Sei sulla pagina 1di 179

STORICI ARABI DELLE CROCIATE

a cura di Francesco Gabrieli.


Copyright 1963 Giulio Einaudi editore s. p. a., Torino.

Indice.
Introduzione di Francesco Gabrieli.
Nota bibliografica.
Gli autori e le opere.
PARTE PRIMA "Da Goffredo a Saladino".
1.
Franchi si impadroniscono di Antiochia.
Marcia dei Musulmani contro i Franchi, e quel che ne segu.
Franchi si impadroniscono di Ma'arrat an-Nu'mn.
Franchi si impadroniscono di Gerusalemme.
Cattura di Boemondo di Antiochia.
Morte di Goffredo, e ulteriori conquiste franche.
Saint-Gilles il Franco assedia Tripoli.
Liberazione di Boemondo. Rotta di re Baldovino a Ramla.
Franchi si impadroniscono di Giubail e di Acri.
2.
Spedizione di Suqmn e Cekermsh contro i Franchi.
Baldovino di Edessa e Tancredi di Antiochia.
3.
Caduta di Tripoli.
Caduta di Beirt.
Caduta di Sidone.
Ripercussioni a Baghdd dei fatti di Siria.
Assedio di Tiro.
4.
Disfatta e morte di Ruggero d'Antiochia a Balt.
Morte e caratteristica di Baldovino Secondo.
5.
Zinki, uomo della Provvidenza per l'Islm di Siria.
Zinki conquista la rocca di Ba'rn. Rotta dei Franchi.
Alleanza franco-damascena contro Zinki.
6.
Zinki conquista Edessa.
Morte ed elogio di Zinki.
7.
Seconda Crociata. Assedio di Damasco.
8.
Vittorie di Norandino e suo trionfo a Damasco.
Morte di Norandino.
9.

Scene e costumi franchi.


Cavalleria franca.
Pirateria franca.
Medicina franca.
I Franchi e la gelosia maritale.
Franchi orientalizzati.
I Templari a Gerusalemme.
Riscatto di prigionieri.
Proposta di mandare un figlio in Europa.
Il falcone di Acri.
Piet cristiana e piet musulmana.
PARTE SECONDA "Saladino e la Terza Crociata".
1.
Ritratto morale del Saladino.
Sua giustizia.
Qualche saggio della sua generosit.
Suo coraggio e fermezza.
Suo zelo nella guerra santa.
Sua pazienza e sforzo per guadagnarsi merito presso Dio.
Saggi della sua umanit e indulgenza.
Sua assidua pratica della virt.
2.
Gli antefatti di Hittn.
Discordia dei Franchi di Siria, e passaggio del Conte di Tripoli a Saladino.
Il tradimento del principe Arnt.
Saladino assedia al-Karak.
Incursione sul territorio d'Acri.
Saladino torna al suo esercito e invade la terra dei Franchi.
Battaglia di Hittn.
Il Sultano Saladino entra con l'esercito nel territorio dei Franchi.
Presa di Tiberiade.
Cattura della Gran Croce il giorno della battaglia.
Conquista della rocca di Tiberiade.
Trattamento inflitto da Saladino a Templari e Ospitalieri troncando loro il capo
e rallegrando tutti col loro sterminio.
Riconquista di Gerusalemme.
La Chiesa della Resurrezione.
Descrizione di Gerusalemme.
Il giorno della conquista, diciassette di ragiab.
Stato dei Franchi alla loro uscita da Gerusalemme.
Opere buone che il Sultano comp in Gerusalemme, e opere cattive che cancell.
Descrizione della venerata Roccia, che Iddio la tenga fiorente!
Dell'Oratorio di Davide, e altri nobili santuari. Soppressione delle chiese, e i
stituzione delle mdrase.
3.
Corrado di Monferrato a Tiro; vano assedio di Saladino.
4.
Marcia dei Franchi su Acri, e suo assedio.
Altra battaglia, e battaglia degli Arabi.
La battaglia campale sotto Acri.
Saladino si allontana dai Franchi, che possono riprendere il blocco di Acri.
Arrivo dell'esercito d'Egitto e della flotta egiziana per mare.

Incendio delle torri d'assedio.


Episodi vari dell'assedio.
Una nave di Beirut penetra con uno stratagemma in Acri.
Storia del nuotatore Isa.
Un'imboscata.
Umanit di Saladino.
Donne di piacere e di guerra tra i Franchi.
5.
Corrado di Monferrato e la Terza Crociata.
Crociata di Federico Barbarossa e sua morte.
Arrivo dei re di Francia e d'Inghilterra.
Un appello di Saladino all'Anticrociata.
Estremo attacco e resa di Acri.
Acri, ridotta agli estremi, entra in trattative coi Franchi.
Giungono lettere dalla citt.
Pace conclusa dalla guarnigione con sicurt della vita.
Il nemico si impadronisce di Acri.
Massacro dei prigionieri musulmani.
6.
Trattative di pace e sua conclusione.
7.
Assassinio di Corrado di Monferrato.
8.
Malattia e morte del Saladino.
PARTE TERZA "Gli Ayyubiti e gli attacchi all'Egitto".
1.
La Quinta Crociata.
Concentrazione dei Franchi in Siria, loro marcia sull'Egitto e conquista di Dami
ata, e suo ritorno ai Musulmani.
Assedio e conquista di Damiata da parte dei Franchi.
I Musulmani riconquistano Damiata ai Franchi.
Altri particolari della resa franca.
2.
Venuta ad Acri dell'imperatore Federico, re dei Franchi.
Consegna di Gerusalemme ai Franchi.
Cordoglio musulmano a Damasco.
Federico a Gerusalemme.
Ulteriori rapporti svevo-ayyubiti. Gli ultimi Svevi.
Due lettere arabe di Federico.
3.
La Crociata di San Luigi.
Arrivo dei Franchi in Egitto e loro occupazione di Damiata.
Il Malik as-Salih si trasferisce e accampa a Mansura.
I Franchi avanzano e prendono posizione di fronte ai Musulmani.
Attacco di sorpresa ai Musulmani a Mansura, uccisione dell'emiro Fakhr ad-din Yu
suf.
e susseguente vittoria dei Musulmani sui Franchi.
Attacco della flotta musulmana alle navi dei Franchi, e indebolimento di questi
ultimi.

Rotta totale dei Franchi, e cattura del re di Francia.


Assassinio del Malik al-Mu'azzam Turanshh.
Accordo di far re la principessa Shagiar ad-durr, madre di Khall, con 'Izz ad-din
il Turcomanno come comandante dell'esercito.
Riconquista di Damiata.
Prologo ed epilogo della Crociata di san Luigi.
San Luigi a Tunisi.
PARTE QUARTA "I Mamelucchi e la liquidazione delle Crociate".
1.
Baibars contro Tripoli e Antiochia. Sua lettera a Boemondo Sesto.
Trattative con Ugo Terzo, re di Cipro e Gerusalemme.
Espugnazione di Hisn al-Akrd.
Fallito attacco a Cipro.
2.
Trattato di Qalawn coi Templari di Tortosa.
Trattato con Acri.
Formula del giuramento prestato dal Sultano per questa tregua.
Formula del giuramento dei Franchi.
Caduta di al-Marqab.
Caduta di Maraqiyya.
Caduta di Tripoli.
3.
Caduta di Acri.

INTRODUZIONE.
Questo libro vuole aiutare il lettore occidentale a vedere il periodo delle Croc
iate "dall'altra parte", cio con l'occhio e con l'animo dell'avversario di allora
. L'operazione, sempre interessante e istruttiva, lo pi che mai in questo caso, d
ell'urto medievale tra Cristianesimo e Islamismo: due civilt non radicalmente div
erse in quel tempo - ch, come stato giustamente osservato, si fondavano entrambe
su un atteggiamento spirituale e su categorie mentali sostanzialmente uguali -,
ma che una diversa esperienza religiosa dall'aspirazione ugualmente universalist
ica sospingeva l'una contro l'altra, irrigidendole nei momenti di crisi fino al
fanatismo. Oggi, quel fanatismo almeno da noi caduto, trasferendosi ad altri e i
n fondo altrettanto religiosi contrasti; non si agitano pi apologetici "pugnali"
e "martelli" della fede, ed anzi divenuto quasi di moda, da parte cristiana e ca
ttolica, un atteggiamento comprensivo e conciliante verso l'Islm, forse dall'altr
a parte non altrettanto ricambiato. Ma l'asprezza dell'antico antagonismo risorg
e violenta se apriamo le pagine dei cronisti, dei polemisti medievali; e, sulla
scia di quell'antico odio teologico e di razza, che altre successive lotte appro
fondirono e inasprirono, noi siam sempre portati, nel seguire la vicenda delle C
rociate, a vedere "il nemico" al di l: nel campo di Solimano ed Argante, da cui s
olo la poesia trasse Clorinda a venire a morire di qua, pacificata con la nostra
fede. Per una superiore visione storica che cerchi abbracciare insieme il di qu
a e il di l, pu essere utile il conoscere pi da vicino, nei pi genuini sembianti, la
mentalit, gli ideali, i modi di vita e di guerra degli avversari delle Crociate,
quali appaiono nelle pagine dei loro storici e cronisti, non certo inferiori pe
r quantit e qualit a quelli occidentali. Vi si vedr naturalmente rovesciata la tavo
la dei valori, ai "cani saracini" sostituiti i "porci cristiani", all'anelito pe
r il Santo Sepolcro contrapposto quello per la Santa Roccia ove poggi il piede il
Profeta nella miracolosa ascensione notturna, al pio Goffredo il pio Saladino.

Le conclusioni di ordine morale e religioso esulano da questa sede; allo storico


e appassionato di storia si vuol solo offrire un saggio dell'altra campana, un
complemento al quadro che ci solitamente offerto dalle fonti occidentali.
L'attacco delle Crociate colp l'Islm in un momento critico della sua storia, quand
o l'ondata araba era da tempo arrestata, o rifluiva sulla difensiva, e quella tu
rca si andava ancor affermando e sistemando in seno ai territori musulmani e di
confine, prima di trapassare all'offensiva in grande stile contro il mondo crist
iano. Precedenti ritorni controffensivi da parte cristiana l'Islm aveva ben conos
ciuti nelle croniche guerre contro i Bizantini, particolarmente vivaci nel corso
del secolo decimo: ma l'attacco in forze dall'Occidente latino, e con scopi di
guerra prevalentemente e ostentatamente religiosi, colse di sorpresa una societ m
usulmana politicamente divisa, inetta a una rapida ed efficiente parata. La sche
matica formula del Grousset - iniziale anarchia musulmana contro monarchia franc
a - ben rende la situazione tra la fine del secolo undicesimo e i primi decenni
del dodicesimo in Siria: il territorio frazionato tra emirati turchi rivali, di
ufficiali dei Selgiuchidi (atabek) e loro minori vassalli, con un malfermo domin
io dell'Egitto fatimida sulla Palestina. A Baghdd, un califfo abbside sotto tutela
del sultano turco, ombra ormai di quel che era stata la somma dignit islamica ai
giorni di al-Mansr e al-Ma'mn. I principotti della Siria settentrionale, i luogot
enenti fatimidi di Gerusalemme e delle citt del litorale resisterono come poteron
o, cio male; la Crociata si allarg come una macchia d'olio, e l'Anticrociata, inva
no attesa e sollecitata da Baghdd, si mostr sulle prime impotente. Poi, a partire
dal terzo e quarto decennio del secolo dodicesimo, la resistenza musulmana si ir
rigidisce, ad opera degli Artuqidi di Mardn, di Tughtikn di Damasco, e soprattutto
degli atabek di Mossul, Zinki e Norandino, che, liquidata l'avanzata Contea di
Edessa, puntano sulla Siria col duplice scopo di unificarla sotto la loro signor
ia e respingere i Franchi al mare. L'Arabismo come forza politica ormai passato
in seconda linea, e son tutte dinastie turche che conducono la lotta, in un ambi
ente culturalmente arabo ma gi socialmente e militarmente turchizzato. L'avvento
al potere di Saladino in parte interrompe, in parte continua questo processo di
turchizzazione: curdo di stirpe, turco-arabo di lingua e di educazione, profonda
mente e ortodossamente musulmano di fede e di costume, il grande Ayyubita fa cen
tro della sua potenza l'Egitto da lui reso all'ortodossia, e rid all'Arabismo nuo
vo prestigio. Le due monarchie si affrontano, e sul piano di Hittn cade nella pol
vere la corona latina di Gerusalemme. Ma la Terza Crociata arriva ad arginare l'
offensiva musulmana, e a puntellare i vacillanti stati cristiani del Litorale. G
li Ayyubiti con al-'Adil e al-Kamil, con la diplomazia e con le armi, mantengono
per mezzo secolo quella situazione d'equilibrio: respingono la Quinta Crociata,
tengono a bada Federico Secondo, ma non riescono a riportare una efficace contr
offensiva contro i residui stati cristiani del Litorale. Questa sar l'opera dei s
ultani Mamelucchi, gli schiavi turchi oriundi della Russia meridionale e del Cau
caso, che alla met del secolo tredicesimo si sostituiscono in Egitto agli ultimi
fiacchi Ayyubiti. A questi rozzi soldati, che perfezionano all'interno la strutt
ura del feudalesimo militare gi introdotto dai Selgiuchidi e mantenuto dagli Ayyu
biti, l'Islm deve a un tempo la difesa dall'invasione mongola (vittoria di 'Ain G
ialt, 1260, che salva la Siria), e la liquidazione delle Crociate. L'Occidente no
n sostenne pi efficacemente le sue artificiali creazioni d'Oltremare: il papato,
che aveva deviato l'alto impulso religioso delle prime Crociate a fini di domini
o e predominio europeo, e abbassata la croce a segnacolo in vessillo contro batt
ezzati (crociata contro gli Albigesi, lotta contro gli Hohenstaufen), dov assiste
re impotente all'agonia di Antiochia, di Tripoli e d'Acri, che nella seconda met
del secolo tredicesimo segnano le tre tappe della definitiva riconquista musulma
na del Litorale. E l'ultima difesa dei Templari in Terrasanta fu insieme l'incon
scia vigilia della loro tragedia in Occidente.
Questi due secoli densi di storia, interessante del pari le sorti della Cristian
it latina e greco-orientale (quest'ultima, passiva innocente vittima di colpe ed
errori latini), e dell'Islamismo su territori che da cinque secoli esso consider
ava suoi, si riflettono adeguatamente nella storiografia musulmana di quel perio

do e dei secoli immediatamente seguenti. Storiografia musulmana abbiam detto, an


zich araba, per riguardo all'origine talora non-araba dei suoi autori, ma che ara
ba si pu senz'altro chiamare per la lingua usata (nulla praticamente conferiscono
alla storia delle Crociate la storiografia in persiano, e quella appena nascent
e in turco), e arabo-musulmana per la confessione e l'"animus" che la ispira, be
nch non manchi qualche secondario apporto anche di cronisti arabo-cristiani d'Egi
tto. Le invasioni dei "Frang" (e col nome di Franchi i Musulmani indicarono semp
re i Cristiani d'Occidente, a differenza dei "Rum" bizantini), le rovine e strag
i da loro causate, i danni inferti all'Islm, e la resistenza di questo, finalment
e vittoriosa, non furono in verit mai un argomento isolatamente, monograficamente
trattato dalla storiografia musulmana medievale: per quanto di somma importanza
anche dal suo punto di vista, il fenomeno fu sempre da essa inquadrato nelle fo
rme letterarie a lei consuete di concezione ed esposizione, e quindi o disperso
in cronache annalistiche generali, o condensato in trattazioni il cui filo condu
ttore non ovviamente l'azione del nemico, bens quella di un personaggio o di una
dinastia musulmana, erettasi a campione della fede. Un'unitaria e organica Stori
a delle guerre contro i Franchi, che abbia in tale esclusivo argomento il suo ce
ntro, si cercherebbe invano nella storiografia musulmana.
Noi la possiamo idealmente ricomporre dalla giustapposizione, il confronto e la
fusione dei materiali contenuti nei vari tipi di opere storiografiche su questo
periodo. Sono esse storie generali del mondo musulmano, come quella classica di
Ibn al-Athr e le meno note di Sibt Ibn al-Giawzi e Ibn al-Furt, per non parlare di
compilazioni pi tarde; o cronache cittadine e regionali come quelle di Ibn al-Qa
lnisi e di Kaml ad-din, riguardanti la Siria del nord e la Mesopotamia; o storie a
schema regionale-dinastico, come quelle di Ibn Wasil e Maqrizi, o puramente din
astico come la compilazione di Abu Shama; o infine scritti di carattere essenzia
lmente biografico, o comunque incentrati attorno alle gesta di un protagonista,
e saranno le opere degli storici di Saladino, Bah' ad-din e 'Imd ad-din, e del bio
grafo ufficiale dei primi sultani mamelucchi, Ibn 'Abd az-Zahir. Un "unicum", pr
ezioso letterariamente ma come vedremo anche storicamente, la brillante autobiog
rafia di Usama. Diverse tra loro per la forma, ora secca e negletta ora stilisti
camente elaborata e magari gonfia dei turgori della prosa rimata ("sag'"), per i
l tipo storiografico, per la intelligenza e accuratezza o per la superficialit an
odina e la passivit compilatoria dei loro vari autori, tutte queste opere hanno i
n comune, come era da aspettarsi, l'atteggiamento ostile e sprezzante verso lo s
traniero infedele venuto a invadere per un atto di empio fanatismo (ognuno vede
il fanatismo degli altri) il territorio dell'Islm. Rare le discussioni e le anali
si dei concreti "scopi di guerra" del nemico, che affiorano polemicamente solo n
elle trattative di pace della Terza Crociata. La presenza dell'infedele in armi
sul territorio musulmano un dato di fatto a cui non si possono opporre che le ar
mi, che il buon Musulmano avrebbe gi il teorico diritto e dovere di portare egli
stesso nei paesi dei miscredenti, fino al loro sterminio o alla loro conversione
o sottomissione alla vera fede. Perci con i Franchi, come con gli infedeli in ge
nere, non si pu mai a rigore parlare di pace ("sulh"), ma solo di temporanea treg
ua ("hudna"), quando opportunit o necessit vi costringa; e fortemente contrastata
nel campo stesso musulmano fu la pi celebre pace o tregua del 1192, fra Riccardo
e Saladino. Questo, in teoria. In pratica, i duecento anni delle Crociate non po
terono passare in perpetua guerra; e cos non solo si ebbero i periodi di tregua,
ma persino, specie nel secolo dodicesimo, casi di "empia alleanza" tra Musulmani
e Cristiani contro correligionari degli uni o degli altri, che il momento rende
va nemici comuni (Ibn al-Qalnisi ci ha francamente ragguagliati sulla pi scandalos
a di queste alleanze, dei suoi Damasceni con i Franchi contro l'invadenza di Zin
ki nel 1140).
Ma le opere della pace non sono preferito oggetto della storiografia musulmana,
e forse di nessuna storiografia: e cos la storia musulmana delle Crociate non che
un continuo cozzo d'arme, una continua e spesso monotona sequela di battaglie,
di scaramucce, di assedi, di incursioni. I verbi "ammazzare", "predare" e "devas
tare" sono i pi frequentemente coniugati nel racconto della reciproca Guerra Sant
a. Mutano solo le parti, e come via via gli storici pi antichi ci mostrano le cit
t musulmane del Litorale siro soccombere all'assedio dei Franchi, nella strage la

rapina e l'incendio, cos all'opposta curva della parabola le stesse scene a part
i invertite, e talora con le stesse parole, segnano le tappe della Riconquista m
usulmana. ""Qui gladio ferit, gladio perit"", ferma sempre restando l'ammirazion
e per il valore e il sacrifizio, che non fecero certo difetto da entrambe le par
ti. Al colmo della parabola, nella Terza Crociata, dove si affrontarono le perso
nalit da ambe le parti di pi alto rilievo, e le azioni di guerra ebbero pi vasto e
drammatico sviluppo (Hittn, l'assedio d'Acri), la monotona cronaca militare si al
larga in pi ampio respiro, e si hanno le descrizioni della giornata campale di Ti
beriade, dei furibondi scontri sotto Acri, delle marce e contromarce di Saladino
, su cui passa talvolta un soffio di religiosa epopea. Interessante del pari, ma
stancante nella minuzia dei confusi e spesso contraddittori particolari, la cro
naca delle lunghe trattative per quella pace; peccato non ce ne sia stato serbat
o il testo originale, come i testi delle paci o delle tregue, serbatici per l'et
pi tarda dagli storici dei Mamelucchi (trattati di Qalawn).
Teorica guerra perpetua, dunque, intramezzata da precarie tregue: tale l'imposta
zione dei rapporti ufficiali, nei due secoli di convivenza dell'Islm con la Crist
ianit in Terrasanta. E tale impostazione si riflette nella sua storiografia, e ne
limita e rende monotono l'orizzonte. Nessun interesse in questi cronisti musulm
ani per la organizzazione degli stati franchi, la loro vita economica e sociale,
la loro cultura. Solo di quando in quando la registrazione, non sai se pi compia
ciuta o sprezzante, dei casi in cui la superiore cultura e il costume musulmano
avevano essi fatto presa sul nemico, come in quel principe di Shaqf Arnn di cui na
rrano gli storici di Saladino, che parlava arabo e si interessava di letteratura
araba e di legge islamica, salvo a usare di queste cognizioni per tentare di ab
bindolare l'avversario (e il generoso Saladino si limit a metterlo in prigione).
Qualche barlume di un interesse per la vita, i costumi, le idee del nemico non l
o troviamo nei gravi storici, ma nello spregiudicato Usama, e non abbiam mancato
di darne qui saggi. Quando poi i Musulmani parlano del Cristianesimo, del dogma
e del culto cristiano, ne vien fuori una immagine deformata come una mascherata
(si leggano le pagine di 'Imd ad-din sulla fine di Gerusalemme cristiana), a ris
contro della quale si pu solo mettere quella che del dogma e culto islamico d la n
ostra apologetica medievale. Tutto sommato, le due parti si ripagarono su questo
punto di uguale moneta, e le Crociate non son certo valse a far conoscere e app
rezzare di pi a Cristiani e Musulmani i lati pi nobili delle rispettive fedi. Ma,
per tornare a quel tanto di compenetrazione materiale e spirituale che certo vi
fu, le fonti musulmane mostrano minima la parte che l'Islm seppe e volle prendere
dai Franchi, senza confronto inferiore a quello che i Franchi presero dagli Ori
entali. Un Guglielmo di Tiro, che impara l'arabo e da fonti arabe scrive la sua
perduta storia d'Oriente, un fenomeno che non ha riscontro nell'opposto campo. M
a gli storici arabi delle Crociate non si occupano solo del nemico, bens in primo
luogo della resistenza musulmana, dei suoi attori e protagonisti. E qui natural
mente troveremo il pi interessante complemento alla storiografia occidentale. Gli
Arabi stessi lucidamente additarono nella loro iniziale divisione il motivo dei
successi della Prima Crociata (v' un amaro passo di Kaml ad-din ove detto che gli
emiri rivali di Siria gradivano e sfruttavano essi stessi, per il loro cieco pa
rticolarismo, la penetrazione franca); e videro poi con sollievo, non senza qual
che contrasto per i diversi legittimismi cui si ispiravano, il sorgere in Tughti
kn, Zinki, Norandino, Saladino, dei grandi campioni unificatori della Anticrociat
a. La bella resistenza di Damasco all'assedio del 1148 fu il pi onorevole episodi
o della resistenza in ordine sparso, locale e municipale, all'invasione latina.
Subito dopo, e gi in parte anche prima, Zenghidi Ayyubiti e Mamelucchi assumono s
uccessivamente quella direzione unitaria della difesa che teoricamente sarebbe t
occata al Califfato di Baghdd. Ma questo, ridotto a una mera parvenza, spar poi in
gloriosamente nel corso stesso delle Crociate, senza avere esercitato altro infl
usso che di pie esortazioni e omelie, e messaggi di compiacimento ai vittoriosi
campioni della fede ortodossa. I fasti della Anticrociata sono quelli di pi o men
o lunghe dinastie musulmane come le gi ricordate e altre minori, che ressero per
fede e ragion politica il peso della guerra santa, consacrandovi talora con tota
le dedizione la intera vita. E si comprende come la piet, la riconoscenza e l'aul
ica devozione dei loro cronisti non abbia lesinato a quei sovrani i lauri trionf

ali. Alta su tutti, s da imporsi all'ammirazione dello stesso nemico, si leva la


figura del Saladino: da oscure origini, attraverso una carriera non scevra agli
inizi di ambiguit e di violenza, egli ebbe la ventura di incarnare poi, nella buo
na e nella men buona fortuna, la forza, il prestigio e s anche l'umanit e la caval
leria della civilt medievale d'Oriente, della cui fede fu a un tempo inflessibile
ortodosso assertore. Il suo ritratto quale ci han lasciato Bah' ad-din e 'Imd addin evidentemente quello dell'"optimus princeps" musulmano; ricco di sfumature p
i pietistiche che cavalleresche, esso forse non arriva a renderci piena ragione d
el fascino che esercit quell'uomo sui contemporanei e sui posteri, nel proprio e
nell'avverso campo. Ma la leggenda che gli dette luogo nel Limbo dantesco e in t
anta versificazione e narrativa d'Occidente rest muta su di lui nella sua terra,
e celebr piuttosto le gesta del tanto umanamente inferiore Baibars. Dell'uno e de
ll'altro di questi grandi campioni della controffensiva islamica, le fonti arabe
storiche han serbato vivida memoria, cos come di Zinki, di Norandino, di al-Kami
l e degli altri avversari maggiori delle Crociate. Anzi nella fedelt e felicit pro
sopografica si pu riconoscere uno dei maggiori pregi di questa storiografia, este
ndentesi con opposti sentimenti anche a brevi ma interessanti caratteristiche ne
l campo nemico. L'accortezza di Baldovino Secondo, la prodezza del Cuor di Leone
, l'energia indomabile di Corrado di Monferrato, l'abilit diplomatica e l'ironia
scettica di Federico Secondo, hanno trovato negli storici musulmani osservazione
e conferma; meno saremo disposti a sottoscrivere ad altri giudizi, come quello
di "furbo matricolato" affibbiato al santo re Luigi Nono (eppure come lo ritrae
al vivo, con la sua dignitosa affabilit nella prigionia di Mansura, il colloquio
col plenipotenziario egiziano serbatoci da Ibn Wasil!); furbo matricolato lui, c
he and a chiudere una vita di austera fede e donchisciottesco idealismo nella bal
orda spedizione di Tunisi nel cuor dell'estate!...
Per la ricchezza dei materiali, l'abbondanza dei dati cronologici (pur non sempr
e coerenti fra loro, n sempre coincidenti con quelli delle fonti occidentali), la
felice caratterizzazione prosopografica, la storiografia araba delle Crociate p
u sostenere vantaggiosamente il paragone con quella cristiana coeva. Non le chied
eremo, d'altra parte, n imparzialit e serenit verso il nemico, n originalit e profond
it di vedute, che restano quelle generali di tutta la storiografia musulmana medi
evale, oscillante fra il pragmatismo e una meccanica e fideistica teologia. Fors
e una sola personalit di vero storico emerge fra tanti pi o meno diligenti cronist
i, ed quella di Ibn al-Athr; il quale d'altra parte non ha avuto di recente una t
roppo buona stampa nel campo orientalistico come storico delle Crociate, per il
libero e tendenzioso uso fatto delle sue fonti, ci che se riduce la sua attendibi
lit documentaria ne conferma la originalit dello storico ingegno, fra tanta passiv
it di compilatori. Manca insomma da parte araba, per questo periodo, una figura d
egna di Guglielmo di Tiro; ma ove si tolga questa personalit di eccezione, il liv
ello medio degli storici arabi delle Crociate pu dirsi superiore a quello dei cro
nisti cristiani, cui li contrappone anche, nella pi parte dei casi, una maggior e
sperienza di mestiere, quella che potremmo dire una pi esperta coscienza professi
onale. Giacch, come abbiam detto, la storiografia araba delle Crociate non di sol
ito che un frammento di una pi vasta esperienza e trattazione storica.
Il tentativo di far vedere la storia delle Crociate "dall'altra parte" non nuovo
in Occidente. Gi pi di un secolo fa, a conclusione della "Bibliothque des Croisade
s" del Michaud, il dottissimo Reinaud, maestro di Michele Amari, aveva messo ins
ieme un volume di "Chroniques arabes" (Paris 1829), conglomerando in un testo co
ntinuato versioni e parafrasi da vari storici arabi di quel periodo, allora quas
i tutti inediti nei manoscritti della "Bibliothque du Roi". Ma quel lavoro di pio
niere, che rende ancor oggi utili servigi agli storici non arabisti, mirava piut
tosto a dare un'unica narrazione da fonti orientali delle Crociate anzich a prese
ntare quelle fonti nella loro distinta fisionomia. Ci si propose invece, nel seco
ndo Ottocento, la sezione "Historiens orientaux" del grande "Recueil des Histori
ens des Croisades", edito sotto gli auspici della Acadmie des Inscriptions et Bel
les Lettres; sezione orientale curata in gran parte dal Barbier de Meynard, e co
mprendente nei cinque volumi editi (Paris 1872-19o6) estratti in testo e version

e di vari storici come Ibn al-Athr, Bah' ad-din, Abu Shama, Abu l-Fid eccetera. Il
lavoro imponente, ma poco pratico e inadatto per il formato in-folio a una conti
nuata lettura, stato anche criticato per la scelta non sempre felice e fedele de
i testi, e per errori di interpretazione; esso resta a ogni modo uno strumento d
i consultazione e di studio per orientalisti e medievalisti del pari.
Questa nostra scelta, ben modesta in confronto alle opere ora menzionate, si val
sa naturalmente di entrambe, ma soprattutto dell'accesso diretto ai testi singol
i, in buona parte ormai pubblicati, e in parte consultabili nella collezione fot
ografica di manoscritti storici presso la "Fondazione Caetani per gli studi musu
lmani" in Roma. I saggi che diamo sono da diciassette autori, che non esauriscon
o certo tutte le fonti storiografiche musulmane sulle Crociate, ma comprendono t
utte le pi importanti, e cercano offrire un quadro abbastanza completo dei vari t
ipi e indirizzi storiografici e letterari, rapidamente da noi sopra delineati. L
e versioni sono e non potevano non essere alquanto libere, s da dare dignit e scio
ltezza italiana allo stile, che sarebbe stato intollerabile a una lettura contin
uata in una traduzione letterale; ma i precisi rinvii ai testi permetteranno agl
i arabisti la verifica, da cui, accanto al nostro debito ai precedenti traduttor
i dove c'erano, e ad eventuali nostri errori da cui non ci riteniamo infallibili
, apparir speriamo anche la miglior interpretazione di singoli passi, talvolta fo
ndata su emendamenti al testo facilmente ricostruibili dallo specialista. I crit
eri della scelta sono stati, come era ovvio, da un lato l'importanza storica deg
li argomenti, dall'altro la ricerca al possibile di ci che fosse pi umanamente e l
etterariamente vivo e caratteristico nella generale monotonia delle fonti: del p
articolare plastico e pittoresco, che storicamente pu contar poco ma si imprime c
on facilit e vivezza nel ricordo, e cui molti degli storici orientali, e, confess
o, anche il loro odierno antologista, sono anche troppo sensibili. Nell'economia
generale della scelta, la seconda sezione, dedicata a Saladino e la Terza Croci
ata, si presa la parte del leone, e ci proprio per il pi e il meno giusto dei due
criteri ora accennati. Ma spero che nel complesso emerga abbastanza da queste pa
gine la visione d'insieme e nei particolari che i Musulmani ci hanno trasmessa d
i quel periodo, le tendenze, dove han luogo, dei singoli autori, le loro caratte
ristiche di stile.
Dopo aver trascorso molti mesi in compagnia di questi storici musulmani delle Cr
ociate, e averne riascoltato le voci di durezza e ostilit fanatica verso la fede
dei nostri padri, ma anche di religioso zelo ed amore alla loro tradizione avita
, di affetto alle loro memorie, di ammirazione per i campioni e i martiri che si
consacrarono alla loro difesa, sia permessa al raccoglitore di queste pagine un
a confessione. Una confessione di reverenza e di etimologica "simpatia" per una
civilt per tanti anni da lui studiata forse con troppo poca intima comprensione e
adesione, ma che forse mai prima d'ora gli aveva rivelato intera, accanto a def
icienze e negativit su cui superfluo ora insistere, la sua forza ispiratrice di p
azienza, di dedizione di s, di sacrifizio, la sua mirabile elasticit e potenza di
recupero nell'avversa fortuna, la sua granitica fede in un ordine assoluto e sup
remo. Tutte queste qualit siamo abituati a formulare, quando vengono "dall'altra
parte", in termini dei difetti o vizi correlativi. Che una volta tanto, senza ri
nnegamenti ma senza pavidi scrupoli, siano chiamate col loro proprio nome.
F. G.
Roma, settembre 1957.
In questa terza edizione sono state rettificate alcune sviste, e introdotti alcu
ni aggiornamenti bibliografici.
F. G.
Agosto 1969.

Nota bibliografica.
Le moderne storie generali delle Crociate, scritte da non orientalisti che si so
n valsi per del Reinaud e del "Recueil" (per cui confer qui sopra), sono R. GROUS

SET, "Histoire des Croisades et du royaume franc de Jrusalem", Paris 1934-36, ST.
RUNCIMAN, "A History of the Crusades", Cambridge 1951-54, entrambe in tre volum
i con vasta bibliografia (un sintetico disegno divulgativo ha dato lo stesso R.
GROUSSET, "L'pope des Croisades", Paris 1939, trad. it., Milano 1968), A. WAAS, "G
eschichte der Kreuzzge", Freiburg 1956, 2 vol., F. COGNASSO, "Storia delle Crocia
te", Milano 1967, Z. OLDENBOURG, "Histoire des Croisades", Paris 1967. D'una gra
nde "History of the Crusades", a opera di pi collaboratori, diretta da La Monte e
Setton, sono usciti sinora due volumi, "The first hundred years" e "The later C
rusades", 1189-1311, Philadelphia 1955 e 1962. Un'opera d'insieme sulla storiogr
afia musulmana e le sue varie forme F. ROSENTHAL, "A History of Muslim Historiog
raphy", 2a ed., Leiden 1968; ma una rassegna e valutazione fondamentale degli st
orici arabi delle Crociate va cercata in CL. CAHEN, "La Syrie du Nord l'poque des
Croisades et la principaut franque d'Antioche", Paris 1940, pagine 33-93 (Les so
urces arabes), trattazione aggiornata dallo stesso Cahen nell'articolo "Croisade
s" in "Encyclopdie de l'Islam", seconda ed. (1961), pagine 64-67. Si veda anche i
l nostro capitolo "Historiography of the Crusades" nel volume "Historians of the
Middle East", Oxford 1962, pagine 98-107 e in italiano nel volume "L'Islam nell
a storia", Bari 1966, pagine 195-209. Crediamo inutile come troppo specialistica
una bibliografia sui singoli autori e argomenti: menzioniamo solo i tre importa
nti studi di H. A. R. GIBB, "Notes on the arabic materials for the history of th
e early Crusades", in "Bulletin of the School of Oriental Studies", VII (1935),
pagine 739-754, "The arabic sources for the life of Saladin", in "Speculum", XXV
(1950), pagine 58-72, e "The achievement of Saladin", in "Bulletin of the John
Rylands Library", XXXV (1952), pagine 44-60 (sul Saladino si pu anche vedere il n
ostro profilo nel volume "Storia e civilt musulmana", Napoli 1947, e a parte Fire
nze 1948); inoltre J. KRAEMER, "Der Sturz des Knigreiches Jerusalem (583-1187) in
der Darstellung des 'Imad ad-din al-Katib al-Isfahani", Wiesbaden 1952; B. LEWI
S, "The sources for the history of the Syrian Assassins", in "Speculum", XXVII (
1952), pagine 475-89 e il volume "The Assassins", London 1967; F. GABRIELI, "Gli
Ospitalieri di San Giovanni negli storici musulmani delle Crociate, in "Annuari
o della R. Scuola Archeologica di Atene", VIII-IX (1929), pagine 345-56.

Nella trascrizione dei nomi propri arabi si dovuto per semplificazione tipografi
ca rinunziare ai segni delle vocali lunghe e delle quattro enfatiche, accentuand
o, come guida alla retta pronunzia, le parole non piane. I titoli dei singoli br
ani sono talora degli originali, e talora nostri: non si creduto di complicare l
a composizione per distinguerli.

Gli autori e le opere.


IBN AL-QALANISI (1).
Abu Ya'la Hamza ibn Asad at-Tamimi, detto Ibn al-Qalnisi (Damasco, circa 465/1073
-555/1160). E' il pi antico storico arabo che tratti delle Crociate, nella sua cr
onaca nota come "Dhail ta'rkh Dimashq" ("Seguito della Storia di Damasco", con ri
ferimento a una cronaca di tal titolo di Hill as-Sabi). Quest'opera, giuntaci ace
fala in un unico manoscritto, va per la parte conservataci dall'anno 363/974 al
555/1160, l'anno stesso della morte dell'autore, e registra eventi della storia
di Mesopotamia ma soprattutto di Siria e di Damasco, ove Ibn al-Qalnisi ebbe cari
che amministrative e municipali. Vi son quindi trattate, su esperienze di prima
mano, la Prima e Seconda Crociata, sino all'entrata di Norandino a Damasco. La n
arrazione circostanziata e fedele, con qualche parzialit per gli emiri damasceni
della dinastia di Tughtikn; e in stile secco e obbiettivo, salvo alcuni capitoli
ove introdotta la prosa ornata. La generale obbiettivit, la contemporaneit agli ev
enti narrati, e la inclusione di documenti, rendono la cronaca di Ibn al-Qalnisi

una fonte primaria per il pi antico periodo delle Crociate.


TESTO: ed. Amedroz, Leiden 9o8.
VERSIONI alle pagine 26-37, 40-42, 46-51, 57-60, 64-68.
IBN AL-ATHIR.
'Izz ad-din Ibn al-Athr (Giazirat Ibn 'Omar, 555/1160 - Mossul 630/1233) il pi cel
ebre di tre fratelli d'una famiglia mesopotamica, tutti illustratisi nella cultu
ra arabo-musulmana. La sua opera principale il "Kamil at-tawarkh" ("Storia perfet
ta" o anche "Somma delle storie"), vastissima storia di tutto il mondo islamico,
dalla leggenda e storia arabo-ebraica antecedente alla predicazione di Maometto
, fino all'anno 628/1231. Mentre per la parte pi antica (sino agli inizi del seco
lo decimo dopo Cristo) essa ricalca nel complesso la grande raccolta storica di
at-Tbari, per gli ultimi tre secoli e soprattutto per l'et contemporanea dell'auto
re fonte importantissima, per larghezza ed equilibrio di impostazione, ricchezza
di materiali raccolti, e, "last not least", robustezza e personalit di visione s
torica, che han fatto considerare Ibn al-Athr "il solo vero storico" arabo di que
sto periodo. Da questa spiccata individualit nascono anche i difetti dell'autore,
talora tendenzioso in favore della dinastia zenghide di Mesopotamia (Zinki, Nor
andino ed epigoni), inesatto nella cronologia, rimanipolatore non sempre scrupol
oso delle sue fonti. Ma pur con queste riserve resta ammirabile l'organicit dell'
opera che abbraccia nella sua interezza il mondo musulmano dalla Transoxiana all
'estremo Maghrib e alla Spagna, persegue i nessi causali dei fatti, e sa raggrup
parli, nonostante lo schema annalistico, in chiara ed efficace esposizione. Per
la storia delle Crociate, Ibn al-Athr fu testimone oculare bench non sempre benevo
lo delle gesta di Saladino, e utilizz come fonti Ibn al-Qalnisi, Bah' ad-din e 'Imd
ad-din (per i quali confer oltre). La chiarezza e semplicit del suo stile, alieno
da arcaismi e fronzoli e mirante all'essenziale dei fatti, ha contribuito anch'
essa alla sua fortuna, di storico principe del basso Medioevo musulmano.
TESTO: ed. Tornberg, voll. X, XI, XII, Leiden 1853-64.
VERSIONI alle pagine 5-25, 43-45, 52-56, 60-62, 68-72, 114-24, 138-42, 172-87, 1
93-95, 204-7, 236-37, 251-60.
KAMAL AD-DIN.
Kaml ad-din Ibn al-'Adm (Aleppo 588/1192 - Cairo 660/1262) fu lo storico della sua
citt natale: anzitutto in un'enorme opera su schema prosopografico ("Bughyat attalab"), conservata solo in parte ed inedita; poi, di sugli stessi materiali ivi
raccolti, in una storia cittadina ("Zubdat al-halab fi ta'rkh Halab" "La crema d
el latte nella storia d'Aleppo"), che giunge fino al 641/1243, ed per Aleppo nei
secoli dodicesimo-tredicesimo ci che per Damasco nel dodicesimo la cronaca di Ib
n al-Qalnisi. Nella storia delle Crociate, vale soprattutto come testimonianza ar
aba sulle vicende della Siria settentrionale.
TESTO: ed. Sami Dahhn, II, Damasco 1954.
VERSIONE alle pagine 38-40.
USAMA.
Usama ibn Munqidh, emiro di Shaizar (Shaizar, 488/1095 - Damasco 584/1188) una d
elle pi interessanti figure dell'Arabismo siriano nell'epoca delle Crociate. Uomo
di faccenda e di penna, cavaliere e cacciatore, letterato e cortigiano, politic
o intrigante e senza scrupoli, pass la lunga vita in rapporti coi Franchi, gli em
iri di Siria e i califfi fatimidi d'Egitto, morendo poi oscuramente nel pieno de
i trionfi di Saladino. Deve la fama alla sua autobiografia ("Kitb al-i'tibr", "Lib

ro dell'ammaestramento con gli esempi"), giuntaci incompleta in un manoscritto d


ell'Escuriale; sincero ritratto un po' tartarinesco di se stesso, e tesoro di no
tizie aneddotiche sui suoi contemporanei musulmani e franchi. Solo in parte cons
ervato il resto della sua ricca produzione letteraria, fra cui un "Kitb al-'asa"
("Libro del bastone"), raccolta alla maniera araba di aneddoti, versi, motti, pr
overbi sui bastoni, da cui desunto l'ultimo dei nostri estratti.
TESTO: ed. Derenbourg, Paris 1886 (e per l'ultimo passo, H. DERENBOURG, "Ousama
ibn Mounkidh. Un mir syrien au premier sicle des Croisades", I, Paris 1893, pagine
528-29).
VERSIONE alle pagine 73-84.
BAHA' AD-DIN.
Bah' ad-din Ibn Shaddd (Mossul 539/1145 - Aleppo 632/ 1234) entr nel 1188 al serviz
io del Saladino, che lo nomin cadi dell'esercito, e cui fu fedele familiare fino
alla morte. Sotto i suoi primi successori, fu gran cadi di Aleppo. La sua biogra
fia del Sultano ("an-Nawadir as-sultaniyya wa l-mahasin al-yusufiyya", "Gli aned
doti sultaniali e le virt giuseppine", ch Yusuf era il nome personale del Saladino
) ottima fonte storica e prosopografica: dettata da sincera devozione e ammirazi
one senza cortigiano servilismo, fondata per la sua maggior parte su un'esperien
za diretta, redatta in stile piano e scevro di vezzi letterari, ci d il pi compiut
o ritratto dell'eroe da parte musulmana, e una vivida cronaca della Terza Crocia
ta.
TESTO: in "Recued des Historiens des Croisades, Historiens Orientaux", III, Pari
s 1884.
VERSIONI alle pagine 87-113, 187-93, 196-99, 203-4, 207-9, 210-19, 220-26, 241-4
7.
'IMAD AD-DIN.
'Imd ad-din al-Isfahani (Isfahn 519/1125 - Damasco 597/ 1201) fu segretario di Nor
andino e poi di Saladino, di cui, in sottordine al cadi al-Fadil, diresse la can
celleria. Letterato e retore delle midolla, redasse, oltre a una preziosa antolo
gia dei poeti arabi del secolo dodicesimo, svariate opere storiche, tutte da cap
o a fondo composte nel pi artificioso stile ornato che l'arabo conosca, in prosa
ritmata e rimata, con ininterrotta sequela di allitterazioni, metafore e giochi
di parole. Questa difficile e stucchevole forma mosse gi di buon'ora dei compilat
ori come Abu Shama (confer oltre) a spremere il succo dei fatti dall'ornato invo
lucro dell'originale, a cui peraltro bisogna far ricorso per elementi storicamen
te importanti non tutti utilizzati in quelle riduzioni. Conservata ed edita inte
gralmente la sua storia della conquista di Gerusalemme, continuata fino alla mor
te del Saladino ("al-Fath al-qussi fi l-fath al-qudsi", che si pu rendere con "L'
eloquenza ciceroniana sulla conquista della Citt Santa": i giochi di parola comin
ciano come si vede fin dal titolo); parzialmente giuntoci, ma ancor inedito, il
"Barq ash-shami" ("Lampo di Siria"), che riprende la vita e le gesta di Saladino
dal 1175. In queste due opere l'indagine moderna tende a vedere, sotto l'insopp
ortabile forma, una fonte capitale per la biografia del grande Ayyubita e gli ev
enti in Siria e Mesopotamia di cui egli fu protagonista, e 'Imd ad-din relatore b
ene informato, esatto e fedele. Resta pur sempre il fatto, come si vedr dai saggi
addotti, che i dati concreti sono diluiti in uno spaventoso mare di chiacchiere
.
TESTO: ed. Landberg, Leiden 1888.
VERSIONI alle pagine 125-38, 144-71, 199-202, 229-32, 233-35.

ABU SHAMA.
Shihb ad-din Abu l-Qasim Abu Shama (Damasco 599/ 1203 - 665/1267), filologo e pro
fessore, fu un compilatore da tavolino, che giustappose nel "Kitb ar-rawdatain" (
"Il Libro dei due giardini", sulle due dinastie di Norandino e Saladino) pregevo
li materiali storici per buona parte a noi noti nelle fonti originali: cos egli r
iproduce con citazione della fonte estratti da Ibn al-Qalnisi, 'Imd ad-din (ridott
o in pi sobria e tollerabile forma), Bah' ad-din, Ibn al-Athr eccetera. Pi important
i per noi sono le citazioni dal perduto storico sciita di Aleppo, Ibn Abi t-Tayy
, autore fra l'altro di una biografia di Saladino. I "Due giardini" conservano i
noltre numerosi documenti della cancelleria del Sultano, dovuti in buona parte a
l suo Segretario capo, il cadi al-Fadil, di cui esistono anche speciali raccolte
di epistole.
TESTO: ed. Cairo 1287/1870.
VERSIONE alle pagine 209-10.
"Manaqib Rashid ad-din".
Indichiamo sotto questo titolo un singolare scritto proveniente dalla setta eret
ica degli Ismaeliti di Siria (Assassini). Le "Virt di nostro Signore Rashid ad-di
n", come suona tradotto il titolo intero, sono una raccolta di ricordi e aneddot
i sul Gran Maestro Rashid ad-din Sinn, contemporaneo di Saladino e quindi capo de
lla setta in Siria nel periodo della sua pi temuta potenza. Questi ricordi, in cu
i la parte edificante e miracolosa soverchia di molto quella storicamente utiliz
zabile, furono raccolti nel 1324 da un oscuro adepto della setta, lo sheikh Abu
Firs di Minaqa, allorch la potenza ismaelita era da un pezzo tramontata. Nel passo
tradotto, sotto colori leggendari, sembra riflettersi il ricordo dell'assassinio
di Corrado di Monferrato.
TESTO: in "Journal Asiatique", serie VII, IX (1877), pagine 324-489 (S. GUYARD,
"Un grand Matre des Assassins au temps de Saladin").
VERSIONE alle pagine 237-40.
IBN WASIL.
Giaml ad-din Ibn Wasil (Hamt 604/1207 - 697/1298) ebbe vari uffici sotto gli ultim
i Ayyubiti e i primi Mamelucchi, and nel 1261 ambasciatore di Baibars a Manfredi,
e fin gran cadi della citt natale. La sua opera maggiore, "Mufarrig al-kurb fi akh
br Bani Ayyb" ("Il dissipatore delle angustie circa la storia degli Ayyubiti") fa
centro sulla storia della dinastia di Saladino, ma tratta anche, prima di essa,
quella zenghide, e, dopo, quella mamelucca fino al 680/1282. E' quindi una delle
migliori fonti per la storia delle Crociate nel secolo tredicesimo (Quinta Croc
iata, viaggio di Federico Secondo, Crociata di San Luigi), da cui hanno attinto
i pi tardi compilatori. Rimasta a lungo immeritatamente inedita, solo di recente
se ne iniziata la pubblicazione (2).
TESTO: ms. Paris Ar. 1702 (fotocopia Caetani).
VERSIONI alle pagine 260-69, 271-76, 279-95.
SIBT IBN AL-GIAWZI.
Nipote ("Sibt") di un precedente cronista Ibn al-Giawzi, fu reputato predicatore
e visse a lungo a Damasco nell'intimit di principi ayyubiti (Baghdd 582/1186 - Da
masco 654/1256). La sua enorme e prolissa storia universale ("Mir't az-zamn", "Lo
specchio del tempo"), giuntaci in due redazioni, soprattutto importante per l'et
dell'autore e per gli avvenimenti di Siria: ad essa per esempio dobbiamo i pi int

eressanti particolari della visita di Federico a Gerusalemme, cos come, per il se


colo precedente, qualche pittoresco particolare sull'assedio della Seconda Croci
ata a Damasco.
TESTO: ed. Parziale Jewett, Chicago 1907 (anni g. 495-654). Il testo sull'assedio
di Damasco, in nota a Ibn Qalnisi, ed. Amedroz.
VERSIONI alle pagine 62-63, 269-71.
"Ta'rkh Mansuri".
Cronaca, giungente fino all'anno 631/1233, di un oscuro funzionario e cortigiano
dei principi ayyubiti di Siria, tale Abu l-Fada'il di Hamt, dedicata a un Malik
al-Mansr emiro di Hims (donde il titolo, che equivale a "Storia mansurica"). E' i
mportante per notizie su Federico Secondo in Terrasanta, col testo delle sue let
tere in arabo appena tornato in Italia, e per notizie sulle ultime vicende dei M
usulmani di Sicilia, portate in Oriente da emissari e profughi arabo-siciliani.
Questi preziosi estratti, dall'unico manoscritto del Museo Asiatico di Pietrobur
go, furono pubblicati dall'Amari.
TESTO: in "Biblioteca Arabo-Sicula", Seconda Appendice, Leipzig 1887.
VERSIONE alle pagine 276-78
IBN 'ABD AZ-ZAHIR.
Muhyi ad-din Ibn 'Abd az-Zahir (Cairo 620/1233 - 692/ 1293) fu segretario dei su
ltani mamelucchi Baibars e Qalawn, redattore di atti ufficiali della loro cancell
eria, e poi loro biografo, sui materiali cos da lui adunati. Della biografia di B
aibars ("Sirat al-Malik az-Zahir") ci restano parti dell'originale, e il compend
io curatone dal nipote dell'autore, Shafi' al-'Asqalani. Una larga parte di quel
la di Qalawn si identifica nell'anonimo "Tashrf al-ayym wa l-'usr bi-sirat as-Sultn a
l-Malik al-Mansur" ("Onore dei giorni e delle et, con la vita del sultano al-M. a
l-M."). Anche del figlio di Qalawn, al-Ashraf, il conquistatore di Acri, Ibn 'Abd
az-Zahir scrisse la vita, di cui pubblicato un frammento. Inedito tuttora il re
sto dell'opera di questo autore, assai importante come diretto testimone degli e
venti narrati, e trasmissore di preziosi documenti ufficiali (lettere, trattati,
eccetera), bench naturalmente il suo atteggiamento e tono panegiristico verso i
suoi sovrani obblighino a cautela nell'utilizzarlo storicamente.
TESTO: Compendio di Shafi' della Vita di Baibars, ms. Paris Ar. 1707, e "Tashrf"
(Vita di Qalawn), ms. Paris Ar. 1704 (fotocopie Caetani).
VERSIONI alle pagine 301-6, 308-9, 316-23, 325-33.
"Tashrf"
(Confer Ibn 'Abd az-Zahir).
MAQRIZI.
Taqi ad-din al-Magrizi (Cairo 766/1364 - 845/1442), grande erudito e antiquario,
raccoglitore di materiali preziosi sulla topografia storica d'Egitto, interessa
il nostro periodo per una delle sue opere storiche che quasi esclusivamente una
compilazione (da Ibn Wasil, Sibt Ibn al-Giawzi, Ibn 'Abd az-Zahir e altre fonti
meno note), ma, allo stato attuale delle nostre conoscenze, indispensabile: il
"Kitb as-sulk fi m'rifa ta'rkh al-mulrk" ("Libro del procedimento alla conoscenza del
la storia dei re"), comprendente la storia degli Ayyubiti e Mamelucchi dal 577/1
181 all'840/1436. E' perci importante per le due spedizioni crociate in Egitto, e
per le conquiste finali dei Mamelucchi in Siria.

TESTO: ed. M. Ziyade, I, Cairo 1934.


VERSIONI alle pagine 295-99, 334-35.
IBN AL-FURAT.
Nasir ad-din Ibn al-Furt (Cairo 735/1334 - 807/1405) come Maqrizi e quasi tutti i
suoi contemporanei un gran compilatore, il cui valore dipende da quello delle f
onti da lui trascritte. Il suo grande "Ta'rkh ad-duwal wa l-mulk" ("Storia delle d
inastie e dei re"), giuntoci parzialmente e ancora in gran parte inedito, arriva
fino al secolo quattordicesimo, e serba interessanti materiali per l'epoca dei
primi Mamelucchi. Un altro pregio di Ibn al-Furt, da tempo riconosciuto, sono com
e in Abu Shama le citazioni dal perduto Ibn Abi t-Tayy per l'epoca di Saladino.
TESTO: ms. Wien Ar. 814 A. F., voll. VI, VII (fotocopia Caetani).
VERSIONI alle pagine 306-8, 340-13, 329-25.
'AINI.
Badr ad-din al-'Aini ('Aintb 762/1360 - Cairo 855/1451), funzionario e cortigiano
dei Mamelucchi, filologo e studioso di tradizioni canoniche, compose anche una
storia generale ("'Iqd al-giumn fi ta'rkh ahl az-zamn", "Il vezzo di perle sulla st
oria della gente dell'epoca"), utilizzata al solito in grazia delle sue fonti no
n ancor riconosciute o direttamente accessibili.
TESTO: in "Recueil des Historiens des Croisades, Historiens Orientaux", II, Pari
s 1887.
VERSIONE alle pagine 313-15.
ABU L-FIDA.
Abu l-Fid' 'Imd ad-din Isma'l Ibn 'Ali al-Ayyubi, l'"Abulfeda" dell'arabistica sett
e e ottocentesca (Damasco 672/1273 - Hamt 732/1331), una simpatica figura di emir
o letterato, che ricorda un po' Usama. Membro della casa ayyubita, quando essa a
veva ormai perduto ogni autonomo potere, soppiantata in Egitto e in Siria dai Ma
melucchi, riusc a farsi riconoscere sotto la loro alta sovranit la signoria avita
di Hamt, dove regn col titolo di Malik al-Mu'ayyad fino alla morte. Le sue due ope
re principali di scrittore, la storia ("Mukhtasar ta'rkh al-bashar" "Compendio di
storia del genere umano") e la geografia ("Taqwm ad-buldn", "Determinazione in lo
ngitudine dei paesi"), ebbero la ventura di essere tra le prime opere della lett
eratura araba conosciute e parzialmente pubblicate in Europa fin dagli inizi del
l'arabistica moderna. Da ci una iniziale sopravvalutazione di entrambe quelle com
pilazioni, che lo schiudersi di opere pi antiche e originali ha poi quasi del tut
to soppiantato. Della storia serba durevole interesse la parte contemporanea all
'autore, che milit da giovane nelle campagne mamelucche contro Tripoli e Acri, e
fu quindi testimone oculare del tragico epilogo delle Crociate.
TESTO: in "Recueil des Historiens des Croisades, Historiens Orientaux", I, Paris
1872.
VERSIONI alle pagine 333-34, 336-39.
ABU L-MAHASIN.
Abu l-Mahasin Ibn Taghribirdi (Cairo 813/1411 - 874/ 1469) fa parte anch'egli de
lla famiglia dei poliistori ed eruditi dell'et mamelucca. La sua grande storia d'
Egitto ("an-Nugim az-zhira fi mulk Misr wa l-Qhira", "Le stelle fulgenti, sui re d'E

gitto e del Cairo") costituisce la pi ampia cronaca generale del suo paese, dalla
conquista araba all'857/1453; ma anch'essa opera di pura compilazione. Accanto
a quella di Abu l-Fid', la sua relazione dell'assedio ed eccidio d'Acri sotto alAshraf (riposante certo su una fonte coeva) il pi interessante testo musulmano a
noi noto su quell'evento, di cui manca la trattazione nel frammento edito della
biografia di Ibn 'Abd az-Zahir su quel sultano.
TESTO: ms. Paris Ar. 1873 (fotocopia Caetani) (3).
VERSIONE alle pagine 339-42.
Note "Gli autori e le opere".
Nota 1 L'ordine di questi cenni, che, salvo il primo, quello con cui gli autori
compaiono nel libro, corrisponde solo all'ingrosso con quello cronologico.
Nota 2. Ne sono usciti sinora tre volumi (Cairo 1954-62) a cura di M. Shayyl.
Nota 3. Il periodo relativo non compreso nelle due edizioni occidentali dei "Nug
im", di Juynboll e Matthes e di Popper. Mi rimasta inaccessibile l'edizione cairi
na.

STORICI ARABI DELLE CROCIATE.

PARTE PRIMA.
"Da Goffredo a Saladino".
1.
Le nostre principali fonti per la Prima Crociata sono Ibn al-Qalnisi e Ibn al-Athr
: ma, mentre il cronista damasceno si limita alla notazione cronachistica dei fa
tti, Ibn al-Athr ricollega il fenomeno delle Crociate con tutto il movimento di r
iscossa cristiana contro l'Islm (progressi della "Reconquista" in Spagna e conqui
sta normanna della Sicilia). La caduta di Antiochia e Gerusalemme in mano ai Cro
ciati, il loro affermarsi in Terra Santa e i primi tentativi di reazione musulma
na hanno nello storico mesopotamico il pi completo ed efficace, se non il pi diret
to relatore.
I FRANCHI SI IMPADRONISCONO DI ANTIOCHIA.
(IBN AL-ATHIR, X, 185-88).
Il primo apparire della potenza dei Franchi e la prima loro aggressione al terri
torio dell'Islm, di parte del quale si impadronirono, fu nell'anno 478 (1085-86 d
opo Cristo), quando conquistarono la citt di Toledo e altre terre di Andalusia, c
ome abbiamo gi riferito. Poi nel 484 (1091) attaccarono e conquistarono l'isola d
i Sicilia (1), ci che abbiamo anche narrato, e rivolsero le loro mire alle coste
dell'Africa ove fecero qualche conquista, che fu loro ritolta; e altra ancora ne
fecero, come poi si vedr. Nel 490 (1097) mossero contro la Siria. La cosa cominc
i cos: il loro re Baldovino (2), parente di Ruggero il Franco che aveva conquistat
a la Sicilia, fece una grande adunata di Franchi, e mand a dire a Ruggero: "Ho fa
tta una grande adunata di gente, e vengo ora da te, per andare a conquistare, pa
rtendo dalle tue basi, la costa d'Africa, e diventare col tuo vicino". Ruggero ad
un i suoi compagni, e si consigli con loro su tale proposta. "Per il Vangelo, - fe
cero quelli, - ecco una cosa buona per noi e per loro; cos quei paesi diventerann
o cristiani!" Al che Ruggero, levata una gamba, fece una gran pernacchia, dicend
o: "Aff mia, questa vale pi di codesto vostro discorso" (3). "E perch?" "Perch se ve

ngono qui da me, quegli avr bisogno di un grande apparecchio, e di navi che li tr
asportino in Africa, e di truppe anche da parte mia. Poi se conquistano il paese
quello sar loro, e l'approvvigionamento dovranno averlo dalla Sicilia, venendo i
o a perderci il denaro che frutta qui ogni anno il prezzo del raccolto; e se inv
ece non riescono, faranno ritorno qui al mio paese e mi daranno degli imbarazzi,
e Tamm (4) dir che l'ho tradito e ho violato il patto con lui, e si interromperan
no i rapporti e le comunicazioni fra noi. Ma l'Africa sempre l per noi, e noi qua
ndo avremo la forza la prenderemo". Chiamato quindi il messo di Baldovino, gli d
isse: "Se avete deciso di far la guerra ai Musulmani, la cosa migliore di conqui
stare Gerusalemme, che libererete dalle loro mani e di cui avrete il vanto. Ma p
er l'Africa, ci sono giuramenti e patti che mi legano con quelli di l". E cos quel
li si apparecchiarono e mossero contro la Siria. Secondo un'altra voce, furono i
Fatimidi d'Egitto che, quando videro la forza dell'impero dei Selgiuchidi impia
ntarsi e impadronirsi della Siria fino a Gaza, senza che pi alcuna provincia si i
nterponesse fra essi e l'Egitto, e Atsiz (5) invase e oppugn l'Egitto stesso, imp
auriti mandarono a invitare i Franchi a muovere contro la Siria per impadronirse
ne e far da cuscinetto fra loro e i Musulmani (6). Dio poi ne sa di pi.
Deciso che ebbero i Franchi di muovere contro la Siria, marciarono su Costantino
poli per passare lo Stretto e avanzare per la via di terra, come pi facile, nei p
aesi dei Musulmani. Ma giunti che furono col, l'Imperatore d'Oriente neg loro il p
assaggio per il suo territorio, dicendo: "Non vi permetter di passare in terra d'
Islm se prima non mi giurate di consegnarmi Antiochia"; e intendeva in realt eccit
arli ad attaccare il territorio musulmano, nella convinzione che i Turchi, di cu
i aveva visto la saldezza e il dominio sul paese (d'Asia Minore), li avrebbero f
ino all'ultimo sterminati. Quelli accettarono le sue condizioni, e passarono il
Bosforo presso Costantinopoli nel 490 (1097) entrando nello stato di Qilig Arsln
ibn Sulaimn ibn Qutlumsh, cio Iconio e altre terre. Ivi giunti, furono affrontati d
a Qilig Arsln con le sue truppe che sbarr loro il cammino, ma essi lo combatterono
e ruppero (7) nel mese di ragiab del 490 (luglio 1097), e passarono dal suo pae
se per la Cilicia (8) che traversarono, sboccando infine ad Antiochia che cinser
o d'assedio.
Quando il signore di Antiochia Yaghi Siyn venne a sapere della loro marcia a quel
la volta, temette dei Cristiani che ivi dimoravano: fece quindi uscire dalla cit
t la sola popolazione musulmana, facendo loro scavare dei trinceramenti, e cos il
giorno dopo i Cristiani, senza alcun Musulmano, per lo stesso lavoro. Essi lavor
arono fino al pomeriggio, e quando vollero far ritorno in citt egli ne li imped, d
icendo: "Antiochia vostra, ma voi dovete lasciarla a me sinch io veda come si met
tono le nostre cose coi Franchi". Gli dissero: "Chi protegger i nostri figli e le
nostre donne?" Rispose: "Io mi occuper di loro in vostro luogo"; ed essi, rasseg
natisi, restarono nel campo dei Franchi, che assediarono la citt per nove mesi.
Yaghi Siyn dispieg un coraggio, un senno e fermezza e prudenza impareggiabili. La
maggior parte dei Franchi per, ch se fossero rimasti nel numero in cui eran mossi
avrebbero occupati tutti i paesi dell'Islm. Yaghi Siyn protesse le famiglie dei Cr
istiani d'Antiochia da lui espulsi, e imped che fosse loro torto un capello. Dopo
lungo indugio sotto Antiochia, i Franchi entrarono in trattative con uno degli
addetti alla difesa delle torri, un fabbricante di corazze a nome Rozbih (9), co
n larghe concessioni di denaro e di feudo: colui era addetto alla difesa di una
torre contigua al letto del fiume, costruita su una finestra che dava sulla vall
e. Fermata che fu la cosa tra loro e quel maledetto fabbro di corazze, essi venn
ero a quella finestra, l'aprirono e penetrarono di l, e una gran massa di gente v
enne su con le corde. Quando furono pi di cinquecento, dettero fiato alle trombe
sull'ora dell'alba, quando i difensori erano stanchi dalla gran veglia e la guar
dia. Yaghi Siyn, destatosi, domand di che si trattasse; gli fu risposto che il suo
n di tromba veniva dalla rocca, che certo era stata presa, mentre in realt non ve
niva dalla rocca ma da quella torre. Preso dal panico, egli allora apr la porta d
ella citt, e usc fuggendo all'impazzata con trenta paggi di scorta. Il suo luogote
nente sopraggiunto domand di lui, e dettogli che era fuggito si dette anch'egli a
lla fuga da un'altra porta, ci che fu di grande aiuto ai Franchi: se avesse tenut
o fermo un'ora, sarebbero stati annientati. Poi i Franchi entrarono nella terra
dalla porta, e la misero a sacco, e ammazzarono i Musulmani di dentro: ci accadde

nel mese di giumada primo (491/aprile - maggio 1098) (10). Quanto a Yaghi Siyn,
al sorgere del giorno riprese il controllo di s dopo che aveva perduto la testa,
e si accorse di aver percorso diverse "farsakh" (11) nella fuga. Chiesto ai suoi
compagni dove fosse, gli fu detto: "a quattro "farsakh" da Antiochia", e si pen
t di essersi messo in salvo incolume e di non aver combattuto s da cacciare il nem
ico dalla terra o morire; prese quindi a sospirare e lacrimare per avere abbando
nato la sua famiglia e i figli e i Musulmani, e per il violento cordoglio cadde
da cavallo svenuto. I compagni volevano rimetterlo in sella, ma egli non si regg
eva pi ritto, ed era ormai presso alla morte; perci lo lasciarono e si allontanaro
no. Gli pass accanto un taglialegna armeno mentre era all'ultimo fiato, e lo ucci
se, e gli tagli la testa, che port ai Franchi in Antiochia. I quali Franchi avevan
o scritto ai signori di Aleppo e Damasco, dicendo di non aver di mira altre terr
e che quelle gi appartenute ai Bizantini, e non altre; e ci per inganno e perfidia
, affinch quelli non andassero in aiuto del signore di Antiochia.
MARCIA DEI MUSULMANI CONTRO I FRANCHI, E QUEL CHE NE SEGUI'.
(IBN AL-ATHIR, X, 188-90).
Quando Qawm ad-dawla Kerbuq (12) sent dei Franchi, e che si erano impadroniti di An
tiochia, riun le truppe e venne in Siria, accampandosi a Marg Dabiq; e con lui si
riunirono le truppe di Siria, Turchi e Arabi, eccetto quelli di Aleppo. Si unir
ono dunque a lui Duqq ibn Tutsh (13), l'atabek Tughtikn, Gianh ad-dawla signore di H
ims, Arsln Tash signore di Singir, Sulaimn ibn Artq e altri emiri minori. Il che qua
ndo udirono i Franchi, ne furono costernati e temettero per lo stato di debolezz
a e di scarse vettovaglie in cui si trovavano. I Musulmani avanzarono e vennero
a fronteggiarli sotto Antiochia; ma Kerbuq si comport male con i Musulmani che era
no con lui, li indispose e tratt superbamente, pensandosi che sarebbero rimasti c
on lui in tali condizioni. Ci li sdegn, e fece loro concepire l'intimo disegno di
tradirlo al momento della battaglia, e di abbandonarlo quando si fosse venuti al
l'urto decisivo. I Franchi restarono in Antiochia per dodici giorni, dopo averla
conquistata, senza avere di che mangiare: i grandi si nutrivano delle loro cava
lcature, e i poveri delle carogne e di foglie d'albero. Ci visto, mandarono a chi
edere a Kerbuq di poter uscire salvi dalla terra, ma egli non lo concesse, e diss
e: "Non uscirete che con le armi". Tra i re che erano con loro c'era Baldovino,
Saint-Gilles, Goffredo, il Conte (futuro) signore di Edessa (14), e Boemondo sig
nore di Antiochia, capo di loro tutti; c'era anche un frate di grande autorit fra
loro, furbo matricolato, il quale dichiar loro che il Messia aveva una lancia se
polta nel Qusyn, un grande edificio di Antiochia (15), "e se la trovate vincerete
, e se no, avrete morte certa". Precedentemente, costui aveva sepolta una lancia
in un dato luogo, e cancellatane ogni traccia; e ordin loro digiuno e penitenza
per tre giorni, e al quarto giorno li fece entrare tutti in quel posto, con i lo
ro gregari e gli operai, che scavarono dappertutto e trovarono la lancia come qu
egli aveva annunciato (16). Al che il frate proclam: "Esultate per la sicura vitt
oria". Cos al quinto giorno uscirono dalla porta della citt, divisi in gruppi di c
inque o sei e simili. I Musulmani dissero a Kerbuq: "Devi metterti sulla porta, e
uccidere ognuno che esce: facile spacciarli, ora che sono dispersi". Ma quegli
rispose: "No, aspettate che siano tutti usciti, e allora li uccideremo", e non p
ermise di coglierli d'un subito assalto, e quando dei Musulmani uccisero un grup
po di quelli che uscivano and lui di persona a proibirlo e impedirli. Usciti che
furono tutti i Franchi senza che in Antiochia ne restasse pi nessuno, appiccarono
una gran battaglia, e i Musulmani si volsero senz'altro in fuga per colpa di Ke
rbuq, prima per lo spregio e disdegno con cui li aveva trattati, e poi per averli
impediti dall'uccidere i Franchi. La loro rotta fu piena, senza che alcuno aves
se dato un sol colpo di spada o di lancia, o tratto d'arco. Gli ultimi a fuggire
furono Suqmn ibn Artq e Gianh ad-dawla, che erano entrambi appostati all'agguato,
e Kerbuq scapp via con loro. Il che visto, i Franchi credettero a un'insidia, non
essendoci stato ancora combattimento da cui fuggire, e temettero di inseguirli.
Solo un corpo di combattenti della guerra santa tenne fermo, e si batt per acquis

tar merito presso Dio e cercare il martirio. I Franchi ne uccisero a migliaia, e


predarono i viveri e averi, arredi e cavalcature ed armi che erano nel campo, u
scendone cos ristorati e rinforzati.
I FRANCHI SI IMPADRONISCONO DI MA'ARRAT AN-NU'MAN.
(IBN AL-ATHIR, X, 190)
Sbrigatisi a questo modo dei Musulmani, i Franchi marciarono su Ma'arrat an-Nu'mn
e la cinsero d'assedio, vigorosamente combattuti dagli abitanti. Vistili cos fer
mi e gagliardi nella resistenza, cos seriamente impegnati nella lotta, i Franchi
costruirono una torre di legno che giungeva all'altezza delle mura, e su essa si
combatt senza che i Musulmani ne risentissero gran danno. Ma a notte alcuni dei
Musulmani furono colti dal panico, e, scoraggiati e demoralizzati, credettero ch
e fortificandosi in alcuni degli edifizi maggiori vi si sarebbero potuti meglio
difendere: cos scesero gi dalle mura, e sguarnirono il posto che difendevano; altr
i videro e imitarono quest'esempio, e un altro punto di muro rest sguarnito; e co
s un gruppo segu l'altro nel venir gi dalle mura, tanto che queste restarono sgombr
e di difensori. I Franchi salirono su con le scale, e quando furono su i Musulma
ni si perdettero del tutto d'animo e si richiusero nelle loro case. Per tre gior
ni, i Franchi li passarono a fil di spada, uccidendo pi di centomila persone e fa
cendo gran prigionieri. Impadronitisi del luogo, vi si fermarono quaranta giorni
. Andarono poi ad 'Arqa, e la tennero assediata per quattro mesi, aprendo molte
brecce nelle mura, ma non riuscirono a espugnarla. Munqidh signore di Shaizar en
tr con loro in trattative, e venne a un accordo con loro su di essa. Di qui passa
rono ad assediare Hims, su cui ugualmente patteggi il suo signore Gianh ad-dawla,
e per la via di an-Nawaqr marciarono su Acri, ma non poterono impadronirsene.
I FRANCHI SI IMPADRONISCONO DI GERUSALEMME.
(IBN AL-ATHIR, X, 193-95).
Gerusalemme apparteneva a Tag ad-dawla Tutsh (17), che l'aveva concessa in feudo
all'emiro Suqmn ibn Artq il Turcomanno. Ma, quando i Franchi vinsero i Turchi sott
o Antiochia e ne fecero strage, questi si indebolirono e dispersero e allora gli
Egiziani, vista la debolezza dei Turchi, marciarono su Gerusalemme sotto il com
ando di al-Afdal ibn Badr al-Giamali (18), e la assediarono. Erano nella citt Suq
mn e Ilghazi figli di Artq, il loro cugino Sunig e il loro nipote Yaquti. L'Egizia
no mont contro Gerusalemme pi di quaranta macchine d'assedio, che demolirono vari
punti delle mura; gli abitanti si difesero, e la lotta e l'assedio durarono pi di
quaranta giorni. Alla fine, gli Egiziani si insignorirono della citt per capitol
azione nello sha'bn del 489 (agosto 1096) (19). Al-Afdal tratt generosamente Suqmn,
Ilghazi e i loro compagni, fece loro larghi donativi, e li lasci andare; ed essi
si recarono a Damasco, e poi passarono l'Eufrate, e Suqmn si ferm ad Edessa, ment
re Ilghazi se ne and nell'Irq. Gli Egiziani misero come luogotenente in Gerusalemm
e un certo Iftikhr ad-dawla, che vi rest fino al momento di cui parliamo.
Contro Gerusalemme mossero dunque i Franchi dopo il loro vano assedio di Acri, e
giunti che furono la cinsero d'assedio per oltre quaranta giorni. Montarono con
tro di essa due torri, l'una delle quali dalla parte di Sion, e i Musulmani la a
bbruciarono uccidendo tutti quelli che c'eran dentro; ma l'avevano appena finita
di bruciare che arriv un messo in cerca d'aiuto, con la notizia che la citt era s
tata presa dall'altra parte: la presero infatti dalla parte di settentrione, il
mattino del venerd ventidue sha'bn (492/ 15 luglio 1099). La popolazione fu passat
a a fil di spada, e i Franchi stettero per una settimana nella terra menando str
age dei Musulmani. Uno stuolo di questi si chiuse a difesa nell'Oratorio di Davi
de (20), dove si asserragliarono e combatterono per pi giorni; i Franchi concesse
ro loro la vita salva, ed essi si arresero, e, avendo i Franchi tenuto fede ai p
atti, uscirono di notte verso Ascalona, e l si stanziarono. Nel Masgid al-Aqsa in

vece i Franchi ammazzarono pi di settantamila persone (!?), tra cui una gran foll
a di "imm" e dottori musulmani, devoti e asceti, di quelli che avevano lasciato i
l loro paese per venire a vivere in pio ritiro in quel Luogo Santo. Dalla Roccia
(21) predarono pi di quaranta candelabri d'argento, ognuno del peso di tremilase
icento dramme, e un gran lampadario d'argento del peso di quaranta libbre sirian
e; e dei candelabri pi piccoli centocinquanta d'argento e pi di venti d'oro, con a
ltre innumerevoli prede.
I profughi di Siria arrivarono a Baghdd nel mese di ramadn, col cadi Abu Sa'd al-Hr
awi, e tennero nella Cancelleria califfale un discorso che fece piangere gli occ
hi e addolor i cuori. Il venerd vennero nella Moschea cattedrale, e chiesero aiuto
, piansero e fecero piangere, narrando quel che i Musulmani avevan sofferto in q
uella Citt santa: uomini uccisi, donne e bambini prigionieri, averi predati. Per
i gravi disagi sofferti, arrivarono a rompere il digiuno.
I vari principi musulmani furono tra loro discordi, come diremo, e i Franchi pot
erono cos rendersi padroni del paese. Su questo compose dei versi Abu l-Muzaffar
al-Abiwardi (22), tra cui i seguenti:
Abbiam commisto il sangue alle scorrenti lacrime, e non rimasto pi campo in noi a
lla piet (?)
La peggior arma dell'uomo lo sparger lacrime, quando le spade attizzano il fuoco
della guerra.
Figli dell'Islm, vi stanno addosso battaglie tali da far ruzzolare le teste (reci
se) sui piedi.
Osate sonnecchiare all'ombra di una beata sicurezza, in una vita molle come fior
di verziere?
Ma come pu dormir l'occhio entro le palpebre, su sciagure tali da destare ogni do
rmiente?
Mentre i vostri fratelli di Siria son ridotti ad aver riposo sui dorsi dei destr
ieri, o nei ventri degli avvoltoi?
I Rum li pascon d'ignominia, e voi traete lo strascico di una comoda vita, come
chi sta in pace?
Quanto sangue stato versato, quante vaghe fanciulle han dovuto per pudore nascon
dere fra le mani il loro bel viso!
Mentre le bianche spade han le punte arrossate di sangue, e le brune lance hanno
insanguinato il ferro!
E si incrociano colpi di lancia e di spada, tali che i fanciulli ne hanno incanu
tite le tempie.
Son guerre, queste, che chi ne schiva il gorgo per aver salva la vita digrigner p
oi i denti pentito.
Guerre che in mano agli Infedeli han snudato spade, destinate a esser rinfoderat
e nei lor colli e nei crani.
A tali guerre, Colui che dorme nel sepolcro di Medina pare elevare alta la voce
nel grido: "O stirpe di Hashim! (23).
Vedo il mio popolo che non drizza veloce le lance contro il nemico, vedo la fede
poggiare su deboli sostegni.
Per timor della morte, i Musulmani evitano il fuoco della battaglia, e non credo
no che il disonore inevitabilmente li colpisca".
I campioni degli Arabi si acconcian dunque a soffrire offesa, e chiudon gli occh
i sull'ignominia i prodi Persiani?
CATTURA DI BOEMONDO DI ANTIOCHIA.
(IBN AL-ATHIR, X, 203-4).
Nel dhu l-ga'da di quest'anno (493/settembre 1100), Kumushtikin ibn ad-Danishman
d Tail, signore di Malatia, Siws e altre terre, si scontr con Boemondo il Franco, u
no dei capi dei Franchi, presso Malatia. Il (precedente) signore di questa citt e
ra entrato in trattative con lui e lo aveva chiamato a s, ed egli era andato con
cinquemila uomini. Ibn ad-Danishmand si scontr con loro, e Boemondo fu battuto e

preso prigioniero. Arrivarono quindi dal mare sette Conti dei Franchi, che volle
ro liberare Boemondo: vennero a una rocca a nome Ankuriyya, la presero e ucciser
o i Musulmani che vi eran dentro; passarono poi a un'altra rocca, in cui era Ism
a' l ibn ad-Danishmand, e la cinsero d'assedio. Ibn ad-Danishmand raccolse gran g
ente e affront i Franchi, ponendo loro un'imboscata. Si attacc battaglia, quelli d
ell'imboscata usciron fuori contro il nemico, e nessuno dei Franchi, che erano t
recentomila (!), si salv, se non tremila che fuggirono di notte malconci. Ibn adDanishmand marci su Malatia, se ne impadron e fece prigioniero il suo signore. Poi
usc contro di lui l'esercito dei Franchi da Antiochia, ed egli li affront e batt.
Tutti questi eventi ebbero luogo nel giro di pochi mesi.
MORTE DI GOFFREDO, E ULTERIORI CONQUISTE FRANCHE.
(IBN AL-ATHIR, X, 222).
In quest'anno (493/1100), Goffredo, re dei Franchi di Siria e signore di Gerusal
emme, marci sulla citt di Acri sul litorale, e la cinse d'assedio, ma fu colpito d
a una freccia e mor (24). Egli aveva precedentemente fortificato la citt di Giaffa
, e l'aveva data in mano a un conte dei Franchi a nome Tancredi. Ucciso che fu G
offredo, suo fratello Baldovino mosse verso Gerusalemme con cinquecento cavalier
i e fanti. Avutane notizia, il re Duqq signore di Damasco marci contro di lui con
le sue truppe, insieme all'emiro (di Hims) Gianh ad-dawla, lo combatt e riport vitt
oria sui Franchi.
In questo stesso anno i Franchi si impadronirono della citt di Sarg in Mesopotamia
. Gi prima essi si erano insignoriti della citt di Edessa, per accordi con la sua
popolazione formata in maggioranza di Armeni, con solo pochi Musulmani. A questo
punto, Suqmn raccolse in Sarg un forte nerbo di Turcomanni e marci contro i Franch
i, ma questi lo affrontarono e batterono nel rab' primo (gennaio-febbraio 1100);
rotti cos i Musulmani, i Franchi marciarono su Sarg, l'assediarono e la presero, u
ccidendo gran parte della popolazione, catturandone le donne e predando gli aver
i: scamp solo chi riusc a fuggir via.
Ancora in quest'anno, i Franchi si impadronirono d'assalto di Caifa presso Acri
sul litorale, e a patti di Arsf, donde espulsero la popolazione. E nel ragiab (ma
ggio), per forza d'armi di Cesarea, dove uccisero gli abitanti e misero a sacco
la citt.
SAINT-GILLES IL FRANCO ASSEDIA TRIPOLI.
(IBN AL-ATHIR, X, 236-37).
Saint-Gilles il Franco (25) (Dio lo maledica) si era scontrato con Qilig Arsln ib
n Sulaimn ibn Qutlumsh, signore di Iconio, avendo lui centomila uomini (26) e Qili
g Arsln solo un piccolo numero. Venuti a battaglia, i Franchi furono rotti, e ucc
isi e catturati un gran numero, dopo di che Qilig Arsln torn con la preda e l'inas
pettata vittoria. Saint-Gilles, battuto, se ne venne con trecento uomini in Siri
a. Allora Fakhr al-mulk ibn 'Ammr signore di Tripoli mand a dire all'emiro Yakhz, l
uogotenente di Gianh ad-dawla su Hims, e al re (di Damasco) Duqq ibn Tutsh, dell'op
portunit di andar subito addosso a Saint-Gilles che si trovava con cos deboli forz
e. Cos Yakhz mosse in persona, e Duqq mand duemila uomini, cui si unirono rinforzi d
a Tripoli. Concentratisi alle porte di Tripoli, offriron battaglia col a Saint-Gi
lles: questi lanci cento dei suoi contro i Tripolini, cento contro i Damasceni e
cinquanta contro quelli di Hims, tenendo con s gli altri cinquanta. Quei di Hims
si volsero in fuga alla sola vista del nemico, seguiti dai Damasceni, mentre i T
ripolini affrontarono i cento che avevano di fronte. Ci visto, Saint-Gilles caric
con tutti gli altri duecento, e sconfissero quelli di Tripoli e ne uccisero sett
emila. Indi Saint-Gilles invest e assedi Tripoli, coadiuvato nell'assedio da eleme
nti indigeni della montagna e della campagna, per la maggior parte cristiani. Qu
ei di dentro si difesero vigorosamente, e trecento Franchi furono uccisi. Poi Sa

int-Gilles fece tregua con loro per denari e cavalli, e mosse di l sulla citt di T
ortosa, in provincia di Tripoli, che assedi ed espugn uccidendovi i Musulmani; e d
i qui alla rocca di at-Tubn presso Rafaniyya, tenuta da un certo Ibn al-'Ard. Atta
ccati, quei della rocca ebbero la meglio, e Ibn al-'Ard fece prigioniero un caval
iere dei loro pi eminenti, per il cui riscatto Saint-Gilles offr diecimila "dinr" (
27) e mille prigionieri, senza che Ibn al-'Ard accettasse tale profferta.
LIBERAZIONE DI BOEMONDO.
ROTTA DI RE BALDOVINO A RAMLA.
(IBN AL-ATHIR, X, 237-38).
In quest'anno (495/1102), il Danishmand rimise in libert Boemondo il Franco signo
re di Antiochia, che aveva catturato come gi dicemmo; e prese da lui centomila "d
inr" di riscatto, e gli impose di liberare la figlia di Yaghi Siyn, l'antico signo
re di Antiochia, che quegli teneva prigioniera. Uscito di prigionia, Boemondo fe
ce ritorno ad Antiochia, ridando cos animo alla sua gente, e non stette molto che
mand messi alla popolazione delle marche di Siria, Qinnasrn e paesi vicini, esige
ndo il tributo. Cos i Musulmani ebbero un danno che cancell l'effetto della gesta
gloriosa del Danishmand.
Nello stesso anno Saint-Gilles marci contro Hisn al-Akrd (28) assediandola. Gianh a
d-dawla raccolse le sue truppe per muovere contro di lui e piombargli addosso, m
a fu assassinato da un Batinita (29) nella Moschea maggiore (di Hims), e si diss
e che il suo congiunto re Ridwn avesse armata la mano del sicario. Appena egli fu
ucciso, Saint-Gilles si present il mattino dopo davanti a Hims, la invest e cinse
d'assedio, e si impadron del suo territorio.
Il Conte nel giumada secondo (aprile 1102) strinse d'assedio Acri e fu quasi per
prenderla, rizzando contro di essa le macchine da guerra e le torri, mentre per
mare aveva sedici galere. Accorsero i Musulmani da tutto il restante litorale,
e bruciarono macchine e torri del nemico, e le sue navi per giunta. Fu una merav
igliosa vittoria, con cui Iddio avvil gli Infedeli.
Il Conte franco signore di Edessa marci contro Beirt sul litorale, e la strinse fo
rtemente d'assedio, soffermandosi a lungo contro di essa; ma non vedendo modo di
venirne a capo, si ritir.
Nel ragiab infine (maggio 1102) le truppe egiziane mossero su Ascalona, per impe
dire ai Franchi di occupare gli ultimi resti dei possedimenti egiziani di Siria.
Ci udito, Baldovino signore di Gerusalemme marci contro di loro con settecento ca
valieri, e li attacc. Ma Dio dette la vittoria ai Musulmani, e i Franchi furon ro
tti con grande strage: Baldovino fugg e si nascose in un canneto, che fu dato all
e fiamme e il fuoco gli prese anche parte della persona; di l, egli fugg a Ramla,
inseguito e braccato dai Musulmani, finch travestito riusc a riparare a Caifa, men
tre molti dei suoi caddero uccisi e prigionieri.
I FRANCHI SI IMPADRONISCONO DI GIUBAIL E DI ACRI.
(IBN AL-ATHIR, X, 255).
In quest'anno (497/1103 - 1104) giunsero delle navi dai paesi dei Franchi alla c
itt di Laodicea, cariche di mercanti, soldati, pellegrini, eccetera. Dell'aiuto d
i costoro si serv Saint-Gilles per l'assedio di Tripoli, ed essi la assediarono c
on lui per terra e per mare, e la strinsero ed oppugnarono per pi giorni; ma, non
venendone a capo, si ritirarono da essa su Giubail, e questa assediarono e comb
atterono vigorosamente. Quando gli abitanti si videro incapaci di resistere oltr
e ai Franchi, chiesero di capitolare e consegnarono loro la terra, ma i Franchi
non mantennero i patti della resa, e si impadronirono dei loro averi, estorcendo
li con la tortura e vari tormenti. Finito l'affare di Giubail, marciarono su Acr
i, ivi chiamati in aiuto da re Baldovino signore di Gerusalemme, e la investiron
o e assediarono per terra e per mare. Governatore di questa citt era un certo Ban

n, noto col titolo di Zahr ad-dawla al-Giuyushi, cos detto dal (visir fatimida) Ma
lik al-Giuysh al-Afdal. Questi, dopo aver vigorosamente resistito e subito vari a
ttacchi, non resse a un'ulteriore difesa della terra, e lasci la piazza; e i Fran
chi se ne impadronirono d'assalto, a viva forza, e si abbandonarono a vergognosi
eccessi sulla popolazione. Quel governatore se ne and a Damasco dove stette per
un certo tempo, e poi fece ritorno in Egitto e si scus con al-Afdal, che accett le
sue scuse.

2.
Le pagine che seguono, ancora da Ibn al-Athr, sono importanti per la vittoriosa r
eazione musulmana alla puntata franca su Harrn, avamposto mesopotamico in direzio
ne di Baghdd; e ancor pi per la situazione che ne consegue, di coalizioni franco-m
usulmane combattentisi tra loro: il particolarismo musulmano che agevol ai Crocia
ti la conquista ha contagiato gli stessi vincitori, e Baldovino di Edessa e Tanc
redi di Antiochia non esitano a entrare nelle opposte alleanze di emiri musulman
i rivali.
SPEDIZIONE DI SUQMAN E CEKERMSH CONTRO I FRANCHI.
(IBN AL-ATHIR, X, 256-57).
Allorch i Franchi - che Dio li mandi in malora! - si insediarono da padroni nelle
terre dell'Islm da loro conquistate, ci coincise col fatto che gli eserciti dell'
Islm e i suoi sovrani erano occupati a combattersi l'un l'altro, risultandone la
discordia e disunione dei Musulmani, e la dispersione delle loro forze. La citt d
i Harrn apparteneva a un mamelucco di Malikshh a nome Qaragia, che l'anno preceden
te ne era partito lasciandovi a luogotenente un certo Muhammad al-Isfahani. Ques
ti si ribell a Qaragia col favore della popolazione locale, per l'ingiustizia di
colui, mentre al-Isfahani era uomo energico e intelligente. Non era rimasto a Ha
rrn dei partigiani di Qaragia che un paggio turco a nome Giaval, che Isfahani nomi
n capo dell'esercito e con cui strinse amicizia; ma mentre un giorno s'intrattene
va con lui a trincare, Giaval, d'accordo con un suo servo, lo uccise mentre era u
bbriaco. Fu a questo punto che i Franchi (di Edessa) marciarono su Harrn. Quando
Mu'n ad-dawla Suqmn e Shams ad-dawla Cekermsh (30) appresero ci - ed essi erano in g
uerra fra loro, volendo Suqmn trar vendetta su Cekermsh per l'uccisione di suo nip
ote, che poi racconter a Dio piacendo, ed entrambi si preparavano ad affrontarsi
l'un l'altro - quando dunque seppero dell'accaduto, si rivolsero reciprocamente
un appello a riunire le loro forze per salvare la situazione a Harrn, dicendo ogn
uno di offrir se stesso a Dio, e cercar solo la Sua ricompensa. Ognuno accolse l
'invito dell'altro e messisi in marcia si congiunsero sul fiume Khabr, strinsero
alleanza e mossero insieme ad affrontare i Franchi, Suqmn con settemila cavalieri
turcomanni e Cekermsh con tremila cavalieri turchi, arabi e curdi. Incontrarono
il nemico sul fiume Balkh, e li vennero con esso a battaglia (maggio 1104). I Mus
ulmani fecero mostra di volgersi in rotta, inseguiti per circa due "farsakh" dai
Franchi; poi, rivoltatisi, ne fecero strage a loro talento. Le mani dei Turcoma
nni si riempirono di bottino, e giunsero a far preda di ingenti ricchezze, essen
do l vicino la campagna coltivata dai Franchi. Boemondo signore di Antiochia e Ta
ncredi signore del litorale si erano staccati dal grosso e appostati dietro un m
onte per attaccare alle spalle i Musulmani nel colmo della mischia; ma, quando v
ennero fuori, videro i Franchi in fuga e la loro campagna messa a sacco. Aspetta
rono quindi la notte e fuggiron via, inseguiti dai Musulmani che uccisero e catt
urarono molti dei loro compagni, mentre loro si misero in salvo con sei cavalier
i. Il conte Baldovino signore di Edessa era fuggito con un gruppo dei loro Conti
: vollero guadare il Balkh, ma i cavalli si impigliarono nel fango. Sopravvennero
dei Turcomanni di Suqmn, e li catturarono, portando Baldovino alle tende del lor
o signore, che era frattanto con i suoi all'inseguimento di Boemondo. Gli uomini

di Cekermsh videro che quelli di Suqmn si erano impadroniti della roba dei Franch
i, mentre loro tornavano senza vantaggio alcuno di preda, e dissero a Cekermsh: "
Che figura ci faremo presso la gente e i Turcomanni, se quelli si portano via il
bottino e noi restiamo a mani vuote?", e lo persuasero a prendersi il Conte dal
le tende di Suqmn, ci che quegli mand senz'altro ad effetto. Quando Suqmn torn, la co
sa gli increbbe assai: i suoi compagni erano gi in sella pronti a menar le mani,
ma egli li rimand indietro, dicendo: "La gioia dei Musulmani per questa spedizion
e sarebbe guastata dal cruccio per la nostra discordia, n io vorrei sfogare la mi
a collera col dar soddisfazione al nemico a spese dei Musulmani". E immediatamen
te part, e, prese le armi e le bandiere dei Franchi, rivest i suoi delle loro vest
i e li fece montare sui loro cavalli, dirigendosi verso le rocche di Shaihn ove e
rano i Franchi. Questi uscirono credendosi che fossero i loro compagni vittorios
i, e lui li uccideva e prendeva la rocca, il che ripet con diverse fortezze. Quan
to a Cekermsh, egli marci su Harrn e la occup, lasciandovi a vicario un suo fido, e
poi mosse verso Edessa che assedi per quindici giorni. Fece poi ritorno a Mossul,
avendo con s il Conte da lui catturato nelle tende di Suqmn, e fiss il suo riscatt
o in trentacinque (mila) "dinr" e centosessanta prigionieri musulmani. I morti Fr
anchi furono circa dodicimila uomini.
BALDOVINO DI EDESSA E TANCREDI DI ANTIOCHIA.
(IBN AL-ATHIR, X, 321-26).
Quando Giaval (31) giunse a Makisn, mise in libert il Conte franco che era prigioni
ero in Mossul e che egli aveva preso con s: si chiamava costui Baldovino, ed era
signore di Edessa, Sarg e altri luoghi, ed era rimasto sinora (501/1108) in prigi
onia, offrendo grosse somme senza ottenere la libert. Ora Giaval lo rilasci e gli d
on delle vesti d'onore, dopo che era stato in carcere quasi cinque anni (32) e st
abili con lui che egli si sarebbe riscattato per denaro, e avrebbe rilasciati i
prigionieri musulmani che teneva in carcere, e dato aiuto a lui Giaval quando ne
lo avesse richiesto con la sua persona, le sue truppe e il suo denaro. Accordati
si su ci, Giaval invi il Conte alla rocca di Gia'bar, e lo consegn al signore di que
sta, Salim ibn Malik, fino a che venne da lui suo nipote Jocelin, un prode caval
iere dei Franchi signore di Tell Bashir; il quale era stato catturato insieme al
Conte in quella battaglia, ma si era riscattato per ventimila "dinr". Venuto Joc
elin a Gia'bar, stette l in ostaggio in luogo del Conte, che fu messo in libert e
se ne and ad Antiochia. Giaval poi prese Jocelin dalla rocca di Gia'bar e lo rilas
ci, prendendo in cambio suo cognato e il cognato del Conte, e lui lo rimand al Con
te per rafforzarlo e stimolarlo a liberare i prigionieri, a pagare il denaro del
riscatto, e assolvere ogni altro impegno. Jocelin, giunto a Manbig, la razzi e s
accheggi; alcuni uomini di Giaval che erano con lui gliene fecero rimprovero, dich
iarandolo un tradimento, ma egli rispose che quella citt non era roba loro.
Liberato dunque il Conte e venuto ad Antiochia, Tancredi signore di questa gli d
ette trentamila "dinr", cavalli armi e vesti. Questo Tancredi aveva preso Edessa
agli uomini del Conte quando egli era stato fatto prigioniero; ora egli si rivol
se a lui per riaverla, ma l'altro non ne fece nulla. Allora se ne and a Tell Bash
ir, e quando arriv da lui Jocelin rilasciato da Giaval se ne alliet e rallegr; Tancr
edi intanto, signore di Antiochia, mosse contro di loro con le sue truppe per co
mbatterli prima che si rafforzassero e riunissero un esercito, e si unisse Giava
l in loro aiuto. Costoro prima si combattevano tra loro, e dopo il combattimento
si riunivano insieme, e banchettavano insieme e conversavano (33).
Il Conte liber centosessanta prigionieri musulmani, tutti del contado di Aleppo,
e li rivest e licenzi. E Tancredi se ne torn ad Antiochia senza che fosse stata ris
olta la questione di Edessa, mentre il Conte e Jocelin fecero incursioni sulle r
ocche di Tancredi, e ricorsero per aiuto a Kawasl, un Armeno signore di Ru'bn, Kai
sm e altre rocche a nord di Aleppo, che aveva con s una quantit di rinnegati dall'I
slm e altra gente. Questi dette al Conte un aiuto di duemila cavalieri rinnegati
e duemila fanti. Tancredi mosse contro di loro, e nella contesa per Edessa fece
tra loro da mediatore il Patriarca, che come il Califfo presso i Musulmani, da t

utti obbedito: un gruppo di Metropoliti e preti attest che Boemondo, zio di Tancr
edi, quando volle imbarcarsi e far ritorno al suo paese, aveva detto a Tancredi
di restituire Edessa al Conte allorch fosse uscito di prigionia. Cos Tancredi glie
la restitu il nove safar (501/29 settembre 1108). Il Conte pass l'Eufrate per rime
ttere agli uomini di Giaval il denaro e i prigionieri, e liber per istrada una qua
ntit di prigionieri da Harrn e altri luoghi. A Sarg c'erano trecento musulmani pove
ri, per cui gli emissari di Giaval riattarono le moschee. Il capo di Sarg era un r
innegato musulmano; gli uomini di Giaval lo sentirono sparlare dell'Islm, e lo pic
chiarono; ne nacque una rissa tra loro, e la cosa fu riferita al Conte, che dich
iar: "Costui non serve n a noi n ai Musulmani", e lo fece ammazzare...
... Nel safar poi di quest'anno (502/settembre 1109) ebbe luogo la battaglia fra
Giaval Saqau e Tancredi il Franco, signore di Antiochia. Origine della cosa fu c
he il re Ridwn (signore di Aleppo) scrisse a Tancredi signore di Antiochia inform
andolo dell'insidia, tradimento e perfidia di Giaval, mettendolo in guardia contr
o di lui e dandogli notizia che colui stava movendo su Aleppo, e che ove se ne f
osse impadronito i Franchi con lui non avrebbero potuto pi mantenersi in Siria; p
erci gli chiedeva aiuto e accordo a respingerlo. Tancredi accolse tale richiesta
d'aiuto, e usc da Antiochia, mentre Ridwn gli inviava seicento cavalieri. Ci udito,
Giaval mand dal Conte signore di Edessa, chiamandolo a sua volta in aiuto, e gli
condon la restante somma del riscatto; quegli si mise in marcia alla sua volta, e
si congiunse con lui a Manbig. Stando cos Giaval, gli venne notizia che l'esercit
o del Sultano (34) si era impadronito di Mossul, impossessandosi dei tesori e ri
cchezze che lui Giaval vi aveva. Fu questo per lui un grave colpo, e molti dei su
oi compagni lo abbandonarono, tra cui l'atabek Zinki ibn Aq Sunqr e Bektsh an-Naha
wandi: Giaval rimase con mille cavalieri, insieme a una schiera di volontari unit
asi a lui. Egli si accamp a Tell Bashir, su cui marci Tancredi con millecinquecent
o cavalieri franchi, e seicento di re Ridwn, oltre alla fanteria. Giaval schier all
a sua ala dritta l'emiro Aqsiyn e Altuntsh al-Abarri, alla sinistra l'emiro Badrn i
bn Sdaqa, l'Ispahbd Sabau e Sunqur Dirz, e al centro i due Franchi, il conte Baldov
ino e Jocelin. Si appicc la battaglia: gli uomini di Antiochia caricarono il Cont
e di Edessa, e dopo violenta battaglia Tancredi ributt il centro nemico. Ma la si
nistra di Giaval caric la fanteria antiochena, e ne uccise un gran numero, tanto c
he sembrava inevitabile la disfatta del signore di Antiochia. Fu allora che gli
uomini di Giaval, buttatisi sui destrieri del Conte, di Jocelin e degli altri, li
inforcarono e scapparono via. Giaval corse loro dietro per riportarli alla batta
glia, ma essi non tornarono indietro, avendo perduto ogni obbedienza verso di lu
i dacch Mossul gli era stata tolta. Visto che costoro non tornavano con lui, egli
temette per s di restare sul posto, e fugg con tutto il resto del suo esercito. I
spahbd Sabau se ne and verso la Siria, Badrn ibn Sdaqa alla rocca di Gia'bar, Ibn Ce
kermsh a Giazirat ibn 'Omar, e Giaval stesso a Rahba. Una gran quantit di Musulmani
furono uccisi, e il signore di Antiochia ne pred le robe e i bagagli, mentre i F
ranchi infierirono sui Musulmani. Il Conte di Edessa e Jocelin fuggirono a Tell
Bashir, e un gran numero di Musulmani cerc rifugio presso di loro, che li trattar
ono benignamente, curarono i feriti, rivestirono gli ignudi, e li avviarono al l
oro paese.

3.
I paragrafi seguenti, da Ibn al-Qalnisi, ci dnno vividi particolari di prima mano
sulla caduta delle citt costiere di Siria (Tripoli, Beirt, Sidone, e l'ancor vano
assedio di Tiro), e sulle ripercussioni che il dilagare della invasione franca e
bbe nella capitale morale dell'Islm, Baghdd. L'opinione pubblica musulmana, allarm
ata dai profughi di Siria, reclama un'azione militare adeguata dalle autorit cent
rali (il Califfo, e il Sultano Selgiuchide), che al solito "promettono di provve
dere".

CADUTA DI TRIPOLI.
(IBN AL-QALANISI, 163-64).
Nello sha'bn di quest'anno (502/marzo 1109), giunse per mare dal paese dei Franch
i Bertrando (35) figlio di Saint-Gilles che oppugnava Tripoli, con sessanta bast
imenti carichi di Franchi e di Genovesi, accampandosi sotto la citt. Ne nacque un
a contesa fra lui e il Conte di Cerdagne, nipote di Saint-Gilles, e sopraggiunse
ro da un lato Tancredi signore di Antiochia in aiuto di quel di Cerdagne, dall'a
ltro re Baldovino signore di Gerusalemme con le sue truppe, il quale mise pace f
ra loro. Quel di Cerdagne se ne torn ad 'Arqa: trov l in un seminato un Franco, vol
le colpirlo e il Franco colp lui e lo uccise; e venutane la notizia a Bertrando f
iglio di Saint-Gilles, questi mand chi prese in consegna 'Arqa dai compagni del m
orto. Quindi i Franchi investirono Tripoli con tutte le loro forze, e cominciaro
no a combatterla e stringerne gli abitanti, dal primo di sha'bn all'undici dhu lhiggia di quest'anno (6 marzo - 12 luglio 1109), appoggiando le loro torri d'ass
edio alle mura. Quando gli abitanti videro quello spiegamento di forze, rimasero
sgomenti e certi della rovina, e si perdettero d'animo, disperati per il ritard
o a giungere della flotta egiziana, con vettovaglie e rinforzi. I rifornimenti d
ella flotta vennero a mancare e i venti contrari la tennero lontana, per volont d
i Dio che il destino si compisse. I Franchi dunque spinsero a fondo l'assedio, e
presero la citt d'assalto dai baluardi, conquistandola a viva forza il luned undi
ci dhu l-higgia (12 luglio 1109). La citt fu messa a sacco, catturati gli uomini,
fatte schiave le donne e i bambini, e nelle mani dei vincitori cadde una innume
revole e inestimabile preda di robe e preziosi, e codici della locale biblioteca
(36), e oggetti di valore, e cimeli appartenenti ai notabili del luogo. Il gove
rnatore della piazza e tutti i suoi soldati ebbero la vita salva: avevano infatt
i chiesto sicurt prima dell'espugnazione, e quando la citt cadde furon lasciati li
beri e giunsero a Damasco pochi giorni dopo la conquista. Ma la popolazione fu m
essa ai tormenti, furon loro sequestrati gli averi e scovati i tesori dai nascon
digli dove li avevano riposti, e li colpirono le pi gravi prove e le pi dolorose t
orture. Franchi e Genovesi si accordarono nel senso che loro avessero un terzo d
el paese e del bottino, e i due terzi fossero di Bertrando figlio di Saint-Gille
s. Per re Baldovino, fu messo da parte dal mucchio quanto valse a soddisfarlo.
Nel frattempo Tancredi, non avendo ottenuto ci che si prefiggeva con l'appoggio a
quel di Cerdagne, era tornato indietro, e aveva investito e conquistato Baniys,
patteggiando con gli abitanti, nello shawwl di quest'anno (maggio 1109). Poi era
mosso contro la terra di Giubail (37), dove stava (l'emiro di Tripoli) Fakhr almulk ibn 'Ammr, ed era grande scarsezza di vettovaglie: egli mise alle strette lu
i e i suoi fino al venerd ventidue dhu l-higgia (23 luglio 1109). Entrato con lui
in trattative, gli offr sicurt e quelli accettarono: cos egli ricevette la resa a
patti del luogo, e Fakhr al-mulk ne usc con la vita salva, e promesse di riguardi
e appannaggio.
E poco dopo arriv la flotta egiziana, quale mai prima era salpata dai porti d'Egi
tto, per nerbo d'uomini, numero di navi e apparecchi e derrate, in difesa e appr
ovvigionamento di Tripoli, con uomini, viveri e denaro bastante per un anno, e i
n rifornimento delle restanti terre e popolazioni del litorale appartenenti al r
egno d'Egitto. Essa giunse a Tiro otto giorni dopo la presa di Tripoli, ormai co
mpiutasi per il decreto divino che ne aveva colpito gli abitanti. Cos la flotta s
i ferm qualche tempo sul litorale, e distribu le sue derrate nelle varie contrade:
ci serv a rafforzare gli abitanti di Tiro, Sidone e Beirt, che si lagnarono delle
loro condizioni e delle loro deboli forze dinanzi agli attacchi dei Franchi. Ma
la flotta non pot trattenersi oltre, e rifattosi propizio il vento fece vela per
l'Egitto.
CADUTA DI BEIRUT.
(IBN AL-QALANISI, 167-68).

In quest'anno (503/1109-1110), Tancredi usc da Antiochia con la sua gente della m


alora contro le terre confinarie di Siria, e si impadron di Tarso e zone contigue
, cacciandone il governatore bizantino. Tornato poi ad Antiochia, ne riusc contro
Shaizar, cui impose un tributo di diecimila "dinr", dopo aver dato il guasto all
a sua provincia; invest quindi Hisn al-Akrd e la ebbe in resa dalla guarnigione, e
poi si diresse su 'Arqa. Intanto re Baldovino e il figlio di Saint-Gilles inves
tivano per terra e per mare la terra di Beirt, e mentre Tancredi tornava ad Antio
chia Jocelin signore di Tell Bashir veniva in quel di Beirt a dar man forte ai Fr
anchi invasori, e a chieder loro aiuto contro l'esercito dell'emiro Mawdd che min
acciava Edessa. I Franchi presero a fabbricare la torre d'assedio per rizzarla c
ontro le mura di Beirt, ma quando fu terminata e la misero in moto essa fu rotta
e guasta dalle pietre delle catapulte. Si misero allora a fabbricarne un'altra,
e il figlio di Saint-Gilles ne fabbric una terza.
Arrivarono in quella per mare diciannove legni da guerra della flotta egiziana,
che sopraffecero le navi dei Franchi impadronendosi di alcune, ed entrarono port
ando rifornimenti di viveri a Beirt, onde i difensori si rinfrancarono. Allora re
Baldovino mand a Suwaidiyya (38), chiamando in aiuto i Genovesi di l con le loro
navi, e di l giunsero infatti a Beirt quaranta navi cariche di soldati. Cos i Franc
hi mossero tutti insieme, per terra e per mare, all'assalto della citt il venerd v
entuno shawwl (13 maggio 1110), e rizzarono due torri contro le mura, aspramente
combattendo: cadde l il comandante della flotta egiziana e un gran numero di Musu
lmani, e i Franchi non ebbero mai, n prima n dopo, pi aspra battaglia. Infine la ge
nte della terra si perdette d'animo e si vide certa la morte: i Franchi dettero
l'assalto decisivo alla sera di quel giorno, e si impadronirono della citt a viva
forza. Il governatore, fuggito con alcuni dei suoi, fu ricondotto innanzi ai Fr
anchi e ucciso con i suoi compagni, e i vincitori predarono il denaro da lui por
tato con s. La citt fu messa a sacco, catturati e ridotti in cattivit gli abitanti,
confiscate le loro ricchezze e le loro robe. Poco dopo, arrivarono d'Egitto tre
cento cavalieri in aiuto di Beirt, i quali, giunti al Giordano, furono affrontati
da una piccola schiera di Franchi, e fuggirono su per i monti dove in parte per
irono. Finito l'affare di Beirt, re Baldovino part con i Franchi e invest la terra
di Sidone, intimandone agli abitanti la resa; questi impetrarono da lui una dila
zione a tempo determinato, ed egli acconsent dopo aver loro fissato seimila "dinr"
di tributo, da duemila che erano prima. Quindi se ne part, e torn a Gerusalemme p
er il pellegrinaggio.
CADUTA DI SIDONE.
(IBN AL-QALANISI, 171).
In quest'anno (503/1109-1110) venne notizia dell'arrivo per mare di un re dei Fr
anchi (39), con pi di sessanta navi cariche di gente, per il pellegrinaggio e la
guerra in terra d'Islm. Questi si diresse su Gerusalemme, e re Baldovino mosse a
incontrarlo, concertando con lui l'azione contro il territorio musulmano: tornat
i infatti da Gerusalemme, investirono la terra di Sidone, il tre rab' secondo del
504 (19 ottobre 1110), e la strinsero per terra e per mare. La flotta egiziana
era all'ancora davanti a Tiro, ma non pot venire in aiuto di Sidone. Gli assalito
ri costruirono la torre d'assedio, e mossero all'assalto con essa, rivestita di
sarmenti di vigna, tappeti e pelli fresche di bue, per ripararla dalle pietre e
dal fuoco greco. Costruitala a questo modo, la trasportarono su ruote al disotto
montate, in pi giorni. Il giorno della battaglia, accostatala alle mura, mossero
all'assalto con essa, provvista d'acqua ed aceto per spegnere il fuoco, e appar
ecchi di guerra.
A questo spettacolo, la gente di Sidone si perdette d'animo, e temette una sorte
simile a quella di Beirt. Uscirono quindi, presentandosi ai Franchi, il cadi del
la citt e un gruppo di anziani, e chiesero sicurt a Baldovino, che la concesse a l
oro e alle milizie, per le persone e gli averi, garantendo di lasciare uscire da
lla citt chi volesse andare a Damasco. Fattisi giurare questi patti, e assicurati
si da lui, uscirono il governatore, l'intendente di finanza e tutti i soldati e
le milizie, e una gran quantit di cittadini, e si diressero a Damasco il venti gi

umada (primo) del 504 (4 dicembre 1110), dopo quarantasette giorni d'assedio. Ba
ldovino ordin le cose nella citt, vi pose un presidio e fece ritorno a Gerusalemme
; ma dopo un po' ritorn a Sidone e impose pi di ventimila "dinr" di contribuzione a
i Musulmani rimastivi, riducendoli in povert, togliendo loro sin l'ultimo soldo,
ed estorcendo il denaro a quanti seppe che fosse rimasto loro qualcosa.
RIPERCUSSIONI A BAGHDAD DEI FATTI DI SIRIA.
(IBN AL-QALANISI, 173).
In quest'anno (504/1110) il Sultano Ghiyth ad-dunya wa d-din Muhammad ibn Malikshh
giunse da Hamadhn a Baghdd nel giumada secondo (novembre-dicembre). E giunsero a
lui messaggeri e messaggi di Siria, riferendo sulla situazione, sull'attivit dei
Franchi dopo la loro ritirata dall'Eufrate, e sui fatti di Sidone, di Atharib, e
della provincia di Aleppo. E il primo venerd di sha'bn, uno sceriffo (40) hashimi
ta d'Aleppo con un gruppo di sufi, di mercanti e giureconsulti si presentarono a
lla Moschea del Sultano a Baghdd, e si misero a invocare aiuto: fecero scendere i
l predicatore dal pulpito e lo fracassarono, e gridarono e piansero per la sciag
ura che aveva colpito l'Islm da parte dei Franchi, per l'uccisione degli uomini e
la riduzione in cattivit di donne e bambini. Impedirono insomma alla gente di fa
r la preghiera canonica; mentre gli inservienti e i preposti, per calmarli, prom
ettevano loro da parte del Sultano che si sarebbero inviate truppe, e dato aiuto
all'Islm contro i Franchi e gli infedeli. Il venerd seguente, essi tornarono a pr
esentarsi alla Moschea del Califfo, e ripeterono gli stessi gran pianti e schiam
azzi, e invocazioni d'aiuto e singhiozzi. Poco dopo, giunse a Baghdd da Isfahn la
Principessa sorella del Sultano e moglie del Califfo, con indescrivibile e innum
erevole pompa di gioie e ricchezze ed arredi, gualdrappe e cavalli, mobili e ves
ti di gala, schiavi e paggi ed ancelle e servitori; e la coincidenza di quelle i
nvocazioni di soccorso turb la letizia e la gioia del suo arrivo. Il Califfo, Pri
ncipe dei Credenti al-Mustazhir bi-llh, deplor l'accaduto, e volle perseguirne i p
romotori per punirli severamente; ma il Sultano si oppose, e scus la gente per qu
anto avevan fatto, e ordin agli Emiri e ai Capi di tornare ai loro posti, e prepa
rarsi a marciare per la guerra santa contro gli Infedeli nemici di Dio (41).
Nel giumada secondo dello stesso anno (dicembre 1110 - gennaio 1111) giunse un a
mbasciatore dell'Imperatore bizantino (42) con doni e cimeli e lettere contenent
i l'invito a muovere contro i Franchi e attaccarli, unendo le forze per cacciarl
i da questa terra (di Siria); a smettere su questo punto ogni fiacchezza, e racc
ogliere ogni energia per colpirli prima che il loro danno divenisse insanabile e
acquistasse troppo gravi proporzioni. Il sovrano bizantino diceva di averli gi p
er suo conto impediti dal passare nel territorio musulmano, e combattuti: ma che
se si fossero susseguiti i loro eserciti e rinforzi diretti ai paesi musulmani,
egli sarebbe stato di necessit costretto a patteggiar con loro e a permetter lor
o il passaggio, e ad aiutarli nei loro scopi e obbiettivi. Egli quindi eccitava
ed esortava a tutt'uomo ad unirsi nel combatterli, ed estirparli da queste terre
facendo causa comune contro di loro.
ASSEDIO DI TIRO.
(IBN AL-QALANISI, 178-81).
In quest'anno (505/1111-12), re Baldovino raccolse quanti pi Franchi pot e si dire
sse sulla terra di Tiro. Allora il suo governatore 'Izz al-mulk e la popolazione
si affrettarono a entrare in corrispondenza con l'atabek di Damasco Zahr ad-din
(Tughtikn), invocandolo in aiuto e profferendogli la consegna del paese: gli chie
sero perci di affrettarsi a spedire un largo contingente di Turchi che arrivasser
o subito ad aiutarli e rafforzarli; che se l'aiuto avesse tardato, la necessit li
avrebbe condotti a consegnar la terra ai Franchi, disperando di ricever l'aiuto
di al-Afdal signore d'Egitto (43). L'atabek si affrett quindi a spedire un ampio

contingente di Turchi in pieno assetto di guerra, composto di pi di duecento cav


alieri e arcieri valenti, che giunsero a Tiro. A quei di Tiro arrivarono anche m
olti fanti volontari dal territorio di Tiro stessa e dal monte 'Amila, e cos anch
e da Damasco, mentre l'atabek spediva altri rinforzi. Baldovino, per parte sua,
udita l'intesa fra l'atabek e quei di Tiro, si affrett a investire la citt con tut
te le sue forze il venticinque giumada primo del 505 (29 novembre 1111): ordin di
tagliare gli alberi e i palmizi, costru alloggi permanenti sotto le sue mura, e
la prese invano pi volte d'assalto, senza ottenere alcun risultato. Si disse che
quei di Tiro, in un solo giorno dei combattimenti per la citt, avessero saettato
ventimila frecce.
Zahr ad-din, saputo che i Franchi avevano investito Tiro, usc da Damasco e si acca
mp a Baniys, irradiando le sue colonne volanti e i fanti razziatori per le provinc
e dei Franchi, con licenza di predare e ammazzare, saccheggiare e devastare e in
cendiare, per creare loro imbarazzi e indurli ad allontanarsi dalla citt, mentre
il secondo rinforzo sarebbe entrato in Tiro; ma questo non riusc ad entrare. Zahr
ad-din and ad attaccare al-Habs nella Campagna, fortissima rocca, e dopo aspra lot
ta la conquist di forza uccidendone i difensori. Frattanto i Franchi presero a co
struire due torri di legno per prender con esse d'assalto le mura di Tiro: pi vol
te Zahr ad-din si avanz per impegnarli, s da permettere alla guarnigione di Tiro un
a sortita onde incendiare le torri, ma i Franchi seppero di tale sua intenzione,
e si trincerarono da ogni lato, ponendo presidi armati a custodia del trinceram
ento e delle torri; n si curarono dei suoi movimenti, e delle incursioni e devast
azioni che avvenivano nei loro territori. Venne avanti l'inverno, ma non arrec da
nno ai Franchi che si trovavano su terreno sabbioso e duro, mentre i Turchi al c
ontrario ebbero gravemente a soffrire dalla loro posizione, pur non cessando mai
di far razzie, e tagliare i viveri e i rifornimenti ai Franchi, e intercettarne
i convogli. Essi tagliarono il ponte da cui si passava a Sidone, per interrompe
re anche di l i rifornimenti; e i Franchi si rivolsero allora a farli venire d'og
ni parte per via di mare. Zahr ad-din, accortosi di ci, si spost con un corpo dell'
esercito dalla parte di Sidone, scorrendone la zona extramurale: uccise parecchi
marinai e incendi circa venti navi sul lido, senza omettere al tempo stesso di m
andar lettere a quei di Tiro per rinfrancarli ed eccitarli a perseverare nella r
esistenza e nella lotta contro i Franchi.
La costruzione delle due torri e degli arieti in esse contenuti fu condotta a te
rmine in circa settantacinque giorni. Il 10 di sha'bn (11 febbraio) si cominci a m
etterle in moto ed accostarle alle mura della citt, e divamp attorno ad esse la ba
ttaglia: la torre piccola era alta pi di quaranta cubiti, la grande pi di cinquant
a. Il primo di ramadn (2 marzo) quei di Tiro uscirono dai bastioni col fuoco grec
o, legna e catrame e strumenti incendiari, ma non riuscirono a colpire in nessun
punto i due obbiettivi. Buttarono per il fuoco vicino alla torre piccola dove i
Franchi non poterono respingerlo, e soffi un vento che lo apprese alla torre; cos
questa bruci dopo una violenta lotta e difesa a lei d'intorno, e ne furono predat
e molte corazze e targhe e altra roba, e il fuoco pass anche alla torre maggiore.
I Musulmani riseppero che i Franchi avevano lasciato di combattere sotto le mur
a, occupati per l'incendio della torre, e si distolsero anch'essi dal combattime
nto sui bastioni: allora i Franchi li attaccarono e respinsero dalla torre, spen
sero il fuoco che vi si era appreso, e posero d'ogni parte ampi presidi di miliz
ie scelte a guardia della torre e delle catapulte.
Sino alla fine di ramadn, essi perseverarono nei loro attacchi alla citt: accostar
ono la torre a uno dei bastioni, e colmarono i tre fossati ad esso prospicienti.
Allora i Musulmani puntellarono il tratto di muro di fronte alla torre franca,
e vi appiccarono il fuoco: i puntelli bruciarono, e il muro croll in faccia alla
torre, impedendo di accostarla alle mura e dar con essa l'assalto. Il punto da e
ssi attaccato venne cos ad avere pi corto riparo, ma le torri delle mura lo domina
vano, e la torre mobile non pot avanzare da quel lato. I Franchi rimossero le mac
erie accumulate, e trascinarono la torre verso un altro bastione della citt, acco
standola alle mura e cominciando a batterle con gli arieti di cui l'ordigno era
munito. Le mura furono squassate, parte delle pietre cadde, e quei di dentro fur
ono sull'orlo della rovina. Allora un ufficiale di marina tripolino, esperto del
l'arte, intelligente e buon conoscitore delle cose di guerra, pens di fabbricare

degli arpioni di ferro che afferrassero l'ariete, quando batteva il muro, dalla
testa e di fianco a mezzo di corde manovrate da uomini, sicch la torre di legno s
i inclinava sotto quella forte trazione: e ora erano i Franchi stessi a rompere
l'ariete per paura che si rovesciasse la torre, ora l'ariete si inclinava e guas
tava, ora era fracassato da due macigni fissati insieme che gli venivano lanciat
i dalle mura. I Franchi fabbricarono parecchi arieti, che furono cos rotti uno do
po l'altro, ognuno lungo sessanta cubiti, attaccati alla torre di legno con cord
e, e aventi ognuno all'estremit un blocco di ferro del peso di pi di venti libbre.
Quando gli arieti furono pi volte rinnovati e la torre riaccostata alle mura, qu
el marinaio di cui abbiam detto escogit una lunga e possente trave grezza di croc
e (44) legno che mont sul bastione di fronte alla torre franca; questa trave avev
a fissato al sommo, a forma di, un altro legno lungo quaranta cubiti, che girava
su carrucole mosso da un argano, a piacere di colui che lo manovrava, come avvi
ene negli alberi delle navi; a un estremo della trave girevole era una freccia d
i ferro, all'altro estremo delle corde scorrevoli (su pulegge) a volont di chi le
azionava, con le quali si issavano recipienti di rifiuti e immondizie per disto
gliere i Franchi, lanciando loro addosso questi proiettili nella torre, dalla ma
novra degli arieti. I serventi si trovarono cos in imbarazzo, impediti dal manovr
are. Il detto marinaio prese dei panieri d'uva e delle ceste, e li riemp d'olio,
pece, legname, resina e scorza di canne; poi ci appicc il fuoco e preso che ebbe
li iss nell'ordigno sopra descritto, portandoli al livello della torre franca. Il
fuoco si comunic al sommo della torre, e quelli si affrettarono a spegnerlo con
aceto e acqua, mentre il nostro si affrettava a mandarne dell'altro, buttando in
sieme sulla torre olio bollente in piccoli recipienti, di modo che l'incendio di
vampasse violento. Cresciuto e propagatosi il fuoco, sopraffece i due uomini add
etti al sommo della torre, e uno lo uccise, mentre l'altro scapp gi; diffusosi sul
vertice, l'incendio pass al secondo piano, poi a quello di mezzo, e divor il legn
o, e sopraffece tutti quelli che gli stavano intorno nei vari piani. Incapaci di
spegnerlo, tutti i Franchi che erano dentro e d'intorno fuggirono, e la gente d
i Tiro, fatta una sortita, pred tutto ci che la torre conteneva, e fece indescrivi
bile bottino d'armi, strumenti e materiali.
Allora i Franchi, disperando di prendere la citt, cominciarono a ritirarsi: bruci
arono gli alloggi che avevano costruito come abitazione nel campo, e molte delle
navi che avevano sul lido, e da cui avevano asportato gli alberi, i timoni, e g
li attrezzi per la costruzione delle torri: si trattava di circa duecento bastim
enti grandi e piccoli, di cui circa trenta da guerra. Caricarono in alcuni di es
si i loro bagagli leggeri, e partirono il dieci di shawwl di quest'anno (10 april
e 1112), essendo durato il loro assedio di Tiro per quattro mesi e mezzo; si dir
essero su Acri e si dispersero per le loro terre. Quei di Tiro uscirono e predar
ono il frutto della vittoria, e i Turchi mandati in loro aiuto tornarono a Damas
co, dopo che ebbero perduto nella guerra una ventina d'uomini, e ricevettero l (4
5) il loro soldo e ogni mensile spettanza. A nessuna torre mai dei Franchi, in t
empo antico e recente, accadde come a questa di essere abbruciata da capo a pied
i: aiut a ci il fatto che le due torri (46) erano di uguale altezza, e se l'una fo
sse stata pi alta dell'altra la pi bassa sarebbe andata distrutta. Le perdite degl
i abitanti di Tiro furono di quattrocento uomini, e dei Franchi in battaglia, a
quanto narr chi ne era bene informato, circa duemila. Quei di Tiro non mantennero
quanto avevan profferto all'atabek Zahr ad-din, di consegnare a lui la citt, ma e
gli non fece loro su ci rimostranza alcuna, e disse: "Ho fatto quel che ho fatto
per amor di Dio e dei Musulmani, non per desiderio di denaro e di regno". Ebbe g
randi benedizioni e ringraziamenti per tale nobile azione, e promise loro che se
li avesse colti un altro guaio simile si sarebbe affrettato ad aiutarli. Quindi
fece ritorno a Damasco, dopo aver duramente lavorato a combattere i Franchi sin
o a che Dio non ebbe liberato quei di Tiro dalla distretta. Ed essi intrapresero
il restauro delle loro mura sconquassate dai Franchi, ripristinarono i fossati
nello stato e tracciato precedente, dopo che erano stati colmati, e fortificaron
o la citt, mentre i fanti ivi raccoltisi si scioglievano (47).

4.
Il primo grave colpo ai Franchi non venne da Baghdd, ma dall'azione collegata del
l'emiro artuqide di Mardn, Ilghazi, con l'atabek di Damasco Tughtikn. Nel 1119 Ilg
hazi sorprese a Balt (o Sarmad, a ovest di Aleppo) il principe normanno Ruggero d'
Antiochia, e lo disfece e uccise in una rotta sanguinosa. Su questo episodio, di
amo in primo luogo il racconto del cronista aleppino Kaml ad-din, la pi prossima e
fedele eco della battaglia; e poi quello di Ibn al-Qalnisi, che accenna anche al
la mancata occasione per i Musulmani di riprendere Antiochia, rimasta in quel fr
angente indifesa.
DISFATTA E MORTE DI RUGGERO D'ANTIOCHIA A BALAT.
(KAMAL AD-DIN, II, 187-90).
Ilghazi si rec a Mardn insieme all'atabek (Tughtikn), e di l mandarono messaggi alle
truppe musulmane e ai Turcomanni vicini e lontani, raccogliendo un grande eserc
ito. Nel 513 (1119), Ilghazi mosse con pi di quarantamila uomini, e pass l'Eufrate
al guado di Baday, e il Sangia: le sue truppe si spiegarono per la terra di Tell
Bashir, Tell Khalid e zone vicine, uccidendo e saccheggiando quanto pi poterono.
Qui arrivarono dei messi di Aleppo, esortando Ilghazi ad accorrere, ch si susseg
uivano le razzie franche dalla parte di al-Atharib su Aleppo, i cui abitanti era
no ridotti alla disperazione. Allora Ilghazi marci per Marg Dabiq e Maslamiyya e
Qinnasrn, alla fine di safar del 513 (giugno 1119): le sue gualdane invasero i te
rritori franchi e la zona di ar-Rug, uccidendo e catturando, e presero la rocca
di Qastn nel territorio di ar-Rug. Sire Ruggero ("Sirgil"), signore di Antiochia,
raccolse i Franchi e gli Armeni, e usc diretto al Ponte di Ferro (sull'Oronte); p
oi partiti di l si accamparono a Balt, tra due monti presso il passo di Sarmad a no
rd di Atharib, il venerd nove rab' primo (20 giugno 1119). Gli emiri (musulmani) s
i stancarono del lungo indugio, mentre Ilghazi aspettava l'arrivo dell'atabek Tu
ghtikn per concordare con lui il piano d'azione; perci, riunitisi, spronarono Ilgh
azi ad affrontar senz'altro il nemico. Ilghazi fece rinnovare i giuramenti agli
emiri e ai generali di combattere da valorosi, tener fermo e non arretrare, e of
frir la vita nella guerra santa; ed essi giurarono ci di buon animo. I Musulmani,
incolonnati a scaglioni, lasciarono le loro tende a Qinnasrn il venerd sedici rab'
primo (27 giugno), e passarono la notte in prossimit dei Franchi, che avevano pr
eso a costruire una rocca dominante Tell 'Afrn, immaginandosi che i Musulmani ass
ediassero Atharib o Zardan. Quand'ecco videro al primo albore avanzare gli stenda
rdi musulmani, che li circondarono d'ogni parte. Il cadi Abu l-Fadl ibn al-Khash
shb si fece innanzi, montato su una giumenta e con una lancia in mano, eccitando
i nostri alla battaglia. Qualcuno delle truppe, al vederlo, disse in tono sprezz
ante: "Siamo venuti dunque dal nostro paese per seguire questo inturbantato! (48
)"; ma quegli fattosi innanzi alle truppe e percorrendo le file tenne loro un'el
oquente arringa eccitandone le energie e sollevandone al massimo il morale, tant
o che gli uomini piansero di commozione e lo ammirarono grandemente. Allora Tughn
Arsln ibn Dimlg (49) aggir il nemico e piomb sulle loro tende, seminando la morte e
il saccheggio. Iddio dette la vittoria ai Musulmani: quelli dei Franchi che fug
givano verso il campo furono ammazzati, i Turchi caricarono come un sol uomo da
tutte le parti, battendosi da prodi, le frecce volavan fitte come le cavallette,
e i Franchi sotto una pioggia di dardi che colpiva la cavalleria e il grosso si
volsero in fuga. Sopraffatti i cavalieri, schiacciati i fanti, i famigli ed i s
ervi, furono tutti fatti prigionieri. Sire Ruggero fu ucciso, mentre da parte mu
sulmana caddero (solo) venti uomini, tra cui Sulaimn ibn Mubarak ibn Shibl. Dei F
ranchi, si salvarono del pari non pi di venti uomini. Alcuni dei loro pezzi gross
i fuggirono, ma quasi quindicimila caddero in battaglia. Questa ebbe luogo il sa
bato (28 giugno), all'ora del mezzogiorno: e il messo della vittoria giunse ad A
leppo che i Musulmani, tutti in file, compivano la preghiera del mezzod nella Mos
chea maggiore di Aleppo. Si sentiva allora un gran grido dalla parte dell'occide
nte, ma nessuno dell'esercito arriv in citt se non verso l'ora della preghiera pom

eridiana.
I contadini bruciarono i cadaveri dei Franchi, e nei resti carbonizzati di un so
l cavaliere si trovarono infitti quaranta ferri di freccia. Ilghazi si insedi nel
la tenda di Sire Ruggero: i Musulmani gli apportarono quanto avevan preso di bot
tino, ed egli non prese loro se non alcune armi da donare ai sovrani dell'Islm, r
endendo loro tutto il resto. Quando gli furon portati innanzi i prigionieri, c'e
ra tra essi uno di gran corporatura, famoso per la sua forza, che era stato catt
urato da un musulmano basso, mingherlino e male armato. Al suo apparire davanti
a Ilghazi, i Turcomanni gli dissero: "Non ti vergogni che ti abbia preso questo
piccolino, quando hai addosso un'armatura simile?"; e quegli rispose: "Per Dio,
non costui mi ha catturato, n lui il mio padrone: mi ha catturato un uomo grande,
pi grande e forte di me, e mi ha consegnato a costui: era vestito di una veste v
erde, e montato su un cavallo verde!" (50).
(IBN AL-QALANISI, 200-1).
Quando l'atabek Zahr ad-din (Tughtkin) giunse ad Aleppo, per collaborare con Nagm
ad-din (Ilghazi) nell'azione che avevan fissato di intraprendere insieme allo sp
irare del termine convenuto, trov che i Turcomanni eran gi affluiti presso di lui
da ogni parte in grosso numero e in forze, come leoni che cercan la preda e falc
hi che rotano su chi debbono dilaniare. E venne notizia che Ruggero signore di A
ntiochia era uscito dalla citt con schiere di Franchi e di fanti armeni d'ogni pa
rte raccolte, in numero di pi di ventimila cavalieri e fanti oltre il seguito in
gran numero, pienamente equipaggiati ed armati: e che si erano accampati nella l
ocalit di Sarmad, detta anche Danith al-Baqal, tra Antiochia e Aleppo. Ci appreso,
i Musulmani volarono verso di loro con ali di falchi a protezione dei loro nidi:
e in men d'un incrociarsi di sguardi, venute le due parti a contatto, i Musulma
ni li caricarono e circondarono d'ogni lato, aggredendoli a colpi di spade e con
lancio di frecce. E Iddio - a Lui sia lode! - concesse alla parte dell'Islm la v
ittoria sulla marmaglia ribelle: non pass un'ora del sabato (dicias) sette rab pri
mo del 513 (28 giugno 1119), che i Franchi erano tutti stesi in terra, cavalieri
e fanti, coi cavalli e le armi, senza che uno solo ne scampasse a darne notizia
; anche il loro capo Ruggero fu trovato giacente fra i morti. Raccontarono alcun
i che assisterono a questo scontro di aver girato per il campo di battaglia per
contemplare lo splendido miracolo da Dio operato, e che avevan visto alcuni cava
lli abbattuti, irti come ricci per i dardi in essi confitti. Questa fu una delle
pi belle vittorie, quale mai ne era capitata una simile all'Islm nei tempi passat
i. E Antiochia rimase scoperta, vuota dei suoi difensori, deserta dei suoi campi
oni, preda offerta al primo che l'assalisse, occasione di chi sapesse coglierla:
ma non si pens ad occuparla, per l'assenza dell'atabek Zahr ad-din da questa batt
aglia, essendovisi i Turcomanni impegnati precipitosamente senza previa preparaz
ione, secondo la volont e il decreto divino; ed essendo inoltre stati i nostri oc
cupati ad assicurarsi il bottino, che fu tanto da riempire le mani, rafforzare g
li animi e allietare i cuori. Cos "le loro dimore restarono desolate e deserte" (
51), ne sia lode a Dio signore dei mondi!
MORTE E CARATTERISTICA DI BALDOVINO SECONDO.
(IBN AL-QALANISI, 233).
In quest'anno (526/1131-32) giunse notizia dalla parte dei Franchi della morte d
i Baldovino "il piccolo Capo" ("ar-Ru'ayyis"), re dei Franchi e signore di Gerus
alemme: morte avvenuta in Acri il gioved venticinque ramadn di quest'anno (8 agost
o 1132) (52). Era costui un uomo anziano, ricco d'esperienza e rotto a ogni prov
a e durezza della vita. Caduto pi volte prigioniero nelle mani dei Musulmani, in
guerra e in pace, se ne era sempre cavato con i suoi celebri stratagemmi e speri
mentati inganni. Alla sua morte, non lasci a succedergli tra i Franchi alcuno che
avesse retto consiglio e buon governo: gli succedette infatti come re il nuovo

conte (Folto), conte d'Anjou, che era loro arrivato per mare dai loro paesi, uom
o non dotato di retto discernimento n di felice iniziativa. Cos la perdita di Bald
ovino fu causa di turbamento e discordia fra loro.

5.
Con l'entrata in scena dell'atabek turco di Mossul e Aleppo, Zinki (regn 1129-46)
, si inizia la vera e propria controffensiva musulmana. Le gesta guerriere del p
adre di Norandino han trovato un entusiasta celebratore in Ibn al-Athr, fedele fu
nzionario e storiografo della breve dinastia zenghide di Mesopotamia e Siria: se
condo la religiosa visione athiriana della storia, Zinki ha raccolto provvidenzi
almente l'eredit di Tughtikn di Damasco, il primo degno avversario dei Crociati, c
he nel 1128 venne a morire. Ma le ambizioni del signore di Mossul, anche in funz
ione della Anticrociata, si appuntavano su Damasco, ove regnavano gli eredi inca
paci di Tughtikn, sotto l'effettivo governo di Mu'n ad-din Unur: e questi per resi
stere alla minaccia di Zinki non esitarono nel 1140 ad allearsi con i Franchi. N
elle pagine che seguono, Ibn al-Athr esalta la figura del suo eroe, mentre Ibn al
-Qalnisi rappresenta l'opposto punto di vista: il patriottismo municipale damasce
no e il suo lealismo alla locale dinastia di Tughtikn.
ZINKI, UOMO DELLA PROVVIDENZA PER L'ISLAM DI SIRIA.
(IBN AL-ATHIR, X, 458).
Se Iddio altissimo non avesse fatto la grazia ai Musulmani che l'atabek (Zinki)
conquistasse la Siria, i Franchi se ne sarebbero (totalmente) impadroniti. Giacc
h essi andavano stringendo d'assedio questo e quel paese di Siria, e (prima) appe
na Zahr ad-din Tughtikn veniva a saperlo raccoglieva le sue truppe, marciava sui l
oro territori e li assediava e razziava, obbligandoli a partirsi dall'azione int
rapresa per ricacciarlo dalle loro terre. Ora Iddio volle che in quest'anno (522
/1128) Tughtikn venisse a morire, e la Siria sarebbe rimasta loro aperta da ogni
parte, priva di un uomo che provvedesse al soccorso dei suoi abitanti: ma Iddio
nella sua benignit verso i Musulmani si compiacque di far venire ora al potere 'I
md ad-din (Zinki), il quale comp contro i Franchi le gesta che a Dio piacendo menz
ioneremo.
ZINKI CONQUISTA LA ROCCA DI BA'RIN.
ROTTA DEI FRANCHI.
(IBN AL-ATHIR, XI, 33-34).
Nello shawwl di quest'anno (531/luglio 1137), Zinki part da Hims e assedi la fortez
za di Ba'rn (53), munitissima rocca appartenente ai Franchi, presso la citt di Hamt
. Investitala, prese a combatterla e assaltarla; al che i Franchi, raccolti i lo
ro cavalieri e fanti, marciarono tutti insieme, re conti e baroni, contro l'atab
ek Zinki per indurlo a togliere l'assedio. Ma egli non si mosse affatto, li atte
se a pi fermo, e giunti che furono li affront impegnando con loro asperrima zuffa.
Dopo tenace resistenza dalle due parti, lo scontro si risolse nella rotta dei F
ranchi, incalzati d'ogni parte dalle armi musulmane. I loro re (54) si chiusero
a difesa nella rocca di Ba'rn che avevano vicina, dove furono bloccati dai Musulm
ani. L'atabek li tagli fuori da ogni comunicazione, sin dalle notizie, di modo ch
e i bloccati col non sapevano pi nulla dei loro paesi, tanto severo era il control
lo delle vie e il timore che Zinki incuteva ai suoi.
Preti e monaci allora andarono per l'impero bizantino, la terra dei Franchi e i
contigui stati cristiani, chiamando alle armi contro i Musulmani, e dichiarando
che, se Zinki avesse preso la rocca di Ba'rn e i Franchi ivi rinchiusi, si sarebb

e reso padrone in brevissimo tempo di tutti i loro territori, non essendoci ness
uno a difenderli, e che i Musulmani non pensavano ad altro che a marciare su Ger
usalemme. Allora i Cristiani si raccolsero, e con ogni mezzo si diressero sulla
Siria insieme all'Imperatore bizantino (55), come diremo. Zinki per parte sua se
guit attivamente a combattere i Franchi, che tennero duro ma si trovarono a corto
di viveri e rifornimenti, essendo stati colti impreparati: essi non avevano cre
duto che alcuno ce la potesse contro di loro, anzi si aspettavano di impadronirs
i loro del resto della Siria. Venuti a corto di vettovaglie, mangiarono le loro
cavalcature e si piegarono a cedere la piazza, purch Zinki desse loro sicurt e li
lasciasse far ritorno ai loro domini. Dapprima egli non acconsent a tali condizio
ni, ma, quando ud che l'Imperatore si avvicinava alla Siria unito ai restanti Fra
nchi, concesse sicurt a quelli della rocca e fiss con loro la resa e il versamento
a lui di cinquantamila "dinr". Ed essi accettarono, uscirono e resero la piazza;
poi, quando si furon partiti da lui, ebbero notizia del gran raduno fattosi per
causa loro, e troppo tardi si pentirono di essersi arresi, ci che avevano fatto
per esser rimasti totalmente privi di notizie.
Nel tempo dell'assedio contro costoro, Zinki aveva anche preso ai Franchi Ma'arr
a e Kafartb: le popolazioni di questi centri e di tutte le altre province fra ess
e e Aleppo e Hamt, insieme a quei di Ba'rn, eran ridotte nella pi squallida miseria
, per esser quei luoghi continuo teatro di operazioni, e i saccheggi e le uccisi
oni all'ordine del giorno. Quando Zinki se ne fu reso padrone, la gente respir e
il paese rifior, venendo a fruttare larghe entrate: fu una chiara vittoria, e chi
la vide sa la verit di quel che io dico.
Tra le pi belle azioni fu quella fatta da Zinki a quei di Ma'arra: quando i Franc
hi avevano conquistato il paese, si erano impadroniti dei loro beni, e ora che e
gli l'ebbe riconquistato si present la popolazione superstite, e i discendenti de
i morti, richiedendo la restituzione di quei loro beni. Egli chiese loro i docum
enti di propriet relativi, ma quelli risposero che i Franchi avevan tolto loro tu
tto, e fra l'altro i documenti dei beni. Allora egli ordin che si ricercassero i
registri catastali di Aleppo, e a chiunque vi fosse risultato iscritto per l'imp
osta fondiaria su un dato fondo, questo fosse reso. Cos fu fatto, e cos egli reint
egr la popolazione nel possesso dei loro beni; un atto bello e giusto quant'altro
mai.
ALLEANZA FRANCO-DAMASCENA CONTRO ZINKI.
(IBN AL-QALANISI, 270-73).
In quest'anno (534/1139-40) giunse notizia che l'atabek 'Imd ad-din (Zinki) aveva
finito di sistemare Baalbek e la sua rocca, e riattarne le parti danneggiate, e
che aveva cominciato i preparativi per muovere a investire Damasco. Poco dopo,
giunse infatti la notizia che egli era partito di l con le sue truppe e in rab' pr
imo (novembre 1139) si era accampato nell'al-Biq' (56). Di qui, egli mand un suo m
esso all'emiro Giaml ad-din Muhammad ibn Tag al-Mulk Buri ibn Atabek (57), chieden
dogli di cedergli il paese in cambio di un altro di sua scelta e proposta. Quest
i non ader a tale richiesta, e Zinki part allora dall'al-Biq', e venne ad accampars
i a Darayy subito fuor di Damasco, il mercoled tredici rab' secondo (6 dicembre). A
l suo arrivo a Darayy ebbe luogo uno scontro di avamposti, e i nostri parte furon
o sopraffatti e parte ripararono nella citt. Quindi egli mosse in forze contro la
citt dalla parte della Musalla (58), il venerd ventotto del mese; e l vinse un gro
sso corpo di milizie cittadine e del contado, menandone strage: chi rimase uccis
o o prigioniero, e chi pot incolume o ferito rientrare in citt. Quel giorno, la te
rra fu per andar perduta se non era la grazia di Dio. Zinki se ne torn al suo cam
po con i prigionieri, e per alcuni giorni si astenne da operazioni offensive. Se
guit invece a mandar messaggi e adoprarsi con le buone per la resa del paese, ric
evendo (il nostro emiro) in cambio Baalbek e Hims e altri luoghi che insieme que
gli proponeva. Giaml ad-din Muhammad ibn Tag al-Mulk avrebbe preferito accedere a
questi negoziati, comportanti una soluzione pacifica, senza spargimento di sangu
e, con prosperit del paese e tranquillit della massa; ma altri, consultato sul pro

getto, lo rifiut. Zinki fece delle puntate offensive coi suoi in diversi giorni,
senza impegnarsi a fondo n stringer troppo l'assedio, per evitare spargimento di
sangue, come chi si modera animato da intenzioni pacifiche, e indugia a dar batt
aglia e far preda. In Giaml ad-din Muhammad ibn Tag al-Mulk si manifestarono nel g
iumada primo i primi sintomi di una malattia che poi si impadron di lui stabilmen
te, ora migliorando ora aggravandosi, andando e venendo con alti e bassi, sino a
d aggravarsi al punto da ridurlo in condizioni disperate. Non ci fu medicina n ar
te magica che valesse, e cos dur fino al compiersi del suo destino, passando al Cr
eatore la notte del venerd otto sha'bn (29 marzo 1140), nell'ora stessa che era st
ato assassinato suo fratello (e predecessore) Shihb ad-din Mahmd ibn Tag al-Mulk che Dio abbia misericordia di entrambi! - La gente rimase stupita di questa coin
cidenza di tempo e d'ora, e lod e santific Iddio: l'emiro fu accomodato e seppelli
to nel monumento sepolcrale di sua nonna ad al-Farads (59). Dopo la sua morte, i
capi militari e le autorit si accordarono a colmare il vuoto lasciato dalla sua p
erdita col mettere in suo luogo il figlio, l'emiro 'Adab ad-daw-la Abu Sa'd Abaq
ibn Giaml ad-din Muhammad. Gli furono quindi prestati solenni giuramenti di fedel
t e obbedienza, di leale servizio e consiglio. Cos le cose si accomodarono, il gov
erno fu in efficienza, cess ogni discordia, all'agitazione succedette la calma, e
gli animi si tranquillizzarono dopo esser stati sconvolti. Quando l'atabek 'Imd
ad-din (Zinki) apprese questa faccenda, mosse con le sue truppe verso la citt, ne
lla speranza che alla morte del sovrano scoppiasse tra i capi militari qualche c
onflitto grazie al quale egli potesse raggiungere qualcuno dei suoi obbiettivi.
Ma la cosa and al contrario di come egli aveva sperato, e all'opposto di come si
era immaginato: non trov infatti nelle milizie regolari e civiche damascene se no
n fermi propositi di lotta, e perseveranza nella resistenza e nel combattimento;
perci se ne torn al suo campo, disanimato e corrucciato. Fu allora stabilita una
intesa coi Franchi, di appoggio ed aiuto, e di collaborazione a respingere lui (
Zinki) e impedirlo dal suo proposito. Il relativo accordo fu sancito da giuramen
ti solenni, e garanzia di mantenere gli impegni assunti: per questo, i Franchi r
ichiesero una data somma di denaro da versarsi loro come sussidio e rinforzo per
le operazioni che avrebbero intraprese, e degli ostaggi per loro tranquillit. Ta
le loro richiesta fu accolta, e fu loro consegnato il denaro e gli ostaggi, che
furono parenti dei capi delle milizie. E allora essi iniziarono i preparativi pe
r venirci in aiuto, e si scambiarono tra loro messaggi, invitandosi a concentrar
si dalle altre roccheforti e terre per ricacciare l'atabek e impedirgli di venir
e a capo delle sue mire su Damasco, prima che, fattosi troppo potente e in forze
, egli potesse sopraffare le schiere dei Franchi e muovere contro i loro territo
ri. Accertatosi della situazione, di tale decisione e dei concentramenti franchi
per muovergli contro insieme all'esercito damasceno, Zinki lasci il suo campo di
Darayy la domenica cinque ramadn, dirigendosi dalla parte del Hawrn per affrontare
i Franchi se si fossero avvicinati a lui, o inseguirli se si fossero allontanat
i. Segu per un po' tale tattica, e poi torn dalla parte della Ghuta (60) di Damasc
o, e si accamp ad 'Adhr' il mercoled ventiquattro shawwl (12 giugno): bruci alcuni vi
llaggi del Mara e della Ghuta fino a Harast at-Tin, e il sabato seguente part vers
o il nord, quando ebbe certa notizia che i Franchi campeggiavano in forze ad alMadn. Era stato pattuito con i Franchi che fra le concessioni loro fatte ci fosse
il togliere la terra di Baniys di mano a Ibrahm ibn Torght, e consegnarla a loro.
Capit che questo suo governatore Ibrahm ibn Torght fosse andato coi suoi a fare inc
ursione dalla parte di Tiro: si imbatt in lui Raimondo signore di Antiochia (61)
mentre muoveva a dar man forte ai Franchi in aiuto dei Damasceni, e scontratisi
Ibrahm fu rotto e ucciso con un piccolo numero dei suoi. I rimanenti tornarono a
Baniys e vi si afforzarono, raccogliendovi gente del Wadi t-Taim e altri quanti p
i poterono a difesa della fortezza. Allora l'emiro Mu'n ad-din' mosse contro di es
sa con l'esercito di Damasco, la cinse d'assedio e prese a combatterla con le ca
tapulte e a stringerla con vari modi di guerra, avendo con s un ampio contingente
franco, per tutto lo shawwl (maggio-giugno 1140). E venne notizia che l'atabek '
Imd ad-din, accampatosi a Baalbek, aveva mandato a chiamare i Turcomanni dai loro
paesi nello shawwl per muovere contro Baniys e ricacciarne gli assedianti. E cos r
imasero le cose fino alla fine del dhu l-higgia di quest'anno...
... Cos Baniys rimase assediata e stretta finch ebbe consumate le vettovaglie, e sc

arseggiarono i viveri per i combattenti. Si arrese quindi a Mu'n ad-din, mentre i


l suo governatore fu indennizzato con (altri) feudi e benefizi; e Mu'n ad-din la
consegn ai Franchi mantenendo l'impegno assunto, e se ne torn a Damasco vittorioso
e con successo, alla fine di shawwl.
La mattina del sabato sette dhu l-ga'da (22 giugno) l'atabek 'Imd ad-din si ripre
sent con le sue truppe fuor di Damasco: giunto alla Musalla, si accost alle mura s
enza che nessuno se ne accorgesse, essendo tutti immersi nell'ultimo sonno. Alle
luci del mattino, risaputasi la cosa, si levarono alte grida e clamori, e tutti
corsero all'armi sulle mura. Apertasi la porta, usc la cavalleria e fanteria (ci
ttadina): quegli aveva disperso i suoi uomini per il Hawrn, la Ghuta, il Marg e l
e altre contrade a far scorreria, ed era rimasto con la sua guardia a fronteggia
re le milizie damascene, impedendo loro di inseguire i suoi cavalieri che faceva
no scorreria. Si appicc la zuffa tra lui e i Damasceni, impegnandosi da ambe le p
arti un gran numero di combattenti; ma egli si ritrasse, occupato a coprire le s
ue colonne di razziatori. Questi si impadronirono di una quantit innumerevole di
cavalli al pascolo, montoni, agnelli, buoi e masserizie, avendo colto di sorpres
a con la loro azione. Quel giorno Zinki accamp a Marg Rahit, finch si raccolsero g
li uomini e le prede, e poi ripart per la via del nord, menando enorme e infinito
bottino.

6.
Deluso sotto Damasco, Zinki si rifece con la conquista di Edessa (1144), e la di
struzione della locale contea, il primo a sparire dei quattro stati cristiani na
ti dalla Prima Crociata. Diamo al riguardo le pagine di Ibn al-Qalnisi e poi di I
bn al-Athr, che allarga anche qui il suo sguardo, sia pure in forma aneddotica, d
all'episodio locale a tutto il teatro del conflitto tra l'Occidente e l'Islm. Ma
appena due anni dopo questo trionfo, il suo eroe cadeva assassinato, mentre comb
atteva contro altri Musulmani, legando il suo programma politico-militare al fig
lio Norandino, sultano di Aleppo. L'elogio di Ibn al-Athr a Zinki, al di l di ogni
riflesso sentimentale, rivela tratti storicamente validi di questa possente per
sonalit.
ZINKI CONQUISTA EDESSA.
(IBN AL-QALANISI, 279-80).
In quest'anno (539/1144) giunsero le notizie dal nord che l'atabek 'Imd ad-din av
eva conquistato d'assalto la citt di Edessa, nonostante la sua saldezza e munitez
za a difesa da forze anche cospicue di assedianti. L'emiro atabek 'Imd ad-din ne
aveva sempre bramato e agognato il possesso, e spiata l'occasione per realizzarl
o; sempre il pensiero di lei gli si era rivolto nell'animo, e gli aveva occupato
la mente ed il cuore, fino a che venne a sapere che il signore di Edessa Joceli
n (II) ne era uscito con la maggior parte dei suoi uomini, e il fior dei suoi pr
odi, per un affare e motivo che l'aveva chiamato lontano, cos come volle il fissa
to destino di Dio. Accertatosi di ci, Zinki si affrett a muovere contro la citt con
buon nerbo di truppe, per investirla e stringerne d'assedio i difensori. Scriss
e ai Turcomanni chiamandoli a porgergli aiuto contro di essa, adempiendo al prec
etto della guerra santa; e gliene venne in aiuto una gran massa, coi quali la ci
tt fu circondata d'ogni parte, e intercettatone ogni rifornimento e vettovaglia.
Si sarebbe detto che gli uccelli stessi non osavano avvicinarsi a lei, tanti era
no i rovesci di dardi degli assedianti e la vigilanza delle forze di blocco. Le
catapulte, rizzate contro le sue mura, la battevano di continuo, e la lotta cont
ro i suoi difensori era rovinosa e ininterrotta. Reparti speciali di zappatori k
horasanii e aleppini presero a scavare in pi luoghi adatti e opportuni, e mandaro
no innanzi lo scavo addentrandosi nelle viscere della terra sinch giunsero (con l
e loro gallerie) sotto le fondamenta delle torri, puntellandole di legname e spe

ciali ordigni a ci usati. Ci fatto, non restava che appiccarvi il fuoco: ne chiese
ro l'autorizzazione a Zinki, e la ebbero dopo che egli fu entrato nelle gallerie
ed ebbe ispezionato e ammirato l'imponente lavoro. Messo il fuoco ai puntelli d
elle gallerie, esso si diffuse e divor il legname, il muro croll, e i Musulmani co
nquistarono d'assalto la terra, dopo che molti da ambo le parti morirono nel cro
llo, e molti Franchi e Armeni furono uccisi e feriti, e costretti alla fuga. La
citt fu presa di forza il sabato ventisei giumada secondo (23 dicembre 1144), di
primo mattino. Cominciarono i saccheggi e le stragi, le catture e prede, e le ma
ni (dei vincitori) si riempirono di denari e arredi, cavalcature e bottino e pri
gionieri tanti da allietare gli animi e far esultare i cuori. L'atabek 'Imd ad-di
n, dopo aver ordinata la cessazione della strage e del saccheggio, cominci a rest
aurare le mura crollate, e a riattarne le parti malconce; nomin chi gli parve ada
tto a governare la citt e difenderla e curarne gli interessi; rassicur gli animi d
egli abitanti con promesse di buon governo e universale giustizia; e partitosi d
i l se ne and a Sarg, donde i Franchi erano fuggiti, e se ne rese padrone. Quindi,
per ogni territorio e fortilizio di quella provincia per cui passava, ne ottenev
a la immediata resa.
(IBN AL-ATHIR, XI, 64-66).
Il sei (63) di giumada secondo di quest'anno, l'atabek'Imd ad-din Zinki ibn Aq Su
nqr conquist ai Franchi la citt di Edessa, e altre rocche della Giazira (64). Il da
nno dei Franchi si era ormai esteso a tutti i territori di questa provincia, le
loro incursioni avevano raggiunto ogni suo punto lontano e vicino, fino ad Amid
e Nusaibn, Ras al-'Ain e ar-Raqqa. Il loro dominio in questa zona andava da press
o Mardn all'Eufrate, comprendendo Edessa, Sarg, al-Bira, Sinn ibn 'Utair, Giamln, a
l-Mu'azzar, Quradi e altre terre. Tutti questi e altri territori a occidente del
l'Eufrate appartenevano a Jocelin, l'uomo pi ascoltato dei Franchi e il comandant
e delle loro truppe, per il suo valore e furberia guerriera. L'atabek sapeva che
se fosse mosso (direttamente) ad assediare Edessa, i Franchi vi si sarebbero co
ncentrati a difesa, e, munita com'era, difficilmente avrebbe potuto impadronirse
ne: si trattenne quindi nel Diyr Bekr, per dare a intendere ai Franchi di essere
ad altro occupato, s da non poter muovere contro i loro paesi. Quando i Franchi l
o credettero impossibilitato a lasciar la guerra degli Artuqidi e di altri princ
ipi del Diyr Bekr contro cui combatteva, si tennero sicuri da lui, e Jocelin si p
art da Edessa passando l'Eufrate diretto verso occidente. Informato dalle sue spi
e, Zinki dette ordine di marciare al suo esercito per l'indomani, e che nessuno
restasse indietro dalla marcia su Edessa. Convocati gli emiri al suo cospetto, o
rdin di servire il cibo, dichiarando: "Non manger con me a questa mia tavola, se n
on chi domani vibrer con me la lancia alla porta di Edessa"; e nessuno os farsi in
nanzi fuorch un unico emiro, e un giovanetto oscuro, giacch tutti ben conoscevano
la sua audacia e prodezza, e che nessuno riusciva a stargli a paro in guerra. Di
sse l'emiro a quel giovanetto: "Che stai a fare tu qui?", ma l'atabek intervenne
: "Lascialo, ch vedo in lui un viso che non mi rester indietro in battaglia". Cos p
art con le sue truppe, e giunse sotto Edessa. Egli fu il primo a caricare i Franc
hi, e quel giovanetto caric con lui. Un cavaliere franco si lanci sull'atabek di f
ianco, ma quell'emiro lo affront e lo trafisse (65), e Zinki fu salvo. Investita
la terra, la combatt per ventotto giorni, prendendola pi volte d'assalto, mandando
gli zappatori a scavare sotto le mura, e spingendo a fondo la lotta per il timo
re che i Franchi si concentrassero e marciassero contro di lui, disimpegnando la
rocca. La cortina minata dagli zappatori croll, e Zinki prese la citt di forza, e
poi anche dopo assedio la cittadella: persone e cose furono predate, la prole r
idotta in prigionia, gli uomini uccisi. Ma quando l'atabek vide la terra, gli pi
acque, e cap che il ridurne una simile in rovina non sarebbe stata buona politica
: ordin quindi si proclamasse alle truppe di restituire alle loro case tutti gli
uomini, le donne e i bambini catturati, con gli oggetti e robe predate; ed essi
resero tutto fino all'ultimo, e non vennero a mancare se non pochissimi, i cui c
atturatori si erano gi allontanati dal campo. Cos la citt torn nel suo pristino stat
o, e Zinki vi pose un presidio a difesa. Ricev poi la resa della citt di Sarg e deg

li altri luoghi che erano in mano ai Franchi a oriente dell'Eufrate, eccetto alBira, luogo forte e difeso in riva all'Eufrate (66): egli marci alla sua volta e
l'assedi, ma, essendo essa stata fortemente vettovagliata e presidiata, lev dopo q
ualche tempo l'assedio, come a Dio piacendo diremo.
Si narra che un dotto esperto di genealogia e di cronache cos raccont: il re di Si
cilia aveva inviato per mare una spedizione contro Tripoli d'Occidente e il suo
territorio, e quelli predarono e uccisero. Or c'era in Sicilia un dottore musulm
ano, uomo dabbene che il re di Sicilia onorava e riveriva, e stava al suo consig
lio, e lo anteponeva ai suoi preti e monaci, tanto che i suoi sudditi dicevano p
er ci che il re era musulmano. Un giorno il re se ne stava in una loggia che dava
sul mare, quando ecco avanzarsi un legnetto il cui equipaggio lo inform che il s
uo esercito era entrato nel territorio dell'Islm, e aveva fatto prede e uccisioni
, e riportato vittoria. Il Musulmano era al fianco del re, e sonnecchiava. Il re
gli disse: "O tu, senti cosa dicono?" "No". "Informano di questo e questo. Dove
stava allora Maometto, per quel paese e i suoi abitanti?" "Era assente da loro,
- rispose colui; - era alla presa di Edessa, che ora i Musulmani han conquistat
o". I Franchi presenti ne risero, ma il re disse: "Non ridete, perdio, ch costui
non dice mai altro che il vero". E pochi giorni dopo venne la notizia, dai Franc
hi di Siria, della presa di Edessa (67). E alcuni uomini religiosi e dabbene mi
han raccontato che un pio uomo vide in sogno il defunto Zinki, e gli chiese: "Co
me ti ha trattato Iddio?" e quegli rispose: "Mi ha perdonato, in grazia della pr
esa di Edessa".
MORTE ED ELOGIO DI ZINKI.
(IBN AL-ATHIR, XI, 72-74).
In quest'anno (541) ai cinque di rab' secondo (14 settembre 1246) fu ucciso l'ata
bek martire per la fede (68) 'Imd ad-din Zinki ibn Aq Sunqr, signore di Mossul e d
i Siria, mentre assediava, come dicemmo, la rocca di Gia'bar. Lo uccise di notte
, proditoriamente, un gruppo dei suoi paggi, e fuggirono alla rocca, i cui abita
nti gridarono la notizia al campo (assediante), e manifestarono gioia. I suoi fa
miliari entrarono allora da lui, e lo trovarono ancor con un fiato di vita. Mi r
accont mio padre, da uno degli intimi di Zinki: Entrai subito da lui, che era anc
or vivo, e quando mi vide si pens che volessi finirlo, e mi fece cenno col dito c
hiedendo piet. Io per la soggezione caddi in terra, e dissi: "Signor mio, chi ha
commesso questo?", ma egli non pot rispondere e rese l'anima, Dio ne abbia miseri
cordia. Era Zinki di bell'aspetto, bruno di carnagione, con begli occhi, ma gi br
izzolato. Aveva passato i sessant'anni, giacch quando fu ucciso suo padre (69) er
a ancor bambino, come dicemmo; allorch fu ucciso, fu sepolto a Raqqa. Si faceva a
ssai temere dal suo esercito e dai sudditi, e sotto il suo severo governo il for
te non osava far torto al debole: prima infatti del suo dominio, il paese era un
a rovina per l'ingiustizia imperante, l'instabilit dei reggitori, la vicinanza de
i Franchi, ed egli lo fece rifiorire e rese florido e popolato. Mi raccontava mi
o padre di aver visto Mossul per la maggior parte in rovina, al punto che uno, p
onendosi presso il quartiere dei fabbricanti di cembali, vedeva di l la Gran Mosc
hea vecchia, la spianata e il Palazzo Sultaniale, per non esserci nell'intervall
o alcuna fabbrica; e uno non poteva andare fino alla Gran Moschea vecchia senza
qualcuno che lo scortasse, tanto essa era distante dall'abitato, mentre ora essa
al centro dell'abitato, e in tutte queste terre ora nominate non ce n' una che s
ia nudo suolo deserto. E mi raccont anche che Zinki arriv in Giazira d'inverno, e
che l'emiro 'Izz ad-din ad-Dubaisi, uno dei maggiori emiri, che aveva tra l'altr
o in feudo la citt di Daquq, and a insediarsi in casa a un Ebreo. Questi ricorse al
l'atabek, e gli espose il suo caso: Zinki dette un'occhiata al Dubaisi, e quegli
si tir indietro. Il Sultano stesso entr poi nella terra, e ne fece uscire i suoi
bagagli e le sue tende; ho visto io stesso, diceva mio padre, i suoi paggi a dri
zzargli le tende nel fango, spargendo per terra della paglia che li preservasse
dalla melma; e l usc e prese stanza. A tal punto arrivava il suo severo governo (7
0). Mossul era una delle terre pi povere di frutta, e ai suoi giorni e dopo diven

ne uno dei paesi pi ricchi di frutta e piante odorose e simili. Era inoltre Zinki
assai sollecito dell'onor delle donne, specialmente delle mogli dei soldati, e
soleva dire che se le mogli dei soldati non fossero state ben custodite si sareb
bero corrotte, per le grandi assenze dei mariti nelle loro campagne. Era l'uomo
pi coraggioso del mondo: del periodo prima di venire al potere, basti dire che co
n l'emiro Mawdd signore di Mossul venne sotto Tiberiade che apparteneva ai Franch
i, e vibr nella porta della terra un colpo di lancia che vi lasci l'impronta; e co
s anche attacc la rocca humaidita di 'Aqar, sita su un'alta montagna, e il colpo d
i lancia da lui vibrato arriv sino alle mura, e simili prodezze. Quanto poi al pe
riodo della sua signoria, i nemici attorniavano d'ogni parte i suoi dominii, e l
i attaccavano e volevano prenderli; ed egli non contento di difenderli non passa
va anno che non conquistasse lui qualcosa delle terre del nemico. Dalla parte di
Takrt, era suo confinante il califfo al-Mustarshid bi-llah, che mosse contro Mos
sul e l'assedi; dalla limitrofa parte di Shahruzr, c'era il sultano Mas'd, poi Ibn
Suqmn signore di Khilt, poi Dawd ibn Suqmn signore di Hisn Kaif, poi il signore di Am
id e Mardn, poi i Franchi dai confini di Mardn a Damasco, poi i signori di Damasco
stessa. Tutti questi stati si compenetravano col suo d'ogni parte, e lui ora at
taccava questo ora quello, da questo prendeva e con quello patteggiava, fino a c
he si insignor di qualche fetta di territorio a spese di tutti i suoi confinanti.
Noi ne abbiamo dato notizia nel libro che tratta del suo regno e di quello dei
suoi figli (71), e li se ne faccia ricerca.

7.
Della inconcludente Seconda Crociata, sorta sotto l'impressione della caduta di
Edessa, episodio saliente fu il breve e vano assedio di Damasco (1148). Il racco
nto del testimone oculare Ibn al-Qalnisi e quello di Ibn Al-Athr si confermano e c
ompletano tra loro, con l'aggiunta di qualche pittoresco particolare tratto dal
pi tardo Sibt Ibn al-Giawzi. L'eroica morte per la fede e la patria del vecchio "
faqh" al-Findalawi par quasi simboleggiare la resistenza musulmana nei suoi aspet
ti pi nobili e austeri.
SECONDA CROCIATA. ASSEDIO DI DAMASCO.
(IBN AL-QALANISI, 297-300).
Al principio del 543 (1148) si susseguirono le notizie d'ogni parte sull'arrivo
delle navi dei Franchi sul litorale, e il loro sbarco nei porti litoranei di Tir
o e Acri, congiungendosi coi Franchi ivi gi residenti. Si dice che essi, dopo le
perdite sofferte in guerra, malattia e fame, fossero in numero di circa centomil
a uomini; compiuto a Gerusalemme il pellegrinaggio loro prescritto, e tornati ch
e furono alcuni per mare ai loro paesi, restarono col re d'Alemagna (72), il mag
giore dei loro re, e altri minori, incerti su quale assalire delle terre musulma
ne di Siria. Decisero alla fine di andare ad assediare la citt di Damasco, di cui
malvagiamente si illudevano di impadronirsi, e di cui si investirono l'un l'alt
ro le terre e contrade. Giunte di ci replicate notizie, l'emiro Mu'n ad-din Unur,
che aveva il governo della citt, prese a munirsi e prepararsi a combatterli, fort
ificando i punti pi esposti, ordinando gli uomini sui camminamenti e le feritoie,
tagliando i rifornimenti alle basi nemiche, colmando i pozzi e sopprimendo le f
onti. Quelli intanto, in corpo e armi, marciarono su Damasco in gran numero di c
irca cinquantamila fanti e cavalli, con gran quantit di cammelli e buoi; avvicina
tisi alla terra, si diressero alla localit nota col nome di "Campi militari" ("Ma
nazil al-'Asakir"), ma vi trovarono l'acqua mancante e tagliata. Allora si dires
sero su al-Mizza e vi si accamparono, per esservi vicina l'acqua, investendo la
citt con i lor fanti e cavalli. I Musulmani li fronteggiarono, il sabato sei rab'
primo del 543 (24 luglio 1148), e la battaglia si appicc dalle due parti. Ai Dama
sceni si unirono una gran quantit di soldati, Turchi scelti d'assalto, milizie ci

ttadine, volontari, combattenti per la fede: ma dopo aspra lotta, i Franchi sopr
affecero i Musulmani per superiorit di numero e armamento, si impadronirono dell'
acqua, si sparsero per i giardini e vi si accamparono: accostatisi alla citt, vi
occuparono delle posizioni che nessun esercito, in tempi antichi o recenti, avev
a mai occupato. In questa giornata cadde martire per la fede il giureconsulto ma
likita imm Yusuf al-Findalawi - Dio ne abbia misericordia - nel sobborgo di ar-Ra
bwa presso l'acqua, facendo fronte al nemico e non avendo voluto ritirarsi, in o
bbedienza ai precetti di Dio Altissimo nel nobile Suo libro (73); e cos del pari
l'asceta 'Abd ar-Rahmn al-Halhuli ebbe analoga sorte.
I Franchi si misero a tagliare gli alberi usandoli per fortificarsi, e a demolir
e i ponti; e cos passarono quella notte. La popolazione, sgomenta per gli spettac
oli cui aveva assistito, era scorata e costernata; ma al primo mattino della seg
uente domenica fu fatta una sortita, si attacc battaglia, e i Musulmani sopraffec
ero i Franchi, uccidendone e ferendone un gran numero. L'emiro Mu'n ad-din fece p
rodigi di valore in questa zuffa, e spieg un coraggio, una tenacia e prodezza sen
za pari, instancabile nel ricacciare e combattere il nemico. La battaglia infuri
a lungo: la cavalleria degli Infedeli indugi a fare la sua famosa carica sino a c
he non si presentasse un'occasione favorevole, e cos si arriv al tramonto. Sopravv
enne la notte, e, bisognosi di riposo, tutti tornarono sulle loro posizioni. I r
egolari passarono la notte di fronte al nemico, e la popolazione sulle mura, per
montar la guardia e per misura di sicurezza, vedendo il nemico cos dappresso.
Erano state frattanto spedite lettere ai governatori delle province chiamandoli
in aiuto; e fu un ininterrotto arrivo di cavalleria turcomanna e fanteria provin
ciale. Al mattino, i Musulmani tornarono ad affrontare il nemico rinfrancati e s
enza pi paura: tennero fermo, e coprirono i Franchi di un nugolo di frecce e dard
i di balestre, che piovevano ininterrotte nel loro campo su fanti e cavalieri, c
avalli e cammelli.
Arriv quel giorno dall'al-Biq' e altre zone un buon nerbo di fanti arcieri, che ac
crebbero il numero e raddoppiarono l'apparecchio dei difensori. Ambe le parti so
starono separatamente per quel giorno sulle loro posizioni: il giorno seguente,
marted, i nostri attaccarono il nemico come i falchi calano sulle pernici di mont
agna, e gli sparvieri sul nido delle quaglie; li circondarono nel loro campo, do
ve si erano asserragliati con i tronchi d'albero dei giardini, e dettero il guas
to a quegli sbarramenti con tiro di frecce e lancio di pietre. I Franchi non osa
rono venir fuori, impauriti e disanimati; non comparendo di loro alcuno, si pens
che tramassero qualche insidia e stratagemma: comparvero solo pattuglie di caval
leria e fanteria per avvisaglie e scaramucce, non osando prendere l'offensiva si
no a che non trovassero campo a una carica, o una scappatoia per fuggire. Chiunq
ue di loro osasse avvicinarsi, era abbattuto da un proiettile o da un colpo di l
ancia. Molti fanti della milizia damascena e del contado si misero a far loro la
posta per i sentieri, mentre quelli si credevano sicuri, e ammazzavano quelli c
he coglievano, e ne portavano le teste per reclamarne il premio: cos si form un gr
an numero delle loro teste.
Giungendo loro notizie in copia dell'accorrere degli eserciti musulmani a combat
terli ed estirparli, si sentirono certi della estrema rovina: tennero cos consigl
io fra loro, e non videro altra salvezza dalla trappola in cui eran capitati e d
all'abisso in cui si eran precipitati, se non di sloggiare: partirono cos all'alb
a del mercoled seguente, fuggendo disfatti e in malora. Il che vedendo i Musulman
i, e scorgendo le tracce della loro ritirata, uscirono dietro di loro al mattino
di quel giorno, e si affrettarono sulle loro orme bersagliandoli di frecce: ucc
isero cos nella loro retroguardia molti uomini, cavalli e salmerie. E nei resti d
ei loro bivacchi e camminamenti furono ritrovati innumerevoli cadaveri di uccisi
(74), coi loro splendidi cavalli, le cui carcasse puzzavan s da far quasi cadere
gli uccelli per l'aria. Quella notte stessa, avevano dato alle fiamme ar-Rabwa
e al-Qubba al-Mamduda.
Tutti si allietarono di quella grazia largita loro da Dio, e a Lui Altissimo res
ero grazie per aver esaudito le loro preghiere a Lui di continuo innalzate nei g
iorni di questa distretta. Sia di ci lodato e ringraziato Iddio!

(IBN AL-ATHIR, XI, 85-86).


In quest'anno (543/1148) il re d'Alemagna si part dal suo paese con gran nerbo de
i Franchi per muovere contro i paesi dell'Islm, che non dubitava di conquistare c
on minima lotta per le sue gran forze di uomini, denari e apparecchi. Giunto che
fu in Siria, i Franchi del luogo gli si presentarono e gli resero obbedienza, p
onendosi ai suoi ordini: ed egli ordin loro di muover con lui contro Damasco per
assediarla e impadronirsene, come lui si credeva. Marciarono quindi con lui, e i
nvestirono e assediarono la citt.
Era signore di Damasco Mugr ad-din Abaq ibn Muhammad ibn Buri ibn Tughtikn, che no
n aveva per alcun effettivo potere; chi comandava nel paese era Mu'n ad-din Unur,
mamelucco di suo nonno Tughtikn. Era stato costui a far salire al trono Mugr ad-di
n, ed era un uomo sennato e giusto, buono e di retta vita: egli raccolse le trup
pe e difese la citt. I Franchi la cinsero per qualche tempo d'assedio, e poi il s
ei di rab' primo (24 luglio) mossero con fanti e cavalli all'assalto. I Damasceni
e le truppe uscirono ad affrontarli, e li combatterono ostinatamente. Tra quell
i che uscirono a combattere c'era il giureconsulto Huggiat ad-din Yusuf ibn Dibs
al-Findalawi il Maghrebino, vecchio in tarda et ed integro giureconsulto. Quando
Mu'n ad-din lo vide, che marciava appiedato, gli si fece avanti, lo salut e gli di
sse: "O vecchio, tu sei dispensato per la tua et avanzata! Pensiamo noi a difende
re i Musulmani!", e lo preg di tornare indietro. Ma quegli ricus, e disse: "Ho fat
ta la mia vendita, ed Egli ha comprato da me. Perdio, non ho n data n chiesta resc
issione di questo contratto!", riferendosi cos alle parole di Dio Altissimo: "Idd
io ha comprato dai credenti le loro persone e i loro averi, dando loro in cambio
il Paradiso" (75). E and innanzi, e combatt i Franchi fino a che fu ucciso presso
an-Nairab, a mezza "farsakh" da Damasco.
I Franchi si rafforzarono, e i Musulmani si indebolirono: il re d'Alemagna avanz
fino al Maidn al-akhdar (La Piazza Verde), e tutti furon certi che si sarebbe imp
adronito della terra. Mu'n ad-din aveva frattanto mandato un messaggio a Saif addin Ghazi figlio dell'atabek Zinki (signore di Mossul) chiamandolo in aiuto dei
Musulmani, e a respinger da loro il nemico. Egli riun le sue truppe e marci sulla
Siria, prendendo con s da Aleppo suo fratello Nur ad-din Mahmd (76). Essi vennero
a Hims, e Saif ad-din mand a dire a Mu'n ad-din: "Son venuto con tutti quelli del
mio paese capaci di portare le armi. Chiedo che ci siano dei miei rappresentanti
in Damasco, perch io possa venire e affrontare i Franchi. Se sono sconfitto, ent
rer io e il mio esercito in citt, e l ci difenderemo: se vinciamo, la citt vostra, n
io star a contendervela"; e mand ai Franchi un messaggio di minacce se non si foss
ero ritirati dalla citt. I Franchi smisero di combattere, impressionati per i mol
ti feriti e con la prospettiva di dover combattere anche Saif ad-din. Vollero qu
indi risparmiarsi, mentre i Damasceni si rinfrancarono nella difesa e rifiataron
o dall'assiduo combattimento. Mu'n ad-din mand frattanto a dire ai Franchi venuti
di fuori: "E' arrivato il re dell'Oriente; se non vi ritirate, consegner a lui la
citt e allora ve ne pentirete"; e ai Franchi di Siria: "Con che senno aiutate co
storo contro di noi, quando sapete bene che se si impadroniscono di Damasco vi p
iglieranno le terre da voi possedute sul litorale? Quanto a me, se vedo di non f
arcela a difendere la citt, la consegner a Saif ad-din, e voi sapete bene che se e
gli diventa signore di Damasco voi non vi potrete pi mantenere con lui in Siria".
Al che quelli acconsentirono a staccarsi dal re d'Alemagna mentre Mu'n ad-din co
ncedeva loro la consegna della rocca di Baniys: quindi quelli del Litorale, ristr
ettisi col re d'Alemagna, lo intimorirono parlandogli di Saif ad-din e di tutte
le sue truppe, e dei continui rinforzi che riceveva, e della probabilit che quegl
i prendesse Damasco senza che loro fossero in grado di resistergli. E tanto fece
ro che il re si part da Damasco, e loro si presero la rocca di Baniys, e i Franchi
d'Alemagna se ne tornarono al loro paese, che sta di traverso sopra Costantinop
oli, e Dio liber i credenti dal loro malanno. Abu l-Qasim ibn 'Asakir, nella sua
Storia di Damasco, narra che un dottore della Legge disse d'aver veduto in sogno
al-Findalawi, e d'avergli chiesto: "Come ti ha trattato Iddio, e dove sei?", e
avuto in risposta: "Dio mi ha perdonato. Sono nei giardini dell'Eden, (fra i bea
ti) sdraiati su letti affrontati" (77).

(SIBT IBN AL-GIAWZI, 300).


... Era il tempo delle frutta. I Franchi, scesi nella valle, ne mangiarono una g
ran quantit, ci che dette loro la dissenteria; molti ne morirono, e gli altri ne f
urono ammalati. I Damasceni, ridotti alle strette, fecero pie elemosine coi loro
averi in proporzione delle loro condizioni. Tutta la popolazione, uomini donne
e bambini, si raccolse nella Gran Moschea: spiegarono il Corano di Othmn (78), sp
arsero cenere sul capo, piansero e supplicarono, e Iddio esaud la loro preghiera.
C'era coi Franchi un gran Prete dalla lunga barba, di cui seguivan l'esempio: q
uesti, al decimo giorno dal loro arrivo a Damasco, inforc il suo asino, si mise u
na croce al collo, prese in mano altre due croci, un'altra ne appese al collo de
ll'asino, e raccolse a s dinanzi i vangeli e le croci e le sacre scritture, e cav
alieri e fanti, s che nessuno dei Franchi rimase indietro, fuorch quelli a custodi
a delle tende. Il Prete disse: "Il Messia mi ha promesso che oggi espugner la cit
t". A questo punto i Musulmani spalancarono le porte, e affrontarono la morte car
icando come un sol uomo in nome dell'Islm. Fu una giornata quale non ne fu mai vi
sta una simile, nel tempo pagano e dell'Islamismo. Uno della milizia di Damasco
arriv al Prete, che combatteva in prima fila, e gli spicc la testa dal busto, amma
zzando anche il suo asino. Tutti gli altri fecero impeto, e i Franchi si volsero
in fuga: ne uccisero diecimila, bruciarono croci e cavalieri col fuoco greco, e
li inseguirono fin nelle tende. La notte li separ. Al mattino, eran partiti e no
n ne restava pi traccia.
7.
Nel 1154, sei anni dopo la vittoriosa resistenza di Damasco ai Crociati, Norandi
no figlio di Zinki realizzava il vecchio sogno paterno, rendendosi padrone senza
colpo ferire della metropoli sira. E di qui e dall'avita base di Aleppo organiz
zava con nuove forze la lotta contro i Crociati, che con alterna fortuna si prot
rasse per un ventennio, fino alla sua morte (1174): ma quand'egli moriva era da
tempo ormai spuntato e brillava di piena luce in Egitto l'astro di Saladino, gi s
uo oscuro ufficiale, destinato a coronare un secolo di sforzi nella lotta dell'I
slm contro gli invasori cristiani. Anche di Norandino, come gi del padre, Ibn al-A
thr traccia un ritratto ideale, cui noi possiamo aggiungere, in contrasto con Zin
ki, il pregio di una maggior finezza spirituale e di una maggiore umanit.
VITTORIE DI NORANDINO E SUO TRIONFO A DAMASCO.
(IBN AL-QALANISI, 340-42).
Norandino giunse alla Citt ben guardata (79) il gioved ventisette rab' primo (552/9
maggio 1157), per provvedere ad apprestare gli strumenti bellici e spedirli all
e truppe, intendendo egli trattenersi pochi giorni e poi subito muovere dove era
no raccolte le sue forze, Turcomanni e Arabi, per la guerra santa contro i nemic
i Infedeli; e Iddio, volendo, pu bene agevolare la loro sconfitta e affrettare lo
ro la rovina.
Appena giunto, egli pose mano ad assolvere il compito per cui era venuto, e ordi
n di apprestare le macchine d'assedio e le armi di cui il suo esercito vittorioso
aveva bisogno, e di fare appello nella Citt ben guardata ai campioni e combatten
ti della guerra santa, e alle milizie volontarie, di giovani cittadini e foresti
eri, che si equipaggiassero e preparassero a combattere i Franchi politeisti e m
iscredenti. Si mise quindi subito in marcia verso il suo esercito vittorioso, af
frettandosi senza sosta ed indugio il sabato ultimo di rab' primo, seguito da gra
n numero e fittissima schiera di miliziani, volontari, giureconsulti, sufi (80)
e uomini pii. Iddio altissimo vorr coronare i suoi consigli e le sue decisioni di
fulgida vittoria e successo, mandando in rovina gli Infedeli a Lui ribelli, e a
ffrettando loro la morte e distruzione totale, s da non restarne traccia e person

a alcuna: n ci difficile per Iddio onnipossente e dominatore.


Il sabato seguente a questo, sette di rab' secondo (18 maggio), poco dopo che il
Re Giusto Norandino ebbe investito Baniys col vittorioso suo esercito, e l'ebbe s
tretta di macchine d'assedio e combattuta, arriv (a Damasco) un piccione viaggiat
ore (81) dall'esercito vittorioso accampato fuor di Baniys, con un messaggio che
comunicava come fosse giunta la lieta novella, dal campo di Asad ad-din (82) dal
le parti di Hunn con Turcomanni e Arabi, che i Franchi - Dio li mandi in malora!
- avevano spedita una colonna, di pi di cento loro capi e cavalieri oltre al segu
ito, per piombare sulle suddette forze di Asad ad-din, credendole di poca entit,
senza sapere che si trattava invece di migliaia di uomini. Quando coloro si furo
no ad essi avvicinati, i nostri eran saltati loro addosso come leoni sulla selva
ggina, facendone generale strage, e catturando e predando, onde non ne eran scam
pati che pochi. Arrivarono infatti a Damasco il luned seguente i prigionieri e le
teste degli uccisi coi loro equipaggiamenti, scelti destrieri e targhe ed aste,
che furon portati in giro per la citt, con gioia degli animi a un tale spettacol
o, e ringraziamenti a Dio per tal grazia agevolmente concessa dopo la prima. E i
n Dio si spera perch affretti la loro rovina e distruzione, cosa non difficile a
Lui. A questo rinnovato dono divino segu poi la discesa di un altro piccione dal
campo ben guardato di Baniys, il marted seguente, che informava della avvenuta esp
ugnazione a viva forza della citt di Baniys, a quattro ore del marted suddetto, dop
o che furono finite di scavare le gallerie e messovi il fuoco col conseguente cr
ollo della torre minata, da cui i nostri avevano fatta irruzione trucidandone i
difensori e predando quanto conteneva. Gli scampati eran rifuggiti alla cittadel
la e vi si eran rinchiusi: n la loro cattura, Iddio permettendolo, sarebbe molto
tardata, con l'aiuto e il favore divino.
Il destino volle invece che dopo ci i Franchi si raccogliessero dai loro vari for
tilizi, per sbloccare Honfroi (83) signore di Baniys e i suoi compagni Franchi as
sediati in quella rocca. Questi, ridotti agli estremi, chiesero istantemente sic
urt a nostro signore Norandino, offrendogli di render la rocca con tutto ci che co
nteneva, e aver salva la vita; ma egli aveva respinto queste loro richieste. Qua
ndo poi sopravvenne il re dei Franchi (84) con tutte le sue forze di fanti e cav
alieri dalla parte della Montagna, cogliendo di sorpresa le forze che assediavan
o Baniys e quelle stazionanti sulla via per intercettare i soccorsi, fu saggia pr
udenza ritirarsi, permettendo a coloro di giunger sul posto e recuperarne i dife
nsori. Ma quando videro la rovina generale delle mura e delle case d'abitazione,
disperarono di poter pi rimettere in efficienza la piazza; e ci fu nell'ultima de
cade di rab' secondo (primi di giugno 1157).
Il mercoled nove giumada primo (19 giugno) arrivarono altri piccioni viaggiatori,
con lettere dal campo ben guardato di Norandino, comunicanti che il Re Giusto N
orandino, saputo che il campo dei Franchi infedeli era a Mallaha tra Tiberiade e
Baniys, si era messo in marcia col suo vittorioso esercito di Turchi ed Arabi. S
puntato su di loro di sorpresa, essi avevan visto le sue bandiere gi proiettare s
u di loro la loro ombra; corsi alle armi e ai cavalli, si eran divisi in quattro
schiere, e avevano attaccato i Musulmani: allora Norandino e i suoi prodi aveva
n messo piede a terra, e avevano schiacciato il nemico sotto i dardi e i ferri d
elle lance. In men che non si dica, coloro si eran sentiti mancare il terreno so
tto i piedi ed erano stati spacciati. Iddio eccelso e vittorioso aveva fatto sce
ndere la vittoria sui pii suoi amici e mandato in malora i ribelli infedeli. Ci
impadronimmo dei loro cavalieri uccidendoli e catturandoli, e la fanteria in gra
n numero fu passata a fil di spada, tanto che non ne scamparono, a quanto rifer u
n veridico in grado di saperlo, che dieci persone, risparmiate per allora dalla
morte, e smarrite di paura. Chi disse che il loro re era fra questi, chi invece
che fosse tra gli uccisi; certo non se ne ebbe pi notizia, e fu attivamente ricer
cato - Dio aiuter a debellarlo! - Dell'esercito dell'Islm, non si ebbe altra perdi
ta che due uomini: uno dei valorosi sopraddetti, che uccise quattro campioni inf
edeli, e, venuta la sua ora e spirato il suo termine, fu ucciso; e un altro, un
forestiero sconosciuto; entrambi morirono da martiri della fede, e rimeritati de
l premio celeste, che Dio ne abbia misericordia. I nostri soldati si riempirono
le mani di lor destrieri ed arnesi, animali e robe infinite. La loro chiesa con

i suoi famosi arredi venne in mano di re Norandino. Fu una gran vittoria e uno s
plendido successo da parte di Dio onnipotente e dator di vittoria, con cui Egli
esalt l'Islm e i suoi fedeli, e avvil il Politeismo e la sua fazione.
I prigionieri e le teste degli uccisi arrivarono a Damasco la domenica seguente
alla vittoria. Su ogni cammello, erano stati collocati due dei loro cavalieri, e
spiegato uno dei loro stendardi con un certo numero di cotenne delle loro teste
, con tutta la capigliatura. I loro capi, castellani e governatori di terre, era
no montati ciascuno su un cavallo, in cotta d'armi e casco, con in mano uno sten
dardo. I fanti, sergenti e turcpuli (85), andavano legati per tre, o per quattro,
o pi o meno, a un'unica corda. Una folla innumerevole di cittadini, vecchi giova
ni donne bambini, usc a contemplare questa fulgida vittoria concessa da Dio a tut
ti i Musulmani, e levarono gran lodi e santificarono Iddio che aveva concesso la
vittoria ai suoi amici, dando loro possibilit di sconfiggere i suoi nemici; e al
zarono di continuo sinceri voti al Re Giusto Norandino, loro difensore e campion
e, lodandone le magnanime virt e celebrandone le alte doti. Furono anche composti
dei versi su tale argomento, che dicono:
Cos avvenne il giorno dei Franchi, quando li sommerse l'onta della cattura, della
sciagura e sventura.
Furori condotti in processione sui cammelli con le loro bandiere, in avvilimento
, angoscia e pena,
dopo esser stati superbi, riveriti e famosi, nelle battaglie e nel combattimento
.
Cos, cos periscono i nemici, quando su di loro si scatena la razzia.
Disgraziati, presi come greggi al pascolo, avvolti da una calamit di sera e matti
na.
Stolti, ruppero la tregua pacifica, dopo che era stata lealmente fermata.
E colsero il frutto della loro perfidia, con la conseguente rovina e ostilit che
li avvilupp.
Non difenda Iddio la loro congregata caterva, assalita da spade quant'altre mai
penetranti!
Retribuzione dell'ingrato morte e prigionia, retribuzione del riconoscente il pr
emio migliore.
Sia lode dunque e riconoscenza perpetua al Signore degli uomini, cos come perpetu
a duri la sua grazia!
MORTE DI NORANDINO.
(IBN AL-ATHIR, XI, 264-67).
In quest'anno (569/1174) mor Nur ad-din Mahmd ibn Zinki ibn Aq Sunqr, signore di Si
ria, dei territori mesopotamici e d'Egitto, il mercoled undici shawwl (15 maggio)
per malattia di angina. Fu sepolto nella cittadella di Damasco, e di l poi trasla
to alla Mdrasa (86) da lui fondata in Damasco presso il Mercato dei lavoratori di
vimini. Una combinazione stupefacente il fatto che il due di shawwl egli cavalca
va avendo a fianco un pio emiro, e questi gli disse: "Lode a Colui che sa se ci
incontreremo ancora qui l'anno venturo, o no"; e Norandino rispose: "Non dire co
s, ma piuttosto: lode a Chi sa se ci incontreremo di qui a un mese, o no". E Nora
ndino, Dio ne abbia misericordia, mor in capo a undici giorni, e quell'emiro prim
a dell'anno, onde ognuno dei due fu colto dalla morte secondo quarto aveva detto
. Norandino aveva cominciato a prepararsi per invadere l'Egitto e toglierlo a Sa
ladino (87), in cui aveva visto una certa tepidezza nel combattere i Franchi dal
la sua parte; egli sapeva che ci che impediva Saladino dal far loro guerra era la
paura di lui Norandino, e di venirsi a trovare con lui a diretto contatto, ragi
on per cui preferiva che ci fossero di mezzo i Franchi per servirsene di difesa
contro Norandino. Questi mand dunque messaggi a Mossul, nella Giazira, e nel Diyr
Bekr, mobilitando le truppe per la guerra. Era sua intenzione di lasciarle con s
uo nipote Saif ad-din Ghazi signore di Mossul e di Siria, e marciare lui col suo
esercito sull'Egitto; ma mentre si preparava a questo, gli giunse l'ordine di D

io a cui non si pu replicare.


Mi raccont un medico dei pi valenti, che era al servizio di Norandino: Norandino m
i mand a chiamare insieme ad altri medici, nella malattia di cui mor. Entrammo da
lui, che stava in una stanzetta nella cittadella di Damasco, in preda a un attac
co di angina e ormai in punto di morte, tanto che non si riusciva a udir la sua
voce. Ivi egli soleva appartarsi per fare orazione, e l lo aveva colto il male, n
era stato di l trasportato altrove. Quando entrammo, e vidi lo stato in cui era,
dissi: "Non avresti dovuto aspettare a chiamarci che il male ti si aggravasse co
me ora, e devi affrettarti a trasferirti di qui in luogo largo e luminoso; ci inf
luisce in una tal malattia". Ci accingemmo a curarlo, e suggerimmo di salassarlo
, ma egli disse: "Non si salassa un sessantenne", e si rifiut al salasso. Lo cura
mmo allora con altri mezzi, ma le medicine non gli giovarono, la malattia si agg
rav, ed egli mor, che Dio ne abbia misericordia e si compiaccia di lui.
Era Norandino bruno di carnagione, alto di statura, senza barba fuorch sul mento,
di fronte larga, di bell'aspetto, con due begli occhi dolci. Il suo regno si di
stese assai, e la sua sovranit fu riconosciuta alla Mecca e Medina e nello Yemen,
quando vi entr Shams ad-dawla ibn Ayyb e se ne rese signore (88). Era nato nel 51
1 (1117), e la fama della sua probit e giustizia s'era diffusa per tutta la terra
. Ho letto le vite degli antichi re, e non vi ho trovato, dopo Califfi ben guida
ti e 'Omar ibn 'Abd al-'Azz (89), persona pi proba di lui e che pi si proponesse la
giustizia. Molto abbiamo esposto di ci nel nostro libro di storia della loro din
astia (90), e qui ne daremo solo un saggio, nella speranza che lo legga qualche
potente della terra, e lo prenda a modello.
Tra le sue virt c'era l'austera piet e conoscenza religiosa: egli non mangiava n ve
stiva n faceva alcuna privata spesa se non col reddito di una propriet acquistata
con la sua quota legale del bottino, e delle somme stanziate per gli interessi c
omuni dei Musulmani. Sua moglie si era con lui lagnata di ristrettezze, ed egli
le assegn tre botteghe in Hims, di sua privata propriet, che gli rendevano all'ann
o una ventina di "dinr"; e avendole lei trovato poco, egli disse: "Non ho altro.
Di tutto ci di cui dispongo, io sono solo il tesoriere dei Musulmani, e non inten
do tradirli in questo, n cacciarmi nel fuoco d'inferno per causa tua". Molto face
va orazione la notte, con lodevoli veglie e preghiere; era come dice il verso:
Un la prodezza in guerra alla devozione al suo Signore: che bello
spettacolo il guerriero in preghiera nel Tempio!
Ed era buon conoscitore del diritto musulmano ("fiqh") secondo la scuola di Abu
Hanifa, ma senza fanatismo, aveva ascoltato la trasmissione di tradizioni canoni
che ("hadth") e le aveva egli stesso trasmesse, quale opera meritoria presso Dio.
Quanto alla sua giustizia, non lasci sussistere in tutta l'estensione dei suoi d
omini alcun dazio n decima illegale, ma tutte le abol, in Egitto, Siria, Giazira e
Mossul. Teneva in gran conto la Legge sacra e ne applicava le norme: un uomo lo
cit in tribunale, ed egli vi si present insieme all'avversario, e mand a dire al c
adi Kaml ad-din ibn ash-Shahruzuri: "Sono venuto a contendere in tribunale. Tu pr
ocedi con me come procedi con tutti i (comuni) litiganti". Risult che aveva ragio
ne lui, ma egli don la cosa contestata all'uomo che l'aveva citato, dicendo: "Vol
evo gi donargli l'oggetto da lui rivendicato, ma ho temuto che il motivo che mi s
pingeva a ci fosse l'orgoglio e il disdegno dal comparire in tribunale. Perci sono
comparso, e ora gli dono quanto egli rivendica". Istitu nelle sue terre la "Casa
della giustizia", e l egli sedeva col cadi rendendo giustizia all'offeso, foss'a
nche stato un Ebreo, contro l'offensore, fosse anche stato suo figlio o il maggi
ore dei suoi emiri. Nel valore guerriero, era insuperabile: in guerra, prendeva
due archi e due turcassi per usarli in combattimento. Il giureconsulto Qutb ad-d
in an-Nasawi gli disse: "In nome di Dio, non mettere a repentaglio la tua person
a e l'Islm intero! Se fossi colpito in battaglia, non resterebbe pi un Musulmano c
he non fosse passato a fil di spada"; e Norandino rispose: "E chi mai Mahmd (91),
perch gli si parli cos? Ancor prima di me c' stato chi ha difeso questa terra e l'
Islm; e questi Iddio, fuor del quale non c' altro dio!" Quanto alle sue opere di p
ubblico interesse, egli costru le mura di tutte le citt e rocche di Siria, tra cui
Damasco, Hims, Hamt, Aleppo, Shaizar, Baalbek e altre ancora; costru numerose Mdra

se per Hanafiti e Shafi'iti (92), la Gran Moschea di Norandino a Mossul, gli osp
edali e i caravanserragli per le strade, i conventi dei dervisci in tutti i paes
i, e leg a tutti abbondanti legati pii, tanto che ho sentito che il reddito mensi
le delle sue pie fondazioni era di novemila "dinr" di Tiro. Onorava e teneva in g
ran conto i dottori e gli uomini di religione, si alzava in loro cospetto e li f
aceva sedere accanto a s, si mostrava con loro affabile e non ribatteva mai alle
loro parole, e teneva con loro corrispondenza di suo pugno. Era di aspetto grave
e maestoso, con tutta la sua umilt. Molte sono le sue virt, e copiosi i suoi preg
i, che questo libro non comporta di registrar tutti qui.
9.
Le pagine che seguono, e si potrebbero intitolare "Scene e costumi franchi, vist
i da un Musulmano", sono tutte meno una tolte dalla celebre "Autobiografia" di U
sama ibn Munqidh, il cavalleresco e colto emiro di Shaizar che visse quasi inter
o questo primo secolo delle Crociate. Nelle sue arruffate "Memorie", ricche di g
hiotti aneddoti e riferimenti storici, abbondano gli episodi dei suoi contatti c
oi Franchi, in guerra e in pace, in alterni atteggiamenti di ostilit, curiosit e s
impatia. Queste scenette, talora deliziosamente paradossali, intermezzano con op
portuno contrasto il fragor d'armi, a lungo andare monotono, che prevale nelle p
agine degli storici professionali.
CAVALLERIA FRANCA.
(USAMA, 48).
Presso i Franchi - Dio li mandi in malora! - non c' virt umana che apprezzino fuor
del valore guerriero, e nessuno ha preminenza e alto grado fuor dei cavalieri,
le uniche persone che valgano presso di loro. Sono questi a dar consiglio, a giu
dicare e comandare. Una volta ebbi a contendere in giudizio con loro per certi a
rmenti presi in un bosco dal signore di Baniys, in un periodo che eravamo con lor
o in pace, e io stavo allora a Damasco. Dissi allora al re Folco figlio di Folco
(93): "Costui ci ha aggredito e ci ha presi i nostri animali: questo il tempo c
he figliano gli armenti; han figliato, i piccoli son morti, e lui ci ha rese le
bestie dopo averle rovinate". Allora il re disse a sei o sette cavalieri: "Su, p
ronunciate una sentenza sul suo caso". Essi uscirono dalla sua sala di udienza,
si appartarono e consigliarono sino a fermarsi tutti su un unico parere. Fecero
poi ritorno alla sala del re, e dissero: "Abbiam deciso che il signore di Baniys
debba pagare l'ammenda per i vostri armenti rovinati". Il re ordin che l'ammenda
fosse pagata, e colui mi preg e offici al punto che finii con l'accettar da lui qu
attrocento "dinr". Una volta che i cavalieri hanno stabilita la sentenza, n il re
n alcun altro loro capo pu mutarla n disfarla; tanto gran cosa il cavaliere presso
di loro. Il re mi disse (in quell'occasione): "O tu, per il mio valore, mi sono
ieri grandemente rallegrato!" "Dio rallegri vostra Maest, - risposi io, - per che
cosa ti sei rallegrato?" "Mi han detto che tu sei un gran cavaliere, e io non c
redevo che tu fossi cavaliere". "Maest, risposi, sono un cavaliere della mia razz
a e della mia gente" (94). Quando il cavaliere alto e slanciato, pi essi lo ammir
ano.
PIRATERIA FRANCA.
(USAMA, 25-26).
... Mi misi al servizio del Re Giusto Norandino - Dio ne abbia misericordia! - i
l quale scrisse al Malik as-Salih (95) perch facesse partire la mia famiglia e i
miei figli rimasti in Egitto, e da lui beneficati. Egli rimand indietro il messag
gero scusandosi col dire che temeva per loro da parte dei Franchi, e scrisse a m

e invitandomi a tornare io in Egitto (96) "Tu sai, - diceva, - i rapporti d'amic


izia che sono tra noi; se avessi a temere da quelli di Palazzo, potresti andare
alla Mecca, e io ti manderei l la nomina a governatore di Aswn, fornendoti i mezzi
adeguati per combattere gli Abissini. Aswn una marca di frontiera musulmana. L ti
manderei la tua famiglia e i tuoi figli". Io ne parlai a Norandino, e ne sollec
itai il parere: "O tu, - diss'egli, - non vorrai certo, una volta salvatoti dall
'Egitto e dai suoi torbidi, far ritorno laggi. La vita troppo corta per questo! M
ander io piuttosto a prendere un salvacondotto per la tua famiglia dal re dei Fra
nchi, e spedir chi te li conduca qui". E mand infatti - Dio ne abbia misericordia
- a prendere il salvacondotto del re con la sua croce, che dava sicurt per terra
e per mare. Io spedii il salvacondotto con un mio giovane schiavo, insieme a una
lettera di Norandino e a una mia al Malik as-Salih, e questi fece partire i mie
i familiari per Damiata, su una imbarcazione del servizio privato, raccomandati
e forniti di ogni spesa e provvista occorrente.
Essi salparono poi da Damiata su una nave franca, ma quando furono nei pressi di
Acri, dove stava quel re (97) - Dio non ne abbia misericordia -, quegli spacci i
n un legnetto della gente che sfasci con le scuri la nave, sotto gli occhi dei mi
ei compagni; e lui se ne venne a cavallo sul lido, e pred tutto ci che ivi era. Un
mio giovane schiavo usc a nuoto verso di lui col salvacondotto, dicendogli: "Mes
sere il Re, non questo il tuo salvacondotto?" "Certo, - rispose lui, - ma questo
appunto l'uso dei Musulmani, che quando un loro bastimento fa naufragio presso
una terra, la gente di questa terra lo depreda". "E tu vuoi ridurci in cattivit?"
"Niente affatto", rispose; fece entrare i miei in una casa, e perquis le donne,
prendendo loro tutto quel che avevano: c'erano nella nave monili depostivi dalle
donne, vesti, gemme, spade, armi, oro e argento del valore di circa trentamila
"dinr". Si prese tutto, e fece consegnar loro cinquecento "dinr" dicendo: "Con que
sto, arrangiatevi ad arrivare al vostro paese"; e tra uomini e donne, erano cinq
uanta persone! Io mi trovavo allora con Norandino nei territori di re Mas'd (98)
a Ru'bn e Kaisn; e la salvezza dei figli miei e di mio fratello, e delle nostre do
nne, mi rese lieve la perdita della roba, fuorch quella dei miei libri: si tratta
va di quattromila magnifici volumi, la cui perdita mi rimasta come una ferita al
cuore per tutta la vita.
MEDICINA FRANCA.
(USAMA, 97-98).
Il signore di Munitira (99) scrisse a mio zio chiedendogli di mandare un medico p
er curare certi suoi compagni malati; e quegli mand un medico cristiano a nome Th
abit. Questi dopo nemmeno dieci giorni fu di ritorno; noi gli dicemmo: "Hai fatt
o presto a curare quei malati!" ed egli raccont: "Mi presentarono un cavaliere ch
e aveva un ascesso alla gamba, e una donna, afflitta da una consunzione. Feci un
empiastro al cavaliere, e l'ascesso si apr e miglior, prescrissi una dieta alla d
onna, rinfrescandone il temperamento. Quand'ecco arrivare un medico franco, che
disse: 'Costui non sa affatto curarli!', e rivolto al cavaliere gli domand: 'Cosa
preferisci, vivere con una gamba sola, o morire con due gambe?', e avendo quell
o risposto che preferiva vivere con una sola gamba, ordin: 'Conducetemi un cavali
ere gagliardo, e un'ascia tagliente'. Vennero cavaliere ed ascia, stando io l pre
sente. Colui adagi la gamba su un ceppo di legno, e disse al cavaliere: 'Dgli gi un
gran colpo di ascia, che la tronchi netto!' E quegli, sotto i miei occhi, la co
lp d'un primo colpo, e, non essendosi troncata, d'un secondo colpo; il midollo de
lla gamba schizz via, e il paziente mor all'istante. Esaminata quindi la donna, di
sse. 'Costei ha un demonio nel capo, che si innamorato di lei. Tagliatele i cape
lli!' Glieli tagliarono, e quella torn a mangiare dei loro cibi, aglio e senape,
onde la consunzione le aument. 'Il diavolo entrato nella sua testa' sentenzi colui
, e preso il rasoio le apr la testa a croce, asportandone il cervello sino a fare
apparire l'osso del capo, che colui strofin col sale...; e la donna all'istante
mor. A questo punto io domandai: 'Avete pi bisogno di me?' Risposero di no, e io m
e ne venni via, dopo aver imparato della loro medicina quel che prima ignoravo"

(100).
I FRANCHI E LA GELOSIA MARITALE.
(USAMA, 100-1).
Presso i Franchi non c' ombra di senso dell'onore e di gelosia. Se uno di loro va
per la strada con sua moglie, e un altro lo incontra, questi prende per mano la
donna e si tira in disparte con lei a parlarle, mentre il marito se ne sta da u
n lato aspettando che lei abbia finito di conversare; e se la fa troppo lunga, l
a lascia col suo interlocutore e se ne va. Una mia diretta esperienza in proposi
to questa: quando venni a Nabulus, stavo in casa di un certo Mu'izz, la cui casa
serviva da albergo per i Musulmani, con finestre che si aprivano sulla strada.
Dall'altra parte della via, c'era la casa di un Franco che vendeva il vino per c
onto dei mercanti: egli prendeva una bottiglia di vino, e gli faceva pubblicit, a
nnunciando: "Il tal mercante ha aperto una botte di questo vino; chi ne volesse
acquistare, si trova nel sito tal dei tali, e io gli dar la primizia del vino che
in questa bottiglia".
Ora costui, venuto un giorno a casa sua, trov un uomo con sua moglie nel letto. G
li domand: "Cos' che ti ha fatto venir qui da mia moglie?" "Ero stanco, - rispose
colui, - e sono entrato qui a riposarmi". "E come sei entrato nel mio letto?" "H
o trovato un letto fatto, e mi ci son messo a dormire". "E questa donna dorme co
n te?" "Il letto, - rispose, - suo. Potevo io impedirle di entrare nel suo letto
?" "Aff mia, - concluse il primo, - se lo fai un'altra volta, litigheremo!"; e qu
esta fu tutta la sua reazione, e il massimo sfogo della sua gelosia...
Un altro caso consimile questo, narratoci da un bagnino di Ma'arra a nome Salim,
che stava in un bagno di mio padre: apersi un bagno a Ma'arra, disse costui, pe
r guadagnarmici la vita. Entr nel locale un cavaliere dei Franchi, ai quali non p
iace cingersi un panno alla vita nel bagno: costui quindi allung la mano, e mi st
rapp dai fianchi e gett via il perizoma. Cos mi vide, che da poco mi ero rasa la zo
na del pube. "Salim!" esclam; mi avvicinai a lui, ed egli, stesa la mano al mio p
ube, "Salim, - disse, - magnifico! Aff mia, fai anche a me questo servizio!"; e s
i distese supino sul dorso. Aveva in quel posto un vello lungo come la sua barba
. Lo rasi, ed egli, passatavi su la mano, lo trov bello liscio, e riprese: "Salim
, aff mia, fai lo stesso alla Dama", e "dama" nella loro lingua vuol dire signora
, cio sua moglie. Ordin quindi a un suo valletto: "Va' a dire alla Dama che venga"
. Il valletto and e torn con lei, e la introdusse; essa si distese sul dorso, ed e
gli disse: "Falle come hai fatto a me". Io le rasi il vello, e suo marito stava
l a guardarmi; e poi mi ringrazi e regal secondo il mio servizio.
Guardate un po' che contraddizione! Non hanno gelosia n senso d'onore, e al tempo
stesso hanno tanto coraggio, che non nasce (di solito) se non dal senso dell'on
ore e dal disdegno per ogni cosa malfatta.
FRANCHI ORIENTALIZZATI.
(USAMA, 103-4).
Ci sono dei Franchi alcuni che, stabilitisi nel paese, han preso a vivere famili
armente coi Musulmani, e costoro son migliori di quelli che sono ancor freschi d
ei loro luoghi d'origine; ma quei primi sono un'eccezione, che non pu far regola.
A questo proposito, mandai una volta un amico per una faccenda ad Antiochia, il
cui capo era Todros ibn as-Safi (101), mio amico, che aveva laggi autorit. Questi
disse un giorno all'amico mio: "Mi ha invitato un mio amico Franco; tu vieni co
n me, per vedere il loro costume". Andai con lui, raccontava l'amico, e venimmo
alla casa di un cavaliere di quelli antichi, venuti con la prima spedizione dei
Franchi. Costui, ritiratosi dall'ufficio e dal servizio, aveva in Antiochia una
propriet del cui reddito viveva. Fece venire una bella tavola, con cibi quanto ma
i puliti e appetitosi. Visto che mi astenevo dal mangiare, disse: "Mangia pure d

i buon animo, ch io non mangio del cibo dei Franchi, ma ho delle cuoche egiziane,
e mangio solo di quel che cucinano loro: carne di maiale in casa mia non ne ent
ra!" (102). Mangiai, pur stando in guardia, e ce ne andammo. Passavo pi tardi dal
mercato, quando una donna franca mi si attacc profferendo in lor barbara lingua
parole per me incomprensibili. Si raccolse attorno a noi una folla di Franchi, e
io mi ritenni spacciato: quand'ecco venire innanzi quel cavaliere, che vistomi
si avvicin e disse a quella donna: "Che ci hai con questo Musulmano?" "Questo, rispose colei, - ha ucciso mio fratello Urso", il quale Urso era un cavaliere di
Apamea, che era stato ucciso da un soldato di Hamt. Ed egli le grid: "Questo un b
orghese, cio un mercante, che non fa la guerra, n sta l dove la fanno". Grid poi all
a gente adunatasi, e quelli si dispersero, e mi prese per mano: cos quell'aver ma
ngiato alla sua tavola ebbe per effetto di salvarmi la vita.
I TEMPLARI A GERUSALEMME.
(USAMA, 99).
Un tratto della rozzezza dei Franchi - Dio li confonda! - questo. Quando visitai
Gerusalemme io solevo entrare nella Moschea al-Aqsa, al cui fianco c' un piccolo
oratorio, di cui i Franchi avevan fatto una chiesa. Quando dunque entravo nella
Moschea al-Aqsa, dove erano insediati i miei amici Templari, essi mi mettevano
a disposizione quel piccolo oratorio per compiervi le mie preghiere. Un giorno e
ntrai, dissi la formula "Allh akbar" (103) e ristetti per iniziar la preghiera, q
uando un Franco mi si precipit addosso, mi afferr e volse il viso verso oriente, d
icendo: "Cos si prega". Subito intervennero alcuni Templari, che lo presero e all
ontanarono da me, mentre io tornavo a compiere la preghiera. Ma colui, colto un
momento che non badavano, mi si ributt addosso rivolgendomi la faccia ad oriente,
e ripetendo: "Cos si prega". E di nuovo - i Templari intervennero, lo allontanar
ono, e si scusarono con me dicendo: "E' un forestiero, arrivato in questi giorni
dal paese dei Franchi, e non ha mai visto nessuno a pregare fuorch col viso rivo
lto a oriente". "Ho pregato abbastanza", risposi; ed uscii, stupefatto per quel
demonio, che tanto si era alterato e agitato al veder pregare in direzione della
Qibla! (104).
Vidi poi io stesso uno di loro presentarsi all'emiro Mu'n ad-din - che Dio ne abb
ia misericordia - mentre si trovava alla Moschea della Roccia, e dirgli: "Vuoi v
edere Iddio bambino?" "S", rispose, e quegli ci precedette fino a mostrarci l'imm
agine di Maria col Messia piccolo in grembo. "Questo, - disse, - Iddio bambino".
Ben pi in alto Iddio altissimo da ci che gli Infedeli sostengono! (105).
RISCATTO DI PRIGIONIERI.
(USAMA, 6o-62).
Ebbi ripetuta occasione di recarmi dal re dei Franchi, per stipular la pace fra
lui e Giaml ad-din Muhammad ibn Tag al-Mulk - Dio ne abbia misericordia (106) -; e
ci in grazia di un favore fatto a suo tempo dal defunto mio padre a re Baldovino
, padre della regina moglie del re Folco (107). I Franchi mi conducevano i loro
prigionieri perch li riscattassi, e io riscattavo quelli cui Dio agevolava la sal
vezza. Un demonio dei loro, a nome Guglielmo Gib, usc a far la guerra di corsa con
un suo bastimento, e prese una nave con quasi quattrocento pellegrini maghrebin
i, uomini e donne. Alcuni mi furono condotti con i loro padroni, e io ne riscatt
ai quanti potei riscattare. C'era tra essi un giovane che salutava e restava sed
uto senza far parola: domandai chi fosse, e mi fu detto che era un devoto, appar
tenente a un conciapelli. "A quanto mi vendi questo qui?" chiesi al padrone. "Pe
r la mia fede, - rispose, - non lo vendo se non insieme a questo vecchio, cos com
e insieme li ho comprati, per quarantatr "dinr"". E io li riscattai entrambi, e ne
ricomprai un certo numero per me, e un altro gruppo per l'emiro Mu'n ad-din (108
) - Dio ne abbia misericordia - per centoventi "dinr". Pagai in contanti quanto a

vevo addosso, mi feci garante del resto, e me ne venni a Damasco, ove dissi all'
emiro Mu'n ad-din: "Ho ricomprato per te in particolare dei prigionieri, di cui n
on avevo con me il prezzo. Ora che son tornato a casa mia, se li vuoi ne puoi pa
gare il prezzo, e se no lo pago io". "No, - diss'egli, - son io per Allh che pagh
er il loro prezzo, io che pi d'ogni altro desidero acquistarmene il merito presso
Dio". Era infatti - Dio ne abbia misericordia - l'uomo pi pronto a far del bene,
e a guadagnarsi il compenso celeste. Cos egli pag il loro prezzo, e io tornai poch
i giorni dopo ad Acri: l a Guglielmo Gib erano rimasti trentotto prigionieri, tra
cui la moglie di uno di quelli che Dio aveva salvato per mano mia. Io la ricompr
ai da lui, senza ancor versarne il prezzo, e cavalcai alla sua casa - Dio lo mal
edica - dove gli dissi: "Vendimi dieci di questi". "Aff mia, - rispose, - non ven
do che tutto il blocco". "Non ho con me il prezzo per tutti, - replicai io; - ne
comprer ora alcuni, e la volta prossima comprer il resto". "Non te li vendo se no
n tutti insieme", insist quello, e io me ne andai. Volle Iddio che quella stessa
notte fuggissero tutti quanti, e gli abitanti del contado di Acri, tutti Musulma
ni, quando un prigioniero arrivava da loro lo nascondevano e lo facevano giunger
e nel territorio musulmano. Quel maledetto li ricerc, ma non riusc a riprenderne n
emmeno uno, ch Dio li salv felicemente; allora cominci a reclamare da me il prezzo
della donna che io avevo comprata senza versarne la somma relativa, e che era fu
ggita con gli altri. Io dissi: "Consegnamela, e ricevine il prezzo". "Il suo pre
zzo, - disse colui, - mi spettava gi da ieri, prima che fuggisse", e mi costrinse
a pagarlo, ci che fu ben lieve cosa per me davanti alla gioia per la salvezza di
quei poveretti.
PROPOSTA DI MANDARE UN FIGLIO IN EUROPA.
(USAMA, 97).
Nel campo del re Folco figlio di Folco c'era un cavaliere franco di alto affare,
che era venuto dal loro paese in pellegrinaggio e tornava poi indietro. Prese f
amiliarit con me, e divenne mio assiduo amico, chiamandomi fratello e coltivando
affetto e amicizia tra noi. Quando volle imbarcarsi per tornare al suo paese, mi
disse: "Fratel mio, io vado al mio paese, e vorrei che tu mandassi con me tuo f
iglio (il quale era l con me, un ragazzo di quattordici anni), che conosca i cava
lieri, e impari il senno e la cavalleria, di modo che al suo ritorno sarebbe com
e un uomo di senno". Venni cos a udire un discorso che non poteva davvero uscire
dalla bocca di un uomo di senno; giacch se mio figlio fosse caduto prigioniero, l
a prigionia non sarebbe stata per lui peggiore dell'andarsene al paese dei Franc
hi. Risposi quindi a quel tale: "Per la vita tua, questo appunto sarebbe stato i
l mio desiderio; ma me ne ha impedito il fatto che sua nonna, cio mia madre, gli
affezionata, e non lo ha lasciato venir via con me se prima non le ho giurato ch
e glielo avrei ricondotto". "Vive ancora tua madre?" domand l'altro. "S". "Allora
non la contrariare" (109).
IL FALCONE DI ACRI.
(USAMA, 142-43).
Ero andato con l'emiro Mu'n ad-din - Dio ne abbia misericordia - ad Acri, dal re
dei Franchi Folco figlio di Folco (110). Vedemmo l un Genovese, giunto dal paese
dei Franchi, con un gran falcone sul logoro, usato per la caccia alle gru insiem
e a una cagnetta. Quando l'uccello era lanciato contro le gru, quella gli correv
a dietro, e allorch esso aveva preso e abbattuto una gru essa la addentava e quel
la non aveva pi scampo. Ci disse quel Genovese che da loro quando il falcone avev
a tredici penne alla coda cacciava le gru; e noi contammo le penne alla coda di
quel falco, ed era proprio cos. L'emiro Mu'n ad-din lo chiese in dono al re, e que
gli lo prese a quel Genovese, insieme alla cagna, e lo don all'emiro. Venne cos co
n noi, e lo vidi per la strada avventarsi sulle gazzelle come sulla carne (del s

uo pasto); lo portammo a Damasco, ma non visse col a lungo, n fece caccia, e mor.
PIET CRISTIANA E PIET MUSULMANA.
(USAMA, Kitb al-'asa, 528-29).
Visitai la tomba di Giovanni figlio di Zaccaria - sia su entrambi la salute! (11
1) - nel villaggio di Sebastea in provincia di Nabulus. Fatta la preghiera, usci
i in uno spiazzo cintato di fronte al luogo dove la tomba. C'era una porta socch
iusa; l'apersi ed entrai in una chiesa, dove erano una decina di vecchi, col cap
o scoperto e canuto come cotone cardato. Rivolti verso oriente (112), avevano su
l petto (cuciti?) dei bastoni terminanti con sbarre trasversali e ritorti come l
a parte anteriore della sella; su questi essi giurano, e presso di loro si ricev
e ospitalit (113). Vidi uno spettacolo (di piet) tale da intenerire i cuori, ma ch
e insieme mi spiacque e attrist, non avendo mai veduto tra i Musulmani nessuno di
cos devoto zelo. Pass qualche tempo su tale fatto, e un giorno Mu'n ad-din Unur, m
entre andavamo io e lui presso la Casa dei Pavoni ("Dar at-tawaws") (114), mi dis
se: "Voglio smontare a visitare i Vecchi (asceti)". "Senz'altro" risposi, e smon
tammo ed andammo a un lungo edilizio trasversale. Entrammo e, mentre credevo che
non ci fosse nessuno, vedemmo un centinaio di tappeti per la preghiera, e su og
nuno un sufi, in atto manifesto di pace serena e devota umilt. Quello spettacolo
mi rallegr, e lodai Iddio altissimo, vedendo tra i Musulmani uomini di zelo ancor
pi devoto di quei preti cristiani. Prima d'allora non avevo mai visto i sufi nei
loro conventi, n avevo conosciuto i loro riti.
NOTE PARTE PRIMA.
Nota 1. La data si riferisce evidentemente alla conclusione della conquista norm
anna.
Nota 2. Questo Baldovino ("Bardawl") una persona di fantasia, sorta per analogia
coi vari Baldovini di Fiandra e di Gerusalemme; o il primo Baldovino gi immaginat
o per errore re in Occidente.
Nota 3. Rincresce trovare proprio alle soglie di queste pagine il gran Conte in
atto di Barbariccia: ma il passo caratteristico sia per l'atteggiamento di spreg
io grossolano con cui questi Musulmani parlano di solito dei loro nemici, sia pe
rch anche nell'episodio di fantasia ritratta con sostanziale fedelt la politica ac
cortezza di Ruggero.
Nota 4. Il sovrano zirita di Tunisia, Tamm ibn Mu'izz (io6r-1107).
Nota 5. Generale del sultano selgiuchide Malikshh, che nel 1076 attacc dalla Pales
tina l'Egitto.
Nota 6. Musulmani erano naturalmente anche i Fatimidi, ma eretici, e qui contrap
posti al resto dell'Islm sunnita.
Nota 7. A Dorileo.
Nota 8. Lett. "il paese del figlio dell'Armeno", come gli autori arabi chiamano
la Piccola Armenia dei Rupenidi di Cilicia.
Nota 9. Il nome letto anche "Firz".
Nota 10. Secondo le fonti occidentali, il 3 giugno.
Nota 11. Una "farsakh" (parasanga) equivale a circa sei chilometri.
Nota 12. L'emiro turco di Mossul.
Nota 13. Signore selgiuchide di Damasco, cui succed ben presto il suo generale at
abek Tughtikn, subito appresso nominato, che sar fra i pi attivi e tenaci avversari
dei Crociati in questa prima fase della conquista.
Nota 14. Baudoin du Bourg, che sar poi re Baldovino Secondo.
Nota 15. La chiesa antiochena di San Pietro, detta nelle fonti bizantine "Kassia
ns" e nelle arabe Qusyn, dal nome di un personaggio di cui san Pietro avrebbe risu
scitato il figlio.
Nota 16. E' l'invenzione della sacra lancia ad opera di Pietre Barthlemy, vista c

on occhi di razionalismo musulmano.


Nota 17. Selgiuchide di Siria, fratello del sultano Malikshh.
Nota 18. Visir fatimita.
Nota 19. Cadrebbe cos il rapporto suaccennato con la rotta turca sotto Antiochia;
ma in realt l'anno qui che sbagliato, e Gerusalemme fu presa dagli Egiziani nell
'agosto del 1098.
Nota 20. "Mihrb Dawd", che le fonti occidentali chiamano la Torre di Davide, nella
cittadella di Gerusalemme; non va confuso con un piccolo santuario omonimo nell
a zona sacra del Tempio.
Nota 21. E' la roccia da cui secondo la credenza musulmana Maometto ascese al ci
elo. E su di essa sorge la cosiddetta "Moschea d'Omar", il pi insigne monumento i
slamico di Gerusalemme, ove i vincitori fecero queste prede. Vicina, ma distinta
da essa, la "Moschea estrema" ("al-Masgid al-Agsa"), ove pi infierirono le armi
pietose, secondo questo racconto di Ibn Al-Athr. Nei riferimenti dalle fonti orie
ntali e occidentali v' talora qualche confusione tra questi due santuari.
Nota 22. Poeta iraqeno dell'undicesimo-dodicesimo secolo.
Nota 23. E' il Profeta che dalla tomba leva la voce rampognando i suoi discenden
ti (la stirpe di Hashim), cio gli ignavi Califfi che non si impegnano a fondo nel
l'Anticrociata.
Nota 24. Tutte le fonti musulmane dicono Goffredo morto per azione di guerra.
Nota 25. Raymond de Saint-Gilles, conte di Tolosa, il fondatore della dinastia t
ripolina.
Nota 26. Occorre appena far rilevare la fantastica esagerazione di queste cifre,
che fenomeno corrente nella storiografia musulmana dell'epoca.
Nota 27. Il ""dinr"" la moneta d'oro corrente in vari tipi nel Medioevo musulmano
; il peso del tipo "legale" era di grammi 4,25 d'oro fino.
Nota 28. Il "Krak des Chevaliers", la fortissima rocca a nord-est di Tripoli, ch
e tanta parte avr nelle guerre delle Crociate.
Nota 29. Adepto della setta esoterica dei Batiniti o Ismailiti o Assassini: il l
oro terrorismo, di cui vedremo frequenti esempi, fu l'incubo sia dei Franchi sia
dei Musulmani ortodossi nel periodo delle Crociate.
Nota 30. Il primo, gi altra volta nominato, era l'emiro artuqide di Hisn Kaif nel
Diyarbekir, il secondo era emiro di Mossul.
Nota 31. Emiro turco, che si era impadronito di Mossul, togliendola a Cekermsh pr
esso cui abbiam visto prigioniero Baldovino di Edessa.
Nota 32. Dal 1104, come abbiam visto sopra.
Nota 33. Bont dei cavalieri antichi, che ha colpito qui lo storico musulmano.
Nota 34. Il sultano selgiuchide Muhammad ibn Malikshh (1104-17), alto signore feu
dale di tutti questi emiri.
Nota 35. Il testo dice qui e pi innanzi "Raimondo", per confusione col nome del p
adre, Raymond de Saint-Gilles; il quale era morto nel 1105, senza esser riuscito
a prendere l'agognata Tripoli, e gli era succeduto il figlio di una cugina, Gui
llaume Jourdain conte di Cerdagne (che le fonti arabe chiamano as-Sardani), finc
h Bertrando non giunse a contendergli l'eredit.
Nota 36. "Dar al-'ilm", lett. "Casa della Scienza", biblioteca insieme e collegi
o scientifico, che era un vanto dell'emirato tripolino dei Banu 'Ammr.
Nota 37. Giubail, l'antica Byblos ("Gibelet" dei Crociati), era in realt gi stata
presa da Saint-Gilles nel 1104 (confer sopra); qui deve trattarsi invece di Gibal
a ("Zibel" dei Crociati), a nord di Tripoli e a sud di Laodicea.
Nota 38. Il porto di Antiochia.
Nota 39. Il re di Norvegia Sigurd.
Nota 40. Cio un vero o presunto discendente di Maometto, classe privilegiata e go
dente di gran prestigio fra i Musulmani.
Nota 41. A Baghdd c'era allora una diarchia, tra il Califfo abbaside, nominale so
vrano e capo di tutto l'Islm ortodosso: e il Sultano selgiuchide, sovrano di fatt
o in Persia ed Irq con le propaggini feudali di Siria. L'armonia fra i due poteri
, uniti talora anche da vincoli matrimoniali, non era sempre perfetta; e nel con
trasto che traspare da questa e altre pagine coeve, par di vedere il re e il duc
e del ventennio fascista.
Nota 42. Alessio Commeno (1081-1110).

Nota 43. Il gi ricordato visir fatimida, che avrebbe dovuto per primo soccorrere
questi porti del litorale, di nominale possesso egiziano.
Nota 44. Croce a t (T), come appare dal contesto.
Nota 45. Non chiaro se quel "l" significhi in Damasco, al loro ritorno, o "durant
e la guerra", cio a Tiro stessa durante l'assedio.
Nota 46. Cio la torre mobile e il prospiciente bastione: ambedue sono designati q
ui con la stessa parola, ci che talvolta nuoce alla chiarezza.
Nota 47. Dopo questa valida difesa, Tiro fu ancor altre volte soccorsa e presidi
ata da Tughtikn, ma dov finalmente cedere ai Crociati nel 1124.
Nota 48. Il turbante era portato dagli uomini di legge e di religione; da parte
cristiana si sarebbe detto con analogo tono "questo incappucciato".
Nota 49. Emiro di Arzan nella Giazira, vassallo di Ilghazi.
Nota 50. Il paradisiaco color verde non lascia dubbio che qui s'intende il Profe
ta, o altro messo del cielo, intervenuto a dar la vittoria ai Musulmani.
Nota 51. E' una frase coranica (Corano, XXVII, 93), applicata qui ai nemici vint
i. Tutto il brano di quelli in cui l'autore, per l'altezza dell'argomento, fa us
o di prosa rimata e altri artifizi retorici.
Nota 52. La data va anticipata di un anno: Baldovino Secondo mor in realt a Gerusa
lemme il 21 agosto 1131. che corrisponde appunto al venticinque ramadn 525.
Nota 53. E' il "Mont Ferrand" dei Crociati, fra Tortosa e Hamt.
Nota 54. Re Folco di Gerusalemme, con i suoi baroni.
Nota 55. Giovanni Secondo Comneno (1118-43).
Nota 56. L'antica Celesiria, fra il Libano e l'Antilibano.
Nota 57. Nipote, e quarto successore di Tughtikn nell'emirato di Damasco.
Nota 58. La spianata della pubblica preghiera.
Nota 59. Bab al-Farads, una porta di Damasco.
Nota 60. La "Ghuta" la fertile cintura di orti e giardini che si stende attorno
a Damasco: e tutti i toponimi seguenti sono di localit della Damascene.
Nota 61. Raimondo di Poitiers.
Nota 62. Mu'n ad-din Unur (l'"Aynard" delle fonti franche), vecchio generale turc
o, che fu di fatto il capo dell'emirato di Damasco in questi anni, per il giovan
e emiro Abaq.
Nota 63. Deve essere caduto un "venti": la data esatta quella precedente di Ibn
al-Qalnisi.
Nota 64. L'alta Mesopotamia.
Nota 65. Ma pu anche intendersi "cadde da lui trafitto".
Nota 66. E' l'attuale turca Biregik.
Nota 67. L'imperfetto sincronismo con la spedizione siciliana del 1142, o piutto
sto quella vittoriosa del 1146, contro Tripoli: e l'aneddoto un'altra conferma d
el tollerante filo-islamismo di Ruggero Secondo. Quel suo Musulmano sonnecchiant
e potrebbe anche essere Edrisi.
Nota 68. Bench Zinki sia morto combattendo contro altri Musulmani (il signore 'Uq
ailide di Gia'bar), il fedele Ibn al-Athr lo decora qui e altrove del titolo di "
martire per la fede" ("shahd), per la sua diuturna lotta contro i Franchi.
Nota 69. L'emiro Aq Sunqr, ribelle nel 1094 al sultano d'Aleppo Tutsh e da lui ucc
iso.
Nota 70. E' unanime la lode dei cronisti a Zinki per questa sua cura e difesa de
i sudditi dalle prepotenze e ruberie dei soldati. Secondo lo storico d'Aleppo Ka
ml ad-din, quando egli usciva con le sue truppe dalla citt, i soldati "parevano ma
rciare fra due cordoni" tanta era l'attenzione di ognuno a non mettere il piede
nei seminati, ben sapendo che con l'atabek non si scherzava.
Nota 71. E' la "Storia degli Atab k di Mossul", ove Ibn Al-Athr ha dato pieno sfo
go al suo patriottismo e lealismo per la dinastia di Zinki.
Nota 72. L'imperatore Corrado Terzo. Assai minor rilievo ha nelle fonti musulman
e la partecipazione di Luigi Settimo di Francia.
Nota 73. I precetti coranici sulla guerra santa, anche senza riferimento qui ad
alcun versetto particolare.
Nota 74. Tra cui forse, "disviluppato dal mondo fallace", giaceva Cacciaguida.
Nota 75. Corano, IX, 112.
Nota 76. Il "Norandino" dei Crociati, futuro campione dell'Islm prima di Saladino

.
Nota 77. Corano, XXXVII, 42-43
Nota 78. Un esemplare prezioso del Libro Sacro risalente all'epoca della prima r
accolta del testo, sotto il califfo Othmn (644-56): sarebbe anzi stato l'esemplar
e stesso che leggeva quel Califfo quando fu ucciso.
Nota 79. Damasco.
Nota 80. I mistici dell'Islm, membri di confraternite religiose.
Nota 81. Norandino aveva per primo organizzato un regolare servizio di informazi
oni coi piccioni viaggiatori.
Nota 82. Asad ad-dn Shirkh, fido generale curdo di Norandino e zio di Saladino.
Nota 83. Honfroi de Toron.
Nota 84. Baldovino Terzo.
Nota 85. Turcpuli (a figli di Turchi") erano milizie ausiliarie indigene negli es
erciti Crociati.
Nota 86. Scuola superiore di scienze religiose musulmane.
Nota 87. Saladino, andato in Egitto come ufficiale di Norandino, vi aveva soppre
sso il Califfato fatimida e si era reso di fatto padrone del paese, ma non aveva
ancor osato sciogliersi formalmente dal vincolo di sudditanza a Norandino. Perc
i questi stato detto sopra "signore di Egitto", dove in realt la sua autorit dirett
a non fu mai esercitata.
Nota 88. Anche qui, la sovranit di Norandino sul Higiz ("i due luoghi santi", Mecc
a e Medina) e sullo Yemen, conquistato dal fratello di Saladino, fu puramente no
minale, e questi territori fecero in realt parte dei domini ayyubiti.
Nota 89. I Califfi "ben guidati" o ortodossi sono i primi quattro successori di
Maometto, Abn Bekr 'Omar, Othmn, 'Ali. Insieme al califfo Omayyade 'Omar ibn 'Abd
al-'Azz ('Omar II, 717-I9), sono nella tradizione ortodossa dell'Islm i sovrani i
deali, il costante modello del buon governo.
Nota 90. La gi ricordata "Storia degli Atabek di Mossul".
Nota 91. Il nome personale del Sultano, di cui Nur ad-din (Luce della religione)
era solo il soprannome onorifico.
Nota 92. Due delle quattro principali scuole o sistemi giuridici dell'Islm: gli a
ltri due sono il Malikita e il Hanbalita.
Nota 93. Re Folco di Gerusalemme (1131-43), per i cui rapporti con Usama, confer
i paragrafi seguenti.
Nota 94. Sotto queste battute, e in tutto il paragrafo, c' l'oscillazione dei due
sensi di "cavalier" e "chevalier", per cui l'arabo come l'italiano ha un termin
e solo.
Nota 95. Nonostante questo titolo (che significa "Il Re buono") non si tratta di
un sovrano, ma del visir fatimita Tala'i' ibn Ruzzk, onnipotente in Egitto sotto
il califfo al-Fa'iz, e morto nel 1161.
Nota 96. Nella cui politica interna, di intrighi e sanguinose rivolte, Usama era
stato largamente implicato; donde l'accenno che segue al suo timore "di quelli
di Palazzo".
Nota 97. Era allora Baldovino Terzo (1143-62).
Nota 98. Sultano selgiuchide d'Iconio. Le due fortezze qui menzionate sono nella
regione di Samosata, e i fatti ora esposti cadono intorno al 1155.
Nota 99. La "Moinestre" dei Crociati, nel Libano a quindici chilometri a est di
Giubail.
Nota 100. I medici franchi non saranno tutti stati dei macellai, come l'energume
no qui descritto; ma ben giustificato il senso di ironica superiorit, che qui si
esprime, della grande tradizione medica orientale sulla occidentale del tempo.
Nota 101. Teodoro Sofiano, un greco, capo ("ras") della municipalit antiochena.
Nota 102. Questo impuro cibo era l'incubo del timorato commensale musulmano, che
, anche rassicurato, mangia "stando in guardia".
Nota 103. Con cui si inizia la preghiera canonica musulmana.
Nota 104. L'orante musulmano deve avere il viso rivolto alla Qibla, cio alla dire
zione della Mecca. Presso i Cristiani del Medioevo era invece diffuso l'uso di p
regare col viso rivolto a Oriente.
Nota 105. Formula coranica, applicata qui con particolare rilievo nel riportare
un'asserzione per un Musulmano blasfema.

Nota 106. E' l'alleanza franco-damascena del 1140 (confer sopra), alle cui tratt
ative, secondo questo passo, avrebbe avuto parte il nostro autore.
Nota 107. Baldovino Secondo, in una delle sue prigionie, era stato ospite degli
emiri di Shaizar, come ci informa altrove Usama stesso.
Nota 108. Il gi conosciuto reggente di Damasco.
Nota 109. E' caratteristico della famiglia musulmana medievale che Usama, anche
nell'inventare la scusa, metta in campo la nonna e non gi la madre di suo figlio.
Peccato che la proposta non sia stata accolta: il figlio del nostro memorialist
a, visitando l'Occidente cristiano, avrebbe potuto lasciarcene un ben interessan
te ragguaglio!
Nota 110. Confer sopra.
Nota 111. Sia il Battista che Zaccaria sono considerati Profeti, e come tali ven
erati dai Musulmani.
Nota 112. Secondo l'uso gi visto della preghiera cristiana.
Nota 113. Testo e senso incerto in queste ultime frasi: le croci sopradescritte,
in forma di bastoni, sono, sembra, cucite sulla tonaca di questi monaci, del ca
pitolo di San Giovanni.
Nota 114. Dove era, a Damasco, il convento ("Khanqh") dei sufi, o mistici, di una
qualche confraternita musulmana.

PARTE SECONDA.
Saladino e la Terza Crociata.
1.
Le fonti musulmane sulla persona e l'opera di Saladino sono in primo luogo i suo
i funzionari e familiari 'Imd ad-din e Bah' ad-din: il primo con la sua storia del
la conquista di Gerusalemme (arrivante in realt fino alla morte del Sultano), ove
l'estrema artificiosit dello stile ricopre una relazione di testimone oculare, d
i cui si va sempre pi apprezzando il valore; il secondo, autore di una biografia
dell'eroe, redatta in stile piano, e con un simpatico calore e devozione che non
trapassano quasi mai in smaccata apologia. La terza fonte che si suol spesso ci
tare su Saladino, la parte a lui relativa nel "Libro dei due giardini" di Abu Sh
ama, in realt una compilazione che giustappone estratti da 'Imd ad-din (spogliato
dei fiori di stile), Bah' ad-din, Ibn al-Athr, e ha solo qualche valore per framme
nti salvatici di altre fonti perdute (Ibn Abi t-Tayy) e per atti e documenti inc
lusi della cancelleria sultaniale. L'opera di Ibn al-Athr, bench alquanto prevenut
o per motivi di legittimismo locale contro Saladino, serba sempre il suo valore
di limpida e informata esposizione, utilizzante con indipendenza le fonti primar
ie.
Il miglior ritratto d'insieme del gran campione dell'Islm quello che apre la biog
rafia di Bah' ad-din, e che qui integralmente riproduciamo.
Ritratto morale del Saladino.
(BAHA' AD-DIN, 7-41).
Fra le autentiche tradizioni canoniche (1) ci sono queste parole del Profeta: "L
'Islm poggia su cinque fondamenti: l'attestazione che non vi altro dio fuorch Iddi
o, il compimento della preghiera, il pagamento della decima legale, il digiuno d
el ramadn, e il pellegrinaggio alla Santa Casa di Dio (alla Mecca)". Ora, Saladin
o era di retta fede, e spesso aveva il nome di Dio sulle labbra: egli aveva atti
nto la sua fede dalle prove debitamente esaminate nella compagnia dei pi autorevo
li dottori e dei maggiori giureconsulti, acquistandone la necessaria competenza
al punto da potere opportunamente interloquire quando se ne discorreva in sua pr

esenza, sia pur non usando il linguaggio tecnico dei dottori. Ci ebbe per consegu
enza l'integrit della sua fede da ogni macchia di eterodossia, senza far trapassa
re la speculazione ad alcun errore teologico ed eresia; la sua fede era retta, c
onforme alle sane regole speculative, e approvata dai massimi dottori. L'imm Qutb
ad-din an-Nisaburi aveva compilato per lui un catechismo con tutti gli essenzia
li elementi dogmatici, e tanto egli lo aveva caro che lo insegnava ai suoi figli
uoli bambini, perch si imprimesse nelle loro menti fin dalla fanciullezza; l'ho v
isto io stesso insegnarglielo, e loro ripeterlo a memoria davanti a lui.
Quanto alla preghiera canonica, egli vi adempiva con grande assiduit nella forma
dell'orazione in comune, tanto che un giorno disse che da anni non l'aveva compi
uta che in quella forma: quando era ammalato, faceva venire il solo imm, e si imp
oneva di levarsi e far la preghiera in comune con lui. Praticava assiduamente le
normali orazioni extracanoniche, e se si destava di notte faceva una preghiera
di due "raka't" (2), o se no le eseguiva prima della preghiera del mattino. Mai e
gli tralasci la preghiera canonica finch fu padrone di s: lo vidi pregare ritto in
piedi nella malattia stessa di cui mor, e la omise solo nei tre giorni in cui per
dette coscienza. E se l'ora della preghiera lo coglieva mentre era in viaggio, s
montava da cavallo e pregava.
Quanto all'elemosina legale, egli mor senza aver presso di s una somma tale da ess
ere ad essa sottoposta, ch le sue elemosine extracanoniche avevano consumato ogni
suo avere; con tutto quello di cui fu padrone, mor senza lasciare nel suo tesoro
di oro ed argento altro che quarantasette dramme nasirite (3), e un solo pezzo
d'oro di Tiro; n lasci beni immobili n case n fondi n giardini n villaggi n seminati,
altro avere alcuno.
Quanto al digiuno di ramadn, ci furono dei ramadn che egli doveva rimettere, per c
ausa di malattie susseguitesi in diversi tempi. Il cadi al-Fadil (3) teneva il c
onto preciso di quei giorni, che Saladino aveva cominciato a rimettere a Gerusal
emme l'anno in cui mor, perseverando nel digiuno per pi del mese prescritto. Egli
doveva ancor rimettere le omissioni di due ramadn che le malattie e l'impegno nel
la guerra santa gli avevano impedito di osservare: il digiuno non si confaceva c
ol suo temperamento, e Iddio lo ispir a digiunare quell'anno per rimettere quelle
omissioni: in assenza del cadi, tenevo io il conto di quei giorni in cui digiun
ava: il medico ne lo rimproverava, ma egli non voleva sentir nulla, e diceva: "C
hi sa mai cosa pu accadere...", quasi ispirato ad assolvere quel debito di coscie
nza; e tanto digiun da soddisfare a quella rimanenza a suo carico.
Quanto al pellegrinaggio, aveva sempre desiderato e avuto l'intenzione di compie
rlo, specialmente l'anno in cui mor. Aveva allora ribadito la sua decisione in pr
oposito, e ordinato di fare i preparativi: noi facemmo le provviste di viaggio,
e non restava che mettersi in marcia, quando ne fu impedito dalla ristrettezza d
el tempo e mancanza dei mezzi che si addicono a un suo pari. Egli lo differ allor
a all'anno seguente, ma Iddio decise altrimenti; e questa cosa a conoscenza di t
utti, grandi e piccoli.
Egli amava ascoltare la recitazione del nobile Corano: faceva perci un esame all'
imm a ci addetto, ed esigeva che fosse dotto nelle scienze coraniche e perfetto co
noscitore a memoria del Testo sacro. Di notte, quando se ne stava nel suo gabine
tto, chiedeva a chi lo vegliava la recitazione di due, tre o quattro sezioni del
Corano, ed egli stava a sentire; nelle udienze generali, chiedeva alla persona
a ci addetta la recitazione di una ventina e pi di versetti. Pass una volta accanto
a un bambino che recitava il Corano dinanzi al padre, e siccome la sua recitazi
one gli piacque, se lo fece avvicinare, e gli assegn una parte del suo vitto part
icolare, e leg a lui e a suo padre una parte di un podere. Umile e sensibile di c
uore, pronto alle lacrime, soleva commuoversi e piangere il pi delle volte a sent
ir recitare il Corano. Era assai desideroso di ascoltare la trasmissione delle t
radizioni canoniche quando le udiva da qualche maestro di alta tradizione e vast
a dottrina. Se questi frequentava la sua corte, lo faceva venire e ne ascoltava
l'insegnamento, facendolo anche ascoltare ai suoi figliuoli e ai mamelucchi di s
ervizio ivi presenti, e ordinando a tutti di mettersi a sedere nell'ascoltarlo,
in segno di rispetto. Se poi quel maestro non era di quelli che battono alle por
te dei Sultani, ed evitano piuttosto di presentarsi alle loro udienze, andava eg
li da lui e ne ascoltava le lezioni: ascolt cos il hafiz (5) al-Isfahani in Alessa

ndria, e trasmise da lui numerose tradizioni canoniche. Queste egli amava legger
le personalmente e mi faceva venire quando era solo, faceva portare dei libri di
tradizioni, e le leggeva lui stesso; e quando capitava a una tradizione contene
nte un edificante esempio, si inteneriva e gli venivano le lacrime agli occhi.
Venerava altamente le regole della fede, credendo nella resurrezione dei corpi,
nella retribuzione dei buoni col paradiso e dei malvagi con l'inferno, assentend
o a cuore aperto a tutto ci che la Santa Legge insegna, e detestando i filosofi,
gli eretici e i materialisti, e tutti quelli che avversano la Legge. Ordin per qu
esto a suo figlio al-Malik az-Zahir signore di Aleppo di far giustiziare un giov
ane a nome as-Suhrawardi (6), che si diceva nemico della Legge ed eretico. Quel
principe suo figliuolo l'aveva fatto arrestare per quanto ne aveva udito, e ne i
nform il Sultano, che ordin di ucciderlo: e cos lo uccise, e lo tenne per pi giorni
sulla croce.
Aveva piena fiducia e confidenza in Dio, e a Lui ricorreva. Racconter in proposit
o un episodio di cui son stato testimone: i Franchi - Dio li mandi in malora - e
ran venuti ad accamparsi a Bait Nuba, un luogo vicino a poche giornate di viaggi
o da Gerusalemme. Qui stava il Sultano, che aveva appostato elementi avanzati a
stretto contatto col nemico, e vi aveva spedito le spie e gli informatori. Si su
ccedettero cos le notizie della ferma decisione nemica di venir su ad assediare G
erusalemme e darvi battaglia, con gran timore dei Musulmani. Saladino convoc gli
emiri, e li mise al corrente della situazione critica che aveva colto i Musulman
i, consultandoli sull'opportunit di restare a Gerusalemme. Quelli cominciarono a
far complimenti, ma con reali intenzioni del tutto opposte, asserendo tutti che
non v'era alcun interesse a che restasse lui personalmente in citt, che sarebbe s
tato un esporre al pericolo l'Islm intero: loro, dissero, sarebbero rimasti, e lu
i sarebbe uscito con una parte dell'esercito, accerchiando il nemico come era ac
caduto ad Acri; lui avrebbe avuto il compito di tagliare i rifornimenti al nemic
o e metterlo alle strette, e loro quello di difendere la citt. Il Consiglio si sc
iolse su quella decisione, ma Saladino era fermo nell'idea di restare in citt di
persona, ben sapendo che se non fosse rimasto lui non sarebbe rimasto nessuno. A
ndatisene gli emiri a casa loro, venne uno da parte loro a comunicare che essi n
on sarebbero rimasti se non fosse rimasto il fratello del Saladino, al-Malik al'Adil, o uno dei suoi figliuoli, a comandarli e a cui loro obbedissero. Saladino
cap che con ci volevan dire che non sarebbero rimasti, e ne rest angustiato e perp
lesso. Quella notte, che fu la notte di un venerd, io fui di servizio accanto a l
ui dal cader della sera fin presso l'alba; era d'inverno, non c'era altri in ter
zo con noi che Iddio; prendemmo a discutere questo e quel progetto, esaminando q
uanto ogni singolo progetto implicava, fino al punto che egli mi fece piet, e com
inciai a temere per la sua salute, vedendolo sopraffatto dalla disperazione. Lo
pregai di distendersi sul letto, nella speranza che potesse dormire un po', ed e
gli mi rispose: "Forse hai sonno tu stesso", e si lev. Appena fui io rientrato ne
l mio alloggio, ed ebbi posto mano a una mia faccenda, che spunt il mattino e ris
on l'appello del muzzin alla preghiera. Facevo quasi sempre con lui la preghiera m
attutina, e perci entrai da lui che stava facendo le sue abluzioni: "Non ho chius
o occhio", mi disse. "Lo sapevo", risposi. "Come lo sapevi?" "Io stesso non ho d
ormito, n c'era pi tempo per dormire". Facemmo la preghiera, e riprendemmo a disco
rrere del solito problema. "M' venuta un'idea, - gli dissi, - che credo sar utile,
a Dio piacendo". "E sarebbe?" "Rivolgersi a Dio altissimo, a Lui ricorrere e in
Lui confidare per risolvere questa situazione angosciosa". "E come dovremmo far
e?" "Oggi, - dissi, - venerd. Vostra Maest faccia l'abluzione nell'andare alla pre
ghiera pubblica del venerd, e compia come al solito la preghiera nella Moschea al
-Aqsa, al luogo donde part pel viaggio celeste il Profeta; offra qualche segreta
elemosina per mano di persona di sua fiducia, e faccia poi una preghiera di due
"raka't" tra il primo e il secondo appello del muzzin, invocando nel prosternarsi
Iddio altissimo - c' in proposito una autentica tradizione del Profeta - e dica:
'Dio mio, venuto meno ogni mio mezzo terreno per dar vittoria alla tua fede, e n
on mi rimasto che rivolgermi a Te, al tuo ausilio appoggiarmi, e nella tua bont c
onfidare. Tu mi basti, tu ottimo curatore!' Iddio troppo generoso per fare andar
delusa la tua preghiera". Saladino fece tutto secondo il mio consiglio: io preg
ai al solito al suo fianco, lui fece le due "raka't" tra il primo e il secondo ap

pello, e io lo vidi prostrato, con le lacrime che gocciolavano sulla sua bianca
barba e sul tappeto della preghiera, senza che io potessi udire le sue parole...
Il giorno non era ancor finito, che arriv un messaggio da Izz ad-din Giurdk, capo
degli avamposti, che informava come i Franchi fossero in gran movimento. Tutto
il loro esercito, montato in sella, si era quel giorno messo in marcia verso la
pianura, dove si erano fermati sino al pomeriggio, rientrando poi alle loro tend
e. Il mattino del sabato, arriv un secondo messaggio riferendo che avevan ripetut
a quella stessa mossa, e durante il giorno giunse una spia a riferire che era so
rta discordia fra loro. I Francesi ritenevano si dovesse assolutamente assediare
Gerusalemme, mentre il re d'Inghilterra con i suoi non voleva mettere a repenta
glio la cristianit e gettare i suoi allo sbaraglio su quel territorio montuoso e
privo d'acqua, avendo il Sultano fatte inquinare tutte le fonti attorno a Gerusa
lemme. Essi eran quindi usciti a consiglio, essendo lor costume di non tener con
siglio di guerra se non in sella ai loro cavalli. E avevan deciso di rimettersi
al consiglio di dieci persone dei loro, facendole arbitre di una decisione a cui
loro si sarebbero rimessi. E la mattina del luned arriv il lieto annuncio che era
no partiti, tornandosene dalla parte di ar-Ramla. Questo io vidi coi miei occhi,
della fiducia in Dio del Saladino.
SUA GIUSTIZIA.
Abu Bekr il Veridico (7) - Dio si compiaccia di lui - ha riferito che il Profeta
- Dio lo benedica e lo salvi - ha detto: "Il giusto principe l'ombra di Dio sul
la terra, e la sua misericordia. Chi si condurr lealmente con lui, in persona pro
pria e negli altri, Dio lo metter all'ombra del suo trono il giorno in cui non ci
sar altra ombra che quella; e chi lo tradir, in proprio o negli altri, Iddio lo a
bbandoner il giorno della resurrezione. Al giusto principe sar contata per ogni gi
orno l'opera di sessanta uomini pii, ognuno devoto adoratore di Dio, e operante
in pro dell'anima propria". E Saladino fu giusto, benigno, misericordioso, pront
o a dare aiuto al debole contro il forte. Ogni luned e gioved sedeva a render gius
tizia in pubblica seduta, in presenza dei giureconsulti, dei cadi e dei dottori
della Legge, e dava udienza ai contendenti, s che aveva accesso a lui ognuno, gra
nde e piccolo che fosse, vecchia cadente e vecchio infermo. A tale ufficio egli
attendeva in viaggio e in residenza, sempre pronto a ricevere le suppliche che g
li venivano presentate, e a rimuovere gli abusi che gli venivano denunziati. Ogn
i giorno faceva riunire le suppliche presentategli, e apriva la porta della gius
tizia, n mai respingeva alcun postulante per guai sofferti, e per chieder giustiz
ia. In una seduta che teneva di notte o di giorno col suo segretario, egli facev
a apporre a ogni pratica la sentenza che Dio gli dettava; n mai alcuno implor il s
uo aiuto, senza che egli si fermasse, ascoltasse quel che aveva da dire, esamina
sse il suo caso e ne ricevesse la supplica. Vidi io stesso il ricorso che fece a
lui uno di Damasco, un certo Ibn Zuhair, contro suo nipote Taqi ad-din: ed egli
mand a chiamar questi perch si presentasse in tribunale, e, pur essendo Taqi ad-d
in fra le persone a lui pi care e da lui pi considerate, non gli us dinanzi alla gi
ustizia parzialit alcuna.
Ancor pi importante di questo episodio, circa la sua giustizia, una questione occ
orsagli con un mercante, un certo 'Omar al-Khilati. Mi trovavo un giorno a Gerus
alemme in tribunale, quando entr da me un bel vecchio, un mercante appunto a nome
'Omar al-Khilati, con in mano una scrittura legale che mi invitava ad aprire. G
li chiesi chi fosse il suo avversario, e rispose: "Il mio avversario il Sultano
stesso: ma questa la sede della giustizia, e abbiamo sentito dire che tu non usi
parzialit alcuna". "E in che questione egli tuo avversario?" "Sunqur al-Khilati,
- rispose, - era un mio schiavo, e tale rimasto fino alla morte. Egli aveva in
mano forti somme, che erano tutte di mia propriet; le lasci alla sua morte, e il S
ultano se ne impadronito, onde io lo cito per averne la restituzione". "O vecchi
o, - diss'io, - che cosa ti ha fatto attendere fino a questo punto?" "I diritti,
- rispose, - non si annullano per ritardo a farli valere; e questa scrittura le
gale parla chiaro che egli rimase di mia propriet fino alla morte". Presi da lui
lo scritto, ne scorsi il contenuto, e trovai che conteneva la descrizione di Sun

qur al-Khilati, e che lui l'aveva comprato dal tal mercante in Argsh, il tal gior
no del tal mese del tal anno, e che era restato in suo possesso fino a che l'ann
o tale era scappato via. Ai testimoni di quella scrittura non risultava che egli
fosse mai in alcun modo uscito dalla propriet legale di lui. Il documento era in
piena regola. Io rimasi stupito della questione, e dissi a quell'uomo: "Non si
pu prender atto del ricorso, se non in presenza dell'avversario; io lo informer, e
ti informer di quel che egli ha da dire in proposito"; e l'uomo, soddisfatto, se
ne and. Quando pi tardi nello stesso giorno mi trovai in presenza di Saladino, lo
informai della cosa, ed egli la trov stranissima. "Hai ben guardato lo scritto?"
domand. "L'ho guardato, - dissi, - e l'ho trovato regolarmente presentato e regi
strato a Damasco"; qui a Damasco infatti vi era stato aggiunto un legale certifi
cato, con la testimonianza di noti testimoni in presenza del cadi damasceno. "Be
nedetto Iddio, - disse Saladino, - facciamo venir qui quell'uomo, e discutiamo i
n tribunale con lui; agiamo nella faccenda come esige la Legge". In seguito, tro
vandomi con il Sultano a quattr'occhi, gli dissi: "Quel tal contendente continua
a venir da me, e non si pu fare a meno di ascoltare il suo reclamo". "Metti un m
io rappresentante legale, - mi disse Saladino, - che ascolti il reclamo, poi i t
estimoni facciano la loro deposizione, e aspetta ad aprire lo scritto che l'uomo
stesso si sia qui presentato". Cos feci; poi l'uomo si present, e il Sultano lo f
ece avvicinare finch gli sedette davanti mentre io gli stavo al fianco; poi scese
dal suo sof mettendoglisi a paro, e disse: "Se hai un reclamo da fare, formulalo
". L'uomo espose il suo reclamo nel senso gi prima spiegato, e il Sultano rispose
: "Quel Sunqur era uno schiavo mio, e mio rimase fino a che non lo affrancai; po
i morto, e ha lasciato quel che ha lasciato ai suoi legittimi eredi". "Io, - dis
se quell'uomo, - ho una prova che attesta quanto io ho sostenuto", e chiese si a
prisse quello scritto. Lo aprii, e lo trovai come aveva detto. Il Sultano, udita
la data, disse: "Io ho chi pu testimoniare che questo Sunqur a quella data era d
i mia propriet e in mio possesso in Egitto, e che io lo comprai con otto altre pe
rsone in una data anteriore di un anno a questa; e che rimasto sempre di mia pro
priet fino a che non l'ho affrancato". Fece quindi venire un gruppo di eminenti e
miri combattenti nella guerra santa, che attestarono la cosa, e la esposero cos c
ome egli la aveva esposta, confermando la data come egli l'aveva detta. Quell'uo
mo rest di stucco. Dissi allora: "Signor mio, quest'uomo ha fatto quel che ha fat
to solo sperando nella benevolenza del Sultano. E' qui venuto in presenza della
Maest vostra; e non starebbe bene che se ne andasse deluso nella sua speranza". "
Questo un altro paio di maniche", rispose Saladino, e ordin gli fosse data una ve
ste d'onore e un buon sussidio, di cui mi sfugge ora l'importo. Guarda un po' in
questa faccenda che mirabile umilt e docilit alla legge, e mortificazione dell'or
goglio, e generosit l dove avrebbe potuto punire, e ne aveva tutti i poteri!
QUALCHE SAGGIO DELLA SUA GENEROSIT.
Il Profeta ha detto: "Quando l'uomo generoso inciampa, Iddio lo prende per la ma
no", e cos pi tradizioni canoniche parlano della generosit. Quella del Saladino era
troppo manifesta per esser qui registrata, e troppo famosa per farsene qui menz
ione: mi son qui limitato a un cenno complessivo. Egli insomma ebbe i dominii ch
e ebbe, e mor senza che si ritrovasse d'argento nel suo tesoro altro che quaranta
sette dramme nasirite, e d'oro un sol pezzo di Tiro, di cui ignoro il peso. Egli
soleva donare intere province: conquist Amida (8), il figlio di Qara Arsln (9) gl
iela richiese, e lui gliela dette. Vidi io stesso tutta una serie di deputazioni
raccolte dinanzi a lui in Gerusalemme, quando aveva deciso di recarsi a Damasco
, e nel tesoro non c'era di che donare a queste deputazioni; e io tanto insistei
per questo con lui, che vendette un villaggio di propriet del pubblico erario, e
ne distribuimmo loro il ricavato, senza che ne avanzasse una sola dramma. Donav
a in tempo di ristrettezze come in tempo di larghezza, e i suoi tesorieri gli te
nevano nascosta qualche riserva di denaro, per timore di qualche spesa d'emergen
za che sopravvenisse, ben sapendo che ove egli ne avesse saputa l'esistenza l'av
rebbe spesa.
L'ho udito io dire nel corso di una conversazione: "Potrebbe esserci qualcuno ch

e guarda al denaro come si guarda alla polvere della strada", col che sembrava a
lludere a se stesso. Donava al di l di ci che il postulante stesso sperava, n mai l
'ho sentito dire "Abbiamo donato al tal dei tali"; e largiva gran doni, facendo
al donato cos lieto viso come chi non gli avesse dato un bel nulla; donava, e fac
eva onore pi ancora di quanto donasse. La gente ormai lo conosceva, e ne sollecit
ava a ogni momento la generosit, n mai l'ho sentito dire: "V'ho gi dato pi volte; qu
anto vi debbo dare ancora?" La maggior parte delle missive in proposito erano da
me redatte e scritte di mia mano. Io mi vergognavo della esorbitanza delle rich
ieste, ma non gi di lui, per quanto dovevo chiedergli per altrui, conoscendo la s
ua generosit e l'assenza di ogni sua rimostranza in proposito. Nessuno fu mai al
suo servizio, che egli non gli rendesse superfluo il chiedere ad altri. Quanto a
ll'enumerare i suoi doni e specificarne le sorta, cosa che non si potr mai aspira
re ad accertarla appieno. Sentii solo il capo della sua intendenza, mentre parla
vamo dei suoi donativi, dire: "Abbiam fatto il conto dei cavalli che don nella pi
anura di Acri, ed erano diecimila cavalli"; e chi ha avuto diretta esperienza de
i suoi doni trova piccola anche una tal misura. Tu, Signore, gli ispirasti la ge
nerosit, tu il pi generoso dei generosi; siigli quindi generoso della tua miserico
rdia e grazia, o il pi misericorde dei misericordi!
SUO CORAGGIO E FERMEZZA.
E' stato tramandato dal Profeta il detto: "Iddio ama il coraggio, fors'anche nel
l'uccidere un serpente". Ed egli era infatti degli uomini pi coraggiosi, d'animo
forte, di spirito gagliardo, di grande fermezza, intrepido a ogni prova. Lo vidi
in campo contro un gran numero di Franchi, cui arrivavano di continuo rinforzi
e rincalzi, e in lui si moltiplicava la forza d'animo e la resistenza tenace. Gi
unsero in una sola sera pi di settanta bastimenti del nemico, da me contati, dall
a preghiera pomeridiana del "'asr" (10) al tramonto del sole, ed egli non ne app
arve che ancor pi animoso. Al principio dell'inverno, aveva dato licenza alle tru
ppe, ed era rimasto solo con un piccolo distaccamento a fronteggiare le grandi f
orze nemiche: domandai del loro numero a Balin ibn Barzn (11), uno dei loro gran r
e del Litorale, quando era in presenza del Sultano il giorno che si stipul la pac
e, e l'interprete mi trasmise la sua risposta: "Io e il signore di Sidone (anch'
esso uno dei loro re e delle teste forti tra loro), - aveva egli detto, - venimm
o da Tiro a raggiungere il nostro esercito, e quando ne fummo in vista, facemmo
a gara a valutarlo: lui lo valut cinquecentomila uomini, e io seicentomila". "E q
uanti ne son morti?", domandai io; e lui di rimando: "Uccisi in battaglia, quasi
centomila, e per malattie o annegati, Dio solo lo sa"; e di tutta quella moltit
udine solo una piccola minoranza fece ritorno.
Ogni giorno, una e due volte, doveva assolutamente andare in perlustrazione atto
rno al nemico quando eravamo con esso a contatto; e nel pieno della battaglia gi
rava tra le file, accompagnato da un solo paggio con un destriero in lassa, pass
ando fra le truppe dall'ala destra alla sinistra, ordinando le unit e facendole a
vanzare e fermarsi ai luoghi opportuni. Dominava dall'alto e seguiva da vicino l
e mosse nemiche, facendosi leggere tra le file qualche sezione di tradizioni can
oniche. La cosa nacque da una mia osservazione, che si era fatta lettura delle t
radizioni in ogni nobile luogo, ma non si era mai udito che fossero state lette
tra le file schierate in battaglia, "e se Sua Maest avesse gradito che ci si racco
ntasse di lui, sarebbe stato bello"; ed egli autorizz la cosa, e fu portata l una
sezione, e c'era chi ne aveva fatto regolare studio, e gliene fu fatta lettura,
mentre noi eravamo tutti in sella ora avanzando ora sostando tra i due eserciti
schierati.
Mai ho visto che egli trovasse troppo numeroso e troppo potente il nemico, pur p
onderando e deliberando, facendosi esporre ogni partito e su ognuno prendendo le
necessarie misure, senza accesso d'ira o collera che mai lo incogliesse. Il gio
rno della gran battaglia nella piana d'Acri, i Musulmani furon rotti sino al cen
tro dello schieramento, caddero tamburi e bandiere, e lui tenne fermo con un pug
no d'uomini sino a che pot ritirarsi al monte con tutti i suoi, riportandoli alla
battaglia e svergognandoli al punto che tornarono a combattere: finch Iddio died

e ai Musulmani la vittoria sul nemico in quella giornata, con quasi settemila uc


cisi tra fanti e cavalieri. E non cess dal fronteggiare il nemico che era in forz
e soverchianti, fino a che gli apparve chiara la stanchezza dei Musulmani; e all
ora venne alla pace, su domanda da parte del nemico. Esso era ancor pi stanco e p
rovato da perdite ancor maggiori di noi, ma loro aspettavano rinforzi che noi no
n aspettavamo, ed era cos nostro interesse il far la pace, come risult chiaro quan
do il destino ebbe mostrato ci che aveva in serbo (12). Nelle frequenti malattie,
nelle circostanze pi terribili, egli rimase fermo in campo: si vedevano da entra
mbe le parti i fuochi dei due campi, noi sentivamo il rumore delle loro campane
(13), loro il nostro appello alla preghiera, sino a che tutto si risolse nel mod
o migliore e pi agevole.
SUO ZELO NELLA GUERRA SANTA.
Ha detto Iddio altissimo: "E i combattenti per la nostra causa, noi li guideremo
per le nostre vie; e Iddio con coloro che nobilmente agiscono" (14); e abbondan
o nei testi sacri i passi relativi alla guerra santa. Il Saladino era in essa qu
anto mai assiduo e zelante; e se uno giurasse che egli, una volta uscito alla gu
erra santa, non spese un "dinr" e una dramma se non per essa e per elargizioni, d
irebbe il vero e pronuncerebbe verace giuramento. La guerra santa, e la relativa
passione, avevan fortissima presa sul suo cuore e su tutte le membra del suo co
rpo, tanto che egli non parlava d'altro argomento che questo, non badava che all
'apparecchio di questa guerra, non si occupava che di chi questa combatteva, non
aveva simpatia che per chi di essa parlava e ad essa esortava; e per amor della
guerra santa sulla via di Dio lasci la famiglia ed i figli, la patria e la casa
e tutto il suo paese, e di tutto il mondo si accontent di abitare all'ombra della
sua tenda, ove soffiavano a dritta e a manca i venti, tanto che una notte di gr
an vento, nella piana d'Acri, gli croll addosso la tenda, e se non si fosse trova
to nella torretta l'avrebbe ucciso; ma tutto ci non faceva che accrescergli zelo
e costanza e passione, e se uno voleva ingraziarselo non aveva che da eccitarlo
alla guerra santa, e raccontarne qualche episodio. Pi libri su tale argomento fur
ono per lui composti, e io son tra quelli che ne compilarono uno a suo uso, con
tutte le norme relative, e tutti i versetti coranici rivelati in proposito, e tu
tte le tradizioni canoniche che ne trattano, con l'illustrazione dei termini osc
uri; ed egli spesso lo leggeva, finch non lo prese da lui (15) suo figlio al-Mali
k al-Afdal.
Voglio raccontar di lui quanto da lui direttamente udii a tal proposito. Nel dhu
l-ga'da del 584 (gennaio 1189) aveva preso Kawkab (16), e congedate le truppe,
mentre quelle egiziane comandate da suo fratello al-Malik al-'Adil si accingevan
o a far ritorno in Egitto. Il Saladino si accompagn a lui per prenderne commiato
e fruire della preghiera della Festa (17) in Gerusalemme, e noi andammo con lui.
Fatta la preghiera a Gerusalemme, gli venne in mente di andare fino ad Ascalona
, e l congedarsi da loro e tornare per la via del litorale, ispezionandone i terr
itori fino ad Acri e provvedendo alle loro necessit. Gli fu consigliato di non fa
rlo, poich, scioltosi l'esercito, saremmo rimasti in piccolo numero, mentre i Fra
nchi erano tutti concentrati a Tiro, e sarebbe stato un esporsi a grave pericolo
. Ma egli non vi bad, si conged dal fratello e dall'esercito ad Ascalona, e poi co
minciammo, al suo seguito, ad andare per il litorale diretti ad Acri. Il tempo e
ra di crudo inverno, il mare violentemente agitato, "con onde come montagne", co
me dice Iddio nel Corano (18). Da poco io avevo visto il mare, e questo mi fece
grande impressione, al punto che mi parve che se uno m'avesse detto di fare un s
ol miglio per mare e mi avrebbero fatto signore del mondo intero, non avrei acce
ttato; e mi parve stolto il consiglio di chi si mette in mare per guadagnar dena
ro, e giusto quello di chi non accetta come valida la testimonianza di uno che v
iaggia per mare (19). Tutti questi pensieri mi vennero per la gran paura che mi
fece la vista del mare sconvolto in tempesta. Or stando io cos, il Saladino mi si
rivolse e disse: "Voglio dirti una cosa". "Senz'altro". "Ho in animo, quando Id
dio mi conceda la conquista del resto del Litorale, di far la divisione dei miei
territori, far testamento e dettare le mie volont, e poi mettermi per questo mar

e sino alle sue terre lontane, e inseguire i Franchi sin l, s da non lasciare sull
a faccia della terra chi non creda in Dio, o morire". Questo suo discorso mi fec
e grande impressione, cos contrario com'era ai pensieri che erano nati in me; dis
si perci: "Non c' sulla terra persona pi coraggiosa di Vostra Maest, n pi saldamente i
ntesa a dar vittoria alla religione di Dio". "Perch questo?" "Quanto al coraggio,
- ripresi, - perch questo mare spaventoso non fa alcuna paura a Vostra Maest; e q
uanto all'aiuto alla religione di Dio, perch la Maest vostra, non contenta di esti
rpare i nemici di Dio da un luogo determinato della terra, vuol purificarne la t
erra tutta quanta"; e gli chiesi licenza di raccontargli quel che mi era passato
per la mente.
Avuta licenza, glielo raccontai e aggiunsi: "Questo un ottimo proposito: per Vost
ra Maest dovrebbe spedire per mare le sue truppe, ma lui stesso, baluardo e difes
a dell'Islm, non dovrebbe arrischiar la sua vita" ed egli: "Ora ti porr un quesito
: qual la pi nobile morte?" "La morte sulla via di Dio", risposi. "Ebbene, il mas
simo che pu qui capitarmi, di morire della pi nobile delle morti!"
Considerate che pura intenzione, che anima coraggiosa ed ardita! Dio mio, tu sai
che egli spese ogni sua energia nel dar vittoria alla tua fede, e combatt la gue
rra santa per speranza della tua misericordia: siigli misericorde, o il pi pietos
o fra i misericordi!
SUA PAZIENZA E SFORZO PER GUADAGNARSI MERITO PRESSO DIO.
Dice Iddio altissimo: "... e poi lottarono per la causa di Dio, e pazientarono,
e il tuo Signore perdonatore e clemente" (20). Io lo vidi nella piana di Acri, c
olto da una malattia quanto mai penosa per una quantit di pustole spuntategli tra
la vita e le ginocchia, in modo che non poteva mettersi a sedere ma stava giace
nte sul fianco quando era nella sua tenda, e gli era impossibile farsi servire i
l cibo non potendo sedersi, onde ordinava che venisse diviso tra i presenti. Con
tutto ci, se ne stava nella tenda da campo in prossimit del nemico, aveva dispost
o le sue truppe in ala destra, sinistra e centro, in schieramento di battaglia,
ed era a cavallo dalla prima mattina alla preghiera del mezzogiorno, e dal primo
meriggio al tramonto, ispezionando i battaglioni e resistendo al dolore che gli
dava la pulsazione di quegli ascessi. A me che me ne stupivo, diceva: "Quando m
onto a cavallo, mi cessa il dolore, finch non smonto"; un vero effetto di Provvid
enza divina!
Si ammal che eravamo a Kharruba (21), e aveva dovuto abbandonare Tell el-Hagial p
er quella sua malattia. Ci saputo, i Franchi uscirono per infliggere qualche colp
o ai musulmani. Fu quello l'episodio del fiume: il nemico fece un primo giorno d
i marcia fino ai pozzi sotto il Tell. Saladino ordin di far arretrare i bagagli d
alla parte di Nazaret, e siccome 'Imd ad-din signore di Singir era anche lui malat
o gli permise di ritirarsi coi bagagli, rimanendo lui fermo al suo posto. Il sec
ondo giorno, il nemico mosse ad affrontarci, ed egli, pur sofferente com'era, or
din l'esercito per la battaglia: pose all'ala destra al-Malik al-'Adil, alla sini
stra Taqi ad-din, e i suoi figli al-Malik az-Zahir e al-Malik al-Afdal al centro
. Egli stesso si pose dietro al nemico per attaccarlo. Appena sceso dal Tell, gl
i fu condotto un Franco catturato dell'esercito nemico; ed egli, offertogli di a
bbracciare l'Islm, ordin al suo rifiuto di tagliargli la testa, ci che fu fatto in
sua presenza. Il nemico si mise in marcia, e ogni volta che avanzava cercando ra
ggiungere la sorgente del fiume, lui eseguiva un movimento avvolgente alle loro
spalle per tagliarli dai loro attendamenti. Andava per un po' avanti, e poi smon
tava da cavallo a riposarsi, facendosi ombra con un fazzoletto sul capo dal gran
battere del sole, ma senza farsi rizzare una tenda perch il nemico non vedesse i
n ci un segno di debolezza. Cos continu finch il nemico raggiunse la sorgente del fi
ume, e lui si ferm di fronte a loro su una collina dominante sino al calar della
notte. Ordin allora alle vittoriose sue truppe di passare la notte con le armi in
pugno, e lui con noi del seguito si ritir al sommo del colle, dove gli fu eretta
una piccola tenda; e trascorremmo l l'intera notte, io e il medico a curarlo e d
istrarlo, e lui ora dormiva ora si svegliava, sino allo spuntar del mattino. Suo
nata allora la tromba, mont a cavallo e dispose le truppe s da accerchiare il nemi

co. Questo si ritir sulle sue tende dalla parte occidentale lungo il fiume, forte
mente premuto dai Musulmani per tutta quella giornata. Fu in quel giorno che, pe
r farsi merito presso Dio, mand innanzi i suoi figli al-Malik al-Afdal, al-Malik
az-Zahir e al-Malik az-Zafir, con tutti gli altri presenti, e and via via inviand
o al combattimento chi era con lui sino a che non gli rimase altri daccanto che
io e il medico, l'ispettore dell'esercito e i paggi con le bandiere e gli orifia
mmi e null'altro, ma in modo che chi li vedeva di lontano poteva pensare che sot
to quegli stendardi ci fosse gran nerbo di truppe. Il nemico continu la sua marci
a subendo gravi perdite: ogni caduto lo seppellivano, e ogni ferito lo trasporta
vano, sicch non si sapesse quanti erano i morti e i feriti. Marciarono sotto i no
stri occhi, in condizioni sempre pi precarie, e si arrestarono presso il ponte: f
ermatisi l, i nostri disperarono di poterli attaccare efficacemente, perch i Franc
hi si erano concentrati fermandosi s da poter fare grande difesa. Saladino rest al
suo posto, e l'esercito in sella di fronte al nemico fino al cader del giorno:
poi ordin loro di passare quella notte come la precedente, e noi tornammo al post
o della notte avanti e vi pernottammo allo stesso modo fino al mattino. In quel
giorno, i nostri tornarono a incalzare il nemico come il giorno innanzi, e il ne
mico si rimise in marcia molestato da continue scaramucce finch si avvicin alle su
e tende, donde usc loro incontro un rinforzo che li aiut a rientrare al loro campo
. Guardate a che estremo di pazienza e sforzo meritorio arriv quell'uomo! Signore
, tu gli ispirasti pazienza e sforzo, e in essi lo aiutasti: non lo privare dell
a sua ricompensa, o il pi misericorde dei misericordiosi!
Lo vidi quando gli giunse la notizia della morte di un suo figliuolo giovanetto,
a nome Isma'l: egli lesse la lettera, e non ne fece parola con nessuno, tanto ch
e risapemmo la cosa da altri, n ne traspar in lui altro segno se non che, al legge
re la notizia, gli si empirono gli occhi di lacrime. Lo vidi una notte a Safad d
a lui assediata, quando disse: "Stanotte non dormiremo, sinch non siano montate c
inque catapulte". Ordin per ogni catapulta una squadra che doveva provvedere a mo
ntarla, e passammo tutta la notte in servizio presso di lui, nel pi piacevole tra
ttenimento ed agio, mentre si susseguivano i rapporti sullo stato di montaggio d
elle catapulte, finch giunse il mattino che il lavoro era finito, e non restavano
a montare che i "porci": ed era stata una delle notti pi lunghe, fredde e piovos
e. Lo vidi quando gli giunse la notizia della morte di (suo nipote) Taqi ad-din,
mentre fronteggiavamo i Franchi con un distaccamento leggero sotto Ramla: il ne
mico era a Yazr, a distanza di non pi d'una galoppata. Egli fece venire al-Malik a
l-'Adil, 'Alam ad-din Sulaimn ibn Giandar, Sabiq ad-din ibn ad-Daya e 'Izz ad-din
ibn al-Muqaddam, e ordin che tutti gli altri fossero allontanati da presso la te
nda alla distanza di un trar d'arco; poi cav fuori la lettera, la lesse, e pianse
forte tanto da far piangere anche i presenti che pur ne ignoravano il motivo. D
isse infine, con la voce soffocata dalle lacrime: "E' morto Taqi ad-din", e torn
forte a piangere, e piansero tutti. Io alfine mi ripresi e dissi: "Dio ci perdon
i per questo nostro stato: considerate dove siete, e in che impresa impegnati; p
erci lasciate questo, e passate ad altro". E il Sultano rispose: "S, Dio ci perdon
i", e ripet pi volte la frase, aggiungendo: "Nessuno sappia di ci!" Chiese dell'acq
ua di rose, se ne lav gli occhi, e fece venire il cibo e la gente, e nessuno sepp
e nulla dell'accaduto finch il nemico non fece ritorno a Giaffa, e noi a Natrn, do
ve stavano i nostri bagagli.
Egli era fortemente affezionato e attaccato ai suoi figli bambini, eppure soppor
tava di separarsene, e si rassegnava ad averli da s lontani, contento dei disagi
di una vita infame mentre avrebbe potuto benissimo farne una diversa, per acquis
tarsi merito presso Dio e dedicarsi alla guerra santa contro i nemici di Dio. Di
o mio, egli lasci tutto questo per desiderio che tu fossi contento di lui, e Tu s
ii di lui contento, e abbine misericordia!
SAGGI DELLA SUA UMANITA' E INDULGENZA.
Iddio ha detto: "... e coloro tra gli uomini che perdonano, e Iddio ama chi bene
agisce" (22). Ed egli era indulgente verso chi mancava, e non facile all'ira. E
ro di servizio presso di lui a Marg 'Uyn, prima che i Franchi attaccassero Acri -

che Dio ne faciliti la riconquista! - Era suo costume cavalcare al tempo a ci op


portuno, e poi smontare e far servire il cibo, che consumava coi suoi uomini, ri
tirandosi poi a dormire nella sua tenda particolare. Ridestatosi dal sonno, face
va la preghiera e si appartava, essendo io l di servizio, a leggere qualcosa di t
radizioni canoniche o di diritto: lesse tra l'altro con me un Compendio di Sulai
m ar-Razi, comprendente le quattro sezioni del diritto. Un giorno smont secondo i
l suo solito, e gli fu servito il cibo; poi voleva alzarsi, ma gli fu detto che
era ormai vicino il tempo della preghiera. Torn quindi a sedersi e disse: "Faccia
mo la preghiera, e poi andiamo a dormire", e sed a conversare straccamente. Tutti
si erano ritirati, fuor del personale di servizio, quando si fece avanti un Mam
elucco anziano e tenuto da lui in gran conto, e gli present la supplica di un com
battente della guerra santa. "Ora sono stanco, - disse il Sultano, - rimandala a
un po' pi tardi"; ma quegli non ottemper all'invito, e sporse innanzi la supplica
fin presso l'augusto volto del Sovrano, aprendola in modo che potesse leggerla.
Saladino lesse il nome scritto in cima, lo riconobbe, e disse: "Un uomo meritev
ole". "Allora, - fece l'altro, - Vostra Maest vi apponga il suo placet". "Ma non
c' ora qui il calamaio", rispose Saladino, giacch egli sedeva alla porta del padig
lione, di modo che nessuno poteva entrarvi, mentre il calamaio si trovava a capo
della tenda, che era molto grande. Ma l'interlocutore osserv: "Eccolo l il calama
io, a capo della tenda!", ci che altro non significava che invitarlo a tirar fuor
i il calamaio stesso. Il Sultano si volt, vide il calamaio, e disse: "Per Allh, ve
ro", poi si puntell sulla sinistra, allung la destra, prese il calamaio, firm... Di
ssi allora: "Iddio dice del suo Profeta: 'tu sei invero un magnanimo', e mi pare
che Vostra Maest condivida con lui tale qualit". Al che Saladino rispose: "Non ci
costato nulla: abbiamo esaudito il suo desiderio, e ne abbiamo avuto il compens
o". Se un fatto simile fosse occorso a un semplice privato, avrebbe perduto le s
taffe; e chi mai sarebbe stato capace di rispondere a un suo subordinato a quel
modo? Questo un "non plus ultra" di benignit e indulgenza, "e Iddio non fa andar
perduto il premio di chi fa del bene" (24).
Talvolta il cuscino su cui sedeva finiva pestato sotto i piedi, quando gli si ac
calcavano intorno a presentargli le suppliche, senza che egli punto se ne risent
isse. Una volta la mia mula, mentre cavalcavo di servizio presso di lui, si spav
ent dei cammelli, e gli pest la coscia s da fargli male, ma egli si limit a sorrider
e. Un giorno di pioggia e vento, entrai da lui a Gerusalemme; c'era un gran fang
o, e la mula gliene schizz addosso tanto da rovinargli tutto quel che aveva indos
so; egli sorrise, e quando volli ritirarmi per quell'incidente non me lo permise
.
Udiva talora dai postulanti e reclamanti il linguaggio pi sconveniente, cui rispo
ndeva con lieta cera e benevolenza. Ecco in proposito un aneddoto senza pari: il
fratello del re dei Franchi si era diretto a Giaffa, mentre il nostro esercito
aveva ripiegato su Natrn, localit distante da Giaffa due giornate di marcia forzat
a, e tre di ordinaria. Saladino, distaccate truppe in avanscoperta, si era diret
to a Cesarea per affrontarvi un rinforzo del nemico, cui sperava di infliggere u
no scacco. I Franchi di Giaffa, dove era il re d'Inghilterra (25) con una schier
a dei suoi, vennero a risaperlo, e il re sped la maggior parte dei suoi per mare
a Cesarea, per timore di qualche danno che avesse a incogliere al corpo di rinca
lzo, e rest lui con poca gente, sapendo che Saladino e l'esercito erano lontani.
Giunto a Cesarea, Saladino vide che il rinforzo era gi arrivato a quella citt e vi
si era afforzato a difesa. Visto che non poteva infliggere loro alcun danno, pa
rt la sera stessa e marci tutta la notte arrivando a Giaffa al mattino. Il re d'In
ghilterra con diciassette cavalieri e un trecento fanti era accampato fuor della
citt in una sua tenda, e fu attaccato di primo mattino dai nostri. Quel maledett
o, che era animoso e prode e accorto in cose di guerra, mont a cavallo e si piant
davanti ai nostri senza entrare in citt. L'esercito musulmano li circond d'ogni pa
rte fuorch da quella della citt, e si schier in ordine di battaglia. Il Sultano det
te ordine alle truppe di caricare, approfittando dell'occasione propizia; quand'
ecco un emiro curdo a rispondergli in termini apertamente irrispettosi, recrimin
ando per un poco lauto appannaggio ricevuto. Il Sultano gir la briglia del suo ca
vallo in atto di sdegno, vedendo che in quella giornata non avrebbero combinato

un bel nulla; li lasci e se ne torn indietro, ordinando di disfare la sua tenda ch


e era stata drizzata. L'esercito ruppe il contatto col nemico, nella certezza ch
e quel giorno il Sultano avrebbe fatto uccidere e crocifiggere parecchia gente;
suo figlio stesso al-Malik az-Zahir mi raccont che quel giorno aveva temuto di su
o padre al punto da non osare di comparirgli dinanzi, bench avesse quel giorno ca
ricato e si fosse spinto innanzi finch Saladino non lo aveva fermato. Il Sultano
and sino a Yazr, a una piccola giornata di marcia; l, gli fu rizzata una piccola te
nda dove egli smont, mentre l'esercito si accamp sotto piccoli ripari come si suol
fare in simili casi. Tutti gli emiri tremavano di paura, certi di toccar rimpro
veri ed essere incorsi nell'ira del Sultano; e, diceva al-Malik az-Zahir, non mi
sentii di presentarmi a lui per la paura finch non mand lui a chiamarmi: entrai,
che aveva ricevuto da Damasco una quantit di frutta, e ordin: "Mandate a chiamare
gli emiri, che vengano a mangiare qualcosa". La mia paura si dilegu, mandai a cer
care gli emiri che si presentarono impauriti, e videro in lui un lieto viso e un
'affabilit tale da calmarli e tranquillizzarli; lo lasciarono, accingendosi alla
partenza, come se nulla fosse accaduto. Guarda che umanit, cos difficile di questi
tempi, e di cui non si mai udita la simile, dei re del passato!
SUA ASSIDUA PRATICA DELLA VIRTU'.
Il Profeta ha detto: "Sono stato inviato per realizzar pienamente le pi nobili qu
alit dell'anima", e quando qualcuno gli stringeva la mano non gliela lasciava sin
ch l'altro non lasciasse andare la sua. E il Sultano era di gran nobilt di condott
a, di viso benevolo, di gran modestia, di grande affabilit con gli ospiti. Non pe
rmetteva che l'ospite si partisse da lui senza aver mangiato alla sua tavola, n c
he gli chiedesse cosa alcuna senza soddisfare alla sua domanda. Faceva onore a c
hiunque gli si presentasse, fosse stato anche un infedele: giunse a visitarlo il
principe signore di Antiochia, presentandosi d'improvviso alla porta della sua
tenda, dopo conclusa la pace nello shawwl del 588 (novembre 1192), mentre Saladin
o tornava da Gerusalemme a Damasco. Egli gli si fece d'un tratto incontro durant
e il viaggio, e gli present una richiesta; e il Sultano gli fece dono di al-'Umq,
un territorio che aveva preso da lui l'anno della conquista del litorale, nel 5
84 (1188-89). Lo vidi del pari quando entr da lui a Nazaret il signore di Sidone,
ed egli lo river e onor, e divise con lui il suo pasto, profferendogli anche di a
bbracciare l'Islm, descrivendogliene i pregi ed esortandolo a convertirsi. Onorav
a parimenti i capi religiosi (26), i dottori e gli uomini virtuosi e ragguardevo
li, e raccomandava a noi di non lasciar passare presso gli attendamenti nessun n
oto capo religioso senza presentarlo a lui e farlo fruire della sua benevolenza.
Nel 584 pass presso di noi un uomo, gran dottore e mistico, di una famiglia d'al
to affare; suo padre era signore di Tabrz, ma lui si era staccato dalla professio
ne paterna, e dedicato alla scienza e alla pratica religiosa. Aveva intrapreso i
l pellegrinaggio ed era giunto in visita a Gerusalemme, dove, viste le opere pie
del Sultano, gli era venuto in mente di fargli visita ed era giunto al nostro c
ampo, entrando da me all'improvviso nella tenda. Io lo ricevetti, gli detti il b
envenuto e gli chiesi il motivo della sua venuta: ed egli me ne mise al corrente
, dicendo che aveva desiderato di far visita al Sultano per le belle e lodevoli
sue opere da lui contemplate. Io ne informai il Sultano la sera stessa della vis
ita di quell'uomo, ed egli se lo fece venire, ascolt da lui qualche tradizione ca
nonica, e lo esort al bene. Poi ci ritirammo, e colui pass la notte presso di me n
ella tenda; fatta la preghiera del mattino, prese ad accomiatarsi da me, ma a me
parve brutto che partisse senza aver preso congedo dal Sultano. Egli per non vol
le saperne: "Ho ottenuto quel che desideravo da lui, - disse, - n avevo altro sco
po che di vederlo e fargli visita", e cos senz'altro si part. Qualche giorno dopo,
il Sultano mi chiese di lui, e io gli dissi del suo comportamento. Saladino si
mostr contrariato che non l'avessi informato della sua partenza, e disse: "Come,
un uomo simile viene a battere alla nostra porta, e se ne va senza aver ricevuto
un nostro benefizio?" Tanto disapprov la mia condotta, che non potei esimermi da
llo scrivere una lettera a Muhyi ad-din cadi di Damasco, incaricandolo di far ri
cerca di quell'uomo, e fargli avere un biglietto che gli accludevo, con cui lo i

nformavo che il Sultano si era doluto della sua dipartita senza rivederlo, e lo
consigliavo di tornare, come poteva esigere l'amicizia che era tra noi. Tutt'a u
n tratto, me lo vidi davanti di ritorno: lo condussi dal Sultano, e questi gli f
ece lieta accoglienza e lo trattenne alcuni giorni; dopo di che, gli don una bell
a veste d'onore, una cavalcatura adatta, e una quantit di vestiti da portare ai s
uoi familiari, discepoli e vicini, nonch una somma di denaro per il viaggio. Cos s
i part da lui, quanto mai riconoscente, e innalzando sincere preghiere a Dio per
una lunga sua vita.
Una volta, gli fu presentato un prigioniero franco, cui egli incuteva tale una p
aura che i segni dello sgomento e dell'agitazione gli trasparivan sul volto. L'i
nterprete gli domand: "Di che temi?", e Dio gli ispir la risposta: "Temevo prima d
i vedere codesto viso, ma dopo averlo veduto ed essere stato in suo cospetto son
sicuro di non vederne che bene"; e Saladino si commosse, lo grazi e lasci libero.
Cavalcavo un giorno di servizio con lui di fronte ai Franchi, quando giunse una
scolta con una donna tutta stracciata e in pianti, che si batteva di continuo il
petto. "Costei, - disse la scolta, - uscita dai Franchi e ha chiesto di esser c
ondotta dinanzi al Sultano: cos l'abbiamo portata". Il Sultano ordin all'interpret
e di domandarle di che si trattava; ed essa disse che i razziatori musulmani era
no entrati il giorno innanzi nella sua tenda, e le avevano rubato la figliuola:
"Ho passato tutta la notte di ieri chiedendo aiuto fino al mattino, e i nostri c
api mi han detto: 'Il re dei Musulmani misericordioso, noi ti faremo uscire da l
ui, e tu potrai da lui richiedere la tua figliuola'; cos mi hanno fatta uscire, e
io da te solo spero riavere la mia bambina". Saladino ne fu mosso a piet, e gli
vennero le lacrime agli occhi. Mosso dalla sua generosit, ordin che qualcuno la co
nducesse al mercato del campo, per domandare chi avesse comprato la piccola, rif
ondergli il prezzo, e riportarla. La faccenda di quella donna era nota fin dal m
attino: non pass un'ora che quel cavaliere torn con la piccola sulle spalle. Appen
a la madre la scorse, si butt a terra rotolando il viso nella polvere, mentre tut
ti piangevano all'unisono con lei; ella levava lo sguardo al cielo, senza che po
tessimo intendere ci che diceva. Le fu riconsegnata la figliuola, e fu ricondotta
al loro campo.
Saladino non amava infierire sui suoi domestici, anche se si fossero resi colpev
oli di gravissimo abuso: due borse d'oro egiziano furono sottratte dal suo tesor
o, e sostituite con due di monete di rame, ed egli non inflisse ai tesorieri alt
ro castigo che la rimozione da quell'ufficio.
Gli fu condotto dinanzi il principe Arnt, signore di al-Karak (27), col re dei Fr
anchi del litorale, ambedue da lui catturati alla battaglia di Hittn nel 583 (118
7), la famosa battaglia di cui parleremo per esteso a suo luogo (28). Questo mal
edetto Arnt era un infedele prepotente e violento: in tempo di tregua tra loro e
i Musulmani, era passata presso di lui una carovana d'Egitto, ed egli, assalital
a a tradimento, l'aveva catturata, vessandone e torturandone gli uomini, e cacci
andoli in sotterranei e strette prigioni. Ricordatogli l'affar della tregua, ave
va detto per tutta risposta: "Dite al vostro Maometto che vi salvi". Quando ci fu
riportato al Saladino, fece voto che ove Dio glielo avesse dato in suo potere,
lo avrebbe ucciso di sua mano. E quando Dio glielo mise in mano in quella giorna
ta, ribad la sua decisione di ucciderlo per adempiere al suo voto. Lo fece dunque
venire col re, e lagnandosi il re per la sete gli fece presentare una coppa di
sorbetto. Il re ne bevve, e la porse ad Arnt; ma il Sultano disse all'interprete:
"Di' al re: sei tu che gli hai dato da bere; io per me, n gli do a bere della mi
a bevanda, n da mangiare del mio cibo!", intendendo con ci che chi avesse mangiato
del suo cibo, l'onore esigeva che egli non gli facesse alcun male. Dopo di che,
tronc il capo ad Arnt di sua mano, adempiendo il suo voto. E alla presa di Acri l
iber tutti i prigionieri, oltre quattromila, dalla loro stretta cattivit, e diede
a ognuno un sussidio che lo facesse giungere al suo paese ed ai suoi. Tanto ho u
dito per bocca di varie persone, giacch non mi trovai presente a quel fatto.
Era il Saladino di piacevole compagnia, di carattere amabile e arguto, buon cono
scitore delle genealogie e battaglie degli Arabi, delle loro storie, delle genea
logie dei loro cavalli, delle meraviglie e curiosit della terra; tanto che chi fr
uiva della sua societ veniva a impararne cose che non udiva da nessun altro. Mett
eva ad agio i suoi compagni e li rinfrancava, domandando a uno notizie della sua

salute, e di come si curasse, di come mangiasse e bevesse, e di tutti i fatti s


uoi. La conversazione del suo circolo era quanto mai onesta, tanto che di ognuno
non vi si parlava che in bene; egli non amava udire di nessuno che bene, e avev
a una lingua castigatissima, tanto che non l'ho mai visto godere a sparlar di ne
ssuno; anche nello scrivere, non verg mai riga offensiva per un Musulmano. Fu fed
ele osservatore di ogni suo impegno. Ogni volta che gli era presentato un orfane
llo, invocava la misericordia di Dio sui suoi genitori defunti, lo confortava, e
provvedeva del pane paterno (29). Se nella famiglia dell'orfano c'era un anzian
o di fiducia, lo affidava a lui, e se no gli conservava una quantit sufficiente d
el trattamento del genitore, e lo affidava a chi ne curava l'educazione. Ogni vo
lta che vedeva un vecchio, si impietosiva e gli donava. E queste nobili qualit ma
ntenne per tutta la vita, fino a che Dio non lo trasfer alla sede della Sua miser
icordia e al luogo della Sua grazia.
Tutti questi sono semplici saggi delle alte e nobili qualit dell'animo suo, a cui
mi sono limitato per non allungare e tediare, e in cui non ho registrato se non
cose viste coi miei occhi o apprese da persona di fiducia, e da me accertate. Q
uesta solo una parte di quanto personalmente ho conosciuto al tempo del mio serv
izio con lui, e poca cosa in confronto di ci che ha conosciuto altri in pi lunga s
ua compagnia e pi antico servizio. Ma tanto pu bastare al lettore intelligente, pe
r dimostrargli la purezza di quel nobile carattere.

2.
L'anno trionfale della controffensiva musulmana guidata da Saladino fu come noto
il 583/1187. Alla vittoria campale di Hittn, che parve stroncare le forze dei Cr
ociati in Terra Santa, segu la caduta di buona parte dei loro centri del Litorale
, e, somma perdita per la Cristianit, quella di Gerusalemme, recuperata all'Islm c
on una resa in cui rifulse l'umanit e il senso della misura del Sultano ayyubita.
Guide alla narrazione di questi eventi ci saranno 'Imd ad-din e Ibn al-Athr (Bah'
ad-din fu testimone oculare solo a partire dal 1188): per Hittn e la resa di Geru
salemme diamo i racconti di entrambe queste fonti, che sar utile confrontare nell
a forma e nella sostanza: la chiarezza e sobriet di Ibn al-Athr ha reso consigliab
ile far precedere la sua narrazione agli stancanti riboboli di 'Imd ad-din, che p
ure il pi diretto e autorevole testimone degli eventi narrati.
Gli antefatti di Hittn.
(IBN AL-ATHIR, XI, 347-51).
DISCORDIA DEI FRANCHI DI SIRIA, E PASSAGGIO DEL CONTE DI TRIPOLI A SALADINO.
Il Conte signore di Tripoli, a nome Raimondo figlio di Raimondo di Saint Gilles
(30), si era sposato con la Contessa signora di Tiberiade (31), e trasferito e s
tanziato a Tiberiade presso di lei. Mor il Re dei Franchi di Siria, che era lebbr
oso (32) e leg il regno a un figlio di sua sorella, un bambino (33), sotto la tut
ela del Conte. Questi prese a governare e amministrare il Regno, giacch in quel t
empo i Franchi non avevano maggior barone, pi prode e avveduto di lui; e cos, per
cagione di quel bambino, il Conte aspir a diventar re egli stesso. Ma il bambino
mor, il regno pass a sua madre, e le ambizioni del Conte furono frustrate. Poi que
lla regina (34) si innamor di un barone franco venuto in Siria dall'Occidente, a
nome Guy, lo spos e pass a lui la dignit regale, ponendogli in capo la corona: conv
ocati il Patriarca, i preti e i monaci, gli Ospitalieri, i Templari e i Baroni,
ella comunic loro di aver rimesso nelle sue mani il regno, invitandoli a esserne
testimoni, ed essi giurarono a lui obbedienza e fedelt. Ci increbbe al Conte, che
ne rimase scornato, e fu richiesto di render conto delle somme riscosse nel temp
o della sua tutela del re fanciullo; egli asser di averle spese per lui, ma il su

o animo ne fu ancor pi alienato, giungendo ad aperta secessione e ribellione. Ent


r dunque in rapporti con Saladino, allacciando con lui relazioni e a lui appoggia
ndosi, e chiedendo il suo aiuto per raggiungere lo scopo che si prefiggeva tra i
Franchi. Saladino e i Musulmani se ne rallegrarono, e il Sultano gli promise di
dargli aiuto e adoprarsi per lui in tutto quel che volesse, garantendogli di co
stituirlo re di tutti i Franchi. Egli rimise in libert alcuni cavalieri del Conte
che teneva prigionieri, ci che fece all'altro ottima impressione: perci il Conte
mostr apertamente ubbidienza a Saladino, seguito in ci da un certo numero di Franc
hi: cos quelli vennero in discordia e disunione, che fu una delle maggiori cause
della conquista dei loro paesi e del recupero di Gerusalemme dalle loro mani, co
me diremo. Saladino lanci dalla parte di Tiberiade colonne di scorridori, che dev
astarono le terre dei Franchi e ne uscirono incolumi, mentre i Franchi ne furono
indeboliti, e i Musulmani trassero nuovo vigore e baldanza nell'attaccarli.
IL TRADIMENTO DEL PRINCIPE ARNAT.
Il principe Arnt signore di al-Karak (35) era uno dei maggiori e pi protervi baron
i franchi, fierissimo nemico dei Musulmani e a loro sommamente infesto. Il che v
isto, Saladino era mosso pi volte ad assediarlo e a far scorreria sulle sue terre
. Quegli, umiliatosi, aveva chiesto pace a Saladino, che gliela aveva concessa;
si era quindi giurata dalle due parti una tregua, e le carovane transitavano lib
eramente dall'Egitto alla Siria e dalla Siria all'Egitto. Or quest'anno (582/118
6-87) pass presso di lui una grande e ricca carovana, con molti uomini e una buon
a scorta di truppe; e quel maledetto li assal a tradimento, li cattur tutti quanti
, pred le loro robe, bestie e armi, e cacci in carcere tutti i prigionieri. Saladi
no mand a rimproverarlo e rinfacciargli il suo tradimento, minacciandolo se non a
vesse rilasciato i prigionieri e le robe, ma colui non accondiscese e si ostin ne
l rifiuto, onde Saladino fece voto di ucciderlo se si fosse impadronito di lui;
e ne segu quello che a Dio piacendo racconteremo.
SALADINO ASSEDIA AL-KARAK.
Nell'anno 583 (1187) Saladino scrisse in tutte le province, chiamando alle armi
per la guerra santa: scrisse a Mossul, in Giazira, ad Arbela e altri paesi d'Ori
ente, in Egitto e negli altri paesi di Siria, chiamando alle armi ed eccitando a
lla guerra santa, ordinando di prepararsi ad essa quanto pi fosse possibile. Usc q
uindi da Damasco alla fine del muharram (aprile 1187) con l'esercito e la guardi
a del corpo damascena, e marci a Ras al-ma', dove si unirono a lui i contingenti
siri; ai quali, riuniti che furono, prepose suo figlio al-Malik al-Afdal 'Ali, m
entre lui con un distaccamento marci su Bosra. Questo movimento fu dovuto al fatt
o che gli era giunta notizia che il principe Arnt signore di al-Karak voleva aggr
edire i pellegrini per tagliar loro la strada, facendo vedere che una volta sbri
gatosi di loro sarebbe tornato a sbarrar la via dell'esercito d'Egitto, e lo avr
ebbe impedito dal congiungersi con Saladino. Cos questi marci su Bosra, per impedi
re al principe Arnt di attaccare i pellegrini, e farlo star cheto nella sua terra
per timore di lui. Tra i pellegrini c'era tutto un gruppo di suoi parenti, fra
i quali Muhammad ibn Lagn figlio di una sorella di Saladino. Infatti, quando Arnt
seppe che Saladino era vicino alla sua terra, non si mosse, rinunziando alle sue
mire, e i pellegrini giunsero sani e salvi. Giunti che furono, e tranquillo orm
ai da quella parte, Saladino marci su al-Karak, e lanci i suoi scorridori di l per
tutto il territorio di al-Karak, ash-Shawbak e altre zone, fra prede, rovine ed
incendi; mentre il Principe se ne stava assediato, impotente a difendere il suo
territorio, e gli altri Franchi erano immobilizzati a casa loro per paura dell'e
sercito di al-Afdal, figlio del Saladino. Cos questi pot liberamente assediare e p
redare, incendiare e diroccare in quella zona. Questo fece Saladino.
INCURSIONE SUL TERRITORIO D'ACRI.

Saladino mand poi al figlio al-Afdal l'ordine di spedire un buon corpo d'esercito
nel territorio d'Acri, a predarlo e devastarlo: ed egli mand Muzaffar ad-din Kikb
ar ibn Zain ad-din, signore di Harrn ed Edessa, mettendogli accanto Qaimz an-Nagmi
e Yildirim al-Yaquti, due tra i maggiori emiri, e altri ancora. Partiti la notte
, attaccarono al mattino Saffuriyya, alla fine di safar (maggio 1187); usciron l
oro incontro i Franchi, con un corpo di Templari, Ospitalieri e altra gente, e s
i appicc una zuffa terribile. Dio dette infine la vittoria ai Musulmani, e i Fran
chi si volsero in fuga; alcuni furono uccisi e i rimanenti catturati. Tra gli uc
cisi c'era il Capo degli Ospitalieri (36), uno dei pi celebri cavalieri franchi,
che aveva inflitto gravi danni ai Musulmani. Questi misero a sacco le terre vici
ne, fecero prede e prigionieri, e tornarono sani e salvi a Tiberiade, dov'era il
Conte, che nulla ebbe da obiettare all'accaduto. Fu quella una gran vittoria, g
iacch Templari e Ospitalieri costituivano il nerbo dei Franchi, onde ne fu spedit
o ovunque il lieto annunzio.
SALADINO TORNA AL SUO ESERCITO E INVADE LA TERRA DEI FRANCHI.
Giunto che fu a Saladino il lieto annunzio della disfatta di Ospitalieri e Templ
ari, della strage fattane e dei prigionieri catturati, fece ritorno da al-Karak
all'esercito sotto il comando di suo figlio al-Afdal, dove si erano concentrati
tutti gli altri emiri e corpi di truppe. Riunitosi ad essi, pass in rassegna l'es
ercito, e risultarono dodicimila cavalieri con regolari appannaggi e stipendi mi
litari, oltre ai volontari. Il Sultano dispose l'esercito in ordine di battaglia
, con un centro e due ali, una destra e una sinistra, un'avanguardia e una retro
guardia, assegn a ognuno il suo posto con l'ordine di mantenerlo, e marci con ques
to schieramento, accampandosi a Uqhuwana presso Tiberiade. Abbiam gi detto che il
Conte si era schierato dalla parte di Saladino, dal quale gli giungevano contin
ue lettere con promessa di aiuto ed appoggio, "ma il Diavolo non fa loro promess
e se non per ingannarli" (37). Or quando i Franchi videro gli eserciti musulmani
, e la loro ferma intenzione di attaccarli, mandarono dal Conte il Patriarca, i
preti e monaci e molti cavalieri, rimproverandogli di aver prese le parti di Sal
adino: "Certo, - dissero, - ti sei fatto musulmano; altrimenti non avresti soppo
rtato quel che ieri i Musulmani han fatto coi Franchi, massacrando Templari e Os
pitalieri, traendoli prigioni e passando presso di te, senza che tu nulla obbiet
tassi n intervenissi a impedirlo". A tali rimostranze si unirono le milizie di Ti
beriade e Tripoli, e il Patriarca minacci di scomunicarlo, e annullargli il matri
monio con sua moglie, e altre minacce. Il Conte, vista la gravit della situazione
in cui si era cacciato, temette e si scus, dicendosi pentito. Quelli accolsero l
e sue scuse, gli perdonarono il suo trascorso, e gli chiesero di unirsi a loro c
ontro i Musulmani e dar loro man forte a difendere i loro territori. E il Conte
assent a far pace e riunirsi ad essi, e con essi si rec dal re dei Franchi. Cos fu
restaurata tra loro la concordia dopo la avvenuta scissione, ci che per non fu a l
oro, dinanzi a Dio, di utilit alcuna. Raccolti fanti e cavalieri, essi marciarono
da Acri su Saffuriyya, ma esitanti e sbigottiti.
Battaglia di Hittn.
(IBN AL-ATHIR, XI, 351-55).
Riunitisi i Franchi e postisi in marcia su Saffuriyya, Saladino convoc a consigli
o gli emiri. La pi parte gli consigliarono di non venire a battaglia, e di indebo
lire il nemico con successive scorrerie e devastazioni; qualcuno degli emiri dis
se invece consigliabile di scorrere il paese dei Franchi predando e devastando,
incendiando e catturando, salvo ad affrontare in battaglia un esercito franco ch
e si fosse loro parato dinanzi; "ch in Oriente la gente ci maledice dicendo che a
bbiam smesso di combattere gli infedeli, e cominciato a voler combattere i Musul
mani. Dobbiamo quindi far qualcosa che ci giustifichi, e faccia tacere le critic

he che ci si muovono". Ma Saladino disse: "Il mio avviso di affrontare con tutte
le forze dei Musulmani tutte le forze degli Infedeli; giacch gli eventi non acca
dono come l'uomo vuole, e noi non sappiamo quanto ci resti ancora da vivere; non
si conviene quindi di sciogliere questa concentrazione di truppe se non dopo av
er fatto il massimo sforzo per la guerra santa". Part quindi da Uqhuwana il quint
o giorno da quando ci si era accampato, cio il gioved ventitr rab' secondo (2 luglio
1187), e avanz s da lasciarsi alle spalle Tiberiade ascendendone la collina; ma,
fattosi presso ai Franchi, non ne vide nessuno, non avendo essi lasciate le loro
tende. Ridiscese allora, e ordin all'esercito di scendere; e al calar della nott
e pose di contro ai Franchi chi doveva impedir loro di combattere, e con forze l
eggere invest Tiberiade oppugnandola, aprendo una breccia nelle mura e conquistan
do la citt d'assalto nel corso della notte. Gli abitanti si rifugiarono nella cit
tadella dove era la Signora del luogo con i figliuoli, e vi si difesero, mentre
la citt era messa a sacco e incendiata.
Quando i Franchi seppero che Saladino era sceso su Tiberiade e si era impadronit
o della citt e di quanto essa conteneva, bruciando le case e ogni oggetto intrasp
ortabile, si adunarono a consiglio: alcuni consigliarono di marciare contro i Mu
sulmani e combatterli, cacciandoli da Tiberiade; ma qui il Conte disse: "Tiberia
de appartiene a me e a mia moglie. Saladino ha fatto della citt il governo che sa
pete, e non resta che la cittadella ove mia moglie rinchiusa. Orbene, io mi cont
ento che egli si prenda la cittadella, mia moglie e tutto quel che vi abbiamo, e
se ne torni via. Per Dio, io ho visto in tempi antichi e recenti gli eserciti d
ell'Islm, e non ho mai visto un esercito pari in numero e in forza a questo qui c
he con Saladino. Se prende Tiberiade, non potr rimanerci, e quando l'abbia lascia
ta e sia venuto via noi la riprenderemo; che se vorr restarci, non potr farlo che
con tutte le sue forze, le quali non reggeranno a lungo lontane dai loro paesi e
dalle loro famiglie. Egli allora sar costretto a sgombrarla, e noi libereremo i
nostri caduti prigionieri". Ma il principe Arnt signore di al-Karak gli rispose:
"L'hai fatta lunga, a metterci paura dei Musulmani; indubbiamente tu tieni dalle
loro parti e inclini per loro, altrimenti non avresti detto questo. Quanto al f
atto che sian molti, al fuoco d'inferno non fa male gran quantit di combustibile.
.." "Io sono uno tra voi, - replic il Conte: - se avanzate, avanzer con voi, se ar
retrate arretrer. Voi vedrete quel che avverr". Prevalse allora la decisione di av
anzare e dar battaglia ai Musulmani, e quindi lasciarono il campo che avevan ten
uto fino allora, e si avvicinarono alle truppe dell'Islm. Il che udito, Saladino
fece ritorno da Tiberiade al suo esercito che era l presso: suo unico scopo nell'
assediar Tiberiade era stato di far lasciare ai Franchi le loro posizioni per po
terli combattere. I Musulmani erano scesi all'acqua (del lago), il tempo era di
torrida arsura, e i Franchi, provati dalla sete, erano impediti dai Musulmani di
giungere a quell'acqua: avevan consumato tutta l'acqua delle locali cisterne, e
non potevano tornare indietro per paura dei Musulmani. Cos restarono fino all'in
domani, il sabato, tormentati dalla sete. I Musulmani, da parte loro, mentre pri
ma temevano il nemico, erano ora pieni di spirito aggressivo, e passarono la not
te eccitandosi a vicenda alla battaglia: avevan fiutato il vento della vittoria
e, quanto pi vedevano lo stato dei Franchi contro il loro solito disanimati, pi si
facevano aggressivi e audaci: per tutta la notte, levarono alte le grida di ""A
llh akbar"" (Dio grande) e "Non c' altro dio che Allh", mentre il Sultano disponeva
le avanguardie di arcieri, e distribuiva loro le frecce.
Il sabato venticinque rab' secondo (4 luglio 1187), Saladino e i Musulmani, monta
ti a cavallo, avanzarono verso i Franchi. Anche questi montarono in sella e i du
e eserciti vennero a contatto, ma i Franchi soffrivano gravemente della sete ed
erano sfiduciati. Si accese e infuri la battaglia, con tenace resistenza dalle du
e parti: gli arcieri musulmani lanciarono un nugolo di frecce, come sciami diffu
si di cavallette, e uccisero in questo combattimento molti cavalli dei Franchi.
I Franchi, strettisi coi loro fanti, puntavano combattendo su Tiberiade nella sp
eranza di giungere all'acqua, ma Saladino fatto accorto di questo loro obbiettiv
o ne li imped, piantandosi con l'esercito in faccia a loro. Egli girava personalm
ente tra le formazioni musulmane eccitandole con ordini e divieti opportuni, e t
utti obbedivano ai suoi ordini e si fermavano ai suoi divieti. Uno dei suoi mame
lucchi giovanetti fece una terribile carica sui Franchi, e vi comp prodigi di val

ore finch sopraffatto dal numero fu ucciso; e allora tutti i Musulmani caricarono
, facendo vacillar le linee nemiche con grande strage. Il Conte, vista la gravit
della situazione, capi che non avrebbero potuto resistere ai Musulmani, e, d'int
esa con i suoi, caric quelli che lo fronteggiavano: il comando dei Musulmani da q
uella parte era tenuto da Taqi ad-din 'Omar, nipote di Saladino, il quale, vista
la disperata carica di quei Franchi, cap che era vano tentare di opporsi a loro,
e ordin quindi di aprir loro un varco per farli passare.
Uno dei volontari aveva appiccato il fuoco su quel terreno, pieno d'erba secca:
essa prese fuoco, e il vento soffiando port la vampa ed il fumo sul nemico. Cos qu
esto ebbe insieme addosso la sete, la calura della stagione, l'ardore del fuoco
e del fumo, e la vampa della battaglia. Alla fuga del Conte, i Franchi si perdet
tero d'animo e furono l l per arrendersi; ma vedendo che non li avrebbe salvati da
lla morte se non l'affrontarla, fecero una serie di cariche che quasi sloggiavan
o i Musulmani, pur cos numerosi, dalle loro posizioni, se la grazia di Dio non li
avesse assistiti. Ma al rifluire di ogni carica altri nemici erano caduti, e co
s essi si indebolirono fortemente, mentre i Musulmani li circondavano come il cer
chio circonda il suo diametro. Allora i superstiti Franchi salirono su un colle
dalla parte di Hittn, dove vollero rizzar le tende e difendervisi, ma vigorosamen
te combattuti d'ogni altra parte furono impediti da quel proposito, e non potero
no rizzare se non una tenda sola, quella del re. I Musulmani si impadronirono de
lla loro gran croce, detta "la Vera Croce", dove dicono che c' un pezzo del legno
su cui, secondo loro, fu crocifisso il Messia (38); e quella cattura fu per lor
o uno dei colpi pi gravi, che li rese certi di morte e rovina. I loro cavalieri e
fanti cadevano uccisi e prigionieri in gran copia, e il Re rimase sul colle con
centocinquanta cavalieri dei pi prodi e famosi.
Mi fu raccontato che al-Malik al-Afdal figlio di Saladino narr: "Ero al fianco di
mio padre in quella battaglia, la prima che vedessi coi miei occhi; quando il R
e dei Franchi si ridusse sul colle con quella schiera, fecero una carica tremend
a sui Musulmani che avevano di fronte, ributtandoli addosso a mio Padre. Io lo v
idi costernato e stravolto, afferrandosi la barba, avanzare gridando: 'Via la me
nzogna del demonio!', e i Musulmani tornare al contrattacco ricacciando i Franch
i sul colle. Al vedere indietreggiare i Franchi, e i Musulmani incalzarli, io gr
idai dalla gioia: 'Li abbiamo vinti!'; ma quelli tornarono con una seconda caric
a pari alla prima, che ricacci ancora i nostri fino a mio padre. Egli ripet il suo
atto di prima, e i Musulmani, contrattaccatili, li riaddossarono alla collina.
Tornai ancora a gridare: 'Li abbiamo vinti!', ma mio padre si volse a me e disse
: 'Taci, non li avremo vinti finch non cadr quella tenda!' e, mentre egli cos parla
va, la tenda cadde, e il Sultano smont da cavallo e si prostern in ringraziamento
a Dio, piangendo di gioia". La tenda era caduta cos: i Franchi avevan terribilmen
te sofferta la sete in quelle cariche, da cui avevan sperato uno scampo alla lor
o distretta, ma senza trovare la via di scampo sperata. Allora eran smontati da
cavallo, e si erano seduti per terra; e i Musulmani, venuti su, abbatterono la t
enda del Re, e li catturarono tutti fino all'ultimo, tra cui il Re (39), suo fra
tello, e il principe Arnt signore di al-Karak, di cui non c'era tra i Franchi pi a
ccanito nemico dei Musulmani. Catturarono anche il signore di Giubail, il figlio
di Honfroi, il Capo dei Templari che era uno dei massimi dignitari tra i Franch
i (40), e una schiera di Templari e Ospitalieri. La strage e la cattura furono c
os grandi fra loro che chi vedeva gli uccisi non credeva possibile che ne avesser
o catturato anche uno solo, e chi vedeva i prigionieri non credeva possibile che
anche un solo fosse stato ucciso. Dai tempi del loro primo assalto al litorale
di Siria, nell'anno 491 (1098) ad ora, mai i Franchi avevano subito una simile d
isfatta.
Quando furon tutti catturati, Saladino scese alla sua tenda, e si fece condurre
in sua presenza il Re dei Franchi e il Principe signore di al-Karak, facendo sed
ere il Re al suo fianco. Questi era morto di sete, e il Sultano gli fece mescere
dell'acqua ghiacciata; egli ne bevve, e porse il resto al Principe, che ne bevv
e anch'esso; ma Saladino disse:
"Questo maledetto non ha bevuto col mio permesso, s da avere da me vita salva", e
poi apostrof il Principe, gli rinfacci le sue colpe e contest i suoi torti, e infi
ne, levatosi, gli tronc il capo di sua mano. "Due volte, - disse, - avevo fatto v

oto di ucciderlo, se lo avessi avuto in mia mano: una quando volle marciare sull
a Mecca e Medina, e una seconda quando cattur a tradimento la carovana". Quando q
uegli fu ucciso, e poi trascinato e portato fuori, il Re prese a tremare, ma Sal
adino lo calm e rassicur. Quanto al Conte signore di Tripoli, allorch scamp come abb
iam detto dalla battaglia, venne a Tiro e di l si rec a Tripoli, ma stette solo po
chi giorni e mor di rabbia e rovello per il disastro che aveva colto i Franchi in
particolare, e in generale la fede cristiana tutta.
Consumata la disfatta dei Franchi, Saladino rimase l il resto di quel giorno, e i
l mattino della domenica torn a Tiberiade e la assedi. La signora del luogo mand a
chiedere sicurt per s e i figliuoli, i suoi compagni e i suoi averi, ed egli gliel
a concesse. Cos colei usc con tutto il suo seguito, e Saladino le mantenne la paro
la, onde ella si part senza esser molestata. Per ordine del Sultano, il Re e un g
ruppo dei pi ragguardevoli prigionieri furono inviati a Damasco, mentre i prigion
ieri Templari e Ospitalieri furono raccolti per essere uccisi. Il Sultano cap che
chi aveva con s uno di tali prigionieri non lo avrebbe consegnato, per la speran
za di ricavarne il riscatto, e offerse quindi per ogni prigioniero di quelle due
categorie cinquanta "dinr" egiziani: subito gliene furono presentati duecento pr
igionieri, che per suo ordine furono decapitati. Fece uccidere in particolare co
storo, perch erano i pi bellicosi fra tutti i Franchi; e cos ne sbarazz il popolo mu
sulmano, e scrisse al suo luogotenente a Damasco di uccidere quanti di loro capi
tassero in quella terra, suoi o d'altri che fossero, il che quegli esegu.
Io passai per il campo di battaglia circa un anno dopo, e vidi la terra tutta co
sparsa delle loro ossa, che apparivano sin da lontano, parte ammucchiate e parte
disperse; e questo oltre a tutte quelle che erano state portate via dai torrent
i e dalle fiere per quei colli e valli.
IL SULTANO SALADINO ENTRA CON L'ESERCITO NEL TERRITORIO DEI FRANCHI.
('IMAD AD-DIN, 18-29).
Il Sultano cominci al mattino nel campo la rassegna dell'esercito, pari a una nub
e grave di pioggia, a un mare tempestoso di polvere, a un oceano ondante di dest
rieri annitrenti, di brandi e corazze. Schier i suoi prodi e i suoi battaglioni,
trasse sul volto della terra la nuvola delle sue truppe, ne fece salire il polve
rio dalla terra alle Pleiadi, e volare i corvi, per la polvere, sino alla Vega.
La pianura ruppe il suggello del polverone, per le sciagure impendenti furon fis
sati i messaggi letali sui colombi viaggiatori della morte, le costole degli arc
hi anelarono a racchiudere in s qual portato le frecce, la freccia ricurva si pre
se cura della dritta, la scoccata fu unita alla ritorta; gli archi mantennero le
giurate vendette, e ogni battaglione insorse a conseguire la vendetta. Il giorn
o della rassegna, il Sultano si ferm a ordinar l'esercito, a distribuirlo in sezi
oni, a schierarlo da presso e da lontano. A ogni emiro assegn un compito, a ogni
prode un posto, a ogni fortunato campione una posizione, a ogni agguato un suo l
uogo, a ogni gagliardo un collegamento, a ogni tizzo ardente chi lo spegnesse, a
ogni compagnia chi la rovesciasse, a ogni pietra focaia chi la infiammasse, a o
gni lama chi l'aguzzasse; a ogni faccenda un ordine, a ogni arco un dardo, a ogn
i destra un brando, a ogni spada un'elsa, a ogni corridore una lizza, a ogni sco
rridore un riparo, a ogni arciere un obbiettivo, a ogni facente capo uno cui far
capo, a ogni elevantesi un luogo cui elevarsi, a ogni nome un oggetto. A ogni e
miro assegn un posto alla dritta o alla sinistra da cui non muoversi, donde il su
o corpo non doveva assentarsi n alcun di loro dipartirsi. Fece uscire da ogni bat
taglione i prodi arcieri di prima linea, raccomand a ogni reparto ci che lo poneva
in contatto con un altro reparto, e disse: "Quando entreremo nel paese del nemi
co, questo lo schieramento del nostro esercito, la forma del nostro avanzare e i
ndietreggiare, il posto dei nostri battaglioni, il sorgere dei nostri prodi, il
luogo ove calare le nostre lance e le vie ove dirigere le nostre briglie, le liz
ze dei nostri corsieri, il giardino delle nostre rose, il nostro posto d'azione
e l'impiego della nostra stazione, i bersagli del nostro desiderio, il teatro de
lle nostre evoluzioni". E rafforz le speranze con le somme delle sue elargizioni,

e realizz, adempiendo alle promesse e coronando gli intenti, il desiderio dei su


oi uomini. Raccolse le schiere e distribu le munizioni, don i destrieri e larghegg
i di doni, si occup dei donativi e dette gli ambiti premi, sparse tesori di doni e
vuot turcassi di frecce, spese le riposte riserve consumandone le parti pi elette
e migliori, e distribu fasci di frecce donde i soldati riportarono pi d'un carico
di turcasso. Fece correre i destrieri e produsse ampia messe di truppe; eccit i
gagliardi corsieri e fece testimoniare i testimoni; avvicend le virt degli squadro
ni e si propizi le simpatie delle spade; rafforz i taglienti brandi, abbever le ter
ribili lance; e fece ritorno alle sue tende lieto e contento, bene accetto e gra
dito, donato e ringraziato; dopo aver disposto e sistemato, ordinato in squadre
e plotoni, confermato e ben piantato, con opera pia, fondata speranza, diffuso p
rofumo, lucente viso, fragrante olezzo, radioso aspetto; certo della vittoria e
in saldo possesso della certezza; dicendo "amen" agli auguri sollecitanti quell'
"amen", traendo fausti auspici dalle bianche macchie dei suoi avventurati corsie
ri, chiaramente formulando la riscossione del debito della fede. Egli god della b
ellezza dei destrieri e delle voci di bene, e gio l'animo suo per la divisata mar
cia; serr le cinghie della fermezza, ferm una decisione recisa; fece sellare per i
l viaggio, e imbrigliare i cavalli arabi per traversare il deserto; e part il ven
erd diciassette rab' secondo (27 giugno 1187), accompagnato dal successo, assistit
o dalla perpetua sussistenza, spalleggiato dal potere, appoggiato dalla buona so
rte, accresciuto dalla fortuna, in compagnia della "felicitas", in conversazione
della gloria, in vicinanza della vittoria, coi ringraziamenti dell'Islm, con l'a
ppoggio di Dio eccelso. Egli proced col gi detto schieramento, di squadroni ordina
ti, plotoni affiancati, gradi ordinati, metodi sistemati, destrieri in lassa, fr
ecce letali in turcasso, spade a portata di mano, volpi sperimentate, brandi tag
lienti, corridori che batton gli zoccoli, e leoni sbranatori; e piant le tende a
Khisfn, l dove Iddio aveva avvicinato l'eclissi e il calo del nemico, l'oscurarsi
e scomparire della miscredenza. Ei trascorse la notte, tra i visi raggianti e gl
i occhi veglianti sulla via di Dio, le mani snudanti le spade possenti, le lingu
e ringrazianti per le grazie di Dio, i cuori fiorenti di devozione, le anime col
loquianti con l'amor divino, i piedi in reciproco appoggio e aiuto col Destino.
Al mattino si rimise in marcia e scese al Giordano alla terra di Uqhuwana, decis
o all'assalto e forte della sua difesa: il vasto mare (del suo esercito) circond
il lago di Tiberiade, mentre quella pianura si faceva angusta per le distese sue
tende. La terra si par delle nuove sue vesti, il cielo si apr per far scender gli
angeli dalle sue porte; le navi delle tende gettarono l'ancora su quelle distes
e, e i battaglioni dilagarono ondata su ondata. Si form uno spesso cielo di polve
re, in cui sorsero le stelle dei ferri e calci delle lance. Uqhuwana fu mutata i
n floride aiuole e fiorenti verzieri, di bai destrieri e cavalieri come leoni fi
eri, di spade falcate come arcate di mirto, di brandi del Yemen come alberi di g
iardini, di gialle bandiere sventolanti pennoncelli di gelsomino, e stendardi ro
ssi come anemoni, ed ampie cotte di maglia, lucide come stagni, di spade polite
bianche come rivi, di frecce impennate, azzurre come uccelli e ricurve come rami
, di caschi lucenti come dentature odoranti di camomilla, di bolle d'elmi su mar
i di loricati, di destrieri come aquile annitrenti, che deliziavano ed entusiasm
avano lo sguardo e l'udito.
I Franchi frattanto avevano schierato i loro stendardi a Saffuriyya, avevan disp
iegato le bandiere, e gettato sui flutti dei magri ribollenti destrieri i ponti
dei giavellotti, e acceso nelle tenebre della insorta polvere le faci delle spad
e, e drizzate a colpire i nemici le intenzioni dei brandi, traendo i lor cerchi
intorno ai loro centri, proteggendo coi loro arcieri le loro spade. Avevan racco
lto la loro marmaglia, schierato l'esercito, afforzati gli animi, raccozzati cav
alieri e fanti, lancieri ed arcieri, spiegati al vento i pennoncelli delle lance
, congregati i campioni dell'errore, alzata la "Vera Croce", intorno a cui si er
an stretti gli adoratori del falso dio, i farneticanti di natura umana e divina.
Avevan fatto il bando nei paesi degli Ipostatici (41), levato in alta adorazion
e la somma croce: nessuno che avesse (anche solo) un bastone si era ricusato all
'appello, ed erano usciti fuor d'ogni novero e computo, numerosi come i ciottoli
, oltre cinquantamila o ancor pi, con tutte le loro insidie. Si eran dati convegn
o a Sa'd, e ivi eran convenuti di vicino e lontano: col si stavano, senza voler mu

oversi n dipartirsi; e il Sultano Saladino ogni mattina marciava alla lor volta,
e li dominava e bersagliava, e molestava e affrontava perch lo affrontassero, e t
entassero di rimuovere dai loro colli le sue spade e dalle lor gole i suoi torre
nti: ma essi si stavano acquattati senza balzare, seduti senza sorgere; ch se fos
sero venuti fuori sarebbe venuta fuori la morte a far strage nei loro giacigli,
e avrebbero visto chi li avrebbe abbattuti trascinandoli alla morte. Essi erano
sgomenti della situazione in cui eran caduti, e rifuggivan vilmente da ci cui si
eran fatti arditi. Allora il Sultano volle bagnarsi nelle acque di Tiberiade, e
dominarne il territorio a lancia e spada, possedendone la terra, insignorendosi
del suo regno: trasse quindi al Giordano le maniche delle lance, e fece sorger d
al lago la polvere con gli zoccoli dei destrieri, con cui trov facile e non arduo
il coglier di sorpresa le belle Arabe. Ordin quindi alle sue truppe, agli emiri
e capi del suo esercito, di postarsi di fronte ai Franchi, e di ridurli dall'agi
o alle strette. Se essi fossero usciti a battaglia, loro si sarebbero lanciati a
trarne giusta vendetta, e se si fossero mossi da qualche parte, sarebbero balza
ti loro addosso come i leoni con le lepri. Se infine avessero cercato di raggiun
ger Tiberiade per difenderla, e porgerle aiuto, essi ne avrebbero data immediata
notizia, perch si procedesse immediatamente ad attaccarli.
PRESA DI TIBERIADE.
Saladino invest Tiberiade coi suoi pi intimi e fidi, fece avanzare i fanti e zappa
tori, i Khurasan e gli artiglieri, ne circond le mura e prese a demolirne l'abitat
o, dandole seria battaglia e non risparmiandole il combattimento. Era questo di
gioved, stando egli a capo dell'esercito. Gli zappatori cominciarono a minare un
bastione, che demolirono e abbatterono, su cui salirono e di cui si impadroniron
o. Scese la notte, mentre spuntava l'aurora della vittoria, e si addensava sul n
emico la notte dei guai. La cittadella si difese, con la Contessa signora di Tib
eriade ivi rinchiusa con i suoi figli. Quando il Conte seppe della presa di Tibe
riade e della sua terra, ne rimase costernato, e perdette la sua fermezza, rimet
tendosi completamente nelle mani dei Franchi. "Da oggi in poi, - egli disse, - n
on si pu pi rimanere inerti, e dobbiamo a ogni costo ricacciare il nemico. Presa T
iberiade, presa tutta la terra, perduto ogni avere di recente e avito acquisto;
io non mi posso rassegnare, n posso riparare a questa batosta" (42). Il Re, allea
tosi con lui, non gli fece opposizione, ma anzi consent senza ipocrisia, con schi
etto e non simulato affetto, amicamente e senza repulsa. Gli di quindi precisa pr
omessa senza farselo dir due volte, e si mise in marcia con il suo esercito e il
suo occhio ed udito, con i suoi draghi e demoni, bestioni e lupi, coi seguaci d
el suo errore e la setta del suo malfare. La terra vacillava sotto la sua marcia
, il cielo si annuvolava per la polvere da lui sollevata. Venne la notizia che i
Franchi eran montati a cavallo, che si erano messi in moto con le schiere della
loro costanza, che eran balzati all'assalto schierati in battaglia e dilaganti,
strisciando innanzi a difesa, accendendo il fuoco di guerra, rispondendo all'ap
pello della vendetta, accorrendo per giungere alle loro case, e questo il venerd
ventiquattro rab' secondo. Appena trovata vera la notizia, il Sultano ferm verace
decisione secondo il suo precedente giudizio, e si alliet all'apprendere della lo
ro marcia: "S' realizzato il nostro obbiettivo, - disse, - stata perfettamente es
audita la nostra domanda, giunto a noi ci che volevamo. Grazie a Dio, noi avremo
ora rinnovata fortuna, acuto taglio di spada, gagliardo valore, pronta vittoria.
Se essi saran veramente disfatti, uccisi e catturati, Tiberiade e tutto il lito
rale non avran pi chi li difenda, e ne impedisca la conquista".
Cos chiese a Dio di mandare il meglio, e si mise in marcia, lasciato ogni indugio
. Venne il venerd ventiquattro rab' secondo, e i Franchi erano in marcia su Tiberi
ade con tutte le loro forze, come se la lor parte pi bassa fosse al sommo del col
le: fluttuavano le loro masse, fervevano i loro leoni, volavano i loro avvoltoi,
si levavano le loro grida, l'orizzonte era chiuso dalle loro nubi, i lor crani
anelavano a coloro che li avrebbero colpiti. Sembravano montagne in marcia, mari
traboccanti dalle onde cozzanti, dalle schiere accalcantisi, dalle vie d'access
o ribollenti, dai barbari guerrieri mutilati. L'aria puzzava, la luce si assotti

gliava, il deserto rintronava, la pianura si dissolveva, il destino impendeva, l


e Pleiadi chiedevan la visita della polvere, le gualdrappe striscianti dei destr
ieri avevano affinata la terra, gli zoccoli incalzanti scavavano il terreno, i c
avalieri rivestiti di maglia andavano a viso aperto tra le spade, i lupi dei bra
nchi e i gagliardi della mischia eran carichi di ogni apparato di guerra, e comp
letavano ogni numero. Di fronte a loro il Sultano schier i suoi battaglioni, e re
strinse ogni suo intento a combatterli; si fece loro incontro con il suo esercit
o e ne sorvegli per la carica l'avanzata, tagli loro l'accesso all'acqua e preclus
e loro i pozzi riducendoli agli estremi; li allontan a fendenti dallo scendere al
l'acqua, e li spacc in due tenendoneli lontani. Ci avveniva in un giorno ardente,
ardendo essi stessi d'ira, con la canicola bruciante dall'incessante ardore, che
aveva bevuto tutta la sua provvista d'acqua ed era incapace di resistere alla s
ete.
La notte divise i due contendenti, e la cavalleria sbarr entrambe le vie. L'Islm p
ass la notte a fronte della miscredenza, il monoteismo combattendo il trinitarism
o, la giusta via sorvegliando l'errore, la fede oppugnando il politeismo, mentre
si apprestavano i vari gironi d'inferno, e si felicitavano i vari gradi del par
adiso, e Malik (custode d'inferno) attendeva e Ridwn (custode di Paradiso) si all
ietava. Finch, quando spunt l'alba e brill il mattino, quando l'aurora fece sgorgar
e i fiumi di luce del giorno, e il clangor delle trombe spavent il corvo della po
lvere, quando le spade si svegliarono nei foderi e si infiammarono le aste arden
ti, quando gli archi si ridestarono e avvamp il fuoco, e fu sguainata la lama, e
tolto via ogni indugio - allora gli arcieri presero ad abbruciare con le cuspidi
ardenti i destinati al fuoco infernale, e ronzaron gli archi e cantarono le cor
de, e danzarono le flessibili aste dei prodi, disvelando le spose della mischia;
e le bianche spade apparvero nude fuor della guaina tra la folla, e le brune la
nce si pascerono del loro foraggio delle reni. Allora i Franchi sperarono un sol
lievo, e la loro schiera messa alle strette cerc una via d'uscita: ma a ogni loro
sortita eran trafitti, e tormentati dall'ardor della guerra, pur senza cessare.
Caricarono assetati, non avendo altra acqua che l'"acqua" delle lame da essi im
pugnate. I fuochi delle frecce li arrostirono e ferirono, le dure impugnature de
gli archi li presero tenacemente di mira, e li colpirono a morte. Furon ridotti
all'impotenza e sloggiati, messi alle strette e scacciati, e a ogni lor carica e
ran respinti e trucidati, e a ogni lor moto ed attacco eran catturati e legati.
Neanche una formica di loro pot strisciar via, e non ci fu carica che valesse a d
ifenderli. Avvamparono e si agitarono, arsero e bruciarono. Le frecce li oppugna
rono e i leoni di tra loro si mutarono in ricci, i dardi li oppressero allargand
o in loro ampi squarci. Essi cercaron rifugio sul colle di Hittn, che li protegge
sse dal diluvio della rovina, e Hittn fu circondata dagli stendardi della distruz
ione. Le lame dei brandi succhiaron loro la vita, e li sparsero su per le codine
, gli archi li bersagliarono, le sorti ferali li scortecciarono, le calamit li st
ritolarono, le sciagure li punteggiarono; divennero bersaglio della morte e pred
a del destino. Quando il Conte si accorse della disfatta, mostr aperto il suo cor
doglio, rinunzi a ogni energia, e pens a un espediente di fuga: ci avvenne prima an
cora che il grosso si scompigliasse e la brage avvampasse, prima che la guerra a
rdesse e la calura flagrasse; cos egli usc con la sua schiera cercando una via d'u
scita, e ripar per via traversa al uadi, non amando fermarsi; and via come un bale
no, allungando i gran passi della sua stoltezza prima che lo squarcio troppo si
allargasse; e sfugg con un piccolo numero dei suoi, senza rivolgersi indietro per
un ritorno all'assalto. Egli si assent cos alla presenza della mischia, colto dal
terrore invincibile che lo indusse a fuggire. Indi riarse la zuffa e si incroci
arono i colpi di lancia e di spada, e i Franchi furon torno torno circondati e a
vviluppati e accerchiati: essi cominciarono a drizzare le tende, e a raccogliere
le loro ordinanze, piantando i lor padiglioni in Hittn, mentre le punte dei prod
i arcieri sbrecciavano le loro spade: ma furori prevenuti dal piantare e drizzar
le tende, e distolti dalle radici e dai rami della vita. Sperando un vantaggio,
si appiedarono dai corsieri, e combatterono tenacemente, ma le spade li travols
ero come travolge un torrente, e il nostro esercito li circond come il fuoco infe
rnale circonda i dannati; ricorsero infine a sellare il terreno, e la lor cinghi
a giunse ai capezzoli della pianura (43).

Fu preso il demonio e le sue schiere, fu catturato il Re coi suoi Conti, e il Su


ltano sed a passare in rassegna i maggiori prigionieri, che avanzavano barcolland
o tra i ceppi come barcollan gli ubriachi. Fu tratto innanzi col suo malanno il
Capo dei Templari, con gran numero di loro e degli Ospitalieri. Fu presentato il
Re Guy e suo fratello Geoffroi, e Ugo signore di Giubail, e Honfroi; e il princ
ipe Arnt signore di al-Karak, che fu il primo a cader nella rete. Il Sultano avev
a votato il suo sangue, e aveva detto: "Quando lo trovo, mi affretter a spacciarl
o". Presentato che fu al suo cospetto, lo fece sedere fianco a fianco col re, lo
rimprover del suo tradimento, e gli ricord la sua colpa, dicendogli: "Quante volt
e giuri e manchi al tuo giuramento, quanti impegni assumi e trasgredisci, quanti
patti fai e disfai, e accedi a un accordo e poi ne recedi!" E l'interprete tras
mise questa sua risposta: "Tale stato sempre il costume dei re, n io ho battuta a
ltra via da quella generalmente seguita". Il Re frattanto moriva di sete, e vaci
llava ebbro dallo spavento, ma il Sultano gli rivolse affabilmente la parola, ca
lm l'impeto del terrore che l'aveva assalito, tranquillizz il suo sgomento, rassic
ur il suo cuore: gli fu portata dell'acqua ghiacciata, che spense la sua arsura e
rimosse la sete che lo tormentava. Egli la porse poi al Principe perch spegnesse
anche la sua sete, e quei la prese dalla sua mano e la bevve. Ma il Sultano dis
se al re: "Tu non hai avuto da me alcun permesso di dargli da bere, e ci non impl
ica quindi sicurt a lui da parte mia". Mont quindi a cavallo e li lasci a rosolarsi
nel fuoco della paura; n smont da cavallo finch non fu alzato il suo padiglione, e
piantati i suoi stendardi e bandiere, e tornate le sue truppe dalla mischia all
a base. Entrato allora nel suo padiglione, si fece condurre il Principe, si lev d
i contro a lui con la spada, e lo colp all'omero, e allorch quegli cadde ordin gli
fosse troncato il capo. Fu quindi tratto via per i piedi e portato fuori, e ci in
presenza del Re che ne fu sgomento e turbato. Il Sultano si accorse che questi
era stato preso dalla paura, e assalito dallo sgomento e dalla costernazione; e
lo chiam a s, se lo fece avvicinare, lo rassicur e tranquillizz, gli dette agio di s
targli accanto e lo calm, dicendogli: "Costui lo ha rovinato la sua malvagit, e lo
ha ridotto come vedi la sua perfidia. E' perito per il suo errore e malfare, l'
acciarino della sua vita si spento e la fonte della sua esistenza si disseccata"
.
Questa disfatta nemica, questa nostra vittoria si comp di sabato, e l'umiliazione
di quei del Sabato fu inflitta a quei della Domenica, che erano leoni, e si rid
ussero misere pecore (44). Di quelle migliaia non scamparono che poche unit, e di
tutti quei nemici solo un piccolo numero si salv. La piana si riemp di prigionier
i e di morti, che scoperse dissipandosi la polvere, al rivelarsi della vittoria.
I prigionieri furono avvinti in vincoli, coi cuori palpitanti, e i morti furono
sparsi pei monti e le valli giacendo sui lor immobili fianchi. Hittn si scaric di
dosso quelle carcasse, e l'olezzo della vittoria fu profumato del loro puzzo. I
o passai loro accanto, e trovai le membra dei caduti gittate ignude sul campo di
battaglia, disperse in pezzi sul luogo dello scontro, dilacerate e disarticolat
e, coi capi spaccati, i colli troncati, i lombi spezzati, le cervici triturate,
i piedi in pezzi, i nasi mutilati, le estremit strappate, le membra smembrate, le
parti tagliuzzate, gli occhi cavati, i ventri sventrati, le chiome tinte di san
gue, i precordi tagliati, le dita affettate, i toraci spaccati, le costole schia
cciate, le articolazioni dislocate, i petti frantumati, le gole spezzate, i corp
i tagliati a met, le braccia maciullate, le labbra contratte, le fronti sfondate,
i ciuffi invermigliati, i pettorali insanguinati, le costole trapassate, i cubi
ti slogati, le ossa rotte, i veli strappati, i volti spenti, i danni patenti, le
epidermidi scorticate, i pezzetti decimati, i capelli sciolti, i dorsi sbucciat
i, il corpo disfatto, i denti spezzati, il sangue sparso, l'ultimo fiato di vita
sopraffatto, le cervici cadenti, le giunture mollate, le pupille liquefatte, i
colli pendenti, i fegati sbriciolati, le cosce recise, le teste fracassate, i pe
tti scorticati, gli spiriti involati, i fantasimi (stessi) frantumati: come piet
re fra pietre, esempio per chi sa vedere (45). Quel campo di battaglia divent un
oceano sanguigno, la polvere fu colorata in rosso, corsero effusi rivi di sangue
, il volto della pura fede si discopr libero da quelle tenebrose brutture. Oh dol
ci effluvi della vittoria su quella nequizia! Oh ardenti punte del castigo su qu
elle carcasse! Oh dolce conforto dei cuori, per la bruttura di quella baraonda!

Oh soddisfacenti preghiere, alle liete nuove di un simile evento! Tale il comput


o degli uccisi, che le lingue dei popoli tutti sarebbero incapaci di contare e n
umerare; e quanto ai prigionieri, le corde delle tende non bastarono a legarli e
avvincerli, e io ne vidi trenta e quaranta a un'unica corda, condotti da un sol
cavaliere, e in un unico posto cento e duecento custoditi da un unico guardiano
. Ivi i ribelli stavan prigioni, i nemici ignudi, i sovrani catturati, gli alti
personaggi in umile loco, i conti ridotti a selvaggina, i cavalieri a preda, gli
animi di gran pregio rinviliti, le facce degli infermi Templari erano aggrondat
e, le teste eran calcate sotto la pianta dei piedi, la buona fortuna dei corpi t
roncata e spacciata: quanti superbi furon presi, quanti duci legati e menati, qu
anti politeisti digrignanti i denti, e infedeli pensosi, e trinitari fatti in du
e, ed empi indagatori di Dio con le braccia avvinte, e feritori feriti, e piagat
ori piagati, e re fatti schiavi, e profanatori profanati, e ruinatori stroncati,
e manomissori manomessi, e pezzi grossi in ceppi, e violenti in vincoli, e libe
ri in servit, e seguaci dell'errore in mano ai seguaci della verit!
CATTURA DELLA GRAN CROCE.
IL GIORNO DELLA BATTAGLIA.
Appena preso il Re, fu presa la "Vera Croce", e sgominati in sua difesa gli idol
atri. Questa era quella che quando era drizzata e piantata e alzata, ogni cristi
ano le si prosternava e inchinava. Essi sostengono infatti che sia fatta del leg
no su cui sostengono sia stato crocifisso colui che adorano, e perci la venerano
e le si prosternano. L'avevano incastrata in una teca d'oro, e coronata di perle
e di gemme, e la tenevan preparata per la festivit della passione, per la solenn
it della ricorrente lor festa. Quando i preti la cavavan fuori, e le teste (dei p
ortatori) la trasportavano, tutti accorrevano e si precipitavano verso di lei, n
ad alcuno era lecito rimanerne indietro, n chi si attardasse a seguirla poteva pi
disporre di s. La sua cattura fu per loro pi grave che la cattura del Re, e costit
u il maggior colpo che subirono in quella battaglia: ch la croce fu la preda insos
tituibile, di l dalla quale essi non avevano altro obbiettivo, e il venerar la qu
ale era loro un prescritto dovere, essendo essa il loro dio, dinanzi a cui si pr
osternavano a terra le loro fronti e cui inneggiavano le loro bocche. Essi veniv
an meno al suo apparire, si cavavan gli occhi per contemplarla, si struggevano a
lla sua esibizione, a nulla pi badavano quando l'avevan veduta, andavano in estas
i al suo rinvenimento, offrivan per essa la vita e da essa cercavan sollievo, ta
nto che avevan foggiato a sua somiglianza altre croci da essi adorate, cui si pr
ostravano nelle lor case e che invocavano quali testimoni. Perci quando questa Gr
an Croce fu presa, grande fu la calamit che li colse, e si fiaccarono i loro lomb
i. Enorme fu la massa sconfitta, e nobile la situazione dell'esercito vittorioso
. Parve che, saputo dell'uscita di quella Croce, nessuno di coloro fosse rimasto
indietro dalla infausta loro giornata: perirono perci di morte e prigionia, e fu
ron vinti di forza e violenza. E il Sultano si accamp nella piana di Tiberiade co
me il leone nel deserto, e la luna nel pieno del suo fulgore.
CONQUISTA DELLA ROCCA DI TIBERIADE.
Egli deput alla sua rocca chi ne ricev la resa con patto di vita salva, e vi insed
i la fede dopo la miscredenza che l'aveva abitata. La Dama, signora di Tiberiade,
l'aveva difesa, trasportandovi ogni sua propriet ed avere. Egli le dette sicurt p
er i suoi compagni e i suoi averi, ed ella usc con le sue donne e uomini e bagagl
i, andandosene con tutta la sua roba a Tripoli, la terra del Conte suo marito. T
iberiade torn cos popolata e sicura con la gente della fede, e fu nominato suo gov
ernatore Sarim ad-din Qaimz an-Nagmi, un dei maggiori dignitari. Saladino se ne s
tava frattanto accampato fuor di Tiberiade, dopo aver curato del suo male l'uman
it intera, mentre il suo esercito ricopriva tutta la pianura.

TRATTAMENTO INFLITTO DA SALADINO A TEMPLARI E OSPITALIERI TRONCANDO LORO IL CAPO


E RALLEGRANDO TUTTI COL LORO STERMINIO (46).
Al mattino del luned diciassette rab' secondo, due giorni dopo la vittoria, il Sul
tano fece cercare dei prigionieri Templari e Ospitalieri, e disse: "Purificher la
terra di queste due razze impure". Assegn quindi cinquanta "dinr" a chi ne avesse
addotto uno prigioniero, e subito l'esercito ne addusse a centinaia. Egli ordin
fossero decapitati, preferendo l'ucciderli al farli schiavi. C'era presso di lui
tutta una schiera di dottori e sufi, e un certo numero di devoti e asceti: ognu
no chiese di poterne ammazzare uno, e sguain la spada, e si rimbocc la manica. Il
Sultano era assiso con lieto viso, mentre i miscredenti eran neri, le truppe sta
vano schierate, gli emiri ritti in doppia fila. Ci fu chi fendette e tagli netto,
e ne fu ringraziato; e chi si ricus e fall, e fu scusato; e chi fece ridere di s,
e altri prese le sue veci. Vidi l chi sghignazzava e ammazzava, chi diceva e face
va: quante promesse ademp, quante lodi acquist, e premi perpetui si assicur col san
gue fatto versare, e opere pie si aggiudic con un collo da lui troncato! Quante l
ame tinse di sangue per una ambita vittoria, quante lance brand contro un leone d
a lui catturato, quante infermit cur col rendere infermo un Templario, quante forz
e don a duci che rinforz, e bandiere dispieg per sciagure che ripieg, e miscredenze
uccise per dar vita all'Islm, e politeismi distrusse per edificare il Monoteismo,
e decisioni spinse a fondo per dar soddisfazione alla Comunit dei credenti, e ne
mici stronc per difendere amici!
Il Sultano sped a Damasco il Re dei Franchi e suo fratello, e Honfroi, e il signo
re di Giubail, e il Capo dei Templari, e tutti i loro gran baroni catturati, per
essere col imprigionati, e immobilizzati dopo tanto agitarsi; e l'esercito si di
sperse d'ogni parte con i prigionieri in sua mano, e la brage dei Miscredenti co
ngregati langu e si spense.
Riconquista di Gerusalemme.
(IBN AL-ATHIR, XI, 36l-66).
Quando Saladino ebbe ultimato la conquista di Ascalona e terre circonvicine, fec
e uscir d'Egitto, ove aveva mandato ordini in tal senso, la flotta egiziana con
buon nerbo di combattenti, comandati da Husm ad-din Lu'lu' al-Hagib, noto per cor
aggio, energia e felice iniziativa. Questa forza prese a incrociare per mare int
ercettando le comunicazioni dei Franchi: ogni loro bastimento che vedevano lo pr
edavano, e ogni galera la catturavano. Giunta che fu la flotta, e rassicuratosi
da quella parte, Saladino marci da Ascalona su Gerusalemme: quivi era il loro ven
erato Patriarca (47), ancor pi autorevole del re stesso, e c'era anche Balin ibn B
arzn signore di ar-Ramla (48), di grado quasi uguale a quello del re, e i lor cav
alieri superstiti di Hittn, ivi concentratisi. Vi si era anche raccolta la gente
di quelle parti, Ascalona eccetera, risultandone un gran raduno d'uomini, ognun
dei quali preferiva la morte al vedere i Musulmani insignorirsi e ritoglier loro
Gerusalemme: il sacrifizio della vita, degli averi e dei figli faceva parte per
costoro del loro dovere di difendere quella citt. La fortificarono dunque in que
i giorni con ogni disponibile mezzo, e saliron tutti quanti sulle sue mura, deci
si a difenderla con ogni loro forza, manifestando ferma intenzione di combattere
in sua difesa quanto pi avessero potuto: rizzarono perci le catapulte per impedir
l'accesso a chi avesse voluto avvicinarsi e investir la citt.
All'approssimarsi del Saladino, un emiro avanz con un suo corpo di truppe senza p
recauzioni e senza guardarsi: lo affront un corpo di Franchi usciti da Gerusalemm
e in avanscoperta, e appiccatosi il combattimento lo uccisero con un certo numer
o dei suoi, a gran rincrescimento e dolore dei Musulmani. Sulla met di ragiab (se
ttembre 1187), essi investirono Gerusalemme: al giungervi, videro sulle sue mura
una folla d'uomini spaventevole, e udirono tale un chiasso e un rumore provenie
nte dall'interno, dai suoi abitanti, da indurne la quantit di gente che doveva es
servi raccolta. Per cinque giorni Saladino and perlustrando intorno alla citt per
veder di dove assalirla, essendo essa quanto mai forte e munita; e non trov altro

luogo per oppugnarla che da settentrione, verso Bab 'Amuda e la Chiesa di Sion.
Si trasfer quindi da quella parte ai venti di ragiab, e vi rizz la sera stessa le
macchine d'assedio. L'indomani mattina, queste eran tutte montate, e presero a
batter le mura, da cui i Franchi rispondevano con altre macchine ivi rizzate. In
furi il pi duro combattimento che si fosse mai visto: ognuna delle due parti consi
derava il combattere un obbligo religioso e perentorio, per cui non avevan bisog
no di alcun impulso di superiore autorit, ma trattenuti non si lasciavan trattene
re, e ricacciati non si lasciavan ricacciare. La cavalleria franca usciva ogni g
iorno fuor delle mura a combattere e provocare a battaglia: caddero cos parecchi
da ambe le parti, e tra chi incontr il martirio tra i Musulmani ci fu l'emiro 'Iz
z ad-din Isa ibn Malik, uno dei maggiori emiri, figlio del signore di Gia'bar, c
he ogni giorno affrontava personalmente il combattimento, e cadde passando alla
misericordia di Dio altissimo: uomo caro a grandi e piccoli tra i Musulmani, cui
molto increbbe e dolse il vederlo cadere. Caricarono perci tutti come un sol uom
o, sloggiarono i Franchi dalle loro posizioni e li ricacciarono in citt: giunti a
l fossato, i Musulmani lo varcarono e si strinsero sotto le mura, in cui cominci
arono a far breccia sotto la protezione degli arcieri e del tiro continuo delle
artiglierie, per tener sgombre le mura dai Franchi e permettere ai Musulmani di
aprire la breccia: e aperta che l'ebbero, la riempirono dei soliti ingredienti (
48).
Quando i Franchi videro il vigore d'attacco dei Musulmani, il tiro ininterrotto
e gagliardo delle macchine d'assedio, gli zappatori intenti senza ostacolo ad ap
rire la breccia, e s ridotti agli estremi, i lor capi si raccolsero a consiglio s
ul da farsi, e decisero di chieder sicurt e render Gerusalemme a Saladino. Mandar
ono quindi una deputazione dei loro grandi e notabili a chieder sicurt; ma quando
ne parlarono al Sultano, egli si rifiut di accedere alla richiesta: "Non agir con
voi, - diss'egli, - altrimenti da come agiste voi con la popolazione di Gerusal
emme quando la conquistaste nel 492 (1099), ammazzando e facendo schiavi e simil
i sevizie!" Tornati i messi a mani vuote, Balin ibn Barzn mand a chiedere un salvac
ondotto per s personalmente, onde presentarsi a Saladino e discutere e definire l
a faccenda. Ottenuto l'assenso, si present al Sultano e torn a impetrare sicurt gen
erale per la resa, senza che il Sultano cedesse alle sue sollecitazioni e domand
e di misericordia. Disperando alfine di questi mezzi, egli disse: "Sappi, o Sult
ano, che noi siamo in questa citt in gran numero, che Dio solo conosce: tutti son
o ora tiepidi a combattere per la speranza di aver salva la vita, credendo di ot
tenerla da te cos come ad altri l'hai concessa: e ci per repugnanza alla morte e a
mor della vita. Ma se vedremo inevitabile la morte, perdio noi uccideremo i nost
ri figli e le nostre donne, e bruceremo le nostre robe, di cui non vi lasceremo
far bottino d'un solo "dinr" n d'una dramma, n catturare e far schiavo un uomo n una
donna sola. Ci fatto, ridurremo in rovina il Santuario della Roccia e la Moschea
al-Aqsa e gli altri luoghi sacri, ammazzeremo i prigionieri musulmani che abbia
mo, e sono cinquemila, non lasceremo una cavalcatura e un animale presso di noi
senza ucciderlo, e poi usciremo tutti contro di voi a combattervi, come chi si b
atte per la vita, quando l'uomo prima di cadere ucciso uccide i suoi simili; e m
orremo con onore, o nobilmente vinceremo!" Saladino si consigli allora con i suoi
, che gli consigliarono tutti di conceder loro la richiesta sicurt, senza costrin
gerli a passi estremi di imprevedibile esito: consideriamoli, dissero, gi nostri
prigionieri, e diamo loro di riscattarsi alle condizioni che saranno ora fermate
tra noi e loro. Allora il Sultano consent a dar sicurt ai Franchi, restando fissa
to che ogni uomo, ricco o povero del pari, avrebbe pagato dieci "dinr", i bambini
maschi e femmine due "dinr", le donne cinque "dinr". Chi avesse versato questa so
mma entro quaranta giorni sarebbe andato libero, e chi allo spirar dei quaranta
giorni non avesse pagato il suo debito sarebbe divenuto schiavo. Balin ibn Barzn o
ffr trentamila "dinr" per il riscatto dei poveri, che furono accettati; e la citt f
u resa il venerd ventisette ragiab (2 ottobre 1187), memorabile giorno, in cui le
bandiere musulmane furono alzate sulle sue mura. Saladino stabil a ogni porta de
lla citt un emiro fiduciario per riscuotere dalla popolazione la somma di riscatt
o loro fissata; ma costoro frodolentemente adempirono all'incarico di fiducia lo
ro affidato e si divisero tra loro il denaro che and disperso, mentre se fosse st
ato fedelmente rimesso avrebbe riempito le casse dello stato e ne avrebbero tutt

i beneficiato: vi erano infatti in Gerusalemme esattamente sessantamila tra cava


lieri e fanti, oltre alle donne e bambini al loro seguito: cifra che non deve st
upire, essendo la citt grande ed essendovisi raccolta gran gente da Ascalona, Darm
, Ramla, Gaza e altre localit, tanto da riempirsene le strade e le chiese al punt
o che uno non poteva camminare. Un indizio del loro gran numero che la pi parte p
ag la somma di riscatto stabilita, e Balin ibn Barzn mise in libert diciottomila per
sone per cui pag trentamila "dinr", e dopo tutto questo rimasero, di chi non aveva
di che pagare e fu preso prigione, esattamente fra uomini donne e bambini sedic
imila persone.
Un certo numero di emiri sostenne che alcuni sudditi dei loro feudi militari ris
iedevano in Gerusalemme, e loro li mettevano in libert riscuotendone essi la tass
a. Altri emiri vestivano i Franchi in abito di soldati musulmani, li facevano us
cire dalla citt, e ne riscuotevan loro una tassa da essi stabilita. Altri chieser
o in dono a Saladino un certo numero di Franchi, ed egli li don loro, ed essi ne
riscossero la tassa. Insomma alle casse del Sultano non pervenne che una piccola
somma.
C'era a Gerusalemme una dama gi moglie di un re dei Rum, fattasi monaca (50) e iv
i stabilitasi, con gran seguito di domestici e servi e ancelle, e una quantit di
ricchezze e pietre preziose. Ella chiese salvacondotto per s e i suoi, e Saladino
glielo concesse e la fece partire. E cos anche mise in libert la regina di Gerusa
lemme (51), il cui marito, fatto prigioniero da Saladino, era diventato re dei F
ranchi per cagion di lei, e quale suo luogotenente teneva il regno; il Sultano l
asci libera del pari la sua roba e il suo seguito, ed ella gli chiese il permesso
di riunirsi con suo marito, che era allora prigioniero nella rocca di Naplusa;
e avutolo, si rec da lui e si stette con lui. Si present anche al Sultano la mogli
e del principe Arnt signore di al-Karak, quello che Saladino aveva ucciso di sua
mano il giorno della battaglia di Hittn, intercedendo per un suo figliuolo prigio
niero (52). Saladino le disse: "Se consegni al-Karak, lo lascer libero". Ella si
rec ad al-Karak, dove i Franchi per non le diedero retta e non resero la rocca; e
Saladino non le rilasci il figliuolo, ma s il suo denaro e il suo seguito.
Lasci la citt il gran Patriarca dei Franchi, con i tesori delle chiese, la Roccia,
al-Aqsa, la Resurrezione e altre, tesori che Dio solo sa quanti fossero, e altr
ettanto denaro. Saladino non gli fece difficolt alcuna, e, quando gli fu consigli
ato di sequestrare tutta quella roba a vantaggio dei Musulmani, rispose che non
gli avrebbe mancato di parola: non prese da lui altro che dieci "dinr", e lasci pa
rtire il tutto ben scortato per la citt di Tiro.
Al sommo della cupola della Roccia c'era una gran croce dorata. Quando i Musulma
ni il venerd entrarono nella citt, alcuni si arrampicarono in cima alla cupola per
svellerne la croce; saliti che furono, tutti levarono a una voce un grido, dall
a citt e da fuori, Musulmani e Franchi: i Musulmani gettarono un "Allh akbar" di g
ioia, i Franchi gridarono di costernazione e di dolore, e ne risult un grido che
fece tremare la terra, tanto fu alto e possente.
Insignoritosi della citt e dopo che gli Infedeli la ebbero lasciata, Saladino ord
in che gli edifizi fossero riportati al loro pristino stato. I Templari avevano e
retto a ponente di al-Aqsa delle costruzioni per loro abitazione, con granai e l
atrine e altri necessari servizi, incorporando parte di al-Aqsa in quei loro edi
fizi; e il luogo fu riportato al suo pristino stato. Il Sultano ordin che la Mosc
hea e la Roccia fossero nettate di ogni sozzura, e tutto ci fu fatto. Quindi, il
susseguente venerd quattro di sha'bn (9 ottobre), i Musulmani vi compirono la preg
hiera comune del venerd, insieme a Saladino, che fece la preghiera (anche) nella
Moschea della Roccia (53), essendo predicatore e imm Muhyi ad-din ibn az-Zaki, ca
di di Damasco. Poi Saladino vi nomin un predicatore e imm (ordinario) per le cinqu
e preghiere canoniche, e ordin fosse apprestato per lui un pulpito; gli fu detto
che Norandino ne aveva fatto fare ad Aleppo uno, che aveva ordinato agli artigia
ni di abbellire e costruire di eccellente fattura, dicendo: "Questo lo abbiam fa
bbricato per rizzarlo in Gerusalemme", e i falegnami lo avevan costruito in un c
erto numero d'anni, tale che in tutto l'Islm non ce n'era l'uguale. Saladino ordi
n allora di farlo venire, e fu portato da Aleppo e rizzato in Gerusalemme, a pi di
vent'anni dalla sua costruzione: era stato quello uno degli atti nobili di Nora
ndino, e delle sue opere buone, Dio abbia misericordia di lui! (54). Compiuta la

preghiera del venerd, Saladino ordin di restaurare la moschea di al-Aqsa, dando o


gni opera ad abbellirla e ornarla di lastre e fini mosaici: apportarono del marm
o che non si trova l'eguale, e tessere dorate di Costantinopoli e altro necessar
io materiale da anni tenuto in serbo, e intrapresero il restauro, cancellando tu
tte le pitture che erano in quegli edifizi. I Franchi avevano steso lastre di ma
rmo sulla Roccia, nascondendola alla vista, e Saladino ordin di riscoprirla: era
stata ricoperta d'uno strato di marmo per il fatto che i preti ne avevano vendut
a una buona parte ai Franchi che venivano d'oltremare in pellegrinaggio, e ne co
mpravano dei pezzi a peso d'oro nella speranza di fruire del suo salutifero infl
usso. Ognun di loro, tornando al suo paese con un pezzetto di quella pietra, cos
truiva per essa una chiesa e la racchiudeva nell'altare. Cos uno dei Re franchi d
i Gerusalemme aveva temuto che non avesse tutta a consumarsi, e ci aveva fatto s
ovrapporre uno strato di marmo per conservarla. Discoperta che fu, Saladino vi f
ece trasportare dei belli esemplari del Corano e delle splendide Sezioni per l'u
ffizio del Libro Sacro, e vi stabil i recitatori colmandoli di abbondanti benefiz
i; cos l'Islm vi torn in tutta la sua freschezza e bellezza. Questa nobile gesta de
lla conquista di Gerusalemme non la comp dopo 'Omar ibn al-Khattb (55) altri che S
aladino, Dio ne abbia misericordia; ed questo bastante titolo di gloria e onore
per lui.
La popolazione franca di Gerusalemme, rimasta sul posto, prese a vendere tutte l
e sue robe, oggetti di pregio e averi che non potevano trasportare, a prezzo bas
sissimo: li comprarono i mercanti dell'esercito e i cristiani di Gerusalemme di
origine non franca, i quali chiesero a Saladino che permettesse loro di rimanere
nelle loro case, riscuotendo da essi il testatico: e avendo egli loro assentito
, rimasero e comprarono allora dei beni dei Franchi. I quali abbandonarono anche
una quantit di oggetti che non riuscirono a vendere, letti e casse e botti eccet
era, e inoltre colonne di marmo senza uguale, e tavole e mosaici in quantit. E co
s si partirono.
('IMAD AD-DIN, 47-69).
Saladino marci da Ascalona su Gerusalemme, vittorioso nella sua decisione, in com
pagnia della vittoria, traendo lo strascico della gloria, fatto docile l'indomit
o puledro dei suoi desideri, e fertile il prato della sua ricchezza. La sua sper
anza ebbe agevol corso, fragrarono le sue contrade, si effusero i suoi doni, pro
fum il suo olezzo, fu patente la sua possanza, soverchiante la sua autorit. Il ful
gor del suo esercito traboccava qual liquida massa per la pianura e riempiva il
deserto effondendo grazie benefiche. La polvere della sua oste aveva disteso il
suo manto sull'aurora, e il nembo pareva aver ricondotto la chiara ora mattutina
all'oscurit della tenebra. La terra si lagnava travolta dalle squadre, il cielo
godeva delle molecole di polvere. Ei marci, allietando per la situazione le zone
circonvicine, narrandosi le storie delle sue conquiste dalle punte delle lance a
lle cime dei monti, essendo incluse le pagine dei suoi successi nei dettati disp
iegati dalle speranze. Dolci e alti frutti e fulgori si manifestavano dalle radi
ci della vittoria, e dal suo spuntare. L'Islm chiedeva in sposa Gerusalemme, pron
to a versarle vite in dono nuziale, apportandole un benefizio per toglier via da
lei una sciagura, donando un lieto viso per mandar via un corrucciato volto, fa
cendo udire al grido di dolore della Roccia, che invocava aiuto contro i suoi ne
mici, la risposta al suo appello, la pronta eco alla sua chiamata; per far sorge
re le lampade fulgenti nel suo cielo, e riportar la fede da essa straniatasi all
a sua patria, restituendola alla sua tranquilla dimora, e allontanando da al-Aqs
a coloro che Dio allontan con la sua maledizione. Si marciava per tirar le redini
della conquista di Gerusalemme fatta ribelle, per farvi tacere i batacchi crist
iani e risonar l'appello islamico alla preghiera, per rimuoverne la mano della M
iscredenza con le destre della Fede, per purificarla dalle lordure di quelle raz
ze, dalle sozzure di quell'infima umanit, per ridurre al silenzio gli intelletti
facendo ammutolir le campane. Ne vol la notizia a Gerusalemme, e balzarono sbigot
titi i cuori di quei che l'occupavano, e palpitarono e ribollirono i lor precord
i per timore dell'esercito dell'Islm. E i Franchi, quando si diffusero le notizie

, desiderarono non esser mai nati. Eran col dei capi dei Franchi Balin ibn Barzn e
il Gran Patriarca, e i Capi di entrambi gli ordini degli Ospitalieri e dei Templ
ari. Balin ne fu preoccupato, e di fuochi (d'angoscia) infiammato; si spense la v
ampa della superbia del Patriarca; e tutti si sentirono a disagio nelle loro dim
ore, come se ogni casa fosse divenuta una trappola per l'infedele. Vollero prend
er misure nella sciagurata lor situazione, e si divisero i pensieri degli Infede
li; i Franchi disperarono di aver sollievo alcuno, e decisero tutti di dare la v
ita (per la difesa).
LA CHIESA DELLA RESURREZIONE (56).
E dissero i Franchi: "Qui faremo cadere le teste, fonderemo le anime, effonderem
o il sangue, farem perire le nostre persone; sopporteremo l'avventar delle piagh
e e l'inferir delle ferite; sarem prodighi dei nostri spiriti per difendere il l
uogo ove risiede lo Spirito. Questa la nostra Chiesa della Resurrezione: qui la
nostra stazione, di qui prendiamo le mosse, qui si leva il nostro grido, si adem
pie la nostra penitenza, fluttua la nostra bandiera, si effonde la nostra nuvola
; questa noi amiamo, ad essa siam tenuti, nell'onorarla il nostro onore, nella s
ua salvezza la nostra salvezza, nella sua integrit la integrit nostra, nella sua p
ermanenza la permanenza nostra. Se da essa ci allontanassimo, ne avremmo inevita
bil taccia di vilt e debito biasimo, ch in essa il luogo della crocifissione e la
nostra meta, l'altare e il luogo del sacrificio, il raduno e il santuario, il lu
ogo di discesa e di ascesa, la scalea e la specola, il simposio e il teatro, il
sito ornato e dorato, il prologo e l'epilogo, l'alimento e il pascolo, le opere
di marmo e d'intaglio, i luoghi leciti e i vietati, le pitture e sculture, le ve
dute e le raffigurazioni, i leoni e i leoncelli, i ritratti e i simulacri, le co
lonne e le tavole, i corpi e le anime. L ci son le immagini degli Apostoli in con
versazione, dei pontefici con le loro storie, dei monaci nelle loro celle, dei p
reti nei loro concilii, dei maghi con le loro corde (57), dei sacerdoti e delle
loro fantasie; l l'effige della Madonna e del Signore, del Tempio e del Natale, d
ella Tavola e del pesce, di ci che descritto e scolpito, del discepolo e del maes
tro, della culla e del Bambino parlante (58). Ivi l'effige del bue e dell'asino,
del paradiso e dell'inferno, ivi i batacchi e le leggi divine. L, essi dissero,
fu crocifisso il Messia, fu sacrificata l'ostia, si incarn la divinit, si indi l'um
anit. L si combin la doppia natura, e fu rizzata la croce, e scese la luce e dilegu
la tenebra. L la natura si accoppi con la persona, l'esistente si mescol all'inesis
tente, si compi il battesimo dell'Essere adorato, e la Vergine dette alla luce il
suo Nato" (59).
E cos seguitarono ad affibbiare simili errori all'oggetto del loro culto, con fal
se credenze aberranti dalle rette dimostrazioni di fede; e dissero: "Morremo a d
ifesa del sepolcro di nostro Signore, trapasseremo per timore che esso abbia a v
enirci meno; per esso lotteremo e pugneremo; e come non combattere, non contende
re e scendere in lotta, perch dovremmo lasciar loro prenderlo, e permetter loro d
i riscattare e recuperare quel che noi recuperammo da loro?" Fecero quindi grand
e e superbo apparecchio, cui non posero fine ma spinsero all'infinito; e rizzaro
no le catapulte micidiali sulle mura e velarono delle tenebre delle cortine mura
rie i volti delle luci. Avvamparono i loro demoni, scorrazzarono i loro lupi, im
perversarono i loro empi tiranni; furon snudate le loro spade, spiegati i loro r
otoli, infiammati i loro tizzoni ardenti; fervettero e ondeggiarono, lanciarono
appelli e scorsero le loro ostili masnade, strisciarono infeste le loro vipere,
li eccitarono i loro preti, li stimolarono i loro capi, li smossero i loro animi
. E le lor spie apportaron loro messaggi di sciagura, informandoli dell'avanzar
degli eserciti del Malik an-Nasir (60) con le vittoriose lor truppe, con le band
iere spiegate, coi brandi stretti nel pugno e fuori dei foderi, con le lame sgua
inate, i plotoni in ranghi serrati, i destrieri addotti a trar vendetta dei nemi
ci, gli animi infiammati del fuoco della retta fede, le decisioni ardenti, i cor
sieri solidunghi menati in lassa, le spade sguainate, le colline rugiadose, furi
bondi i portati delle vagine, aguzzate le cuspidi delle aste, mollate le redini
dei destrieri, sicura ormai la lor carica. Le valli fluivano delle loro colline,

i campioni volteggiavano tra i loro stendardi, le lor squadre ostruivano i pass


i montani, i lor flutti spandevan la polvere, le loro aquile velavano il sole, i
ferri dei loro giavellotti infiammavano i lucignoli, i loro venti correvano su
per i monti, le lor lance eran tratte come funi, la lor macchia adunava branchi
di leoni, la lor schiera avanzava ferma di decisioni incrollabili. Giunse ognuno
fedele al patto col suo Signore, atto a parare l'incombente suo danno, pronto a
curare l'angustia del suo cuore, copioso nell'efflusso dell'irriguo suo flusso,
celato nella corazza, ributtando ogni male, prode in suo valore, estraente la f
iglia del fodero dalla sua vagina, lavante la pianta del branda col sangue del n
emico, stringendo tra le braccia le bianche lame d'India, concludendo il discors
o delle calamit coi suoi lampi e i suoi tuoni, acuto in sua fortuna, seriamente o
perante con la sua spada. Ogni giovane ardeva al fuoco della guerra, ogni uomo r
eligioso si prendea cura della religione del Signore, ogni esercito era come un
mare strabocchevole, ogni sguainante una spada affilata difendeva la retta fede,
ogni assertore dell'altra vita odiava questa di quaggi e chiedeva a Dio il marti
rio, distolto dall'amore della sopravvivenza terrena, pronto a profonder denaro
per la causa di Dio. Avanz il Sultano con la avventurata sua autorit, con i valent
i suoi prodi, con i minori re suoi figli e fratelli, con i leoncelli suoi mamelu
cchi e paggi, con i nobili suoi emiri, i suoi grandi amici, in squadroni ordinat
i secondo i lor pregi, in plotoni schierati secondo le cavalcate solenni, con la
nce dalla ferrea punta lucenti come stelle, con schiere congregate con spade tag
lienti; con gialle bandiere per la sciagura dei Banu l-Asfar (61), con bianche s
pade e brune lance pronte a dar morte purpurea agli occhiazzurri nemici; con pad
iglioni e trib, con lance e proiettili, con destrieri annitrenti e raspanti il su
olo, con cuspidi ed aste flessibili, e cavalieri a cavallo, con gente tutta pron
ta a donare, per geloso affetto alla sua fede, anime e averi preziosi. (E giunto
che fu Saladino), prese a chiedere della Moschea al-Aqsa, e della via pi vicina
che ad essa adduceva, e della pi nobile sua compagnia, esprimendo i nobili sensi
che Dio nobilmente gli ispirava.
DESCRIZIONE DI GERUSALEMME.
Disse il Sultano: "Se Dio ci d la fortuna di cacciare i suoi nemici da Gerusalemm
e, qual felicit sar mai la nostra! Di qual benefizio gli saremo debitori, se vorr a
iutarci! Ch essa rimasta in mano agli Infedeli per novantun anni (62), senza che
Iddio vi ricevesse opera alcuna di bene da parte di un adorante, mentre lo zelo
dei sovrani (musulmani) per riscattarla languiva, e le generazioni se ne tiravan
o indietro, e i Franchi vi si erano insediati e la governavano. E Iddio ha riser
bato il merito della sua conquista alla sola casa Ayyubita, per unire tutti i cu
ori nel gradimento dei suoi membri; e ha scelto in particolare l'epoca dell'imm a
n-Nasir li-din Allah per darle cos un primato sulle altre epoche, e perch l'Egitto
e il suo esercito potessero averne un vanto su ogni altro paese. E come potrebb
e esso non proporsi la conquista della fortissima Gerusalemme, e della Moschea a
l-Aqsa fondata sulla piet, quando essa la sede dei Profeti, la residenza dei Sant
i, il luogo di adorazione dei pii, il posto che visitano i gran santi della terr
a e gli angeli del cielo; da esso ha luogo la raccolta e la diaspora, a esso giu
ngono schiera dopo schiera le ambascerie dei pii amici di Dio. Qui la Roccia, il
cui sempre nuovo splendore fu preservato da ogni logorio, da cui part la via del
l'Ascensione (del Profeta al cielo); sul suo capo si innalza la Cupola superba c
ome una corona, l ha brillato il lampo e di l partito Burq (63), l la notte del Viag
gio celeste, col calarvi della face luminosa, ha illuminato il mondo. Tra le sue
porte c' la Porta della Misericordia (64), per cui chi vi entra acquista il diri
tto di ingresso ed eterna dimora in Paradiso. In essa il Seggio di Salomone e l'
Oratorio di Davide, e la fonte di Siloe, che rappresenta per chi vi scende a ber
e il bacino (celeste) del Kawthar. Gerusalemme la prima delle due "qible", la se
conda delle due Case di Dio, la terza dopo le due zone sacre (65): uno dei tre l
uoghi di preghiera di cui nel detto del Profeta detto che alla loro volta si sel
lan le cavalcature, e ai quali gli uomini legano la loro speranza. E chi sa che
Dio non la restituisca per mezzo nostro alla forma pi bella, cos come la onor, menz

ionandola con la pi nobile sua creatura, al principio della sura (66), dicendo, E
gli nobilissimo: 'Sia lode a Colui che ha fatto viaggiar di notte il suo servo d
alla sacra Moschea (meccana) alla Moschea pi lontana (di Gerusalemme)'. Essa ha p
regi e virt
innumerevoli, a essa arrivando e da essa partendo ebbe luogo il sacro Viaggio no
tturno, sulla sua terra si spalanc il cielo, di essa si tramandano le notizie dei
Profeti, le grazie dei Santi, le tombe dei Martiri, i miracoli dei Generosi, i
segnacoli dei Dottori. Ivi la stazione delle azioni pie e il teatro delle gioie.
La sua lunga Roccia la prima "qibla", da cui si alz il piede del Profeta e si su
ssegu la benedizione superna. Presso di essa il nostro Profeta preg coi Profeti, e
si accompagn col fido Spirito, e da essa ascese al sommo dei cieli. Ivi l'orator
io di Maria, di cui Iddio disse: 'Ogni volta che Zaccaria entrava da lei...' (67
); adorazione al suo giorno, salute alla sua notte! Gerusalemme la citt che David
e fond, e raccomand a Salomone di edificare, e per essa onorare Iddio rivel il vers
etto: 'Sia lode...' Essa quella che conquist al-Farq (68), e con cui si inaugur un
capitolo della Rivelazione. Quanto ella mai illustre e grande, nobile e superba,
alta e fulgente, eccelsa e gloriosa! Oh fauste sue benedizioni e benedetti suoi
fausti auspici, oh nobili suoi stati e dolci sue bellezze! Oh ornati suoi splen
dori e splendidi ornamenti! Iddio ne ha manifestato la altezza e possanza, con l
e parole coraniche '... il cui recinto abbiam benedetto...' (69). Oh quante mira
bili cose ha Iddio mostrato in essa al suo Profeta, e ha posto ora sotto i nostr
i occhi le sue virt, prima soltanto udite!"
Cos il Sultano descrisse le sue prerogative e bellezze, che si impegn e giur di far
tornare a rifulgere, e fece voto di non partirsi fino ad adempimento del suo vo
to, fino ad alzare il suo stendardo a lei in vetta, e muovere il piede a visitar
e il luogo ove s'era poggiato il piede del Profeta; e porgere orecchio al grido
della Roccia, agognando rallegrare con la lieta notizia i tratti del volto della
sua Famiglia (70). Avanz quindi, certo della perfetta vittoria, e della cessazio
ne di ogni difficolt, mentre i Franchi rivelavano la loro angoscia; e giunse alla
parte occidentale di Gerusalemme la domenica quindici ragiab (10 settembre).
Il cuore dei miscredenti palpit, la fazione dei politeisti fu sull'orlo dell'affa
nno e del cordoglio, il destino fece il miracolo. V'erano allora in Gerusalemme
sessantamila combattenti dei Franchi, fra armati di spada e d'arco, e campioni d
ell'errore, con le aste tremolanti dalle flessibili cuspidi, postatisi a difesa
della terra: essi sfidavano a tenzone e sbarravano il passo, scendevano ostili i
n lizza, saettavano e insanguinavano, avvampavano e facevan difesa, flagravano e
bruciavan d'ira, si agitavano e ardevano, respingevano e difendevano, prendevan
fuoco e ingiuriavano, gridavano ed eccitavano, chiedevano aiuto con la lingua d
i fuori, si trinceravano e aggiravano assetati, volteggiavano e traversavano, av
anzavano e arretravano, si rotolavano e dolevano, ululavano e stridevano in gara
, bruciavano per le sciagure e avventavan la morte. Combatterono essi durissimam
ente e lottarono con estremo vigore, scendendo in campo con estremo impegno: gir
arono in tondo le ciotole delle lame per abbeverare le punte assetate dell'acqua
degli spiriti, si aggirarono con gli spaventi, fecero circolare le coppe della
morte, si avventarono per troncare le membra, flagravano e arsero, si accozzaron
o e accanirono, si fecero bersaglio delle frecce e chiesero alla morte di fermar
si da loro. Dissero: "Ognuno di noi varr per venti, e ogni decina per centinaia.
Faremo il finimondo a difesa della Resurrezione, odieremo la salvezza per amor d
ella salvezza di lei". E dur la guerra, e si protrasse il ferir di lancia e di sp
ada.
Il venerd venti ragiab (25 settembre) il Sultano si trasfer al lato settentrionale
, e ivi piant le tende, rendendo ai Franchi anguste le vie, e larghe invece le vi
e della morte. Rizz le catapulte, mungendone il latte delle sciagure, fece gridar
la Roccia col lancio delle pietre, e raccolse la mala congrega nemica dietro le
mura. Essi non misero pi il capo fuor delle mura, senza trovar sciagura e giorno
di sventura, e gettar le anime alla perdizione. Rumoreggiarono i Templari, prec
ipitarono i Baroni ruinando nell'inferno, andarono in malora gli Ospitalieri, i
"Fratelli" non ebbero scampo dalla morte. Niuno schermo si frappose tra le pietr
e scagliate e il loro obbiettivo, in ogni cuore delle due parti ardeva il fuoco
del suo desiderio, essendo i volti scoperti ai baci delle punte, e i cuori torme

ntati dalla passione del combattimento, le mani serrate sull'else delle spade sg
uainate, le anime intente a trovar tardi gli animi nell'impegnarsi a fondo, le b
asi delle mura e i denti di lor merlatura abbattuti e franti dalle pietre uscent
i dai piatti di lancio delle catapulte. Sembravan queste dei pazzi che scagliass
ero proiettili a gara, prodi guerrieri inattaccabili, montagne trascinate da cor
de, esseri viventi cui altri uomini aiutassero, madri di sventure e morti, incin
te che figliassero calamit; le lor pietre erano incontenibili, e non c'era cautel
a che assicurasse da loro; i loro dardi non vibravan che rischi, il loro passagg
io non si cibava che del fiele degli intelligenti (71). Quanti bolidi vennero gi
dal loro cielo, quanti macigni schizzarono dalla loro terra, quanti tizzi ardent
i sprizzarono dalle loro scintille! Nulla agguagliava i disastri causati dai lor
o piatti di lancio, i prodigi delle loro devastazioni, gli effetti delle loro ce
ntrate, le sventole che da loro sfuggivano, il tiro delle loro estremit. Esse non
cessarono di scagliare con le loro frombole, di picchiare coi loro manganelli,
di trar acqua con le loro funi, di pavoneggiarsi nelle loro cavezze, di battere
e abbattere, prostrare e spaccare, di scrollare i lor secchi, di buttarsi addoss
o con le loro sciagure, dissolvendo la composizione dei forti con i singoli loro
macigni, frantumando l'accolta degli edifizi col disperderli e ruinarli, demole
ndo le basi colpendole alle fondamenta, disfacendo i nodi col trarli entro le lo
ro funi, esaurendo le fonti col berne alla loro coppa; sino a ridurre le mura se
mplici file di mattoni, e i lor difensori spazzati via. Il nemico fu rotto nelle
sue tronche ordinanze, il fossato fu trapassato e l'attacco suscitato, all'Islm
apparve la vittoria e alla miscredenza la morte. La breccia fu presa, il diffici
le divenne facile, ogni sforzo fu prodigato e si realizz l'obbiettivo, l'obbietto
fu perfetto, e i protervi vulnerati, lo sbarramento spezzato, l'opera compiuta,
lo scopo prefissosi raggiunto ad usura, la faccenda sistemata. Il nemico tem d'e
ssere schiacciato, e prese la malattia in cambio della sanit. La terra divenne mu
sulmana, e fu recisa la cintura infedele del suo fossato. Usc fuori Ibn Barzn ad a
ssicurarsi dal Sultano col suo patto, e chiese sicurt per la sua gente. Ma il Sul
tano si rifiut e tenne alte le sue pretese, dicendo: "N sicurt, n grazia per voi! No
stra sola passione infliggervi perpetua abbiezione; domani ci renderemo padroni
di voi a viva forza, faremo ampia strage e cattura di voi, spargeremo il sangue
degli uomini e ridurremo in cattivit la prole e le donne". Ei non volle assolutam
ente saperne di dar loro vita salva, ed essi si dettero a impetrare umilmente, t
emettero e fecero temere le conseguenze di una decisione precipitosa. E dissero:
"Se dovremo disperare di ottenere da voi sicurt, e temere del vostro potere, e a
ndar delusi del vostro benefizio, ed esser certi che non v' pi scampo n riuscita, n
pace n salvezza, n grazia n generoso favore, ebbene noi cercheremo la morte, e comb
atteremo come chi vende cara la vita; affronteremo la vita con la morte, avanzer
emo come chi avanza a capo basso alla perdizione, ci avventeremo come chi si sca
glia all'attacco per il danno subito, ci butteremo nel fuoco, ma non gi da noi st
essi nella rovina e nel disonore. Nessuno di noi sar ferito che non ne ferisca pr
ima dieci, non ci stringer la mano dello sterminio senza che si veggan prima le n
ostri mani aperte a diffonder sterminio. Bruceremo le case e manderemo in rovina
la Cupola, e a voi lasceremo l'onta di ridurci in servit. Strapperemo via la Roc
cia, e vi faremo provare il cordoglio della sua perdita; uccideremo ogni prigion
iero musulmano che presso di noi, e son migliaia, giacch ben noto che ognun di no
i ripugna al disonore ed amico d'onore. E quanto ai beni, noi li distruggeremo e
non li daremo, e quanto ai figli, ci affretteremo ad annientarli, e non li trov
eremo a ci tardi. Che vantaggio ne viene a voi da questo avaro diniego, voi che a
vreste ogni perdita da un tale guadagno? Quante delusioni son nate dalla speranz
a del successo, mentre a riparare il male non c' che la pace! Quanti, cacciatisi
a viaggiar nelle tenebre, sono stati fuorviati dal buio della notte prima che si
scoprisse l'alba!" Allora il Sultano convoc una riunione a consiglio, e fece ven
ire i capi delle sue truppe vittoriose, consultandosi con loro sulla questione,
discutendo con loro in segreto e in palese: sollecit a rivelarsi i loro intimi se
ntimenti, a spiegarsi i loro occulti consigli, volle accendere il loro acciarino
, chiese di conoscere il loro pensiero, li bland a pronunziarsi sulla pi convenien
te soluzione, confer con loro sulla pi fruttuosa trattativa di pace. "Ci si offre,
- disse, - l'occasione, che dobbiamo desiderare di cogliere, si realizzata la s

orte, che chiediamo a Dio di assicurarci. Se passa, pi non si ripiglia, se sfugge


, pi non si conquista". Ed essi dissero: "Iddio ti ha riservata la buona sorte, t
i ha eletto per questo (suo) culto. Il tuo consiglio retto, la tua decisione sul
le tracce della agognata vittoria, il tuo comando aduna i dispersi benefizi e i
mezzi per giungere al successo. Ognun di noi ti scongiura di cogliere in una tal
situazione il frutto della vittoria". Perci dopo ripetute sollecitazioni e abboc
camenti e missioni e implorazioni e intercessioni, si venne a fissare una somma
di piena nostra soddisfazione e di sicura cautela, con la quale riscattarono da
noi le loro persone e i loro averi, e salvarono i loro uomini e donne e bambini;
a patto che chi in capo a quaranta giorni non fosse in grado di soddisfare al s
uo debito, o vi si ricusasse e non lo versasse, fosse fatto schiavo con nostro f
ermo diritto di venirne in possesso. Questa tassa consist in dieci "dinr" per ogni
uomo, cinque per ogni donna, due per ogni bambino maschio o femmina. Ibn Barzn e
il Patriarca e i Capi dei Templari e Ospitalieri ne assunsero la garanzia, e Ib
n Barzn elarg trentamila "dinr" per i poveri, adempiendo l'impegno preso e non manc
ando a una sua fedele osservanza. Chi pag, usc quindi dalla sua casa sicuro, per n
on tornare ad abitarvi mai pi.
Con questa tassa stabilita, essi resero la terra il venerd ventisette ragiab (2 o
ttobre), rendendola per forza, come si rende il maltolto e non gi il deposito. Er
ano in essa pi di centomila persone, tra uomini e donne e bambini. A tutti costor
o furon chiuse le porte, e stabiliti luogotenenti a passarli in rassegna ed esig
ere quanto essi dovevano. A ogni porta fu deputato un emiro e un gran capo, che
doveva fare il conto degli uscenti ed entranti: chi di loro pag, usc, e chi non so
ddisfece il suo debito se ne stette senza scampo in prigione. E se quel denaro f
osse stato serbato come si doveva, il pubblico Tesoro ne avrebbe avuto amplissim
a parte: senonch vi fu piena negligenza e generale imbroglio, e chiunque rifil una
mancia fil via, e i fiduciari deflessero dalla retta via grazie alle mance. Ci f
u chi fu calato dalle mura con le corde, e chi fu portato via nascosto fra i bag
agli, chi fu travestito e usc in abito di soldato, e chi fru di una autorevole int
ercessione a cui non pu dirsi di no.
C'era in Gerusalemme una principessa greca fatta monaca, dedita per sua consolaz
ione al culto della croce, ardente per essa a conforto della sua sventura, tenac
emente attaccata alla sua religione: alti si levavano i suoi tristi sospiri, e v
enivan gi le sue lacrime come le gocciole da una nuvola. Aveva essa un'alta posiz
ione, e ricchezza e robe e seguaci e masserizie e seguito. E il Sultano concesse
a lei e a tutti i suoi di uscir liberi, permettendo di portar via tutta la sua
ricchezza in borse e bisacce. Ed ella se ne and lieta, anche se era piagata nell'
animo per il suo dolore.
Anche la moglie del re preso prigione, la figlia del re Amaury (72), risiedeva n
ei pressi di Gerusalemme con tutto il suo servitorame, domestici e ancelle. E us
c salva lei con tutti i suoi compagni e il suo seguito, e con quanti sostennero d
i essere suoi compagni e seguaci. E cos anche la Principessa figlia di Filippo e
madre di Honfroi (73) fu esentata dal pagamento, e le rest intatta la sua ricchez
za nel tesoro. E il signore di al-Bira chiese la libert di circa cinquecento Arme
ni che disse essere del suo paese, venuti a Gerusalemme per ragione del loro cul
to. E Muzaffar ad-din ibn 'Ali Kucik reclam circa mille Armeni che afferm essere di
Edessa, e il Sultano gliene concesse il rilascio come quegli desiderava.
Il Sultano aveva organizzato un certo numero di uffici, ognuno con un certo nume
ro di luogotenenti egiziani e siri. Chi prendeva una ricevuta del compiuto pagam
ento da uno di questi uffici se ne andava libero con i rilasciati, esibendo la s
ua ricevuta ai fiduciari e addetti che erano alle porte. E persona delle cui ass
erzioni non dubito mi disse di essersi trovata in uno di questi uffici e d'averv
i osservato come andavano le cose: spesso scrivevano una ricevuta a gente il cui
denaro era andato in tasca a loro, restando oscuro quel loro imbroglio. Cos cost
oro furono soci, non gi fiduciari del pubblico Tesoro, cui frodarono con le ricch
ezze e i profitti che ne trassero: ben nociva ricchezza! Con tutto ci, il Tesoro
incass quasi centomila "dinr", e i rimanenti rimasero in servit e prigionia, attend
endosi che spirasse il tempo prescritto e che risultassero incapaci di pagare la
tassa richiesta.

IL GIORNO DELLA CONQUISTA, DICIASSETTE DI RAGIAB.


Si dette la combinazione che la conquista di Gerusalemme avvenisse il giorno nel
la cui notte era accaduta l'Ascensione del Profeta al cielo. Piena letizia regn p
er la fulgente vittoria ottenuta, e su tutte le lingue abbondarono le espression
i di preghiera e invocazione a Dio. Il Sultano sed ad accogliere le congratulazio
ni, a ricevere i gran dignitari e gli emiri, i sufi e i dottori. Ei sedeva in at
teggiamento umile e maestoso insieme, tra i giureconsulti e i dottori, suoi pii
cortigiani; il suo viso brillava di letizia, la sua speranza aveva conseguito la
gloria della vittoria, la sua porta era spalancata, la sua benevolenza largita,
libero a lui l'accesso, ascoltate le sue parole, prospera la sua attivit, baciat
o il suo tappeto, fulgente il suo viso, olezzante il suo profumo, invogliante la
sua affezione, intimorente la sua autorit. La sua terra irraggiava luce, le sue
virt emanavan profumo, la sua mano era volta a profondere le acque della liberali
t, ad aprir le labbra dei doni; il dorso di essa era la "qibla"' dei baci, la sua
palma la Ka'ba della speranza. Dolce fu a lui lo stato della vittoria, e il suo
trono sembr ricinto dell'alone lunare. Sedevano ivi i lettori coranici recitando
e rettamente ammonendo, stavan ritti i poeti declamando e postulando; le bandie
re avanzavano per esser dispiegate, le penne vergavano per dare le liete novelle
, gli occhi lacrimavano per la gran gioia, i cuori si facevan piccoli per la let
izia della vittoria, le lingue si umiliavano nell'invocazione a Dio. I segretari
redigevano ornati ed elaborati dispacci, gli eloquenti stilisti, or prolissi or
concisi, ora stringevano ora allargavano: io non potei assimilare ad altro il m
io calamo che al raccoglitor del miele delle liete novelle (75), n ad altri indir
izzar le mie parole che al messo della rivelazione delle grazie divine, n feci co
rrer la mia penna se non perch essa attendesse alle epistole, accompagnasse le vi
rt, divulgasse i benefizi, facesse ampia relazione e profuso sfoggio di superiori
t; perch si dilungasse nei suoi argomenti, pur essendo essa di breve mole, aggredi
sse con le parole pur essendo essa di limitate capacit d'offesa: perch facesse app
arire ben pasciuto il sovrano pur essendo essa sottile, e facesse sentire il pes
o dell'esercito, pur essendo essa leggera; per manifestare il fulgore della bian
ca stella dalla nerezza dell'inchiostro, per rivelare lo splendor della luce dal
la via della tenebra; per dar corso a decreti di morte e di sussidio, o a ordini
di trattenere e rilasciare, di opporsi e consentire, di asservire e affrancare,
di promettere e mantenere, di arricchire e impoverire, di strappare e riparare,
di lacerare e rappezzare; essa infatti colei che riunisce gli eserciti, innalza
i troni, sgomenta il confidente e d fiducia allo sgomento, risolleva chi inciamp
a e fa inciampare chi sollevato, d corso all'attacco ai nemici, e al beneficio ag
li amici. Cos coi miei calami detti le liete novelle alle regioni del genere uman
o, e coi miei prodigi di stile espressi i prodigi dei memorabili eventi, riempii
di stelle le rocche (76) e di perle gli scrigni. Quella lieta notizia fu traman
data al punto da dar profumo a Rayy e alla conversazione serale di Samarcanda (7
7), ed entusiasm e fu dolce s da superare i canditi e lo zucchero. I paesi dell'Is
lm furon parati e adornati a festa per la presa di Gerusalemme, di cui furono ill
ustrati e chiariti i pregi, e adempiuto e specificato "ad personam" il dovere di
visitarla.
STATO DEI FRANCHI ALLA LORO USCITA DA GERUSALEMME.
I Franchi cominciarono a vendere le loro robe e a cavar fuori dai depositi i lor
o oggetti di pregio, vendendoli per nulla sul mercato dell'abiezione. E la gente
entr con loro in trattative, e li compr per vilissimo prezzo. Vendettero a meno d
i un "dinr" quel che valeva pi di dieci, e si sforzarono di mettere insieme quanto
poteron trovare di robe loro disperse; fecero quindi repulisti nelle loro chies
e, e ne presero gli oggetti preziosi, e portaron via i vasi e candelabri d'oro e
d'argento, i cortinaggi e drappi serici e dorati, scossero per vuotarli i turca
ssi delle chiese (78), e cavaron fuori dai ripostigli i cimeli ivi riposti. Il g
ran Patriarca riun tutto ci che stava sul Sepolcro, di lamine d'oro e manufatti d'

oro e d'argento, e raccolse quanto era nella chiesa della Resurrezione, di prezi
osi dei due metalli e dei due tipi di tessuti. Io dissi allora al Sultano: "Ques
te son grandi ricchezze, e cose patenti, del valore di duecentomila "dinr"; la li
bera uscita concessa ai loro beni, non a quelli delle chiese e dei conventi; non
li lasciare nelle mani di questi scellerati". Ma egli rispose: "Se interpretiam
o i patti a lor danno, ci accuseranno di mancamento di fede, ignorando la vera e
ssenza di questa faccenda: preferiamo applicar loro alla lettera la sicurt conces
sa, e non lasciare che possano accusare i credenti di venir meno ai patti giurat
i, ma anzi raccontino i benefizi di cui li abbiamo colmati". Cos essi lasciarono
gli oggetti pesanti, e portaron via i pi preziosi e leggeri, e scosser via la man
o dalla polvere del loro retaggio, e dalla spazzatura della loro "Spazzatura" (7
9). La pi parte di loro si trasfer a Tiro, andando a ingrossare la tenebra con la
tenebra; e ne restarono circa quindicimila cui fu impossibile pagare il debito p
rescritto, e cui tocc la pattuita servit: gli uomini furon circa settemila, che do
vettero acconciarsi a un'umiliazione cui non erano avvezzi, e cui la prigionia d
ivise e disperse d'ogni parte, disperdendosi per le valli e i colli coloro che l
i avevano acquistati; le donne e i fanciulli, contati, furono ottomila anime, ch
e vennero divise tra noi, venendo a sorridere al loro pianto i volti dello Stato
(musulmano). Quante donne ben custodite furono profanate, e regnanti regnate, e
nubili coniugate, e nobili donate, e avare che dovettero concedersi, e tenute n
ascoste che perdettero il pudore, e serie ridotte a ludibrio, e preservate messe
in pubblico, e libere occupate, e preziose usate a strapazzo, e leggiadre messe
alla prova, e vergini sverginate, e superbe deflorate, e belle dalle rosse labb
ra succhiate, e brune distese, e indomite domate, e contente fatte gridare! Quan
ti nobili le presero a concubine, quanti arditi si fecero arditi su di loro, e c
elibi se ne soddisfecero, e affamati se ne saziarono, e turbolenti sfogarono il
loro bollore! Quante belle furono di esclusiva propriet di un padrone, quante di
alto pregio furon vendute a basso prezzo, e prossime furono allontanate, e alte
furono abbassate, e selvatiche furono catturate, e avvezze al trono furono trasc
inate!
Quando Gerusalemme fu purificata della lordura degli immondi Franchi, e svest l'a
bito dell'avvilimento per rivestire le vesti dell'onore, i Cristiani ricusarono,
dopo aver pagata la somma convenuta, di uscire, e supplicarono di poter rimaner
e senza esser molestati, e si prodigarono in servizi e servirono con ogni sforzo
, accogliendo disciplinatamente e di buon animo ogni obbligo che fu loro imposto
: essi pagarono "la tassa per l'appoggio loro concesso, umilmente" (80), e rimas
ero a bocca aperta per ci che li afflisse, e la loro afflizione crebbe stando ess
i a bocca spalancata. Entraron quindi nella condizione di tributari, e ricorsero
alla protezione (dei Musulmani); furono occupati ai servizi e impiegati ai mest
ieri vili; e in quella prova, la tennero pur come un dono.
OPERE BUONE CHE IL SULTANO COMPI' IN GERUSALEMME, E OPERE CATTIVE CHE CANCELLO'.
Quando il Sultano ricev la resa di Gerusalemme, ordin si rimettesse in luce il "mi
hrb" (81), ed eman a suo riguardo un ordine perentorio. I Templari vi avevan costr
uito di fronte un muro, riducendolo a magazzino per il grano, e si disse anche c
he lo avevan preso come latrina, per malvagia ostilit. E a occidente della "qibla
" avevan costruito un'ampia casa e un'alta chiesa. Egli ordin di rimuovere quella
struttura interposta, e svelare il volto di sposa del "mihrb". Fece demolire qui
ndi gli edifizi che gli erano dinanzi, e ripulire i cortili che lo circondavano,
di modo che la gente si adunasse al venerd nell'ampia corte. Fu rizzato il pulpi
to, e rimesso in luce il puro "mihrb", demolendo quanto era stato posto fra le co
lonne: lo spiazzo che ne risult fu tappezzato di alti tappeti in luogo di stuoie,
vi furon sospesi i candelabri, e data lettura del Testo rivelato, trionfando co
s la verit e restando annullati gli errori. Sal al trono il Corano, e fu spodestato
il Vangelo. Furono allineati i tappeti per la preghiera, si svolsero nella loro
purezza le cerimonie del culto: furon tenute le preghiere canoniche, e rese con
tinue le pie orazioni, si svelarono le benedizioni e dissiparono le tristezze, s
i dissolsero le caligini, si succedettero le rette direzioni, furon letti i sacr

i versetti, alzati gli stendardi, parl l'"adhn" e ammutol il batacchio (82), furon
presenti i muzzin e assenti i preti, cess ogni corruccio e sciagura, e i respiri e
gli animi si rasserenarono, avanzarono le stelle propizie e arretrarono le infa
uste, la fede fatta straniera ritorn alla naturale sua sede, la virt fu ricercata
nel suo proprio centro. Arrivarono i lettori coranici, e furon lette le preghier
e dell'uffizio, si adunarono gli asceti e i devoti, i gran santi e i pilastri (8
3). Fu adorato l'Unico, e l'adoratore ne proclam l'unicit; giunsero a schiere oran
ti e prosternantisi, umiliantisi e palpitanti, dignitari e asceti, giudici e tes
timoni, zelanti e combattenti della guerra santa, ritti e seduti, veglianti e da
ti alla notturna preghiera, visitatori e ambasciatori. Il pulpito lev la sua voce
, il predicatore espose le sue verit, fluttu la folla adunata, fu ricordata la res
urrezione e l'adunata suprema. I tradizionisti fecero i loro dettati, i sacri or
atori confortaron gli animi, i dottori disputarono, i giureconsulti discussero,
i narratori narrarono, e i tradizionisti trasmisero le tradizioni canoniche. Le
guide spirituali fecero pii esercizi, e i pii asceti servirono di guida, gli ora
nti adoraron devotamente Iddio, e i sinceri devoti levarono preghiere. I dispens
atori di licenze (?) si prodigarono zelantemente, i commentatori epitomarono, gl
i epitomatori commentarono, i virtuosi si assembrarono, i predicatori si fecero
innanzi. Molti furono i candidati a tener la predica rituale, accinti di success
o, noti per eloquenza, famosi per seriet; eran tutta gente che aveva aspirato a q
uel grado e dato graduati corsi di prediche, autori di mirabili sensi ed esornat
ori di splendide espressioni, elaboratori di discorsi adatti al luogo, recitator
i di saggi d'eloquenza originale e superiore. Ci fu tra costoro chi mi proffer la
sua predica (84), e chiese a me la sua nomina, nel desiderio che fosse preferit
o il suo valore e riuscisse il mezzo da lui messo in mezzo, onde fosse soddisfat
to il suo desiderio prima di morire. Ognuno allungava il collo per aver questo d
iletto, e sudava nell'ardore per arrivarci: tutti si preparavano e stavano alle
vedette, cercavano appoggi e raccomandazioni, si facevano innanzi e supplicavano
, scrutavano e mettevano in moto intercessioni; ognuno aveva rivestito la sua di
gnit e reso degno il suo vestimento, cercava giocar d'astuzia e aveva alzato il c
apo a quel primato. Ma il Sultano non faceva ancora designazioni n spiegazioni, n
on nominava n promulgava. C'era di loro chi diceva: "Potessi tener la predica il
primo venerd, ottenessi la massima grazia! Quando abbia ci ottenuto per mia buona
fortuna, non mi importa chi far la predica dopo di me..." Spuntato che fu il vene
rd quattro di sha'bn, la gente cominci a domandare al Sultano di designare un predi
catore: si riemp la gran moschea, si affollarono i luoghi di riunione, gli occhi
e le orecchie stettero all'erta, corsero le lacrime per la commozione dei cuori,
apparvero meraviglie stupende per l'ornatezza di quella cerimonia e lo splendor
e di quella bellezza, si diffusero le voci dall'intimo della gioia, al rivestirs
i dei manti della letizia. I luoghi erano stipati per la folla degli ivi accorsi
, gli occhi eran fissi, i pensieri divisi. La gente diceva: "E' questo un nobile
giorno, una grazia generale, un'alta solennit: una giornata in cui sono esaudite
le preghiere, profuse le benedizioni, versate le lacrime, perdonate le mancanze
, in cui i trascurati si ridestano, e gli attivi si lasciano ammonire. Beato chi
ha vissuto tanto da trovarsi a questo giorno, in cui l'Islm si risollevato e ha
messe le penne! Bella questa schiera qui presente, questa pura compagnia, questa
comunit vittoriosa: nobile questa vittoria di an-Nasir, questa stirpe di Imm, que
sta professione di lealismo abbside (85), questo regno ayyubita, questa dinastia
di Saladino! C' forse in terra d'Islm assemblea pi nobile di questa, cui Iddio ha f
atto l'onore, col suo aiuto, di sottostare a una tale obbedienza?" E discussero
di chi dovesse fare la predica, a chi sarebbe toccato quell'ufficio, e trattaron
o a chi affidarlo, e discorsero apertamente e per allusioni. Eran levati in alto
gli stendardi, rivestito di drappi e splendente il pulpito, si alzavano le voci
, si adunavano i gruppi, si accalcavano le frotte, sbattevano le onde, e i devot
i facevano il chiasso che fanno ad 'Arafa i pellegrini (86): finch giunse l'ora c
he il sole comincia a declinare, e cess l'equilibrio del mezzogiorno, e rison l'ap
pello alla preghiera, e tutti si affrettarono di corsa. Allora il Sultano con su
o rescritto nomin il predicatore, rendendo nota la sua scelta dopo maturo esame,
e ordin al cadi Muhyi ad-din Abu l-Ma'ali Muhammad ibn Zaki ad-din 'Ali al-Qrashi
di ascendere i gradini del pulpito, lasciando in sudore col preferir lui le fron

ti dei rimanenti. Io gli prestai di mio una nera veste di cerimonia, dono onorif
ico del Califfo, di modo che egli ebbe perfetto l'onore della grazia elargitagli
, e della aggiunta. Ei mont sul ligneo suggesto, e trov la buona sorte: fremettero
i fianchi del pulpito, e si esalt da un capo all'altro l'assemblea. Tenne l'allo
cuzione, ed essi porsero orecchio, parl ed essi tacquero, fu eloquente ed espress
ivo, facondo e peregrino, insuperabile e meraviglioso, conciso e diffuso: ammon n
ella sua duplice predica, predic nel suo duplice sermone. Spieg il pregio di Gerus
alemme e della sua santificazione, della moschea al-Aqsa fin dalla sua fondazion
e, della sua purificazione dopo la profanazione, dell'aver ridotto al silenzio i
l suo batacchio e dell'espulsione del suo prete. Preg per il Califfo e il Sultano
, e concluse con le parole di Dio: "Iddio comanda il bene e il far bene". Indi s
cese e comp la preghiera nel "mihrb", e cominci col "in nome di Dio" inaugurante la
prima sura del Corano (87), guidando alla preghiera tutta quella comunit; scese
cos perfetta misericordia e sopravvenne intera grazia. Compiuta la preghiera, la
gente si sparse in evidente cordialit: si strinse il generale consenso, si avvi re
golare il ragionamento analogico (88). Era stato rizzato un seggio per l'omelia
di fronte alla "qibla", perch lo inaugurasse qualche grande personaggio: vi si se
d Zain ad-din Abu l-Hasan 'Ali ibn Nagia, e ammon chi temeva e chi sperava, gli av
venturati e gli sciagurati, i destinati alla dannazione e alla salvezza; e intim
or i dotati di intelletto con appropriati argomenti, e dissip con la luce delle su
e pie esortazioni le tenebre dei dubbi, e addusse ogni pio monito qual risveglio
ai dormienti, incentivo all'ira per gli iniqui, intenerimento agli amici e indu
rimento ai nemici di Dio. Si lev il grido dei piangenti a gara, il chiasso dei qu
erelantisi, si intenerirono i cuori e alleggerirono le cure, si alzarono le stri
da e scorsero gi le lacrime. I peccatori si pentirono, i colpevoli si convertiron
o, i penitenti gridarono, i tornanti a Dio si lamentarono. Avvennero fulgide est
asi mistiche e dolci rivelazioni, si levarono alte preghiere, furono accolte sup
plicazioni, furon colte occasioni di amor divino; e molte sorti della divina pro
vvidenza furono assicurate. Il Sultano fece la preghiera nella Cupola della Rocc
ia, tra fitte schiere di credenti che occupavano tutta la larghezza dell'atrio,
con l'intera comunit che supplicava Iddio di continuare a dargli vittoria. A lui
eran rivolti i volti orientati verso la "qibla", a Dio levate le mani, e si udiv
ano le preghiere innalzate a Dio per lui. Indi egli insedi nella moschea al-Aqsa
un predicatore con funzioni permanenti, di stabile nomina.
DESCRIZIONE DELLA VENERATA ROCCIA, CHE IDDIO LA TENGA FIORENTE!
Quanto alla Roccia, i Franchi ci avevano costruito su una chiesa e un altare, no
n lasciando pi in essa luogo alcuno alle mani che volevan captarne la "braka" (89)
e agli occhi che volevan vederla. L'avevano adornata di immagini e statue, e fi
ssativi i luoghi dei monaci e il sito dell'Evangelo, spingendo al massimo la sua
venerazione ed esaltazione. Al posto del (sacro) piede (profetico), avevan post
o un tabernacoletto dorato, con rizzate colonne di marmo, dichiarandolo il luogo
dove avea posto il piede il Messia; luogo santo ed esaltato, ove apparivano inc
ise nel marmo figure di greggi, tra le quali vidi una specie di maiali (90). Ma
la Roccia, meta e oggetto di visita, restava nascosta dalle sovrapposte costruzi
oni e sommersa in tutta quella chiesa sontuosa. Il Sultano ordin quindi di rimuov
erne il velo e alzarne la cortina e trarne via il velame, e portar via i marmi,
e spezzarne le pietre, e demolirne le strutture, e infrangerne le coperture; e r
imetterla in luce ai visitanti e manifestarla ai riguardanti, e spogliarla del s
uo rivestimento, e produrla qual nuova sposa. Ordin di estrarne la perla dalla co
nchiglia, di farne spuntar la piena luna di tra le tenebre, di demolirne la prig
ione, di riscattarne il pegno, di mostrarne la bellezza, di farne rifulgere il f
austo aspetto, di manifestarne il vero volto, di metterne in luce l'autentico on
ore, riconducendola all'ornato suo stato, all'alto suo pregio, all'elevato suo g
rado; essa infatti colei il cui ornamento uno stato disadorno, e il cui stato di
sadorno un ornamento, la cui nudit un rivestimento, e il cui rivestimento nudit. E
torn com'era nel tempo antico, e attest, contemplata, del nobile suo valore, e fu
messo in mostra lo splendore insigne della sua bellezza. Prima della conquista,

non ne appariva che un pezzetto nella sua parte inferiore, che i miscredenti av
evano malamente tagliato: e ora apparve nel modo pi bello, e si svel del disvelame
nto pi fausto. Rifulsero su di lei i candelabri, luce su luce, e le fu sovrappost
a una recinzione di grate di ferro; e la cura di lei non ha fatto fino a oggi ch
e accrescersi. Il Sultano stabil nella Moschea della Roccia un imm, tra i migliori
lettori del Corano, di pi ornato decoro, di pi chiara voce, di pi alta fama per pi
et religiosa, miglior conoscitore delle sette, anzi delle dieci letture coraniche
(91), di pi squisito odor di santit: lo arricch e soddisfece e favor con l'ufficio
assegnatogli, eresse in pio legato per lui una casa, una terra e un giardino, gl
i confer benefici copiosi; alla Moschea della Roccia e al "mihrb" della al-Aqsa fe
ce trasportare esemplari e sezioni, e venerati quarti del Corano, tuttor alzati
l sui loro leggii e deposti sui lor supposti in cospetto dei visitatori. Stabil in
oltre, per la Moschea della Roccia in particolare e per Gerusalemme in generale,
dei custodi che ne curassero tutto il buono stato. E non furon nominati che uom
ini di religione e devozione, tutti dediti al culto: oh belle notti l, presenti l
e folle, fiorenti i ceri, patente la umilt, devota la contrizione, scorrenti le l
acrime dei pii, ardenti i petti dei devoti: ivi era ogni amico di Dio che venera
va il suo signore, e ne sperava la bont benefica, ogni povero diavolo male in arn
ese e oscuro che se faceva a Dio un giuramento lo adempiva; ivi ognuno che passa
va in preghiera la notte, che esaltava e metteva in mostra la divina Verit; ivi o
gnuno che faceva regolare e salmodiata lettura del Corano, che scacciava e convi
nceva di falsit il demonio; chi era ben noto al mattino per i suoi religiosi eser
cizi, e familiare agli uffizi e alle preghiere per le sue orazioni notturne.
Oh felici giorni di quel santuario, quando gli angeli movevano incontro ai suoi
visitatori, e il sole rivestiva delle sue luci i suoi fiori, e i cuori portavano
a lui i lor segreti, e i peccatori deponevano dinanzi a lui i lor fardelli di p
eccato, e il mattino d'ogni giorno gli chiedeva in dono di svelarsi! Oh vittorio
so chi imprese a purificarlo, e puro chi attese a rimetterlo in luce!
I Franchi avevano tagliato dalla Roccia dei pezzetti, di cui avevan portato a Co
stantinopoli e in Sicilia, e venduti, dissero, a peso d'oro, facendone una fonte
di guadagno. Riapparsa in luce la Roccia, apparvero i punti di questi tagli, e
i cuori furono spezzati quando apparvero i luoghi delle sue spezzature. Ora essa
appare agli occhi con le incisioni sofferte, serbando in perpetuo il suo onore,
assicurata all'Islm nel suo riparo e recinto. Tutto ci fu compiuto dopo la parten
za del Sultano, e dopo che si cominci un ordinato consorzio di vita. Saladino ord
in inoltre di rivestir di marmo il "mihrb" di al-Aqsa; con estrema magnificenza e
splendore (92); e i sovrani Ayyubiti han gareggiato in opere buone da essi ivi p
rodigate, che assicuran loro l'amore dei cuori e la riconoscenza delle lingue: n
on ce n' stato di loro uno che non abbia col largito favori e benefizi a tutto suo
potere, illustrando e mettendo in luce, ornando e abbellendo, curando e spenden
do, arricchendo e provvedendo, portando a termine e adempiendo, preferendo e pro
digando: cos al-Malik al-'Adil Saif ad-din Abu Bakr (93) vi fece eseguire ogni or
iginale lavoro d'arte, degno di ogni riconoscenza, e vi elarg ogni benefizio, e c
opioso favore, e chiara grazia e cospicua concessione, e lodevole generosit, e ge
nerosa lode, e atto virtuoso per cui prevalse, e meritorio servigio che gli assi
cur il successo. E al-Malik al-Muzaffar Taqi ad-din 'Omar (94) vi comp ogni opera
di universale e larghissima beneficenza, con divieti e comandi costruzioni e res
tauri: e fra i lodevoli suoi atti e le famose sue generosit che egli si present un
giorno alla Moschea della Roccia, con una schiera di nobili principi della sua
Casa, e carichi di acqua di rose, e denari per l'elemosina e la beneficenza; e c
olse l'occasione di compiere questo originale atto virtuoso, prendendo a spazzar
di sua mano quei cortili e quegli spiazzi, e li lav poi pi volte d'acqua finch fur
ono netti, e fece seguire all'acqua un'aspersione d'acqua di rose onde si impreg
narono di quella fragranza, e cos ne ripul le mura e ne lav le pareti; indi fece po
rtare incensieri di profumo onde ne furono suffumigati, ne odorarono e profumaro
no, e fu ripieno di quell'olezzo l'odorato dei credenti, a marcio dispetto dei n
emici; n cess con i suoi di purificare per tutta la giornata quella zona benedetta
, sinch si fu certi della sua purezza, ne fu patente la floridezza, e piacevole l
a nitidezza, e il contemplarla ne assicur l'ammirazione. Allora egli vi distribu q
uel denaro ai meritevoli, e fu fiero di aver superato i generosi nella spesa. E

al-Malik al-Afdal Nur ad-din 'Ali (95) vi produsse ogni chiara luce, ogni piena
generosit, ogni fulgida liberalit, ogni prospera grazia, ogni puro benefizio e acu
to profumo, e singolare donativo, ed escogitata generosit, e originale larghezza,
e cospicuo sussidio: ci comp cos delle opere che hanno eternata la bella sua trac
cia, e han fatto parlare le lingue in sua lode: ci diffuse per quel santuario il
benefizio, e vi distese alti tappeti, guid e don, e reiter il primo dono, illumin e
larg, profuse generosit e ruppe il sigillo dei doni, e scosse (fino a vuotarle) l
e borse, tanto che lo credemmo ridotto all'esaurimento e al fallimento. Diremo p
i oltre delle mura di Gerusalemme da lui costruite e dei suoi fossati scavati; ma
fu gi insuperabile nelle mirabili sue precedenti generosit e provvidenze, in cui
nessuno pot arrivare a stargli a paro, e niuno prima di lui arriv a dominare la li
zza. Quanto infine ad al-Malik al-'Aziz 'Othmn (96), ci larg un beneficio da cui t
rasse forza la fede: quando cio fece ritorno in Egitto, dopo aver assistito alla
conquista e alla vittoria, lasci tutto il suo arsenale d'armi a Gerusalemme, non
ritenendo di dovermelo portar via dopo che ivi era giunto. Si trattava di carich
i di denaro, di bagagli come montagne, di ampie provviste, di munizioni difensiv
e, di larghe cotte di maglia, di brandi taglienti, di elmi e caschi, di lance e
giavellotti, di aste e missili (97), di destrieri e lance, di balestre ed. archi
, di lance yemenite, indiane e yazanite, di lance di udaina e spade mashrafite (
98), di steccate e palizzate, di targhe e lanciotti, spiedi di ferro e sarisse,
ordigni e balestre multiple e lanciafiamme, tubi di nafta e spaccapietre, attrez
zi per far breccia e ogni arnese di guerra. Con quest'armamentario si rafforz la
citt, e se ne consolidarono le salde difese; inoltre fra le condizioni imposte ai
Franchi c'era stato di lasciare a noi i loro cavalli e apparecchi, e di uscire
prima che i rimanenti avessero esaurito tutto il termine loro concesso per pagar
e la tassa di riscatto: cos la terra venne a disporre di ampie munizioni, e non e
bbe pi bisogno di aiuto che le giungesse (di fuori).
DELL'ORATORIO DI DAVIDE, E ALTRI NOBILI SANTUARI.
SOPPRESSIONE DELLE CHIESE, E ISTITUZIONE DELLE MADRASE.
Quanto all'Oratorio di Davide fuor della Moschea al-Aqsa, esso si trova in un mu
nito fortilizio presso la porta della citt, in un luogo alto ed elevato: era ques
to il fortilizio ove risiedeva il governatore. Il Sultano si occup dell'ornato su
o stato, stabilendovi un imm, dei muzzin e dei custodi; esso il luogo cui convengo
no i pii, la mta di visitatori al mattino e alla sera: ed egli lo riattiv e rinnov,
e ne apr la via ai visitatori. Ordin inoltre che fossero restaurate tutte le mosc
hee e custoditi i santuari, che le mete proposte fossero felicemente raggiunte,
e le acque rese limpide a disposizione dei viandanti e dei pellegrini. Il luogo
ove sorge questa rocca era la casa di Davide e di Salomone, sia su entrambi la b
enedizione di Dio, ove la gente si recava a trovarli. Il Malik al-'Adil era acca
mpato nella chiesa di Sion, e le sue truppe attendate alla sua porta. I familiar
i del Sultano, pii dottori e virtuosi pii, gli parlarono di stabilire una mdrasa
per i giureconsulti shafi'iti (99), e un convento per i devoti Sufi: ed egli des
ign a sede della mdrasa la chiesa detta di San Giovanni presso la Porta delle Trib,
e per il convento design la casa del Patriarca presso la Porta della Resurrezion
e. L'una e l'altro dot di pii legati, facendo con ci un benefizio a entrambe quell
e compagnie. Cerc anche delle sedi di mdrase per le varie (altre) comunit, onde agg
iunger queste ai benefzi gi conferiti: ordin di chiudere la chiesa della Resurrezio
ne, vietandone ai Cristiani la visita, anche fuggevole. Sulle sue sorti, vi fu p
resso di lui discussione, e ci fu chi consigli di demolirla e cancellarne la trac
cia, rendendo oscura la via per visitarla, di rimuoverne le immagini, di allonta
narne gli errori, di spegnerne le lampade, di distruggerne i vangeli, di elimina
rne le fallaci seduzioni, e dichiararne mendaci le affermazioni. "Quando ne sian
o abbattuti gli edifizi, - dissero, - e rasi al suolo, e aperto e distrutto il s
epolcro, e spenti ed estinti i suoi fuochi, e cancellate ed allontanate le sue t
racce, e passato l'aratro sul suo suolo, e ruinata per lungo e per largo la chie
sa, allora cesserebbe l'afflusso dei visitatori, e le brame dei destinati alla d
annazione sarebbero recise dal cercar di visitarla: sinch invece rester in piedi,

durer ininterrotto il pellegrinaggio". Ma i pi dissero: "A nulla servirebbe demoli


rla e abbatterla, n ci varrebbe a impedire agli infedeli di visitarla e a preclude
rne l'accesso; giacch oggetto del loro culto il luogo della croce e del sepolcro,
non gi l'edifizio che appare agli occhi, e le varie genti cristiane non cessereb
bero dal recarvisi in pellegrinaggio anche se la sua terra fosse strappata e lan
ciata al cielo. E quando il Principe dei credenti 'Omar conquist Gerusalemme nei
primi tempi dell'Islm, ei conferm ai Cristiani il possesso di questo luogo, n ordin
loro di demolirne l'edifizio".

3.
La figura di Corrado di Monferrato, il salvatore di Tiro e vero promotore della
Terza Crociata, quella rimasta pi vivamente impressa, insieme a Riccardo d'Inghil
terra, nei cronisti musulmani dell'epoca. Qui Ibn al-Athr narra il suo avventuros
o arrivo a Tiro, che, forse con ragione, fa carico a Saladino di non avere con s
ufficiente energia assediata: la salvezza di Tiro fu infatti condizione e prelud
io della ripresa militare cristiana e dell'assedio d'Acri.
CORRADO DI MONFERRATO A TIRO; VANO ASSEDIO DI SALADINO.
(IBN AL-ATHIR, XI, 358-59, 366-68).
Quando il Conte signore di Tripoli fugg via da Hittn, si ferm a Tiro, una delle pi f
orti e munite citt di Siria. Allorch vide che il Sultano si era impadronito di Tib
nn, Sidone e Beirt, egli tem che Saladino non avesse a marciare su Tiro, sguarnita
in quel momento di combattenti e difensori, e lui non fosse in grado di mantener
la: perci la lasci, e se ne and a Tripoli. Tiro rimase cos scoperta, senza alcuno ch
e la difendesse dai Musulmani: e se Saladino avesse cominciato con attaccar lei
prima di Tibnn e altri luoghi, l'avrebbe presa senza fatica. Ma egli la ritenne d
ifficile a conquistarsi per la sua naturale munitezza, e volle assicurarsi prima
dei territori a lei circostanti per poterla pi facilmente prendere, e fu proprio
questa la causa che la fece restare inespugnata, cos avendo voluto il destino di
Dio. Avvenne cio che un Franco d'oltremare, a nome "il Marchese" - Dio lo maledi
ca! - si era messo in mare con grandi ricchezze per fare il pellegrinaggio e il
commercio, senza aver notizia della rotta toccata dai Franchi. Entrato nel porto
d'Acri, si insospett al vedere omessi i soliti usi dei Franchi all'arrivo di ogn
i nave, con manifestazioni di giubilo, suono di campane eccetera, e anche per la
foggia di vestire di quei del luogo: si ferm quindi, incerto su cosa fosse succe
sso di nuovo. Il vento era caduto. Il Malik al-Afdal sped alla sua volta alcuni s
uoi uomini in una imbarcazione, per vedere chi fosse e che volesse. Giuntogli il
messo, il Marchese, non riconoscendo in lui uno dei loro, lo interrog sull'accad
uto, e quegli lo inform della rotta dei Franchi, e della presa di Acri e altri lu
oghi, facendogli insieme sapere che Tiro e Ascalona e altre piazze erano ancora
in mano dei Franchi stessi, e raccontandogli tutto per filo e per segno. Non pot
endo muoversi per mancanza del vento, il Marchese rimand il messo chiedendo sicur
t per entrar nella terra con le sue robe e denari. Ci gli fu concesso, ma egli rim
and pi e pi volte indietro il messo, ogni volta con nuove richieste, per guadagnar
tempo in attesa che il vento tornasse a spirare ed egli potesse col suo favore a
llontanarsi. Stando appunto in questi andirivieni, il vento torn a soffiare, e lu
i se ne part alla volta di Tiro; il Malik al-Afdal gli sped dietro delle galere a
inseguirlo, ma non poterono raggiungerlo, e lui se ne venne a Tiro, ove si era r
accolta una gran quantit di Franchi: giacch Saladino a ogni citt da lui presa, Acri
, Beirt e le altre che abbiam dette, aveva concesso libera uscita alla popolazion
e, onde tutti quanti se ne erano venuti a Tiro. Cos l si era raccolta gran gente,
senza aver per un capo che li unisse, e un comandante che li portasse al combatti
mento. Non essendo gente di guerra, stavano decidendo di entrare in trattative c
on Saladino e offrirgli la resa della terra, quando sopraggiunse il Marchese che

li dissuase da tale partito, e li rianim, e garant loro che avrebbe difesa lui la
citt. Egli distribu il denaro che aveva con s, e pose loro come condizione che la
citt e il territorio avrebbero appartenuto a lui e non ad altri. E avendo essi co
nsentito, li fece giurare, si ferm l da loro e prese a governarli: era un diavolo
incarnato, per abilit di governo e di difesa, di straordinario coraggio. Cominci q
uindi a rafforzar la citt, ne rinnov i fossati, ne mise in opera le mura, ne aumen
t la munitezza. E gli abitanti si accordarono di difenderla e combattere per lei.
Quando Saladino ebbe conquistato Gerusalemme, si trattenne fuori di essa fino al
25 di sha'bn, provvedendo all'organizzazione della citt: ordin si stabilissero dei
conventi e delle mdrase, e stabil nella casa degli Ospitalieri la mdrasa degli Sha
fi'iti, bellissima. Finito che ebbe di provvedere a Gerusalemme, mosse alla volt
a di Tiro, dove si eran raccolti molti Franchi, e di cui era divenuto signore e
governatore il Marchese, ottimamente governandoli e rafforzando oltre misura la
terra. Saladino giunse ad Acri, e vi si ferm alcuni giorni; e il Marchese, udito
del suo arrivo col, si adopr alacremente a mettere in opera le mura di Tiro e ad a
pprofondirne i fossati, stabilendo una comunicazione da mare a mare, dall'una al
l'altra parte, di modo che la citt divent come un'isola in mezzo all'acqua, inacce
ssibile e inaccostabile.
Partito da Acri, Saladino giunse davanti a Tiro il nove ramadn (13 novembre 1187)
, e si ferm a un corso d'acqua vicino alla terra e in vista di essa, aspettando c
he tutte le sue forze lo avessero raggiunto. Il ventidue ramadn, si rimise in mar
cia e accamp su un colle vicino alle mura di Tiro, s da poter seguire con gli occh
i il combattimento. Dette all'esercito dei turni di combattimento, e a ogni repa
rto un suo tempo assegnato a combattere, di modo da tenere impegnati in lotta in
interrotta i difensori. Ma lo spazio da cui questi combattevano era di non grand
e estensione, bastando a difenderlo una esigua schiera di quei di dentro, e per
di pi coi fossati che andavano da mare a mare, di modo che neanche un uccello, pe
r cos dire, poteva sorvolare la citt. Era questa come una mano protesa nel mare, c
on un braccio che la univa alla terraferma, avendo il mare da entrambe le parti;
e il combattimento non poteva avvenire che su quel braccio di terra.
I Musulmani montarono all'assalto con le catapulte e balestre e macchine d'assed
io: i familiari stessi di Saladino si alternavano a turno al combattimento, come
suo figlio al-Afdal, l'altro suo figlio az-Zahir Ghazi, suo fratello al'Adil ib
n Ayyb, suo nipote Taqi ad-din; e cos il resto degli emiri. I Franchi avevano gale
re e brulotte con cui prendevan posizione per mare ai due lati dell'istmo donde
i Musulmani combattevano quei di dentro, e bersagliavano i Musulmani di fianco c
on le balestre: cosa assai gravosa ai nostri, combattuti di fronte da quei di de
ntro, e sui fianchi dagli equipaggi delle galere. L'istmo era cos stretto che le
frecce di costoro passavano dall'una all'altra parte: molti Musulmani ne furori
feriti e uccisi, e non fu loro possibile avvicinarsi alla piazza.
Saladino mand ordine allora alle galere venutegli d'Egitto, che stavano ad Acri i
n numero di dieci, e le fece venire con gli equipaggi, i combattenti e tutto l'a
pparecchio. Esse impedivano sul mare alle galere di quei di Tiro di uscire a com
battere i Musulmani; e allora questi poterono avvicinarsi alla piazza e combatte
rla per terra e per mare, mettendola alle strette al punto da toccar quasi la vi
ttoria. Ma destino volle che accadesse un fatto imprevisto: cinque galere musulm
ane montavano la guardia una di quelle notti davanti al porto di Tiro, per imped
irvi ogni comunicazione, comandate da 'Abd as-Salm al-Mghribi, uomo esperto del su
o mestiere e coraggioso. Dopo aver trascorso la notte in veglia, costoro all'alb
a si erano sentiti sicuri, e addormentati: quand'ecco furono all'improvviso atta
ccati e incalzati dalle galere dei Franchi, che ne uccisero quanti vollero, e pr
esero prigionieri i rimanenti con le loro navi, facendoli entrare nel porto di T
iro, sotto gli occhi dei Musulmani spettatori da terra di quanto avveniva. Alcun
i Musulmani si buttarono in mare dalle galere prese, e chi si salv a nuoto e chi
anneg. Allora il Sultano ordin alle restanti galere di andarsene a Beirt, non poten
dosene egli pi giovare per il loro piccolo numero. Salpate che furono, quelle dei
Franchi le inseguirono. Quando i Musulmani delle galere videro i Franchi insegu
irli a tutta forza, si buttarono con le loro navi alla costa e scamparono, lasci
andole l; e Saladino poi le prese e le fece demolire, e torn a oppugnare Tiro dall
a sola parte di terra, cosa di poco frutto per l'angustia dello spazio in cui ma

novrare. Un giorno i Franchi fecero una sortita, e combatterono i Musulmani di d


ietro i loro fossati: la zuffa divamp violenta sino alla fine del giorno - erano
usciti di primo pomeriggio. Fu catturato un loro gran cavaliere famoso, dopo una
mischia accanita e micidiale su di lui, dopo che fu caduto da cavallo. Freso ch
e fu, fu ucciso. E cos stettero per diversi giorni.
Visto alfine che la faccenda di Tiro tirava in lungo, Saladino se ne part.
Tale era del resto la sua abitudine, che quando una terra gli faceva ferma resis
tenza egli si stancava dall'assediarla e se ne partiva. In tutto quest'anno, non
si era mai fermato a lungo contro una citt, ma le aveva tutte conquistate come a
bbiam detto in pochi giorni, senza pena n fatica alcuna. Cos, visto che ebbero lui
e i suoi compagni che osso duro era Tiro, se ne stancarono e vollero partirsene
. E del fatto di Tiro nessun altro avea colpa se non Saladino medesimo, che ci a
veva via via spedito le forze dei Franchi, e l'aveva rinforzata d'uomini e denar
i con le popolazioni di Acri, Ascalona, Gerusalemme e altri luoghi, come prima d
icemmo: a tutti costoro egli aveva concesso libera uscita e li aveva spediti a T
iro, dove si erano quindi concentrati i cavalieri franchi del Litorale coi loro
denari, e quelli dei mercanti e altri ancora. Tutti costoro difesero la citt, e s
crissero ai Franchi d'oltremare chiamandoli in aiuto. E quelli risposero al loro
appello promettendo soccorso, e ordinando di tener Tiro quale base del loro pas
saggio, in cui aver difesa e rifugio. Ci li invogli vieppi a tener fermo e a difend
er la piazza, e noi narreremo pi tardi, a Dio piacendo, il seguito della cosa, af
finch si sappia che un sovrano non deve lasciar di agire con energia anche se la
sorte gli si mostra favorevole. L'insuccesso toccato con una condotta ferma anco
r preferibile al successo conseguito con fiacchezza e senza energia, e rende il
sovrano ancor pi scusabile agli occhi della gente (100).
Quando Saladino volle partire, convoc a consiglio i suoi emiri, che furono di dis
cordi pareri. Alcuni dissero che fosse consigliabile partire, date le gravi perd
ite di morti e feriti, la stanchezza delle truppe e l'esaurimento delle scorte:
"Ecco sopraggiunto l'inverno, - dissero, - e la meta lontana. Diamo e prendiamo
riposo in questo freddo, e a primavera ci riuniremo e riprenderemo la lotta cont
ro questa e le altre piazze del nemico". Era questo l'avviso degli emiri ricchi,
quasi temessero che il Sultano non prendesse da loro in prestito i mezzi finanz
iari per mantenere l'esercito, se avesse deciso di restar l; giacch le casse e il
tesoro erano vuoti, spendendo il Sultano ogni somma che di l gli veniva apportata
. L'altro partito diceva preferibile di perseverare e incalzare la citt: era essa
la rocca su cui i Franchi facevan pi fondamento, e quando l'avessimo loro tolta
sarebbero state troncate le brame di quei d'oltremare su questa nostra terra, e
avremmo ripreso senza colpo ferire il resto del territorio. Saladino rimase esit
ante fra il partire e il restare; ma quando i fautori della partenza lo videro i
ndugiarsi, sabotarono i compiti loro assegnati, di combattimento e tiro con le a
rtiglierie; e si scusarono dicendo che la loro gente era malconcia, e che parte
ne avevan mandato per procurare i mezzi necessari, il foraggio per le loro besti
e e il cibo per loro, e simili scuse; e in conclusione se ne stettero inoperosi
senza combattere. Cos Saladino fu costretto a partire, e part da Tiro alla fine di
shawwl (fine dicembre): ai primi di gennaio era ad Acri, dove dette licenza all'
intero esercito di tornarsene a casa e riposare l'inverno, per poi riconcentrars
i a primavera. Tornaron via i contingenti d'Oriente, di Mossul eccetera, di Siri
a e d'Egitto, mentre la guardia del corpo del Sultano rimase ad Acri. Egli prese
alloggio nella cittadella, e affid il comando della terra a 'Izz ad-din Giurdk, u
no dei grandi mamelucchi di Norandino, pio e valoroso insieme, e di retta vita.

4.
La perdita di Gerusalemme, e l'intrepida resistenza del Marchese di Monferrato a
Tiro, misero in moto la Terza Crociata. Ma il principale episodio con essa conn
esso, il lungo assedio di Acri (1189-91), ebbe inizio ben prima dell'arrivo di F
ilippo Augusto e Riccardo d'Inghilterra, che colsero solo il frutto, con un ulti
mo sforzo, del duro blocco triennale posto dai Franchi a quel porto di Palestina

, anche esso ricaduto nel 1187 nelle mani di Saladino. E' noto il duplice assedi
o, dei Franchi alla piazza e di Saladino dall'esterno ai Franchi assedianti. Dif
ficolt logistiche impedirono al Sultano di mantenere il contatto dapprima stabili
to con gli assediati, e lo costrinsero ad assistere quasi impotente alla lenta a
gonia della citt. La cronaca dell'assedio e dei furibondi tentativi di sblocco ri
cca di episodi singolari e pittoreschi, che desumiamo del pari da Bah' ad-din, 'I
md ad-din, e Ibn al-Athr.
MARCIA DEI FRANCHI SU ACRI, E SUO ASSEDIO.
(IBN AL-ATHIR, XII, 20-26).
Abbiam gi detto della gran concentrazione di Franchi a Tiro, in quanto che Saladi
no, a ogni citt e fortezza che prendeva, concedeva libera uscita ai suoi abitanti
e li avviava a Tiro con le loro robe, donne e figliuoli. Cos si riun col una quant
it innumerevole di essi, e somme di denaro inesauribili anche con le pi alte spese
per parecchi anni. Indi monaci e preti e una folla di gran personaggi e cavalie
ri franchi si vestiron di nero e mostrarono gran cordoglio per esser stata loro
tolta Gerusalemme. Il Patriarca di Gerusalemme li prese con s, e si mise a girar
con loro per i paesi dei Franchi, chiamandone i popoli a soccorso, invocandone l
'assistenza e incitandoli a trar vendetta della caduta di Gerusalemme: fecero fr
a l'altro un quadro col Messia, e un Arabo che lo percuoteva, dipingendo il sang
ue sul volto di Ges Cristo - sia su lui la salute! -; e dissero alle turbe: "Ques
to il Messia, battuto da Maometto, il profeta dei Musulmani, che lo ha ferito e
ucciso". Ci fece grande impressione ai Franchi, che si raccolsero in gran numero,
fino alle donne: c'era infatti con loro ad Acri un certo numero di donne che sf
idavano a singolar tenzone i campioni nemici, come diremo. E chi non pot mettersi
personalmente in campagna assoldava un suo sostituto, o gli dava del denaro sec
ondo le loro condizioni, di modo che si raccolse di loro uomini e denari una qua
ntit innumerevole.
Un Musulmano residente a Hisn al-Akrd mi raccont quanto segue - faceva costui part
e della guarnigione della rocca che l'aveva gi molto tempo prima consegnata ai Fr
anchi, e si era poi pentito di aver cos dato mano ai Franchi nell'assalire il ter
ritorio musulmano, e di aver combattuto e lottato al loro fianco -; mi disse dun
que quest'uomo di esser stato insieme a un gruppo di Franchi di Hisn al-Akrd nei
paesi d'oltremare dei Franchi e dei Greci, con quattro galere, a chiedere aiuto
(per la Crociata). "E il nostro giro, - raccont, - ci port fino a Roma la grande,
donde ripartimmo con le galere piene di argento". E un prigioniero franco mi rac
cont che sua madre non aveva altro figlio che lui, e che non possedevano altro al
mondo che una casa, e colei l'aveva venduta e aveva equipaggiato lui col prezzo
ricavatone, per mandarlo a liberare Gerusalemme, dove era poi caduto prigionier
o. Tali erano i moventi religiosi e personali che spingevano i Franchi: i quali
si misero in campagna con ogni mezzo, per terra e per mare, da ogni direzione. E
se non fosse stato che Iddio altissimo us grazia ai Musulmani, facendo morire il
Re d'Alemagna quando usc contro la Siria, come diremo pi innanzi, si sarebbe dett
o un giorno che Siria ed Egitto "erano state" un tempo dei Musulmani.
Cos dunque si misero in campagna: e concentratisi a Tiro vi riboccavano a fiotti,
con grandi somme di denaro, ricevendo dal mare continui rinforzi di vettovaglie
, munizioni e uomini dai loro paesi, tanto che Tiro, dentro e fuori le mura, non
valse pi a contenerli tutti. Vollero dapprima attaccar Sidone, ma accadde quanto
abbiamo gi detto (101), e allora tornati si accordarono di muovere su Acri, e as
sediarla con tenace sforzo. Marciarono dunque su di essa con tutte le loro forze
, tenendosi lungo la costa che non abbandonarono mai su facile o impervio terren
o, largo o angusto che fosse, mentre le loro navi procedevano in parallelo con l
oro per mare, con le loro armi e munizioni, s da servir loro di appoggio: se aves
sero urtato in insuperabili ostacoli, si sarebbero imbarcati a sarebbero tornati
indietro. Partirono l'otto ragiab (585/22 agosto 1189), e giunsero ad Acri alla
met del mese, molestati nella marcia dagli esploratori musulmani che compivano s
u loro dei colpi di mano e ne catturavano gli elementi isolati.

La notizia della loro partenza fu portata a Saladino, che si mise in marcia avvi
cinandosi a loro. Quindi convocati i suoi emiri si consult con loro se fosse megl
io mettersi loro alle calcagna e attaccarli mentre erano in marcia, o affrontarl
i per via diversa da quella da loro battuta. Risposero gli emiri: "Non c' bisogno
che ci prendiamo la pena di seguirne la marcia, giacch la via disagevole e stret
ta, e non ci riuscir facile il coglierli come vogliamo; meglio procedere per la v
ia pi larga, e piombar loro addosso presso Acri, dove li disperderemo e faremo in
pezzi". Saladino cap che preferivano cominciare col non stancarsi, e fin col cede
re, pur essendo il suo avviso di accompagnar la marcia dei Franchi e attaccarli
durante la marcia stessa: "Se i Franchi arrivano a destinazione, - diss'egli, si pianteranno saldamente sul terreno, e non ci sar facile sloggiarli e averne ra
gione. E' meglio attaccarli prima che arrivino ad Acri". Ma quelli si opposero,
lui fin col seguirli, e cos andarono per la via di Kafar Kann, e i Franchi arrivaro
no prima di loro. Ora, egli aveva collocato a contatto coi Franchi un gruppo di
emiri, con l'incarico di accompagnare la loro marcia, e impegnare scaramucce e c
olpi di mano; contro costoro, bench pochi, i Franchi non osarono reagire, e quind
i se le truppe avessero seguito il parere di Saladino, di seguir la marcia del n
emico e attaccarlo prima che giungesse ad investire Acri, egli avrebbe raggiunto
il suo obbiettivo, e li avrebbe tenuti lontani da quella citt: ma quando Dio vuo
le una cosa, dispone in conformit le cause che la determinano.
Quando Saladino arriv ad Acri, vide che i Franchi l'avevano investita da mare a m
are sino all'opposta parte, non restando ai Musulmani via d'accesso ad essa. Cos
egli prese posizione a sua volta contro di loro, piantando la sua tenda a Tell K
aisn: la sua ala destra si stendeva fino a Tell al-'Ayadiyya, la sua sinistra fin
o al fiume. Il bagaglio si ferm a Saffuriyya. Il Sultano invi messaggi alle varie
province chiedendo invio di truppe, e giunsero le forze di Mossul, del Diyr Bekr,
di Singir e altri territori mesopotamici, venne suo nipote Taqi ad-din, e Muzaff
ar ad-din ibn Zain ad-din signore di Harrn ed Edessa. I rinforzi giungevano ai Mu
sulmani per terra e ai Franchi per mare. Fra le due parti, per tutto il tempo ch
e stettero davanti ad Acri, vi fu una quantit di scontri, piccoli e grandi: la gi
ornata campale, e combattimenti minori, oltre a scaramucce parziali che non occo
rre ricordare.
Quando il Sultano fu arrivato, non pot prender contatto con loro e con Acri sino
alla fine di ragiab; li combatt poi al principio di sha'bn (met settembre) senza co
nseguire il risultato sperato. La truppa pass la notte in ordine di battaglia, e
all'indomani Saladino li attacc con tutte le sue forze, accerchiandoli d'ogni par
te, dal primo mattino al mezzogiorno; ambedue i combattenti spiegarono un accani
mento stupefacente. A mezzogiorno, Taqi ad-din condusse dall'ala destra una terr
ibile carica contro i nemici che aveva di fronte, e li sloggi dalle loro posizion
i. Essi si calpestarono fra loro (nella fuga) senza che il fratello badasse al f
ratello, e si rifugiarono presso i loro compagni contigui, riunendosi a loro e s
gombrando la met della terra. Subito Taqi ad-din occup il terreno da essi sgombrat
o, e stabil il contatto con la citt: i Musulmani poterono entrarvi ed uscirne, si
stabilirono le comunicazioni e fu rotto il blocco che ne stringeva gli abitanti.
Saladino pot farvi entrare quanti uomini, munizioni, denari e armi voleva, e se
i Musulmani avessero proseguito a combattere il nemico fino a notte avrebbero co
nseguito il loro obbiettivo, giacch il primo urto quello che mette pi paura; ma un
a volta ottenuto questo successo, essi pensarono a riposarsi e smisero di combat
tere, dicendo: "Li attaccheremo domani mattina, e li stermineremo". Tra gli emir
i fatti entrare in Acri da Saladino c'era Husm ad-din Abu l-Haigi il Grosso, uno d
ei maggiori emiri del suo esercito, dei Curdi di Arbela. E questo giorno fu ucci
so un gran numero dei Franchi.
ALTRA BATTAGLIA, E BATTAGLIA DEGLI ARABI.
Il giorno dopo, sei di sha'bn (19 settembre) i Musulmani attaccarono i Franchi, d
ecisi a fare ogni sforzo per estirparli. Avanzando verso lo schieramento franco,
videro il nemico in guardia e sulla difensiva, e si pentirono allora della loro
fiacchezza della vigilia: i Franchi avevano messo in difesa tutte le loro posiz

ioni, e avevan cominciato a scavare un fossato che impediva di giungere fino a l


oro. I Musulmani seguitarono a offrir battaglia, ma i Franchi non mossero loro i
ncontro e non abbandonarono i loro trinceramenti. Il che visto, i Musulmani torn
arono indietro.
Un corpo di Arabi ebbe notizia che i Franchi uscivano dalla parte opposta a far
legna e altri loro lavori: si appostarono quindi in imboscata alle svolte del fi
ume ai sedici di sha'bn (29 settembre), e quando un corpo di Franchi usc come al s
olito li attaccarono e uccisero fino all'ultimo, predarono la loro roba, e porta
rono le teste degli uccisi a Saladino, che li premi e don di vesti d'onore.
LA BATTAGLIA CAMPALE SOTTO ACRI.
Dopo lo scontro ora menzionato, i Musulmani rimasero fino al venti di sha'bn (3 o
ttobre) uscendo ogni giorno mattina e sera al combattimento contro i Franchi, i
quali per non comparivano, n lasciavano i loro accampamenti.
Poi questi ultimi si riunirono a consiglio, e dissero: "Ancor non venuto l'eserc
ito d'Egitto, e ci troviamo in queste condizioni con Saladino; che sar quando ver
r? Il miglior partito affrontare domani i Musulmani, nella speranza di vincerli p
rima che le truppe e i rinforzi li raggiungano". Allora una buona parte dell'ese
rcito di Saladino era assente, parte distaccato di fronte ad Antiochia, per resp
ingere le gualdane del suo signore Boemondo dalla provincia di Aleppo, e parte i
n quel di Hims di fronte a Tripoli, a presidio del pari di quella marca; un altr
o corpo era di fronte a Tiro, per difendere quella terra, e l'esercito d'Egitto
in parte era a difesa delle marche di Damiata, Alessandria eccetera, e il rimane
nte non era ancor giunto perch trattenuto dalla lunga campagna, come abbiamo gi de
tto prima. Tutto ci aveva invogliato i Franchi a venir fuori e dar battaglia ai M
usulmani.
Il mattino seguente, i Musulmani stavano come al solito, chi avanzando al combat
timento, chi nella sua tenda e chi intento ai fatti suoi come la visita di un am
ico o il procurarsi il necessario per s i suoi compagni e le sue cavalcature, qua
nd'ecco i Franchi uscire dal loro campo, come uno sparso sciame di cavallette, s
trisciando sulla faccia della terra, che in lungo e in largo avevano riempita. E
ssi attaccarono l'ala destra dei Musulmani, comandata da Taqi ad-din 'Omar nipot
e di Saladino. Visto che i Franchi si dirigevano alla sua volta, egli si mise su
lla difensiva, e quando avanzando gli furono vicini arretr alquanto. Il che vedut
o Saladino, che stava al centro, mand a Taqi ad-din un rinforzo di suoi uomini pe
r rincalzo, stando le truppe del Diyr Bekr e alcuni contingenti d'Oriente da un l
ato dello schieramento di centro. Quando i Franchi videro il centro debolmente g
uarnito, e che molti di l erano andati di rincalzo all'ala destra, si volsero con
tro il centro caricando come un sol uomo. I nostri si dettero alla fuga dinanzi
a loro, e solo alcuni tennero fermo e diversi di essi caddero per la fede, come
l'emiro Mugialli ibn Marwn, e Zahr ad-din fratello del "faqh" Isa, governatore di G
erusalemme, che univa la prodezza in guerra alla dottrina religiosa e alla fede,
e il ciambellano Khall al-Hakkari e altri valorosi, che tenevan duro nel combatt
imento. Non rimase quindi al centro nessuno a far fronte ai Franchi, i quali pun
tarono sul colle ove era la tenda di Saladino, uccisero e predarono al passaggio
, e presso la tenda stessa di Saladino uccisero diversi, tra cui il nostro sceic
co Abu Ali ibn Rawaha al-Hmawi, uomo dotto e buon poeta; l'eredit del martirio non
gli venne di molto lontano, essendo stato il suo avo Abdallh ibn Rawaha, compagn
o del Profeta, ucciso dai Greci alla battaglia di Mu'ta (102), mentre questo (ni
pote) fu ucciso dai Franchi alla battaglia di Acri. I Franchi ammazzarono dunque
questo ed altri, e vennero gi dal lato opposto del colle, menando strage di chiu
nque incontrassero. Fu grazia di Dio per i Musulmani che i Franchi non buttasser
o gi la tenda di Saladino, che se l'avessero fatto tutti i nostri avrebbero capit
o che erano giunti fino ad essa, e che quella parte dell'esercito si era volta i
n fuga dinanzi a loro: e ne sarebbe seguita una fuga generale.
A questo punto, i Franchi si guardarono indietro, e videro i loro rincalzi che n
on li avevan potuti seguire, onde tornarono indietro per timore di esser tagliat
i fuori dai loro compagni. Quei rincalzi erano stati trattenuti pel fatto che la

nostra ala destra aveva resistito, obbligando cos parte di coloro a fronteggiarl
a, mentre la sinistra musulmana aveva essa caricato i Franchi. Cos i rinforzi, oc
cupati a combattere da quella parte, non avevan potuto congiungersi coi loro com
pagni, ed eran tornati verso i loro trinceramenti. Allora la nostra sinistra car
ic i Franchi giunti alla tenda di Saladino, cogliendoli mentre si ritiravano, e p
aggi del nostro campo li attaccarono impetuosamente. Saladino, quando il centro
aveva ceduto, era andato dietro ai suoi uomini richiamandoli e ordinando di rifa
r fronte e contrattaccare: riunitosi cos un buon gruppo attorno a lui, egli attac
c alle spalle i Franchi impegnati con la nostra sinistra. Cos le spade dei credent
i li colsero da ogni parte, e nessuno ne scamp ma furono uccisi la pi parte, e pre
si prigionieri i rimanenti; tra questi, il Capo dei Templari, che Saladino aveva
gi catturato e poi rilasciato (103), e che ora, ricadutogli in mano, fece uccide
re. Il numero dei morti, oltre quelli dalla parte del mare, fu di diecimila ucci
si, che per ordine del Sultano furono buttati nel fiume da cui i Franchi bevevan
o. La gran massa degli uccisi era tutta composta di cavalieri franchi, non avend
oli i fanti raggiunti; e tra i prigionieri ci furono tre donne franche, che comb
attevano a cavallo, e catturate e tolta loro l'armatura furono riconosciute per
donne. Dei Musulmani volti in fuga, alcuni tornarono per Tiberiade, altri passar
ono il Giordano e fecero ritorno (ai loro paesi), altri giunsero fino a Damasco.
Se queste truppe non si fossero disperse nella fuga, avrebbero sterminato a lor
o piacimento i Franchi; i rimanenti per parte loro si prodigarono nel combattime
nto, e cercarono a tutt'uomo di penetrare insieme ai Franchi nel campo nemico, s
perando che questi se ne sarebbero sbigottiti. Ma giunse loro il grido che le lo
ro robe erano state saccheggiate, il che avvenne cos: allo spettacolo della rotta
, i nostri avevan caricato i loro bagagli sulle cavalcature, quando la marmaglia
e i paggi si eran buttati loro addosso e avevan saccheggiato quella roba. Salad
ino avrebbe ben voluto incalzare e impegnare il nemico, ma vide i suoi occupati
e correnti su e gi a raccogliere e recuperare le loro robe perdute. Fece quindi p
roclamare che si adducesse quanto era stato preso, e ne fu addotto tanto da riem
pire la terra, di tappeti e valige piene, e vesti ed armi ed altro, che fu tutto
reso ai suoi legittimi proprietari. Cos per quel giorno sfugg a Saladino l'obbiet
tivo propostosi, e la paura dei Franchi si calm, e riuscirono a ricomporre le ord
inanze dei superstiti.
SALADINO SI ALLONTANA DAI FRANCHI, CHE POSSONO RIPRENDERE IL BLOCCO DI ACRI.
Quando fu ucciso quel gran numero dei Franchi, la terra fu impestata del loro pu
zzo, e ammorbata l'aria, e la salute della gente ne venne a soffrire. Anche Sala
dino si ammal, e fu tormentato da una colica di cui periodicamente soffriva. Allo
ra gli emiri, presentatisi a lui, gli consigliarono di andar via da quel luogo,
e lasciar di premere sui Franchi. Gli presentarono quell'avviso nella miglior lu
ce, dicendo: "Abbiamo serrato cos da presso i Franchi, che anche se volessero par
tirsi dal luogo che occupano non potrebbero. Ora il meglio allontanarci da loro,
di modo che abbian la possibilit di partirsene e tornar via. Se partono, saremo
reciprocamente sbarazzati gli uni degli altri, e se rimangono torneremo a combat
terli nelle nostre primitive posizioni. Tu poi non stai bene, sei molto sofferen
te: se avesse a diffondersi qualche notizia allarmante (sulla tua salute), sareb
be per tutti una rovina. Il miglior partito comunque allontanarsi da loro". Appo
ggiando anche i medici questo loro consiglio, Saladino fin col cedervi, addivenen
do cio a quanto Iddio aveva deciso di fare, "e quando Iddio vuol far del male a u
na gente, non c' forza che possa stornarlo, e nessun altro che lui pu prendersi cu
ra di loro" (104). E cos partirono per Kharruba il quattro di ramadn (16 ottobre),
e il Sultano ordin ai Musulmani di Acri di vegliare a sua difesa, tenendone chiu
se le porte e stando in guardia; e spieg loro il motivo della sua partenza.
Partito lui e le truppe, i Franchi si sentirono sicuri e a loro agio su quella t
erra, e tornarono a bloccare Acri, circondandola da mare a mare, con le loro nav
i che anche dal mare la bloccavano. Cominciarono a scavare il fossato, costruiro
no un vallo con la terra che cavavano dal fossato, e presero altre impreviste mi
sure. Ogni giorno gli esploratori musulmani si affacciavano alle loro linee, ma

essi non combattevano n si muovevano, intenti solo a scavare il fossato e a erige


re il vallo per fortificarsi con esso contro Saladino, ove fosse tornato a comba
tterli. Apparve allora quanto valesse l'avviso di chi aveva consigliato al Sulta
no la partenza. Ogni giorno gli esploratori informavano Saladino delle opere com
piute dai Franchi, rappresentandogli tutta la gravit della situazione, mentre egl
i, occupato dalla sua malattia, non era in grado di muovere a combattere. Qualcu
no gli consigli di mandare ad Acri tutto l'esercito, per impedire ai Franchi di s
cavare il fosso e alzare il vallo e combatterli, restando egli indietro; ma egli
disse: "Se non sono io l con loro, non faranno un bel nulla, e potrebbe risultar
ne un male assai maggiore del bene sperato". Cos le cose tirarono in lungo fino a
che egli non risan, e i Franchi poterono a loro agio fare ci che vollero, e si co
nsolidarono e afforzarono con ogni mezzo disponibile, mentre quelli di Acri face
vano ogni giorno sortite e li combattevano e infliggevan loro perdite fuori dell
a citt.
ARRIVO DELL'ESERCITO D'EGITTO E DELLA FLOTTA EGIZIANA PER MARE.
A met di shawwl (fine novembre) giunsero le truppe egiziane, comandate dal Malik a
l-'Adil Saif ad-din Abu Bakr ibn Ayyb. Si rinfrancarono gli animi all'arrivo di l
ui e dei suoi compagni, portando egli gran quantit di arnesi d'assedio, targhe e
schermi lignei e frecce ed archi, e gran copia di fanti. Anche Saladino raccolse
molta fanteria dalle province di Siria, deciso a marciare con fanti e cavalieri
contro il nemico. Dopo al-'Adil, giunse la squadra egiziana, comandata dall'emi
ro Lu'lu, uomo energico ed audace, esperto del mare e di guerra navale, di felic
e iniziativa. Egli arriv all'improvviso, colse un bastimento franco e lo pred catt
urando molte robe e approvvigionamenti; e lo fece entrare in Acri, i cui abitant
i si sentirono tranquillizzati e rinfrancati all'arrivo della flotta.
(BAHA' AD-DIN, 140-47).
Il mercoled ventiquattro sha'bn (4 ottobre 1189), le forze franche iniziarono un m
ovimento del tutto inconsueto, cavalieri e fanti, grandi e piccoli, e si schiera
rono fuor delle loro tende, in un centro, un'ala destra e una sinistra. Al centr
o stava il Re, cui era portato dinanzi il Vangelo sotto un baldacchino di raso r
etto alle estremit da quattro persone, che con esso procedevano. L'ala destra fra
nca si svilupp tutta quanta di fronte alla sinistra dell'esercito musulmano, e co
s tutta la sinistra del nemico di fronte alla nostra destra. Occuparono le cime d
ei colli, con l'estremit della destra appoggiata al fiume, e quella della sinistr
a al mare. Nell'esercito musulmano, il Sultano ordin agli araldi di gridare fra l
e truppe "Per l'Islm, su con l'esercito dei Monoteisti!" Tutti montarono a cavall
o, avendo venduto la loro vita per il paradiso, e si postarono dinanzi alle loro
tende; la nostra destra si distese parimenti fino al mare, e la sinistra fino a
l fiume. Il Sultano aveva gi disposto i nostri nelle tende stesse in una destra e
sinistra e un centro, in schieramento di battaglia, di modo che al primo allarm
e non avessero bisogno di assumere un nuovo ordinamento. Saladino era al centro;
al centro destro stava suo figlio al-Malik al-Afdal, l'altro figlio al-Malik az
-Zafir fratello di al-Afdal, le truppe di Mossul al comando di Zahr ad-din ibn al
-Bulunkari, le truppe del Diyr Bekr agli ordini di Qutb ad-din ibn Nur ad-din sig
nore di Hisn Kaif, poi Husm ad-din ibn Lagn signore di Naplusa, poi l'eunuco Qaimz a
n-Nagmi con fitte schiere in contatto con l'estrema ala destra. A quest'estrema
destra, che dava sul mare, c'era al-Malik al-Muzaffar Taqi ad-din con le sue tru
ppe. L'inizio della sinistra in contiguit col centro era tenuto da Saif ad-din 'A
li al-Mashtb, gran principe e generale curdo, l'emiro Mugialli con le truppe Mihr
anite e Hakkarite (105), Mugiahid ad-din Baranqash comandante delle forze di Sin
gir e una schiera di Mamelucchi, poi Muzaffar ad-din ibn Zain ad-din con le sue t
ruppe, e all'estrema sinistra i gran Mamelucchi asaditi (106) come Saif ad-din Y
azkug e Arsln Bugh e gli altri asaditi di proverbiale valore. Il centro era sotto

il comando del "faqh" Isa. Il Sultano in persona girava per i battaglioni eccitan
doli al combattimento, invitandoli alla battaglia e incuorandoli per la vittoria
della fede di Dio.
Nemici e Musulmani avanzarono fino a giorno alto, circa all'ora quarta: a questo
punto la sinistra nemica mosse contro la destra musulmana, donde il Malik al-Mu
zaffar sped contro il nemico gli arcieri d'avanguardia, che impegnarono diversi s
contri. Premendo in forza il nemico sul Malik al-Muzaffar, che stava all'estrema
destra sul mare, questi arretr alquanto, per invogliarli ad allontanarsi dai lor
o compagni, e poter cos lui metterli in scacco. Ci vedendo, il Sultano credette a
una debolezza da parte sua, e gli invi in rinforzo numerosi battaglioni tolti dal
centro. L'ala sinistra nemica dette allora addietro, e si raccolse su un colle
dominante il mare; mentre quei che fronteggiavano il nostro centro, vistolo inde
bolirsi per i battaglioni che ne erano stati distaccati, imbaldanziti si mossero
contro il centro destro, e caricarono fanti e cavalieri come un uomo solo. Vidi
io stesso i fanti avanzare allo stesso passo dei cavalieri, che non li precedev
ano, anzi talora restavan loro indietro. La carica si abbatt su quei del Diyr Bekr
, privi di esperienza di guerra, che dettero volta dinanzi al nemico e andarono
in una gran rotta, che si comunic alla maggior parte della nostra destra. Il nemi
co insegu i fuggenti fino ad 'Ayadiyya, e accerchi la collina: alcuni nemici salir
ono fino alla tenda del Sultano, e uccisero un suo coppiere che ivi si trovava.
Caddero martiri per la fede in quel giorno Isma'l al Mukabbis e Ibn Rawaha, che D
io abbia misericordia di loro. La nostra sinistra intanto tenne fermo, non colta
dalla carica nemica. Il Sultano girava tra i battaglioni, esortandoli con belle
promesse, eccitandoli a combattere per la fede, e levando il grido: "Per l'Isla
m!" Con sole cinque persone rimastegli accanto, egli percorreva i battaglioni e
traversava le file: indi ripar sotto la collina su cui eran piantate le tende. La
rotta dei nostri giunse fino a Uqhuwana di l dal ponte di Tibriade, e alcuni ne
giunsero fino alla ben custodita Damasco. I cavalieri nemici li inseguirono fino
ad 'Ayadiyya, e quando li videro saliti sul monte tornarono indietro verso le l
oro forze: imbattutisi in una schiera di servi, asinai e palafrenieri che fuggiv
ano sui muli del treno, ne uccisero parecchi; giunti in capo al mercato, ucciser
o altra gente, e alcuni di loro furono a lor volta uccisi, essendovi al mercato
gran gente con armi. Quanto a coloro che eran saliti fino alle tende del Sultano
, essi non vi trovarono assolutamente nulla, salvo che ammazzarono quei che abbi
am detto, tre persone in tutto. Vista salda la sinistra musulmana, essi capirono
che la rotta non era stata completa, e quindi tornaron gi dal colle cercando di
ricongiungersi col loro esercito.
Il Sultano stava sotto il colle con una piccola schiera, raccozzando gli uomini
per farli contrattaccare il nemico. Essi, visti i Franchi che calavan gi dal coll
e, vollero affrontarli; ma egli ordin loro di pazientare finch quelli non ebbero v
oltate loro le spalle, correndo alla ricerca dei loro compagni. Allora il Sultan
o gett un grido, e quelli corsero loro addosso, stendendone parecchi. Diffusasi l
a voglia di dar loro addosso, ingross la folla degli inseguitori, finch quelli non
giunsero ai loro compagni con tutta una canea alle calcagna. Gli altri, visti c
ostoro in fuga e i Musulmani in gran numero alle loro spalle, credettero che tut
ti quelli di loro che avevan caricato fossero stati uccisi, e solo quella schier
a si fosse salvata, e posta a sua volta in fuga. Se la dettero quindi tutti a ga
mbe, mentre la nostra sinistra muoveva contro di loro. Il Malik al-Muzaffar sopr
aggiunse a sua volta con i suoi dalla destra, i nostri si sostennero e chiamaron
o a vicenda, rifluendo d'ogni parte al combattimento: Iddio sment il demonio, e d
ette la vittoria alla fede. I nostri stettero ad ammazzare e abbattere, colpire
e ferire, fino a che i fuggiaschi scampati si ricongiunsero col loro esercito. I
vi i Musulmani si lanciarono loro addosso tra le loro tende stesse, ma vennero f
uori dei battaglioni che il nemico aveva apprestato per timore appunto di una si
mile eventualit, e respinsero i Musulmani. I nostri erano ormai stanchi e sudati:
tornarono quindi indietro dopo la preghiera del meriggio, tra un mare di sangue
e di uccisi, lieti e contenti alle loro tende. Anche il Sultano torn alla sua te
nda, ove tenne rapporto con gli emiri, facendo il bilancio dei caduti: il numero
dei Mamelucchi oscuri caduti era di centocinquanta; tra i caduti ragguardevoli
era Zahr ad-din, fratello del "faqh" Isa: quest'ultimo io vidi seduto e sorridente

mentre gli facevano le condoglianze, e lui le rifiutava, e diceva: "Questo gior


no di rallegramenti, non di condoglianze". Egli stesso era caduto da cavallo, er
a stato rimesso in sella dai vicini, e parecchi dei suoi intimi eran caduti nel
difenderlo. Fu ucciso anche in quella giornata l'emiro Mugialli. Queste le perdi
te dei Musulmani. Quanto al nemico della malora, i suoi morti si valutarono in s
ettemila uomini; io li vidi trasportarli alla sponda del fiume per buttarceli de
ntro, e li valutai per un po' meno di settemila.
Quando i Musulmani toccarono quella (iniziale) rotta, e i servi videro le tende
vuote da chi potesse loro opporsi - ch l'esercito si era diviso in due parti, tra
chi fuggiva e chi combatteva, e nessuno era rimasto alle nostre spalle nelle te
nde -, si credettero che la rotta fosse generale, e che il nemico avrebbe predat
o tutto ci che era nelle tende; perci misero essi stessi le mani nelle tende, e ne
saccheggiarono il contenuto. Andarono cos perduti gran denari, e robe, e armi de
i nostri, il che increbbe pi ancora della rotta stessa. Quando il Sultano torn all
e tende, e vide il duplice danno, dei beni saccheggiati e della rotta che aveva
incolto l'esercito, si affrett a mandare ordini scritti e messi per far tornare i
fuggiaschi e ricercare i soldati sbandati. Si susseguirono i messi con tale inc
arico fino a raggiungere il colle di Fiq, dove ripresero i fuggiaschi gridando:
"Al contrattacco! Alla riscossa dei Musulmani!" Cos tornarono, e Saladino ordin ch
e tutte le robe fossero tolte di mano ai servi e raccolte davanti alla sua tenda
, fino alle gualdrappe e ai sacchi di foraggio dei cavalli. Ivi egli sedette, co
n tutti noi d'intorno, e ordin che a chiunque riconoscesse qualcosa come sua, e n
e facesse giuramento, essa fosse restituita. Tutti questi eventi furono da lui a
ffrontati con saldo cuore e serenit, viso aperto e retto consiglio che non anfana
va alla cieca, con l'intento di acquistar merito presso Dio, e ferma decisione p
er dar vittoria alla fede. Il nemico, per parte sua, torn alle sue tende dopo ave
r perduto i suoi prodi e aver visti abbattuti i suoi campioni.
Il Sultano ordin che da Acri uscissero dei carri per trasportare i morti nemici a
l fiume e buttarceli dentro. E uno di quelli che attesero a questo servizio dei
carri, mi disse che il numero degli uccisi dell'ala sinistra era di quattromilac
ento e rotti, mentre quelli dell'ala destra e del centro non li aveva potuti con
tare, essendosi di loro occupato un altro. Rest del nemico, dopo questo scontro,
chi pot difendersi, e questi si rinchiusero nel loro campo, senza curarsi delle f
orze e schiere musulmane. Delle forze musulmane, una gran quantit and dispersa nel
la rotta, da cui fecero ritorno solo elementi ben noti che avevano a temere per
s (le conseguenze di una diserzione); tutti gli altri, scapparono via dove la via
li port.
Il Sultano raccolse la roba predata e la rese ai suoi legittimi proprietari: mi
trovai io stesso presente il giorno che le robe furon distribuite a chi di dover
e, e vidi una corte di giustizia quale al mondo non se ne vide la maggiore; era
il venerd ventitr sha'bn (6 ottobre). Alla fine di questo episodio e quando tutto f
u tornato in calma, il Sultano ordin che il bagaglio fosse fatto arretrare a un l
uogo detto al-Kharruba, per timore che il puzzo dei cadaveri facesse male alle s
ue truppe. Era questo un luogo vicino al campo di battaglia, ma un po' pi lontano
di quello ove fino allora egli era stato. Gli fu eretta una tenda presso i baga
gli, ed egli diede ordine agli esploratori di restar l dove egli era prima: quest
o, il ventinove del mese. Convoc poi gli emiri e i consiglieri alla fine del mese
, essendo io tra i presenti, e li invit ad ascoltare quanto stava per dire. "In n
ome di Dio, - disse, - lode a Dio, e benedizione al Profeta: sappiate che questo
nemico di Dio e nostro ha invaso il nostro paese e calpestato la terra dell'Islm
. Ci sono gi apparsi i segni della vittoria che riporteremo su di lui, a Dio piac
endo. Ora esso rimasto con queste esigue forze, e noi dobbiamo a ogni costo prov
vedere a estirparlo, quale obbligo impostoci da Dio. Voi sapete che queste sono
le nostre truppe, n attendiamo altro rinforzo se non al-Malik al-'Adil, che sta p
er arrivare. Se il nemico resta e tira in lungo fino al riaprirsi delle comunica
zioni marittime, gli verr gran rinforzo. Quindi io ritengo assolutamente si debba
attaccarlo. Che ognuno di voi ora mi faccia conoscere il suo parere in proposit
o". Ci avveniva il tredici tishrn (13 ottobre) secondo i mesi del calendario solar
e. Si dibatterono i vari consigli, si discusse, e si arriv alla conclusione che i
l miglior partito era arretrare l'esercito a Kharruba e farlo restar l un po' di

giorni per riposarsi dal porto delle armi e rinfrancarsi dalla fatica, per ripre
nder forze e far riposare i cavalli. Gli uomini erano da cinquanta giorni sotto
le armi e a cavallo, i cavalli eran stanchi della battaglia, e sulle forze. Con
un po' di riposo, avrebbero ripreso fiato. "Arriver al-Malik al-'Adil, e divider c
on noi il consiglio e l'azione; ricupereremo gli sbandati, e raccoglieremo la fa
nteria per far fronte alla fanteria del nemico". Il Sultano era fortemente indis
posto per i patemi sofferti, il peso delle armi e il continuo indossar la corazz
a: perci gli parve bene seguire il loro consiglio. L'esercito si trasfer presso i
bagagli il tre di ramadn, e quella notte stessa vi si trasfer il Sultano, e prese
a curare la sua salute, a raccogliere le truppe e ad attendere il fratello al-Ma
lik al'Adil, che arriv il dieci di ramadn (22 ottobre) (107).
INCENDIO DELLE TORRI D'ASSEDIO.
(IBN AL-ATHIR, XII, 28-30).
Durante l'investimento di Acri, i Franchi avevano costruito tre altissime torri
lignee d'assedio, alta ognuna sessanta cubiti: ogni torre era a cinque piani, og
nuno pieno di combattenti. Il legname per la loro costruzione era stato raccolto
da oltremare, giacch per queste gran torri non si conviene che una rara qualit di
legname. Essi le avevano ricoperte di pelli, aceto, terra e ingredienti anticom
bustibili, avevano aperto le vie per fare avanzar tali ordigni e li avevano addo
tti da tre parti verso la citt di Acri, avanzando con essi all'assalto a partir d
al venti di rab' primo (586/27 aprile 1190). Essi dominavano le mura, e gli uomin
i ivi montati combattevano i difensori delle mura, che dettero addietro, mentre
i Franchi cominciavano a colmare il fossato. La terra fu cos sul punto di essere
espugnata a viva forza. Allora quei di Acri mandarono a Saladino un uomo che giu
nto da lui a nuoto lo inform della distretta in cui si trovavano, e della cattura
e morte che si aspettavano imminente. Il Sultano mont a cavallo con le sue trupp
e e avanz verso i Franchi, impegnandoli d'ogni parte in duro e continuo combattim
ento, cercando cos distrarli dal sopraffare la terra. I Franchi si divisero in du
e parti, una che combatteva Saladino e un'altra quelli di Acri, su cui per si all
egger la pressione nemica: la lotta dur otto giorni consecutivi, l'ultimo dei qual
i fu il ventotto del mese (5 maggio), con stanchezza da ambo le parti per l'inin
terrotto combattere giorno e notte. I Musulmani erano ormai certi che i Franchi
si sarebbero impadroniti della terra, al vedere i difensori incapaci di respinge
re le torri: essi avevan bene usato ogni stratagemma senza alcun profitto, e seg
uitato a scagliar fuoco greco sulle torri, che per non faceva effetto; eran quind
i sicuri di perire, quando Iddio mand il suo aiuto e permise che le torri venisse
ro abbruciate.
Ci avvenne a questo modo: c'era un uomo di Damasco, appassionato raccoglitore deg
li strumenti degli artificieri e degli ingredienti che rinforzano l'opera del fu
oco. I suoi conoscenti lo rimproveravano e riprendevano per questa sua passione,
e lui rispondeva che era un mestiere che egli non esercitava affatto di persona
, ma che gli interessava conoscere da dilettante. Costui per una combinazione vo
luta da Dio si trovava in Acri, e quando vide le torri rizzate contro la citt com
inci ad apprestare gli ingredienti da lui conosciuti che rinforzavano il fuoco, n
on impedibile pi da terra, aceto o altro coibente. Preparati che li ebbe, si pres
ent all'emiro Qaraqsh, comandante e governatore di Acri, e gli disse che ordinasse
all'artigliere di gettare con la catapulta prospiciente a una di quelle torri c
i che egli gli avrebbe dato, s da incendiarla. Qaraqsh aveva addosso una rabbia e u
na paura per caduta della terra che quasi lo ammazzava; e a sentir le parole di
quell'uomo si arrabbi ancora di pi, e infuri, dicendogli: "Quelli dell'arte hanno f
atto di tutto a bersagliarle di fuoco greco e altro, senza riuscire!" Ma qualcun
o dei presenti disse:
"Chi sa che Dio non ci dia scampo proprio per mano di quest'uomo! Non c' nulla di
male ad aderire a ci che egli propone". Cos Qaraqsh acconsent, e ordin all'artiglier
e di eseguire i suoi ordini. Questi fece lanciare un certo numero di recipienti
di nafta e altri ingredienti senza appiccarvi il fuoco, e i Franchi al vedere ch

e i recipienti scagliati non bruciavano nulla gridavano e ballavano e giocavano


sul tetto della torre; quando il lanciatore si fu reso conto che le sostanze da
lui lanciate avevano bene attaccato sulla torre, lanci un recipiente pieno in cui
aveva invece appiccato il fuoco, e subito la torre and in fiamme; ne lanci un sec
ondo e un terzo, e il fuoco divamp per tutta la torre, prevenendo quei che erano
nei suoi cinque piani dal fuggire e porsi in salvo. Cos essa bruci con tutti quell
i che c'eran dentro, e una quantit di corazze e armi in essa contenuta. I Franchi
, al vedere che i primi recipienti non avevan fatto effetto, eran stati indotti
a rimaner tranquilli e non cercar di salvarsi, finch Dio non anticip loro il fuoco
in questo mondo, prima di quello d'inferno. Bruciata che fu la prima torre, que
gli pass alla seconda, i cui uomini eran fuggiti per la paura, e la incendi del pa
ri, e cos la terza, che fu una memorabile giornata mai vista prima. I Musulmani g
uardavano e si allietavano, coi volti rasserenati di gioia dopo la tristezza, pe
r la vittoria e la salvezza dalla morte dei loro correligionari: giacch non ce n'
era nessuno che non avesse nella terra un parente od amico. Quell'uomo fu condot
to da Saladino, che gli offerse gran ricchezze e appannaggi, ma egli non accett u
n centesimo: "L'ho fatto per amor di Dio, - disse, - e non voglio premio altro c
he da Lui". Ne fu inviata la lieta nuova per le province, e il Sultano mand a chi
edere il rinforzo delle truppe d'Oriente. Il primo a giungere fu 'Imd ad-din Zink
i ibn Mawdd ibn Zinki, signore di Singir e della Giazira, poi 'Al' ad-din figlio di
'Izz ad-din Mas'd ibn Mawdd ibn Zinki, signore di Mossul, inviato da suo padre al
comando del suo esercito; poi Zain ad-din Yusuf signore di Arbela. Ognuno di es
si, appena giunto, avanzava contro i Franchi con le sue truppe, e unito ad altri
li combatteva, e poi si accampava.
Episodi vari dell'assedio.
(BAHA' AD-DIN, 178-19, 201-3, 211).
UNA NAVE DI BEIRUT PENETRA CON UNO STRATAGEMMA IN ACRI.
I Franchi, Dio li mandi in malora, avevano postato le loro navi torno torno ad A
cri, a farvi la guardia che non vi entrassero le navi dei Musulmani. Gli assedia
ti avevano gran bisogno di viveri e vettovaglie. Un gruppo di Musulmani si imbar
c a Beirt su una nave carica di quattrocento sacchi di grano, con formaggio, cipol
le, ovini e altri rifornimenti; essi si vestirono del costume dei Franchi, si ra
sero la barba, misero dei porci sulla tolda della nave, s che si vedessero da lon
tano (108), alzarono le croci, e salparono dirigendosi dall'alto mare sulla citt.
Venuti a contatto con le navi del nemico, questi con brulotti e galere si fece
loro incontro, dicendo: "Vediamo che siete diretti alla citt", credendoli dei lor
o. Quelli risposero: "Ma non l'avevate gi presa?" "Non ancora", replicarono. E i
nostri: "Noi drizziamo allora le vele verso l'esercito (franco); ma c' un altro b
astimento che arriva col nostro stesso vento: avvertitelo voi che non entri in c
itt": c'era infatti dietro di loro una nave franca capitata sulla stessa rotta, e
diretta all'esercito. Quelli la videro e si diressero alla sua volta per avvert
irla. Il bastimento musulmano pot cos riprendere liberamente la sua rotta, e fatto
si il vento favorevole entr nel porto, grazie a Dio sano e salvo. Fu quella una g
ran gioia, ch il bisogno stringeva ormai gli assediati. Ci avvenne nell'ultima dec
ade di ragiab (586/agosto-settembre 1190).
STORIA DEL NUOTATORE ISA.
Uno degli episodi pi curiosi e mirabili dell'assedio fu questo: un nuotatore musu
lmano a nome Isa soleva venire in citt di notte, con messaggi e denaro che portav
a alla cintola, eludendo la sorveglianza del nemico. Egli si tuffava, e riemerge
va di l dallo sbarramento navale nemico. Una notte, egli si era fissate alla cint
ola tre borse con mille "dinr" e dei messaggi per l'esercito, mettendosi a nuoto

in mare con questo carico; ma gli capit un incidente per cui perdette la vita, e
a noi tard a giungerne la notizia. Era suo costume una volta entrato nella citt di
fare alzare a volo un colombo viaggiatore che ci informava del suo arrivo. L'uc
cello tard a comparire, e noi capimmo cos che colui era perito. Alcuni giorni dopo
, trovandosi la gente in riva al mare, nella citt, il mare rigett a riva un annega
to, che esaminarono e riconobbero per Isa il nuotatore. Alla sua cintola, ritrov
arono l'oro e l'incerata con le lettere; l'oro serviva come soldo per i combatte
nti. Non si vide mai chi anche dopo morto assolvesse un compito di fiducia assun
to se non quell'uomo. Anche ci occorse nell'ultima decade di ragiab.
UN'IMBOSCATA.
Il ventidue shawwl (586/22 novembre 1190) il Sultano volle tendere un'imboscata a
l nemico. Fece quindi uscire un gruppo di guerrieri e prodi cavalieri, scelti da
un gran numero, e ordin loro di partir di notte e appostarsi appi di una collina
a nord di Acri, non molto lontano dal campo nemico, dove aveva sostato il Malik
al-'Adil nello scontro che prese nome da lui. Un piccolo numero di loro doveva f
arsi vedere dal nemico, avvicinandosi alle sue tende e provocandolo, per poi, qu
ando esso ne fosse uscito, scappargli dinanzi in direzione dei Musulmani. Costor
o obbedirono e si misero in marcia fino ad arrivare di notte alla collina anzide
tta, appostandosi col. Spuntato il giorno del sabato ventitr, un piccolo numero di
loro montato su buoni cavalli usc e venne alle tende del nemico, bersagliandole
con dardi. Provocati da questi continui tiri, circa duecento cavalieri dei loro
uscirono in pieno assetto di guerra, su buoni cavalli e perfette armature, attac
candoli senza alcuna compagnia di fanti. Il loro piccolo numero li aveva invogli
ati ad attaccarli. Ma quelli fuggirono loro dinanzi, combattendo e sottraendosi
insieme, sino a giungere all'imboscata: al loro arrivo, i guerrieri scelti balza
rono fuori con un sol grido e piombarono loro addosso come i leoni sulla preda.
Quelli resistettero e si batterono gagliardamente, ma poi andaron rotti. I Musul
mani si impadronirono di loro, molti ne uccisero e parecchi ne catturarono abbat
tendone una buona quantit, e presero i loro cavalli e il loro apparecchio.
La buona notizia giunse al campo musulmano, e si levarono alte le voci di giubil
o e di lode a Dio. Il Sultano cavalc a incontrare quei valorosi, e io ero con lui
di servizio, sinch venne a Tell Kaisn, dove incontr i primi della compagnia. L si f
erm a incontrare i reduci, mentre la gente li trattava da benedetti e rendeva lor
o grazie per la loro gesta. Il Sultano esamin i prigionieri e s'inform del loro st
ato: c'era tra essi il capo dell'esercito del re di Francia, che quegli aveva sp
edito in aiuto prima del sua stesso arrivo; e cos anche era caduto prigioniero il
tesoriere del re. Il Sultano torn alle sue tende lieto e contento, si fece prese
ntare i prigionieri, e fece proclamare da un araldo che chiunque ne avesse fatto
uno lo presentasse. Cos ognuno present i suoi: e io ero presente a quella seduta.
Saladino onor i prigionieri di alto grado e pi ragguardevoli, e don loro delle ves
ti d'onore; al capo delle truppe del re di Francia don una pelliccia particolare,
a ognuno dei rimanenti una di Giarkh, dato che faceva un gran freddo di cui ess
i soffrivano. Fece loro presentare del cibo di cui mangiarono, e ordin di rizzar
loro una tenda vicina alla sua. Poi di continuo egli faceva loro segni d'onore,
e invitava talora alla sua tavola quel Comandante. Ordin poi di spedirli a Damasc
o ove furono condotti onorevolmente, e dette loro il permesso di scrivere ai lor
o compagni, e farsi venire dal loro campo le vesti e altro che loro occorresse.
Cos fecero, e partirono poi per Damasco.
UMANITA' DI SALADINO.
... Furono condotti al Sultano quarantacinque Franchi presi a Beirt, che giunsero
in quel giorno a quel luogo (109). Ivi fui testimone di un suo atto di buon cuo
re di cui non fu mai visto il maggiore: tra quei prigionieri c'era un vecchio di
et assai avanzata, senza pi un dente in bocca e senza pi forza altro che per muove
rsi. Il Sultano disse all'interprete che gli domandasse: "Cosa mai ti ha indotto

a venir qui, in cos grave et, e quanto c' di qui al tuo paese?" Rispose: "Il mio p
aese distante di qui mesi di viaggio, e, la mia venuta stata per fare il pellegr
inaggio al Santo Sepolcro". Il Sultano ne fu commosso, e gli fece grazia, lascia
ndolo in libert e facendolo tornare, montato su un cavallo, al campo nemico. I su
oi figli piccoli gli chiesero il permesso di uccidere qualcuno di quei prigionie
ri, ma egli non lo permise. Gli domandai perch avesse rifiutato, avendo io trasme
sso quella loro richiesta: "Perch, - rispose, - non si avvezzino fin da piccoli a
spargere il sangue cos alla leggera, quando essi ancora non san distinguere tra
un musulmano e un infedele". Vedete la clemenza, e coscienziosit e scrupolosit di
questo sovrano! (110).
DONNE DI PIACERE E DI GUERRA TRA I FRANCHI (111).
('IMAD AD-DIN, 228-30).
Arrivarono in un bastimento trecento belle donne franche, adorne di lor giovinez
za e belt, raccoltesi d'oltremare e proffertesi a commetter peccato. Costoro si e
rano espatriate per aiutare gli espatriati, e accinte a render felici gli sciagu
rati, e sostenute a vicenda per dar sostegno ed appoggio, e ardevano di brama pe
r il congresso e l'unione carnale. Eran tutte fornicatrici sfrenate, superbe e b
effarde, che prendevano e davano, sode in carne e peccatrici, cantatrici e civet
tuole, uscenti in pubblico e superbe, focose e infiammate, tinte e pinte, deside
rabili e appetibili, squisite e leggiadre, che squarciavano e rappezzavano, lace
ravano e rattoppavano, aberravano e occhieggiavano, sforzavano e rubavano, conso
lavano e puttaneggiavano; seducenti e languide, desiderate e desideranti, svagat
e e svaganti, versatili e navigate, adolescenti inebbriate, amorose e facenti di
s mercato, intraprendenti e ardenti, amanti e appassionate; rosse in viso e sfro
ntate, nere d'occhi e bistrate, ricche di glutei e slanciate, dalla voce nasale
e dalle cosce carnose, occhiazzurre e cenerine, sfonde e sciocchine. Ognuna trae
va lo strascico della sua tunica, e incantava col suo nitore chi la guardava; si
incurvava come un arboscello, si svelava come un forte castello, dondolava come
un ramoscello; marciava superba con una croce sul petto, vendeva per grazie le
sue grazie, ambiva esser rotta nella sua cotta. Giunsero costoro avendo consacra
to come in opera pia le loro persone, e offerto e prostituito le pi caste e prezi
ose tra loro. Dissero che mettendosi in viaggio avevano inteso consacrare i lor
vezzi, che non intendevan rifiutarsi agli scapoli, e che ritenevano non potersi
rendere a Dio accette con sacrifizio migliore di questo. Si appartaron quindi ne
lle tende e padiglioni da esse rizzati, riunendosi a loro altre belle giovani lo
ro coetanee, e apriron le porte dei piaceri, e consacrarono in pia offerta quant
o avean fra le cosce, e manifestarono la licenza, e si volsero al riposo, e rimo
ssero ogni ostacolo al largheggiare di s: dettero ampio corso al mercato della di
ssolutezza, ornarono le rappezzate fessure, si profusero nelle fonti del liberti
naggio, si chiusero in camera sotto gli amorosi trasporti dei maschi, offersero
il godimento della loro merce, invitarono gli impudichi all'amplesso, montarono
i petti sulle terga, largirono la mercanzia agli indigenti, raccostaron gli anel
li delle caviglie agli orecchini, vollero esser distese sul tappeto dell'amoroso
gioco. Si fecero bersaglio dei dardi, si ritennero lecito campo a ci che proibit
o, si offrirono ai colpi di lancia, si umiliarono ai loro amici. Stesero il padi
glione, e sciolsero la zona dopo stretta (l'intesa); divennero il luogo ove si p
iantano i bischeri, invitarono i brandi a entrar nelle loro vagine, spianarono i
l loro terreno per la piantagione, fecero alzare i giavellotti verso gli scudi,
eccitarono gli aratri ad arare, dettero ai becchi di scrutare, permisero alle te
ste di entrar nei vestiboli, e corsero sotto chi le inforcava a colpi di sprone;
avvicinarono le corde dei secchi ai pozzi, incoccarono le frecce sulle impugnat
ure degli archi, recisero i cinturini, incisero le monete, accolsero gli uccelli
nei nidi delle cosce, raccolsero nelle reti le corna degli arieti cozzanti; rim
ossero ogni interdizione da ci che preservato, e si francaron dal velo di ci che n
ascosto. Intrecciaron gamba a gamba, saziaron la sete degli amanti, moltiplicaro
no i ramarri nei buchi, misero a parte i malvagi delle loro intimit, dettero la v

ia ai calami verso i calamai, ai torrenti verso i fondovalle, ai ruscelli verso


gli stagni, ai brandi verso i foderi, alle verghe verso i crogiuoli, alle cintur
e infedeli verso le muliebri zone, alle legna verso le stufe, ai rei verso le ba
sse carceri, ai cambiavalute verso i "dinr", ai colli verso i ventri, ai bruscoli
verso gli occhi. Si litigarono per i fusti d'albero, si buttarono a gara a racc
ogliere i frutti, e sostennero che era questa un'opera pia su cui non ce n' altra
, specialmente verso chi era insieme lontano dalla patria e dalle donne. Mescero
no il vino, e con l'occhio del peccato ne chiesero la mercede (112). Gli uomini
del nostro esercito udirono di quella storia, e si stupirono di come coloro pote
ssero fare opera pia abbandonando ogni ritegno e pudore. Pure, un certo numero d
i mamelucchi stolti e sciagurati ignoranti evase sotto il serio pungolo della pa
ssione, e segu quei dell'errore: e chi si adatt a comprare il piacere con l'avvili
mento, e chi si pent del suo fallo e trov con astuzie la via di tornare indietro;
giacch la mano di chi non commetta (addirittura) apostasia non osa allungarsi, e
la situazione di chi arriva transfuga da coloro, per il sospetto che lo grava, g
rave, e la porta del piacere gli vien chiusa in faccia. Or presso i Franchi la d
onna nubile che si d al celibe non fa peccato, anzi essa quanto mai giustificata
presso i preti, se i celibi ridotti alle strette trovano sollievo nel godere di
lei.
Arriv anche per mare una donna di alto affare, di ampia ricchezza; era essa sovra
na nel suo paese, e giunse accompagnata da cinquecento cavalieri con i lor caval
li e scudieri, paggi e valletti, assumendo a suo carico ogni spesa loro occorren
te, largamente provvedendoli col suo denaro. Essi cavalcavano quando essa cavalc
ava, caricavano quando essa caricava, balzavano all'assalto quando essa balzava,
e le sue schiere tenevan fermo quando essa teneva.
Tra i Franchi vi sono infatti delle donne cavaliere, con corazze ed elmi, vestit
e in abito virile, che uscivano a battaglia nel fitto della mischia, e agivano c
ome gli uomini d'intelletto, di tenere donne che erano, ritenendo tutto ci un'ope
ra pia, pensando assicurarsi cos la beatitudine, e facendosene un'abitudine. Lode
a Colui che le ha indotte in tale errore, e le ha sviate dalla via della saggez
za! Il giorno della battaglia spunt di loro pi di una donna, che si modellava sui
cavalieri, e aveva (virile) durezza nonostante la debolezza (del sesso): di null
'altro rivestite che di cotte di maglia, non furon riconosciute finch non furono
spogliate delle armi e denudate (113). Di esse alcune furono scoperte e vendute
(schiave), e delle vecchie fu ripieno ogni luogo. Costoro ora rafforzavano ora f
iaccavano, ed esortavano ed eccitavano a fierezza, e dicevano che la croce non a
mmetteva che resistenza a oltranza, e che il combattente avrebbe avuto la vita e
terna solo col sacrificio della vita, e che il sepolcro del loro dio era in pote
r dei nemici. Guardate come convengono nell'errore uomini e donne tra loro: ques
te ultime, per zelo religioso si son stancate della gelosia muliebre, e per salv
arsi dal perplesso sgomento (nel d del giudizio) si son ridotte intime compagne d
ella perplessit, e non avendo resistito alla brama di vendetta si sono indurite,
e ridotte stolte e stupide per il danno sofferto.
5.
Alla spedizione di Federico Barbarossa, finita nelle acque del Salef e tra le ep
idemie della Siria settentrionale, segu con miglior esito quella dei re di Franci
a e Inghilterra. Nonostante gli sforzi di Saladino per mobilitare tutte le forze
musulmane nella Controcrociata (diamo da Abu Shama il testo d'uno dei suoi appa
ssionati appelli al riguardo), Acri soggiacque per fame ed esaurimento di forze
nel luglio 1191: le pagine di Bah' ad-din ne ritraggono con estrema vivezza le or
e estreme e la tristezza della resa, col sanguinoso epilogo, disonorevole per il
Cuor di Leone, del massacro a freddo dei prigionieri musulmani.
CORRADO DI MONFERRATO E LA TERZA CROCIATA.
(BAHA' AD-DIN, 181).

... Il Marchese, signore di Tiro, era uno dei pi furbi e gagliardi tra i Franchi,
e a lui risale la responsabilit prima di aver eccitato le folle (dei Crociati) d
a oltremare. Egli aveva fatto dipingere Gerusalemme in un gran quadro, raffigura
ndovi la chiesa della Resurrezione, a cui essi vanno in pellegrinaggio e che som
mamente venerano: ivi sarebbe il sepolcro del Messia che vi sarebbe stato seppel
lito dopo esser stato crocifisso, a quanto loro dicono (114). E quel sepolcro la
causa prima del loro pellegrinaggio, e su esso credono che discenda il fuoco og
ni anno, in una delle loro feste (115). Sopra il sepolcro, il Marchese aveva fat
to dipingere un cavallo, con su montato un cavaliere musulmano che calpestava la
tomba del Messia, su cui il cavallo orinava.
E questo quadro fece esporre oltremare nei mercati e luoghi di riunione: i preti
lo portavano in giro, a capo scoperto e vestiti di saio, gridando: "Ahi sciagur
a!" E con questo mezzo lev una quantit di gente innumerevole altro che da Dio, tra
i quali il Re d'Alemagna col suo esercito.
CROCIATA DI FEDERICO BARBAROSSA E SUA MORTE.
(IBN AL-ATHIR, XII, 30-32).
In quest'anno (586/1190) il Re d'Alemagna si part dal suo paese, abitato da una d
elle pi numerose e gagliarde stirpi dei Franchi. Turbato per la conquista di Geru
salemme da parte dell'Islm, egli riun le sue truppe, equipaggiandole di tutto punt
o, e part dal suo paese, incamminandosi per Costantinopoli. L'Imperatore di Bisan
zio ne mand la notizia a Saladino, promettendogli che non lo avrebbe lasciato pas
sare per i suoi stati. Ma quando il Re d'Alemagna giunse a Costantinopoli, quel
sovrano non fu in grado di impedirgli il passaggio, per il grande esercito che a
veva con s; gli neg per i rifornimenti, non consentendo ad alcuno dei suoi sudditi
di fornir loro quanto abbisognavano. Cos essi si trovarono a corto di vettovaglie
e viveri. Traversarono il Bosforo, e si trovarono sul territorio musulmano, il
regno cio di Qilig Arsln ibn Mas'd ibn Qilig Arsln ibn Qutlumish ibn Salgiq (116). Ap
pena vi ebbero messo piede, li attaccarono i Turcomanni, che non cessarono di ac
compagnarne la marcia, di uccidere gli isolati, e di rubare quanto potevano. Era
d'inverno, e il freddo in quei paesi intenso, e vi si accumula la neve: perci li
decimarono il freddo, la fame e i Turcomanni, onde scem il loro numero. Quando s
i avvicinarono a Conia, usc contro di loro il re Qutb ad-din Malikshh ibn Qilig Ar
sln per sbarrar loro il passo, ma non ce la pot contro di loro, e fece ritorno a C
onia dov'era suo padre. Questo figlio ora nominato lo aveva privato dell'eserciz
io del potere, e i vari figliuoli si erano dispersi per i suoi territori, impadr
onendosi ognuno di una parte del regno. Quando Qutb ad-din torn indietro dall'ese
rcito crociato, essi gli si affrettarono dietro, e si postarono dinanzi a Conia;
mandarono quindi un dono a Qilig Arsln, dicendogli: "Non il tuo paese il nostro
obbiettivo, bens Gerusalemme", e domandandogli al tempo stesso che permettesse ai
suoi sudditi di fornirli di viveri e quanto altro loro occorreva. Egli dette ta
le permesso, ed essi ebbero quanto volevano, si saziarono e approvvigionarono e
ripartirono. Chiesero quindi a Qutb ad-din di ordinare ai suoi sudditi di non mo
lestarli, e di consegnar loro quali ostaggi un certo numero dei suoi emiri; e co
lui, che aveva di loro paura, consegn loro una ventina di emiri a lui invisi, che
quelli si portarono via con loro. Non essendosi poi astenuti i briganti e simil
i dall'attaccare e molestare la spedizione, il Re d'Alemagna fece arrestare e me
ttere in ceppi quegli ostaggi, e chi mor in prigionia e chi pot riscattarsi. Il Re
d'Alemagna and fino alla Piccola Armenia, il cui sovrano era Leone, figlio di St
efano figlio di Leone, il quale li riforn di viveri e foraggi, li accolse da padr
oni nel suo paese, e mostr loro obbedienza. Marciarono quindi verso Antiochia, tr
ovarono un fiume sulla loro strada, e vi si fermarono. Il re vi entr dentro per l
avarsi, e vi anneg in un sito ove l'acqua non arriva alla cintola: cos Dio ci libe
r del suo male.
Egli aveva con s un figliuolo (117), che divenne re dopo di lui, e prosegu la marc
ia per Antiochia. Ma i suoi compagni non gli prestaron pi concorde obbedienza: ch

i volle tornare indietro al suo paese, e chi volle far re un suo fratello e torn
via del pari. Lui proced con i rimastigli fedeli: li pass in rassegna, ed eran cir
ca quarantamila, decimati dalle epidemie e dalla morte. Arrivarono ad Antiochia,
che sembravano cadaveri dissotterrati, e il signore della citt, non gradendo que
ll'arrivo, li indusse ad andare a raggiungere i Franchi sotto Acri. Passarono qu
indi per Gibala, Laodicea e altre terre tornate in mano dei Musulmani; furono att
accati da quei d'Aleppo e altri luoghi, e molti ne furono presi, e pi ancora ne m
orirono. Giunsero a Tripoli, e vi si trattennero alcuni giorni, ma l crebbe la mo
ria tra loro e non rimase che un migliaio d'uomini. Questi si imbarcarono alla v
olta dei Franchi d'Acri, ma giunti e viste le perdite sofferte e la discordia in
cui erano decisero di tornare al loro paese; le loro navi fecero per naufragio,
e non ne scamp neanche uno.
Il re Qilig Arsln aveva scritto a Saladino dando notizia di questa spedizione, pr
omettendogli che li avrebbe impediti dal passare per il suo paese; quando poi fu
rono passati e se lo furono lasciato dietro, mand a scusarsi di non aver potuto i
mpedirli, perch i suoi figli gli avevan presa la mano, lo avevano privato del pot
ere e si erano dispersi, sottraendosi alla sua obbedienza. Quanto a Saladino, al
giungere delle notizie sul passaggio del Re d'Alemagna, aveva tenuto consiglio
con i suoi compagni: molti di loro gli avevan consigliato di marciar loro incont
ro e affrontarli prima che si congiungessero con quei di Acri, ma lui aveva dett
o che era meglio aspettare fino a che loro si fossero avvicinati a noi, e allora
li avremmo affrontati, affinch le nostre forze di Acri non pensassero alla resa.
Sped per una parte delle sue truppe, quelle di Aleppo, Gibala, Laodicea, Shaizar e
altre, nel territorio di Aleppo, perch presidiassero dagli attacchi nemici quell
e zone di confine. I Musulmani si trovarono allora come dice Iddio altissimo: "q
uando vi attaccarono dall'alto e dal basso e gli sguardi furono stravolti, e i c
uori giunsero alle gole, e voi faceste ogni genere di pensieri su Dio. Ivi furor
i messi alla prova i credenti, e gravemente scossi" (118). Ma Iddio ci liber del
loro male, e ritorse su loro stessi la loro insidia.
La paura che essi incuterono fu tanta, che si dette questo fatto: un emiro di Sa
ladino possedeva nel territorio di Mossul un villaggio, amministrato da mio frat
ello. Fatto il raccolto di frumento, orzo e paglia, egli mand a parlare al padron
e della vendita di questo raccolto, ma giunse in risposta una sua lettera che di
ceva: "Non vendere neanche un granello, e assicuraci la maggior quantit possibile
di paglia". In un secondo tempo, invece, giunse un'altra sua lettera, dicendo d
i vendere pure le derrate, non avendone essi pi bisogno. Quando quell'emiro venne
a Mossul, gli domandammo ragione del divieto di vendere il raccolto, e del succ
essivo permesso dopo breve tempo. Rispose: "Quando venne notizia dell'arrivo del
Re d'Alemagna, fummo certi di non poter pi mantenerci in Siria, e allora scrissi
vietando di vendere il raccolto, perch ci fosse di riserva quando saremmo venuti
da voi; ma quando Iddio li fece perire, e di quella roba non ci fu pi bisogno, s
crissi di venderla e utilizzarne il prezzo".
ARRIVO DEI RE DI FRANCIA E D'INGHILTERRA.
(BAHA' AD-DIN, 212-14, 220).
Da quel momento (primavera 1191) il mare ridivenne navigabile, il tempo torn al b
ello, e venne il momento del ritorno delle truppe al combattimento da ambe le pa
rti. Il primo ad arrivare (dei nostri) fu 'Alam ad-din Sulaimn ibn Giandar, uno d
egli emiri del Malik az-Zahir, uomo assai anziano e rinomato, veterano di molte
battaglie, buon consigliere assai stimato e onorato dal Sultano, di cui era anti
co compagno d'armi. Arriv dopo di lui Magd ad-din ibn 'Izz ad-din Farrukhshh, sign
ore di Baalbek, e si susseguirono poi d'ogni parte gli altri contingenti musulma
ni. Quanto all'esercito del nemico, essi promettevan prossima ai nostri esplorat
ori e altri avamposti la venuta del re di Francia (119), gran personaggio riveri
to, uno dei loro maggiori sovrani, cui obbedivano tutti gli eserciti, in quanto
giungendo lui assumeva il supremo comando. E tanto ne promisero l'arrivo che in
realt arriv, con sei navi che trasportavano lui e i suoi approvvigionamenti, i cav

alli occorrenti, e i suoi pi intimi compagni. Il suo arrivo fu il sabato ventitr r


ab' primo 587 (20 aprile 1191).
Egli aveva portato con s dal suo paese un enorme falcone bianco e di una specie r
ara, di cui mai vidi il pi bello. Il re lo aveva caro e gli era fortemente affezi
onato. Or questo gli sfugg di mano e vol via; egli lo richiamava, e quello non gli
rispondeva, finch scese sulle mura di Acri, dove i nostri lo presero e lo mandar
ono al Sultano. Il suo arrivo dette gran gioia, e la sua cattura fu lieto presag
io di vittoria per i Musulmani. I Franchi offrirono mille "dinr" per riscattarlo,
ma l'offerta non fu accolta. Arriv dopo di lui il Conte di Fiandra (120), gran c
apo famoso, di cui dissero che aveva assediato Hamt e Harim, l'anno della rotta d
i ar-Ramla...
... Il re d'Inghilterra (121) era uomo assai potente fra loro, di gran coraggio
e alto animo. Aveva combattuto grandi battaglie, e aveva uno speciale ardire in
guerra. Inferiore al re di Francia per regno e grado, gli era per superiore per r
icchezza, e pi famoso e prode in battaglia. Si sa di lui che giunto all'isola di
Cipro, non volle procedere oltre finch non fosse sua. L'assedi quindi e combatt, me
ntre il suo sovrano, raccolta gran gente, gli mosse contro e oppose strenua resi
stenza. Il re d'Inghilterra mand ad Acri a chiedere aiuto per la sua impresa, e i
l re Guido (122) gli mand suo fratello con centosessanta cavalieri, restando i Fr
anchi d'Acri in attesa di vedere l'esito delle due parti...
Il sabato tredici giumada primo (8 giugno 1191) arriv il re d'Inghilterra dopo av
er raggiunto un accordo col signore di Cipro, ed essersi impadronito di quell'is
ola. Il suo arrivo fece un'enorme impressione: arriv con venticinque galere piene
d'uomini, armi e apparecchi, e i Franchi dettero gran segni di gioia, tanto da
accendere quella notte dei gran fuochi nelle loro tende. Questi fuochi erano imp
ressionanti, di proporzioni tali da dimostrare l'immenso loro apparecchio (123).
I sovrani franchi ci avevano gi da tempo annunciato il suo arrivo, e quelli di e
ssi che con salvacondotto venivano a contatto con noi dicevano che quelli l stava
no aspettando il suo arrivo per mettere in atto quanto progettavano, di stringer
e la citt con nuovo vigore. Quel re era infatti uomo di consiglio ed esperienza,
audacia ed energia; il suo arrivo fece un effetto di paura e timore nei cuori de
i Musulmani, ma il Sultano accolse tutto ci con fermezza e fiducia in Dio, a Lui
consacrando ogni suo agire e dedicandogli la sua sincera intenzione di combatter
e la guerra santa.
UN APPELLO DI SALADINO ALL'ANTICROCIATA.
(ABU SHAMA, II, 148).
"Speriamo da Dio lodato ed altissimo che induca gli animi dei Musulmani a sedare
ci che li esagita, e rovina la loro prosperit. Fino a tanto che il mare porter rin
forzi al nemico e la terra non li respinger, i nostri paesi soffriranno in perpet
uo di loro, i nostri cuori saranno assiduamente travagliati dal morbo dei danni
da coloro arrecati. Dov' il senso d'onore dei Musulmani, dove la fierezza dei cre
denti, lo zelo dei fedeli? Noi non finiamo mai di stupirci di come i Miscredenti
si appoggiano a vicenda, e se ne stanno invece neghittosi i Musulmani. Nessuno
di questi ultimi risponde all'appello, nessuno interviene a raddrizzare ci che di
storto: guardate invece i Franchi a che punto son giunti, che adunanza han fatto
, che obbiettivo perseguono, che aiuto han dato, di che somme di denaro si sono
indebitati e hanno spese, quali ricchezze hanno raccolto e distribuito e diviso
tra loro! Non rimasto un re nei loro paesi e nelle loro isole, non grande e magn
ate dei loro che non abbia gareggiato col suo vicino nella lizza dell'aiuto da f
ornire, e rivaleggiato col suo pari nel serio sforzo bellico. Essi per difendere
la loro religione han trovato poca cosa il prodigar la vita e gli spiriti, e ha
n rifornito le impure lor genti d'ogni genere d'armi, coi campioni di guerra. E
tutto quel che han fatto, e quel che han prodigato, non l'han fatto se non per p
uro zelo verso colui che adorano, per gelosa difesa della loro fede. Non v' alcun
o dei Franchi che non senta come ove sia riconquistato (da noi) il Litorale (di
Siria), e venga rimosso e lacerato il velo del loro onore, questo paese uscir lor

o di mano e la (nostra) mano si allungher alla conquista del loro. I Musulmani pe


r contro si sono infiacchiti e demoralizzati, e fatti negligenti e pigri, e dati
allo sbalordimento impotente, perdendo ogni zelo. Qualora, Dio tolga, l'Islm dov
esse dar volta alla briglia, oscurarsi il suo splendore, spuntarsi il suo ferro,
non si troverebbe a Oriente e Occidente, lontano e vicino, chi avvampasse di ze
lo per la religione di Dio, ed eleggesse di venire in aiuto alla verit contro l'e
rrore. Questo il momento di rimuovere ogni indugio, di chiamare a raccolta chi h
a sangue nelle vene di tra i vicini e i lontani. Ma, sian grazie a Dio, noi conf
idiamo nell'aiuto che ci verr da Lui, e a Lui con sincero animo e intima devozion
e ci confidiamo: e a Dio piacendo i Miscredenti periranno, e i credenti avranno
sicurt e salvezza".
Estremo attacco e resa di Acri.
(BAHA' AD-DIN, 229-39).
Gli assedianti non cessarono di battere continuamente le mura con le catapulte,
limitandosi a questa forma di combattimento, sinch ebbero scrollato il muro e fia
ccata la sua struttura, e la stanchezza e la veglia non ebbero esaurito i difens
ori. Questi eran pochi, contro il gran numero di combattenti nemici, e sottopost
i a durissima prova, al punto che alcuni passarono tutta una serie di notti senz
a chiuder occhio, n di giorno n di notte, mentre il cerchio che li stringeva const
ava di un gran numero d'uomini che si avvicendavano nel combattimento; i difenso
ri invece erano una piccola schiera, suddivisa per le mura, i trinceramenti, le
catapulte, le navi e le galere.
Quando il nemico si fu reso conto di ci, e gli apparvero squassate le mura e scom
paginata la loro struttura, cominci d'ogni parte l'assalto, dividendosi in turni
e reparti avvicendati; ogni reparto stanco andava a riposo, e un altro prendeva
il suo posto. Il sette del mese (giumada secondo 586/12 luglio 1191), cominciaro
no una grande offensiva in forze, tenendo insieme muniti i valli che circondavan
o i loro trinceramenti, con fanti e combattenti, di notte e di giorno. Il Sultan
o, avuta notizia dell'assalto per relazioni di testimoni e per il segnale conven
uto con la guarnigione, che era un rullar di tamburi, mont a cavallo con tutto l'
esercito e affront il nemico. Si appicc cos quel giorno una gran battaglia: costern
ato come una madre orbata del figlio, Saladino galoppava da battaglione a battag
lione, incitando gli uomini al combattimento per la fede. Il Malik al-'Adil, ci
dissero, caric due volte di persona in quella giornata. Il Sultano girava fra le
truppe gridando: "Per l'Islm!", con gli occhi traboccanti di lacrime: e ogni volt
a che guardava ad Acri, e vedeva la distretta in cui la citt si dibatteva e la gr
an sciagura incombente sui suoi abitanti, pi si slanciava all'attacco e ad eccita
re alla lotta. In quel giorno egli non tocc cibo, bevendo solo alcune coppe di un
a pozione consigliatagli dal medico. Io rimasi indietro, e non potei partecipare
a quell'attacco per una indisposizione che mi aveva colpito: restai quindi nell
a tenda a Tell al-Ayadiyya, avendo sotto gli occhi tutto lo svolgersi della batt
aglia. Scesa la notte, il Sultano fece ritorno alla tenda dopo l'ultima preghier
a della sera, stanco morto e angustiato, e dorm d'un sonno agitato. Al mattino do
po, ordin di battere i tamburi, schier d'ogni parte le truppe, e riprese la battag
lia della sera innanzi.
In questa giornata, arriv una missiva degli assediati, in cui dicevano: "Siamo gi
unti a un punto tale di esaurimento che non ci resta che arrenderci: domani otto
del mese, se non riuscirete a far nulla per noi, domanderemo sicurt e renderemo
la terra, assicurandoci solo salva la vita". Questa fu una delle notizie pi dolor
ose che giunsero ai Musulmani, e che pi li accorarono: giacch Acri racchiudeva tut
to l'apparecchio bellico del Litorale, di Gerusalemme, Damasco, Aleppo, Egitto,
e tutti i paesi musulmani, nonch i migliori emiri dell'esercito e i prodi campion
i dell'Islm, come Saif ad-din 'Ali al-Mashtb, Saif ad-din Qaraqsh e altri; Qaraqsh i
n particolare aveva diretto la difesa della piazza fin dall'inizio dell'investim
ento nemico. Il Sultano fu colpito a quella notizia come nessun altro colpo lo a
veva mai colpito, tanto che si tem per la sua salute; ma non cessava mai di prega

re Iddio, e a lui ricorrere in tutta questa prova, con pazienza e pia abnegazion
e e sforzo tenace, "e Iddio non fa andar perduto il premio di chi fa del bene" (
124). Egli volle tentare di ristabilire d'assalto il contatto con gli assediati:
fu gridato l'allarmi fra le truppe, i prodi montarono a cavallo, si adunarono c
avalieri e fanti: ma quel giorno l'esercito non lo assecond nell'attacco al nemic
o, giacch i fanti di questo stettero come una muraglia incrollabile con le armi,
le balestre e le frecce dietro i loro valli. Attaccati su alcuni punti dai nostr
i, essi tennero fermo e si difesero con estremo vigore. Uno di quelli che penetr
arono nei loro trinceramenti raccont che c'era l un Franco di gran corporatura, ch
e salito sul parapetto della trincea ricacciava indietro i Musulmani: alcuni che
gli erano a fianco gli porgevano le pietre, ed egli le scagliava sui Musulmani
che erano a ridosso del parapetto: pi di cinquanta frecce e pietre lo avevano col
pito, senza distoglierlo dalla difesa e dalla lotta cui era intento, finch un art
ificiere musulmano non gli lanci una bottiglia incendiaria, e lo bruci vivo. Un al
tro soldato anziano e intelligente che penetr quel giorno nei loro trinceramenti,
mi raccont che di l dal parapetto del nemico c'era una donna vestita di un manto
verde, che non cess dal saettarci con un arco di legno, s da ferire molti di noi,
finch fu sopraffatta e uccisa. Le fu preso l'arco, e portato al Sultano, che most
r profonda meraviglia del fatto. Cos quel giorno si combatt fino al calar della not
te.
ACRI, RIDOTTA AGLI ESTREMI, ENTRA IN TRATTATIVE COI FRANCHI.
Intensificatosi l'assalto sulla terra da ogni lato, in forze che si avvicendavan
o, e ridotti a pochi i difensori, fanti e cavalieri, per le gran perdite subite,
questi si persero d'animo allo spettacolo della morte imminente, e si sentirono
incapaci di un'ulteriore difesa: mentre il nemico si impadroniva dei loro trinc
eramenti e del muro del bastione avanzato. Minatolo, i Franchi vi avevano appicc
ato il fuoco dopo avervi accumulato le materie combustibili; un pezzo del bastio
ne croll, e i Franchi vi penetrarono, ma perdendovi tra uccisi e prigionieri pi di
centocinquanta uomini, tra cui sei loro capi. Uno di questi grid: "Non mi uccide
te, e io far ritirare i Franchi!", ma un Curdo gli si lanci addosso e lo uccise, c
os come furono uccisi gli altri cinque. Il giorno dopo, i Franchi fecero proclama
re: "Risparmiate quei sei, e noi in cambio di loro vi concederemo a tutti libera
uscita!" Ma i nostri risposero di averli gi uccisi, con gran cordoglio dei Franc
hi, che per tre giorni dopo questo episodio sospesero l'offensiva.
Ci fu riferito che Saif ad-din al-Mashtb usc in persona con salvacondotto a parlar
e al Re di Francia, e gli disse: "Abbiamo preso in passato una quantit di vostre
terre, conquistandole d'assalto; e con tutto ci quando gli abitanti ci han chiest
a sicurt l'abbiamo loro concessa, e li abbiamo trasferiti onorevolmente al sicuro
. Ora noi vogliam rendere questa terra, e tu ci assicurerai la vita salva". Il R
e rispose: "Quelli che avete preso in passato erano nostri sudditi, e cos anche v
oi siete miei mamelucchi e schiavi. Vedr il da farsi sul vostro conto". Al che al
-Mashtb, ci dissero, gli rispose aspramente e a lungo su questo punto, tra l'altr
o dicendo: "Noi non renderemo la terra prima di essere tutti uccisi, e niuno di
noi sar ucciso che non uccida prima cinquanta dei vostri capi"; e se ne and. Quand
o al-Mashtb torn in citt con tale notizia, alcuni della guarnigione, impauriti, mon
tarono su una imbarcazione e uscirono di notte al campo musulmano. Ci ebbe luogo
il nove di giumada secondo, e di quel gruppo erano, fra le personalit note, 'Izz
ad-din Arsel, Ibn al-Giavali e Sunqur al-Ushagi. Arsel e Sunqur, giunti al campo
, si eclissarono senza lasciar traccia di s, per paura dell'ira del Sultano, ment
re Ibn al-Giavali fu preso e gettato in prigione.
Il mattino seguente a quella notte, il Sultano mont a cavallo con l'intenzione di
piombar di sorpresa sul nemico, prendendo con s le vanghe e gli utensili per col
mare i fossati: ma le truppe non lo assecondarono in questo piano, e gli vennero
meno sotto mano, dicendo: "Vuoi mettere a repentaglio l'Islm intero, non c' nulla
di buono in codesto disegno". Uscirono quel giorno tre messi del re d'Inghilter
ra, e chiesero al Sultano delle frutta e della neve, dicendo che il Gran Maestro
dell'Ospitale sarebbe uscito all'indomani a discutere della pace. Il Sultano on

or i messaggeri, che entrarono nel mercato del campo e vi fecero una passeggiata,
tornando quella sera stessa al loro campo. Quel giorno, il Sultano ordin a Sarim
ad-din Qaimz an-Nagmi di penetrare con i suoi nelle posizioni nemiche. Egli moss
e con una schiera di emiri curdi, come al-Gianh e compagni, fratello di al-Mashtb,
sino a raggiungere le posizioni dei Franchi. Qaimz stesso alz il suo stendardo su
l trinceramento nemico, e combatt a difesa dell'orifiamma una parte del giorno. G
iunse quello stesso giorno, mentre l'attacco era in pieno sviluppo, l'emiro Izz
ad-din Giurdk an-Nuri, che appiedatosi con i suoi combatt vigorosamente. Il venerd
dieci giumada secondo (5 luglio), l'esercito franco sospese l'assalto, essendo t
utto circondato dalle forze musulmane che passaron la notte in pieno assetto di
guerra ed in sella, attendendo si offrisse la possibilit di aiutare i loro fratel
li chiusi in Acri: essi speravano che quelli potessero attaccare qualche punto d
ello schieramento franco e romperlo, e venir fuori sostenendosi a vicenda con l'
appoggio dell'esercito esterno, di modo che scampasse chi scampava, e restasse p
reso chi veniva preso. Ma gli assediati, con cui era stato concordato questo pia
no, non poterono quella notte far la sortita, giacch un servo fuggito ne aveva in
formato il nemico, che aveva prese le sue misure precauzionali e sorvegliava str
ettamente gli assediati. Il venerd dieci, tre messi del nemico si abboccarono per
un'ora col Malik al-'Adil, e tornaron via senza che la faccenda fosse stata ris
olta. La giornata fin con l'esercito musulmano fermo nella pianura a fronte del n
emico, e cos passaron la notte.
Il sabato undici, i Franchi si mossero in pieno assetto di guerra, onde si crede
tte volessero offrir battaglia campale ai Musulmani. Schierati che furono, usc da
lla porta sotto il padiglione una quarantina di persone, e invitarono a presenta
rsi alcuni mamelucchi, tra i quali al-'Adl az-Zabdani, signore di Sidone e affra
ncato del Sultano al-'Adl si rec da loro, e si cominci a trattare sulla libera usc
ita della guarnigione di Acri; ma quelli accamparono troppo alte pretese, e il s
abato fin senza che nulla si fosse concluso.
GIUNGONO LETTERE DALLA CITT.
La domenica dodici giunsero lettere (dalla citt) che dicevano: "Abbiam giurato l'
un l'altro di morire. Non cesseremo di combattere fino alla morte. Non renderemo
la citt finch abbiamo un fiato di vita. Vedete voi come fare per distrarre il nem
ico da noi, e distoglierlo dal combatterci. Queste sono le nostre decisioni. Voi
guardatevi bene dal piegarvi e cedere a questo nemico. Per noi, ormai finita".
Il messo che port a nuoto queste lettere disse che, al gran rumore sentito nella
notte, i Franchi avevan creduto che un grosso esercito fosse entrato in Acri. "U
n Franco, - disse, - venne sotto le mura e grid a uno di quelli che le presidiava
no: "In nome della tua fede, dimmi quanti soldati sono entrati da voi ieri", la
notte cio precedente al sabato in cui s'era sentito un gran fracasso che aveva me
sso in allarme entrambe le parti, senza potersene appurare la vera causa (125).
'Mille cavalieri', rispose quello di dentro. 'No', replic l'altro, 'meno di tanti
; li ho visti io, eran vestiti di vesti verdi!' (126)".
Susseguendosi i contingenti musulmani, fu ancor possibile stornare per quei gior
ni l'insidia nemica dai difensori, dopo che la terra fu l l per esser presa. Ma la
debolezza dei difensori crebbe, e si moltiplicarono le brecce nelle mura: i dif
ensori costruirono peraltro in luogo del muro sbrecciato un'ulteriore muraglia i
nterna da cui combattevano quando la sezione pericolante finiva col crollare. Il
marted quattordici del detto mese, giunse Sabiq ad-din signore di Shaizar, il me
rcoled quindici Badr ad-din Yildirm con un buon nerbo di Turcomanni, cui il Sultan
o aveva inviato del denaro da distribuire loro come soldo; il gioved sedici, giun
se Asad ad-din Shirkh (junior). I Franchi frattanto tennero fermo, negando la pac
e e la libera uscita alla guarnigione della terra fino a che non fossero rilasci
ati tutti i prigionieri che erano in mano musulmana, e non fossero loro resi tut
ti i paesi del Litorale. Fu loro offerta la resa della piazza con tutto ci che co
nteneva, a eccezione dei difensori, e rifiutarono; fu offerta la restituzione de
lla Vera Croce, e rifiutarono ancora, facendosi sempre pi avidi e protervi. Non s
i sapeva pi quale espediente adoprare con loro: "Essi giocaron d'astuzia, e Dio p

ure gioc d'astuzia, e Iddio il miglior giocatore" (127).


PACE CONCLUSA DALLA GUARNIGIONE CON SICURTA' DELLA VITA.
Il venerd diciassette giumada secondo, usc il nuotatore dalla piazza con lettere c
he dicevano come i difensori eran ridotti agli estremi, le brecce si erano allar
gate, ed essi, impotenti a resistere oltre, vedevano ormai la morte certa, ed er
an sicuri che, ove la piazza fosse stata espugnata d'assalto, li si sarebbe pass
ati a fil di spada. Conclusero dunque un accordo alle condizioni che loro avrebb
ero consegnata la citt con tutti gli attrezzi, munizioni e navi che conteneva, ol
tre a duecentomila "dinr", cinquecento prigionieri oscuri e cento distinti che i
Franchi stessi avrebbero designati, nonch la Vera Croce; e loro avrebbero potuto
uscire con la vita salva, con le loro robe personali, donne e bambini; garantiro
no inoltre quattromila "dinr" al Marchese (di Monferrato), che era stato intermed
iario in queste trattative. E su queste basi si strinse l'accordo.
IL NEMICO SI IMPADRONISCE DI ACRI.
Quando il Sultano prese conoscenza delle loro lettere e di quanto esse conteneva
no, disapprov altamente la cosa e molto gliene increbbe. Convoc i suoi consiglieri
, li mise al corrente del fatto e chiese il loro parere sul da farsi. I pareri f
urono discordi, ed egli rest incerto e turbato. Voleva scrivere la sera stessa pe
r mezzo del nuotatore disapprovando l'intesa in quei termini, ed era ancora in q
uesto stato d'animo quando a un tratto i Musulmani videro gli stendardi e le cro
ci, i segni e i fuochi del nemico levarsi dalle mura della piazza: era il mezzog
iorno del venerd diciassette giumada secondo del 587 (12 luglio 1191). I Franchi
alzarono tutti un sol grido, e grave fu il colpo per i Musulmani, e grande la lo
ro afflizione: tutto il nostro campo risuon di grida e lamenti, e pianti e singhi
ozzi. Il Marchese entr in citt con gli stendardi dei Re, e ne piant uno sulla citta
della, uno sul minareto della Moschea maggiore, di venerd, uno sulla Torre dei Te
mplari e uno su quella del Combattimento, sostituendovi ovunque gli stendardi de
ll'Islm. I Musulmani furono tutti relegati in un quartiere della citt.
Io mi presentai al servizio del Sultano, che era come una genitrice orbata del f
iglio, gli porsi i conforti del caso, e lo esortai a pensare ai compiti che lo a
ttendevano sul Litorale e a Gerusalemme, e alla salvezza dei Musulmani rimasti p
resi nella piazza. Ci avveniva la notte del sabato diciotto. Egli fin col decidere
di arretrare un po' da quelle posizioni, non essendovi pi scopo di serrar da pre
sso il nemico; e ordin che i bagagli fossero trasferiti al posto dov'era prima, a
Shafar'am, rimanendo lui al suo posto con truppe leggere per vedere cosa avrebb
e fatto il nemico e i difensori. L'esercito oper il trasferimento per tutta la no
tte fino al mattino, ma Saladino rimase l nella speranza che a Dio piacendo i Fra
nchi fossero indotti dal loro accecamento ad attaccarlo, ed egli potesse infligg
er loro una batosta gettandosi loro addosso, ch Dio d la vittoria a chi Egli vuole
. Ma il nemico non fece nulla di tutto ci, occupato com'era a prender possesso de
lla piazza. Il Sultano rimase fino alla mattina del diciannove, e poi si trasfer
al Tell.
MASSACRO DEI PRIGIONIERI MUSULMANI.
(BAHA' AD-DIN, 242-43).
Quando il re d'Inghilterra vide che il Sultano indugiava nell'esecuzione delle c
ondizioni suddette, manc fede ai prigionieri musulmani, con cui aveva stretto l'a
ccordo, e da cui aveva ricevuto la resa della piazza, a condizione che avessero
la vita salva e che se il Sultano gli avesse consegnato il convenuto egli li avr
ebbe rilasciati con le loro robe, i figli e le donne; mentre se si fosse rifiuta
to, lui li avrebbe ridotti in servit quali suoi prigionieri. Ora invece egli manc

loro di parola, e mostr l'intimo suo pensiero gi prima concepito, e mand ad effetto
il suo proposito dopo aver ricevuto il denaro e i prigionieri (franchi riscatta
ti): cos infatti riferirono di lui pi tardi i suoi stessi correligionari. Nel pome
riggio del marted ventisette ragiab (20 agosto), egli e tutto l'esercito franco,
fanti e cavalieri e turcpuli, cavalcarono sino ai pozzi che son sotto Tell al-'Ay
adiyya, dove avevano prima spedito le loro tende, e marciarono sino a occupare i
l centro della pianura tra Tell Kaisn e al-'Ayadiyya, mentre gli esploratori sult
aniali si eran ritirati appunto a Tell Kaisn. Addussero quindi quei prigionieri m
usulmani di cui Dio aveva predestinato quel giorno il martirio, oltre tremila uo
mini avvinti; si buttaron loro addosso come un sol uomo, e li ammazzarono a fred
do, a colpi di spada e lancia. I nostri avamposti avevano bene informato il Sult
ano dell'avanzata nemica, ed egli mand loro qualche rinforzo, ma ci fu dopo la str
age dei prigionieri suddetti. I Musulmani attaccarono il nemico appena accertati
si del compiuto massacro, e vi fu uno scontro con morti e feriti da ambe le part
i, che and intensificandosi finch la notte non divise i contendenti. Il mattino se
guente, i Musulmani vollero rendersi conto dell'accaduto, e trovarono i loro com
pagni martiri l dove erano stati abbattuti, e alcuni ne riconobbero. Un profondo
dolore li colp; e da allora in poi non risparmiarono (dei nemici catturati) se no
n personaggi noti e uomini gagliardi atti al lavoro.
Pi motivi furono addotti a spiegar quella strage; uno che li avrebbero uccisi per
rappresaglia di loro prigionieri precedentemente uccisi, e un altro che il re d
'Inghilterra aveva deciso di marciare su Ascalona per impadronirsene, e non voll
e lasciarsi alle spalle in citt tutto quel numero. Dio ne sa di pi.
6.
Per un anno intero si trascinarono le trattative di pace, o piuttosto tregua, se
condo il concetto musulmano della guerra santa. Nel lungo e tortuoso gioco diplo
matico si intrecciano i romantici piani matrimoniali di Riccardo d'Inghilterra,
i suoi scambi di cortesie cavalleresche con Saladino (e pi ancora col fratello di
questo, il Malik al-'Adil), e le mai intermesse azioni di guerra (Ascalona, Gia
ffa, Arsf), ove alla crudelt dei Franchi sui prigionieri d'Acri rispose un incrude
lire di rappresaglie anche da parte del Saladino. Finalmente, davvero "de guerre
lasse", si venne all'accordo del settembre 1192, che sanzionava in sostanza lo
"status quo" delle rispettive posizioni: accordo che mal rispondeva per i Musulm
ani alle grandi vittorie iniziali del 1187, e che Saladino accett solo a malincuo
re, sotto la pressione dell'esercito stanco e indisciplinato. L'obbiettivo di ri
buttar completamente a mare i Franchi, che era parso un istante prossimo a reali
zzarsi, dovette attendere ancora un altro secolo. Fonti principali per le tratta
tive, Bah' ad-din e 'Imd ad-din.
TRATTATIVE DI PACE E SUA CONCLUSIONE.
(BAHA' AD-DIN, 274-75, 277-78, 283-84, 287-91, 294-95, 346-48).
Il ventisei ramadn (587/17 ottobre 1191), il Malik al'Adil era di turno agli avam
posti quando il re d'Inghilterra chiese che gli inviasse un suo messo; egli gli
sped il suo segretario e sua creatura Ibn an-Nahhl, un bel giovanotto, che venne d
a Riccardo a Yazr, dove il re era uscito con buon nerbo di fanti, allargatisi poi
per la pianura. Ivi egli si abbocc con lui per lungo tempo, discutendo dell'affa
r della pace, e dicendo: "Non torner indietro dalla parola data al mio fratello e
d amico", intendendo con questi termini al-'Adil; e gli fece un discorso che que
gli riport al Malik al-'Adil. Scrisse anche per suo mezzo un biglietto al Sultano
, di questo tenore: "Devi salutarlo, e dirgli che i Musulmani e i Franchi si son
o svenati, e il paese totalmente rovinato, e beni e vite si sono sacrificati dal
le due parti. E' tempo ormai di finirla. Unici punti in discussione sono Gerusal
emme, la Croce, e il territorio. Gerusalemme per noi un oggetto di fede a cui no
n possiamo rinunciare, anche se fossimo ridotti a un uomo solo. Il territorio, d

eve esserci reso di l ad oltre il Giordano. La Croce, per voi un semplice pezzo d
i legno senza valore, mentre per noi ne ha uno grande: il Sultano vorr graziosame
nte rendercela, e noi faremo pace e riposeremo di questo perpetuo travaglio".
Quando il Sultano lesse questo messaggio, convoc i suoi consiglieri di stato e li
consult sulla risposta; indi scrisse: "Gerusalemme nostra non meno che vostra, a
nzi ancor pi sacra per noi che per voi, essendo il luogo donde il nostro Profeta
comp il viaggio notturno, e il punto ove la nostra comunit sar congregata (il d del
giudizio). Non vi immaginate che noi possiamo rinunziarvi n transigere su questo
punto; il territorio, apparteneva anch'esso inizialmente a noi, mentre voi ci si
ete di fresco arrivati, e ve ne siete impadroniti solo grazie alla debolezza dei
Musulmani che lo abitavano a quel tempo, n Dio vi permetter di rimettervi in pied
i una sola pietra finch dura la guerra; quanto alla croce, il suo possesso una bu
ona carta in mano nostra (128), e non ci lecito transigerne se non per un vantag
gio ridondante a favore dell'intero Islm". Questa risposta del Saladino and a Ricc
ardo con l'inviato da parte sua.
Il ventinove ramadn (20 ottobre) il Malik al-'Adil mi mand a chiamare, insieme ad
'Alam ad-din Sulaimn ibn Giandar, Sabiq ad-din signore di Shaizar, 'Izz ad-din ib
n al-Muqaddam e Husm ad-din Bishara, illustrandoci le proposte riportate dal suo
messo presso il re d'Inghilterra.
Disse che egli voleva che lui al-'Adil sposasse la sorella del Re (129), da lui
condotta con s di Sicilia, dove era moglie di quel re, che era morto e il fratell
o l'aveva presa con s quando era passato dalla Sicilia. Essa avrebbe dovuto risie
dere in Gerusalemme, e suo fratello le avrebbe dato le terre del Litorale che er
ano in sua mano, Acri, Giaffa, Ascalona e il resto, mentre il Sultano avrebbe da
to al Malik al-'Adil ogni altro suo possesso del Litorale, di cui lo avrebbe fat
to re, in aggiunta a quante terre e feudi gi attualmente possedeva. Avrebbe inolt
re consegnato ai Franchi la Vera Croce. Villaggi e fortilizi dei Templari e Ospi
talieri sarebbero rimasti a loro, i prigionieri musulmani e franchi sarebbero st
ati liberati, e il Re d'Inghilterra sarebbe tornato per mare al suo paese. Cos si
sarebbe risolta la questione.
Tali erano le proposte portate dal messo di al-'Adil da parte del re d'Inghilter
ra. Apprendendole, al-'Adil si immagin che fossero cose fattibili; ci fece quindi
venire, e ci incaric di trasmettere un tal messaggio al Sultano, incaricando me
di prender la parola e gli altri di ascoltare. Noi avremmo dovuto presentargli q
uel progetto: se lo avesse approvato trovandolo vantaggioso pei Musulmani, noi a
vremmo testimoniato che egli autorizzava e approvava quelle trattative, mentre s
e lo respingeva avremmo testimoniato che le trattative di pace erano arrivate a
quel punto, e che il Sultano aveva ritenuto di non convalidarle. Comparsi in cos
petto del Sultano, io gli esposi la questione e gli lessi il messaggio in presen
za della compagnia suddetta. Saladino si affrett ad approvare quelle basi, ben sa
pendo che il re d'Inghilterra non vi si sarebbe attenuto, e che altro non era se
non un tiro e una beffa da parte sua. Per tre volte, io gli ripetei la formula
di consenso, e Saladino ripet "s", chiamando a testimoni i presenti. Cos accertatic
i di lui, tornammo al Malik al-'Adil e lo informammo dell'accaduto; e la compagn
ia lo inform che io avevo ripetuto al Sultano la dichiarazione che si prendeva at
to della testimonianza da lui invocata, e che Saladino aveva insistito ad autori
zzare la cosa. Cos la proposta risultava da lui fermamente accettata.
...
Il tredici di shawwl (3 novembre) fu annunciato l'arrivo del signore di Sidone, q
uale ambasciatore da parte del Marchese signore di Tiro. Tra noi e costui si era
no gi svolte ripetute conversazioni, il cui succo era che quei del Marchese si sa
rebbero staccati dai Franchi e dall'aiutarli e avrebbero fatto causa comune con
noi contro di loro; ci si fondava su un dissidio sorto tra il Marchese e i re fra
nchi per via d'una donna da lui sposata, che era moglie del fratello di re Guido
(130), matrimonio scandaloso secondo qualche principio della loro fede. Cos c'er
a stata fra loro diversit d'opinioni al riguardo, e il Marchese, temendo per s, av
eva preso con s sua moglie ed era fuggito col favor della notte a Tiro. Da allora
, aveva preso a inclinar dalla parte del Sultano e ad appoggiarsi a lui; cosa va

ntaggiosa per i Musulmani per il distacco dai Franchi del Marchese, l'uomo fra l
oro il pi gagliardo e sperimentato in guerra, e ben fondato nel governo. Venuta l
a notizia al Sultano dell'arrivo di quell'ambasciatore, ordin di onorarlo e river
irlo: gli fu eretta una tenda circondata di una recinzione di stoffa, e vi furon
posti tanti cuscini e tappeti quanti si convengono ai principi e ai re tra loro
. Saladino ordin lo si allogasse presso il bagaglio per riposare, e poi si abbocc
con lui...
... Il diciannove di shawwl (9 novembre) il Sultano diede udienza e fece venire i
l signore di Sidone per ascoltare il suo messaggio e il suo discorso. Questi si
present con tutto un gruppo di suoi compagni - ero io presente all'udienza - e Sa
ladino lo onor grandemente e li intrattenne in conversazione facendo loro servire
un lauto banchetto. Finito di pranzare, si appart con loro: la loro proposta era
che il Sultano facesse pace col Marchese signore di Tiro, col quale avevan fatt
o causa comune vari gran signori franchi, tra i quali il signore stesso di Sidon
e e altre note personalit. Abbiamo gi narrato la storia di lui: condizione della p
ace con lui sarebbe stato un suo aperto romperla coi Franchi d'oltremare, a moti
vo della gran paura che egli aveva di loro, e d'una questione occorsagli per via
della moglie. Il Sultano si mostr disposto ad accedere alla sua proposta, a cert
e condizioni con cui si proponeva gettar discordia tra loro e tenerli in scacco
l'uno con l'altro. Ora, udito quel discorso, il Sultano promise di dar pi tardi u
na risposta, e colui si ritir per quel giorno alla tenda che gli era stata rizzat
a.
La sera di quello stesso giorno, giunse un messo del re d'Inghilterra, il figlio
di Honfroi, uno dei gran capi e sovrani franchi, e in sua compagnia un vecchion
e che dissero avesse centoventi anni. Il Sultano lo ammise in sua presenza e asc
olt quanto aveva da dire. Il suo messaggio era il seguente: "Dice il Re: ho cara
la tua amicizia e il tuo affetto. Tu hai detto che avresti dato questi territori
del Litorale a tuo fratello, e io desidero che tu sia giudice tra me e lui divi
dendo tra noi le terre. Ma noi dobbiamo assolutamente avere un punto d'appoggio
a Gerusalemme. Io vorrei che tu dividessi in modo da non attirarti tu il biasimo
dei Musulmani, n io quello dei Franchi".
Il Sultano gli rispose immediatamente con belle promesse, gli permise di tornar
subito indietro, e rest assai impressionato di quel messaggio. Mand poi dietro lor
o qualcuno a informarsi sul punto dei prigionieri, che era separato da quello de
lla pace. "Se dev'esser pace, - disse (131), - sar pace generale, e se non pace,
dell'affare dei prigionieri non se ne fa nulla". II vero scopo del Sultano era d
i minare i fondamenti della pace stessa proposta. Alla fine dell'udienza, quando
coloro si furori partiti, egli si volse a me e disse: "Quando anche avremo fatt
o pace con loro, nulla ci assicurer da un loro proditorio attacco. Se io venissi
a morire, non sarebbe possibile metter pi insieme questi eserciti e i Franchi avr
an preso forza. Il meglio non desistere dalla guerra santa fino a che non li abb
iamo espulsi dal Litorale, o ci incolga la morte". Tale era il suo avviso, e si
pieg alla pace solo cedendo ad esterna pressione.
Il ventuno (132) di shawwl (11 novembre), il Sultano convoc gli emiri e i consigli
eri, ed espose loro le basi dell'accordo chiesto dal Marchese, che per parte sua
era ben disposto ad accogliere. Esse consistevano nel ricevere egli (da noi) Si
done e nello schierarsi con noi contro i Franchi, combattendoli apertamente. D'a
ltra parte, espose anche le condizioni di pace richieste dal re (Riccardo), di a
ver cio lui determinati punti del Litorale, e noi tutta la zona montana, o di div
idere a met tutti i villaggi. In entrambi i casi, i Franchi avrebbero dovuto aver
e dei preti nelle chiese e oratori di Gerusalemme, e il re d'Inghilterra ci lasc
iava la scelta tra questi due partiti. Saladino illustr agli emiri la situazione
in entrambe le proposte, e chiese loro di esporre a fondo il loro avviso su qual
e dei due piani, del re d'Inghilterra o del Marchese, apparisse loro preferibile
, e (subordinatamente) quale dei due partiti su accennati, proposti dal re d'Ing
hilterra. I consiglieri ritennero che se pace doveva essere fosse fatta col Re,
giacch un'amichevole convivenza dei Franchi coi Musulmani frammisti era cosa impr
obabile, e punto sicura da qualche proditorio attacco.
L'adunanza si sciolse, e continuarono le trattative di pace, con un via-vai di m
essi per stabilirne le basi. Condizione fondamentale era che il re d'Inghilterra

avrebbe dato sua sorella in moglie al Malik al-'Adil, venendo ad appartenere ag


li sposi tutti i territori del Litorale, musulmani e franchi: i franchi, sarebbe
ro venuti alla principessa da parte di suo fratello, e i musulmani ad al-'Adil d
a parte del Sultano. Ma l'ultimo messaggio del re al riguardo diceva: "I popoli
cristiani disapprovano che io dia mia sorella in moglie a un musulmano senza con
sultare il Papa, che il capo e sommo duce della Cristianit. Perci ora io gli mando
un messo che sar di ritorno tra sei mesi. Se egli autorizza la cosa, tanto megli
o, e se no ti dar in moglie una mia nipote, per cui non ho bisogno di autorizzazi
one del Papa" (133). Tutto ci si svolgeva mentre la guerra continuava, e le ostil
it proseguivano inevitabilmente.
Il signore di Sidone cavalcava talvolta col Malik al-'Adil, e andava a esaminare
le posizioni dei Franchi. I quali, ogni volta che lo vedevano, si muovevano a r
eiterare le loro offerte di pace, per timore che il Marchese si mettesse coi Mus
ulmani, e la loro potenza ne fosse fiaccata. Ci dur fino al venticinque shawwl.
....
Era venuto Yusuf, paggio del signore di Sidone, da parte del Marchese a chieder
la pace coi Musulmani. Tra le condizioni poste dal Sultano fu che egli si impegn
asse a combattere i suoi compatrioti e a staccarsi da loro; che i territori fran
chi che avrebbe preso da solo dopo la pace sarebbero stati suoi, e quelli che av
remmo presi noi da soli sarebbero stati nostri, e in quelli che avessimo presi i
nsieme lui e noi, lui avrebbe avuto la terra e noi i prigionieri musulmani e le
altre robe che essa conteneva, che ci rilasciasse tutti i prigionieri musulmani
che si trovassero nel suo dominio; che se il Re d'Inghilterra gli avesse affidat
o il governo del paese per qualche accordo tra loro, la pace tra noi e lui si sa
rebbe fondata sulle stesse condizioni stipulate fra noi e il re d'Inghilterra, s
alvo Ascalona e il territorio ulteriore, che non rientrava nella pace. Che le zo
ne del litorale sarebbero toccate a lui e quanto era in nostre mani a noi, spart
endosi a mezzo la zona intermedia. Con questo schema, il messo si part (134).
...
(Nello sha'bn 588/primi di settembre 1192), giunto al-'Adl' a Giaffa, fu alloggia
to fuori della citt in una tenda finch il Re non fu informato del suo arrivo. Info
rmato che ne fu, lo fece venire con il resto dell'ambasceria, e al-'Adl gli pres
ent il testo del trattato. Il re, che era infermo, disse: "Non ho la forza ora di
leggerlo. Ma concludo la pace, e questa la mia mano". I nostri delegati si abbo
ccarono col conte Henri e con Ibn Barzn (136), e sottomisero loro il testo. Essi
accettarono che Lidda e Ramla fossero divise a met, e tutto quel che il testo con
teneva. Si stabil che essi avrebbero giurato la mattina del mercoled, poich avevano
gi preso qualche cibo, e non era loro costume giurare dopo aver preso cibo, al-'
Adl mand a informar di questo il Sultano.
Il mercoled ventidue sha'bn (2 settembre), tutta la delegazione musulmana fu condo
tta in presenza del re: essi gli presero la mano e vollero giurare con lui, ma e
gli si scus dicendo che i re non giurano, e il Sultano si accontent di tale dichia
razione. Giurarono allora nelle mani del conte Henri suo nipote, da lui lasciato
a capo del Litorale, e di Balin ibn Barzn signore di Tiberiade, con l'adesione de
i Templari, Ospitalieri, e degli altri capi franchi. Nel corso della stessa gior
nata, tornarono alla tenda del Sultano e vi giunsero alla preghiera della sera,
accompagnati da parte franca dal figlio di Honfroi, da Ibn Barzn e da una schiera
di loro capi. Accolti a grande onore, fu loro rizzata una tenda degna di loro.
al-'Adl si present al Sultano, e fece rapporto. L'indomani ventitr sha'bn, l'ambasc
iatore del Re si present al Sultano, prese la nobile sua mano e si impegn con lui
alla pace sulle basi fissate. Essi proposero che il relativo giuramento fosse pr
estato dal Malik al-'Adil, il Malik al-Afdal, il Malik az-Zahir, 'Ali ibn Ahmad
al-Mashtb, Badr ad-din Yildirim, al-Malik al-Mansr, e da tutti i capi di stati con
finanti coi Franchi, come Ibn al-Muqaddam, il signore di Shaizar, eccetera. Del
pari il Sultano promise che avrebbe mandato con loro un messo a tutti i loro vic
ini per farli giurare. Giur anche nei riguardi del signore di Antiochia e di Trip

oli, con la riserva che essi avessero giurato del pari nei riguardi dei Musulman
i, e se non l'avessero fatto non sarebbero stati compresi nella pace. Ordin quind
i che si proclamasse negli accampamenti militari e mercati che la pace generale
si estendeva a tutto il territorio, e che chi voleva dal loro territorio entrare
nel nostro poteva farlo, e viceversa. Proclam inoltre che la via del pellegrinag
gio era aperta per la Siria, e manifest in quel! L'occasione l'intenzione di comp
iere il pellegrinaggio egli stesso, un'idea che gli venne essendo io l presente.
Ordin inoltre che cento minatori andassero a smantellar le mura di Ascalona (137)
, agli ordini di un grande emiro, per farla evacuare dai Franchi. Una delegazion
e franca avrebbe dovuto accompagnarli sino al compiuto smantellamento delle mura
, per timore che i nostri le lasciassero in piedi.
Fu una giornata memorabile, in cui le due parti provarono una gioia e un'allegre
zza che Dio solo sa. Ma si sa anche che la pace non era stata di pieno gradiment
o del Sultano: in una delle sue conversazioni, egli mi disse: "Ho timore di far
la pace; non so cosa mi pu accadere (138), e questo nemico ne sarebbe afforzato,
essendo rimasti in suo potere questi paesi; e allora ci attaccherebbero per recu
perarne il resto. Tu vedi che ognuno di costoro se ne sta appollaiato in cima a
un colle" e intendeva con ci le loro rocche; e concluse: "Appena me ne sar andato
io, i Musulmani saranno spacciati".
Tali furono le sue parole, e fu davvero come egli disse; pure egli ritenne la pa
ce un bene, essendo ormai l'esercito stanco, e apertamente contrario (alla conti
nuazione delle ostilit). Fu davvero un bene, come Iddio nella sua prescienza sape
va, giacch il Saladino venne a morire poco dopo conclusa la pace, mentre se tal m
orte fosse accaduta nel corso della campagna l'Islm ne sarebbe stato in pericolo.
La pace fu perci una divina provvidenza e un fausto evento per lui.
('IMAD AD-DIN, 434-36).
Quando il re d'Inghilterra seppe l'esercito (musulmano) adunato e le proprie dif
ficolt aggravate, e inespugnabile Gerusalemme, e impendente su lui il castigo (di
vino), si pieg e umili, ridusse le sue brame e cap di non potercela con chi era ass
istito dalla fortuna, di non poter reggere davanti all'oste nostra congregata. A
llora dichiar che se non avesse ottenuta una tregua si sarebbe fermato e avrebbe
cercato la morte, andando incontro al peggio; mentre aveva deciso di far ritorno
al suo paese, per faccende che era suo desiderio sistemare. "Ora, - disse, - pr
ossimo il tempo che il mare si fa innavigabile, e alza rigonfie le creste delle
onde. Se voi venite a una tregua e mi date retta, io seguir il mio desiderio (di
partire); se invece mi combattete e mi contrariate, pianter qui le mie tende e fi
sser qui la mia dimora. Le due parti sono stanche, i due compagni (139) sono stuf
i. Io ho rinunciato a Gerusalemme, e rinuncer ora ad Ascalona. Ma voi non vi fate
illudere da codeste truppe d'ogni parte adunate, giacch la loro adunata destinat
a a disperdersi con l'inverno. Se noi perseveriamo nel nostro miserabile litigio
getteremo noi stessi nella sciagura. Aderite quindi al mio desiderio, e guadagn
atevi il mio affetto: stringete con me un patto e lasciatemi andare, consentite
con me e prendete da me commiato".
Il Sultano convoc gli emiri suoi consiglieri, e si consigli con loro sulla faccend
a, li mise al corrente del segreto e ne sollecit il parere, esponendo loro da cim
a a fondo la questione: "Noi, - disse loro, - grazie a Dio, siamo in forze, e al
le vedette di una sperata vittoria: i nostri ausiliari, emigrati alla nostra vol
ta (140), son gente di fede e nobilt e valore. Ci siamo avvezzati alla guerra san
ta, e abbiam raggiunto con essa il nostro intento; ora difficile svezzarsi da ci
cui ci si avvezzi, e con l'aiuto di Dio sino ad oggi nessuno si staccato da noi.
Non abbiamo altra occupazione e scopo che il far la guerra, n siam di quelli cui
il gioco invoglia e la dissipazione trascina. Se lasciamo questo lavoro, che la
voro faremo? Se distogliamo la speranza di vincerli, in che spereremo? Io temo c
he stando io inoperoso non mi sopravvenga la morte; e chi si avvezzato ad andare
adorno come potr avvezzarsi a esser disadorno? Il mio avviso gettarmi dietro le
spalle l'idea della tregua, e preferendo la guerra preferire il mio onore e ad e
sso far capo. Io non cerco di starmene inoperoso, s da desiderare che questo stat

o venga a mutare. Questo compito mi stato assegnato, e a questo mi attengo, e co


n l'aiuto di Dio seguir il pi deciso e risoluto partito". Al che gli emiri rispose
ro: "La cosa come tu dici, il da farsi ci che a te pare, e il giusto consiglio ci
che tu fai (141). Solo ci che tu fissi dura, e ci che tu stabilisci resta stabile.
Il divino aiuto ti assiste in tutto ci che annodi e sciogli, che adduci e deduci
. Senonch tu (solo) a te stesso hai guardato, come uso alla felicit, alla volont di
servire Iddio, all'acquisto di prevalente virt, alla cura del mezzo atto al succ
esso, al disdegno dell'ozio e alla ripugnanza dal trarsi in disparte. In te stes
so tu trovi la forza e la tenacia, e la tua incrollabile fede ti insegna a raggi
ungere le vagheggiate mte. Ma guarda piuttosto allo stato del paese, ruinato e sc
onquassato, dei sudditi sossopra e scompigliati, degli eserciti stanchi e malazz
ati, dei destrieri negletti e rovinati. Difettano i foraggi, son fatti rari i vi
veri, lontane le basi di rifornimento, care le derrate. Non si pu far venir nulla
se non dall'Egitto, affrontando pericoli micidiali nel deserto; d'altra parte q
uesta concentrazione di forze si pu ben pensare stia per disperdersi, n tale ampio
spiegamento potr durare in tal ristrettezza, ch gli approvvigionamenti ci son tag
liati, le strade precluse, i ricchi sono a terra, i poveri spacciati, la paglia
pi cara dell'oro, l'orzo introvabile anche a caro prezzo. E questi Franchi, se pe
rdono la speranza della tregua, consacreranno ogni loro sforzo a rafforzarsi e c
onsolidarsi appieno, affronteranno con fermo animo la morte sulla via del loro d
esiderio, e si rifiuteranno per amor della loro fede di sottostare a un'umiliazi
one. Il miglior consiglio che tu accolga da Dio il versetto da Lui rivelato: 'e
se essi inclinano alla pace, tu pure ad essa inclina' (142): allora torneranno a
i lor paesi gli abitanti e i coltivatori, e nel tempo della tregua ne abbonderan
no i raccolti ed i frutti; gli eserciti rinnoveranno il loro armamento, e ripose
ranno per tutto il periodo della pace. Quando torneranno i giorni della guerra,
anche noi torneremo, rafforzati e aumentati, provvisti di cibo e foraggio, sprov
visti di affanni e di brighe. Nei giorni della pace ci prepareremo alla guerra,
e rinnoveremo gli strumenti pei colpi di punta e di taglio. N ci significa tralasc
iare di servire Iddio, ma serve solo a procacciare utilit e nuove forze e success
o. I Franchi per parte loro non terranno (a lungo) fede n si atterranno ai patti
giurati: tu perci stringi con tutti loro la tregua, affinch si sciolgano e disperd
ano, disgraziati per i colpi sofferti, senza avere pi sul Litorale chi sia capace
di far resistenza e abbia la forza di stare pi a noi alle calcagna".
L'assemblea non cess cos dall'insistere presso il Sultano finch egli si pieg, e asse
nt a ci che si esigeva da lui. Non c'era pi tra i due eserciti che una sola tappa d
i marcia, e i nembi di polvere gi si addensavano sui reparti in avanscoperta: se
fossimo mossi, li avremmo sloggiati e ridotti all'estremo sbaraglio; ma prevalse
la volont di Dio, e cos al re d'Inghilterra fu detto di s per la sua richiesta di
pace. Io fui presente per redigere l'atto della tregua, e ne scrissi il testo, f
issandone il termine e specificandone i termini, e ci il marted ventuno di sha'bn d
el 588, corrispondente al primo settembre (1192). La durata della tregua fu di t
re anni e otto mesi. Coloro si credettero che il tempo del suo spirare coincides
se col loro arrivo per mare e di potere avere continuo rinforzo di gente adunata
e congregata. Fu dunque stipulata una tregua generale per terra e per mare, pia
nura e montagna, deserto e citt, assegnando loro il territorio da Giaffa a Cesare
a ad Acri e a Tiro. I Franchi, pur nell'abbandonare terre state gi loro, si mostr
arono felici e contenti, e inclusero nella pace Tripoli e Antiochia, e le vicine
e lontane province.
7.
Il prode Marchese di Monferrato non vide quella pace, n arriv a cingere l'ambita c
orona reale. Su chi arm la mano degli Assassini che lo pugnalarono a Tiro nell'ap
rile del 1192 v' qualche discordanza nelle fonti musulmane: Bah' ad-din e 'Imd ad-d
in indicano espressamente Riccardo d'Inghilterra (nelle cui trattative di pace C
orrado si era come abbiam visto insinuato con un suo proprio gioco, che ripeteva
col Saladino gli approcci particolaristici del Conte di Tripoli alla vigilia di
Hittn); mentre Ibn al-Athr raccoglie la voce di una iniziativa di Saladino stesso

, che avrebbe cercato di far assassinare Riccardo e Corrado insieme: ci sembra as


sai improbabile (si veda in proposito l'accenno persuasivo di 'Imd ad-din sulla i
nopportunit della morte del Marchese in quel momento per i Musulmani); ma una cur
iosa eco del fatto, che appoggerebbe la tesi di una responsabilit di Saladino, ne
l racconto assai pi tardo, e leggendariamente deformato, sull'assassinio di un re
franco sotto Acri ordinato dal Veglio della Montagna ai suoi fidi, per far piac
ere al Sultano suo amico. Il curioso testo, che diamo dopo le versioni di 'Imd ad
-din e Ibn al-Athr, proprio di fonte ismailita, in una biografia aneddotico-edifi
cante del Gran Maestro degli Assassini dell'epoca, Rashid ad-din Sinn: ma in real
t furono gli Assassini a tentare pi di una volta di far la pelle a Saladino, la cu
i rigida ortodossia era inconciliabile con le loro eterodosse dottrine.
ASSASSINIO DI CORRADO DI MONFERRATO.
('IMAD AD-DIN, 420-22).
Egli fu ospite del vescovo di Tiro il marted tredici rab' secondo (588/28 aprile 1
192), e consum l'ultimo suo pasto essendo giunto il suo ultimo giorno. Era ormai
alla porta Chi doveva troncare ogni sua speranza. Ei fu convitato all'inferno, d
ove (l'angelo) Malik era in attesa del suo arrivo, e il Tartaro alle vedette per
la sua venuta, e il pi profondo girone del fuoco infernale bruciava, e la Vampa
avvampava, e la Fiamma fiammeggiava attendendolo. Era ormai prossimo il momento
che l'abisso lo avrebbe contenuto, e la fornace inferna avrebbe arso per lui, e
gli Angeli giustizieri edificavan gi la sede impura dove tormentarlo, e l'inferno
aveva gi spalancato per lui le sue sette porte, bramoso di inghiottirlo: e lui s
i indugiava incurante a banchetto, consumando il suo pasto. Mangi e fece colazion
e, ignaro del precipizio che lo attendeva; mangi e bevve, si sazi e sollazz, usc e c
avalc: quando gli balzarono addosso due uomini, anzi due lupi spelati, e coi pugn
ali ne fermarono il moto, e lo abbatterono presso quelle botteghe. Poi uno dei d
ue fugg, ed entr nella chiesa, dopo aver fatto fuori quell'anima vile. Il Marchese
, trafitto ma ancor con un resto di vita, disse: "Portatemi alla chiesa" e l lo p
ortarono, pensandosi averlo messo al sicuro quando lo ebbero col trasferito. Ma,
quando quello dei suoi due feritori lo vide, gli salt ancora addosso per finirlo,
e gli inferse ancora ferita su ferita, e piaga su piaga. I Franchi presero i du
e compagni, e trovarono che eran due apostati dei Fidai Ismailiti (143). Li inte
rrogarono su chi li avesse mandati a compiere quella strage, e dissero che era s
tato il re d'Inghilterra. Si disse inoltre che si eran fatti cristiani da sei me
si, ed avevano iniziato una vita ascetica e di purificazione, frequentando assid
uamente le chiese e dandosi a rigorosa piet; l'uno era entrato al servizio di Ibn
Barzn e l'altro del signore di Sidone, per essere entrambi costoro vicini al Mar
chese, assicurandosene la confidenza con la loro assidua frequenza. Poi si attac
carono al suo arcione, e lo trucidarono. Subirono entrambi il pi crudele supplizi
o, e furon trattati nel modo pi spietato. Singolar caso di due miscredenti che sp
arsero il sangue di un miscredente, di due scellerati che trucidarono uno scelle
rato!
Quando il Marchese fu steso, e rovesciato a capo fitto nell'inferno, il Re d'Ing
hilterra assunse il governo di Tiro e lo confer al Conte Henri (144), sistemando
con lui ogni cosa. Questi si un alla regina moglie del Marchese quella stessa not
te (145), sostenendo di essere colui che aveva pi diritto a impalmare la moglie d
el defunto. Ella era incinta, ma la gravidanza non lo imped di unirsi a lei, cosa
questa ancor pi brutta del materiale accoppiamento. Io domandai a uno dei loro i
nviati a chi sarebbe stata attribuita la paternit del figlio, e colui rispose: "S
ar figlio della regina". Guarda un po' la licenziosit di questa caterva di miscred
enti!
A noi non garb l'assassinio del Marchese in tali condizioni, pur essendo egli uno
dei caporioni dell'errore, poich egli era nemico del re d'Inghilterra, suo rival
e nel regno e nel trono, e in tutto e per tutto suo competitore. Egli era in rap
porti con noi perch lo aiutassimo e strappassimo di mano al Re ci che quegli aveva
preso. Ogni volta che il re d'Inghilterra sentiva che l'inviato del Marchese er

a presso il Sultano, subito ricorreva a messaggi tutti umilt e docilit, e riprende


va a parlare di concluder la pace, e nella notte del suo errore si poteva sperar
e rilucesse l'aurora. Ucciso che fu il Marchese, si calm il suo cuore e la sua pa
ura, svan ogni sua smania e inquietudine, si rasseren, gli tornaron gli spiriti, s
i appianarono le sue cose, e si aggrav il male da lui rappresentato. Per opposizi
one al Marchese, egli aveva preso le parti dell'antico re (Guido), manifestandog
li affetto di tenero congiunto, e lo aveva investito dell'isola di Cipro col suo
territorio, provvedendo con la sua nomina a sanarne ogni difetto. Ma una volta
perito il Marchese, ci si accorse di aver sbagliato a rinforzare Guido, e temett
e di non sfuggire alla sua ostilit e non esser sicuro da qualche suo attacco. Sco
mparso quindi il suo nemico, egli ritrov la sua calma, gli torn la tranquillit, si
riebbe la sua demenza, si dilegu la sua ira, lo eccit la sua buona fortuna, ed egl
i effuse dalla fonte della miscredenza tutta la sua brutalit: con tutto ci, non sm
ise i rapporti con Guido, n la ruppe con lui, anzi seguit a inviargli blandi messa
ggi, e tir a ingannarlo e ciurmarlo.
(IBN AL-ATHIR, XII, 51).
Quest'anno, il tredici di rab' secondo, fu ucciso il Marchese franco - Dio lo mal
edica! - signore di Tiro. Era costui il maggior diavolo che avessero i Franchi.
Causa della sua uccisione fu che Saladino tratt con Sinn (146), Capo degli Ismaili
ti, perch mandasse ad ammazzare il re d'Inghilterra; se poi avesse fatto assassin
are il Marchese, avrebbe avuto diecimila "dinr". Non si pot ammazzare il re d'Ingh
ilterra, ci che a Sinn non parve fosse del loro interesse, affinch Saladino non fos
se liberato da ogni preoccupazione da parte dei Franchi, e non si rivolgesse all
ora contro di loro stessi Ismailiti. D'altra parte, gli fece gola quel denaro, e
si rivolse allora a organizzare l'assassinio del Marchese: mand due suoi uomini
in veste di monaci, che si misero al servizio del signore di Sidone e di Ibn Bar
zn signore di ar-Ramla, i quali entrambi stavano col Marchese a Tiro. Coloro per
sei mesi stettero con questi due signori, mostrando gran devozione: cos il Marche
se entr con loro in confidenza e fiducia. Trascorso quel tempo, il Vescovo di Tir
o offr un banchetto al Marchese, che vi and, mangi alla sua tavola e bevette del su
o vino, e poi usc via. I due suddetti Batiniti (147) gli balzarono addosso, e gli
infersero mortali ferite; poi uno dei due scapp ed entr a nascondersi in una chie
sa. A questa appunto capit che fosse trasportato il Marchese per fasciarne le fer
ite, e quel Batinita gli risalt addosso e lo ammazz. I due Assassini furono del pa
ri uccisi dopo la sua morte. I Franchi attribuirono la sua uccisione a un mandat
o del re d'Inghilterra, per restar solo a regnare sul Litorale di Siria. Ucciso
che fu il Marchese, assunse il governo della citt di Tiro un conte franco d'oltre
mare a nome il conte Henri, e spos la regina (vedova di Corrado) la notte stessa,
e consum il matrimonio con lei mentre essa era incinta, non essendo per loro la
gravidanza un impedimento al matrimonio. Questo conte Henri era nipote del re di
Francia per parte di padre, e del re d'Inghilterra per parte di madre. Fu lui a
regnare sui territori franchi del Litorale dopo il ritorno (in Occidente) del r
e d'Inghilterra, e visse fino al 594 (1197), quando cadde da un balcone e mor. Er
a un uomo di senno, di gran garbo e tolleranza: quando il re d'Inghilterra part p
er il suo paese, questo conte Henri mand un messaggio a Saladino, volto a concili
arselo e captarne la benevolenza: egli gli chiedeva il dono d'una veste d'onore,
dicendo: "Tu sai che l'indossare la "qab" e il "sharbsh" (148) cosa presso di noi
riprovata; ma io li indosser ricevendoli da te, per l'affetto che ti porto". Sal
adino gli mand un sontuoso abbigliamento d'onore, tra cui c'erano una "qab" e uno
"sharbsh", ed egli li indoss in Acri.
(MANAQIB RASHID AD-DIN, 463-66).
Ci ha narrato un Compagno fidato e virtuoso che quando il re Saladino prese Acri
, usc contro lui d'oltremare un re dei Franchi con un esercito, che attacc Acri e
se ne impadron uccidendo tutti i Musulmani che vi si trovavano. Gli fu quindi riz

zato un padiglione rimpetto a quello di Saladino, e il suo esercito prese a fron


teggiare quello di lui, divampando tra loro guerra accanita. Saladino non sapeva
pi come sbarazzarsene. Allora il nostro Signore, che si trovava a quel tempo nel
la rocca di Kahf (149), disse - ci venga da lui la salute! (140) - : "Il nostro
amico re Saladino oggi nell'imbarazzo". Chiam quindi due uomini dei suoi assassin
i cui avevano insegnato a parlar la lingua franca; e comparsi che furono in sua
presenza ordin di dar loro due costumi franchi e due spade di quelle dei Franchi.
Indi disse loro: "Andate dal re Saladino con questa mia lettera; pernottate que
sta notte nel luogo tale, - e design loro i luoghi dove dovevano far sosta notte
per notte; - il vostro arrivo ad Acri avr luogo il giorno tale all'ora del merigg
io; se non arriverete in quel giorno e tempo fissato come abbiam detto, non verr
ete a capo del vostro obbiettivo. Giunti a Dio piacendo a quel tempo, e presenta
ti che vi sarete al re Saladino, salutatelo da parte mia, assicuratelo del mio a
ffetto, e consegnategli la mia lettera. Quando egli l'avr letta e conosciutone e
intesone il tenore, ditegli che io vi ho mandato dal suo nemico, il re dei Franc
hi, per ammazzarlo quella notte stessa. Uscite poi di presso Saladino al tramont
o del sole, allontanatevi dall'esercito (musulmano), e accostatevi all'esercito
franco sulla riva del mare, frammischiandovi a loro nell'oscurit della notte. Dir
igetevi poi a notte al padiglione del re, e quando l'avrete trovato, ubriaco e a
ddormentato a viso in gi, senza nessuno accanto, tagliategli la testa, e prendete
il suo cinturone e la sua spada. Se qualcuno vi dice qualche cosa, voi risponde
te in lingua franca, e nessuno vi far osservazione. Giunti poi da re Saladino, de
ponete dinanzi a lui la testa, il cinturone e la spada: egli attaccher immediatam
ente l'esercito franco, lo volger in fuga e taglier a pezzi, a Dio piacendo, ne uc
cider un gran numero, e sar vittorioso e contento. Vorr allora ricompensarvi, e vi
dir di esprimergli qualsiasi desiderio vogliate. Voi non chiedete n oro n argento n
altro, e dite soltanto: 'Noi siam gente che abbiamo fatto gettito della nostra v
ita per obbedire a Dio, e abbiamo lasciato il mondo e le cose mondane, e fatto a
d esse rinunzia. Non abbiamo quindi in ci alcun desiderio, fuorch una cosa sola: q
uando siamo partiti dalle nostre famiglie, i nostri bambini non avevan farina. C
he il re faccia dunque a ognuno di noi l'elemosina di una soma di farina, e null
a pi'". "Obbediamo", risposero i due Assassini; si partirono da nostro Signore Ra
shid ad-din - ci venga da lui la salute! - e si avviarono ad Acri, attenendosi a
ogni istruzione da lui ricevuta, e agendo in conformit di tutti i suoi precetti.
Giunsero cos ad Acri al preciso momento loro indicato, e si presentarono a Salad
ino; gli consegnarono la lettera del Signore, lo salutarono da parte sua, e gli
dissero: "Il Signor nostro ci ha comandati a uccidere il re dei Franchi in quest
o giorno, e ci ha precisato il momento in cui ucciderlo dicendoci che lo avremmo
trovato a quel momento dormente col viso a terra, ubriaco, e senza nessuno acca
nto. Ha detto inoltre che se non fossimo andati da lui esattamente a quel moment
o designato, non avremmo potuto far nulla contro di lui e non saremmo nemmeno fi
no a lui pervenuti".
Quando Saladino ud le parole e il discorso di quei due, se ne rallegr grandemente,
e li tratt con ogni onore. Essi rimasero presso di lui fino a che il sole inclin
al tramonto, e allora rivestirono il costume dei Franchi, e ognun dei due parl al
l'altro nella lingua franca, restando Saladino stupito del costume, della foggia
e della lingua da essi usata. Egli sorrise, lieto del loro proposito. I due usc
irono da lui e si allontanarono dai due eserciti; indi tornarono per la sponda d
el mare verso l'esercito franco, e vi si confusero nell'ormai sopravvenuta oscur
it della notte. Accostatisi al sovrano (nemico) e giunto il tempo e il momento a
essi fissato, si avventarono sul re, e lo trovarono davvero dormente con la test
a in gi come aveva detto il loro Signore, ubriaco, e senza anima viva daccanto. G
li tagliarono la testa, la misero in un sacco, gli presero la spada e il cinturo
ne, e uscirono dal campo dei Franchi affrettandosi fino a ricomparire da re Sala
dino. Deposero dinanzi a lui la testa, la spada e il cinturone. Egli baci in fron
te ognuno di loro, e ordin all'esercito di balzare in sella: sal in sella egli ste
sso, e attacc l'esercito franco, volgendolo in fuga, tagliandolo a pezzi e stermi
nandolo quasi per intero. Felice e contento, vincitore e vittorioso, domand dei d
ue Fidai, e quando essi si presentarono si alz in onor loro, altamente onorandoli
, e si alzarono del pari in piedi, sul suo esempio, i suoi visir e cortigiani. D

on quindi loro vesti d'onore, se li fece sedere accanto e disse: "Esprimetemi qua
lunque desiderio, chiedetemi qualunque cosa vogliate. E per me un dovere l'accon
tentarvi". Essi risposero: "Dio assista coi suoi angeli la Maest vostra, e getti
in perdizione il suo nemico! Questo mondo il nulla, e chi se ne lascia illudere
si pentir quando non serve pi il pentimento. Noi siamo tra quelli che si sono tira
ti indietro dai beni mondani, e abbiamo a essi rinunziato. In verit, noi non chie
diamo altro che due some di farina, una per ciascuno di noi, per le nostre famig
lie".
Allora il Sultano Saladino prescrisse che in ogni provincia vicina alle rocche d
ella Compagnia (151) di retta guida si iscrivessero (come a essa tributari) diec
i villaggi, e che in ogni citt si erigesse a sede della Compagnia di retta guida
una "Casa della Compagnia": cos al Cairo, a Damasco, Hims, Hamt, Aleppo, e altri c
entri, ove tali case sono tuttora note col nome di "La Compagnia". Inoltre colm d
i doni i due Fidai, e mand a nostro Signore Rashid ad-din un magnifico dono.
8.
La malattia e morte del Saladino, poco dopo stretta la tregua coi Franchi, ci so
n narrate con i pi minuti particolari dal fedele Bah' ad-din. Nella sua narrazione
, di l di una certa grettezza e pedanteria comuni a quasi tutte queste fonti musu
lmane, traspare il sincero attaccamento all'eroe, e il riconoscimento di una per
sonalit di eccezione, cui Oriente e Occidente hanno reso parimenti omaggio; mentr
e nella pia fine, nella totale adesione allo spirito e alla lettera della sua fe
de, che suggell la vita reale di Saladino, si dissolve la fantastica immagine del
sovrano liberale e illuminista, vagheggiato dal Lessing.
MALATTIA E MORTE DEL SALADINO.
(BAHA' AD-DIN, 361-69).
La sera del venerd, egli prov una grande stanchezza, e prima ancor della mezzanott
e ebbe un accesso di febbre biliosa, manifestantesi pi all'interno che all'estern
o. Il mattino del sabato sedici safar del 589 (21 febbraio 1193), si lev assai de
bole e con le tracce della febbre, bench ci non apparisse manifesto al pubblico. C
i presentammo a lui io e il cadi al-Fadil, venne anche suo figlio al-Malik al-Af
dal, e ci trattenemmo a lungo con lui. Egli si lagn dell'agitazione in cui aveva
trascorso la notte, e discorse volentieri sin quasi a mezzogiorno. Ci allontanam
mo allora, pur lasciando il cuore accanto a lui. Egli ci invit a prender parte al
pranzo al servizio di suo figlio al-Malik al-Afdal; questo non era nelle abitud
ini del cadi al-Fadil, che si ritir, mentre io entrai nel salone meridionale, dov
e era stato servito il pranzo, e il Malik al-Afdal sedeva al posto di suo padre.
Allora mi ritirai anch'io, non reggendo a seder l per il turbamento che avevo ne
ll'animo; e cos parecchi piansero, traendo sinistro auspicio dal veder l seduto il
figlio al posto del Sultano.
Da allora, la malattia prese ad aggravarsi; noi continuavamo a venire assiduamen
te al mattino e alla sera, e io e il cadi al-Fadil varie volte durante il giorno
ci presentavamo da lui, presso cui si era ammessi nei giorni in cui provava un
alleviamento dal male. La sua malattia era nella testa; e uno dei segni che la s
ua vita era ormai al termine, era l'assenza del suo medico curante, che conoscev
a la sua complessione, e lo curava in viaggio e in residenza. I medici credetter
o di salassarlo, e fecero ci al quarto giorno, ma la malattia si aggrav, e cominci
arono a scemare gli umori del suo corpo, tra cui era predominante il secco. L'ag
gravamento progressivo fin con lo sboccare in una estrema debolezza.
Il sesto giorno della malattia, lo avevamo fatto sedere appoggiandogli il dorso
a un cuscino, e facemmo portare dell'acqua tiepida perch la bevesse, poco dopo av
er bevuta una medicina a scopo emolliente. Egli la trov troppo calda e se ne dols
e; gli fu allora presentata una seconda tazza, e questa si dolse fosse troppo fr
edda, ma senza adirarsi e gridare, dicendo queste sole parole: "Benedetto Iddio,

non c' uno che riesca a regolare giusta l'acqua?"; al che io e il cadi al-Fadil
venimmo via piangendo a calde lacrime; e il cadi al-Fadil mi disse: "Guarda un p
o' che carattere stanno per perdere i Musulmani! Per Allh, fosse stato un uomo qu
alunque, avrebbe battuto la coppa in testa a chi gliela portava..." Il sesto, se
ttimo e ottavo giorno, la malattia non fece che aggravarsi, oscurandosi la sua l
ucidit di mente. Al nono, lo colse un deliquio e non pot prendere la pozione: una
gran paura si diffuse per la citt, e i negozianti, impauriti, cominciarono a port
ar via le loro stoffe dai mercati (152), essendo tutti sopraffatti da una triste
zza e cordoglio inenarrabile.
Io e il cadi al-Fadil sedevamo insieme ogni sera finch fosse trascorso un terzo o
quasi della notte, e allora ci presentavamo alla porta del Palazzo, e se trovav
amo via libera entravamo da lui, vedevamo come stava e ci ritiravamo, o se no ci
davano sue notizie e ci ritiravamo. E trovavamo la gente che stava in attesa de
lla nostra uscita per incontrarci e conoscere le sue condizioni dall'aspetto dei
nostri visi. Il decimo giorno, gli fu praticato due volte un lavativo e ne ebbe
qualche sollievo, oltre a poter prendere un po' d'acqua d'orzo, con grande pubb
lica allegrezza. Attendemmo come al solito che fosse trascorsa una parte della n
otte, e venimmo alla porta del Palazzo, dove trovammo Giaml ad-dawla Iqbl. Avendog
li chiesto di darci notizie, egli entr dentro, e mand poi a dirci col Malik al-Mu'
azzam Turanshh che aveva cominciato a sudare alle gambe. Ne rendemmo grazie a Dio
, e lo pregammo di sentirgli il resto del corpo e di farci sapere come stesse a
sudore. Lo esamin, e usc a dirci che la traspirazione era abbondante, onde ce ne a
ndammo rinfrancati. Ma la mattina dell'undicesimo giorno di sua malattia, cio il
marted ventisei safar, quando venimmo alla porta a domandar notizie ci fu detto c
he il sudore si era fatto cos copioso da passare nel materasso e nelle stuoie, fi
no a terra, e che la secchezza era talmente aumentata da lasciar tutti sgomenti,
e i medici senza pi speranza.
Quando il Malik al-Afdal vide le condizioni di suo padre, e si convinse fossero
ormai disperate, si affrett a farsi prestare il giuramento di fedelt (153). Tenne
perci una seduta nel Palazzo di Ridwn, cos detto perch quegli (154) vi aveva abitato
, fece venire i cadi e appront una breve formula contenente il giuramento di fede
lt al Sultano finch fosse stato in vita, e a lui al-Afdal dopo la sua morte. E si
scus di questo con la gente, dicendo che la malattia del Sultano si era aggravata
, che egli non sapeva cosa sarebbe potuto accadere, e che quell'atto era una sem
plice misura precauzionale secondo le normali consuetudini dei sovrani. Il primo
fatto giurare fu Sa'd ad-din Mas'd, fratello di Badr ad-din Mawdd e governatore d
ella citt; ed egli si affrett a giurare senza condizioni; poi fu la volta di Nasir
ad-din signore di Sahyn, che giur aggiungendo la condizione che la rocca da lui t
enuta restasse a lui; poi giur Sabiq ad-din signore di Shaizar, il quale omise la
clausola del divorzio (155), scusandosi col dire che non aveva mai giurato sott
o tal forma; poi giur Khushtarn Husain al-Hakkari, poi Nushirwn az-Zarzari con l'ag
giunta di ricevere un appannaggio soddisfacente, poi 'Alkn e Mankaln. A questo pun
to fu servito in tavola, e tutti pranzarono. Nel pomeriggio, fu ripresa la sedut
a di prestazione del giuramento: si presentarono Maimn al-Qasri e Shams ad-din Su
nqur il vecchio, e dissero: "Giuriamo, a condizione di non trar mai la spada con
tro uno dei tuoi fratelli", impegnandosi invece a difendere i suoi stati. Cos si
espresse Maimn al-Qasri. Quanto a Sunqur, si ricus per un po' di giurare, e poi di
sse: "Mi farai giurare come governatore di Natrn, a condizione che essa resti a m
e". Fu poi la volta di Sa'ama, che disse: "Io non ho appannaggio alcuno, dimmi t
u su che cosa dovrei giurare", ed essendogli stato replicato, fin col giurare agg
iungendovi la riserva che gli fosse dato un soddisfacente appannaggio. Sunqur lo
sfregiato giur a patto di aver soddisfazione, e cos Aibek il camuso, che non giur
l'impegno di divorzio; giur infine Husm ad-din Bishara, capo di tutti coloro. al-A
fdal non fece intervenire nessuno degli emiri egiziani n chiese loro nulla (156),
ma fece solo giurare i suddetti per regolare le cose, e forse mi sfuggito il no
me di qualcuno dei pi oscuri. La formula del giuramento era del seguente tenore:
"Articolo primo: Io da questo momento dedico e consacro ogni mio intimo sentimen
to al Malik an-Nasir, finch egli in vita, impegnandomi a prodigare in difesa del
suo stato la mia persona, i miei averi, la mia spada e i miei uomini, in obbedie
nza ai suoi ordini e attenendomi al suo piacimento; e dopo di lui, a suo figlio

al-Afdal 'Ali e ai suoi eredi: in nome di Dio, io sar a lui fedele, difender il su
o stato e il suo territorio con la mia persona e i miei averi, la mia spada e i
miei uomini, e obbedir al suo comando e divieto. Tale del pari la mia esterna pro
fessione e il mio intimo pensiero. E Iddio garante di ci che dico".
La notte che preced il mercoled ventisette safar 589, che fu la dodicesima della s
ua malattia, le condizioni del Sultano si aggravarono, e le sue forze si indebol
irono, e le donne (che lo assistevano) ci impedirono di giungere fino a lui. Que
lla notte fummo convocati io e il cadi al-Fadil e Ibn az-Zaki (cadi di Damasco),
che non aveva l'abitudine di venire a quell'ora, e il Malik al-Afdal ci invit a
passar la notte presso di lui. Al cadi al-Fadil non parve questo un buon consigl
io, giacch la gente stava ad aspettare la nostra uscita dalla cittadella, ed egli
temeva che se non ne fossimo discesi ne corresse la voce allarmistica per la ci
tt, e ne seguissero dei saccheggi. Consigliava perci che noi scendessimo, e fosse
fatto invece venire lo sheikh Abu Gia'far, imm di al-Kallasa (157), un uomo dabbe
ne, che avrebbe passato la notte nella cittadella, s da trovarsi presente se Dio
lo avesse chiamato a s quella notte; egli avrebbe dovuto tenerne lontane le donne
, e rammentargli la formula di fede musulmana e il nome di Dio. Cos fu fatto, e n
oi venimmo via, ognuno augurandosi di poter offrir la vita per lui. Cos egli pass
quella notte ormai agli estremi, con lo sheikh Abu Gia'far che recitava al suo c
apezzale il Corano, e gli rammentava il nome di Dio Altissimo. Dalla sera del no
no giorno, egli aveva perduto conoscenza senza quasi pi riaversi, altro che a bre
vi intervalli; e lo sheikh Abu Gia'far raccont che quando lui era giunto al passo
coranico "Egli l'unico Iddio, conoscitore del Mistero e di ci che si vede" (158)
, ud il Sultano rispondere: "E' vero", che fu un risveglio quanto mai opportuno e
una provvidenza divina nei suoi riguardi, ne sia lodato Iddio! Egli spir dopo l'
ora della preghiera mattutina il mercoled ventisette safar del 589 (4 marzo 1193)
. Il cadi al-Fadil sopravvenne dopo spuntata l'aurora, nel momento appunto del s
uo trapasso, e io arrivai che era gi passato in grembo alla compiacenza divina. M
i fu raccontato che quando lo sheikh Abu Gia'far fu giunto alle parole coraniche
"Non c' altro Dio che Lui, e in Lui mi sono affidato" (159), il Sultano sorrise,
gli si illumin il volto, e rese l'anima al suo Signore.
Il giorno della sua morte fu un lutto per l'Islm e i Musulmani, quale essi non av
evan conosciuto l'uguale dal tempo che perdettero i Califfi ben guidati. La citt
adella, la citt e il mondo intero furon sopraffatti da un cordoglio che Dio solo
sa; e per Allh, io avevo ben sentito dire da alcuni che avrebbero voluto riscatta
re con la loro vita quella delle persone care, e avevo creduto che quel modo di
parlare fosse un'espressione da non prendersi alla lettera e solo con latitudine
, ma quel giorno sentii di me stesso e d'altri che se fosse stato ammesso un ris
catto (per lui) lo avremmo davvero riscattato con le nostre vite. Suo figlio il
Malik al-Afdal sed poi a ricevere le condoglianze nella Sala settentrionale, e la
porta della Cittadella fu a tutti preclusa fuorch ai pi intimi emiri e ai dottori
. Fu una grave giornata, in cui ognuno era tutto preso dal suo cordoglio e dolor
e e pianto s da non poter guardare ad altrui; fu perci esclusa in quella circostan
za la recitazione di qualsiasi poeta e il discorso di qualsiasi predicatore. I s
uoi figliuoli uscivano gridando misericordia tra la gente, s da far quasi morire
di pena a quella vista, e cos duraron le cose fino a dopo la preghiera del mezzog
iorno. Allora ci si occup di lavare e rivestire del sudario funebre il corpo, ma
non ci fu possibile impiegare nell'accomodarlo un oggetto del valore di un solo
centesimo, senza dover ricorrere a un prestito, persino per la paglia con cui si
bagna l'argilla (160). Il giureconsulto ad-Dwla'i ne lav il corpo; io fui invitat
o ad assistere a questo lavaggio, ma non ebbi la forza di assistere a un simile
spettacolo. Dopo la preghiera del mezzogiorno fu portato fuori, in una cassa rav
volta in un drappo di semplice stoffa, procurata, sia questa come ogni altro pan
no occorso a rivestirlo del funebre sudario, dal cadi al-Fadil di lecita e a lui
nota provenienza (161). Al contemplare il trasporto del morto Sultano, si levar
ono alte le voci e le grida; e tale fu il dolore che sopraffece la gente, da dis
trarla dalla preghiera stessa, che fu su di lui recitata dalla gente a scaglioni
. Il primo a fungere da imm in quella cerimonia fu il cadi Muhyi ad-din ibn az-Za
ki. Fu poi riportato al Palazzo nel giardino, l dove era stato curato nella sua m
alattia, e fu sepolto nel padiglione occidentale. Egli scese nella tomba circa l

'ora della preghiera pomeridiana: che Dio santifichi il suo spirito e illumini i
l suo sepolcro!
NOTE "PARTE SECONDA".
Nota 1. I "hadth", qui di seguito pi volte menzionati: detti attribuiti al Profeta
, e trasmessi in una forma fissa, con una catena di garanti che dovrebbero assic
urarne l'autenticit. La"scienza del "hadth"", diventata un'importante branca della
scienza religiosa musulmana.
Nota 2. La "rak'a" (plur. ""raka't"") il complesso degli atti di stazione e prost
razione, con le relative formule, che costituisce l'unit di misura della preghier
a canonica.
Nota 3. Cio coniate al suo nome ufficiale di al-Malik an-Nasir (re campione della
fede).
Nota 4. Cancelliere capo e intimo consigliere di Saladino, che incontreremo pi vo
lte in appresso.
Nota 5. Hafiz (donde il soprannome del celebre poeta persiano) nell'Islm sia chi
conosce a mente il Corano, sia, come qui, chi dotto di tradizioni canoniche.
Nota 6. Filosofo e mistico di Aleppo, caduto nel 1191 vittima della intolleranza
dell'ortodossia, sanzionata dal Saladino: un aspetto, questo, della reale perso
nalit di lui ben lontano dall'immagine che se ne foggi poi l'Illuminismo.
Nota 7. Il primo califfo, successore di Maometto (63l-34).
Nota 8. In Mesopotamia.
Nota 9. Mohammed ibn Qara Arsln, emiro artuqide di Hisn Kaif (1174-85).
Nota 10. Le prime ore del pomeriggio.
Nota 11. Balin II d'Ibelin, uno dei plenipotenziari franchi alla pace del 1192. P
ersonaggi e fatti qui accennati si ritroveranno in seguito.
Nota 12. Traspaiono qui i motivi polemici e apologetici, che ritroveremo, sulla
discussa pace del 1192.
Nota 13. Propriamente dei "nawaqs", battacchi di legno usati in luogo di campane
dai Cristiani d'Oriente.
Nota 14. Corano, XXIX, 62.
Nota 15. Pu anche intendersi "tanto che lo apprese da lui".
Nota 16. Roccaforte degli Ospitalieri presso Tiberiade.
Nota 17. La Festa dei Sacrifizi, che chiude i giorni del pellegrinaggio nel mese
di dhu l-higgia.
Nota 18. Corano, XI, 44.
Nota 19. Considerato uomo di poco senno, onde ne viene secondo alcune scuole giu
ridiche invalidata la testimonianza legale. Confer pagina 294.
Nota 20. Corano, XVI, 111.
Nota 21. Fra San Giovanni d'Acri e Caifa.
Nota 22. Corano, III, 128.
Nota 23. Corano, LVIII, 4.
Nota 24. Corano, IX, 121.
Nota 25. Era Riccardo Cuor di Leone.
Nota 26. "Masha'ikh", cio i capi di confraternite mistiche, o altri devoti anzian
i, in fama di virt e santit.
Nota 27. Renaud de Chtillon.
Nota 28. Anche nelle relazioni degli atti storici su Hittn, ritroveremo il dramma
tico episodio qui riferito.
Nota 29. Cio, come spiega subito dopo, gli confermava in tutto o in parte il godi
mento del trattamento economico del padre, nel caso di funzionari militari o civ
ili.
Nota 30. Raimondo Terzo.
Nota 31. La contessa Echive.
Nota 32. Baldovino Quarto (1174-85).
Nota 33. Baldovino Quinto, morto dopo pochi mesi di regno nominale, nel 1186.
Nota 34. Sibilla, sorella di Baldovino Quarto, madre del Quinto, moglie in secon
de nozze di Guido di Lusignano.
Nota 35. E' il Karak di Moab in Transgiordania, che dominava le comunicazioni in

terne tra l'Egitto e la Siria, e quelle tra la Siria e il Higiz.


Nota 36. Roger des Moulins.
Nota 37. Corano, VI, 19.
Nota 38. Secondo il Corano, che rispecchia dottrine docetiche, non la vera perso
na di Ges Cristo, ma solo un suo simulacro, fu crocifisso.
Nota 39. Guido di Lusignano.
Nota 40. Il Gran Maestro Grard de Ridefort.
Nota 41. Cio sempre "dei Cristiani", come quei che venerano le tre ipstasi o Perso
ne divine.
Nota 42. Qui il Conte appare in atteggiamento opposto a come lo ritrae alla vigi
lia della battaglia Ibn al-Athr.
Nota 43. Questa elegante metafora vuol dire ci che Ibn al-Athr aveva detto in semp
lici parole: scesi da cavallo, "si sedettero per terra".
Nota 44. Cio i Cristiani furono umiliati come vili Giudei.
Nota 45. Certo l'ottimo 'Imd ad-din dov considerare questa macabra tirata una dell
e prove pi riuscite del suo bello stile.
Nota 46. Questo episodio, narrato dal nostro testimone oculare col solito sfoggi
o di fiori di stile, una macchia alla conclamata magnanimit di Saladino: la spieg
azione della strage sta nell'odio che i due bellicosi ordini si erano attirati n
el campo musulmano, con una condotta di guerra non certo pi umana e "cristiana" d
i quella dei loro nemici.
Nota 47. Eraclio.
Nota 48. Balin d'Ibelin.
Nota 49. Aperta una galleria, si riempiva di materiale combustibile la cui accen
sione determinava il crollo del muro soprastante.
Nota 50. Questo particolare fa difficolt alla identificazione della dama con Mari
a Comnena, vedova di re Amaury Primo, ma risposatasi poi a Balin d'Ibelin.
Nota 51. Sibilla, moglie di re Guido di Lusignano.
Nota 52. Stefania, madre di Honfroi de Thoron.
Nota 53. Abbiam gi detto che al-Aqsa e la Moschea della Roccia, cio la cosiddetta
Moschea d'Omar, son vicine, ma distinte. Qui non c' dubbio che la gran cerimonia
ebbe luogo in al-Aqsa, mentre Saladino fece poi la preghiera "anche" nella Mosch
ea della Roccia, come risulta chiaro dal racconto che diamo pi oltre di 'Imd ad-di
n.
Nota 54. Ibn al-Athr, come abbiam visto, non lascia passare occasione per dar sfo
go al suo attaccamento alla dinastia di Zinki, soppiantata da Saladino.
Nota 55. Il secondo Califfo (634-44), sotto cui per la prima volta i Musulmani s
i impadronirono nel 637 di Gerusalemme.
Nota 56. In arabo "al-Qiyama": ma gli scrittori musulmani dell'epoca si fanno un
dovere di trasformare per spregio il nome in "al-Qumama", che significa "la spa
zzatura, il letamaio". E sotto questa forma compare qui in 'Imd ad-din e altrove:
il Santo Sepolcro.
Nota 57. Questo un ricordo musulmano, di Corano, XX, 69, ove i maghi egiziani, g
ettando le loro corde dinanzi a Mos, le fan sembrare serpenti.
Nota 58. Anche qui vi sono echi coranici: la Tavola quella dell'Eucarestia, sces
a secondo Maometto miracolosamente dal cielo (Corano, V), e il Ges Bambino parlan
te influenzato a sua volta dall'"Evangelium infantiae" (Corano, XIX, 3l-34).
Nota 59. In questo curioso guazzabuglio di dogmi e di riti cristiani confluisce
la mezza informazione e l'ostilit preconcetta dell'autore musulmano: ma, a parte
i fronzoli di stile, la raffigurazione, che a noi sembra quasi caricaturale, que
lla abituale del Cristianesimo presso i Musulmani del Medioevo. N possiam dire ch
e le cose stessero diversamente dall'opposta parte.
Nota 60. "Il re che d vittoria alla fede", , come abbiam detto, il nome ufficiale
di Saladino.
Nota 61. I Banu l-Asfar (che in arabo significherebbe "i figli del giallo", onde
il gioco di parole con le bandiere gialle, ma il vero etimo dal biblico Sofer n
ipote di Esa), sono per gli Arabi gli antichi Romani, e per estensione i Latini,
gli Occidentali. Pi oltre sono detti "occhiazzurri" sia come caratteristica etnic
a, sia per connessa credenza di malaugurio.
Nota 62. Anni lunari dell'gira, dal 492 (ro99) al 583 (1187).

Nota 63. Il destriero celeste su cui Maometto avrebbe intrapreso, partendo dalla
Roccia, la sua ascensione ("Mi'rg") e il suo viaggio miracoloso nell'oltretomba.
In questo panegirico di Gerusalemme, anche attraverso la retorica di 'Imd ad-din
, sono eloquentemente accennati i motivi che rendevano e rendono tuttora quel lu
ogo cos caro, anzi sacro alla piet e allo zelo guerriero dell'Islm. Confer pi oltre
la lettera di Saladino a Riccardo, ove son pi sobriamente sviluppati gli stessi m
otivi.
Nota 64. Bab ar-rahma, oggi Porta Aurea, una delle porte del sacro recinto del T
empio.
Nota 65. La "qibla" la direzione della preghiera, che dapprima Maometto orient ve
rso Gerusalemme, prima di convertirla definitivamente verso la Mecca. Gerusalemm
e seconda casa di Dio dopo il tempio meccano, e terzo territorio sacro dopo quel
li di Mecca e Medina.
Nota 66. Corano, XVII 1, il versetto appunto sul viaggio notturno del Profeta da
lla Mecca a Gerusalemme, e di qui in cielo.
Nota 67. Corano, III, 32.
Nota 68. Soprannome del califfo 'Omar su ricordato.
Nota 69. Ancora Corano, XVII, 1.
Nota 70. Cio della Casa Ayyubita.
Nota 71. Sembra da intendere: incuteva terrore, divorando la vescicola del fiele
, a chi ne sapeva apprezzare la micidiale efficacia. Ma questa come ogni metafor
a in servizio di giochi di parole e di suoni che nella versione vanno quasi tutt
i perduti.
Nota 72. La regina Sibilla.
Nota 73. Stefania figlia di Filippo di Milly, vedova di Renaud de Chtillon e madr
e di Honfroi de Thoron.
Nota 74. Cio, come abbiam detto, mta e direzione.
Nota 75. Qui comincia l'auto-panegirico del virtuoso della penna, e fido trasmis
sore, quale segretario, della volont sovrana.
Nota 76. Con gioco di parole fra i due significati di "burg": "torre, rocca" e "
segno dello Zodiaco".
Nota 77. Anche qui, giochi di parole e di suoni intraducibili: il senso che la f
austa notizia giunse ad allietare fin la Persia e l'Asia centrale musulmana.
Nota 78. I "turcassi" qui stanno solo per amor di allitterazione, se non si vuol
pensare alle cassette delle elemosine e simili.
Nota 79. Cio del Santo Sepolcro. Confer sopra la nota 56.
Nota 80. Corano, IX, 29, secondo la recente interpretazione di F. Rosenthal.
Nota 81. Il "mihrb" (nicchia che segna la direzione della preghiera) della mosche
a al-Aqsa, cui si riferisce tutta la descrizione. Si confronti il precedente rac
conto di Ibn al-Athr.
Nota 82. L'"adhn" l'appello alla preghiera musulmana, e il batacchio di legno, co
me abbiam detto, il surrogato delle campane presso i Cristiani d'Oriente.
Nota 83. Propriamente "i cavicchi", o pioli di tenda: titolo fra l'altro di un g
rado nelle gerarchie dei mistici e santi musulmani. Cos con "i gran Santi" abbiam
tradotto qui e altrove "gli Abdl", che vorrebbe dire alla lettera "i Sostituti".
Nota 84. Cio "mi si proffer quale predicatore", chiedendo la potente intercessione
del segretario del Sultano. Tutto l'episodio di questa ansiosa gara e attesa pe
r l'ambita designazione dei pi vivaci e graziosi, nonostante i vezzi letterari di
cui il nostro stilista lo ha rivestito.
Nota 85. Saladino, strettamente ortodosso, si mantenne in teorica sudditanza dal
Califfato abbaside, e pose fine, in Egitto, al califfato eterodosso dei Fatirni
di.
Nota 86. Arafa presso la Mecca una stazione del pellegrinaggio musulmano, ove i
pellegrini accampati trascorrono in veglia e in preghiera la notte.
Nota 87. "Madre del Corano" detta la prima Sura, o "Ftiha", che comincia appunto
con l'eulogia "Nel nome di Dio misericordioso e clemente".
Nota 88. Il "consenso" dei dottori e "il principio analogico" nella fissazione d
i una norma giuridica sono due dei principi fondamentali del diritto islamico.
Nota 89. L'influsso salutifero promanante da persone e cose sacre.
Nota 90. Sono raffigurazioni animalistiche di arte romanica (capitelli, bassoril

ievi?): quanto ai maiali, resta il dubbio se vadan presi in senso proprio, o sia
il solito titolo di cui i Musulmani gratificavano i Cristiani.
Nota 91. Sette e pi "letture" o lezioni con lievi discrepanze, secondo cui trdito
il Libro Sacro.
Nota 92. E l'iscrizione commemorativa, ancora "in situ", eterna il nome del gran
de Sultano.
Nota 93. Il fratello di Saladino (Safadino), poi sultano d'Egitto e Siria fino a
l 1218.
Nota 94. Nipote di Saladino, principe di Hamt (1178-91).
Nota 95. Piglio di Saladino, e suo successore in Siria (1186-96).
Nota 96. Altro figlio di Saladino, e suo successore in Egitto (1193-98).
Nota 97. "qanabil", che oggi vuol dir bombe, ma allora sar stata un'arma o proiet
tile che non sapremmo meglio identificare.
Nota 98. Lance yazanite e di Rudaina sono qualit di aste pregiate degli Arabi ant
ichi, come le spade "mashrafite" del retroterra di Siria.
Nota 99. La "mdrasa" la scuola superiore di scienze religiose e diritto islamico.
Si provvide dapprima alla scuola shafi'ita, perch era questa la prevalente in Eg
itto e in Siria; ma il Sultano pens anche alle altre (hanafita, malikita, hanbali
ta), se a esse va riferito quel termine "comunit" di poche righe pi innanzi.
Nota 100. E' questo uno, e non il solo, dei passi in cui si tradisce una mal dis
simulata ostilit a Saladino dello storico mesopotamico, sempre per via della sua
diletta dinastia zenghide da quegli soppiantata. Non sapremmo dire quanto fondat
i fossero gli appunti qui mossi alla sua condotta della guerra: interessante l'a
nimo che vi si rivela, e che non impedisce del resto a Ibn al-Athr di riconoscere
, un po' a denti stretti, la grandezza del campione dell'Islm.
Nota 101. Erano stati respinti in uno scontro precedente da Saladino.
Nota 102. In Transgiordania, nel 629, quando una spedizione mandata da Maometto
a saggiare il "limes" fu sgominata dai Bizantini.
Nota 103. Grard de Ridefort, catturato e risparmiato a Hittn.
Nota 104. Corano, XIII, 12. Riaffiora l'atteggiamento critico di Ibn al-Athr alla
condotta di guerra di Saladino.
Nota 105. Trib curde.
Nota 106. Che portavano cio il nome di Asad ad-din Skrkh, il generale zio di Salad
ino.
Nota 107. La data di oltre un mese anteriore a quella di Ibn al-Athr e della sua
fonte 'Imd ad-din (met di shawwl).
Nota 108. I porci impuri, di cui mai mangerebbe un Musulmano.
Nota 109. A Tell al-'Ayadiyya presso Acri, il nove rab' primo 587 (6 aprile 1191)
.
Nota 110. E veramente, in quella magnanima risposta, il Saladino della storia e
quello della leggenda coincidono.
Nota 111. E' una pagina di pia pornografia barocca, che potr interessare in speci
al modo i curiosi di teratologia letteraria.
Nota 112. E' questo l'unico accenno alla vera natura di quelle mercenarie, rappr
esentate del resto quali fanatiche ierodule della fede cristiana: ma anche quest
a frase della mercede, richiesta con l'occhio (o "con la moneta") del peccato, p
u intendersi in senso non letteralmente venale.
Nota 113. Confer sopra. Pi di una Clorinda fu dunque in campo cristiano; ma da un
passo di Usama sappiamo che anche donne musulmane seppero all'occorrenza rivest
ire e impugnare le armi.
Nota 114. Abbiamo gi detto che la cristologia musulmana segue teorie docetiste.
Nota 115. E' la cerimonia del fuoco nel Sabato Santo, ancor celebrata nel Santo
Sepolcro fino al secolo scorso.
Nota 118. Corano, XXXIII, 10-11, versetti riferentisi all'assedio di Medina da p
arte dei confederati pagani, l'anno cinque dell'gira (627).
Nota 119. Filippo Augusto.
Nota 120. Filippo di Fiandra.
Nota 121. Riccardo Cuor di leone.
Nota 122. Il testo dice per errore "Goffredo".
Nota 123. Anche le fonti occidentali parlano di questa gran luminaria di giubilo

.
Nota 124. Corano, III, 165. Nota 125. Era stata, pare, una scossa di terremoto.
Nota 126. Le solite schiere celesti, che la piet islamica cos spesso fa intervenit
e in battaglia.
Nota 127. Corano III, 47.
Nota 128. Testo e senso incerto: con diverse lezioni, si pu anche intendere: "che
(Ges vi) sia morto per noi una grossa menzogna", o anche "che essa andasse distr
utta, sarebbe per noi un grande atto meritorio".
Nota 128. Giovanna di Sicilia, vedova di Guglielmo Secondo.
Nota 130. Doveva dire piuttosto: sorella della moglie del re (Guido, e non Goffr
edo come ha sempre per errore Bah' ad-din). Isabella d'Angi era sorella della regi
na Sibilla: sposata in prime nozze ad Honfroi de Thoron, era stata poi tolta a q
uesto e sposata da Corrado di Monferrato.
Nota 131. Il soggetto , pare, l'ambasciatore del re d'Inghilterra; ma potrebbe es
sere anche il Saladino stesso.
Nota 132. Il testo ha l'undici, che non si accorda con le date precedenti.
Nota 133. Perch, come detto oltre in Bah' ad-din, mentre la sorella di Riccardo er
a vedova, per una vergine non occorreva l'autorizzazione del Papa. In realt tutti
questi progetti matrimoniali naufragarono, per l'opposizione da parte cristiana
a dare una principessa cristiana in moglie a un miscredente.
Nota 134. Il pugnale degli Assassini tronc poco dopo tutti questi intrighi di Cor
rado, che non vide la stipulazione definitiva della pace. Confer pagine successi
ve.
Nota 135. Il plenipotenziario musulmano.
Nota 136. Enrico di Champagne, il futuro re, e Balian Secondo d'Ibelin.
Nota 137. Lo smantellamento di Ascalona ad opera dei Musulmani era una delle cla
usole del trattato.
Nota 138. Questo presentimento della morte ritorna frequente nelle parole di Sal
adino. Si veda anche il brano seguente.
Nota 139. Vorr dire i due antagonisti.
Nota 140. Gioco di parole allusivo alle due distinte categorie dei Compagni del
Profeta: gli Ausiliari medinesi e gli Emigrati meccani.
Nota 141. Si noti lo stile prettamente orientale di cominciare con un apparente
consenso quando si sta per esprimere un opposto avviso.
Nota 142. Corano, VIII, 63.
Nota 143. Cio degli Assassini, considerati dai Musulmani ortodossi come fuori dal
l'Islamismo.
Nota 144. Henri de Champagne.
Nota 145. Intendi della sua assunzione al governo di Tiro, e delle sue nozze.
Nota 146. E' il Veglio della Montagna, o Gran Maestro degli Assassini, per cui c
onfer il brano seguente.
Nota 147. Un altro sinonimo di Ismailiti, o Fidai, o Assassini. Vuol dire letter
almente "seguaci di dottrine esoteriche".
Nota 148. La "qab" una specie di zimarra, aperta sul davanti; il "sharbsh" un alto
berretto triangolare: parte entrambi del costume orientale dell'epoca.
Nota 149. Uno dei fortilizi ismailiti, presso Baniys nella Siria settentrionale.
Il "Nostro Signore" appunto il Veglio della Montagna, Rashid ad-din Sinn, i cui f
atti sono celebrati in questa fonte.
Nota 150. Si noti la formula eterodossa, contrapposta a quella abituale musulman
a: "Sia su di lui la salute".
Nota 151. Letteralmente "Missione, propaganda" ("Da'wa"), col qual termine si de
signa qui la setta ismailita. E "Propaganda" andrebbe benissimo poco oltre, l dov
e si parla della sede della setta nelle varie citt.
Nota 152. La morte del sovrano era spesso occasione di torbidi e saccheggi.
Nota 153. I particolari che seguono mostrano chiaramente la fragilit di questi st
ati, fondati su un anarchico feudalesimo militare, al venir meno di una energica
personalit di sovrano, quale fu Saladino, e poi al-'Adil e al-Kamil. Tutte le pr
ecauzioni prese qui dal primogenito al-Afdal per assicurarsi la successione in S
iria, e la posizione di primato su tutti i domini ayyubiti, urtano gi agli inizi
nel particolarismo degli Emiri, che mirano soprattutto ad assicurarsi vantaggi e

privilegi. E l'avvenire deluse le speranze sia di questo sia degli altri figli
di Saladino, facendo passare il primato fra gli Ayyubiti al fratello del fondato
re, al-Malik al-'Adil.
Nota 154. Emiro di Aleppo al tempo della Prima Crociata.
Nota 155. Frequente nei giuramenti musulmani, in cui in caso di trasgressione il
giurante dichiara le sue mogli da lui ripudiate.
Nota 156. Infatti la diretta sovranit di al-Afdal nell'eredit di Saladino, riguard
ava solo la Siria, toccando l'Egitto al fratello al-'Azz.
Nota 157. Un piccolo santuario presso la Gran Moschea di Damasco.
Nota 158. Corano, LIX, 22.
Nota 159. Corano, IX, 130.
Nota 160. Ritorna il motivo dell'estrema austerit e probit di Saladino. Non mi chi
aro a quale ufficio funebre servissero esattamente la paglia e l'argilla qui men
zionate.
Nota 161. E' costante preoccupazione della piet e casistica musulmana l'origine "
lecita", cio giuridicamente irreprensibile, delle fonti di sostentamento e degli
oggetti tutti usati in vita e in morte dal credente.

PARTE TERZA.
Gli Ayyubiti e gli attacchi all'Egitto.
1.
Sviatasi su Costantinopoli la Quarta Crociata (1203), l'Islm ebbe ancor quindici
anni di tregua, che permisero al Malik al'Adil di raccogliere saldamente in sua
mano l'eredit del fratello Saladino, organizzando dalla Mesopotamia all'Egitto, s
otto la sua alta sovranit, i domini ayyubiti. Il nuovo attacco crociato mir all'Eg
itto stesso, come al cuore della resistenza musulmana, in un momento in cui ad O
riente si profilava, per svilupparsi poi in tutta la sua catastrofica imponenza,
la minaccia mongola. Ibn al-Athr, con la sua consueta ampiezza di sguardo sollev
antesi dalle varie cronache locali alle sorti dell'intero Islm, ha colto la gravi
t della duplice minaccia, e l'ha espressa sia nel suo drammatico racconto dell'in
vasione mongola, sia in questo sulla Quinta Crociata, raccogliente in un'unica o
rganica narrazione la quadriennale campagna d'Egitto (1217-21). Qualche compleme
nto al racconto athiriano si desume da Ibn Wasil, lo storico degli Ayyubiti sino
ra cos poco accessibile nell'opera originale, e cos poco studiato.
La Quinta Crociata.
CONCENTRAZIONE DEI FRANCHI IN SIRIA, LORO MARCIA SULL'EGITTO E CONQUISTA DI DAMI
ATA, E SUO RITORNO AI MUSULMANI.
(IBN AL-ATHIR, XII, 208-9).
Dal principio alla fine di quest'episodio corsero quattro anni meno un mese. Noi
ne parliamo qui (anno 614/1217) perch in quest'anno i Franchi fecero la loro app
arizione, e ne diamo un racconto continuato perch le sue varie fasi si susseguano
ordinatamente. Diciamo dunque che in quest'anno giunsero per mare i rinforzi de
i Franchi, da Roma e altri loro paesi d'Occidente e del Nord, tutti per organizza
ti dal (Papa) Signore di Roma, il quale occupa presso di loro un altissimo posto
, tanto che essi non osan disobbedirgli n dipartirsi dal suo giudizio, nella buon
a e cattiva fortuna. Egli dunque sped dai suoi stati gli eserciti con un gruppo d
i capi franchi, e ordin ad altri re franchi di andare in persona o di mandare un
esercito. Ed essi obbedirono al suo ordine, e si concentrarono in Acri sul litor

ale di Siria (1).


ASSEDIO E CONQUISTA DI DAMIATA DA PARTE DEI FRANCHI.
(IBN AL-ATHIR, XII, 210-13).
Tornati i Franchi dall'assedio di at-Tur (2), si stettero in Acri fino all'inizi
o dell'anno 615, e allora mossero per mare verso Damiata, dove giunsero nel safa
r (maggio 1218), gettando l'ancora alla terra di al-Giza. Tra loro e Damiata c'e
ra il Nilo, un cui braccio sfocia in mare presso questa citt; e ivi era stata cos
truita (da parte egiziana) una grande e salda torre, con massicce catene di ferr
o, tese nel fiume sino alle mura di Damiata, per impedire alle navi giungenti da
l mare di risalire il Nilo penetrando in territorio egiziano. E se non fosse sta
ta questa torre e queste catene, nessuno avrebbe potuto impedire alle navi nemic
he di giungere fino alle pi remote parti d'Egitto. Sbarcati i Franchi alla terra
di al-Giza, col Nilo tra loro e Damiata, costruirono sul loro campo un muro e sc
avarono un trinceramento a lor difesa da chi li volesse attaccare: indi comincia
rono a combattere quei di Damiata, e costruirono strumenti e macchine da guerra
e torri mobili, con le quali movevano sulle loro navi contro quella torre per op
pugnarla e rendersene padroni. La torre era tutta guarnita di difensori. al-Mali
k al-Kamil figlio del Malik al-'Adil signore di Damiata e di tutto l'Egitto, si
era stabilito a una localit di nome al-'Adiliyya presso Damiata, spedendo di cont
inuo truppe a Damiata per impedire al nemico di passare sul suo territorio. I Fr
anchi, nonostante attaccassero continuamente la torre, non vi conseguirono alcun
successo, e vi ebbero fracassate le loro macchine e strumenti di guerra; con tu
tto ci, perseverarono a oppugnare quel fortilizio, e stettero cos quattro mesi sen
za riuscire a prenderlo. A capo di questo termine, riuscirono a impadronirsene,
e allora tagliarono le catene perch le loro navi potessero entrare dal mare nel N
ilo, e loro potessero prender saldo piede sulla terraferma. Il Malik al-Kamil ri
zz allora in luogo delle catene un gran ponte che impediva loro di risalire il Ni
lo, e quelli lo combatterono accanitamente sino a tagliarlo; allora al-Kamil pre
se un certo numero di grossi bastimenti carichi, e li affond nel Nilo, dove imped
irono l'accesso alle navi. Ci visto i Franchi si rivolsero a un canale detto al-A
zraq, per cui anticamente passava il Nilo, e lo scavarono e approfondirono a mon
te dei bastimenti che ostruivano il fiume: immessevi le acque del fiume verso lo
sbocco al mare, fecero risalire per quella via le loro navi fino a un luogo det
to Bura, anch'esso nella terra di al-Giza, di fronte a quello dove stava il Mali
k al-Kamil, per combatterlo di l: giacch essi non avevano alcun'altra via per giun
gere a lui e combatterlo, essendo Damiata frapposta tra lui e loro. Giunti invec
e a Bura, si trovarono di fronte a lui e cominciarono ad attaccarlo per via fluv
iale; ma con ripetuti attacchi non ebbero nessun successo, n mut in nulla la posiz
ione di quei di Damiata, riforniti ininterrottamente di vettovaglie e rinforzi,
e col Nilo interposto tra loro e i Franchi. Essi si stavano cos al sicuro, senza
ricevere offesa veruna, con le porte della citt spalancate, senza angustia e dann
o alcuno dall'assedio.
Or avvenne, secondo la volont di Dio altissimo, che il Malik al-'Adil mor nel gium
ada secondo del 615 (agosto 1218 ), come a Dio piacendo diremo; e la sua morte i
ndebol il morale della popolazione, giacch egli era il vero Sultano, e i suoi figl
iuoli, bench col titolo di re, erano a lui subordinati ed era lui che comandava,
e che li aveva fatti re delle varie province (3). In questa situazione, sotto l'
attacco nemico, egli venne a morire. Tra gli emiri d'Egitto ce n'era uno a nome
'Imd ad-din Ahmad ibn 'Ali, noto col nome di Ibn al-Mashtb, dei Curdi hakkariti: e
ra costui il maggior emiro d'Egitto, con gran seguito, obbedito docilmente da tu
tti gli altri emiri, specialmente curdi. Or costui si intese con altri emiri, e
vollero spodestare il Malik al-Kamil dal regno, e darlo a suo fratello al-Malik
al-Fa'iz ibn al-'Adil, per poter loro comandare su di lui e su tutto il paese. V
enutane notizia a Kamil, egli lasci di notte quella sua posizione, e and con legge
ro distaccamento a un villaggio a nome Ashmn Tannh, accampandosi l presso; mentre l
'esercito, perduto il suo sultano, fu lasciato ad agire ognuno di sua testa, nes

suno pi badando alla sorte del suo pi vicino: essi non poterono prender con s, dell
e loro tende e provviste e armi e robe, se non poca cosa, leggera a portarsi, e
lasciarono tutto il resto cos com'era, vettovaglie ed armi e cavalcature e tende,
e andarono a raggiungere al-Kamil.
La mattina dopo, i Franchi non videro pi un Musulmano sulla riva del Nilo come so
levano, e restarono dapprima incerti di che cosa fosse accaduto; poi, giunto chi
li inform del vero stato delle cose, passarono il Nilo tranquillamente, senza co
ntrasto e difesa alcuna, e misero piede nel territorio di Damiata. Ci avvenne il
venti dhu l-ga'da del 615 (8 febbraio 1219); e fecero nel campo musulmano grande
, innumerevole preda. Il Malik al-Kamil si disponeva a lasciare l'Egitto, non fi
dandosi di nessuno del suo esercito, e i Franchi si sarebbero impadroniti di ogn
i cosa senza fatica e travaglio alcuno; ma per benigna grazia di Dio ai Musulman
i, il Malik al-Mu'azzam 'Isa figlio di al-'Adil (4) arriv da suo fratello al-Kami
l due giorni dopo quel fatto, mentre tutti erano in subbuglio, e col suo arrivo
questi si rinfranc e rinforz, e ripreso animo rest nella posizione in cui era; ment
re Ibn al-Mashtb, espulso in Siria, si mise col Malik al-Ashraf e venne a far par
te del suo esercito.
Quando i Franchi furon passati nella terra di Damiata, tutti gli Arabi nomadi de
lle varie trib si dettero concordemente a saccheggiare i territori vicini alla ci
tt, a tagliar le strade e a briganteggiare nel modo pi rovinoso, arrecando ai Musu
lmani maggior danno dei Franchi stessi. Ci che pi nocque a quei di Damiata fu il f
atto di non avere tra loro milizia alcuna, poich il Sultano e le sue truppe erano
stati sino allora nelle vicinanze della citt a difenderla dal nemico; sopraggiun
to all'improvviso quell'incidente, nessun nerbo di armati era entrato a guarnir
la citt, e ci per opera di Ibn al-Mashtb, cui Dio non fece tardare il meritato cast
igo, e lo colse di fine violenta come a Dio piacendo diremo. I Franchi dunque ci
nsero Damiata d'assedio, e la combatterono per terra e per mare, scavando second
o il loro solito un trinceramento che li difendesse da attacchi dei Musulmani. D
opo lunga lotta, i difensori furon ridotti alle strette, a corto di viveri, stan
chi per l'assidua battaglia: giacch i Franchi, numerosi com'erano, si avvicendava
no nel combattere, mentre non c'era in Damiata gente abbastanza da permetter lor
o l'avvicendamento. Con tutto ci, fecero una resistenza senza pari, soffrendo gra
n perdite di morti e feriti e ammalati. Dur l'assedio fino al ventisette sha'bn de
l 616 (8 novembre 1219), quando i superstiti furono impotenti a difendere pi oltr
e la citt, per il loro piccolo numero e la difficolt di approvvigionamenti: perci a
quella data resero la terra ai Franchi con patto di vita salva, e alcuni usciro
no e altri restarono, incapaci di muoversi; e tutti d'ogni parte si dispersero.
I MUSULMANI RICONQUISTANO DAMIATA AI FRANCHI.
(IBN AL-ATHIR, XII, 213-16).
Conquistata Damiata, i Franchi vi si insediarono, e sparsero le gualdane in tutt
i i territori circostanti, predando e ammazzando, onde la popolazione lasci il pa
ese; ed essi presero a rimettere in sesto e fortificare la piazza con ogni cura,
s da ridurla imprendibile. Il Malik al-Kamil dal canto suo si stanzi nei pressi d
el nemico, sui margini del proprio territorio, inteso a difenderlo. Quando i Fra
nchi nei loro paesi seppero che i loro connazionali si erano impadroniti di Dami
ata, presero ad affluirvi d'ogni parte, sicch essa divent un loro centro di emigra
zione. Il Malik al-Mu'azzam signore di Damasco fece ritorno in Siria, e smantell
Gerusalemme nel dhu l-ga'da di quest'anno, per la generale paura che si aveva de
i Franchi (5). L'intero mondo musulmano, uomini e territori, si trov a questo pun
to in via di andar sommerso, a Oriente e Occidente del pari: da Oriente vennero
i Tartari, fino a giungere nelle province del Irq, Adherbaigin, Arrn e altre, come
a Dio piacendo diremo; e da Occidente vennero i Franchi, che si impadronirono di
una citt come Damiata in Egitto, nella mancanza di fortificazioni che la protegg
essero dal nemico. E tutto il resto del territorio islamico in Egitto e in Siria
fu l l per essere preso, e tutti quanti furon colti da timore di questi invasori,
e presero ad aspettare notte e giorno il disastro. La popolazione d'Egitto vole

va anzi lasciare il suo paese per timore del nemico, ma "non era pi tempo di scam
po" (6), circondati com'erano dal nemico d'ogni parte; se al-Kamil lo avesse lor
o permesso, essi avrebbero lasciato il loro paese in totale abbandono; ma, imped
iti che ne furono, tennero fermo. Il Malik al-Kamil tempest di lettere i suoi due
fratelli, al-Malik al-Mu'azzam signore di Damasco e al-Malik al-Ashraf signore
della Giazira, Armenia e altre terre, invocando il loro aiuto ed esortandoli a v
enire in persona, o almeno a mandargli le loro truppe. Il signore di Damasco si
rec personalmente da al-Ashraf, e lo trov impedito dal mandare aiuto al fratello p
er la ribellione e disobbedienza di molti dei suoi vassalli, come esporremo nell
'anno 615, alla morte del Malik al-Qahir signore di Mossul; perci lo tenne per sc
usato, e se ne torn via, e le cose coi Franchi restarono cos.
Poi la ribellione cess dai territori del Malik al-Ashraf, e i principi a lui ribe
llatisi tornarono alla sua obbedienza; la situazione gli si era ristabilita al 6
18, quando il Malik al-Kamil fronteggiava ancor sempre i Franchi. All'entrare du
nque del 618, questi seppe che l'impedimento di al-Ashraf a mandargli aiuto era
cessato, e mand quindi a chiedere aiuto a lui e a suo fratello, il signor di Dama
sco. Questi torn a sollecitare al-Ashraf a mettersi in marcia, ed egli mosse effe
ttivamente verso Damasco con le truppe di cui disponeva, ordinando agli altri di
raggiungerlo col, dove si ferm ad aspettarli. Qualcuno dei suoi emiri e cortigian
i gli consigli di mandare le truppe, e fare lui ritorno al suo paese, per paura d
i qualche sedizione che potesse ancor accadere; ma egli non accolse il loro cons
iglio, dicendo: "Sono uscito per la guerra santa, e una tal decisione va portata
assolutamente a compimento": e cos part per l'Egitto.
I Franchi, con tutte le loro forze, erano usciti da Damiata ad affrontare il Mal
ik al-Kamil, accampandosi in faccia a lui, e da lui separati da un braccio del N
ilo a nome Bahr Ashmn. Essi tiravano con le catapulte e le balestre sull'esercito
musulmano, ed erano, loro e tutti quanti, convinti che si sarebbero resi padron
i dell'intero Egitto. Giunto al-Ashraf in Egitto, suo fratello al-Kamil seppe de
lla sua vicinanza, e mosse a incontrarlo, allietandosi lui e i Musulmani tutti d
el loro congiungersi, nella speranza che Iddio ne traesse successo e vittoria. A
nche al-Mu'azzam signore di Damasco venne in Egitto e si diresse su Damiata, pen
sando che i suoi due fratelli e le loro truppe l'avessero gi investita; altri dic
ono che fu informato per via che i Franchi si erano diretti su Damiata (7), ed e
gli li prevenne a quella volta, per prenderli di fronte, mentre i due fratelli l
i avrebbero colti alle spalle; e Dio ne sa di pi. Riunitisi al-Ashraf e al-Kamil,
decisero di avanzare verso il braccio del Nilo detto Bahr al-Mahalla: avanzaron
o infatti a quella volta, e combatterono i Franchi a distanza sempre pi ravvicina
ta; le galere musulmane avanzarono dal Nilo e combatterono quelle dei Franchi, p
rendendone tre con tutto l'equipaggio e il carico e le armi; del che i Musulmani
si allietarono e rallegrarono, e trassero fausto auspicio e rinfrancarono, pren
dendo il disopra sul nemico.
Nel frattempo, andavano e venivano i messi tra le due parti per stipulare le con
dizioni di pace. I Musulmani offersero di rendere ai Franchi Gerusalemme, Ascalo
na, Tiberiade, Sidone, Gibala, Laodicea e tutte le conquiste di Saladino a eccezi
one di al-Karak, purch quelli rendessero Damiata (8); ma essi rifiutarono, e chie
sero trecentomila "dinr" di indennizzo per lo smantellamento di Gerusalemme, da r
ifortificare con quella somma, e non se ne fece nulla, dichiarando loro per giun
ta di non poter rinunziare a Karak. Stando cos le cose, e coloro sulla negativa,
i Musulmani furono costretti a continuare la lotta.
I Franchi, fidando nelle proprie forze, non avevano preso con s viveri per pi gior
ni, pensandosi che gli eserciti musulmani non avrebbero loro resistito, e che tu
tta la campagna coltivata sarebbe rimasta in loro mani, s da trarne ogni vettovag
lia che fosse loro piaciuta; ci per il prestabilito consiglio divino (di annienta
rli). Un corpo di Musulmani pass il fiume sulla terra occupata dai Franchi, e apr
le chiuse del Nilo: l'acqua dilag sulla maggior parte di quel terreno, e ai Franc
hi non rimase che un'unica direzione per cui passare, su uno stretto argine di t
erra. al-Kamil gett allora i ponti sul Nilo presso Ashmn; le truppe passarono su q
uei ponti e occuparono il cammino che avrebbero dovuto fare i Franchi per ritira
rsi su Damiata, onde non rest loro via di scampo. Capit in questi frangenti che gi
ungesse ai Franchi un loro gran bastimento, una cosiddetta "maramma", circondato

a difesa da un certo numero di brulotti, il tutto pieno di viveri armi e riforn


imenti; le galere musulmane li attaccarono e combatterono, e sopraffecero e pres
ero la "maramma" con tutti i brulotti; onde i Franchi, ci visto, restarono disani
mati e capirono d'aver commesso un grave errore nel lasciare Damiata, avventuran
dosi per un terreno a loro sconosciuto, tutti circondati e bersagliati di dardi
e attaccati d'ogni parte dalle forze musulmane. Aggravatasi cos la situazione pei
Franchi, essi bruciarono le loro tende, macchine da guerra e bagagli, e vollero
attaccare i Musulmani sperando cos potersi aprire la via del ritorno a Damiata;
ma videro ben lontano questo sperato obbiettivo, impossibile a raggiungersi per
il gran fango e l'acqua che li circondava, e l'unica via che potevan battere ten
uta dai Musulmani.
Quando si accertarono di essere d'ogni altro lato circondati, e videro difficile
l'arrivo dei rifornimenti, e incombente su loro l'ultima rovina (9), si perdett
ero d'animo, si rovesciarono le loro croci, e il loro diavolo li abbandon: mandar
ono quindi messi al Malik al-Kamil e al-Ashraf chiedendo la vita salva a condizi
one di render Damiata senza indennit. Mentre le trattative erano in corso, si vid
e spuntare un gran polverio con un gran clamore dalla parte di Damiata; i Musulm
ani credettero che fosse un aiuto sopravveniente ai Franchi, e se ne preoccuparo
no, ma si trattava invece del Malik al-Mu'azzam signore di Damasco che arrivava
dopo aver preso come dicemmo la via di Damiata. I Musulmani ne furon rafforzati,
e ai Franchi si accrebbe lo smarrimento e la debolezza. Cos conclusero la pace i
mpegnandosi a render Damiata, e il relativo accordo e i giuramenti furon fermati
il sette ragiab dell'anno 618 (27 agosto 1221). I re, conti e baroni franchi pa
ssarono quali ostaggi della resa di Damiata presso il Malik al-Kamil e al-Ashraf
: erano essi il re di Acri, il Legato del Papa signore di Roma, Lodovico (10) e
altri, in numero di venti signori. Essi inviarono i loro preti e frati a Damiata
a trattarne la resa; quelli di dentro non si rifiutarono, e la resero ai Musulm
ani il nove del mese suddetto, che fu una memorabile giornata. Si dette il caso
meraviglioso che proprio quando i Musulmani ebbero ricevuta la resa della citt ar
riv per mare un aiuto ai Franchi; che se fossero arrivati prima dei Musulmani, si
sarebbero rifiutati di renderla, ma i Musulmani arrivarono prima perch si compis
se un evento decretato da Dio. Della popolazione di Damiata, non eran rimasti ch
e pochi individui isolati; tutti erano andati dispersi, chi per aver lasciato la
citt di sua volont, chi per esser morto, e chi preso dai Franchi. E quando i Musu
lmani vi entrarono, la videro fortificata dai Franchi potentemente, s da renderla
inaccessibile; ma Iddio altissimo restitu il diritto a chi spettava e la ragione
a chi l'aveva, dando ai Musulmani una vittoria al di l di ogni loro previsione.
Giacch il massimo che essi speravano era di dover rendere i territori stati loro
tolti in Siria per recuperare Damiata, mentre Iddio concesse loro di riavere Dam
iata e di serbare cos com'erano i territori siriani. Sia lode e riconoscenza a Di
o per la grazia fatta all'Islm e ai Musulmani, stornando da loro l'attacco di que
sto nemico, e liberandoli al tempo stesso del malanno dei Tartari, come a Dio pi
acendo diremo.
ALTRI PARTICOLARI DELLA RESA FRANCA.
(IBN WASIL, foll. 209 r - 210 r).
... I Franchi mandarono messi al Malik al-Kamil e ai suoi due fratelli al-Malik
al-Ashraf e al-Malik al-Mu'azzam, chiedendo di aver salva la vita e impegnandosi
a render Damiata senza indennizzo. Il Malik al-Kamil si consigli su ci con i prin
cipi della sua Casa: qualcuno gli consigli di non dar loro franchigia, e di cattu
rarli senz'altro, trovandosi essi ormai in sua balia, e costituendo tutta la mas
sa dei miscredenti. Ove egli avesse fatto ci, avrebbe preso da loro Damiata, e tu
tto quanto loro restava delle terre del Litorale. Ma il Sultano al-Malik al-Kami
l non ritenne ci conveniente: "Costoro, - disse, - non sono tutti i Franchi; se a
nche li annientiamo (11), non potremmo prender Damiata che con lungo tempo e mol
ti e lunghi combattimenti. I Franchi d'Oltremare apprenderanno ci che accaduto a
costoro, e verranno a noi in numero di pi doppi maggiore di questi, e dovr tornars

i a fare una guerra di insidie". Ora, le truppe erano stufe e stanche di guerra
(12), essendo durata l'occupazione franca in Egitto per tre anni e mesi; perci tu
tti convennero di dare loro franchigia, e prendere da loro Damiata. Si accett qui
ndi la richiesta dei Franchi di aver salva la vita, a patto che il Malik al-Kami
l prendesse dei loro re per ostaggi fino a che essi non consegnassero Damiata. A
nche essi a lor volta chiesero di avere il figlio di al-Kamil e un gruppo di suo
i dignitari in ostaggio fino a che i loro re non fossero tornati. Cos l'intesa fu
stipulata e i giuramenti pronunziati il sette ragiab di quest'anno 618. Gli ost
aggi dei Franchi furono il Re d'Acri, il Legato luogotenente del Papa signore di
Roma la Grande, il re Lodovico, e altri signori fino al numero di venti; quelli
del Malik al-Kamil, suo figlio il Malik as-Salih Nagm ad-din Ayyb (13) e un grup
po di suoi dignitari. Il Malik as-Salih aveva allora quindici anni, essendo nato
nel 603. Quando questi signori si presentarono al Malik al-Kamil, egli sed in po
mpa magna, avendo dinanzi tutti i sovrani e principi della sua Casa; e i Franchi
ebbero uno spettacolo impressionante della sua regale potenza e maest (14)...
... (Resa Damiata), gli ostaggi franchi e quelli dei Musulmani fecero ritorno al
le rispettive parti, e il Sultano affid il governo della citt all'emiro Shugi' ad-d
in Giurdk al-Muzaffari an-Nuri, uomo dabbene e valente. Al momento della pace, i
Franchi si trovavano ad avere a Damiata certi enormi alberi di nave, che vollero
prendere e portarsi via con s al loro paese. Shugi' ad-din ne li imped, ed essi ma
ndarono al Malik al-Kamil dolendosi di lui e dicendo che quegli alberi eran roba
loro, e che la pace fatta comportava fossero loro resi. Il Malik al-Kamil scris
se a Shugi' ad-din ordinandogli di rendere quegli alberi, ma questi persist a nega
rli: "I Franchi, - disse, - hanno preso il pulpito della Moschea maggiore di Dam
iata, l'hanno fatto in pezzi, e ne han dato ogni pezzo a uno dei loro re; ordini
loro il Sultano di renderci il pulpito, perch siano loro resi gli alberi". Il Su
ltano infatti scrisse loro di questo, riferendo quanto aveva detto Shugi' ad-din;
e i Franchi, non potendo rendere il pulpito, desistettero dal reclamare gli alb
eri.

2.
L'incruenta Crociata di Federico Secondo, schermaglia diplomatica inseritasi fra
le rivalit dei principi ayyubiti eredi di al-'Adil, ha lasciato nella storiograf
ia musulmana dell'epoca i pi interessanti ricordi. Le fonti principali sono qui S
ibt ibn al-Giawzi, che fu testimone e partecipe egli stesso della reazione islam
ica alla cessione di Gerusalemme, ottenuta dallo Svevo; e Ibn Wasil, che non con
obbe Federico di persona ma fu pi tardi ambasciatore in Puglia presso Manfredi, e
del filo-islamismo degli ultimi Svevi ci ha lasciato diretti e vivaci, se non s
empre esatti, particolari. Le impressioni di chi avvicin l'Imperatore nella sua v
isita a Gerusalemme, e lo vide politicamente filo-islamico e religiosamente scet
tico e beffardo, sarebbero state, se conosciute in Europa, la pi gradita conferma
alla polemica papale e antifedericiana. Un unicum infine a tutt'oggi, tra la co
rrispondenza diplomatica di Federico Secondo, sono le due lettere in arabo da lu
i indirizzate poco dopo il suo ritorno in Italia a un suo amico emiro della cort
e ayyubita, e conservateci da un'oscura cronaca orientale: sotto la retorica ara
ba, dovuta certo a un segretario indigeno, traspaiono, con concrete notizie stor
iche, la coscienza della dignit imperiale e la fiera animosit antipapale ben note
da tutto il resto della pubblicistica federiciana.
VENUTA AD ACRI DELL'IMPERATORE FEDERICO, RE DEI FRANCHI.
(IBN WASIL, foll. 119 v + 252 r) (15).
In quest'anno (625/1228) venne ad Acri l'imperatore Federico, con gran compagnia
di Tedeschi e altri Franchi. Noi abbiam gi parlato dell'andata al Re Imperatore
dell'emiro Fakhr ad-din figlio dello Sheikh ash-Shuykh, da parte del Sultano al-M

alik al-Kamil; ci fu al tempo del Malik al-Mu'azzam (16). Scopo dell'accordo con
l'Imperatore re dei Franchi e del suo invito era per il Malik al-Kamil il creare
imbarazzi al Malik al-Mu'azzam, e impedirgli di valersi dell'aiuto del Sultano
Giall ad-din ibn 'Al' ad-din Khuwarizmshh e di Muzaffar ad-din signore di Arbela, a
i danni di lui al-Kamil e del Malik al-Ashraf.
L'Imperatore fece il suo apparecchio, e giunse con il suo esercito al litorale s
iro, e sbarc in quest'anno ad Acri; ivi lo aveva gi preceduto una gran moltitudine
di Franchi, che per non si eran potuti muovere per timore del Malik al-Mu'azzam
e perch aspettavano l'Imperatore loro capo. Questo vocabolo significa nella lingu
a dei Franchi "il re dei principi". Il suo regno era l'isola di Sicilia, e nella
Terra Lunga (l'Italia) i paesi di Puglia e Lombardia (17). Dice qui l'autore, G
iaml ad-din Ibn Wasil: io ho visto quelle contrade quando vi sono andato ambascia
tore del sultano al-Malik az-Zahir Rukn ad-din Baibars di felice memoria, al fig
lio dell'Imperatore, a nome Manfredi. Questo Imperatore era un re dei Franchi, d
istinto e dotto, amico della filosofia della logica e della medicina, e favorevo
le ai Musulmani, per esser stata sua originaria residenza e luogo di educazione
la Sicilia, di cui lui, suo padre e suo nonno erano stati re, e i cui abitanti s
ono per la maggior parte musulmani.
Giunto che fu l'Imperatore ad Acri, il Malik al-Kamil se ne trov imbarazzato, per
ch suo fratello, il Malik alMu'azzam che era stato cagione della sua chiamata era
morto, ed egli non aveva pi bisogno di lui, n d'altra parte gli era possibile res
pingerlo e combatterlo per il precedente accordo, e perch ci avrebbe condotto a ma
ncare i fini che allora egli si proponeva. Entr quindi in trattative con lui e lo
accarezz, e ne segu quel che poi a Dio piacendo diremo... L'Imperatore stette ad
Acri, con un va e vieni di messaggeri tra lui e il Malik al-Kamil, sino alla fin
e di quest'anno.
CONSEGNA DI GERUSALEMME AI FRANCHI.
(IBN WASIL, foll. 253 r-v, 120 r - 121 r).
Si susseguiron dunque le trattative tra il Malik al-Kamil e l'Imperatore, le cui
mire stavan sempre fisse a quanto si era dapprima convenuto tra lui e al-Kamil,
prima della morte del Malik al-Mu'azzam. Il re dei Franchi si rifiutava di far
ritorno al suo paese se non alle condizioni pattuite, della consegna a lui di Ge
rusalemme e di parte delle conquiste di Saladino (18), mentre il Malik al-Kamil
non voleva saperne di cedergli tutti quei territori. Si fin con lo stabilire che
gli sarebbe stata ceduta Gerusalemme a patto che rimanesse smantellata e non si
rinnovassero le sue mura; che nulla all'esterno di essa appartenesse ai Franchi,
ma che tutti i villaggi del suo contado restassero ai Musulmani, con un loro go
vernatore residente ad al-Bira, in provincia appunto di Gerusalemme; che del par
i la zona sacra in Gerusalemme stessa, con la Moschea della Santa Roccia e la Mo
schea al-Aqsa, restasse in mano ai Musulmani, n i Franchi vi avessero accesso se
non per visitarla, ma rimanesse amministrata dai musulmani ivi addetti, continua
ndo come prima a svolgervisi il culto musulmano. I Franchi eccettuarono dal patt
o alcuni pochi villaggi sulla strada da Acri a Gerusalemme, che restarono nelle
loro mani, a differenza del rimanente contado gerosolimitano.
Il Sultano Malik al-Kamil ritenne che se fosse venuto in rotta con l'Imperatore,
e non lo avesse interamente soddisfatto, ne sarebbe risultata una guerra coi Fr
anchi e una irreparabile rottura, sfuggendogli di mano tutti gli obbiettivi per
cui si era mosso. Volle quindi dar soddisfazione ai Franchi cedendo loro Gerusal
emme smantellata, e stipulando con loro una temporanea tregua; dopo di che avreb
be potuto ristrappare loro queste concessioni quando lo avesse voluto. Condusse
le trattative fra lui e l'Imperatore l'emiro Fakhr ad-din ibn ash-Shaikh, ed ebb
ero luogo fra essi conversazioni su diversi argomenti, durante le quali l'Impera
tore invi al Malik al-Kamil dei quesiti su difficili questioni di filosofia, geom
etria e matematica, per mettere alla prova i valenti uomini della sua corte. E i
l Sultano sottopose i quesiti matematici allo sheikh 'Alam ad-din Qaisar, maestr
o di quest'arte, e il resto a un gruppo di dotti, che dettero a tutto risposta.

Indi il Malik al-Kamil e l'Imperatore giurarono i termini dell'accordo, e stipul


arono una tregua a tempo determinato (19); cos furon regolate fra loro le cose, e
ognuna delle due parti si sent sicura dell'altra. Mi stato riferito che l'Impera
tore disse all'emiro Fakhr ad-din: "Se non fosse che io temo il crollo del mio p
restigio presso i Franchi, non avrei imposto al Sultano queste condizioni. Io no
n ho alcuna effettiva mira su Gerusalemme n su altra terra, ma ho solo voluto tut
elare il mio onore presso la Cristianit".
Conclusa la tregua, il Sultano mand a proclamare in Gerusalemme l'uscita dei Musu
lmani e la consegna della citt ai Franchi; e i Musulmani uscirono fra grida e pia
nti e lamenti. La cosa increbbe fortemente a tutto il mondo musulmano, che fu co
ntristato per la perdita di Gerusalemme e disapprov e giudic vituperevole quest'at
to del Malik al-Kamil, giacch la riconquista di quella nobile terra e il suo recu
pero dalle mani degli Infedeli era stata una delle maggiori imprese del Malik an
-Nasir Saladino - santifichi Iddio il suo spirito! Ma il Malik al-Kamil di felic
e memoria sapeva che i Franchi non avrebbero potuto difendersi in Gerusalemme co
n le mura smantellate, e che quando egli avesse raggiunto il suo scopo e avesse
avuta bene in mano la situazione avrebbe potuto purificare Gerusalemme dai Franc
hi e cacciarneli via. "Noi non abbiam loro concesso, - egli disse, - che delle c
hiese e delle case in rovina. La zona sacra, la venerata Roccia e tutti gli altr
i santuari mta dei nostri pellegrinaggi restano come erano in mano dei Musulmani,
i riti dei Musulmani e dell'Islm son l come prima in vigore, e i Musulmani hanno
avuto un loro governatore per le loro province e distretti rurali".
Ci compiuto, l'Imperatore domand al Sultano il permesso di visitare Gerusalemme. I
l Sultano lo accord, e ordin al cadi di Nabulus Shams ad-din di felice memoria, ch
e godeva di gran prestigio e favore presso la Casa ayyubita, di attendere al ser
vizio dell'Imperatore finch avesse visitato Gerusalemme e avesse fatto ritorno ad
Acri. Dice l'autore Giaml ad-din Ibn Wasil: il cadi Shams ad-din di felice memor
ia mi raccont: quando l'Imperatore re dei Franchi venne a Gerusalemme, gli stetti
accanto come mi aveva ordinato il Sultano Malik al-Kamil, ed entrai con lui nel
Sacro Recinto, dove egli osserv i minori santuari. Entrai poi con lui nella Mosc
hea al-Aqsa, di cui ammir la costruzione, e cos quella del Santuario della Santa R
occia. Giunto alla nicchia della preghiera, ne ammir la bellezza, ammir la bellezz
a del pulpito e ne sal i gradini fino al sommo; poi discese, mi prese per mano, e
uscimmo verso al-Aqsa. L egli trov un prete che aveva in mano il Vangelo e voleva
entrare in al-Aqsa. L'Imperatore gli fece un urlaccio, e grid: "Cosa ti ha condo
tto qui? Perdio, se uno di voi torna a entrar pi qui senza permesso, gli caver gli
occhi! Noi siamo gli schiavi e i servi del Sultano, il Malik al-Kamil. Egli ha
concesso in grazioso dono a me e a voi queste chiese. Che nessuno di voi osi eso
rbitare dal posto che gli spetta!" E il prete se ne and tremando di paura. Poi l'
Imperatore se ne and alla casa in cui gli era stato assegnato l'alloggio, e vi pr
ese stanza. Disse il cadi Shams ad-din: io raccomandai ai muzzin di non far l'app
ello alla preghiera quella notte, per riguardo al sovrano. Quando al mattino ent
rai da lui, egli mi disse: "O cadi, perch i muzzin non han fatto l'appello alla pr
eghiera secondo il loro solito?" "Quest'umile schiavo, - risposi, - ne li ha imp
editi, per riguardo e rispetto a vostra Maest". "Hai sbagliato nell'agir cos, - ri
spos'egli; - il mio maggiore scopo nel pernottare a Gerusalemme era di sentire l
'appello alla preghiera dei muzzin e la loro lode a Dio durante la notte". E poi
part, e se ne torn ad Acri.
Quando giunse a Damasco la notizia della consegna di Gerusalemme ai Franchi, il
Malik an-Nasir prese a vituperare suo zio il Malik al-Kamil per alienargli i sen
timenti della popolazione, e ordin al predicatore sheikh Shams ad-din Yusuf, nipo
te ("Sibt") dello sheikh Giaml ad-din ibn al-Giawzi, assai accetto al popolo come
oratore sacro, di tenere una predica nella Moschea maggiore di Damasco; egli do
veva rievocare i fasti di Gerusalemme, le pie storie e tradizioni a essa relativ
e, e attristare la gente per essa, e parlare dell'umiliazione e avvilimento che
la sua consegna agli infedeli comportava per i Musulmani. Con ci il Malik an-Nasi
r Dawd si proponeva di alienare il popolo dal Malik al-Kamil e assicurarsene il l
ealismo nel combatterlo (20). Shams ad-din sedette dunque a tenere la predica co
me gli aveva ordinato il Sultano, e il popolo venne a sentirla (21). Fu una memo
rabile giornata, in cui si levarono alte le grida, i pianti e i gemiti della fol

la. Io mi trovai a quella adunata, e tra le cose che gli sentii citare una qasid
a di rima "t" da lui composta, in cui inser un verso del poeta Di'bil al-Khuza'i
(22), e della quale mi rimasto nella memoria:
Nel Santuario dell'Ascensione e della Roccia, che supera in gloria
ogni altra roccia della terra,
vi sono scuole coraniche prive ormai di recitazione dei sacri versetti,
e una sede di rivelazione dai cortili ora deserti.
In quella giornata non si videro che uomini e donne piangenti. E stipulata che f
u la tregua tra il Malik al-Kamil e l'Imperatore, questi salp facendo ritorno al
suo paese (23).
CORDOGLIO MUSULMANO A DAMASCO.
FEDERICO A GERUSALEMME.
(SIBT IBN AL-GIAWZI, 432-34).
Giunse la notizia della consegna di Gerusalemme ai Franchi, e successe il finimo
ndo in tutti i paesi dell'Islm. Il fatto fu cos grave che si indissero pubbliche c
erimonie di lutto: il Malik an-Nasir Dawd mi invit a presiedere una riunione nella
Moschea maggiore di Damasco, e parlare di quel che era occorso a Gerusalemme; n
io potei dirgli di no, considerando l'ottemperanza al suo desiderio quale parte
dei doveri religiosi e dello zelo per la causa dell'Islm. Sedetti quindi (sul pul
pito) della Moschea maggiore di Damasco, e presenzi la riunione an-Nasir Dawd alla
porta del Mashhad 'Ali: fu un giorno memorabile, in cui non rest indietro nessun
o della popolazione di Damasco. Dissi tra l'altro nella mia allocuzione: "E' sta
to chiuso l'accesso a Gerusalemme alle compagnie dei pii visitatori! Oh desolazi
one dei devoti ivi stanziati, quante mai prosternazioni di preghiera si son per
loro compiute in quei luoghi, quante lor lacrime si sono sparse in quelle dimore
! Per Allh, se i loro occhi fossero fonti vive non potrebbero pagare intero il lo
r debito di pianto, se i lor cuori si spezzassero dal cordoglio non potrebbero s
oddisfare all'angoscia. Possa Iddio abbellire l'onore dei Credenti! Oh vergogna
dei sovrani musulmani! Per un tale evento si versan le lacrime, si spezzano pei
sospiri i cuori, si leva alto il cordoglio..."; e cos via per lungo discorso. E i
poeti composero molti versi sul fatto di Gerusalemme...
... Entr l'Imperatore in Gerusalemme, mentre Damasco era cinta d'assedio (24). In
questa sua visita occorsero vari curiosi incidenti: uno di questi fu che quando
entr nel Santuario della Roccia vide un prete seduto presso l'impronta del Sacro
Piede, che prendeva dei fogli dai Franchi (25); egli and alla sua volta come se
volesse chiederne la benedizione, e gli dette un pugno buttandolo a terra: "Porc
o, - esclam, - il Sultano ci ha fatto il favore di farci visitar questo luogo, e
voi state a fare qui azioni simili! Se uno di voi penetra ancora qui a questo mo
do, lo ammazzo!" La scena fu raccontata dagli addetti alla Roccia, che narrarono
anche questa: egli guard l'iscrizione corrente nell'interno del Santuario, che d
ice "Saladino purific dai Politeisti questa citt di Gerusalemme...", e domand: "Chi
sarebbero questi Politeisti?" Domand anche agli addetti al Santuario: "Queste re
ti sulle porte della Roccia, a che servono?" Risposero: "Perch non ci entrino i p
asserotti", e lui: "E Dio vi ha condotti qui invece i giganti!" (26). Venuto poi
il tempo della preghiera del mezzogiorno, e risonato l'appello dei muzzin, si le
varono tutti i suoi paggi e valletti, e il suo maestro, un Siciliano con cui leg
geva la Logica nei suoi vari capitoli, e fecero la preghiera canonica, ch eran tu
tti musulmani. L'Imperatore, raccontarono sempre quegli inservienti, era di pel
rosso, calvo, miope: fosse stato uno schiavo, non sarebbe valso duecento "dirham
". Ed era evidente dai suoi discorsi che era un materialista, che del Cristianes
imo si faceva semplice gioco. al-Kamil aveva ordinato al cadi di Nabulus Shams a
d-din di dar istruzioni ai muzzin affinch per tutta la durata del soggiorno dell'I
mperatore in Gerusalemme non salissero sui minareti e non lanciassero l'appello
alla preghiera nella zona sacra. Il cadi si era scordato di avvertire i muzzin, e

cos il muzzin 'Abd al-Karm quella notte al tempo dell'alba mont sul minareto, mentr
e l'Imperatore alloggiava in casa del cadi, e prese a recitare i versetti corani
ci sui Cristiani, come "Iddio non si preso figlio alcuno" (27) riferentesi a Ges
figlio di Maria, e simili. Al mattino, il cadi chiam 'Abd al-Karm, e gli disse: "C
os'hai fatto? Il Sultano ha ordinato cos e cos". Rispose l'altro: "Tu non me ne av
evi informato, mi rincresce", e cos la seconda notte non sal sul minareto. Al matt
ino seguente, l'Imperatore chiam il cadi, che era entrato in Gerusalemme addetto
al suo servizio, e fu lui che gli fece la consegna della citt: "O cadi, - disse,
- dov' quell'uomo che sal ieri sul minareto e disse quelle parole?" Quegli lo info
rm che il Sultano gli aveva fatto quella raccomandazione: "Avete fatto male, o ca
di, - ribatt l'Imperatore; - volete voi alterare il vostro rito e la vostra Legge
e fede per cagion mia? Se foste voi presso di me nel mio paese, sospenderei io
forse il suono delle campane per cagion vostra? Perdio, non lo fate; questa la p
rima cosa in cui vi troviamo in difetto". Indi distribu una somma di denaro fra g
li addetti e i muzzin e i devoti del Santuario, dando a ognuno dieci "dinr"; non s
tette a Gerusalemme che due notti, e fece ritorno a Giaffa, temendo dei Templari
(28) che volevano ammazzarlo.
ULTERIORI RAPPORTI SVEVO-AYYUBITI.
GLI ULTIMI SVEVI.
(IBN WASIL, 121 r - 123 r).
L'Imperatore rimase affezionato e sincero amico del Malik al-Kamil, mantenendosi
fra loro continua corrispondenza, finch al-Kamil mor - Dio ne abbia misericordia
-, e gli successe suo figlio al-Malik al-'Adil Saif ad-din Abu Bakr (29). E con
questi del pari l'Imperatore si mantenne amico affettuoso e sincero, e tenne con
lui corrispondenza. Morto che fu anche al-'Adil, e salito al trono suo fratello
al-Malik as-Salih Nagm ad-din Ayyb (30), perdurarono immutati questi rapporti: i
l Malik as-Salih mand all'Imperatore il dotto sheikh Sirg ad-din al-Urmawi, che og
gi cadi d'Asia Minore, e questi si stette per un certo tempo onorato ospite dell
'Imperatore, e compose per lui un libro sulla Logica, e l'Imperatore lo colm di b
enefizi; dopo di che, sempre altamente onorato, fece ritorno presso il Malik asSalih. Quando nell'anno 647 (1249) il Re di Francia, uno dei maggiori sovrani de
i Franchi, mosse contro l'Egitto, l'Imperatore gli mand un messaggio in cui lo di
stoglieva da quella spedizione, ne lo intimoriva e lo metteva in guardia dall'es
ito a cui sarebbe andato incontro; ma quegli non accolse il consiglio. Mi raccon
t sir Berto (31), cerimoniere di Manfredi figlio dell'Imperatore, che questi lo a
veva inviato in segreta ambasceria al Malik as-Salih Nagm ad-din Ayyb per informa
rlo che il Re di Francia aveva deciso di muovere contro l'Egitto e metterlo da l
ui in guardia, e consigliarlo di prepararsi a sostenerne l'attacco, come egli in
fatti si prepar. Diceva sir Berto che la sua andata e ritorno dall'Egitto era sta
ta in veste di mercante, e nessuno aveva avuto sentore del suo incontro col Sult
ano, affinch i Franchi non venissero a sapere che l'Imperatore se l'intendeva coi
Musulmani a loro danno. Quando poi mor il Malik as-Salih, e il Re di Francia pas
s quel che pass - il disastro e la distruzione del suo esercito fra morti e prigio
nieri, la sua cattura da parte del Malik al-Mu'azzam Turanshh, e successiva liber
azione dopo l'uccisione del Malik al-Mu'azzam stesso, e il suo ritorno al suo pa
ese (32) -, allora l'Imperatore mand a ricordargli il consiglio che egli gli avev
a dato, e i guai tiratisi addosso con la sua ostinazione e disobbedienza, rimbro
ttandolo per ci aspramente. L'Imperatore mor nell'anno 648 (1250), un anno dopo la
morte del Malik as-Salih Nagm ad-din Ayyb, e gli successe il figlio Corrado; mor
to parimenti questo, sal al trono suo fratello Manfredi. Tutti costoro erano odia
ti dal Papa, il Califfo dei Franchi, per la loro propensione verso i Musulmani;
e tra Manfredi e il Papa Califfo dei Franchi ebbe luogo una guerra in cui Manfre
di figlio dell'Imperatore vinse il Papa.
Dice il cadi Giaml ad-din, gran cadi di Hamt, autore di questa Storia: andai ambas
ciatore a Manfredi da parte del gran Sultano al-Malik az-Zahir Rukn ad-din Baiba
rs, di felice memoria, nel mese di ramadn del 659 (agosto 1261), e soggiornai tra

ttato con onore presso di lui in una citt di Puglia, nella Terra Lunga contigua a
lla Spagna (33), a nome Barletta. Ebbi pi volte a trattenermi con lui, e lo trova
i un uomo distinto, amico delle scienze dialettiche, e conoscitore a memoria dei
dieci libri di geometria di Euclide. Vicino al paese in cui risiedevo, c'era un
a citt a nome Lucera, i cui abitanti son tutti musulmani dell'isola di Sicilia: l
si tiene la pubblica preghiera del venerd, e vi si professa apertamente il culto
musulmano. Questa citt cos dal tempo dell'Imperatore padre di Manfredi. Egli aveva
intrapresa col la costruzione di un Istituto scientifico perch vi fossero coltiva
ti tutti i rami delle scienze speculative (34); e la maggior parte dei suoi fami
liari e funzionari di corte erano musulmani, e nel suo campo si faceva apertamen
te l'appello alla preghiera e la preghiera canonica stessa.
Quando tornai da quel paese, venne la notizia che si erano collegati per aggredi
rlo il Papa, signore di Roma la grande - la quale dista dal paese in cui fummo c
inque giornate di viaggio -, e il fratello del Re di Francia su menzionato (35).
Giacch il Papa aveva scomunicato Manfredi per la sua propensione ai Musulmani e
per aver lacerato l'onore della Legge religiosa cristiana; e cos anche suo fratel
lo e il padre loro l'Imperatore erano stati scomunicati da parte del Papa di Rom
a. Questo Papa di Roma dicono che sia per loro il vicario del Messia e il suo lu
ogotenente, con autorit di fissare l'illecito e il lecito, di troncare e separare
. E' lui che impone ai re la corona regale e li insedia in trono; e nulla si com
pie nella loro Legge se non per lui. Egli un prete (36), e quando muore prende i
l suo posto chi sia del pari rivestito di quella qualit sacerdotale.
Mentre ero nel loro paese, mi fu raccontata una curiosa storia, secondo cui la d
ignit di Imperatore, prima dell'Imperator Federico surricordato, apparteneva a su
o padre; e, quando costui mor, suo figlio Federico era un giovane nella prima ado
lescenza. A quella dignit imperiale aspiravano parecchi re dei Franchi, di cui og
nuno sperava che il Papa di Roma l'avrebbe a lui conferita. Federico, che era un
Tedesco, e i Tedeschi sono uno dei popoli dei Franchi, era un furbo matricolato
: egli si abbocc separatamente con ognuno degli aspiranti alla dignit imperiale e
gli disse: "Io non aspiro a questa dignit, cui non sono atto. Quando ci riuniamo
presso il Papa, tu digli di aver rimesso a Federico questa faccenda, e di stare
alla sua decisione, essendo egli il figlio dell'Imperatore defunto. Fra tutti, i
o non sceglier altri che te, e il mio intento di appoggiarmi a te e farmi forte c
on te". Questo discorso tenne Federico separatamente con ognuno, e ognuno si fid
di lui e credette alla sincerit delle sue parole. Si riunirono dunque presso il P
apa nella citt di Roma la grande insieme a Federico; e questi aveva ordinato a un
buon nerbo di prodi Tedeschi di tenersi in sella ai loro destrieri nei pressi d
ella gran chiesa di Roma ove aveva luogo il suddetto concilio. Riuniti che furon
o i re, il Papa disse: "Che vi pare circa questa dignit, e chi ne il pi degno?", e
pose dinanzi a loro la corona regale. Ognuno rispose: "Ho rimesso a Federico la
decisione su questo: ci che egli indicher, io accetter e indicher a mia volta, ch eg
li il figlio dell'Imperatore, e il pi degno dell'assemblea di essere ascoltato in
materia". Allora si lev Federico e disse: "Io sono il figlio dell'Imperatore, e
il pi degno della sua dignit e della sua corona; e tutti quanti mi hanno accettato
e scelto". Allora il Papa, che altri non sceglie se non colui che tutta l'assem
blea d'accordo abbia scelto, impose a lui sul capo la corona. Tutti rimasero del
usi, mentre Federico, con la corona in capo, usc in fretta e mont a cavallo con tu
tta la compagnia di Tedeschi cui aveva ordinato di star presso la porta della ch
iesa; e con essi se ne and a spron battuto al suo paese. Poi in seguito commise d
egli atti per cui si incorre presso di loro nella scomunica, e fu scomunicato.
Mi stato narrato che l'Imperatore, stando in Acri, disse all'emiro Fakhr ad-din
ibn ash-Shaikh, di felice memoria: "Spiegami cos' questo vostro Califfo". Fakhr a
d-din disse: "E' il discendente dello zio del nostro Profeta, che Dio lo benedic
a e lo salvi (37); il quale ha ricevuto la dignit califfale da suo padre, e suo p
adre dal proprio padre, onde il Califfato rimane nella casa del Profeta, e non e
sce dai suoi membri". "Com' bello questo! - rispose l'Imperatore; - ma questi uom
ini di poco senno, - e intendeva i Franchi, - prendono un uomo dalla fogna (38),
senza alcun vincolo di parentela e rapporto col Messia, ignorante e incapace di
spiccicar parola, e lo fanno loro Califfo, vicario fra loro del Messia, quando
egli non meriterebbe punto tale dignit. Mentre il vostro Califfo, pronipote del v

ostro Profeta, egli bene il pi degno fra tutti della dignit da lui rivestita!" (39
).
Il Papa e il fratello del Re di Francia, mossi contro Manfredi figlio dell'Imper
atore, lo affrontarono in battaglia, disfecero il suo esercito e lo catturarono.
Il Papa ordin fosse ammazzato, e fu ammazzato. E il fratello del Re di Francia (
40) regn sulle terre che eran state del figlio dell'Imperatore, e se ne impadron.
Questo, credo, nell'anno 663 (1265).
DUE LETTERE ARABE DI FEDERICO.
(TA'RIKH MAN SURI, 34-37).
Nell'anno 627 (1229) giunse a Harrn (41) un ambasciatore dell'Imperatore ad al-Ka
mil, con lettere a Fakhr ad-din figlio dello Shaikh ash-Shuykh (42), del seguente
tenore. Intestazione e titolatura:
L'augusto Cesare, Imperator romano Federico, figlio dell'Imperatore Enrico, figl
io dell'Imperator Federico, vittorioso per grazia di Dio, possente per la Sua po
tenza, esaltato per la Sua gloria, re di Alemagna e Lombardia. Toscana e Italia,
Longobardia e Calabria e Sicilia, e del regno Siro di Gerusalemme, sostegno del
Pontefice romano (43), campione della fede cristiana.
In nome di Dio misericordioso e clemente
Partimmo, e ci lasciammo dietro il cuore che rimase (presso di voi), staccato da
l corpo, dal genere e dalla specie.
Ed esso giur che mai avrebbe alterato l'amor per voi, in perpetuo, e si sottrasse
sfuggendo alla mia obbedienza (44).
Se ci mettessimo a descrivere il gran desiderio che proviamo, e il doloroso sens
o di solitudine e nostalgia che soffriamo per l'alta Signoria di Fakhr ad-din di cui Dio Iddio faccia susseguire i giorni ed estenda gli anni, e fermi i piedi
nel potere e guardi l'affezione che gli si porta e gli renda onore, e dia succe
sso ai suoi desideri, e dirizzi i suoi impegni e le sue parole, e lo colmi di ab
bondanti grazie, e rinnovi notte e giorno la sua incolumit - noi esorbiteremmo da
lla misura dell'esordio e devieremmo dal retto scopo. Giacch siamo stati colpiti,
dopo aver goduto tranquillit ed agio, da una affannosa angoscia, e dopo gioia e
piacere dal tormento della separazione, e ci apparso precluso il conforto, tronc
ata la corda della fermezza d'animo, mutata in disperazione la speranza di riave
rci, lacerato il tessuto della pazienza. Al partire, (45)
se mi fosse stata data scelta tra il lasciarvi e la morte, avrei detto: " la mort
e che mi incoglier".
Egli si stufato di noi, altri ha preso in cambio di noi, e ha preferito lasciarc
i, ed parso scordarsi del nostro affetto.
onde ci siam consolati con le parole di Abu t-Tayyib (46).
Quando parti da una gente che avrebbe potuto far s che tu non li lasciassi, sono
loro in realt a partire.
Or venendo a noi, e sapendo che Vossignoria ama udire di nostre buone nuove e no
tizie, e delle nostre nobili gesta, cos lo informiamo: che, come gi (vi) spiegammo
a Sidone, il Papa a tradimento e inganno (?) ha preso una delle nostre rocchefo
rti a nome Montecassino, consegnatagli dal maledetto suo Abate; ed egli aveva pr
omesso di fare ancor pi danno (?) ma non pot, giacch i nostri fedeli sudditi attend
evano il nostro felice ritorno. Cos fu costretto a spacciar la falsa notizia dell
a nostra morte, e fece di questo giurare i Cardinali, e che il nostro ritorno er
a impossibile. Essi cercarono ingannare il volgo con queste fole, e col dire che
nessuno dopo di noi poteva amministrare i nostri stati e custodirli per nostro
figlio cos come il Papa. Cos sui giuramenti di costoro, che sarebbero i Pontefici
della religione e i successori degli Apostoli, fu abbindolata una masnada di gen
taglia e di malfattori. Arrivati perci noi al porto della ben guardata Brindisi,

trovammo che il re Giovanni e i Lombardi avevano fatto irruzione ostile nel nost
ro reame (47), e alla notizia stessa del nostro arrivo dubitavano, per quel che
i Cardinali avevano loro con giuramento asseverato. Noi mandammo lettere e messa
ggeri del nostro ritorno incolumi, e allora i nostri nemici cominciarono a turba
rsi, si sgomentarono e agitarono, e volsero le spalle disfatti per due giornate
di marcia, mentre i nostri sudditi tornavano alla nostra obbedienza. Cos del pari
i Lombardi, che formavano la maggior parte del loro esercito, non tollerarono d
i trovarsi ribelli e fedifraghi al loro signore, e tutti quanti volsero le spall
e. Quanto al re summenzionato e ai suoi compagni, essi furon presi da vergogna e
paura, e si raccolsero in uno stretto passo da cui temevano di agire e venir fu
ori, cosa loro impossibile perch tutto il paese era tornato a noi e alla nostra o
bbedienza. Nei frattempo noi avevamo riunito un ampio esercito, dei Tedeschi che
erano con noi in Siria, di quelli che, partiti (di Terrasanta) prima di loro, i
l vento aveva gettato sulle nostre coste, e di altri nostri fedeli e ufficiali d
el nostro stato: e con essi ci siam messi in marcia a grandi giornate verso i pa
esi dei nostri nemici.
Esprimiamo infine a Vostra Signoria il desiderio che ci giungano frequenti sue l
ettere, con l'esposizione del suo felice stato, dei suoi interessi e bisogni; ch
e voglia trasmettere il nostro saluto a tutti i gran capi dell'esercito, ai suoi
paggi e mamelucchi e al suo seguito. E a Voi salute, misericordia e benedizione
di Dio. Scritto a Barletta la ben guardata, in data ventitr del mese di agosto d
ella indizione seconda (1229).
E questo il testo della seconda lettera, la cui intestazione come la prima, e ch
e d le seguenti notizie:
Noi abbiam radunato un grande esercito, e ci affrettiamo a combattere coloro che
ci stanno aspettando e non son fuggiti (come gli altri) dinanzi al nostro cospe
tto. Ora avvenuto quel che noi prevedevamo: essi avevano cio assediato una nostra
rocca (48), drizzandovi contro le catapulte, le macchine mobili e simili strume
nti di guerra, ma quando sentirono della nostra avanzata, pur con la gran distan
za che ci separava, senza indugio bruciarono tutti i loro ordigni, e si dettero
alla fuga dinanzi a noi, mentre noi avanziamo rapidamente per raggiungerli, disp
erderli e annientarli. Il Papa volle raccogliere quei che li trovammo, e li ha p
oi rimandati timorosi per la loro testa (?) e pentiti del loro proposito. Ogni a
ltra notizia che avremo, ne scriveremo a Vostra Signoria, a Dio piacendo.
Abbiam qui registrato queste lettere per mettere in chiaro quali sono i domini c
he abbraccia il Re Imperatore, e la sua potenza. Infatti nessuno nella Cristiani
t ha avuto un regno pari al suo, dai tempi di Alessandro a oggi: specialmente rig
uardo alla sua potenza, al suo atteggiamento contro il loro Califfo il Papa, e a
ll'audacia di muovergli contro e ricacciarlo.

3.
L'ultima offensiva crociata fu la spedizione egiziana di Luigi Nono, che torn a t
entare i luoghi invano attaccati trent'anni prima da Pelagio e Giovanni di Brien
ne. I pi importanti storici arabi di questa seconda campagna d'Egitto sono Ibn Wa
sil e Maqrizi: il primo contemporaneo e in parte testimone oculare degli eventi
narrati, il secondo assai pi tardo, e qui come ovunque compilatore da fonti anter
iori; egli segue assai da vicino il racconto di Ibn Wasil, ma lo arricchisce e v
aria di altri particolari, attinti da diversa fonte o da una sconosciuta fonte c
omune. Attenendoci per le drammatiche vicende della Crociata al testo di Ibn Was
il, diamo solo da Maqrizi alcuni documenti e commenti musulmani all'avventura de
l Re di Francia, e a mo' d'epilogo il cenno sulla sua spedizione tunisina di ven
t'anni dopo, ove lasci la vita.

La Crociata di San Luigi.


ARRIVO DEI FRANCHI IN EGITTO E LORO OCCUPAZIONE DI DAMIATA.
(IBN WASIL, foll. 356 r - 357 r).
All'ora seconda del giorno, il gioved venti safar di quest'anno 647 (5 giugno 124
9) giunsero le navi dei Franchi con grandi loro schiere, cui si erano aggiunti t
utti quelli del Litorale di Siria, e gettaron l'ancora allo sbocco del Nilo, di
fronte ai Musulmani. Il sabato, cominciarono a sbarcare sulla riva del fiume ten
uta dai Musulmani: fu eretta la tenda del Re di Francia, che era di color rosso,
e il nemico fu attaccato da alcuni corpi musulmani, tra i quali cadde quel gior
no martire della fede l'emiro Nagm ad-din ibn Shaikh al-Islm. Abbiam gi detto di l
ui, che con suo fratello Shihb ad-din teneva compagnia al Malik as-Salih in Karak
per ordine del Malik an-Nasir Dawd; un altro degli emiri egiziani che cadde con
quel valentuomo fu un certo al-Waziri. Venuta la sera, l'emiro Fakhr ad-din Yusu
f ibn Shaikh ash-Shuykh (49) si mise in marcia con le forze musulmane, e tagli il
ponte che dava sulla sponda orientale ove Damiata, rimanendo cos la costa occiden
tale in pieno dominio dei Franchi. Poi, la mattina dopo, l'esercito, invogliato
(a romper la disciplina) per le gravi condizioni di salute del Malik as-Salih, s
enza che alcuno lo trattenesse e frenasse, si mise in marcia verso Ashmn Tannh, e
anche Fakhr ad-din si diresse a quella volta, restando cos anche la riva oriental
e sguarnita di truppe musulmane.
La popolazione di Damiata temette per la propria vita, se fosse stata stretta d'
assedio. C'era bens in citt una guarnigione di valorosi Kinaniti, ma Iddio gett lo
sgomento nei loro cuori, onde essi uscirono da Damiata insieme alla popolazione,
e marciarono per tutta la notte, abbandonando la citt senza pi anima viva, vuota
di uomini, donne e bambini: tutti partirono con le truppe, col favor della notte
, fuggendo verso Ashmn Tannh. Fu questa un'azione vergognosa da parte loro, di Fak
hr ad-din e delle truppe: se Fakhr ad-din Yusuf avesse loro impedito di fuggire,
e avesse tenuto fermo, Damiata si sarebbe difesa, giacch quando la prima volta i
Franchi l'assalirono, al tempo del Malik al-Kamil, era ancor pi sfornita di appr
ovvigionamenti e munizioni, eppure il nemico non pot conquistarla se non dopo un
anno intero. Fu infatti investita nel 615 (1218) e presa nel 616 (1219), e il ne
mico non pot rendersene padrone se non quando la popolazione fu decimata dalla pe
stilenza e dalla fame. Se i Kinaniti e i Damiatini avessero chiuse le porte e vi
si fossero afforzati, dopo il ritorno dell'esercito ad Ashmn Tannh, i Franchi non
avrebbero potuto aver ragione di loro; l'esercito sarebbe stato loro rimandato
indietro, e li avrebbe difesi. Avevano viveri, strumenti di guerra e munizioni i
n gran quantit, e avrebbero potuto difendere la citt per due anni e pi ancora. Ma q
uando Iddio vuole una cosa, non c' modo di evitarla. I Damiatini, del resto, furo
no scusabili, poich quando videro fuggire le truppe e seppero della malattia del
Sultano, temettero di dover soffrire un lungo assedio, e di morire di fame come
era successo quella prima volta alla popolazione.
La mattina della domenica ventitr safar i Franchi si presentarono davanti a Damia
ta, e la trovarono deserta, con le porte spalancate. La occuparono cos senza colp
o ferire, e si impadronirono di tutte le munizioni, armi, provviste, viveri e ma
cchine da guerra che essa conteneva: fu un disastro senza precedenti. Dice l'aut
ore di questa storia: la mattina della domenica, giunse un messaggio con questa
notizia all'emiro Husm ad-din Muhammad ibn Abi Ali al-Hadhbani, presso cui io mi
trovavo; e vi fu gran cordoglio e sgomento, e la disperazione si impadron dell'in
tero Egitto, tanto pi che il Sultano era ammalato, troppo debole per muoversi, e
senza pi forza da tenere in pugno il suo esercito, che cercava imporgli la propri
a volont. Con tutto ci, quando le truppe e i Damiatini arrivarono dal Sultano, egl
i si sdegn grandemente con i Kinaniti, e ordin che fossero tutti impiccati, come f
u fatto; e si dolse anche della condotta di Fakhr ad-din e delle truppe; ma la s
ituazione altro non comportava ormai che rassegnarsi, e passare sopra a ci che qu
elli avevano fatto.

IL MALIK AS-SALIH SI TRASFERISCE E ACCAMPA A MANSURA.


(IBN WASIL, fol. 357 r-v).
Accaduto quanto abbiam narrato, il Sultano al-Malik as-Salih Nagm ad-din Ayyb par
t con l'esercito diretto a Mansura, e ivi si accamp; era questo lo stesso luogo in
cui si era accampato suo padre il Malik al-Kamil nel primo episodio di Damiata,
e sorge a oriente del Nilo in faccia a Giargr, col canale di Ashmn Tannh che la di
vide dalla penisola su cui sorge Damiata (50). Dicemmo gi che il Malik as-Salih a
veva ordinato di erigere qui delle costruzioni, e fatto innalzare un muro che la
dividesse dal Nilo. Suo padre il Malik al-Kamil aveva qui un gran palazzo sul N
ilo, e ivi scese il Malik as-Salih, facendovi rizzare accanto il suo padiglione.
Il Sultano si stabil a Mansura il marted venticinque safar; l'esercito prese a ri
attare le costruzioni ivi esistenti, vi si impiantarono i mercati, fu rimesso in
efficienza e schermato da cortine il muro sul Nilo; vennero le galere e i brulo
tti, carichi di munizioni in quantit e combattenti, a gettar l'ancora dinanzi al
muro, e afflu d'ogni parte a Mansura una folla innumerevole di fanti irregolari e
combattenti volontari per la fede, oltre a una quantit di Arabi beduini, che com
inciarono a razziare e attaccare i Franchi. I quali, da parte loro, fortificaron
o le mura di Damiata, e riempirono la citt di combattenti.
Il luned ultimo di rab' primo (13 luglio) giunsero al Cairo quarantasei prigionier
i franchi, catturati dai Beduini e compagni, tra cui due cavalieri; il sabato ci
nque rab' secondo, trentanove altri, fatti prigionieri dagli Arabi e dai Khuwariz
mii; poi ventidue altri, presi prigionieri alla sprovvista, che entrarono in cit
t ai sette di rab' secondo; infine, il mercoled quindici rab' secondo, ne arrivarono
trentacinque, di cui tre cavalieri. Il venerd ventiquattro rab' secondo venne la
notizia che le truppe di Damasco del Malik as-Salih eran mosse contro Sidone, e
ne avevan ricevuta la resa dai Franchi. Dopo, ogni po' di tempo arrivavano nuovi
gruppi di Franchi prigionieri: cos cinquanta ne giunsero il venerd diciotto giuma
da primo (30 agosto). Nel frattempo, la malattia del Malik as-Salih si andava se
mpre pi aggravando, e gli andavan scemando e dileguando le forze; i medici, che e
rano notte e giorno al suo capezzale, disperavano ormai dell'esito del male, men
tre la sua forza d'animo e di volont perdurava quanto mai salda: ma due gravi mal
attie eran congiunte ad abbatterlo, un'ulcera nella zona inguinale e la tisi.
I FRANCHI AVANZANO E PRENDONO POSIZIONE DI FRONTE AI MUSULMANI.
(IBN WASIL, foll. 364 r - 365 r).
Avuta contezza della morte del Malik as-Salih (quindici sha'bn 647 / 24 novembre
1249), i Franchi si misero in marcia da Damiata con tutte le loro forze, mentre
le loro navi procedevano di conserva con loro risalendo il fiume, e vennero ad a
ccampare a Fariskr, proseguendo poi oltre per una tappa. Ci fu il gioved ventiquatt
ro sha'bn di quest'anno. All'indomani, il venerd, giunse (al Cairo) dall'emiro Fak
hr ad-din Yusuf una lettera di avvertimento al popolo e di invito alla guerra sa
nta, con una sigla regale somigliante a quella del Malik as-Salih (51), affinch s
i credesse che la lettera veniva da lui. Essa cominciava: "Uscite in campo, arma
ti alla leggera e pesanti, e combattete per la causa di Dio, con i vostri beni e
le vostre persone. Ci sar meglio per voi, se mai poteste capire!" (52); era una l
ettera eloquente, credo redatta da "Bah' ad-din Zuhair (53) con belle esortazioni
eccitanti a combattere gli infedeli: e diceva che i Franchi eran mossi con tutt
e le loro forze contro l'Egitto e i territori musulmani, vogliosi di conquistarl
i, e che era dovere dei Musulmani tutti accorrere in armi contro di loro e respi
ngerli dalla terra. Questa lettera fu letta al popolo dal pulpito della Moschea
maggiore al Cairo, e la gente pianse assai e si agit, e dal Cairo e da tutto l'Eg
itto si mise in moto (per la guerra santa) una gran folla. La morte del sultano
al-Malik as-Salih dest grande sgomento, mentre i Franchi, padroni di Damiata, si
resero conto che se l'esercito egiziano accampato a Mansura avesse dato addietro

anche d'una sola tappa, tutto l'Egitto sarebbe caduto in brevissimo tempo in lo
ro potere.
Il marted primo di ramadn (8 dicembre 1249), ebbe luogo tra i Franchi e i Musulman
i un duro scontro in cui cadde ucciso un emiro di corte a nome al-'Al'i e vari al
tri soldati, e i Franchi vennero ad accampare a Sharimshh. Il luned sette ramadn si
accamparono a Baramn, e ne segu grande agitazione (nel campo musulmano), per esse
re ormai il re dei Franchi vicino alle truppe musulmane. La domenica tredici ram
adn, il nemico giunse alla estremit della penisola di Damiata, e venne a trovarsi
cos fronte a fronte con le forze musulmane. Il grosso di queste era in Mansura, s
ulla riva orientale; mentre una parte dell'esercito con i figli del Malik an-Nas
ir Dawd, figlio del Malik al-Mu'azzam (54), e cio al-Malik al-Amgiad, al-Malik azZahir, al-Malik al-Mu'azzam e al-Malik al-Awhad con i loro fratelli pi grandi, oc
cupavano la riva occidentale. I figliuoli grandi e piccoli del Malik an-Nasir ve
nuti al Cairo (per quest'occasione) erano dodici maschi. Su quella sponda era an
che il fratello del Malik an-Nasir, al-Malik al-Qahir, e al-Malik al-Mughth. Giun
ti in forze all'estremit della penisola di Damiata, a fronte dei Musulmani, i Fra
nchi presero a scavare un trinceramento, si circondarono di un muro protetto da
cortine, e rizzarono le catapulte per bersagliare i Musulmani, le cui galere si
trovavano di fronte a Mansura. Si accese cos la zuffa fra le due parti, per terra
e per mare.
ATTACCO DI SORPRESA AI MUSULMANI A MANSURA, UCCISIONE DELL'EMIRO FAKHR AD-DIN YU
SUF E SUSSEGUENTE VITTORIA DEI MUSULMANI SUI FRANCHI.
(IBN WASIL, 365 v - 366 v).
Abbiam gi detto come i Franchi si postassero di fronte ai Musulmani, e come si ap
piccasse la lotta fra le due parti, separate dal ramo nilotico di Ashmn: questo u
n piccolo canale, con un certo numero di stretti guadi. Un musulmano indic ai Fra
nchi uno di tali guadi da passare sicuramente, e i Franchi cavalcarono e vennero
al guado la mattina del marted cinque dhu l-ga'da (10 febbraio 1250); onde i Mus
ulmani se li videro tutt'a un tratto nel loro campo. L'emiro Fakhr ad-din Yusuf
ibn Shaikh ash-Shuykh stava lavandosi al bagno, quando gli giunse il grido che i
Franchi avevan colti di sorpresa i Musulmani: egli balz in sella smarrito, senza
armatura n precauzione difensiva alcuna, e una schiera di Franchi (55), imbattuta
si in lui, lo uccise - che Dio ne abbia misericordia -. Era un emiro dabbene, do
tto e colto, generoso e sagace, di alti disegni e magnanimo, senza pari fra i su
oi fratelli e neanche fuor d'essi; aveva avuto gran fortuna nella carriera monda
na, ed era assurto a un'alta posizione, vicina al grado del Malik as-Salih Nagm
ad-din Ayyb; la sua ambizione si spingeva fino al trono stesso (56), ma Iddio gli
fece chiuder la vita come martire della fede.
Il re di Francia penetr in Mansura, e giunse fino al palazzo del Sultano; i Franc
hi si sparsero per le strette vie della citt, mentre militari e civili e popolino
scappavano a dritta e a manca; l'Islm stava per ricevere un colpo mortale, e i F
ranchi erano ormai sicuri della vittoria. Fu fortuna per i Musulmani che i Franc
hi si disperdessero per le strade: al momento del supremo pericolo, avanz il batt
aglione turco dei Mamelucchi del Malik as-Salih, Bahriti e Giamdariti (57), leon
i di guerra e prodi cavalieri, che caricarono come un sol uomo il nemico, e con
quella carica lo ruppero e ributtarono. I Franchi furono massacrati d'ogni parte
a colpi di spada e di mazza. I Bahriti ne fecero un macello, e li ricacciarono
per le strade di al-Mansura, ove i Franchi ebbero uccisi millecinquecento dei lo
ro migliori cavalieri. La loro fanteria nel frattempo era venuta al ponte al-Man
sr sul canale di Ashmn, per passarlo; e se vi fosse stata fiacca difesa, e la fant
eria franca fosse riuscita a passare in forze dalla parte dei Musulmani, ne sare
bbe risultato un insanabile danno, poich, numerosi com'erano, avrebbero difeso la
loro cavalleria. (Ma cos non fu) e, se non fosse stata la ristrettezza del campo
di battaglia, giacch si combatt fra le viuzze e i vicoli, i nostri avrebbero ster
minato i Franchi fino all'ultimo. Invece i superstiti riuscirono a mettersi in s
alvo, e, rifuggitisi a Giadila, ivi si riaccozzarono mentre il calar della notte

separava le due parti.


I Franchi alzarono a Giadila un muro e scavarono un trinceramento a loro difesa;
e una parte rimase sulla sponda orientale, mentre il grosso tenne le strade del
la penisola che metteva capo a Damiata, essendo entrambe le parti protette dal m
uro e dal trinceramento. Questo scontro fu il principio della vittoria e la chia
ve del successo finale. Il relativo messaggio giunse al Cairo, e fu presentato a
Husm ad-din Muhammad ibn Abi 'Ali (58) nel pomeriggio del giorno stesso della ba
ttaglia: esso diceva che, mentre venivan lanciati i piccioni viaggiatori, il nem
ico aveva attaccato al-Mansura, e che si combatteva violentemente tra Musulmani
e Franchi. Il dispaccio non aggiungeva altro, e noi e i Musulmani tutti ne fummo
turbati, immaginandosi gi tutti un disastro per l'Islm. Sul cader del giorno, giu
nsero i fuggiaschi musulmani (dal campo di battaglia), e il Bab an-Nasr (59) rim
ase aperto per tutta la notte, che fu quella sul mercoled; e militari e civili, s
egretari e funzionari vi entrarono in fuga, senza nulla sapere della nuova situa
zione creatasi dopo l'entrata dei Franchi in Mansura. Tra quelli che entrarono i
n quella notte, e si presentarono all'emiro Husm ad-din, ci fu il cadi Tag ad-din
detto Ibn bint al-A'azz, direttore del Diwn as-suhba. Gli animi rimasero in sosp
eso finch non spunt il sole del mercoled, e giunse la lieta notizia della vittoria:
la citt fu parata a festa, la lieta nuova fu annunziata a rullo di tamburi, e fu
una gran gioia ed esultanza per l'ottenuta vittoria sui Franchi. Fu questa la p
rima battaglia in cui i leoni turchi vinsero i cani infedeli. Il lieto annuncio
giunse al Malik al-Mu'azzam che era gi per via e che affrett allora la sua marcia
verso l'Egitto.
ATTACCO DELLA FLOTTA MUSULMANA ALLE NAVI DEI FRANCHI, E INDEBOLIMENTO DI QUESTI
ULTIMI.
(IBN WASIL, fol. 368 r-v).
Stabilitisi i Franchi sulle loro posizioni, i rifornimenti giungevano loro da Da
miata per la via del Nilo. I Musulmani trasportarono alcune navi, a dorso di cam
mello, fino al Bahr al-Mahalla (60), e l le immisero in acqua e caricarono di com
battenti: ivi era dell'acqua per la crescita del Nilo, stagnante ma comunicante
col Nilo stesso. Quando le navi franche salpate da Damiata passaron vicino al Ba
hr al-Mahalla, quelle musulmane, che erano l all'agguato, uscirono loro addosso,
e si appicc il combattimento. Sopravvenne, scendendo il fiume, la squadra musulma
na di al-Mansura, e, congiuntasi con le navi all'agguato, circondarono i Franchi
e li catturarono, loro e le loro navi. I legni dei Franchi catturati furono cin
quantadue, con circa mille uomini di equipaggio, e tutte le vettovaglie che tras
portavano. I prigionieri furono trasportati a dorso di cammello, e presentati al
campo musulmano. Ai Franchi vennero in conseguenza a interrompersi i rifornimen
ti, la loro posizione ne fu gravemente indebolita, ed essi vennero a trovarsi in
gran carestia, e bloccati, senza potere n restare n partirsi dal luogo dove erano
; mentre i Musulmani, preso su di loro il sopravvento, cominciarono a nutrire pr
opositi offensivi.
Il primo di dhu l-higgia (7 marzo 1250) i Franchi catturarono sette brulotti del
le navi musulmane che erano nel Bahr al-Mahalla, ma gli equipaggi musulmani rius
cirono a fuggire. Il due di dhu l-higgia, il Malik al-Mu'azzam ordin all'emiro Hu
sm ad-din di entrare al Cairo e di risiedere nel Palazzo del Visirato, per svolge
rvi come al solito le sue funzioni di Luogotenente del Sultano. Dice l'autore, i
l cadi Giaml ad-din ibn Wasil: e il Sultano don vesti d'onore a me, e a tutto un g
ruppo di giureconsulti presentatisi a rendergli omaggio, cos come le liberalit del
Malik al-Mu'azzam si estesero a chiunque si present alla sua porta. Io entrai du
nque al Cairo con l'emiro Husm ad-din. Il luned nove dhu l-higgia, che fu il giorn
o di Arafa (61), le galere musulmane attaccarono delle navi giunte ai Franchi co
n vettovaglie: lo scontro avvenne presso la Moschea della Vittoria, e le navi mu
sulmane presero delle franche trentadue bastimenti, di cui sette galere. Cos i Fr
anchi si indebolirono ancor pi, e la carestia infier ancor pi nel loro campo. Allor
a i Franchi cominciarono a entrare in trattative coi Musulmani, chiedendo loro u

na tregua. Giunti i loro ambasciatori, si abboccarono con essi l'emiro Zain ad-d
in, emiro "giamdr", e il gran cadi Badr ad-din: i Franchi volevano render Damiata
ai Musulmani per riceverne in cambio Gerusalemme e parte del Litorale, ci che no
n fu loro accordato. Il venerd ventisei dhu l-higgia i Franchi bruciarono tutti i
loro baraccamenti, risparmiando le navi, e decisero di rifuggirsi a Damiata. E
quest'anno (647) fin che si stavano ancora sulle loro posizioni di fronte ai Musu
lmani.
ROTTA TOTALE DEI FRANCHI, E CATTURA DEL RE DI FRANCIA.
(IBN WASIL, foll. 369 r- 370 r).
La notte sul mercoled tre muharram del 648 (7 aprile 1250), la fulgida notte che
dischiuse la gran vittoria e il massimo trionfo, i Franchi si misero in marcia,
con tutte le loro forze, diretti a Damiata dove contavano appoggiarsi a difesa;
mentre le loro navi presero a scendere il Nilo di conserva con loro. Ci saputo, i
Musulmani si lanciarono al loro inseguimento e furono loro alle costole, dopo e
sser passati sulla sponda da loro occupata. Quando sorse il mattino del detto me
rcoled, i Musulmani avevano circondato i Franchi menandone strage, uccidendoli e
catturandoli, onde non se ne salv neanche uno. Si disse che il numero degli uccis
i fosse sui trentamila. In questa battaglia, si distinsero per valore ed audacia
i Mamelucchi Bahriti del Malik as-Salih, che inflissero ai Franchi terribili pe
rdite, ed ebbero larghissima parte nella vittoria. Essi combatterono infatti acc
anitamente, e furon loro che si buttarono all'inseguimento dei Franchi; furono q
uesti i Templari dell'Islm (62). Il maledetto Re di Francia e i gran principi fra
nchi si ritirarono sulla collina di Munya, arrendendosi e chiedendo vita salva:
ebbero tale garanzia dall'eunuco Giaml ad-din Muhsin as-Slihi, e su tale promessa
si arresero. Li si prese tutti, e li si condusse, Re di Francia e principi franc
hi suoi compagni, a Mansura, ove al piede del Re di Francia fu saldata la catena
, e cos a tutti i suoi compagni. Egli fu rinchiuso nella casa ove alloggiava il s
egretario Fakhr ad-din ibn Luqmn, e fu addetto alla sua custodia l'eunuco Sabh alMu'azzami, uno dei domestici del Malik al-Mu'azzam Turanshh figlio del Malik as-S
alih Nagm ad-din Ayyb; costui era venuto in sua compagnia da Hisn Kaif, ed egli lo
aveva promosso e colmato d'onori.
Su tale episodio, sulla prigionia del Re di Francia in casa di Fakhr ad-din ibn
Luqmn, e sull'eunuco Sabh addetto alla sua custodia, Giaml ad-din Yahya ibn Matrh co
mpose questi versi:
Di' al Francese, se vai da lui, una verace parola da parte d'un buon consigliere
:
Dio ti rimeriti per quanto accaduto, della strage degli adoratori di Ges il Messi
a!
Venisti in Egitto bramandone la conquista, credendo che il marziale rullar dei t
amburi fosse vano fiato di vento.
E la tua stoltezza ti addusse in un luogo ove i tuoi occhi non videro pi nel vast
o piano via alcuna di scampo.
E tutti i tuoi compagni, tanto bene ti sapesti regolare, che l'hai condotti in s
eno alle tombe.
Di cinquantamila, altro non si vedono che morti, o prigionieri feriti. Dio ti ai
uti ad altre imprese simili; chi sa che Ges non rifiati alfine (del vostro empio
culto) (63)!
Se il vostro Papa contento di ci, quante volte da un consigliere venuto un ingann
o!
E di' loro, se mai pensassero di tornare a prender vendetta, o per qualche altra
mala azione:
"La casa di Ibn Luqmn sempre l pronta, e c' ancor la catena, e l'eunuco Sabh".
Dopo di che, il Malik al-Mu'azzam e gli eserciti vittoriosi avanzarono verso Dam

iata, e si accamparono a Fariskr, in provincia appunto di Damiata. Ivi fu eretto


il padiglione sultaniale, e accanto ad esso una torre di legno ove di quando in
quando saliva e si tratteneva il Malik al-Mu'azzam, indugiando dal prender Damia
ta. Se egli si fosse affrettato a investirla e a penetrarvi, esigendone la conse
gna dal Re di Francia che aveva nelle mani, avrebbe ottenuto ci nel pi breve tempo
. Ma ne lo distolse la cattiva condotta cui si abbandon, come il suo gi segnato de
stino voleva.
ASSASSINIO DEL MALIK AL-MU'AZZAM TURANSHAH.
(IBN WASIL, fol. 371 r-v).
Quando egli si fu alienati, come abbiam detto, gli animi dei soldati, e in parti
colare dei Mamelucchi Bahriti di suo padre (64), un gruppo di questi ultimi si a
ccordarono per ucciderlo. La mattina del luned trenta muharram di questo anno, ci
o il 648 (2 maggio 1250), il Malik al-Mu'azzam tenne convito nel suo padiglione,
e sed sul suo giaciglio, e tutti mangiarono in suo cospetto, e lui con gli altri
secondo il suo solito. Finito di mangiare, gli emiri si dispersero nei loro allo
ggi, ed egli, levatosi, volle entrare in una sua piccola tenda: allora gli si fe
ce innanzi Rukn ad-din Baibars, uno dei "giamdariyya" di suo padre noto col nome
di al-Bunduqdari, che doveva pi tardi diventar signore d'Egitto col nome di al-M
alik az-Zahir, e battere i Mongoli ad 'Ain Gialt col Malik al-Muzaffar Qutz, e una
volta salito al trono conquistare la maggior parte delle terre dei Franchi come
Safad e as-Shaqf e Antiochia e i territori degli Ismailiti, e sconfiggere pi volt
e i Mongoli (65)... Questi dunque colp il Malik al-Mu'azzam con una spada, e lo f
er alla spalla, gettando poi via la spada. Il Malik al-Mu'azzam torn indietro nell
a sala d'udienza, e gli si affollarono intorno i suoi cortigiani e familiari, e
alcuni dei Mamelucchi di suo padre, domandando: "Cosa successo?" "Mi ha ferito u
no dei Bahriti", rispose. Rukn ad-din Baibars al-Bunduqdari era l presente, e dis
se: "Sar stato un Ismailita" (66), ma il Sultano replic: "No, solo i Bahriti mi ha
n fatto questo". Allora i Bahriti si impaurirono, e temettero di lui. Il Sultano
sal in quella sua torre, e fece venire il chirurgo a medicargli la mano. Nel fra
ttempo i Mamelucchi di suo padre si riunirono, spaventati per avergli sentito at
tribuire a loro l'attentato; ci si aggiunse al risentimento che provavano per l'a
verli egli messi da parte, onde essi circondarono la torre. Il Sultano, aperte l
e finestre, chiese aiuto alla gente, ma nessuno gli rispose, e nessuno degli emi
ri egiziani venne in suo aiuto, perch tutti avevano gli animi alienati da lui. Fu
portato il fuoco per incendiare la torre, e lui allora scese (e venne fuori): g
li si avvent addosso il Bunduqdari che lo aveva gi ferito, ed egli fugg dalla parte
del fiume, dove erano certi suoi brulotti, in cui sperava fare in tempo ad arri
vare e a difendervisi. Ma Faris ad-din Aqtay lo raggiunse, e con un colpo di spa
da lo uccise - che Iddio ne abbia misericordia. Era ancor giovane, non credo ave
sse compiuto i trent'anni, pur non essendo riuscito a conoscere la sua data di n
ascita; e aveva regnato in Egitto per due mesi.
ACCORDO DI FAR RE LA PRINCIPESSA SHAGIAR AD-DURR, MADRE DI KHALIL, CON 'IZZ AD-D
IN IL TURCOMANNO COME COMANDANTE DELL'ESERCITO.
(IBN WASIL, fol. 372 r-v).
Ucciso il Malik al-Mu'azzam, gli emiri e i Bahriti si adunarono presso il padigl
ione sultaniale, e si accordarono a che le funzioni sultaniali e regali fossero
esercitate da Shagiar ad-durr madre di Khall e moglie del Malik as-Salih Nagm addin Ayyb (67); per suo ordine e in suo nome sarebbero stati emanati i decreti sul
taniali, e provvisti della sua sigla reale. Essi avevano gi fatto quest'offerta (
68) a Husm ad-din Muhammad ibn Abi'Ali, dicendogli: "Tu eri l'uomo di fiducia del
sultano il Malik as-Salih, e sei quindi di pi degno di questa carica"; ma egli r
ifiut, e sugger come atto a quell'ufficio l'eunuco Shihb ad-din Rashid al-Kabr. L'of

fersero a costui, ma anche egli rifiut. Allora si accordarono sul nome dell'emiro
'Izz ad-din Aibek at-Turkumani as-Slihi, su cui tutti giurarono: egli venne al C
airo, sal alla Cittadella, e annunci la cosa alla madre di Khall, moglie del Malik
as-Salih. Da allora tutti gli affari fecero capo a lei, e usc al suo nome una sig
la reale con questa formula "la Madre di Khall", e fu pronunciata la "khutba" (69
) in suo nome come sultana al Cairo e in tutto l'Egitto. Fu questo un fatto senz
a precedenti in alcun paese musulmano: dell'effettivo potere e del governo (di u
na donna) esistono bens precedenti, come nel caso di Daifa Khatn figlia del sultan
o Malik al-'Adil (70), che resse il governo ad Aleppo e provincia dopo la morte
di suo figlio al-Malik al 'Azz finch ebbe vita, ma in tal caso la "khutba" col nom
e di Sultano veniva pronunziata al nome del figlio di suo figlio, il Malik an-Na
sir.
Allorch fu ucciso, il corpo del Malik al-Mu'azzam figlio del Malik as-Salih giacq
ue abbandonato sulla sponda del fiume, senza che alcuno osasse avvicinarvisi; fi
nch alcuni barcaioli passarono il fiume dalla riva occidentale, e sulla sponda oc
cidentale gli dettero sepoltura.
RICONQUISTA DI DAMIATA.
(IBN WASIL, foll. 372 v - 373 v).
Quando gli emiri e l'esercito ebbero prestato giuramento, e le cose furono siste
mate come abbiam detto, si discusse col Re di Francia sulla resa di Damiata ai M
usulmani; e delegato a queste trattative fu l'emiro Husm ad-din ibn Abi 'Ali, ess
endo tutti d'accordo di rimettersi al suo consiglio e avviso per il suo ben noto
senno ed esperienza, e per la fiducia che il Malik as-Salih riponeva in lui. Tr
a lui e il Re di Francia ci furon quindi ripetute conversazioni, finch si giunse
a un accordo che Damiata fosse resa, e il Re potesse liberamente partirsi. Dice
il cadi Giaml ad-din ibn Wasil, autore di questa storia: mi raccont l'emiro Husm ad
-din: il Re di Francia era un uomo savio e intelligente all'estremo; e in una de
lle mie conversazioni io gli dissi: "Come mai venuto in mente a Vostra Maest, con
tutta la virt e il senno e il buon senso che vedo in lui, di montar su di un leg
no e cavalcare il dorso di questo mare, e venire in questo paese cos popolato di
Musulmani e di truppe, nella convinzione di poterlo conquistare e farsene signor
e? Quest'impresa il maggior rischio a cui poteva esporre se stesso e i suoi sudd
iti". E il Re, disse, sorrise e non rispose. "Nella nostra legge, - aggiunsi, per chi percorre pi volte questo mare, mettendo a repentaglio la sua persona e il
suo avere, non accolta come valida la sua testimonianza in giudizio". "E perch?"
domand il Re. "Perch da quel modo d'agire noi deduciamo che sia deficiente di sen
no, e di chi deficiente di senno non si conviene accogliere la testimonianza" (7
1). E il Re rise, e disse: "Perdio, bene ha detto chi ha detto cos, e non ha erra
to chi cos ha giudicato". Dice l'autore di questa storia: quanto ha qui detto Husm
ad-din bens l'opinione tramandata di alcuni dottori, che per non vale, giacch nell
a maggioranza dei casi dai viaggi di mare si esce incolumi. C' anzi in proposito
una doppia risposta al quesito se, ove l'uomo non abbia altro modo per giungere
alla Mecca che il viaggio di mare, sia o no per lui obbligatorio il pellegrinagg
io: e una delle due risposte che non lo sia, per il pericolo e il rischio della
persona insito nel viaggio di mare, e l'altra invece dice di s, perch nella maggio
r parte dei casi se ne esce incolumi.
Venuti a un accordo fra il Re di Francia e i Musulmani per la resa di Damiata, i
l Re mand a ordinare ai suoi uomini di fiducia in Damiata che rendessero la terra
ai Musulmani. E quelli dopo essersi schermiti e dopo un via-vai di messaggi tra
loro e il Re, finirono con l'obbedire, e resero Damiata ai Musulmani. Lo stenda
rdo sultaniale vi fece il suo ingresso il venerd tre safar di quest'anno 648 (7 m
aggio 1250), e fu innalzato sulle sue mura, riproclamandovisi la sovranit dell'Is
lm. Il Re di Francia fu rimesso in libert, e pass, lui e i compagni rimastigli, sul
la sponda occidentale. Poi all'indomani, il sabato, prese il mare coi suoi e fec
e vela per Acri; si trattenne ancor per qualche tempo sul Litorale di Siria, e f
ece poi ritorno al suo paese. Cos Iddio purific da coloro l'Egitto; e questa vitto

ria fu di pi doppi maggiore della prima (72), per il gran numero dei nemici che f
urono uccisi e catturati, tanto che le prigioni del Cairo furon piene di Franchi
. E la lieta notizia ne giunse a tutti gli altri paesi, dove furon fatte pubblic
he manifestazioni di gioia e allegrezza.
Partito il Re di Francia, le truppe si misero in marcia dirette al Cairo, e vi f
ecero il loro ingresso. Ivi per pi giorni consecutivi si era annunciata a rullo d
i tamburi la lieta nuova della vittoria musulmana sui Franchi, e del recupero de
lla marca di Damiata, perla dell'Islm e marca di frontiera d'Egitto. Era questa l
a seconda volta che gli Infedeli se ne impadronivano e che veniva loro ritolta,
ed essi volti in fuga e disfatti.
PROLOGO ED EPILOGO DELLA CROCIATA DI SAN LUIGI.
(MAQRIZI, 334-35, 356-58).
(Sbarcando in Egitto) il Re dei Franchi mand al Sultano (al-Malik as-Salih) una l
ettera che, dopo le parole (introduttive) della loro miscredenza (73), suonava c
os:
Tu non ignori che io sono il Capo della comunit cristiana, come io riconosco che
tu sei quello della comunit maomettana. Tu non ignori del pari che la popolazione
(musulmana) dell'Andalusia versa a noi (Cristiani) tributi e doni, e noi li cac
ciamo innanzi come mandre di buoi, uccidendo gli uomini, vedovando le donne, cat
turandone le figlie e i fanciulli, rendendone deserte le case (74). Io ti ho dat
o sufficiente dimostrazione (della nostra forza), e ti ho consigliato al massimo
che potevo. Quand'anche tu mi facessi ogni giuramento, e ti presentassi ai pret
i ed ai monaci, e portassi davanti a me il cero in atto di obbedienza alla Croce
, ci non varrebbe a distogliermi dall'attaccarti e combatterti nel territorio a t
e pi caro. Se codesto paese rester a me, sar un dono venutomi nelle mani, se rester
a te, con la vittoria su di me, tu potrai esercitare su di me tutto il tuo poter
e. Io ti ho informato e messo in guardia da eserciti a me obbedienti e riempient
i il monte ed il piano, numerosi come i ciottoli della terra, e lanciati contro
di te con le spade del Destino.
Quando questa lettera giunse al Sultano e gli venne letta, gli si riempirono gli
occhi di lacrime ed esclam: "A Dio apparteniamo, e a Lui facciamo ritorno!"; ind
i fece redigere la risposta, per mano del cadi Bah' ad-din Zuhair capo della Canc
elleria; ed essa, dopo la formula introduttiva col nome di Dio e le benedizioni
sull'Apostolo di Dio Maometto, la sua famiglia e i suoi Compagni, suonava cos:
E' giunta la tua lettera, in cui ci minacci con la massa dei tuoi eserciti e il
numero dei tuoi prodi. Ora noi siam gente di guerra, e mai un nostro campione ca
duto ucciso senza che l'abbiamo rimpiazzato, e mai un nemico ha osato aggredirci
senza che l'abbiam sterminato. Stolto, se i tuoi occhi vedessero il taglio dell
e nostre spade e l'enormit delle nostre devastazioni, le rocche e i lidi che vi a
bbiam conquistato, e le terre degli antichi e dei recenti che vi abbiam messe a
sacco, dovresti morderti le dita per il pentimento! E' fatale che tu debba preci
pitare, in una giornata il cui inizio sar a nostro vantaggio e la cui fine a tuo
danno: allora mal penserai di te, "e gli iniqui sapranno a che fine andranno inc
ontro" (75). Quando leggerai questa mia lettera, comportati al riguardo secondo
l'inizio della Sura delle Api: "Verr a compimento il comando di Dio, non lo affre
ttate" (76), e la fine della Sura del Sad: "Saprete dopo qualche tempo ci che ess
o significava!" (77). Noi facciam ricorso alle parole di Dio, il pi verace assert
ore: "Quante volte una piccola schiera vinse una schiera grande, col permesso di
Dio! e Iddio al fianco dei costanti" (78), e alla parola dei saggi, secondo cui
"il prepotente finisce a terra"; cos la tua prepotenza finir a terra, e ti getter
in una catastrofe. Salute.
(Dopo la vittoria di al-Mansura, il Sultano Turanshh) scrisse all'emiro Giaml ad-d

in ibn Yaghmr, suo luogotenente a Damasco, una lettera di suo pugno, del seguente
tenore:
"Lode a Dio, che ha dissipato da noi la tristezza! La vittoria non viene che da
Dio. Quel giorno, i credenti si rallegreranno della vittoria data da Dio. Tu, pa
rla della grazia ricevuta dal tuo Signore! Se voleste contare le grazie di Dio,
non arrivereste a numerarle" (79).
Informiamo l'alta signoria di Giaml ad-din, anzi i Musulmani tutti, della vittori
a da Dio largita sul nemico della fede. Egli grandeggiava gi minaccioso, il suo d
anno aveva preso gi saldamente piede, e i credenti disperavano sulle sorti della
loro terra, delle mogli e dei figli. "Ma non disperate dell'aiuto divino!" (80).
Il luned primo giorno dell'anno benedetto, Iddio ne ha largita intera la benediz
ione in pro dell'Islm. Noi abbiamo aperto i nostri tesori, elargite le ricchezze,
distribuite le armi, raccolti gli Arabi del deserto, i Volontari, e una moltitu
dine di gente il cui numero Dio solo sa, accorsa da ogni profonda gola e luogo l
ontano. La notte del mercoled, i nemici abbandonarono le loro tende, le loro robe
e bagagli, e si diressero in fuga su Damiata, incalzati a tergo per tutta la no
tte dalle nostre spade, svergognati e urlanti d'angoscia. Quando spunt il mattino
del mercoled, ne avevamo uccisi trentamila, oltre quelli che si buttarono nei fl
utti; quanto ai prigionieri, impossibile contarli. Il Francese si rifugi in al-Mu
nya, e chiese la vita salva, che gli fu da noi accordata. Noi lo catturammo, lo
trattammo onorevolmente, e recuperammo Damiata con l'aiuto e forza di Dio, la Su
a maest e grandezza...
e cos seguitava a lungo.
Insieme alla lettera, il Sultano invi il manto del Re di Francia, e l'emiro Giaml
ad-din ibn Yaghmr se ne rivest: era di scarlatto rosso, con pelliccia di ermellino
. E lo sheikh Nagm ad-din ibn Isral disse in proposito:
Il manto del Francese, venuto in omaggio al Principe degli Emiri, era bianco di
colore come carta, ma le nostre spade lo han tinto di sangue
e anche
Signore di tutti i re di quest'epoca, hai ottenuto il compimento delle divine pr
omesse di vittoria.
Possa sempre il Signor nostro trionfar dei nemici, e rivestire i suoi servi dell
e spoglie dei re!
SAN LUIGI A TUNISI.
(MAQRIZI, 364-65).
Avvenne che questo Francese, dopo esser scampato di mano ai Musulmani, volle muo
vere contro Tunisi in terra d'Africa (81), approfittando della fame e mora che iv
i regnava, e mand a chiamare alle armi i re cristiani; mand fra l'altro al Papa, v
icario secondo loro del Messia, e questi scrisse ai re cristiani di mettersi in
campagna con colui, dandogli mano libera sui beni delle chiese, di cui poteva pr
endere quanto volesse. Vennero infatti a lui, dei re, il re d'Inghilterra, di Sc
ozia, di Tolosa, di Barcellona, detto quest'ultimo "Re d'Aragona", e tutta un'al
tra schiera di principi cristiani. Il Sultano (hafside) Abu 'Abdallah Muhammad a
l-Mustansir bi-llah (82), figlio dell'emiro Abu Zakariyy Yahya, figlio dello shei
kh Abu Muhammad 'Abd alWahid, figlio dello sheikh Abu Hafs, re di Tunisi, si pre
par a sostenere il suo attacco, e gli mand i suoi messi chiedendo pace, accompagna
ti da ottantamila "dinr". Quegli li prese, ma non fece la pace con loro e mosse c
ontro Tunisi l'ultimo di dhu l-qa'da del 668 (21 luglio 1270), sbarcando sul lid
o di Cartagine con seimila cavalieri e trentamila fanti. Egli stette l per sei me
si (83); i Musulmani lo combatterono sino alla met di muharram del 669 (fine di a
gosto), con violenti combattimenti in cui per una quantit di gente dalle due parti

. I Musulmani stavano per essere sopraffatti, quando Iddio li liber: una mattina
(84), il Re dei Franchi fu trovato morto. Gli eventi successivi condussero alla
conclusione della pace e alla partenza dei Cristiani. E' curioso notare che un t
unisino, un certo Ahmad ibn Isma'l az-Zayyn, aveva composto questi versi:
O Francese, questa terra sorella d'Egitto: preparati dunque al tuo certo destino
!
Qui ti sar casa di Ibn Luqmn la tomba, ed eunuco (di guardia) ti sar Munkar e Nakr (
85).
Questo fu per lui come un presagio, ed effettivamente mor. Questo Re di Francia e
ra un uomo intelligente, e furbo matricolato.
NOTE "PARTE TERZA".
Nota 1. Con re Giovanni di Brienne, Andrea Secondo d'Ungheria, Ugo di Lusignano
re di Cipro, eccetera.
Nota 2. Una fortezza musulmana presso Acri.
Nota 3. al'Adil era riuscito a riunire sotto la sua alta sovranit i vari domini d
el fratello Saladino.
Nota 4. Sultano di Damasco.
Nota 5. Cio perch si temeva di dover riconsegnar loro la Citt santa, come infatti f
u loro profferto, e si voleva almeno annullarne l'importanza militare.
Nota 6. Corano, XXXVIII, 2.
Nota 7. Nel tentativo di ritirarsi dal Delta allagato, come narrer pi avanti.
Nota 8. Si pu misurare da queste offerte l'importanza di Damiata, e il giusto cal
colo dei Crociati nell'attaccarla. L'al-Karak eccettuato dalle profferte di resa
(praticamente tutte le conquiste di Saladino!) il Karak di Moab, in vitale posi
zione per le comunicazioni tra la Siria e l'Egitto.
Nota 9. Lett. "la morte che digrignava loro i denti".
Nota 10. Ludovico duca di Baviera (leggendo "Ludwsh" il "Kundrsh" del testo).
Nota 11. O, con altra lettura, "li catturiamo".
Nota 12. Queste parole potrebbero anche far parte del precedente discorso dirett
o del Sultano; in tal caso, quel "erano" va mutato in "sono".
Nota 13. Che regn poi in Egitto dal 1240 al 1249.
Nota 14. Poco prima durante questa stessa campagna "nella presenza del Soldan su
perba" era comparso e aveva predicato san Francesco. Dell'episodio si creduto di
recente scoprire una tenue traccia anche in una fonte orientale, che parla di u
n consigliere musulmano del Malik al-Kamil "sulla faccenda del monaco".
Nota 15. L'ordine dei fogli qui e altrove alterato nel ms. parigino.
Nota 16. Signore di Damasco e fratello di al-Kamil, che abbiam gi visto accorrere
in suo aiuto contro i Franchi a Damiata. Poi le relazioni si erano guastate, e
la tensione con lui, che si appoggiava al sultano del Khuwarizm Giall ad-din e al
l'emiro di Arbela, aveva indotto al-Kamil agli approcci con Federico.
Nota 17.E' possibile vi sia qui confusione fra "Lombardia" e "Langobardia", cio,
secondo la toponomastica araba del tempo, la zona nord-ovest della Capitanata e
delle Murge, rispetto all'"Apulia" costiera. Nella titolatura araba di Federico,
come appare da una lettera che daremo oltre tradotta, occorrevano ambedue i tit
oli.
Nota 18. Federico si richiamava alle profferte di resa del Litorale fatte da alKamil nel 1220, sotto Damiata (confer sopra), ai Crociati. Il Legato pontificio
Pelagio diventa disinvoltamente per l'Imperatore "il mio luogotenente, cio l'ulti
mo dei miei servi. E voi dovete ora dare a me non meno di quel che eravate dispo
sti a dare a lui" ("Ta'rkh Mansuri", 32, MAQRIZI, 228-29).
Nota 19. Di dieci anni, cinque mesi e quaranta giorni, a partire dal ventotto ra
b' primo del 626/24 febbraio 1229 (MAQRIZI, 230).
Nota 20. Abbiam visto dell'urto fra al-Kamil e al-Mu'azzam signore di Damasco, c
he aveva dato occasione alla chiamata di Federico. an-Nasir, succeduto al padre
a Damasco, cerca ora di sfruttare l'impressione per la cessione di Gerusalemme,
per puntellare il suo vacillante potere.

Nota 21. Ne parla Sibt ibn al-Giawzi stesso nel passo della sua cronaca da noi q
ui di seguito tradotto.
Nota 22. Poeta dell'et di Harn ar-Rashd (ottavo-nono secolo); da una sua poesia di
compianto per gli Alidi tolto, e adattato dal predicatore a Gerusalemme non pi mu
sulmana, il secondo dei versi ora citati.
Nota 23. A fine giumada secondo (maggio 1229), precisa Maqrizi.
Nota 24. Da al-Kamil e al-Ashraf collegati contro il nipote an-Nasir.
Nota 25. Non chiaro cosa siano i fogli che il prete secondo questa versione rice
veva dai Franchi (non si pu pensare a elemosine in carta moneta); l'altra version
e che abbian gi visto in Ibn Wasil dice che il prete teneva lui in mano il Vangel
o: l'Amari pensa che sia caduto qualcosa del testo.
Nota 26. La parola araba "giabbarn" vuol dire "giganti" e insieme "prepotenti, ti
ranni". L'Amari legge invece, con facile variante grafica, "khanazr", "maiali": i
n entrambi i casi, sono complimenti dell'Imperatore materialista ai Crociati; e
la lezione "khanazr", volutamente consonante col precedente "asafr" (passeri), far
ebbe pensare non a una traduzione ma a una battuta "in arabo" di Federico, la cu
i conoscenza della lingua non ci altrimenti attestata dalle fonti orientali.
Nota 27. Corano, XXIII, 93.
Nota 28. Leggendo "ad-Dawiyya" lo "ad-dna" del ms. (per questi intrighi cristiani
contro Federico, confer AMARI, "Storia dei Musulmani di Sicilia, seconda edizio
ne, III, pagina 660 e numero 3).
Nota 29. Dal 1238 al 1240.
Nota 30. Dal 1240 al 1249.
Nota 31. Del nome di questo cerimoniere ("mihmandr", propriamente addetto agli am
basciatori e altri ospiti di riguardo) della corte di Manfredi, il testo arabo d
solo chiare le lettere finali: Sir Berto una pura congettura sul gruppo grafico,
"s.r. ? r.d.".
Nota 32. E' la Crociata di san Luigi in Egitto, per cui confer pi innanzi.
Nota 33. Per chi guardi una carta di Edrisi, non stupir questa contiguit di Italia
e Spagna nelle conoscenze geografiche degli Orientali del tempo.
Nota 34. Preziosa notizia, sinora non rilevata, sulla vita culturale della colon
ia musulmana di Lucera. Il fondatore di questo Istituto scientifico ("Dar 'ilm")
lucerino par bene Manfredi, bench a rigore quel "egli aveva intrapreso" possa an
che riferirsi al padre.
Nota 35. Carlo d'Angi, fratello di re Luigi Nono.
Nota 36. L'arabo dice propriamente "monaco, frate".
Nota 37. La definizione si riferisce ai membri della dinastia califfale degli Ab
basidi, discendenti da Abbs zio di Maometto.
Nota 38, Propriamente "dal letamaio".
Nota 39. E' notevole da questo e altri passi come la coscienza di una certa anal
ogia tra il Califfo e il Papa fosse diffusa in quell'epoca, nonostante le profon
de differenze religiose e giuridiche fra i due istituti.
Nota 40. Il testo ha qui "suo fratello", evidente lapsus per "il fratello del Re
di Francia", Carlo d'Angi, come ha del resto Abu l-Fid', che copia qui Ibn Wasil.
Nota 41. Harrn in Mesopotamia faceva anch'essa parte dei domini ayyubiti.
Nota 42. Che abbiam visto plenipotenziario di al-Kamil, e mentore dell'imperator
e in Terrasanta.
Nota 43. Ironie del protocollo.
Nota 44. In tutta questa prima parte si alternano versi e prosa rimata, esprimen
te con le lambiccate immagini della retorica araba il rammarico per la dipartita
e la lontananza dall'amico. Il testo spesso tutt'altro che sicuro.
Nota 45. L'Amari stampa le righe seguenti come prosa, mentre attraverso il testo
guasto pare intravvedere dei versi, specie nel primo caso.
Nota 46. al-Mutanabbi, il grande poeta immaginifico del secolo decimo.
Nota 47. E' l'esercito papale dei "Clavisignati" al comando dell'ex re di Gerusa
lemme Giovanni di Brienne, che, in assenza di Federico, aveva invaso e devastato
il Regno.
Nota 48. Pare si tratti di Caiazzo, e di un fatto d'arme del settembre 1229.
Nota 49. Lo stesso che venti anni innanzi vedemmo condurre i negoziati con Feder
ico, e ora era stato posto dall'ayyubita Malik Salih infermo al comando della di

fesa egiziana.
Nota 50. Chiama "penisola" la lunga striscia di terraferma tra il Nilo e il lago
Mnzala, alla cui estremit sorge Damiata.
Nota 51. Di cui si cerc tener celata la morte fino all'arrivo e insediamento in t
rono del figlio, al-Malik al-Mu'azzam. La sigla reale ("'alama") la firma autogr
afa del sovrano sui documenti di stato.
Nota 52. Corano, IX, 41.
Nota 53. Noto poeta e segretario ayyubita.
Nota 54. Questo al-Mu'azzam, che gi conosciamo, fratello di al-Kamil e padre di a
n-Nasir Dawd (signore quest'ultimo gi di Damasco e poi di al-Karak), non va confus
o con Mu'azzam Turanshh, figlio di as-Salih, che succede ora al padre e sar l'ulti
mo ayyubita d'Egitto. La titolatura di questi principi ayyubiti crea frequenti o
monimie e confusioni.
Nota 55. Uno squadrone di Templari, secondo il racconto pi particolareggiato di M
aqrizi.
Nota 56. Egli fu infatti il reggente d'Egitto, tra la morte di as-Salih e l'inse
diamento del figlio al-Mu'azzam, in viaggio dalla Mesopotamia.
Nota 57. I Bahriti, dalle cui file uscir la prima dinastia mamelucca, erano cos de
tti perch accasermati al Cairo sul Nilo ("bahr"); i Giamdariti (in origine "guard
arobieri") erano un'altra divisione dei Mamelucchi.
Nota 58. Governatore del Cairo e poi visir, presso cui era il nostro autore Ibn
Wasil.
Nota 59. Una delle porte del Cairo, tuttora sussistente.
Nota 60. Un braccio morto del Nilo, gi menzionato nelle operazioni della Quinta C
rociata.
Nota 61. Giornata solenne del pellegrinaggio musulmano.
Nota 62. Il pi alto elogio di un nemico al valore guerriero dell'Ordine.
Nota 63. Ges Cristo per i Musulmani un profeta, taumaturgo servo di Dio; onde il
culto di cui fatto oggetto dai Cristiani deve a lui stesso apparire come un sacr
ilegio.
Nota 64. Col favorire invece altri elementi che aveva condotti con s dalla Mesopo
tamia, come quell'eunuco Sabh or ora incontrato.
Nota 65. Questa magniloquente presentazione di Baibars ben comprensibile da part
e di chi come Ibn Wasil scriveva sotto di lui e godeva del suo favore, e rispond
e inoltre alla piena verit storica; ma non riesce certo ad attenuare l'impression
e della fosca scena che segue (narrata da altre fonti con ancor pi macabri partic
olari), da cui ebbe inizio la carriera del futuro Sultano d'Egitto.
Nota 66. La setta eretica, che abbiam gi vista specializzata in assassini politic
i.
Nota 67. Era una schiava turca, che aveva dato al Malik as-Salih un figlio, Khall
, morto bambino. L'innalzamento di questa donna al trono con titolo di Sultano,
fatto senza precedenti come nota Ibn Wasil nella storia dell'Islm, fu il breve co
mpromesso di transizione fra un ultimo scrupolo di legittimismo ayyubita, e il r
egime militare dei Mamelucchi, che ora di fatto si instaura in Egitto: il genera
lissimo Aibek spos infatti poco dopo Shagiar ad-durr, e inizi la dinastia mamelucc
a.
Nota 68. Da quel che immediatamente precede, si dovrebbe intendere del potere so
vrano; ma da quel che segue piuttosto da intender la carica di comandante in cap
o dell'esercito, che del resto non tard a riunirsi con la prima.
Nota 69. E' la allocuzione del venerd dal pulpito della moschea, in cui si fa il
nome del sovrano regnante.
Nota 70. E moglie di az-Zahir sultano di Aleppo. Questi mor nel 1216, e il loro f
iglio al'Azz nel 1236; da allora ebbe inizio la reggenza della nonna per il nipot
e.
Nota 71. Confer sopra.
Nota 72. Al tempo della Quinta Crociata.
Nota 73. Cio dopo le eulogie cristiane.
Nota 74. Questa menzione dell'Andalusia fece ritenere al Reinaud non pertinente
questo documento, che Maqrizi avrebbe qui collocato togliendolo da un tutt'altro
contesto di storia della Reconquista. Ma si pu anche pensare che re Luigi abbia

naturalmente ricordati, per intimidire il suo avversario, i recenti trionfi di s


an Fernando contro i Musulmani di Spagna: la presa di Siviglia (novembre 1248) e
ra anteriore di pochi mesi allo sbarco dei Crociati in Egitto.
Nota 75. Corano, XXVI, 228.
Nota 76. Corano, XVI, 1.
Nota 77. Corano, XXXVIII, 88.
Nota 78.Corano, II, 250.
Nota 79. Sin qui, tutte frasi coraniche (XXXV, 31; III, 121; XXX, 3; XCIII, 11;
VI, 18).
Nota 80. Corano, XII, 87.
Nota 81. Propriamente Ifriqiya, la provincia romana d'Africa, cio la Tunisia.
Nota 82. Regn a Tunisi dal 1249 al 1277.
Nota 83. Che non si vede come computare, secondo le date stesse di questo contes
to.
Nota 84. Il 25 agosto.
Nota 85. Con allusione alla precedente prigionia e custodia in Egitto. Munkar e
Nakr sono per i Musulmani i due angeli che fanno il primo severo interrogatorio a
i morti.

PARTE QUARTA.
I Mammelucchi e la liquidazione delle crociate.

1.
Tra il 1265 e il 1291, tre sultani mamelucchi, Baibars (1260-77), Qalawn (1279-90
) e al-Ashraf (1290-93), smantellano quanto rimaneva dell'opera delle Crociate.
La fonte principale per tutti e tre, bench solo in parte giuntaci e ancor quasi d
el tutto inedita, il contemporaneo Ibn 'Abd az-Zahir. Per le conquiste di Baibar
s, abbiamo appunto la biografia scrittane da Ibn 'Abd az-Zahir nel compendio del
nipote Shafi', oltre alle pi tarde cronache di Ibn al-Furt, al-Maqrizi e al-'Aini
. I passi qui trascelti, fra cui la celebre lettera di vittoria a Boemondo Sesto
dopo la presa di Antiochia, provengono dalle fonti ora menzionate.
BAIBARS CONTRO TRIPOLI E ANTIOCHIA.
SUA LETTERA A BOEMONDO SESTO.
(IBN 'ABD AZ-ZAHIR, foll. 105 v - 111 v).
Questa rocca (Tripoli di Siria) apparteneva in antico all'Islm, e gli ultimi a po
ssederla (fra i Musulmani) furono i Banu 'Ammr. Un re dei Franchi l'assedi per mol
ti anni, e le costru dinanzi un castello per il lungo tempo che dur l'assedio (1).
I Banu 'Ammr, quando furon ridotti agli estremi, lasciarono in citt uno di loro,
e se ne andarono a cercare aiuto e soccorso. Ma quegli di loro che essi avevan l
asciato in citt era uno spostato: costui sal al sommo delle mura, e invit i Franchi
a entrare e prender possesso della citt; e cos quelli la presero (2). L'ultimo a
possederla (dei Franchi) fu il principe Boemondo (Sesto), figlio di Boemondo. Gi
unto al trono il sultano al-Malik az-Zahir (Baibars), di cui tratta questa vita,
e con cui Iddio ha rinforzato l'Islm, egli cominci ad aver notizia di aperte sopr
affazioni commesse da Boemondo, e atti ostili e vessatori da lui spesso perpetra
ti ai danni di chi giungeva al suo paese: al punto che egli mise le mani su cert
i ambasciatori provenienti dalla Georgia, la cui nave aveva fatto naufragio, li
cattur e si impadron delle lettere che avevano, dirette al Sultano; e ambasciatori
e lettere sped a Hulagu re dei Mongoli, con rovina loro e di coloro che li aveva
n mandati; e cos via con altre prepotenze. Lo zelo islamico e il fervor della fed

e imposero allora (al Sultano) di muovere contro Tripoli: egli ordin dei preparat
ivi dissimulati, e si mise in marcia alla sua volta per monti e per valli, lanci
ando contro il nemico le truppe musulmane: queste strinsero la terra nemica in u
n cerchio di ferro e di fuoco, catturarono e predarono e imperversarono. Egli si
impadron della maggior parte del territorio, e poi lo lasci come il miglior consi
glio esigeva, e si ritir.
Abbiam detto della incursione contro Tripoli, di come il Sultano la provasse dur
amente, e se ne partisse senza che nessuno potesse sapere quale mta con le sue fi
nte avesse di mira; giacch egli aveva ordinato di rizzare un certo numero di padi
glioni, ognuno con l'ingresso rivolto in una direzione diversa, per confondere c
os i pensieri (di chi volesse indovinare i suoi piani). Quindi egli lanci le sue t
ruppe contro Antiochia, che faceva parte del dominio del Principe signore di Tri
poli. I Musulmani avanzarono uccidendo e catturando, e mettendo a sacco la terra
; e il Sultano in persona marci su Antiochia, investendola il primo di ramadn del
666 (15 maggio 1268). Il suo Maggiordomo ("ustadr"), l'emiro Shams ad-din Aqsunqu
r al-Farqani, si era imbattuto durante la sua avanzata in uno squadrone di caval
ieri di Antiochia e, venuto con loro alle mani, li aveva sterminati, catturando
il Connestabile luogotenente della piazza. Le truppe musulmane affluirono d'ogni
parte su Antiochia: si dette l'assalto, le mura furono espugnate e la terra pre
sa, con grande strage dei suoi abitanti. Indi si assedi la cittadella, che fu pre
sa con garanzia di vita salva ai difensori, e venne in saldo possesso dell'Islm.
Il Sultano ordin allora che si scrivesse al Principe una lettera che gli annuncia
sse la conquista della citt, e la perdita da lui subita per il suo acquisto. Ques
ta lettera fu redatta dall'autore della presente storia (3) - che Dio abbia comp
assione di lui -: quale esperto dello stile epistolare egli era mai, e padrone d
ei termini pi calzanti e felici, ed efficace con le sue finezze cancellieresche,
e i pi sottili sforzi a scoprire gli intenti e obbiettivi del suo sovrano! E' uso
presso i Franchi che il titolo di Principe si dia solo al signore di Antiochia:
e l'autore si rivolse a Boemondo col titolo di Conte, essendo ormai Antiochia u
scita dal suo potere (4). Qui cade opportuno riferire un episodio da lui stesso
narratomi: il Sultano, egli disse, mi aveva spedito ambasciatore, in compagnia d
ell'emiro Atabek Faris ad-din, a Tripoli quando si stipul la relativa tregua (5).
Ora il Sultano al-Malik az-Zahir entr egli stesso nella citt insieme ai due ambas
ciatori travestito da scudiere ("silahdr"), per riconoscere il luogo e saggiarne
le parti, e i punti da cui si sarebbe potuto prendere. Venuti in presenza del Pr
incipe per discorrere dell'oggetto dell'ambasceria, si strinse l'accordo: il Sul
tano stava in piedi, guardando dall'alto all'atabek e ascoltando, mentre lui (4)
aveva preso a scrivere: "E' fissata la tregua fra il signor nostro il Sultano e
il Conte...", senza mettere invece "il Principe". Il signore di Tripoli sbirci l
o scritto, si sdegn, e disse: "Chi sarebbe il Conte?" "Tu", risposi io. "No, - re
plic, - io sono il Principe!" "Il Principe, - ribattei, - il Sultano al-Malik azZahir; il titolo di principe spetta al signore di Gerusalemme, di Antiochia e di
Alessandretta, che appunto il nostro signore il Sultano". Colui dette un'occhia
ta ai suoi armigeri l ritti, e la porta della sala fu sprangata. Allora il Sultan
o urt col piede l'atabek, che disse: "O Muhyi ad-din, tu hai ragione; ma nostro s
ignore il Sultano ha concesso in grazia a costui il titolo di Principe, come gli
ha concesso di restar nel suo regno". "Se cos, - dissi allora all'atabek, - nien
te di male", e invece del Conte scrissi "il Principe". Raccontava poi l'autore:
quando ce ne partimmo, e nostro signore il Sultano giunse al suo campo, Sua Maes
t cominci a raccontar la cosa agli emiri della sua corte, ridendo e dicendo, rivol
to a me: "E questo aveva proprio scelto il momento buono! Al diavolo il Principe
e il Conte!" Qui finisce l'aneddoto, e torniamo al testo della lettera, che era
del seguente tenore:
Il Conte Tal dei Tali (7), capo della comunit cristiana, e ridottosi al (semplice
) titolo comitale - che Iddio gli ispiri la buona direzione, faccia suo obbietti
vo il bene e gli faccia far tesoro del buon consiglio - sa gi come noi muovemmo c
ontro Tripoli e devastammo il centro stesso dei suoi domini; egli ha veduto le r
uine e le stragi che ci siam lasciate alle spalle partendo, e come quelle chiese
siano state spazzate via dalla superfice della terra, e ogni casa abbia soggiac

iuto al disastro, e le perdite siano state accumulate sulla riva del mare quali
isole di cadaveri, e gli uomini siano stati trucidati, e i figli fatti schiavi,
e le libere donne ridotte in cattivit; e gli alberi tagliati, lasciandovisi solo
quanto servir a Dio piacendo per il legname delle catapulte e delle cortine (8),
e i beni predati, con le donne e i bimbi e gli armenti, tanto che il povero s' ar
ricchito, il celibe ha messo su famiglia, il servo si fatto servire, e il pedone
montato a cavallo. Tutto ci avvenuto sotto i tuoi occhi, qual di uomo sopraffatt
o da svenimento mortale; e quando sentivi una voce esclamavi per la paura: "A me
tocca questo flagello!" Tu sai del pari come noi ci siam poi dipartiti da te, m
a con la dipartita di chi poi ritorna, e abbiam differito la tua totale disfatta
, ma solo per un termine di giorni contati; come abbiam lasciato il tuo paese, i
n cui non c'era pi un capo di bestiame che non marciasse sospinto a noi dinanzi,
n una fanciulla che non fosse in nostro potere, n una colonna che non fosse scalza
ta dalle nostre zappe, n un seminato che non fosse da noi mietuto, n un tuo qualsi
asi avere che tu non avessi perduto. Niuna difesa poteron dare le spelonche in c
ima a codesti alti monti, n codeste valli che traversano le frontiere e colpiscon
o l'immaginazione. Tu sai come partiti da te comparimmo inattesi dinanzi alla tu
a citt di Antiochia, mentre tu quasi non osavi credere che ci fossimo da te allon
tanati; ma se ci siamo allontanati, torneremo certo l dove gi fermammo il piede!
Ed eccoci qui a darti notizia dei fatti compiuti, a informarti della totale cata
strofe che ti ha colpito: ci partimmo da te, da Tripoli, il mercoled ventiquattro
sha'bn, e investimmo Antiochia il primo del venerato mese di ramadn. Mentre prend
evamo posizione dinanzi ad essa, ne uscirono le tue truppe a misurarsi con noi i
n combattimento ma furori disfatte, e si dettero reciproco aiuto ma non riusciro
no vittoriose, restando di tra loro catturato il Connestabile. Questi chiese di
poter trattare con i tuoi uomini, entr nella citt e ne riusc con una schiera di tuo
i monaci e principali satelliti, che si abboccarono con noi: ma noi li vedemmo a
nimati del tuo stesso consiglio, pravamente intenti a micidiali disegni, discord
i nel bene e unanimi nel male. Quando vedemmo la loro sorte irrimediabilmente se
gnata e a lor destinata da Dio la morte, li congedammo dicendo: "Noi vi stringer
emo immediatamente d'assedio, e questo il primo e ultimo ammonimento che vi diam
o". Cos essi se ne tornarono agendo in modo a te simigliante, e convinti che tu s
aresti venuto coi tuoi cavalieri e fanti al loro soccorso: ma in breve ora il Ma
resciallo fu spacciato (9), la paura si impadron dei monaci, il Castellano pieg di
fronte al disastro, e la morte sopravvenne loro d'ogni lato. Noi espugnammo la
citt d'assalto all'ora quarta del sabato quattro del venerato mese di ramadn (18 m
aggio), e sgominammo tutti coloro che tu avevi scelto a presidiarla e difenderla
. Non c'era di loro chi non possedesse qualche ricchezza, e non c' ora di noi chi
non possegga qualcuno di loro e di quelle ricchezze. Avessi visto i tuoi cavali
eri, prostrati sotto le zampe dei cavalli, le tue case prese d'assalto dai sacch
eggiatori e corse dai predoni, le tue ricchezze pesate a quintali, le tue dame v
endute a quattro per volta e comprate al prezzo di un "dinr" della tua stessa rob
a! Avessi visto le tue chiese con le croci spezzate, i fogli dei falsi Vangeli s
parpagliati, i sepolcri dei Patriarchi sconvolti! Avessi visto il tuo nemico Mus
ulmano calpestare il luogo della messa, e sgozzati sull'altare monaci e preti e
diaconi, e i Patriarchi colpiti da repentina sciagura, e i principi reali ridott
i in schiavit! Avessi visto gli incendi propagarsi per i tuoi palazzi, e i vostri
morti bruciare al fuoco di questo mondo prima che a quello dell'altro; i tuoi p
alazzi resi irriconoscibili, la chiesa di San Paolo e quella di Qusyn (10) crolla
te e distrutte, allora avresti detto: "Oh foss'io polvere, e non avessi mai avut
o una lettera con una tale notizia!"; ti sarebbe uscita l'anima dal dolore, e av
resti spento quegli incendi con l'acqua delle tue lacrime. Se avessi visto le tu
e dimore rese deserte delle tue ricchezze, i tuoi cocchi presi in Suwaidiyya (11
) con le tue navi, e le tue galere diventate (in mano al nemico) tue odiatrici,
ti saresti allora convinto che quel Dio che ti dette Antiochia te l'ha ritolta,
e il Signore che ti don la sua rocca te l'ha strappata, sradicandola dalla faccia
della terra. Tu sai ormai che noi grazie a Dio ti abbiam ripreso le rocche dell
'Islam che tu avevi preso, Derksh e Shaqf Kafar Dubbn, e ogni tuo possedimento in t
erritorio di Antiochia; che abbiam fatto scendere i tuoi dalle fortezze, e li ab
biamo acciuffati e dispersi da vicino e da lunge; che non c' pi alcuno che si poss

a chiamar ribelle fuorch il fiume, che se potesse non si chiamerebbe pi con quel n
ome (12), e piange di pentimento. Le sue lacrime scorrevano prima limpide, ma or
a, pel sangue che vi abbiamo sparso, tinto di sanguigno.
Questa nostra lettera contiene per te la buona nuova della incolumit e lunga vita
donatati da Dio col tuo non risiedere in Antiochia nel momento presente, e col
trovarti altrove, ch se no saresti ora o morto o preso o ferito o malconcio. L'av
er salvata la vita ci di cui si rallegra il vivo in cospetto del morto. Chi sa ch
e Iddio non ti abbia ancor lasciato in vita perch tu riparassi alla passata manca
nza d'obbedienza e servizio verso di Lui! Non essendo avanzato nessun superstite
a informarti dell'accaduto, ti abbiamo informato noi, e non trovandosi nessuno
in grado di darti la lieta nuova del tuo aver salvato la vita con la perdita di
tutto il resto, te l'abbiam data noi con questo messaggio a te diretto, perch tu
avessi sicura contezza del fatto cos come accaduto. Dopo questa epistola, non hai
motivo di tacciar di falso alcuna nostra notizia, cos come dopo questo dispaccio
non occorre che tu chieda a nessun altro di ragguagliarti.
Giunta questa lettera a Boemondo, egli ne venne in grande ira, e la notizia di A
ntiochia gli giunse solo per questo mezzo.
TRATTATIVE CON UGO TERZO, RE DI CIPRO E GERUSALEMME.
(IBN AL-FURAT, VI, 146 r - 147 r).
Dopo la presa di Shaqf, i Franchi di Acri vollero avere un re che fosse capace di
curare i loro interessi. C'era a Cipro un re fanciullo (13), con un reggente co
mandante dell'esercito, a nome Ugo figlio di Enrico, di men che trent'anni di et;
era costui cugino del signore di Tripoli, e figlio della sorella del (precedent
e) re di Cipro (14), padre del fanciullo surricordato. Questo bambino venne a mo
rire, e il regno toccava a quel giovane, imparentato per la moglie coi signori d
i Arsf (15), e al suo cugino per parte di madre (16); anzi quest'ultima aveva anc
or maggior diritto al trono, essendo sua madre la sorella maggiore ed essendo us
o dei Franchi che il figlio della sorella maggiore abbia la precedenza. Ma colui
era assente nel paese di Sis (17), e questo giovane si rese padrone di Cipro; i
Franchi allora lo invitarono a venire ad Acri, essendo il regno d'Acri legato a
quello di Cipro: egli vi venne, e quelli d'Acri gli giurarono obbedienza. Giuns
e (in quel torno alla corte di Baibars) una lettera del signore di Tiro, in cui
diceva dell'arrivo di quel re, che era un uomo di senno, e che appena arrivato g
li era stato manifestato l'avviso dei Franchi, di assicurarsi quanto meglio sape
ssero i buoni rapporti di vicinato col Sultano, e che egli aveva detto di non av
er nessun motivo di ostilit con lui. Il signore di Tiro concludeva chiedendo al S
ultano di far pace con lui.
Quando il Sultano fu tornato a Damasco dalla campagna di Antiochia, come abbiam
detto, giunsero gli ambasciatori di quel re, e una schiera d'un centinaio di cav
alieri franchi, presentando doni di lavori d'orafi e animali selvaggi e altri og
getti. Si ferm quindi un accordo tra il Sultano al-Malik az-Zahir (Baibars) e que
sto re, di limitata portata: esso riguardava la citt di Acri e il suo territorio,
comprendente trentuno villaggi. Si stabil che Caifa sarebbe rimasta ai Franchi c
on tre villaggi, e il resto del suo territorio sarebbe stato spartito a mezzo; i
l territorio del Carmelo a mezzo; 'Athlth con tre villaggi (ai Franchi?) e il res
to a mezzo; al-Qurain con dieci villaggi (ai Franchi?) e il resto al Sultano, e
del territorio di Sidone le parti piane ai Franchi e le montuose al Sultano, con
pace per il regno di Cipro. Tale fu l'accordo territoriale. La tregua sarebbe d
urata dieci anni, e sarebbe stata infrangibile per interventi stranieri o per l'
arrivo di qualche re d'oltremare. Inoltre (il Sultano) gli impose di rilasciare
gli ostaggi dei vari paesi.
Il cadi Muhyi ad-din Ibn 'Abd az-Zahir, autore della "Vita di Baibars", racconta
: Andai ambasciatore, io e l'emiro Kaml ad-din ibn Shith, per far giurare la pace
al re; e il Sultano mand con noi in dono venti prigionieri di Antiochia, preti e
frati. Entrammo in Acri il ventiquattro shawwl (666 / 7 luglio 1268), e quegli c
i fece grande accoglienza. Il Sultano ci aveva raccomandato di non umiliarci a l

ui nel sedere e nel parlare: or quando entrammo lo vedemmo seduto su un seggio,


lui e i capi, e non consentimmo a sederci fino a che non ci fu posto un seggio d
i fronte a lui. Il suo visir stese la mano per prendere il documento, ma noi non
lo demmo fino a che non tese la mano il re stesso. Egli lo prese e si sofferm a
fare osservazioni su alcuni punti: uno fu che egli desiderava una pace separata
per il regno di Cipro, e che la pace avesse valore fino a che non sopraggiungess
e un intervento straniero o un re d'oltremare, e che gli Ismailiti non dovessero
aver parte nella tregua. Inoltre egli chiese d'esser dispensato nell'affare deg
li ostaggi, e ancora su altri punti. Gli ambasciatori del Sultano tornarono cos v
ia dal re dei Franchi senza che egli avesse giurato, e le faccende rimasero cos f
erme. Questo re d'Acri ogni volta che parlava diceva: "Io ho paura del re Carlo,
il fratello del re di Francia, e non posso concludere una pace per paura di lui
" (18). Dio ne sa di pi.
(IBN 'ABD AZ-ZAHIR, foll. 117 v - 118 v).
Al tempo della tregua, Acri era senza re, e dette il regno a uno dei Franchi di
Cipro. Quando costui ne assunse il governo, scrisse al Sultano umilmente implora
ndolo, chiedendone l'amicizia e invitandolo a fermar la tregua nei termini gi fis
sati; invi inoltre preziosi regali di gran valore. Al Sultano non spiacque tale s
ua profferta, ne accolse l'amicizia e lo ricambi di doni. Il suddetto re chiese c
he la tregua fosse stipulata al suo nome, e profess obbedienza e sottomissione. I
l Sultano ader alla sua richiesta, giur la tregua e mand a prendere il giuramento d
i lui Muhyi ad-din, l'autore della "Vita", e Kaml ad-din ibn Shith. Ali ha raccon
tato il suddetto Muhyi ad-din (19): Quando quel re ci dette udienza, lo trovammo
su di un alto trono, e pretendeva di stare lui al di sopra e noi pi in basso. L'
onore dell'Islm non ci permise di accettar ci: fummo quindi sollevati al suo livel
lo, e cominciammo a discutere con lui. Egli si mise a cavillare e a divagare, al
che io lo ripresi duramente. Egli mi guard con occhio irato, e disse all'interpr
ete: "Digli che guardi chi ci ha di dietro". Guardai, e vidi che aveva schierato
il suo esercito in pieno assetto di guerra. "Digli, - riprese il re all'interpr
ete, - che guardi a quella moltitudine". Io guardai, e chinai il capo. E quegli
ancora: "Digli: che ne dici di quel che hai veduto?" "Posso dirlo, con la vita s
alva?" risposi. "S". "Di' allora al re, - feci io, - che da noi nel Magazzino del
le Bandiere, che un carcere nel regno del Sultano al Cairo, ci sono pi prigionier
i franchi di quanti non siano costoro". Il re si infuri, si fece il segno della c
roce, e disse: "Aff mia, non ascolter pi oggi l'ambasceria di questa gente". Cos ce
ne andammo, ma poi ci ricev ancora, e noi gli facemmo giurare la tregua, che dur f
ino ai tempi del Sultano al-Malik al-Mansr Qalawn (20).
ESPUGNAZIONE DI HISN AL-AKRAD (21).
(IBN AL-FURAT, foll. 39 r - 190 v).
Questa fortezza si chiamava in antico Hisn as-Safh (La rocca del pendio). Circa
il nome poi datole dei Curdi, narra Muntakhab ad-din Yahya ibn Abi t-Tayy an Nag
gir al-Hlabi (22) nella sua storia che l'emiro Shibl ad-dawla Nasr ibn Mirds, signo
re di Hims, vi stanzi nell'anno 422 (1031) una guarnigione di Curdi, dai quali la
rocca prese poi il nome. Al tempo dell'Atabek Tughtikn di Damasco, si fece una p
ace tra lui e i Franchi col patto che le fortezze di Masyaf e di Hisn al-Akrd fos
sero incluse nell'accordo, e i loro abitanti pagassero ogni anno ai Franchi un d
eterminato tributo in denaro; e cos stettero per qualche tempo. Dice poi Ibn Asak
ir (23) che (Raimondo di) Saint-Gilles - Dio lo maledica! - dacch prese ad assedi
ar Tripoli non cessava dal condurre scorrerie contro questa fortezza e le altre
vicine: e nell'anno 496 (1103) l'assedi e mise alle strette, ed era l l per prender
la, quando avvenne l'assassinio di Gianh ad-dawla signore di Hims; allora quegli,
voglioso di impadronirsi di Hims, si part da Hisn al-Akrd: Poi lui venne a morire
, e suo figlio Bertrando (24) che gli successe continu l'uso paterno di molestare

questa fortezza e devastarne il territorio, onde gli abitanti lo temettero. And


atosene poi colui ad assediar Beirt, Tancredi signore di Antiochia si impadron del
la maggior parte del territorio, e fu tenuto con le buone a bada dai Siriani: eg
li invest anche questa fortezza, i cui abitanti furon ridotti allo stremo, e che
il suo signore gli consegn, sperando che egli ve lo avrebbe lasciato per averlo p
referito al Saint-Gilles. Ma Tancredi la fece sgombrare dai suoi abitanti, prend
endoli via con s, e vi stabil una guarnigione di Franchi. Sin qui Ibn Asakir. Seco
ndo un'altra notizia, Tancredi signore di Antiochia usc da questa citt, assedi Hisn
al-Akrd e ne ricev la resa dai suoi abitanti sullo scorcio dell'anno 503 (1110);
ed essa rimase in mano ai Franchi sino ai fatti che ora a Dio piacendo narreremo
. Narra Ibn Munqidh nel "Kitb al-buldn" (25) che il campione della fede al-Malik a
l-'Adil Nur ad-din Mahmd signore di Damasco - Dio si compiaccia di lui - aveva st
retto intese con uno dei fanti turcomanni al servizio dei Franchi signori di His
n al-Akrd, nel senso che quando lui Norandino fosse mosso contro la rocca, quegli
insorgesse con un gruppo dei suoi compagni, e alzassero la bandiera di Norandin
o sul castello e gridassero il suo nome. Questo Turcomanno aveva dei figliuoli e
un fratello, che godevano la fiducia dei Franchi nella rocca; e il segno conven
uto fra lui e Norandino era che egli dovesse stare in cima a un dato bastione. M
a si dette il caso che Norandino non inform nessuno di quell'intesa, e cos le sue
truppe avanzanti, visto quel Turcomanno, gli tirarono e l'uccisero: i suoi uomin
i furono tutti presi dalla sua morte, e lo stratagemma and a monte.
Hisn al-Akrd non fu conquistata dal Sultano Saladino, tra i territori che egli co
nquist ai Franchi, e la fortezza rest in mano a questi fino a che il Malik az-Zahi
r Rukn ad-din Baibars non condusse in quest'anno (669 / 1271) la spedizione cont
ro Tripoli di cui abbiam gi narrato. Egli invest Hisn al-Akrd il nove del mese di r
agiab di quest'anno (21 febbraio); il venti del mese (4 marzo) furon presi i sob
borghi, e giunse il Malik al-Mansr signore di Hamt (26) col suo esercito. Il Sulta
no mosse a incontrarlo, appied al suo appiedare, e proced sotto le sue bandiere, s
enza scorta di guardie del corpo e scudieri, per atto di cortesia verso il signo
re di Hamt; al quale poi invi un padiglione che ordin di montare. Giunsero anche l'
emiro Saif ad-din signore di Sahyn, e il Gran Maestro degli Ismailiti, Nagm ad-di
n.
Alla fine del suddetto mese di ragiab fu ultimato il montaggio di un buon numero
di catapulte; il sette sha'bn (22 marzo) fu preso d'assalto il bastione, e stabi
lita una postazione da cui il Sultano poteva tirar d'arco sul nemico. Baibars co
minci allora a distribuire doni in denaro e vesti d'onore. Il sedici sha'bn (31 ma
rzo) si apr una breccia in una delle torri della rocca, i nostri montarono all'as
salto, salirono sulla rocca e se ne resero padroni, mentre i Franchi riparavano
nel mastio. Tutto un gruppo di Franchi e Cristiani fu allora messo in libert dal
Sultano, come pia elemosina a nome del Malik as-Sa'd (27). Indi le catapulte furo
no trasferite sulla rocca e ivi drizzate contro il mastio. Il Sultano scrisse a
questo punto delle lettere come fossero del capo dei Franchi di Tripoli ai difen
sori della rocca, ordinando loro di arrendersi. Essi chiesero libera uscita ed e
gli la accord a condizione che se ne tornassero ai loro paesi. Il marted ventiquat
tro sha'bn (7 aprile) i Franchi uscirono dalla rocca e furono avviati al loro pae
se, mentre il Sultano prendeva possesso della fortezza.
Egli scrisse una lettera con la notizia della vittoria al Gran Maestro dell'Ospi
tale e signore di Hisn al-Akrd, con queste parole: "Questa lettera va a "Frre Hugu
es" (28) - che Iddio lo renda di coloro che non si oppongono al destino, e non r
ecalcitrano a Colui che ha asservito al suo esercito la vittoria e il trionfo, e
non credono che vi sia cautela bastante a salvare da ci che Iddio ha stabilito,
n che da esso protegga estrutto edifizio n pietra murata - per informarlo della co
nquista da Dio agevolataci di Hisn al-Akrd, che tu avevi fortificato ed estrutto
e forbito - e meglio avresti fatto a sgombrarlo (29) - e per la cui difesa avevi
confidato nei tuoi Confratelli. Ma essi non ti son serviti, e tu li hai perduti
col farli risiedere l, e loro han perduta la fortezza e te. Queste mie truppe no
n possono investire alcuna fortezza che loro resista, n servire alcun Sa'd ('Felic
e') che sia infelice".
Indi il Sultano nomin l'emiro Sarim ad-din al-Kfiri come suo luogotenente in Hisn
al-Akrd, e ne affid il restauro agli emiri 'Izz ad-din al-Aqram e 'Izz ad-din Aibe

k. Inoltre, durante l'assedio di Hisn al-Akrd, egli arrest due Assassini che erano
stati spediti da al-'Ullaiga al signore di Tripoli (30), e coi quali costui ave
va ordito un attentato alla vita di lui Baibars. Quando venne il Gran Maestro Na
gm ad-din, egli gliene mosse rimprovero, ma poi entrambi li rilasci.
FALLITO ATTACCO A CIPRO.
(AL-'AINI, 239-42).
Dice Ibn Kathr (31): quando al-Malik as-Sa'd figlio di az-Zahir conquist Hisn al-Ak
rd, trasform la sua chiesa in moschea e vi tenne il servizio divino del venerd, men
tre il Sultano vi nomin un governatore e un cadi, e ordin che la terra fosse rimes
sa in efficienza. Stando poi ivi accampato, il Sultano ebbe notizia che il signo
re dell'isola di Cipro si era imbarcato col suo esercito per Acri, temendo che n
on avesse a subire un attacco del Malik az-Zahir. Il Sultano volle allora approf
ittare dell'occasione, e sped un grosso esercito con sedici galere per conquistar
e l'isola di Cipro in assenza del suo sovrano. Le navi salparono a tutta velocit,
ma giunte nei pressi dell'isola furon colte da un vento impetuoso e vennero a c
ollisione fra loro: undici di esse fecero naufragio - col permesso di Dio Eccels
o - molti annegarono, e circa milleottocento fra marinai e soldati furono fatti
prigionieri. A Dio apparteniamo e a Lui facciamo ritorno!
Dice Baibars (32) nella sua cronaca: fu questo il disastro che colp i Musulmani d
opo la conquista di al-Qurain. Il Sultano part da Damasco, dopo finite le operazi
oni nei territori suddetti, nell'ultima decade di shawwl (primi di giugno 1271),
e marci su al-Qurain (33), investendola il due dhu l-qa'da (13 giugno). Preso il
bastione, i difensori chiesero vita salva, che egli loro accord, e fu stabilito c
he sarebbero usciti e partiti per dove avessero voluto, senza portar con s n robe
n armi. Il Sultano prese possesso della fortezza e ordin ne fosse demolita la rocc
a, indi ne part e si ferm a Lagin. Vennero quindi suoi ordini ai suoi luogotenenti
in Egitto, di armar le galere e farle partire per Cipro; ed essi le armarono e f
ecero partire con l'ammiraglio e i capitani (delle singole navi). Giunte che fur
ono al porto di Limassol sotto Cipro, e calata la notte, la prima galera avanz pe
r entrare nel porto, e urtando nell'oscurit contro gli scogli fece naufragio, seg
uita una ad una dalle altre ignare dell'accaduto, che fecero cos naufragio tutte
quante nella tenebra notturna. I Ciprioti catturarono gli equipaggi. L'ammiragli
o Ibn Hassn aveva consigliato un espediente da cui la gente trasse infausti presa
gi, di fare cio unger di pece le navi e alzarvi su le croci, perch si confondesser
o per i Franchi con le loro navi, e non fossero molestate dai loro porti; ma que
sto mutamento delle insegne comport quel naufragio voluto da Dio. Giunse allora u
na lettera del re di Cipro al Sultano, informandolo che le galere egiziane eran
giunte davanti a Cipro ed erano state fatte naufragare dal vento in numero di un
dici galere, e lui se ne era impadronito. Il Sultano ordin gli si scrivesse la ri
sposta, e gli fu cos inviata un'epistola del seguente tenore:
A sua signoria il re Ugo, gi Reggente - cui Iddio renda di quelli che riconoscono
a ognuno il suo, e non si vantano di una vittoria se non quando essa frutta, pr
ima o poi, un vantaggio o almeno un profitto uguale (allo sforzo) -. Lo informia
mo che Iddio quando vuol rendere felice un uomo allontana da lui il peso pi grave
del suo destino con qualche piccolo infortunio (34), e gli fa prendere appropri
ate misure a fronteggiare i colpi della sorte. Tu ci hai informato che il vento
ha fatto naufragare un certo numero delle nostre galere, ascrivendo ci a tuo succ
esso e di ci rallegrandoti. Or noi a nostra volta ti diamo la notizia della presa
di al-Qurain: ed ben differente la notizia della conquista di al-Qurain, da que
lla di un incidente con cui Iddio ha voluto liberare il nostro regno dalla mala
sorte. Nulla di mirabile (nel tuo caso), perch tu stia a menar vanto di esserti i
mpadronito di ferro e legname; mirabile piuttosto l'impadronirsi di forti castel
la! Tu hai parlato e noi abbiam parlato, e Iddio sa che le nostre parole sono le
giuste; tu hai confidato, e noi pure abbiam confidato; e chi confida in Dio e n
ella sua spada non come colui che confida sul vento. Non bella la vittoria per a

genti atmosferici, bella la vittoria per la spada! Noi possiamo in un sol giorno
metter su pi galere, mentre per voi non pu mettersi su neanche un pezzo di castel
lo; noi possiamo armar cento vele, per voi in cento anni non si pu armare una sol
a rocca. Ognuno cui sia dato un remo pu remare, mentre non ognuno cui sia data un
a spada sa bene usarla. Se pochi marinai vengono a mancarci, noi ne abbiamo a mi
gliaia, e come si posson confrontare quei che vibrano i remi nel seno del mare c
on quelli che vibran le lance in seno alle file (dei nemici in battaglia)? Per v
oi, i cavalli sono le navi, per noi ci son navi i cavalli; e c' una bella differe
nza fra chi fa correre i destrieri come i flutti del mare, e chi sta fermo sul v
ascello nell'atto stesso dell'arrivo, tra chi va a caccia su cavalli arabi pari
a falchi, e chi vantandosi dice di essere stato a caccia su di un corvo (35)! Se
voi ci avete preso un albero ("qarya") spezzato di nave, quanti villaggi ("qary
a") popolati abbiamo noi presi a voi, se vi siete impadroniti di un timone ("suk
kn"), quanti vostri paesi abbiam reso deserti di abitanti ("sukkn")! Quanto hai gu
adagnato tu, e quanto noi? Si veda chi di noi ha fatto guadagno maggiore. Se tra
re si potesse tacere, avresti dovuto tacere e non fiatare.

2.
Il sultanato di Qalawn, non meno valente e pi umano di Baibars, notevole, nei rapp
orti con i residui stati cristiani di Siria, per una serie di trattati da lui st
ipulati coi Templari, con Acri, con Margherita di Tiro, di cui Ibn 'Abd az-Zahir
nella sua vita di quel sultano (il "Tashrf al-ayym wa l-'usr") ci ha conservato il
testo. Ma l'erosione dei domini latini di Terrasanta fu proseguita anche da Qal
awn, e coronata con la presa di Tripoli (1289), di cui fu testimone oculare lo st
orico Abu l-Fid' (altra versione, certo da fonte pi antica, in Maqrizi). Caduta Tr
ipoli, tutto quel che restava ai Franchi era il territorio d'Acri, con qualche a
ltra citt costiera.
TRATTATO DI QALAWUN COI TEMPLARI DI TORTOSA.
(IBN 'ABD AZ-ZAHIR, Tashrf, 38 v - 44 r).
In quest'anno (681 / 1282) fu stipulata la tregua fra nostro signore il Sultano
al-Malik al-Mansr (Qalawn) e suo figlio al-Malik as-Salih 'Al' ad-dunya wa d-din 'A
li da un lato, e il Gran Maestro "frre" Guillaume de Beaujeu, gran Maestro dell'O
rdine dei Templari in Acri e sul Litorale, e tutti i fratelli Templari in Tortos
a dall'altro lato (36). La pace deve durare per dieci anni interi continui e con
secutivi, e dieci mesi, a cominciare dal mercoled cinque muharram dell'anno 681 d
ell'gira del Profeta Maometto, corrispondente al quindici di nisn dell'anno 1593 d
ell'ra di Alessandro figlio di Filippo il Greco (37) (15 aprile 1282). Essa si ap
plica ai territori di nostro signore al-Malik al-Mansr e di suo figlio al-Malik a
s-Salih 'Al' ad-din 'Ali (38), e di tutto ci che rientra nel loro regno: l'Egitto
con le sue province, marche e porti; la Siria, con le sue marche, castelli, rocc
he, litorali e porti; la provincia di Hims col suo territorio; le rocche degli I
smailiti e il loro territorio; la provincia di Sahyn e Baltunus; Gibala, Laodicea e
territori annessi; la provincia di Hamt e suo territorio, quella di Aleppo e suo
territorio, quella dell'Eufrate e suo territorio; le (recenti) conquiste del Li
torale, la terra di Hisn al-Akrd e suo territorio e tutto ci che in essa rientra o
ad essa fa capo o di essa vien computato al momento della stipulazione della pr
esente tregua, in terre, villaggi, seminati, pascoli, terreni, fortilizi, mulini
, eccetera; la provincia di Safith e suo territorio, villaggi e mura, e ogni altr
o villaggio e terra stabilita, e ad essa per l'avvenire aggregata; Mai'r e territ
orio, al-'Uraima e territorio, con quanto ne dipende e a lei fa capo; Halab e suo
territorio, 'Arq e suo territorio, Tib e suo territorio, la rocca di Hisn al-Akrd
e suo territorio, al-Qulai't e loro territorio; Maraqiyya tutta quanta con le sue
terre, il territorio di al-Marqab, di cui stato concordato il possesso a mezzo,

e tutto ci che compreso dalla tregua stipulata coi Cristiani dal Malik al-Mansr.
La tregua comprende, in questi territori prossimi e lontani, confinanti e vicini
, ogni zona colta e incolta, piana e accidentata, di terra e di mare, di porti e
litorali, coi suoi mulini, torri, giardini, corsi d'acqua, alberi e pozzi; e tu
tto ci che Iddio ha conquistato per mano di nostro signore il Sultano al-Malik al
-Mansr, di suo figlio il sultano al-Malik as-Salih, e dei comandanti dei suoi ese
rciti, in rocche, citt, castella, villaggi, con ogni infrapposta terra piana e mo
ntuosa, colta e incolta, corsi d'acqua e giardini, porti e litorali e pianure. D
'altro canto, la tregua si applica a Tortosa, posseduta dall'Ordine dei Templari
, e alle sue terre stabilite in perpetuo all'atto della stipulazione della prese
nte tregua benedetta; e inoltre agli annessi territori di al-'Uraima e Mai'r, sec
ondo la tregua stipulata dal Malik az-Zahir (39), le cui norme sono qui state ri
calcate. Essi constano di trentasette contrade, secondo che specificato nell'att
o in parola. La tregua si applica dunque a tutti i territori di nostro signore i
l Sultano, (con sicurezza per essi) da parte del gran Maestro "frre" Guillaume de
Beaujeu, gran Maestro dell'Ordine dei Templari, e di tutti i fratelli di Tortos
a, cavalieri e Turcpuli e altre categorie di Franchi.
Nessuno, da Tortosa e suo territorio e porto e litorale, invader i territori del
nostro signore al-Malik al-Mansr e di suo figlio il sultano al-Malik as-Salih, e
le loro rocche e castelli e terre, specificate o no nella tregua. (Reciprocament
e), Tortosa e il suo territorio menzionato nella tregua, coi Fratelli e cavalier
i e loro sudditi ivi abitanti e ivi recantisi, godranno sicurezza e tranquillit d
a parte di nostro signore il sultano al-Malik al-Mansr, di suo figlio, dei loro e
serciti e sudditi; e nessuno invader Tortosa e il suo territorio, n arrecher molest
ia e incursione alcuna ai lor sudditi fino allo spirare della tregua. Tutti gli
oggetti protetti da divieto resteranno coperti dal divieto medesimo.
Qualora una nave dei territori di nostro signore il Sultano o di coloro che ivi
si recano, di ogni altro paese e razza, venga a far naufragio o a soffrire avari
a nel porto di Tortosa e sue coste e terre incluse in questa tregua, tutti i pas
seggeri di queste navi saranno sicuri della persona e dei beni e mercanzie. Ove
si trovi il padrone della nave naufragata o avariata, sar a lui resa la sua nave
e la sua roba; e se venisse a mancare per morte o annegamento, il reperto sar mes
so sotto custodia e consegnato ai rappresentanti di nostro signore il Sultano. L
a stessa norma varr per navi di Tortosa che facessero naufragio nei territori di
nostro signore il Sultano.
Nel territorio di Tortosa specificato in questa tregua, non si dovr rinnovare alc
una rocca o fortilizio o castello, n alcuna opera di fortificazione, trincerament
o e simili.
TRATTATO CON ACRI.
(IBN 'ABD AZ-ZAHIR, Tashrf, 69 r - 85 v).
In quest'anno (682 / 1283) nostro signore il Sultano assent alla richiesta della
gente d'Acri, allorch i loro ambasciatori si presentarono pi volte al suo cospetto
, in Siria e in Egitto, per cagion della pace. Egli proib loro di venire per via
di terra, invitandoli a venire solo per mare, ove avessero voluto presentarsi a
lui; e cos fecero. La conclusione fu che essi cedettero alla volont del Sultano, d
opo aver accampato esorbitanti pretese allo spirare della tregua (del Malik az-Z
ahir) (40): nel safar di quest'anno (maggio 1283), vennero dunque i delegati e m
aggiorenti d'Acri, e fermarono la pace; essa fu giurata dal Sultano in presenza
degli ambasciatori franchi, cio due fratelli dell'Ordine dei Templari, due degli
Ospitalieri, e due cavalieri regi, il governator generale Guglielmo e il visir F
ahd. Il testo era del seguente tenore:
E' stabilita la tregua fra nostro signore il Sultano al-Malik al-Mansr (Qalawn) e
suo figlio al-Malik as-Salih 'Al' ad-dunya wa d-din 'Ali - Iddio renda eterno il
loro potere! -, e le autorit del Regno d'Acri, Sidone e 'Athlth e territori dipend
enti, a cui la tregua si estende. Sono costoro il siniscalco Odo, Reggente del R

egno d'Acri (41), il Gran Maestro "frre" Guillaume de Beaujeu, gran maestro dell'
Ordine dei Templari, il Gran Maestro "frre" Nicolas Lorgues, gran maestro dell'Or
dine dell'Ospitale, e il Maresciallo "frre" Corrado, luogotenente del Gran Maestr
o dell'Ospitale teutonico. La tregua ha una durata di dieci anni interi, dieci m
esi, dieci giorni e dieci ore, a cominciare dal gioved cinque di rab' primo del 68
2 dell'gira del Profeta, corrispondente al tre di hazirn dell'anno 1594 di Alessan
dro figlio di Filippo il greco (3 giugno 1283). La tregua comprende tutti gli st
ati di nostro signore il Sultano al-Malik al-Mansr e di suo figlio il sultano alMalik as-Salih 'Al' ad-dunya wa d-din 'Ali: rocche e castelli e territori e provi
nce e citt e villaggi e seminati e terreni. E cio (43): il regno d'Egitto con tutt
e le sue marche e rocche e castelli musulmani, la marca di Damiata, la marca di
Alessandria, Nastarawa, Santariyya, e ogni porto e lido e terra relativa; la mar
ca di Fuwwa e di Rosetta; i paesi del Higiz; la marca ben guardata di Gaza con tu
tti i suoi porti e territori; la provincia di Karak, Shawbak e territorio, as-Sa
lt e territorio, Bostra e territorio; la provincia dell'Amico di Dio (Hebron) su cui siano le benedizioni di Dio! -; la provincia della nobile Gerusalemme e s
uo territorio, del Giordano, di Betlemme e territorio, con ogni terra in essa in
clusa e computata; Bait Gibrl; la provincia di Naplusa e territorio; la provincia
di Alatrn e territorio, Ascalona e suo territorio, porti e coste; la provincia d
i Gialla e Ramla, suo porto e territorio; Arsf, suo territorio e porto; Cesarea,
suo porto e litorale e territorio; la rocca di Qaqn e territorio; Lidda e territo
rio; la zona di al-'Awgi e relative saline; la zona della felice conquista, con i
l suo territorio e i suoi seminati; Baisn e suo territorio, at-Tur e territorio,
al-Lagin e territorio, Giubnn e territorio, 'Ain Gialt e territorio, al-Qaimm e terr
itorio con tutto ci che ne dipende; Tiberiade e il suo lago e territorio; la prov
incia di Safad e dipendenze; Tibnn e Hunn con ogni lor terra e territorio; ash-Sha
qf, detto Shaqf Arnn, con territorio e dipendenze; il paese di al-Qarn e sue dipend
enze, fuorch ci che specificato in questa tregua; la met della citt di Alessandretta
e del borgo di Marn coi lor villaggi e vigne e giardini e campi - e il resto del
territorio della Alessandretta suddetta apparterr tutto coi suoi confini e terre
a nostro signore il Sultano e a suo figlio -, mentre l'altra met andr al Regno di
Acri; al-Biq' al-'Azizi (43) e territorio, Mashghar e territorio, Shaqf Tirn e ter
ritorio; tutte le caverne, Zalaya e altre; Baniys e territorio; la rocca di as-Su
baiba coi suoi laghi e il territorio; Kawkab e territorio; la rocca di 'Agin e te
rritorio; Damasco e la provincia damascena con le sue rocche e terre e distretti
e territorio; la rocca di Baalbek e territorio; la provincia di Hims e territor
io e confini; la provincia di Hamt, con la sua citt e rocca e terre e confini; Balt
unus e territorio; Sahyn e territorio; Barzayya e territorio; le conquiste di His
n al-Akrd e territorio; Safith e territorio; Mai'r e territorio, al-'Uraima e terri
torio; Maraqiyya e territorio; Halab e territorio; la rocca di 'Akkr e territorio
e paesi; al-Qulai'a e territorio; la rocca di Shaizar e territorio, Apamea e ter
ritorio, Gibala e territorio, Abu Qubais e territorio; la provincia di Aleppo, co
n tutte le rocche citt paesi e castelli connessi; Antiochia e territorio, con qua
nto rientra nelle benedette conquiste (44); Baghrs e territorio, Darbsk e territor
io, Rawandn e territorio, Harim e territorio, 'Aintb e territorio, Tizn e territori
o, Saih al-Hadd e territorio; la rocca di Nagm e territorio, Shaqf Dair Kush e ter
ritorio; ash-Shughr e territorio, Baks e territorio, as-Suwaida e territorio; alBab e Buza'a e lor territorio; al-Bira e territorio, ar-Rahba e territorio, Sala
miyya e territorio, Shumaims e territorio, Tadmor e territorio; e tutto ci che a q
ueste terre si connette, specificato o no che sia.
(Sicurezza garantita a tutti questi paesi) da parte delle autorit del Regno d'Acr
i, e cio il Reggente del Regno, il Gran Maestro dei Templari "frre" Guillaume de B
eaujeu, il Gran Maestro degli Ospitalieri "frre" Nicolas Lorgues, e il Maresciall
o "frre" Corrado, luogotenente del Gran Maestro degli Ospitalieri teutonici; nonc
h da tutti i Franchi, fratelli e cavalieri rientranti sotto la loro obbedienza e
compresi nel loro Stato del Litorale; e da tutti quanti i Franchi indistintament
e, stabiliti in Acri e nei territori costieri compresi nella tregua, chiunque di
essi sia a giungervi per terra o per mare, di qualsiasi razza e persona.
I territori di nostro signore il sultano al-Malik al-Mansr e di suo figlio il sul
tano al-Malik as-Salih, i loro castelli rocche terre e villaggi ed eserciti, Ara

bi Turcomanni e Curdi, e i lor sudditi di qualsiasi razza, con tutti i loro aver
i, greggi robe raccolti e altro, non avranno a temer danno nocumento e incursion
e, attacco e molestia alcuna. E cos tutto ci che conquister nostro signore il sulta
no al-Malik al-Mansr e suo figlio il sultano al-Malik as-Salih, di lor mano o att
raverso le loro truppe e i loro luogotenenti, di paesi e castelli e rocche e pro
vince, per terra e per mare, in pianura e in montagna.
Parimenti (avran sicurt) tutti i paesi litoranei dei Franchi su cui ora stabilita
la tregua, e cio: la citt di Acri, coi suoi giardini, terreni e mulini e vigne di
pendenti, coi diritti da essa percepiti nel circondario, e le terre stabilite in
questa tregua, in numero di settantatr contrade coi loro seminati: il tutto in p
iena propriet dei Franchi. Cos Caifa e le sue vigne e giardini, con sette contrade
dipendenti. Cos Marina, con la terra nota con tal nome, apparterr ai Franchi. Cos
ai Franchi apparterranno il monastero di Sayg (?) e quello di Mar Elias. Del terr
itorio del Carmelo, nostro signore il Sultano posseder in proprio 'Af e al-Mansura
, mentre il resto, tredici contrade, sar dei Franchi. Per 'Athlth, la rocca e la c
itt, e i giardini che son stati tagliati, le vigne e i colti e i terreni saranno
dei Franchi, con sedici contrade; mentre sar propriet di nostro signore il Sultano
il qui nominato villaggio di al-Harams, coi suoi diritti e seminati; il resto de
l territorio di 'Athlth sar a mezzo, fuor della parte toccante agli augusti beni p
rivati del Sultano, con otto contrade. I fondi degli Ospitalieri in provincia di
Cesarea saranno propriet dei Franchi con tutto ci che contengono. Met della citt di
Alessandretta e del borgo di Marn con quanto contiene sar dei Franchi, e il resto
sar propriet di nostro signore il Sultano; e tutti i diritti e i raccolti di Ales
sandretta e del borgo di Marn saranno a mezzo. Per Sidone, la rocca e la citt, le
vigne e il circondario con tutto ci che ad esso si riferisce sar dei Franchi; essi
avranno la propriet di quindici contrade, con tutto ci che si trova in pianura di
fiumi, acque, fonti, giardini, mulini, canali, acque correnti e dighe, con cui
secondo un antico uso irrigano le loro terre; il resto di tutto il territorio mo
ntano apparterr tutto quanto a nostro signore il Sultano e a suo figlio. Tutti qu
esti territori di Acri, e quelli specificati nella tregua, avran sicurt da parte
di nostro signore il Sultano e di suo figlio, dei suoi eserciti e truppe, sia la
parte di piena propriet sia quella a mezzo, in totale sicurt con i loro abitanti.
All'infuori di Acri, 'Athlth e Sidone, e fuor delle mura di queste tre localit, i
Franchi non potranno rinnovare muro n rocca n fortilizio n castello, vecchio o nuov
o che sia.
Le galere di nostro signore il Sultano e di suo figlio, quando siano equipaggiat
e e prendano il mare, non potranno arrecare veruna molestia ai paesi costieri co
mpresi in questa tregua. Quando le dette galere sian dirette contro un paese div
erso da questi, il cui sovrano sia per legato da un trattato con le autorit del re
gno d'Acri, le galere non potranno sostare n rifornirsi nei paesi contemplati da
questa tregua; mentre se il sovrano del paese contro cui si dirigono le galere n
on legato da trattato con le autorit del regno d'Acri, le galere potranno farvi s
osta e rifornimento. Ove, Dio guardi, una di queste galere venisse a far naufrag
io in un porto o sul litorale contemplato dalla tregua, se era diretta contro un
alleato del Regno d'Acri e del suo Capo, il Reggente del Regno d'Acri e i Gran
Maestri degli Ordini dovranno prenderla in custodia, permettere all'equipaggio d
i rifornirsi e riparare ai danni sofferti, e far quindi ritorno al territorio mu
sulmano, restando annullata la rotta della nave naufragata e gettata alla costa
dal mare. Se invece colui verso cui muovevano le galere non legato da alcun trat
tato con quelli di Acri, la nave naufragata potr rifornirsi e riequipaggiarsi dai
paesi contemplati dalla tregua, e riprender la rotta verso la destinazione pres
critta. Clausola, questa, che avr valore per entrambe le parti.
Qualora uno dei Re Franchi o altri d'Oltremare si muova di l per venire a recar d
anno a nostro signore il Sultano o a suo figlio nei loro paesi contemplati dalla
tregua, il Reggente del Regno e i Gran Maestri di Acri saran tenuti a dar notiz
ia dei loro movimenti a nostro signore il Sultano due mesi prima del loro arrivo
; ove arrivino dopo trascorsi i due mesi, il Reggente del regno d'Acri e i Gran
Maestri saranno esenti da ogni responsabilit su questo punto.
Ove si muova un nemico dalla parte dei Mongoli o altri, quella delle due parti c
he per prima ne avesse notizia dovr informarne l'altra. Se un nemico, Dio guardi,

dalla parte dei Mongoli o altri muovesse contro la Siria per via di terra, e le
truppe (sultaniali) si ritirassero dinanzi a lui, ed esso giungesse in prossimi
t dei territori del Litorale compresi in questa tregua, attaccandoli ostilmente,
il Reggente del Regno d'Acri e i Gran Maestri avranno il diritto di provvedere c
on trattative, per quanto in loro potere, alla difesa loro, dei loro sudditi e t
erritori.
Se accadesse, Dio guardi, un moto di fuga per improvviso panico da parte dei pae
si musulmani verso i paesi del Litorale contemplati da questa tregua, il Reggent
e del Regno d'Acri e i Gran Maestri dovranno dar ricovero e protezione a questi
profughi, e difenderli da chi li perseguisse ostilmente, onde possano essere sic
uri e tranquilli con le loro robe. Il Reggente del Regno e i Gran Maestri dovran
no dare istruzioni a tutti gli altri paesi del Litorale cui si applica questa tr
egua, di non permettere ai pirati di mare di rifornirsi di cibo o acqua presso d
i loro, e ove qualcuno ne catturassero lo trattengano, e se quelli fossero venut
i a vendere delle merci li trattengano finch non giunga il legittimo proprietario
e a lui siano rese. Uguali misure prender circa i pirati il Sultano.
La chiesa di Nazaret e quattro case fra le pi vicine saranno riservate per la pia
visita dei pellegrini cristiani, grandi e piccoli, di qualsiasi razza e persona
, provenienti da Acri e dai paesi del Litorale contemplati da questa tregua. Nel
la chiesa, preti e frati terranno le loro preghiere, e le case saranno riservate
ai visitatori della chiesa di Nazaret, che avranno piena sicurt di movimento sin
o ai confini dei paesi compresi in questa tregua. Delle pietre che son nella chi
esa, quelle che si raccolgono (in quanto cadute dal loro luogo) vanno buttate fu
ori, e non va messa pietra su pietra a scopo di ricostruire; n van cercati illega
lmente doni da preti e frati su questo punto (45).
La tregua conteneva le pattuizioni d'uso. Quando nostro signore il Sultano ebbe
giurata la tregua, l'emiro Fakhr ad-din Ayz, "amr hagib", e il cadi Badr ad-din ib
n Razn andarono a prendere il giuramento dei Franchi. Questi giurarono, e l'accor
do rest cos concluso.
FORMULA DEL GIURAMENTO PRESTATO DAL SULTANO PER QUESTA TREGUA.
(IBN AL-FURAT, VII, 181 v - 182 r).

Per Allh per Allh per Allh, in nome di Allh di Allh di Allh, teste Allh Allh Allh, g
e perseguente, nuocente e giovante, raggiungente ed esiziale, conoscitore di ci
che appare e di ci che celato, del segreto e del manifesto, misericordioso e clem
ente; per il Corano e Colui che l'ha rivelato e Colui a cui fu rivelato, Mohamme
d figlio di Abdallh cui Dio salvi e benedica, e per quanto in esso detto, capitol
o per capitolo, versetto per versetto; per il mese di ramadn: io m'impegno a mant
enere questa tregua benedetta, stipulata fra me e il regno d'Acri e i Gran Maest
ri ivi residenti; tregua che comprende Acri 'Athlth e Sidone col relativo territo
rio qui compreso. La durata della tregua sar di dieci anni dieci mesi dieci giorn
i e dieci ore, a partire dal gioved cinque rab' primo dell'anno dell'gira 682. Io o
sserver la tregua dal principio alla fine, la manterr e mi atterr a tutte le condiz
ioni in essa esposte, regolandomi secondo le sue norme fino allo spirare del tem
po da essa previsto. Non caviller su di essa n su cosa alcuna che essa contenga, e
non solleciter responsi legali al fine di romperla (46), sino a che le autorit di
Acri Sidone e 'Athlth, cio il Reggente del Regno d'Acri, il Gran Maestro del Temp
io e quello dell'Ospitale, e il luogotenente del Gran Maestro dell'Ospitale teut
onico, sia gli attuali sia chi a loro succeder nella reggenza del Regno e a capo
degli Ordini nel regno suddetto, manterranno il giuramento che ora essi prestano
a me, a mio figlio al-Malik as-Salih e agli altri miei figli, sulla stabilit di
questa tregua ora redatta, applicandone le condizioni in essa esposte fino alla
sua scadenza, e attenendosi alle sue norme. Se io dovessi venir meno a questo gi
uramento, sar tenuto ad andare in pellegrinaggio per trenta volte scalzo e a capo
scoperto alla Casa di Dio alla Mecca, e a digiunare per tutto il tempo (relativ
o), fuor dei giorni in cui ci proibito.

Menzionate le altre clausole del giuramento, conclude:


e Allh garante di ci che qui noi diciamo.
FORMULA DEL GIURAMENTO DEI FRANCHI.
(IBN AL-FURAT, VII, 182 r - 183 r).
Per Iddio per Iddio per Iddio, in nome d'Iddio d'Iddio d'Iddio, teste Iddio Iddi
o Iddio, per il Messia il Messia il Messia, per la Croce la Croce la Croce, per
le tre Persone d'un'unica sostanza, denominate il Padre il Figlio e lo Spirito S
anto e formanti un unico Dio; per la Divinit (47) venerabile dimorante nella augu
sta Umanit, per il puro Evangelo e ci che esso contiene, per i quattro Evangeli tr
asmessi da Matteo Marco Luca e Giovanni, per le loro preghiere e benedizioni; pe
r i dodici Apostoli e i settantadue Discepoli e i trecentodiciotto (Padri di Nic
ea) congregati nella Chiesa; per la voce che discese dal cielo sul fiume Giordan
o e ne ricacci indietro i flutti; per Iddio rivelatore del Vangelo a Gesti figlio
di Maria, Spirito e Verbo di Dio; per la Madonna, santa Maria madre della Luce;
per Giovanni il Battista; per santa Marta e Maria; per la Quaresima; per la mia
fede e il Dio da me adorato, e i dogmi cristiani in cui credo, e per quanto mi
stato inculcato dai Padri e dai Preti che mi han battezzato. Da questo momento e
da quest'ora, consacro tutta la mia intenzione e il mio intimo proposito a mant
enere al sultano al-Mansr, a suo figlio al-Malik as-Salih e ai loro figli tutti g
li impegni compresi in questa tregua benedetta, per cui si conclusa la pace, val
evole per il Regno d'Acri Sidone 'Athlth e territori relativi, inclusi in questa
tregua e ivi specificati. Durata della tregua saranno dieci anni interi, dieci m
esi, dieci giorni e dieci ore, a datare dal gioved tre del mese di hazirn dell'ann
o 1594 di Alessandro figlio di Filippo il Greco. Io applicher tutte le pattuizion
i ivi enunciate, una per una, e mi impegno a tener fede a ogni clausola compresa
nella detta tregua fino alla sua scadenza. Per Iddio Iddio Iddio, per il Messia
e la Croce e la mia fede, io non arrecher danno n molestia alcuna agli Stati del
Sultano e di suo figlio, n ai popoli tutti che essi comprendono o comprenderanno,
n a quanti da essi vengono ai paesi compresi in questa tregua, nelle persone e n
egli averi. Per Iddio, per la mia fede e per Colui che adoro, io seguir nella lea
le osservanza del patto e della tregua, nella schietta amicizia, nella tutela de
lla popolazione musulmana e di quanti vengono e vanno dagli Stati del Sultano, l
a via di chi sincero confederato e si obbliga a evitare ogni molestia e atto ost
ile verso le persone e gli averi. Mi obbligo a tener fede a tutte le pattuizioni
di questa tregua fino alla sua scadenza, sino a che il Malik al-Mansr terr fede a
l giuramento da lui prestato su questa tregua stessa. Io non mancher a questo mio
giuramento e a nessuna sua parte, n vi far eccezione veruna e a nessuna sua parte
, con l'intento di violarlo. Ove vi contravvenissi o lo violassi, sar sciolto dal
la mia religione e fede e dal Dio che adoro, e ribelle alla Chiesa; sar tenuto a
far trenta pellegrinaggi alla nobile Gerusalemme, scalzo e a capo scoperto; dovr
liberare mille prigionieri musulmani dalla prigionia dei Franchi, e sar sciolto d
alla Divinit discesa nell'Umanit. Questo il mio giuramento, di me Tal dei Tali. La
mia intenzione in tutto ci la stessa del sultano al-Malik al-Mansr e di suo figli
o al-Malik as-Salih, e di chi per mio conto giura la tregua dinanzi a loro sul n
obile Vangelo. Non ho altra intenzione che questa. E Iddio e il Messia son garan
ti di ci che noi qui diciamo.
CADUTA DI AL-MARQAB.
(Tashrf, foll. 149 r -160 r).
E' questo un grande e forte castello, di cui si preoccup di continuo nostro signo
re il Sultano al-Malik al-Mansr - Dio gli dia vittoria - studiando ogni mezzo per

assicurarlo all'Islm, e mettendo in opera ogni consiglio e misura per conquistar


lo e domarlo. Giacch esso aveva sino allora sfidato ogni sforzo dei sovrani (dell
'Islm), nessun dei quali era stato capace di avvicinarvisi, nonch di investirlo. I
l Malik az-Zahir (Baibars) aveva bens condotto pi volte delle puntate offensive co
ntro di esso, ma Iddio non aveva destinato n agevolato (a lui) la sua conquista,
non gliela aveva assegnata in sorte n affrettata: una volta egli si era messo in
marcia alla sua volta da Hamt, e lo incolsero neve e grandine e piogge, che con l
e difficolt del terreno gli impedirono di raggiungere quell'obbiettivo; un'altra
volta volle attaccarlo partendo da una diversa base, e non riusc a muovergli cont
ro con sufficiente apparecchio. Insomma Iddio lo riserv a nostro signore il sulta
no (Qalawn), perch fosse delle sue luminose conquiste, e potesse di esso fregiarsi
la pi bella sua vita. Gli Ospitalieri che lo tenevano si erano fatti sempre pi in
solenti e infesti e micidiali, al punto che la gente delle rocche vicine era rid
otta come in un carcere, anzi in una tomba. I Franchi credevano che quel castell
o fosse inattaccabile con qualsiasi sforzo e stratagemma, e che non ci fosse ast
uzia bastante ad averne ragione; perci perseverarono in quella condotta superba,
non mantennero i giuramenti, e nell'episodio di al-Qulai't (48) commisero ogni ma
la azione di perfidia, catturando e predando. Ma nostro signore il Sultano al-Ma
nsr faceva loro la posta come un leone sterminatore, e si occupava senza dar nell
'occhio dell'affare di questo castello, illuminato dalla superna guida ogni volt
a che coloro accendevano un fuoco di guerra. Egli apprest da Damasco le macchine
d'assedio, senza che nessuno sapesse dove fossero destinate ed avviate; e furono
insieme mobilitati gli uomini dai vari paesi, con i viveri, i comandanti, gli e
quipaggiamenti, in quantit innumerevole. C'era chi diceva che la spedizione fosse
intesa contro la Rocca dei Greci (49), e chi altrove. Il Sultano aveva fatto ap
prestare d'Egitto un grande arsenale, con gran fasci di frecce e altre armi, e c
os furon distribuite dotazioni di frecce agli emiri e alle truppe, da portar con
loro e produrre quando fosse loro richiesto; e furono apprestati ordigni di ferr
o e tubi lanciafiamme, quali solo si trovano nei magazzini e arsenali sultaniali
. Tutto ci fu apprestato prima ch'egli si mettesse in viaggio ed in marcia. Furon
o inoltre arruolati una quantit di artificieri esperti dell'arte degli assedi, e
pratici degli investimenti; furono apprestate le catapulte delle rocche circonvi
cine, e mobilitate senza chiasso e dar nell'occhio le guarnigioni relative. Cata
pulte e ordigni bellici furono trasportati a spalla. Nostro signore il Sultano p
art infine dal campo di 'Uyn al-Qasab, e con rapida marcia venne a investire la ro
cca di Marqab il mercoled dieci safar (684 / 17 aprile 1285).
Immediatamente furono addotte col le catapulte, portate a spalla, e quella rocca
fu circondata da un cerchio micidiale, iniziandosi il suo assedio sotto gli ausp
ici del pi grande Sultano. Furon rizzate le catapulte di tipo "franco" e "qarabug
ha", fra cui tre grandi catapulte "franche", tre "qarabugha", e quattro "diavoli
", circondando d'ogni parte la rocca: ed esse iniziarono un lancio di pietre for
midabile e micidiale, mentre d'ogni lato si inizi lo scavo per la posa delle mine
. Le catapulte "franche" mandarono in pezzi quelle del nemico, e le macchine mus
ulmane poterono cos avanzare fin presso la rocca. Ma i Franchi ripararono le loro
, e bersagliando quelle musulmane ne fracassarono alcune, restando uccisi vari M
usulmani che le servivano; giacch incontestabile che la guerra ha alterne vicende
, e non sempre l'uomo ne riporta salva la pelle. Condotta a termine la galleria
per la mina del Sultano, fu stipata di legna e le fu dato fuoco il mercoled dicia
ssette rab' primo (25 maggio): il fuoco ag al centro della galleria sotto la torre
all'angolo del bastione, e i Musulmani mossero all'assalto per scalare il basti
one stesso; ma, appiccatasi violenta battaglia, gli sforzi dei Musulmani per sal
ire non riuscirono, e l'attacco fall. Al cader del giorno, croll la torre, aggrava
ndo a impressione dei nostri la difficolt di giungere a metter piede nella rocca.
Si pass cos la notte in gran turbamento, essendo fallito l'espediente delle catap
ulte per quel che era accaduto, ed essendosi fatto con le mine tutto ci che si po
teva: Iddio solo poteva ormai sterminare il nemico. E infatti il venerd seguente
Iddio fece scendere la sua benignit e grazia, e ci soccorse coi suoi angeli a Lui
pi prossimi e con tutte le schiere celesti, che accorsero a dar la vittoria all'
Islm: Egli fece immaginarsi ai Franchi che le gallerie delle mine fossero a quel
modo (avanzate) sotto tutto il resto delle mura, raggiungendo i fossati e di qui

le torri e attaccando quindi le mura stesse; e (in realt) le gallerie passando p


er condotti di sotto i fossati giungevano sotto le torri, senza che i Franchi se
ne fossero accorti. Quando videro ci, rimasero sconcertati e disanimati, si tenn
ero per indubbiamente spacciati e presi senza rimedio al laccio, e chiesero di v
enire a trattative per aver la vita salva, ed essere trattati con benigna indulg
enza. Dopo aver preferito la morte alla vita, preferirono la vita alla morte, e
si accertarono che se non avessero pensato a salvare (allora) la vita, sarebbero
stati irrimediabilmente perduti.
Essi impetrarono quindi la clemenza di nostro signore il Sultano e il suo perdon
o. E la situazione volle che nostro Signore il Sultano ritenesse preferibile l'a
ssicurarsi l'acquisto di questo grande castello anzich dilungarsi ad assediarlo;
giudicando che il differire la cosa avrebbe fatto passare l'occasione migliore,
essendo meglio cogliere piuttosto l'immediato vantaggio; e che i Franchi del cas
tello, se anche si salvavano dal fuoco della morte in battaglia, non si sarebber
o salvati da quello della morte finale. Egli consent quindi a dar loro perdono e
sicurt; ed essi, sicuri che la parola di nostro signore il Sultano valeva pi di qu
alsiasi giuramento, inviarono i loro capi al vittorioso padiglione (sultaniale),
e si limitarono a chiedere la vita salva e nulla pi. Accettarono di non portar v
ia con loro niuna roba e arme di dotazione propria del castello, e solo chi avev
a della roba sua personale ottenne in grazia di poterla portar via con s. Gli emi
ri intercedettero per loro, baciarono la terra in cospetto di nostro signore il
Sultano, e chiesero che la domanda di coloro fosse accolta. Furon quindi loro co
ncessi, per il viaggio dei loro capi, venticinque tra cavalli e muli, con l'equi
paggiamento relativo, e la somma che fu indicata come propriet di alcuni di loro,
duemila "dinr" di Tiro. Vennero loro rilasciati dei salvacondotti, e risalirono
al castello, in compagnia dell'emiro Fakhr ad-din al-Muqri al-Hagib, che ricev il
giuramento del Castellano e di tutti i cavalieri. Cos resero tutta quanta la roc
ca all'ora ottava del venerd diciotto rab' primo (25 maggio). Il vittorioso stenda
rdo del sultano al-Mansr sal sui baluardi, e si lev un coro universale di voti per
nostro signore il Sultano, i cui giorni avevan dato di vedere questa vittoria st
ata a lungo cos inattingibile a ogni sforzo, e per cui si era invano cos a lungo l
ottato.
I Musulmani salirono (a prender possesso della piazza), e dall'alto della rocca
rison l'appello alla preghiera, e la lode e riconoscenza a Dio per aver annientat
o gli adoratori del Messia, e sbarazzato di essi il nostro paese. Si vergaron me
ssaggi con la lieta nuova a tutte le province, e furono spediti i corrieri lator
i di esse da ogni parte. Nostro Signore il Sultano sal (di persona) al castello i
l giorno del sabato: i grandi emiri si adunarono al suo cospetto, e si tenne con
siglio da lui presieduto se demolire la rocca o conservarla. Chi consigli questo
e chi quello, ma l'illuminato avviso del Sultano fu di conservarla per la sua mu
nitezza e saldezza, di riattarla e restaurarla. Egli si conferm nella decisione d
i conservarla, a rovello degli infedeli ed appoggio dei castelli vicini: vi stab
il quindi mille fanti "aqgiyya" (?), balestrieri e combattenti, e quattrocento ar
tigiani, con un gruppo di emiri dotati di banda, e di Mamelucchi bahriti, salihi
ti e mansuriti (50), in numero di centocinquanta uomini. Fece quindi trasferire
sul castello le catapulte che lo avevano (sino allora) battuto, e che presero in
vece a battere il nemico dai suoi bastioni; e cos gli strumenti, legnami, frecce
e materiali d'arsenale e nafta, e ogni altro materiale d'assedio che era presso
la sua nobile Signoria. Costitu infine un particolare feudo facente capo a questa
rocca, composto del territorio di Kafartb, della citt di Antiochia, di Laodicea e
del porto, e dei territori di Marqab stessa gi prima da essa dipendenti, oltre a
ci che era gi dato in feudo prima della conquista; il reddito totale di questo te
rritorio, una volta rimesso in efficienza, era di un milione di "dirham". Le spe
se per riattarlo e il soldo della guarnigione furono dal Sultano ripartite sul p
aese (51), fino alla sua rimessa in efficienza e al ritorno della popolazione lo
cale. Regolate queste faccende, il Sultano - Dio gli dia vittoria - si part, e sc
ese nella pianura alla citt di Bulunys.
CADUTA DI MARAQIYYA.

(Tashrf, foll. 172 r- 178 v).


Quando nostro signore il Sultano - cui Iddio dia vittoria! - ebbe finite le facc
ende di Marqab e fu sceso come abbiam detto al piano, egli prese a occuparsi del
castello di Maraqiyya, e studi il modo di conquistarlo; si rese infatti conto ch
e esso era come un cuneo infitto fra quelle altre rocche, e che nessuna tranquil
lit e sicurezza si sarebbe potuta avere sinch esso sussisteva. Il suo signore si c
hiamava Bartolomeo, ed era uno dei maggiori dei Franchi. Quando fu conquistata (
dai Musulmani) Hisn al-Akrd, egli non pot pi mantenersi in quel paese; tagli quindi
la corda, e se ne and presso i Mongoli cercando protezione sussidio e aiuto, e ri
mase pi anni in quello stato. Quando poi il Malik az-Zahir mor, colui approfitt del
l'occasione e fece ritorno a quel paese, dove cerc di fortificare Maraqiyya; ma,
non bastandogli a ci le forze e temendo gli venisse tolta, costru e fortific un cas
tello di fronte alla terra, aiutato dal Principe signore di Tripoli e da altri F
ranchi, gli Ospitalieri di Marqab e altri. Questo fortilizio si trovava fra Tort
osa e Marqab, di fronte alla citt di Maraqiyya, in mezzo al mare, a due tratti e
pi di freccia dal lido. Era un fortilizio quadrato, largo quasi quanto lungo, ogn
i lato di venticinque cubiti e mezzo, con muraglie di sette cubiti di spessore;
composto di sette piani, era stato costruito su barche affondate in mezzo al mar
e, cariche di pietre: sotto ognuno dei suoi angoli erano affondate novecento (!?
) barche di pietrame; ogni coppia di blocchi delle sue mura era tenuta insieme d
a due sbarre di ferro continue e coperte da una rete di piombo. All'interno del
castello vi era una grande cisterna; sulla cisterna era eretta una volta, su que
sta delle travi di legno, su queste del ciottolame minuto, sui ciottoli della te
la da sacchi, e sulla tela eran fissati dei cordami di canapa; di modo che, ove
il forte fosse bersagliato da una catapulta piantata sulla terraferma, poteva ri
dersene di tale bombardamento, e le pietre ricadevano dalla sua sommit nell'acqua
. La sua guarnigione era di cento soldati; aveva alle spalle congiunto un second
o fortilizio, ed era difeso da tre catapulte montate; era insomma questo castell
o imprendibile per assedio e blocco. I governatori (musulmani) di Hisn al-Akrd e
quelle altre zone, allorch fu costruito questo castello senza che essi potessero
impedirlo, giacch i materiali e gli strumenti venivano per via di mare, furon cos
tretti a innalzare un'altra rocca l presso, nel villaggio di Mai'r, con una guarni
gione a turno di cinquanta uomini; ma ci non riusc di utilit alcuna.
Quando nostro signore il Sultano vide questo castello cos saldo e munito, e che q
uello erettogli a riscontro era stato pi di danno che di vantaggio a chi l'aveva
costruito, e che era impossibile assediarlo essendo esso in mezzo al mare e non
avendo i Musulmani una flotta da tagliargli i rifornimenti e impedirvi l'ingress
o e l'uscita; che si trattava insomma di cosa lunga e a un tempo urgente, di pri
maria ed esclusiva importanza, conquistabile con le armi dell'ingegno e non dell
a milizia; quando dunque si fu reso conto di tutto ci, mand al signore di Tripoli
il seguente messaggio: "Le mie truppe sono libere (da ogni altro compito), e non
rimasto ormai loro altro obbiettivo che te. Questo fortilizio, sei tu in realt c
he lo hai edificato, giacch senza il tuo aiuto non sarebbe stato costruito, ed su
di te che deve caderne il rimprovero. Perci o esso vien demolito, o noi prendere
mo in rivalsa altrettanto del tuo territorio, che il signore di Maraqiyya non ti
servir a difendere; allora ti pentirai quando pi non ti giover il pentimento, e si
lever il coperchio e si riprender indietro il dono". Quando il Principe (52) venn
e a conoscenza di questa ferrea decisione, e si accert della rovina delle sue ter
re e castelli e di tutto il suo Stato, che quelle parole comportavano, e che il
re della terra con i suoi grandi eserciti era alle porte della sua citt, accampat
o nelle sue campagne, ed era ormai fissa l'alternativa o di essere lui assalito
o di doversi demolire quel castello, si adoper a renderlo e demolirlo. Egli soddi
sfece il suo padrone con quanto pi pot di denaro e propriet di terre, dopo una cert
a resistenza da parte del signore di Maraqiyya. Il figlio di costui si era prese
ntato di nascosto al campo del Sultano, e aveva ordito un piano per avere in man
o quel castello e consegnarlo a lui; quindi, sempre di nascosto, si era coi cava
lli della posta diretto ad Acri, dove fu per arrestato da quelli del luogo. Ne gi
unse la notizia al padre, che accorse da Tripoli ad Acri, se lo fece consegnare,

e lo uccise di sua mano in mezzo ad Acri; e cos quel piano and a monte. Ma poi co
lui fin per consentire a render la rocca, per l'intervento mediatorio del Princip
e, e si pieg e rese il castello ai Musulmani. Il Principe invi un certo numero di
Franchi ad aiutare a demolirlo, onde avvenne secondo la parola di Dio: "Buttaron
o gi le loro case con le loro stesse mani e con quelle dei credenti" (53). Il sig
nore di Tripoli sped un suo alto ufficiale a presenziare quella demolizione, qual
e capo della squadra di Franchi a ci inviata, e per far cessare ogni scusa di dov
er procurare gli strumenti di demolizione, ferri e simili. Fu parimenti spedito
l'emiro Badr ad-din Bektsh an-Nagmi, emiro "giandr", con cento genieri (54), per q
uella demolizione; mentre l'emiro "sipahsalr" Rukn ad-din Taqs al-Mansuri con un c
orpo di truppe si trovava di fronte a Gibala, e a lui e ai suoi il Sultano ordin d
i recarsi all'altezza di quel fortilizio, per aiutare e dar mano a demolirlo. Co
s fu demolito pietra per pietra, con uno zelo che ne fece scomparire persino la t
raccia; ma dopo una fatica tale da far gemere le zappe, da indurire le pietre, e
da stancare le forze per quanto fu lunga. Cos Iddio si compiacque di farne spari
re le tracce e rimuoverne la fondazione, liberando i credenti dal suo danno e an
nientandone l'insidia; mentre al suo posto, nei cuori degli infedeli, rimase sol
o il cordoglio.
CADUTA DI TRIPOLI.
(ABU L-FIDA', 162).
Il Sultano al-Malik al-Mansr Qalawn usc in campagna con le truppe egiziane nel muha
rram di quest'anno (688 / febbraio 1289), e pass in Siria; indi, con le truppe eg
iziane e siriane riunite, invest la citt di Tripoli di Siria il venerd primo del me
se di rab' primo di quest'anno (25 marzo). Questa citt per la sua maggior parte ci
rcondata dal mare, e non possibile combatterla per terra se non dalla parte d'or
iente, su un'esigua striscia di terreno. Investitala, il Sultano vi drizz contro
un grosso numero di catapulte grandi e piccole, la strinse vigorosamente d'assed
io e, dopo violenta lotta, la espugn d'assalto il marted quattro rab' secondo di qu
est'anno (27 aprile). Le truppe musulmane vi penetrarono di forza, e la popolazi
one fugg verso il porto: qui alcuni pochi si misero in salvo con le navi, ma la p
i parte degli uomini fu uccisa, i figli presi prigionieri, e i Musulmani trassero
dalla citt vasto bottino. Quando ebbero finito di uccidere e saccheggiare, la ci
tt su ordine del Sultano fu demolita e rasa al suolo.
C'era nel mare, a breve distanza da Tripoli, un'isoletta con una chiesa, detta c
hiesa di San Tommaso, che il porto separava dalla citt. Quando Tripoli fu presa,
una gran quantit di Franchi, con le donne, si rifugi in quest'isola e nella chiesa
che in essa sorgeva. Ma le truppe musulmane si buttarono in mare, passarono a n
uoto coi loro cavalli all'isola suddetta, e l ammazzarono tutti gli uomini rifugi
ativisi, e predarono le donne, i bambini e la roba. Dopo che i nostri ebbero fin
ito il saccheggio, io passai a quest'isola con una barca, e la trovai piena di c
adaveri in putrefazione, al punto che era impossibile soffermarvisi dal fetore.
Finito che ebbe il Sultano la conquista e demolizione di Tripoli, fece ritorno i
n Egitto. Il tempo totale che Tripoli era stata sotto i Franchi fu di centottant
acinque anni e mesi (55).
(MAQRIZI, 746-48).
Il gioved dieci muharram (4 febbraio 1289) il Sultano accamp fuor del Cairo e part
il quindici, lasciando sua figlio al-Malik al-Ashraf Khall come suo luogotenente
nella Cittadella (56), e l'emiro Baidar come luogotenente e visir di quest'ultim
o. Partendo, egli scrisse alle altre province di Siria di apprestare le truppe p
er combattere Tripoli; indi, direttosi su Damasco, vi entr il tredici di safar (7
marzo), e il venti ne riusc diretto a Tripoli, che cinse d'assedio. In aiuto del
la citt erano venute quattro galere da parte del re di Cipro. Il Sultano batt inin
terrottamente la citt con le catapulte e prosegu l'attacco di avvicinamento alle m

ura finch non la conquist di forza all'ora settima del marted quattro di rab' second
o (57), dopo trentaquattro giorni d'assedio; egli aveva drizzato contro la citt d
iciannove catapulte, e aveva impiegato nell'assedio mille e cinquecento artiglie
ri e artificieri. La popolazione cerc rifugio in un'isola di fronte a Tripoli, ma
i nostri, cavalieri e fanti, si buttarono in acqua e catturarono e uccisero que
i fuggiaschi, e predarono le loro robe. Gli armigeri e i palafrenieri catturaron
o molti che si erano imbarcati ma che le onde (58) avevano rigettato sul lido. V
i furon molti prigionieri, tanto che milleduecento di essi andarono a finire nel
l'arsenale del Sultano. Tra i caduti musulmani vi fu l'emiro 'Izz ad-din Ma'n e
l'emiro Rukn ad-din Mankras al-Farqani, e cinquantacinque uomini della Guardia su
ltaniale.
Per ordine del Sultano, Tripoli fu demolita. Lo spessore delle sue mura era tale
che potevan passarvi tre cavalieri (affiancati) coi loro cavalli. La popolazion
e aveva cospicue fonti di ricchezza, tra cui quattromila telai di tessitori.
Il Sultano conferm il possesso di Giubail (Biblo) al suo signore, mediante un tri
buto che ne riscosse; prese Beirt (59) e Gibala e le rocche circostanti, e fece ri
torno a Damasco alla met di giumada primo (giugno 1289). L'esercito si ferm come a
l solito in Hisn al-Akrd col suo governatore, l'emiro Saif ad-din Balbn at-Tabakhi
, e l'avanguardia scese da Hisn al-Akrd a Tripoli, che fu annessa alla giurisdizi
one di at-Tabakhi; rimasero con lui cinquecento soldati, dieci emiri con banda,
e quindici emiri di decine, che ricevettero feudi. Poi il Sultano costru presso i
l fiume un nuovo centro urbano, che riusc una grande e bella citt, ed quella che p
orta ora il nome di Tripoli.

3.
Il figlio di Qalawn, al-Ashraf, comp nel 1291 l'opera del padre, morto mentre gi pr
eparava la campagna contro Acri, e di tutti i suoi predecessori nella lotta cont
ro l'invasore cristiano. La cruenta conquista d'Acri dopo strenua resistenza ci
narrata dallo stesso Abu l-Fid' che vi prese parte come vassallo del Sultano, e l
a cui narrazione si integra con quella del "Templario di Tiro", la pi nota fonte
occidentale sull'episodio che segn la fine dei domini cristiani in Terrasanta. La
fedifraga strage degli eroici difensori dopo la resa da un pi tardo cronista egi
ziano, Abu l-Mahasin, ricollegata con l'analogo massacro che un secolo prima ave
va perpetrato in Acri stessa il Cuor di Leone sui patteggiati prigionieri musulm
ani. E con questa dura applicazione dell'antica legge si chiude l'ultimo atto de
l dramma delle Crociate.
CADUTA DI ACRI.
(ABU L-FIDA', 163-65).
Nel 690 (1291) il sultano al-Malik al-Ashraf marci con le truppe egiziane su Acri
, e mand ordine alle truppe sire di presentarsi portando con s le macchine d'assed
io. Cos il signore di Hamt al-Malik al-Muzaffar si mise in marcia, con suo zio alMalik al-Afdal (60) e tutto l'esercito di Hamt, alla volta di Hisn al-Akrd, dove p
rendemmo in consegna una gran catapulta a nome "la Mansurita", del carico di cen
to carri. (Smontata, i suoi pezzi) furon distribuiti fra l'esercito di Hamt; e la
parte che fu consegnata a me fu di un solo carro, giacch allora ero "emiro di de
cina" (61). La nostra marcia coi carri si svolse alla fine dell'inverno; piogge
e nevi ci colsero tra Hisn al-Akrd e Damasco, onde, per la trazione dei carri e l
a debolezza dei buoi che morivano dal freddo, avemmo a sopportare gravi disagi.
Per causa dei carri, impiegammo un mese di marcia per andare da Hisn al-Akrd ad A
cri, che normalmente un cammino di otto giorni a cavallo. Cos il Sultano ordin del
pari che da tutte le rocche si traessero le catapulte e gli attrezzi d'assedio
verso Acri, sotto cui venne a concentrarsi una quantit mai raccolta altrove di ma

cchine d'assedio grandi e piccole.


Le truppe musulmane giunsero sotto Acri ai primi di giumada primo di quest'anno
(primi di maggio 1291), e si accese violenta la battaglia. I Franchi non chiuser
o la maggior parte delle porte, che erano anzi spalancate, ed essi vi combatteva
no a difesa. Il posto di combattimento di quei di Hamt era secondo il loro solito
all'estrema ala destra: ci trovavamo quindi sul lido del mare, col mare sulla n
ostra destra quando avevamo la fronte rivolta ad Acri; ed eravamo attaccati da i
mbarcazioni protette da incastellature a volta di legno, e rivestite di pelli di
bufalo, da cui ci bersagliavano con frecce e balestre. Cos ci trovavamo a combat
tere di fronte contro la citt, e sulla destra dal mare. Mosse contro di noi una n
ave con su montata una catapulta che ci colpiva, noi e le nostre tende, dalla pa
rte del mare; e ci trovammo in grave imbarazzo, sinch una notte non si scatenaron
o venti violenti, per cui quella nave prese a sollevarsi e ricadere sballottata
dalle onde: la catapulta che vi era su si ruppe andando in pezzi, e non fu pi rim
ontata.
Nel corso di quest'assedio, i Franchi fecero di notte una sortita di sorpresa su
i nostri, misero in fuga gli avamposti e giunsero alle tende, impigliandosi nei
cordami: un cavaliere cadde nella fossa delle latrine d'un corpo al comando di u
no degli emiri, e ivi fu ucciso. Affluite le nostre truppe in numero soverchiant
e, i Franchi dettero di volta e si rifuggirono nella terra, lasciando alcuni mor
ti ad opera delle truppe di Hamt. La mattina dopo, il Malik al-Muzaffar signore d
i Hamt fece attaccare un certo numero di teste di Franchi al collo dei loro caval
li catturati dai nostri, e le present al sultano al-Malik al-Ashraf.
L'assedio si fece sempre pi stretto fino a che Iddio non concesse agli assedianti
di espugnar la citt, il venerd diciassette giumada secondo (17 giugno 1291). Allo
rch i Musulmani la presero d'assalto, una parte della popolazione fugg sulle navi.
Nell'interno della terra c'era un certo numero di torri fortemente munite, in c
ui entrarono e si fortificarono una quantit di Franchi. I Musulmani fecero in Acr
i una strage e una preda innumerevole. Quindi il Sultano costrinse alla resa tut
ti quelli che avevan fatta resistenza nelle torri, che vennero gi fino all'ultimo
e furono fino all'ultimo decapitati fuori della citt (62); e ordin di demolire la
citt stessa, che fu rasa al suolo.
Una coincidenza meravigliosa fu che i Franchi si impadronirono d'Acri togliendol
a a Saladino sul mezzogiorno del venerd diciassette giumada secondo del 587, e ca
tturarono e poi uccisero tutti i Musulmani che vi trovarono; e Iddio nella Sua p
rescienza destin che essa fosse riconquistata quest'anno, il venerd diciassette gi
umada secondo, per mano di un altro Saladino, il sultano al-Malik al-Ashraf (63)
.
Conquistata che fu Acri, Iddio gett lo sgomento nel cuore dei Franchi rimasti sul
litorale di Siria: essi sgombrarono quindi Sidone e Beirt, che prese in consegna
(l'emiro) ash-Shugia'i alla fine di ragiab (fine luglio). Cos anche la popolazio
ne di Tiro scapp via, e il Sultano mand a occuparla; poi ricev la resa di 'Athlth il
primo di sha'bn (30 luglio), poi quella di Tortosa il cinque dello stesso mese,
sempre nel medesimo anno. Questo Sultano ebbe cos la buona sorte che nessun altro
aveva avuto, di conquistare senza fatica e senza colpo ferire queste grandi e s
alde terre, che per suo ordine furono sino all'ultima diroccate.
Con queste conquiste, tutte le terre del Litorale tornarono integralmente in pos
sesso dell'Islm, un risultato che non si osava sperare e desiderare. Cos tutta la
Siria e le zone costiere furono purificate dei Franchi, dopo che essi erano stat
i sul punto di conquistare l'Egitto, e di insignorirsi di Damasco e altre terre.
Sia lode a Dio!
(ABU L-MAHASIN, foll. 24 v - 25 r).
All'inizio dell'anno 690, il Malik al-Ashraf cominci ad apparecchiarsi a partire
per la Siria. Egli riun le truppe, apprest gli strumenti d'assedio e raccolse gli
artieri finch il suo apparecchio fu tutto messo a punto. Usc allora con le sue tru
ppe d'Egitto il tre di rab' primo del detto anno (6 marzo 1291), e and a investire
Acri il gioved quattro di rab' secondo, corrispondente al cinque d'aprile. Si con

centrarono con lui sotto Acri innumerevoli genti, tra cui i volontari erano in n
umero ancor maggiore delle truppe regolari e dei contingenti affluiti al suo ser
vizio. Furon montate contro la piazza quindici grandi catapulte "franche", di qu
elle che gettavano pesi da un quintale damaschino e pi, e altre di minore portata
; oltre a buon numero di "diavoli" e altri tipi. Fu praticato un certo numero di
gallerie per le mine. Il re di Cipro in persona venne a portare aiuto a quei d'
Acri, che la notte del suo arrivo accesero in segno di giubilo dei gran fuochi,
quali mai si eran visti prima; ma egli si trattenne fra loro tre giorni, e se ne
torn via quando vide le loro condizioni disperate e la gravit del disastro che im
pendeva su di loro.
La citt fu assediata e vigorosamente combattuta sinch il morale dei difensori crol
l, ed essi si ridussero indeboliti e discordi. Si combatt ogni giorno e un certo n
umero di musulmani caddero martiri per la fede. All'alba del venerd diciassette g
iumada secondo (64), il Sultano e le truppe, saliti in sella, mossero all'attacc
o prima del sorger del sole; batterono i tamburi con terribile e spaventoso suon
o, e l'esercito serr sotto le mura. I Franchi fuggirono, e la citt fu presa d'assa
lto. Non eran passate tre ore di detta giornata, e i Musulmani erano penetrati i
n Acri e se ne erano resi padroni, mentre i Franchi si buttavano al mare incalza
ti dalle truppe musulmane che li uccidevano e catturavano, onde pochi solo si sa
lvarono. Si pred quanto fu trovato di robe, tesori e armi, e la popolazione fu ma
ssacrata e catturata. Templari, Ospitalieri e Ospitalieri Teutonici ci fecero an
cor resistenza in quattro alte torri nel centro della citt, dove furono assediati
. Il sabato diciannove del mese, due giorni dopo la presa della citt, regolari e
altri attaccarono la casa e la torre ove erano i Templari. Questi chiesero la vi
ta salva, e il Sultano la concesse, mandando loro uno stendardo che essi presero
e innalzarono sulla loro torre. Aperta la porta, sal su un gran numero di regola
ri e altri; ma, venuti a contatto con coloro, alcuni dei soldati e del volgo si
dettero a saccheggiare e ad allungare le mani sulle donne e i bambini che erano
con i difensori. Allora i Franchi richiusero le porte e li attaccarono, uccidend
o una quantit di Musulmani, poi abbatterono lo stendardo e si irrigidirono nella
resistenza. Cos l'assedio di essi riprese. Nella stessa giornata, i difensori del
la torre degli Ospitalieri Teutonici chiesero sicurt, che fu loro concessa dal Su
ltano a loro e alle loro donne, per mano dell'emiro Zain ad-din Ketbogh al-Mansur
i. La lotta contro la torre dei Templari dur sino alla domenica venti di giumada
secondo, quando i Templari e i difensori delle altre torri chiesero sicurt; il Su
ltano la concesse loro a patto che avrebbero potuto recarsi ove avessero voluto,
ma quando uscirono ne ammazzarono pi di duemila, ne catturarono altrettanti, e m
enarono (schiavi) alla porta del padiglione sultaniale le donne e i bambini. Uno
dei motivi dell'ira del Sultano contro di loro, oltre ai loro altri trascorsi,
era stato il fatto che l'emiro Ketbogh al-Mansuri, uno degli emiri di Siria, era
salito su tra gli altri (per riceverne la resa), ed essi lo avevano trattenuto e
d ucciso; e avevano inoltre tagliato i garetti ai loro cavalli, e distrutto tutt
o ci che era stato loro possibile distruggere, accrescendo cos il rancore contro d
i loro. L'esercito e gli irregolari fecero innumerevole preda di prigionieri e b
ottino.
Quando i rimanenti Franchi seppero ci che era accaduto ai loro compagni, decisero
di proseguire la resistenza fino all'ultimo: respinsero la profferta sicurt, com
batterono disperatamente, e, catturati cinque musulmani, li precipitarono dall'a
lto della torre; uno solo scamp, e gli altri quattro morirono. Il marted diciotto
(?) del detto mese di giumada fu presa la torre ultima rimasta a far resistenza
in Acri, e i difensori la abbandonarono con promessa di vita salva, essendo stat
a minata da ogni parte. Quando i Franchi ne furono discesi, e fu trasportata via
la maggior parte di quel che conteneva, essa croll su tutta una schiera di Musul
mani che stavan l a vedere, e su quelli dediti al saccheggio, che perirono fino a
ll'ultimo. Dopo di che il Sultano fece metter da parte le donne e i bambini, e d
ecapitare tutti gli uomini, che erano una gran massa di gente.
E' mirabile a notarsi che Iddio altissimo fece conquistar Acri nello stesso gior
no e nella stessa ora in cui l'avevano presa i Franchi; essi si impadronirono di
Acri (65) il venerd diciassette (66) giumada secondo all'ora terza del giorno, d
ettero sicurt ai Musulmani che vi si trovavano, e poi li uccisero a tradimento; e

cos Iddio dette in sorte ai Musulmani di riconquistarla questa volta il venerd al


l'ora terza del giorno diciassette di giumada secondo, e il Sultano dette sicurt
ai Franchi e poi li fece uccidere, cos come i Franchi avevan fatto coi Musulmani;
onde Iddio altissimo trasse vendetta sui loro discendenti.
Quando il Sultano invest Acri, sped un corpo d'esercito, al comando dell'emiro 'Al
am ad-din Sangiar as-Sawabi al-Giashneghr (67), in direzione di Tiro, col compito
di presidiare le strade, raccogliere informazioni, e tener bloccata la citt. Men
tre attendevano a questo, ecco sopraggiungere le navi dei fuggiaschi d'Acri che
cercavano d'entrare nel porto di Tiro. L'emiro imped loro di entrare nel porto, e
allora quei di Tiro chiesero sicurt, e l'ebbero per le persone e gli averi. Cos e
ssi resero la citt, che uno dei pi bei siti e delle salde fortezze; essa non fu es
pugnato dal Sultano Saladino nelle sue conquiste del Litorale, che anzi quando e
gli conquistava un sito e dava sicurt agli abitanti li avviava a questa Tiro, per
la sua munitezza e saldezza. Ma ora Iddio gett lo sgomento nei cuori dei suoi ab
itanti, che la resero senza battaglia n investimento alcuno; mentre il Malik al-A
shraf non aveva avuto in realt alcuna intenzione nei suoi riguardi. Quando egli n
e ricev la resa, vi sped chi provved a diroccarla, e a demolirne le mura e gli edif
izi, da cui si ricav una quantit di marmi e rottami. La presa di Tiro cos agevolata
, il Malik al-Ashraf si rafferm nella decisione di procedere alla conquista di qu
anto ancor rimaneva oltre essa (dei territori dei Franchi) (68).
NOTE "PARTE QUARTA".
Nota 1. E' il "Mont-Pelerin", eretto da Raymond de Saint-Gilles nel 1103.
Nota 2. In realt la citt fu nel 1109 presa d'assalto, come vedemmo a suo luogo (pa
gine 26-27).
Nota 3. Qui parla il nipote di Ibn 'Abd az-Zahir, compendiatore dell'opera dello
zio.
Nota 4. Con Boemondo Sesto (1177-1233) il principato d'Antiochia e la contea di
Tripoli si erano riuniti sotto la dinastia antiochena.
Nota 5. Nel 1271, tre anni dopo la presa di Antiochia.
Nota 6. Muhyi ad-din Ibn 'Abd az-Zahir, l'autore e narratore.
Nota 7. Cos nel compendio da Ibn 'Abd az-Zahir. Ma in altre fonti l'intestazione
e pi sonante ("il nobile ed eccelso Conte, il prode leone, vanto della nazione cr
istiana, capo della comunit crociata, il cui appellativo passato con la presa di
Antiochia da quel di principe a quel di conte", eccetera); nonostante l'intonazi
one beffarda e polemica, quegli epiteti parvero forse troppi, e furono dal compe
ndiatore lasciati cadere. Nella nostra traduzione, il testo spesso guasto di Ibn
'Abd az-Zahir emendato su quello di an-Nuwairi (in QUATREMERE, "Sultans Mamlouk
s", I, II, pagine 190-91).
Nota 8. S'intende: al minacciato ritorno dell'esercito musulmano contro Tripoli.
Nota 9. Spesseggiano nelle frasi seguenti gli intraducibili giochi di parole, ch
e vedemmo gi vanto di 'Imd ad-din al-Isfahani.
Nota 10. La cattedrale di San Pietro (confer Parte Prima), centro della vita rel
igiosa e municipale di Antiochia cristiana.
Nota 11. Il porto d'Antiochia, alla foce dell'Oronte.
Nota 12. L'Oronte detto dagli Arabi "al-'Asi" "il ribelle", per il suo corso da
sud a nord.
Nota 13. Ugo Secondo, che mor a 14 anni nel 1267.
Nota 14. Isabella, sorella minore di Enrico Primo.
Nota 15. Ugo Terzo aveva in moglie Isabella di Ibelin.
Nota 16. Ugo di Brienne, figlio di Maria, sorella maggiore di Enrico Primo.
Nota 17. In Cilicia, o piccola Armenia.
Nota 18. Carlo d'Angi cominciava gi ad accampate i diritti alla corona nominale di
Gerusalemme (cio al regno effettivo di Acri), acquistati da Maria d'Antiochia, e
ufficialmente proclamati nel 1277.
Nota 19. E' ancora il compendiatore che parla.
Nota 20. Una tregua con Ugo Terzo fu dunque conclusa nel 1268, contrariamente a
quanto parrebbe dal precedente racconto di Ibn al-Furt, che pur cita lo stesso Ib

n 'Abd az-Zahir. Ma l'accenno alla sua durata fino ai tempi di Qalawn va riferito
piuttosto alla tregua di Cesarea (maggio 1272) tra Baibars e Acri, rinnovata po
i col trattato fra Qalawn e Acri, per cui confer oltre.
Nota 21. In arabo "La rocca dei Curdi", in francese Krak des Chevaliers, la gran
fortezza degli Ospitalieri a nord-est di Tripoli.
Nota 22. Il perduto storico sciita del secolo dodicesimo, di cui Ibn al-Furt ci s
erba qualche citazione.
Nota 23. Storico damasceno del secolo dodicesimo.
Nota 24. Confer sopra, parte prima, 1.
Nota 25. Un'opera perduta di Usama ibn Munqidh, il celebre autore dell'"Autobiog
rafia". Da tutte queste citazioni appare evidente il procedere compilatorio di I
bn al-Furt.
Nota 26. Lo zio dello storico Abu l-Fid.
Nota 27. Il giovane primogenito di Baibars, che gli succedette poi per un bienni
o (1277-79) sul trono d'Egitto.
Nota 28. Hugues de Revel.
Nota 29. In arabo, i soliti giochi di parole, come pi sotto ove si gioca sul nome
del principe ereditario.
Nota 30. 'Ullaiqa era una delle rocche sire degli Ismailiti. La loro paurosa pot
enza era tramontata dopo i colpi ricevuti dai Mongoli, e ora si barcamenavano tr
a i Crociati e Baibars, pagando talora a entrambi tributo; ma non avevano ancora
perduto il vizio dell'assassinio.
Nota 31. Cronista del secolo quattordicesimo. Anche al-'Aini un mero compilatore
da fonti anteriori.
Nota 32. Emiro mamelucco, da non confondere col Sultano di cui fu pi giovane cont
emporaneo (m. 1335), e autore di una cronaca importante per suoi tempi.
Nota 33. E' il franco Montfort a nord-est di Acri, e apparteneva anch'esso agli
Ospitalieri.
Nota 34. Variante e correttivo dell'antico concetto dell'invidia divina.
Nota 35. Il "corvo" era un tipo di vascello leggero: qui e nelle frasi precedent
i e seguenti, i soliti giochi di parole e doppi sensi.
Nota 36. Il testo del documento qui maldestramente saldato al preambolo.
Nota 37. L'ra seleucidica, cominciante il 311 avanti Cristo.
Nota 38. L'erede designato di Qalawn, che per gli premor nel 1288, onde la successi
one tocc poi al fratello minore al-Ashraf.
Nota 39. Non possediamo il testo della tregua di Baibars, qui richiamata.
Nota 40. La tregua del 1272 con Baibars.
Nota 41. Odo Poilechien, reggente per conto di Carlo d'Angi.
Nota 42. Il lungo e monotono elenco che segue, enumerando all'ingrosso da sud a
nord i domin del Sultano mamelucco d'Egitto, ha l'eloquenza dei fatti ove lo si c
onfronti con la breve descrizione territoriale, un po' pi innanzi, dell'altra par
te contraente. Ne risulta che il "Regno di Gerusalemme" era ridotto a una esigua
striscia costiera da poco a nord di Acri al Carmelo. Fuori di essa, Tiro e Sido
ne, Beirut e Tripoli, e qualche ultima rocca di Templari e Ospitalieri in Siria,
era tutto ci che restava dell'opera delle Crociate. L'elenco degli stati di Qala
wn, a cominciare dalla Citt Santa, equivale a una rassegna di tutti i territori ch
e i Crociati avevano perduto nel corso di un secolo, o avevano invano attaccato.
Nota 43. al-Biq' la Celesiria: l'epiteto di "al-'Azizi" (al singolare per essersi
perduta la coscienza dell'originario plurale del nome: le contrade) le venne da
l Malik al-'Azz, figlio di Saladino.
Nota 44. Le relativamente recenti conquiste di Baibars. Non chiaro invece qual s
ia "la zona della felice conquista", poco innanzi menzionata.
Nota 45. Il diritto musulmano tollera l'esistenza di chiese cristiane in terra d
'Islm, ma non ne ammette il restauro o la costruzione ex novo. Naturalmente, per
concedere in pratica tali restauri, le autorit locali spremevano "donativi" dal c
lero.
Nota 46. Vecchio vizio, non solo musulmano, per farsi sciogliere dai patti giura
ti.
Nota 47. Il testo ha per evidente errore "la Croce"; la correzione del Quatremre.
Nota 48. E' la latina "Coliat", presso 'Arqa, stata poco prima oggetto di una in

cursione degli Ospitalier.


Nota 49. Qal'at ar-Rum, sull'alto Eufrate.
Nota 50. Gli emiri "dotati di banda" sono quelli che disponevano di una propria
orchestra militare ("tablkhan") a render loro gli onori. I Mamelucchi Bahriti son
o, come abbiam gi detto, gli accasermati sul Nilo ("bahr"), e i Salihiti e Mansur
iti quelli rispettivamente istituiti al nome dell'ayyubita Malik as-Salih e del
Malik al-Mansr, cio Qalawn stesso.
Nota 51. Se bene intendo, sul complesso della vasta unit economico-amministrativa
cos formata, sembrando difficile che il peso fiscale della ricostruzione dovesse
ricadere sulla zona stessa da ricostruire.
Nota 52. Cui qui restituito il titolo altrove contestatogli, quale ex signore di
Antiochia.
Nota 53. Corano, LIX, 2.
Nota 54. In arabo "haggiarn", "tagliapietre" e insieme "lanciapietre", serventi d
elle baliste: un che di mezzo quindi fra artiglieri e genieri.
Nota 55. Secondo il calendario lunare musulmano (502-688), cio centottanta anni s
olari (1109-1289).
Nota 56. La a cittadella" del Monte al-Muqattam, residenza dei Sultani al Cairo.
Nota 57. Il ms. ha "primo", correggibile col contesto stesso, e con Abu l-Fid'.
Nota 58. Il ms. ha "i Franchi", giustamente emendato dal Quatremre.
Nota 59. La caduta di questa citt in realt posteriore di due anni, dopo quella di
Acri per cui confer oltre.
Nota 60. Rispettivamente il cugino e il padre dell'autore, che sar poi a sua volt
a signore di Hamt.
Nota 61. Uno dei primi gradi della gerarchia feudale.
Nota 62. Abu l-Fid' tace della sicurt garantita dal Sultano ai difensori, e poi vi
olata facendoli mettere a morte. Ma confer il racconto che segue di Abu l-Mahasi
n.
Nota 63. Il quale cio portava anche lui, come il suo illustre predecessore, il ti
tolo di Salh ad-din. Nota 64. Il testo ha qui e pi sotto, "primo" (per cui confer
la nota 66 parte quarta). Nelle date seguenti si noter anche la sconcordanza fra
i giorni del mese e quelli della settimana.
Nota 65. Nel 987 / 1191, dopo il famoso assedio (confer sopra).
Nota 66. Il testo ha qui e poco oltre "ventisette", cos come ripete per questa pr
esa d'Acri la data del giumada primo; ma la notata corrispondenza con la prima p
resa sotto Saladino (diciassette giumada secondo) rende pi probabile il "giumada
secondo" di Abu l-Fid', a meno che questi non abbia forzato lui il sincronismo. S
econdo che si accetti l'uno o l'altro di questi due mesi del calendario musulman
o, la tragedia d'Acri si sarebbe svolta nel maggio o nel giugno del 1291.
Nota 67. "Il degustatore", "lo scalco": un titolo della gerarchia di corte.
Nota 68. Cio Beirt, Sidone, 'Athlth, Tortosa, che furon rese tutte o evacuate senza
lotta nell'estate dello stesso anno, come gi abbiam letto in Abu l-Fid'. L'isolot
to di Ruwd di fronte a Tortosa rest in mano ai Templari fino al 1303.

Potrebbero piacerti anche