata, le ho dato molte risposte, sempre incompiute. Oggi, Signore, ti
confesso felice che Tu sei per me quello che la primavera per i fiori, quello che il vento
per l'aquilone. E col tuo fiato m'apri spazi al volo (G. Centore).
(Letture: Isaia 50, 5-9a: Salmo 114; Giacomo 2, 14-18; Marco 8, 27-35)
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Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi
20/09/2012
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I servitori salveranno il mondo


XXV Domenica del Tempo Ordinario - Anno B
In quel tempo, Ges e i suoi discepoli [...] giunsero a Cafrnao. Quando fu in casa, chiese
loro: Di che cosa stavate discutendo per la strada?. Ed essi tacevano. Per la strada infatti
avevano discusso tra loro chi fosse il pi grande. Sedutosi, chiam i Dodici e disse loro:
Se uno vuole essere il primo, sia l'ultimo di tutti e il servitore di tutti. E, preso un
bambino, lo pose in mezzo a loro e, abbracciandolo, disse loro: Chi accoglie uno solo di
questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui
che mi ha mandato.
Oggi il Vangelo offre tre nomi sorprendenti di Ges: ultimo, servitore, bambino, cos
lontani dal nostro sentire spontaneo, dall'immagine ideale dell'Onnipotente. Ges lungo la
strada sta parlando di un argomento di estrema importanza, di qualcosa di vitale: sta
raccontando ai dodici che tra poco sar ucciso. insieme con i suoi migliori amici, e loro
invece di condividere il suo dramma parlano di carriere e di posti: chi pi grande tra noi?
Sembrano totalmente disinteressati a lui e alla sua storia, presi dalle loro piccole storie.
Immagino la stretta al cuore di Ges, per un atteggiamento che tra uomini, tra amici,
sarebbe imperdonabile. E invece ecco emergere in piena luce il suo metodo creativo,
geniale di gestire le relazioni: non giudica, non accusa, non rimprovera i suoi, non li
ripudia n li rimanda a casa per questo, lui ha capito che i dodici non sono uomini dal
cuore vuoto o banale, hanno solo tanta paura di quella prospettiva di morte, tanta paura da
rimuoverla perfino dai discorsi.
Ges allora inventa una strategia per educarli ancora: per vincere la paura, li accompagna
con forza e tenerezza dentro il suo sogno. Prima di tutto mette i discepoli, e noi con loro,
sotto la luce di quel limpidissimo e stravolgente assunto: chi vuol essere il primo sia
l'ultimo e il servo di tutti.
Poi spiega questa parola inedita con un gesto inedito: Prese un bambino, lo pose in mezzo,
lo abbracci e disse: chi accoglie uno di questi bambini accoglie me. Tutto il Vangelo
racchiuso in un abbraccio. Dato a un bambino, dove il solo fatto di esistere gi
un'estasi (Emily Dickinson). Dio cos, come un abbraccio. solo accoglienza e
tenerezza. Dio un bacio, amava ripetere don Benedetto Calati, un grande dello spirito.

Poi Ges fa un passo ancora oltre, si identifica con i piccoli: chi accoglie uno di questi
bambini accoglie me. Lui nei piccoli, negli ultimi, in coloro che sono in fondo alla fila;
lui sa bene che il mondo non sar salvato dagli editti dei re o dalle decisioni dei potenti,
non sar mai il faraone a mandare liberi i suoi schiavi. Il mondo sar salvo quando il
servizio sar il nome nuovo della civilt (chi vuol essere il primo si faccia il servo di tutti)
e nessuno sar escluso. Quando al centro di ogni progetto, della chiesa e della societ, della
famiglia e della comunit, saranno posti i piccoli, i poveri, i deboli. Quando tu,
abbracciando loro, capirai ti abbracciare Dio.
Potessimo dire, come Ges, ai nostri piccoli, a quelli che ci sono affidati: ti metto al centro
della mia vita e ti abbraccio. Allora il sogno di Ges dalla periferia del mondo arriver a
conquistare il centro della citt dell'uomo.
(Letture: Sapienza 2,12.17-20; Salmo 53, Giacomo 3,16-4,3, Marco 9,30-37)
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Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi
27/09/2012
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I cristiani, amici dell'uomo e della vita


XXVI DOMENICA
Tempo ordinario-Anno B
In quel tempo, Giovanni disse a Ges: Maestro, abbiamo visto uno che scacciava demni
nel tuo nome e volevamo impedirglielo, perch non ci seguiva. Ma Ges disse: Non
glielo impedite, perch non c' nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito
possa parlare male di me: chi non contro di noi per noi. Chiunque infatti vi dar da bere
un bicchiere d'acqua nel mio nome perch siete di Cristo, in verit io vi dico, non perder
la sua ricompensa. Chi scandalizzer uno solo di questi piccoli che credono in me, molto
meglio per lui che gli venga messa al collo una macina da mulino e sia gettato nel mare
(...).
Maestro, quell'uomo non era dei nostri. Agli apostoli non importa che un uomo sia liberato
dalla nera presenza del demonio. A loro interessa prima di tutto la difesa del gruppo, del
movimento: l'istituzione posta prima della persona. L'uomo malato viene dopo,
l'indemoniato pu aspettare. La salute, la felicit, la vita possono attendere.
Invece Ges ad affermare: chiunque aiuta il mondo a fiorire, chi amico della vita dei
nostri. Secondo la bella definizione di Origene: i cristiani sono amici del genere umano. O
quella del Siracide, sono amici della vita.
Si pu essere di Cristo senza appartenere al gruppo dei dodici. Trasferito nel nostro mondo:
si pu essere uomini di Cristo senza essere uomini della chiesa, perch il regno di Ges
pi grande della chiesa, e la chiesa finir mentre il regno dei cieli eterno.
Semini amore, aiuti a guarire l'oceano di male che c' nel mondo? Allora sei di Cristo.
Quanti lo seguono, senza neppure saperlo, perch seguono l'amore, e sono capaci di fare
miracoli per liberare un uomo dall'ingiustizia, o solo per far nascere un sorriso sul volto di
qualcuno che piange.
Non ripetiamo l'errore dei discepoli che alzano steccati: gli uomini sono tutti dei nostri e
noi siamo di tutti.

Il Vangelo termina con parole dure: Se la tua mano, se il tuo piede, se il tuo occhio ti
scandalizzano, tagliali. un linguaggio figurato, incisivo, adottato per dire la seriet con
cui si deve pensare al senso della vita.
Perch la sofferenza per una vita sbagliata, per una vita fallita senza paragoni con ogni
altra sofferenza. Ges ripete un aggettivo: Il tuo occhio, la tua mano, il tuo piede. Non dare
sempre la colpa del male agli altri, alla societ alla tua infanzia, alle situazioni esterne. Il
male si annidato dentro di te: nel tuo occhio, nella tua mano, nel tuo cuore. Cerca il
tuo mistero d'ombra e cambialo, convertilo.
La soluzione non in una mano tagliata. La soluzione una mano convertita. Come si
converte la mano? Offrendo un bicchiere d'acqua. Chiunque vi dar un bicchiere d'acqua
non perder la sua ricompensa.
consolante. Ges semplifica la vita, la fa semplice. Un sorso d'acqua per essere di Cristo.
Tante volte ci sentiamo frustrati, impotenti, il male troppo diffuso, la corruzione troppo
forte. Ges dice: tu porta il tuo bicchiere d'acqua; fidati, il peggio non prevarr.
Ges, uomo senza frontiere, ci ripropone il sogno di un mondo di uomini le cui mani sanno
solo donare, i cui piedi percorrono i sentieri degli amici, un mondo dove fioriscono occhi
pi luminosi del giorno, dove tutti sono dei nostri, tutti amici del genere umano, e per
questo tutti amici di Dio.
(Letture: Numeri 11,25-29; Salmo 18; Giacomo 5,1-6; Marco 9,38-43.45.47-48).
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Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi
04/10/2012
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Il peccato? Trasgredire il sogno di Dio


XXVII Domenica del Tempo Ordinario
Anno B
In quel tempo, alcuni farisei si avvicinarono e, per metterlo alla prova, domandavano a
Ges se lecito a un marito ripudiare la propria moglie. Ma egli rispose loro: Che cosa vi
ha ordinato Mos?. Dissero: Mos ha permesso di scrivere un atto di ripudio e di
ripudiarla. Ges disse loro: Per la durezza del vostro cuore egli scrisse per voi questa
norma. Ma dall'inizio della creazione Dio li fece maschio e femmina; per questo l'uomo
lascer suo padre e sua madre e si unir a sua moglie e i due diventeranno una carne sola.
Cos non sono pi due, ma una sola carne. Dunque l'uomo non divida quello che Dio ha
congiunto. A casa, i discepoli lo interrogavano di nuovo su questo argomento. E disse
loro: Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un'altra, commette adulterio verso di lei; e
se lei, ripudiato il marito, ne sposa un altro, commette adulterio.
Alcuni farisei si avvicinano a Ges per metterlo alla prova. Quella che chiedono a Ges
una cosa ovvia e risaputa, se lecito a un marito ripudiare la moglie. Chiaro che s, tutta
la tradizione religiosa, avallata dalla Parola di Dio, lo permetteva. Ma Ges, come al suo
solito, gioca al rialzo, porta la questione su di un piano pi alto: per la durezza del vostro
cuore Mos scrisse per voi questa norma.
Ges prende le distanze dalla legge, la relativizza, afferma che non tutta la legge ha
autorit divina, talvolta essa solo il riflesso di un cuore duro e non della volont di Dio.
C' dell'altro, pi importante, pi vitale di ogni norma. Ges passa oltre lecito e illecito,

oltre le strettoie di una vita immaginata come esecuzione di ordini. A lui non interessa
regolamentare la vita, ma ispirarla, accenderla, rinnovarla. Ci prende per mano e ci
accompagna a respirare l'aria degli inizi, a condividere il sogno sorgivo, iniziale di Dio: in
principio, prima della durezza del cuore, non fu cos.
L'uomo lascer il padre e la madre, si unir a sua moglie e i due diventeranno una carne
sola. L'uomo non separi quello che Dio ha congiunto. Dal principio Dio congiunge le
vite! Questo il suo nome: Dio-congiunge, Egli profezia di comunione. Fa incontrare
le vite, le unisce, collante del mondo, cemento della casa. Il Nemico invece ha come nome
il Separatore, colui che divide. L'uomo non divida... cio agisca come Dio, si impegni a
cercare ci che unisce e non ci che divide, a inventare gesti e parole che abbiano la
gioiosa forza di congiungere le vite e di mantenere vivo l'amore; lavori su di s per non
cadere nella durezza di cuore, la sclerocarda, la peggior nemica del sogno di Dio sulle
sue creature.
Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un'altra, commette adulterio; e se lei, ripudiato il
marito, ne sposa un altro, commette adulterio. Il ripudio e l'adulterio, lo sappiamo da tutto
il Vangelo, non sono un atto formale o giuridico, cominciano nel cuore. Chi vive con
durezza di cuore, con cuore fariseo, sta ripudiando l'amore. Chi non alimenta un amore
dolce e umile, sta ripudiando il sogno di Dio, gi un separato e un adultero. Chi non si
impegna a fondo per le sue relazioni, chi non d loro tempo e cuore, intelligenza e fedelt,
le ha ripudiate, hai gi commesso adulterio nel cuore. Sta tradendo il respiro degli inizi. Il
vero peccato non trasgredire una norma, ma trasgredire un sogno, il sogno di Dio. Ges
getta le basi per la libert del cristiano: norma di comportamento non mai una legge
esterna all'uomo, ma solo l'amore che dentro riaccende il volto, il sorriso, il sogno di Dio.
(Letture: Genesi 2,18-24; Salmo 127; Ebrei 2,9-11; Marco 10,2-16)
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Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi
11/10/2012
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Seguire Cristo, moltiplicazione di vita


XXVIII Domenica, Tempo Ordinario, Anno B
In quel tempo, mentre Ges andava per la strada, un tale gli corse incontro e, gettandosi in
ginocchio davanti a lui, gli domand: Maestro buono, che cosa devo fare per avere in
eredit la vita eterna?. Ges gli disse: Perch mi chiami buono? Nessuno buono, se
non Dio solo. Tu conosci i comandamenti: "Non uccidere, non commettere adulterio, non
rubare, non testimoniare il falso, non frodare, onora tuo padre e tua madre". Egli allora gli
disse: Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza. Allora Ges
fiss lo sguardo su di lui, lo am e gli disse: Una cosa sola ti manca: va', vendi quello che
hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!. (...)
Pietro allora prese a dirgli: Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito. Ges
gli rispose: In verit io vi dico: non c' nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle
o madre o padre o figli o campi per causa mia e per causa del Vangelo, che non riceva gi
ora, in questo tempo, cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi,
insieme a persecuzioni, e la vita eterna nel tempo che verr.

Un tale corre incontro al Signore. Corre: un gesto vivo che esprime entusiasmo e desiderio.
Si getta ai piedi di Ges, con slancio, con fiducia; parla e pone domande grandi; fin da
ragazzo ha sempre osservato la legge: davvero una bella persona. E in pi fa
un'esperienza da brivido, sente su di s lo sguardo di Ges, sguardo come d'innamorato,
riferisce Marco: Ges fiss lo sguardo su di lui e lo am.
Quel giovane corre un grande rischio, interroga Ges per sapere la verit su se stesso. E
non in grado di sopportarla. Vuol sapere se vita o no la sua, chi davvero. Infatti
notiamo che non ha un nome, un tale di cui non sappiamo nulla se non che molto
ricco. Il denaro diventato la sua carta d'identit, il suo nome e cognome. Per tutti, fino ad
oggi, semplicemente il giovane ricco. Nel Vangelo altri ricchi si sono incontrati con
Ges, e hanno tutti un nome, perch hanno scoperto il loro pi autentico essere non in ci
che possiedono, ma come rapporto con gli altri.
questo che intende Ges, quando sorprende il giovane con la sua proposta: il tuo denaro
dallo ai poveri! Tutto ci che hai, tutto ci che sei deve diventare strumento di comunione.
Quello che Ges propone pi ancora che la povert la condivisione. Pi che la rinuncia,
la libert. Con i poveri, contro la povert.
Ci che il Maestro d'umanit sogna non tanto un uomo spoglio di tutto, quanto un uomo
libero e in comunione. Il tuo denaro ai poveri, e tu con me. Capovolgere la vita: prima le
persone e dopo le cose. Le bilance della felicit infatti che cosa pesano sui loro piatti?
L'oro, lo spread, l'indice della Borsa? No, pesano le relazioni, il dare e il ricevere amore.
Ges ha un progetto di umanit, vuole estendere a livello di massa le relazioni buone della
famiglia. Lo vediamo dal seguito del racconto. Pietro allora prese a dirgli: Signore, ecco
noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito, cosa avremo in cambio? Avrai cento fratelli
e sorelle e madri e figli. La vita si riempie di volti e di legami buoni, come si riempita di
volti la casa di Zaccheo, il ricco che ha detto: ecco met dei miei beni li d ai poveri.
Seguire Cristo non un discorso di sacrifici, ma di moltiplicazione di vita: lasciare tutto
ma per avere tutto. Seguire il Vangelo non rinuncia, ma incarnare un'altra logica del
vivere, per un cuore moltiplicato, per cieli nuovi e terra nuova. Allora capiamo che il
Regno di Dio verr con il fiorire della vita in tutte le sue forme (Giovanni Vannucci).
Che ogni discepolo vero pu pregare cos: con gli occhi nel sole / a ogni alba io so / che
rinunciare per te / uguale a fiorire (Marina Marcolini).
(Letture: Sapienza 7, 7-11; Salmo 89; Ebrei 4, 12-13; Marco 10, 17-30).
riproduzione riservata
Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi
18/10/2012
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Creati per essere serviti da Dio


XXIX Domenica del Tempo Ordinario - Anno B
In quel tempo, si avvicinarono a Ges Giacomo e Giovanni, i figli di Zebedo, dicendogli:
Maestro, vogliamo che tu faccia per noi quello che ti chiederemo. Egli disse loro: Che
cosa volete che io faccia per voi?. Gli risposero: Concedici di sedere, nella tua gloria,
uno alla tua destra e uno alla tua sinistra. Ges disse loro: Voi non sapete quello che
chiedete. Potete bere il calice che io bevo, o essere battezzati nel battesimo in cui io sono
battezzato? [...].

Giovanni, il discepolo preferito, il pi spirituale, il mistico, chiede di occupare il primo


posto, lui e suo fratello. E gli altri dieci compagni immediatamente si ribellano, unanimi
nella gelosia, probabilmente perch avrebbero voluto chiederlo loro! Ed come se finora
Ges avesse parlato a vuoto: Non sapete quello che chiedete, quali dighe abbattete con
questa fame di primeggiare, quale mondo sbagliato generate con questa volont di potenza!
E spalanca l'alternativa cristiana, la differenza cristiana.
I grandi della terra dominano e opprimono gli altri. Tra voi per non cos! Credono di
dirigere il mondo con la forza... voi non sarete cos! Ges prende le radici del potere e le
capovolge al sole e all'aria.
Chi vuole diventare grande: Ges non condanna questo desiderio, anzi lui stesso promette
una grandezza, non vuole con s uomini umiliati o schiavi, ma che diventino grandi, regali,
nobili, fieri, liberi, prendendosi cura della felicit dell'altro.
Sia il servitore di tutti. Servizio: il nome esigente dell'amore, il nome nuovo della civilt.
Anzi, il nome di Dio: Non sono venuto per farmi servire, ma per essere servo. La pi
sorprendente di tutte le definizioni di Ges. Parole che danno una vertigine: Dio mio
servitore! Vanno a pezzi le vecchie idee su Dio e sull'uomo: Dio non il Padrone
dell'universo, il Signore dei signori, il Re dei re, il servo di tutti. Non tiene il mondo ai
suoi piedi, inginocchiato lui ai piedi delle sue creature; non ha troni, cinge un
asciugamano, si inchina davanti a te, e i tuoi piedi sono fra le sue mani. Ma io tremo, se
penso alla brocca e all'asciugamano, ho paura. Eppure ve la immaginate un'umanit dove
ognuno corre ai piedi dell'altro? E si inchina non davanti ai potenti del mondo, ma davanti
all'ultimo?
Pensiamo attentamente a che cosa significhi avere un Dio nostro servitore. Il padrone fa
paura, il servo no. Cristo ci libera dalla paura delle paure: quella di Dio. Il padrone giudica
e punisce, il servo no, sostiene, non spezza la canna incrinata ma la fascia come fosse un
cuore ferito. Ges capovolge l'immagine tradizionale di Dio, le d una bellezza che
stordisce: siamo stati creati per essere amati e serviti da Dio, qui e per sempre. Non sei tu
che esisti per Dio, ma Dio che esiste per te, in funzione di te, per amarti, per servirti, per
conoscerti, per lasciarsi stupire da te, da questi imprevedibili, liberi, splendidi, talvolta
meschini figli che noi siamo. Se Dio nostro servitore, chi sar nostro padrone? Il credente
non ha nessun padrone, eppure servo di ogni uomo. E non come riserva di vilt, ma come
grandezza d'animo, come prodigio di coraggio.
(Letture: Is 53,2a.3a.10-11; Sal 32; Eb 4.14-16; Mc 10,35-45)
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Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi
25/10/2012
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Il tempo della divina compassione


XXX Tempo Ordinario
Anno-B
In quel tempo, mentre Ges partiva da Grico (...) il figlio di Timo, Bartimo, che era
cieco, sedeva lungo la strada a mendicare. Sentendo che era Ges Nazareno, cominci a
gridare e a dire: Figlio di Davide, Ges, abbi piet di me! (...).
Ges si ferm e disse: Chiamatelo!. Chiamarono il cieco, dicendogli: Coraggio! lzati,
ti chiama! (...) Allora Ges gli disse: Che cosa vuoi che io faccia per te?. E il cieco gli

rispose: Rabbun, che io veda di nuovo!. E Ges gli disse: Va', la tua fede ti ha
salvato. E subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada.
Un mendicante cieco: l'ultimo della fila, uno che ha fatto naufragio, seduto lungo la strada
come chi si fermato e si arreso. E improvvisamente passa Ges, uno che non permette
all'uomo di arrendersi, ed ecco che tutto sembra mettersi di nuovo in moto. Bartimeo
comincia a gridare: Ges abbi piet di me! Perch il peggio che ci possa capitare di
innamorarci della nostra cecit.
La folla fa muro e lo sgrida, perch i poveri disturbano, sempre: ci fanno un po' paura,
sono l dove noi non vorremmo mai essere, sono il lato doloroso della vita, ci che
temiamo di pi.
Ma proprio sulla povert dell'uomo ci su cui si posa sempre il primo sguardo di Ges,
non sulla moralit di una persona, ma sul suo dolore: Coraggio, alzati, ti chiama.
E subito, tutto sembra eccessivo, esagerato: il cieco non parla, grida; non si toglie il
mantello, "lo getta"; non si alza in piedi, "ma balza in piedi". La fede questo: un eccesso,
un di pi illogico e bello, una dinamica nuova in tutto ci che fai. La fede qualcosa che
moltiplica la vita, secondo le parole di Ges: Sono venuto perch abbiate la vita, quella
piena. Credere fa bene, la fede produce una vita buona, il rapporto con Cristo l'avvio
della guarigione di tutta l'esistenza.
Il cieco comincia a guarire gi nell'accoglienza e nella compassione di Ges. Ha bisogno,
come tutti, che per prima cosa qualcuno lo ascolti: ascolti le sue ferite, la sua speranza, la
sua fame, il suono vero delle sue parole, uno che gli voglia bene!
Guarisce nella voce che lo accarezza. Guarisce come uomo, prima che come cieco, l'ultimo
comincia a riscoprirsi uno come gli altri perch chiamato con amore.
Balza in piedi e lascia ogni sostegno, per precipitarsi, senza vedere, verso quella voce
che lo chiama, orientandosi solo sulla parola di Cristo, che ancora vibra nell'aria. Come lui,
ogni cristiano si orienta nella vita senza vedere, solo sull'eco della parola di Dio ascoltata
con fiducia l dove risuona: nel vangelo, nella coscienza, negli eventi della storia, nel
gemito e nel giubilo del creato.
Che bella questa espressione amorevole di Ges: Cosa vuoi che io ti faccia?. Se un
giorno io sentissi, con un brivido, queste stesse parole rivolte a me, che cosa chiederei al
Signore? Una domanda che come una sfida, una prova per vedere che cosa portiamo nel
cuore.
Ges insegna instancabilmente qualcosa che viene prima di ogni miracolo, insegna la
compassione, che rimane l'unica forza capace di far compiere miracoli ancora oggi, di
riempire di speranza il dolore del mondo. Noi saremo come Cristo non se faremo miracoli,
ma se sapremo far sorgere nel mondo il tempo della divina compassione.
(Geremia
31,7-9; Salmo 125; Ebrei 5,1-6; Marco 10, 46-52).
riproduzione riservata
Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi
01/11/2012
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Amare Dio per amare l'umanit


In quel tempo, si avvicin a Ges uno degli scribi e gli domand: Qual il primo di tutti i
comandamenti?.

Ges rispose: Il primo : "Ascolta, Israele! Il Signore nostro Dio l'unico Signore; amerai
il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima [...]". Il aecondo questo:
"Amerai il tuo prossimo come te stesso". Non c' altro comandamento pi grande di
questi.

Amerai Dio con tutto il tuo cuore. Amerai il prossimo tuo come te stesso.
Che cosa c' al centro della fede? Ci che pi di ogni cosa dona felicit all'uomo: amare.
Non obbedire a regole n celebrare riti, ma semplicemente, meravigliosamente: amare.
Ges non aggiunge nulla di nuovo rispetto alla legge antica: il primo e il secondo
comandamento sono gi nel Libro. Eppure il suo un comando nuovo. La novit sta nel
fatto che le due parole fanno insieme una sola parola, l'unico comandamento. L'averli
separati l'origine dei nostri mali.
La risposta di Ges inizia con la formula: shem Israel, ascolta popolo mio. Fa tenerezza
un Dio che chiede: Ascoltami, per favore. Voglimi bene, perch io ti amo. Amami!
Invocazione, desiderio di Dio.
Cuore del comandamento, sua radice un'invocazione accorata, non una ingiunzione.
Dio prega di essere amato. Amare tenere con tenerezza e passione Dio e l'uomo dentro
di s: se uno ama, l'altro come se dimorasse dentro di lui (A. Casati). Amare desiderio
di fare felice qualcuno, coprirlo di un bene che si espande oltre lui, va verso gli altri,
inonda il mondo...
Amare avere un fuoco nel cuore.Ma amare che cosa? Amare l'Amore stesso.
Se amo Dio, amo ci che lui : vita, compassione, perdono, bellezza. Amer ogni briciola
di cosa bella che scoprir vicino a me, un atto di coraggio, un abbraccio rassicurante,
un'intuizione illuminante, un angolo di armonia. Amer ci che Lui pi ama: l'uomo, di cui
orgoglioso.
Ma amare come? Mettendosi in gioco interamente, cuore, mente, anima, forza. Ges sa che
fare questo gi la guarigione dell'uomo. Perch chi ama cos ritrova l'unit di se stesso, la
sua pienezza felice: Questi sono i comandi del Signore vostro Dio... Ascolta, o Israele, e
bada di metterli in pratica; perch tu sia felice" (Dt 6,1-3). Non c' altra risposta al
desiderio profondo di felicit dell'uomo, nessun'altra risposta al male del mondo che questa
soltanto: amare.
Ama il tuo prossimo come te stesso. Quasi un terzo comandamento: ama anche te stesso,
insieme a Dio e al prossimo. Come per te ami libert e giustizia cos le amerai anche per
tuo fratello, sono le orme di Dio. Come per te desideri amicizia e dignit, e vuoi che
fioriscano talenti e germogli di luce, questo vorrai anche per il tuo prossimo. Ama questa
polifonia della vita, e farai risplendere l'immagine di Lui che dentro di te. Perch l'amore
trasforma, ognuno diventa ci che ama. Se Lo amerai, sarai simile a Lui, cio creatore di
vita, perch Dio non fa altro che questo, tutto il giorno: sta sul lettuccio della partoriente e
genera (M. Eckhart).
Amerai, perch l'amore genera vita sul mondo.
(Letture: Deuteronomio 6,2-6; Salmo 17; Ebrei 7,23-28; Marco 12,28b-34)

riproduzione riservata
Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi
08/11/2012

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Non conta quanto ma il modo, il cuore con cui si dona


XXXII Domenica Tempo ordinario
Anno B
In quel tempo, Ges [nel tempio] diceva alla folla nel suo insegnamento: Guardatevi dagli
scribi, che amano passeggiare in lunghe vesti, ricevere saluti nelle piazze, avere i primi
seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti. Divorano le case delle vedove e pregano
a lungo per farsi vedere. Essi riceveranno una condanna pi severa.
[Seduto di fronte al tesoro, osservava come la folla vi gettava monete. Tanti ricchi ne
gettavano molte. Ma, venuta una vedova povera, vi gett due monetine, che fanno un
soldo. Allora, chiamati a s i suoi discepoli, disse loro: In verit io vi dico: questa vedova,
cos povera, ha gettato nel tesoro pi di tutti gli altri. Tutti infatti hanno gettato parte del
loro superfluo. Lei invece, nella sua miseria, vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto
quanto aveva per vivere.]
Ges, durante tutta la sua predicazione, ha sempre mostrato una predilezione particolare
per le donne sole. Ora affida al gesto nascosto di una donna, che vorrebbe solo scomparire
dietro una delle colonne del tempio, il compito di trasmettere il suo messaggio.
La prima scena affollata di personaggi che hanno lo spettacolo nel sangue: passeggiano
in lunghe vesti, amano i primi posti, essere riveriti per strada...Questa riduzione della vita a
spettacolo la conosciamo anche noi, una realt patita da tanti con disagio, da molti
inseguita con accanimento.
Il Vangelo vi contrappone la seconda scena. Seduto davanti al tesoro del tempio Ges
osservava come la folla vi gettava monete. Notiamo il particolare: osservava come, non
quanto la gente offriva.
I ricchi gettavano molte monete, Ma, venuta una vedova povera, vi gett due monetine.
Ges se n' accorto, unico; chiama a s i discepoli e offre la sua lettura spiazzante e
liberante: questa vedova ha gettato nel tesoro pi di tutti gli altri. Ges non bada alla
quantit di denaro. Conta quanto peso di vita, quanto cuore, quanto di lacrime e di speranze
dentro quei due spiccioli. Due spiccioli, un niente ma pieno di cuore.
Il motivo vero e ultimo per cui Ges esalta il gesto della donna nelle parole Tutti hanno
gettato parte del superfluo, lei ha gettato tutto quello che aveva, tutto ci che aveva per
vivere: la totalit del dono. Anche Lui dar tutto, tutta la sua vita.
Come la vedova povera, quelli che sorreggono il mondo sono gli uomini e le donne di cui i
giornali non si occuperanno mai, quelli dalla vita nascosta, fatta solo di fedelt, di
generosit, di onest, di giornate a volte cariche di immensa fatica. Loro sono quelli che
danno di pi.
I primi posti di Dio appartengono a quelli che, in ognuna delle nostre case, danno ci che
fa vivere, regalano vita quotidianamente, con mille gesti non visti da nessuno, gesti di cura,
di accudimento, di attenzione, rivolti ai genitori o ai figli o a chi busser domani. La
santit: piccoli gesti pieni di cuore. Non mai irrisorio, mai insignificante un gesto di
bont cavato fuori dalla nostra povert. Questa capacit di dare, anche quando pensi di non
possedere nulla, ha in s qualcosa di divino. Tutto ci che riusciamo a fare con tutto il
cuore ci avvicina all'assoluto di Dio.
Quanto pi Vangelo ci sarebbe se ogni discepolo, se l'intera Chiesa di Cristo si
riconoscesse non da primi posti, prestigio e fama, ma dalla generosit senza misura e senza

calcolo, dalla audacia nel dare. Allora, in questa felice follia, il Vangelo tornerebbe a
trasmettere il suo senso di gioia, il suo respiro di liberazione.
(Letture: 1 Re 17, 10-16; Salmo 145; Ebrei 9, 24-28; Marco 12, 38-44).
riproduzione riservata
Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi
15/11/2012
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Il tesoro di bont del nostro tempo


XXXIII Domenica
Tempo Ordinario-Anno B
In quel tempo, Ges disse ai suoi discepoli: In quei giorni, dopo quella tribolazione, il
sole si oscurer, la luna non dar pi la sua luce, le stelle cadranno dal cielo e le potenze
che sono nei cieli saranno sconvolte. Allora vedranno il Figlio dell'uomo venire sulle nubi
con grande potenza e gloria. Egli mander gli angeli e raduner i suoi eletti dai quattro
venti, dall'estremit della terra fino all'estremit del cielo. [...] Quando vedrete accadere
queste cose, sappiate che egli vicino, alle porte [...]..
Un Vangelo sulla crisi e contemporaneamente sulla speranza, che non profetizza la fine del
mondo, ma il significato del mondo.
La prima verit che il mondo fragile: in quei giorni, il sole si oscurer, la luna non dar
pi la sua luce, le stelle cadranno dal cielo...
Non solo il sole, la luna, le stelle, ma anche le istituzioni, la societ, l'economia, la famiglia
e la nostra stessa vita sono molto fragili.
Ma la seconda verit che ogni giorno c' un mondo che muore, ma ogni giorno c' un
mondo che nasce. Cadono molti punti di riferimento, vecchie cose vanno in frantumi:
costumi, linguaggi, comportamenti, ma ci sono anche sentori di nuove primavere. La
speranza ha l'immagine della prima fogliolina di fico: Dalla pianta di fico imparate: quando
spuntano le foglie, sapete che l'estate vicina. Allora dentro la fragilit drammatica della
storia possiamo intuire come le doglie di un parto, come il passaggio dall'inverno alla
primavera, come un uscire dalla notte alla luce. Ben vengano certe scosse di primavera a
smantellare ci che merita di essere cancellato. Quanto morir perch la vita nasca
(Clemente Rebora). Ma dopo si tratta di ricostruire, facendo leva su due punti di forza.
Il primo: quando vedrete accadere queste cose sappiate che Egli vicino, il Signore alle
porte. La nostra forza che Dio non ha chiuso il suo cuore e la sua strada passa ancora sul
nostro mare d'Esodo, mare inquieto, mare profondo, anche se non ne vediamo le orme
(Salmo 77,20). A noi spetta assecondare la sua creazione. Come una nave che non in
ansia per la rotta, perch ha su di s il suo Vento di vita.
Il secondo punto di forza la nostra stessa fragilit. Per la sua fragilit l'uomo cerca
appoggi, cerca legami e amore. Io sono tanto fragile da aver sempre bisogno degli altri. Ed
appoggiando una fragilit sull'altra che sosteniamo il mondo.
Dio dentro la nostra ricerca di legami, viene attraverso le persone che amiamo. Ogni
carne intrisa d'anima e umida di Dio (Bastaire). I nostri familiari sono il linguaggio di
Dio, la sua quotidiana catechesi, il tocco della sua presenza, sacramento della sua grazia.

Il profeta Daniele allarga la visione: Uomini giusti e santi salgono nella casa delle luci,
dove risplenderanno come stelle, vicino a me, lontano da me, da mille luoghi salgono
nella casa della luce: sono coloro che inducono me e tutto il mondo a essere pi giusto, pi
libero e santo.
Sono come stelle, sono molti. Guardiamo a loro, per non sprecare i giusti del nostro
mondo, per non dissipare il tesoro di bont del nostro tempo, quel tesoro che germina
anche, come fogliolina di primavera, in ciascuna delle nostre case.
(Letture: Daniele 12,1-3; Salmo 15; Ebrei 10,11-14.18; Marco 13,24-32)
riproduzione riservata
Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi
22/11/2012
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La regalit di Cristo pienezza d'umano


Nostro Signore Ges
Cristo Re dell'Universo
Anno B
In quel tempo, Pilato disse a Ges: Sei tu il re dei Giudei?. Ges rispose: Dici questo
da te, oppure altri ti hanno parlato di me?. Pilato disse: Sono forse io Giudeo? La tua
gente e i capi dei sacerdoti ti hanno consegnato a me. Che cosa hai fatto?. Rispose Ges:
Il mio regno non di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei
servitori avrebbero combattuto perch non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non
di quaggi. Allora Pilato gli disse: Dunque tu sei re?. Rispose Ges: Tu lo dici: io
sono re (...).
Due uomini, Pilato e Ges, uno di fronte all'altro. Il confronto di due poteri opposti: Pilato,
circondato di legionari armati, dipendente dalle sue paure; Ges, libero e disarmato,
dipende solo da ci in cui crede. Un potere si fonda sulla verit delle armi e della forza,
l'altro sulla forza della verit. Chi dei due uomini pi libero, chi pi uomo? libero chi
dipende solo da ci che ama. Chi la verit ha reso libero, senza maschere e senza paure,
uomo regale.
Dunque tu sei re? Il mio regno per non di questo mondo. Ges rilancia la differenza
cristiana consegnata ai discepoli: voi siete nel mondo, ma non del mondo. I grandi della
terra dominano e si impongono, tra voi non sia cos.
Il suo regno differente non perch riguardi l'al di l, ma perch propone la trasformazione
di questo mondo. I regni della terra, si combattono, i miei servi avrebbero combattuto
per me: il potere di quaggi ha l'anima della guerra, si nutre di violenza. Invece Ges non
ha mai assoldato mercenari, non ha mai arruolato eserciti, non mai entrato nei palazzi dei
potenti, se non da prigioniero. Metti via la spada ha detto a Pietro, altrimenti la ragione
sar sempre del pi forte, del pi violento, del pi crudele. Dove si fa violenza, dove si
abusa, dove il potere, il denaro e l'io sono aggressivi e voraci, Ges dice: non passa di qui
il mio regno.
I servi dei re combattono per i loro signori. Nel suo regno no! Anzi il re che si fa
servitore dei suoi: non sono venuto per essere servito, ma per servire.

Un re che non spezza nessuno, spezza se stesso, non versa il sangue di nessuno, versa il
suo sangue, non sacrifica nessuno, sacrifica se stesso per i suoi servi. Pilato non pu capire,
si limita all'affermazione di Ges: io sono re, e ne fa il titolo della condanna, l'iscrizione
derisoria da inchiodare sulla croce: questo il re dei giudei. Che io ho sconfitto. Ed stato
involontario profeta: perch il re visibile proprio l, sulla croce, con le braccia aperte,
dove l'altro conta pi della tua vita, dove si dona tutto e non si prende niente. Dove si
muore ostinatamente amando. Questo il modo regale di abitare la terra, prendendosene
cura.
Pilato poco dopo questo dialogo esce fuori con Ges e lo presenta alla folla: ecco l'uomo.
Affacciato al balcone della piazza, al balcone dell'universo lo presenta all'umanit: ecco
l'uomo! l'uomo pi vero, il pi autentico degli uomini. Il re. Libero come nessuno, amore
come nessuno, vero come nessuno. La regalit di Cristo non potere ma pienezza
d'umano, accrescimento di vita, intensificazione d'umanit: il Regno di Dio verr con il
fiorire della vita in tutte le sue forme (G. Vannucci).
(Letture: Daniele 7, 13-14; Salmo 92; Apocalisse 1, 5-8; Giovanni 18, 33-37)
riproduzione riservata

Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi


29/11/2012
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Tempo di Avvento, viene il Liberatore


I Domenica di Avvento
Anno C
In quel tempo, Ges disse ai suoi discepoli: Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle
stelle, e sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti, mentre gli
uomini moriranno per la paura e per l'attesa di ci che dovr accadere sulla terra. Le
potenze dei cieli infatti saranno sconvolte. Allora vedranno il Figlio dell'uomo venire su
una nube con grande potenza e gloria. Quando cominceranno ad accadere queste cose,
risollevatevi e alzate il capo, perch la vostra liberazione vicina (...).
L'Avvento il tempo che prepara nascite, il tempo di santa Maria nell'attesa del parto,
tempo delle donne: solo le donne in attesa sanno cosa significhi davvero attendere. Ma non
si attende solo la nascita di Ges.
Ci saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia... Il Vangelo ci
prende per mano, ci porta fuori dalla porta di casa, a guardare in alto, a percepire il cosmo
pulsare attorno a noi, a sentirci parte di una immensa vita. Che patisce, che soffre, che si
contorce come una partoriente (Is 13,8), ma per produrre vita. Il presente porta nascite nel
grembo. Ma quanto morir perch la vita nasca (Rebora).
un tempo di crisi. C' una crisi della Chiesa, diminuiscono le vocazioni, cresce
l'indifferenza religiosa, l'istituzione ecclesiastica perde fiducia. Ma la fede ci permette di
intravedere che la fine di un certo tipo di Chiesa pu portare a un nuovo modo di vivere la
fede, pi essenziale, libero e convinto, pieno di cuore e di verit. il nostro atto di fede: il
regno di Dio viene, ed pi vicino oggi di ieri.

Anche la crisi economica e finanziaria ci sta dicendo che dobbiamo cambiare strada e
favorire un altro modello di economia, non fondato sulla logica della crescita infinita, che
insostenibile, ma su rispetto della natura, sobriet e solidariet.
Il Vangelo d'Avvento ci aiuta a non smarrire il cuore, a non appesantirlo di paure e
delusioni: state attenti a voi stessi, che i vostri cuori non si appesantiscano.
Ci sar sempre un momento in cui ci sentiremo col cuore pesante, scoraggiati. Ho provato
anch'io lo scoraggiamento, molte volte, ma non gli tengo il posto, non gli permetto di
mangiare nel mio piatto, non gli permetto di sedere sul trono del mio cuore. Il motivo
questo: fin dentro i muscoli e le ossa io so una cosa, come la sapete voi, ed che non pu
esserci disperazione finch ricordo perch sono venuto sulla terra, di chi sono al servizio,
chi mi ha mandato qui. E chi sta venendo: allora vedranno il Figlio dell'uomo venire con
grande potenza e gloria.
Questo mondo contiene Lui! Che Viene, che qui, che pi grande di noi; c' un
Liberatore, esperto di nascite, in cammino su tutte le strade.
Alzatevi, guardate in alto e lontano, perch la vostra liberazione vicina. Uomini e donne
in piedi, a testa alta, occhi alti e liberi: cos vede i discepoli il Vangelo. Gente dalla vita
verticale.
Il Vangelo ci insegna a leggere il presente e la storia come grembo di futuro, a non fermarci
all'oggi, ma a guardare avanti: questo mondo porta un altro mondo nel grembo. Un mondo
pi buono e pi giusto, dove Dio viene, vicino come il respiro, vicino come il cuore, vicino
come la vita.
(Letture: Geremia 33,14-16; Salmo 24; 1 Tessalonicesi 3,12-4,2; Luca 21,25-28.34-35).
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Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi
06/12/2012
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Nessuno cos piccolo da non poter essere profeta


II domenica di Avvento (Anno C)
(...) la parola di Dio venne su Giovanni, figlio di Zaccara, nel deserto. Egli percorse tutta
la regione del Giordano, predicando un battesimo di conversione per il perdono dei peccati,
com' scritto nel libro degli oracoli del profeta Isaa: Voce di uno che grida nel deserto:
Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri! Ogni burrone sar riempito, ogni
monte e ogni colle sar abbassato; le vie tortuose diverranno diritte e quelle impervie,
spianate. Ogni uomo vedr la salvezza di Dio!.
Luca d inizio al racconto dell'attivit pubblica di Ges con una pagina solenne, quasi
maestosa, un lungo elenco di re e sacerdoti, che improvvisamente subisce uno scarto, un
dirottamento: un sassolino del deserto cade dentro l'ingranaggio collaudato della storia e ne
muta il passo: la Parola di Dio venne su Giovanni nel deserto.
La Parola, fragile e immensa, viene come l'estasi della storia, di una storia che non basta
pi a se stessa; le inietta un'estasi, che come un uscire da s, un sollevarsi sopra le logiche
di potere, un dirottarsi dai soliti binari, lontano dalle grandi capitali, via dalle regge e dai
cortigiani, a perdersi nel deserto. il Dio che sceglie i piccoli, che abbatte i potenti, che
fa dei poveri i principi del suo regno, cui basta un uomo solo che si lasci infiammare dalla
sua Parola.

Chi conta nella storia? Erode sar ricordato solo perch ha tentato di uccidere quel
Bambino; Pilato perch l'ha condannato a morte. Nella storia conta davvero chi comincia a
pensare pensieri buoni, i pensieri di Dio. La parola di Dio venne su Giovanni, nel deserto.
Ma parola di Dio viene ancora, sempre in volo in cerca di uomini e donne dove porre il
suo nido, di gente semplice e vera, che voglia diventare sillaba del Verbo (Turoldo).
Perch nessuno cos piccolo o cos peccatore, nessuno conta cos poco da non poter
diventare profeta del Signore.
Voce di uno che grida nel deserto: preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri.
Ogni burrone sar riempito, ogni monte abbassato; le vie tortuose diventeranno diritte e
quelle impervie, spianate.
La voce dipinge un paesaggio aspro e difficile, che ha i tratti duri e violenti della storia: le
montagne invalicabili sono quei muri che tagliano in due villaggi, case e oliveti; i burroni
scoscesi sono le trincee scavate per non offrire bersaglio e per meglio uccidere; sono
l'isolarsi per paura... anche la nostra geografia interiore, una mappa di ferite mai guarite,
di abbandoni patiti o inflitti.
Il profeta per vede oltre, vede strade che corrono diritte e piane, burroni colmati, monti
spianati. Per il viaggio mai finito dell'uomo verso l'uomo, dell'uomo verso il suo cuore. E
soprattutto di Dio verso l'uomo.
Un'opera imponente e gioiosa, e a portarla a compimento sar Colui che l'ha iniziata.
L'esito certo, perch il profeta assicura Ogni uomo vedr la salvezza. Ogni uomo? S,
esattamente questo: ogni uomo. Dio viene e non si fermer davanti a burroni o montagne, e
neppure davanti al mio contorto cuore. Raggiunger ogni uomo, gli porr la sua Parola nel
grembo, potenza di parto di un mondo nuovo e felice, dove tutto ci che umano trovi eco
nel cuore di Dio.
(Letture: Baruc 5, 1-9; Salmo 125; Filippesi 1, 4-6.8-11; Luca 3, 1-6)
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Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi
13/12/2012
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Ges accende la vita e la rende felice


III domenica di Avvento
Anno C
In quel tempo, le folle interrogavano Giovanni, dicendo: Che cosa dobbiamo fare?.
Rispondeva loro: Chi ha due tuniche, ne dia a chi non ne ha, e chi ha da mangiare, faccia
altrettanto. Vennero anche dei pubblicani a farsi battezzare e gli chiesero: Maestro, che
cosa dobbiamo fare?. Ed egli disse loro: Non esigete nulla di pi di quanto vi stato
fissato. Lo interrogavano anche alcuni soldati: E noi, che cosa dobbiamo fare?. Rispose
loro: Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno; accontentatevi delle vostre paghe.
Poich il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se
non fosse lui il Cristo, Giovanni rispose a tutti dicendo: Io vi battezzo con acqua; ma
viene colui che pi forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi
battezzer in Spirito Santo e fuoco. (...).

Un Vangelo di comportamenti concreti, un ritorno al semplice quotidiano, dopo i voli sul


venire di Dio per monti e burroni; un ritorno alle nostre relazioni interpersonali come
strada per il venire di Dio nel mondo. Infatti il modo con cui ci rivolgiamo agli uomini
raggiunge Dio. Ogni nostro gesto umano apre finestre sull'infinito.
Giovanni il Battista propone tre regole. La prima: chi ha due tuniche, ne dia una a chi non
ne ha, e chi ha da mangiare faccia altrettanto. Una regola d'oro, che da sola basterebbe a
cambiare la faccia della terra: condivisione. Un piccolissimo verbo: dare qualcosa, in cui
si riassume il gesto sul quale saremo giudicati (cfr Matteo 25). La nuova legge di un altro
mercato, che si pu semplificare cos: ci che io ho, e tu non hai, lo condivido con te.
Invece dell'accumulo, il dono; invece dello spreco la sobriet. Perch tu vali quanto me,
anzi di pi. C' tanto pane nel mondo che, a condividerlo, basterebbe per tutti. A non
sprecarlo, sazierebbe la fame di tutti. La prima regola per il nostro abitare la terra:
prenderci cura gli uni degli altri.
La seconda regola: Non esigete nulla di pi di quanto vi stato fissato. Cos semplice da
sembrare scontata: il ritorno dell'onest, l'insurrezione degli onesti, come salvezza della
storia comune. Non esigete nulla di pi: perch la cupidigia di denaro l'idolo assoluto,
l'insaziabilit la radice di ogni corruzione: deridere le leggi, sfruttare le persone, vendersi
per denaro. Giovanni conosce la strada buona: prendersi cura dell'onest, semplicemente;
ricominciare dalla legalit, con tenacia, ma a partire da me e dai miei comportamenti pi
minuti: onesto perfino nelle piccole cose.
La terza regola per i soldati, per chi ha ruoli di autorit e di forza, in tutti i campi: non
maltrattate e non estorcete niente a nessuno. Non approfittate del ruolo per umiliare; non
abusate della vostra forza per far piangere. Sempre lo stesso principio: prima le persone,
prima il rispetto: che guardare negli occhi l'altro, alzarsi in piedi davanti a lui, sempre,
come davanti a un principe. La bestemmia mettere le cose prima delle persone.
Viene uno pi forte di me e vi battezzer in Spirito Santo e fuoco. il pi forte, Ges,
perch l'unico che parla al cuore. E lo segui. il pi forte, perch l'unico che battezza
nel fuoco, ha la forza del fuoco che trasforma le cose, che la morte delle cose morte e la
loro resurrezione, nella luce e nel calore.
Ges ha acceso milioni e milioni di vite, le ha accese e rese felici. Questo fa di lui il pi
forte. E il pi amato.
(Letture: Sofona 3, 14-18a; Salmo: Is 12, 2-6; Filippesi 4, 4-7; Luca 3, 10-18)
riproduzione riservata

Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi


20/12/2012
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Natale, l'uomo ha Dio nel sangue


IV Domenica Avvento
Anno C
In quei giorni Maria si alz e and in fretta verso la regione montuosa, in una citt di
Giuda. Entrata nella casa di Zaccaria, salut Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il
saluto di Maria, il bambino sussult nel suo grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito Santo
ed esclam a gran voce: Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A

che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto
giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che
ha creduto nell'adempimento di ci che il Signore le ha detto.
Nell'ultimo tratto di strada verso Natale ci fa da guida santa Maria, una ragazza gravida di
Dio, incinta di luce.
Maria si mise in viaggio in fretta. L'amore ha sempre fretta. sempre in ritardo sulla fame
di abbracci. Va leggera, portata dal futuro che in lei, e insieme pesante di vita nuova.
Quel peso che mette le ali e fa nascere il canto. Una giovane donna aperta, che emana
libert e giovinezza.
Entrata nella casa di Zaccaria, salut Elisabetta. E l'anziana, anche lei colma di una vita
impensabile, riempita di Spirito, perch Maria porta Dio con s e contagia d'assoluto
chiunque incontra: benedetta tu fra le donne, che sono tutte benedette.
E dove Dio giunge, c' un sussulto del cuore, come per il piccolo Giovanni; dove Dio
giunge scende una benedizione, che una forza di vita che dilaga dall'alto, che produce
crescita d'umano e moltiplicazione di vita, in tutte le sue forme. Come in Genesi: Dio li
benedisse dicendo crescete e moltiplicatevi.
Due donne sono i primi profeti del nuovo testamento, e le immagino a braccia aperte,/
inizio di un cerchio / che un amore pi vasto / compir (M. Guidacci).
Allora Maria canta: magnifica l'anima mia il Signore. Che mi piace tradurre cos: cerco nel
cuore le pi belle parole per il mio Dio. Le pi belle che so, le migliori che ho. L'anima
danza per il mio amato.
E poi coinvolge poveri e ricchi, potenti e umili, sazi e affamati di vita, nel pi grande
canto rivoluzionario d'avvento (Bonhoeffer).
Mi stupisce che in Maria, nella prima dei credenti, la visita di Dio abbia l'effetto di una
musica, di una lieta energia. Mentre noi istintivamente sentiamo la prossimit di Dio come
un dito puntato, come un esame da superare, Maria sente Dio venire come un tuffo al
cuore, come un passo di danza a due, una stanchezza finita per sempre, un vento che fa
fremere la vela della vita.
M'incanta che la presenza di Dio produca poi l'effetto di una forza di vita e di giustizia
dirompente, che scardina la storia, che investe il mondo dei ricchi e lo capovolge (le loro
mani sono vuote, stringono aria); investe la storia dei potenti e li rende uguali a tutti gli
altri, senza troni, ritornati in s, finalmente.
Questo il Vangelo che, raccontando la visita di Maria ad Elisabetta, racconta anche che
tutte le nostre visite, fatte o accolte, hanno il passo di Dio. Ognuno portatore di Dio, perch
Dio cerca madri per incarnarsi ancora.
Il Natale certezza e memoria che c' della santit in ogni carne, che ogni corpo una
finestra di cielo, che l'uomo ha Dio nel sangue; che dentro il battito umile e testardo del suo
cuore batte un altro cuore, e non si spegner pi.
(Letture: Michea 5, 1-4a; Salmo 79; Ebrei 10, 5-10; Luca 1, 39- 45).
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Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi
27/12/2012
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La famiglia, prima scuola di santit

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Santa Famiglia - Anno C


(...) Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai maestri, mentre li
ascoltava e li interrogava. E tutti quelli che l'udivano erano pieni di stupore per la sua
intelligenza e le sue risposte. Al vederlo restarono stupiti, e sua madre gli disse: Figlio,
perch ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo. Ed egli rispose
loro: Perch mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre
mio?. Ma essi non compresero ci che aveva detto loro. Scese dunque con loro e venne a
Nzaret e stava loro sottomesso (...).
La santa Famiglia di Nazaret porta un messaggio a tutte le nostre famiglie, l'annuncio che
possibile una santit non solo individuale, ma una bont, una santit collettiva, familiare,
condivisa, un contagio di santit dentro le relazioni umane. Santit non significa essere
perfetti; neanche le relazioni tra Maria Giuseppe e Ges lo erano. C' angoscia causata dal
figlio adolescente, e malintesi, incomprensione esplicita: ma essi non compresero le sue
parole. Santit non significa assenza di difetti, ma pensare i pensieri di Dio e tradurli, con
fatica e gioia, in gesti. Ora in cima ai pensieri di Dio c' l'amore. In quella casa dove c'
amore, l c' Dio.
E non parlo di amore spirituale, ma dell'amore vivo e potente, incarnato e quotidiano,
visibile e segreto. Che sta in una carezza, in un cibo preparato con cura, in un soprannome
affettuoso, nella parola scherzosa che scioglie le tensioni, nella pazienza di ascoltare, nel
desiderio di abbracciarsi. Non ci sono due amori: l'amore di Dio e l'amore umano. C' un
unico grande progetto, un solo amore che muove Adamo verso Eva, me verso l'amico, il
genitore verso il figlio, Dio verso l'umanit, a Betlemme.
Scese con loro a Nazaret e stava loro sottomesso. Ges lascia i maestri della Legge e va
con Giuseppe e Maria che sono maestri di vita. Per anni impara l'arte di essere uomo
guardando i suoi genitori vivere: lei teneramente forte, mai passiva; lui padre non
autoritario, che sa anche tirarsi indietro. Come poteva altrimenti trattare le donne con quel
suo modo sovranamente libero? E inaugurare relazioni nuove tra uomo e donna, paritarie e
senza paure?
Le beatitudini Ges le ha viste, vissute, imparate da loro: erano poveri, giusti, puri nel
cuore, miti, costruttori di pace, con viscere di misericordia per tutti. E il loro parlare era: s,
s; no, no. Stava cos bene con loro, che con Dio adotta il linguaggio di casa, e lo chiama:
abb, pap. Che vuole estendere quelle relazioni a livello di massa e dir: voi siete tutti
fratelli.
Anche oggi tante famiglie, in silenzio, lontano dai riflettori, con grande fatica, tessono
tenaci legami d'amore, di buon vicinato, d'aiuto e collaborazione, straordinarie nelle
piccole cose, come a Nazaret. Sante. La famiglia il luogo dove si impara il nome di Dio,
e il suo nome pi bello : amore, padre e madre. La famiglia il primo luogo dove si
assapora l'amore e, quindi, si gusta il sapore di Dio. La casa il luogo dove risiede il primo
magistero, pi importante ancora di quello della Chiesa. dalla porta di casa che escono i
santi, quelli che sapranno dare e ricevere amore e che, per questo, sapranno essere felici.
(Letture: 1 Samuele 1,20-22. 24-28; Salmo 83; 1 Giovanni 3,1-2. 21-24; Luca 2,41-52)
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