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VENERE DI MILO: Fu scoperta a Milo nella primavera del 1820, la Venere fu

acquistata dall’ambasciatore di Francia a Costantinopoli per essere donata al re Luigi


XVIII che ne fece dono al louvre dove venne esposta nel 1821. la statua è realizzata
in due blocchi distinti che si collegano all’altezza delle anche. La Venere si presenta
in completa, essendo priva del braccio sinistro e di parte di quello destro. La dea e
nuda dalle anche insù, mentre la veste, riccamente drappeggiata, sottolinea la parte
inferiore del corpo con la gamba sinistra leggermente sollevata e piegata e con il
piede che poggia sul rialzo amento. Il busto piega dolcemente verso il proprio lato
destro; e la gamba sinistra si inclina in senso inverso accompagnata dalle pieghe
diagonalmente discendenti. Il corpo della dea è, quindi, sottoposto a un movimento
di torsione che genera il ritmico contrapposto.
NIKE DI SAMOTRACIA: Fu scoperta nel 1863 su un promontorio dell’isola di
Samotracia e condotta in Francia, la Nike fu sistemata al Louvre nel 1867. A partire
dal 1880 e fino al 2014, la statua, già attribuita a Pitócrito di Rodi, proviene dall’isola
di Rodi e venne realizzata verosimilmente per celebrare le vittorie della flotta dei
Rodi, alleati di Roma e di Pergamo, contro Antioco III re di Siria. La Nike È protesa
verso il cielo, mentre atterra sulla prua di una nave, E si mostra ad ali spiegate in un
dinamismo in una vitalità prorompenti.il vento modella il suo corpo mettendo quindi
in evidenza i seni turgidi. Allo stesso tempo il vento torce l’abito che si avviluppa
nello spazio fra le due gambe tenute scostate sottolineandone la tensione e
procurando anche il necessario contrasto chiaroscurale a quelle parti del corpo che
risultano, appena velate e in piena luce.
ALTARE DI PERGAMO: A pergamo venne edificato tra il 166 e il 165a.c il grande
altare dedicato a Zeus Sotèr(salvatore) e a Athena Nikephóros(portatrice di vittoria).
La realizzazione fu voluta dal re Eumene II e poi dal fratello Àttalo II e si poneva a
compimento delle guerre contro i Gàlati appunto nel 166 a.c. L’altare era stato
costruito sui terrazzamenti dell’acropoli e dai suoi 330 metri d’altezza dominava la
valle del fiume caico. Esso ha forma quadrangolare con un lato occupato da una
grande gradinata. La parte superiore è formata da un duplice porticato con colonne
ioniche. Il primo porticato segue il perimetro della piattaforma superiore ad ali
avanzate, il secondo invece si dispone attorno alla grande ara sacrificale. Esso è
realizzato con coppie di colonne poste su un piedistallo e messe dorso contro dorso.
Lungo le pareti del porticato si svolge un fregio continuo con le storie di Tèlefo che
era il figlio di ercole. Nei lati poi ci sono anche sculture che rappresentano scene di
gigantomachia con figure combattenti e vittoriose. Nel raffigurare le statue di zeus e
athena si è tenuto ben presente l’impostazione del gruppo atena e poseidon al
centro del frontone occidentale del partenone. Le sculture rappresentanti esseri
divini e semidivini occupano non solo lo spazio a loro destinato, ma sconfinano
anche invadendo parte di quello destinato agli uomini. La complessità della
composizione, le teste dai capelli raccolti in ciocche, le barbe arricciolate e contrasti
chiaroscurali fanno senza dubbio di Firomaco il creatore dello stile detto del
“barocco” antico.
LAOCOONTE: Risale alla metà del 1 secolo, si trova nella città del vaticano nei musei
vaticani. E’ alto circa 242 cm. L’opera illustra uno dei capitoli più emotivi della guerra
di troia. Laocoonte era il sacerdote troiano di apollo e aveva cercato di impedire che
il cavallo di legno entrasse a Troia. Athena desiderosa di distruggere la città di troia,
per punire Laocoonte fece uscire dal mare due serpenti che stritolarono i figli di
Laocoonte assieme a lui che era accorso in loro aiuto. Laocoonte viene colto nel
momento di maggior tensione muscolare con il volto sofferente, mentre cerca di
liberare egli stesso e i suoi figli. Ciascuno dei personaggi che compongono la
scultura è dovuto ad artisti diversi: Agèsandros, Athenodòros, Polydòros
IL TEMPIO ETRUSCO (legno e terracotta): I templi etruschi non si sono conservati
perché erano costruiti con materiali deperibili. L’area del tempio è diviso in due
zone: una posteriore, coperta, solitamente composta da tre celle uguali e un
anteriore, porticata, avente funzione di pronao. Le celle, ognuna dedicata alla
diversa divinità, sono accessibili dal pronao mediante un unico ingresso ciascuna e al
loro interno vengono poste le statue degli dei. Il tempio etrusco rimane sempre
sostanzialmente uguale a se stesso. Il tempio non è mai considerato dagli etruschi
come la dimora terrena di un Dio, quanto piuttosto come un luogo all’lui consacrato
dove recarsi al fine di pregarlo e onorarlo.
LE TOMBE ETRUSCHE: Dall’inizio le tombe etrusche vengono costruite in pietra e si
sono conservate fino ad oggi. La tomba ha tutte le caratteristiche di una casa poiché
doveva rappresentare il luogo nel quale anche dopo la morte l’anima doveva sentirsi
in un ambiente familiare. Le tombe erano prive di finestre e le pareti dovevano
essere decorate spesso imitando il cielo. Le tombe etrusche sono riunite in apposite
necropoli poste fuori alle mura della città. Le tipologie di tombe variano a seconda
del periodo:
-TOMBE IPOGEE
-TOMBE A TUMULO
-TOMBE A EDICOLA
Le tombe ipogee possono essere scavate sotto terra o in una parete rocciosa. Una
delle tombe più significative è quella di ipogeo dei volumni che rientra nella
necropoli del palazzo e risale circa alla seconda meta del secondo secolo a.c. Si
scende attraverso una scala che dà accesso ad un atrio rettangolare con copertura a
capanna. In fondo all’atrio si accede alla camera sepolcrale principale, attraverso un
portale sormontato da un timpano con uno scudo a testa di gorgone. Ancora oggi
sono presenti 7 urne in travertino stuccato, con tracce di decorazione pittorica e
una in marmo. La camera funeraria è posta in corrispondenza del locale che nelle
abitazioni funge da sala di rappresentanza (il tablinum), allestisce i banchetti e onora
gli dei protettori della famiglia. A destra e a sinistra dell’atrio ci sono altre sei piccole
camere ipogee di forma cubica. Anch’esse servono per i riti funerari.
Le tombe a tumulo sono cosi chiamate perché sono ricoperte da un tumulo di terra,
in modo da formare una specie di collinetta artificiosa. Questa usanza per gli
etruschi ha una doppia funzione di identificare il luogo della sepoltura e di
proteggere l’edificio funerario. I tumuli, a pianta circolare, sono sostenute da
coperture di vario tipo e si appoggiano ad una struttura detta tamburo,. Questo
tamburo puo essere fuori terra parzialmente o ricavato scavando il terreno roccioso.
Anche ogni tomba a tumulo si articola in una o più camere sepolcrali . Le più antiche
si articolano in un unica vasta camera circolare sormontata da un tholos in pietra.
Nota è la tomba a tumulo dei Matunas, nota anche come tomba a rilievi, presso
Cerveteri. In essa la copertura della camera sepolcrale è in lastre di tufo inclinate.
Tutte le pareti della camera e i pilastri che sorreggono il tetto sono coperti da rilievi
di stucco dipinto e rappresentano gli utensili casalinghi, brocche, padelle, vasi ecc
Le tombe a edicola sono costruite solo fuori terra e sono realizzate esclusivamente
in pietra e sono quasi sempre di piccole dimensioni. Vengono chiamate a edicola
perché hanno la forma di un mini tempio. Assomigliano anche alle antiche abitazioni
etrusche quindi notiamo che in un’unica abitazione si concentra il senso della vita,
della religiosità e della morte. Tra le tombe a edicola la più nota è quella del
bronzetto dell’offerente che si trova presso Populonia e rosale al 530 a.c. La
costruzione è squadrata e ha copertura in lastre monolitiche inclinate a doppio
spiovente e originariamente decorate.
IL SARCOFAGO DEGLI SPOSI: In alcuni sarcofagi accanto al marito viene
rappresentata anche la moglie ma questo non sta a significare che ci siano le ceneri
di entrambi i corpi. E’ il caso dei sarcofagi degli sposi che potevano essere sia in
pietra e sia in terracotta. Il più grande e meglio conservato è esposto a roma nel
museo nazionale etrusco, è realizzato in terracotta e risale circa al sesto secolo a.c
La coppia è distesa tra cuscini di un triclinio ( era una specie di divano rialzato da un
solo lato con dei cuscini), kilo vestiario dei due è etrusco, la donna indossa degli
stivaletti a punta e un copricapo a calotta. L’intimita affettiva costituire un’altra
caratteristica etrusca ed è rappresentata dal marito che abbraccia la sposa con il
braccio destro. I due personaggi sono disposta in posa dinanzi all’osservatore.
L’ARCO: L’arco è una struttura architettonica formata da diversi elementi di pietra
sagomata detti conci; quello situato sulla parte alta del dell’arco è detto concio di
chiave, concio di chiusura o serraglia. Le linee che separano i conti sono dette giunti.
Il piano orizzontale da cui si inizia a costruire l’arco si chiama piano di imposta,
invece le linee curve che delimitano l’arco sono dette intradosso. La linea di
intradosso si chiama anche sesto. Si chiama saetta o freccia, la distanza verticale tra
il piano di imposta e il punto più elevato della linea di intradosso, mentre si chiama
luce o corda la distanza tra i sostegni. Nell’arco a tutto sesto, la freccia corrisponde
al raggio della semicirconferenza, mentre la luce è uguale al diametro. Si chiama
inoltre archivolto la parte esterna dell’arco. I conci di pietra vengono messi uno
accanto all’altro senza l’utilizzo della malta né di un altro legante. Se invece vengono
utilizzati i mattoni occorre utilizzare la malta per legarli. Per evitare di mettere
troppa malta molto spesso si ricorre ad accorgimenti particolari. Per esempio quello
della costruzione di archi concentrici oppure l’inserimento tra i mattoni di blocchi di
pietra sagomati più resistenti. L’arco si inizia a costruire dai due estremi del piano di
imposta, fino a quando non si mette in opera il concio di chiave l’arco non si può
considerare tale e non può reggersi da solo. Dunque durante la costruzione si ricorre
ad una struttura che sostiene il tutto: la centina. L’ insieme delle centine e degli altri
elementi di legno prende il nome di armatura. Una volta sistemato il concio di
chiave la centina viene sormontata e questa operazione prende il nome di disarmo.
I TEMPLI ROMANI: L’architettura templare romana Si muove tra le forme della
tradizione etrusca e greca e le novità consentite dal poter impiegare
contemporaneamente sia il calcestruzzo del sistema archivoltato. Tra i templi più
notevoli ricordiamo:
- il circolare periptero (Tempio di Vesta nel Foro Romano)
- il prostilo (templi di saturno e di antonino)
- lo pseudoperiptero (tempio di vespasiano)
- il periptero su alto podio (Tempio dei Dioscuri nel Foro Romano)
- il periptero su crepidoma (tempio di venere e roma)
- il periptero senza pósticum cioè su colonne su tre lati. il tempio, è privo sia
dell’opistodomo sia del colonnato posteriore. La costruzione di edifici destinati al
culto subì notevoli cambiamenti soprattutto a partire dalla seconda metà del I secolo
a.C. Il tempio comincia dotarsi di uno spazio a pianta semicircolare che si colloca in
corrispondenza del lato opposto all’ingresso.
LA CITTA’ ROMANA: La città romana aveva forma quadrata o rettangolare e al suo
interno due strade perpendicolari che collegavano le 4 porte.
Ora il tempio si trova nel foro non su un altura, quindi la vita politica e religiosa sono
unite e le colonie sono un fax simile di roma quindi tutto si ripete in maniera simile e
le colonie potevano arrivare a 500 mila abitanti.
Le abitazioni romane prendono il nome di domus che era un domicilio privato o
urbano e si distingueva dalla villa suburbana che invece era un edificio privato alo di
fuori delle mura della città situata in campagna. La domus aveva poche finestre e la
luce entrava dal tetto centrale al centro dell’atrio. Poi c’era la porta di ingresso sulla
via principale dalla quale si entrava nell’atrio coperto. Nell’atrio c’era un focolare e
una mensa dove si svolgeva loa maggior parte della vita quotidiana. Nella parte
posteriore della domus c’era il Peristilium, qui si trovava l’hortus, un piccolo giardino
circondato da un portico di colonne ovvero il porticus. Ai lati dell’atrio c’erano le
camere, i cubicoli; di fronte all’ingresso c’era la camera del pater familias. Qui si
trovavano anche il tablinum che era la stanza degli ospiti, e il trclinium la sala da
pranzo E troviamo anche altri ambienti domestici, tra cui l’exhèdra destinata alla
conversazione e al soggiorno e gli oeci le sale per i ricevimenti.
LA CASA DEL FAUNO: La casa del fauno è una delle case più gr4an di di pompei
risale circa al 2 secolo a.c; il maestoso portone è inquadrato da pilastri con capitelli
decorati, il pavimento è un intarsio di triangoli in marmi gialli, verdi e rossi. La parte
alta delle pareti è abbellita da tempi a rilievo nei quali va riconosciuto il larario della
casa. La casa presenta due atri e due peristili. Al centro dell’impluvio dell’atrio
principale c’è una copia della famosa statua del danzante o del fauno che ha dato
nome alla casa. Nella sala di soggiorno tra il primo e il secondo peristilio si trova una
copia del famoso mosaico del 2 secolo a.c della battaglia tra alessandro magno e il re
persiano dario. La casa fu scavata intorno al 1829/1833
VILLA DEI MISTERI POMPEI: Gli affreschi del triclinio di villa dei misteri sono i più
conosciuti universalmente e il loro restauro fu fatto nel 2015, sono tra i meglio
conservati della pittura antica. Sono caratterizzati da pochi elementi architettonici in
prospettiva e rappresentano un rito di inizio a misteri dionisiaci. I personaggi
raffigurati sono i parte reali e in parte mitologici e sono raccolti in gruppi contro il
rosso della superficie, mentre il fanciullo legge le procedure da seguire, invece la
giovinetta recando un vassoio con delle offerte si muove verso delle donne che
stanno facendo un rito di purificazione con l’acqua. Sileno, il maestro di dionisio
suona la cetra mentre una donna è atterrita. Nella scena successiva è presente
Sileno che offre da bere a un satiresco e assiste alle nozze di dionisio e arianna.,
mentre un demone colpisce una giovane donna con la verga. La fanciulla
inginocchiata viene accolta da una donna seduta che le accarezza i capelli. Il rito si
svolge sotto la direzione della padrona di casa che è seduta. Il personaggio più
importante è quello della donna atterrita che viene rappresentata con la mano
sinistra protesa verso la scena che le fa orrore, le gambe che sono pronte a muoversi
e il gesto del braccio destro che si solleva nel portare il manto a nascondere il viso.
ARA PACIS: Originariamente l’ara pacio si trovava in campo marzio, attualmente è
stata ricostruita nel 1938 in prossimità del tevere. L’ara pacio era in relazione con
l’orologio solare il cui ago era costituito dalla’obelisco di Psammetico II alto circa 30
metri, fatto condurre a roma dallo stesso augusto nel 10 a.c. Il giorno del
compleanno dell’imperatore l’ombra dell’ago si proiettava nell’ara fino a sfiorare la
mensa sacrificale. La costruzione dell’ara pacio venne decretata nel 13 a.c dal senato
per celebrare la vittoria di augusto e il suo ritorno dalla spagna e dalla gallia. L’opera
pero venne dedicata solo nel 9 a.c. L’altare è realizzato in marmo lunense, è
costituito da un recinto quadrato posto su un basso podio e avente due accessi solo
uno dotato di gradinata. Sulle pareti, sia esterne che interne, ci sono pochi elementi
architettonici, poi c’è una trabeazione con architrave a tre fasce. Il sobrio interno
racchiude la mensa sacrificale, un fregio separatore a palmette introduce alla
porzione superiore, dove festoni con frutti di ogni stagione sono appesi a di brucano
( cioè teste di buoi) questo è un rinvio simbolico ai sacrifici. Sopra ai festoni sono
collocate delle patere che appaiono sospese nel vuoto, ma originariamente erano
legate alla trabeazione sovrastante. La mensa alla quale si accede mediante dei
gradini, ha sponde laterali a volute contrapposte con girali. L’esterno è più
complesso e ed è posto in relazione con l’interno attraverso il grande fregio vegetale
della fascia inferiore. Esso infatti su ciascuno dei lati lunghi e sui quattro pannelli
inferiori dei lati corti ha una decorazione costituita da girali che si originano da un
cespo centrale di foglie d’acanto. Le foglie e i tralci sono anche il ricovero per molti
animali come uccelli piccoli e altri animali. Il fregio vegetale è dunque una sorta di
enciclopedia naturalistica. I portali poi sono affiancati da quattro rilievi di cui solo
due sono conservati integralmente: il lupercale e enea che sacrifica ai penati. Il
lupercale alludeva alle origini di roma e quindi ad augusto il fondatore di roma. Enea
che sacrifica ai penati invece in cui è rappresentato enea , ma c’è chi vi vede il
secondo re di roma ovvero numa pompilio in atto di sacrificare ai penati. Le altre
due scene rappresentavano la terra abbondante di frutti e in pace sotto la
protezione di augusto. Il fregio storico occupa interamente la porzione superiore dei
due lati maggiori del recinto sacro e suo rappresentare sia la processione del giorno
dell’inaugurazione e sia quella che si svolse quando venne decretata la costruzione.
In quest’opera c’è poi la glorificazione della famiglia imperiale data dalla
raffigurazione di agrippa, genero di augusto, e la raffigurazione di augusto nei panni
di pontefice massimo. Augusto con la testa velata è circondato dai littori e dai
flamini e attorno a lui si forma un gruppo e la processione si ferma come se gli
dovesse offrire qualche gesto importante. Ciascun personaggio rappresentato della
famiglia è dimensionato in modo da occupare tutta l’altezza del fregio. Infine una
seconda fila di personaggi è rappresentata distante dal bordo superiore del fregio e
in tal modo questo procura un senso di profondità.

La pittura pompeiana, e di conseguenza anche quella romana in generale, è


stata distinta in:
1. primo stile (150 a.C.-80 a.C.) è una pittura esclusivamente decorativa, non ci sono soggetti ma la
riproduzione fedele (e a basso costo) di materiali pregiati come il marmo, come era di moda nell’arte
greca.
2. Secondo stile (80 a.C.-20 a.C.) delle vedute vengono create ad affresco con paesaggi inquadrati da
portici o finestre; una tecnica prospettica che rende scorci di giardini con piante e animali con
grande attenzione ai particolari.
3. Terzo stile (20 a.C.-50 d.C.) la composizione viene semplificata eliminando le vedute ariose e
dividendo in maniera gerarchica le pareti; prevale un unico colore di fondo, spesso il rosso, la cui
uniformità viene spezzata da riquadri inseriti al centro, con figure, finte nicchie, piccoli
paesaggi. Molte di queste pitture sono state ritrovate nelle residenze di personaggi di ceto medio:
siamo agli inizi dell’impero e molte persone hanno l’opportunità di tentare la scalata sociale,
diventando benestanti e decorando le proprie dimore.
4. Quarto stile (dal 50 d.C.) stile illusionista, si torna alla pittura di scenari in prospettiva ma adesso
vengono aggiunte le figure umane, mentre gli elementi architettonici non sono dipinti ma realizzati
in rilievo con lo stucco.
VILLA DEI MISTERI

Gli affreschi nella Sala del Triclinio della Villa dei Misteri a Pompei sono un momento di pittura
altissimo per qualsiasi epoca e latitudine. La loro visione non può che lasciare attoniti e pensosi.

Gli affreschi hanno circa duemila anni. Anche se poco si è salvato del probabilmente immenso
patrimonio figurativo dell’antichità romana, sono con certezza un capolavoro. Lo sono se li mettiamo a
confronto con quanto è fin qui venuto alla luce a Pompei e ad Ercolano ma anche, non sembri fuori
luogo, con i grandi maestri del nostro Rinascimento. Per meglio comprendere la qualità raggiunta dalla
arte romana, la visita del Museo Archeologico di Napoli è un must. A tal proposito, potete leggere
Affascinanti sono anche le ipotesi sulla figura del committente. Certamente un personaggio di grandi
mezzi finanziari, come anche l’importanza della villa nella quale si trovano lascia intendere. Secondo
alcune ipotesi, si potrebbe trattare addirittura di Livia, moglie dell’imperatore Augusto.

Se ciò fosse, questo farebbe datare gli affreschi della Villa dei Misteri prima del 23 d.C., anno della
morte di Livia.

Si tratta di un ciclo che corre lungo le pareti della sala e può essere diviso in nove scene. Potrebbero
rappresentare le fasi della preparazione di una sposa al suo matrimonio oppure – ipotesi più seducente –
l’iniziazione di una giovane donna a riti misterici. A quelli di Dioniso, per la precisione.

In altre parole, potrebbe trattarsi della rappresentazione del percorso che conduce allo sposalizio di una
sua sacerdotessa con Dioniso. Una situazione nella quale matrimonio ed iniziazione divengono l’una
propedeutica all’altro.

Colosseo
Colosseo La più nota di tali costruzioni dedicate al divertimento è certamente
l'Anfiteatro Flavio a Roma Figg. 8.56-8.62, meglio conosciuto come Colosseo,
termine con il quale lo si identifica fin dal Medioevo, sia per le dimensioni colossali
sia perché nei suoi pressi era collocato il Colosso di Nerone, una statua di grandi
dimensioni rappresentante l'imperatore. L'anfiteatro sorge sul luogo un tempo
occupato da un lago artificiale negli immensi giardini della Domus Aurea, la sontuosa
residenza neroniana. Con la restituzione ai cittadini romani del sito privatizzato da
Nerone, la nuova dinastia dei Flavi intendeva rendere evidente la differenza tra il
vecchio ordine e il nuovo principato. La grandiosa costruzione venne iniziata sotto
Vespasiano (69-79 d.C.) nel 70 d.C. Inaugurata nell'80 d.C. durante il regno di Tito
(79-81 d.C.), fu conclusa da Domiziano (81-96 d.C.) negli anni immediatamente
successivi. Di forma ellittica, l'anfiteatro ha dimensioni massime in pianta di
188×156 metri, un'altezza di 50 metri circa e poteva contenere tra i 50000 e i 73000
spettatori Fig. 8.58. L'edificio, in massima parte costruito con tufo e laterizi, è
rivestito sia esternamente sia interna mente in pregiato travertino. Le strutture voltate,
invece, sono tutte realizzate in opus caementicium. La faccia esterna si compone di
quattro piani Figg. 8.57 e 8.60. I tre inferiori sono costituiti da una successione di 80
arcate su pilastri per ciascun livello; ognuna di esse, al piano terreno, consentiva
l'accesso ai vari settori dell'immensa cavea inter na Fig. 8.59. Nei piani superiori le
arcate inquadravano delle statue.

Per la prima volta gli ordini architettonici si sovrappongono, nella facciata curvilinea,
secondo la loro completa successione (dorico, ionico e corinzio) Fig. 8.60, anche se
l'ordine dorico del piano ter reno è sostituito dal tuscanico (che consiste in un dorico
con l'aggiunta della base). Al di sopra del terzo livello (le cui semicolonne sono
corinzie) è situato un attico in muratura continua Fig. 8.61. Le corinzie ne spartiscono
la superficie in spazi alternati occupati da finestroni squadrati. Le mensole a gola
dritta sporgenti a due terzi circa dell'altezza dell'attico costituivano la base d'appoggio
per le antenne lignee che - passanti entro canali ricavati nell'architrave e nel fregio e
stretti dalla cornice sporgente - avevano la funzione di sorreggere il velario, una
grande copertura di stoffa che, all'occorrenza, poteva essere rapidamente spiegata da
un apposito gruppo di marinai della flotta romana, allo scopo di proteggere gli spetta
tori dal sole o dalla pioggia. Il pubblico accedeva alle gradinate tramite i vomitòria
(vomitòri, sing. vomitòrium) Fig. 8.59, 5, gli ingressi che riuscivano a convogliare
velocemente un gran numero di persone ai corridoi anulari di smistamento. La vasta
cavea era divisa in senso orizzontale in tre settori detti maeniana (gallerie), come nei
te ridurre la atri. Quella superiore 4 aveva le gradinate di le gno (maenianum
summum in ligneis) per: spinta delle volte (sulle quali erano appoggiate) contro la
parete dell'attico, la meno spessa, quindi anche la meno resistente. Al di sopra dell'ulti
ma galleria, un ampio corridoio con balconata offriva solo posti in piedi 6. Due
ingressi ai due lati opposti lungo l'asse maggiore davano l'accesso diretto all'arena, lo
spazio più basso, cosparso di sabbia (che in latino è detta, per l'appunto, arena), dove
si svolgevano gli spettacoli Fig. 8.62. Men tre nei teatri si portavano in scena recite in
senso proprio, negli anfiteatri avevano luogo spettacoli grandiosi, della durata anche
di molti giorni, qua li, ad esempio, le battaglie navali - o naumachie - e anche
combattimenti tra gladiatori e tra uomini e animali feroci. Le mutate condizioni della
città di Roma nel Medioevo, diminuita di importanza e ridotta di popolazione,
trasformarono il Colosseo, oltre che in oggetto di grande meraviglia, anche in cava e
deposito di pietra che, contrariamente alle cave naturali, offriva materiale già lavorato
e pronto per l'uso.

Colonna Traiana

Colonna Traiana La Colonna Traiana Fig. 8.122, capolavoro della creatività romana,
venne eretta tra il 110 e il 113 d.C. nel Foro di Traiano Fig. 8.123, 6, per celebrare le
due campagne vittoriose dell'imperatore in Dacia (territorio pressoché corrispondente
all'attuale Romania) nel 101-102 e nel 105-107 d.C. Un tempo la colonna era posta
tra due biblioteche (verosimilmente l'una latina e l'altra greca) 7, ave va alle spalle la
Basilica Ulpia 5 ed era fronteggiata dal Tempio del Divo Traiano e della Diva Plotina
9 (per quanto la presenza del tempio sia ancora una questione dibattuta). La
circondava una stretta peristasi di colonne corinzie che aveva un'altezza tale da
consentire la visione della sola parte basamentale e di un breve tratto del fusto. La
grandiosa colonna, di ordine tuscanico, è composta da un toro ornato di foglie di
alloro Fig. 8.126, 2, da un fusto formato da 17 rocchi di marmo 3 e dal capitello 5,
che sommano complessivamente 29,78 metri di altezza, cioè 100 piedi ro mani. Tali
dimensioni attestano la profondità dello sbancamento a cui era stata sottoposta l'area
tra i colli del Quirinale e del Campidoglio per realizzare il Foro di Traiano, come
informa l'iscrizione di una tavola sorretta da due Vittorie alate poste al di sopra
dell'ingresso Fig. 8.130. Se a questa dimensione aggiungiamo l'alto piedistallo Fig.
8.126,1 e il supporto della statua dell'imperatore 6 (attualmente sostituita da quella di
San Pietro) l'altezza complessiva ammonta a 39,86 metri. Il piedistallo ha una base
liscia terminante a go la, quattro facce recanti un fregio con composizi ni di armi e
armature conquistate ai nemici, infine una cornice ornata da festoni sostenuti da
quattro aquile disposte sugli spigoli del plinto sovrastante Fig. 8.129. Sul lato Sud-
orientale del piedistallo si apre la porta di ingresso Fig. 8.130. Essa conduce a una
rampa di scale, introduttiva alla scala a chioccio la che percorre il fusto cavo della
colonna, nonché a tre piccole stanze Fig. 8.127. Di esse la più interna custodiva due
urne d'oro con le ceneri di Traiano e della consorte Plotina. Il monumento e, quindi,
allo stesso tempo storico-celebrativo e funerario. La colonna, i cui diametri
all'imoscapo e al sommoscapo sono rispettivamente di 3,70 me tri e di 3,20 metri, è
dotata di una lievissima en tasi ed è percorsa da 24 scanalature affioranti per un breve
tratto al di sotto dell'echino a ovoli e dar di Fig. 8.128. Essa è interamente fasciata da
un lun go nastro figurato che narra i fatti più importanti accaduti nelle due guerre di
Dacia. Avvolgendosi, il nastro forma una spirale e la colonna è detta per ciò còclide
(dal greco kochlis, chiocciola, quindi, per estensione, «a forma di chiocciola»).
L'altezza del nastro varia da 60 a 80 centimetri via via che si avvicina alla sommità
del fusto, per ché in tal modo, visto dal basso l'effetto prospettico lo fa apparire di
dimensione costante. Dalle terrazze della Basilica Ulpia e delle biblio teche una
porzione della narrazione era visibile a distanza ravvicinata, ma per la maggior parte
gli episodi raffigurati erano lontani da chi guardava, data l'altezza notevole della
colonna, che superava di gran lunga quella degli edifici circonvicini. Per l'elevata
qualità dei rilievi e la genialità imma ginativa e compositiva rivelata dal monumento,
si è tradizionalmente indicato l'autore della colonna con il nome di Maestro delle
imprese di Traiano o, più semplicemente, Maestro di Traiano, oggi unanimemente
riconosciuto in Apollodoro di Damasco, l'architetto del Foro di Traiano e del
Pantheon, che aveva ac compagnato l'imperatore nelle campagne di Dacia. Al fregio
di età ellenistica, quasi sempre a sogget to mitologico anche se di carattere
celebrativo (qua le, ad esempio, l'Altare di Pergamo > Fig. 6.29), l'arti sta sostituisce
un'attenzione speciale alla storia, che viene raccontata secondo il suo esatto
svolgimento. L'autore si è servito del rilievo molto basso per ottenere effetti pittorici,
mentre alcuni particolari sono addirittura incavati e non rilevati. L'arretramento dei
piani, infatti, suggerisce un'impressione di grande profondità spaziale. Una linea di
contorno, ottenuta con l'impiego del trapano, delimita spesso le figure che risalta no
maggiormente contro il fondo. Infatti il solco ombreggiato rinforza, infonde vigore ed
evidenzia quanto circonda, conferendo al rilievo la qualità e le caratteristiche di un
disegno. La porzione inferiore della colonna mostra epi sodi inerenti alla prima
campagna di Dacia, che prende l'avvio con il passaggio del Danubio, men tre alla
seconda è destinata la restante parte, che incomincia con l'imbarco dal porto di
Ancona e l'attraversamento dell'Adriatico. Le due campagne sono separate dalla
figura della Vittoria alata che scrive le imprese di Traiano su uno scudo Fig. 8.131 La
postura della dea ripropone l'invenzione lisippea delle braccia che attraversano in
senso diagonale il busto e che si era sviluppata in non poche statue raffiguranti
Venere Fig. 8.132 Ep.117. La Vittoria ha il piede sinistro poggiato su un oggetto e,
pertanto, il ginocchio è piegato. Il busto è ruotato verso destra e la figura, mentre
trattiene lo scudo con la sinistra, con l'altra mano scrive. Fra le prime
rappresentazioni, quelle poste nel la parte inferiore della colonna, compare
l'allestimento di un poderoso sistema di fortificazioni nel territorio dei Daci, sulla
sponda sinistra del Danubio Fig. 8.133. La scena è resa descrivendo le attività dei
soldati intenti a costruire e prestando la massi ma attenzione sia alla conformazione
degli edifici e del ponte sia alla raffigurazione realistica da cui derivano le giuste
proporzioni del corpo umano. Alla fine della seconda campagna militare (siamo quasi
al sommoscapo) si colloca, invece, la por zione di nastro con la rappresentazione del
suicidio di Decebalo, il re dei Daci Fig. 8.134. Questi, caduto a terra, braccato in un
bosco dai soldati romani, circondato e senza più via di scampo, non desiderando
cadere nelle loro mani vivo, si dà la morte sotto un albero ricurvo, quasi un'ultima
protezione offertagli dalla sua terra, volgendo fieramente lo sguardo al nemico
vincitore. Già in precedenza l'artista aveva rappresentato una scena di suicidio
collettivo di Daci, disperati per l'impossibilità di ottenere la vittoria. In entrambi i
casi, mostrando di rendere onore alla grandezza morale del nemico vinto, Apollodoro
in realtà esalta le virtù dei Romani, capaci di rispetto e ammirazione anche per la
condotta dignitosa e coraggiosa di coloro che essi consideravano barbari. A poco
meno di un secolo di distanza, la mentalità romana sarà così profondamente mutata
da mostrarsi incapace di giudizi positivi nei riguardi dei vinti. È quello che si noterà
nei rilievi della Colonna di Marco Aurelio e sarà il sintomo dell'inizio della fine del
mondo antico.

Pantheon
Il più compiuto e importante esempio di architettura templare verrà creato solo in epo
ca imperiale quando, alla fine del regno di Traiano (53-117 d.C.) - come è stato
recentemente sugge rito (2015), supportando un'ipotesi formulata negli anni Settanta
del secolo scorso - venne ricostruito il Pantheon (112/115-ca 124 d.C.) Fig. 8.31
molto verosimilmente a opera di Apollodoro di Dama sco, l'architetto preferito da
Traiano > p. 177. Sino a poco tempo fa il tempio, concluso sotto Adriano (117-138
d.C.) e dedicato tra il 125 e 127 d.C., veniva collocato cronologicamente negli anni
118 128 d.C. Un precedente tempio, ugualmente dedicato a tutti gli dei (dal greco
pan, tutto, e theòs, divini tà), era stato costruito per volontà di Marco Vipsa nio
Agrippa (63-12 a.C.), amico, collaboratore e poi genero di Augusto, nel 27 a.C., ma
era andato completamente distrutto da un incendio. A cella trasversale preceduta da
un piccolo pronao, il suo orientamento era opposto a quello dell'attuale edi ficio, che,
tuttavia, ne riutilizzò le fondamenta, se condo un corretto criterio di risparmio Fig.
8.32. Mentre oggi l'architettura del Pantheon è im mediatamente leggibile nella sua
totalità, essendo il monumento isolato al centro di uno spazio libe ro, l'antico
visitatore raggiungeva l'edificio attra versando una stretta piazza porticata Fig. 8.33.
Du rante il percorso era possibile vedere solo il fronte dell'ampio pronao del tempio,
con il timpano sor retto da otto colonne e recante al centro un'aquila bronzea (simbolo
dell'impero e di Giove Fig. 8.34): il suo aspetto esteriore, perciò, era quello di un tra
dizionale tempio octastilo. Oltrepassato il profondo pronao, entrando nel tempio il
senso dello spazio mutava all'improvviso e in modo del tutto stupefacente. L'antico
visita tore, così come accade a quello moderno, veniva assalito da un senso di
smarrimento, trovandosi in un ambiente circolare di dimensioni quasi sopran naturali,
talmente avvolgente da dare l'impressio ne di essere sospesi al centro di una grande
sfera cava Fig. 8.35.
La facciata convenzionale del tempio, paragona ta alla novità dello spazio interno,
dimostra quanta più importanza i Romani attribuissero a quest'ul timo e quanto poca,
invece, ne riservassero agli esterni. Il pronao è composto da tre file di colonne corin
zie monolitiche, non scanalate, di granito egizio: le otto frontali sono grigie, le altre
otto rosse e dispo ste su due file di quattro colonne ciascuna. milmente, nel progetto
la loro dimensione doveva essere maggiore, in modo da assecondare un tim pano
collocato a una quota più elevata Fig. 8.36. Il pronao è unito alla rotonda retrostante
da un elemento intermedio - un avancorpo a forma di parallelepipedo. Ne
contraddistinguono il fronte due grandi nicchie Fig. 8.37, affiancate da solidi pilastri
rivestiti di marmo, in asse con le colonne dello stesso pronao, che risulta diviso in tre
navate. Il portale della rotonda è introdotto da un vano coperto da una volta a botte
con cinque lacunari, impostata su un architrave sostenuto da due coppie di lesene Fig.
8.38. L'attuale soluzione a vista della copertura del pronao (la cui trabeazione è
sormontata da pila strini e archi sorreggenti gli spioventi del tetto) non corrisponde
più all'aspetto che le aveva conferito l'architetto, il quale l'aveva dotata di un
rivestimen to bronzeo. La muratura piena dell'avancorpo costituisce anche
strutturalmente la connessione fra due dif ferenti concezioni architettoniche: il
pronao, in pie tra e trabeato; la rotonda, in muratura e opus caementicium, voltata.
Una cornice mediana e una in sommità legano esternamente la rotonda e l'avan corpo
Fig. 8.39. La rotonda, il cui diametro interno misura 43,21 metri Fig. 8.40, d, si
compone di una struttura cilindrica e di una soprastante cupola emisferica. L'altezza
del cilindro e il raggio della semisfera (d/2) sono identici: ciò vuol dire che
all'interno dell'edificio si inscrive idealmente una sfera. Inoltre la distanza fra la
cornice dell'ordine inferiore e la sommità della cupola b è pari al lato del quadra to
inscritto nella circonferenza del vano interno a. Il cilindro (o tamburo) ha uno
spessore di circa 6 metri ed è profondamente scavato all'interno da sette nicchie (gli
spazi vuoti sono otto se vi prendiamo anche quello dell'ingresso). Queste
alternativamente di forma quadrangolare o semicircolare, sono inquadrate da pilastri
Fig. 841 € schermate da due colonne corinzie dal fusto scane lato, in pavonazzetto o
in giallo antico, che costuiscono il passaggio dal buio profondo della micchia alla
luminosità del grande vano cupolato, Al di sopra di esse corre una trabeazione
anulare (cice a forma di anello) Fig. 8.35 che sporge solo in cor rispondenza delle
colonne che affiancano l'abside Lesene angolari (piegate ad angolo) sottolineano gli
spigoli interni delle nicchie quadrangolari. Nel lo spazio fra una nicchia e l'altra sono
introdotte delle edicole timpanate su alto basamento, che un tempo accoglievano
statue di divinità. La gigantesca massa muraria è alleggerita, oltre che dalle nicchie,
anche da cavità interne alle quali gli architetti del Rinascimento attribuirono la
capacità di rendere la struttura del Pantheon asismica Esternamente, nel corpo
cilindrico, si rendono evidenti numerosi archi di scarico di mattoni, archi, cioè, che
attraversano l'intero spessore murario e che liberano la zona sottostante dal peso
superiore. indirizzandolo verso le imposte Fig. 8.42. La cupola emisferica è
fortemente rinfiancata tanto che, esternamente, il suo profilo appare ribassato, cioè
meno di mezza sfera, ed è realizzata in calcestruzzo, nella cui composizione, via via
che ci si avvicina alla sommità, intervengono materiali sempre più leggeri Fig. 8.43.
Un oculo zenitàle, del notevole diametro di qua si 9 metri, rappresenta l'unica fonte di
luce per grande vano rotondo Fig. 8.44. All'interno la cupola ha cinque anelli
concentri ci di 28 cassettoni (o lacunari) quadrangolari cia scuno, che alleggeriscono
la struttura (sono infatti degli incavi nello spessore della cupola stessa), ma hanno
anche lo scopo di renderla più resistente tra mite la maglia di nervature che si viene a
forma re Fig. 8.45. La scelta del ventotto quale numero dei lacunari di ogni anello ha
un significato simbolico. I matema tici, infatti, a partire da Euclide (IV-III secolo
a.C.), che ne scrive negli Elementa (Elementi), il suo tratta to di geometria e
aritmetica, chiamano il ventotto <numero perfetto»>. L'aver fatto ricorso a questo
numero sarà sembrato all'architetto del Pantheon una scelta più che opportuna per
simboleggiare il divino. E già la for ma della cupola e le proporzioni del tamburo, con
la conseguente possibilità di immaginare una sfera idealmente inscritta all'interno
della struttura, costituiscono un'allusione all'eccellenza. Infatti la filosofia greca
considera la sfera il solido geometri co perfetto, simbolo della volta celeste e del
creato. L'edificio venne consacrato alla Vergine (Santa Maria ad Martyres) nel 609.
Fu questa la ragione per cui, unico fra le antiche costruzioni templari, ci è pervenuto
quasi integro non avendo subito le devastazioni a cui invece furono sottoposti i templi
pagani dopo il 391, anno in cui l'imperatore Teodosio il Grande (347-395) ne decretò
la definitiva chiusura. La copertura in tegole di bronzo dorato e le decorazioni a
rosette dei cassettoni, che rendevano il tempio ancor più fastoso di quanto già non
fosse per l'impiego di materiali rari e preziosi, furo no asportate nel corso dei secoli e
sono irrimediabilmente perdute > Ant. 54. Ma il ricco pavimento e gran parte del
rivestimento parietale interno in pregiati marmi policromi su cui fissa lo sguardo
l'odierno visitatore, con ammirato stupore, sono gli stessi che procuravano meraviglia
diciannove secoli or sono.

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