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-La vita
Nasce a Recanati il 29 giugno 1798, l’anno in cui la cittadina dello Stato pontificio viene
occupata dai francesi.
È il primo figlio del conte Monaldo e della marchesa Adelaide Antici. Proviene da una
famiglia di nobili decaduti. La madre invidiava chi perdeva i propri figli, era una sorta di
liberazione.
Giacomo trascorre gran parte della propria infanzia nella biblioteca del padre, dove
sviluppa la sua passione per la cultura.
1804-1812: la prima formazione di Giacomo è affidata a due precettori ecclesiastici.
La sua formazione culturale si consolida tra il 1809 e il 1816: si tratta di sette anni di
studio matto e disperatissimo. Questo studio così intenso sarà però la causa di
irreparabili danni all’organismo del ragazzo.
Nascono le prime prove poetiche. Si dedica alla tradizione dei classici greci e latini, e
alla filologia, cioè allo studio linguistico e letterario dei testi antichi.
Le prime rivalità con il padre sorgono intorno ai 18 anni di Giacomo, quando le sue idee
cominciano a divergere da quelle paterne.
La madre mancò di slanci affettivi verso i figli.
L’unica consolazione per Giacomo furono i fratelli Carlo e Paolina.
-La conversione letteraria del 1816
Intorno al 1816 si colloca la sua conversione letteraria: all’amore per lo studio erudito si
sostituisce un più acceso desiderio creativo, e nascono le prime poesie di rilievo.
Nel 1817 Giacomo si innamora per la prima volta e comincia a fissare i propri pensieri su
un quaderno, costituendo il primo nucleo dello Zibaldone.
Entra poi in contatto epistolare con Pietro Giordani, un importante letterato che, oltre a
incoraggiarlo e consigliarlo, diventa un suo sincero amico.
LA CULTURA E LE IDEE
-Le illusioni
● La poesia è imitazione della natura
● Il suo fine è il diletto
● Non esiste riletto senza illusione
● Gli antichi potevano illudersi grazie alla loro ingenuità
● I moderni sono disillusi a causa della ragione
● Bisogna recuperare le illusioni
● È impossibile perché le illusioni dei moderni sono effimere e frustranti
-Pessimismo cosmico
Tra il 1819 e il 1823 si distacca dal cristianesimo e consolida un punto di vista
rigorosamente materialistico, che esclude ogni ipotesi sull’esistenza di elementi
spirituali.
La nuova causa dell’infelicità dell’uomo è indicata nel rapporto tra il bisogno
dell’individuo di essere felice e l’impossibilità di soddisfare questo bisogno. Leopardi la
definisce teoria del piacere: l’uomo aspira naturalmente al piacere, ma il piacere
desiderato è sempre superiore al piacere effettivamente raggiunto o raggiungibile.
Il desiderio è destinato a non essere soddisfatto perché è limitato.
Queste riflessioni comportano un nuovo giudizio sulla natura, che adesso è considerata
colpevole e malvagia perché provoca nell’individuo il bisogno del piacere senza poter
poi in nessun modo soddisfarlo.
LA POETICA
Leopardi prende posizione nel dibattito fra classicisti e romantici a favore dei primi.
Egli è convinto che la poesia nasca dal contatto con la natura, nel senso che essa
trasforma i dati sensibili attraverso l’immaginazione.
Il romanticismo invece avrebbe interrotto il legame tra poesia e sensi, fra poesie e
natura.
Questo legame perduto a causa della civiltà è in parte recuperabile imitando gli antichi.
Lo stile e le forme
-Leopardi classicista
Formatosi nei primi anni dell’ottocento, Leopardi ha interiorizzato una concezione
classicistica dello stile. Soltanto nello zii Baldoni, scritto per proprio uso esclusivo e non
destinato alla pubblicazione, Leopardi adottò uno stile diretto e tenuto attivo, tendente
di solito alla precisione ma anche ricco di partecipazione emotiva.
LO ZIBALDONE
Nel 1817 Leopardi inizia a trascrivere le proprie riflessioni in un quaderno, chiamato
‘Zibaldone di pensieri’. La parola zibaldone indica una mescolanza confusa e senza
criterio. Il titolo allude alla varietà disordinata dei temi affrontati e al carattere
frammentario provvisorio della scrittura.
L’ultimo appunto fu scritto nel 1832. Lo Zibaldone fu pubblicato tra il 1898 e 1900, a
cura di Giosuè Carducci.
Lo Zibaldone è un diario intellettuale privato e filosofico e anche un quaderno di lavoro,
che raccoglie appunti di letture, citazioni, discussioni; vi sono presenti riflessioni libere
ed è un deposito della continua ricerca leopardiana, in continua evoluzione.
La scrittura dello Zibaldone riflette il carattere di frammentarietà e precarietà
dell’opera: i periodi sono spesso interrotti da abbreviazioni, talvolta il discorso procede
per punti con verbi all’infinito o espressioni nominali.
LE OPERETTE MORALI
Il titolo è quasi un ossimoro: operette indica la piccola dimensione dei testi, ma
soprattutto il loro spirito giocoso; morale indica il contenuto alto, di carattere filosofico-
esistenziale.
Inserisce personaggi reali ma anche di fantasia.
Leopardi compone le prime operette morali nel 1824. Si tratta di 20 prose di argomento
filosofico e dal tono satirico, in forma di narrazione o di discorso o di dialogo.
La loro stesura si colloca nel periodo del silenzio poetico, durante il pessimismo
cosmico.
L’edizione definitiva uscì nel 1845, approdata da Ranieri: esclude un testo è ne aggiunge
altri quattro, tra cui il Dialogo di Plotino e Porfirio.
-I temi
Leopardi rappresenta il dolore degli uomini, smaschera le illusioni consolatorie e indica
nuovi modelli di comportamento capaci di reagire all’infelicità; il piacere; rapporto
uomo-natura; confronto antichi-moderni.
Da Leopardi al Novecento
Le Operette morali nascono senza un pubblico che possa capirle e apprezzarle.
Eppure la prosa e la poesia di Leopardi influenza tutta la produzione letteraria italiana.
Distinguiamo:
-Piccoli idilli:
1) l’infinito
2) la sera del dì di festa: alterna il confronto con l’intenso notturno lunare e la
meditazione sull’immensità del passato irrecuperabile
3) il sogno
4) la vita solitaria.
APPUNTI
Leopardi punta il dito sulla società e sull’Italia rispetto all’antica Roma. L’uomo è
lontano dal sentimento puro che provavano gli antichi.
E compì studi classici, studia Catullo, Orazio e Virgilio. Si definiva classicista perché
credeva che i romantici portassero una poesia lontana da quella classica.
● L’uomo è nato mortale e desidera piacere infinito. Le uniche forze che ti fa
andare contro il piacere infinito sono le illusioni e il ricordo (RIMEMBRANZA).
L’illusione di raggiungere un desiderio è il desiderio stesso e non si placa.
● È ateo e si forma su Lucrezio.
● Si innamora di Tozzetti e scrive ‘Il ciclo di Aspasia' in cui celebra la crudeltà della
donna
● Per Leopardi il piacere è figlio dell’ affanno, della fatica perché nasce quando hai
raggiunto qualcosa
L’INFINITO
Il poeta è sul colle Tabor, a Recanati, detto colle dell’Infinito. Un luogo caro al poeta
perché è un posto solitario e silenzioso, dove si può sognare e meditare. Leopardi è
seduto sul colle, una siepe non gli permette di guardare e spaziare sino all’estremo
orizzonte. Questo limite dato dalla siepe, permette però al poeta di lasciarsi andare con
l’immaginazione.Si aprono così spazi sterminati, silenzi sovrumani, superiori cioè
all’intendimento umano, e una grande quiete. Questa percezione dell’infinito genera nel
poeta un senso di sgomento religioso per l’intuizione che egli ha di una realtà che lo
trascende (vv.1-8).In un primo momento, la percezione dell’infinito, suscita nel poeta un
senso di paura, ma poi passa alla dolcezza del “naufragare”, del perdersi in esso, perché
la percezione dell’infinito gli fa perdere, per qualche istante, il senso dei limiti in cui egli
come uomo è chiuso, dandogli il senso di una realtà infinita, eterna.
- A volte ci sono nella natura degli elementi materiali che fanno in modo che la nostra
immaginazione sia proficua.
-Nei primi 7 versi e mezzo: INFINITO SPAZIALE: La siepe limita il poeta, che può solo
immaginare cosa ci sia dietro
-Seconda Parte: INFINITO TEMPORALE: ascolta il rumore del vento, che provoca un suono.
-La figura chiave della metrica è l’enjambements, in modo che il discorso sia sempre proteso
verso uno sviluppo ulteriore.
-La contrapposizione tra i pronomi ‘questa’ è ‘quella’ sta a indicare che il primo indica la
concreta presenza degli oggetti considerati, è il secondo indica qualcosa di lontano e
assente, solo immaginabile.
Quando la donna gli dice di essere la natura che egli fugge, l’Islandese pronuncia una lunga
requisitoria contro di essa, parlando della sua vita di patimenti e accusandola di essere la causa
della sofferenza e dell’infelicità degli uomini.La Natura quindi risponde che il mondo non è stato
fatto per il genere umano e per la sua felicità, anzi se un giorno esso si estinguesse, lei forse non se
ne accorgerebbe.
L’Islandese controbatte facendo un esempio.Se fosse invitato da un signore nella sua villa e
all’arrivo in casa fosse maltrattato dai servi e dai figli, rinchiuso in una stanza buia e fredda,
ricorderebbe al signore di essere stato invitato e di non esserci andato di spontanea volontà. Di
conseguenza aveva il diritto di non essere trattato male. La Natura si è comportata con gli
uomini allo stesso modo del signore.La natura sì è vero che non ha fatto il mondo per
gli uomini, ma avendoli fatti nascere, non deve renderli infelici e schiavi, ma deve
trattarli umanamente. Allora la Natura gli ricorda che la vita dell’universo è un ciclo
perpetuo di trasformazioni della materia, a cui nulla sfugge. Quindi l’Islandese domanda il perché
della vita e dell’universo. Una domanda che rimane senza risposta, , che sta a significare il mistero
insondabile dell’universo.II dialogo si conclude in maniera brusca per la misera fine dell’Islandese:
secondo alcuni, fu divorato da due leoni, secondo altri, fu preda di un violentissimo vento, che lo
ricoprì di sabbia, trasformandolo in mummia.