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Gli affreschi nella Sala del Triclinio della Villa dei Misteri a Pompei sono un momento di pittura
altissimo per qualsiasi epoca e latitudine. La loro visione non può che lasciare attoniti e pensosi.
Gli affreschi hanno circa duemila anni. Anche se poco si è salvato del probabilmente immenso
patrimonio figurativo dell’antichità romana, sono con certezza un capolavoro. Lo sono se li mettiamo a
confronto con quanto è fin qui venuto alla luce a Pompei e ad Ercolano ma anche, non sembri fuori
luogo, con i grandi maestri del nostro Rinascimento. Per meglio comprendere la qualità raggiunta dalla
arte romana, la visita del Museo Archeologico di Napoli è un must. A tal proposito, potete leggere
Affascinanti sono anche le ipotesi sulla figura del committente. Certamente un personaggio di grandi
mezzi finanziari, come anche l’importanza della villa nella quale si trovano lascia intendere. Secondo
alcune ipotesi, si potrebbe trattare addirittura di Livia, moglie dell’imperatore Augusto.
Se ciò fosse, questo farebbe datare gli affreschi della Villa dei Misteri prima del 23 d.C., anno della
morte di Livia.
Si tratta di un ciclo che corre lungo le pareti della sala e può essere diviso in nove scene. Potrebbero
rappresentare le fasi della preparazione di una sposa al suo matrimonio oppure – ipotesi più seducente –
l’iniziazione di una giovane donna a riti misterici. A quelli di Dioniso, per la precisione.
In altre parole, potrebbe trattarsi della rappresentazione del percorso che conduce allo sposalizio di una
sua sacerdotessa con Dioniso. Una situazione nella quale matrimonio ed iniziazione divengono l’una
propedeutica all’altro.
Colosseo
Colosseo La più nota di tali costruzioni dedicate al divertimento è certamente
l'Anfiteatro Flavio a Roma Figg. 8.56-8.62, meglio conosciuto come Colosseo,
termine con il quale lo si identifica fin dal Medioevo, sia per le dimensioni colossali
sia perché nei suoi pressi era collocato il Colosso di Nerone, una statua di grandi
dimensioni rappresentante l'imperatore. L'anfiteatro sorge sul luogo un tempo
occupato da un lago artificiale negli immensi giardini della Domus Aurea, la sontuosa
residenza neroniana. Con la restituzione ai cittadini romani del sito privatizzato da
Nerone, la nuova dinastia dei Flavi intendeva rendere evidente la differenza tra il
vecchio ordine e il nuovo principato. La grandiosa costruzione venne iniziata sotto
Vespasiano (69-79 d.C.) nel 70 d.C. Inaugurata nell'80 d.C. durante il regno di Tito
(79-81 d.C.), fu conclusa da Domiziano (81-96 d.C.) negli anni immediatamente
successivi. Di forma ellittica, l'anfiteatro ha dimensioni massime in pianta di
188×156 metri, un'altezza di 50 metri circa e poteva contenere tra i 50000 e i 73000
spettatori Fig. 8.58. L'edificio, in massima parte costruito con tufo e laterizi, è
rivestito sia esternamente sia interna mente in pregiato travertino. Le strutture voltate,
invece, sono tutte realizzate in opus caementicium. La faccia esterna si compone di
quattro piani Figg. 8.57 e 8.60. I tre inferiori sono costituiti da una successione di 80
arcate su pilastri per ciascun livello; ognuna di esse, al piano terreno, consentiva
l'accesso ai vari settori dell'immensa cavea inter na Fig. 8.59. Nei piani superiori le
arcate inquadravano delle statue.
Per la prima volta gli ordini architettonici si sovrappongono, nella facciata curvilinea,
secondo la loro completa successione (dorico, ionico e corinzio) Fig. 8.60, anche se
l'ordine dorico del piano ter reno è sostituito dal tuscanico (che consiste in un dorico
con l'aggiunta della base). Al di sopra del terzo livello (le cui semicolonne sono
corinzie) è situato un attico in muratura continua Fig. 8.61. Le corinzie ne spartiscono
la superficie in spazi alternati occupati da finestroni squadrati. Le mensole a gola
dritta sporgenti a due terzi circa dell'altezza dell'attico costituivano la base d'appoggio
per le antenne lignee che - passanti entro canali ricavati nell'architrave e nel fregio e
stretti dalla cornice sporgente - avevano la funzione di sorreggere il velario, una
grande copertura di stoffa che, all'occorrenza, poteva essere rapidamente spiegata da
un apposito gruppo di marinai della flotta romana, allo scopo di proteggere gli spetta
tori dal sole o dalla pioggia. Il pubblico accedeva alle gradinate tramite i vomitòria
(vomitòri, sing. vomitòrium) Fig. 8.59, 5, gli ingressi che riuscivano a convogliare
velocemente un gran numero di persone ai corridoi anulari di smistamento. La vasta
cavea era divisa in senso orizzontale in tre settori detti maeniana (gallerie), come nei
te ridurre la atri. Quella superiore 4 aveva le gradinate di le gno (maenianum
summum in ligneis) per: spinta delle volte (sulle quali erano appoggiate) contro la
parete dell'attico, la meno spessa, quindi anche la meno resistente. Al di sopra dell'ulti
ma galleria, un ampio corridoio con balconata offriva solo posti in piedi 6. Due
ingressi ai due lati opposti lungo l'asse maggiore davano l'accesso diretto all'arena, lo
spazio più basso, cosparso di sabbia (che in latino è detta, per l'appunto, arena), dove
si svolgevano gli spettacoli Fig. 8.62. Men tre nei teatri si portavano in scena recite in
senso proprio, negli anfiteatri avevano luogo spettacoli grandiosi, della durata anche
di molti giorni, qua li, ad esempio, le battaglie navali - o naumachie - e anche
combattimenti tra gladiatori e tra uomini e animali feroci. Le mutate condizioni della
città di Roma nel Medioevo, diminuita di importanza e ridotta di popolazione,
trasformarono il Colosseo, oltre che in oggetto di grande meraviglia, anche in cava e
deposito di pietra che, contrariamente alle cave naturali, offriva materiale già lavorato
e pronto per l'uso.
Colonna Traiana
Colonna Traiana La Colonna Traiana Fig. 8.122, capolavoro della creatività romana,
venne eretta tra il 110 e il 113 d.C. nel Foro di Traiano Fig. 8.123, 6, per celebrare le
due campagne vittoriose dell'imperatore in Dacia (territorio pressoché corrispondente
all'attuale Romania) nel 101-102 e nel 105-107 d.C. Un tempo la colonna era posta
tra due biblioteche (verosimilmente l'una latina e l'altra greca) 7, ave va alle spalle la
Basilica Ulpia 5 ed era fronteggiata dal Tempio del Divo Traiano e della Diva Plotina
9 (per quanto la presenza del tempio sia ancora una questione dibattuta). La
circondava una stretta peristasi di colonne corinzie che aveva un'altezza tale da
consentire la visione della sola parte basamentale e di un breve tratto del fusto. La
grandiosa colonna, di ordine tuscanico, è composta da un toro ornato di foglie di
alloro Fig. 8.126, 2, da un fusto formato da 17 rocchi di marmo 3 e dal capitello 5,
che sommano complessivamente 29,78 metri di altezza, cioè 100 piedi ro mani. Tali
dimensioni attestano la profondità dello sbancamento a cui era stata sottoposta l'area
tra i colli del Quirinale e del Campidoglio per realizzare il Foro di Traiano, come
informa l'iscrizione di una tavola sorretta da due Vittorie alate poste al di sopra
dell'ingresso Fig. 8.130. Se a questa dimensione aggiungiamo l'alto piedistallo Fig.
8.126,1 e il supporto della statua dell'imperatore 6 (attualmente sostituita da quella di
San Pietro) l'altezza complessiva ammonta a 39,86 metri. Il piedistallo ha una base
liscia terminante a go la, quattro facce recanti un fregio con composizi ni di armi e
armature conquistate ai nemici, infine una cornice ornata da festoni sostenuti da
quattro aquile disposte sugli spigoli del plinto sovrastante Fig. 8.129. Sul lato Sud-
orientale del piedistallo si apre la porta di ingresso Fig. 8.130. Essa conduce a una
rampa di scale, introduttiva alla scala a chioccio la che percorre il fusto cavo della
colonna, nonché a tre piccole stanze Fig. 8.127. Di esse la più interna custodiva due
urne d'oro con le ceneri di Traiano e della consorte Plotina. Il monumento e, quindi,
allo stesso tempo storico-celebrativo e funerario. La colonna, i cui diametri
all'imoscapo e al sommoscapo sono rispettivamente di 3,70 me tri e di 3,20 metri, è
dotata di una lievissima en tasi ed è percorsa da 24 scanalature affioranti per un breve
tratto al di sotto dell'echino a ovoli e dar di Fig. 8.128. Essa è interamente fasciata da
un lun go nastro figurato che narra i fatti più importanti accaduti nelle due guerre di
Dacia. Avvolgendosi, il nastro forma una spirale e la colonna è detta per ciò còclide
(dal greco kochlis, chiocciola, quindi, per estensione, «a forma di chiocciola»).
L'altezza del nastro varia da 60 a 80 centimetri via via che si avvicina alla sommità
del fusto, per ché in tal modo, visto dal basso l'effetto prospettico lo fa apparire di
dimensione costante. Dalle terrazze della Basilica Ulpia e delle biblio teche una
porzione della narrazione era visibile a distanza ravvicinata, ma per la maggior parte
gli episodi raffigurati erano lontani da chi guardava, data l'altezza notevole della
colonna, che superava di gran lunga quella degli edifici circonvicini. Per l'elevata
qualità dei rilievi e la genialità imma ginativa e compositiva rivelata dal monumento,
si è tradizionalmente indicato l'autore della colonna con il nome di Maestro delle
imprese di Traiano o, più semplicemente, Maestro di Traiano, oggi unanimemente
riconosciuto in Apollodoro di Damasco, l'architetto del Foro di Traiano e del
Pantheon, che aveva ac compagnato l'imperatore nelle campagne di Dacia. Al fregio
di età ellenistica, quasi sempre a sogget to mitologico anche se di carattere
celebrativo (qua le, ad esempio, l'Altare di Pergamo > Fig. 6.29), l'arti sta sostituisce
un'attenzione speciale alla storia, che viene raccontata secondo il suo esatto
svolgimento. L'autore si è servito del rilievo molto basso per ottenere effetti pittorici,
mentre alcuni particolari sono addirittura incavati e non rilevati. L'arretramento dei
piani, infatti, suggerisce un'impressione di grande profondità spaziale. Una linea di
contorno, ottenuta con l'impiego del trapano, delimita spesso le figure che risalta no
maggiormente contro il fondo. Infatti il solco ombreggiato rinforza, infonde vigore ed
evidenzia quanto circonda, conferendo al rilievo la qualità e le caratteristiche di un
disegno. La porzione inferiore della colonna mostra epi sodi inerenti alla prima
campagna di Dacia, che prende l'avvio con il passaggio del Danubio, men tre alla
seconda è destinata la restante parte, che incomincia con l'imbarco dal porto di
Ancona e l'attraversamento dell'Adriatico. Le due campagne sono separate dalla
figura della Vittoria alata che scrive le imprese di Traiano su uno scudo Fig. 8.131 La
postura della dea ripropone l'invenzione lisippea delle braccia che attraversano in
senso diagonale il busto e che si era sviluppata in non poche statue raffiguranti
Venere Fig. 8.132 Ep.117. La Vittoria ha il piede sinistro poggiato su un oggetto e,
pertanto, il ginocchio è piegato. Il busto è ruotato verso destra e la figura, mentre
trattiene lo scudo con la sinistra, con l'altra mano scrive. Fra le prime
rappresentazioni, quelle poste nel la parte inferiore della colonna, compare
l'allestimento di un poderoso sistema di fortificazioni nel territorio dei Daci, sulla
sponda sinistra del Danubio Fig. 8.133. La scena è resa descrivendo le attività dei
soldati intenti a costruire e prestando la massi ma attenzione sia alla conformazione
degli edifici e del ponte sia alla raffigurazione realistica da cui derivano le giuste
proporzioni del corpo umano. Alla fine della seconda campagna militare (siamo quasi
al sommoscapo) si colloca, invece, la por zione di nastro con la rappresentazione del
suicidio di Decebalo, il re dei Daci Fig. 8.134. Questi, caduto a terra, braccato in un
bosco dai soldati romani, circondato e senza più via di scampo, non desiderando
cadere nelle loro mani vivo, si dà la morte sotto un albero ricurvo, quasi un'ultima
protezione offertagli dalla sua terra, volgendo fieramente lo sguardo al nemico
vincitore. Già in precedenza l'artista aveva rappresentato una scena di suicidio
collettivo di Daci, disperati per l'impossibilità di ottenere la vittoria. In entrambi i
casi, mostrando di rendere onore alla grandezza morale del nemico vinto, Apollodoro
in realtà esalta le virtù dei Romani, capaci di rispetto e ammirazione anche per la
condotta dignitosa e coraggiosa di coloro che essi consideravano barbari. A poco
meno di un secolo di distanza, la mentalità romana sarà così profondamente mutata
da mostrarsi incapace di giudizi positivi nei riguardi dei vinti. È quello che si noterà
nei rilievi della Colonna di Marco Aurelio e sarà il sintomo dell'inizio della fine del
mondo antico.
Pantheon
Il più compiuto e importante esempio di architettura templare verrà creato solo in epo
ca imperiale quando, alla fine del regno di Traiano (53-117 d.C.) - come è stato
recentemente sugge rito (2015), supportando un'ipotesi formulata negli anni Settanta
del secolo scorso - venne ricostruito il Pantheon (112/115-ca 124 d.C.) Fig. 8.31
molto verosimilmente a opera di Apollodoro di Dama sco, l'architetto preferito da
Traiano > p. 177. Sino a poco tempo fa il tempio, concluso sotto Adriano (117-138
d.C.) e dedicato tra il 125 e 127 d.C., veniva collocato cronologicamente negli anni
118 128 d.C. Un precedente tempio, ugualmente dedicato a tutti gli dei (dal greco
pan, tutto, e theòs, divini tà), era stato costruito per volontà di Marco Vipsa nio
Agrippa (63-12 a.C.), amico, collaboratore e poi genero di Augusto, nel 27 a.C., ma
era andato completamente distrutto da un incendio. A cella trasversale preceduta da
un piccolo pronao, il suo orientamento era opposto a quello dell'attuale edi ficio, che,
tuttavia, ne riutilizzò le fondamenta, se condo un corretto criterio di risparmio Fig.
8.32. Mentre oggi l'architettura del Pantheon è im mediatamente leggibile nella sua
totalità, essendo il monumento isolato al centro di uno spazio libe ro, l'antico
visitatore raggiungeva l'edificio attra versando una stretta piazza porticata Fig. 8.33.
Du rante il percorso era possibile vedere solo il fronte dell'ampio pronao del tempio,
con il timpano sor retto da otto colonne e recante al centro un'aquila bronzea (simbolo
dell'impero e di Giove Fig. 8.34): il suo aspetto esteriore, perciò, era quello di un tra
dizionale tempio octastilo. Oltrepassato il profondo pronao, entrando nel tempio il
senso dello spazio mutava all'improvviso e in modo del tutto stupefacente. L'antico
visita tore, così come accade a quello moderno, veniva assalito da un senso di
smarrimento, trovandosi in un ambiente circolare di dimensioni quasi sopran naturali,
talmente avvolgente da dare l'impressio ne di essere sospesi al centro di una grande
sfera cava Fig. 8.35.
La facciata convenzionale del tempio, paragona ta alla novità dello spazio interno,
dimostra quanta più importanza i Romani attribuissero a quest'ul timo e quanto poca,
invece, ne riservassero agli esterni. Il pronao è composto da tre file di colonne corin
zie monolitiche, non scanalate, di granito egizio: le otto frontali sono grigie, le altre
otto rosse e dispo ste su due file di quattro colonne ciascuna. milmente, nel progetto
la loro dimensione doveva essere maggiore, in modo da assecondare un tim pano
collocato a una quota più elevata Fig. 8.36. Il pronao è unito alla rotonda retrostante
da un elemento intermedio - un avancorpo a forma di parallelepipedo. Ne
contraddistinguono il fronte due grandi nicchie Fig. 8.37, affiancate da solidi pilastri
rivestiti di marmo, in asse con le colonne dello stesso pronao, che risulta diviso in tre
navate. Il portale della rotonda è introdotto da un vano coperto da una volta a botte
con cinque lacunari, impostata su un architrave sostenuto da due coppie di lesene Fig.
8.38. L'attuale soluzione a vista della copertura del pronao (la cui trabeazione è
sormontata da pila strini e archi sorreggenti gli spioventi del tetto) non corrisponde
più all'aspetto che le aveva conferito l'architetto, il quale l'aveva dotata di un
rivestimen to bronzeo. La muratura piena dell'avancorpo costituisce anche
strutturalmente la connessione fra due dif ferenti concezioni architettoniche: il
pronao, in pie tra e trabeato; la rotonda, in muratura e opus caementicium, voltata.
Una cornice mediana e una in sommità legano esternamente la rotonda e l'avan corpo
Fig. 8.39. La rotonda, il cui diametro interno misura 43,21 metri Fig. 8.40, d, si
compone di una struttura cilindrica e di una soprastante cupola emisferica. L'altezza
del cilindro e il raggio della semisfera (d/2) sono identici: ciò vuol dire che
all'interno dell'edificio si inscrive idealmente una sfera. Inoltre la distanza fra la
cornice dell'ordine inferiore e la sommità della cupola b è pari al lato del quadra to
inscritto nella circonferenza del vano interno a. Il cilindro (o tamburo) ha uno
spessore di circa 6 metri ed è profondamente scavato all'interno da sette nicchie (gli
spazi vuoti sono otto se vi prendiamo anche quello dell'ingresso). Queste
alternativamente di forma quadrangolare o semicircolare, sono inquadrate da pilastri
Fig. 841 € schermate da due colonne corinzie dal fusto scane lato, in pavonazzetto o
in giallo antico, che costuiscono il passaggio dal buio profondo della micchia alla
luminosità del grande vano cupolato, Al di sopra di esse corre una trabeazione
anulare (cice a forma di anello) Fig. 8.35 che sporge solo in cor rispondenza delle
colonne che affiancano l'abside Lesene angolari (piegate ad angolo) sottolineano gli
spigoli interni delle nicchie quadrangolari. Nel lo spazio fra una nicchia e l'altra sono
introdotte delle edicole timpanate su alto basamento, che un tempo accoglievano
statue di divinità. La gigantesca massa muraria è alleggerita, oltre che dalle nicchie,
anche da cavità interne alle quali gli architetti del Rinascimento attribuirono la
capacità di rendere la struttura del Pantheon asismica Esternamente, nel corpo
cilindrico, si rendono evidenti numerosi archi di scarico di mattoni, archi, cioè, che
attraversano l'intero spessore murario e che liberano la zona sottostante dal peso
superiore. indirizzandolo verso le imposte Fig. 8.42. La cupola emisferica è
fortemente rinfiancata tanto che, esternamente, il suo profilo appare ribassato, cioè
meno di mezza sfera, ed è realizzata in calcestruzzo, nella cui composizione, via via
che ci si avvicina alla sommità, intervengono materiali sempre più leggeri Fig. 8.43.
Un oculo zenitàle, del notevole diametro di qua si 9 metri, rappresenta l'unica fonte di
luce per grande vano rotondo Fig. 8.44. All'interno la cupola ha cinque anelli
concentri ci di 28 cassettoni (o lacunari) quadrangolari cia scuno, che alleggeriscono
la struttura (sono infatti degli incavi nello spessore della cupola stessa), ma hanno
anche lo scopo di renderla più resistente tra mite la maglia di nervature che si viene a
forma re Fig. 8.45. La scelta del ventotto quale numero dei lacunari di ogni anello ha
un significato simbolico. I matema tici, infatti, a partire da Euclide (IV-III secolo
a.C.), che ne scrive negli Elementa (Elementi), il suo tratta to di geometria e
aritmetica, chiamano il ventotto <numero perfetto»>. L'aver fatto ricorso a questo
numero sarà sembrato all'architetto del Pantheon una scelta più che opportuna per
simboleggiare il divino. E già la for ma della cupola e le proporzioni del tamburo, con
la conseguente possibilità di immaginare una sfera idealmente inscritta all'interno
della struttura, costituiscono un'allusione all'eccellenza. Infatti la filosofia greca
considera la sfera il solido geometri co perfetto, simbolo della volta celeste e del
creato. L'edificio venne consacrato alla Vergine (Santa Maria ad Martyres) nel 609.
Fu questa la ragione per cui, unico fra le antiche costruzioni templari, ci è pervenuto
quasi integro non avendo subito le devastazioni a cui invece furono sottoposti i templi
pagani dopo il 391, anno in cui l'imperatore Teodosio il Grande (347-395) ne decretò
la definitiva chiusura. La copertura in tegole di bronzo dorato e le decorazioni a
rosette dei cassettoni, che rendevano il tempio ancor più fastoso di quanto già non
fosse per l'impiego di materiali rari e preziosi, furo no asportate nel corso dei secoli e
sono irrimediabilmente perdute > Ant. 54. Ma il ricco pavimento e gran parte del
rivestimento parietale interno in pregiati marmi policromi su cui fissa lo sguardo
l'odierno visitatore, con ammirato stupore, sono gli stessi che procuravano meraviglia
diciannove secoli or sono.