I problemi introduttori a Lc 1-2 sono analoghi a quelli del testo parallelo di Matteo: la stessa grande
varietà di opinioni, di proposte, di soluzioni, la stessa incertezza.70 Una composizione così originale,
tanto diversa, almeno formalmente del resto del Vangelo, non può non far pensare a una particolare
provenienza, e nei riguardi della comunità di origine e del suo redattore-autore.71 L'apparente
semplicità del testo nasconde, come si vedrà meglio, una minuziosa trama, una profonda
comprensione e rielaborazione del messaggio cristiano, una familiarità eccezionale con le Scritture.
Se si volesse fare qualche prima precisazione non si può non convenire con quanti pongono alla sua
origine una comunità e un redattore di estrazione giudeo-cristiana. I riferimenti biblici, diretti e
indiretti, le dipendenze letterarie dall'Antico Testamento, così sovrabbondanti, soprattutto negli inni
e negli annunzi (1,5-38; 2,1-20), si possono giustificare solo in persone che hanno frequentato
assiduamente la sinagoga o le scuole rabbiniche del tempo.72 Cade qui a proposito la supposizione
di quanti attribuiscono Lc 1-2 a «un giudeo-cristiano palestinese della primissima ora, apparentato
con i circoli levitici di Gerusalemme, che riempiendo derashicamente modelli biblici
veterotestamentari trasmette attraverso quest'artificio letterario», «i dati» della «tradizione
cristiana».73 Si tratterebbe di un testo in ebraico che «Luca», o chi per lui avrebbe tradotto e inserito
nella sua opera.74 La composizione originaria abbracciava anche gli inni, parte integrante del testo,
con le medesime caratteristiche «lessicografiche e linguistiche».75 Gli «ebraismi», e non i semplici
semitismi, sono troppi per poter pensare a una casualità e tanto meno a una studiata imitazione di
precedenti modelli.76 Il sustrato semitico di Lc 1-2 fa pensare a un contesto giudeo-cristiano, ma
l'orizzonte teologico, l'inquadratura universalistica della salvezza (2,1-5), fanno supporre l'influsso
di un ambiente o la mano di un autore etnico-cristiano.77 Luca infatti non cita normalmente l'Antico
Testamento dal testo masoretico;78 qualche volta non sembra essere bene al corrente dell'esatto
valore delle leggi giudaiche,79 nonostante che sia convinto della centralità del tempio. Al contrario
non passa sotto silenzio il riferimento, anche se non sempre a proposito, all'ordinamento imperiale.
La tradizione ha attribuito il terzo Vangelo a Luca, il medico di Antiochia, compagno di Paolo, ma
attualmente una tale ipotesi si va rendendo insicura81 poiché c'è troppa distanza di mentalità, di
situazioni spirituali e di strutturazione ecclesiale tra Paolo (anni 50-60), il terzo Vangelo e Atti. La
comunità di «Luca» non riflette gli antagonismi antigiudaici della chiesa palestinese; anzi è ancora
piena di ammirazione per il luogo dell'antico culto. Vive in pace con i vecchi rivali del
cristianesimo, il giudaismo e le sue istituzioni. Se in At 15,1-15 e 21,17-26 Giacomo è ancora una
figura autorevole, tale è anche Paolo nel mondo gentile, come appare dalle su incombenze
missionarie (At 13,22). La conclusione che sembra imporsi da un'attenta lettura di Lc 1-2 e dal suo
rapporto con il resto del Vangelo è che si tratta di una composizione elaborata o rielaborata in una
comunità giudeo-cristiana insediata nel mondo ellenistico, quindi in una comunità giudeo-
ellenistico-cristiana.82 La lingua in cui sembrano scritti gli attuali testi, nonostante i vari semitismi
che vi appaiono, è greca. Il luogo va «dalla Grecia fino alla Siria, all'Asia minore. Quasi
sicuramente sono da escludere la Palestina e i territori vicini».83
2. Le «fonti»
L'unità letteraria di Lc 1-2 non esclude l'ipotesi di una sua eventuale preistoria. Rimane perciò da
precisare se la composizione di cui si sta parlando è solo opera di un autore o questi si è servito di
«documenti» preesistenti, anche in una lingua diversa dall'attuale. L'ipotesi delle «fonti» è esclusa
per un verso da coloro che ammettono un autore unico per l'intero testo di Lc 1-21 ed è
sottovalutata da quanti esaltano l'attività redazionale di «Luca», che ha rielaborato in maniera
personale e libera le eventuali fonti a disposizione.85 Le opinioni quindi vanno da un estremo
all'altro: da coloro che riducono la parte di Luca a quella di un semplice «traduttore»,86 a coloro che
gli attribuiscono la piena responsabilità letteraria dell'opera attuale.87 L'uso di fonti, ciò nonostante,
è ammesso dalla maggior parte degli autori, sebbene non sia da tutti condivisa in egual modo la loro
estensione e portata. Si è molto parlato, a proposito del c. 1, di «fonti battiste» a proposito delle
origini e della «missione» di Giovanni.88 Il «metodo della storia delle forme» ha scoperto vane
composizioni preredazionali anche in Lc 12.89 Comunemente viene supposta una «fonte» a parte
per i due «cantici», il «Magnificat» e il «Benedictus»,90 e «fonti» differenti per le varie pericopi del
c. 2.91 L'applicazione del metodo morfocritico ha portato qualche autore a determinare più
dettagliatamente l'opera redazionale di Luca rispetto alle «fonti» a disposizione per i cc. 1-2. Più
che testi scritti può avere avuto a disposizione «dati» tradizionali,92 che egli avrebbe arricchito con
aggiunte attinte dal proprio bagaglio culturale93 o dalla fede cristiana94 e con brani composti di
propria mano.95 Non si tratta di una composizione di getto ma a più stadi, prima di arrivare alla
forma attuale.96 La questione delle fonti lucane, ossia dell'esistenza di composizioni a sé stanti,
riutilizzate e rielaborate dall'autore del terzo Vangelo, rimarrà ancora dibattuta, ma anche qui solo
accademicamente, finché non si riuscirà a definire la comunità da cui esse provengono e a
individuare il loro tenore originario. Tolto il contesto di alcuni cantici (che sembra essere quello
degli anawim)97 per il resto si può arrivare a poche conclusioni sicure. I «racconti» di Lc 1-2,
nonostante la dipendenza da tradizioni precedenti, rivelano una connessione con il resto del
Vangelo da far ritenere Luca, più che un semplice redattore, un vero autore dei medesimi. Qualsiasi
fonte possa avere avuto a disposizione, attualmente la mano di Luca ha tutto livellato e unificato.
Un esame accurato del vocabolario farà passare «una volta per tutte la voglia di attribuire Lc 1-2 a
qualch'altro autore che non sia colui che ha scritto il Vangelo di Luca e gli Atti degli apostoli».98
Qualunque sia la provenienza, l'origine, l'intento delle eventuali «fonti», Luca ha impresso ad esse
una tale impronta personale, una tale unità di stile, di vocabolario, di temi, da rendere
irriconoscibile e soprattutto irrecuperabile ii testo preesistente. L'influsso preponderante di Luca sui
cc. 1-2 del suo Vangelo sembra attualmente una tesi che ha grandi consensi.99 Lo studio delle fonti
«sarà più convincente se si dà la priorità al modo con cui Luca le ha comprese e utilizzate».
«Quando penetriamo nel suo orizzonte teologico e nella sua arte letteraria troviamo che molte delle
nostre analisi sono partite da falsi presupposti, hanno posto false questioni, si sono sviluppate in
direzione che non potevano non condurre a congetture senza fondamento e finalmente a delusioni.
Tutto sommato e l'editore del duplice volume di Luca-Atti che ci apporterà il più di luce sul nostro
problema».100
3. Il genere letterario
La questione princeps anche per Lc 1-2, perché aiuta a comprendere e valutare la portata del testo, è
quella del genere letterario; non della semplice lingua ma del linguaggio, delle modalità espressive,
della natura della composizione che l'autore ha lasciato.101 É il punto su cui la ricerca dovrebbe
arrivare a conclusioni meno contrastanti se vuole intendere il senso del brano evangelico che è
all'origine di tanta teologia cristiana, ma anche di tanti dissensi. A proposito di Lc 1-2 vale
sostanzialmente quanto è stato detto di Matteo. Sembra che si tratti di un «racconto», in realtà è una
composizione artistica con intenti teologico-pastorali oltre che storici. Si può continuare a parlare di
genere narrativo, ma impropriamente; più che informare l'autore si propone di convincere il lettore,
di portarlo alla sequela di Cristo. Almeno per intenderci si può continuare ad usare la designazione
adoperata per Mt 1-2: «genere storicoartistico- midrashico», ma sempre con le debite riserve.
a. Genere «storico»
II termine («storico») ha un valore convenzionale; sta a ricordare innanzitutto che la nascita di
Cristo non è una favola ma l'evento centrale della salvezza.102 Di tale avvenimento I'evangelista
sembra aver ricordato le modalità con cui si e realizzato, ma più ancora o soprattutto il significato,
l'incidenza nella stona degli uomini. Gli atteggiamenti personali dei protagonisti, le emozioni che
sembrano rivelare, i loro stati d'animo non entrano normalmente nelle vedute e negli intenti
dell'autore sacro. Questi più che raccontare, riflette sugli eventi salvifici e cerca di presentarli ai
suoi lettori non nella maniera più obiettiva, cioè più aderente alla verità, ma più efficace possibile
per commuovere gli animi, aiutandosi più che con documenti accertati, con i ritrovati della sua arte
espositiva e la forza della sua immaginazione. Può apparire una relazione, magari sommaria, della
nascita e prima esistenza di Gesù o delle vicende della «sacra famiglia»; ma può rivelarsi una lettura
o interpretazione del significato e della incidenza che essa ha nel disegno di Dio. Il problema della
storicità di Lc 1-2, al pari di quello di Mt 1-2, è stato ed è la causa di tante polemiche,103 ma si va
rivelando secondario, poiché più che sull'obiettività degli avvenimenti salvifici verte su particolari
episodi della vita d'infanzia, che per un verso o per l'altro hanno poca o nessuna incidenza sulla
missione di Gesù. In fondo è il «privato» della vita di Cristo che può sollecitare la curiosità del
credente, ma tocca poco o affatto la sua fede.104 Senza dubbio Gesù è nato «al tempo del re Erode»
il Grande ed è vissuto a Nazaret. I suoi genitori, com'è confermato dal resto del Vangelo, portavano
i nomi di Maria e Giuseppe, ma neanche queste «notizie» possono rientrare nell'intento dell'autore;
vengono solo presupposte. La nascita e l'infanzia di Gesù, come quella di ogni uomo, è stata
senz'altro costellata da episodi, comuni e propri, ma non si sa di preciso quali. Se non fossero veri
neanche quelli che, almeno apparentemente, sembrano ricordare Matteo e Luca, non si attenua o
occulta, tanto meno si altera, la sua immagine. Gli anni della prima esistenza di Gesù rimarrebbero
in questo caso, come ormai sono stati definiti, «oscuri».105 Egli, secondo Marco (6,3), forse perché
la sua vocazione è umanamente inspiegabile, parte da un assoluto anonimato.
b. Genere «artistico»
La parola («artistico»), scelta per designare la trama e la successione degli episodi e delle
scene di Lc 1-2, equivale ad «artificioso» o meglio «convenzionale». Il susseguirsi degli
«avvenimenti», il loro intreccio interno è quello scelto dall'autore per far risaltare meglio le sue tesi
teologiche, i suoi intenti pastorali, non per salvaguardare meglio la logica dei fatti. La trama di Lc
1-2, rispetto a quella di Mt 1-2, appare più complessa. É stata una felice intuizione, e per i più lo è
tuttora, sia la designazione di «dittico degli annunzi» (Lc 1,5-38) e delle «nascite» (1,57-2,20) con
le relative amplificazioni sulla tavola del messia (1,39-56; 2,22-52), sia il richiamo al
«parallelismo»106 e la distinzione tra «scena» e «notizia»,107 anche se non lascia tutti soddisfatti.108
In verità è difficile far rientrare in un ampliamento della scena della nascita il quadro della
manifestazione di Gesù dodicenne nel tempio di Gerusalemme (Lc 2,41-52), soprattutto quando si
tiene presente che la conclusione di Lc 2 era già stata segnata in 2,40 con il (primo) ritiro della sacra
famiglia a Nazaret. Si può ancora parlare dei «dittici degli annunzi e delle nascite», ma occorre
aggiungervi quello delle «visite» di Gesù al tempio (2,22-52). Luca raccoglie pedine o tessere che
servono a delineare la figura e l'opera di Gesù, che supera e sostituisce tutti i protagonisti, passati e
presenti, della Stona della salvezza. All'interno del dittici, a ricollegare tra di loro le scene, l'autore
ha inserito opportuni richiami (i «ritornelli»). A tre riprese viene segnalato che «il fanciullo
cresceva e si fortificava» (1,80; 2,40; 2,52) e due volte viene notato che «Maria conservava tutte
queste cose nel suo cuore» (2,19.51). Infine sono accuratamente notate le «uscite», le
«disparizioni», «le partenze» dei personaggi che, volta per volta, entrano in scena (1,23,38,56;
2,30,39,51). Osservando i singoli quadri si nota che ognuno consta di un «recitativo», di un dialogo
e di un info o cantico. Tutti si aprono con una stereotipa ambientazione cronologico-topografica, a
cui fa seguito l'entrata o la presentazione del personaggi e si chiudono con la partenza o la tacita
scomparsa dei medesimi. L'identità delle cornici serve a mettere in risalto le diversità del
personaggi che racchiudono.109 Nonostante questo schematismo così rigido, la composizione di Lc
1-2 non è stata statica ma dinamica. L'intera opera è attraversata da un movimento interno che
convoglia l'azione verso una meta preordinata: la manifestazione di Gesù nel tempio. La piccola
galleria diventa così un dramma.110 Studi più recenti hanno cercato di mettere in evidenza, nel caso
di Luca, una strutturazione artistica o architettonica che va dalla scelta dei singoli termini fino alla
loro collocazione e concatenazione nel corpo del «racconto». É il tentativo di un'analisi
strutturale,111 sempre arduo, ma che non ha mancato e non mancherà di rivelare o di confermare una
trama più recondita all'interno del racconto evangelico. Ogni testo è di per sé un tessuto che si
snoda secondo precise regole e soprattutto acquista valore anche dal materiale che adopera come
dalla collocazione che gli è stata data e dal disegno che realizza. Dialogare con lo Scritto è sempre
un momento importante e insostituibile della ricerca, ma senza perder di vista l'autore che vi è
dietro, perché quelle parole, quelle immagini e quelle concatenazioni hanno solo quel valore, quel
peso, quel significato che egli ha inteso annettervi. Non si può dialogare con una lettera morta, ma
solo con una persona viva. Questa non è più presente, ma ha lasciato se stessa nello scritto che è il
suo testamento. Si tratta di saperlo leggere, quindi conoscere tutte le arti e gli artifici del linguaggio
a cui ha fatto ricorso, ma anche di saperlo capire per quello che vale, e non per quello che può
valere. Se non si arriva alla mente di chi ha scritto o parla non si fa che ripetere quella di chi legge e
interpreta.112 In un capolavoro estetico, le dimensioni, le capacità spirituali dell'uomo possono
essere superate da quelle dell'artista. Infatti questi è preso da un «estro» che non sa controllare e
forse neanche ben comprendere (si verifica in lui come uno sdoppiamento della sua persona); per tal
ragione la sua opera è più un libro sigillato che aperto. L'artista, quando è sotto 1'«ispirazione», esce
come da se stesso e coglie momenti e aspetti della realtà universale di cui l'opera che offre appare
una trascrizione sempre inadeguata e, per questo, sempre reinterpretabile.
c. Genere «midrashico»
Il termine ha un significato etimologico preciso,113 ma nell'uso acquista una gamma di valori
che rendono sempre problematica la sua definizione e individuazione nei testi in cui compare. Il
midrash neotestamentario occupa un posto sempre più largo nell'attuale ricerca esegetica. É
diventato una chiave indispensabile per comprendere non solo i Vangeli dell'infanzia, ma l'intera
letteratura cristiana primitiva. L'interferenza tra giudaismo e cristianesimo è nelle origini più grande
di quanto si sia mai pensato. La matrice culturale degli uni e degli altri autori è sempre la stessa.
L'influsso ellenistico, se vi è stato, non è riuscito a modificare l'impostazione iniziale. Il Nuovo
Testamento è sempre un capitolo della letteratura giudaica; gli autori, anche se scrivono in greco,
non pensano con le categorie di Aristotele o di Platone, ma piuttosto con quelle di Hillel e
Shammai. Gli studi midrashici sono riusciti a portare una nuova, migliore luce anche ai testi di Mt
1-2 e Lc 1-2. É il punto su cui c'è piena intesa tra gli studiosi di tutte le correnti. Il disaccordo
riguarda solo l'estensione e l'applicazione. Oggi tutti accettano che il midrash non è sinonimo di
«1eggenda», «favola», «mito», ma solo un atteggiamento spirituale nei confronti del libro sacro,
che non è lettera morta ma viva, sempre in grado di sprigionare un messaggio a quelli che lo sanno
leggere, spiegare, aggiornare. Le «regole» ermeneutiche delle vane scuole rabbiniche sono tutte
libere, soggettive, ma rispettate e rispettabili.114 Esse erano note anche agli autori cristiani che,
come Gesù, frequentavano la sinagoga e sono da loro adottate nell'interpretazione della Scrittura. La
rivoluzione, chiamata giustamente copernicana, che gli autori cristiani hanno apportato all'esegesi
midrashica è che hanno cercato di far convergere le loro attenzioni non sul passato (La Scrittura),
ma sul presente (Cristo e i suoi discepoli), e sul futuro (la chiesa). Il punto di gravitazione della
storia della salvezza non sono la legge e i profeti, ma Gesù Cristo, che ha apportato ad essi il loro
compimento definitivo. La parola di Dio è ora quella uscita dalla bocca del profeta Gesù di Nazaret.
É «solo» quella (cf. Mt 17,8). Tutto il passato e il presente va subordinato ad essa. Gesù è diventato
la chiave delle Scritture; queste, nel loro complesso e nelle loro parti, sono state scritte per lui, in
vista della sua venuta, per preparare la sua accoglienza; quindi vanno lette per illustrare la sua
figura, capire il suo messaggio. L'Antico Testamento è in funzione del Nuovo. Per dimostrare
questo assunto, gli autori del Nuovo Testamento avallano qualsiasi coincidenza offerta dal testo
veterotestamentario. La verità di fondo che la Scrittura è preparazione a Cristo giustifica qualsiasi
supposizione, anche se letterariamente illegittima; in ciò l'autore cristiano non fa che seguire il
midrashista giudaico che dal periodo postesilico legge la Bibbia per capire non tanto quello che essa
dice, ma quello che può dire agli uomini della sua generazione, egualmente credenti nel Dio del
padri, viventi però in situazioni diverse dalle loro. Se Iddio ha parlato, allora, nel modo idoneo alle
condizioni del suoi uditori, parlando oggi deve fare egualmente un discorso utile per gli ascoltatori
attuali. E poiché egli parla tramite gli interpreti della sua parola, spetta a questi dare ad essa una sua
conveniente attualizzazione. Il midrash è tecnica letteraria, ma anche pensiero, mentalità, ideologia:
la tecnica è il mezzo per arrivare a esprimere la proposta nuova che si vuol far pervenire. Anche
questa è parola di Dio, perché scaturisce da un messaggio che proviene da lui ed è cercata con
umiltà e fede nell'ascolto del suo Spirito. Il midrashista non usufruisce di una nuova ispirazione, ma
non opera al di fuori di una stretta comunione con Dio (fede). L'esegeta è in questo caso un
credente; infatti senza una piena, convinta comunione con lo Spirito di Dio non sarebbe possibile la
comprensione che egli desidera. Se l'interprete è un esperto di linguaggio, il midrashista è un
maestro di vita, un pastore d'anime, che si preoccupa non tanto di far conoscere, quanto di far
accettare un comportamento, un atteggiamento nei rapporti con i propri simili e con l'essere ultimo.
É in gioco una dottrina, ma insieme una prassi. Per conoscere il passato basta leggere la Bibbia, per
riviverne nel modo più idoneo il messaggio occorre vedere cosa il testo, facendo eco allo Spirito di
Dio, all'occasione, suggerisce. Tutto ciò vale soprattutto per il midrashista cristiano. Egli è un
erudito, ma soprattutto un ispirato. Egli crede in Cristo, in Dio e nella sua parola ed è convinto di
usufruire di una sua illuminazione quando tenta di interpretarla, di capire il suo progetto e le sue
implicazioni. L'autore di Lc 1-2 non ricorre all'Antico Testamento per portare Cristo sul filone e sui
modelli giudaici, ma per cercare di far comprendere la sua figura servendosi dei medesimi. Questi
che contenevano vagamente Cristo, ora lo contengono espressamente; se prima parlavano di lui solo
confusamente, ora ne parlano apertamente e chiaramente. II «genere midrashico» riappare anche in
Lc 1-2, anche se meno accentuatamente che in Mt 1-2, nel duplice senso di riattualizzazione libera
del testi antichi (in questo senso si può parlare di pesher) e nella ricomposizione aneddotica degli
eventi cristiani (sul tipo dell'Haggadah giudaica). Luca appare un «pittore» che usa
indifferentemente per i suoi quadri colori di epoche diverse, perché provengono tutti da un
medesimo impasto.115
4. La teologia
I Vangeli dell'infanzia sono sintesi cristologiche della chiesa delle origini. Non arrivano al grado di
quella giovannea, ma superano quelle degli Atti e dei Sinottici. Una stessa linea ricapitola le antiche
promesse (fede israelitica), la storia cristiana e la predicazione della chiesa. Il testo di Lc 1-2, al pari
di quello di Mt 1-2, è un Vangelo a sé stante, una composizione per commemorare la nascita del
messia, ma soprattutto per un suo annuncio (apologetico) alle comunità giudeo-cristiane. La
cristologia sfocia nell'ecclesiologia. Anche i giudei infatti fanno parte della vera chiesa, del nuovo
popolo di Dio se si mettono a servizio di Cristo e del vangelo, come insegnano Zaccaria, Elisabetta,
Giovanni, Simeone ed Anna. La «redenzione d'Israele» (1,68; 2,25) si è operata tramite Gesù di
Nazaret, figlio di Maria e nello stesso tempo «di» Giuseppe, «santo», «figlio di Dio»; «Cristo
Signore» (1,35; 2,11). I richiami a Giovanni non sono fine a se stessi, ma servono a mettere in
miglior risalto la figura di Cristo (il «più grande», il «figlio deIl'Altissimo», il «santo», il «figlio di
Dio»). Allo stesso scopo sono evocati Simeone ed Anna (2,25-38) e i dottori del tempio (2,41-50).
C'è sempre una simmetria e un parallelismo apologetico più che polemico in tutta la composizione
in cui si muovono gli esponenti più qualificati del giudaismo: il sacerdozio (Zaccaria ed Elisabetta),
la profezia (di nuovo Elisabetta e Zaccaria a cui si aggiungono Simeone ed Anna, tutti egualmente
strumenti dello Spirito Santo), e da ultimo le scuole («tutti i dottori») sono messi a confronto con il
Cristo, gli rendono testimonianza, ne accolgono entusiasti le proposte. Tutti hanno avuto
un'incidenza nella storia della salvezza, ma attualmente solo Gesù riassume in sé la gloria d'Israele,
si insedia («sedeva») nel santuario di JHWH, ne prende quasi il posto, poiché eredita il nome
(«Santo»: 1,35) che era proprio dell'Altissimo (cf. Lv 11,44). Le strade di Dio sono imperscrutabili;
bisogna accettarle anche quando non si comprendono; bisogna credere anche se non si riesce a
capire (1,38). Maria è il prototipo del vero discepolo di Cristo. La chiesa é un'accolta di umili
persone, ma piene di fede, di letizia, di speranza (1,46-55). Le sue liturgie sono riempite di canti di
festa; i suoi componenti vivono nella giustizia, nella santità, al cospetto di Dio e dei propri simili.
Sicuri di non essere schiacciati dal nemici, anzi nell'attesa di vederli presto sbaragliati (1,71). Cristo
è il mistero da accettare, da contemplare più che da capire, ma soprattutto da annunziare. L'angelo
del Signore lo rivela a Maria, ella ne rende partecipe la «parente» Elisabetta; la chiesa tenta di
evangelizzare la sinagoga. I pastori che hanno ricevuto dall'angelo il lieto messaggio l'accolgono
senza indugio e lo trasmettono a quanti («tutti») l'ignorano. Sembra che improvvisamente l'intera
Betlemme sia convenuta nel katalyma dove è nato il Cristo (2,18). La chiesa con le sue
«istituzioni». i «pastori», i «presbiteri» (Simeone), le «vergini», «le vedove», i «dottori» si trova
mobilitata a proclamare la morte (2,33-34,43) e la risurrezione (2,46-47) del Signore. La teologia di
Lc 1-2 è messa in luce dalle monografie sull'intera opera e sulle singole parti, ma non ha avuto
l'onore di trattazioni specifiche.116 Un ampio sviluppo invece hanno trovato e continuano a trovare i
tratti mariologici, o supposti tali, di Lc 12,117 soprattutto il tema della concezione verginale.118
Conclusioni
La nascita è il punto più oscuro della vita di Gesù.119 Il primo evangelista, Marco, la ignora; Paolo,
il più antico e sicuro testimone della tradizione cristiana, mostra di non esserne più informato. Ha
occasione di parlare della provenienza giudaica del messia, della sua nascita secondo la carne (cf.
Rm 1,3; 9,5; 2Cor 5,16), ma non ricorda altro che, come tutti, anch'egli è «nato da donna» e sotto la
legge (Gal 4,4). Gesù, per I'autore degli Atti, è «quell'uomo cui Dio ha reso testimonianza con
miracoli, prodigi e segni» (2,22). I sinottici (Mc; Mt 3-28; Lc 3-24) non sono al corrente di
un'infanzia gloriosa, eroica del messia. Anzi gli accenni di Marco (6,1-6) sulle reazioni dei
nazaretani alle prime manifestazioni del loro concittadino e più ancora la risoluzione dei parenti di
andarlo a riportare in casa in un momento critico del suo ministero (Mc 3,21), fanno supporre che
non avevano avuto grandi rivelazioni sul suo canto. I Vangeli dell'infanzia sono gli ultimi a venire
alla luce e rappresentano il prima adeguato tentativo di ricuperare il significato di un'esperienza
passata nel silenzio e nell'anonimato; i Vangeli apocrifi saranno l'ultimo, ma entrambi si trovano
sostanzialmente sulla stessa linea e sullo stesso piano. Se Mt 1-2 e Lc 1-2 hanno composto un
presepio, con poche, essenziali figure, i secondi (si veda il Protovangelo di Giacomo o di Matteo)
l'hanno reso più ricco e ancor più inverosimile. Si tratta di conoscere il genere dell'elogium post
mortem o post resurrectionem per comprendere il tenore e il peso di tali «racconti». La riscoperta
dell'infanzia di Gesù è un'esigenza dei credenti della seconda. terza generazione che non hanno
conosciuto Cristo e che non avendo dirette, esatte notizie a disposizione, si sono affidati al comune
dei santi (dell'Antico Testamento), degli eroi (biblici ed extrabiblici), al novelliere (tanto frequente
nel libro sacro e nelle letterature parallele), ma soprattutto alla fede nel Cristo risorto, viva e
operante nella chiesa. Ciò che Marco racchiude nel prima versetto («Vangelo di Gesù Cristo, Figlio
di Dio») e Giovanni esprime nel prologo (1.1-18). Matteo e Luca lo espongono nei «racconti»
dell'infanzia. La fede nella risurrezione è l'ultima a farsi strada nei discepoli, ma è quella che
illumina le loro menti e li rende idonei a comprendere l'intera vita di Cristo. «Il Signore è veramente
risorto» confessano i discepoli nel cenacolo (Lc 24,34), cioè «il risorto è veramente il Signore». La
comunità cerca di rispondere agli interrogativi che pervadono il Vangelo («Chi sei?»: Gv 1,22; «Sei
tu o un altro?»: Mt 11,3) e lo fa nel modo più pieno tramite i «Vangeli dell'infanzia». La
manifestazione di Cristo ha avuto un iter parabolico che gli autori di Mt 1-2 e Lc 1-2 ritraggono con
la loro semplicità ed enfasi. Come nella vita pubblica Gesù entra in scena dopo una teofania (il
battesimo, che non ridà le modalità del suo decisivo incontro con il Padre), nell'infanzia si ha
un'analoga «ouverture» con l'annunciazione a Giuseppe (Mt 1,18-25) e a Maria (Lc 1,26-38), in cui
con maggior chiarezza che nel battesimo è segnalata la sua vocazione e missione nel piano di Dio.
Le scene che seguono sono anch'esse emblematiche, poiché ricapitolano le traversie del ministero
pubblico, e si chiudono egualmente nella gloria della risurrezione (la «stella» di Cristo che splende
sopra la casa-chiesa di «Betlemme» e il «trionfo» di Gesù tra i dottori del tempio). La comunità di
Mt 1-2 e di Lc 1-2 invita i suoi lettori a raccogliersi intorno alla culla di Gesù di Nazareth, per
ascoltare la parola e aderire alle proposte dell'inviato di Dio.
NOTE
70
La bibliografia su Lc 1-2 è sempre da riscoprire attraverso le sintesi bibliografiche segnalate nelle
note 1-11.
71
Nel commento a Luca Si osservava: «I capito1i 1,5-2,52 costituiscono la parte più omogenea, ma
anche più singolare di Luca. L'arte narrativa, la lingua, il sustrato scritturistico, i parallelismi, le
frequenti apparizioni angeliche, la diversità da Mt 1-2 creano problemi sull'origine, natura e portata
dei rispettivi racconti» (0. DA SPINETOLI, Luca. II Vangelo dei poveri, Assisi 21984, 51).
72
Cf. per una sintesi degli autori che sottolineano il rapporto con il mondo giudeo-cristiano,
LEGRAND, L'annonce a Marie, 38-40.
73
MUÑOZ IGLESIAS, Los Evangelios de la Infancia, vol. III, 269. Ma la tesi anche di
LAURENTiN, Structure et Theologie, 12-22 e di altri prima e dopo di lui. Cf. LEGRAND,
L'annonce a Marie, 32-33.
74
Cf. LAURENTIN, Structure et Theologie, 17.
75
L'ebraico sembrava una lingua morta dall'esilio o quasi, ma gli scritti di Qumran hanno
dimostrato che non era vero. Le ragioni che giustificano un originale in lingua ebraica sono
riassunte da Muñoz Iglesias nei seguenti punti: allusioni al significato etimologico ebraico dei nomi
di persona; semplice traduzione di frasi ebraiche dell'Antico Testamento (l'autore ne segnala 18);
proposizioni parasintetiche unite dal semplice kai iterativo (1,15-17; 2,25-28; 3,3-34.49-51); uso del
termine rhema con il duplice significato del dabar ebraico (parola e cosa: 1,37,65; 2,15,19,51); il
kai usato come il waw (1,7; 2,43,50), con valore cioè avversativo o ciò che è più sorprendente
risponde chiaramente al waw di apodosis (2,21.28); la propensione per la forma perifrastica
(1,10,21,22; 2,8,23,26.51); La mancanza di articolo nel sostantivo reggente, riflesso dello stato
costrutto ebraico (1,11.15 bis 17, 18bis 27,32;35 bis 66 249bis, 11,23,26,38); L'uso di infiniti
preceduti dall'articolo che riflettono l'infinito costrutto ebraico con il lamed (1,9,57; 2,4,6,2 This
24,27); l'uso dell'infinito preceduto da en toi con valore temporale (1,8,21; 2,6,27,43); l'uso di
egheneto seguito dal verbo finito (1,8s,23,41; 2,1,6,15,46); i participi grafici (1,19,35,39,60); la
frase «chiamare il nome» (1,13,31; 2,21). Cf. Los Evangelios de la Infancia, vol. III, 270-273.
76
Lo stile fortemente ebraizzante riconosciuto quasi unanimemente dagli studiosi è stato spiegato
fin dal secolo scorso (G. Dalman) e dagli inizi del presente (G.A. Harnack; A. Loisy) come una
studiata imitazione di Luca della lingua (ebraizzante) dei Settanta. Recentemente e stata riproposta
da P. BENOIT, «L'enfance de Jean-Baptiste selon Luc 1», in NTS 3(1957), 169-194. Brown si
preoccupa solo di riferirla (La nascita del messia, 306) e Muñoz Iglesias (Los Evangelios de la
Infancia, vol. III, 275-278) si dichiara contrario. La prima ragione è innanzitutto di carattere
generale: perche non si trova nel resto dell'opera uno stile analogo, la stessa frequenza di semitismi
provenienti egualmente dai Settanta? Il fatto poi che i semitismi di Lc 1-2 si ritrovano anche nei
Settanta può stare a indicare che l'autore greco di Lc 1-2 può aver tradotto da una fonte ebraica
come hanno fatto i Settanta, ma non di più. E l'autore esamina vane espressioni (undici) di Lc 1-2
dove il residuo semitico si spiega soprattutto dal substrato ebraico. Negli stessi testi i Settanta
adottano termini o costruzioni diverse. Secondo S.C. Farris l'imitazione è un processo troppo
artificiale per reggere in un componimento così lungo («On discerning Semitic Sources in Luke 1-
2», in R.T. FRANCE and D. WENHAM, Gospel Perspectives, 2, Sheffield 1981, 201-237).
L'autore pensa che si tratti di una versione dal semitico come quella dei Settanta. Riserve avanza
anche M. WILCOK, «Semitisms in The New Testament», in TEMPORINI, a cura, Aufstieg und
Niedergang, vol. 25,2, 978-1029. La parentela per il sustrato semitico di Lc 1-2 si potrebbe
ricercare nella «lingua dei Targumim, di Qumran, nelI'aramaico cristiano palestinese, in pochi casi
nel siriaco» (p. 1020).
77
Cf. BROWN, La nascita del messia, 309-316; DA SPINETOLI, Luca, «Introduzione».
78
«Come si sa - afferma Brown - il Vangelo (di Luca in genere) è piuttosto carente di parole
ebraiche, di colore locale, palestinese, e di citazioni tratte direttamente dall'AT. In ciò è in netto
contrasto con Matteo; ragione per cui molti studiosi ritengono l'uditorio di Luca costituito
prevalentemente da cristiani gentili» (La nascita del messia, 310).
79
Gli autori riconoscono a Luca «una conoscenza generale del giudaismo con una conoscenza
imprecisa dei particolari, un'indicazione questa che difficilmente l'autore crebbe in un ambiente
giudaico o in Palestina. Il bisogno poi di spiegare le usanze ai lettori dà adito all'ipotesi che anche la
maggior parte di loro fossero gentili non palestinesi» (BROWN, La nascita del messia, 610).
80
L'inquadratura data all'annuncio a Zaccaria (1,5) e soprattutto alla nascita di Gesù (2,1-5), cui farà
eco il richiamo introduttorio al ministero del Battista (3,1-2), più che una propensione culturale,
rivela una preoccupazione e una situazione esistenziale che riemerge senza forzature. Anche il
censimento di Quirino, che in genere sembra riguardare solo i cittadini romani, pare per di più
essere avvenuto alcuni anni dopo. Ciò rive!a la libertà di uno storiografo antico, ma non smentisce
la sua impostazione culturale. Sul censimento di Quirino cf. P. BENOIT, Quirinus, in DBS, IX,
Paris 1979, 693-720.
81
Cf. DA SPINETOLI, Luca, 12-14; A. GILBERT, «Oü fut-écrit l'Evangile de Luc?», in Science et
Esprit 39(1987), 211-228.
82
Cf. LEGRAND, L'annonce a Marie, 40-41.
83
DA SPINETOLI, Luca, 39.
84
Cf. più sopra, nota 11.
85
É la tesi di un buon numero di studiosi. Più che un semplice traduttore, o un redattore, Luca e il
vero autore dell'attuale testo. Cf. BROWN, La nascita del messia, 316-329.
86
Cf. LAURENTIN, Structure et theologie, 17. La stessa cosa afferma MUÑOZ IGLESIAS, Los
Evangelios de la Infancia, vol. II, 214ss, ma la riassume sinteticamente in una nota (14) a p. 352 del
vol. IV: «A ciò non si oppone la tesi che sostengo secondo la quale Luca 1-2 sarebbe la traduzione
greca incorporata da Luca nel suo Vangelo, da un racconto previamente esistente scritto in ebraico
da un giudeo-cristiano palestinese delta primissima ora, però inedito e nascosto fino a quando lo usa
San Luca». Anche Laurentin aveva espresso un'opinione analoga ne Les Evangiles de l'Enfance, 45:
«Questi due capitoli riflettono una comunità giudeo-cristiana, senza dubbio quella di Gerusalemme,
dove si trovava "Maria" e i "fratelli di Cristo" (At 1,14). Si trovano nel Vangelo dell'infanzia di
Cristo, come nel Vangelo dell'infanzia della chiesa, questi stessi caratteri ebraici e familiari. E qui
che i ricordi di famiglia possono essere stati raccolti, conservati, meditati in pura luce cristiana».
87
Cf. J. Drury che considera Lc 1-2 una composizione midrashica alla maniera di Mt 1-2, quindi
uno scritto unitario in cui non si scoprono più le eventuali dipendenze letterarie (Tradition and
Design, 46-48).
88
Winter in vari articoli (cf. nota 11) - cf. BROWN, La nascita del Messia, 338— riteneva it
primitivo racconto di Lc 1 come riguardante solo Giovanni. Le due annunciazioni erano rivolte una
a Zaccaria, l'altra ad Elisabetta; i due cantici sarebbero stati pronunciati entrambi dai due
protagonisti. Schürmann accettava la proposta, ma accanto alle fonti battiste poneva quelle relative
alla nascita e infanzia di Gesù, messe insieme da un anonimo palestinese (Das Lukasevangelium,
Freiburg 1969, 140-145). Alle «fonti battiste» poteva appartenere anche qualche brano del c. 2,
quello, per es., delta presentazione at tempio (Lc 2,22-39).
89
Come specimen si può rileggere ciò che dicono R. BULTMANN, Die Geschichte der
Synoptischen Tradition, Göttingen 3 1957, 320-329; Erganzungsheft, 45-47 e Schürmann
(Lukasevangelium. 97-98; 110-118).
90
Il loro stile antologico (ricucitura di testi biblici) li hanno fatti attribuire ad autori diversi da quelli
che li hanno pronunciati, la carenza di riferimenti cristiani e la parentela con i salmi, tipica poesia
ebraica, li hanno fatti ritenere inni di comunità giudaiche o giudeo cristiane (della chiesa di
Gerusalemme), a cui Luca ha aggiunto le formule introduttorie (1,46.67) e qualche versetto di
attualizzazione (vv. 76-77). E un'ipotesi che rimane ancora accettabile. Cf. VALENTINI, II
Magnificat, 75-95. Tra i punti fermi Valentini pone: «l'antichità del Magnificat e in genere dei
cantici di Lc 1-2», la loro «cristologia poco sviluppata», la collocazione «in Giudea, e Gerusalemme
o net tempio stesso». Tutto ciò fa pensare a uno «stadio del primitivo cristianesimo», che fa uso nel
culto della lingua ebraica (p. 94) e giustifica una composizione prelucana degli inni in questione.
91
Gli autori mettono in evidenza le differenze tra il primo e il secondo capitolo. Sono scomparsi
totalmente tre dei protagonisti del primo capitolo, incluso lo stesso Giovanni. In più si ripete che
Giuseppe è della casa di David (1,27; 2,4); non si accenna al concepimento verginale, piuttosto si
parla indifferentemente di suo «padre» (2,48), dei genitori (2,16,22,27,33,39-40, 43,47-48), di
Maria sposa a Giuseppe (2,5) e ii brano, 2,41-51 non riproduce più la vita d'infanzia. Inoltre i
genitori (Maria almeno) avevano avuto ampie informazioni sul figlio (1,31-35,43-44); ora sembrano
ignorare tutto sul suo conto e gli chiedono, sorpresi, ragione del suo operato (2,48).
92
La loro «entità» varia da autore ad autore. Per Brown si tratta di informazioni orali, che per il c. 1
si limitano ai nomi dei genitori di Giovanni e per il c. 2 sono meno identificabili. Non si tratterebbe,
sempre per Brown, (La nascita del Messia, 323-324), di fonti scritte, ma di tradizioni orali che in
qualche modo potevano essere state già rielaborate. Erano «dati tradizionali», quindi prelucani; era
la tendenza a raffrontare la figura di Gesù con i precedenti, lontani o vicini, protagonisti della storia
della salvezza. Da queste «premesse» sono nati i quadri paralleli delle annunciazioni che Luca ha
attinto dai predecessori e ha rifinito secondo il suo talento.
93
«Dati tradizionali» non sono solo le «notizie» che circolano nella comunità cristiana, ma anche le
storie, le figure derivanti dalle pagine bibliche: Abramo e Sara (Gen 17-18), Sansone (Gdc 13,4-5,7;
16,17) e Samuele (1Sam 1,11), l'annunciazione fatta ad Agar (Gen 16,7-12), gli oracoli del
messianismo regale (2Sam 7,8-16; Sal 89,30), la visione di Daniele (Dn 8-9), la venuta di Anna ed
Elcana a Silo (ISam 1-2). Tutti «dati» che l'evangelista ha utilizzato per tratteggiare i suoi
personaggi: Zaccaria ed Elisabetta (che ricalcano Abramo e Sara) e Maria (che supera la figura di
Agar), come per ridare l'apparizione dell'angelo (annunzio a Zaccaria e a Maria) o per delineare la
missione del Battista e di Gesù, o per chiarire il significato che ha l'incontro delle rispettive madri
(visitazione). Il parallelismo è già un modulo sanzionato dalla tradizione con lo scopo di avvicinare
i due inviati e di subordinare l'uno all'altro, il Battista al Cristo. Un discorso di questo genere è
molto più arduo per Lc 1-2. La venuta dei pastori di Betlemme alla culla, in corrispondenza a quella
dei magi (Mt 2,1-12), forse sviluppa un testo di Mi 4,8; 5,1; la scena della «presentazione del
bambino al tempio» (Lc 2,23-30) non fa che attualizzare l'oracolo di Ml 3,1-20 e la presentazione
del piccolo Samuele al Signore nel tempio di Silo (iSam 1,11,28), mentre Simeone ed Anna stanno
a rappresentare i genitori del neonato profeta e giudice (1Sam 1-2). Cf. BROWN, La nascita del
messia, 316-329; DA SPINETOLI, Introduzione ai vangeli dell'infanzia, 95-115; A. GEORGE, «Le
parallèle entre Jean-Baptiste et Jesus en Lc 1-2», in Etudes sur l'euvre de Luc, Paris 1978, 45-46;
LAURENTIN, Les Evangiles, 25-40. Egualmente alla tradizione biblica, anche se non ufficiale, si
riallacciano il Magnificat e il Benedictus che, con qualche leggero adattamento, vengono a taglio
per commentare o celebrare gli avvenimenti.
94
I testi sono ormai dell'ultimo stadio della letteratura cristiana; per questo non possono non
risentire degli sviluppi e approfondimenti che la fede aveva avuto. La figura della madre di Gesù, e
più ancora del messia, non sono quelle della pura tradizione storica, ma ridanno I'immagine che la
riflessione teologica aveva rielaborato, come emerge dalla cristologia paolina (cf. Rm 1,34) e dalla
mariologia giovannea (Gv 2,1-12; 19,25-27). Anche quando scrivono della vita pubblica, gli autori
evangelici retroproiettano il Cristo della risurrezione, quello che essi nel momento in cui scrivono
«conoscono» e annunziano. La stessa cosa hanno fatto, a fortiori, per l'infanzia di Gesù, affinché
uscisse da suo anonimato.
95
I tratti proprio dell'autore sarebbero le piccole note redazionali già segnalate (Lc 1,46,76) e
soprattutto, con molta probabilità, il testo introduttorio al racconto dei pastori. la «notizia» cioè del
censimento (Lc 2,1-5), forse indotto da una traduzione greca del Sal 87,6 («Nel censimento dei
popoli questi nascerà là») attestata dalla Quinta di Origene, riprodotta da Eusebio (Commento ai
Salmi, PG 23,1052 Q. Opera lucana sono ritenute comunemente anche il cantico di Elisabetta (Lc
1,42-45) e di Simeone (Lc 2,29-32). Su quest'ultimo cf. MARCONI, «II bambino da vedere».
96
Una molteplicità di «tradizioni», che sarebbero confluite in un'opera unica, organica in più tempi.
«Il primo stadio consiste nell'aver stabilito un parallelismo tra Giovanni Battista e Gesù che si
risolve nella seguente disposizione di due dittici». Il primo composto di «due annunciazioni di
concepimenti», il secondo di «due brani narrativi nella nascita-circoncisione, imposizione del nome
e futura grandezza» (del Battista e di Gesù); cf. BROWN, La nascita del messia, 333-334. Nel
secondo stadio Luca, rompendo l'equilibrio,ha aggiunto il Magnificat e il Benedictus, cantici degli
'anawin con qualche necessario adattamento, e l'episodio del ritrovamento nel tempio, rielaborato
interamente dall'evangelista (ivi, 334,527). Cf. P.B.MOTHER, «The Search of the Living Text of
the Lucan Infancy Narrative... in The Living Text, in Honor of E. W. Sannders, Lonham 1985, 123-
140. 97
97
Cf. VALENTINI, Il Magnificat, 84: «Un'ultima posizione ritiene che i cantici (prelucani o per lo
meno lucani) sono stati inseriti da Luca nel suo racconto. Questa a nostro avviso sembra la
spiegazione migliore, comunque quella che presenta meno inconvenienti; ma ciò apparirà più
chiaramente nel corso di questo studio». «Considerando poi la particolare struttura del brano, il
linguaggio e i temi in esso sviluppati, si pensa debba trattarsi di un componimento sorto in ambito
liturgico in una comunità giudeo palestinese delle origini» (lvi. 95). La lingua originaria «dovrebbe
essere semitica (ivi). Ciò vale senz'altro anche per il «Benedictus», che rivela le stesse
caratteristiche letterarie e la stessa spiritualità.
98
L.R. MORGENTHALER, Statistik des Neutestarnentlichen Wortscharzes, Zurich 1958, 52.
99
É la conclusione in cui sembra trovarsi attualmente la critica.«Si può anche dire - afferma
Legrand - che è uno dei rari punti sui quali lo studio critico di Lc 1-2 arriva a una certa
convergenza» (L'Annonce a Marie, 29).
100
P. MINEAR, «Luke's Use of the Birth Stories», in Studies in Luke-Acts, Essays presentend in
Honor of Paul Schubert, Nashville 1966, 130,
101
«Quel complesso di segni e di forme con cui e affidata la notizia»: M. CORTI e C. SEGRE, a
cura, I metodi attuali della critica in Italia, Torino 1970, 277. Si può leggere, per un'informazione
più generale. L. DE SANTIS, «Per una riflessione criteriologica in vista della definizione del genere
letterario dei vangeli canonici, in Ana 63 (1986), 169-186.
102
La maggioranza degli autori, in genere cattolici, ammette qualcosa di più della storicità
dell'evento stesso. Cf. X. LEON-DUFOUR, Les Evangiles et l'histoire de Jesus, Paris 1963, 90;
Brown, elenca 12 punti di coincidenze tra Mt 1-2 e Lc 1-2 che dovrebbero rispondere a verità ma
non vanno oltre i nomi e i fatti essenziali: La nascita del Messia. 30-35. Nell'«Appendice»
minimizza ancor più (pp. 681-768). Fitzmyer (The Gospel according to Luke, 306) parla di un
«nucleo storico sul quale gli evangelisti hanno lavorato».
103
La «portata storica» di Lc 1-2, al pari di quella di Mt 1-2. è subordinata al punto di allaccio con
gli stessi protagonisti del racconto, in pratica con Zaccaria-Elisabetta, Maria e Giuseppe. Una
posizione abbastanza singolare è quella che interpone tra l'autore di Lc 1-2 e gli attori della vicenda
il quarto evangelista, dando per scontato (cosa da dimostrare!) che Giovanni e Luca siano i rispettivi
autori delle opere che vanno sotto il loro nome. Cf. FEUILLET, Jesus et sa Mere 79-91; L.
SABOURIN, L'evangile de Luc, Roma 1989, 69. Più comune è la tesi di quanti fanno appello ai
ricordi, alle memorie di Maria: cf. A. SERRA, Sapienza e contemplazione di Maria secondo Luca
2,19.51b. Roma 1982, che attribuisce alla madre di Gesù una «prima rielaborazione» della sua
singolare esperienza, alla luce dell'evento pasquale. Laurentin (Les Evangiles del'Enfance, 54). è più
sfumato; pone all'origine di Lc 1-2 una comunità giudeo-cristiana, «senza dubbio quella di
Gerusalemme», che roteava intorno a «Maria» e ai «fratelli di Gesù». L'autore impegna tutta la III
parte del suo volume (pp. 333-528) per dimostrare la fondatezza delle informazioni di Lc 1-2. Testa
parla di «ricordi biografici,conservati nella cerchia della sua famiglia (evidentemente di Maria), ma
sottoposti a una riflessione midrashica (pesher) e a uno sforzo teologico di riscoprire il disegno di
Dio nella storia banale di un ragazzo e di rendere cosciente l'inconscio universale, con lo scopo di
fondare ed edificare la fede della chiesa nell'Incarnazione del Verbo figlio di Maria» (Maria, terra
Vergine, 289). E aggiunge: «Probabilmente tanto Matteo che Luca sfruttarono un originale ebraico,
continuo e unico, che aveva per conto suo amalgamato singoli episodi particolari, che dovettero
circolare indipendentemente e liberamente prima della unificazione» (ivi).
104
Le riserve sulla storicità, oltre che da fatti esterni (in nessun documento si parla della nascita e
infanzia di Gesù), provengono dal genere del «racconto» che è aneddotico e carente di precisi
riferimenti storico-topografici («al tempo del re Erode» è vago), dalle divergenze da Matteo che
pure narra lo stesso avvenimento, dalle preoccupazioni teologico-apologetiche, dalle consonanze
scritturistiche, dall'abbondanza del meraviglioso (apparizioni angeliche che non ritornano mai nel
resto del Vangelo, eccetto nelle cristofanie pasquali, che a loro volta non si raccomandano per
troppa storicità). Cf. DA SPINETOLI, Matteo, c. 28 (parte introduttiva).
105
R. ARON, Les années obscures de Jesus, Paris 1960.
106
La migliore divulgazione si deve a Laurentin, con Structure et Théologie, che costituisce sempre
un punto di riferimento della nuova esegesi di Lc 1-2.
107
É il richiamo, sempre valido, fatto da GALBIATI, «La circoncisione di Gesù», 237-254, in cui
esorta a distinguere le «scene» dalle semplici «notizie», per comprendere le sottolineature e gli
intenti dell'autore. La circoncisione di Gesù, per es., è solo una «notizia» appena ricordata, mentre
quella di Giovanni è lungamente descritta. Ciò indica il diverso valore che essa ha nella vecchia e
nella nuova economia. Allo stesso modo la nascita di Giovanni è appena accennata (è una
«notizia»), mentre quella di Gesù e descritta ampiamente (è una «scena»). L'una merita di esser
appena menzionata, l'altra va compresa in tutto il suo profondo significato.
108
Cf., per le varie posizioni, BROWN, La nascita del messia, 329-338.
109
DA SPINETOLI, Introduzione ai vangeli dell'infanzia, 90-93.
110
DA SPINETOLI, Introduzione ai vangeli dell'infanzia, 93-95.
111
Cf. più sopra, nota 15. Inoltre si può vedere l'articolo di MARCONI, «Il bambino da vedere».
Per una conoscenza più approfondita del metodo veramente innovativo che l'autore introduce in
esegesi, si può passare al suo commento alla Lettera di Giacomo, Roma 1990, di cui è già
significativo un sottotitolo dell'Introduzione generale: «Il primato del testo» (p. 23).
112
Il libro non è una creatura ragionevole che parla e agisce indipendentemente da chi lo ha
generato; è un prodotto che denunzia solo le mire del produttore. Dentro vi è un essere pesante
inteso a trasmettere una sua precisa concezione, segnalazione. può essere anch'essa fantastica,
soggettiva, ma è quella che egli ha racchiuso nello scritto e che ha inteso consegnare a quanti si
accingono a leggerlo. L'analisi semiotico-strutturale può aiutare a integrare l'indagine storico-
critico-letteraria, ma non sostituirla. Si finirebbe per non capire più nulla di uno scritto, si
arriverebbe alla sua assoluta inutilità. Sembrerebbe che si verifichi proprio tutto questo con il
metodo storico-critico, in cui ognuno pensa di parlare con 1'autore, mentre parla con se stesso; ciò
può accadere quando non si conoscono e non si dominano i mezzi di comunicazione (il linguaggio)
che egli ha adoperato: la lingua, lo stile, la struttura della composizione, il veicolo su cui passa il
suo pensiero. Occorre ebraizzarsi per capire gli scritti e gli scrittori ebraico-biblici; se non c'è modo
di tornare agli autori e al loro tempo il testo rimane un libro sigillato, anche se si ha una perfetta
conoscenza della lingua e del suo uso.
113
Cf. quanto è stato detto sopra (note 55-57) a proposito di Mt 1-2. Anche la tendenza di Lc 1-2 e
di subordinazione alle Scritture e adattamento delle medesime. secondo le libere tecniche
dell'esegesi del tempo, all'evento cristiano. Lc 1-2 ha un chiaro sottofondo biblico, esplicito e
allusivo, ma forse non ha troppa familiarità con i midrashIm giudaici. Cf. tuttavia P. WINTER,
«The ProtoSource of Luke 1», in NT1 (1956), 184-191; A. S. MUÑOZ IGLESIAS, «El Evangelio
de la Infancia en San Lucas y las infancias de los heroes bIblicos», in EstBIb 16 (1957), 329-382
(ma non va oltre lo schema letterario deIl'annunciazione e della sua funzionalità teologica).
114
L'esegesi midrashica è sinonimo di interpretazione accomodatizia, adattamento del testo sacro
alle situazioni spirituali di chi legge o della comunità a cui si rivolge. E un'arte che rimarrà nella
storia della chiesa di tutti i tempi. Molte volte, se non il più delle volte. il testo sacro rimane un
pretesto, un punto di partenza per applicazioni dottrinali e moralistiche. Al di fuori dell'esegesi. i
cristiani comporranno i vari leggendari dei martiri e dei santi, i quali non fanno che riecheggiare i
midrashim giudaici sui protagonisti della storia sacra.
115
Il richiamo vuol essere una precisazione a quanto è detto nella Introduzione ai vangeli
dell'infanzia, 113-115.
116
Si interessano delta teologia di Lc 1-2 S. ZEDDA, «Un aspetto delta cristologia di Luca: il titolo
Kyrios in Lc 1-2 e net resto del terzo Vangelo», in RasT 13 (1972), 303-315; ID. «Lc 1,35b: "Colui
che nascerà santo sarà chiamato figlio di Dio". I. Breve storia dell'esegesi recente». in RivB 33
(1985). 29-43; ID., «Lc 1,35b: Co1ui che nascerà santo sarà chiamato figlio di Dio". II. Questioni
sintattiche ed esegesi», in RivB 33 (1985), 165-189: C. ESCUDERO FREIRE. «Alcance
cristologico de Lc 1.35. v 2,49». in Communio 8 (1975), 5-77; H.J. DE JONGE. «Sonship, Wisdom
Jnfancy: Luke II. 4151a». in NTS 24 (1977-78), 317-354; ID., «The Earliest Christian Use of
Christos. Some Suggestions». in NTS 32 (1982)7 321-341; L. LEGRAND. «On l'appella du nome
de Jesus (Luc II. 21)», in RB 89 (1982), 481-491; T. STRAMARE, «La circoncisione di Gesù.
Significato esegetico», in BbbOr 26 (1984). 193-203; J.J. KILGALLEN, «Luke 2,41-50:
Foreshadowing of Jesus Teacher», in Bib 66 (1985). 553-559; B. PRETE, «Oggi vi è nato it
salvatore, che è Cristo Signore», in RivB 34 (1986), 289-325; S. MUÑOZ IGLESIAS, «Cristo Iuz
de los gentiles. Puntualizaciones sobre Lc 2,32», in EstBIb 46 (1988). 27-44.
117
Lc 1-2 (accanto a Gv 2,1-12; 19, 25-27) è il testo base della mariologia neotestamentaria.
L'annunciazione (1,26-38), la visitazione (1,39-46). la presentazione al tempio e l'incontro con
Simeone (2,33-38), lo smarrimento e il ritrovamento net tempio (2,41-51) sono tutti quadri in cui
occupa un posto particolare la madre di Gesù; le trattazioni esegetiche su tali pericopi affrontano
normalmente anche la missione che Maria secondo Luca assolve net piano di Dio. Un tempo le
deduzioni mariologiche erano più abbondanti (bastano le vane trattazioni su «Maria nella Bibbia» o
«Maria net Nuovo Testamento»); oggi sono più caute e nello stesso tempo più elaborate, ovvero più
tecniche. Ma non è detto che le posizioni tradizionali o conservatrici si siano dileguate. Esse sono
presenti insieme alle moderne, come si rileva dal presente cenno bibliografico: M.E. ISAACS,
«Mary in the Lucan Infancy Narratives», in WaySuppl 25 (1975), 80-95; R.E. BROWN, a cura,
Maria nel Nuovo Testamento (tr.it.), Assisi 1985 (or. 1978); A. SERRA, «"Fecit mihi magna" (Lc
1.49a). Una formula comunitaria?», in Mar 40 (1978). 305-343, ripubblicato in A. SERRA, «E
c'era la Madre di Gesù...»' (Gv. 2,1). Saggi di esegesi biblico-mariana (1978-I988), Milano-Roma
1989. 188-224: ID., Sapienza e contemplazione di Maria secondo Luca 2,19.51h, Roma 1982; ID..
«"Lo Spirito Santo scenderà su di te...'. Aspetti mariologici delta pneumatologia di Lc 1,35a» in
Maria e lo Spirito Santo, Roma-Bologna 1984, 133-200 (riedito in SIERRA, «E c'era la Madre di
Gesà ...... .. 44-92): In.. «..E lo avvolse in fasce.....(Lc 2.7b). Un segno da decodificare», in Virgo
Fidelis. Miscell. in onore di D. Bertetto. Roma 1988, 81-133 (riedito in SERRA. «E c'era ía Madre
di Gesù........ 225-284): N. LEMMO, «Maria Fig1ia di Sion a partire da Lc 1.26-38. Bilancio
esegetico dal 1939 at 1982». in Mar 45 (1983). 175-258: M. ORSATH, «Verso la decodificazione
di un'insolita espressione. Analisi di andra ou ghignosko (Lc 1.34)», in RivB 20 (1981). 243-357; S.
BELLA, «Confrontando net suo cuore. Custodia sapienziale di Maria in Lc 2,19h». in BbbOr 25
(1983)2 15-228: H. VERVEYEN. «Mariologie als Befreiung. Lk 1.26-45.56 in Kontcxt". in ZkT
105 (1983): 168-183: J.M. HERNNDEZ MARTINEZ. «La Madre de Jesus. la primera creyente
(perspectivas rnariologicas de Lc 1-2)». in EphMar 34 (1984). 239-258; S. MUÑOZ IGLESIAS.
«Maria y la Trinidad en Lucas 1-2», in EstTrin 19 (1985), 143161; E. TESTA. Maria, terra
vergine. Vol. I. I rapporti della Madre di Dio con la ss. Trinità. Jerusalem 1985; I. DE LA
POTTERIE, «Kecharitomene en Luc 1.28. Etude philologique», in Bib 68 (1987), 357382; ID..
«Kecharitomêne en Luc 1.28. Etude exêgetique et thologique». in Bib 68 (1987), 480-508: O. DA
SPINETOLI. Maria nella Bibbia, Bologna 1988.
118
Non in se stesso viene affrontato il problema della verginità di Maria, ma se è affermata da Lc
1.27 («vergine»«) e 1.34 («non conosco uomo»«). Gli autori sono ancora divisi. Cf. DA
SPINETOLI. Introduzione ai vangeli dell'infanzia. 124. nota 71. Anche attualmente le posizioni
sono controverse. Non mancano gli assertori di un proposito. di una propensione o di una scelta
verginale: cf. A. FEUILLET, Jesus et sa mere. 113; C. GHIDELLI, Luca, Roma 1977. 78: D.
FERNANDEZ. «Cuestiones de actualidad. Maria Madre y virgen. Una presentaciòn inaceptable de
la maternidad virginal de Marìa». in EphMar 30 (1980), 333-355: M. MIGUENS, The Virgin Birth:
An Evaluation of scriptural evidence, Westminster. Md. 1975: S. MUÑOZ IGLESIAS, «La
concepción virginal del Cristo en los evangelios de la infancia". in Est Bib 37 (1978). 5-28; 213-241
(anche se il racconto è uno schema letterario, l'annuncio ritrae una notizia che proviene da una
confidenza delta madre di Gesù): ORSATTI, «Verso la decodificazione». 243-257; LAURENTIN,
Les Evangiles de l'Enfance du Christ. 470, 493; TESTA, Maria, terra vergine, 233-235; P.
GRELOT, «La naissance d'Isaac et celle de Jesus. Sur une interpretation mvthologique de la
conception virginal», in NR 104 (1972)1 462-485; 561-585. Ma accanto alle posizioni tradizionali si
affacciano voci di dissenso. Cf. X. PIKAZA, Los origenes de Jesus. Ensavo de crictologIa biblica.
Salamanca 1976. 304; J.E. BARRETT, «Can Scholars Take the Virgin Brith seriously?». in BibRev
4 (1988). 10-15. 29. A volte tali voci esprimono riserbo o semplice rilettura del dato evangelico. Cf.
J.A. FITZMYER. «The Virginal conception of Jesus in the New Testament», in TS 34 (1973). 541-
575; BROWN, La nascita del Messia. 405-414; 702-721: F. SALVONJ. «La verginità di Maria
oggi», in RicScReI 21(1976). 21-35; B. PRETE, «Il significato di Luca 1.34 nella struttura del
racconto dell'annunciazione», in Mar 40 (1978), 248-276; DA SPINETOLI, Luca, 73-76; M.
MIYOSHI, «Zur Entstehung des Glaubens an die Jungfrauliche Geburt Jesu», in AnJapBiblInst 10
(1984); BOVON, Das Evangelium nach Lukas, 64-72; C.E. CRANFIELD, «Some Reflections on
the Subject of the Virgin Birth», in ScotJT 31(1988), 177-189. Per altri nomi sull'uno e sull'altro
schieramento cf. BROWN, La nascita del Messia, 405-414; MUÑOZ IGLESIAS, «Los Evangelios
de la Infancia» II, 173190; E. VALLAURI, «L'esegesi moderna di fronte alla verginità di Maria», in
Laur 14 (1973), 445-480; ID.. «L'annunciazione in Luca e la verginità di Maria. Una rassegna
esegetica». in Laur 28 (1987), 286-327. Per un allargamento delle prospettive del Valluari, Si può
consultare il suo: «II metodo storico-critico alla sbarra», in Laur 30 (1989), 174-253.
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I «Vangeli dell'infanzia» non sembrano aver fatto parte del kerygma apostolico; non se ne fa
accenno in nessun scritto del Nuovo Testamento. Non sono nemmeno brani di predicazione né
composizioni liturgiche, ma opera da tavolino in cui entrano in gioco soprattutto fantasia e
preoccupazioni teologiche. Non è raccolta di ricordi familiari, ma opera di uno scrittore di talento;
cf. J. P. CHARLIER, «Du berceau au tombeau. Preface et postface de l'dvangile de Matthieu», in
VS 133 (1979). 9. Gli archivi di famiglia non registrano né bambini, né donne perché al pari degli
orfani e delle vedove non avevano peso nella scala sociale. La Bibbia (1Sam 1-3; Gdc 13) parla
delta nascita di Samuele o di Sansone, ma anch'essi sono «racconti d'infanzia», come lo sono quelli
di Ciro o di Alessandro lasciati da Senofonte, Erodoto o Plutarco. Rispondono a domande sorte nel
corso delta loro vita adulta: come spiegare le singolarità dei loro talenti e delle loro imprese. E la
risposta (teologica) è sempre più chiara dei fatti: ci deve essere stata una vocazione, un destino
segnato dall'alto, un potenziamento superiore, un intervento straordinario di Dio o di qualche
divinità. Le «ricostruzioni» dell'infanzia di Gesù e della sua prima esistenza non sono sorte quindi
per far conoscere o immortalare i suoi primi momenti di vita (nel tempo), ma per segnalare la sua
dignità messianica e farne una adeguata proposta a quanti ancora l'ignoravano. Lo scopo dei
racconti appare informativo, ma in realtà è celebrativo, catechetico, kerygmatico. I titoli che Gesù
riceve nei Vangeli dell'infanzia sono infatti gli stessi che competono e sono attribuiti al Cristo
risorto. Se, pertanto, lo scopo é cristologico, apologetico e panegiristico i «racconti sono più
trattazioni dottrinali che storie. I protagonisti che si muovono intorno a Cristo infante sono gli stessi
che riempiono le assemblee cristiane, intenti a confessare riverenti la loro fede net Cristo risorto,
vivente nella gloria del Padre.