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03/01/2008
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battezzato, Ges usc dall'acqua: ed ecco, si aprirono i cieli ed egli vide lo Spirito di Dio
scendere come una colomba e venire su di lui. Ed una voce dal cielo disse: Questi il
Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto. Ges ricomincia dal Giordano,
quasi portasse a compimento un esodo: l'esodo di Dio, il lungo viaggio di Dio in cerca
della sua terra promessa che l'uomo: terra arida e dura, terra di spine eppure promessa. Il
Battesimo fatto di acqua, di voce, di Spirito. L'acqua del fiume come un solco di vita
arato dentro il deserto arido, perenne frontiera alla terra promessa. Ges si immerge nel
fiume per me, non per s; entra nell'acqua, dove l'uomo nasce ma non pu vivere, dove
Giovanni fa rinascere con la conversione, come una promessa di vita nuova: con me
vivrai solo inizi, uscirai dal deserto, entrerai nella buona terra. La terra promessa
dell'uomo, la sua patria Dio. Ges usc dall'acqua, lo Spirito scese come colomba, e
venne una voce. In un solo versetto, come in una miniatura, il Vangelo delinea la Trinit:
un Padre che voce, un Figlio che volto, uno Spirito che legame. La voce del Padre
parla due sole volte nel Vangelo, al Battesimo e alla Trasfigurazione, unisce il fiume
d'acqua e il monte di luce, rivelando la sua identit e la missione di Cristo e dell'uomo.
Figlio la prima parola. E subito Dio si offre come Padre, come disarmato amore: Egli
non mai tanto se stesso come quando, amoroso, d vita: non cercatemi l dove sono, ma
dove amo e sono amato (Jacques Maritain). Figlio: termine carico di pathos, vertice del
desiderio: di tutte le piste che puoi percorrere sulla terra, la pi importante quella che
conduce all'essere umano. Amato la seconda parola, sigillo della nostra identit. Il mio
nome amato per sempre. Sappiano, Padre, che li hai amati come hai amato me. Dio
ama me come ha amato Ges, con quella intensit, con la medesima emozione, con
l'identica speranza. E con in pi tutte le delusioni di cui io sono causa; io, amore e dolore di
Dio. Mio compiacimento la terza parola. Termine bellissimo che dice gioia, esultanza,
offre l'immagine di un Dio che trova felicit. Ma quale gioia pu venire al Padre, quale
emozione gli pu regalare questa canna sempre sul punto di rompersi, questo stoppino
dalla fiamma smorta che io sono? Solo un amore immotivato spiega queste parole. Il cielo
si aperto su Cristo, si apre su noi, cos come si aprono le braccia all'amico, all'amato, al
povero, sotto l'urgenza dell'amore di Dio, sotto l'impazienza di Adamo, sotto l'assedio dei
poveri, e nessuno lo richiuder pi. (Letture: Isaia 42,1-4.6-7; Salmo 28; Atti 10,34-38;
Matteo 3,13-17).
Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi
17/01/2008
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Il peccato scegliere la morte
II Domenica Tempo Ordinario Anno A In quel tempo, Giovanni, vedendo Ges venire
verso di lui, disse: Ecco l'agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo! Egli
colui del quale ho detto: "Dopo di me viene un uomo che avanti a me, perch era prima
di me". Io non lo conoscevo, ma sono venuto a battezzare nell'acqua, perch egli fosse
manifestato a Israele. Giovanni testimoni dicendo: Ho contemplato lo Spirito
discendere come una colomba dal cielo e rimanere su di lui. Io non lo conoscevo, ma
proprio colui che mi ha inviato a battezzare nell'acqua mi disse: "Colui sul quale vedrai
discendere e rimanere lo Spirito, lui che battezza nello Spirito Santo". E io ho visto e ho
testimoniato che questi il Figlio di Dio. Viene uno che era prima di me. Vedo, con gli
occhi di Giovanni, il venire infaticato di Dio. Viene verso di me, eternamente incamminato
lungo il fiume dei giorni, caricandosi di tutta la lontananza; viene negli occhi dei fratelli,
negli uccisi come agnelli, viene lungo quella linea di confine tra bene e male, tra morte e
vita, dove ancora si gioca il tuo destino e, in te, il destino del mondo. Ecco l'agnello di
Dio, colui che toglie il peccato del mondo. Non i peccati, ma il peccato; non toglie i
singoli comportamenti malati, ma guarisce " se lo accogli " la radice del cuore dove tutto
ha origine. Il peccato del mondo una parola enorme, in cui risuonano i passi della morte.
Il peccato scegliere la morte: io ti ho posto davanti la vita e la morte: scegli. Ma scegli
la vita! (Deut 30,19). questo il comando originario, fontale, sorgente di tutti i comandi.
Legge di Dio che l'uomo scelga. Dio un imperativo di libert. Legge di Dio che
l'uomo viva. Dio un imperativo di vita. Scegliere la vita il comandamento che riassume
in s tutti gli altri, l'asse primordiale attorno a cui ruotano gli imperativi divini. Ges
venuto come datore di vita, come incremento d'umano: buono ci che costituisce l'uomo
in umanit, male ci che lo distrugge in umanit. Ecco l'agnello di Dio equivale a dire:
Ecco colui che prende su di s la morte di tutti con la propria morte. Ecco la morte di Dio
perch non ci sia pi morte. Un abisso dal quale emerge la differenza cristiana: in tutte le
religioni gli di chiedono sacrifici, Ges sacrifica se stesso; in tutte le fedi gli di
pretendono offerte, nel Vangelo Ges porta in offerta la propria vita. Nel Vangelo il peccato
presente, e tuttavia assente; Ges ne parla solo per dirci: perdonato, tolto, o almeno
perdonabile, sempre. Come Lui, il cristiano non annuncia condanne, ma testimonia il
volto di Dio capace di dimenticarsi dietro una pecora smarrita, un bambino, un'adultera,
capace d'amare fino a morire, fino a risorgere. Il peccato non conoscere questo Dio,
l'ombra sul suo volto. Ges venuto a togliere il velo che celava e oscurava il volto di Dio.
Un Dio agnello! Non l'onnipotente, ma l'ultimo nato del gregge; non il giudice supremo,
ma il piccolo animale dei sacrifici. Peccare significa non accettare questa tenerezza e
umilt di Dio. (Letture: Isaia 49,3.5-6; Salmo 39; 1 Corinzi 1,1-3; Giovanni 1,29-34)
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l Vangelo A cura di Ermes Ronchi
24/01/2008
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fonder la sua comunit. Guarda, e in Giovanni indovina il discepolo delle pi belle parole
d'amore. Un giorno guarder l'adultera e risveglier in lei la sposa, amante e fedele. In
Nicodemo ridester il coraggioso che oser presentarsi a Pilato a reclamare il corpo del
giustiziato. Lo sguardo di Ges uno sguardo creatore, profezia. Mi guarda, e nel mio
inverno vede grano che matura, una generosit che non sapevo, una melodia che non
udivo, fame di nascere. Poi dice: vieni dietro a me! Ges chiama i pescatori ed essi
scoprono che dentro di loro non ci sono solo le rotte del lago, o la strada di casa, ma
tracciata la mappa del cielo, del mondo, del cuore dell'uomo: ecco la conversione. Ti
seguir, Signore perch ti lasci dietro nient'altro che luce, perch mi interessa solo un Dio
che faccia fiorire l'umano. Ges annunciava il Vangelo del Regno e guariva ogni sorta di
malattie: lascia dietro di s guarigione e speranza. Riprende in mano le parti fragili e deboli
dell'uomo, le lavora, le fa rifiorire, le converte alla vita. Il regno raggiunge la totalit
dell'uomo. Annunciava e guariva: la parola e la cura. Ges si prende cura dei limiti
dell'uomo. E io andr dietro a lui, ascoltando la parola e prendendomi cura di chi soffre,
prendendomi cura anche della mia vita, delle mie parti deboli e malate. Dietro a lui, per
restituire vitalit alle parti di me che soffrono: prima strada verso l'identit dell'uomo.
(Letture: Isaia 8, 23b-9,3; Salmo 26; 1 Corinzi 1, 10-13.17; Matteo 4, 12-23)
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Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi
31/01/2008
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L'attenzione ai pi deboli
IV Domenica del Tempo Ordinario - Anno A In quel tempo, vedendo le folle, Ges sal sul
monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e
insegnava loro dicendo: Beati i poveri in spirito, perch di essi il regno dei cieli. Beati
quelli che sono nel pianto, perch saranno consolati. Beati i miti, perch avranno in eredit
la terra. Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perch saranno saziati. Beati i
misericordiosi, perch troveranno misericordia. Beati i puri di cuore, perch vedranno Dio.
Beati gli operatori di pace, perch saranno chiamati figli di Dio. Beati i perseguitati per la
giustizia, perch di essi il regno dei cieli. Beati voi quando vi insulteranno, vi
perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia.
Rallegratevi ed esultate, perch grande la vostra ricompensa nei cieli. un Vangelo che
ogni volta ci fa pensosi e ci lascia disarmati. Non c' prova o garanzia per queste
affermazioni, sono come una nuvola di canto che seduce e riaccende la nostalgia
prepotente di un mondo fatto di bont, di sincerit, di giustizia. Un tutt'altro modo di essere
uomini. Hanno, in qualche modo, conquistato la nostra fiducia: le sentiamo vere e
affidabili, difficili eppure amiche. Non sanciscono nuovi precetti, ma sono l'annuncio
gioioso che Dio regala vita a chi produce amore. Che se uno si fa carico della felicit di
qualcuno, il Padre si fa carico della sua felicit. Ci assicurano che il senso della vita , e
non pu che essere, una ricerca di felicit. Che i misteriosi legislatori del mondo sono i
giusti, che i tessitori segreti del meglio sono i poveri. Se accogli le beatitudini, la loro
logica ti cambia il cuore, sulla misura di quello di Dio. Che non imparziale, ha un debole
per i deboli, incomincia dalle periferie della storia, ha scelto ci che nel mondo povero e
malato per cambiare radicalmente il mondo, per fare una storia che avanzi non per le
vittorie della forza, ma per seminagioni di giustizia e raccolti di pace. Sono detti beati i
poveri, non la povert. Sono beati gli uomini, non le situazioni. Dio con i poveri contro la
povert. Beati quelli che sono nel pianto: Dio dalla parte di chi piange, ma non dalla
parte del dolore. la beatitudine pi paradossale: felice chi non felice. Ma non perch la
felicit si trovi nel piangere, ma perch accade una cosa nuova: In piedi, voi che piangete,
avanti: Dio cammina con voi, asciuga lacrime, fascia il cuore, apre futuro. Un angelo
misterioso annuncia a chiunque piange: Il Signore con te. Dio con te, nel riflesso pi
profondo delle tue lacrime, per moltiplicare il coraggio. Nella tempesta al tuo fianco,
forza della tua forza. Come per i discepoli, colti di notte dalla burrasca sul lago: lui l,
nella forza dei rematori che non si arrendono, nelle braccia salde del timoniere, negli occhi
della vedetta che scruta la riva e cerca l'aurora. Beati i misericordiosi: sono gli unici che
nel futuro troveranno ci che hanno gi, la misericordia. Essa qualcosa che si porta con
s per sempre, bagaglio per il viaggio eterno, equipaggiamento e sigillo d'eternit posto su
tutta la lunghezza del tempo. (Letture: Sofonia 2,3; 3,12-13; Salmo 145; 1 Corinzi 1,26-31;
Matteo 5,1-12a.)
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Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi
07/02/2008
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il Vangelo. L'uomo vive di tutto ci, vive di Dio e di creature. Riceve vita dal pane ma
anche dall'abbraccio, dalla parola di Ges e dai sogni di una creatura che gli cammina a
fianco; l'uomo vive di profezia e di parole appena sussurrate. E posso dire, ognuno sa a chi
pu rivolgersi: di Dio e di te io vivo. Anche tu sei bocca di Dio, che respira il suo respiro.
Tu, sillaba della Parola. Ges ci mostra il metodo biblico per affrontare le tentazioni. Alla
parola dell'inganno oppone la parola di Dio. Anch'io sono chiamato a scegliere: vivere
scegliere. La luce per le mie scelte la trovo nel Vangelo, fonte di uomini liberi. La forza per
scegliere viene dalla forza dei miei ideali, nasce quando evangelizzo di nuovo me stesso,
ridicendomi amori e valori; viene dalla forza con cui il Forte mi ha preso il cuore. Cos mi
oppongo a ci che d morte: con la Parola che fa vivere. Letture: Genesi 2,7-9;3,1-7;
Salmo 50; Romani 5,12-19 (forma breve: Romani 5,12.17-19); Matteo 4,1-11.
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Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi
14/02/2008
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copr e venne una voce: Ascoltate lui. Il Padre prende la parola, ma per scomparire dietro la
parola di suo Figlio: ascoltate Lui. La fede biblica una religione non della visione, ma
dell'ascolto. Sali sul monte per vedere, e sei rimandato all'ascolto. Scendi dal monte, e ti
rimane nella memoria l'eco dell'ultima parola: Ascoltatelo. La visione del volto cede
all'ascolto del volto. Il mistero di Dio e il mistero dell'uomo sono ormai tutti dentro Ges.
Quel volto parla, e nell'ascolto di Ges, ascoltatore perfetto del Padre, anche noi
diventiamo, come lui, figli e volto del Padre. (Letture: Genesi 12,1-4a; Salmo 32; 2
Timoteo 1,8b-10; Matteo 17,1-9)
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Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi
21/02/2008
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ma indica futuro, affinch anch'io giunto al pozzo come mendicante d'acqua, me ne ritorni
come mendicante di cielo. (Letture: Esodo 17,3-7; Salmo 94; Romani 5,1-2. 5-8; Giovanni
4, 42-15)
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Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi
28/02/2008
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eterna. (Letture: 1 Samuele 16,1b.4a.6-7.10-13a; Salmo 22; Efesini 5,8-14; Giovanni 9,141)
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III Domenica di Pasqua Anno A (...) Due dei [discepoli] erano in cammino per un villaggio
di nome mmaus, distante circa undici chilometri da Gerusalemme (...) Ed egli disse loro:
Che cosa sono questi discorsi che state facendo tra voi lungo il cammino?.(...) Uno di
loro, di nome Clopa, gli rispose: Solo tu sei forestiero a Gerusalemme! Non sai ci che
vi accaduto in questi giorni? (...) Ci che riguarda Ges, il Nazareno, che fu profeta
potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo; come i capi dei sacerdoti e le
nostre autorit lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e lo hanno crocifisso
(...) Quando furono vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare
pi lontano. Ma essi insistettero: Resta con noi, perch si fa sera e il giorno ormai al
tramonto. Egli entr per rimanere con loro. Quando fu a tavola con loro, prese il pane,
recit la benedizione, lo spezz e lo diede loro. Allora si aprirono loro gli occhi e lo
riconobbero (...) Undici chilometri da Gerusalemme: mmaus il simbolo della mia
distanza dalla fede e dalla croce. mmaus casa mia, quando sono tentato di tornare nel
mio piccolo angolo, via dalla comunione con gli altri, chiuso, ferito; finito il sogno in cui
tanto avevo sperato. Due ore di cammino fatto insieme: e Cristo gi si fa vicino, lo fa in
ogni esperienza d'amicizia. Due ore a parlare di lui, ed il secondo segno della sua
ardente presenza (Rilke). Non pi qui" hanno detto gli angeli. Egli per le strade del
mondo, rallenta i suoi passi al ritmo dei nostri, dentro la polvere delle nostre strade, quando
sulla mia fede scende la sera. Ogni strada del mondo porta a mmaus. Ges si avvicin e
camminava con loro. Il Signore ci raggiunge nella nostra vicenda quotidiana di viandanti.
E cambia il cuore, gli occhi e il cammino di ciascuno. Il primo miracolo cos dolce da
non accorgersene subito, cos necessario da entrare senza imporsi: mentre lo sconosciuto
spiega le Scritture, il cuore lento inizia a riempirsi di un calore nuovo. Che cosa fa
ardere il cuore? La scoperta racchiusa in una sola parola: la croce. La croce la gloria.
Non un incidente, ma la pienezza dell'amore. Parola che seminata nel cuore, lo cambia. E
cambia la comprensione dell'intera vita. Resta con noi, perch si fa sera. Egli rimase con
loro. Da allora Cristo entra sempre, se appena lo desidero. Il suo nome non solo io sono
colui che , ma diventa io sono colui che con te. La parola ha cambiato il cuore, il
pane cambia gli occhi dei discepoli: lo riconobbero allo spezzare del pane. Il segno di
riconoscimento di Ges, il suo stile unico, il suo corpo spezzato e dato, vita data per
nutrire la vita. Il cuore del Vangelo spezzare anch'io per mio fratello il mio pane, o il
tempo, o un vaso di profumo, e condividere con lui cammino, speranza e smarrimenti. La
parola e il pane insieme cambiano il cammino di ogni discepolo: partirono senza indugio e
fecero ritorno a Gerusalemme. Partire verso i fratelli, partire come se la notte non dovesse
venire pi, partire con il sole dentro. La fuga triste diventa corsa gioiosa: non c' pi notte,
n stanchezza, n distanza, il cuore acceso, gli occhi vedono. Non patiscono pi la strada,
la respirano, respirando Cristo, che in cammino con ogni uomo in cammino. (Letture:
Atti 2,14.22-33; Salmo 15;1 Pietro 1,17-21; Luca 24,13-35)
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un brigante. Chi invece entra dalla porta, pastore delle pecore. Il guardiano gli apre e le
pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce
fuori. E quando ha spinto fuori tutte le sue pecore, cammina davanti a esse, e le pecore lo
seguono perch conoscono la sua voce. Un estraneo invece non lo seguiranno, ma
fuggiranno via da lui, perch non conoscono la voce degli estranei. Ges disse loro questa
similitudine, ma essi non capirono di che cosa parlava loro. Allora Ges disse loro di
nuovo: In verit, in verit io vi dico: io sono la porta delle pecore. Tutti coloro che sono
venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. Io sono la
porta: se uno entra attraverso di me, sar salvato. Cristo, venuto dal Padre come
intenzione di bene, pastore di vita abbondante, venuto perch ciascuno sia nella vita datore
di vita, indicato da Giovanni con le seguenti caratteristiche: conosce le sue pecore e
chiama ciascuna per nome. Il Signore pronuncia il mio nome, pronuncia la mia verit, il
mio tutto; egli entra e conosce, capace cio di capire e accogliere le emozioni e i
sentimenti. Sulla sua bocca il mio nome dice intimit, e mi avvolge come un abbraccio. Mi
chiama con il nudo nome, senza evocare nessun ruolo, o autorit, o funzione, o attributo,
nel riconoscimento della mia umanit profonda, della mia pi pura umanit. Tanto pi sarai
vicino a Dio quanto pi sprofonderai nel tuo essere uomo. Senza aggettivi. E le conduce
fuori: non il Dio dei recinti, ma degli spazi aperti. pastore di libert, che non rinchiude
per paura, ma ha fiducia in ci che fuori, fiducia negli uomini, nei suoi, nel mondo.
Fiducia la prima condizione perch vita ci sia. Cammina davanti a esse. Non un pastore
di retroguardie, apre cammini e inventa strade, davanti e non alle spalle. Non un pastore
che pungola, incalza, rimprovera per farsi seguire, ma uno che precede: cammina attratto
dal futuro e non dai rimpianti, seduce con il suo andare, affascina con il suo esempio. E le
pecore ascoltano la sua voce. Lo riconoscono perch sono da lui riconosciute. Chi non
ascolta, chi sordo, rischia invece di restare nei vecchi recinti, nelle vecchie paure, in
greggi anonimi, in strade che sono non-strade. La parola assurdo ha la stessa radice di
sordo. Entra nell'assurdo chi sordo, chi non sa ascoltare. Esce dalla sordit e
dall'assurdo chi ascolta la voce, che prima ancora di ogni parola, che dice con la sua sola
vibrazione una relazione amorosa tra lui e me, un combaciare pi ampio della
comprensione. Io sono la porta. Non un muro chiuso, non uno steccato che divide, Cristo
passaggio, apertura, pasqua, breccia di luce, luogo attraverso cui vita entra e vita esce.
Cosa significa varcare quella soglia, varcare Cristo? cambiare rotta, indirizzare la prora
del cuore verso le cose che lui amava: futuro, libert, coraggio; dimenticarsi, dare tutto,
con tutto il cuore; essere pastore di vita del mio piccolo gregge; essere soglia aperta,
attraversata da molte vite. (Letture: Atti 2,14a. 36-41; Salmo 22; 1 Pietro 2,20b-25;
Giovanni 10,1-10)
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perch dove sono io siate anche voi. E del luogo dove io vado, conoscete la via. Gli disse
Tommaso: Signore, non sappiamo dove vai; come possiamo conoscere la via?. Gli disse
Ges: Io sono la via, la verit e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me.
Se avete conosciuto me, conoscerete anche il Padre mio: fin da ora lo conoscete e lo avete
veduto. Gli disse Filippo: Signore, mostraci il Padre e ci basta. Gli rispose Ges: Da
tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me, ha visto il
Padre. Come puoi tu dire: "Mostraci il Padre"? Non credi che io sono nel Padre e il Padre
in me? Le parole che io vi dico, non le dico da me stesso; ma il Padre, che rimane in me,
compie le sue opere. Credete a me: io sono nel Padre e il Padre in me. Se non altro,
credetelo per le opere stesse. In verit, in verit io vi dico: chi crede in me, anch'egli
compir le opere che io compio e ne compir di pi grandi di queste, perch io vado al
Padre. Nella casa del Padre ci sono molte dimore. La prima immagine che il Vangelo
disegna oggi quella di una casa. C' un luogo in principio a tutto, un luogo caldo,
familiare, che mi appartiene, una casa " non un tempio " il cui segreto basta a confortare il
cuore: Non sia turbato il vostro cuore. L abita qualcuno che non sa immaginarsi senza
di noi e ci vuole con s. L'amore conosce molti doveri, ma il primo quello di essere
insieme con l'amato. L'amore passione di unirsi con l'amato (Tommaso d'Aquino). Una
passione in grado di attraversare l'eternit. Dio stesso che dice ad ogni suo figlio: il mio
cuore a casa solo accanto al tuo. Signore, come ci si arriva? Io sono la via. La
Bibbia piena di strade, di vie, di sentieri, piena di futuro e di speranza: davanti all'uomo
non c' una non-strada, ma un ventaglio di strade. Ges specifica: la strada sono io. Non c'
allora un sentiero ma una persona da percorrere: seguire le sue orme, compiere i suoi gesti,
preferire le persone che lui preferiva, opporsi a ci cui lui si opponeva, rinnovare le sue
scelte. La sua strada conduce a un modo nuovo di custodire al terra e il cuore. Io sono la
verit. Il cristianesimo non una dottrina o un sistema di pensiero, ma una persona, e il
suo muoversi libero, regale, amorevole fra le cose. La verit ci che arde. Le mani e i
gesti di Ges che ardono in una vita inseparabile dall'amore, che mette l'uomo prima del
sabato, la persona prima della verit, che fa la verit con amore: la verit senza amore
una malattia della storia, una malattia della vita che ci fa tutti malati di intolleranza. Io
sono la vita. Io sono la sorgente, il viaggio e l'approdo della vita. Parole enormi, che
nessuna spiegazione pu esaurire o recintare. Parole davanti alle quali provo una vertigine:
il mistero dell'uomo si spiega solo con il mistero di Dio. La mia vita si capisce solo con la
vita di Cristo. Nella mia esistenza c' una equazione: pi Dio equivale a pi io; se Dio non
, io non sono. Pi Vangelo entra nella mia vita, pi io vivo. Fino ad affermare come Paolo:
per me vivere Cristo. Vita tutto ci che possiamo mettere sotto questa nome: futuro,
amore, casa, pane, festa, riposo, desiderio, pasqua. Per questo spirituale e reale coincidono,
fede e vita, sacro e realt hanno l'identica sorgente. (Letture: Atti 6,1-7; Salmo 32; 1 Pietro
2,4-9; Gv 14,1-12)
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perch non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete perch egli rimane presso di voi e
sar in voi. Non vi lascer orfani: verr da voi. Ancora un poco e il mondo non mi vedr
pi; voi invece mi vedrete, perch io vivo e voi vivrete. In quel giorno voi saprete che io
sono nel Padre mio e voi in me e io in voi. Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva,
questi colui che mi ama. Chi ama me sar amato dal Padre mio e anch'io lo amer e mi
manifester a lui. Se mi amate.... Ges chiede di dimorare in quel luogo da cui tutto ha
origine, da cui tutto parte, in cui tutto si decide e che tutte le religioni chiamano cuore.
Entra nel mio luogo pi importante e intimo, nel vero santuario della vita. Ma lo fa con
estrema delicatezza, perch tutto si tiene alla prima parola: se. Se mi amate. Un punto
di partenza cos umile, cos fragile, cos libero, cos fiducioso, cos paziente: se. Nessuna
minaccia, nessuna costrizione. Puoi accogliere o rifiutare, in piena libert. Se ti fai lettore
attento del Vangelo non potrai per sfuggire all'incantamento per Ges uomo libero, parola
liberante. Se mi amate osserverete. La vera molla che spinge a compiere in pienezza
un'opera l'amore. L'esperienza quotidiana lo conferma: se c' la scintilla dell'amore ogni
atto si carica di una vibrazione profonda, di un calore nuovo, conosce una incisivit
insospettata. Il Padre vi dar un altro Soccorritore e sar con voi" presso di voi" in voi.
In un crescendo mirabile Ges usa tutte le preposizioni che dicono comunione. Dio vive in
me, in me ha termine l'esodo di Dio. Se io penso al Signore non penso a qualcosa che ho
incontrato in un libro, fosse pure il Vangelo, ma ad una storia che continua fino al presente
e non ancora finita: la storia della comunione con una persona viva, la storia del suo
essere "in" me. Le parole decisive del brano di Giovanni sono: Voi in me e io in voi. Sosto
nella percezione di essere in Dio, immerso in Lui, tralcio nella madre vite, goccia nella
sorgente, raggio nel sole, respiro nell'aria vitale. Allora ti carichi di una linfa, di un'acqua,
di una fiamma che faranno della tua fede visione nuova, incantamento, fervore, poesia,
testimonianza viva. Non vi lascer orfani. Orfano parola legata all'esperienza della
morte e della separazione, ma Ges enfasi della nascita e della comunione. Altri
partiranno da altri presupposti, io riparto da Cristo e dal suo modo di liberare, di generare,
di porre luce e cuore su ci che nasce e mai su ci che muore: amare non morire. Lo
ripete anche oggi: Perch io vivo e voi vivrete. Piccola frase che rende conto della mia
speranza. Io appartengo a un Dio vivo e Lui a me. E queste parole mi fanno dolce e
fortissima compagnia: appartengo a un Dio vivo, amare non morire. (Letture: Atti degli
Apostoli 8,5-8.14-17; Salmo 65; 1 Pietro 3,15-18; Giovanni 14,15-21)
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Tommaso! e sulle sue labbra i nomi parevano bruciare; finito il tempo del pane e del
pesce condivisi attorno allo stesso fuoco sulla riva del lago. L'ascensione la festa della
sua presenza altrimenti: della sua presenza in tutte le cose, in tutti gli uomini, in tutti i
giorni. Ges non andato lontano: andato avanti e nel profondo. E chiama a pienezza gli
uomini, il tempo e le cose. Dice Paolo: Cristo il perfetto compimento di tutte le cose.
Cristo la pienezza e il futuro di ogni cosa che esiste. Il mio cristianesimo la certezza
forte e inebriante che in tutte le cose Cristo presente, forza di ascensione dell'intero
creato, energia che alimenta la nostra esistenza e la storia umana. Un aggettivo prorompe
da Matteo e da Paolo: tutto: Andate in tutto il mondo, a tutte le genti annunciate tutto ci
che vi ho detto, ogni potere mio, io sar con voi tutti i giorni, tutto sotto i suoi piedi.
Dal giorno dell'ascensione abbiamo Dio in agguato all'angolo di ogni strada (F.
Mauriac). C' un sapore di totalit, un sapore di infinito, una pretesa di assoluto, un
superamento dei limiti di luogo, di materia, di tempo. Si apre la dimensione del Cristo
cosmico, non assenza ma pi ardente presenza, sparpagliato per tutta l'umanit, seminato in
tutte le cose, fino a che alla fine dei giorni sar tutto in tutti (Col 3, 11). Non solo in me,
in te o perfino nel cuore distratto e in quello che si crede spento, ma Cristo presente in
tutte le cose: nel rigore della pietra, nel canto segreto delle costellazioni, nella forza di
coesione degli atomi, per un nuovo cielo, per una nuova terra. Tutti i giorni e tutte le cose
sono ora messaggeri di Dio; tutti i giorni e tutte le cose sono angeli e Vangeli. E il divino
traspare dal fondo di ogni essere (Theilard de Chardin). Voi sarete miei testimoni,
testimoni che dicono: noi dipendiamo da una fonte che non viene meno; nella nostra vita
in gioco una forza pi grande di noi e che non si esaurisce mai. Il nostro compito
accogliere questo flusso di vita che ci consegnato. Accogliere e restituire " alle vene del
mondo, alle relazioni, al cuore limpido " tutto ci che alimenta la vita e che ha la sua
sorgente oltre noi. (Letture: Atti degli Apostoli 1,1-11; Salmo 46; Efesini 1,17-23; Matteo
28,16-20).
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Dio Santo; che non sappiamo immaginare se non per simboli, che gli conservino libert,
la libert del vento, cui nessuno comanda, che fascia le formule e forma le parole, ma poi
passa oltre. Sempre oltre la sua dimora. Infatti viene lo Spirito, dice il Vangelo, la sera di
Pasqua, leggero e quieto come un respiro, come la pace: alit su di loro e disse: ricevete
lo Spirito Santo. Viene lo Spirito, nel racconto degli Atti, cinquanta giorni dopo, come
energia, coraggio, missione, vento che spalanca le porte e parola di fuoco. Viene lo Spirito,
nell'esperienza di Paolo, come bellezza, talento, carisma diverso per ogni credente. Viene,
nel salmo responsoriale, eternamente: dall'origine e per sempre, in tutti i solchi
dell'esistenza, lo Spirito genera vita, l dove pareva impossibile, quando ti sentivi finito e il
tronco dell'esistenza non metteva pi gemme, quando la storia attorno sembrava un ventre
invecchiato e sterile. Com' possibile che li sentiamo ciascuno parlare la nostra lingua
nativa? Questo accade ancora, dentro e fuori le chiese, perch lo Spirito si rivolge a
ciascuno, direttamente al cuore di ogni uomo, e in ciascuno consolida la certezza pi
umana che abbiamo, e che tutti ci compone in unit: l'aspirazione alla pace, alla gioia,
all'amore, alla vita (Giovanni Vannucci). Consolida Cristo, pienezza dell'umano. Lo
Spirito conferma ci che a tutti caro, e cara a ciascuno diviene la sua parola. Ma quanta
fatica per uscire dal Cenacolo! Eppure lo Spirito si ripropone, umile e risoluto, pi forte
della nostra fatica, vento che indica la strada, riempie le vele, disperde le ceneri della morte
e diffonde ovunque i pollini della primavera. (Letture: Atti degli Apostoli 2,1-11; Salmo
103; 1 Corinzi 12,3b-7.12-13; Giovanni 20,19-23)
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sogno dolcissimo di cui non ci concesso stancarci. Senza amore nessuna cattedra pu
annunciare Dio. Dire uomo profetizzare amore, dire relazione. Solitario, l'uomo si
ammala; se si isola, muore. Nella Bibbia non Dio che antropomorfo, ma l'uomo che
teomorfo, ha la forma di Dio (Von Rad). La nostra identit quindi trinitaria: vivere
attraversati da una vita che viene da prima di noi, e che va oltre noi. Chi trattiene per s la
vita, in s la sopprime. Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio. Sono le parole
sorgive che spiegano la storia, qui il segreto, la sapienza del vivere: amare equivale a
dare. Mondo amato, terra amata, io amato. Dio eternamente altro non fa che considerare
l'uomo, ogni uomo pi importante di se stesso. Allora si fa donatore, semina in noi Cristo
come lievito, sale, gemma, luce, seme. E lo Spirito porta a maturazione il grano del mondo,
il germe divino in noi, lo porta ad altezza del cuore. Un cuore che vive solo di comunione.
(Letture: Esodo 34,4b-6. 8-9; Daniele 3,52.56; 2 Corinzi 13,11-13; Giovanni 3,16-18)
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con Cristo. Nella comunione il cuore assorbe il Signore e il Signore assorbe il cuore, cos
i due diventano una cosa sola (Giovanni Crisostomo). E tu sei fatto vangelo. E se sei fatto
vangelo senti la certezza che l'amore pi vero dell'egoismo, la piet pi umana del potere,
il dono pi divino dell'accumulo. Io mangio e bevo il mio Signore, quando assimilo il
nocciolo vivo e appassionato della esistenza di Ges e mi innesto sul suo tronco che il
suo modo di vivere. Chi fa proprio il segreto di Cristo, costui trova il segreto della vita. A
questo mi conduce l'Eucaristia domenicale, dove il sublime confina con il quotidiano,
l'infinito con il perimetro fragile del pane e del vino, l Dio vicino a me che temo la
solitudine e il dolore. Se solo lo accolgo, trovo il segreto della vita. (Letture: Deuteronomio
8,2-3.14b-16a; Salmo 147; 1 Corinzi 10,16-17; Giovanni 6,51-58)
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tra quella che rimane salda e quella che va in rovina tutta in un verbo solo: mettere in
pratica o non mettere in pratica le parole ascoltate. Non nelle appartenenze o in belle
liturgie, non in profezie o prodigi, la differenza sta nel fare le sue parole, nel ricrearle in
me. la crisi del dire. La gente ascoltava Ges e capiva che c' un combaciare profondo
tra l'uomo e la volont di Dio, pi profondo delle parole, pi delle confessioni di fede, ed
in chiunque ha creduto all'amore (1 Gv), e non conta se dentro e fuori le sinagoghe e le
chiese. Ascolta e tieni salda la sua parola, anche se non la capisci, lascia che entri nella tua
memoria come seme nel terreno: dar come frutto il combaciare con Dio, una esistenza
nella consistenza. (Letture: Deuteronomio 11, 18.26-28.32; Salmo 30; Romani 3, 2125a.28; Matteo 7, 21-27)
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santi, ma di peccatori perdonati, di gente come me. Quando sono debole allora che sono
forte. Nessun lassismo per. Vuoi restare nel peccato perch abbondi la grazia? Assurdo
(Rom 6,1). Ma oggi mi godo la festa del peccatore che ha scoperto un Dio pi grande del
suo cuore. Solo questo mi converte ancora. (Letture: Osea 6,3-6; Salmo 49; Romani 4,1825; Matteo 9,9-13)
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tenacemente, come il grano che matura nel sole. (Letture: Esodo 19,2-6a; Salmo 99;
Romani 5,6-11; Matteo 9,36-10,8)
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nel suo campo. Ma, mentre tutti dormivano, venne il suo nemico, semin della zizzania in
mezzo al grano e se ne and. Quando poi lo stelo crebbe e fece frutto, spunt anche la
zizzania. Allora i servi andarono dal padrone di casa e gli dissero: "Signore, non hai
seminato del buon seme nel tuo campo? Da dove viene la zizzania?". Ed egli rispose loro:
"Un nemico ha fatto questo!". E i servi gli dissero: "Vuoi che andiamo a raccoglierla?".
"No, rispose, perch non succeda che, raccogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche
il grano. Lasciate che l'una e l'altro crescano insieme fino alla mietitura e al momento della
mietitura dir ai mietitori: Raccogliete prima la zizzania e legatela in fasci per bruciarla; il
grano invece ripontelo nel mio granaio". Espose loro un'altra parabola, dicendo: Il
regno dei cieli simile a un granello di senape, che un uomo prese e semin nel suo
campo. Esso il pi piccolo di tutti i semi ma, una volta cresciuto, pi grande delle altre
piante dell'orto e diventa un albero, tanto che gli uccelli del cielo vengono a fare il nido fra
i suoi rami. Disse loro un'altra parabola: Il regno dei cieli simile al lievito, che una
donna prese e mescol in tre misure di farina, finch non fu tutta lievitata. C' un campo
nel cuore in cui intrecciano le loro radici, spesso inestricabili, il bene e il male: nessuno
solo zizzania, nessuno puro grano. La parabola racconta due modi di leggere e lavorare il
cuore. Il primo quello dei servi che fissano l'attenzione sulla zizzania: Da dove viene?
Vuoi che andiamo a raccoglierla? Il secondo quello del padrone del campo che ha
invece gli occhi fissi al buon grano: Non raccogliete la zizzania, per non sradicare anche
il grano: una sola spiga conta pi di tutta la zizzania. Quale dei due sguardi il nostro?
Quello opaco e triste dei servi che vede il mondo e le persone invasi dal male, che giudica
con durezza manichea? Quello positivo e solare del signore che intuisce, dovunque, spighe,
pane e mietiture fiduciose, e che ha messo la sua forza nella mitezza? Non strappate la
zizzania. Noi abbiamo sempre una violenta fretta di moralizzare e mettere a posto.
L'uomo infantile che in noi grida: strappa via da te, e soprattutto intorno a te, ci che
puerile, fragile, difettoso. Il signore del campo suggerisce: preoccupati del buon seme, ama
i tuoi germi di vita, custodisci ogni germoglio. Tu non sei le tue debolezze, ma le tue
maturazioni; l'uomo non coincide con i suoi peccati, ma con le potenzialit di bene. Vero
esame di coscienza leggere la vita con quello sguardo divino che cerca non l'assenza di
difetti, illusione inutile e spesso mortifera, ma la fecondit come etica della vita.
Impariamo a vedere ci che di vitale, di bello, di promettente Dio ha seminato in noi (non
orgoglio, ma responsabilit), facciamo s che porti frutto, che ogni granellino di senapa
cresca con il dono di attrarre e accogliere vite, che ogni pizzico di lievito abbia il tempo per
sollevare e rialzare i giorni inerti. Facciamo nostra l'attivit positiva, solare, vitale del
Creatore che per vincere le tenebre accende ogni giorno il suo mattino, per muovere la
massa immobile vi nasconde il lievito. Preoccupiamoci non della zizzania, dei difetti, delle
debolezze, ma di avere un amore grande, ideali forti, desideri positivi, una venerazione
profonda per le forze di bont, generosit e coraggio che la mano viva di Dio semina in
noi. Facciamo che esse erompano in tutta la loro bellezza, in tutta la loro potenza, e
vedremo le tenebre ritirarsi e la zizzania senza pi terreno. E tutto il nostro essere maturare
nel sole. (Letture: Sapienza 12,13.16-19; Salmo 85; Romani 8,26-27: Matteo 13,24-43)
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Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi
24/07/2008
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La bellezza di Dio, tesoro della vita
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XVII domenica Tempo Ordinario " Anno A In quel tempo Ges disse ai suoi discepoli: Il
regno dei cieli simile a un tesoro nascosto nel campo; un uomo lo trova e lo nasconde;
poi va, pieno di gioia, vende tutti i suoi averi e compra quel campo. Il regno dei cieli
simile anche a un mercante che va in cerca di perle preziose; trovata una perla di grande
valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra. Ancora, il regno dei cieli simile a una rete
gettata nel mare, che raccoglie ogni genere di pesci. Quando piena, i pescatori la tirano a
riva, si mettono a sedere, raccolgono i pesci buoni nei canestri e buttano via i cattivi. Cos
sar alla fine del mondo. Verranno gli angeli e separeranno i cattivi dai buoni e li
getteranno nella fornace ardente, dove sar pianto e stridore di denti. Un contadino e un
mercante trovano tesori. Lo trova uno che, in giorni sempre uguali, occhi fissi solo al suo
lavoro, per caso, si imbatte nella sorpresa e nell'inaudito. Ben pi del pane quotidiano. Lo
trova uno che cercatore e navigante, per il quale gioia la ricerca stessa: andare e ancora
andare, occhi che guardano oltre. Anche in giorni disillusi come i nostri, il Vangelo osa
annunciare tesori: l'esito della storia sar felice, comunque felice, nonostante tutto felice,
perch nella nostra vita sono in gioco forze pi grandi di noi, perch il nostro segreto
oltre noi, perch nell'uomo posto un eccesso di desiderio e di attese, che niente fra le cose
potr esaurire, ma solo qualcosa che viene da oltre, viene come dono immeritato. Come un
tesoro non si merita, ma si accoglie, allo stesso modo Dio non si merita, si accoglie. Il
protagonista vero della parabola non il contadino, ma il tesoro: parola cos rara per dire
Dio. Parola di favole, di innamorati, di romanzi; ma anche parola di un Vangelo che
riaccende tutte le speranze, rilancia tutti i desideri. Protagonista vera della vita spirituale
la perla preziosa, capace di convocare mercanti dagli angoli della terra, forza che da
sempre ha fatto partire discepoli del Nazareno verso i luoghi pi sperduti del mondo.
Tesoro e perla sono nomi di Dio. Contadini, cercatori o discepoli, tutti avanziamo nella vita
non per decreto, ma per scoperta di tesori, perch l dov' il tuo tesoro, l corre felice il
tuo cuore. La vita umana non statica, ma estatica: estasi, movimento, esodo da s,
desiderio di unirsi all'oggetto d'amore. Se la gioia di un innamoramento, di un che bello!
a pieno cuore, non precede le rinunce, queste non generano che tristezza, freddo,
lontananza, consumazione del cuore. La vita non etica, ma estetica: avanza non per
costrizione, ma per forza di attrazione, per seduzione di tesori; per una passione che sgorga
da una bellezza, dall'aver trovato la bellezza di Cristo e del mondo come lui lo sogna: Dio
in me, pienezza d'umano, vita bella, estasi della storia, pace e forza, sorpresa, incanto,
orizzonte, caduta e risurrezione; altre vite dentro la mia vita; un supplemento d'ali verso
pi libert, pi amore, pi coscienza. Ma quel dono deve diventare mia conquista. Allora
lascio tutto, ma per avere tutto. Vendo tutto, ma per guadagnare tutto. E il Vangelo porta
una spirale di vita crescente. (Letture: 1 Re 3, 5.7-12; Salmo 118; Romani 8, 28-30; Matteo
13, 44-52)
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pesci!. Ed egli disse: Portatemeli qui. E, dopo aver ordinato alla folla di sedersi
sull'erba, prese i cinque pani e i due pesci, alz gli occhi al cielo, recit la benedizione,
spezz i pani e li diede ai discepoli, e i discepoli alla folla. Tutti mangiarono a saziet, e
portarono via i pezzi avanzati: dodici ceste piene. Quelli che avevano mangiato erano circa
cinquemila uomini, senza contare le donne e i bambini. Vorrei tanto essere uno dei
cinquemila, quella sera, sul lago. Li invidio, non per il miracolo dei pani, ma per la
seduzione che hanno provato, pi forte di ogni paura: sono andati da Ges, ascoltano e
vivono, ascoltano e brucia il cuore, ascoltano e risplende la vita. Stare con lui: e quando
scende la sera, la notte e il deserto profumano di pane. Stare con lui: e sentire che pi vivo
di cos non sar mai. I discepoli, uomini pratici, dicono a Ges: Congeda la folla, perch
vadano a comprarsi da mangiare. Se non li congeda lui, non se ne andranno
spontaneamente. Ma Ges non li manda via, non ha mai mandato via nessuno. bello
questo preoccuparsi dei discepoli, ma pi bello Ges che prova compassione. Anzi,
letteralmente, preso alle viscere per loro dice: date loro voi stessi da mangiare. I
discepoli parlano di comprare, Ges parla di dare. Apre un altro modo di essere: dare senza
calcolare, dare senza chiedere, generosamente, gratuitamente, per primi. A noi, che
quotidianamente preghiamo: Dacci oggi il nostro pane, il Signore risponde: Voi date il
vostro pane. Dacci, noi invochiamo. Donate, ribatte lui. Ci sono molti miracoli in
questo racconto: il primo quello della folla che, scesa ormai la notte nel deserto, non se
ne va e rimane con Ges. Il secondo sono i cinque pani e i due pesci che qualcuno mette
nelle sue mani, fidandosi, senza calcolare, senza trattenere qualcosa per s. poco, ma
tutta la sua cena. Terzo miracolo: poco, eppure quel poco basta, secondo una misteriosa
regola divina: quando il mio pane diventa il nostro pane, il dono seme di miracolo.
Infine il quarto: la sovrabbondanza, tipica di Dio: raccolsero gli avanzi in dodici ceste.
Una per ogni trib, una per ogni mese. Tutti mangiano e ne rimane per tutti, e per sempre.
E hanno valore anche gli avanzi, le briciole, il poco che sei, il poco che sai fare, il bicchiere
d'acqua dato. Nulla troppo piccolo di ci che donato con tutto il cuore. L'unico merito
che i cinquemila possono vantare, l'unico loro diritto al pane la fame. Davanti a Dio mio
vanto esclusivo il bisogno. Di nulla mi vanter se non della mia debolezza (2 Cor 12,
5). Davanti a Dio non c' nulla di meglio che essere nulla, come l'aria davanti al sole, come
il polline nel vento (Simone Weil), nutrendo cos la nostra fame di sole e di pane, di cielo e
di mani che conoscano il dono. (Letture: Isaia 55,1-3; Salmo 144; Romani 8,33.37-39;
Matteo 14,13-21)
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tu, comandami di venire verso di te sulle acque. Ed egli disse: Vieni!. Pietro scese dalla
barca, si mise a camminare sulle acque e and verso Ges. Ma, vedendo che il vento era
forte, s'impaur e, cominciando ad affondare, grid: Signore, salvami!. E subito Ges
tese la mano, lo afferr e gli disse: Uomo di poca fede, perch hai dubitato?. Signore, se
sei tu, comanda che io venga da te sulle acque. E sulla parola del Signore Pietro scende
dentro la tempesta, senza pi riparo. Pietro domanda due cose: una giusta e una sbagliata.
Chiede di andare verso il Signore, ed la domanda assoluta, perfetta, quella di ogni
credente: che io venga da te. Poi chiede di andarci camminando sulle acque, ed la parte
sbagliata. Tu andrai verso il Signore ma in tutt'altro modo. Tu lo incontrerai ma non nei
miracoli. Pietro seguir il Signore, ma non pi attratto dal suo camminare sulle acque,
bens dal suo camminare verso il calvario; andr dietro a colui che sa far tacere non tanto il
vento e il mare, ma tutto ci che non amore. Andr dietro a colui che sa farsi prossimo
sulla strada che va da Gerusalemme a Gerico, sulla polvere di ogni sentiero e non sul
luccichio di acque miracolose. E and verso Ges, dice il Vangelo. Pietro cammina sulle
acque, perch guarda a Lui, non ha occhi che per quel volto. Poi, vedendo il grande vento
ebbe paura: inizia ad affondare, perch guarda il vento, fissa le onde. Cos noi, se
guardiamo al Signore e alla sua parola, avanziamo anche nella tempesta; se guardiamo a
noi stessi, ai nostri limiti, alle difficolt, iniziamo la discesa nel buio. Io ringrazio Pietro
per questo suo umanissimo oscillare tra fede e dubbi, tra miracoli ed abissi, per questo suo
grido: Signore, salvami. E capisco che qualsiasi mio dubbio pu essere redento, anche da
una sola invocazione, gridata di notte, nella tempesta o nella paura, gridata nel vento, come
Pietro, gridata sulla croce, come il ladrone. Pietro mostra che il miracolo non serve alla
fede, non la rafforza. Egli cammina sul lago come nessuno ha mai fatto e gi dubita. Vive
un miracolo eppure la sua fede va in crisi: Signore, affondo! Pietro dubita e affonda;
affonda e crede: Signore, salvami! Dubbio, fede, grido. Mi piace questo pescatore che
ringrazio, uomo d'acqua e poi di roccia, per questo suo umanissimo oscillare tra fede
grande, che sfida la tempesta, e fede piccola. Ed proprio l che Ges ci raggiunge, al
centro della nostra mancanza di fede. Ci raggiunge e non punta il dito contro i nostri dubbi,
ma stende la mano per afferrarci. Nei giorni della fede piccola arriva la mano forte che Dio
non ha mai cessato di tendere. E il grido di paura diventa abbraccio tra l'uomo e il suo Dio.
(Letture: Primo Libro dei Re 19,9a. 11-13a; Salmo 84; Romani 9,1-5; Matteo 14,22-23)
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Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi
14/08/2008
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simpatici come questa donna, una madre straniera che non si arrende ai silenzi di Ges, ma
intuisce sotto il suo rifiuto l'impazienza di dire s. Una madre pagana, che non conosce
Jahv, che adora Baal e Astarte, dichiarata donna di grande fede. E non per la
perseveranza nel gridare il suo dolore, quanto perch, con il suo cuore di madre, sente Dio
pi attento alla felicit che alla fedelt dei suoi figli. Crede in un Dio che considera la
salute di una ragazza pagana pi importante che non il culto dei leviti e le formule della
fede. Crede che la gloria di Dio l'uomo vivente, la creatura guarita, una ragazza felice,
una madre abbracciata alla carne della sua carne, finalmente risanata. Questa donna non ha
la fede dei teologi, ma quella delle madri che soffrono. Conosce Dio dal di dentro e sa che
la sua legge suprema che l'uomo viva, sa che Dio dimentica i propri diritti per i diritti
dell'uomo che soffre. Grande la tua fede!. Allora grande ancora la fede sulla terra,
dentro e fuori la Chiesa, perch grande il numero delle madri di Tiro e Sidone, che non
sanno il Credo ma sanno il cuore di Dio. E lo sanno dal di dentro. Non conoscono il nome
di Jahv, ma ne conoscono il cuore. Sanno che se un figlio soffre, per questa semplice,
nuda ragione Dio si fa vicino e appartiene al loro dolore. Una frase d la svolta al dialogo: i
cuccioli sotto la tavola mangiano le briciole dei bambini. Dice quella donna: non puoi fare
delle briciole di miracolo, briciole di segni, per questi cani di pagani? In questo presente di
fame e di festa, di vacanze e di miseria, una fiumana di madri cananee implorano ancora
briciole per i loro cuccioli, le implorano da noi, discepoli del nazareno: fate dei segni, dei
piccolissimi segni, almeno delle briciole di miracolo, per noi, i cagnolini della terra. Allora
si delinea il Regno, la terra come Dio la sogna: una tavola ricca di pane, una corona di
figli, briciole, e dei cuccioli in attesa. Questa immagine si fatta strada verso il cuore di
Ges e pu farsi strada verso il nostro. Affinch nessuno sia senza pane, e i cuccioli siano
trasformati in figli. La piet di Dio ci chiama a chinarci sugli ultimi, a prendere tutti gli
esclusi da sotto la tavola, a metterli tra i figli, anzi sopra il candeliere, perch anch'essi
hanno occhi di luce, perch ci sia pi luce sulla mensa e sul futuro del mondo. (Letture:
Isaia 56,1.6-7; Salmo 66; Romani 11,13-15.29-32; Matteo 15,21-28)
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Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi
21/08/2008
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insegnamento? Ma: chi sono io per te? Tu con il tuo cuore, con la tua fatica, la tua gioia e il
tuo peccato, tu cosa dici di Ges Cristo? Le parole pi vere sono sempre al singolare, e mai
parole d'altri. Non servono libri o catechismi, non studi, letture, o risposte imparate, ma
ciascuno dissetato alle fonti di Dio, inciso un giorno dalla spada a due tagli della sua
Parola, ciascuno, caduto e risorto, pu dare la sua risposta. Tu sei per me un crocifisso
amore. L'amore ha scritto il suo racconto sul tuo corpo con l'alfabeto delle ferite,
indelebili come l'amore. Tu sei per me un disarmato amore, che mai sei entrato nei
palazzi dei re, mai hai radunato eserciti, e in questo mondo di arroganti hai detto: Beati i
miti, gli inermi, i tessitori di pace. Tu sei per me un inseparato amore, perch nulla mai,
n angeli n demoni, n cielo n abisso, nulla mai ci separer dal tuo amore di Dio (cf. Rm
8, 39). Nulla, mai. Due parole assolute, perfette, totali: inseparabile sono dall'amore. I due
simboli di oggi sono la chiave e la roccia. Pietro roccia nella misura in cui ancora
trasmette Cristo, tesoro per l'intera umanit. roccia nella misura in cui mostra che Dio
vivo fra noi, crocifisso amore, disarmato amore, inseparato amore. Ma ogni discepolo
roccia e chiave. Chiave che apre le porte belle di Dio, roccia su cui far conto per costruire
la casa comune. Chiamato a legare e sciogliere, a creare nel mondo strutture di
riconciliazione. Voi chi dite che io sia? Non mi basta dire Dio; Cristo non ci che dico di
lui, ma ci che vivo di lui, come la vita non sta nelle mie parole sulla vita, ma nel mio
patirla: Mi guardano negli occhi / e rimangono estatici / perch capiscono che io ti ho visto
/ ti ho sentito / e che qualche volta almeno / ti ho anche tradito (Alda Merini). Non una
dottrina, non una morale, il cristianesimo una Persona, un dolcissimo sogno sempre
tradito, ma di cui non ci concesso stancarci. (Letture: Isaia 22,19-23; Salmo 137; Romani
11,33-36; Matteo 16,13-20)
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l Vangelo A cura di Ermes Ronchi
28/08/2008
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prenda su di s tutto l'amore di cui capace. La croce del discepolo non sono i disappunti
quotidiani, le fatiche o le malattie: cose solo da sopportare. La croce vera, dice Ges, da
prendere, non da sopportare. Da scegliere, come riassunto di un destino e di un amore:
Scegli per te il giogo dell'amore. Non amare solo un lento morire. Ricordati che il vero
dramma dell'uomo non perdere la vita, ma non incontrare nessuno che valga pi della
propria vita, non avere nessuno per cui valga la pena dare la vita. Tutti, io per primo,
abbiamo paura del dolore, del sacrificio fino al dono di s; ci sia concesso per di non aver
paura di amare. Come fa Dio, il grande seduttore. Non guardare il dolore, guarda l'amore.
Tra i nomi di Dio Geremia introduce quello di seduttore: mi hai sedotto Signore e io mi
sono lasciato sedurre (I lettura). In Dio c' desiderio, cuore di carne, passione, bellezza. Un
Dio innamorato. Era impossibile resistergli, resistere alla passione di Dio per me. Eppure
Geremia si sente solo e incompreso, e protesta la sua amarezza. Pietro deluso nel suo
entusiasmo, incompreso nel suo realismo. Dio che seduce e delude? Che conquista e poi
lascia smarriti? S, perch chiama a pensare i suoi pensieri, a seguire i suoi passi, ad avere i
suoi sentimenti, ti allontana dal vecchio cuore. E se all'orizzonte si staglia una croce, Pietro
non ci sta, e io con lui, e mi sento un po' tradito. Allora ci soccorre Geremia: Ma nel mio
cuore c'era come un fuoco ardente, mi sforzavo ma non potevo contenerlo... Senza questo
fuoco, la passione di Dio per me, io sarei niente. Guadagnerei il mondo ma perderei me
stesso. (Letture: Geremia 20,7-9; Salmo 62; Romani 12,1-2; Matteo 16,21-27)
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Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi
04/09/2008
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fratello sbaglia, tu va', tu per primo inizia il cammino. Ma che cosa mi autorizza a
intervenire nella vita dell'altro? La ragione tutta in una parola: fratello. Solo se porti la
speranza e la gioia dell'altro, se hai assaporato le sue lacrime, se lo ami, allora sei
autorizzato a intervenire. Non la verit che mi legittima, ma la fraternit. Accetter la tua
verit purch si sposi con la tenerezza (E.Pound). Tutto quello che legherete sulla terra... Il
potere di sciogliere e legare non ha nulla di giuridico, consiste nel mandato fondamentale
di tessere nel mondo strutture di riconciliazione: ci che avrete riunito attorno a voi, le
persone, gli affetti, le speranze, lo ritroverete unito nel cielo; e ci che avrete liberato
attorno a voi, di energie, di vita, di audacia e sorrisi, non sar pi dimenticato, storia
santa. Ci che scioglierete avr libert per sempre, ci che legherete avr comunione per
sempre. Ma a che cosa serve la presenza di Cristo in mezzo a noi? Che cosa porta, che cosa
genera? Cristo la sorgente del rapporto buono con l'altro, la roccia solida su cui poggia la
casa del mondo, la misura alta dell'io e del tu che diventano noi, quella forza di amare che
ti convoglia nello stellato fiume (M. Luzi). (Letture: Ezechiele 33,7-9; Salmo 94;
Romani 13,8-10; Matteo 18,15-20)
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commuove, qui, nella bellezza dell'atto di amore. Suprema bellezza quella accaduta
fuori Gerusalemme, sulla collina, dove il Figlio di Dio si lascia annullare in quel poco di
legno e di terra che basta per morire. Veramente divino questo abbreviarsi del Verbo in un
singulto di amore e di dolore: qui ha fine l'esodo di Dio, estasi del divino. Arte di amare.
Bella la persona che ama, bellissimo l'amore fino all'estremo. In quel corpo straziato, reso
brutto dallo spasimo, in quel corpo che il riflesso del cuore, riflesso di un amore folle e
scandaloso fino a morirne, l la bellezza che salva il mondo, lo splendore del fondamento,
che ci seduce. (Letture: Numeri 21,4b-9; Salmo 77; Filippesi 2,6-11; Giovanni 3,13-17).
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si accoglie. Ti dispiace che io sia buono? " No, Signore, non mi dispiace, perch sono
l'ultimo bracciante e tutto dono. No, non mi dispiace perch so che verrai a cercarmi
anche se si sar fatto tardi. Non mi dispiace che tu sia buono. Anzi. Sono felice che tu sia
cos, un Dio buono che sovrasta le pareti meschine del mio cuore fariseo, affinch il mio
sguardo opaco diventi capace di gustare il bene. (Letture: Isaia 55,6-9; Salmo 144;
Filippesi 1,20-24.27; Matteo 20,1-16)
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Dio non un Cesare pi grande d'ogni Cesare ma servo di tutti per amore
XXIX domenica Tempo ordinario - Anno A In quel tempo, i farisei se ne andarono e
tennero consiglio per vedere come cogliere in fallo Ges nei suoi discorsi. Mandarono
dunque da lui i propri discepoli, con gli erodiani, a dirgli: Maestro, sappiamo che sei
veritiero e insegni la via di Dio secondo verit. Tu non hai soggezione di alcuno, perch
non guardi in faccia a nessuno. Dunque, di' a noi il tuo parere: lecito, o no, pagare il
tributo a Cesare?. Ma Ges, conoscendo la loro malizia, rispose: Ipocriti, perch volete
mettermi alla prova? Mostratemi la moneta del tributo. Ed essi gli presentarono un
denaro. Egli domand loro: Questa immagine e l'iscrizione, di chi sono?. Gli risposero:
Di Cesare. Allora disse loro: Rendete dunque a Cesare quello che di Cesare e a Dio
quello che di Dio. Una domanda trappola, una domanda malvagia, costruita per
amplificare tensioni e divisioni: lecito o no pagare le tasse a Roma?. Al nemico,
all'invasore. Posta a Ges, che intendeva eliminare il concetto stesso di nemico. Se
avessimo fra le mani quella moneta romana, capiremmo molto di pi: il profilo
dell'imperatore non era un semplice omaggio al cesare di turno, ma indicava la propriet:
egli era il proprietario di quell'oro e chi l'aveva in mano ne era solo un proprietario
temporaneo. Questa moneta appartiene Cesare, non dovete far altro che restituirla. Ma la
profezia di Ges sorge nella seconda parte della risposta, quando alla questione politica e
storica, sul rapporto tra uomo e uomo, risponde conducendoci in profondit, al rapporto tra
uomo e Dio. L'iscrizione sulla moneta diceva al divino Cesare o al dio Cesare. Proprio
questa sintesi pericolosa Ges vuole disinnescare: Cesare non Dio. Rendete a Dio quello
che di Dio. Ma che cosa gli appartiene? La terra, l'universo e tutti i viventi (salmo
24,1); io appartengo al Signore (Isaia 44,5). A Cesare vadano le cose, a Dio le persone.
Cesare non ha diritto di vita e di morte sulle persone, non ha il diritto di violare la loro
coscienza, non pu impadronirsi della loro libert. A Cesare non spetta il cuore, la mente,
l'anima. Spettano a Dio solo. Ad ogni potere umano detto: Non appropriarti dell'uomo.
L'uomo cosa di un Altro. Cosa di Dio. A me dice: Non iscrivere appartenenze nel cuore
che non siano a Dio. Libero e ribelle a ogni tentazione di possesso, ripeti a Cesare: Io non
ti appartengo. La risposta di Ges ha come intenzione quella di allargare il problema: non
di teorizzare l'autonomia delle realt mondane, o la separazione dei poteri, ma quella di
prendere le radici stesse del potere e di capovolgerle al sole e all'aria. Per Ges Dio non il
potere oltre ogni potere, amore. Non il padrone delle vite, il servitore dei viventi. Non
un Cesare pi grande degli altri cesari, ma un servo sofferente per amore. Tutt'altro modo
di essere Dio. Ges impiega un verbo che non vuol dire solo date, ma pi precisamente
restituite, ridate indietro. Perch nulla di ci che hai tuo, di nulla sei proprietario, se
non del cuore. Sei figlio di un dono, che viene da prima di te e va oltre te. Tu, talento d'oro,
dono che porta coniata l'immagine di Dio, devi restituire niente di meno di te stesso, ma
soltanto a Lui. (Letture: Isaia 45, 1.4-6; Salmo 96; Tessalonicesi 1, 1-5; Matteo 22, 15-21)
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dato, ma che lo risusciti nell'ultimo giorno. Questa infatti la volont del Padre mio: che
chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; e io lo risusciter nell'ultimo
giorno. La liturgia non ha pianti, perch ci di cui fa memoria non la morte, ma la
risurrezione. La liturgia non ha lacrime, se non asciugate dalla mano di Dio; essa infatti
non pronuncia parole sulla fine ma sulla vita. Se tu fossi stato qui mio fratello Lazzaro
non sarebbe morto. Marta ha fede in Ges, eppure si sbaglia. Cos noi ripetiamo le sue
parole e il suo errore: in questa malattia del mio familiare, dov' Dio? Se Dio esiste, perch
questa morte innocente? Se Tu sei qui, i miei cari non moriranno" Invece Dio qui,
sempre, ma non come esenzione dalla morte. Ges non ha mai promesso che i suoi amici
non sarebbero morti. Per lui il bene pi grande non una vita lunga, un infinito
sopravvivere; l'essenziale non sta nel non morire, ma nel vivere gi una vita risorta.
L'eternit gi entrata in noi molto prima che accada, entra con la vita di fede (chiunque
crede in Lui ha la vita eterna), entra con i gesti del quotidiano amore. Il Signore ci insegna
ad avere pi paura di una vita sbagliata che della morte. A temere di pi una vita vuota e
inutile che non l'ultima frontiera che passeremo aggrappandoci forte al cuore che non ci
lascer cadere. Chi ci separer dall'amore di Cristo? N angeli n demoni, n vita n morte,
nulla ci potr mai separare dall'amore (Rm 8,35-37). Questo mi basta. Se Dio amore, mi
vendicher della mia morte. La sua vendetta la risurrezione, un amore mai pi separato.
Dio salva, questo il suo nome. Salvare significa conservare. Per sua precisa volont nulla
andr perduto, non un affetto, non un bicchiere d'acqua fresca, neanche il pi piccolo filo
d'erba. Una preghiera per i defunti, forse la pi bella, invoca: ammettili a godere la luce del
tuo volto. I verbi della fede cedono ad un verbo umile e forte, inerme ed umanissimo:
godere. La ragione cede alla gioia, la fede al godimento. L'eternit fiorisce nei verbi della
gioia. Perch Dio non risposta al nostro bisogno di spiegazioni, ma al nostro bisogno di
felicit, lo per i miei sensi, lo spirito, gli affetti e il cuore, per la totalit della mia
persona. La nostra esperienza sostiene che tutto va dalla vita verso la morte. La fede
cristiana dichiara invece che l'esistenza dell'uomo va da morte a vita. Dal santuario di Dio
che la terra e dove nessun uomo pu restare a vivere, le porte della morte conducono
verso l'esterno. Ma su che cosa si aprono i battenti di questa porta? Non lo sai? Sulla vita!
(Letture: Giobbe 19,1.23-27a; Salmo 26; Romani 5,5-11; Giovanni 6,37-40).
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posto; il belato degli agnelli e il tubare delle colombe si fondeva di nuovo con il mormorio
delle preghiere. Eppure il gesto di Ges non rimasto senza effetto, proclama ancora: non
farai mercato della fede, non farai valere la legge scadente dello scambio, la legge gretta
del baratto, dove tu dai qualcosa a Dio, perch Lui in cambio dia molto a te. Gesto e parole
di Ges sono profezia per oggi: se allora il tempio era diventato mercato, ora, senza pudore
alcuno, il mercato globale ad essere diventato il tempio, il luogo dove si adorano i nuovi
idoli, il falso dio del denaro. Ges ha molto amato il tempio di Gerusalemme, lo ha
ammirato, si indignato coi mercanti, ha pianto per la sua distruzione imminente. Lo ha
chiamato casa del Padre eppure lo ha anche radicalmente contestato: Distruggete questo
tempio e io in tre giorni lo far risorgere. Voi distruggete, io riedifico. La sua opera pi
vera ricostruire; l'azione propria di Dio far risorgere. L dove gli altri ti fermano, egli ti
fa ripartire; l dove eri caduto, egli ti fa rialzare e risveglia la vita. Parlava del tempio del
suo corpo. Il vero tempio non indicato dal giro delle pietre ma dal perimetro vivo di un
corpo di carne, il suo, tenda della Parola. Alla teologia del tempio di pietra, Ges ci insegna
a sostituire la teologia del tempio di carne: i figli di Dio sono il santuario di Dio. E se
appartengo a Cristo, anch'io sono tenda di Dio. E lo il mendicante, l'immigrato, lo
straniero la cui sola presenza mi infastidisce. facile adeguarsi a un Dio che abita le
cattedrali, prigioniero delle pietre e delle mura degli uomini. Un Dio cos non crea
problemi, ma non cambia nulla della vita. Il vero problema per noi rappresentato da un
Dio che ha scelto come tempio l'uomo (Pozzoli), che ci ha insegnato a sostituire alla
teologia del tempio, la teologia dei figli di Dio come tempio di Dio. Non fate della casa del
Padre mio un mercato! Ges non si rivolge ai custodi dei templi, o all'istituzione, ma a
ciascuno: la casa ultima del Padre sei tu. Casa ingombra di pecore e buoi, di denari e di
colombe, che non lascia pi trasparire Dio, invitata a diventare di nuovo trasparente, terra
aperta al cielo. Dio ancora in viaggio, il Misericordioso senza tempio cerca un tempio, il
Dio che non ha casa in cammino e cerca casa. La cerca proprio in me. (Letture: Ezechiele
47,1-2.8-9.12; Salmo 45; 1 Corinzi 3,9c-11.16-17; Giovanni 2,13-22)
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l'energia. Come per il campo arato che non pu restituire in estate solo il seme che ha
ricevuto, cos per noi, tra semina e mietitura, il nostro ruolo la moltiplicazione. Pena il
non senso della vita. Il terzo servo ha un cuore malato, senza desiderio. un esule della
creazione, esiliato e inutile, non a immagine del Dio creatore, che sparge a piene mani i
suoi germi di luce e di vita, con magnifica esuberanza. Il terzo servo non crea pi: solo
conserva. Ma il mondo e il cuore non ci sono dati come cose da conservare, come fragili
miracoli che possono rompersi fra le mani, ma devono ascendere gloriosamente verso la
pienezza. Non siamo dei conservatori di cose preziose e minacciate, ma dei creatori di
opere nuove, servitori della forza lievitante nascosta dentro tutto ci che vive. Solo cos la
nostra vita non sar inutile al divenire comune. Cos per i primi due servi: nella loro
mente non c' un rendiconto che incombe e turba i sonni, ma una vita che chiede di
crescere. Vocazione nostra di essere emozionati e disciplinati artefici di creazione; il
nostro incarico, il nostro vanto, di lasciare il mondo un po' pi bello di come l'abbiamo
trovato. C' nel Vangelo tutta una teologia del seme, del lievito, del germoglio, della
gemma, di inizi come doni pieni di grazia. A noi tocca il cammino, gli itinerari di emozione
e disciplina, l'estate odorosa di frutti. Dio la primavera del cosmo: a noi il compito di
creare l'estate dei frutti. Il mondo un giardino incompiuto e incamminato. La parabola il
poema della creativit, senza voli retorici: nessuno dei servi crede di poter salvare il
mondo. Tutto invece odora di casa, di viti, di olivi, di lana, di lavoro e di attesa. Il padrone
tuttavia non vuole per s i talenti, essi restano ai servi fedeli. Anzi li moltiplica: questa
spirale d'amore crescente il nome segreto di tutto ci che vive. (Letture: Proverbi 31,1013.19-20.30-31; Salmo 127; 1 Tessalonicesi 5,1-6; Matteo 25,14-30)
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vestito donato, ai passi di una visita. Non alle cose per, ma al cuore detto dalle cose.
Questa la grandezza della fede evangelica: il tema del supremo confronto tra uomo e Dio
non il peccato ma il bene. Misura dell'uomo, misura di Dio, misura della storia il bene.
Il nostro futuro, cielo e paradiso, generato dal bene che io, tu, noi abbiamo donato al
Lazzaro infinito, al Lazzaro innumerevole della terra. Il giudizio di Dio l'atto che dice la
verit ultima dell'uomo, e per trovarla non guarder me, ma intorno a me: le mie relazioni,
la porzione di poveri e di lacrime e di amori che mi affidata e che devo custodire con la
mia vita. Se c' qualcosa di eterno in noi, se qualcosa di noi rimane quando non rimane pi
nulla, questa cosa solo l'amore. Dio non ti sorprende in un momento di debolezza,
quando non ce la fai a vivere in un modo pi nobile e puro, ma colui che
instancabilmente ti sospinge al bene. Che non misura le tue debolezze, ma incalza la tua
bont. Il povero di cui parla il Vangelo colui che viaggia ai limiti dell'esistenza. E se lo
guardi, ti senti naufragare. Il povero, per la sua fragilit, ti obbliga a confrontarti con le
cose estreme, con la vita a rischio, metafora di fallimento e di morte. Ma anche maestro
di fede perch incarna l'evidenza che tutti noi viviamo solo perch custoditi da altri, che
esistiamo solo perch accolti da Qualcuno, impaziente di ripetere: Vieni, benedetto!
(Letture: Ezechiele 34,11-12.15-17; Salmo 22; 1 Corinzi 15,20-26a.28; Matteo 25,31-46)
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senza piet, ci siamo negati al suo abbraccio e siamo avvizziti come foglie. Scrive un
poeta: Io vivere vorrei / addormentato / entro il dolce / rumore della vita (Sandro Penna).
Io no, voglio vivere vigile a tutto ci che sale dalla terra o scende, vegliando su tutti gli
avventi del mondo: sulle cose che nascono, sulla notte che finisce, sui primi passi della
luce, custodendo germogli, e la loro musica interiore. Vivere attenti il nome dell'avvento.
Vivere attese e attenzioni, due parole che derivano dalla medesima radice: tendere verso
qualcosa, il muoversi del corpo e del cuore verso Qualcuno che gi muove verso di te.
Vivere attenti: agli altri, ai loro silenzi, alle loro lacrime e alla profezia; in ascolto dei
minimi movimenti che avvengono nella porzione di realt in cui vivo, e dei grandi
sommovimenti della storia. Attento alla Vita che urge, tante volte tradita, ma ogni volta
rinata. (Letture: Isaia 63, 16b-17.19b; 64, 2-7; Salmo 79; 1 Corinzi 1,3-9; Marco 13, 33-37)
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all'alba, vento per la nave che salpa. Perdono un nuovo inizio, un nuovo mare, un nuovo
giorno. Il peccato perdonato non esiste pi, annullato, cancellato, azzerato. Ed il bene che
revoca il male. Il bene vale di pi: buona notizia di Ges Cristo. Il Vangelo Dio che viene
portando amore, e tutto ci che non-amore non-Dio. Dio viene e sa parlare al cuore, e
lo insegna ai suoi profeti: parlate al cuore di Gerusalemme, ditele che finita la notte
(Isaia). il pi forte, dice Giovanni, proprio perch l'unico che parla al cuore,
teneramente e possentemente toccando il centro dell'umano. (Letture: Isaia 40,1-5.9-11;
Salmo 84; 2 Pietro 3,8-14; Marco 1,1-8)
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profondit: il mio segreto oltre me. La sua venuta non mortifica ma incrementa la mia
persona. A Natale Dio entra e l'uomo diventa un nido di sole (Turoldo). Venne un uomo
mandato da Dio: ognuno quest'uomo mandato, ognuno voce e sillaba della Parola,
testimone che Dio c', che Dio luce. E il tuo cuore ti dir che tu sei fatto per la luce.
(Letture: Isaia 61,1-2.10-11; Luca 1; 1 Tessalonicesi 5,16-24; Giovanni 1,6-8.19-28)
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consumarsi del tempo, al compiersi dell'incarnazione. (Letture: 2 Samuele 7,1-5.812.14.16; Salmo 88; Romani 16,25-27; Luca 1,26-38.)
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Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi
27/12/2008
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