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Precognizione, apparenza e forma di Filemone

e Bauci nel Libro Rosso di C.G. Jung


Precognizione, apparenza e forma di Filemone e Bauci nel Libro Rosso di C.G. Jung

di Umberto Capotummino

“Al centro la luce bianca irraggiantesi nel firmamento. Nel primo cerchio, germi vitali protoplasmatici; nel secondo, principi cosmici rotanti che
contengono i quattro colori fondamentali, nel terzo e nel quarto forze creative agenti all’interno e all’esterno. Ai punti cardinali le anime maschili e
femminili, a loro volta divise in chiare e scure”

Mandala e commento di C.G. Jung, Boringhieri, Torino 1938.


Per chi si interessa di precognizione è fonte di ispirazione il pensiero di C.G. Jung, questi nel suo
studio “Gli archetipi e l’inconscio collettivo” prepone l’attività della mente inconscia nello sviluppo
di quei poteri psichici che aprono la via verso la percezione delle immagini archetipiche che egli
chiama ‘archetipi della trasformazione’: “Questi ultimi non sono individualità. Ma piuttosto
situazioni, luoghi, modi e mezzi tipici che simboleggiano le specie di trasformazione di cui si
tratta”.

(C.G. Jung, Gli archetipi e l’inconscio collettivo. p.36. Boringhieri,Torino 1980)

Mentre nel soggetto la mente inconscia è comunque posizionale rispetto all’Io, perché nasce dalla
propria individualità, la sintonia che la stessa mente ha con l’inconscio collettivo ne amplia la
risonanza sino ad abbracciare, nel velo delle immagini archetipiche, quella mente non posizionale
che viene rivelata dall’inconscio collettivo e determina i poteri psichici dell’Io stesso, la cui sintesi
darà la percezione del Sé, nel quale gli elementi consci e inconsci della personalità, nel processo di
trasformazione, si fondono equilibrano.

Scrive C.G. Jung: “Perciò ho scelto il termine Sé; con esso ho voluto intendere la totalità psichica e
nello stesso tempo un centro: nessuno dei due coincide con l’Io ma lo include, come un cerchio più
grande comprende il più piccolo”

(C.G. Jung, Sul rinascere, p.138. Boringhieri, Torino 1980)

La via dell’iniziato, che abbraccia in sé una cerchia concentrica di archetipi rappresentati nelle
immagini di un testo simbolico, ancorchè sacro, perviene alla fioritura in una rinnovata
consapevolezza e nei conseguenti poteri psichici che sono alimentati dalla corona delle immagini
archetipiche prescelte. Queste immagini, animate in un mandala, rappresentano il deposito
collettivo culturale e astrale cui attingere nella pratica divinatoria. L’anello degli esagrammi dell’I
Ching che ritorna su sé nello sviluppo del seme di luce, come il percorso dei passi magici di Osiride
verso la rinascita, descritto nelle Formule del Libro dei morti degli Antichi Egizi, il cui senso è dato
dall’esatto titolo di ‘Formule per uscire al giorno’, esprimono lo stesso segreto: il mito esige
archetipi che, come i riflessi dei petali fioriti, rinnovano la mente dell’iniziato che accede al
giardino segreto uguale a quello del mago Filemone e di sua moglie Bauci.

Scrive C.G. Jung: “Dopo lunghe ricerche ho trovato la casetta di campagna che ha davanti una
grande aiuola di tulipani in fiore e in cui abitano il mago Philemon e sua moglie Baukis…Innaffiano
l’aiuola di tulipani e parlano dei fiori appena sbocciati”.

(C.G. Jung, Libro Rosso – Liber Secundus – Il Mago, Cap. XXI, p. 273. Edizione studio – Bollati
Boringhieri, Torino 2012)

Filemone e Bauci, nel mito ellenico tramandato da Ovidio nel libro VIII delle Metamorfosi, vivono
insieme curando il loro giardino e un giorno, unici tra i Frigi, offrono ospitalità agli dei Zeus ed
Ermete che la ricercavano nella mensa dei mortali.

Bauci offre agli dèi un’oca e in quell’istante essi si manifestano donando ai due sposi l’esaudimento
del desiderio di restare uniti anche dopo la morte, nella reciproca metamorfosi di due alberi: nelle
sembianze di una quercia e un tiglio Filemone e Bauci compiranno il loro destino di guardiani del
Tempio, trasfigurazione della loro dimora.

“Frondere Philemona Baucis/ Baucida conspexit senior frondere Philemon”


vv.714 -715 – Le Metamorfosi, Ovidio

Commenta C.G. Jung: “A quale segreto mi accenni, o Philemon, con il tuo stesso nome?”

-In greco ‘philema’ vuol dire ‘bacio’, l’amante, il sigillo della coppia che sia ama, unione nel segno
della terra. –

“Tu sei davvero l’amante che una volta accolse gli dèi quando essi vagavano per la terra, quando
tutti gli altri si erano rifiutati di dar loro ospitalità. Tu sei colui che senza sospettarlo, diede
accoglienza agli dèi, i quali poi, in segno di ringraziamento, trasformarono la tua capanna in un
aureo tempio. Mentre il diluvio inghiottiva ovunque tutte le genti…Te ne stai al sole, o Philemone,
come un serpente che si arrotola su stesso… Tu conosci, o Philemon, la saggezza delle cose ancora
a venire… Tu sei stato e tu sarai…tu versi acqua viva da cui sbocceranno i fiori del tuo giardino,
un’acqua di stelle, una rugiada della notte… Tu sei solo o Filemone, non vedo persone al tuo
seguito, né una compagnia intorno a te, Bauci stessa è solo l’altra tua metà. Tu vivi assieme ai fiori
agli alberi e agli uccelli, ma non con gli uomini.”

(C.G. Jung, Libro Rosso – Liber Secundus – Il Mago, Cap. XXI, p. 284. Edizione studio – Bollati
Boringhieri, Torino 2012)

Nella successiva metamorfosi, nel racconto personale di C.G. Jung, un ramo dell’albero doppio si
anima:

“Allora, vicinissimo al mio viso ecco muoversi un ramo attorno al quale si è attorcigliato un
serpente nero che mi guarda con lo spento riflesso perlaceo delle sue pupille. Ma non è il mio
serpente? Miracolosa bacchetta nera, sorella mia, da dove vieni?

Serpente: ‘Io sono solo una metà di me, non sono uno ma due, sono l’Uno e l’Altro’ ”.

(C.G.Jung, Libro Rosso- Liber Secundus – Il Mago, Cap. XXI, p. 321. Edizione studio -Bollati
Boringhieri, Torino 2012)

L’accesso alla fioritura e alla conseguente virtù del ramo terreno si manifesta nel duplice aspetto
dell’Io che nella pelle del serpente avvolge nelle sue spire il passato e il futuro.

Questo è consentito a colui che da solo fa crescere in sé la sintesi degli opposti, il cui fiore luminoso
si identificherà con la mente nella quale dimorano e appaiono le figure dell’inconscio, le medesime
che si definiranno come forma personale nell’alveo della coscienza. Il Sé così attivato si raffigura e
riconosce in un mandala: nel suo centro l’iniziato, orientando la ruota del divenire, attiva i simboli
con l’apporto del suo vissuto.

Il bilanciamento dell’identità non posizionale intesa come apparenza degli dèi, e posizionale intesa
come nuova forma di Filemone e Bauci, si dà nell’unione degli opposti che nel giardino prescelto
l’iniziato porta alla manifestazione.

Umberto Capotummino è autore del libro “L’occhio della Fenice” – Sekhem

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