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Lucien Febvre scrive che la storia non è fatta solo da documenti scritti, che rimangono comunque la
materiale prediletto, ma di tutto ciò che “esprime l’uomo, esprime la presenza, l’attività, i gusti e i modi di
essere dell’uomo”, andando così a raccontarci cosa sono davvero le fonti a cui si aggrappa lo storico per
eseguire quello che Febvre ritiene il suo compito sommo: ricostruire. Considerare fonti o documenti tutte le
tracce, umane e no, interpetrarle e ricostruirle permette allo storico di eseguire il suo lavoro e perciò questi
sono i passaggi fondamentali del metodo storico. Per interrogare le fonti, che possono ingannare o
suggestionare, perciò lo storico ha sviluppato un meccanismo per capirle appieno, di cui il perno
fondamentale si rivela, sin dall’inizio del Medioevo o al massimo dell’Età Moderna, una categorizzazione
(non ferrea, bensì molto flessibile, tanto una fonte può compartecipare a più categorie) delle stesse, che si
apre con una macro-divisione:
Fonti verbali: si presentano in forma scritta e orale; la fonte orale è molto controversa: essa è
potenzialmente moderna, avendo bisogno di un testimone vivente o di un supporto tecnologico di
recente invenzione (come un registratore), ma può anche essere antica, ritrovandosi nella
codificazione scritta (come le fiabe) o rituale di precedenti contesti orali e/o aurali (come le
tradizioni natalizie).
Fonti non verbali: si presentano come fonti monumentali (come reperti archeologici), materiali
(come arredi e suppellettili), paesaggistiche, iconiche (come dipinti o foto) e audiovisive. Persino
esseri umani ancora in vita possono essere fonti non verbali, con i loro tratti somatici o genetici.
Vi è un’altra differenziazione:
Fonti dirette (o originali): testimonianze di ogni tipologia di un fatto rilevante ai fini di una
ricostruzione storica
Fonti secondarie (o derivate): ricostruzioni elaborate da un mediatore a partire da fonti
primarie e/o altre fonti secondaria; le moderne ricostruzioni storiografiche, la letteratura storica,
è una fonte secondaria.
E ancora abbiamo una categorizzazione, seppur più sofferta, discussa e complicata tra:
Fonti scritte: essendo l’alfabetizzazione poco diffusa, sono le fonti più preziose, tanto che per molto
tempo venero considerate le uniche fonti, e, purtroppo, le più rare. possiamo trovare dati simili,
quelli oggettivi (come orientamento temporale, spaziale, ecc.), e dissimili, quelli soggettivi (ad
influire, infatti, può essere il ricordo, il sesso, la percezione, l’età, l’estrazione sociale, ecc.), e perciò
possiamo dire che la trasmissione della memoria è influenzata dalla personalità del narratore. Sono
distinte in base alla tecnica (come libri, documenti, epistole, epigrafi, ecc.) e perciò in base alla
funzione in: fonti documentarie e fonti narrative. Data l’importanza di tali fonti e l’influenza degli
ideali romantici, nel XIX secolo sono stati raccolti, ordinati e pubblicati secondo moderni criteri
filologici alcuni grandi repertori di fonti scritte che sono di produzione attiva tutt’ora, ad esempio,
per l’epoca medievale, i Monumenta Germana Historica (dal 1826) e i Rerum Italicarum Scriptores
(dal 1723).
In conclusione, è Carlo Cipolla a spiegarci il legame indissolubile tra fonti e storia economica (“la relazione
tra istituzioni e vicende economiche e tra quest’ultime le vicende sociali, politiche e culturali”, scrive nel suo
“Storia economica”): “[…] Deve far uso degli strumenti concettuali, delle categorie analitiche e del tipo di
logica forgiati dalla teoria economica […] deve prendere in considerazione tutte le variabili, tutti gli
elementi, tutti i fattori in gioco”.