La presenza di Caravaggio a Roma nel periodo dal 1592 al 1593 non è sostenuta da fonti
storiche certe, tuttavia sappiamo che nel 1594 è sicuramente ospite di monsignor Pandolfo
Pucci da Recanati, da lui soprannominato monsignor Insalata, dall'unico alimento di vitto che
gli forniva. Ha inoltre rapporti artistici, più o meno fugaci, con degli altri pittori locali.
Dapprima presso il siciliano Lorenzo Carli, autore di opere destinate alle fasce più modeste
del mercato, poi ha un breve sodalizio con Antiveduto Gramatica e, infine, frequenta per
alcuni mesi la bottega di Giuseppe Cesari detto il Cavalier d'Arpino. Successivamente, per
una malattia, viene ricoverato all'ospedale della Consolazione e, a causa di questo evento,
interrompe il rapporto con il Cesari. Durante queste esperienze probabilmente Caravaggio
viene impiegato come esecutore di nature morte e di parti decorative di opere più
complesse, ma, in merito, non si ha nessuna testimonianza certa. Un'ipotesi, priva in ogni
caso di riscontro documentale, è che Caravaggio possa aver realizzato i festoni decorativi
della cappella Olgiati, nella basilica di Santa Prassede a Roma, cappella affrescata dal
cavalier d’Arpino.
Grazie a Prospero Orsi (meglio noto come Prosperino delle Grottesche), pittore con il quale
strinse una forte amicizia, Merisi nel 1597 conobbe il cardinal Francesco Maria del Monte
(1549-1627), grandissimo uomo di cultura e appassionato d'arte che, incantato dalla sua
pittura, acquistò alcuni dei suoi quadri; il giovane lombardo entrò quindi al suo servizio,
rimanendovi per circa tre anni. Del Monte, secondo Bellori: «ridusse in buono stato Michele
e lo sollevò dandogli luogo onorato in casa fra i gentiluomini».
La fama dell'artista cominciò a salire all'interno dei più importanti salotti dell'alta nobiltà
romana. L'ambiente fu scosso dalla sua rivoluzionaria pittura, che si pose immediatamente
al centro di forti discussioni e accese polemiche. Grazie alle commissioni del suo influente e
illuminato prelato, Caravaggio mutò il suo stile, abbandonando le tele di piccole dimensioni e
i singoli ritratti e cominciando a dedicarsi alla realizzazione di opere complesse, con gruppi
di più personaggi descritti in un episodio specifico. Uno dei primi lavori di questo periodo è il
Riposo durante la fuga in Egitto.
Nel giro di pochi anni la sua fama crebbe in maniera esponenziale, Caravaggio divenne un
mito vivente per un'intera generazione di pittori che ne esaltavano lo stile e le tematiche.
Alla fine del 1606, Caravaggio giunse a Napoli, nei Quartieri Spagnoli, dove rimase per circa
un anno.
La fama del pittore era ben nota a tutti nella città. I Colonna lo raccomandarono a un ramo
collaterale della famiglia residente a Napoli: i Carafa-Colonna. Qui il Merisi visse un periodo
felice e prolifico per quanto riguarda le commissioni. Furono eseguite le opere: la Giuditta
che decapita Oloferne (1607), scomparsa e di cui forse esiste una copia coeva facente
parte delle collezioni del banco di Napoli; la Sacra famiglia con san Giovanni Battista
(1607), appartenente alla collezione privata Clara-Otello Silva a Caracas; una prima
versione della Flagellazione di Cristo (1607), conservata presso il musée des beaux arts di
Rouen; la Salomè con la testa del Battista (1607), al National Gallery di Londra; la prima
versione di Davide con la testa di Golia (1607), al Kunsthistorisches Museum di Vienna; la
Crocifissione di sant'Andrea (1607), presso il Cleveland Museum of Art e infine, la più
importante, che si ipotizza sia stata commissionata dai Carafa-Colonna, forse per collocarla
nella cappella di famiglia nella chiesa di San Domenico Maggiore, la Madonna del Rosario
(1606-1607). Poco dopo la sua esecuzione, il dipinto fu venduto a dei mercanti e portato
nelle Fiandre prima e a Vienna poi, dove si trova tuttora.
Dei molti dipinti eseguiti durante il primo periodo napoletano, solo due sono ancora nella
città. Il primo è il suggestivo Sette opere di Misericordia (1606-1607), uno dei lavori più
importanti del Caravaggio. La tela, che si rivelerà cardine per la pittura in Italia Meridionale e
per la pittura italiana in generale, presenta una composizione più drammatica e concitata
rispetto alle pitture romane, rinunciando a un fulcro centrale dell'azione. Questo aspetto sarà
di grande stimolo per la pittura barocca partenopea successiva e il passaggio del Merisi in
città, infatti, darà luogo alla nascita di molti esponenti caravaggeschi tra i pittori locali.
L'altro dipinto rimasto a Napoli fu quello eseguito tra il 1607 e il 1608, direttamente per la
chiesa di San Domenico Maggiore, poi spostato al museo di Capodimonte, ovvero una
seconda versione della Flagellazione di Cristo.
Nel 1607 Michelangelo Merisi parte per Malta, sempre per intercessione dei Colonna, e qui
entra in contatto con il gran maestro dell'ordine dei cavalieri di san Giovanni, Alof de
Wignacourt, a cui il pittore fece anche un ritratto. Il suo obiettivo era diventare cavaliere per
ottenere l'immunità, in quanto su di lui pendeva ancora la condanna alla decapitazione. In
questo contesto il Caravaggio firma un documento che metterà in discussione il suo reale
luogo di nascita. Infatti il pittore dichiara che la sua città natale è proprio Caravaggio, in
provincia di Bergamo: "Carraca oppido vulgo de Caravagio in Longobardis natus". A
rimettere in discussione il suo luogo d'origine vi è poi un'ulteriore attestazione presentata
recentemente, proveniente dalla scoperta di un documento nuovo; in esso si legge la
dichiarazione resa a Roma da un garzone mediolanensis, Pietro Paolo Pellegrino, nel corso
di un interrogatorio: «questo pittore Michelangelo... al parlare tengo sia milanese», ma poi
specifica «mettete lombardo, per che lui parla alla lombarda». Pellegrino non riconobbe nella
cadenza del pittore l'accento che gli era familiare, essendo lui stesso milanese per nascita.
Intanto l'attività di pittore del Merisi prosegue, dipingendo nel 1608 la Decollazione di san
Giovanni Battista, il suo quadro più grande per dimensioni, tuttora conservato nella
cattedrale di La Valletta. Nella stessa chiesa si trova soltanto un'altra opera del pittore, il San
Girolamo scrivente.
Dopo un anno di noviziato, il 14 luglio 1608 Caravaggio fu investito della carica di cavaliere
di grazia, di rango inferiore rispetto ai cavalieri di giustizia di origine aristocratica. Anche qui
ebbe dei problemi: fu arrestato per un duro litigio con un cavaliere del rango superiore e
perché si venne a sapere che su di lui pendeva la condanna a morte.
In fuga da Malta, Caravaggio raggiunge la Sicilia dove, sentendosi braccato, si sposta da un
luogo all’altro: prima a Siracusa, poi a Messina dove dipinge la Resurrezione di Lazzaro,
quindi a Palermo. Infine ritorna a Napoli dove viene ospitato da Costanza Colonna. La fuga
da Malta nell’ottobre 1608, che in contumacia comporterà la privazione dell’abito di cavaliere
con l’infamante marchio di “membro putrido e fetido”, porta Merisi a riparare sulle coste
siciliane. Dal punto di vista storiografico, va precisato, il periodo trascorso sull’isola è tra
quelli più poveri di notizie, molte delle quali sembrano più aneddoti non altrimenti verificabili.
La prima tappa del nostro viaggio alla scoperta dei quadri di Caravaggio in Sicilia ci porta a
Siracusa. L’artista arriva in città nel 1608, con l’aiuto del suo amico pittore Mario Minniti. I
due, secondo alcune fonti, erano stati conviventi a Roma e Minniti aveva anche fatto da
modello per alcuni quadri di Caravaggio. Il pittore lombardo rimarrà in città soltanto per
qualche mese ma questi saranno sufficienti a lasciare segni profondi. Oltre alla realizzazione
della tela Seppellimento di Santa Lucia, Caravaggio lascerà alla città di Siracusa un’altra
eredità importante. Pare infatti che sia stato proprio lui ad attribuire il nome di Orecchio di
Dionigi (o Dionisio) ad uno dei luoghi simbolo di Siracusa.
Il soggiorno siciliano di Merisi è comunque essenzialmente messinese, sotto la probabile
protezione del cavaliere Antonio Martelli, da lui ritratto. Le fonti ricordano nella città dello
Stretto un’attività prolifica, ma di cui sopravvivono con certezza due sole pale d’altare: la
Resurrezione di Lazzaro, realizzata entro giugno 1609 per la cappella di Giovan Battista de’
Lazzari nella chiesa dei Santi Pietro e Paolo, e l’Adorazione dei pastori, ordinatagli dal
Senato cittadino per Santa Maria la Concezione.
Due ulteriori tappe sull’isola sono ricordate dalle fonti.
A Caltagirone, stando a una testimonianza tarda e indiretta, Caravaggio sembra aver lodato
la bellezza della statua della Madonna della Catena di Antonello Gagini.
Risulta dubbio, o comunque non altrimenti verificato, anche un soggiorno a Palermo, dove il
talento del pittore era stato già conosciuto con la Natività del 16007.
Un artista la cui esperienza siciliana va oltre l’influenza. La ‘sicilianità’ è un carattere
inscindibile dalla personalità caravaggesca, tanto da poter definire il pittore come figlio
artistico della Sicilia. Quella stessa Sicilia da cui proveniva il primo maestro di Caravaggio, il
nasitano Carli, presso la cui bottega a Roma, il giovane Michelangelo Merisi iniziava a
conoscere le meraviglie e i tormenti di un’arte che doveva ‘imitar bene le cose naturali’.
HO MESSO SOLO I NOMI DELLE OPERE PERCHÉ DICE DI PARLARE DI QUELLE DEL
PERIODO SICILIANO
Siracusa
!!!
“E venne l’ora. Arrivò il tempo del carosello a mare, giunse il momento dell’annuale torneo
navale, la giostrata con le galere da Marsa Grande a Marsamuscetto, per onorare la
memorabile vittoria, la più alta palma regalata da Dio ai cristiani”.
Questo è l’attacco del romanzo di Pino di Silvestro, La fuga, la sosta – Caravaggio a
Siracusa, il passo parla della confusione a Malta per la celebrazione della vittoria di Lepanto
e del notturno tripudio, di quel frastuono di festa in cui Michelangelo Merisi, detto
Caravaggio, riesce a fuggire dalla prigione di Forte Sant’Angelo, a calarsi con una corda
dalla torre, arrivare sulla spiaggia e da lì, confuso tra un gruppo di marinai fiamminghi,
imbarcarsi sulla speronara del raìs Leonardo Greco e sbarcare, l’8 di ottobre del 1608, a
Siracusa, nel porto grande di Ortigia.
E’ don Vincenzo a fare da guida a Caravaggio per i vari strati o gironi nella profondità storica
di Siracusa. Dalla contemporanea città controriformistica, di inquisizione e ispanica
militarizzazione, di religiosità popolare e di superstizione, fino alla Siracusa della solarità dei
templi, dei teatri e degli anfiteatri greci e romani, alla Siracusa delle latomie, tra cui quelle
profonde del Paradiso, in cui penosamente lavorano i cordari e in cui è l’Orecchio di
Dionisio. Ed è ancora il Mirabella a convincere il Senato a commissionare al pittore il grande
quadro del Seppellimento di Santa Lucia per la chiesa di Santa Lucia al Sepolcro nell’antica
zona dell’Acradina.
«fuggì in Sicilia, e ricovratosi nella città di Siracusa fu ivi accolto dall’amico suo e collega
nello studio di pittura, Mario Minnitti pittore siracusano, da cui ricevette tutta la compitezza
che poté farle la civiltà di un tal galantuomo. Lo stesso supplicò quel senato della città acciò
impiegasse il Caravaggio in qualche lavoro, e così potesse aver campo di godere per
qualche tempo l’amico ed altresì osservarsi a qual grado di altezza erasi portato
Michelagnolo, mentre se ne udiva grande il rumore e ch’egli fosse in Italia il primo dipintore.
L’autorità di quel magistrato non pose in non cale l’occasione, ed insubito l’impiegò nella
fattura di una gran tela della vergine e martire S. Lucia siciliana. Oggi giorno ammirasi nella
chiesa de’ Padri Riformati di S. Francesco, dedicata alla stessa gloriosa santa, fuori le mura
della medesima città. In questa gran tela il dipintore fece il cadavere della martire disteso in
terra, mentre il vescovo con il popolo viene per sepellirlo e due facchini, figure principali
dell’opera, una di una parte ed una dall’altra, con pale in azzione che fanno un fosso acciò in
esso lo collochino. Riuscì di tal gradimento questa gran tela che comunemente vien
celebrata, ed è tale di questa dipintura il meritato concetto che in Messina ed altresì in tutte
le città del regno se ne veggono molte copie. L’inquietissimo cervello di Michelagnolo,
amando vagare pel mondo, lasciò gli agi della casa dell’amico Minnitti. Portossi alla città di
Messina»
La seconda tappa del nostro viaggio alla scoperta dei quadri di Caravaggio in Sicilia ci porta
a Messina.
Messina
Due mesi rimane a Siracusa Caravaggio, chè già nel dicembre dello stesso 1608 è a
Messina. La città, per via del porto e dell’industria della seta, della presenza di una classe di
mercanti, è più aperta, più “liberale” di Siracusa o della capitale, di Palermo, dove risiede il
retrivo e superstizioso viceré spagnolo marchese di Villana. A Messina, preceduto com’è il
Caravaggio da “grande rumore…ch’egli fosse in Italia il primo dipintore” ha richieste di
quadri per chiese e privati. Otto mesi trascorre nella città dello stretto e qui dipinge vari
quadri, sette o otto almeno, ma due soltanto ne rimangono oggi nel Museo Regionale di
quella città, L’adorazione dei pastori e la Resurrezione di Lazzaro. Quello della Natività,
della nascita di Cristo in una stalla è un tema che interpreta il “pauperismo” dei Cappuccini,
e Caravaggio lo rappresenta nel modo più vero, più radicale.
Caravaggio si imbatté in una realtà dall’eccezionale vitalità artistico culturale. Ci ricorda
Valentina Certo come Messina fosse “una città ricchissima nella quale l’affluenza di artisti
venuti da fuori non costituiva novità. C’erano stati in precedenza gli allievi di Michelangelo, il
Montorsoli. L’allievo di Raffaello, Polidoro Caldara. Era una città vivissima, sede della zecca,
dell’Università. La falce del porto era un punto cruciale del commercio. Da lì si partiva per le
guerre, per le crociate”.
Ed è vicino a quel porto che si ergeva la chiesa di san Pietro e Paolo dei Pisani, dove
Caravaggio ha dipinto la ‘Resurrezione di Lazzaro’, commissionata dalla famiglia genovese
de’ Lazzari, e per la quale il pittore ottenne dall’attiguo ospedale gestito dai ‘frati della buona
morte’ un cadavere da utilizzare come modello per l’opera. Un gesto che conferma l’amore
per il ‘vero’ e il naturale, ma che costerà alla tela una cattiva accoglienza da parte dei fedeli,
per poter incontrare il giusto riconoscimento solo a partire dal 1700.
“La seconda committenza – ci informa la Certo – è stata dello stesso Senato di Messina, che
gli commissionò l’ ‘Adorazione dei pastori’, opera poi donata alla chiesa dei Cappuccini,
situata fuori dalle mura della città e oggetto di lasciti importanti da parte delle migliori
famiglie messinesi. E’ importante – sottolinea l’esperta – considerare la situazione del
Merisi: un fuggiasco e condannato a morte che riceve una commissione da parte del
Senato! Pensiamo all’importanza che l’artista doveva ricoprire per la città”.
RESURREZIONE DI LAZZARO
La scena rappresenta il momento esatto in cui
Cristo, con il “soffio” della sua volontà, resuscita
Lazzaro. Il dipinto ricorda un altro suo quadro,
la Vocazione di San Matteo, realizzato a Roma qualche anno prima. Rispetto a questo però,
la luce qui non è diretta ma più soffusa, creando, in questo modo, un effetto di maggiore
drammaticità. Il quadro viene considerato come uno dei più rappresentativi dell’ultima fase
artistica di Caravaggio, anni dedicati ad una maggiore sperimentazione sulla luce, tendente
ormai quasi a “cancellare” i personaggi.
Qui il quadro ripercorre, per certi versi, il modello della “Vocazione di San Matteo” con Cristo
che col dito puntato sembra dirigere la luce sul protagonista della scena. Il dito di Cristo è
però in questo caso diverso, perché se nella “Vocazione di San Matteo” esprime un gesto di
invito, in questo caso rappresenta un segno di comando ricolto a Lazzaro perché ritorni in
vita. Meno definita, seppur presente, sembra essere la tensione muscolare dei personaggi
che sono però colti in un crudo realismo fisico e psicologico.
ADORAZIONE DEI PASTORI
La commissione di questa tela arrivò direttamente dal senato messinese per la Chiesa di
Santa Maria la Concezione dei Padri Cappuccini. Proprio il credo di quest’ordine religioso
influenzerà la realizzazione dell’opera. Caravaggio infatti rappresenta una Natività Povera,
genere che avrà molto successo nella pittura del Seicento e del Settecento. La scena è
ambientata all’interno di una stalla con Maria, sfinita dal viaggio e dal parto, che giace
sdraiata per terra reggendo in grembo il bambinello che dorme. Non ci sono decorazioni né
particolari superflui. L’unico presente è la cesta che vediamo in primo piano sulla sinistra,
contenente: una pagnotta, un tovagliolo e una pialla. I tratti della pittura caravaggesca,
durante il periodo messinese, diventano distintivi, la pennellata si fa rapida e larga,
l’inquietudine dell’artista si riflette nelle espressioni e negli sguardi dei personaggi.
Ancora una volta la luce è sparsa e non mirata su un personaggio o un momento, come
accadeva nella “Resurrezione di Lazzaro”, in questo caso è una luce più calma, quasi
soporifera, che accompagna l’osservatore al momento di quieta che si vive dentro quella
stalla. A sottolineare la mancanza di tensione patetica è la Madonna, sdraiata in modo
disinvolto e con in mano il bambino, mentre San Giuseppe guida i pastori alla venerazione
del pargolo divino. La scena si chiude sullo sfondo dove un bue e un asinello sembrano
fondersi con le pareti in legno della mangiator
L’ultima tappa di questo itinerario sulle opere di Caravaggio in Sicilia ci porta a Palermo. Il
pittore fu subito incaricato dall’Ordine francescano di dipingere una Natività con i Santi
Lorenzo e Francesco d’Assisi, da collocare nell’Oratorio di San Lorenzo nel quartiere della
Kalsa. A differenza degli altri quadri però quello che potete ammirare, a Palermo, è solo una
riproduzione realizzata da Factum Arte e commissionata da Sky. Il 18 ottobre del 1969,
infatti, il quadro fu rubato da ignoti e, nonostante le varie piste seguite fino ad oggi, non si
hanno più sue notizie. L’FBI ha inserito il quadro tra i dieci capolavori rubati più ricercati al
mondo.
Palermo
Natività con i Santi Lorenzo e Francesco d'Assisi
Nel Caravaggio di Palermo ogni personaggio è colto in un atteggiamento spontaneo. La
Madonna ha le sembianze di una donna comune e un aspetto estremamente malinconico,
come se fosse già perfettamente consapevole del destino che attende il figlio. Questo è
rappresentato come un bambino qualunque e non in atteggiamento di preghiera o in
giudizio, come accadeva nelle rappresentazioni più antiche. San Giuseppe è raffigurato di
spalle e insolitamente giovane rispetto all’iconografia tradizionale ed è ritratto nell’atto di
dialogare con un personaggio che potrebbe essere Frate Leone. La figura sulla sinistra è
San Lorenzo mentre, sulla destra, si trova San Francesco, la cui presenza nell’opera è
sicuramente un tributo all’Oratorio in cui andava collocata l’opera. Nel 1609 a un anno esatto
dal suo arrivo in Sicilia, Caravaggio continuò il suo viaggio ritornando a Napoli
La composizione di questo dipinto si manifesta più vicina al vecchio Caravaggio, troviamo,
infatti, un fascio di luce definito che proviene dalla nostra sinistra e colpisce alle spalle San
Lorenzo (riconoscibile per la dalmatica), per poi posarsi sul volto del bambino, posto a terra
e rivolto verso la madre, e la Madonna.
Il dipinto non presenta alcuna ricchezza, a parte forse la dalmatica del San Lorenzo; si rifà a
un crudo realismo che vuole povere persone in un ambiente povero e umile, non sono Santi,
ma uomini e donne normali immersi nel loro ambiente. Interessante è la componente
psicologica che insegue l’idea di intimità data, ad esempio, dal bambino rivolto non verso
l’osservatore, ma verso gli astanti o l’uomo di spalle in primo piano, che sembra voler
chiudere la scena ai nostri occhi. In alto un angelo esce fuori dalle tenebre con il bellissimo
particolare di un’ala messa in ombra dall’altra; quest’ultimo personaggio potrebbe, in parte,
ricordare il “San Matteo e l’Angelo” proprio del periodo romano di Caravaggio.
LA NATIVITÀ E IL SUO FURTO
era è un’olio su tela di grande dimensioni (268 per 197 centimetri). Nel dipinto Caravaggio
rappresenta la nascita di Cristo e lo fa nel segno del grande realismo, sua più nota cifra
stilistica. La Natività, infatti, mette in scena sei personaggi che nell’aspetto sembrano essere
poveri ed emarginati:
La Madonna;
San Giuseppe;
San Lorenzo
San Francesco d’Assisi;
l’angelo planante;
il sesto personaggio è ipotizzato come San Leone.
Essi appaiono in atteggiamento spontaneo. Mentre San Giuseppe resta di spalle e avvolto in
un telo verde, la Madonna mostra estrema malinconia nel guardare il figlioletto sul giaciglio
improvvisato, come ad anticipare la reazione al destino che spetta al Cristo. L’angelo,
intanto, plana dall’alto per portare all’interno della scena la gloria divina.
Lo spessore emotivo della Natività è assegnato al gioco di colori e luci che caratterizza tutta
l’opera caravaggesca.
A Sciacca, in provincia di Agrigento, c’è un uomo che possiede un dipinto rubato a Palermo
e mai più ritrovato. È la Natività con i santi Lorenzo e Francesco d’Assisi di Caravaggio. In
verità, ne possiede una copia perfettamente fedele all’originale. Il suo nome è Calogero
Termine ed è ritenuto il più abile e stimato copista vivente di Caravaggio al mondo. La pala
campeggia maestosa all’ingresso dell’abitazione. È in dimensioni naturali: tre metri per due
all’incirca.
«Per riprodurre un’opera in maniera tale che alla gente non sembri una copia, occorre
un’interazione quasi sovrannaturale con l’autore originale che quasi non so spiegare»,
racconta l’artista, che nel 2010 vi ha trascorso tre mesi nella lavorazione. «Ho molta paura di
sapere cosa abbia dovuto passare quella vera», dice accomodandosi su una sedia di legno,
al centro del suo laboratorio.
Antonella Lampone, allora 15enne, ricorda perfettamente quella notte. Figlia della custode
dell’oratorio, Maria Gelfo, Antonella racconta al Guardian che sua madre e sua zia furono le
prime ad arrivare sulla scena del reato. “Si agitavano e urlavano”. “Saltai giù dal letto e mi
precipitai in chiesa fino all’altare sul quale il dipinto campeggiava da oltre tre secoli e che in
quel momento era vuoto". Poi aggiunge: "Per noi fu una tragedia, un lutto. Non avevano
rubato solo un dipinto, ma un membro della nostra famiglia”.
C’era solo un'organizzazione a Palermo in grado di trafugare un tesoro del genere: la mafia.
In un’intervista video girata nel 2001 ma conservata in un cassetto e diffusa in esclusiva dal
Guardian lo scorso mese, il parroco dell’oratorio, Benedetto Rocco, ha dichiarato che la
Natività si trovava nella casa di un potente boss mafioso che lo aveva contattato via lettera
contenente dei pezzetti di tela per convincerlo a sedersi al tavolo delle negoziazioni.
Anche Lampone ha confermato le dichiarazioni del parroco. “Ricordo che disse a mia madre
che era stato contattato dall’autore del furto per raggiungere un accordo”.
Secondo Rocco, l’artefice del furto è Gaetano Badalamenti, al tempo uno dei più potenti
gangster siciliani, in grado di gestire un narcotraffico tra Usa e Italia pari a 1,50 miliardi di
euro. A quel tempo, Rocco informò la polizia delle lettere e della tela ritagliata ma le
registrazioni con le sue dichiarazioni sembrano essere scomparsi.
Nella settimana precedente il furto, Maria Gelfo, aveva chiesto di rinforzare le finestre della
chiesa dopo che alcuni individui sospetti avevano le chiesto di poter entrare a guardare il
quadro. “Mia madre era preoccupata, chiese alla curia vaticana di fare qualcosa per la
finestra che si affacciava sulla strada e dalla quale era visibile il quadro, ma gli fu detto che
non ce ne era bisogno”.
Le speranze di risolvere il mistero dietro la Natività sono state riaccese nel giugno dello
scorso anno dopo che gli investigatori italiani avevano fatto sapere che Gaetano Grado, un
pentito di mafia, ha rivelato che Badalamenti era stato messo in contatto con un
commerciante d'arte in Svizzera, dove oggi i pubblici ministeri sono al lavoro in cerca di
nuovi testimoni che potrebbero chiarire uno dei più grandi misteri della storia dell'arte.
Uno dei pentiti più rilevanti tra quelli ascoltati dalla Commissione è Gaetano Grado, arrestato
nel 1989 dopo aver preso parte alla sanguinosa strage di viale Lazio: «Siccome avevamo
deciso che nel centro di Palermo non ci dovevano essere più famiglie mafiose, io allora
avevo il compito di tenere ordine nella città, e da latitante io giravo tranquillamente come tutti
i latitanti, non c’era problema.
Io avevo il compito di scendere tutte le mattine nel mercato della Vucciria, per avere notizie
di sopravvissuti della città, delle famiglie mafiose di Palermo. Tutte le mattine loro avevano il
compito di venire da me a rapportarmi tutto quello che succedeva: dalla piccola cosa, dal
ladro, al rapinatore o altri fatti di sangue, per riferirmi tutto».
Il pentito ha raccontato poi di esser stato avvicinato dal boss Gaetano Badalamenti pochi
giorni dopo il furto: «Passa Gaetano Badalamenti da questa mia proprietà e mi fa: “Tanino,
tu che scendi a Palermo vedi di interessarti a “’U Caravaggiu”, dice che hanno rubato ’sto
quadro che ho sentito che ha un valore inestimabile”.
Mi dice: “Vedi tu che sei addetto a tenere ordine nel centro di Palermo, conosci tutti i ladri,
conosci i rapinatori, le disgrazie e le carcerazioni...”. Io conoscevo quasi tutto e mi
rispettavano tutti quando io chiedevo qualcosa; se succedeva qualcosa, me lo facevano
sapere. Ho detto: “Va bene Tanì, ora te lo faccio sapere”». Dopo una breve ricerca, Grado
avrebbe appreso che i ladri sarebbero stati alcuni ragazzi bisognosi, a cui Cosa Nostra
avrebbe ceduto “quattro o cinque milioni” in cambio della tela, che era custodita in una casa
diroccata di un “quartiere malfamato” di Palermo.
Grado afferma dunque davanti alla Commissione Antimafia che Cosa Nostra non fu
mandante del furto, ma riuscì a mettere le mani sulla tela nelle ore immediatamente
successive
«L’ultima volta che vidi la Natività, mi chiesi perché non venisse custodita alla Galleria della
città», ha rammentato Mannino. «Pochissimi palermitani sapevano che quel quadro fosse un
Caravaggio, ecco perché secondo me ci fu un preciso committente. Una cosa del genere
non si andava a rubare se il capo del quartiere non lo sapeva, in special modo in un
quartiere a cavallo tra Ballarò e la Vucciria, dove il controllo del dominus era assoluto».
un aspetto interessante sollevato dal report della Commissione è la gestione della tela da
parte di Cosa nostra. Poco dopo il furto, la Natività sarebbe arrivata a Stefano Bontate e –
nel giro di pochi giorni – al boss Gaetano Badalamenti, che la portò a Cinisi, dove abitava.
Secondo quanto spiegato da Grado alla Commissione, Badalamenti avrebbe poi contattato
un misterioso mercante d’arte svizzero per vendergli il Caravaggio. Il mercante si recò a
Cinisi e ammirò la tela. «Questo, quando ha visto il quadro, si è seduto e ha detto: “Per
favore, fatemelo guardare”. Non faceva altro che guardarlo e piangere. E Gaetano
Badalamenti lo derideva. L’ha preso per stupido», è il racconto del collaboratore di giustizia.
Il mercante d’arte avrebbe spiegato al boss che sarebbe stato più facile vendere la tela
sezionata. Gaetano Grado ha detto alla Commissione che la tela fu effettivamente venduta
all’anziano svizzero (il cui nome non è stato reso noto), spedita in Svizzera dentro un camion
per la frutta e, infine, tagliata in quattro parti affinché fosse maggiormente remunerativa sul
mercato nero. Al termine dell’operazione, Badalamenti avrebbe consegnato a Grado una
ricompensa di 50 mila franchi svizzeri in «banconote di grosso taglio messe a fascette».
«Difficile credere che sia stato possibile rendere vendibile un dipinto sezionato», è il parere
tecnico di Alessandra Coruzzi, esperta di conservazione dei Beni culturali e consulente
d’ufficio del Tribunale di Milano intervistata dal Sole 24 Ore.
«Si può effettivamente pensare alla suddivisione in parti affinché venisse nascosta nel
tempo. Potrebbe essere stata sezionata lungo il profilo delle cuciture delle tele, in modo da
poterla ricostruire. Infatti, per raggiungere le dimensioni desiderate, queste tele venivano
cucite tra loro prima di essere montate sui telai.
Non si può escludere che ciò sia accaduto anche per la Natività», ha spiegato Coruzzi.
«Tuttavia - ha aggiunto - con il ricongiungimento dei frammenti si potrebbe riportare l'opera
assemblata al valore perlopiù originale, come già avvenuto con Partenza degli Argonauti di
De Chirico».
Le dichiarazioni di Grado sono peraltro in contrasto con quanto affermato negli anni da un
altro pentito di mafia, Francesco Marino Mannoia, appartenente alla batteria criminale che
sottrasse la Natività. Mannoia ha sempre affermato che – nonostante il quadro fosse stato
portato al sicuro – notò dei danni irreparabili che lo rendevano invendibile e perciò lo
distrusse dandolo alle fiamme.
Lo scorso anno Mannoia ha però ritrattato questa versione, sostenendo di fronte alla
Commissione Antimafia che il quadro, nonostante i danni e la volontà effettiva da parte di
Cosa Nostra di distruggerlo, non fu mai dato alle fiamme. Mannoia ha anche raccontato che
anni dopo venne a sapere che la tela era custodita in via Mario Benso, a Palermo. Una
recente perquisizione dei Carabinieri non ha però restituito alcuna traccia dell’opera.
L’Ufficiale superiore della Guardia di Finanza Pietro Sorbello, specializzato in crimini d’arte,
ci spiega che «la Svizzera ha creato una rete di porti franchi dove beni di lusso e opere
d'arte possono essere depositate con tassazione molto bassa, affiancando a ciò un sistema
di confidenzialità delle informazioni che spesso ostacola o impedisce indagini
internazionali».
Del resto anche il Parlamento Europeo ha scritto nero su bianco che questi edifici - nati
come depositi temporanei di derrate alimentari e oggi divenuti magazzini esentasse di beni
di lusso - «operano a favore di segretezza». Le stesse autorità svizzere hanno evidenziato il
pericolo di «contrabbando e altre attività illegali» all’interno dei porti franchi dovuto al fatto
che «l’attuale sistema di controllo è carente e incapace di assicurare che le attività illegali
siano messe al bando».
L’ipotesi che la Natività sia stata trasferita al di là delle Alpi appare dunque verosimile.
La limpida luce mediterranea di Malta e di Sicilia non è riuscita a consolare il tetro umore
del povero Caravaggio. Ma il suo passaggio per le due isole ha illuminato quel periferico e
arretrato mondo, ha rivoluzionato la pittura del tempo suo e del futuro.