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1.

La memoria a lungo termine: definizione; classificazione e descrizione delle forme principali


(memoria dichiarativa: episodica, semantica, autobiografica; memoria non dichiarativa: procedurale,
priming, condizionamento).

DEFINIZIONE: La memoria è il prodotto di ciò che apprendiamo, cioè quel processo tramite il quale
acquisiamo le nuove informazioni e questo può accadere dopo una singola esposizione allo stimolo o dopo
ripetute esposizioni. Generalmente, la prima macro distinzione tra i vari tipi di memoria avviene su scala
temporale: la memoria viene classificata in base alla sua durata, che può andare da alcuni millisecondi, come
quella sensoriale, a giorni o anni addirittura, come nel caso della memoria a lungo termine, passando per
quella a breve termine che rimane secondi o minuti. Nello specifico, verrà presentata la memoria a lungo
termine. Grazie agli studi sull’amnesia, gli studiosi hanno potuto differenziare due tipi di memorie a lungo
termine a seconda dei loro contenuti, cioè la memoria dichiarativa e la memoria non dichiarativa.
La memoria dichiarativa è definita come la memoria per gli eventi e per i fatti, personali e generali, ai quali
abbiamo accesso cosciente e che possiamo riportare verbalmente ed è quindi anche detta memoria esplicita.
Essa, vedremo, è stata studiata grazie al paziente H.M. che a causa di lesioni al lobo temporale non riusciva
più a formare nuove memorie dichiarative. Negli anni ’70 del Novecento, E. Tulving introdusse l’idea che la
memoria dichiarativa potesse essere ulteriormente divisa in memoria episodica e memoria semantica.
Dall’altra parte abbiamo la memoria NON dichiarativa, anche detta implicita perché non è verbalizzabile,
non è cosciente, ma può essere espressa tramite una performance. La memoria NON dichiarativa è rilevata
quando esperienze precedenti facilitano la prestazione in un compito che non richiede intenzionalmente la
rievocazione delle esperienze. Stiamo parlando del priming; dei comportamenti appresi tramite
condizionamento (classico, pavloviano, operante, strumentale) o ancora tramite abituazione,
sensibilizzazione; dell’apprendimento procedurale che mettiamo in atto quando impariamo un’abilità
motoria, ad esempio, ad andare in bici, o cognitiva come imparare a leggere. Questo tipo di memoria
(memoria NON dichiarativa) non era compromessa nel paziente H.M perché non dipende dal lobo temporale
mediale, infatti essa coinvolge altre strutture cerebrali, inclusi i gangli della base, il cervelletto, l’amigdala e
la neocorteccia.
Per lungo tempo si è creduto che la memoria a lungo termine non fosse altro che un magazzino in cui
venivano fedelmente conservate delle tracce mnestiche e che queste mantenessero le loro caratteristiche in
ogni loro rievocazione, al pari di fotografie. Nel tempo però si sono riscontrati vari fenomeni di
“malfunctioning”, che vanno da memorie fallaci e distorte a fenomeni di ipertimesia, i quali mostrano che la
nostra memoria è vulnerabile ad errori di vario tipo. Tuttavia tale vulnerabilità è da interpretare in funzione
adattiva. Infatti, il compito principale della memoria non è tanto quello di immagazzinare ricordi fedeli ed
immutabili, ma è quello di aiutarci a scegliere comportamenti adattivi e di orientare il nostro essere nel
mondo. Ci aiuta a fare previsioni e simulazioni in modo da utilizzare le nostre risorse (body-budget) nel
migliore dei modi. La vulnerabilità dunque è la caratteristica che le permette di essere costantemente
riaggiornata e ritrascritta, integrando dentro di sé nuove informazioni e arricchendosi di nuove regolarità
statistiche riscontrate.
La memoria dichiarativa o esplicita è suddivisa in memoria semantica e memoria episodica. Queste due
memorie in parte interagiscono l’una con l’altra e in parte si trasformano l’una nell’altra.
La memoria semantica include tutte le conoscenze dichiarative esplicite che noi acquisiamo sul mondo. In
altri termini, è la conoscenza oggettiva di natura fattuale ma che non include il contesto nel quale è stata
appresa. Fanno parte della memoria semantica ad esempio i nomi e gli attributi degli oggetti, i concetti
astratti, la conoscenza di come le persone si comportano e perché, la conoscenza degli eventi storici,
associazioni tra concetti e categorie. Una conoscenza schematica, amodale e decontestualizzata. Non è
presente il senso della partecipazione personale all’interno della memoria semantica, non sono presenti
elementi contestuali che appartengono al momento in cui abbiamo fatto quel tipo di conoscenza. Per
esempio, possiamo sapere che Roma è la capitale d’Italia ma molto probabilmente non ricordiamo quando e
dove abbiamo appreso questa informazione.
La memoria episodica, invece, è relativa al ricordo di eventi di cui un individuo ha un’esperienza personale
dettagliata e contestualmente ben collocata nel tempo e nello spazio. Sono eventi associati ad un preciso e
chiaro SENSO DI PRESENZA SITUAZIONALE. Nello specifico, la memoria episodica è il risultato di un
apprendimento associativo rapido in cui il cosa, dove, quando e chi di un singolo episodio e il suo contesto
sono associati e legati insieme e possono essere rievocati dalla memoria come un singolo ricordo personale.
La memoria episodica, a sua volta, può essere suddivisa in reminiscenza e familiarità. La reminescenza è la
memoria di un evento passato vissuto collocato a livello spazio-temporale, essa infatti include tutte le
associazioni specifiche e contestuali. La familiarità, invece, è la memoria di aver fatto esperienza di qualcosa
ma senza contorno contestuale (non ci si ricorda l’episodio preciso).
Come ultimo sottotipo della memoria episodica abbiamo la MEMORIA AUTOBIOGRAFICA, che non può
essere concettualizzabile come un sistema di memoria isolato, bensì come una sorta di integrazione tra la
memoria semantica e la memoria episodica: il ricordo di eventi precisi è influenzato da alcune conoscenze
derivanti dai fatti. L’insieme di tutte queste informazioni costituisce il bagaglio di conoscenza che ognuno di
noi possiede e che dipende, sostanzialmente, dalle esperienze effettuate. Ad esempio la conoscenza
semantica del fatto che la Senna è il fiume di Parigi, che il Louvre è un famoso museo di quella città e che
sono frequenti lunghe file, può influenzare il ricordo episodico di un giorno a Parigi. Da questo esempio è
chiaro che la memoria autobiografica unifica consapevolmente le diverse esperienze di vita accumunandole
da un significato comune, coerente tra i diversi ricordi facenti parte della stessa categoria.
Ci sono ulteriori distinzioni emerse soprattutto nel corso della formulazione della teoria della trasformazione
della traccia (TTT), la quale ha osservato come anche all’interno della memoria episodica coesistano delle
rappresentazioni di uno stesso evento che hanno tuttavia qualità distinte. Allora si parla di memoria “a grana
fine” e memoria “gist” o a maglie larghe. Nel primo caso, la memoria include il “me” e il contesto specifico
in cui l’episodio è avvenuto, dunque si tratta di una traccia più dettagliata e quindi detta “a grana più fine”.
Nel secondo caso, invece, viene riprodotto lo stesso episodio ma in maniera meno vivida, è una traccia più
grossolana, schematica, rievoca gli elementi centrali ma con minor precisione ed è per questo che viene
chiamata “gist”, cioè nocciolo, schizzo.
La memoria NON dichiarativa include: memoria procedurale, priming, condizionamento classico e
apprendimento non associativo.
La memoria procedurale è una forma di memoria non dichiarativa richiesta per compiti che comprendono
l’apprendimento di abilità motorie, infatti proprio da essa dipende a capacità di formare abitudini e di
apprendere procedure e comportamenti di routine. La memoria procedurale è stata molto studiata tramite test
di apprendimento procedurale come il compito dei tempi di reazione seriale. In un apparato sperimentale, i
partecipanti siedono ad una console dotata di 4 tasti corrispondenti a 4 differenti luci e devono premere il
tasto corrispondente alla luce a seconda di come e quando questa appare. Le luci possono lampeggiare in
diverse sequenze: in sequenze totalmente casuali o in sequenze pseudocasuali, nelle quali i partecipanti
pensano che le luci vengano accese in modo casuale, quando in realtà vengono accese in una sequenza
complessa e ripetitiva. Con il tempo, i partecipanti sani rispondono più velocemente alla sequenza complessa
e ripetuta che alla sequenza del tutto casuale. Quando viene chiesto ai partecipanti se le sequenze fossero
casuali, essi hanno risosto che lo erano. Non sapevano dell’esistenza di uno schema, eppure hanno appreso la
tecnica. Questo è un tipico apprendimento procedurale il quale non richiede la conoscenza esplicita di ciò
che si è appreso. Quindi questo risultato è portato come prova a favore della distinzione tra conoscenza
dichiarativa e conoscenza procedurale, dal momento che i soggetti sembrano acquisire l’una (conoscenza
procedurale) in assenza dell’altra (conoscenza dichiarativa). Ad avvalorare la tesi secondo la quale non ci sia
una conoscenza esplicita dell’acquisizione di questa abilità, sono gli studi sull’apprendimento procedurale
negli amnestici, come il paziente H.M ed altri pazienti affetti da amnesia anterograda e quindi non più in
grado di formare nuove memorie dichiarative. Questi pazienti, al compito dei tempi di reazione seriali, nel
corso de vari giorni miglioravano la loro prestazione nelle sequenze ripetute in confronto a quelle casuali,
sebbene dichiarassero di non aver mai eseguito prima quel compito. Questa evidenza empirica dimostrò
anche che l’apprendimento procedurale è indipendente da sistemi cerebrali che intervengono nella memroia
episodica. Molte evidenze, infatti, suggeriscono che la memoria procedurale sia supportata dai circuiti dei
gangli corticobasali.

Il priming indica un cambiamento nella risposta ad uno stimolo, o nella capacità di identificarlo, dovuto a
una precedente esposizione a quello stimolo. Il priming può essere di tipo percettivo, concettuale o
semantico. Un compito di priming percettivo consiste nel presentare ai soggetti partecipanti una lista di
parole e chiedere loro quante ne ricordano usando il compito di completamento dei frammenti di parole. I
frammenti possono rappresentare parole nuove (non presenti nella lista) o parole vecchie (presenti nella
lista). Si è visto che i partecipanti sono più veloci e hanno una miglior prestazione nel completare in modo
corretto le parole che erano state precedentemente viste nella lista iniziale, mostrando dunque un effetto
priming. Questo effetto si ha anche quando i partecipanti non sono consapevoli di aver visto quelle parole, o
se non realizzano che erano nella lista precedente.

Quando invece parliamo di condizionamento classico, ci riferiamo alle scoperte fatte dal fisiologo russo Ivan
Pavlov, il quale vinse il Premio Nobel per aver dimostrato l’evocazione di una risposta condizionata (RC)
tramite associazione di due stimoli (condizionato e incondizionato) con i suoi cani. Infatti, nel
condizionamento classico uno stimolo condizionato (altrimenti neutro per l’organismo) viene accoppiato ad
uno stimo incondizionato (evoca una certa risposta da parte dell’organismo), divenendone associato. In
seguito a quest’associazione, lo stimolo condizionato è in grado di evocare una risposta condizionata simile a
quella tipicamente provocata dallo stimolo incondizionato. Pavlov, tramite il condizionamento, aveva fatto
apprendere ai suoi cani a salivare a suono di una campanella che il fisiologo russo suonava prima di dare loro
il cibo. Prma del condizionamento, la campanella non era associata al cibo e non provocava salivazione nei
suoi cani. Dopo il condizionamento, nel quale la campanella e il cibo erano stati associati, il suono della
campanella provocava sempre salivazione anche in assenza di cibo. Ci sono due forme di condizionamento
classico: il condizionamento ritardato e il condizionamento della traccia.

L’apprendimento associativo, come suggerisce il nome stesso, non implica l’associazione di due stimoli per
evocare un cambiamento comportamentale ma coinvolge piuttosto forme di apprendimento semplici come
l’abituazione e la sensibilizzazione. Nell’abituazione la risposta ad uno stimolo diminuisce nel tempo. Ad
esempio la prima volta che viene utilizzato uno spazzolino da denti elettrico l’intera bocca avrà formicolii;
ma questi non si avvertiranno più dopo un po’ di volte che si utilizzerà lo spazzolino da denti elettrico. Nella
sensibilizzazione la risposta aumenta in seguito a ripetute prestazioni dello stimolo. Ad esempio quando
strofiniamo un braccio in un primo momento sentiremo solamente del calore ma successivamente,
continuando lo strofinio, inizierà a fare male. Dagli esempi risulta particolarmente chiaro che
l’apprendimento non associativo coinvolge in particolare le vie sensoriali e sensomotorie (riflesse).
SUBSTRATI NEURALI: lobo temporale mediale. H.M. il paziente a cui sono stati asportati i lobuli
temporali mediali ha evidenziato un’amnesia anterograda completa e anche una amnesia retrograda. La
memoria implicita è preservata, cioè era capace di apprendere delle sequenze motorie senza però avere la
capacità di ricordare di averle apprese.
Medialmente nel lobo temporale ci sono alcune aree particolarmente rilevanti: la FORMAZIONE
IPPOCAMPALE e lateralmente all’ippocampo, il GIRO PARAIPPOCAMPALE.
Il giro paraippocampale è composto a sua volta di almeno tre aree importanti: la corteccia entorinale (l’area
subito lateralmente all’ippocampo). Poi abbiamo due aree che chiamiamo area peririnale e corteccia
paraippocampale.
L’amigdala è una struttura a forma di mandorla situata davanti al lobo anteriore dell’ippocampo ed è un
rilevatore rapido di eventi salienti, sia avversivi sia gratificanti.
Queste sono le strutture principali del lobo temporale mediale. Focalizzandoci meglio sull’ippocampo,
vediamo che esso è una struttura eterogenea costituita da più regioni in cui noi abbiamo un fluire
dell’informazione che proviene dalla corteccia entorinale e che esce e torna tramite il subicolo alla corteccia
entorinale stessa, per essere poi redistribuita alla neo corteccia. Più specificamente, la sequenza dei passaggi
è la seguente: corteccia entorinale  giro dentato  CA3  CA1 subicolo, corteccia entorinale 
corteccia cerebrale o altre zone.
Vediamo dunque che la corteccia cerebrale opera secondo un’architettura la quale prevede circuiti rientranti
a loop con strutture sottocorticali. E questo modello operativo viene utilizzato dal cervello in contesti diversi,
come ad esempio nel caso del loop presente tra la corteccia cerebrale e i nuclei della base.
Le tre aree principali dell’ippocampo sono caratterizzate da una plasticità sinaptica estremamente elevata.
Quando ci muoviamo nel mondo, le esperienze che facciamo vengono codificate prima da sistemi sensoriali
specifici e distinti, di natura unimodale, che poi proiettano le loro elaborazioni ad aree di associazione
multimodale, in cui iniziano a convergere segnali di modalità diverse. Quindi abbiamo una elaborazione
gerarchica e parallela di vari segnali i quali vengono integrati nelle aree di associazione attraverso cui si
costituisce la mappa corticale dell’esperienza cosciente. Queste aree corticali mandano a convergere le loro
informazioni attraverso il giro paraippocampale nella corteccia entorinale la quale le raccoglie e le comunica
all’ippocampo.
AGGIUNGERE IL RUOLO DELLA MPFC per la memoria semantica. Eccetera
2. Ruolo dell’ippocampo e del lobo temporale mediale nei processi di codifica della memoria episodica
La memoria episodica ci consente di immagazzinare e richiamare eventi vissuti in prima persona.
Tipicamente viene suddivisa in memoria basata sulla “reminiscenza”, cioè la memoria caratterizzata da
vividezza e accuratezza del ricordo collocato nel suo contesto spazio-temporale, e sulla “familiarità”, la
sensazione di aver fatto esperienza di un evento, anche se non se ne ricordano con precisione dettagli
contestuali e altre associazioni specifiche. Nella fase di codifica, l’informazione relativa ad un evento
specifico viene convertita, in modo rapido e automatico, in una nuova traccia mnestica, che inizialmente è
labile e suscettibile a decadimento. Alcune tracce mnestiche vanno incontro ad un processo di
consolidamento, che promuove il rafforzamento della memoria e la sua integrazione nelle reti di conoscenza
pregressa (schemi).
Il lobo temporale mediale (MTL) svolge un ruolo essenziale nella codifica episodica. Anatomicamente, MTL
include l’ippocampo (HPC) e il giro para-ippocampale; quest’ultimo comprende anteriormente le cortecce
entorinale (EC) e peririnale (PRC) e posteriormente la corteccia paraippocampale (PHC). MTL e corteccia
cerebrale mantengono un continuo e reciproco scambio di segnali. Dalle aree associative polimodali della
neocorteccia, l’informazione altamente processata che rappresenta l’esperienza corrente viene trasmessa alle
PRC e PHC, poi alla EC, per convergere finalmente nell’ippocampo. Qui l’elaborazione generalmente
procede a step successivi, dal giro dentato (DG), al CA3 e al CA1, per poi tornare tramite il subicolo alla EC
e infine alle regioni neocorticali da cui i segnali erano originati.

Le diverse strutture del MTL svolgono funzioni differenti. La PRC è coinvolta nella rappresentazione
compressa, astratta e invariante degli item (oggetti, persone, ecc..); PRC riceve infatti la maggior parte dei
suoi input dalla via visiva ventrale (implicata nella costruzione delle forme e nel riconoscimento degli
oggetti). La PHC, invece, che riceve soprattutto dalla via visiva dorsale (implicata nella codifica del
movimento e dello spazio), è principalmente coinvolta nella rappresentazione delle relazioni spaziali e delle
scene. L’ippocampo integra queste due tipologie di informazione, legando insieme item e contesto
(relational coding), e rappresenta la scena intera nel suo complesso. Quest’abilità rende l’ippocampo una
struttura ideale per mediare processi di memoria relazionale, capaci di integrare informazioni su tempo,
luogo, oggetti e persone. Una convincente conferma arriva da studi sperimentali di risonanza magnetica
funzionale (fMRI) che hanno utilizzato il paradigma della memoria successiva per indagare l’attività
cerebrale durante la codifica episodica di item che sono poi correttamente ricordati in un successivo test di
richiamo. In uno di questi studi, ai partecipanti nello scanner veniva presentata una serie di parole, e per
ognuna delle parole era loro chiesto di dare un giudizio che, in funzione del colore della parola, poteva
riguardare o la tipologia (animato/inanimato) o la dimensione (grande/piccolo). Più tardi, fuori dallo scanner,
ai partecipanti veniva mostrata un’altra lista (contenente parole vecchie e nuove), e veniva chiesto di indicare
se e con quanta sicurezza riconoscevano le parole come già viste nella lista precedente; inoltre dovevano dire
con quale colore le parole erano state presentate (memoria della fonte del ricordo). Le aree cerebrali in cui
l’attività in fase di codifica correlava con il ricordo corretto delle parole nella fase di richiamo (reminiscenza)
erano l’ippocampo posteriore, il giro fusiforme e la PHC posteriore. Alcune regioni del giro para-
ippocampale anteriore, corrispondenti alla PRC, erano invece attive nella codifica di parole che poi venivano
riconosciute con un basso grado di certezza (familiarità); in questo caso l’ippocampo non mostrava aumento
di attività nella fase di codifica.
Da un punto di vista computazionale, la teoria più seguita afferma che l’ippocampo comprime il pattern di
attività neocorticale che rappresenta un’esperienza corrente in una sorta di “indice”. I segnali provenienti
dalle regioni corticali attivano una popolazione relativamente esigua di neuroni ippocampali (codice sparso),
e le sinapsi che connettono questi neuroni ippocampali fra loro e con i neuroni corticali si rafforzano
(formando la traccia mnestica). A questo punto, è sufficiente un frammento dell’input originario per attivare
l’indice ippocampale e, quando ciò si verifica, l’output ippocampale può riattivare l’intero pattern
neocorticale che rappresenta l’evento. La teoria dell’indice alla base della codifica episodica prevede che due
processi computazionali diversi debbano coesistere: il “completamento dei pattern” (indizi parziali
dell’esperienza che ha generato la traccia mnestica possono riattivare l’intera esperienza) e la “separazione
dei pattern” (memorie episodiche di eventi che presentano elementi di sovrapposizione formano tracce
separate e distinte, evitando interferenze). I modelli neurocomputazionali suggeriscono che queste due
operazioni siano mediate da regioni ippocampali diverse. Molteplici evidenze suggeriscono che il DG operi
un efficiente processo di separazione dei pattern sulle informazioni che riceve dalla EC, per poi proiettare il
segnale su CA3. Infatti: i) DG contiene un numero di neuroni circa dieci volte superiore a quello della EC da
cui riceve, e ciò facilita la discriminazione dei segnali in ingresso; ii) DG opera secondo uno schema di
codifica sparsa: in quanto sottoposti a marcata inibizione tonica da parte degli interneuroni locali, i neuroni
del DG presentano un’attività finemente modulabile, e conseguentemente input anche simili fra loro possono
attivare nel DG popolazioni neuronali selettive e distinte; iii) l’elevata attività neurogenetica del DG
favorisce i processi di separazione dei pattern, in quanto aumenta la probabilità che nuove memorie
coinvolgano popolazioni di neuroni neonati non disponibili per le tracce precedenti. CA3 potrebbe invece
mediare efficientemente processi di completamento dei pattern: infatti, i neuroni CA3 sono fittamente
interconnessi tramite fibre collaterali ricorrenti e formano un network auto-associativo, quindi una struttura
ideale per ricostruire profili completi di attività a partire da segnali parziali. CA3 riceve tre input principali:
fibre muscoidi dal DG, fascio perforante da EC, collaterali ricorrenti da neuroni CA3. Tramite le fibre
muscoidi, CA3 riceve rappresentazioni compresse e separate, limitando così le interferenze
nell’apprendimento di nuove informazioni; le proiezioni dirette da EC inviano a CA3 indizi, anche se deboli
e parziali, che sono capaci, grazie alle collaterali ricorrenti auto-associative CA3-CA3, di riattivare l’intera
rappresentazione (completando il pattern). In linea con tale ipotesi, la lesione delle connessioni tra DG e
CA3 pregiudica la codifica di nuove informazioni ma non il richiamo di vecchie rappresentazioni; al
contrario, la lesione del fascio perforante da EC a CA3 pregiudica il richiamo di vecchie rappresentazioni ma
non la codifica di nuove. Inoltre, studi di neuroimaging che applicano il metodo della soppressione della
ripetizione al segnale fMRI hanno dimostrato che le regioni DG/CA3 operano preferenzialmente processi
computazionali che supportano processi di separazione dei pattern, mentre CA1 utilizza soprattutto processi
di completamento dei pattern.

La codifica di nuove esperienze può generare rappresentazioni multiple di un determinato evento, cioè
memorie episodiche caratterizzate da livelli di risoluzione diversi e basate su correlati neurali distinti.
Memorie contesto-specifiche di eventi particolari, che descrivono a grana fine e particolari vividi e accurati
dell’episodio, coesistono e interagiscono con memorie più generali e sommarie, descrizioni a grana più
grossa dell’evento (gist memories), che mantengono gli elementi centrali ma non i dettagli periferici
dell’evento. Le due diverse rappresentazioni sarebbero mediate, rispettivamente, dall’ippocampo posteriore
(pHPC) e anteriore (aHPC). Infatti: l’estensione dei campi recettivi dei neuroni ippocampali (da cui dipende
la grana delle rappresentazioni, il livello di risoluzione) incrementa linearmente lungo l’asse postero-
anteriore dell’ippocampo; il rapporto fra DG e CA1 è più elevato nell’ippocampo posteriore, suggerendo un
maggior potere di separazione dei pattern nel pHPC; pHPC è densamente interconnesso con le strutture
neocorticali posteriori implicate nella percezione, mentre aHPC è interconnesso con il lobo temporale
anteriore (coinvolto nella memoria semantica), la corteccia prefrontale mediale (che genera e utilizza schemi,
che sono reti associative di conoscenza astratta e generale che catturano le regolarità statistiche estratte da
numerose esperienze simili), l’amigdala (hub fondamentale nelle reti che elaborano le emozioni).
E’ interessante sottolineare che codifichiamo e apprendiamo nuove informazioni anche in base alle nostre
conoscenze pregresse. La mPFC, in virtù del suo ruolo nella formazione e nell’uso di schemi, influenza
l’interpretazione degli eventi in fase di codifica. Si è visto, infatti, che durante la codifica di nuove
informazioni che sono congruenti con schemi di conoscenza preesistenti, l’attivazione di mPFC e il suo
grado di connettività funzionale con MTL sono particolarmente elevati, e questo si associa ad un incremento
delle prestazioni di richiamo mnestico (valutate con il paradigma delle memoria successiva).
3- Ruolo delle cortecce frontali e parietali nella codifica e nel recupero mnestico

INTRODUZIONE Le cortecce frontali e parietali sono altamente interconnesse e interrelate, esse


svolgono un ruolo decisivo in molteplici funzioni cerebrali superiori, pertanto è solo per motivi di
semplicità di analisi che tali funzioni vengono spesso trattate separatamente. Volendo ora
concentrarci sulla funzione della codifica e del richiamo mnestico, si metteranno in rilievo solo
alcuni aspetti che coinvolgono suddette cortecce.

CODIFICA: SCHEMI: corteccia prefrontale ventro-mediale, riesce ad estrarre quello che eventi
simili hanno i n comune. Zona connessa a aHPC. Questa connessione tra VMPFC e aHPC fa in modo
che i contesti globali possano emergere. Dal aHPC arrivano alla VMPFC delle memorie episodiche
di tipo “gist” e ne viene come estratto il nocciolo. Tale conoscenza serve a recuperare delle
regolarità statistiche. I gist diventano utili alla VMPFC perché attraverso di essi, la corteccia può
integrare negli schemi ulteriori conoscenze di tipo generale
Non solo, ma è anche un hub delle strutture cerebrali che generano la memoria schematica, cioè
quel tipo di memoria episodica che rileva i fattori comuni, le somiglianze e le regolarità da più
episodi simili.
Codifica le relazioni che esistono tra eventi, oggetti e azioni di certe situazione, definendo una
rappresentazione delle regolarità statistiche delle esperienze simili.
Questo tipo di rappresentazione è essenziale non solo per la memoria, ma anche per tutte le
altre funzioni psichiche. Trattandosi di una rappresentazione delle regolarità statistiche
incontrate in situa simili è utilizzabile come una griglia interpretativa che proiettiamo sul mondo
per comprenderlo e muoverci di conseguenza: pianifico il comportamento a seconda del
contesto. Infatti non serve solo per interpretare il mondo, ma anche per fare inferenze contestuali;
è dunque adattiva perché ci prepara a quello che potrebbe accadere in una certa situazione.
ESPERIMENTO CONGRUENZA:Quindi l’esperimento di Marleike von Kesteren et al (2013) con
oggetti/scena congruenti ed incongruenti ha ottenuto evidenze del fatto che nella codifica e nel
richiamo mnestico si attivano sia VMPF sia HPC ma con pesi rispettivamente differenti a seconda
della congruenza o meno dell’oggetto con la scena. In altre parole, quando riconosciamo un item
come congruente alle nostre conoscenze pregresse, si attiva maggiormente la VMPF, al contrario
quando non riconosciamo un item come appartenente ai nostri schemi di conoscenza, si attiva
maggiormente HPC poiché si tratta di un “nuovo apprendimento”. Per questi motivi, possiamo
affermare che la corteccia prefrontale mediale è coinvolta nella codifica mnestica quando
incontriamo oggetti congruenti a quelli che già conosciamo, proprio perché è la parte che si attiva
nella memoria schematica e dunque in suddetta codifica. Interessante altresì notare che anche
quando HPC si attiva in modo preponderante durante una codifica, risulta comunque coattiva
anche la VMPFC ad indicare che nella new encoding la prior knowledge ha un peso, e funge da
griglia predittiva. Quindi gli schemi preesistenti, da un lato sono un punto di arrivo, ma dall’altro
lato sono anche un punto di inizio, in quanto possono essere attivati in fase di codifica di nuove
memorie (e ovviamente anche in fase di richiamo di memorie pregresse).

RICHIAMO: Corteccia prefrontale dorso laterale e corteccia parietale laterale sono due HUB
facenti parte di un NETWORK INTRINSECO, cioè un network fatto di strutture separate e distinte e
anche distanti fra loro che nel cervello a riposo mostrano un segnale bold, il quale oscilla in fase
con un elevato grado di sincronia.
Tale NETWORK FRONTO PARIETALE è coinvolto in operazioni cognitive più astratte, tra cui la
memoria di lavoro e attenzione TOP-DOWN.
Si distingue anche un NETWORK VENTRALE in cui partecipa la corteccia parietale laterale nelle sue
porzioni più ventrali e che è coinvolto in tutto ciò che si impone alla nostra attenzione.
Studi di meta analisi hanno rilevato che quando si cerca di richiamare una memoria e quando
questa non è dettagliata, tale ricordo basato sulla familiarità correla significativamente con un
aumento di attività nella corteccia parietale dorsale.
Viceversa, quando il ricordo richiamato risulta più dettagliato e contestuale, si nota un aumento
dell’attività della corteccia parietale ventrale.
Riassumendo fin qui, notiamo che nella corteccia parietale si individua una separazione tra aree
attivate da ricordo preciso e contestualizzato e aree attivate invece da un ricordo basato sulla
familiarità.
Gli esperimenti di memoria successiva (basati cioè sull’utilizzo dello scanner su pazienti durante la
fase di codifica e sulla verifica successiva della qualità del ricordo) evidenziano che nella fase di
codifica possono rilevarsi due situazioni fondamentali: o aumenta l’attività della corteccia
parietale dorsale (nel qual caso, si nota poi che il ricordo richiamato risulta dettagliato e
contestualizzato) oppure aumenta l’attività della corteccia parietale ventrale (nel cui caso,
corrisponde al richiamo un ricordo meno vivido e preciso).
Non solo, in fase di richiamo infatti, si nota che nel caso del ricordo più preciso, sarà attivata
maggiormente la corteccia ventrale, mentre nel caso del richiamo di un ricordo impreciso, sarà
attivata maggiormente la corteccia parietale dorsale.
In altri termini, tra codifica e richiamo, i due network INVERTONO LA LORO ATTIVITA’. Si parla di
“FLIP CODIFICA-RICHIAMO”.
Esiste una spiegazione possibile di tale fenomeno ipotizzando che il tipo di attenzione allocata
sugli item in fase di codifica, incida profondamente sulla qualità del ricordo al richiamo e anche
sull’attivazione specifica di alcune aree corticali rispetto ad altre.
Quando si richiama qualcosa che facilmente perviene a coscienza, tale richiamo è relativo ad una
memoria che si impone in modo saliente e in tal caso si attiva soprattutto la parte ventrale della
corteccia parietale. Ciò significa che tale memoria è un episodio personalmente rilevante. Mentre
le memorie di faticoso recupero, le quali sono prive di un elevato grado di certezza e di dettaglio,
sono memorie richiamate prevalentemente tramite la corteccia parietale dorsale, la quale,
assieme alla PFC, costituisce il CIRCUITO DELL’ATTENZIONE TOP-DOWN, cioè quando si cerca di
recuperare una memoria “non saliente”, allora è necessario operare cognitivamente e in modo più
indaginoso per poter ottenere tale ricordo.

Ne consegue che se in fase di studio di un item viene allocata una attenzione massimale su di esso,
la codifica, la quale recluta il network dell’attenzione deliberata e consapevole (TOP-DOWN) ha
maggior successo. Al contrario, se in fase di studio dell’item si recluta principalmente il circuito
ventrale, cioè quello dell’attenzione BOTTOM-UP, ciò significa che i processi attenzionali legati alla
memorizzazione sono stati disturbati. Sono intervenute cioè distrazioni rispetto agli item di studio
e non si è fatto uso consistente dell’attenzione deliberata.
Aggiungiamo che per molto tempo il ruolo del lobo parietale nei processi mnestici è stato
sottovalutato in quanto generalmente lesioni parietali non si associano a perdite di memoria.
Tuttavia esiste un’eccezione: lesioni retrospleniali, le quali possono produrre amnesia sia
retrograda sia anterograda. Gli studi di neuroimmagine degli ultimi anni hanno dunque
evidenziato come nel recupero efficace della memoria, specie della memoria ricca di informazioni
contestuali, sia sempre registrata un’attività della corteccia parietale posteriore laterale, compresa
la corteccia retrospleniale. Nella codifica non si nota in queste aree lo stesso grado di attività, a
meno che gli item da codificare non siano relativi al Sé. Questa preferenza nella codifica per item
autoreferenziali suggerisce che la RSC sia più in sintonia con fonti informative interne.
CONCLUSIONE: come dicevamo all’inizio, il coinvolgimento delle cortecce frontali e parietali nella
codifica e richiamo mnestico non sono completamente separabili dall’elaborazione attentiva
autoreferenziale eccetera ricordandoci che è più corretto pensare che il sistema cerebrale funzioni
secondo un unico grande meta network che di volta in volta modula le connessioni funzionali delle
sua parti, che sono sempre e costantemente in comunicazione, dando così origine ad istanze
psichiche diverse.

Studi di MEMORY SEARCH ci mostrano come l’utilizzo degli SCHEMI possa DIRIGERE e
MONITORARE la RICERCA di memorie.
L’attività della Corteccia PRE FRONTALE dirige strategicamente questa ricerca mnestica. Danni alla
mPFC portano non solo a deficit di memoria ma anche al fenomeno della CONFABULAZIONE, ossia
non riesco più a ricordare in modo ordinato e posso avere ricordi episodici di fatti mai avvenuti)
Quindi, gli schemi giocano un ruolo NON SOLO NELL’ACQUISIZIONE della memoria, ma anche nei
PROCESSI DI RICHIAMO MNESTICO intervengono come agenti di monitoraggio.
Un esperimento di McCormick et al 2015, il quale chiedeva di richiamare al ricordo una memoria
biografica partendo da un indizio generale per poi arrivare a richiamare sempre più dettagli in
merito all’episodio, mostra che nella fase di elaborazione (elaboration phase) le cortecce parietali
vengono maggiormente reclutate (assieme a pHIP) per richiamare maggiori informazioni
contestuali. Quindi si attivano di più corteccia occipitale, cortecce sensoriali, cortecce visive ed
uditive.

4- Consolidamento della memoria: definizione; teorie del consolidamento mnestico; meccanismi


neurali alla base del consolidamento mnestico

DEFINIZIONE: Quando parliamo di consolidamento, intendiamo quel processo, tramite il quale la traccia
mnestica labile appena codificata, dunque l’indice che si è formato a livello ippocampale (informazione
compressa) viene rinforzata e trasformata e integrata nelle reti di conoscenze pregresse, le quali verranno
arricchite dalle nuove informazioni, arricchendo il nostro bagaglio mnestico. Esistono due forme di
consolidamento, uno sinaptico e uno sistemico. Nel primo è relativo alla sintesi proteica che si verifica entro
pochi minuti o alcune ore dall’apprendimento e che rafforza la stabilità della connessione sinaptica. Nel
consolidamento sistemico, invece, vi è una riorganizzazione dell’attività cerebrale della memoria che cambia
e che dunque coinvolgerà strutture e circuiti differenti e in parte indipendenti dagli originari. Questo tipo di
consolidamento richiede, dunque, più tempo per la riorganizzazione delle strutture cerebrali: la traccia non
dipende più solo dall’HIP ma anche da alte strutture neorcorticali. Nel consolidamento la struttura dell’HIP è
FONDAMENTALE: Mantenere viva la traccia durante il riposo: le tracce che si ricordano meglio, sono
quelle per cui nella fase di riposo HPC mostra la stessa attività presente nella fase dell’ENCODING
(esperimento di Arielle Tambini & Lila Davachia della New York University 2013) L’HIP lavora anche
OFFLINE Tuttavia la parola consolidamento è un po’ fuorviante, poiché suggerisce l’idea di un
IRRIGIDIMENTO della traccia e un suo mantenimento stabile e statico. In realtà, alla luce dei numerosi
studi che si sono succeduti negli anni, sarebbe più corretto usare il termine “trasformazione”, giacché la
memoria risulta essere un’istanza psichica caratterizzata da grande flessibilità. Uno dei primi modelli
esplicativi è stato fornito dalla TEORIA DEL CONSOLIDAMENTO STANDARD, la quale è derivata
dall’osservazione dei postumi di lesioni ed interventi chirurgici. Si era osservato che i due tipi di amnesie –
anterograda e retrograda – provocavano effetti differenti. Nel caso di rimozione dell’ippocampo, si notava
che l’amnesia relativa a tutto ciò che avveniva successivamente all’operazione non poteva essere
memorizzato (amnesia anterograda), invece nel caso di amnesia retrograda si osserva che questa sembrava
limitarsi agli anni precedenti alla lesione, lasciando intonsi ricordi più vecchi. Si pensava che benché fosse
rimosso l’ippocampo, e con esso l’indice, ci fosse in corteccia cerebrale una popolazione di neuroni in cui la
traccia permanesse stabilmente, si pensava cioè che dopo un po’ di tempo le tracce mnestiche potessero fare
a meno delle connessioni cortico- ippocampali e potessero essere trasferite interamente all’interno della
corteccia cerebrale, rendendosi completamente indipendenti dall’ippocampo. Si sono tuttavia evidenziate
alcune criticità all’interno di questo modello. In particolare, non c’era abbastanza distinzione tra memoria
semantica e memoria episodica. Queste, pur essendo memorie di qualità diversa, venivano essenzialmente
assimilate l’una all’altra. Ad una più attenta osservazione dei postumi di lesioni ippocampali o operazioni
chirurgiche, si è notato che il gradiente temporale, ossia il fatto che le memorie più vecchie fossero
conservate, riguardava principalmente le memorie semantiche, cioè quei fatti privi di contesto, privi del
vissuto in prima persona, decontestualizzate. Ma tale gradiente temporale non era altrettanto osservabile per
le memorie episodiche, la cui amnesia poteva riguardare talvolta l’intera vita. Ci sono alcune evidenze
provenienti da studi di neuroimmagine di lesioni che vogliono confermare questo: cioè le memorie
dettagliate episodiche sono sempre sostenute dall’attività dell’ippocampo. Si vede che dopo disfunzione o
danno all’ippocampo quale che sia, epilessia, ictus eccetera, la performance nei test di autobiografica (che
vogliono specificamente rievocare attributi episodici) diminuisce. La stessa diminuzione di performance non
è osservabile per la memoria semantica (a meno che il danno non si estenda a regioni extra-ippocampali).
Altro punto fallace ed ormai superato della teoria del consolidamento standard era l’assunto dei suoi teorici
che le memorie vengano recuperate ESATTAMENTE come le abbiamo apprese. Cambia soltanto la base
neurale che le supporta, ma la memoria resta uguale. A questo punto, una nuova e più convincente teoria si è
imposta sulla precedente, la cosiddetta TEORIA DELLE TRACCE MULTIPLE, la quale si fonda su due
assunti opposti rispetto a quelli della teoria del consolidamento standard, i quali assunti risolvono alcune
aporie del modello precedente:
1) Si sostiene l’esistenza di un ISOMORFISMO NEUROFUNZIONALE, il che significa che uno stesso
fenomeno psichico non possa riposare su strutture neurali diverse e, viceversa, fenomeni psichici ci qualità
diversa non possono essere sottesi da un medesimo substrato neurale.

2) Inoltre, la memoria episodica, cioè quella che ricostruisce il contesto, è SEMPRE DIPENDENTE
dall’ippocampo. Semmai, è la memoria semantica a potersi trasferire con il tempo in altri luoghi del cervello,
e dunque avere per esempio una propria traccia nella neocorteccia, ma la memoria episodica, per ricapitolare
e riattivare l’attività dei neuroni dislocati in corteccia, ha sempre bisogno dell’ippocampo. Inoltre, la teoria
delle tracce multiple propone che ogni volta che ripeschiamo una traccia andiamo a rigenerarne di nuove che
sono leggermente diverse da quella originaria, nel momento della riattivazione di una traccia in un nuovo
contesto, con altre condizioni ambientali e psicofisiche, mi porta a formare nuovi collegamenti con
popolazioni di neuroni neocorticali ogni volta leggermente diversi. Pertanto, maggiori sono le attivazioni e i
recuperi di una data traccia mnestica, maggiori saranno le tracce relative alla stessa memoria (da qui, il nome
del modello “teoria delle tracce multiple”). Maggiori sono le tracce relative ad un dato episodio, maggiori
saranno le possibilità che qualcuna di esse possa sopravvivere ad una lesione ippocampale, purché non
massiva. Nella teoria delle tracce multiple si descrive inoltre il processo per il quale la memoria episodica
possa andare incontro a “semanticizzazione”. Infatti, generandosi nel tempo tracce multiple (simili, ma non
identiche) di un medesimo episodio, potrà essere individuata una popolazione di neuroni comune a tutte le
varie tracce e attiva in tutte le rievocazioni. Questo provocherà un potenziamento delle loro connessioni
reciproche, dando origine con il tempo ad un network corticale autonomo, il quale funge sì da nuovo
substrato alla memoria originale, modificando tuttavia la qualità di essa. In altre parole, generandosi un
network tra quei neuroni nucleari, tra quelli che tra le varie tracce restano in comune, tali neuroni
rappresenteranno non più l’evento episodico contesto-specifico, ma un estratto delle generalità del dato
evento. La qualità del ricordo non sarà più dunque episodica, ma semantica. La teoria delle tracce multiple,
differenzia solo tra memoria episodica e semantica, non considera cioè cambiamenti qualitativi più sottili e
articolati rispetto a memorie episodiche particolari. La memoria episodica è un fenomeno sotto-articolato in
vari livelli di risoluzione e dettaglio che hanno correlati neurali diversi, sempre secondo il principio per cui
“se cambia la precisione con cui io evoco un ricordo, questa modifica qualitativa deve essere correlata ad un
substrato neurale differente”. Passiamo dunque ad una ulteriore teoria, la TEORIA DELLA
TRASFORMAZIONE DELLA TRACCIA, la quale non si limita alla distinzione della memoria in due sole
categorie distinte, cioè memoria semantica e memoria episodica. La teoria della trasformazione della traccia
prende in considerazione all’interno della stessa memoria episodica, memorie di distinta qualità relativa al
grado di risoluzione. Esistono memorie episodiche cosiddette “a grana fine” o “a maglia larga” o anche
“gist”(con meno dettagli). Si tratta dunque di due rappresentazioni dello stesso evento con due gradi di
risoluzione diverse. Anatomicamente parlando, la memoria a grana fine è correlata all’attività
dell’ippocampo posteriore, viceversa, la memoria gist correla con l’attività dell’ippocampo anteriore.
Esperimento di memoria autobiografica e memoria spaziale di McCormick et al 2015 ( pHPC nella
reminescenza collabora di più. ) EVIDENZE MORFOLOGICHE: Tra posteriore ed anteriore l’ippocampo
ha caratteristiche funzionali diverse, una è che le cellule dell’ippocampo che rappresentano il contesto
spaziale in cui inserire gli eventi (le “place cells”), hanno un gradiente postero anteriore di progressivo
aumento dei loro campi recettivi, quindi l’ippocampo anteriore è più sommario a rappresentare lo spazio di
quanto sia l’ippocampo posteriore. Si è anche visto che nell’ippocampo posteriore è molto più vasto lo
spazio occupato dal GIRO DENTATO e da CA3, mentre man mano che andiamo verso la parte anteriore
dell’ippocampo occupa più spazio CA1. Oltre a queste rappresentazioni episodiche, c’è una modalità di
rappresentazione differente estremamente importante, chiamata SCHEMA o “script”. Con schema si intende
una rete di conoscenza associativa, estratta e ricavata da multiple esperienze simili. Lo schema ha una
funzione fondamentale: quella di fare previsioni. Senza lo schema non saremmo capaci di utilizzare la
memoria in senso adattativo, cioè non saremmo capaci di fare previsioni. Lo schema dunque permette di dare
salienza ad un evento nuovo (nel caso l’evento nuovo non rientri nello schema, o solo in parte). Quindi lo
schema è una rappresentazione che non è più episodica ma deriva dalla estrazione di regolarità statistiche tra
eventi episodici simili. La sede di elaborazione e implementazione degli schemi risulta essere la MPFC.
L’ippocampo posteriore e anteriore che hanno differenze morfologiche hanno anche connessioni funzionali
diverse. In particolare, l’ippocampo anteriore è maggiormente connesso alle aree anteriori, tra cui alla MPFC
e lobo temporale anteriore (sede dei network semantici), mentre l’ippocampo posteriore con le cortecce che
raccolgono in prima istanza dati percettivi sensoriali, cortecce occipitali, anche temporali uditive per
esempio.
Al fine di agevolare lo studente nella preparazione dell’esame e nella stesura dell’elaborato finale,
si suggerisce uno schema concettuale generale secondo il quale organizzare la prova scritta. Ad
ognuna delle domande riportate in elenco, il candidato dovrà rispondere seguendo la seguente
traccia:
 Introdurre brevemente la tematica: di che cosa si parla? Lo studente dovrà delineare
sinteticamente il quadro generale entro cui intende articolare la risposta;
 Discutere in maniera chiara ed esaustiva i correlati neurobiologici delle funzioni psichiche in
oggetto, illustrando le principali evidenze neurofisiologiche provenienti dagli studi condotti
su modelli animali e sull’uomo;
 Riportare evidenze di neuropsicologia clinica solo quando aiutino a comprendere le basi
neurofisiologiche dei processi psichici in oggetto (ad esempio, lesioni).

La valutazione dei compiti viene effettuata considerando alcuni criteri: “esaustività” (per valutare il
grado di completezza dei contenuti esposti, quindi la presenza all’interno dell’elaborato degli
elementi fondamentali riguardanti la tematica in oggetto); “struttura dell’elaborato” (valuta
l’organizzazione complessiva dell’elaborato, cioè se gli argomenti esposti sono presentati in un
ordine consequenziale, coerente e logico); “appropriatezza della terminologia e precisione degli
enunciati” (valuta la chiarezza concettuale raggiunta dallo studente sui temi trattati); “correttezza”
(valuta la presenza di affermazioni errate); “pertinenza” (attinenza dei contenuti al quesito proposto;
i contenuti non pertinenti non saranno valutati). Dall’integrazione delle valutazioni ottenute nei
singoli criteri emerge la valutazione finale complessiva.

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