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La Cena in casa Levi

Nel 1573 i domenicani del convento veneziano dei Santi Giovanni e Paolo commissionarono
a Veronese una grande Ultima cena per il refettorio, poi mutata nel titolo in Cena in casa Levi per
costrizione della Santa Inquisizione che non aveva approvato il taglio innovativo della rappresentazione. La
cena è ambientata sotto un loggiato classico composto da una sequenza di tre serliane divise da un ordine
gigante corinzio, con angeli nei pennacchi e accessibile da due scalinate laterali.
La prospettiva centrale è concepita secondo un punto di fuga all'altezza dello spettatore. La loggia, che ha
l'aspetto di un'architettura effimera da teatro, si apre su una veduta di città con edifici classici concepita
come scenografia dipinta. Rendono più vitale e realistico questo sfondo le figure che si affacciano dal
palazzo a sinistra e il cielo al tramonto solcato di nubi. Sotto l'arcata centrale
siedono Cristo tra Pietro e Giovanni e ai lati gli altri apostoli, intervallati da numerosi servitori e convitati, in
tutto oltre cinquanta figure. I personaggi rappresentano tutte le fasce sociali: dai dignitari, come l'uomo
togato in rosso di fronte a Cristo, ai nobili, i ricchi borghesi, la gente comune, i paggi di colore, i nani, i
fanciulli, fino ai lanzichenecchi a destra, ognuno affaccendato o in dialogo con il proprio gruppo e
assolutamente estraneo alla scena principale. L'evento è attualizzato e reso vivo non solo
dall'ambientazione, ma anche dai ricchi abiti contemporanei e dal clima di festa e confusione, ad
accrescere la quale intervengono anche alcuni animali e le suppellettili sparse. Nonostante i mille particolari
che catturano l'attenzione, la scena ha comunque un ampio respiro; Cristo, nodo centrale del tema e fulcro
della composizione, si staglia isolato al centro contro il cielo luminoso e al di sopra della candida tovaglia,
entro uno spazio volutamente lasciato più libero rispetto ai lati. In questa cena è presente l'allegoria del
sacrificio eucaristico nella forma dell'agnello, che viene tagliato da san Pietro.

L’amor sacro amor prfoano

L’Amor Sacro e Amor Profano è un dipinto ad olio su tela di Tiziano, realizzato su commissione di Niccolò
Aurelio, per celebrare le sue nozze con Laura Bagarotto; è presente lo stemma della famiglia Aurelio sulla
fontana/sarcofago, mentre quello della famiglia Bagarotto è situato nella ciotola argentea vicina a Cupido.
È databile al 1515 circa ed è conservato nella Galleria Borghese a Roma.
Non si ha certezza di quale fosse il titolo del dipinto, quello che gli viene attribuito è quello di ‘Amor Sacro e
Amor Profano’, vista la presenza di una donna vestita (che rappresenterebbe, quindi, l'Amor Sacro) e di una
donna nuda (l'Amor Profano).

Non si ha anche certezza su cosa sia rappresentato, tanto che anche il pittore era probabilmente incerto su
cosa realizzare, visto che il disegno di base da cui era partito è differente da ciò che è raffigurato in
quest’opera.
Esistono quindi diverse interpretazioni di questo dipinto, la più probabile è quella legata al tema nunziale e
dell’amore: le due donne rappresentano le due facce del matrimonio, quella sessuale (donna nuda) e quella
privata, di castità (donna vestita).
Le due donne sono sedute su una sorta di fontana, che assomiglia però anche ad un sarcofago, sopra il
quale è situato un putto (probabilmente è Cupido).

L'Incoronazione di spine
Dal 1540 diventa evidente la svolta manierista dell'arte di Tiziano, che introdusse atmosfere
fortemente chiaroscurali, scorci diagonali, dinamismo, torsioni e volumi scultorei esasperati, unificando
queste componenti con l'uso del colore e arricchendo il proprio stile senza rinnegarlo mai del tutto.
L'Incoronazione di spine fu commissionata dalla confraternita di Santa Corona per la
propria cappella in Santa Maria delle Grazie a Milano, dove l'opera rimase sino alla confisca francese
del 1797.
Sui gradini di un edificio il cui bugnato rustico pare citare le architetture manieriste di Giulio
Romano a Mantova, Cristo viene incoronato di spine dagli sgherri che impugnano lunghe canne. Il corpo
di Cristo è interamente attraversato dalla torsione, dalle gambe fra loro convergenti al busto, alle braccia
legate, fino al viso virile segnato dal tormento. I movimenti dei soldati e degli aguzzini e
i bastoni (compresa la verga posta per scherno in mano Cristo come scettro) convergono verso la corona di
spine. L'iconografia è tratta dalle incisioni tedesche, in particolare di Durer, da cui deriva anche
il realismo quasi grottesco dei volti: Tiziano vi aggiunge l'elemento classico del busto
dell'imperatore Tiberio, sotto il cui regno morì Gesù.

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