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Numerosissime furono le poleis greche in Sicilia.

Molte delle città greche furono fondate intorno all'VIII - VII


secolo a.C., durante la prima ondata di colonizzazione greca, in particolare nell'area della Sicilia orientale e
meridionale come Agrigento. Agrigento, la greca Akràgas, fondata da Gela nel 580 a.C., fu l’ultima colonia
siceliòta. Città ricca e potente, centro economico e artistico tra i più importanti di tutta l’isola, tanto che il
grande poeta lirico Pìndaro (518-438 a.C.) la descrisse come «la città più bella dei mortali», conobbe un
fervore edilizio senza precedenti.

Gli aspetti architettonici più problematici ed innovativi posti dal Tempio di Zeus sono essenzialmente due:
l’ingresso, che non poteva essere come di consueto al centro, dato il numero dispari delle semicolonne, ma
soprattutto la struttura e la posizione delle figure maschili di gigantesche proporzioni con le braccia
ripiegate dietro la nuca, oggi note come Telamoni.I Telamoni costituiscono elementi figurati di nuova
concezione che simbolicamente rappresentano i “barbari” Cartaginesi sconfitti ad Himera. Di sicuro, come
si è detto, essi erano situati all’esterno del tempio e scandivano, a partire da una certa altezza, lo spazio
degli intercolumni e, probabilmente poggiando su un ispessimento della parete della pseudo-peristasi o su
una cornice continua, sorreggevano la pesante trabeazione aggettante. Tra le ipotesi più recenti vi è quella
di Ernesto De Miro, che ha postulato una originaria disposizione divaricata delle gambe dei giganti, con
proporzioni simmetriche corrispondenti alla distanza e alla sporgenza delle braccia piegate. In generale le
caratteristiche che emergono dalle ipotesi ricostruttive, sembrano evidenziare come l’Olympieion avesse
ben poco a che fare con i canoni dell’architettura greca. Attualmente si propende per ritenere che il tempio
di Zeus frutto dell’intraprendenza e del genio locale, che già aveva dato prove di notevole creatività ed
ingegno nella produzione artistica in generale. Infatti anche l’Olympieion come gli altri templi acragantini
esprime con forza la concezione, propria dell’ambiente siceliota, dello spazio circoscritto e concluso.

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Dici Agrigento e pensi subito alla suggestiva Valle dei Templi, dove è ubicato uno tra i maggiori complessi
archeologici del Mediterraneo, immerso in un paesaggio agricolo di rara bellezza prevalentemente
costituito da ulivi centenari e mandorli.

Il territorio fu abitato fin dalla preistoria, ma è solo intorno al 582 a.C. che nasce la colonia di Akràgas ad
opera di un gruppo di Geloi (a cui si erano uniti coloni provenienti dalla metropolis Rodi), guidati dagli ecisti
Aristinoo e Pistilo.

Inizia così la storia di una delle più importanti colonie greche della Sicilia che si appresta a compiere oltre 25
secoli d’età.

Dalla fondazione della polis greca, all’epoca romana e bizantina, dalla Kerkent araba alla Gergent
normanna, dal periodo medievale alla città spagnola e borbonica, dal risorgimento ai giorni nostri la città
dei Templi ha attraversato alterne vicende.
Divenuta una delle poleis più estese del mondo Mediterraneo, la Valle dei Templi mostra oggi un maestoso
e glorioso passato grazie ai resti dei templi dorici che un tempo cingevano e dominavano l’antica città;
molte antiche vestigia restano ancora intatte sotto i mandorli e ulivi secolari. Gli scavi archeologici
susseguitisi nel corso degli anni gettano nuova luce sulla vita della città, non solo di età greca, ma anche di
età tardo-ellenistica e romana e sulle pratiche di sepoltura dei suoi primi abitanti della primissima era
cristiana.

La maggior parte degli scavi e del restauro dei templi si deve all'operato dell'archeologo Domenico Antonio
Lo Faso Pietrasanta (1783-1863), Duca di Serradifalco dal 1809 al 1812. Durante il XX secolo, gli scavi e i
restauri vennero principalmente finanziati da Sir Alexander Hardcastle. Permise gli scavi archeologici
all'interno del parco, tra cui il raddrizzamento delle otto colonne sul lato sud del tempio di Eracle. Per i suoi
contributi all'archeologia è stato nominato cittadino onorario della città di Agrigento, con la concessione del
grado di Commendatore dell'Ordine della Corona d'Italia.

Non è un caso che dal Novembre del 1997 la zona archeologica di Agrigento della Valle dei Templi è stata
inserita dall’Unesco nella Lista del Patrimonio dell’Umanità.

Arte storia e natura hanno reso questo posto famoso fin dall’antichità, prima con gli scrittori di età classica
quali Pindaro, Polibio, Diodoro Siculo, poi con storici e topografi del XVI e XVII sec. quali Fazello e Cluverio
per finire con artisti e viaggiatori dell’800 come Houel, Denon, Brydone e sopra tutti Goethe che hanno
lasciato ai posteri pagine memorabili del Gran Tour, che aveva in Agrigento e nella sua valle dei Templi la
tappa più evocativa.

LUOGO E TERRITORIO

Estesa circa 450 ettari, sorge a circa tre km dal mare, sulla sommità di due colline, il Colle di Girgenti e la
Rupe Atenea e sul prospiciente altopiano affacciato sul mare chiamato Collina dei Templi e l’ampia valle
centrale quasi pianeggiante, l’odierna Valle dei Templi dove per secoli si sviluppò il centro nevralgico
dell’antica colonia greca. La conformazione dell’altopiano, scosceso a Nord e delimitato ai lati dai fiumi
Akragas e Hypsas confluenti a Sud in un unico corso alla cui foce era l’antico porto (emporion), ne resero un
sito naturalmente protetto.

Il territorio, noto già ai mercanti micenei per essere punto d’approdo lungo la rotta verso il Nord Africa e
l’Occidente, era considerato strategico per i Rodii e i Cretesi che, dalla loro conoscenza del territorio
agrigentino, frutto di precedenti frequentazioni, avevano già lasciato tracce attraverso le vicende della saga
di Dedalo e Minosse in Sicilia. Le testimonianze mitologiche sono state confermate dai recenti ritrovamenti
archeologici. La scelta del momento storico, invece, appare dettata dal tentativo dei Geloi di contrastare
l’espansione verso oriente dei Megaresi di Selinunte.

LA STORIA DI AKRÀGAS (AGRIGENTO)

Lo straordinario sviluppo e la crescita economica della polis akragantina è considerato fuori dall’ordinario
visto che, in meno di due secoli dalla fondazione, divenne una delle città più popolate del mondo greco e
importante centro propulsore della cultura ellenica nel Mediterraneo. Importante l’osservazione del prof.re
Lorenzo Braccesi, secondo il quale la città “brucia velocemente esperienze, vicende e modelli che altrove si
elaborano e si sviluppano nel corso di più generazioni”.

Ecco i principali avvenimenti che si susseguono dalla fondazione fino all’arrivo dei Normanni. Dalla metà del
VI sec. a.C., sotto la tirannide di Falaride (570-554 a.C.), la città comincia ad espandersi gradualmente,
dotandosi: di un sistema difensivo che sfruttava la naturale conformazione del terreno, roccia scoscesa a
nord e due fiumi a sud e a sud-ovest; di un impianto urbanistico ortogonale con una acropoli che sovrasta la
città bassa ad essa collegata da un unico accesso; di templi e necropoli.

UN SEGNO DI RICCHEZZA E PROSPERITÀ

La ricchezza che ha portato alla città di Agrigento, e la vita culturale che questa ricchezza ha sostenuto,
sono testimoniati dai grandi templi dorici costruiti in questo tempo sulla estremità meridionale della
collina. Tuttavia, la prosperità economica e la stabilità politica e il fervore culturale celebrato dai poeti lirici
Pindaro e Simonide erano destinati a finire. Non furono sufficienti i buoni rapporti fra Agrigentini e
Cartaginesi a impedire l’assedio della città nel 406 a.C., nella terribile avanzata guidata da Annibale, che
porterà alla distruzione di altre colonie greche di Sicilia.

Fu Timoleonte a liberare la città e a restituirle il suo ormai appannato splendore, ma l’arrivo dell’esercito di
Roma nella contesa coi Cartaginesi stabilì la sua resa, entrando così a far parte della Provincia Siciliana in
virtù della sua prospera economia basata sull’agricoltura, l’industria tessile e lo sfruttamento dello zolfo.
Durante gli ultimi anni della repubblica e della prima età imperiale, Agrigento beneficiò del fatto di essere
unica città-mercato sulla costa meridionale della Sicilia con l’emporio alla foce del fiume S. Leone. Sede
episcopale con l’avvento del cristianesimo, iniziò tuttavia una fase di lento e inesorabile declino che portò
ad un progressivo spopolamento e impoverimento della città che finì per diventare un villaggio arroccato
sulla Rupe, che gli Arabi nell’829 d.C. conquistarono e chiamarono Kerkent o Girgenti, e dopo di loro i
Normanni.o

IL PARCO ARCHEOLOGICO E PAESAGGISTICO DELLA VALLE DEI TEMPLI

Istituito nel 2000, include le aree archeologiche già sottoposte a tutela nel 1997 dichiarate Patrimonio
dell’Umanità UNESCO. Il termine Valle dei templi è relativo al territorio circostante la Valle e la collina, la
città arcaica e classica, poi romana e paleocristiana, interessando anche le necropoli e i santuari fuori dalla
cinta muraria, un’area nella quale le valenze ambientali e naturalistiche si fondono con i monumenti
archeologici, i templi, l’agorà superiore e inferiore, la complessa rete di acquedotti metropolitani, le
necropoli e i complessi ipogeici.

Attraversato da strade di collegamento tra la città e il mare, il Parco dei Templi si articola in diverse zone
che possono essere visitate anche separatamente, vista l’ampiezza di tutta l’area. Ma non fatevi
scoraggiare, perché entrando nella Valle dei templi di Agrigento vi sembrerà di fare un tuffo nel passato,
come se il tempo si fosse fermato. Quindi armatevi di comode scarpette, cappellino e occhiali da sole e, che
la passeggiata possa avere inizio!
Dal Piazzale Hardcastle, lungo la Via Passeggiata Archeologica si può accedere all’area presso il tempio di
Zeus o Olympeion e la collina dei templi. Un secondo accesso è presso il tempio di Giunone; dal Museo
Archeologico si può accedere alla chiesa di San Nicola e al relativo settore dell’agorà greca con i suoi
monumenti pubblici; infine un ultimo accesso alla Valle dei Templi di Agrigento, dal lato meridionale, si
colloca presso la porta V.

Il cosiddetto tempio della Concordia è uno dei templi in miglior stato di conservazione dell’antichità greca.

L’edificio deve il suo nome tradizionale a un’iscrizione latina della metà del I secolo d.C. con dedica alla
“Concordia degli Agrigentini”.

L’edificio di ordine dorico è databile intorno alla seconda metà del V secolo a.C. e ha un basamento di
quattro gradini, su cui poggiano sei colonne sui lati brevi e tredici su quelli lunghi. Unico fra i templi
agrigentini, conserva quasi interamente gli elementi della trabeazione e i due frontoni sui lati est e ovest.

Al suo interno il tempio è suddiviso in atrio di ingresso, cella e vano posteriore, il primo e l’ultimo con due
colonne fra le ante. Aveva un crepidona composto da 4 colonne altre 6,67m, con 26 scanalature. La porta
della cella è fiancheggiata da due piloni entro cui è ricavata una scaletta di servizio che conduce al tetto.

Ma non è questa perfezione ciò che ha salvato il tempio dall’abbandono e dalla distruzione. La sua fortuna
è stata la trasformazione in chiesa cristiana dedicata ai Santi Pietro e Paolo nel 597 d.C. Grazie a
questo cambio d’uso il tempio è stato sottratto al destino di cava di materiale da costruzione, com’era
solito per gli edifici pagani dal Medioevo in poi.

Naturalmente ci sono state delle alterazioni anche pesanti. Nella conversione in chiesa il tempio
fu orientato in senso opposto (le chiese hanno la facciata ad ovest, invece che ad est come i templi) per cui
fu abbattuta la parete dell’opistòdomo, sul fondo della cella, per creare la navata centrale. Gli spazi tra le
colonne furono chiusi con un muro mentre nelle pareti del naos furono aperti sei archi per lato (ancora oggi
visibili

Solo nel 1748 il tempio torna alle sue forme antiche, con la riapertura del colonnato, e smette di essere
utilizzato per il culto.

Le dodici arcate aperte nelle pareti della cella risalgono all’uso dell’edificio come chiesa cristiana, che ne ha
garantito l’eccezionale stato di conservazione.

La divinità, a cui il tempio era dedicato in origine, è – tuttavia – ancora sconosciuta in assenza di riscontri
archeologici ed epigrafici.

Il 25 aprile 1787 Goethe (archelogo tedesco) visitando Agrigento si sofferma sulla Valle dei Templi dove


spende grandi parole per il tempio della Concordia ma pone anche delle critiche alla scarsa qualità del
restauro praticato sulla pietra:

«Il tempio della Concordia ha resistito ai secoli; la sua linea snella concorda al nostro concetto del bello e
del gradevole. i tanti restauri furono eseguiti con una mancanza di gusto; colmando i guasti con un gesso di
bianchezza abbagliante, tanto che il tempio ci si presenta come una rovina; eppure sarebbe stato così
semplice dare al gesso il colore della pietra corrosa! Certo che a vedere come si sbriciola facilmente il tufo
calcareo delle colonne e delle mura, c'è da meravigliarsi che abbia potuto resistere tanto a lungo. Ma
appunto per questo gli architetti, sperando nei futuri architetti altrettanto capaci. sulle colonne si vedono
ancor oggi i, resti d'un fine intonaco che doveva dare all'occhio e insieme garantire la durata.»

Verde Arianna

Giallo Luigi

Grigio Gattor

Celeste Mikele

Grigio Marco

Viola Antonino

Blu raffaele

Grigino Silvia

Rosso Chiara

Blu avio Jessica

Rossiccio Erika

Verde scuro Eugenio

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