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La debolezza del sistema economico medievale

La rinascita dell’Europa nell’11º secolo era stata caratterizzata dall’aumento della


popolazione e della produzione agricola. Questa fase si concluse tra la fine del 13º e gli inizi
del 15º secolo, quando l’Europa entrò in un periodo di recessione definito “crisi del trecento”.
Dagli ultimi decenni del 200 si era verificato un fenomeno definito “squilibrio tra popolazione
e risorse”, ossia una sproporzione tra le risorse alimentari disponibili e una popolazione
crescita costante.la produzione agricola era diventata insufficiente sia per abitante delle
campagne sia per quelli delle città. Le terre coltivabili si esaurirono e la mancanza di
innovazioni nelle tecniche agricole non permetteva di aumentare le rese delle colture, che
rimasero basse.

Le carestie e il calo della popolazione


In questa situazione si verificò un peggioramento delle condizioni climatiche in tutta Europa,
calo delle temperature che ebbero gravi conseguenze sulle campagne. A partire dal 1315-
1317 ci fu una serie di cattivi raccolti e di prolungate carestie. La scarsità di cereali provocò
un forte aumento del loro prezzo e portò a una situazione di fame, che colpì in particolare i
ceti più poveri, i quali non disponevano di risorse economiche. Di conseguenza la
popolazione subì un forte calo.
Le carestie spinsero masse di contadini ad abbandonare le campagne per cercare nei centri
urbani opportunità di sopravvivenza. In tal modo, alcune regioni europee si spopolarono
quasi completamente.

Un’epidemia giunta da Oriente


In condizioni igienico-sanitarie molto carenti, alla metà del XIV secolo si abbattè una terribile
peste, una vera e propria pandemia. La causa della peste fu individuata soltanto alla fine
dell’800, in una pulce parassita di alcune specie di topi, che con la sua puntura era in grado
di trasmettere il morbo all’uomo. Tale scoperta è avvenuta grazie alla descrizione dei sintomi
nei documenti medievali. Essi parlano infatti di dolorosi “bubboni” che identificano la forma
bubbonica della peste. La pestilenza ebbe il proprio focolaio di origine in Asia centrale; da
qui si propagò in Medio Oriente attraverso le vie carovaniere. Dalla colonia commerciale
genovese di Caffa sul Mar Nero partirono le navi navi che trasferirono la peste in Europa:
durante un assedio, i mongoli, avevano catapultato all’interno delle mura cadaveri infetti,
contagiando gli abitanti. Le navi mercantili di Genova trasportarono il morbo in tutti i porti
mediterranei che toccarono.

Il crollo demografico
Nel corso del 300 la peste divenne una malattia endemica: si ripresentò con frequenza
regolare fino al 18º secolo, quando si registrarono gli ultimi focolai. Per questa ragione
nell’intero continente si verificò un crollo demografico, il tasso di mortalità più elevato fu
registrato nell’Italia settentrionale e nella regione di Parigi.
Il morbo colpì in modo particolare sui ceti più bassi, già provati dalla denutrizione. I cittadini
più agiati invece potevano tentare di fuggire rifugiandosi nelle loro abitazioni di campagna
dove attendere che la fase acuta dell’epidemia terminasse. Tra le cause del perdurare del
calo demografico ci furono anche le continue guerre, che ebbero un effetto devastante sia
sulle condizioni di vita delle popolazioni sia sul territorio.

Le reazioni popolari alla peste


Le conoscenze mediche del tempo erano molto scarse non erano in grado di porre rimedi
efficaci per prevenire o curare la malattia. Le autorità pubbliche si limitavano a prendere
misure di emergenza, come le quarantene, al fine di limitare il più possibile la propagazione
del morbo.
L’impatto esercitato dalla peste spingeva a comportamenti antisociali provocati dalla paura.
La cultura popolare individuò la causa dell’epidemia soprattutto nei peccati degli uomini e
nella corruzione dei cristiani, che avevano scatenato la collera di Dio. Per ottenere il perdono
di Dio e placare la peste nacquero movimenti di penitenti. Essi si spostavano in processione
per le città colpendosi il corpo con una specie di frusta, il flagello, come atto di pentimento e
di espiazione. I flagellanti alimentavano lo ostilità delle comunità locali contro gli ebrei,
accusandoli di diffondere il contagio. Questo fece riemergere l’antigiudaismo, un sentimento
radicato nella cristianità che si manifestò in violente persecuzioni antiebraiche.

La peste e le persecuzioni contro gli ebrei


le persecuzioni contro gli ebrei si verificarono in molte città durante le ondate di peste del
14º e del 15º secolo. Il pregiudizio antigiuridico giudicava gli ebrei come individui pericolosi e
nemici del cristianesimo, ritenuta responsabili della crocifissione e della morte di Cristo. Essi
vennero accusati di voler distruggere la società cristiana avvelenando i pozzi d’acqua o
appestando l’aria con polveri e pozioni capaci di diffondere il morbo. Tale accusa si radicò
nella mentalità dell’epoca, tanto che nella Germania meridionale, fu causa di spaventose e
carneficine e distruzione di case sinagoghe. L’ebreo divenne un capro espiatorio, un essere
cui addossare la responsabilità di tutte le colpe della comunità, nell’illusione che la sua
eliminazione fisica potesse mettere fine al malessere che l’aveva colpita. La ricerca del
capro espiatorio ricorre nei momenti di crisi, e solitamente identificato in chi si pone come
diverso.

Le rivendicazioni dei ribelli


Nella seconda metà venne attraversata la violenza di rivolte popolari. Le insurrezioni furono
certo conseguenza dei grandi grandi mutamenti della crisi ma non sono da attribuirsi
esclusivamente alla fase economica e demografica negativa: alla loro base vi furono anche
rivendicazioni politiche. I ribelli infatti protestavano contro i privilegi e le vessazioni
dell’aristocrazia terriera, contro l’imposizione di nuove tasse da parte dei sovrani e
richiedevano migliori condizioni di lavoro.

La jacquerie in Francia
La rivolta più violenta scoppiò nell’1358 nelle campagne francesi intorno a Parigi. La sua
denominazione, jacquerie, deriva probabilmente dall’ appellativo “Jacques Bonhomme” con
il quale i nobili indicavano in modo spregiativo i contadini. I contadini ottennero l’appoggio
della borghesia di Parigi, guidata dal capo della corporazione dei mercanti Étienne Marcel.
anch’essa infatti pretendevano di riforma dello Stato che assegnasse un maggior peso
politico agli Stati generali, un’assemblea che riuniva rappresentanti dei tre ordini in cui si
articolava lo società francese clero nobiltà e borghesia cittadina, così da porre sotto il loro
controllo importanti materie quali il fisco, l’esercito e le spese pubbliche. Fu cosicché, alla
fine del mese di maggio 1358 presero d’assalto i castelli dei nobili e le loro proprietà,
bruciando gli archivi in cui erano custoditi i documenti e chi li asservivano ai signori terrieri.
Le violenze proseguirono per alcuni giorni, ma già in giugno un esercito regio riuscì a
reprimere la ribellione.
Una profonda trasformazione politica
Nel periodo compreso tra la metà del 300 e la fine del 400, le monarchie feudali
dell'Europa occidentale subirono una significativa trasformazione politica
caratterizzata dal consolidamento e dall'accentramento del potere pubblico. Questo
processo fu favorito dal declino delle pretese universalistiche di Chiesa e Impero. In
un contesto di frammentazione politica dell'Europa feudale, emersero
progressivamente Stati centralizzati, di dimensioni più ampie e con confini stabili,
governati da un'autorità pubblica unica, il re, e dotati di un'apparato militare e
amministrativo centralizzato. Queste entità politiche sono comunemente denominate
"monarchie nazionali" dagli storici.

La definizione del territorio nazionale e le sue conseguenze


Le monarchie nazionali nel 15º secolo si caratterizzarono per la delimitazione
precisa dei loro confini territoriali, contrariamente al periodo medievale in cui i limiti
geografici erano meno definiti a causa della frammentazione feudale. Questo
processo consentì ai sovrani di estendere il diritto su tutti gli abitanti entro i confini
stabiliti, creando una comunità di sudditi soggetti alle stesse leggi e imposte. Inoltre,
favorì lo sviluppo di un sentimento nazionale tra la popolazione, legata dalla lingua,
dalle tradizioni e dalla storia comune. Le continue guerre contribuirono ad alimentare
questo sentimento, rafforzando l'unità interna contro un nemico esterno. Le
monarchie nazionali, avendo confini definiti, iniziarono anche a riconoscersi
reciprocamente come entità territoriali unite, dando origine alla diplomazia e alla
necessità di inviare rappresentanti presso le corti straniere.

L’accentramento dei poteri: la giustizia e l’esercito


Nel 400, i sovrani delle monarchie nazionali consolidarono il potere centralizzando
l'autorità precedentemente frammentata tra i signori feudali. Iniziarono nominando
direttamente i giudici per la "alta giustizia", riguardante i delitti gravi, sottraendo così
il controllo della giustizia penale ai livelli locali. Questo rafforzò l'immagine del re
come garante dell'ordine pubblico. Inoltre, i sovrani assunsero il controllo diretto
delle forze militari, sostituendo le milizie feudali con eserciti permanenti e soldati
mercenari, necessari per la difesa del territorio, la gestione delle rivolte interne e le
guerre esterne. Questi cambiamenti segnarono una significativa centralizzazione del
potere nelle mani del sovrano all'interno delle monarchie nazionali.

L’amministrazione dello Stato


Nel periodo della formazione degli eserciti permanenti, i sovrani delle monarchie
nazionali dovettero reperire ingenti risorse finanziarie per pagare e equipaggiare i
soldati. Per far fronte a queste spese, ricorsero all'imposizione fiscale sui sudditi,
estendendo le imposte indirette e dirette su merci e redditi. Inoltre, le monarchie
assunsero il controllo esclusivo della coniazione della moneta. Questo richiese
un'apparato amministrativo efficace, con cariche ereditarie che crearono una nuova
nobiltà di funzionari di Stato. Nonostante il rafforzamento del potere centrale,
persistettero poteri locali e le assemblee rappresentative dei sudditi, come gli Stati
generali in Francia e il Parlamento in Inghilterra, rimasero importanti per il dialogo tra
il governo centrale e le forze sociali, specialmente riguardo alle questioni fiscali.

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