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GIACOMO LEOPARDI

-la centralità di un autore periferico


Nel XIX secolo Leopardi ha un ruolo marginale nella cultura europea per la posizione
relativamente appartata e periferica della lingua e della cultura italiana rispetto a quelle
di altri paesi. Infatti Leopardi scrive in una lingua divenuta periferica, e ne usa una
variante letteraria di non facile comprensione perfino a italiano non colti.
Inoltre, il materialismo ateo, la critica del progresso sono elementi che rendono
Leopardi una presenza scomoda, da neutralizzare o ridurre.
Da qualche decennio le cose sono però cambiate: primo in Italia, dove è stato via via
riconosciuto il valore critico- negativo dell’opera leopardiana.
Leopardi ci insegna a non arrenderci al negativo e a vivere un pessimismo combattivo e
vitale

-La vita
Nasce a Recanati il 29 giugno 1798, l’anno in cui la cittadina dello Stato pontificio viene
occupata dai francesi.
È il primo figlio del conte Monaldo e della marchesa Adelaide Antici. Proviene da una
famiglia di nobili decaduti. La madre invidiava chi perdeva i propri figli, era una sorta di
liberazione.
Giacomo trascorre gran parte della propria infanzia nella biblioteca del padre, dove
sviluppa la sua passione per la cultura.
1804-1812: la prima formazione di Giacomo è affidata a due precettori ecclesiastici.
La sua formazione culturale si consolida tra il 1809 e il 1816: si tratta di sette anni di
studio matto e disperatissimo. Questo studio così intenso sarà però la causa di
irreparabili danni all’organismo del ragazzo.
Nascono le prime prove poetiche. Si dedica alla tradizione dei classici greci e latini, e
alla filologia, cioè allo studio linguistico e letterario dei testi antichi.

Le prime rivalità con il padre sorgono intorno ai 18 anni di Giacomo, quando le sue idee
cominciano a divergere da quelle paterne.
La madre mancò di slanci affettivi verso i figli.
L’unica consolazione per Giacomo furono i fratelli Carlo e Paolina.
-La conversione letteraria del 1816
Intorno al 1816 si colloca la sua conversione letteraria: all’amore per lo studio erudito si
sostituisce un più acceso desiderio creativo, e nascono le prime poesie di rilievo.
Nel 1817 Giacomo si innamora per la prima volta e comincia a fissare i propri pensieri su
un quaderno, costituendo il primo nucleo dello Zibaldone.
Entra poi in contatto epistolare con Pietro Giordani, un importante letterato che, oltre a
incoraggiarlo e consigliarlo, diventa un suo sincero amico.

-Il tentativo di fuga


Grazie a Giordani, Leopardi diventa sempre più consapevole della ristrettezza culturale
di Recanati e del soffocante ambiente familiare.
Proprio una visita di Giordano incoraggia la fuga di Leopardi dalla “prigionia”
famigliare. La fuga fallisce: scoperto dal padre alle vigilia della partenza, Giacomo
rinuncia alla fuga, cadendo in un abbattimento profondo.
Anche le sue condizioni fisiche non sono buone: una malattia agli occhi gli rende a
lungo impossibile ogni attività.
-La conversione filosofica e il materialismo
Leopardi vive dunque a Recanati in tensione continua con la famiglia, che vorrebbe
avviarlo alla carriera ecclesiastica. Al suo diario, lo Zibaldone, affida un gran numero di
riflessioni che segnano la sua conversione filosofica, cioè l’adesione a una concezione
materialistica e atea.
La ricerca poetica si svolge lungo due filoni principali: la poesia sentimentale degli idilli
(L’Infinito, La sera del dì di festa, e Alla Luna), e la poesia impegnata delle grandi
canzoni civili (Ad Angelo Mai, Bruto Minore, Ultimo Canto di Saffo).
Nel novembre del 1822, Giacomo lascia Recanati. È diretto a Roma, ospite degli zii. Ma
la grande città è una delusione: i monumenti dell’antica Roma a lungo sognati lo
lasciano indifferente; la nobiltà è meschina; gli uomini di cultura sono interessati solo a
inutili questioni erudite, e persino le donne gli appaiono brutte.
Non è libero di muoversi per le vie della città perché è guardato a vista dei servitori
degli zii.
Dopo soli sei mesi ritorna a casa, dove si dedica all’elaborazione filosofica e alla scrittura
in prosa,
abbandonando provvisoriamente la scrittura poetica.

Nel 1825 Leopardi si trasferisce a Milano.

-A Pisa e di nuovo a Recanati


Sul finire dello stesso anno, cercando un luogo più mite dove passare l’inverno,
Leopardi si trasferisce a Pisa, città che lo incanta per il clima, per l’aspetto ridente, per
l’accoglienza generosa.
Da qui ricomincia la sua scrittura poetica: Leopardi compone ‘Il Risorgimento’ e ‘a
Silvia’, aprendo il ciclo dei canti pisano- recanatesi.
È costretto da ragioni economiche a ritornare a Recanati.

-L’amicizia di Antonio Ranieri


Nel 1830 si trasferisce a Firenze dove vive in compagnia dell’amico Antonio Ranieri,
nutrendo un amore infelice per Fanny Targioni Tozzetti.
Nel 1831 esce a Firenze la prima edizione dei Canti, che raccolgono quasi tutte le sue
poesie scritte fino a questa data.

-Gli anni napoletani e la morte


Leopardi e Ranieri si trasferiscono a Napoli.
Qui il poeta, gravemente malato, scrive le sue opere più ironiche, scagliandosi contro il
mito del progresso e la fiducia nella scienze e nella tecnica.
Nel 1837, si aggrava ancora e muore il 14 giugno, a soli 39 anni.
I suoi resti sono traslati nella ‘Tomba di Virgilio’

LA CULTURA E LE IDEE

-Le illusioni
● La poesia è imitazione della natura
● Il suo fine è il diletto
● Non esiste riletto senza illusione
● Gli antichi potevano illudersi grazie alla loro ingenuità
● I moderni sono disillusi a causa della ragione
● Bisogna recuperare le illusioni
● È impossibile perché le illusioni dei moderni sono effimere e frustranti

-Il problema dell’infelicità


Il problema intorno al quale Leopardi si interroga per tutta la vita è quello dell’infelicità.
La grande domanda che il poeta si pone è: qual è la causa dell’infelicità dell’uomo?.

-Il pessimismo storico


In un primo momento Leopardi identifica la causa dell’infelicità umana nella civiltà. La
civiltà è contrapposta alla natura, considerata un’entità positiva e benefica perché
produce in lui solide illusioni, che rendono l’individuo capace di virtù e di grandezza
morale.
La civiltà ha invece distrutto le illusioni che rendevano la vita sopportabile, mostrando
all’uomo tutta la tristezza e lo squallore dell’esistenza.
L’uomo è infelice perché si è allontanato dalla natura.
L’infelicità è ritenuta il frutto di un processo storico.

-Pessimismo cosmico
Tra il 1819 e il 1823 si distacca dal cristianesimo e consolida un punto di vista
rigorosamente materialistico, che esclude ogni ipotesi sull’esistenza di elementi
spirituali.
La nuova causa dell’infelicità dell’uomo è indicata nel rapporto tra il bisogno
dell’individuo di essere felice e l’impossibilità di soddisfare questo bisogno. Leopardi la
definisce teoria del piacere: l’uomo aspira naturalmente al piacere, ma il piacere
desiderato è sempre superiore al piacere effettivamente raggiunto o raggiungibile.
Il desiderio è destinato a non essere soddisfatto perché è limitato.
Queste riflessioni comportano un nuovo giudizio sulla natura, che adesso è considerata
colpevole e malvagia perché provoca nell’individuo il bisogno del piacere senza poter
poi in nessun modo soddisfarlo.

-Pessimismo combattivo o eroico


Nell’operetta intitolata ‘Dialogo di Plotino e di Porfirio’, si sviluppa il pessimismo eroico.
Leopardi incoraggia l’uomo ad essere solidale, verso una nuova morale fondata sul
sentimento della fraternità sociale (SOLIDARIETÀ UMANA).

LA POETICA

Leopardi prende posizione nel dibattito fra classicisti e romantici a favore dei primi.
Egli è convinto che la poesia nasca dal contatto con la natura, nel senso che essa
trasforma i dati sensibili attraverso l’immaginazione.
Il romanticismo invece avrebbe interrotto il legame tra poesia e sensi, fra poesie e
natura.
Questo legame perduto a causa della civiltà è in parte recuperabile imitando gli antichi.

-Imitazione degli antichi


Imitare gli antichi per Leopardi significa:
1) recuperare gli ideali civili che furono proprio degli eroi classici per riproporre
nella società presente
2) Ritrovare la capacità conoscitiva che la poesia antica traeva dal rapporto
immediato con la natura e dall’uso dell’immaginazione.
La poesia rimane l’ultimo strumento per recuperare le illusioni che i moderni hanno
distrutto.
Elabora una poetica del vago e dell’indefinito: la poesia può trasformare
l’immaginazione in uno strumento potente di scoperta e di conoscenza grazie alla
capacità del linguaggio di suscitare immagini e sensazioni nella mente del lettore.

-La lingua della poesia


Distinzione tra:
1) Termini: si riferiscono con esattezza e precisione all’oggetto che designano
2) Parole: si riferiscono all’oggetto contrassegnato in modo vago e indefinito
Per Leopardi, il linguaggio della poesia deve essere ricco e complesso.

Lo stile e le forme

-Leopardi classicista
Formatosi nei primi anni dell’ottocento, Leopardi ha interiorizzato una concezione
classicistica dello stile. Soltanto nello zii Baldoni, scritto per proprio uso esclusivo e non
destinato alla pubblicazione, Leopardi adottò uno stile diretto e tenuto attivo, tendente
di solito alla precisione ma anche ricco di partecipazione emotiva.

-Lo stile dei Canti


Anche in poesia Leopardi si mantiene fedele alla tradizione classicista e rifiuta di aderire
alla corrente romantica che si afferma in Italia.
Il classicismo di Leopardi si declina in modi diversi, a seconda dei sottogeneri e delle
date di composizione dei singoli testi, e sa aprirsi a soluzioni nuove e moderne.
Nelle canzoni politiche viene ripresa la struttura tradizionale della canzone
petrarchesca, abbandonano i latinismi e gli arcaismi, la sintassi è ampia e complessa.
Negli Idilli vengono preferiti gli endecasillabi sciolti; il lessico si apre a termini meno
letterari e la sintassi si semplifica.
I canti pisano-recanatesi si segnalano per l’invenzione di una nuova forma metrica: la
canzone libera. Nella canzone libera endecasillabi e settenari si possono alternare
liberamente senza dover rispettare nessuna precisa successione di rime.

LO ZIBALDONE
Nel 1817 Leopardi inizia a trascrivere le proprie riflessioni in un quaderno, chiamato
‘Zibaldone di pensieri’. La parola zibaldone indica una mescolanza confusa e senza
criterio. Il titolo allude alla varietà disordinata dei temi affrontati e al carattere
frammentario provvisorio della scrittura.
L’ultimo appunto fu scritto nel 1832. Lo Zibaldone fu pubblicato tra il 1898 e 1900, a
cura di Giosuè Carducci.
Lo Zibaldone è un diario intellettuale privato e filosofico e anche un quaderno di lavoro,
che raccoglie appunti di letture, citazioni, discussioni; vi sono presenti riflessioni libere
ed è un deposito della continua ricerca leopardiana, in continua evoluzione.
La scrittura dello Zibaldone riflette il carattere di frammentarietà e precarietà
dell’opera: i periodi sono spesso interrotti da abbreviazioni, talvolta il discorso procede
per punti con verbi all’infinito o espressioni nominali.

LE OPERETTE MORALI
Il titolo è quasi un ossimoro: operette indica la piccola dimensione dei testi, ma
soprattutto il loro spirito giocoso; morale indica il contenuto alto, di carattere filosofico-
esistenziale.
Inserisce personaggi reali ma anche di fantasia.

Leopardi compone le prime operette morali nel 1824. Si tratta di 20 prose di argomento
filosofico e dal tono satirico, in forma di narrazione o di discorso o di dialogo.
La loro stesura si colloca nel periodo del silenzio poetico, durante il pessimismo
cosmico.
L’edizione definitiva uscì nel 1845, approdata da Ranieri: esclude un testo è ne aggiunge
altri quattro, tra cui il Dialogo di Plotino e Porfirio.

-I temi
Leopardi rappresenta il dolore degli uomini, smaschera le illusioni consolatorie e indica
nuovi modelli di comportamento capaci di reagire all’infelicità; il piacere; rapporto
uomo-natura; confronto antichi-moderni.

Da Leopardi al Novecento
Le Operette morali nascono senza un pubblico che possa capirle e apprezzarle.
Eppure la prosa e la poesia di Leopardi influenza tutta la produzione letteraria italiana.

-Da Leopardi a Montale


Nella fase più matura della ricerca leopardiana, la natura è considerata un’entità tragica
e distante. Il tema della natura matrigna viene rielaborato dal poeta Montale che ci parla
del “male di vivere”, con un aggravante: mentre Leopardi nella Ginestra confida nella
possibilità per gli esseri umani di allearsi in una lotta solidale contro la natura, Montale
ipotizza solo la speranza minima di una salvezza individuale.

-Da Leopardi a Verga e Pirandello


Leopardi vede nel mito del progresso un’illusione pericolosa. L’illusione del progresso
non solo non risolve l’infelicità ma legittima modelli di civiltà destinati ad accrescerla,
perché privilegiano la competizione anziché la collaborazione e la solidarietà. Questo
pessimismo anticipa il senso di smarrimento che coglierà la cultura europea tra la fine
dell’ottocento e l’inizio del 900.
In campo letterario lo stimolo del pessimismo leopardiano incoraggerà la posizione di
grandi autori, come Verga e Pirandello.

-Da Leopardi a Svevo


Secondo Leopardi, i moderni sarebbero divenuti incapaci di quelle grandi esperienze
che permettono di divenire adulti e di agire concretamente modificando la realtà.
Ciò caratterizza la figura dell’inetto, una tipologia di personaggio destinato al fallimento
esistenziale che ritroviamo nell’opera di Svevo e di Pirandello.
I CANTI
I canti raccolgono tutta la produzione poetica significativa di Leopardi. L’edizione
definitiva fu pubblicata nel 1845, dopo la morte di Leopardi, a cura di Antonio Ranieri.
Ciascun testo dei canti è autonomo e in sé compiuto.

-La modernità dei Canti


Nelle canzoni civili, proprio per l’argomento politico trattato, Leopardi presta la sua
voce ad azioni collettive ed esorta i contemporanei a recuperare la grandezza degli
antichi.
Negli idilli, il soggetto lirico si mette a nudo. Non è più colui che, investiti educatori,
insegna la verità, ma colui che la vive.
Nei canti pisano recanatese, in cui emerge in primo piano il tema del ricordo, il poeta è
l’uomo che guarda il proprio passato e riconsidera la propria storia.
È con la ginestra che ritrova una funzione educativa.

-L’io empirico e la tendenza dell’oggettivazione


E nella poesia leopardiana il soggetto diventa gradualmente un’io empirico, cioè
concreto e addirittura biografico.
Le sue affermazioni in prima persona si fondano sull’esperienza vissuta.
La tradizione lirica precedente si passava invece sul canone impostato da Petrarca, e
dunque sulla centralità di un soggetto astratto ed esemplare.
I canti danno vita a un soggetto che, oltre che vivere e sentire, pensa. Si passa da una
poesia sentimentale e immaginativa a una poesia di pensiero.

-Le tre fasi della poesia leopardiana:


1. prima fase: canzoni e idilli ;1818-1822
2. canti pisano-recanatesi; 1828-1830
3. presenta i testi d’amore del cosiddetto ‘Ciclo di Aspasia’, le canzoni sepolcrali e
La Ginestra.

-LA PRIMA FASE: LE CANZONI CIVILI

La prima strada percorsa dai Canti è quella delle canzoni.


In questi testi Leopardi tenta una poesia impegnata, patriottica e civile. Utilizza un
linguaggio fortemente letterario.
Temi: decadenza dell’Italia e il confronto con gli antichi.
Leopardi scrive: ad Angelo mai, quando ebbe trovato i libri di Cicerone della
Repubblica. Il poeta insiste sul contrasto tra la grandezza degli antichi, la cui voce
risuona nelle carte appena ritrovate.

-Le canzoni del suicidio e la fine dell’impegno civile


Legate al tema del suicidio sono le canzoni:
1) Bruto Minore: testimonia la fine dell’impegno patriottico e civile del poeta.
L’eroe Bruto, deluso dai valori repubblicani in nome dei quali ha guidato la congiura
contro Cesare, dichiara inutile l’impegno ispirato dalla virtù.
2) Ultimo Canto di Saffo: il conflitto è tra l’infelice poetessa, spiritualmente sensibile
ma fisicamente brutta, e la natura, che lei esclude dalla propria bellezza e
armonia.
La prima fase: GLI IDILLI
Dal greco, significa bozzetto. Componimenti in endecasillabi sciolti che, partendo da
uno spunto concreto, sviluppano riflessioni incentrate sull’io.
● Significato di idillo: -quadretto geografico o pastorale; -ideale di vita serena; -
episodio amoroso sognante.

Leopardi sceglie un lessico meno sostenuto è uno stile più colloquiale.

Distinguiamo:
-Piccoli idilli:
1) l’infinito
2) la sera del dì di festa: alterna il confronto con l’intenso notturno lunare e la
meditazione sull’immensità del passato irrecuperabile
3) il sogno
4) la vita solitaria.

-Grandi Idilli: i canti pisano-recanatesi


Dal 1823 al 1827 Leopardi non scrive poesie ma si dedica soprattutto alla prosa.
Dopo il soggiorno a Pisa, scrive il risorgimento e a Silvia.
‘Il risorgimento’ prende vita grazie al silenzio poetico: Leopardi aveva perso ogni
capacità di appassionarsi ed illudersi. Quella capacità rinasce e i sentimenti tornano a
manifestarsi con forza, ma nella consapevolezza dell’indifferenza e dell’insensibilità
della natura

-IL PASSERO SOLITARIO


Il passero solitario scritto dal punto di vista della giovinezza, presagendo il rimpianto
degli anni maturi.
Il poeta paragona la propria vita a quella del passero solitario del titolo e vi individua
numerose analogie: l’amore per la solitudine, l’inclinazione al canto, il rifiuto dei piaceri
della giovinezza. Ma emerge soprattutto la differenza tra le due esistenze: il passero non
rimpiangere di aver sprecato il tempo migliore della propria vita senza goderne,
mentre il poeta si rivolgerà indietro con rimpianto .

-Altri grandi Idilli:


La quiete dopo la tempesta, Il sabato del Villaggio, A Silvia

La terza fase e l’ultimo rinnovamento della ricerca leopardiana


Leopardi negli ultimi anni intraprende un radicale rinnovamento poetico. I testi di
questa fase si orientano in tre direzioni fondamentali:
● L’amore come passione concreta e vissuta
● La dura riflessione filosofica
● La polemica contro il mito del progresso e la proposta di una nuova solidarietà
tra gli uomini
● Si rivolge al presente e a ciò che è tangibile e concreto

-La ginestra, o il fiore del deserto


Con la ginestra composta nel 1836, Leopardi scrive quello che può essere considerato il
suo testamento spirituale.
Il poeta afferma la dignità del proprio andare controcorrente il dovere di denunciare
l’infelicità inevitabile della condizione umana.
La consapevolezza dell’infelicità deve divenire conoscenza di massa, così da consentire
l’individuazione del vero nemico della specie umana: la natura.
È contro la natura che deve formarsi un’alleanza tra tutti gli uomini, tesi a costruire una
rete di solidarietà e di soccorso reciproco.

Il modello positivo di questo comportamento è offerto dall’umile ginestra, che


attende sulle pendici del vulcano la distruzione.Nell'ultima strofa ritorna l'immagine
iniziale della ginestra, che con i suoi cespugli profumati abbellisce quelle campagne
desertificate. Anche questo umile fiore, afferma Leopardi, verrà presto sopraffatto
dalla crudele potenza della lava in eruzione: egli, tuttavia, all'inesorabile
sopraggiungere della colata mortale che lo inghiottirà piegherà il proprio stelo, senza
opporre resistenza al peso della lava. Il poeta vede nella ginestra un simbolo del
coraggio e della resistenza estrema di fronte a un destino inevitabile: a differenza
dell'uomo, il fiore accetta con umiltà il suo tragico destino, senza viltà o folle superbia,
e sopporta con dignità il male che gli «fu dato in sorte».[8]

-Stile dell’ultima stagione leopardiana:


uso particolare della sintassi: periodi brevissimi, anche di una sola parola, si alternano a
periodi lunghi e complessi. Anche il lessico si apre a termini finora assenti dal repertorio
leopardiano.
● Riduzione delle voci dotte e auliche
● Graduale distacco dai moduli classicisti

APPUNTI
Leopardi punta il dito sulla società e sull’Italia rispetto all’antica Roma. L’uomo è
lontano dal sentimento puro che provavano gli antichi.
E compì studi classici, studia Catullo, Orazio e Virgilio. Si definiva classicista perché
credeva che i romantici portassero una poesia lontana da quella classica.
● L’uomo è nato mortale e desidera piacere infinito. Le uniche forze che ti fa
andare contro il piacere infinito sono le illusioni e il ricordo (RIMEMBRANZA).
L’illusione di raggiungere un desiderio è il desiderio stesso e non si placa.
● È ateo e si forma su Lucrezio.
● Si innamora di Tozzetti e scrive ‘Il ciclo di Aspasia' in cui celebra la crudeltà della
donna
● Per Leopardi il piacere è figlio dell’ affanno, della fatica perché nasce quando hai
raggiunto qualcosa

La Poetica di Leopardi è divisa in varie fasi:

1. Fase erudita: studio matto


2. Dall'erudizione al bello: si dedica allo studio dei grandi classici dove permane e
ricerca la bellezza. Antitesi tra antichi e moderni. Fase pessimismo storico.
L’uomo antico può compiere azioni eroiche perchè è più vicino alla natura
(madre benigna)
3. Dal bello al vero: il poeta fa riflessioni sull’uomo, sulla vita, sul fine di
quest’ultima. Fase del pessimismo cosmico.
4. Fase eroica:
A SILVIA
Il canto è dedicato a una fanciulla che probabilmente il poeta ha conosciuto realmente.
Molti critici identificano Silvia con Teresa Fattorini, figlia del cocchiere di casa
Leopardi, morta di tisi (forma di turbercolosi) nel 1818. Il nome della giovane donna è
cambiato con quello della ninfa protagonista dell’Aminta di Torquato Tasso.
Fanciulla di cui Leopardi si era innamorato, senza però essere ricambiato. Altri critici,
invece, ritengono che Silvia sia una costruzione psicologica del poeta. Ipotesi dovuta al
fatto che i richiami alla fisicità della ragazza, nel testo, sono quasi inesistenti.

Non si tratta comunque né di una commemorazione funebre, né di una canzone per


Silvia: è una confessione del poeta. Nasce questo lungo e commosso colloquio con
Silvia, la cui morte prematura diventa il simbolo delle speranze stesse del poeta,
diminuite all’apparire della terribile verità della condizione umana. Solo la giovinezza
permette di avere delle illusioni, mentre l'età matura porta con sé solo un carico di
delusioni e dolori.
I destini di Silvia e Giacomo sono posti in un parallelo uguale per entrambi:
rappresentano la caduta delle speranze. Se Silvia, morta precocemente, non è potuta
arrivare al limitare della gioventù, anche Giacomo, che ha invece potuto varcarlo, non
ha avuto sorte migliore poichè la vita è una delusione senza senso e non esiste altra
felicità finale se non la fredda morte e una tomba ignuda. Di fronte alla tristezza del
presente e all'amarezza del futuro il ricordo dell'età giovanile si pone come l'unico
momento in cui l'esistenza si rivela affascinante e densa di aspettative.
Nella poesia si alternano due piani temporali in contrasto: quello indefinito del ricordo
e delle illusioni, espresso dall’uso dell’imperfetto, è quello della disillusione, espresso
dall’uso del presente.

-Periodo del pessimismo cosmico


-Presenza di domande retoriche
-Figura di Silvia descritta in modo vago
-Prima canzone libera
-Prima strofa: emerge il ricordo di Silvia. Dà conforto al presente ma è anche
disillusione per le aspettative avute in adolescenza. È un flashback. Silvia era felice, ma
anche pensierosa perché sapeva cosa le riservasse il futuro.
-Terza strofa: Leopardi abbandonava i suoi studi per ascoltare la voce di Silvia dal
balcone della casa paterna.
Quarta strofa: descrive i suoi sentimenti sempre via via in crescendo. E se ripensa alle
speranze che aveva da giovane si angoscia.
-Quinta strofa: Descrive ciò che succede a Silvia. E apostrofa la natura di essere crudele
per aver tolto la vita a Silvia.

Silvia rappresenta il valore simbolico della speranza.


Per Leopardi, la poesia nasce dal bisogno di felicità. È un realista.
Al poeta rimane solo il ricordo di Silvia, che dà conforto all’anima.

L’INFINITO
Il poeta è sul colle Tabor, a Recanati, detto colle dell’Infinito. Un luogo caro al poeta
perché è un posto solitario e silenzioso, dove si può sognare e meditare. Leopardi è
seduto sul colle, una siepe non gli permette di guardare e spaziare sino all’estremo
orizzonte. Questo limite dato dalla siepe, permette però al poeta di lasciarsi andare con
l’immaginazione.Si aprono così spazi sterminati, silenzi sovrumani, superiori cioè
all’intendimento umano, e una grande quiete. Questa percezione dell’infinito genera nel
poeta un senso di sgomento religioso per l’intuizione che egli ha di una realtà che lo
trascende (vv.1-8).In un primo momento, la percezione dell’infinito, suscita nel poeta un
senso di paura, ma poi passa alla dolcezza del “naufragare”, del perdersi in esso, perché
la percezione dell’infinito gli fa perdere, per qualche istante, il senso dei limiti in cui egli
come uomo è chiuso, dandogli il senso di una realtà infinita, eterna.

-15 versi in endecasillabi sciolti. Divisa in sette versi e mezzo.

- Riprende la poetica del vago e dell’indefinito.

- A volte ci sono nella natura degli elementi materiali che fanno in modo che la nostra
immaginazione sia proficua.

-Nei primi 7 versi e mezzo: INFINITO SPAZIALE: La siepe limita il poeta, che può solo
immaginare cosa ci sia dietro

-Seconda Parte: INFINITO TEMPORALE: ascolta il rumore del vento, che provoca un suono.

-La figura chiave della metrica è l’enjambements, in modo che il discorso sia sempre proteso
verso uno sviluppo ulteriore.

-La contrapposizione tra i pronomi ‘questa’ è ‘quella’ sta a indicare che il primo indica la
concreta presenza degli oggetti considerati, è il secondo indica qualcosa di lontano e
assente, solo immaginabile.

DIALOGO DELLA NATURA E DI UN ISLANDESE


Un uomo, dopo aver viaggiato molto per varie parti del mondo, per fuggire la Natura arriva un
giorno in Africa. Qui gli compare una donna gigantesca, seduta per terra, con il dorso e il gomito
appoggiati ad una montagna, viso bello e terribile e i capelli nerissimi. A lei che gli domanda chi
sia e che cosa cerchi in quei luoghi ancora inesplorati l’uomo risponde di essere un povero
Islandese che sta fuggendo la natura.

Quando la donna gli dice di essere la natura che egli fugge, l’Islandese pronuncia una lunga
requisitoria contro di essa, parlando della sua vita di patimenti e accusandola di essere la causa
della sofferenza e dell’infelicità degli uomini.La Natura quindi risponde che il mondo non è stato
fatto per il genere umano e per la sua felicità, anzi se un giorno esso si estinguesse, lei forse non se
ne accorgerebbe.

L’Islandese controbatte facendo un esempio.Se fosse invitato da un signore nella sua villa e
all’arrivo in casa fosse maltrattato dai servi e dai figli, rinchiuso in una stanza buia e fredda,
ricorderebbe al signore di essere stato invitato e di non esserci andato di spontanea volontà. Di
conseguenza aveva il diritto di non essere trattato male. La Natura si è comportata con gli
uomini allo stesso modo del signore.La natura sì è vero che non ha fatto il mondo per
gli uomini, ma avendoli fatti nascere, non deve renderli infelici e schiavi, ma deve
trattarli umanamente. Allora la Natura gli ricorda che la vita dell’universo è un ciclo
perpetuo di trasformazioni della materia, a cui nulla sfugge. Quindi l’Islandese domanda il perché
della vita e dell’universo. Una domanda che rimane senza risposta, , che sta a significare il mistero
insondabile dell’universo.II dialogo si conclude in maniera brusca per la misera fine dell’Islandese:
secondo alcuni, fu divorato da due leoni, secondo altri, fu preda di un violentissimo vento, che lo
ricoprì di sabbia, trasformandolo in mummia.

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