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E I D O LA

i n t e r nat i o na l j o u r na l o f
c la s s i c a l a rt h i s t o ry

3 · 2006

e s t r at t o

pisa · roma
fabrizio serra · editore
mmvii
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LO SGUARDO DI MEDEA E L’INGANNO
DELLE NOZZE IN EURIPIDE
Donato Loscalzo · Mauro Menichetti

Riassunto
La Medea di Euripide mette in scena sistematicamente il tema della seduzione e dell’inganno e
in questo quadro un ruolo centrale è affidato ai motivi dell’occhio e dello specchio. Il lavoro di
Euripide si rivela anche da questo punto di vista come un’opera complessa e sofisticata ove lo
sguardo e il riflesso dello specchio rivelano la verità ma nello stesso tempo possono rivelarsi falsi
e ingannevoli. Il meccanismo narrativo di Euripide sfrutta pienamente il tema della charis i cui
strumenti conducono ad un esito improprio e funesto. Lo sguardo, il peplo, la corona – strumen-
ti esemplari della seduzione – ribaltano il proprio effetto per cui la vittima del potere di seduzio-
ne cade in una rete di morte, richiamando così il potere originariamente distruttivo di Eros.

Abstract
The Medea by Euripides displays systematically the theme of the seduction and of the deceit
(apate, dolos) and within this framework the sight and the mirror play a leading role. Also from
this perspective the Medea appears as an overwhelming elaborated and sophisticated literary
work in which the sight and the reflection of the mirror disclose the truth but, simultaneously,
can become deceptive and misleading. The narrative plot created by Euripides is based wholly
and perfectly on the motif of the charis whose tools lead to an inappropriate and deadly result.
Eventually the sight, the mantle, the crown – typical devices of the seduction – reverse their
action so that the victim of the seduction falls into a deadly net recalling in this way the Eros’
primary destroying power.

L a Medea di Euripide si rivela maestra di inganni e questo non è certo una novità alla
luce di tutta la tradizione che associa i suoi comportamenti alla seduzione, al ca-
rattere barbarico, alla sua infinita conoscenza di arti magiche connesse a filtri e ve-
leni. Ma la novità che l’intreccio euripideo sembra apportare in modo significativo è il
ruolo che in questo contesto svolgono lo sguardo, l’occhio e lo specchio quali strumenti
dell’inganno perpetrato da Medea ai danni di Giasone. I meccanismi della visione co-
stituiscono l’intreccio e l’ossatura narrativa della tragedia euripidea ove lo sguardo e gli
occhi seguono, rivelano e commentano lo svolgersi delle azioni fino al culmine dell’in-
treccio rappresentato dalla sposa che si mostra allo specchio ricevendone in cambio la
morte. In questa prospettiva la tragedia di Euripide si arricchisce di una serie di significati
in grado di spiegare coerentemente anche particolari aspetti del lessico. Medea agisce at-
traverso lo sguardo e, proprio attraverso un meccanismo di ribaltamento, sarà lo sguardo
riflesso nello specchio a portare la morte alla nuova sposa di Giasone. Seppur muovendo
da diversi punti di vista, questa è la prospettiva condivisa dagli autori per tentare di rico-
struire l’intreccio narrativo e il nucleo di significati che animano la Medea di Euripide.

. L’occhio rivelatore
L’occhio è il canale assoluto di comunicazione, una finestra attraverso cui vedere il mon-
do esterno, e, viceversa, l’occhio dell’altro è un veicolo di conoscenza del suo mondo
«eidola» · 3 · 2006
30 donato loscalzo · mauro menichetti
interiore. Si tratta di un fenomeno reciproco del vedere e dell’essere visto. Dall’occhio

che vede deriva la conoscenza diretta, una forma privilegiata di sapere (quella per aver
visto, l’autopsìa), mentre dall’occhio che è visto emergono l’interiorità e le parti segrete
dell’animo. Proprio perché è la linea sottile di demarcazione tra il mondo interiore e
l’esterno, l’occhio è l’unico punto dal quale la vera natura dell’individuo traspare, emer-
ge incondizionatamente.
La parola e il gesto possono deviare, sviare, ingannare. Si possono pronunciare di-
scorsi diversi da ciò che si pensa, manifestare con i gesti sentimenti differenti da quelli
provati. L’occhio non è in grado di mentire, perché non può esprimere un pensiero o
uno stato d’animo diverso. Attraverso l’occhio si conosce l’animo di chi sta di fronte.
D’altra parte, però, l’occhio ha la capacita di incantare l’altro, di sedurre : lo sguardo
di Medusa riesce a catturare e impietrire chi lo fissa proprio perché è penetrante. 2 La
Gorgone è una maschera e contemplandola lo sguardo si perde nel suo, fino a essere
totalmente irretito : nella sua frontalità seduce e inganna. Si tratta di un fenomeno le-
gato costituzionalmente al mondo femminile : in generale la donna seduce e inganna,
come il suo archetipo, Pandora, che ebbe dagli dei ogni strumento di persuasione e di
menzogna (Hes., Op., 69-82). Lo sguardo femminile, quindi, è seducente e pericoloso,
perché irretisce e rende totalmente succube. Porta inganno e morte. Ecuba (Eur., Hec.,
442-443) lamenta che Elena con i suoi occhi belli ha distrutto la felicità di Troia. Vittime
sono gli individui, ma anche intere famiglie, intere città.
Nella Medea, Euripide ha rovesciato e reso più complesso questo paradigma della
seduzione. Medea è una maga, conosce arti e sortilegi per annientare i nemici, per
ringiovanire, per dare figli a uomini sterili, tuttavia non può nella tragedia nascondere
le sue vere intenzioni. Dagli occhi traspare la sua decisione autentica, ferina, bestiale e
violenta. Non è maschera, non è in grado di irretire l’interlocutore, almeno nelle prime
sequenze della tragedia, anche perché è essa stessa vittima di inganno amoroso, come
affermano la Nutrice (v. 8), lei stessa (vv. 800-802) e Giasone (vv. 530-53). Inoltre c’è un
ulteriore rovesciamento : Medea soggiace a Eros e quando ricorre all’arte della seduzio-
ne, non la pratica nei confronti del suo uomo, ma della donna che lo ha portato via.
L’occhio di Medea, almeno nelle battute del prologo, denuncia immediatamente la
sua rabbia, la sua disperazione e il pericolo per quanti sono vicini. La Nutrice nota la
minaccia che traspare dal suo sguardo e l’odio che riversa sui figli. Descrive sommaria-
mente la storia, le sofferenze per il torto subito da Giasone (24 ss.) e la ritrae inappe-
tente, mentre consuma il suo tempo tra le lacrime da quando si è accorta di aver subito
ingiustizia dal suo uomo () : 3
non alza l’occhio né distoglie da terra
il volto, come roccia o flutto
marino 4 ascolta i consigli degli amici.
Lo sguardo fisso a terra e l’incapacità di ascoltare parole di conforto sono il segno del-
l’assenza. Non rivolge gli occhi verso le zone della luce, come sarebbe naturale, ma
lo fissa a terra, perché cerca dalla terra l’ispirazione e la forza per attuare il piano di
vendetta. Medea non ama ciò che è luminoso, solare, gioioso e si concentra invece su

Sulle teorie greche della visione, e soprattutto 3
I numeri tra parentesi si riferiscono all’elenco
sulla concezione attiva e passiva della visione cfr. dei brani euripidei riportato in appendice al lavoro.
Frontisi-Ducroux in Frontisi-Ducroux-Vernant 4
Roccia e mare sono simboli di inflessibilità del-
998, pp. 0 ss. l’animo, cfr. Mastronarde 2002, p. 69.
2
Ha trattato questo tema Vernant 988.
lo sguardo di medea e l ’ inganno delle nozze in euripide 31
ciò che è oscuro, mortale. Euripide ha usato un’espressione forte in accezione insolita :
« allontanare dalla terra » (v. 27 : ˙pallássousa gêw). In genere significa ‘espatriare’ (cfr.
anche Med., 729), qui invece, detto del volto, indica la pesantezza : probabile che il poeta
si riferisse allo sguardo rivolto non genericamente verso terra, ma verso quella terra,
come se Medea non riuscisse a liberarsi dal circuito di rapporti parentali e affettivi nel-
l’ambito dei quali andava cercando la soluzione al suo dramma.
Questo sguardo, altrimenti fisso e distante, ha un sussulto per la Nutrice solo alla
presenza dei figli (vv. 36-37), che lei odia e non è affatto contenta di vedere. Questa af-
fermazione è certamente prolettica e preannuncia l’esito della vicenda, ma la Nutrice
non sa contro chi la sua padrona stia meditando il male, anche se è certa che chi entra
in conflitto con lei difficilmente ne esce vincitore. Lo sguardo esprime questa avversio-
ne verso i figli, invertendo la legge naturale dell’amore materno, per questo la Nutrice
esorta il Pedagogo a portare a casa i figli (vv. 89-93) e a tenerli lontani dalla madre tur-
bata. Lancia sguardi di toro contro loro (vv. 92 s. : ædh gàr eÂdon ªmma nin taurouménhn
/ toîsd'), come se dovesse fare qualcosa. All’ingresso in scena di Medea, esorta i figli a
entrare in casa in fretta e non farsi avvicinare, né andare vicino al suo occhio foriero di
sventure (vv. 0 s. : kaì m| pelásht' ªmmatow \ggùw / mhdè prosélyht').
La vista è anche veicolo di memoria. Quando vede i figli, Medea ricorda la sua sven-
tura e in un certo modo si ravvivano le sue sofferenze. In particolare i figli le riacutizza-
no il dolore perché sono loro stessi la causa. È per la ricerca di figli legittimi che Giasone
ha contratto un nuovo matrimonio, tradendo la precedente sposa.
Ancora, la Nutrice coglie nello sguardo il disagio psicologico di Medea e la minaccia
di un suo gesto inconsulto : ha gli occhi di una leonessa che ha da poco partorito, quan-
do qualche servo le si avvicina per porgerle la parola (2) :
Eppure sguardo di leonessa che ha appena partorito
rivolge infuriata 5 ai servi, quando uno
le si fa vicino per dirle una parola.
Ritorna ancora l’immagine dello sguardo furioso del toro che preannuncia le intenzio-
ni, 6 ma in questo caso la bestialità della donna è resa con duplice metafora animalesca :
è infuriata come toro e nell’occhio si coglie l’espressione di leonessa che ha da poco
partorito. A complicare il gioco di metafore e a rendere estraniante il quadro evocato
dalla Nutrice è il fatto che una leonessa con i suoi cuccioli ha un rapporto estremamen-
te protettivo, 7 mentre Medea nei versi precedenti aveva evocato su di loro la maledizio-
ne. Come dire : Medea ha la stessa furia di una leonessa che protegge i figli, però per
ucciderli. 8 Non è casuale che nel terzo stasimo il coro chiede dove troverà il coraggio

5 7
Ritorna il motivo dello sguardo di toro reso dal Nell’immaginario greco la leonessa partoriva
verbo tauróomai (in questo caso composto con ˙pó), una sola volta e per questo il cucciolo costituiva
che in Ba., 922 significa proprio « prendere l’aspetto un bene molto prezioso, da difendere, cfr. Hdt., iii,
di toro », cfr. Chantraine 999, p. 097 ; dérgma฀inol- 08, 4.
8
tre deriva da dérkomai che in Omero indica non la Dopo essere ritornata a descrivere l’angoscia e
funzione del vedere, quanto il lampeggiare dello la furia di Medea, la Nutrice si lascia andare a una
sguardo, come quello che schizza fuori dall’occhio tirata sulla funzione della musica che può allietare
della Gorgone (Snell 963, p. 20). feste e banchetti, ma non alleviare i mali : nessuno
6
L’immagine del toro sarà frequente nelle Bac- degli uomini di un tempo ha trovato il modo per
canti, come nota Assael (200, pp. 29 s.), perché far cessare i dolori e gli affanni che causano scia-
esprime meglio l’idea di un personaggio che si ab- gure alle famiglie e alle case (vv. 90-203). Il dolore
bandona all’irrazionale e obbedisce a una natura della sua padrona è incontenibile e incurabile.
scatenata.
32 donato loscalzo · mauro menichetti
di portare a termine l’infanticidio, sostenendo la vista dei figli (5) : « Come, volgendo gli
occhi / ai figli, senza lacrime, sosterrai / il destino di morte ? ». Si tratta di un ulteriore
elemento di fisiologia della vista : l’occhio materno dovrebbe reagire ad altri stimoli,
essere cioè protettivo, e non può reggere un piano omicida.
Non solo la Nutrice e il Coro colgono il pericolo nello sguardo di Medea : Creonte,
quando compare in scena e la incontra per annunciarle il bando di espatrio, nota subito
il suo sguardo accigliato (v. 27 : skuyrvpón). Ancora una volta l’attenzione dell’inter-
locutore si concentra sull’espressione pericolosa e minacciosa dell’occhio. Nel dialogo
che segue, il re di Corinto dichiara il suo intento di parlare apertamente con la donna
barbara, evitando di contraffare le parole (v. 282). Il suo è, infatti, un atteggiamento di
trasparenza. Le comunica le ragioni della condanna all’esilio : minacciosa è la donna
esperta (sof}) di malefici e potrebbe arrecare danno alla famiglia reale. 9 D’altro canto
Creonte avverte la contraria disposizione d’animo di Medea, che pronuncia discorsi
piacevoli da udirsi, ma che potrebbe nascondere pericolose trame (vv. 36-323).
Non sappiamo se lo sguardo « taurino » di Medea sia stato rappresentato anche dal-
la maschera, se cioè ci fosse stato un contrassegno evidente dell’espressione infuriata,
della rabbia e del dolore, nella maschera che l’attore portava in scena. Contro questa
ipotesi, c’è da notare che altri personaggi colgono nel suo volto espressioni diverse.
Egeo, estraneo alla vicenda e giunto a Corinto casualmente e all’oscuro di tutto, coglie-
rà nel suo occhio e nel suo aspetto, ad es., la consunzione non la rabbia (v. 689 : tí gàr
sòn ªmma xrQw te suntéthx' –de;). Ciò ridimensiona il potenziale espressivo dell’occhio.
In fondo la Nutrice, Creonte e lo stesso Giasone, impauriti dalla minaccia che traspare
dallo sguardo, sembrano aver proiettato in lei le loro angosce, le loro preoccupazio-
ni, le loro inquietudini, anche se profondamente motivate. E forse, perché conoscono
bene Medea, sanno cogliere sentimenti e progetti che a un estraneo sarebbero sfuggiti.
D’altro canto nella seconda parte della tragedia, il Pedagogo riferisce che la regina ha
accolto i doni nuziali di Medea, si aspetta una reazione di giubilo da parte della sua pa-
drona, e invece scorge una certa tristezza e inquietudine nello sguardo : tiene gli occhi
rivolti verso il basso e piange (v. 02). Ancora una volta Medea è incapace di mentire, il
suo retaggio culturale barbarico emerge nella impossibilità di nascondere i sentimenti
e contraffare le emozioni : un mondo autentico, sincero, contro quello insidioso dei
Greci. 0

2. Giustizia negli occhi


L’occhio di Medea, quindi, svela la verità del suo stato d’animo e delle sue emozioni, per
questo deve evitare la vista di interlocutori che hanno familiarità con lei, se non vuole
manifestare apertamente i suoi propositi. Ai vv. 73-77 le donne del Coro chiedono
se Medea può venire al loro cospetto, di fronte a loro (pôw ©n \w ªcin tàn ∆metéran /
¡lyoi). Avvertono la ritrosia della donna a mostrarsi, a farsi vedere, quasi che il dolore
che sta per esplodere in un atto di follia abbia bisogno della solitudine, di sottrarsi alla
vista degli altri. Una società che vive di aperto controllo sociale, una comunità face to
face, necessitano di confronto visivo con l’interlocutore. Ogni fuga dagli occhi indiscreti

9
Medea parla da cittadino che difende i suoi di- vuole i barbari persone inaffidabili, Medea prote-
ritti e questo induce Creonte a pronunciarsi sui pe- sta contro Giasone, un greco di cui non ci si deve
ricoli della sophía, cfr. Williamson 990, p. 9. fidare, perché appartenente a un popolo diverso e
0
Medea lamenta ai vv. 800-802 di essersi fidata che forse riflette l’idea del Greco « clever and untru-
delle parole di un greco : contro lo stereotipo che stworthy » (Mastronarde 2002, p. 30).
lo sguardo di medea e l ’ inganno delle nozze in euripide 33
è inteso come manifestazione di devianza, un atteggiamento equivoco, antisociale, so-
spetto. E non solo l’occhio altrui ha una funzione di giudizio e di controllo sociale, ma
tutto il cosmo è investito di questa funzione : Giasone, alla fine della tragedia, accuserà
Medea di continuare a rivolgere lo sguardo verso la terra e il sole, dopo aver ucciso i figli
che lei stessa aveva generato (vv. 327-328). 
All’arrivo di Medea in scena (vv. 24 ss.), il motivo della visione e del vedere si arric-
chisce di un nuovo elemento. Fino a questo punto testimoni oculari hanno descritto lo
stato di dolore, ira e follia nel quale versa, portando a testimonianza l’espressione del
volto. Medea, invece, pone un interrogativo sull’immagine che si dà all’esterno e sul
giudizio che gli altri traggono da questa immagine. Quasi a giustificazione di se stessa,
sostiene che è sempre un giudizio superficiale quello che si dà degli altri basandosi
solo sul loro aspetto. Appena in scena, infatti, apostrofa le donne corinzie (vv. 24-22),
rispondendo alle incertezze da loro espresse. La sua opinione è che molti mortali sono
stati ritenuti erroneamente superbi, « sia lontano dagli occhi, sia presso le porte », cioè
sia in pubblico sia in privato. 2 La ragione è che acquistarono cattiva fama di indifferen-
za, di insensibilità, « per non aver mosso piede », cioè per essere riservati, per aver agito
in solitudine, appartati. 3 Per Medea non c’è giustizia negli occhi dei mortali (3) perché
spesso si odia un uomo senza averlo conosciuto a fondo, ma solo dopo averlo visto,
anche senza che abbia commesso alcun torto. L’occhio, secondo l’esperienza di Medea,
non rende una giusta valutazione dell’altro, anzi alimenta il pregiudizio. E proprio il
restare in disparte è causa di odio, avversione, sospetto.
La vista, la prima vista, fornisce solo un’impressione su chi non si conosce, eppure è
inevitabile che solo su questa base si dia un giudizio sugli sconosciuti, spesso errato. Me-
dea decide di esporsi, di uscire in pubblico, pur sapendo di correre il rischio di essere mal
giudicata dalle donne della città, a maggior ragione perché è una donna straniera. Uno
straniero, infatti, deve accordarsi alla comunità che lo accoglie (v. 222). Medea sembra
così prevenire il giudizio, o meglio il pregiudizio, delle donne corinzie.
Lo sguardo, in definitiva, dovrebbe essere il campo in cui si neutralizzano le falsità e
i pregiudizi, proprio perché dovrebbe essere il luogo dell’autenticità e della dike, invece
può essere all’origine di falsi giudizi e di emarginazione. Nel primo dialogo con Gia-
sone, Medea lo accusa (vv. 465 ss.) di impudenza nel guardare in faccia gli amici dopo
aver commesso del male nei loro confronti (v. 470). Lamenta poi anche una mancanza
da parte di Zeus : non aver impresso nel corpo umano alcun segno per riconoscere
l’indole del malvagio (vv. 56-59). L’assunto di partenza dell’autenticità dello sguardo,
che portava tutti i personaggi a riconoscere i segni della follia e del disturbo, viene ora
rovesciato : non è facile riconoscere da segni esteriori l’indole perversa. Medea stessa
troverà degno del massimo della pena quell’uomo che, abile nel parlare, si rivela ingiu-
sto, perché sa nascondere le sue malefatte con la parola (vv. 580-583) : lo sguardo non è


Il finale della Medea offre l’aition di un rituale : 3
Al v. 27 leggo o∑ d' con Méridier 956, p. 3,
nel futuro, dice Medea (vv. 38-383), i figli saranno nota 2 : il pronome relativo serve a spiegare le ragio-
commemorati a Corinto, cfr. Dunn 996, p. 46. ni per cui molti sono ritenuti superbi anche se non
2
Lo Schol. 24 (ii, p. 56. 5 ss. Schwartz) spiega lo sono affatto : sono quelli che vivono in maniera
che molti sembrano superbi : sia quelli che si appar- appartata. La diversa lettura o¥ d', crea un’altra ca-
tano, cioè si allontanano dalla vista, sia quelli che tegoria di superbi, ma lascia imprecisate le ragioni
vengono alla luce e si fanno vedere continuamente. per cui molti sembrano superbi.
Dovunque si guarda con invidia e incomprensione
costoro, che non sono graditi.
34 donato loscalzo · mauro menichetti
specchio e riflesso della parte autentica dell’animo, e l’aspetto può ingannare. Addirit-
tura i malvagi possono sostenere con sfrontatezza e impudenza lo sguardo di quelli a
cui hanno fatto del male.
Dal canto suo, invece, Medea non riesce a volgere lo sguardo verso i figli dopo aver
preso la decisione di ucciderli. La colpa e lo strazio non hanno il sopravvento sulla pas-
sione (vv. 076-080) e gli occhi dei figli la sconvolgeranno quando metterà in atto l’in-
fanticidio (0). 4 Sarà l’ultimo lampo del loro viso luminoso a farla scoppiare nell’urlo di
dolore, quando ha deciso che quello sarà l’ultimo loro sorriso. E il cuore le verrà meno,
quando incrocerà lo sguardo dei figli.
Il motivo della ‘solarità’ dei figli di Medea ritorna nel canto del Coro, che lamenta
come la generazione del Sole possa perire per mano mortale. I figli di Medea, infatti,
hanno sangue divino nelle loro vene, proprio perché da parte di madre discendono da
Helios (vv. 255-257). Nel piano di vendetta di Medea, al contrario, questa discendenza
diventa una ragione in più per armare la mano, dal momento che la sua nobilissima
origine non ammette che lei possa diventare oggetto di riso dei nemici (vv. 404-406).
Questo motivo accompagna l’intero snodo della vicenda costituendo il cardine su cui
Medea fonda e fortifica le sue decisioni : i nemici non devono ridere di lei, perché sareb-
be un ucciderla due volte. 5 In una « società della vergogna », 6 Medea si comporta come
un eroe che non può lasciare invendicato l’affronto subito e sostenere lo sguardo di
irrisione dei suoi nemici: meglio cadere tutti in una spirale di morte e di dolore.
La rete di rapporti interpersonali che deriva dal gioco di sguardi e dall’impressione che
la vista fornisce è alla base dell’intreccio della Medea. La ragione per cui Euripide abbia
così insistito su questo tema è fondamentalmente che ha voluto rappresentare la vicenda
di Medea come una vicenda di inganni. Partendo dal presupposto che lo sguardo svela la
verità e la psicologia dei personaggi, arriva al paradosso non solo di smontare l’assunto,
ma di dimostrare che essenzialmente l’occhio è un canale di seduzione e menzogne,
come si vedrà. Nell’inversione costante dei paradigmi la scansione dei ruoli si ribalta con-
tinuamente : l’onesta barbara accuserà il falso greco, il sole e l’oro, luce eterna, porteran-
no la morte, la festa di nozze si trasformerà in esequie, la fecondità in infanticidio. Inoltre
per attuare la sua vendetta, Medea (vv. 395 ss.) invoca la dea Hecate, che venera più degli
altri dei : l’ha scelta come sua protettrice. La dea abita nei recessi del suo focolare e con il
suo aiuto si augura di rendere amare e luttuose (v. 399 : pikroùw d' \gQ sfin kaì lugroùw
y}sv gámouw) le nozze di Giasone. I dispositivi di morte vengono dal centro della casa, il
focolare che, paradossalmente, dovrebbe custodire la continuità dell’oikos.
In genere la Medea è stata letta come un dramma familiare in cui le opposte ragioni
del marito e della moglie hanno ripercussioni sull’intero complesso che comprende
non una, ma due famiglie. L’attenzione dei critici si è concentrata prevalentemente sul
tema dell’infanticidio che ha dato fama sin dall’antichità alla tragedia e al suo autore, e
ogni sforzo esegetico è stato teso a cogliere l’unità dei singoli atti e delle singole battute
in vista della soluzione finale. 7 In realtà la Medea è soprattutto la tragedia di una ven-
detta perpetuata con lucido piano ingannevole contro tutti i protagonisti della vicenda,
indistintamente, sotto gli occhi attoniti e dei servi e delle donne di Corinto, inermi e
incapaci di opporsi.

Cfr. Di Benedetto 97, pp. 40 s.


4 7
Cfr., ad es., P. E. Easterling, The Infanticide in
E ripete in altri luoghi che non potrebbe tolle-
5
Euripides’ Medea, in Mossman 2003, pp. 87 ss. Hol-
rare mai di essere derisa dai suoi nemici (797 : o[ gàr land 2003, pp. 256 ss. legge l’infanticidio all’interno
gelâsyai tlhtòn \j \xyrôn). della complessa storia di delitti familiari commessi
6
Dodds 978, pp. 33 ss. nel casato di Giasone.
lo sguardo di medea e l ’ inganno delle nozze in euripide 35

3. Tecniche di inganno : letti di spose e di morte


Lo sguardo è anche veicolo del desiderio, fondamento della fisiologia immaginaria del-
l’eros, 8 che scaturisce da quello. La charis è qualcosa che lega, che vincola saldamente.
È piacere reciproco. Il Coro cita, ad es., quella dei giuramenti che è svanita in conse-
guenza del disonesto comportamento di Giasone (v. 439). Ma la charis è innanzitutto lo
strumento dell’inganno, il fondamento della vendetta di Medea che decide di inviare
alla nuova sposa di Giasone dei doni : un peplo leggero e una corona d’oro battuto :
leptón te péplon kaì plókon xrus}laton (v. 786). 9
Con il pretesto di chiedere che i figli restino a Corinto, Medea metterà in atto il
piano di uccidere la figlia del re. Ma il suo obiettivo è ancora più grande : distruggere
completamente la casa di Giasone, per fuggire poi da quella città eludendo la punizione
per l’uccisione dei figli (vv. 794-796). La distruzione totale consiste nell’uccidere i figli
che Giasone ha avuto da lei e poi nell’impedire che egli ne abbia altri dalla nuova sposa.
L’idea che l’annientamento di un uomo passi attraverso la perdita dei figli, e della spe-
ranza di averne altri, Medea l’ha maturata nel dialogo con Egeo (vv. 663-688), che si era
recato a Delfi per chiedere ad Apollo come ovviare all’inconveniente della mancanza
di figli. 20
Medea, tuttavia, non porta di persona i suoi doni, ma manda i figli, benauguranti se-
gni di fecondità. Molti interrogativi rimangono però insoluti, e Euripide non ha fornito
risposte : non dice cosa siano i phármaka nei quali Medea avrebbe ripassato i doni e so-
prattutto quando, dal momento che rimane sempre in scena, li ha intrisi. Inoltre rimane
oscura la ragione per cui non vengano contaminati i figli che li portano in mano (v. 956).
Forse perché si trattava di veleni intelligenti, capaci di agire solo sulla vittima predestina-
ta ? Una notazione, comunque, viene dalla stessa Medea : le mani dei figli non possono
ornare da sposa la madre (e anche una matrigna) : quelle mani, nei desideri della madre,
avrebbero dovuto ornarla a morte quando sarebbe giunta la fine (vv. 033-034).
Questi doni, comunque, sono di particolare fattura. Il peplo è sottile, nel senso che è
lavorato come una tela di ragno, mentre la corona è in intreccio (plókon) e non è com-
posta di oro ma è in oro battuto, 2 forse ricoperta da una lamina d’oro, ma non tutta
d’oro. Dice che sono eredità da parte del nonno, il dio Helios. Nel dialogo con Giasone,
Medea prevede che la sua nuova sposa sarà felice innumerevoli volte di aver avuto come
compagno di letto Giasone (vv. 952 ss.) e l’ornamento che Helios, padre del padre di
Medea, diede in eredità ai discendenti (7). Ma l’oro non può essere dispositivo di morte :
per sua costituzione è legato all’eternità e alla vita. Nel fr. 222 Maehler, Pindaro chiama
l’oro « figlio di Zeus », perché è indistruttibile e non può essere attaccato né da tarlo né

8
È la definizione di Durup 983, p. 43. Euripide zie alla sua abilità nell’uso dei filtri, a patto che il re
nell’Ippolito, vv. 525 s. fa dire al coro : « Eros, Eros la accolga come esule da Corinto e le dia ospitalità
che stilli attraverso gli occhi il desiderio […] ». (vv. 708 ss.). Egeo accetta la proposta perché non ha
9
Questo verso sarebbe da espungere secondo altro pensiero che avere dei figli (vv. 79-722).
2
Elmsley perché è ripetuto al v. 949, ma sulla logica Per Eschilo (Theb., 644) d’oro battuto è l’im-
difesa del testo tradito, cfr. Cavallero 2003, pp. 298 magine di un uomo (xrus}laton ƒndra) condotto
s. Del resto Medea deve ripetere quali oggetti inten- da Dike sullo scudo di Polinice, mentre Sofocle in
da inviare alla sposa perché nel primo caso Giasone ot, 268 definisce così le spille di Giocasta con le
era assente. quali Edipo si acceca (xrushlátouw) ; per Euripide
20
Cfr. Page 990, p. xxix. Egeo era sposato, ma battuto in oro è anche il canestro nel quale Calcan-
qualche dio gli aveva negato la prole. Medea si offre te (ia, 565) depone la spada affilata per il sacrificio
come coadiuvante nel progetto di avere figli, gra- di Ifigenia.
36 donato loscalzo · mauro menichetti
da tarme. Da notare che solo nella descrizione del messaggero, la corona indossata per
la prima volta è definita d’oro e non dorata (v. 60) : egli non poteva sapere che dietro
c’era un inganno.
Per annientare un nemico forte e all’apparenza invincibile, bisogna agire attraverso la
seduzione e l’inganno. Medea deve raggirare anche Giasone, come risulta dal dialogo
che ha con lui. Ha deciso di annientare la casa del re, ma a una lettura superficiale dalle
sue parole traspare una decisione completamente diversa. 22 Confessa di essersi compor-
tata male in precedenza e di voler ora riparare e di non opporsi più a quelli che decidono
bene (v. 874) e soprattutto nei confronti dello sposo, che per lei fa la cosa più vantaggio-
sa : ≠w =mîn drÅ tà sumforQtata (v. 876). Frase ambigua, questa, come risulta dal verbo
dráv, ma anche dalla mancata indicazione di chi sia a trarre vantaggio da quella decisio-
ne. Nell’ironia antitetica delle sue parole coerentemente si può cogliere una minaccia di
morte. Il limite è di Giasone che non comprende il vero significato del suo discorso.
Il suo nuovo piano è quello di prendere parte alle decisioni di quello, favorire il com-
pimento e stare vicino al letto (6) : 23
Ora dunque ti approvo e mi sembri ragionevole
prendendoti questa parentela per noi, ma io folle,
che dovevo invece prendere parte a questi progetti,
favorirne il compimento e stare presso il letto
e compiacermi di darmi pensiero della tua sposa.
Nelle parole di Medea, all’apparenza, c’è il proponimento di agevolare le nozze di Gia-
sone, ma non è specificato quale sia il compimento e soprattutto in che cosa consista la
sua vicinanza al letto. Al verso 885 compare un primo termine ambiguo, kêdow che può
indicare parentela (in prima istanza sembra significare « hai procurato a noi questa pa-
rentela ») ma che in questo contesto può significare « lutto », « dolore » 24 e può voler dire :
« ti sei preso questo dolore da parte nostra ». Medea dice che avrebbe dovuto approvare
e favorire la realizzazione delle scelte di Giasone, stare vicino al letto e godere del fatto
di avere attenzioni per la sposa e per lui. Ma anche in questo caso léxow può essere il
letto di morte, non quello nuziale, come risulta anche dal fatto che è usato non propria-
mente al singolare. 25 Parla come una numfeútria, la madre che assiste la figlia nella ce-
rimonia di nozze, ma con un’inversione del fine del rituale, trasformandolo da nuziale
in funebre. 26 Inoltre il participio di k}dv con l’accusativo significa non solo ‘prendersi
cura’, come sembrerebbe a una prima lettura, ma «affliggere», «infastidire», come è
attestato in Il., v, 404 e Od., ix, 402. A un secondo livello, il discorso di Medea vuol dire
che avrebbe dovuto, partecipando ai progetti di Giasone, portare afflizione alla sposa e
a lui, stando vicino al letto, al letto di morte. L’ambiguità, inoltre, è estrema, al punto
che sullo stesso Giasone ricadono le responsabilità dell’imminente omicidio della sposa,
perché sono le sue decisioni, in realtà, che le stanno procurando la fine.

22
Nota M. G. Ciani in Ciani, Susanetti 997, pp. la solitudine del letto nel quale la protagonista ora
24 s., che quando Medea confessa alle donne di Co- vive la sua desolazione.
24
rinto che « tutte le parole sono inutili » (v. 89), da Secondo l’uso attestato già in Archiloco (fr. 3.
quel momento in poi usa solo parole di inganno,  West) e poi in Eschilo (Cho., 469).
25
abilmente asservite al suo piano. Sul letto, al singolare, riferito alla morte, cfr.
23
Il letto è l’elemento intorno al quale ruota Rodríguez Cidre 997.
26
l’intera vicenda della Medea di Euripide, come ha Rehm 994, pp. 03 ss. parla di « conflation of
messo in evidenza B. Gentili, La « Medea » di Euri- two rituals » che nel ha il suo paradigma nel raccon-
pide, in Gentili, Perusino 2000, p. 34 s., soprattutto to del messaggero della morte della sposa.
lo sguardo di medea e l ’ inganno delle nozze in euripide 37
Medea può mentire perché sa usare un linguaggio ambiguo. Ora il suo sguardo
tace. 27 Nel suo invito ai figli a prendere la mano destra del padre come segno del-
la riconciliazione avvenuta tra i genitori, Medea ha modo di esclamare (v. 900) : qw
\nnooûmai d} ti tôn kekrumménvn, « come mi preoccupo di mali nascosti ». « Mali na-
scosti » la affliggono, perché conosce la realtà parallela a quella che vuole prospettare,
ma Giasone sembra cedere al nuovo atteggiamento e intende come « mali nascosti »
quelli « passati », che inaspettatamente sono caduti su di loro, e che ancora creano
sofferenza a Medea (proprio per l’ambiguità di \nnooûmai, che può indicare ‘preoccu-
pazione’, ma anche ‘considerazione’, ‘riflessione’). Sembra convinto del pentimento
e della nuova decisione quasi riconoscendosi causa delle sofferenze della donna (vv.
908 ss.) e suona paradossale il suo augurio rivolto ai figli di crescere in prosperità nella
terra corinzia, e di poter assistere al compimento della loro giovinezza, superiori ai
loro nemici. 28
Giasone allora vuole dissuadere Medea dal privarsi degli oggetti preziosi. Quella ri-
sponde che l’oro è più potente per i mortali di molte parole (vv. 964 s.) e raccomanda
ai figli di consegnare i doni direttamente alla sposa, nelle sue mani, in una sequenza
discussa già dagli antichi sulla sua verosimiglianza. 29 Dal canto suo, il coro lamenta
che la sposa infelice accoglierà la rovina degli aurei intrecci per il capo. Si tratta di una
corona che ha rivestimenti d’oro, non è tutta d’oro, è ornamento di Ade (vv. 980-982) :
tòn %Aida kósmon. A ragione è stato notato che il cadavere di una giovane donna non
sposata veniva sepolto proprio con l’ornamento nuziale di pepli e corona. 30 La charis
e lo splendore immortale della veste trarranno in inganno la sposa, convincendola a
cingere il capo con la corona 3 rivestita d’oro, il vero dispositivo di morte. Il testo tra-
mandato dai codici dei vv. 983-989 (9) è chiaro e comprensibile, 32 anche se nelle edizioni
contemporanee si continuano a stampare per inerzia gli emendamenti di Elmsley del-
l’edizione del 822 :
Fascino immortale e splendore dei pepli 33
convinceranno a indossare corona di oro battuto :
27
Nota Chicladze 2003, p. 9, che in questo dia- vantaggio di spiegare come si gioca l’inganno : le
logo con Giasone, Medea usa abilmente le tecniche vesti splendide e preziose (il plur. è attestato anche,
di persuasione, come nel precedente colloquio ave- ad es., al v. 59) convinceranno la donna a cingere
va tentato di fare invece quello. il capo con la corona, del resto il verbo periyésyai è
28
Nota Ohlander 989, pp. 26 s. che Giasone e specificamente usato per indicare il cingere il capo
il coro sono persuasi dalle lacrime di Medea, a pre- con la corona (cfr. Il., xix, 380-38 ; Aristoph., Thesm.
scindere dal fatto se queste siano reali o finte. 380). Inoltre, anche se raro, è possibile che un tro-
29
Schol. 972 (ii, p. 92.9 ss. Schwartz). cheo sia in responsione con un coriambo : un caso è
30
Seaford 987, p. 0. attestato in un papiro che conserva il testo del pri-
3
Una corona funebre è attestata, ad es., in Ari- mo Epinicio di Bacchilide v. 80, ep. 3 (cfr. Gentili,
stoph., Eccl., 538. Sul doppio valore della corona Lomiento 2003, pp. 205 s.).
come simbolo di fecondità o di purificazione, vd. 33
Secondo Buxton 982, pp. 53 ss., l’inganno che
Blech 982, pp. 8 ss. ricorre spesso nella Medea è connesso alla particolare
32
Accolgo il testo tradito, che è stato in vario condizione della protagonista in città : è una barbara
modo emendato. La lezione comunemente accolta e una sposa ripudiata, e nella sua posizione di inferio-
è quella di Elmsley che corregge al v. 983 péplvn rità è inevitabile il ricorso all’inganno e alla persua-
in péplon, per cui si rende necessaria l’aggiunta di sione. Di recente Foley 200, pp. 266 s., ha rilevato
una coordinazione : xrusóteukton <te> stéfanon. come si tratti di una tragedia di gender non solo per
Queste congetture servono sostanzialmente a ri- i conflitti maschio/femmina che rappresenta, ma
pristinare la responsione con il v. 977 della strofe, anche per quelli interni alla psiche di Medea, essere
ed eliminano un aggettivo difficile, che è attestato androgino che si trasforma in una divinità amorale,
solo negli Inni orfici (lv, 8), per cui vd. Ricciardelli qualcosa che ha in sé tratti femminili e maschili, cfr.
2000, p. 447. Ma il testo tramandato dai codici ha il le osservazioni di Fusillo 2003, pp. 4 ss.
38 donato loscalzo · mauro menichetti
ormai presso i morti si ornerà da sposa, 34
cadrà in questa rete
e nel destino di morte, infelice : alla rovina
non sfuggirà.
Presso i morti si vestirà da sposa (vv. 985 ss.) : cadrà in un laccio di morte, ineludibile.
Il coro coerentemente ribadisce che la morte verrà non dalla veste, ma dalla corona,
che è costruita con oro (8), forse rivestita di una lamina d’oro che la rende ingannevol-
mente oggetto prezioso. La grazia e lo splendore degli abiti è, d’altro canto, immortale,
ambrosia. Il gioco dell’inganno verte proprio su questa polarità : ciò che seduce è oro,
bellezza, leggerezza, tutti fattori di splendore e immortalità, ma portatori di morte.
L’occhio deve essere attratto dall’eternità che suggerisce l’oro per cadere poi nella trap-
pola letale. Medea per rafforzare la seduzione dichiara che si tratta di doni di Helios,
il dio espressione di vita, di splendore, sapendo però che sono in realtà ornamenti da
esequie. Il matrimonio si sposta nel mondo dei morti e Giasone porta rovina con il suo
comportamento ai suoi figli, per i quali prospettava un futuro da parenti di regnanti (vv.
990-99). 35
Il Messaggero che riferisce la notizia della morte della regina racconta quale fosse la
seduzione dei doni e la morte presagita da Medea. Innanzitutto quando sono arrivati
i figli, la regina ha lo sguardo attento su Giasone (v. 46 : próyumon eÂx' •fyalmòn e†w
&Iásona) e un velo cade sugli occhi (47 ss.), il velo della collera, ma Giasone tenta di
persuaderla a accogliere i figli. Quando vede poi l’ornamento inviatole, non si trattiene
più, accorda ogni cosa allo sposo, indossa il peplo e pone sui riccioli la corona dorata :
« allo specchio luminoso acconcia la chioma, 36 sorridendo all’immagine senza vita del
corpo » (). In modo mirabile, M. Menichetti ha intuito che si tratta di catoptromanzia,
cioè della predizione del futuro tratta da superfici riflettenti : la sposa avrebbe dovuto
notare nello specchio l’immagine della morte, 37 e invece sorride, attratta dalle bellezza
dell’ornamento. Leggervi solo una notazione del fatto che le immagini che si riflettono
in uno specchio siano immagini prive di vita sarebbe riduttivo e, nel resoconto del ser-
vo, suonerebbe come una notazione dotta, pedante, e priva di significato. Sul fenomeno
di riflessione attraverso superfici lucide si discusse nell’antichità a lungo, soprattutto in
relazione alle implicazioni magiche del fenomeno. Lo specchio rivela l’immagine vera,
come sostiene lo stesso Euripide nell’Ippolito (vv. 428-430), quando dice che il tempo
svela i malvagi tra i mortali, come uno specchio posto davanti a una fanciulla, ricon-
ducendo ancora una volta il fenomeno della riflessione al mondo femminile. Platone

34 37
Cfr. Mastronarde 2002, p. 329 : nota che ques- ƒcuxow è riferito al cadavere in Eur., Tro., 623 :
ta immagine evoca l’idea « of the death of an un- si parla di Polissena, data in dono al cadavere senza
married girl as a marriage to death ». Tutta la scena vita di Achille, anche qui si gioca sulla contraddi-
è in realtà una celebrazione di un matrimonio con zione del dono e del destinatario senza vita. Fa no-
la morte, cui la ‘sposa’ giunge sedotta dai bei doni tare M. Matteuzzi in Albini, Matteuzzi 996, pp.
che Medea le offre e dal discorso ingannevole che 95-96, che l’immagine senza vita è prefigurazione
questa ha fatto allo ‘sposo’. di quanto sta per accadere, come risulta anche da
35
Giasone è genero di un re il cui casato è destina- sôma, che indica non solo il corpo, ma anche il ca-
to a sparire : il suo destino è restare all’interno di una davere, cfr. anche de Jong 99, pp. 46-47. La tecnica
classe sociale e sperimentare le inconsistenze di quel della catoptromanzia è molto antica e ricorrente in
mondo, come ha notato Carpanelli 2005, p. 37. varie civiltà. Basti cercare anche nel mondo delle
36
Immagine simile di donna che per vanità ac- fiabe, dove l’episodio più noto è senz’altro quello
concia la chioma allo specchio è in Eur., El., 069- della matrigna di Biancaneve che interrogava lo
07, dove Elettra accusa la madre di essersi data alla specchio sulla sua bellezza, cfr. Di Nola 2000, pp.
cura della bellezza in assenza del marito. 96 ss.
lo sguardo di medea e l ’ inganno delle nozze in euripide 39
(Tim., 7b) spiega che lo specchio (kátoptron) accoglie le figure (túpouw) e rimanda le
immagini (eÊdvla) da vedere, agisce cioè in due fasi, di cui all’occhio umano rimane
solo la seconda. Paragona il fegato a uno specchio, che è spesso, lucido, liscio dolce e
amaro e riflette i pensieri e spiega che il fegato è legato alla divinazione (72b). I pensieri
che provengono dalla mente aggrediscono il fegato stimolando o la parte amara, o
quella dolce. Si hanno così diverse sensazioni e immagini profetiche che emergono solo
in uno stato di trance (nel sonno, nei casi di divina frenesia, oppure quando la mente è
alterata da malattia). Solo però l’uomo assennato è in grado di decifrare e interpretare
questi segni. La profezia, in definitiva, consiste nell’interpretare le immagini che riflet-
te il fegato/specchio, ma questo è concesso solo a una mente ritornata in sé o a una
persona assennata, che non soggiace all’inganno e alla seduzione. La sposa di Giasone,
ottenebrata dallo splendore e sedotta dalla bellezza degli ornamenti, non sarebbe stata
in grado di decifrare il segno evidente di morte che lo specchio le aveva rimandato.
Ancora Platone (Phaedr., 255c-d) spiega quale sia il meccanismo di seduzione/ingan-
no che è alla base dello specchio, identificando nel fenomeno della riflessione la chia-
ve per interpretare i meccanismi dell’innamoramento. Il flusso di amore che promana
dall’occhio dell’amante rimbalza verso l’amato e attraverso gli occhi arriva all’anima.
In questo modo riempie d’amore anche l’amato : così egli ama e non sa dire che cosa, e
vede se stesso nell’innamorato, come in uno specchio, ma non lo sa. Ha un’immagine
d’amore che è un riflesso d’amore (eÊdvlon ¡rvtow ˙ntérvta ¡xvn). La sposa avrebbe
potuto vedere che il suo corpo era ormai senza psychè, il soffio vitale che vaga nell’Ade
dopo le esequie e conserva l’aspetto del corpo che ha lasciato (Il., xxiii, 99-07). Ma era
troppo attratta dall’inganno degli ornamenti e dalla sua immagine per potere leggere
l’eÊdvlon, non solo il túpow. Nello specchio è impressa l’immagine senza vita della don-
na, la quale però coglie solo il riflesso blando e ingannevole. Lo specchio ha catturato
l’immagine di quello che sarebbe stato in breve l’esodo della toilette, ma la donna non
vi coglie solo le vaghe parvenze, abbagliata dal desiderio e dalla vanità. Del resto l’im-
magine visiva è elemento scatenante il desiderio, ma anche lo specchio rimanda una
visione che suscita eros, lo dice lo stesso Euripide in un frammento (Dan., fr. 7 Jouan,
Van Looy = fr. 322 N.) : ¡rvw fileî kátoptron.
E il rituale prosegue : avanza con mollezza per le stanze, nel vanto del nuovo ornamento,
e si guarda il tallone alzato (65-66 : pollà pollákiw / ténont' \w •ryòn ªmmasi skopou-
ménh), per vedere come scende la veste (espressione simile è in Ba., 937 s.). L’animo fem-
minile è stato sedotto dalla grazia e dalla bellezza, può ora restare vittima della seduzione,
perché dietro la charis è in agguato la morte. Ciò che piace è irresistibile, incatena a un
destino letale, inesorabile, come il canto delle Sirene, il loto dei Lotofagi, non solo perché
è mortale, ma perché annienta le facoltà, crea dipendenza.
Dopo aver compiuto qualche passo per la casa, la morte sopraggiunge ineluttabile
(vv. 67-22) : la donna cambia colore, si abbandona, quasi cade al suolo senza forza,
schiuma dalla bocca, stravolte le pupille, è esangue. Una serva sospetta che sia preda
dell’« ira di Pan o di qualche dio » (vv. 7-72). 38 Poi dalla corona promana del fuoco che
divora tutto e il peplo lacera la carne. Cerca di dimenarsi e di liberarsi dal diadema : ten-
tativo vano, perché quanto più tenta di scuotere la chioma, tanto più il fuoco divampa.
Il male che si sprigiona dai phármaka invisibili di Medea, poi, contamina anche il padre
che corre in soccorso della figlia. Muoiono entrambi, avvinti nell’abbraccio mortale.
Donato Loscalzo
38
La gente che cadeva in deliquio si pensava fosse colpita da Pan o da Hecate, cfr. Faraone 999, p. 46.
40 donato loscalzo · mauro menichetti

*
4. Lo sguardo che agisce
Medea fa parte di quel gruppo di figure femminili comprendente Circe, Calypso, le
Muse, le Sibille ma anche, significativamente sempre sul versante femminile, creature
come le Sirene, le Sfingi, le Arpie caratterizzate da un potere irresistibile, e per questo
anche pericoloso, legato ai venefici, al canto, alla seduzione. 39 Prendendo avvio dalla
tragedia che Euripide dedica alle vicende di Medea e Giasone, C. Sourvinou-Inwood 40
ha rilevato per gli anni attorno al 430 a.C. un preciso e piuttosto repentino cambia-
mento nell’iconografia di Medea ora, per così dire, messa a distanza come afferma la
studiosa grazie all’accentuazione dei suoi tratti barbarici visivamente sottolineati a
prima vista dalla resa dei suoi abiti palesemente accentuati nella loro foggia orientale.
Questo tratto deve esser tenuto presente anche alla luce delle considerazioni proposte
qui di seguito.
Su un altro versante, a commento del mito di Orfeo e Euridice, recentemente M.
Melotti ha svolto alcune interessanti osservazioni sul ruolo dello sguardo. 4 Richiaman-
do la vicenda iniziatica di Tiresia che infrange un codice visivo in relazione al divieto
della sessualità e per questo diviene cieco, lo studioso rileva come lo sguardo di Orfeo
verso Euridice è uno sguardo che annienta : non è uno sguardo sociale che rientra nel
codice del rapporto tra i sessi, ma è uno sguardo di morte, magico e offensivo che si
colloca sul versante della Gorgone. 42 La condizione di mantis propria di Orfeo lo colloca
stabilmente in una condizione di marginalità cui si adegua anche lo sguardo : Euridice è
ricondotta all’Ade perché viene vista da Orfeo quando è ancora nel regno dei morti e,
dunque, è irrimediabilmente morta ; la violazione del tabù visivo viene magicamente
sanzionata dall’impossibilità di un cambiamento di status : Euridice non ritorna al mon-
do dei vivi e Orfeo non può assumere la condizione di sposo. Il codice visuale sopra
richiamato si spiega ovviamente nel quadro dei poteri che il mondo antico ha assegnato
all’occhio e allo sguardo, 43 dotati di un potere magico che può agire in senso negativo e
distruttivo ma che rientra anche nel rapporto tra eros e fascinatio indagato in particolare
in un importante lavoro F. Frontisi-Ducroux. 44
Queste osservazioni ci introducono al tema dello sguardo e dello specchio che sem-
bra costituire l’ossatura portante di tutta la trama euripidea costruita attorno alle vi-
cende di Medea. Tutta la narrazione appare scandita dal ruolo svolto dallo sguardo cui
è assegnata la funzione non solo di tradurre i sentimenti delle diverse situazioni ma
anche di intervenire attivamente nello svolgimento degli eventi. Seguendo la trama
di Euripide, 45 il dolore iniziale di Medea per la decisione di Giasone di unirsi a un’altra
donna viene segnalato (v. 27 s.) () dai suoi occhi e dal suo volto fissi a terra. La tragedia

39 43
Per una panoramica su queste figure si vedano Una panoramica recente su questi aspetti è in
almeno Vermeule 979 e Cohen 995 ; su Medea, al- Rizzini 998.
44
meno Clauss, Johnston 997 ; Medea 997 ; Schmidt Frontisi-Ducroux 996. In relazione alla Me-
2000 ; Griffiths 2006 e la documentazione iconogra- dea di Euripide si veda la breve ma incisiva trat-
fica raccolta nella relativa voce del limc. tazione in Frontisi-Ducroux, Vernant 998, pp.
40
Sourvinou-Inwood 997. 48-50.
4 45
Melotti 2005, pp. 92-94. Per le questioni più strettamente filologiche
42
Vernant 985 ; Frontisi-Ducroux 995. Per la del testo si rimanda a quanto sopra rilevato da Do-
vicenda di Tiresia narrata da Callimaco si veda an- nato Loscalzo.
che Menichetti 2003.
lo sguardo di medea e l ’ inganno delle nozze in euripide 41
dei figli è invece preannunciata (vv. 92 s.) dagli occhi di Medea fissati su di loro e viene 46

esplicitamente chiarita dalla nutrice che ordina ai figli (vv. 00-02) di entrare in casa e
di evitare gli occhi della madre. Il pericolo dello sguardo di Medea viene ribadito sia a
proposito dei servi che le si avvicinano (vv. 87-89) (2) sia da parte del re Creonte quan-
do le comunica il suo destino di esilio (vv. 270-272). Successivamente appare un’altra
caratterizzazione di Medea che insiste sulla sua perizia nei malefici e nei veleni (v. 285) e
che culmina nella sua decisione di uccidere con il veleno il re Creonte, la figlia destinata
al matrimonio e lo stesso Giasone (vv. 384 s.). È lei stessa (vv. 399-402) a preannunciare
che grazie alle sue arti le nozze risulteranno assai amare, quelle arti del male di cui le
donne sono esperte (v. 409). Subito dopo viene introdotto un altro motivo importante
relativo alla forza demoniaca di Eros : Medea appare folle d’amore (v. 434) e la salvezza
di Giasone si deve proprio all’intervento di Eros su Medea (vv. 526-53). Compare poi
esplicitamente il tema delle nozze con la figlia del re, annunciate dallo stesso Giasone
(v. 547), cui si contrappone la minaccia di Medea la quale annuncia che Giasone dovrà
pentirsi di quelle nozze (vv. 625 s.).
I motivi dello sguardo, della natura demoniaca di Eros e delle nozze sono ora tutti
presenti e continueranno a intrecciarsi nel movimento gli eventi. Dopo la minaccia di
Medea, il coro interviene a descrivere le azioni violente di Eros e Afrodite : sembra di
cogliere una sorta di ribaltamento rispetto alle azioni di Medea pure ispirate dalla follia
di Eros. La figura di Medea viene rappresentata in una successione che alternativamen-
te ne coglie il dolore (v. 689) e la volontà di vendetta attraverso l’uso di phármaka po-
tenti (v. 78). L’intento di Medea viene gradualmente rivelato e si apprende che intende
uccidere la figlia del re mediante un inganno descritto subito dopo (vv. 784-789) : i figli
recheranno doni nuziali alla sposa – il peplo e la corona dorata – che però si riveleranno
strumenti di morte in quanto intrisi di veleno. L’azione di Medea sarà ancor più atroce
perché anche i figli verranno uccisi mediante il veleno (vv. 805 s.) e lo sguardo di Medea
si poserà su di loro contemporaneamente alla loro condanna a morte (vv. 860-862). 47
Più avanti (vv. 922-924) Giasone si chiede perché Medea distolga lo sguardo e impallidi-
sca e lei risponde che si deve al pensiero dei figli.
Si apre poi la sequenza dei falsi doni recati alla sposa. Medea chiama i figli e ordina
loro di portare i doni affinché la sposa sia felice (vv. 956-958). Il coro già descrive la scena
che avverrà (vv. 976-988) (8-9) associando la sorte funesta dei bambini a quella della spo-
sa : quest’ultima sarà sedotta dai doni e la corona dorata posta sui suoi capelli diverrà al
contrario un diadema di Morte ; sarà sedotta dal peplo e dalla corona che la conducono
invece alla morte. Subito dopo il pedagogo annuncia che la sposa ha accolto i doni (vv.
003-004) e ignaro si chiede perché Medea distolga lo sguardo (vv. 006-007)48 per poi
abbassare gli occhi e piangere (v. 02). Medea rimpiange la sorte dei figli soprattutto
perché non potrà assistere ai loro matrimoni con le abluzioni rituali, i letti nuziali, le
spose adornate e le fiaccole levate in alto (vv. 025-027) (0). I figli la guardano mentre
a lei manca ora il coraggio di guardarli (vv. 040-043). Ma Medea ormai ha deciso e la
morte della sposa, con la corona e il peplo, viene associata ad un destino dei figli ancor
più doloroso (vv. 065-069). Il messaggero annuncia che il re e la figlia sono morti a
causa del veleno (vv. 25 s.) e si sofferma a raccontare quanto accaduto (vv. 36-202). I

46 47
Il tema dello sguardo è segnalato in relazione Il motivo degli occhi è colto in Susanetti 2002,
a questo brano nel commento di Susanetti 2002, p. 93 al v. 860.
48
p. 56 al v. 92. I vv. vengono espunti dalla critica (Susanetti
2002, p. 98 ai vv. 006-007).
42 donato loscalzo · mauro menichetti
bambini, accompagnati da Giasone, accedono alla stanza della sposa il cui atteggiamen-
to si traduce in un duplice sguardo : dapprima scorge Giasone e il suo sguardo è ardente
(v. 46) 49 ma subito dopo, visti i bambini, si copre gli occhi e volta il capo. Giasone tenta
di calmarla e le annuncia i doni che i bambini le stanno recando : alla vista degli oggetti
preziosi la sposa li accetta felice e accondiscende alle richieste di Giasone di evitare l’esi-
lio per i figli. Immediatamente indossa il peplo ricamato e la corona dorata e si colloca
davanti allo specchio per sistemarsi i capelli, sorridendo alla sua immagine àpsychon (vv.
6 s.) (). È felice per quei doni che però ben presto si rivelano ingannatori e portatori
di morte : dalla corona dorata si sprigiona un fiume di fuoco, il veleno del peplo divora
la carne ; nonostante gli sforzi, la corona le rimane inesorabilmente attaccata al capo.
La sua morte passa attraverso la distruzione del suo sguardo e del suo volto (vv. 96-
97). Il coro constata che le nozze con Giasone l’hanno condotta alla casa di Ade (vv.
234-235) mentre è la stessa Medea a dire che i figli sono stati uccisi dalle nuove nozze
di Giasone (v. 366).

5. La seduzione, lo specchio, la morte


Tutto questo sistema culmina nello sguardo di morte che lo specchio rimanda alla nuo-
va sposa di Giasone appare come una precisa scelta narrativa e funzionale da parte di
Euripide in quanto, ad es., tale motivo appare totalmente assente nella Medea di Seneca
o altrove appena accennato, come avviene nel quarto libro delle Argonautiche a propo-
sito del potere distruttore degli occhi di Medea indirizzato verso il gigante di bronzo
Talos. 50 Il ruolo particolare giocato dallo specchio nel teatro euripideo è stato segnala-
to da J. Assael 5 che inserisce tutto il problema nel quadro della discussione filosofica
contemporanea sulla percezione : lo specchio costituisce un elemento di riflessione sul-
l’incertezza della percezione in quanto le sue immagini riflesse si rivelano illusorie ma
nello stesso tempo lo specchio può rivelarsi anche come strumento di conoscenza. In
particolare esso può agire come uno strumento magico che permette l’accesso ad una
conoscenza soprannaturale e in questa prospettiva viene richiamata proprio la scena
della Medea in cui alla sposa di Giasone la morte viene rivelata attraverso l’immagine
dello specchio in quanto l’essere apsychos dinanzi allo specchio anticipa ciò che effetti-
vamente accadrà. 52
Nel quadro della trama euripidea almeno quattro motivi sembrano avere un ruolo
di primo piano nella realizzazione dell’intreccio narrativo : il potere distruttivo di Eros
connesso all’inganno della seduzione ; i diversi aspetti e funzioni dello sguardo ; il ruolo
dei doni nuziali ; la funzione dello specchio. Medea viene rappresentata come in preda
alla follia d’amore (v. 434) che più avanti il coro esplicita a proposito delle azioni di Afro-
dite (vv. 626-642) : la freccia scoccata dalla dea con il suo arco dorato è in grado di susci-
tare un desiderio incontrollabile che produce un totale sconvolgimento dell’animo per
cui le spose si allontanano dai letti coniugali dando origine a conflitti e discordie. Come
è noto, il potere di Eros in età arcaica viene descritto come una forza cosmogonica poi
collocata sotto il dominio di Afrodite 53 ma destinata a manifestarsi con aspetti incontrol-
labili simili alla malattia, alla follia, allo sconvolgimento recato da un demone ; 54 si tratta

49 52
Notazione dello sguardo in Susanetti 2002, p. Assael 992, pp. 566-568.
53
205 al v. 46. Rudhardt 986 ; Vernant 996, pp. 53-7.
50 54
Ap. Rhod., Arg., iv, 669-670. Cyrino 995.
5
Assael 992 ; cfr. anche Mac Carthy 989.
lo sguardo di medea e l ’ inganno delle nozze in euripide 43
di una figura pericolosa vicina a Hypnos e Thanatos e appartenente allo stesso ambito
delle Sfingi, delle Arpie e delle Sirene. 55 Inoltre l’azione incontrollabile e terribile di Eros
si esplica attraverso un potere magico che agisce mediante le parole e la voce, lo sguar-
do e gli occhi, particolari armi e attributi come il kestos himas, la iynx o la freccia simile
allo sguardo penetrante. 56 Altro aspetto essenziale del mondo di Eros e di Afrodite è
che il potere di seduzione, la charis, si presenta con la forma dell’inganno, è apate e dolos
e appartiene alla sfera della metis : tutti i più antichi modelli della seduzione insistono
concordemente su questo punto, come si vede bene dalla celebre descrizione della crea-
zione di Pandora 57 ma anche dalle scene di seduzione che vedono protagoniste Hera nei
confronti di Zeus 58 o Afrodite nei confronti di Anchise. 59 Le Sirene, ma anche le figure
femminili richiamate all’inizio come Circe o Calypso, rappresentano bene i pericoli del-
la seduzione che si manifestano anche attraverso la voce e il canto. 60
Se teniamo a mente la prospettiva sopra descritta, l’azione di Medea nella trama di
Euripide utilizza al meglio il duplice aspetto del potere di seduzione : le nozze della figlia
del re sembrano procedere entro i binari del rituale matrimoniale fino ai doni nuziali che
simboleggiano la bellezza femminile e il suo potere di seduzione che legittima l’incontro
con l’uomo ; nello stesso tempo il risultato finale sarà ribaltato : l’inganno della seduzio-
ne si rivela in tutta la sua pericolosità e i relativi strumenti, come i doni del peplo o la
corona, ma anche lo specchio si rivelano alla fine come portatori di morte. La sequenza
narrativa è del tutto chiara e coerente. Medea organizza l’inganno della seduzione (vv.
784-789) per cui i figli recheranno alla sposa i doni nuziali destinati ad essere causa della
sua rovina. Come è noto, il peplo e la corona costituiscono due elementi essenziali degli
ornamenti pertinenti alla sposa nel sistema del matrimonio ateniese e il fatto di essere
recati da fanciulli aggiunge l’augurio della maternità. 6 Successivamente il coro descrive
ciò che avverrà (vv. 978-988) : la sposa riceverà i doni e con le sue mani sistemerà la coro-
na d’oro sui capelli che diventerà il segno del destino di morte ; la charis dei doni ribalta
il proprio effetto sulla sposa che ne viene sedotta per cui i suoi ornamenti la preparano
a un destino di morte. La sequenza procede in un crescendo per cui i segni del destino
mortale della sposa preannunciano l’esito fatale : in un certo senso i doni ribaltano il
proprio potere di charis in un omen di morte. Il meccanismo narrativo gioca ovviamente
anche sulle allusioni al rapporto tra matrimonio e sfera funeraria più volte emergenti
nella tradizione antica. Il rimpianto di Medea (vv. 025-027) si rivolge poi proprio alla
sorte dei figli, al loro destino di morte che lei stessa ha predisposto, e la perdita della loro
vita viene riassunta significativamente nella loro impossibilità di accedere al matrimonio
e ai suoi riti gioiosi con le abluzioni, i letti nuziali, le spose adornate e le fiaccole.
Dopo la pausa del rimpianto sulla sorte dei figli, il meccanismo inesorabile innesca-
to da Medea raggiunge un’altra importante scadenza : lei stessa prefigura la scena (vv.
065-066), letteralmente vede la sposa che ha indossato gli ornamenti e per questo Me-
dea sa per certo che la sposa è destinata alla morte. Successivamente è il messaggero a
descrivere quanto accaduto (vv. 36-202) : la sposa dapprima vede Giasone e si rallegra
ma poi vede i bambini e si copre gli occhi come a percepire il pericolo imminente che si
avvicina attraverso di loro. 62 Improvvisamente tutto cambia e la vista dei doni preziosi
55 60
Vermeule 979, pp. 45 ss. Cohen 995, Mancini 2005.
56 6
Faraone 999. Si veda in generale anche Ca- Oakley, Sinos 993, in part. pp. 6-2.
62
lame 992. Sul significato di morte, di blocco della comu-
57
Hes., Theog., 535-66 ; Erga, 42-04. nicazione inerente al gesto di coprirsi gli occhi o di
58
Hom., Il., xiv, 66-22. distogliere lo sguardo si veda Rizzini 998, in part.
59
Hom., Hymn., v, 45 ss. pp. 89-05.
44 donato loscalzo · mauro menichetti
piega il volere della vittima : il peplo e la corona sono strumenti di seduzione che agisco-
no per conto di Eros e piegano il volere di chi tenta di resistere ; ma qui il meccanismo
è ribaltato : il potere della charis si abbatte e si ritorce su chi indossa quegli ornamenti.
Vale la pena rilevare anche la densità di significato connessa ai doni nuziali. Da un lato
il peplo che richiama tutta una complessa e diffusa simbologia che connette la tessitura
al mondo femminile e ai passaggi di status, 63 dall’altro lato la corona che, simile a quella
di Pandora o ad analoghi strumenti di seduzione come il kestos himas donato a Hera
da Afrodite, traduce il potere ambiguo e pericoloso della seduzione, bello a vedersi ma
dotato di insidie nascoste, grazie alla duplice natura delle sue componenti, come ha ben
colto in precedenza Donato Loscalzo.
Nel culmine dell’azione narrativa costruita da Euripide, la sposa indossa il peplo, si
pone la corona sul capo, si acconcia i capelli e si pone dinanzi allo specchio, al modo
delle tante rappresentazioni vascolari che si diffondono soprattutto nella seconda metà
del v secolo a.C. e che mostrano il nuovo mondo del gineceo e dell’universo femminile.
In realtà, subito dopo, la sua immagine riflessa nello specchio appare apsychos (v. 62),
priva di vita. È questo il punto che rappresenta l’esito finale di tutto il crescendo narra-
tivo : i doni nuziali indossati dalla sposa si trasformano in un omen di morte certificato
dall’immagine riflessa nello specchio che ormai appare già priva di vita. La prefigura-
zione della scena da parte di Medea (vv. 065-066) anticipa l’omen di morte che ora l’im-
magine riflessa nello specchio rende del tutto esplicito. In questa prospettiva bisogna
richiamare alcuni aspetti della funzione e dei valori connessi allo specchio. La relazione
tra questo oggetto e il mondo femminile è ampiamente attestata sia a livello iconogra-
fico che a partire dalla documentazione letteraria. In estrema sintesi possiamo dire che
la simbologia dello specchio si incrocia con quella dello sguardo e in ultima analisi la
donna allo specchio pone in primo piano, insieme ad altri attributi, il potere femminile
della seduzione, certifica l’acquisizione della charis cui fa seguito l’incontro col mondo
maschile. Lo specchio richiama un omen favorevole, quello della bellezza femminile,
che si traduce in un potere di seduzione pari a quello di Elena o Afrodite o Pandora.
Tutto ciò si spiega in ragione di un potere che lo specchio detiene al pari delle superfici
riflettenti in generale – come lo specchio d’acqua, le superfici metalliche, le pietre pre-
ziose – e che si traduce nella catoptromanzia, il potere oracolare annesso alle superfici
riflettenti o catturanti la luce. Lo studio classico di A. Delatte 64 ha raccolto le testimo-
nianze antiche al riguardo, a partire dal celebre brano degli Acarnesi di Aristofane 65 in
cui lo scudo funziona come un vero e proprio specchio dotato di un potere oracolare
al pari di quanto avveniva a Patras 66 dove, nel tempio di Demetra, i fedeli potevano
conoscere il loro stato di salute accostando uno specchio alla superficie dell’acqua e
interpretando le immagini riflesse. Il racconto di Euripide, culminante nel riflesso di
morte che si sprigiona dallo specchio della sposa, viene così a costituire una delle più
antiche e importanti attestazioni riguardo alla catoptromanzia e in questa prospettiva
appare in tutto il suo significato il gesto della sposa che si pone dinanzi allo specchio e,
in linea con l’inganno dei doni nuziali, riceve dallo specchio non l’omen della bellezza
e della charis ma, in questo gioco di ribaltamento, un omen di morte e distruzione che

63
Per i valori della tessitura si vedano almeno Pa- 64
Delatte 932 ; si veda anche Frontisi-Du-
padopoulou-Belmehdi 994 ; Scheid, Svenbro 994 ; croux, Vernant 998, pp. 47-60.
Andò 2005. Per il significato erotico del mantello si 65
Aristoph., Acarn., 28 ss.
vedano almeno Arrigoni 983, e Koch-Harnack 66
Paus., vii, 2, 2.
989.
lo sguardo di medea e l ’ inganno delle nozze in euripide 45
da lì a poco si traduce nel peplo che distrugge il suo corpo e nella corona che produce
un fuoco devastante. Gli occhi e il volto della sposa letteralmente scompaiono (vv. 97-
98) quasi a tragico paradosso della sposa che si specchia con i doni ingannatori da cui
si origina l’omen dello specchio altrettanto ingannatore.
In questa prospettiva lo sguardo di Medea si rivela del tutto simile allo sguardo di Or-
feo che produce la morte di Euridice. Questo potere dello sguardo che Euripide assegna
a Medea, allo stesso tempo segnala la marginalità e la irriducibilità del personaggio alle
norme della vita sociale e politica. Non a caso in quegli anni l’iconografia segnala una
significativa svolta in direzione di una Medea decisamente barbara.
Mauro Menichetti

La Medea di Euripide mette in scena sistematicamente il tema della seduzione e del-


l’inganno e in questo quadro un ruolo centrale è affidato ai motivi dell’occhio e dello
specchio. Il lavoro di Euripide si configura anche da questo punto di vista come un’ope-
ra complessa e sofisticata ove lo sguardo e il riflesso dello specchio rivelano la verità
ma nello stesso tempo possono risultare falsi e ingannevoli. Il meccanismo narrativo di
Euripide sfrutta pienamente il tema della charis i cui strumenti conducono ad un esito
improprio e funesto. Lo sguardo, il peplo, la corona – strumenti esemplari della sedu-
zione – ribaltano il proprio effetto per cui la vittima del potere di seduzione cade in una
rete di morte, richiamando così il potere originariamente distruttivo di Eros.
46 donato loscalzo · mauro menichetti

Testi
(ed. di riferimento H. Van Looy, Euripides. Medea, Stutgardiae et Lipsiae, 992)
. vv. 27-29
o·t' ªmm' \paírous' o·t& ˙pallássousa gêw
prósvpon, qw dè pétrow … yalássiow
klúdvn ˙koúei nouyetouménh fílvn.
2. vv. 87-89
kaítoi tokádow dérgma leaínhw
˙potauroûtai dmvsín, –tan tiw
mûyon proférvn pélaw `rmhy_.
3. vv. 29-22
díkh gàr o[k ¡nest' \n •fyalmoîw brotôn,
–stiw prìn ˙ndròw splágxnon \kmayeîn safôw
stugeî dedorkQw, o[dèn “dikhménow.
4. vv. 784-789
pémcv gàr a[toùw dôr' ¡xontaw \n xeroîn,
númf+ férontaw, t}nde m| feúgein xyóna
leptón te péplon kaì plókon xrus}laton:
kƒnper laboûsa kósmon ˙mfiy_ xrofi,
kakôw •leîtai pâw y' ≠w ©n yíg+ kórhw:
toioîsde xrísv farmákoiw dvr}mata.
5. vv. 860-862
pôw d& ªmmata prosbaloûsa
téknoiw ƒdakrun moîran
sx}seiw fónou;
6. vv. 884-888
nûn o{n \painô svfroneîn t' \moì dokeîw
kêdow tód' =mîn proslabQn, \gW d& ƒfrvn,
" xrên meteînai tônde tôn bouleumátvn,
kaì jumperaínein kaì parestánai léxei
númfhn te khdeúousan ≥desyai séyen.
7. vv. 954-955
kekthménh te kósmon –n poy& %Hliow
patròw pat|r dídvsin \kgónoisin o<w.
8. vv. 978-982
déjetai númfa xrusévn ˙nadesmân
déjetai dústanow ƒtan:
janyÅ d'˙mfì kómŸ y}sei tòn %Aida
kósmon a[tà xeroîn.
9. vv. 983-989
peísei xáriw ˙mbrósiów t& a[gà péplvn
xruseóteukton stéfanon periyésyai:
nertéroiw d& ædh pára numfokom}sei,
lo sguardo di medea e l ’ inganno delle nozze in euripide 47
toîon e†w £rkow peseîtai
kaì moîran yanátou dústanow: ƒtan d&
o[x øpekfeújetai.
0. vv. 040-043
feû feû: tí prosdérkesyé m' ªmmasin, tékna;
tí prosgelâte tòn panústaton gélvn;
a†aî: tí drásv; kardía gàr oÊxetai,
gunaîkew, ªmma faidròn qw eÂdon téknvn.
. vv. 59-62
laboûsa péplouw poikílouw “mpésxeto,
xrusoûn te eîsa stéfanon ˙mfì bostrúxoiw
lampr! katóptr~ sxhmatízetai kómhn,
ƒcuxon e†kW prosgelôsa sQmatow.
48 donato loscalzo · mauro menichetti

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SOMMARIO

Monique Halm Tisserant, Symbolique et èthique du blanc et du noir dans la pensée


et dans l’imagerie en Grèce ancienne 9
Donato Loscalzo, Mauro Menichetti, Lo sguardo di Medea e l’inganno delle noz-
ze in Euripide 29
Monica Baggio, Hoplon, Hoplon dei. La pelike E363 al British Museum : alcune
osservazioni sul comportamento non verbale 5
Marcella De Paoli, Immagini di vasi. Raffigurazioni di ceramica attica e italiota
nelle collezioni venete dal xvi al xix secolo 69
Luigi Beschi, Immagini di scultura antica in medaglie rinascimentali 9
Isabella Colpo, Il committente e l’artista. L’opera di Carlo Anti tra Bo e Liviano 09
Francesca Ghedini, Modernità del mito. A proposito di una mostra e di un libro
recenti 53
Elio Franzini, Mito e simbolo 65
Monica Salvadori, Prospettive di memoria del classico nella Medea di Pier Paolo
Pasolini 77

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