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1 2
P.
Hdt. i, 8. Ibyc. fr. 287
3 -
B. Gentili C. Catenacci, Polinnia, Messina-Firenze 20073, p. 265.
4
B. Snell, La cultura e le europeo, trad. it. Torino 20-21.
greca origini del pensiero 19632, pp.
5
II. 16, 7-10.
78 UGO PONTIGGIA
non
perch? veda meglio di altri, ma perch? ci? che colpisce in lui ? uno
sinistro, tale da immobilizzare la preda, fulminante. Non a caso
sguardo
nel mondo greco anche i Ciclopi, il cui nome indicava il solo occhio che
avevano sulla fronte, erano collegati con il fulmine. Come attesta Esiodo1
nella Teogonia furono i Ciclopi (Bronte, Sterope, Arge) che inventarono il
fulmine e lo diedero a Zeus nella lotta con iTitani. Bronte, Sterope e Arge
sono nomi parlanti il tuono,
che indicano la folgore, il baleno; l'etimologia
di tali nomi sembra dimostrare l'attinenza
dei Ciclopi, e quindi dell'occhio,
con il fulmine. Dunque, non diversamente da come agisce il serpente, nel
la poesia citata Eros con uno sguardo fulminante costringe la sua vittima,
anche controvoglia, ad accettare il rapporto amoroso.
Un altro esempio si pu? trovare nel Prometeo di Eschilo dove la vista di lo,
desiderata da Zeus, ? assimilata al suo possesso: "Perch? l'occhio di Zeus
sazi il suo desiderio".2
La paura di essere colpiti da uno sguardo gorgonico si riscontra frequen
temente nella poesia greca, ma tale paura si comprende meglio ricordando
che iGreci attribuivano alia vista il potere m?gico di incorporare l'oggetto
essere presi, simb?licamente il tema
guardato. Oltre alia paura di divorati,
della vista presentava un altro Infatti i Greci attribuivano
problema. poich?
alio sguardo la possibilit? di abbattere le barriere tra soggetto della visione e
come pi? avanti vedremo, e come
oggetto della visione, gli amanti, lo Zeus
nelT esempio citato, si trovavano uniti in modo inestricabile.
Allora, se non vi ? pi? differenza tra amante e amato, ma una sorta di
continuit? fisica pi? potente della loro differenza, cosa all'uomo
impedisce
di diventare la donna alla si unisce e alla donna di prendere le corna
quale
del toro sotto le spoglie del quale il suo amante divino l'ha posseduta?
Proprio la confusione tra i soggetti ingenerata dalla vista rendeva neces
saria una divisione molto marcata delle funzioni e dei ruoli all'interno della
societ? tra uomo e donna, anziano e giovane; questa divisione non riusci
va tuttavia ad eliminare il pericolo di una contaminazione nei contatti che
awenivano, con la conseguente carica di pericolo attribuita al partner del
rapporto, e in ultima analisi al desiderio stesso.
1 2
Hes. Theog. 100-145. Aesch. Prom. 654.
LA VISIONE NELLA CULTURA GRECA ARCAICA 79
paiono nel genitivo inestricabilmente uniti: lo strale, ossia Elena, ferisce gli
occhi di coloro che la guardano o viene scoccato dai suoi occhi?
L'oggetto
della contemplazione attacca come un aggressore, partecipa attivamente
alia vista e al desiderio".
Sappiamo, grazie anche agli studi di C. Mugler4 e poi di J.-P. Vernant, che
nella lingua greca le parole ops, e opsis, che definiscono la percezione vi
siva, l'organo della vista, e il raggio visivo sono nello stesso tempo attive
e passive, cosi corne la parola typhlos significa alio stesso tempo cieco e
invisibile. "I verbi
che designano l'azione del guardare sono usati avendo
1 2
Aesch. Ag. 741-743. Aesch. Ag. 416-419.
3
S. Dump, in Uamore in Greda, a cura di
%'espressione tr?gica del desiderio amoroso',
C. Ca?ame, Roma-Bari 1983. p. 144 ss.
4
C. Mugler, La lumi?re et la vision dans la po?sie grecque, Paris i960.
5
J.-P. Vernant, Uuomo greco, trad. it. Roma-Bari 1991, p. 15.
8o UGO PONTIGGIA
al tempo stesso, una reversibilit? del vedere e essere visti che porta come
estrema conseguenza l'indistinzione tra il soggetto della visione e
l'oggetto
della visione. Se J.-P. Vernant, anche sulla base di Platone, considera come
l'identit? per un Greco derivi dal gioco degli sguardi, dal vedere e essere
visti ("Hai osservato poi che a guardare qualcuno negli occhi si scorge il
volto di chi sta di faccia, come in uno specchio, che noi chiamiamo pupilla
perch? ? quasi un'immagine di colui che la guarda. Dunque se un occhio
un altro occhio e fissa la parte dell'occhio, con la
guarda migliore quale
anche vede, vedr? se stesso", Plat. Ale. 1133a [trad. R Pucci]), non articola
nel modo pi? ampio i vari modi del vedere per i Greci, e le conseguenze
dell'appartenere alio sguardo altrui, dell'essere oggetto ma anche soggetto
della visione.
Cos? se ? vero che un individuo si riconosceva attraverso
il giudizio-vi
sione della comunit?, come Odisseo che rinuncia
all'immortalit? donata
gli da Calipso per ritrovare "nello specchio degli occhi di Penelope, la sua
scrizione, nel fr. 282 P.-D., di Elena "bionda". L. Simonini1 aveva notato la
diversit? del tipo di epiteto riferito ad Elena, rispetto agli epiteti omerici. In
Omero Elena viene detta "dalla bella chioma", "dalle belle guanee", "dalle
belle braccia", ma mai "bionda". In Omero biondi sono gli d?i o gli eroi,
riferito a donne si trova solo per Demetra, una dea appunto (II. 5, 500), e
per Agamede di Augia, una sorta di maga che "tutti i veleni sapeva
figlia
quanti la ?era terra produce" (II. 11, 740).
1
L. Simonini, 'Il fr. 282 P. di Ibico', Acme 32,1979, pp. 285-298.
2
B. Gentili, Poesia e
pubblico nella Grecia antica, Milano 20064, p. 160 n. 86.
3 4 5
Sapph. fr. V 23 Aesch. Ag. 680. Theogn. 1249.
6 7 8
1266. Anacr. fr. 15 Gent. Anacr. fr. 78 Gent.
Theogn.
9
H. Maehler, 'Elogio del cavallo nel
P. Oxy. 4647', Sem. Rom. 5, 2002, p. 239 ss.
10 -
M. D?tienne J.-P. Vernant, Le astuzie neWantica Greda, trad. it. Roma
delVintelligenza
Bari 1977, p. 142 ss.
82 UGO PONTIGGIA
gli studiosi riconnettono la parola a una qualit? del cavallo, che ? quella di
av?re l'occhio pieno di fuoco blemma gorgon. "In questo termine gorgos vi
? l'immagine dello sguardo della Gorgone ... la traduce nel pen
Gorgone
siero greco un aspetto essenziale del cavallo. Per i suoi nervosismi, i suoi
nitriti, le sue crisi di p?nico, le sue reazioni imprevedibili il cavallo appare
come un animale misterioso e
inquietante".2
I due studiosi riportano poi imiti di Glauco di Beozia, divorato vivo da
alcuni cavalli che si era divertito a nutrir? di carne umana,
e di Ip
selvaggi
pomene e Leimone, dove il cavallo funge da strumento di castigo inflitto
da uno dei Codridi alia figlia colpevole di essersi fatta sedurre: "Leimone
? condannata a essere sbranata da uno Stallone che ? la metamorfosi del
suo seduttore".3
II partner amoroso
pu? essere assimilato ad un cavallo, animale di grazia
eccelsa ma anche dall'occhio pieno di fuoco, che si ciba di carne umana,
una potenza da domare.
selvaggia,
Lo scambio di ruoli che si registra nella poesia tra cavallo e domatore
(ad esempio nel frammento citato di Anacreonte4 dove l'amante si presenta
come un cavallo e 1'amato come un cavali?re in riflette lo
grado di domare)
scambio di ruoli a livello amoroso. La confusione nella visione porta a una
amorosa e a una indifferenziazione dei ruoli, con conseguente
reciprocit?
paura nei confronti del partner o per meglio dire del desiderio stesso.
Come sostiene R. Calasso "Il rapporto tra amante e amato era altamente
formalizzato, e in un certo modo
seguiva le prescrizioni di un rituale".5 La
e amati era "invasa dal
palestra luogo di incontri tra amanti piacere, ma il
non si nominare ... resistenza ad ammettere il piace
piacere poteva quella
re sarebbe durata sempre, sino aU'ultima intimit?: nell'atto amoroso il ra
gazzo non partecipa al piacere dell'uomo, ma
contempla, da sobrio, l'altro
che ? inebriato di Afrodite".6
Nella cultura greca il giovane amato doveva assumere nel rapporto con il
suo amante un comportamento tale che ne salvaguardasse la virilit? in for
mazione sia nel non provare piacere, sia nella modalit? del rapporto stesso.
Infatti, corne si evince dalla pittura vascolare e dai testi letterari,
l'approc
cio sessuale aweniva di fronte e la penetrazione era intracrurale, mentre il
coito anale non era associato al comportamento dei maschi rispettabili ma
a forme di sessualit? pi? volgare, tipiche dei satiri. Della relazione di tipo
pederotico i Greci avevano lamassima considerazione, e corne afferma G.
Deveraux, descrivendo la sorprendente assenza di rapporti tra padri e fi
1 2
Xen. Eq. 10,17. Detienne-Vernant, op. cit. p. 142.
3 4
Detienne-Vernant, ibidem. Anacr. fr. 15 Gent.
5
Le nozze di Cadmo e Armon?a, Milano 1988, pp. 103-105.
6
Calasso, op. cit. p. 104.
LA VISIONE NELLA CULTURA GRECA ARCAICA 83
gli nell'et? arcaica, quella relazione colmava il vuoto della figura paterna:
"The Greek father usually failed to counsel his son; instead, he counseled
another man's son, in whom he was erotically interested. As for the boy,
who needed an effective father to model himself upon, he had to rely on
his erastes, who also served as a father surrogate".1
Il ragazzo dalla sessualit? ancora e incerta proprio nel rapporto
indefinita
con il suo amante era condotto nella direzione della virilit?, se riconosceva
la forma di godimento del maschio adulto e negava il piacere del suscitare e
1
G. Deveraux, 'Greek and the Greek Miracle', Simb. Osl. 42,
Pseudo-Homosexuality
2 3
1968, p. 78. Plat. Phaedr. 253d. Xen. Lac. 11, 3.
4
J.-P. Vernant, Figure, idoli, maschere, trad. it. Milano 2001, pp. 105-107.
84 UGO PONTIGGIA
1
B. Gentili, 'Il "letto insaziato" di Medea e il tema dell'"adikia" a livello amoroso nei
lirici (SafFo, Teognide) e nella Medea di Euripide', Studi class, or. 21,1972, pp. 60-72.
2 3
Eur. Ale. 261-262. fr. 287 P.-D.
Ibyc.
4
K. Ker?nyi, Gli dei e gli eroi della Grecia, trad. it. Milano 2002, p. 497.
LA VISIONE NELLA CULTURA GRECA ARCAICA 85
1 2 3
II. 5, 845-846. i?. 22, 93-95. Od. 19, 446
4 5 6
Od. 2,153. Od. 6,130 ss. D?tienne-Vernant, op. cit. p. 135 s.
86 UGO PONTIGGIA
1
Plut. il.
Lyc.
LA VISIONE NELLA CULTURA GRECA ARCAICA 87
1 2
Bibl. Epit. 6, 4. Serv. ad Aen. 3, 636.
Apollod.
3
V J. Propp, Le radici storiche dd racconti difiabe, trad. it. Torino 1977, p. 116.
4
R. B. Onians, Le o?gini del pensiero europeo, trad. it. Milano 1998, pp. 214, 506.
5 6
Od. 13,186-188. Od. 7,139-145
88 UGO PONTIGGIA
alla trioftalmia; le varie anomalie visive erano dunque un segno che indi
cava il potere straordinario della vista.
visiva si pu? ricondurre a
L'anomalia quelle caratteristiche di anormalit?
f?sica tipiche delle figure degli eroi nel mondo greco. Il carattere dominante
dell'eroe non ? da ricercare nell'armonia, ma nello nell'eccesso
squilibrio,
nel bene e nel maie, nelle azioni crimin?se compiute (omicidi, stupri, unio
ni contro natura) accanto a quelle portatrici di civilt?.
Il correlato sta proprio nell'anormalit?
f?sico dell'anormalit? morale f?si
ca, da intendere non solo come superamento in positivo delle caratteristi
che fisiche normali, ma anche come eccesso in negativo.
Apollo e Dioniso
Omadios, cio? un essere che mangia carne cruda, Eriphos, un capretto che
veniva ucciso in onore del dio, Aigobolos, uccisore di c?pre, Melanaigis, colui
che porta una pelle nera di capra.
Questa contraddizione che il dio porta con s?, l'essere contempor?nea
mente cacciatore e
preda, si pu? forse interpretare anche alla luce della
reciprocit? del vedere-conoscere ed essere visti, che anche nell'ambito del
l'eros comportava le conseguenze, prima descritte, tra amante e amato
con il pericolo dello scambio della propria posizione e stato. Corne appren
diamo da Euripide, una parte della cerimonia bacchica consisteva proprio
nello sbranare un cerbiatto vivo (sparagmos - l'atto del dilaniare), e nel
1
E. Dodds, Igred
e Virrazionale, trad. it. Firenze 1978, p. 331 ss.
2
Pind. fr. 177.
90 UGO PONTIGGIA
forte di lui, Mopso, figlio di Manto, che era figlia di Tiresia, sia morto di
dolore" (trad. G. Colli).1
Anche in Esiodo troviamo lo stesso e Mopso:
racconto su Calcante
"Sono
nel mio cuore di quanti frutti possa avere questo fico selv?tico,
meravigliato
pur essendo dirmene il numero? E sono
piccolo: sapresti Mopso risponde:
?oooo, mentre la loro misura ? di un medimno, uno
pero cresce e questo
non potrai aggiungerlo" (trad. G. Colli).2 Si tratta di una gara di puro pre
stigio, dove
l'importante ? non farsi ingannare, essere nella posizione della
divorante e non di colui che, ingannato dall'enigma, viene ucciso. Il
sfinge
caratterizzato spesso, corne Tiresia o da un'anomalia visiva
sapiente, Edipo,
e comunque da una maggiore capacita visiva, ? colui che non patisce l'azio
ne distruttrice, tirannica potremmo dire, dell'occhio di un altro sapiente.
Edipo tiranno
1 2 3
Strab. 14,1, 27. Hes. fr. 278 Merk.-West. Dodds, op. cit. p. 39 ss.
LA VISIONE NELLA CULTURA GRECA ARCAICA 91
passioni e dei suoi appetiti istintuali, non pi? controllati dairelemento razionale
della personalit?. Le tre caratteristiche distintive sono perci? la gozzoviglia, Tero
tismo e Tirascibilit?. Questa analisi, di taglio quasi psicoanalitico, raggiunge il suo
v?rtice nell'osservazione che il tir anno, una volta dominato da Eros, realizza nella
vita quotidiana tutti gli appetiti che da ragazzo, quando era ancora sottomesso
alle leggi ed al padre, soddisfaceva solo nel sogno. Egli vive perci? nella dimensio
ne del sogno, ? un uomo che sogna nella realt?, nel senso preciso che trasferisce
all'azione reale il carattere anomico dell'evasione onirica. In termini freudiani, si
potrebbe dire che egli vive nella dimensione deirinconscio. Proprio in questa luce
trova una storica e cult?rale la connessione, a vista
spiegazione prima sorpren
dente, tra incesto e tirannide, su cui si impernia YEdipo re di Sofocle. Tra le righe
stesse di Platone ? anzi facile cogliere Tallusione a quel passo della tragedia in cui
Giocasta fa esplicito riferimento al sogno d'incesto "Molti uomini prima d'ora si
sono anche nel con la propria madre".1
congiunti sogno
Avendo a la tua,
esempio
la tua sorte, la tua
o misero nessuna condizione
Edipo,
mortale stimo felice.5
NeU'ultima scena
rivolgendosi aile figlie, Edipo riconosce la sua passata in
a conoscere e a vedere:
capacita
1
B. Gentili, 'Il tiranno, Teroe e la dimensione in Edipo. Il teatro greco e la cultura
tr?gica',
Attidel internazionale (Urbino 15-19 novembre 1982), a cura di B. Gentili e
europea. convegno
2
R. Pretagostini, Roma 1986, pp. 112-114. Aesch. Ag. 160-170.
3
Soph. OT132. Tutte le traduzioni di OT sono di R. Cantarella.
4 5
OT 1193-1196.
Soph. OT 1419-1421. Soph.
92 UGO PONTIGGIA
gnifica
non solo una punizione per gli occhi, che hanno visto ci? che non
dovevano vedere, ma anche un'assoluta e nuova sfiducia nel potere tiran
nico della vista.
1 2
Soph. OT 1480-1485. Plat. Symp. 2iid-e.
3 4
Plat. Symp. 2i9c-d. Plat. Symp. 219a.
LA VISIONE NELLA CULTURA GRECA ARCAICA 93
1
Colli, op. cit. p. 21.
2
E. Funari, Natura e destino della rappresentazione, Milano 1987, p. 22 ss.
3
S. Freud, Gesammelte Werke v 98.
94 UGO PONTIGGIA
Stiche di una fase evolutiva) o di una regressione (un ritorno a forme pre
cedenti della strutturazione del comportamento).
La teor?a della psicoanalisi necessariamente
ha un'impostazione evolu
zionista e questo pu? richiamare alia memoria altre posizioni critiche de
finitivamente sup?rate come di chi definiva le et? arcaiche in rapporto ad
un pensiero mitico e
quindi prerazionale.
Non in questa direzione essere utilizzata la psicoanalisi, ma se la
pu?
grande quantit? di attestazioni di "oralita" dell'occhio nel mondo dell'im
greco pu? far pensare ad una fissazione della libido alia fase
maginario
orale, non per questo deve che per forza il storico suc
suggerire passaggio
cessivo avrebbe portato ad un'evoluzione della libido e ad una maggiore
"maturit?". Lo studioso del mondo antico, nell'utilizzare una teor?a psi
coanalitica, non deve ritenere di potere ridurre la complessit? del mondo
greco alla univocit? di un'interpretazione. ? piuttosto da ritenere che la
teor?a psicoanalitica possa essere utile per la comprensione delle
migliore
dinamiche attinenti ad un aspetto cosi del mondo arcaico (mi
significativo
riferisco in particolare alla indistinzione dell'attivit? e passivit? all'interno
della din?mica di un occhio che agisce con una modalit? psicol?gicamente
orale), e che anche alia luce di tale interpretazione si possano forse meglio
comprendere alcuni importanti riferimenti alia visione contenuti nella let
teratura.
Tiresia
1 2
Od. ?o, 488-495. Call. Hymn. 5, 70-130.
LA VISIONE NELLA CULTURA GRECA ARCAICA 95
figlio Tiresia, la dea racconta ilmito di Atteone che avendo visto Artemide
nuda fu ucciso dalla dea.1
La punizione della cecit? deve dunque essere messa in relazione con la
dea Atena, che ? caratterizzata da un rapporto specifico con la vista, per
e
gli epiteti di oxyderkes glaukopis, mentre ? pi? comprensibile che la puni
zione per aver visto il corpo nudo di Artemide, caratterizzata dalla caccia,
sia quella del finir? divorati.
Atena inoltre ? la dea Parthenos, la vergine per eccellenza, partorita dal
la testa di Zeus, non ? turbata da sogni d'amore per d?i o uomini, come
ricorda il poeta dell'inno omerico ad Afrodite.2
Anche Callimaco nell'inno citato insiste sul carattere non femminile di
Atena.3
Perch?, forse, il corpo di Atena non ? niente se privato di quei rivestimenti che
la dea indossa.4
1 2 3
Call. loe. cit. Hymn. Horn. 25, 7-11. Call. Hymn. 5,107-118.
4
N. Loraux, e Vuomo greco, trad. it. Roma-Bari 1991, p. 239.
Ilfemminile
96 UGO PONTIGGIA
- come un corpo -
cipa leggendo entrambe le varianti del mito unico sia
della natura femminile che di quella maschile, caratterizzandosi per l'an
droginia.
Gi? A. Brelich, nel suo fondamentale libro sugli eroi greci, trattando del
l'androginismo, cita il caso di Tiresia:
I suoi ripetuti cambiamenti di sesso gi? neH'antichit? potevano essere intesi come
forma di una natura come risulta dalla
d'espressione propriamente andr?gina,
di uno etrusco ... in cui con
raffigurazione specchio Tiresia, negli infer?, appare
Taspetto di ermafrodito.*
Sotto questo
aspetto, proprio per l'androginia, Tiresia diviene simile alla
stessa di Atena, di cui ha il neU'intima visione.
figura carpito segreto
Nell'altra versione del mito, la conoscenza diretta della sessualit? maschi
le e femminile gli fa subir? l'accecamento per l'ira di Era, ma tale acceca
mento determina una perdita della vista del mondo dei vivi e l'acquisizione
della vista del mondo dei morti, facendo entrare Tiresia in contatto con il
-
regno delle t?n?bre, il luogo che rende tutti indistinti. E cosi Tiresia che
fa esperienza dell'indistinto in ?mbito sessuale, in quanto andr?gino, fem
mina e maschio -
? segnato anche dall'appartenere all'indistinto del mon
do delle tenebre.
Per Tiresia dunque vedere Atena nuda o i due lame
serpenti comporta
desima conseguenza, la perdita della vista. Atena ? inoltre al serpente
legata
sia perch? ella stessa ? definita dagli occhi di serpente, sia perch? le fran
ge del suo scudo sono formate da serpenti: lo scudo di Atena ? costituito
dairegida che ha al suo centro la testa
raffigurata di Medusa, con i
capelli
di serpenti.
Tiresia vede i due serpenti accoppiarsi, fa conoscenza della sessualit?
maschile e femminile (in una modalit? da e per
andr?gina, ermafrodito)
de la vista, vede Atena nuda, dal corpo incorp?reo e quindi indistinto, e
perde la vista.
In entrambi i casi la conseguenza della visione-conoscenza corrisponde
alia perdita della vista del mondo dei vivi e all'acquisizione della vista del
mondo delle tenebre, con la cecit?; ma appartenere al mondo dei morti si
gnifica anche appartenere al mondo dell'indistinto. Allora la funzione degli
occhi si pu? intendere legata al mondo dell'invisibile non solo per antitesi
= vista del mondo dei vivi; cecit? = vista del mondo
(occhi dei morti), ma
anche per un sotterraneo l?game che unisce l'indistinzione sessuale (come
e anche l'adolescenza) con ilmondo della morte, come anche
l'androginia
ilmito di Ade e Kore sembra mostrare.
La figlia di Demetra e di Zeus, Kore, che viene de
significa "pupilla",
1
A. Brelich, Gli eroi greci, Roma 1958, p. 240.
LA VISIONE NELLA CULTURA GRECA ARCAICA 97
scritta nel momento del ratto "mentre giocava con le fanciulle dal florido
seno, figlie di Oc?ano, e coglieva fiori: rose, croco, e le belle viole, sul tene
ro prato; e le iridi e il giacinto; e il narciso."1 La radice della
parola narciso
si pu? collegare con il verbo narkao ? assopire, di qui il valore narc?tico
del narciso e il velo che ottenebra chi ne respira il profumo, assimilando
l'azione del fiore a quella della morte; d'altra parte ? anche da considerare
come per Kore l'atto di il narciso, per il valore dello sguardo, sia
guardare
destinato a creare un'identit? con il narciso.
- -
Il dio d?lie t?n?bre e dei morti, Ade l'invisibile vede la dea dello sguar
Kore - - e se ne la il rapimento
do, la pupilla impossessa, ingloba; ? gi?
connesso er?ticamente con l'atto del vedere, in questo caso per la reversi
- -
bilit? dello sguardo: l'essere visti da Ade l'invisibile comporta divenire
- o Ma e Kore son?
invisibile regina del mondo dell'invisibile. anche Ade
contigui l'uno all'altra, perch? Ade ? il dio d?lie t?n?bre e quindi dell'indi
stinto, mentre Kore ? la vergine figlia di Demetra, ancora sua
legata per la
condizione adolescenziale all'indistinzione sessuale.
Cosi nei rapporti erotici l'amante adulto entrando in contatto con il cor
1
Horn. 2.
Hymn.
9S UGO PONTIGGIA
terpretare che il vero tab? svelato da Tiresia altro non sia che lo spettro
deH'indistinzione-morte che doveva agitare i greci nel momento della for
mazione f?sica e psichica dell'adolescenza, quando il loro corpo era in parte
femminile e in parte maschile.
Solo in virt? del desiderio paideutico ed educativo di un amante adulto
potevano diventare uomini o rischiavano invece di cadere nell'omosessua
lit? ed erano, nelle metafore poetiche, associati al cavallo, animale di dub
bia connotazione, probabilmente considerato anche infero e dagli occhi di
Gorgone, simile in fondo ai loro giovani corpi pieni di energia ma ancora
indistinti sessualmente: solo con lo spuntare della barba infatti, gli eromenoi
(amanti) uscivano dall'adolescenza, e abbastanza curiosamente i primi peli
della barba prendevano nome da Armodio ed Aristogitone, gli eroi tiran
nicidi, gli eroi che li liberavano dall'amore tirannico.
1 2
Calasso, op. cit. p. 307. Anacr. fr. 15 Gent.
LA VISIONE NELLA CULTURA GRECA ARCAICA 99
Ma poi che si fu stagnata la piaga e il sangue cess?, dolori acuti invasero l'anima
deirAtride. Corne quando donna in travaglio colpisce il dardo acuto, lancinante,
che scagliano le Ilizie, strazio del parto, figlie di Era, dee d?lie doglie amare; tali
acuti dolori invasero il cuor deirAtride (trad. R. Calzecchi Onesti).1
Ilmondo greco, cosi r?gidamente dif?erenziato nelle reg?le di vita per gli
ambiti maschili e femminili, risulta ad una pi? attenta lettura pericolosa
-
mente indistinto ma pi? che la vicinanza e mescolanza tra maschile e
femminile - essere temuto era
quanto doveva maggiormente l'indistinzio
ne sessuale, poich? contigua alla morte. La vitalit? greca, che si esprimeva
e essere
nel desiderio di guardare guardati, nel piacere di essere per gli altri
oggetto di ammirazione e desiderio, va intesa anche come un bilico tra il
mondo della luce e ammalianti e ilmondo d?lie t?n?bre e del
degli sguardi
l'indistinzione. Solo lamorte eroica o la bellezza, insomma la via est?tica
di superamento della morte, poteva strappare l'individuo al mondo delle
tenebre, ricreando il desiderio di essere visti. Ma come la bellezza era
legata
alia visione, cosi l'occhio rapace era intimamente legato all'occhio rapito,
la bellezza delle ninfe al fluir? immateriale delle loro acque, la grazia ado
lescenziale al mondo delle tenebre.
Milano
1
II. 11, 264-283.